Fedeli, fino alla morte. (Seconda versione)

di stellabrilla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I: perdere la testa ***
Capitolo 2: *** Capitolo II: il giorno dell'Ira ***
Capitolo 3: *** Capitolo III: confronto ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV: scontro ***
Capitolo 5: *** Capitolo V: notizie inaspettate ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI: un altro caffè ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII: l'inizio del viaggio ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII: rivelazioni nascoste ***



Capitolo 1
*** Capitolo I: perdere la testa ***


Notte fonda, e luna nuova.
Gli uomini erano appostati. Il piano era stato definito nei minimi particolari. Le condizioni ottimali. Ognuno sapeva esattamente cosa fare.
Non c’era nulla che potesse andare storto... Nulla oltre, ovviamente, qualche imprevisto.
Perché la natura umana è imprevedibile, si sa. Eppure a volte è imprevedibile al di la di ciò che si riterrebbe lecito. E questo fu ciò che scoprì a sue spese l’Agente Speciale Dinozzo, quella notte.

Erano nascosti da quasi tre ore in un vecchio stabile abbandonato. Tony rabbrividì e sbadigliò. L’adrenalina che all’inizio lo aveva tenuto sveglio si stava esaurendo. Erano le due del mattino e aveva una fame terribile.
Al suo fianco Ziva era immobile e tranquilla. Come faceva poi... con quel freddo e l’umidità che penetrava fin nelle ossa.
Avevano ricevuto una soffiata tre giorni prima: dei trafficanti di armi avrebbero dovuto incontrarsi lì, quella notte. Una partita sostanziosa. Armi di grosso calibro che lasciavano il paese per finire negli stati Arabi.
Tony si guardò attorno per l’ennesima volta. Niente di anormale, nessuno in vista, neanche il più piccolo movimento. Già da un po’ si stava convincendo che la soffiata era stata uno scherzo di qualcuno con un pessimo senso dell’umorismo. Eppure... Gibbs ci aveva creduto. E il fiuto di Gibbs non sbagliava mai (a meno che non si parlasse di donne, ovviamente).
-Che ore sono?- chiese per l’ennesima volta a Ziva. E per l’ennesima volta lei guardò l’orologio.
-Sono passati dieci minuti esatti da quando me lo hai chiesto l’ultima volta- rispose lei spazientita.
Lui sospirò. -Secondo quello che ha detto l’informatore la consegna avrebbe dovuto avere luogo almeno un’ora fa. E’ ovvio che ormai non si faranno più vivi.-
Ziva si mosse debolmente al suo fianco, era appena una forma nell’oscurità.
-Se ti sei bollito chiedi il permesso a Gibbs di tornare a casa- e gli allungò un walki-talki.
A Tony non sfiorò nemmeno l’idea di prenderlo. -Sì, bell’idea. Così prima mi spara, e poi mi licenzia. E comunque si dice “stufato”, non “bollito”.-
Tornò a scrutare il piazzale sotto l'edificio abbandonato -Mi sto congelando.-
Ziva prese un termos che aveva vicino a se e gli versò un bicchiere di liquido scuro. Tony lo prese e ne bevve un sorso, ma ormai il caffè era quasi freddo.
Passò un’altra mezz’ora e ancora non si vedeva nessuno. Ad un tratto la voce di Gibbs risuonò nei loro auricolari.
-C’è movimento.-
-Si, lo vediamo- rispore Ziva.
Un grosso camion scuro era appena entrato dal cancello dello stabilimento abbandonato. Dietro di esso due macchine e una moto.
Dalla loro postazione, dietro un mucchio di barili metallici, i due agenti dell’Ncis si tesero e impugnarono i fucili. C’erano tre squadre di federali sparpagliate in tutta la zona, per un totale di dodici elementi. Ma Tony si rese conto che sarebbero bastati appena.
Guardò gli uomini scendere dai veicoli. Tre dal camion, sei dalle macchine più il motociclista. Dieci. Tutti pesantemente armati.
Tre degli uomini scesi dalle macchine rimasero in disparte, gli altri tre si avvicinarono a quelli scesi dal camion. Il motociclista si guardava attorno, imbracciando un fucile di grosso calibro, un M16 probabilmente. Tony notò che non si era levato il casco.
Lui e Ziva erano in una posizione sopraelevata rispetto al piazzale dove si stava svolgendo lo scambio. Avevano una visuale ampia e libera per diverse centinaia di metri tutt’intorno.
La voce di Gibbs tornò a risuonare nelle loro teste. -A tutti gli agenti, iniziare la manovra di avvicinamento. Dinozzo, David, voi mantenete la posizione fino al segnale. Ricordate che è essenziale prenderli vivi.-
Appena Gibbs ebbe terminato la frase accaddero molte cose.
Il motociclista mandò un grido di allarme. Gli uomini del camion imbracciarono le armi, quelli delle macchine fecero lo stesso. Solo che cominciarono a sparasi tra di loro! Evidentemente credettero di essere caduti gli uni nella trappola degli altri. In men che non si dica tutti i trafficanti erano a terra. Solo il motociclista non era stato colpito e si mise a correre verso il suo mezzo, che aveva lasciato a una ventina di metri di distanza.
-Capo!- gridò Tony -Il motociclista scappa, ce l’ho sotto tiro.-
-Negativo Tony. Le uscite sono bloccate, non può scappare.- Gli rispose Gibbs.
Ma il motociclista non si dirigeva verso l’uscita. Forse aveva una via di fuga a loro ignota? Non potevano assolutamente permettersi di lasciarlo scappare.
-Non va verso le uscite, Capo. Credo che stia per sfuggirci. Gli sparo alle gomme!-
-Negativo Dinozzo. Troppo rischioso. Ci serve vivo.-
Ancora cinque secondi e sarebbe uscito dalla sua visuale.
-Sta scappando!-
-No, Tony!-
Ma a Tony l’istinto diceva SÌ.
Sparò.
Il colpo centrò in pieno la ruota posteriore della moto facendola sbandare e cadere. Il motociclista fu sbalzato via, ma si alzò in un paio di secondi, tenendosi un braccio.
Un sorrisò si stampò sul viso dell’Agente Speciale Dinozzo, grande da un orecchio all’altro. Stava per dire qualcosa a Ziva quando...
La testa del motociclista esplose.
Volò per aria con tutto il casco, staccandosi dal corpo che stramazzò a terra, esanime.

CONTINUA...

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Capitolo 2
*** Capitolo II: il giorno dell'Ira ***



