Alhira

di Iridia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 2: *** Luci Nella Notte ***
Capitolo 3: *** Sangue ***
Capitolo 4: *** Lasciami. ***
Capitolo 5: *** La Città di Cristallo. ***
Capitolo 6: *** Il Potere della Luce - Pt.1 ***
Capitolo 7: *** Il Potere della Luce - Pt.2 ***
Capitolo 8: *** Solamente Alhira ***
Capitolo 9: *** Stelle di Roccia ***



Capitolo 1
*** Un nuovo inizio ***






Salve. Aggiungo questo avviso ora, dopo nove capitoli. E' una settimana che non scrivo, è una settimana che leggo. Ho realizzato quanto sia incapace ad esprimermi decentemente, ecco perchè vorrei chiedervi di considerare questa storia un "allenamento", esercizi per imparare veramente a scrivere. Vi sarei davvero grata se poteste lasciarmi dei consigli, ancora meglio se critiche che mi aiutino a migliorare.
Grazie mille. p-s. ho corretto e cambiato qualcosina, ma non posso modificarla più di tanto... è scritta male :)




Un Nuovo Inizio.





Volavo. Piccoli villaggi si susseguivano tra chiazze d'alberi, torrenti, candide nuvole accarezzavano la mia pelle. Lo ricordo perfettamente, ogni sensazione era nitida, definita. Eppure era impossibile, io non posso volare. Cielo e terra, una vista mozzafiato. Ogni particolare è chiaro, le sfumature, i colori, il vento, il calore del sole. Ma perché stavo volando? Dove ero?

Non lo so, non so nulla. Non so dove sono ora, non so perché l'unica cosa che vedo è buio. Non so perché non ho il controllo del mio corpo, perché non sento niente.



Ho paura.


-Portami dell'acqua Iethan , comincia a riprendersi.- disse una voce femminile.

-Certo, arrivo subito.-

In effetti ora non era più così pallida; le guance erano di nuovo rosee e la fronte non scottava più. Aveva passato la notte immobile come un cadavere, bianca come un cencio e respirando a fatica. All'alba la febbre si era alzata ed aveva iniziato a tremare. Nessuno pensava che avesse potuto superare la giornata, eppure era lì; quasi come una normale ragazza che dormiva sonni tranquilli. La coprirono con ciò che avevano e la adagiarono su un letto più comodo del giaciglio provvisorio che le avevano costruito con foglie secche e paglia.

Era calata la sera e l'afa estiva invadeva il villaggio appesantendo l'aria. Pochi erano in casa; nella piazza erano state accese centinaia di piccole lanterne ed i più bravi si impegnavano in danze suggestive per intrattenere la folla.

Quando le strade divennero deserte e le luci iniziavano a spegnersi, una ad una, come stelle dietro una nuvola, la ragazza si svegliò. A fatica, aprì lentamente le palpebre ed indagò tutto ciò che la circondava con spaventate iridi color miele. Non si mosse, forse non poteva, forse non voleva, forse aveva paura.


Buio. No. Non è nero, è blu, blu come il cielo prima della notte, è esattamente di quel colore. Perché non vedo nulla? Le mani. Le sento formicolare. E' fastidioso. Sento qualcosa, forse un respiro. C'è qualcuno … o qualcosa. Non riesco a muovermi. Il blu, il blu sta bruciando. Brucia come carta sopra una fiamma, i bordi incandescenti brillano d'azzurro, si consumano in migliaia di scintille. Sta scomparendo. Voglio urlare, voglio andarmene da qui. Vedo. Vedo un soffitto di … legno? Voglio muovermi, guardarmi meglio attorno. Mentre giro la testa qualcosa si muove, fruscii di vesti.


Si volse verso di lui, fissandolo negli occhi neri come voragini senza fondo. Iethan rimase a guardarla, forse spaventato, ma con uno sguardo dolce, sincero, ed un sorriso appena accennato.

La ragazza mosse le labbra, ma soltanto un sospiro ruppe il silenzio.

-Non parlare. E' un miracolo che tu sia viva, non devi fare sforzi, ora riposati.- le disse a voce bassa, toccandole la fronte per controllare la febbre.

-Dove sono?- riuscì a sibilare lei mentre il panico le avvolgeva poco a poco le membra

-Non ti preoccupare, sei al sicuro. Sei in un villaggio della costa, non c'è nulla di cui tu debba avere paura.- rispose Iethan cercando di sembrare il più rassicurante possibile. - Vuoi dell'acqua?-

In risposta alla sua domanda ottenne un cenno del capo quasi indistinguibile. Le portò la ciotola e fece per aiutarla a bere, quando la ragazza alzò il braccio e gliela prese di mano. Bevve qualche sorso sotto lo sguardo stupito del suo assistente e poggiò infine il contenitore al suo fianco. Si asciugò le labbra con il polso, ma vi era qualcosa di diverso. Soltanto dopo qualche attimo, si accorse che non indossava qualcosa di suo. Vedeva soltanto due maniche bianche che le sfioravano leggere le braccia.

Improvvisamente provò a ricordare cosa portava addosso, cosa stava facendo … quando era successo tutto? Perché era lì? Nulla, vuoto. Era come se la sua memoria fosse stata cancellata, come impronte sulla sabbia seppellite da un'onda. Eppure sapeva che quello non le apparteneva, un'antico istinto glielo aveva sussurrato nell'orecchio.

-Io non ricordo.- disse. Più provava a scavare nella memoria più si ritrovava avvolta dal buio. Sapeva che si era svegliata in quella casa da poco tempo, sapeva che quel ragazzo era tremendamente gentile, ma nient'altro. Tutte le informazioni sulla sua personalità erano sensazioni, una vocina le diceva quali cose avrebbe fatto la "vecchia lei" e quali no, era una forza sconosciuta che prendeva il sopravvento.

-Io, non ricordo … Non ricordo. Niente. Non so chi sono.- la voce era tornata, forte. Aveva quasi iniziato ad urlare e si era alzata a sedere.

-Calmati! Respira, l'amnesia potrebbe essere causata dal trauma, ora devi riposare!-

-Io … il mio nome è … - Cominciò a respirare con affanno, inspirando e soffiando violentemente in preda al panico. Nei suoi occhi solo preoccupazione ed il luccichio di una lacrima.

-Non so chi sono! Non ho un nome, un passato. Non ricordo.-

Iethan non aveva la più pallida idea su cosa fare, non si era mai trovato in una situazione del genere prima d'ora, perciò rimase immobile qualche istante.

-Ti prego, rimettiti giù, starai male! Domani mattina ricorderai tutto, devi solo schiarirti i pensieri.- imbarazzato, si sedette sul bordo del letto.

-Lasciami. Devo ricordare. Cosa è successo? Dov'ero? Oh avanti … Con chi ero? Cosa stavo facendo? Dov'ero? Dannazione cosa è successo? - le urla erano diventate quasi sussurri, ogni tanto interrotti dai singhiozzi del pianto che le rigava il volto di lacrime roventi. Si reggeva la testa tra i pugni, i gomiti erano appoggiati sulle ginocchia, i capelli corti di color ebano erano scompigliati.

Iethan prese coraggio e la toccò delicatamente su un braccio, sentendo le sua pelle sotto la stoffa, trattandola come un prezioso cristallo. La ragazza sussultò, ma non si volse. -Lasciami, ti prego. Esci.-

Lui non l'alscoltò, e con un po' di paura le strinse le spalle. Quando era triste, stare a contatto con qualcuno era un ottimo rimedio, lo calmava e lo aiutava a far ordine nella mente.

Avvolta dal calore di quel ragazzo, versò le sue lacrime, lacrime di confusione, paura. Le sembrava sbagliato, umiliante, eppure era terribilmente confortante, come un unico appiglio in un burrone nel quale rischiava di cadere da un momento all'altro. Cosa avrebbe fatto se non le fosse tornato qualche ricordo? Magari aveva ragione lui, era solo colpa del trauma. E se non lo fosse? Se avesse davvero perso tutto? Cosa avrebbe fatto? Dove avrebbe vissuto? Altre gocce di sale scivolarono lente sulle guance andando a cadere sulle coperte. Sentiva solo le braccia di Iethan attorno alle sue spalle, più sicure di prima, ora aveva bisogno di qualcuno che la facesse sentire al sicuro.

Passarono i minuti, silenziosi, nessuno dei due si mosse. Iethan era sorpreso, di solito era lui ad essere rassicurato, ad aver paura, era riservato e timido, goffo, imbranato. Non poteva immaginare cosa stesse provando quella ragazza, ma in quel momento avrebbe potuto far qualsiasi cosa per farla star meglio.


-Alhira.- disse lei nel silenzio dell'oscurità.

-Cosa?-

-Il mio nome è Alhira.-

Sorrise e cadde in un sonno profondo.







*E' il primo capitolo di una serie che cercherò di aggiornare costantemente, ma a causa degli impegni scolastici non ne garantisco la regolarità. Spero sia di vostro gradimento, è la prima storia che pubblico qui... quindi se vi va lasciate pure consigli, critiche, commenti. Devo crescere come "sorta di scrittrice"
Grazie =)*

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Capitolo 2
*** Luci Nella Notte ***






Luci nella Notte.





C'è un rumore. Piacevole, squillante.
Cinguettio di uccelli. E' così melodioso, rilassante. Che strano sogno ho fatto. Non avevo mai sognato una cosa del genere. Ricordo bene i dettagli, le sensazioni.
Le lenzuola, gli occhi neri, le sue braccia quasi tremanti che mi abbracciavano, le mie lacrime. Era così imbarazzante. Per fortuna quella non era la realtà, la mia realtà è altrove. Tutto quanto è un sogno. Quando mi sveglierò sarò di nuovo a …

No!


Aveva aperto gli occhi ed aveva respirato profondamente qualche secondo per calmarsi. L'aria aveva un odore di mare, era salata e fresca.
Il mio nome è Alhira. Si ripeté, come se avesse paura di dimenticarlo di nuovo. Quindi non era tutto un sogno. La stanza era sempre la stessa, le lenzuola avevano lo stesso odore, la stessa trama ruvida.
Si levò a sedere e si passò le dita tra i capelli scuri; erano spettinati, annodati. Sentiva qualcosa di ruvido sulle guance, ma quando si toccò scoprì che era soltanto il residuo del sale delle lacrime versate la notte prima, lì tra quelle lenzuola, tra le braccia di uno sconosciuto. Doveva essere sembrata così debole agli occhi di quel ragazzo … non voleva rivederlo più. Formulò quel pensiero infantile come una bambina, ma se ne pentì quasi subito.
Scese dal letto poggiando i piedi sul pavimento di legno scolorito, era caldo. Un'asse cigolò sotto il suo peso, ma non sembrava ci fosse qualcuno nelle vicinanze, tutto in quella casa era calmo, non si udivano passi. Per un attimo pensò di scappare, di scomparire e cercare dove aveva lasciato tutti i suoi ricordi. La sua attenzione, però, fu attirata dalla finestra aperta che gonfiava le tende bianche come vele di galeoni. Vi si avvicinò e si sporse leggermente; il cinguettare degli uccelli era accompagnato dall'infrangersi delle onde sulla spiaggia e dal vociare del mercato, il cielo luminoso di mezzogiorno ospitava bianche nuvole dalla forma irregolare. Alhira inspirò profondamente l'odore di salsedine. Le piaceva.
Si chiese se prima abitasse in quel villaggio, ma le case ammassate le une sulle altre costruite sulla costa e sulla montagna che sembrava tuffarsi tra le onde non le dicevano nulla. Sperava di ricordare qualcosa vedendo un oggetto o una persona familiare, magari un amico, anche i propri abiti o quello che portava con sé.
La veste bianca che aveva indosso si animò ad una folata di vento che fece spalancare la porta. Curiosa, la ragazza si avvicinò all'uscita della camera. Davanti a lei vi erano un tavolo di legno povero, seggiole traballanti tutt'attorno, armadietti e mensole ricche di libri e boccette piene di ingredienti che non seppe riconoscere. In un angolo una pentola molto profonda fluttuava sopra un fuoco quasi bianco con riflessi verdi. Rimase a fissare quell'incantevole fiamma cambiare forma e colore mentre il contenitore al di sopra era sospeso nel nulla, galleggiava in aria come se fosse sospinto da fuocherello. Sembrava magia.
Magia.
Sapeva che la magia era praticata dai guaritori, da chi amava lo studio, la natura. Era accessibile a tutti, ma soltanto dopo un addestramento lungo e faticoso si era in grado di utilizzarla. Era tutta questione di volontà, bisognava studiare molto, sforzarsi, allenarsi e studiare ancora. Inoltre era molto importante avere un'ottima memoria. Sorrise pensando che molto probabilmente lei non sarebbe mai potuta essere una maga.
-Ciao!- una voce allegra interruppe il suo filo dei pensieri. Iethan era entrato dalla porta principale con in mano numerosi tomi dalla copertina di pelle colorata. Teneva inoltre pergamene varie e sacchetti di diverse dimensioni in equilibrio sui libri, che sembravano schiantarsi al suolo da un momento all'altro. Cercò di posare il carico vicino al tavolo (il quale non avrebbe retto tale peso) e di mettere le pergamene ed i sacchetti sulle seggiole. In preda all'entusiasmo fece cadere qualcosa, ma non se ne curò. Guardò Alhira con un grosso sorriso, felice di vederla in piedi ed in forze.
- C-come stai? Non hai la febbre vero? Ah già, ci ho pensato tutta notte … non mi sono presentato! Sono Iethan! Il quasi-guaritore del villaggio. Mi manca poco all'esame.- sorrise ancora di più e le porse la mano, mentre i suoi occhi, che alla luce del giorno erano verde scuro e non neri, si riempivano di allegria.
Sembrava che vedere quella ragazza in piedi gli avesse cambiato la giornata; era radioso.
-Piacere.- Alhira era immobile con un'espressione apatica sul viso. Vedere Iethan così elettrizzato l'aveva sconvolta, sembrava diverso dalla sera prima. Gli strinse la mano e tornò a fissare il fuocherello che continuava ad ardere in un angolo della stanza. Il ragazzo non sembrava deluso o in qualche modo offeso dalla mancanza di reazioni, era semplicemente occupato a mettere via i libri fischiettando allegramente.
-Sai usare la magia?- Le chiese mentre collocava i sacchetti in un piccolo armadietto basso e scuro.
-No, però mi piacerebbe.- Disse con un sorriso un poco amaro, quasi come se non ne avesse più la possibilità.
-Posso insegnarti se vuoi. Oppure appena torna Gelil le chiedo se posso portarti a fare un giro, vuoi?-
-Certo.- rispose Alhira cercando di essere cortese. Era combattuta; quel ragazzo avrà avuto la sua età o qualche anno in più, l'aveva consolata quando si era fatta prendere dal panico ed ora lei si sentiva in imbarazzo ogni volta che la guardava. Forse Iethan aveva dimenticato, o non ci aveva dato tanto peso.
La porta si aprì delicatamente, senza cigolare, come se chi l'avesse aperta dall'esterno fosse un essere fatato. Una ragazzina dai capelli biondi e ricci entrò portando al braccio una cesta di vimini. Indossava un vestito di velluto verde smeraldo con ricami d'oro sul busto ed una mantellina rosso scarlatto. Si rivolse immediatamente a Iethan senza accorgersi di Alhira:
-Si è svegliata?- chiese sottovoce.
-Controlla tu stessa.- rispose lui tenendo la voce bassa e ridacchiando.
Gelil si volse ed arrossì sotto le innumerevoli lentiggini che le ricoprivano il volto diafano e delicato.
-Buongiorno cara, scusa se non ti ho vista. Pensavo stessi dormendo, non ti volevo svegliare.- le rivolse un sorriso raggiante, si diresse verso di lei e con la mano minuscola e gelida le toccò la fronte, constatando che la febbre se ne era davvero andata. Febbre significava infezione, avvelenamento, incantesimo, perciò tirò un sospiro di sollievo.
-Sono Gelil, la guaritrice. Come ti senti?- chiese con il tono di una madre premurosa verso la propria figlia.
-Meglio.-
Questa ragazzina è la guaritrice? Alhira era piuttosto colpita dalla giovinezza della maga. Come aveva studiato così tanto in così pochi anni? Magari aveva una dote naturale per le arti magiche …
-Ricordi qualcosa?- chiese la guaritrice con voce ancora più preoccupata.
-Null'altro che non sia il mio nome.- Iethan le aveva parlato? Cose le aveva detto?
-Forse se potessi vedere i miei oggetti … - Aggiunse Alhira.
-Oh, certo cara. Vieni.- La portò nella stanza nella quale aveva dormito ed aprì la cassapanca ai piedi del letto. Estrasse un corpetto di cuoio marrone con le spalline larghe e dall'aspetto vissuto, un paio di pantaloni di pelle, un tascapane, una cintura, ma quello che attirò l'attenzione della ragazza era un pugnale che riluceva tra le mani pallide di Gelil. Era piccolo e maneggevole, l'elsa era decorata da una pianta rampicante nera che si avvolgeva fino alla lama, laddove erano poste le foglie splendevano gemme brillanti come zaffiri. Il fodero era decorato con complicati disegni dorati.
Alhira fissò a lungo quell'arma considerando tutte le ipotesi. Era per difesa? A cosa le sarebbe dovuta servire? Perché l'aveva con sé? Era così ricca da poterselo permettere? Era sua? … Era una ladra? Le mancò per un attimo il respiro.
Troppe domande.
-Posso?- chiese timidamente a Gelil.
-Certo, è tua.-
Il peso, il gelo del metallo, le gemme, la lama argentea affilata come il vento tra le sue dita. Era sua.