Svegliandosi quella mattina, dopo tre ore scarse di sonno, Antony Dinozzo pregò che gli avvenimenti della notte precedente fossero stati un terribile incubo, ma dovette subito fare i conti con la realtà.
Era accaduto tutto esattamente come si ricordava: il motociclista era morto. Mentre era ancora sdraiato nel letto, rivide ed analizzò tutta la scena più volte.
Ripensò al suo dito sul grilletto. Alla voce di Gibbs nell’auricolare. Al rumore dello sparo. Alla testa che saltava in aria. Ma, soprattutto, ripensò alla reazione del suo Capo.
Aveva creduto che sarebbe stato furioso. Che gli avrebbe urlato contro. Che lo avrebbe tramortito a suon di scappellotti...
Invece niente. Gibbs non gli aveva detto niente. Non lo aveva nemmeno guardato quando li aveva rimandati a casa.
Ed era proprio questo che sconvolgeva Tony: la mancanza di reazione. Non se la spiegava.
Era abituato agli eccessi di collera, alle urla... quelli li poteva gestire. Gli facevano paura (come dargli torto) ma ci era abituato.
Alla fine decise di vestirsi. Ritardare l’inevitabile sarebbe servito solo a peggiorare le cose. Quindi uscì di casa e prese la macchina come ogni giorno.
Per la prima volta nella sua carriera arrivò nel parcheggio della sede dell’Ncis con quindici minuti di anticipo. Quindici minuti che passò seduto in macchina, con le mani sul volante. Senza che riuscisse a decidersi a scendere.
Valutò attentamente le sue alternative: salire di sopra e affrontare Gibbs, oppure a) dichiararsi incapace di intendere e di volere e disertare il lavoro. b) Cambiare nome ed emigrare in Groenlandia. c) Fingere di aver perso la memoria degli ultimi due giorni a seguito di un violento trauma cranico che lo aveva indotto a credere di essere il figlio illegittimo di Michael Jackson.
Alla fine si fece coraggio e scese dall’auto. Raggiunse l’ascensore e premette il pulsante che lo avrebbe condotto al patibolo.
Le sue viscere si contrassero sentì il DING delle porte che si aprivano. Respirò a fondo ed uscì.
Al piano degli uffici regnava un insolito silenzio... come se tutti parlassero a bassa voce, quella mattina. Cosa che non prometteva nulla di buono.
Raggiunse la sua postazione e tirò un momentaneo sospiro di sollievo, quando vide che Gibbs non c’era. C’erano invece sia Ziva che McGee, ed entrambi lo guardarono come se non si aspettassero di vederlo lì quella mattina.
Ziva si avvicinò a McGee e gli allungò una banconota. -Ho perso la scommessa.- Fu la frase con cui lo accolse Ziva. -Non credevo che avresti avuto il coraggio di presentarti al lavoro stamattina.-
-Buon giorno anche a te, Agente David.- La rimbeccò Tony mentre sistemava lo zaino dietro la scrivania. Poi si guardò intorno e le chiese cauto: -Dov’è Gibbs?-
-Fortunatamente per te, è in riunione con il Direttore.- gli rispose McGee.
-Non mi pare di averlo domandato a te, Pivello.- Ma subito il tono aggressivo cedette il posto ad uno più mite. -Quanto è nero da uno a dieci?-
-Quindici, direi.-
-Già, lo immaginavo.- Stava per sedersi dietro la sua scrivania, quando un allarmatissimo e simultaneo -NO!!- dei suoi colleghi lo fermò.
-Che c’è?!- chiese sbigottito, restando con le ginocchia mezzo piegate.
-Devi andare in bagno?- gli chiese Ziva ansiosa.
-Hai fame? Sete?- Gli chiese McGee agitato.
Tony li guardò entrambi allarmato e, ritornando in posizione eretta, chiese: -Ok, adesso spiegatemi che succede.-
-Gibbs ha lasciato degli ordini per te,- spiegò Tim, -ha detto che non appena fossi arrivato (sempre che tu fossi arrivato), dovevi piazzare il fondoschiena su quella sedia (Beh, in realtà l’espressione che ha usato non era proprio fondoschiena, ma... ok, non divago) e non lasciarla per NESSUNA ragione al mondo... Fino a nuovo ordine.-
-Inoltre- aggiunse Ziva -Hai il divieto assoluto di accendere il tuo terminale, di rispondere al telefono, di usare il cellulare, di leggere riviste o fumetti e di produrre qualsiasi tipo di suono. E ti consiglio di fare molta attenzione a eseguire queste istruzioni alla lettera, se non vuoi fare la fine del suo computer...-
Tony deglutì -perché, cosa è successo al suo computer?-
McGee indicò la scrivania di Gibbs -Ha fracassato lo schermo con un pugno stamattina, perché si era bloccato. Si è anche tagliato con una scheggia di vetro. Duky ha dovuto mettergli dei punti.-
Quella, si disse Tony, sarebbe stata la peggiore giornata di tutta la sua vita. “Divieto di alzarsi, di parlare, di fare rumore... Peggio di quando stavo in collegio” pensò sconsolato. Ma decise di arrendersi al suo destino.
Si sedette. Almeno aveva avuto il permesso di tenere la sedia. Una volta McGee era dovuto restare in ginocchio davanti al computer per tutta la mattina, perché Gibbs credeva che non avesse il “diritto di star seduto”. Fu quella volta in cui un ex fidanzato di Abby la molestava, ricordò.
I suoi pensieri furono interrotti bruscamente dall’arrivo del Capo, che si sedette alla sua scrivania senza guardare nessuno. Un pesante silenzio piombò tra le quattro scrivanie, tanto che perfino la tastiera di McGee sembrava avesse il silenziatore.
Ognuno lavorò per proprio conto, in un silenzio nervoso, senza dar retta agli altri.
Dopo tre, che parvero trenta, squillò il telefono di Gibbs, il quale si espresse a versi e grugniti. Appena ebbe riattaccato si alzò
-Era Ducky,- disse asciutto -ha terminato l’autopsia del motociclista.- e senza aggiungere altro si avviò verso l’ascensore.
Timothy e Ziva si guardarono, poi guardarono Tony e si alzarono a loro volta per seguirlo.
L’agente Dinozzo rimase da solo con il ronzio dei Computer. Avrebbe dato qualsiasi cosa per andare con loro e scoprire cosa aveva trovato il Dr. Mallard.

****

Gibbs e gli altri due agenti vennero accolti da un Ducky molto agitato.
-Oh, mio caro Jethro, vieni. Ho trovato qualcosa di veramente sconcertante. In tanti anni che disseziono cadaveri non mi era mai capitato di vedere qualcosa di simile!-
Si avvicinò al tavolo di metallo su cui era disteso un uomo di altezza media, con la carnagione che doveva essere stata molto scura. Anche nella morte veva un corpo statuario, con i muscoli definiti di un atleta.
-Ecco Jethro, guarda.- Mostrò le mani del cadavere -le dita e i palmi delle mani di quest’uomo sono prive di impronte digitali. Come se le avesse immerse in un qualche tipo di soluzione acida per cancellarle. Anche le piante dei piedi hanno subito la stessa sorte. I denti. -si diresse alle lastre che erano appese alla parete illuminata -I denti sono stati modificati con un intervento molto sofisticato e hanno una conformazione che non avevo mai visto in un essere umano. Chiunque fosse, si sono dati un bel da fare per impedire che venisse identificato.-
-E cosa mi dici della causa della morte. Perché la sua testa è esplosa?- Chiese Gibbs con un tono indecifrabile.
-Ecco, questa è la parte più strana e più interessante della faccenda. Guarda questo.- Porse a Gibbs una vaschetta di alluminio in cui era contenuto quello che sembrava un anello di metallo chirurgico annerito.
-Quest’oggetto,- riprese il medico legale -era inserito attorno alla colonna vertebrale del cadavere. Sulla settima vertebra cervicale, per la precisione. Detta anche vertebra prominente, poiché molto evidente alla palpazione. In ogni caso il mio sospetto è che quel congegno fosse stato messo lì per tenere ferma una carica esplosiva. Questo spiegherebbe perché la testa è saltata via così nettamente dal resto del corpo.-
-Sta dicendo- Intervenne
McGee -che quel tipo aveva un meccanismo di autodistruzione incorporato, Dottore?- Si pentì subito di aver aperto bocca, quando Gibbs lo fulminò con un’occhiata assassina.
-In effetti, Timothy,- riprese Ducky -la conclusione cui sono arrivato non è molto discostante dalla tua.-
-Questo significa,- intervenne Ziva, -che forse sarebbe esploso comunque, e che non è colpa di Tony.-
Gibbs si voltò di scatto a guardarla -E’inutile che tenti di difenderlo Ziva David. L’Agente Dinozzo ha volontariamente e deliberatamente disobbedito ad un mio ordine diretto. E questa è una cosa che io non posso tollerare da uno miei uomini. Se fossimo stati nell’esercito l’avrei mandato alla corte marziale!-
Parve riacquistare un po’ di controllo. -Dottore, manda ad Abby tutti i residui di questa presunta carica esplosiva. Voglio vederci chiaro.- Uscì di corsa dall’obitorio, seguito a ruota dai suoi sottoposti.

****

Mentre i suoi colleghi erano in sala autopsie Tony, per ingannare l’attesa, si era messo a rivedere alcuni rapporti. Compito che detestava, ma non aveva altro da fare, quindi...
Era intento a leggere, quando vide con la coda dell’occhio Gibbs che letteralmente marciava verso di lui. Cercò di fare finta di niente, continuando a leggere il fascicolo che aveva tra le mani. Ci riuscì fino a quando il Capo non assestò un violento calcio contro la sua scrivania. Tony scattò in piedi, -Sì, Capo!- disse d’istinto. Poi si risedette immediatamente.
Gibbs si chinò su di lui -Con me. Ora!- Sibilò. E si diresse all’ascensore senza nemmeno girarsi a controllare che Tony lo stesse seguendo.
Ziva e McGee arrivarono giusto in tempo per vedere una manica della camicia di Tony e le porte dell’ascensore che si chiudevano. Si guardarono.
-Credi che Tony ne uscirà vivo?- Domandò Tim alla collega.
-Devo essere sincera? Non credo. Non avevo mai visto Gibbs così infuriato. Nemmeno con Tony. Secondo me, se non gli spara, lo ammazza a suon di scappellotti.–
Andarono a sedersi. Non gli restava che attendere.

CONTINUA...

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Capitolo 3
*** Capitolo III: confronto ***



L’ascensore si bloccò quando Gibbs fece scattare la levetta. Si accesero le luci di emergenza.
Mai come quel giorno a Tony parve che il cubo di alluminio fosse una trappola claustrofobica.
Stava appoggiato con la schiena a uno dei corrimano. In attesa che il suo Capo dicesse qualcosa.
Non sapeva dove indirizzare lo sguardo. Era a disagio. Molto a disagio.
Pensava a come affrontare la situazione, e si rese conto che non lo sapeva. Non sapeva nemmeno cosa fosse quel peso che gli opprimeva la gola. Senso di Colpa?
Aveva trasgredito un ordine di Gibbs. Era una cosa che nemmeno nei suoi sogni più arditi aveva immaginato possibile. Eppure era successo. Perché?! Perché aveva fatto una cosa tanto stupida?
“Perché pensavo di essere nel giusto”, fu l’inaspettata risposta, che emerse chiara dal tumulto dei suoi pensieri. “Il mio istinto mi ha guidato. Ed è una cosa che ho imparato da lui, seguire l’istinto.”
Era passato più d’un minuto e Gibbs non di decideva a parlare. Tony era quasi tentato di rompere il silenzio, quando senza preavviso il Capo gli si piazzò di fronte. Lo guardò fisso negli occhi. Tony ricambiò lo sguardo per qualche istante. Occhi verdi in quelli azzurri.
Ma era troppo. Gli occhi azzurri erano duri, carichi di rimprovero, di rabbia e... sì, di delusione. Tony avrebbe preferito farsi sparare piuttosto che dover sopportare quello sguardo. Abbassò i suoi occhi fino a terra.
-Vuoi dirmi cosa ti è passato per la testa?- Il primo scappellotto, piuttosto violento, fu portato a segno.
Gibbs stava trattenendosi appena dal gridare, aveva la mascella talmente contratta che quasi gli scricchiolavano i denti.
-Di tutte le persone. Di tutti gli agenti. Tu sei l’ultimo da cui mi sarei aspettato un comportamento simile! E tu dovresti essere il mio Agente Anziano? Tu, che agisci senza riflettere. Che ignori i miei ordini. Non so che farmene di uno come te!
-Io ho bisogno di lavorare con persone di cui potermi fidare. Con persone che non decidono di agire di testa propria in un momento critico, mettendo a repentaglio la vita dei compagni! Dammi una sola buona ragione per cui non ti dovrei sbattere fuori a calci, Dinozzo. Dammene una sola.-
Tony si contrasse, e strinse gli occhi, pronto a ricevere un secondo colpo. Ma per il momento evidentemente non doveva arrivare.
Aveva subìto la paternale a capo chino, ma adesso era fermamente intenzionato a perorare la propria causa. Anche se non era facile, con Gibbs che incombeva su di lui.
-Senti Capo, lo so di aver sbagliato. Ho fatto un casino. Ma non è stato un gesto dettato dall’impulso, questo te lo posso giurare. Ho riflettuto prima di sparare. Ero convinto che fosse la cosa giusta da fare. Tu non avevi la stessa visuale che avevo io. Non eri lì con me. Ero convinto che quel tizio conoscesse un’uscita che noi ignoravamo. Sarebbe stato meglio se fosse scappato? Non credo. Il mio istinto mi diceva che dovevo fermarlo. E sei stato proprio tu ad insegnarmi che bisogna seguire l’istinto. Io non so perché la testa di quel tizio sia esplosa come un petardo. Ma di sicuro questo non ha a che fare con il colpo che ho sparato io. Non puoi accusarmi di questo. Di averti disobbedito sì, ma non di averlo ammazzato.–
Finita la sua arringa, Tony attese il verdetto. Gibbs continuava a scrutarlo da vicino.
-E la prossima volta? Cosa farai la prossima volta che il tuo istinto ti dirà una cosa, mentre io te ne dirò un’altra?–
Tony lo guardò... non sapeva proprio che rispondere.
-Io... se devo essere sincero, Capo, non lo so. Tu mi hai insegnato a pensare con la mia testa. Non a essere un fantoccio che esegue gli ordini. Francamente non credo di poterti promettere che non lo rifarei. E se questo di indurrà a licenziarmi... allora fallo.–
Gibbs parve valutare a fondo quella risposta. Poi si voltò e fece ripartire l’ascensore.
Tony rimase interdetto. “E dunque?” si chiese.
-Capo?-
-Sì, Dinozzo.-
-Non credo di aver capito... Sono licenziato?-
-Solo se non vai a prendermi un caffè, Tony-
Tony sorrise per la prima volta nella giornata, e la cabina dell’ascensore parve diventare più luminosa (o forse erano le luci che si erano riaccese?).
-Ai tuoi ordini Capo!–

****

Le porte dell’ascensore di aprirono e Gibbs ne uscì. Quella che si trovò di fronte era una scena singolare, per non dire estremamente preoccupante.
Due uomini vestiti di nero, armati con pesanti mitragliatrici erano di guardia fuori dalle porte. Altri due erano posizionati vicino alle scrivanie della sua squadra. Una donna e un quinto uomo erano fermi nel mezzo del corridoio.
-Agente Speciale Gibbs, presumo.- Disse la donna con una voce morbida e profonda.
-Io e lei abbiamo molte cose da dirci. Voi vete qualcosa che appartiene a me.-

CONTINUA...