"Tienilo con te, non lo lasciare mai. E' il suo unico ricordo, ti prego fammi questo favore, Alhira."

Le parole risuonarono come in una cattedrale nella sua testa, era una voce che conosceva, ma che non riusciva a collegare a nessuno, non compariva alcun volto nella sua mente, le voleva bene e lo sapeva. Non aveva nulla se non quelle parole.
-Tutto bene cara?- Alhira si risvegliò.
-Ora … Ora ricordo la voce di qualcuno che mi dice che questo pugnale è l'ultimo ricordo di una persona. Devo farle un favore e tenerlo con me.-
-La riconosci quella voce?-
-No, ma so di volerle bene. Forse un conoscente, un amico, un familiare …- Vedendo l'espressione affranta di Alhira, Gelil cercò di rincuorarla:
-Vedi che qualche ricordo è tornato? E' una reazione a catena, devi solo trovare l'elemento scatenante di tutto il processo. Il corpetto, la cintura, non ti ricordano niente? Prova a controllare il tascapane … -
I vestiti non le dicevano nulla, non avrebbe nemmeno detto che fossero suoi, forse quella notte era la prima volta che li metteva, forse erano in prestito. Su consiglio di Gelil aprì il tascapane. Pergamene vuote, una penna, due mele, carne secca e qualche spicciolo in un sacchettino rosso. I soldi non erano tanti, ci si poteva comprare poco più di qualche frutto ed una pagnotta. Tutto quello che vi era li dentro non era suo, non sentiva nessuno di quegli oggetti di suo possesso.
-Non sono miei. Non mi appartenevano, forse me li ha dati qualcuno. Non riesco a ricordare.- La guaritrice sospirò e cambiò argomento:
-Vuoi mangiare qualcosa? Scommetto che dopo quasi due giorni di digiuno sarai affamata.-
- D-due giorni? Sono rimasta incosciente per due giorni?-
-Iethan ti ha trovata nel bosco due notti fa. Non c'era nessuno, avevi il pugnale in mano, ed eri distesa a terra.- -Il pugnale? … Ma cosa è successo?-
-Non lo sappiamo, forse sei stata aggredita ed hai sbattuto la testa, ma non hai particolari lesioni a quanto vedo.- In quel momento Alhira non volle proseguire con le domande, un poco per non disturbare troppo Gelil, un poco perchè aveva paura delle risposte che avrebbe potuto ottenere.
-Forza cara, vieni. Sei molto pallida, non ti preoccupare, i tuoi ricordi ritorneranno presto.-

La zuppa era molto saporita, Iethan era un ottimo cuoco e la ragazzina dai capelli ricci e biondi sembrava molto più matura di quello che si aspettava Alhira. Mangiarono in silenzio, ogni tanto Gelil chiedeva a Iethan cosa era successo al villaggio, se avesse studiato, se avesse qualche domanda da farle su qualche incantesimo.
Quando le loro pance furono piene, il sole splendeva alto e caldo in cielo facendo sembrare il mare una distesa argentea. Alhira si affacciò alla finestra che dava sulla strada; l'afa ed i raggi a picco avevano fatto scappare gli abitanti nelle loro case, qualche bambino giocava spensierato nell'acqua assieme ad i suoi amici, c'era un'atmosfera di calma assoluta. Quel villaggio era splendido da come l'aveva visto dalle finestre.
-Vuoi che ti accompagni a fare un giro? Partiamo quando il sole sarà meno intenso- Chiese Iethan vedendola così assorta in quel meraviglioso paesaggio.
-Volentieri.- rispose Alhira sorridendo.

Dopo essersi fatta un bagno ed aver ricevuto da Gelil un abito rosso scuro, uscì con Iethan. Si diressero verso il bosco, Alhira voleva vedere dove era stata trovata, magari quel posto significava qualcosa. Iethan si ricordava a malapena dov'era in quanto non vi erano particolari punti di riferimento, se non alberi e rocce.
-Eccoci.- Disse con il fiatone. Erano saliti sulla montagna e camminavano da una trentina di minuti per un sentiero accennato dalla mancanza di vegetazione.
-Eri esattamente qui. Non ti dice niente questo posto?-
-No, nulla. Mi fa soltanto venire i brividi.- Disse delusa. -Andiamocene.-
-Sicura? Non ti vuoi riposare un poco?- Alhira lo ignorò e riprese la via del ritorno sapendo che la richiesta di una pausa non era per lei ma per lui, che si trascinava stanco morto lungo la discesa.
-Come si chiama questo villaggio?- chiese la ragazza mentre continuava a scendere.
-Emtia. E' un'oasi nei Territori d'Oriente. Ricordi come sono fatte le terre?-
-Sì, le ricordo alla perfezione.-
-Bene, allora se ti dico che siamo tra la penisola di Tregern e la foce del fiume Serhy sai dove ci troviamo?-
-Ma siamo circondati da foreste e montagne!- Alhira si era fermata di colpo per riflettere; era originaria del luogo? Era quella la sua casa? A meno che qualche pazzo non avesse attraversato l'intera foresta per portarla in quel minuscolo villaggio. Ma a quale scopo?
-Si, ma è stupendo non trovi?- Iethan stava indicando la linea delimitata dal mare che segnava l'orizzonte. Si vedevano in lontananza piccole isolette, molto probabilmente arcipelaghi abitati da pescatori solitari. Il sole era diventato quasi arancione e irradiava colori caldi su tutta la costa, che vista dall'alto prendeva la forma di una piccola baia. Piccole imbarcazioni rientravano nel porto, uccelli dai piumaggi variopinti planavano sull'acqua in cerca di un pasto mentre poco a poco gli abitanti cominciavano ad uscire per svolgere le ultime commissioni. La bottega del fabbro emetteva nell'atmosfera il battito del martello su una lama giovane, i bambini si chiamavano a vicenda e si rincorrevano tra i vicoli in salita, da lassù si vedeva anche la casa di Gelil.
-Sì, è stupendo.- confermò Alhira con gli occhi color ambra pieni di meraviglia.
Iethan la raggiunse e la superò saltando da una roccia piuttosto alta. Le porse la mano come per volerla aiutare e dopo qualche attimo di esitazione la ragazza accettò la cortesia.
Quel ragazzo era premuroso, solare, la sua presenza l'aiutava in qualche modo a non crogiolarsi nella disperazione dei ricordi perduti, come era successo la notte prima. Ora non si sentiva più così a disagio con lui.
-Cosa farai ora? Se i ricordi tardano a tornare, intendo.-
-Non lo so. Mi troverò un lavoro ed una sistemazione, oppure, in caso non fossi di Emtia, potrei partire ed attraversare la foresta, girare le Terre.-
-Mi sembra un'impresa ardua per una donzella come voi.- scherzò Iethan.
-Venite con me allora, mio salvatore! Potreste combattere qualche viverna selvatica!- Alhira cominciò a correre sulle stradine in discesa ed Iethan la seguì. Entrambi si ritrovarono a ridere all'unisono come due ragazzini, mentre alcuni mercanti li guardavano incuriositi.
Ad Emtia tutti conoscevano tutti, era come un'enorme famiglia. Molto difficilmente qualcuno si inoltrava nella foresta che la circondava o nel deserto della penisola di Tregern per trasferirsi altrove. Molti anziani non avevano mai visto i Territori d'Occidente, le grandi isole nei mari del sud e le enormi città della Pianura del Nord.
-Vieni!- Iethan le fece strada fino alla piazza. Era piccola, al centro vi era una fontanella animata dalla magia, qualche bancarella negli angoli ed il terreno era ricoperto da pietre irregolari dalla forma tonda, levigate da anni ed anni di vita. Era circondata da abitazioni modeste, l'entrata dava direttamente sullo spiazzo, il giardinetto era sul retro, recintato da pietre piantata a terra, che molti utilizzavano come orto in quanto i territori da coltivare era quasi impossibili da trovare nelle vicinanze; bisognava percorrere la costa per qualche ora per arrivare ai campi. C'era una strada, lastricata alla perfezione, che si dirigeva verso Sud ed era percorsa dai contadini che venivano a vendere i loro prodotti nel centro urbano che chiamavano la Via degli Zoccoli. Era un nome fantasioso dato da qualche abitante stufo di sentire il rumore che producevano asini e cavalli ferrati passando tutti i giorni.
-Ehi! Alnifer!- Iethan si sbracciò salutando un ometto basso che si aggirava tra le bancarelle del lato opposto della piazza.
-Iethan! Ragazzo!- Come soltanto una valanga riesce a farsi strada tra la gente, il tipetto gli venne incontro con le braccia levate, pronto ad abbracciarlo. Iethan era piuttosto alto, circa una spanna in più di Alhira, la quale non si poteva certo definire bassa. Alnifer, che gli arrivava a malapena al torace, abbracciò il ragazzo dandogli qualche pacca sonora sulla schiena. Aveva i capelli grigi, quasi bianchi, un grosso naso a patata e portava un buffo paio di occhiali dalle lenti circolari. Indossava una casacca e delle brache marroni sostenute da un paio di bretelle.
-Chi è questa bella fanciulla?- Chiese Alnifer guardando Alhira e facendo un breve inchino che la fece arrossire.
-Lei è Alhira. Una mia … amica.-
-Non vi ho mai visto qui, da dove venite?- chiese alla ragazza con tono curioso.
Alhira, presa alla sprovvista tentò di formulare una risposta, ma Iethan la interruppe:
-Viene da un villaggio vicino al confine con le Pianure del Nord, è arrivata qui qualche giorno fa. E tu cosa mi racconti Alni?- rispose cercando di cambiare argomento.
-Ah, sono riuscito a recuperare le erbe che mi avevi chiesto, vieni. Avevo già chiuso il negozio, ma per te ragazzo riapro volentieri!-
Arrivarono ad una casetta come le altre ma con una porta più grande e tende ripiegate vicino all'ingresso. Alnifer fece scattare la serratura ed entrò.
-Prego venite.- Il locale era angusto e buio, l'aria era carica di odori. Sul soffitto erano appesi mazzetti secchi di erbe varie, lungo le pareti vi erano piccole mensole ed armadietti. Sembrava la casa di Gelil. Boccette piene di liquidi colorati, libri, amuleti splendenti, piante. Mentre i due uomini effettuavano lo scambio, Alhira osservò la merce esposta, ma la sua attenzione fu attirata da un medaglione d'orato con incastonata una pietra bianca dai riflessi rosa. Quando vi si avvicinò il colore della pietra divenne nero all'improvviso. Alhira balzò all'indietro.
-Non vi preoccupate, quella pietra cambia colore a seconda dello stato psicologico di chi si avvicina.- Quando vide il colore che il medaglione aveva assunto aggiunse: -E' normale essere confusi, sapete? Non dovete esserne spaventata.- Quindi la pietra aveva percepito che Alhira aveva poco più di qualche ricordo … si chiese a cosa corrispondessero gli altri colori.
Iethan aveva terminato le spese e si era avvicinato alla ragazza per osservare l'amuleto. La pietra diventò verde brillante ed Alnifer ridacchiò.
-Iethan, tu hai sempre tutto sotto controllo, vero?-

I ragazzi si congedarono e ritornarono nella piazza, dove le luci del tramonto inoltrato dipingevano ogni cosa d'arancio.
-Ora dobbiamo tornare da Gelil, ma se non sarai stanca potremmo venire a divertirci un poco questa sera … -
-Ne sarei felice, Iethan.- Rispose Alhira, felice, solare, anche se confusa, da un pomeriggio così ricco di esperienze.

Gelil era impegnata nella lettura di un libro dai caratteri piccoli ed incomprensibili.
-Bentornati. Come è stato, cara?-
-Mi piace qui. E' un bel posto.-
-Ne sono felice, ed ho anche buone notizie! Ho trovato un incantesimo che potrebbe aiutarti a recuperare la memoria, proveremo ad applicartelo domani mattina.-
- D-davvero? E' magnifico!- Gli occhi di Alhira si illuminarono di speranza.
-Non sappiamo se avrà effetti, ma tentar non nuoce.-
Cenarono con poco, ma si saziarono. Alhira parlò a Gelil di quanto quel villaggio l'affascinasse, dei paesaggi, delle stradine, dei negozietti. Le raccontò del medaglione, e scoprì che Alnifer era un lontano parente di Iethan, anche se nell'aspetto fisico erano uno l'opposto dell'altro. Gelil era impegnata a studiare per l'incantesimo che avrebbe dovuto affrontare l'indomani. Anche Iethan doveva collaborare, ma senza avere un ruolo principale; il suo compito sarebbe stato offrire energia. Dicevano che non era una magia semplice e che richiedeva forza.
Il cielo era di un blu intenso, tra la notte ed il tramonto, le nuvole erano stracci dorati illuminati da un sole ormai scomparso dietro al mare. Si udiva il suono di percussioni e tamburelli provenire dal centro.
I due ragazzi ottennero il permesso di unirsi alle celebrazioni a patto di rientrare al loro termine.
Uscirono, entrambi impazienti di assistere allo spettacolo. Attorno alla fontana ardevano delle fiamme che creavano un cerchio attorno ad essa, altre lanterne erano state accese e disposte davanti alle entrate delle abitazioni, mantenendo però una certa distanza dalle costruzioni. Uomini e donne erano disposti lungo il perimetro della piazza, lasciata libera in attesa del mago. Qualcuno suonava per intrattenere la folla, qualcuno ne approfittava per vendere qualche prelibatezza. -E' così tutte le sere?- chiese Alhira.
-No, non sempre, soltanto d'estate, quando c'è il plenilunio o la luna nuova … ci ritroviamo in piazza per tre sere consecutive. Non ci annoiamo mai! Ieri sera, prima che tu ti svegliassi, erano state accese centinaia di piccole lanterne colorate, avresti dovuto vederle … sembrava che le stelle fossero scese per un attimo in terra. Ma stasera Laglor, il mago, ci ha promesso uno spettacolo di magia! - rispose elettrizzato.
Le percussioni cessarono e le fiamme si abbassarono. Un uomo vestito completamente di nero entrò a passi lenti, teneva le braccia lungo i fianchi ed i palmi rivolti alle fiamme. Si arrestò a qualche trabucco di distanza dal fuoco e chiuse gli occhi.
Lo spettacolo stava per iniziare.
Per un attimo fu buio.
Da dove prima si liberava un bagliore caldo, ora raggi luminosi illuminavano i volti degli spettatori stupiti. Un'esplosione di colori, tentacoli sinuosi di luce di diramarono nella piazza lanciando scintille rosa, gialle, rosse, azzurre. Poco a poco cominciarono ad intrecciarsi, come radici di un vecchio albero. Si unirono tra di loro attorcigliandosi, e nacque così un tronco. Si innalzò, possente, sempre più su. La colonna di filamenti luminosi sembrò arrestarsi. Ad incredibile velocità vennero a formarsi i rami, prima più grossi e robusti, poi sempre più sottili, delicati, sembravano voler toccare il cielo.
Il mago creò infine le foglie; gocce di cristallo che riflettevano la meraviglia di quell'illusione. I bambini allungavano le mani verso il cielo, gli adulti, silenziosi guardavano quell'infinità di colori pulsare di luce. Alhira era senza fiato, incantata.
Il mago si guardò attorno, forse in cerca di qualcuno. Posò lo sguardo su Iethan e gli sorrise facendogli segno di avvicinarsi. Il ragazzo, intimidito dalla folla si fece avanti e stette ad ascoltare le indicazioni che l'uomo gli sussurrava, ed alla fine annuì. Alzò le mani verso l'alto e si concentrò. Uccelli che brillavano d'oro e d'argento scesero dalle fronde dell'albero, volando sopra la folla. Alcuni si posarono sulle spalle degli spettatori, altri lasciavano scie di polvere argentea che si dissolveva poco prima di giungere al suolo. Iethan guardò Alhira e le chiese di venire. Lei cercò di rifiutare, ma qualche ragazza la spinse avanti, desiderando di essere al suo posto. Leggermente rossa in volto, lo raggiunse. Iethan abbassò le mani e le migliaia di foglie di cristallo si staccarono. Caddero dolci e lente; guardandole dal basso parevano gocce di pioggia contenenti un arcobaleno. Arrivate quasi a metà della loro caduta, vennero sospinte da una corrente d'aria che le trasportò prima sopra gli spettatori, e poi attorno ad Alhira. L'aria si fece sempre più forte, le foglie vorticavano attorno a lei scompigliandole i capelli. Sempre più vicine, finché non la toccarono.
Una sensazione di freschezza la pervase mentre i cristalli si illuminavano di luce azzurra a contatto con la sua pelle e scomparivano, polverizzandosi nell'aria. La ragazza si guardava strabiliata; l'abito rosso che la aveva dato Gelil ora riluceva di un bagliore azzurro, la stoffa era diventata blu, costellata da piccole gemme, simili alle foglie dell'albero. Il mago osservava divertito Alhira, Iethan si concentrò sull'albero. Quando anche l'ultima foglia si polverizzò, il vento cessò ed Alhira rimase un attimo immobile per riprendersi dall'emozione. La ragazza che l'aveva spinta avanti ora la guardava con un sorriso sognante negli occhi.
L'attenzione di tutti si focalizzò nuovamente sull'albero, che cominciava a dissolversi in piccole sfere luminescenti. Poco a poco la struttura si assottigliava, i rami si accorciavano, le radici si ritraevano. Pochi istanti e dove prima troneggiava una pianta maestosa e possente, ora vi era un'infinità di luci.
Il mago alzò un braccio ed assieme ad esso anche quelle piccole stelle si alzarono verso la luna, piena ed insignificante davanti al tali magie.
L'uomo strinse il pugno in un unico scatto e le sfere esplosero in fiamme calde, lanterne in cielo. Il fuoco cominciò a cadere pigro, non era caldo. Era freddo, come l'aria invernale, come la brezza mattutina. La notte era di nuovo tramonto, illuminata dalle numerose luci rosse ed arancio, le ombre tremavano, i respiri erano sospesi.
Le fiammelle si avvicinavano sempre più, Alhira, bloccata a guardare in alto, era rimasta accanto ad Iethan e Laglor. Sentiva che quella era la prima volta, la prima volta in cui i suoi occhi assistevano a qualcosa di tanto straordinario, la prima volta ad essere accarezzata dalla magia con tanta delicatezza. Fissava il fuoco tremante scendere verso di lei. Lo vedeva avvicinarsi, sempre di più, sempre più giù.

-Alhira! Corri!- grida la voce. L'aria mi manca, sento gli occhi bruciare ed un caldo insopportabile invade l'aria. Una trave infuocata mi cade di fianco ma riesco a schivarla. Non aspetto oltre, le mie gambe sono veloci, scattanti, corrono cercando un'uscita. L'ambiente è irriconoscibile. Voglio bene a quelle stanze, ai mobili che vi sono dentro e che ora stanno bruciando come paglia, voglio bene alle scale sulle quali ho giocato quando ero piccola, alle tende così colorate, ai miei libri. La voce è scomparsa, non c'è più. Fuoco. Fuoco ovunque. Fumo. L'aria è irrespirabile. Devo uscire. Dove sono ora? Non ce la faccio, non riesco a muovermi, inizio a tossire con violenza, i muscoli non mi rispondono. I polmoni richiedono aria. Devo uscire. Ora.

Le orecchie cominciarono a fischiare, il respiro era sempre più veloce, il cuore le batteva a mille. La visione. Ricordi, troppo intensi. L'avevano travolta come un'onda, l'avevano trascinata via per qualche istante. Ora non sentiva più nulla. Tra le fiammelle che toccavano il suolo e si dissolvevano, Alhira iniziò a correre. Si fece spazio tra la folla, e come inseguita da un incubo scappò via. Le strade erano buie, illuminate appena dalla luna e da qualche lanterna posta vicino a qualche entrata. Le stradine erano deserte, tutti erano in piazza. Non aveva sentito Iethan chiamarla, né riusciva a percepirne la presenza che la rincorreva. Si fermò quando ormai era lontana, il cuore batteva talmente veloce che le pulsazioni si confondevano, i suoni erano ancora ovattati, la fronte imperlata di sudore.
Si voltò indietro e vide Iethan che la stava raggiungendo preoccupato. Alhira non se ne curò e girò verso sinistra. Scese dalla strada e fu sulla spiaggia, si tolse le scarpe e camminò fino all'acqua, sulla sabbia fine e fredda, bianca come neve. L'onda le avvolse la caviglie, si alzò leggermente il vestito per non rovinarlo e si lasciò calmare dal moto perpetuo del mare, nero e misterioso.





Ecco il secondo capitolo, l'ho scritto nei buchi di tempo che avevo, spero possa piacere anche se la mia scrittura lascia molto a desiderare xD Grazie ed alla prossima =D

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Capitolo 3
*** Sangue ***






Sangue.