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Capitolo 4
*** Capitolo IV: scontro ***



-Chi è lei? Perché questi uomini girano armati in un edificio federale?- Chiese Gibbs, più irritato che agitato. Evidentemente quel giorno avevano tutti deciso di farlo uscire dai gangheri.
-Come potrà facilmente intuire dal fatto che siamo entrati senza problemi, abbiamo tutte le autorizzazioni necessarie ad entrare armati in un edificio federale.- Il tono della donna era quasi canzonatorio.
-In ogni caso, se le armi la disturbano…- Fece un gesto con la mano e le armi furono depositate sul pavimento. Poi gli uomini si misero in posizione di riposo.
-Meglio così?-
-No! Niente affatto. Voglio sapere chi siete e cosa volete!-
La donna sorrise, con uno di quei sorrisi a cui un uomo difficilmente sa resistere.
Era molto bella, alta, dal portamento eretto e dal fisico piacevolmente armonico. Indossava un semplice tauiller nero, con la gonna al ginocchio. Eppure, nonostante il vestito castigato, trasudava femminilità. Si avvicinò a Gibbs fino a quando non si trovarono l’uno di fronte all’altro. E lui non poté fare a meno di notare il colore dei suoi occhi. D’un verde sconcertante.
-Sarò lieta di spiegarle tutto, e di rispondere a tutte le sue domande, Agente Speciale Gibbs. Ma prima deve mostrarmi l’obitorio.-
Gibbs non era dell’umore adatto a cedere neanche un centimetro. Nemmeno di fronte ad una bella donna.
-Io non le mostro un bel niente,- le ringhiò in faccia, -a parte l’uscita. Risponda alla mia domanda. CHI siete? -
La donna parve valutarlo per qualche istante. Poi sorrise di nuovo. -Credo che lei mi piaccia, Agente Speciale Gibbs. E’ un uomo di grande spirito e tempra morale. Lo vedo dai suoi occhi- Gli porse la mano, ma Gibbs la ignorò.
-Può chiamarmi Kira. Comandante in capo della Squadra Operativa Fantasma.-
-Mai sentito parlare di un’agenzia federale che abbia squadre con questo nome. A chi appartenete?-
-Non siamo federali Agente Gibbs, e nemmeno militari. Non siamo agenti... convenzionali, per così dire. Ma serviamo l’America. Di questo può essere certo.–
Kira vide che Gibbs non cedeva.
-Lei è un osso duro, vero? E va bene, senta: perché non va a fare una chiacchierata con il suo Direttore, prima. Credo che ascoltare il suo parere sulla questione potrebbe illuminarla. Io la aspetterò qui con i miei uomini. Le assicuro che non andrò da nessuna parte.- Si produsse in un sorriso disarmante.
In quel momento Jen Shepard si affacciò dalla ringhiera del piano superiore, facendo cenno a Jethro di raggiungerla. A malincuore Gibbs dovette abbandonare momentaneamente il campo di battaglia.
Vide che la donna lo seguiva con lo sguardo. Sempre con quel sorriso strano stampato sulla faccia.
Mentre Gibbs si allontanava, le porte dell’ascensore si aprirono di nuovo, e Tony ne uscì con un bicchiere di caffè fumante tra le mani.
Appena ebbe messo piede fuori dalle porte, il ragazzo di immobilizzò. Il caffè gli cadde dalle mani, schizzando dovunque. Ma lui parve non accorgersene.
La faccia gli divenne pallida, e dovette appoggiarsi al muro per evitare di cadere. L’oggetto di tutto il suo sconcerto, era proprio la donna di fronte a lui.
Lei gli sorrise con tristezza -Ciao Tony, come stai?-
Tony cadde in ginocchio.

CONTINUA...

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Capitolo 5
*** Capitolo V: notizie inaspettate ***



-Tu sei morta…- Fu la prima cosa che Tony riuscì a dire.
-Sono venuto al tuo funerale. Io me lo ricordo! Mi ricordo la bandiera sulla bara. Il saluto. Mi ricordo tuo figlio che piangeva! Com’è possibile?-
Kira attese qualche istante, prima di parlare.
Si avvicinò a Tony e gli tese una mano, per aiutarlo ad alzarsi. Lui la guardò come se fosse mostro fuoriuscito da un film dell’orrore.
-Sono viva, Tony. In carne e ossa. Ti prego, vuoi venire a sederti con me un minuto? Ti spiegherò tutto.- Il ragazzo era talmente sotto shock che non seppe opporre resistenza. Lasciò che lei lo conducesse al punto ristoro e che gli versasse una tazza di caffè.
Passarono ancora alcuni minuti, in cui Tony non seppe distogliere i suoi occhi da lei.
Alla fine la donna parlò:-Quando tu mi hai conosciuto, Tony, io ero Diane Dark, ed ero a capo del tuo dipartimento a Baltimora. Te lo ricordi?-
-Certo-, rispose lui, ancora disorientato.
-Diane Dark rimase uccisa in un’esplosione. Qualcuno mise una bomba nella sua auto. Tu andasti al funerale di Diane, e piangesti per lei.- Attese da Tony un cenno si comprensione. Lui annuì.
-Era solo una falsa identità, Tony. All’epoca lavoravo sotto copertura in un caso di corruzione a livelli internazionali.-
L’Agente dell’NCIS rimase in silenzio per alcuni minuti. Lo shock cominciava a passare. La comprensione si faceva strada nella sua mente. -Una falsa identità,- disse piano. -Tre anni.- La sua voce si fece più dura.
-Per tre anni sono stato al tuo servizio. Tu… io mi fidavo di te. Ti ho raccontato cose che… non sa nessun altro. Lo sai che cosa ha significato per me la tua morte?- La guardò dritto negli occhi. -E per tutto quel tempo, tu eri un’altra persona?-
-Non è esatto. Io sono sempre la stessa persona. E so cosa hai passato dopo quella che per te fu una tragedia. Ho seguito le tue vicende da allora. Anche se agivo sotto copertura i miei sentimenti per te sono sempre stati sinceri. Ti ho considerato alla stregua di un figlio.-
Tony non parve averla ascoltata -Ma allora, tu chi sei?-
-E’ una lunga storia. Adesso non c’è tempo di raccontarla. Saprai tutto, te lo prometto. Adesso però credo che dovremmo tornare: il tuo Capo avrà certo finito di colloquiare con il Direttore Shepard.-
-Aspetta!- scattò Tony, mentre lei si stava alzando. –Non crederai di cavartela così? Dopo tutti questi anni, in cui ti ho creduta morta, in cui ho fatto visita alla tua tomba. In cui mi sono torturato, pensando che forse avrei potuto salvarti… l’unica cosa che sai dirmi è che adesso non hai tempo per raccontarmi niente?-
-Ci sono tante di quelle cose che vorrei poter fare, Tony.- Rispose lei senza scomporsi. –Purtroppo non sono libera di disporre come vorrei, della mia vita. Adesso dobbiamo davvero andare. Ma ne riparleremo, telo prometto.- e senza aggiungere altro voltò le spalle, e uscì dalla stanza.
Tony rimase lì da solo, senza essere in grado di dare un nome a tutti i sentimenti che gli ribollivano nello stomaco. Si sedette di nuovo e continuò a sorseggiare il suo caffè.

****

Gibbs sembrava in procinto di produrre fumo dalle orecchie, quando uscì dall’ufficio del Direttore Shepard.
La conversazione non aveva preso la piega da lui desiderata. E non era abituato a non ottenere ciò che voleva.
Purtroppo erano subentrati fattori che nemmeno Leroy Jethro Gibbs, aveva il potere di contrastare. Non dopo aver assistito a quella telefonata, almeno…
Ritornato alla sua scrivania fu subissato di domande da Ziva a McGee. Cosa voleva quella gente? Perché erano armati? Cosa gli aveva detto il Direttore?
-Vogliono che gli consegniamo il corpo del motociclista, e tutte le prove a esso connesse.- Rispose Gibbs asciutto.
McGee, ridacchiò. –E tu gli avrai certo fatto capire chi comanda, eh Capo? Nessuno ci può soffiare un caso. Dico bene?-
Gibbs non lo guardò e si limitò a porgergli un modulo. -Compilalo e portalo a Ducky. Digli di impacchettare il cadavere con tutte le prove.-
L’Agente McGee rimase interdetto. –Ma Capo, ci arrendiamo così? Non possiamo…-
Gibbs scattò all’impiedi –Non possiamo cosa, McGee? Ti ho dato un ordine, pensi di eseguirlo entro oggi?-
-Sì, Capo. Certo- L’Agente si allontanò.
Ziva, invece, rimase piazzata vicino alla scrivania di Gibbs. Lo scrutava in silenzio.
-Hai qualcosa da dire Agente David?- Chiese acido Gibbs, dopo qualche secondo.
-Sì, a dire il vero. Mi domandavo chi o cosa abbia potuto convincerti così in fretta a cedere. Non è da te.-
-Ho ricevuto una telefonata.- fu la laconica risposta.
-E di chi era,- disse Ziva, sarcastica, -del Presidente degli Stati Uniti?-
-Esattamente.- Rispose Gibbs.