La vide in piedi, ferma e immobile. Lì, sulla spiaggia, il vestito blu e scintillante che si animava al vento, rivolta verso il mare. Iethan non capiva perché se ne fosse andata così all'improvviso, nel mezzo di uno spettacolo mozzafiato. Forse si era spaventata … o forse aveva ricordato qualcosa.
Avevo corso per raggiungerla ed ora aveva il respiro affannato, aspettò qualche secondo per riprendersi. Quando ebbe recuperato aria, le si avvicinò, con cautela. Si arrestò ad un braccio da lei e la guardò. Quei suoi occhi grandi e ambrati erano fissi verso l'orizzonte, una linea invisibile dietro alla quale le stelle smettevano di brillare.
-Tutto bene?- le chiese a voce bassa, come per non rompere quel silenzio, per non coglierla di sorpresa, per non interrompere il filo dei suoi pensieri.
Alhira staccò lo sguardo dalle onde e guardò la luna, alta in cielo.
-Ho avuto un flashback.- disse con voce ferma. -Un incendio.-
Iethan capì cosa lo aveva scatenato, ed in qualche modo si sentì responsabile.
-Iethan, mi è successo qualcosa prima di svegliarmi qui. Non so cosa, ma … - le parole le si bloccarono in gola. -La mia casa stava bruciando, non la ricordo bene, ma l'ho riconosciuta tra le fiamme. Io non so se ho familiari, non so se sono vivi, dove vivono. Non so se mi stanno cercando o se sono stati loro a lasciarmi. Ma la mia casa stava bruciando. Io ero lì, tra i pezzi che cadevano e l'aria che diventava irrespirabile.-
Il ragazzo la lasciò parlare, ascoltando ogni sua parola, chiedendosi cosa avrebbe potuto fare per lei.
-C'era una voce. Sempre la stessa voce che mi urlava di correre, di uscire da quell'inferno. Io la conosco, ma non so di chi sia. Come si possono dimenticare le persone a cui si vuole bene? Perché ricordo come è fatto questo mondo, ogni isola, fiume o vetta, ma non ho nessuna immagine di una voce, della mia infanzia?- fece una pausa e sospirò.
-Scusa se me ne sono andata così. Lo spettacolo era meraviglioso, davvero. Tu e Laglor stavate creando meraviglie dal nulla ed io …-
-Alhira. Non te ne devi preoccupare. L'importante è che tu stia bene, lo spettacolo viene dopo.- Lei fece qualche passo indietro per uscire dall'acqua e si sedette sulla sabbia, con le ginocchia strette al petto. Iethan fece lo stesso e rivolse lo sguardo alle stelle.
-Sai, io non ho mai conosciuto mia madre. E' morta quando la nave che la stava trasportando verso gli arcipelaghi è affondata. Era inverno, le temperature troppo basse, la costa troppo lontana. Non trovarono il suo corpo.
Sono cresciuto con mio padre. Lui non ha mai voluto un figlio, non ha mai voluto un ragazzo come me. Non mi considerava, non mi insegnava nulla. Fino a dieci anni ho vissuto come se non avessi famiglia; al mattino andavo dal saggio del villaggio per imparare, tornavo a casa e trovavo mio padre, spesso ubriaco. Al pomeriggio andavo a fare dei lavoretti qua e là, spazzavo, lucidavo le finestre, aiutavo nei negozietti. Alnifer mi dava sempre qualche moneta per pulire gli scaffali dalla polvere, Gelil mi ricompensava dandomi cinque o sei monete oppure con piccole magie, che al tempo erano oro per i miei occhi.
Quando mio padre si accorse che … beh, che non ero il ragazzo che i padri si aspettano, mi volle cacciare di casa. Non sapevo lavorare la terra, non sapevo combattere, non ero forzuto. Amavo però leggere, mi piaceva aiutare le persone, la natura mi affascinava e Gelil mi aveva proposto più volte di insegnarmi ciò che dovevo sapere sulle arti curative e sulla magia. Sarebbe stato un lavoro, sarei riuscito a vivere, a staccarmi da lui.- Iethan si fermò e guardò Alhira dritta negli occhi.
-Purtroppo si ammalò. Gelil disse che era incurabile, che non avrebbe potuto far nulla se non alleviare le sue sofferenze.
Fu una lunga agonia. Lui mi rifiutava, non mi voleva vedere, diceva che ero sempre stato una delusione e che in quel momento rappresentavo il suo più grande fallimento. Gelil mi ripeteva che era la malattia a parlare, ma sapevo che non era così. Malattia o non, quello è sempre stato ciò che mio padre ha pensato di me.
"Vattene" mi disse. Quelle furono le sue ultime sillabe prima di spirare. Non … non riesco a dimenticare il disprezzo della sua voce, lo sguardo fisso altrove, come se guardarmi avrebbe potuto procurargli altre sofferenze.
Da allora vivo con Gelil, studio magia, la aiuto nel suo lavoro. Molte volte viaggiamo verso le isolette al largo, altre dobbiamo incantare oggetti per i mercanti. Gelil da allora, da otto anni fa,è la mia unica famiglia.-
-Mi dispiace, Iethan.- disse Alhira turbata dalla storia del ragazzo. Faceva fatica ad immaginare come potesse essere passare un'infanzia simile. Lei non ricordava la propria, non sapeva né dove, né con chi era cresciuta. -Oh non ti preoccupare, Gelil è stata un'ottima tutrice.- le disse sorridendo.
Una domanda le sorse spontanea: dopotutto i calcoli non mentivano. Quanti anni doveva avere allora Gelil perché potesse prendersi cura di Iethan? Se in quel momento non ne aveva più di sedici, come aveva fatto? Era sicuramente più giovane di lui.
-Posso chiederti una curiosità?-
-Certo, dimmi pure.-
-Quanti anni ha Gelil?-
Iethan rise.
-Ho dimenticato di dirti che Gelil è leggermente più vecchia di quel che vuol sembrare. Lei ha trentacinque anni, ma preferisce apparire come una ragazzina perciò beve delle pozioni particolari che la fanno ringiovanire per qualche mese. Credo di averla vista soltanto qualche volta nel corpo della sua età; ti posso dire che non cambia il proprio aspetto per vanità. E' una donna affascinante, non avrebbe motivo di voler essere un'adolescente per apparire più bella. In ogni caso, non ho ancora capito il perché …-
In fondo non fu una sorpresa per Alhira, in qualche modo l'aveva sempre sospettato che una ragazzina talmente giovane non potesse avere così tante conoscenze.
-Questo spiega tante cose. - rispose. Alhira aveva bisogno di parlare, voleva dimenticare fiamme e fumo, per quella sera ne aveva avuto abbastanza.
-Quanto ti manca all'esame per diventare guaritore?- chiese a Iethan.
-Poco, qualche incantesimo, la preparazione di alcuni composti. Le ultime gocce di tutti questi anni di studio … Beh, non diventerò un vero guaritore come Gelil, dovrò far pratica per un paio d'anni, dare altri esami, ma questo è il primo e vero traguardo importante che raggiungo.-
-Come funzionano gli esami di magia?-
-C'è una commissione formata da quattro maghi, un esperto specializzato nell'esaminare i giovani, ed il maestro, il quale però non può influenzare il verdetto finale. Di solito chiedono di eseguire gli incantesimi di base, quali sono le procedure e gli ingredienti dei composti curativi, quesiti sull'anatomia delle popolazioni presenti nei Territori conosciuti; bisogna saper curare un umano come bisogna saper curare una Cecaelia, si deve sapere la fisionomia ed il funzionamento dell'organismo di ciascuna specie, è fondamentale per poter sapere quali magie applicare.-
- Deve esserci molto materiale da studiare … - disse pensando all'enorme quantità di informazioni che Iethan doveva aver appreso in tanti anni. -Cosa è una cecaelia?-
-E' un essere che ha la parte superiore del corpo molto simile a quella umana, mentre la parte inferiore è composta da lunghi tentacoli, come quelli di una piovra. Vivono soprattutto nei mari del Sud e non sopravvivrebbero fuori dall'acqua.-
-Deve essere bellissimo vivere sott'acqua.- disse Alhira fissando il mare.
-Esiste una pozione che ti permette di respirare sott'acqua, ma è molto complicata da preparare. Servono ingredienti rari, tanto tempo e pazienza. Una volta Gelil l'ha preparata per il mio undicesimo compleanno, sono rimasto sui fondali della baia per un giorno intero. Non ho avuto il coraggio di allontanarmi fino alle isolette.- rimase in silenzio; un pensiero doveva averlo interrotto bruscamente.
Alhira sapeva perché non aveva voluto andare al largo, perciò cambiò discorso:
-Hai mai volato? Esiste un incantesimo anche per quello?-
-Si, c'è un incantesimo che ti permette di levitare a qualche braccio da terra. Nulla di più, volare come un falco è il sogno di quasi tutti gli esseri condannati a passare la loro vita con i piedi a terra, se esistesse qualcosa del genere molto probabilmente passerei le mie giornate immerso nelle nuvole. Tornerei a terra solo per dormire e avrei già visitato tutto questo mondo e le terre sconosciute, sarebbe meraviglioso. Nulla a che fare con il volare su un drago. Io odio i draghi; sono solo grandi rettili alati con l'intelligenza di un gallo. Non hanno un bell'aspetto, le loro stalle sono sempre impregnate di un odore nauseante e sono ricoperti da una corazza dura e ruvida. Piuttosto che salire su un drago un'altra volta preferirei fare tutto il viaggio a piedi. Ricordi vero come sono fatti i draghi?-
-Certo, e li trovo molto affascinanti- disse Alhira. -I loro occhi sono stupendi e la leggerezza con cui si librano in aria è qualsi ultraterrena.-
-Beh, se mai dovrai viaggiare con me, non sarà a cavallo di un bestione del genere!- Iethan rise.

All'improvviso la notte sembrò più buia. Le esibizioni nella piazza si erano concluse e le lanterne erano state spente su tutte le strade, lasciando il villaggio buio e silenzioso.
-Forse è meglio tornare a casa, Gelil si starà preoccupando …- disse Iethan prima di alzarsi e scrollarsi di dosso la sabbia. Aiutò Alhira, e nell'oscurità ritornarono a casa.



Quella notte sognò. Incubi e scene meravigliose, luci e fiamme, paura e stupore. Quando si svegliò, poco dopo l'alba, non li volle ricordare, voleva soltanto cominciare una nuova giornata alla ricerca di se stessa. Era mattino presto; il sole era ancora basso e grande, luminoso ma freddo. Sentiva passi nell'altra stanza, forse Gelil e Iethan erano già svegli. Decise di vestirsi e di uscire dalla camera per vedere cosa stavano facendo. -Vi prego fate presto, non so quanto potrà resistere … - la voce che parlò le era estranea. Era una donna con il viso rigato di lacrime, tra le mani teneva stretto un fazzoletto azzurro, portava una casacca bianca, una larga gonna marrone ed un grembiule sporco di rosso.
Sangue.
Iethan e Gelil si muovevano rapidi prendendo boccette, erbe e libri e mettendoli in una sacca.
-Alhira, devi rimanere qui finché non saremo di ritorno. Dobbiamo aiutare un uomo ferito, si trova nella zona agricola, è piuttosto distante ma cercheremo di ritornare il prima possibile.- disse Gelil con voce ferma mentre si muoveva da una parte all'altra della stanza in cerca di un mazzetto di foglie.
-Certo.-
-Bene, il cibo è nella dispensa. Fa attenzione e non uscire.-
-A dopo!- le urlò Iethan uscendo assieme alla donna.
Alhira ricambiò il saluto e fu sola nella piccola casetta.
Grandioso, non posso uscire, però qui è pieno di libri …
Fece un giro scorrendo con lo sguardo tutti i titoli. La maggior parte di essi era in una lingua a lei sconosciuta, molti parlavano di pozioni ed incantesimi avanzati. Scorse poi un libretto dalla copertina rossa e consumata, le pagine gialle e leggermente scolorite. Una calligrafia quasi infantile sulla copertina aveva scritto un nome: "Iethan". Alhira sorrise e lo aprì. Nella prima metà aveva erano appuntate note varie sulla magia, poi aveva iniziato a scrivere caratteri a lei sconosciuti, li aveva ripetuti per pagine per imparare a tracciarli correttamente. Infine Alhira trovò i primi incantesimi, cose alquanto banali; sollevare un oggetto, creare un punto luminoso, accendere un fuoco. Piccoli scarabocchi indicavano come porre le mani, come concentrarsi, altri erano soltanto frutto della sua fantasia. Sull'ultima pagina, in piccolo ed in un angolo, vi era scritto "Il mio primo quaderno di magia" e di fianco c'era una macchia d'inchiostro che dall'ultima lettera si era propagata per una buona parte del foglio. Doveva essere uno dei ricordi più preziosi di Iethan, pensò. Lo ripose sulla mensola dove lo aveva trovato e si mise in cerca di un foglio, inchiostro ed una penna. Non ci mise tanto, erano vicino ad una raccolta di pergamene arrotolate da nastri colorati e riposte ordinatamente dentro una sacca. Aprì la boccetta e vi immerse la punta di una piuma blu dai riflessi verdi. Prese il pezzo di pergamena, bruciacchiato da un lato e strappato dall'altro, e cominciò a tracciare una linea. Doveva ricordare come controllare il tratto, come regolare la pressione della mano. Sapeva che aveva imparato a scrivere ed a leggere fin da piccola. Prese presto confidenza, così scrisse il proprio nome. Le lettere erano inclinate verso sinistra, strette e delicate. Contemplò per una attimo la propria calligrafia e riprese a muovere la punta della penna disegnando linee prive di significato lasciandosi trasportare dalla piacevole sensazione che le dava quel suono. Continuò a scarabocchiare parole sconnesse soltanto per vedersi scrivere, disegnò fiori e foglie lungo i margini del foglio mentre fuori il sole saliva sempre più in alto.
Presto le venne fame, così cercò qualcosa da mettere sotto i denti, nella dispensa, dove le aveva detto Gelil. Nel pomeriggio riprese ad osservare i libri, a sfogliarli con una delicatezza esagerata, quasi come se le pagine fossero di polvere. Navigò con la mente tra "I miti dei Centauri" e "Le Storie dell'Est"; due tra i pochi libri di narrativa che trovò. Imparò i nomi delle piante che si trovavano nei dintorni, leggeva divertita i commenti ironici scritti vicino al testo su cui aveva studiato Iethan. Il sole continuava il proprio cammino, cocente e luminoso.
Cominciava ad annoiarsi, ogni tanto si sporgeva sulla finestra che dava sulla strada, respirava un poco d'aria marina, disegnava, leggeva.
L'aria si fece sempre più umida mentre un grigiore si impadroniva poco a poco del cielo. Nuvole scure avanzavano lente sospinte dalla brezza di mare, andavano ad oscurare il sole, a spegnere l'azzurro e ad inghiottire luce. La brezza diventò vento, foglie volavano sospinte dall'aria, la spiaggia era oscurata da una nuvola di sabbia, le vele delle navi di ritorno si gonfiavano a dismisura. Alhira fu costretta a chiudere le finestre per evitare che una raffica facesse cadere fogli e pergamene varie. Rimase ad osservare il tempo peggiorare. In qualche strano modo le piaceva. Si sentiva piena di energie quando l'aria spingeva con forza, l'odore di pioggia la eccitava.
Quando un tuono squarciò il silenzio di Emtia, un brivido le corse lungo le braccia, la schiena, fino ad arrivare al collo. Un lampo illuminò la stanza per un istante. Non poté resistere. Tornò nella camera da letto e aprì la finestra. Lì non vi era nulla che il vento potesse scompigliare, così chiuse la porta dietro le sue spalle e rimase a sentire il temporale farsi avanti. Dapprima piccole ed innocue, poi sempre più grandi ed aggressive, gocce di pioggia cominciarono a cadere. Creavano piccoli cerchi scuri sulla terra, animavano, assieme al vento, le fronde degli alberi.
Non durò a lungo. Qualche tuono assordante, qualche minuto di acquazzone, poi tutto cessò così come era arrivato, quasi all'improvviso, lasciando nell'aria la freschezza dell'acqua.
Lasciò la finestra aperta e prese in mano il pugnale per osservarlo; non sapeva cos'altro fare. Era freddo, il metallo le trasmise un brivido. Le gemme brillavano alla luce bianca del tardo pomeriggio, che poco a poco prendeva una tonalità sempre più calda.
All'improvviso, secchi colpi sulla porta ruppero la perfezione del silenzio, ed Alhira, convinta che fossero Gelil e Iethan, si precipitò all'entrata. Aprì senza nemmeno controllare chi fosse, con un sorriso in volto. Non disse nulla. Il sorriso si trasformò in perplessità e poi in disagio. Sulla soglia della porta non vi erano Gelil o Iethan, ma un uomo alto e di bell'aspetto. Indossava una tunica lunga e nera, bordata di blu e decorata con ricami sulle spalle. I capelli erano castani, gli occhi azzurri come il cielo in una giornata serena. Sul viso dell'estraneo si disegnò, tra un accenno di barba, un sorriso.
-Salve.- Disse sorpreso, e squadrò Alhira, come un raro vaso antico al mercato.
- S-salve, adesso la guaritrice non è qui … se volete potete tornare domani mattina.- la sua vocina era flebile, forse intimorita dalla figura davanti a lei.
-Ah. Ero venuto soltanto perché Gelil mi doveva consegnare alcune erbe da porre nella lozione curativa.- la continuò a guardare, mettendola sempre più in imbarazzo.
-Però so come sono fatte, forse le ha già preparate. Di solito le lascia in un sacchetto bianco legato con un nastro rosso. Potete controllare che non le abbia lasciate da qualche parte?- aggiunse.
C'era qualcosa di sbagliato in quell'uomo, le cominciava a dare sui nervi, per come la guardava, per il tono della sua voce, per la sua vicinanza.
-Attendete qui, controllo.- imprudentemente lasciò la porta socchiusa, ma dopotutto non sarebbe stato educato chiudergliela in faccia. Si diresse verso le pergamene per controllare, poi cercò tra le boccette, tra i libri. Un cigolio di un'asse dietro di lei la vece voltare di scatto.
Non fece in tempo a respirare. La mano forzuta dell'uomo le stringeva un polso, così diafano e fragile. L'altra la teneva per una spalla. La spinse al muro facendole sbattere la testa.
Lui avvicinò il volto a quello della ragazza, ad appena una spanna di distanza.
Il cuore di Alhira batteva come un tamburo impazzito, sempre più veloce. Aveva paura. Respirava a fatica. Gli occhi, spalancati e terrorizzati erano fissi in quelli dell'estraneo. Tutto era sbagliato. Non c'era nulla di minimamente romantico, era soltanto il desiderio di un uomo. La presa era ferrea, la bloccava alla parete, non le permetteva di muoversi.
L'estraneo sorrise maligno e si avvicinò sempre di più.
-Lasciami.- cercò di dire Alhira con la voce rotta dalla paura.
-Avete degli occhi meravigliosi, non ve l'ha mai detto nessuno?- le sue labbra le sfiorarono il collo.
-Lasciami!-
In risposta ottenne una risata.
Come aveva potuto agire così ingenuamente? Perché si era fidata?
-Siete un angelo dalla chioma d'ebano, come potete sprecare tale bellezza in un villaggio del genere?- Disprezzo. Odio. Ribrezzo. Non poteva provare altro nei confronti di un uomo del genere.
Urlare sarebbe stato sciocco; non sapeva fino a che punto poteva spingersi, utilizzando tutte le sue forze non sarebbe riuscita a sfuggire dalle sue mani. Indagò la stanza con lo sguardo; la porta era aperta, ma nessuno era fuori casa dopo il temporale, non c'era nulla che la potesse aiutare, se non … Il pugnale! lo aveva lasciato sulla mensola che ora le era di fianco senza badarci. Doveva soltanto farlo andare via, allontanarlo da quella casa.
Il pugnale.
Un meccanismo, vecchio, logoro, esperto, scattò in lei. Il cervello ricordò come si agiva, i muscoli le risposero, i pensieri si schiarirono e la calma prese il sopravvento. Sembrava aver ritrovato l'istinto, lo stesso istinto che insegna come cacciare ad un felino.
Con la mano liberà afferrò l'arma e la puntò all'addome del suo aggressore. Lui non ebbe il tempo di formulare alcun pensiero; con un movimento complicato delle braccia, la ragazza ribaltò la situazione. L'uomo contro il muro e lei che lo minacciava. Lui la spinse via con forza, ma la forza non poteva nulla contro l'agilità. Cercò di afferrarle la mano che teneva il pugnale, ma lei gli sorrise e schivò ogni suo movimento. I muscoli reagivano scattanti, i tendini si tiravano, l'adrenalina era alta, ma era la calma che aveva il controllo. Sapeva muoversi come un'ombra, riusciva a sgusciare ovunque, le sue mosse fendevano l'aria in totale silenzio, mentre l'estraneo era stupefatto da una ragazzina così veloce.
Prendendolo di sorpresa, Alhira lo sbatté contro la parete a fianco della porta e gli puntò la lama gelida e scintillante alla gola. Dimenticò qual'era il suo scopo, non le importava più. Sentiva di essere tornata, nuovo sangue scorreva nelle sue vene; il suo vecchio sangue. L'aria che inspirava ora era diversa, ora i suoi polmoni erano diversi, tutto il suo corpo era cambiato. Aveva ritrovato l'abilità perduta, si era lasciata trasportare, era riuscita a trovare la strada. Vedeva con occhi nuovi. Quello davanti a sé non era un aggressore, ma soltanto un patetico umano. Le faceva quasi pena, con quei suoi che occhi la guardavano imploranti, la fronte imperlata di sudore, le narici che si dilatavano al suo respiro pesante e la vena che pulsava forte sotto la pelle del collo, esattamente dove era appoggiata la lama.
-Fermatevi! Vi prego!-
-Prima tu ti saresti fermato?- gli chiese inclinando la testa di lato, sentendosi potente come di fronte ad una preda.
L'uomo non rispose e rimase immobile contro la parete. Avrà avuto poco più di trent'anni e forse conosceva davvero Gelil, forse era stato soltanto un suo attimo di pazzia.
Alhira attese, la testa inclinata di lato, gli occhi socchiusi. Un felino a caccia, una predatrice.
-Lasciatemi e sarà come se nulla fosse successo.- Quelle parole la irritarono. Come poteva credere che l'avrebbe dimenticato, che avrebbe continuato a sfogliare annoiata libri dopo che qualcuno aveva tentato di aggredirla?
-Certo. E magari dirò a Gelil che un suo fidato cliente è venuto a chiedere cortesemente delle erbe per poi andarsene, senza fermarsi. Senza sbattere contro al muro nessuno, senza immobilizzarlo o toccarlo.-
-Non … -
-Non dire altro. Peggiori le cose. - la sua voce era ferma, decisa. Quello era un ordine.
Per un attimo ci fu silenzio.
Improvvisamente l'uomo tentò di far da parte Alhira per liberarsi. La spinse con un braccio mentre la lama disegnava una linea rossa sul suo collo. La ragazza si spostò di poco per ritornare dove era prima, il pugnale ancora contro la gola dell'aggressore diventato preda. Presto la mano della ragazza divenne rossa di sangue.
Sgorgava lento dalla ferita, colorando di porpora l'argento della lama fino ad arrivare alle gemme ed all'elsa. Non aveva danneggiato la carotide, ma il taglio era comunque abbastanza profondo.
Alhira posò lo sguardo sul collo dell'uomo ed abbassò l'arma. Senza alcuna emozione sul viso si allontanò di qualche passo indietro e rimase a fissare gli occhi della sua vittima. Sangue.
Lo guardò accasciarsi lentamente, scivolando lungo la parete. Respirava velocemente e si teneva una mano alla gola. Sangue.
Alhira non sentiva nulla. I suoni erano scomparsi, il mondo era silenzioso, sfocato, roteava vorticosamente attorno a lei, ma non riusciva a sentirlo. Non sentiva il vento che ogni tanto entrava dalla porta aperta, non sentiva i raggi del sole che timidi si facevano strada tra le nuvole. Sangue.
La mano con cui impugnava la lama era calda, stringeva sull'elsa convulsamente. Lenta, la alzò. Sangue.
Le dita si intorpidirono, il polso si indebolì. Cominciò a tremare mentre negli occhi si faceva strada il terrore. Tremava, come una foglia al vento, si guardava la mano ricoperta di sangue.
Il pugnale cadde a terra senza provocare rumore. Non sentiva nemmeno più il suo cuore. Sangue.
Un'ombra comparve sulla soglia ma Alhira non seppe riconoscerla.
Urlò il suo nome che riecheggiò nella sua testa come un'eco lontana.
Fu di nuovo una ragazzina senza passato, vittima e non predatrice, debole e spaventata.



Cosa ho fatto?
Nero la investì, e la trascinò con sé nell'incoscienza.










Maniaco! Haha lol, no, davvero, adesso ci voglio mettere un po' di azione e far succedere qualcosa. Vi prego, criticate, ditemi tutto quello che non vi piace, quello che vi piace, quello che trovate infinitamente stupido o che magari cambiereste :D Grazie ed alla prossima ^^

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Capitolo 4
*** Lasciami. ***






Lasciami.




Aprì gli occhi di scatto. Un odore acre le aveva invaso le narici all'improvviso, svegliandola dal sonno. Non erano passati neanche dieci minuti. Gelil stava cercando di curare l'uomo mentre Alhira era stata portata da Iethan sul suo letto. Il composto che le aveva fatto annusare il ragazzo le fece venire la nausea, non sapeva cos'era, ma se il suo scopo era risvegliare i dormienti, funzionava meravigliosamente.
-Alhira.- ricordava quando per la prima volta lo aveva sentito parlare, le sue parole avevano un tono dolce, delicato. Ora era freddo, di pietra.
-Alhira, cosa è successo?- Non era preoccupato, era arrabbiato. Le si asciugò la gola quando si rese conto di ciò che aveva fatto.
-E' vivo?-
-Per ora si. Alhira cosa hai fatto?-
-Io … non lo so … E' entrato e mi ha spinta contro il muro. Mi teneva ferma. Era vicino. Io … io … -
-Non capisco. Parla piano.- Era difficile sentirlo così distaccato.
-Qualcuno ha bussato ed io, pensando foste voi, ho aperto senza controllare. Quell'uomo mi ha chiesto se c'era Gelil ma siccome gli ho detto che ora non era disponibile mi ha chiesto di cercare le erbe che dovevano essere già pronte. Sono andata a cercarle e lui è entrato. Mi ha spinta contro il muro, mi teneva ferma. Non riuscivo a muovermi. Iethan avevo paura! Poi ho visto il pugnale e … non ero più io. -Fece una pausa, prese fiato.
-Ero forte e agile, l'ho minacciato, ero arrabbiata. Lui si è mosso. Aveva la mia lama puntata al collo e si è mosso. Io … c'era sangue. Dalla ferita usciva tanto sangue.- Non riusciva a parlare lentamente, era agitata, preoccupata, si sentiva un'assassina.
-Ti prego dimmi che non è morto.-
-Te l'ho già detto: è vivo.- non volle aggiungere altro, era confuso. Prese una bacinella vuota e vi pose una mano sopra. Chiuse gli occhi e rimase immobile per qualche secondo. Magicamente si riempì di acqua cristallina. Prese la mano di Alhira. Lei la guardò, sconvolta. Era ricoperta di sangue, il sangue della sua vittima. La ragazza chiuse gli occhi e la immerse nell'acqua.
-Scusa. - disse piano.
Iethan non rispose ed uscì dalla stanza.


-Andrà tutto bene Ren, resisti. E' solo un taglio, guarirai.- Gelil parlava all'uomo come se stesse per morire, aveva paura, paura di Alhira. Sapeva che Ren era uno dei suoi clienti più fidati, non avrebbe mai fatto male a nessuno. Si era sempre comportato come un gentiluomo, sempre impeccabile nell'aspetto e nei pagamenti, ed ora era sotto le sue mani, sanguinante, ferito da una ragazzina che avevano trovato qualche giorno prima.
Prese un'altra garza e la mise sulla ferita. Doveva arrestare l'emorragia. Si alzò e scelse una delle tante ampolle che erano presenti sulle mensole e si versò un po' del contenuto sulle dita. Tolse la garza e toccò la ferita. Il sangue che ne usciva diminuì visibilmente, così continuò a porre piccole dosi di lozione ed a recitare un incantesimo di guarigione finché il flusso non si arrestò totalmente.
-Ecco, non sanguina più. Resisti.- Ren non emetteva alcun suono se non un respiro rotto dai colpi di tosse.
Iethan uscì dalla stanza di Alhira con un'espressione indecifrabile; confusione, dolore, indecisione. Anche lui aveva sempre visto Ren come una brava persona, ma ora non ne era più così sicuro. Si mise accanto a Gelil e la aiutò a medicare la ferita. Le raccontò cosa aveva capito, cosa secondo la ragazza era accaduto. La guaritrice non sembrava convinta, per lei Alhira mentiva.
-Iethan, continua tu per favore.-
-Certo.- Gelil si alzò ed entrò nella camera di Alhira.


-Menti. Tu menti.-
-Cosa? No!-
-Oh sì, Ren non avrebbe mai fatto nulla del genere!-
-Gelil, mi devi credere, non gli avrei fatto nulla.-
-Però ora è ferito, chissà se riuscirà ancora a parlare. Per fortuna non hai toccato la giugulare!-
-Io … Ho sbagliato, non avrei dovuto minacciarlo, ma è stato lui ad aggredirmi!-
-Alhira, per poco non hai ucciso un uomo!-
-Avevo paura, mi ha sbattuta contro il muro e non sapevo come reagire, dovevi vedere la sua espressione! Gelil mi dispiace così tanto per quello che è successo.-
-E deve essere così. Non so come ho fatto a fidarmi di te. -
Quelle parole la colpirono, il petto si riempì di dolore, gli occhi di Gelil erano delusi, ghiaccio. Alhira non disse nulla, semplicemente rimase a fissarla, immobile, piena di dolore.



La notte arrivò silenziosa, invase le strade di Emtia, si impadronì del mare e del cielo. Alhira era rimasta a fissare il paesaggio fuori dalla finestra. La testa le pulsava; era spuntato un rigonfiamento dove aveva colpito la parete e le doleva ogni volta che lo sfiorava.
Pensò.
Quella di poco prima era lei. Era stato il suo corpo a muoversi con grazia ed agilità, era stato il suo braccio a puntare il pugnale contro Ren, la sua bocca aveva parlato, le sue gambe avevano scartato veloci. Si guardò; aveva dei muscoli, non abbastanza per attirare l'attenzione, ma era forte. I suoi sensi erano acuti, in quel momento sentiva ogni respiro di Iethan, di Ren. Aveva sentito l'elsa nel suo palmo come un'estensione della sua mano. L'aria l'aveva lasciata passare, si era aperta per farla muovere. Le era piaciuto essere al comando, essere predatrice. Si chiese perché mai una ragazza come lei doveva conoscere l'arte del combattimento, viveva forse in zone di guerra? Aveva seguito qualche addestramento? Era una dote naturale? Ora il passato era la cosa che la tormentava meno.
Si fece forza e lentamente aprì la porta della camera. Iethan stava seduto accanto a Ren, che era stato steso a terra, mentre Gelil mescolava il contenuto di un pentolone sospesa sopra un fuoco magico. Il ragazzo alzò immediatamente lo sguardo, mentre Gelil non le diede importanza. Alhira, facendo attenzione a non far rumore, come per non rompere l'atmosfera quasi di lutto, si avvicinò al ragazzo e vi si inginocchiò accanto.
-Come sta?- chiese sottovoce.
-Ha perso molto sangue, è debole, ma respira. Il taglio era profondo.-
Alhira non aggiunse altro e rimase accanto al ferito, gli tenne la mano. Tutta la rabbia che sentiva, tutto il disprezzo che aveva provato, svanirono davanti a quell'essere pallido e malconcio che giaceva inerte sul pavimento.
Tutti attesero in religioso silenzio. Ogni respiro era una conferma, ogni minimo movimento era una speranza.
Gelil ora leggeva da un grosso tomo con poco interesse, la sua mente era altrove, ogni minuto alzava gli occhi per controllare Ren. Era visibilmente preoccupata. Nella sua espressione c'era paura, ma non quella di un estraneo. Quando non si conosce una persona che sta male, si è inquieti, si è preoccupati. Lei gli era legata in qualche modo. Soffriva per lui, non lo voleva dar a vedere, ma stava male. Avvicinarsi e tenergli la mano come stava facendo Alhira significava mostrare i propri sentimenti, così se ne stava seduta in disparte a guardarlo come una moglie premurosa.
Quell'intuizione spiegò l'attaccamento morboso della guaritrice a Ren; non voleva accettare che la persona a cui teneva avesse potuto far qualcosa del genere ad una ragazzina.
Alhira si risvegliò dalle sue ipotesi su Gelil quando Ren iniziò ad emettere rantoli indecifrabili. Poco a poco aprì gli occhi cerchiati da occhiaie violacee. Le sue iridi azzurre scrutarono la stanza finché non si soffermarono su Alhira. Il respiro accelerò e tentò di muoversi per allontanarsi da lei. Gelil accorse agitata.
-Vai.- disse alla ragazza con un tono che non ammetteva repliche. Alhira obbedì e si sedette lontano dall'infermo, rimanendo a guardare Iethan che portava acqua, e Gelil che lo riempiva di attenzioni.