CONTINUA...

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Capitolo 6
*** Capitolo VI: un altro caffè ***



Nel Garage dell’NCIS la Squadra Fantasma, sotto il vigile sguardo di Kira, portava a termine l’operazione di carico del furgone. Il cadavere del motociclista e quasi tutte le prove erano state trasportate fuori dall’obitorio e dal laboratorio. A breve sarebbero partiti. Ma Kira non era soddisfatta, il tutto aveva richiesto molto più tempo del previsto. E non era un bene: i loro tempi erano molto stretti.
Tuttavia i suoi pensieri erano ancora rivolti a Tony. Detestava l’idea di andarsene senza nemmeno salutarlo. Senza nemmeno portegli lasciare un messaggio, o fargli sapere dove trovarla.
Ma tutto questo le era tassativamente vietato.
Aveva promesso al ragazzo che gli avrebbe raccontato tutto. Sapeva di aver commesso un errore, perché era una promessa che non avrebbe potuto mantenere. Anche solo fare qualche accenno alla propria identità poteva costare la sua vita e quella dello stesso Tony. E tuttavia era stata una promessa dettata dal cuore.
Alla fine il furgone fu in ordine e lei stava per ordinare, a malincuore, la partenza, quando vide l’Agente Gibbs che marciava verso di lei.
Quell’uomo le piaceva: era uno tosto. Decise di aspettare per sentire cosa avesse da dire.
-Che gentile, - gli disse quando fu a portata d’orecchio -è venuto a salutarmi, Agente Gibbs?-
-No. Sono qui perché pretendo delle informazioni. Mi avete tagliato fuori dal caso, il minimo che possiate fare è spiegarmi cosa sta succedendo!-
Il tono poco gentile della sua voce mise in allarme gli uomini di Kira, che si avvicinarono di qualche passo. Gibbs li guardò bene per la prima volta. Erano facce che non avrebbe dimenticato facilmente.
Volti duri, segnati, senza età, inespressivi. Avevano occhi freddi, che non mostravano sentimenti.
A Gibbs sembrarono macchine, non esseri umani.
-Calma ragazzi,- li blandì la donna, -sono certa che l’Agente Gibbs è un gentiluomo, e non aggredirebbe una donna indifesa. Dico bene? Senta, perché non andiamo a prenderci un caffè?- Gibbs annuì.
Salirono con l’ascensore al piano dei distributori, e presero due grossi bicchieri di caffè.
Bevvero i primi sorsi in silenzio, poi Kira parlò -Sto per infrangere un divieto. Potrei pagare uno scotto molto alto, per questo.- Un’idea folle le si era appena formata nella testa. Attese alcuni momenti, titubante, perché non c’era solo la sua vita in gioco. Eppure il piano poteva funzionare. Più ci pensava e più se ne convinceva.
Gibbs non disse nulla.
Lei prese il telefono e si allontanò, componendo un numero. Gibbs vide che parlava in maniera concitata, ma non riuscì a carpire ciò che veniva detto.
La telefonata durò alcuni minuti, poi la donna tornò indietro. Aveva un sorriso tirato, ma sembrava soddisfatta. -Pare che, dopotutto, la sua fama sia nota anche ai piani alti. C’è qualche possibilità che io possa intercedere a finché non siate del tutto tagliati fuori. Sia chiaro che non lo faccio perché me lo ha chiesto lei. Ho le mia motivazioni-
Gibbs ignorò quell'ultima frae. -Chi è il motociclista?- Chiese, invece. -Uno dei vostri?–
Kira esitò. -No. Era uno dei cattivi.-
-E chi sono i cattivi?-
-Sempre gli stessi: gente senza scrupoli, pronta a tutto per denaro.-
Kira sorseggiò ancora il suo caffè in silenzio.
-Vuol dirmi qual è la sua idea?- chiese ancora Gibbs.
La donna gli sorrise in maniera strana.
-Lei non ha famiglia Agente Gibbs.- non era una domanda.
-Non ha legami affettivi.-
-No, infatti.-
-Sarebbe disposto a mollare tutto per imbarcarsi in una missione sotto copertura?-
-Con voi?-
-Sì, come membro operativo della mia Squadra.-
Gibbs rifletté per qualche istante -E la mia Squadra?-
-Niente da fare. Coinvolgendo lei corro già un rischio notevole.- Bevve un paio di sorsi -Uno,- disse infine, -L’Agente Dinozzo potrebbe essere adatto.-
“Sì”, pensò Gibbs. “Tony, nonostante tutto, è il migliore”.
Quel pensiero era sgusciato fuori, evaso, da quel luogo oscuro e remoto dove l’Agente Speciale Leroy Jethro Gibbs segregava i sentimenti molesti.
Cercò di dimenticarlo nello stesso momento in cui lo aveva formulato.
-Ho bisogno di maggiori informazioni, prima di accettare.-
-Vorrei poterla accontentare, Agente Gibbs. Ma Quello che sto facendo è una cosa che non può assolutamente, per nessuna ragione, in nessun caso essere divulgato. Se vuol partecipare, dovrà affidarsi a me a scatola chiusa.
-Che garanzie può offrirmi?-
La donna ridacchiò. -Non crede che la raccomandazione del Presidente degli Stati Uniti d'America sia una garanzia sufficiente?-
Gibbs sorrise a sua volta. Per la prima volta nella giornata. E la stanza sembrò d’un tratto più luminosa.
Kira lo osservò con un compiacimento del tutto femminile. Poi gli tese la mano e stavolta lui la strinse. -Sarà il caso di cominciare a darci del tu, Jethro. Puoi chiamarmi Kiki. Adesso devo andare, ma avrai mie notizie entro questa sera. Ti lascerò un messaggio in modo che tu sappia come rintracciarmi. Per quanto riguarda le autorizzazioni non preoccuparti. Penseremo noi a tutto.-

CONTINUA...

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Capitolo 7
*** Capitolo VII: l'inizio del viaggio ***



Una volta che Kira e la sua squadra ebbero lasciato l’edificio, Gibbs tornò alla sua scrivania e si sedette a meditare sulla conversazione appena avvenuta.
Non passarono pochi minuti che l’Agente David e l’Agente McGee piombarono (di nuovo) su di lui in cerca di risposte. Chi era quella gente, cosa volevano, perché avevano avuto l’autorizzazione a tagliarli fuori dal caso.
Lui non aveva quelle risposte, e le domande lo esasperarono tanto che decise di andarsene a casa, per evitare di commettere un omicidio. Detestava essere all’oscuro di qualcosa. Andava contro i suoi principi: essere sempre un passo avanti.
Stavolta gli sembrava di essere rimasto almeno dieci passi indietro. C’erano troppi tasselli mancanti.
La sua nuova barca lo stava aspettando. Eluse le domande e si dileguò. Talmente in fretta da non avere nemmeno il tempo di chiedersi che fine avesse fatto Tony. Non l’aveva più visto da quando l’aveva mandato a prendergli il caffè.
Arrivò a casa, scese in cantina e lì ci trovò Tony. Sedeva silenzioso e stringeva tra le mani un bicchiere di bourbon.
Non gli chiese il perché di quella visita. Se il ragazzo aveva qualcosa da dirgli lo avrebbe fatto, quando lo avesse voluto.
L’uomo si limitò a cominciare il suo lavoro con la barca. Gli piaceva avere a che fare con il legno.
Era solido, taciturno, poco incline ai mutamenti…
-La conoscevo.- furono le prime parole pronunciate da Tony. Gibbs continuò a piallare.
-La donna che è venuta oggi alla sede. La conoscevo. Era il mio capo alla omicidi, a Baltimora. Morì in un’esplosione poco prima che lasciassi la polizia.-
Ecco, questo era il genere di cose che Gibbs odiava. Posò la pialla e si sedette di fronte al suo agente anziano, versandosi una generosa dose di bourbon.
-Si chiamava Diane Dark, quando la conoscevo io. Credo che sia stata la cosa più vicina ad una madre che abbia mai avuto, dopo che la mia morì. Fu tosta quando anche lei se ne andò.- Bevve un sorso, senza guardare Gibbs negli occhi.
-Pochi mesi dopo arrivasti tu e mi portasti con te all’NCIS.- Fece un’altra pausa, stavolta più lunga.
-Questa mattina quando l’ho vista lì, in piedi, davanti a me. Ho pensato di essere impazzito. Poi lei mi ha parlato. Mi ha raccontato una strana storia a proposito di false identità, segreti governativi, missioni sotto copertura. Sei anni senza vedermi e non ha avuto nemmeno uno straccio di spiegazione su perché non si sia fatta viva. Sul perché non mi abbia cercato, per farmi sapere che non era morta. Sai, io pensavo davvero di contare qualcosa per lei... - la sua voce si spense.
A quel punto Gibbs ritenne che fosse il caso di intervenire. -Anche io le ho parlato-, disse, e Tony lo fissò con attenzione.
-Volevo vederci più chiaro in questa storia: ci hanno levato il caso del motociclista. Il Direttore ha ricevuto una telefonata dalla Casa Bianca. Agenti armati fino ai denti che irrompono in una struttura governativa. Tutto questo è fin troppo strano per i miei gusti. Non ci vuole certo un genio per capire che c’è sotto qualcosa di grosso.-
-E soprattutto,- aggiunse Tony, -nessuno può toglierti l’osso dalla cuccia e sperare di farla franca. Giusto?-
Gibbs non rispose, ma un mezzo sorriso gli increspò le labbra. Bevve anche lui un sorso di liquore. -Mi ha proposto di partecipare ad una missione sotto copertura. Ho accettato. E ci sei dentro anche tu.-
Tony annuì. Non c’era bisogno che il suo capo gli dicesse altro. Si fidava ciecamente di lui.
Se Gibbs voleva che facesse questa cosa, l’avrebbe fatta. E così, forse, sarebbe andato in fondo a questa storia.

******

Passarono due giorni, senza notizie.
La mattina del terzo giorno, appena arrivato a lavoro, Gibbs fu convocato d’urgenza nell’ufficio della Shepard. La donna era alquanto perplessa e mostrò a Gibbs un ordine di partenza immediata.
-Cos’è questa storia Jethro?- Chiese il Direttore. -Ha a che fare con quella donna?-
-Perché lo chiedi a me? Ne so quanto ne sai tu.- Fu la laconica risposta.
Ma Jenny Shepard era una donna intelligente e, soprattutto, aveva un intuito femminile molto sviluppato. Il quale si attivava all’istante quando un esponente del gentil sesso sorvolava lo “spazio aereo Jethro”.
In ogni caso quell’ordine arrivava da quote talmente elevate da essere quasi congelato, pertanto la donna non poté far altro che eseguire.
Lesse il documento a Gibbs, che ascoltò in silenzio.
L’Agente Speciale Leroy Jethro Gibbs e l’Agente Speciale Anthony Dinozzo sarebbero partiti quello stesso giorno per una missione Top Secret. Destinazione: ignota. Obiettivo: ignoto. Rischio: codice rosso.
Non dovevano portare con loro alcun effetto personale. Qualsiasi cosa di cui avessero bisogno gli sarebbe stata fornita una volta giunti alla base operativa. Dovevano lasciare armi, cellulari, documenti e distintivi. Avrebbero portato con sé solo gli abiti che indossavano. Dal momento in cui avrebbero lasciato la sede dell’NCIS, fino a quando vi fossero tornati (se vi fossero tornati) dovevano risultare irrintracciabili. Qualsiasi contatto con la sede governativa avrebbe potuto pregiudicare la missione, che era di importanza vitale per la sicurezza mondiale.
Jenny lesse tutto con voce secca, e asciutta. Odiava dover permettere a Jethro e Tony di sottrarsi a quel modo alla sua autorità, senza possibilità di contattarli.
Odiava avere le mani legate a quel modo.
Eppure, se il Direttore aveva le mani legate e non poteva far altro che eseguire, fu molto più difficile spiegare a Ziva e McGee che non erano inclusi in quella missione.
Gibbs e Tony sarebbero scomparsi per giorni, forse settimane, mesi. Avrebbero potuto esser feriti, o morire senza che loro lo sapessero, o potessero fa niente per aiutarli.
Alla fine, dopo che Gibbs si fu imposto con tutta la sua autorità, i due non poterono far altro che accettare la cosa, sebbene molto a malincuore.
-Non Posso crederci! Gibbs, perché hai scelto Tony e non me?- Sibilò Ziva, piuttosto arrabbiata. -Io sono certamente molto più qualificata di lui per una missione di questo tipo. Al Mossad ci addestrano proprio per affrontare cose del genere!-
-Stai insinuando che non sono qualificato per affrontare missioni sotto copertura, agente David?- La ribeccò Tony. -Si da il caso che io abbia molta esperienza nel campo dei travestimenti e delle missioni sotto copertura. E comunque è evidente che Gibbs si fida di me molto di più di quanto non si fidi di te. La sua scelta è stata ovvia. Sono o non sono l’agente più anziano?-
Tony ovviamente stava gongolando. Sembrava un adolescente in procinto di partire per una gita scolastica.
Ma Gibbs lo stroncò in pieno. -Adesso basta Dinozzo, e muoviti. Prima che cambi idea e decida di andare da solo.- Prese lo zaino e si avviò all’uscita.
-Arrivo, Capo.- Tony lo raggiunse correndo. Prima di entrare nell’ascensore si girò e fece un ultimo saluto ai sui compagni, che stavano fermi a metà del corridoio, sconsolati ed abbattuti.
-Cercate di non dare fuoco all’edificio, mentre non ci siamo. Prometto di portarvi qualche souven...- ma la voce gli si strozzò in gola quando Gibbs lo afferrò per la collottola e lo trascinò dentro.
-Scherzi a parte, Capo. Ti sono grato per questa tua dimostrazione di fiducia. - Disse Tony non appena le porte si furono chiuse. Gibbs non lo guardava. -Insomma, soprattutto dopo quello che è successo ieri. Ti prometto che non te ne pentirai.-
-Ecco, bravo. Cerca solo di non farmene pentire.-
Le porte dell’ascensore si aprirono. Nel parcheggio sotterraneo dell’NCIS un furgone nero li attendeva con il motore acceso.
Il portellone sul retro si aprì, e loro salirono. Trovarono due degli uomini di Kira, che li guardavano in maniera strana. Li salutarono con un secco cenno del capo, senza parlare.
Tony si sentiva estremamente a disagio. Ma visto che Gibbs non parlava, si sedette in silenzio anche lui.
Fu un viaggio silenzioso, che durò per quasi due ore.
Dietro i finestrini erano oscurati, per cui i due agenti dell’Ncis poterono farsi un’idea molto vaga di dove fossero diretti. Nelle campagne attorno alla città, probabilmente.
A un certo punto il furgone scese in una specie di strada sotterranea e percorse un tunnel lungo almeno una decina di chilometri. Al termine del tunnel c’era un cancello blindato, che venne aperto con un sensore a iride. Dietro il cancello c’era quello che sembrava a tutti gli effetti un parcheggio. Alcune macchine di vario genere e altri furgoni neri vi erano parcheggiati. Finalmente il veicolo si fermò.
Tutti scesero. Compreso l’uomo alla guida del furgone. Sempre mantenendo un religioso silenzio.
Addossati alla parete c’erano degli armadietti, ogni uomo si tolse la propria tuta nera, sostituendola con abiti civili, e la depose nel proprio scomparto, insieme alle armi. Poi Gibbs e Tony li seguirono lungo un corridoio e per una rampa di scale.
Si ritrovarono in un cortile di quella che sembrava una tenuta di campagna. Con il prato all’inglese e le siepi potate in forme originali.
I tre uomini si fermarono davanti al portone e suonarono il campanello.