La notte si stava disperdendo per lasciare posto ai primi raggi del sole, Alhira non si era mossa. Gelil e Iethan avevano portato Ren nel letto dove prima dormiva lei, così aveva aspettato. Non sapeva cosa, forse solo il momento giusto o il coraggio per alzarsi. Tutti dormivano, soltanto qualche uccello fuori dalla finestra rompeva l'assenza di suoni.
Si decise.
Con passo silenzioso, recuperò il pugnale ed il tascapane che aveva con sé quando era stata trovata e vi mise dentro i vestiti e tutti gli oggetti che prima conteneva. Ren sembrava essersi ripreso, Alhira aveva sentito Gelil dire che avrebbe presto riacquistato la voce e che sarebbe stato tutto come prima in neanche un mese.
Uscì dalla stanzetta e si infilò velocemente gli abiti che aveva preso; il corpetto era resistente ma lasciava libertà di movimento, le copriva l'intero busto, lasciando scoperte soltanto le braccia. I pantaloni le calzavano a pennello, la pelle sembrava essere della sua misura esatta. Infilò il pugnale nella cintura e qualche provvista nel tascapane e rimase in ascolto.
Nulla.
Cosa stava facendo? Stava scappando. Stava andando via dal suo punto di riferimento. Lasciava quella casetta, senza avere piani ben precisi, senza guide o accompagnatori. Da sola, voleva affrontare il mondo e tutto ciò che lo rendeva unico e pericoloso. Non poteva sopportare la vista di Ren, non sapeva come gestire il rapporto con Gelil e non aveva la più pallida idea su cosa pensasse ora Iethan di lei. Doveva semplicemente partire alla ricerca dei ricordi perduti, camminare, correre per i Territori d'Oriente, cercare indizi, magari qualcun altro di cui potersi fidare.
Aspettò qualche istante, forse qualche pensiero l'avrebbe convinta a restare, ma ciò non accadde. Così, in silenzio aprì la porta. I suoi piedi varcarono la soglia, ed allora si sentì diversa. Era tornata la predatrice? Non lo sapeva dire con precisione, ma i sensi si acuirono ed il coraggio aumentò. Era entusiasta di partire, felice, con un senso di liberazione nel petto.
Uscì nel fresco della notte, l'odore di salsedine invadeva l'aria, le stelle brillavano, e la luna, non più piena, ma con uno spicchio nascosto, brillava di luce argentea. Sapeva come muoversi, sembrava volare, un essere che non ha bisogno di toccare terreno per spostarsi. Nessuno sentì nulla, nulla si muoveva. Le case parevano vuote, abitate soltanto dalle ombre proiettate dalle pareti, la città riposava, Emtia attendeva una nuova giornata di lavoro mentre si riposava.
Alhira raggiunse la Via degli Zoccoli, sorrise pensando al nome buffo che le era stato dato. Si dirigeva verso sud seguendo la costa, sapeva che se avesse continuato per quella direzione avrebbe potuto arrivare a qualche grande centro marittimo, così cominciò a seguirla. La città poco a poco spariva dietro le curve e si confondeva nella macchia scura delle montagne. Se ne stava andando. Non aveva dato troppa importanza a ciò che davvero stava facendo, e nemmeno ora sembrava curarsene più di tanto. Era spinta dalla necessità di trovare risposte, dalla paura di ciò che era, di quello che sapeva fare e di quello che aveva fatto. Anche Gelil l'aveva guardata come si guardano gli assassini, Ren non ne sopportava nemmeno la vista e Iethan era sembrato quasi neutrale negli ultimi momenti passati assieme. Le sembrava una scelta. Né buona, né cattiva. Era una decisione che aveva preso dopo averci pensato, non sapeva se per il tempo necessario, ma lo aveva fatto.
Si arrestò all'improvviso, le orecchie in ascolto.
Passi.
Passi affrettati, l'incedere era insicuro ed il respiro affannato. Alhira si nascose tra gli arbusti che costeggiavano la strada ed attese. Non aveva calpestato nemmeno un rametto o una foglia secca, era come se non fosse esistita.
Lo vide passare, guardarsi attorno in cerca di lei.
-Iethan?- Disse uscendo dal nascondiglio. Il ragazzo si voltò, gli occhi verdi che la fissavano non sapevano se essere felici o turbati, i capelli dorati e mossi dalla brezza gli ricoprivano ogni tanto il volto.
-Dove …?-
-Iethan, cosa ci fai qui?-
-Dove vai?-
-Da qualche parte, a cercare il mio passato, lontano da Emtia.-
-Da sola?!- era preoccupato, le parole della ragazza le sembravano così stupide … Si era risvegliata due giorni prima, non aveva nessuno oltre a lui, come poteva pensare di andarsene così?
-E'… è troppo pericoloso.- Alhira adorava il suo balbettare quando era agitato.
-No. Hai visto cosa ho fatto? Posso cavarmela, qui non ci voglio rimanere.-
-Tu non hai fatto niente! Io ti credo, non sono come Gelil; lei ne è innamorata. Non vede oltre, non vuole vedere. Io ti credo, tu ti sei difesa.-
-C'era di più. Quello non era difendersi. Non so se mi sarei fermata se lui non si fosse mosso. Se fossi stata me stessa non lo avrei mai ferito, ma quella non ero io. E' di questo che ho paura. Cosa avrei potuto fare?-
Iethan non rispose.
-Alhira, ascoltami. E' stato l'istinto, non hai nulla di sbagliato. Ora andarsene da qui è pericoloso, sei sola. Non fare azioni di cui potresti pentirti.- Alhira gli si avvicinò e puntò i suoi occhi caldi in quei smeraldi che la guardavano.
-Ti prego, sono abbastanza grande per poter decidere cosa fare e cosa no. Io voglio andare.-
-Resta. - Iethan le prese una mano. -Gelil è soltanto sconvolta, accecata dalle emozioni. Le passerà presto vedrai. Resta.-
Alhira si chiese perché mai un ragazzo come lui potesse tener tanto ad una sconosciuta; dopotutto si erano conosciuti soltanto due giorni prima. Lei era piombata dal nulla vicino a quel paesino isolato dal mondo, e Iethan le aveva fatto da balia, tutto qui. Non le serviva più nessuno che la accompagnasse ovunque, aveva risvegliato una parte di sé che le avrebbe permesso di sopravvivere alle situazioni più estreme.
Faceva quasi freddo, la ragazza tremava leggermente, lui era scosso dai brividi. Erano vicini, si fissavano, Iethan stringeva convulsamente la mano di Alhira, come se avesse potuto tenerla per sempre.
-Torna a casa, torna da Gelil, studia quel poco che ti manca e dai l'esame. Non preoccuparti di ciò che farò, saprò cavarmela. Devo vivere, trovare la mia vecchia vita assieme a tutti i ricordi che ho perso. Lasciami andare.-
- N-no. -
-Devo andare-
-No.-
-Iethan lasciami.- disse allora con tono fermo. La presa non allentò. Il volto del ragazzo era sofferente, gli occhi lasciavano trasparire la sua lotta interiore, la paura di perderla.
-Come vuoi.- Alhira fece ruotare il braccio sfilandolo dalle sue mani. Le dita trovarono in un istante l'elsa ed estrassero il pugnale. La lama era puntata dritta verso il petto di Iethan. Lo sfiorava appena, ma gli aveva bloccato il respiro.
Cosa voleva fare ora? Doveva aver paura?
-Ascoltami attentamente.- fece lei. - Ora tu tornerai da Gelil, a casa tua, e la aiuterai a curare Ren. Io per te non sarò mai esistita.-
Il felino era tornato. Più delicato e docile di prima, ma era lì, sotto la sua pelle. Sentiva gli artigli, la libertà che le fremevano dentro.
Iethan rimase in silenzio, rassegnato. Soltanto dopo qualche secondo decise di fare un passo indietro, e poi un altro, ed un altro ancora. Ora teneva la testa bassa, non poteva guardarla in viso. Non l'avrebbe sopportato. Alhira abbassò l'arma.
-Addio, Iethan.- e si incamminò nell'oscurità.
Era partita di notte per evitare tutto questo; per non farsi male, per rendere tutto più immediato, per non lasciare nessun segno. Ed ora? Ora si sentiva sola, non aveva più nessuno, forse se non avesse parlato con lui sarebbe stato tutto più semplice. E se avesse deciso di rimanere cosa avrebbe fatto? Si sarebbe trovata un lavoro o si sarebbe messa a studiare, senza sapere più nulla su di sé. Si era fatta un amico in due giorni, ed era stata la sua colonna, la sua guida provvisoria. Ora era lei la sua guida. Era il suo istinto a decidere cosa fare e dove portarla.
Gli aveva già dato le spalle e si era allontanata di qualche passo, quando le sue parole la fermarono:
-Alhira, io … -
No. Non dire nulla. Non serve, torna a casa e basta.
- I-Io … io ti auguro buona fortuna.- non si era voltata e non si voltò nemmeno adesso. Rimase in silenzio aspettando di sentire i passi di Iethan allontanarsi, e quando così fu, lasciò che una goccia le scivolasse lungo la guancia e che si dissolvesse all'aria. Non sapeva, e forse non l'avrebbe saputo, che un'altra, piccola, lacrima aveva solcato il volto del ragazzo.
Aveva spezzato il filo che la congiungeva alla magia di quel luogo, aveva tracciato una linea di confine ed aveva eretto un muro.
Si sentì cadere, ma il suo corpo era in perfetto equilibrio. Era la vecchia Alhira che tornava, era la forza e l'apatia che riprendevano il comando sigillando la sua nuova persona in un angolino. Era un'ombra nella notte, parte della terra e dell'aria, nient'altro.
Niente più legami o dolore, solo un corpo.







*Lo so, è breve, in confronto agli altri lascia molto a desiderare, ma questo è proprio un brutto periodo, sto facendo notti in bianco ed alzatacce per la scuola, appena finirà spero di ritrovare l'ispirazione per continuare un po' più energica di ora ^^''''*

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Capitolo 5
*** La Città di Cristallo. ***






La Città di Cristallo




-Ragazzina, non puoi stare qui. Vattene prima che ti ci tolga io.-
-Chi lo vieta?-
-Io, ed ora levati di mezzo.-
-No.- disse lei con leggerezza, quasi come se l'uomo burbero glielo avesse semplicemente chiesto.
-Cosa?-
-No.- ribadì.
-Brutta insolente … - con un braccio muscoloso le prese il mantello alla collottola e la tirò su di peso. Non le mancò il respiro, si sentì soltanto tremendamente infastidita.
Con pochi movimenti si sfilò il mantello, lo prese dalle mani del pescatore e gli tirò un pugno in pieno viso. Si sentì uno schiocco forte e netto. Alhira seppe che non era la sua mano. L'uomo barcollò un attimo tenendosi il volto, così lei ne approfittò per spingerlo in acqua con un calcio.
-Cosa sono, un pupazzo? Credi di potermi trattare come tu vuoi?- lo guardò annaspare in cerca di aria mentre cercava di sguazzare verso il molo. Continuava ad affondare e a riemergere per sputare acqua.
-Un pescatore che non sa nuotare. Che scena patetica.- disse Alhira con un sorrisetto sulle labbra.
Non gli regalò neanche un attimo in più della sua attenzione e si diresse verso il centro di Asidi; siccome non poteva nemmeno star sul molo a godersi il sole mattutino, almeno sarebbe riuscita a trovar qualcosa da fare in città.
Il vociare del mercato non era ancora arrivato, perciò assaporò lentamente l'atmosfera di calma totale che regnava lungo il viale principale. Asidi, a differenza di Emtia era un grande insieme di opere architettoniche antiche e magiche. La "magia" derivava dai riflessi rosei che emanavano le pietre dei palazzi; grandi cristalli percorsi da venature azzurre. Li chiamavano Elora, venivano estratti dalle profondità marine grazie ad una collaborazione con le sirenidi, creature dal corpo per metà umano e per metà pesce. Alhira aveva scoperto anche che non tutte le sirenidi erano disposte a collaborare con gli uomini, infatti, molti anni fa, un gruppo di ribelli aveva distrutto il porto e tutte le navi presenti in esso. Secondo loro, l'alleanza stava distruggendo la loro casa, le cave stavano distruggendo il loro ambiente. Chi aveva deciso di stare con gli umani lo faceva solo per la ricompensa ed era mira di chi si opponeva al sistema.
Inoltre, Asidi, era comandata da un re. Alhira non poteva sopportarlo. Una sola, unica, mente prendeva le decisioni per migliaia di persone. Non lo aveva mai visto, e nemmeno avrebbe mai voluto farlo. Non le piaceva la monarchia. Preferiva che fosse il popolo a comandare se stesso.
Continuò a camminare, avvolta nel mantello scuro che aveva comprato con le poche monete che aveva con sé da una bancarella alquanto sinistra. Il mercante aveva un' occhio coperto da una fascia blu e tutta la sua figura era avvolta in indumenti neri come la notte. L'aveva chiamata vicino e le aveva dato un mantello semplice dicendole che le sarebbe stato d'incanto. Alhira aveva rifiutato sapendo di non poterselo permettere. "Oh non preoccupatevi signorina, non riesco più a venderlo, prendetelo." E così aveva finito per accettare.
Era arrivata da poco più di una settimana. Il viaggio era durato circa una decina di giorni. Non pensava da dove era partita, non lo voleva far tornare tra i pensieri, ed ora era felice perché non pensava, agiva.
Non si accorse di essere arrivata proprio di fronte al palazzo reale. Imponente, troneggiava su un grande spiazzo lastricato da pietre bianche come neve. Era composto da tre grandi corpi; Il palazzo vero e proprio, al centro una grande galleria aperta su entrambi i lati e dall'entrata alta quasi come il palazzo, ed infine, la torre. Tutte e tre le costruzioni erano adiacenti ed attaccate grazie a cristalli di Elora e pietre candide. Le mura erano irregolari, parevano conglomerati di cristalli e pietre, e non erano perpendicolari al suolo. La parte sinistra del palazzo era inclinata verso la galleria, ed anche la torre tendeva verso il centro del complesso. Al posto del tetto, erano posti cristalli di Elora grezzi di dimensioni ciclopiche che riflettevano la luce del sole, rendendo quello il punto più luminoso di tutta Asidi. L'entrata era altra la metà di quella della galleria, sulla sinistra, una scultura di una sirenide accoglieva gli ospiti, e poco più in là, il mezzobusto dell'attuale Re, grande più di un uomo ed in Elora dalle venature più scure, osservava con un cipiglio severo tutta la piazza da una nicchia scavata nella parete.
Tutte le volte che Alhira lo vedeva non poteva far altro che rimanere a bocca aperta. Decise di entrare nella galleria per ammazzare il tempo, ed anche un poco per curiosità nei confronti delle opere d'arte che racchiudeva.
Le due guardie la squadrarono da capo a piedi, perciò si tolse il cappuccio del mantello per apparire meno misteriosa. I passi rimbombavano come se fossero tuoni, l'altezza della struttura sembrava sottolineare quanto insignificante lei fosse. Statue di antichi sovrani, sirenidi, onde e colori decoravano le pareti mentre dal soffitto filtravano fili di luce bluastra. Alhira si fermò davanti alla scultura di una donna. Portava un lungo abito fatto di candida roccia bianca, la sua pelle era di Elora e le pupille di zaffiro brillavano di milioni di riflessi. La fissavano. Osservò che la scultura teneva nella mano destra una lunga spada dalla lama sottile, l'elsa era decorata con radici e pietre preziose, foglie e rami erano stati creati dal metallo lucente. "Ferah, Regina di Asidi." diceva la targa dorata alle sue spalle. Mentre per altri re ed eroi era narrata la loro storia, per Ferah vi era soltanto quella breve inscrizione.
-Era una donna. Non servono altre spiegazione, è già strano che compaia tra i volti importanti.- disse una voce dietro ad Alhira, dall'altra parte della galleria.
Alhira si voltò a guardare chi aveva pronunciato tali parole e, mascherando la propria sorpresa, vide una giovane dai capelli lunghi e neri come pece, lisci e leggeri, gli occhi di ghiaccio e le labbra rosse e carnose. Indossava un mantello che la ricopriva dalle spalle fino alla punta dei piedi.
-Ferah è stata un'eroina, una guida per tutte noi. E tutto quello che hanno potuto dire di lei sono state quattro parole.-
Alhira la fissò per qualche istante e, come se la ragazza non fosse mai stata lì, tornò a guardare la scultura.
-Chi sei? Ti ho vista in giro da circa una settimana. Questa mattina sul molo, hai aggredito Torg.-
Alhira scocciata da quella vocina acuta fece finta di nulla. La ragazza le si avvicinò finché non le sussurrò all'orecchio:
-Le leggi sono severe qui. Posso darti un lavoro ed un alloggio.-
-La mia vita non è affar che ti riguarda.- le stava dando davvero sui nervi.
-Seguimi e parleremo, qui non è il luogo adatto.-
-No. Non voglio aver a che fare con te. Vai ad importunare qualcun altro.- disse Alhira fredda.
-Forse non hai capito. Ti verranno a cercare. O lavori o te ne vai da qui.-
-Che mi vengano a cercare, allora.-
-Potrai anche vivere nell'ombra, rubare il cibo, far quel che ti pare perché tanto sei una brava combattente, ma se davvero non vuoi finire dietro le sbarre, ti conviene ascoltarmi. Voglio solo aiutarti. Se non ti fidi, veni oggi, a mezzodì, sul molo. Ci sarà gente, testimoni, mi troverai dov'eri tu questa mattina.-
-Certo.- disse Alhira con tono di noncuranza sperando se ne andasse presto.
-Pensaci.- disse la ragazza allontanandosi silenziosamente nella galleria.


Solo per curiosità, per noia, Alhira fu al molo quando il sole era alto sopra la città. La ragazza la stava già aspettando.
-Sono Calen, in caso tu lo voglia sapere.- Attese che anche Alhira si presentasse, ma non ottenne nessuna risposta.
-Re Thorpen aiuta chi ne ha bisogno offrendogli un lavoro ed un alloggio. Chi rifiuta, o si trova qualcosa da fare, oppure viene allontanato dalla città, e se ha infranto più volte le legge, viene rinchiuso quanto basta per fargli scontare la pena.-
-Piuttosto severo come Re.-
-Si preoccupa soltanto di rendere Asidi una città ordinata.-
-E tu perché mi stai dicendo tutto questo? E' il tuo Re che ti manda?-
-Lui mi ha aiutata quando sono arrivata qui, mi ha dato un luogo dove vivere, cibo, un tetto. Ho pensato che avessi bisogno di qualcuno.-
-Grazie, ma posso arrangiarmi da sola.
-Vieni, provaci. Solo per oggi.- perché Calen insisteva così? Alhira la trovava opprimente, si pentì subito di essere venuta.
Forse avrebbe potuto accettare, solo per quel giorno, solo per vedere. Il suo istinto le diceva di andare, magari le avrebbero dato un lavoro che le sarebbe piaciuto o un bel luogo dove vivere, anche se sapeva di non potersi aspettare troppo.
-Cosa devo fare?-
-Seguimi.-
Mentre camminavano Calen non smise di parlare un attimo solo, ma specialmente, le fece tante domande.
-Da dove vieni?- fece dopo un minuto di silenzio, il massimo che Alhira era riuscita ad ottenere.
-da Nord.- meglio essere vaghi, non pensare a …
-Nord dove?- disse Calen insistente.
-Nord Nord.- troppo tardi.
Il ricordo di Emtia le inondò la mente e la barriera che aveva costruito dopo essere partita crollò con fragore dentro di lei. L'immagine di Ren le strinse lo stomaco facendola fermare. Rivide gli occhi di Iethan, sentì la sua mano. Il suo pugnale puntato dritto contro di lui. "Addio".
Iethan. Lo aveva ferito, lo sapeva. Se solo non fosse andato a cercarla, se non si fossero salutati ora tutto non farebbe così male.
-Tutto bene?- chiese una voce lontana, forse era Calen.
Il volto di Gelil che la fissava come si fa con gli assassini, il mare che le avvolgeva le caviglie, la paura di quell'uomo misterioso, la luce che cadeva dal cielo e Iethan che le raccontava di sua madre. I flashback e il bisogno di sapere del suo passato, il temporale, il vento, l'odore di salsedine. Ricordi. Gli unici che aveva, la investirono come un'onda d'urto. Aveva vissuto in un angolino, l'Alhira che era nata a casa di Iethan era stata sopraffatta da quella vecchia, già presente nel suo profondo. Come una belva si era impadronita del corpo e della mante, liberandola. Aveva agito come l'istinto le aveva detto, aveva fatto quello che voleva, senza pentirsi, senza sensi di colpa. Ed ora?
-Ehi, stai male?- continuava a dire la voce lontana.
Alhira. Era di nuovo lei, l'essere spaesato, la ragazza senza memoria.
-Tutto bene. Andiamo.- disse con un sussurro.
Calen non aprì più bocca. Alhira camminava con lo sguardo perso nel vuoto mentre la sua mente pensava, rimuginava, il suo cuore sentiva, il suo corpo scopriva di avere ancora sensazioni.
Il palazzo reale questa volta non la fece rimanere a bocca aperta; le tolse il respiro. La luce che emanava era magica, i colori si riflettevano sul lastricato bianco, il mezzobusto di Thorpen sembrava potesse animarsi da un momento all'altro tanto era realistico. Giunte davanti all'ingresso, le guardie spinsero le grandi ante di metallo per farle entrare. Non chiesero nulla, e questo ad Alhira sembrava strano. Si limitarono a fare un cenno a Calen. Gli occhi delle ragazze si illuminarono di raggi dorati che provenivano dai cristalli del soffitto, l'aria era fredda, una sensazione piacevole. C'era silenzio, la sala era vuota. Un lungo tappeto blu scuro andava dritto dall'entrata fino ad un trono dorato posto su un rialzo alto circa un braccio, decorato con cristalli di Elora, brillava vuoto alla luce del pomeriggio.
Alhira si sentì a disagio, ebbe una fitta allo stomaco, ma non seppe per quale emozione, paura o una qualche specie di imbarazzo. Vedere lo scranno vuoto la mise in soggezione. Calen la fermò e rimase in attesa. Alhira si guardò attorno; il soffitto pareva una vetrata, sculture decoravano le pareti, il pavimento era dello stesso bianco della piazza, ma solo più lucido, ci si poteva quasi specchiare. A destra ed a sinistra della sala vi erano numerose porte, tutte uguali, tutte a volta a sesto acuto, come ogni entrata in quella costruzione. Calen non fece nulla, aspettò immobile senza far un minimo rumore o cercare qualcuno. Non pareva a disagio, anzi, sembrava piuttosto sicura di sé.
Si udì un cigolio provenire da una porta laterale. Poco dopo essa si aprì e ne uscirono due guardie che si andarono a disporre ai lati dello scranno. Alhira, impaziente, cercò di scorgere cosa vi era dietro a quelle ante, ma subito vide una figura alta arrivare, così tornò a fissare la punta dei suoi stivali. I passi rimbombarono nell'immensa sala. Alhira non poté resistere alla curiosità; alzò per un secondo gli occhi sull'uomo che si stava avvicinando al trono. I capelli castani e mossi gli arrivavano al collo, gli occhi scuri erano quasi nascosti sotto le folte sopracciglia, la fronte era alta ed il naso aquilino. Il viso allungato e la figura snella lo facevano apparire leggero.
Re Thorpen salì i pochi gradini e si sedette sullo scranno. Alhira guardò Calen, che però stava rivolgendo un profondo inchino al Re.
Imbarazzata, si affrettò a fare lo stesso.
-Oh, Calen. Chi mi avete portato oggi?- disse con voce calda e profonda.
-Vostra Maestà, vi ho portato una ragazza in cerca di alloggio e lavoro, ho pensato che voi avreste potuto aiutarla.-
-Quale sarebbe il vostro nome?- chiese rivolgendosi ad Alhira. Lei abbassò lo sguardo ed arrossì violentemente.
-Alhira.- disse con voce tremante.
-Alhira … - ripeté Thorpen tenendosi il mento tra il pollice e l'indice, come se quel nome gli dovesse ricordare qualcosa.
-E da dove venite?-
-Emtia.- disse lei sperando che non le chiedesse altro su quel villaggio. Calen guardò Alhira e poi il Re, lui squadrò la nuova arrivata da capo a piedi. Alhira lo trovò strano.
-Avete vissuto lì?-
-Sì.-
-Bene. Calen vi accompagnerà al vostro alloggio.-
Basta così? Non vuole sapere nient'altro? Perché? Confusa, Alhira salutò Thorpen con un inchino mentre lui si allontanava dal trono. Quando furono di nuovo sole nella grande sala e le guardie ebbero lasciato la loro postazione, piombò il silenzio.
-Ed adesso?- chiese Alhira vedendo Calen ancora immobile.
-Vieni.- con uno scatto si riprese e il sorriso spuntò di nuovo sul suo volto.
Mentre attraversavano grandi corridoi e porte decorate con bassorilievi, Alhira ne approfittò per fare qualche domanda.
-Perché è durata così poco "l'udienza"?-
Sulle prime Calen parve non voler rispondere, poi disse voltandosi verso la ragazza:
-Re Thorpen riesce a leggere tutto di una persona soltanto guardandola. E' una grande capacità per un sovrano.-
-Anche per te è stato così?-
-Sì.- disse con un po' di esitazione nella voce. -Vedo che entrare qui ti ha resa meno acida.-
Alhira non ci fece caso:
-Che tipo di lavoro mi daranno?-
-Ti piacciono gli animali?-
-Un poco.- disse mentre un brivido le percorreva le braccia.
-Bene!- Calen sembrava aver acquistato un'aria solare ed entusiasta.
Attraversarono qualche altra sala e presto giunsero alla porta che dava su un cortile interno. Lungo il perimetro erano poste le stalle, al centro vi era un recinto, ma sotto al sole cocente non sembrava esserci anima viva. Era enorme, Alhira riuscì a scorgere una costruzione molto alta dall'altro lato del cortile, ma per la troppa luce non riuscì a distinguere cosa fosse esattamente.
-Ecco, nelle stalle vi sono i cavalli dei migliori cavalieri di Asidi, là a destra si trovano gli animali dei figli del Re e … -
-Ha figli?- chiese Alhira stupita.
-Sì, due. Invece sotto quella tettoia, in fondo, si trova Lauce.-
-Cosa è Lauce?-
-Il drago di corte, è un essere magnifico. Non ti ci avvicinare, chiaro?-
-Certo.- la tentazione di vederlo era forte.
Vide però che il palazzo non chiudeva totalmente lo spazio aperto, infatti, dopo la tettoia di Lauce si poteva vedere il mare attraverso un enorme cancello dorato.
-Vieni, ti mostro la tua stanza.-
Ci vollero una decina di minuti perché gli occhi tornassero a vedere bene all'interno delle mura.
In poco tempo arrivarono agli alloggi della servitù. La sua stanzetta era spoglia e minuscola; vi erano un letto ed una cassapanca. Sopra di essa erano posti degli indumenti piegati.
Non poteva essere così male, pensò Alhira.