CONTINUA…

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII: rivelazioni nascoste ***


Fu un tipetto piccolo e smilzo ad accoglierli dietro la porta.
Entrarono.
Per qualche secondo Tony rimase senza fiato: aveva appena messo piede in una delle case più belle e moderne che mai gli fosse capitato di vedere.
Da fuori sembrava una villa, ma era a tutti gli effetti un loft, anzi, tre loft uno sopra l’altro... visto che la palazzina aveva tre piani, ognuno dei quali doveva misurare almeno 250 mq. Con oggetti d’arte moderna ed elettrodomestici tra i più avanzati sul mercato disseminati in ogni angolo.
Quadri astratti, sculture bizzarre, schermi al plasma grandi come divani, stereo giganteschi, consolle per videogiochi d’ultima generazione e perfino una penisola bar.
-Ma questo è un paradiso.- sbottò, senza riuscire più a trattenersi.
-Ti piace?- chiese una voce alle sue spalle.
Tony si voltò, era stato uno degli uomini di Kira a parlare, uno di quelli che li avevano accompagnati durante il viaggio fin lì. Eppure non era lo stesso uomo di pochi minuti prima... Stava sorridendo, mostrando una schiera di denti bianchissimi, la postura del suo corpo era rilassata e gli occhi castano-arancio brillavano.
-Ci puoi scommettere che mi piace, amico. Quanto darei per potermi permettere un posto del genere. Ma sul serio questa è la vostra base?- Gli rispose Tony, piacevolmente sorpreso dall’atteggiamento amichevole del suo interlocutore.
-E’ più di una base. E’ la nostra casa. Comunque io sono Demian, piacere.- Sorrise ancora e strinse la mano a Tony.
Gibbs rimaneva in silenzio, ma Tony diede un’occhiata agli altri membri della squadra. Sembravano avere più o meno della tua età. Normali ragazzi di trent’anni. Parlavano tra di loro e scherzavano, perfino.
Erano cinque in tutto, ed era un gruppo piuttosto eterogeneo.
Quello che si era presentato come Demian era alto e slanciato, aveva capelli rossi e un sorriso da lupo. C’era un biondo piuttosto avvenente, alto e atletico, che armeggiava dietro la penisola bar. -Chi si fa una birra con me, ragazzi?-
Un omone grosso come un bisonte se ne stava accanto allo stereo, canticchiando una canzone dei Beatles. -Lobo, abbassa il volume di quel coso,- protestò qualcuno. E Tony inquadrò un tipo strano, nonostante non sembrasse più vecchio dei suoi compagni aveva capelli e sopracciglia completamente bianchi. Aveva acceso la consolle e si accingeva a continuare una partita di calcio lasciata in sospeso -Io mi prendo qualcosa di più forte Devon, ci pensi tu?-
-Come no!- rispose il ragazzo biondo, da dietro il bar. -È sempre bello vederti ubriaco a metà giornata, Aaron. Soprattutto quando poi Kira ti prende a calci nel sedere. Max, tu vuoi qualcosa?-
Il tipetto piccolo e smilzo che aveva aperto loro la porta rispose affermativamente alla domanda del compagno, e una birra gli fu lanciata con precisione.
Nel giro di pochi secondi sembrò di trovarsi, non in una base operativa di agenti governativi, ma in una casa studenti a Barcellona.
I due agenti dell’NCIS rimasero sulla porta, apparentemente dimenticati.
A quel punto apparve Kira, affacciandosi dal piano superiore.
-Ragazzi! - li richiamò aspra, - ma vi pare il modo di comportarsi? Abbiamo ospiti, ve lo siete dimenticato?–
Calò un silenzio imbarazzato, la musica fu spenta, il videogioco messo in pausa, i sorsi di birra lasciati a metà.
-Benvenuti,- disse ad un tratto Max, alzando la bottiglia -fate come se foste a casa vostra.-
-Qualcosa da bere?- chiese Devon da dietro il bar.
-Io ho un altro joystik...- propose Aaron mostrando la propria consolle per videogiochi.
-Preferite “Shine on” dei Jet?- domandò Lobo mostrando altri dischi.
La donna alzò gli occhi al cielo.
-Demian, mostra a Tony e Jethro la loro stanza, e prendi tutto quello che servire loro: asciugamani, lenzuola, spazzolini... -
Si rivolse di nuovo agli altri -E voi. Avete un’ora di tempo per farvi una doccia e rilassavi. Poi vi voglio tutti in sala conferenze.-
Ci fu un coro di “OK”, poi la musica, il videogioco e le birre furono riprese e Kira fece un cenno ai due agenti dell’Ncis.
-Dovete scusarci,- disse il ragazzo dai capelli rossi, mentre li guidava al piano di sopra -ma siamo tornati tre giorni fa da una missione di sei mesi in Cile. Non è stata proprio una vacanza. Kira ci ha concesso qualche giorno di svago, prima di ripartire domani-
-Domani?- chiese Gibbs aprendo bocca per la prima volta da quando erano saliti sul furgone.
-Sì. Domani sera. Abbiamo indetto la riunione per mettervi al corrente di tutto ciò che riguarda la missione. Obbiettivi, rischi e piani d’azione. In modo che domani abbiate il tempo di memorizzare tutto.-
Demian entrò in una stanza e accese la luce. Dentro c’erano due letti, e tutto ciò che un uomo può desiderare in una stanza, compreso il minibar. L’espressione di Tony era estasiata.
-Mettetevi a vostro agio, per quanto vi è possibile. Il bagno è sul piano, seconda porta a destra. Vi porterò l’occorrente. Verrà qualcuno a chiamarvi tra un’ora, a meno che non vogliate scendere a fare amicizia...- Sorrise a Tony, poi uscì lasciandoli soli.

*******

I due uomini dell’NCIS si sistemarono nella stanza. Tony tentò di fare conversazione con il Capo, ma ottenne in risposta solo qualche grugnito e la minaccia di un calcio nel sedere, quindi decise di uscire ad esplorare e socializzare con i suoi nuovi compagni.
Stava curiosando in giro, toccando e giocherellando con tutti gli oggetti strani che quando capì di essere osservato. Si girò e vide Kira, che lo fissava.
Lei sorrise, e Tony ebbe una fitta al cuore. Si era da tempo arreso a non poterlo più rivedere quel sorriso.
-Sono felice di averti qui.- Disse la donna, e lo invitò a seguirlo in una stanza al terzo piano, adibita ad ufficio.
Ebbero un lungo colloquio. Tony alzò la voce, si arrabbiò, chiese spiegazioni. Ma la sua rabbia alla fine si spense. Ascoltò una storia che pareva inverosimile, assurda. Eppure lui aveva visto con i suoi stessi occhi. Aveva assistito all’evento che provava oltre ogni dubbio la veridicità di quel racconto.
-Ma se tutta la storia che hai raccontato è vera,- disse Tony ancora scosso, -allora io e Gibbs non dovremmo assolutamente trovarci qui. Stai correndo un rischio enorme. Perché lo fai?-
-Perché non ce l’avrei fatta ad abbandonarti di nuovo.- Rispose lei, semplicemente. -Non sai quanto mi sia costato abbandonarti. Non poterti contattare, farti sapere che ero viva.-
Rimasero in silenzio qualche tempo, poi la donna parlò di nuovo.
-Adesso dobbiamo andare. Ci sono ancora molte cose da fare prima della partenza, e devo mettervi al corrente sui dettagli della missione. Nel frattempo ti pregherei di tacere a Gibbs i fatti che ti ho appena narrato. Anche lui saprà, ma a tempo debito.- Mentre finiva la frase allungò una mano e sfiorò con una carezza la guancia di Tony. Un gesto un tempo tanto familiare, che sembrò essere la cosa più naturale del mondo.
Il ragazzo sorrise, e la stanza parve per un attimo più luminosa.

******

Gibbs era molto nervoso. Quando aveva accettato di partecipare alla missione aveva forse tralasciato un piccolo particolare: da anni ormai era abituato a comandare, ad avere sempre in pugno la situazione, ad essere sempre un passo avanti. Adesso si rendeva conto che il non essere al corrente di tutto, il non avere la possibilità di gestire se stesso, le risorse e le informazioni lo metteva enormemente a disagio.
Ma davvero era cambiato così tanto da quando aveva cominciato a fare quel mestiere, da quando era un pivello ed eseguiva a menadito gli ordini di Mike Franks? Davvero non era più in grado di giostrarsi in una situazione del genere? Non volle arrendersi a quell’idea. La prese come una sfida contro se stesso, e contro i propri limiti.
L’ingresso nella stanza del ragazzo dai capelli biondi, Devon, interruppe i suoi pensieri. Lo seguì al piano terra e poi in una specie di seminterrato. Entrarono in una stanza rettangolare, illuminata da una fredda luce al neon, al centro c’era un grosso tavolo ovale in legno di noce.
Tutt’intorno alle pareti c’erano schermi, piantine topografiche, fotografie identificative e appunti vari. Gli altri ragazzi, compreso Tony, erano già seduti attorno al tavolo.
-Molto bene,- esordì Kira che era seduta ad uno dei capotavola, -visto che ci siamo tutti, possiamo cominciare. Parlerò prima a favore dei nostri Agenti in Prestito.-
Si assicurò di avere l’attenzione di tutti, poi riprese a parlare.
-Ci è giunta notizia di uno strano fermento tra i maggiori trafficanti di morte di tutto il mondo. A quanto pare una nuova arma biologica, assolutamente all’avanguardia, è stata illegalmente prodotta da un’industria giapponese. Pare che questa sostanza sia talmente potente e letale che basterebbe possederla per diventare la persona più potente di tutto il mondo. Adesso l'arma batteriologica è stata messa in vendita. Sarà messa all’asta e ceduta al miglior offerente. Proprio sul suolo americano.-
-Dove e quando avverrà quest’asta? Chi vi parteciperà?- Chiese Gibbs, in maniera spiccia.
Fu Aaron a rispondere per primo: -Sappiamo il dove e il quando,- disse asciutto.
-Nell’albergo MGM Grand di Las Vegas, tra quattro giorni.-
-Sappiamo il come,- aggiunse Demian. -In occasione di un convegno di antiquari, che verrà usato come copertura. Durante una vera e propria asta di opere d’arte.-
-Abbiamo una lista abbastanza precisa dei trafficanti che parteciperanno. Ma non possiamo fare nulla fino a quando non sapremo in che luogo è custodito il virus.- Concluse Max.
Kira riprese la parola –L’affare è stato organizzato dalla stessa azienda giapponese, che si è affidata ad una particolare squadra di mercenari, molto specializzati. E devo ammettere che sono stati abbastanza bravi da metterci seriamente i bastoni tra le ruote. L’unica cosa che siamo riusciti a scoprire è che il virus è già stato trasportato in America. Probabilmente la loro base è nascosta tra le montagne del Nevada. Il nostro compito è trovare l'arma e neutralizzare il pericolo, prima che sia venduta diventando un rischio l’intero genere umano.-
-Qual è il piano?- Chiese ancora Gibbs.
-Mescolarci agli ospiti e agli inservienti dell’albergo in cui si terrà l’asta. Individuare gli acquirenti e i venditori. Catturare uno dei venditori e farci dire dov’è l’arma. Semplice, no?-
-Come no!- esclamò Tony -Una vera e propria scampagnata…-
-Devo dire che le cose si sono molto semplificate grazie al vostro intervento.- disse Kira.
-Davvero Dia.. Kira? Perché, cosa abbiamo fatto?-
-Avete fatto saltare la testa a quel motociclista…- fu l’enigmatica risposta.
-Eccoci arrivati alla parte interessante.- Disse Gibbs, -Il motivo per cui siamo stati trascinati in questa storia. Cosa c’entra il Motociclista?-
Tony lanciò un’occhiata al suo capo. Aveva paura che quello fosse ancora un argomento spinoso.
Ma Kira scosse la testa, -Questo richiederà una spiegazione molto più lunga. Adesso concentriamoci sulla sceneggiatura.-
-Sceneggiatura?- Tony si accostò al tavolo, osservando Kira che porgeva alcuni fascicoli a Demian, il quale si alzò per distribuirli.
-Certo. Per la riuscita di ogni buon film occorre una buona sceneggiatura, dei buoni personaggi, degli ottimi attori e, non ultimo, un buon regista, che sarei io. Dovremo avere occhi e orecchie ovunque all’interno e all’esterno dell’albergo dove si terrà l’asta. Tra il personale, tra gli ospiti. In ogni settore.- Aprì il fascicolo che aveva tra le mani.
-Devon e Demian. all’MGM ospita stabilmente un numero del Cirque du Soleil. Si dà il caso che abbiano due acrobati in malattia. Voi li sostituirete. Si chiamano Karil Mizki e Jaroslav Bogdan. Sono una coppia gay di trapezisti slavi.-
-Ma perché toccano sempre a noi gli omosessuali?- si lamentò Devon. Poi si girò verso il compagno. -Ti avverto, stavolta la checca la fai tu.-
- Ma certo mia cara! - gli rispose Demian, facendogli gli occhi dolci.
Kira riprese - Lobo: sari un addetto alla sicurezza. Ti chiami Robert Winston, sei divorziato e hai una figlia di sette anni che non vedi da tre.- Lobo ricevette il proprio fascicolo.
-Max, tu sarai un barman. Alfredo Gonzàlez, indebitato fino al collo a causa del gioco d’azzardo.
-Aaron, invece, sei un giovane imprenditore scapolo, Raimond McRiver. Hai appena ereditato la fortuna di tuo padre, e non vedi l’ora di spendertela tutta.-
I ragazzi annuirono e cominciarono a consultare le schede che avevano davanti.
-E noi- chiese Gibbs. -Che parte dobbiamo recitare? Autisti, cuochi, addetti alle valigie?-
-Io posso interpretare il fratello del milionario?- Chiese Tony.
Kira gli sorrise -Per noi ho lasciato il meglio, Agente Gibbs. Apri il fascicolo e leggi.-
Gibbs lo fece, e dopo alcuni tentativi (era senza occhiali) riuscì a leggere il nome -Thomas Hornett, ricco antiquario di New York.- recitò.
Anche Tony aprì il proprio fascicolo, ma subito la sua espressione si fece dubbiosa. -Hei, ci deve essere un errore! Anche qui c’è scritto Thomas Hornett...– si fermò di colpo e sgranò gli occhi - ..Junior. Thomas Hornett Junior! - guardò Gibbs con un gran sorriso.- Mi compri un’auto nuova... Paparino?-

CONTINUA…

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