Era stata ottimista. Quando non ci fu più luce, Alhira tornò negli alloggi. Non era sfinita come gran parte dei suoi compagni; il suo fisico si poteva permettere sforzi ben maggiori. Mentre camminava nel lungo corridoio sul quale si affacciavano innumerevoli stanze identiche alla sua, Calen la raggiunse di corsa.
-Alhira, come va?-
-Bene, circa.-
-Non vieni a mangiare?-
-Giusto, mi ero dimenticata.-
-Ti … eri dimenticata di mangiare?- disse Calen sorridendo. Alhira rise con lei e la seguì fino alla mensa.
Durante tutto il pomeriggio aveva pulito le stalle dei cavalli assieme ad un uomo di nome Kal e ad una donna di nome Gwel. Erano persone simpatiche, socievoli. Le avevano raccontato della loro vita, ed il tempo era passato in un attimo. Alhira era taciturna, non voleva far parole di sé, perciò si limitava ad ascoltare le storie altrui.
Calen si sedette accanto a lei portando due ciotole di minestra fumante. Iniziarono a mangiare mentre la sala si riempiva poco a poco.
-Quindi … Emtia eh? Come sei arrivata qui?- disse Calen, per aprire una discussione, ma forse più per curiosità.
-A piedi.-
-Ed hai sempre vissuto lì?-
-Calen, non ne voglio parlare.- non voleva ricordare né Iethan, né Gelil e neanche Ren. La ragazza si fece silenziosa per qualche minuto, il tempo per mandar giù qualche altro cucchiaio, e poi riprese.
-Cosa facevi prima di venire qui?-
Alhira sospirò e non rispose, lo stomaco le si contrasse e la fame se ne andò. Spinse via la ciotola, biascicò qualcosa che poteva sembrare un "non ho appetito" a Calen e si diresse verso gli alloggi mentre le immagini di Emtia la torturavano.



-Ril!-
Lei si volta, è coperta di fuliggine, i suoi occhi azzurri pieni di lacrime. Le mie gambe sono deboli, non riesco a camminare, dannazione. Ril mi viene incontro, un po' barcollante, i suoi capelli di solito così lucenti e morbidi, ora sono pieni di cenere, i suoi vestiti sono macchiati. Mi sorride, negli occhi il terrore. Si avvicina con passo incerto. Le getto le braccia attorno al collo, e lei mi stringe forte a sé. La sento piangere, le sue braccia sulla mia schiena, il suo odore che ancora riesco a sentire, la sua voce rotta dai singhiozzi. Non riesco più a reggere, le mie ginocchia cedono lentamente e Ril cade assieme a me.
-Se la caveranno?- disse piangendo. -Devo andare! Non posso lasciarli lì!- grida disperata mentre cerca inutilmente di alzarsi. Le tengo le mani, la tengo vicina a me, lei non può andare. Siamo deboli, moriremmo dentro a quell'inferno di fiamme.
-Ril, calmati … Ce la faranno.- le dico, la mia voce è rauca.
La casa brucia lentamente, ma nessuno sembra uscirne.
Un battere leggero sulla porta l'aveva svegliata dal sonno. Le ci volle un po' per riprendersi.
-Alhira apri, per favore.- sussurrò qualcuno.
-Chi è?-
-Calen- Alhira sospirò ed andò ad aprire.
-Scusa per prima, è che ogni tanto mi faccio prendere dalla curiosità.- disse Calen con tono poco convinto.
-Non fa nulla, non ti preoccupare.- rispose Alhira mezza addormentata.
-Bene allora, a domani.- ed andò a chiudersi nella stanzetta accanto alla sua. Tutto qui? L'aveva svegliata per farle delle scuse molto probabilmente false?
Alhira, ancora sulla soglia, si svegliò completamente e realizzò del sogno appena compiuto. Il cuore le prese a battere forte; finalmente aveva un indizio rilevante, Ril. Non sapeva perché l'aveva abbracciata, i sentimenti verso quella figura tardavano a tornare. Si sdraiò sul letto ripetendosi quel nome nella mente, mentre le immagini dell'incendio si susseguivano nitide tra i suoi pensieri.
Ril. La rivide. Gli occhi grandi e spaventati, di un azzurro tendente al grigio, il suo viso delicato sporco di fuliggine. Ril. L'abbraccio, la sua paura. Chi erano le persone ancora chiuse nella casa? Perché entrambe le aspettavano disperate? Ril.
Da un angolo del suo cuore, un punto di calore iniziò a farsi strada nel suo petto. Era una sensazione, una consapevolezza, che poco a poco la invadeva. Le orecchie iniziarono a fischiarle, Alhira strinse le lenzuola.
Il punto caldo ora era una fiamma che bruciava, la stava divorando, la testa lavorava cercando i ricordi rinchiusi chissà dove. Sembrava un labirinto. Un carcere a forma di labirinto, ed ora l'unica cosa che voleva era trovare la cella di Ril ed aprirla. Poco a poco sentiva di essere vicina, percepiva la sua presenza.
Aveva chiuso gli occhi; il buio l'aiutava a concentrarsi.
La sua mente continuava a cercare tra le stanze buie, quella con sopra scritto Ril.
Eccola. Come un bagliore, come un punto di calore, come il primo raggio di sole dopo la notte.
Sua sorella, la metà della sua anima, la donna che l'aveva cresciuta, la donna che era stata sua madre. Il fuoco nel suo petto diventò dolce, una sensazione piacevole, le invase ogni arto, ogni vena. Con uno scatto si levò a sedere.
-Ril!- le mani tra i capelli corti e scuri, il cuore che batteva talmente forte da poter impazzire. L'aveva trovata.
Un'ombra passò davanti alla sua porta.


La notte passò tra lacrime e domande. Raggomitolata fra le lenzuola, Alhira aveva pianto per la nostalgia, la paura, la voglia di sapere ancora. Nel silenzio stellato, non chiuse occhio.
All'alba, con scure occhiaie, si recò alla mensa. Era stata una tra i primi ad alzarsi; vi erano soltanto due donne e la cuoca che chiacchieravano sottovoce. Quando Alhira fece il suo ingresso nella sala, si fermarono per un secondo e poi ripresero a discutere di quanto scortesi erano alcuni cavalieri nei loro confronti. La ragazza si sedette ed appoggiò i gomiti al tavolo reggendosi la testa sui palmi. Per un attimo temette di poter lasciar andare una lacrima, ma la cuoca si era avvicinata con aria preoccupata:
-Cosa ti porto, tesoro?- disse appoggiandosi con le sue grosse braccia al legno scricchiolante.
Alhira alzò gli occhi su quel viso paffuto e roseo. La donna avrà avuto circa una cinquantina d'anni portati male.
-Hai proprio una brutta cera, ti ci vorrebbe una tazza di latte … ne vuoi?-
Alhira si limitò ad annuire e ad accennare un sorriso. La cuoca scomparse nella cucina con passo svelto.
Ora dov'era Ril? Cosa stava facendo? E perché non era con lei? Perché sentiva di avere ricordi, ma non poteva liberarli? Poteva andarla a cercare. Poteva partire quella stessa mattina, in fondo Calen era solo fastidiosa, ed anche se lì la servitù era trattata meravigliosamente in confronto ad altri palazzi, non avrebbe perso nulla. Sola con i suoi pensieri sarebbe andata alla ricerca di Ril. Il piano era quello; sparire, un'altra volta.
-Ecco, mangia, ti sentirai meglio.- disse la cuoca spingendole la ciotola sotto gli occhi e poggiandole vicino un pezzo di pane ed un frutto.
Ritornò a sedersi con le compagne ed Alhira iniziò a mangiare. Fortunatamente le tre donne erano impegnate e di spalle, perché gli occhi della ragazza si fecero lucidi e le ciglia divennero umide. Scacciò la voglia di sfogarsi e trangugiò la mela aspra che aveva ricevuto.
Quella mattina non vide Calen, e di questo fu contenta. Appena entrarono anche gli altri nella mensa, Alhira si alzò e si diresse dal supervisore delle mansioni; Blaet, un omino magro e smunto dall'aria severa. In verità Blaet era simpatico, ma di poche parole.
Mentre faceva scorrere il suo dito nodoso sulla pagina del registro, Alhira riuscì a scorgere qualcosa. In una calligrafia piccola e squadrata lesse pochi dei tanti nomi delle stanze del palazzo. Tra quelli però, vi compariva anche "Biblioteca, Sala Prima", "Biblioteca Sala Seconda", e così via. Ebbe un'idea, forse stupida, ma comunque era qualcosa.
Blaet parlò con voce assonnata:
-Oggi sei dalle selle e dai finimenti. Attenta a non far danni.- disse sbadigliando rumorosamente.
-Certo.- e subito andò al lavoro.
Gwel era già intenta a lucidare una sella quando Alhira la salutò.
-Che ti è successo? E' stato duro il primo giorno?-fu la sua reazione davanti alle occhiaie della ragazza.
-No, ho soltanto tanti pensieri per la testa. Ieri hai detto di aver vissuto in un'isoletta al largo di Emtia, giusto?-
-Oh sì, non sai che pace!- iniziò la donna. Alhira ascoltò tutto quello che aveva da raccontare mentre lucidava selle, puliva le redini, spazzolava i sottosella e strofinava le staffe fino a farle brillare. Ril le tornò in mente soltanto due volte.



Finirono presto, così Blaet le mandò nella stalla dove erano tenuti animali dei figli del Re. Due meravigliosi cavalli mangiavano placidamente, uno era palomino, la criniera era raccolta in numerose treccine chiuse da nastri di color azzurro, come gli occhi dell'esemplare, l'altro era completamente nero con la criniera oltremodo lunga e priva di qualsiasi decorazione. Alhira andò in fondo alla stalla a prendere gli attrezzi per pulire quando dal un angolo buio sbucò una creatura nera come la notte. La ragazza si bloccò di colpo cercando di capire cosa fosse.
L'essere avanzò piano verso di lei, ringhiando e mostrando i denti. Assomigliava ad un lupo, ma la conformazione del muso tradiva la sua discendenza canina. Le orecchie basse e gli occhi dorati, le zampe piegate pronte a scattare. Alhira fece un passo indietro, calma; la vecchia lei sapeva perfettamente come gestire certe situazioni.
Non era ancora entrato nessuno. Era sola assieme ad una cane enorme e aggressivo. Da dove veniva? Come era arrivato all'interno della stalla? Fece un altro passo indietro, senza movimenti bruschi o rumori. L'animale avanzò ancora.
Un forte fischio gli fece perdere l'attenzione. Ora il cane fissava un punto dietro ad Alhira con curiosità. Una figura esile e dai capelli talmente biondi da sembrar quasi bianchi avanzava con innata leggerezza. Completamente vestito di nero, il ragazzino chiamò l'animale con uno schiocco della lingua. Alhira lo guardava con un misto di sorpresa e di dubbio; chi era?
-Spero non vi abbia creato problemi. Ha difficoltà ad accettare i visi nuovi.- Alhira si sentì lusingata nel sentirsi dare del "voi" da un ragazzino di circa tredici o quattordici anni.
-No, va tutto bene.- rispose lei.
-Buona giornata, allora. War, Vieni!- e con l'eleganza di un principe, il ragazzino biondo ed il suo lupacchiotto se ne andarono.
Alhira prese ciò di cui aveva bisogno e tornò dai cavalli. Iniziò a pulire ed versare loro acqua e cibo. Quando arrivò anche Gwel, le chiese del ragazzino. Lei spalancò gli occhi e con voce bassa le chiese:
-Non gli avrai mica detto qualcosa, giusto?-
-Perché? Non sarà … - e si bloccò per un attimo.
-E' uno dei figli di Thorpen!- per fortuna Alhira non aveva lasciato che fosse la vecchia lei a parlare; avrebbe rimproverato il principe per non tenere a bada il proprio cucciolo, e di questo se ne fu altamente grata.



La notte arrivò portando con se grosse nuvole cariche di pioggia e fulmini. Mentre Alhira si recava alla mensa con lo stomaco che reclamava cibo, venne fermata da Calen, la quale la seguì e si accomodò proprio di fianco a lei.
-Come è andata oggi? Raccontami tutto!- disse entusiasta.
-Ma da dove la tiri fuori tutta questa energia a fine giornata?- le chiese mentre riceveva la propria ciotola di zuppa ai legumi.
Calen parve offesa ma poi continuò a tormentarla. Alhira le parlò delle mansioni che le erano state assegnate e del suo incontro con il principe.
-Invece tu dove sei stata oggi?- le chiese per poter finalmente mangiare la cena.
-Emh … io … ho dovuto fare delle commissioni.- l'indecisione di Calen fece insospettire Alhira.
-Pensi che tra qualche giorno possa ottenere qualche lavoretto in biblioteca?-
-Perché?-
-Mi piacciono i libri.- mentì spudoratamente.
-Posso provare a parlarne con Blaet se ci tieni.-
-Meraviglioso.- disse Alhira sorridendole. Ormai con Calen recitava, se fosse stata sé stessa, vecchia o no, non si parlerebbero più.
Mentre tornavano agli alloggi, Calen riportò il filo della discussione sul passato di Alhira.
-Calen, quando vorrò parlarne con qualcuno, ti farò sapere.-
La ragazza non aggiunse altro e la salutò chiudendosi nella sua stanzetta.
Alhira rimase sola, assieme al ricordo di Ril. Sarebbe stato avventato partire, lasciar di nuovo tutto e rischiare di soccombere alla vecchia lei. Aveva qualche indizio; il nome di sua sorella, l'incendio, il pugnale. Forse avrebbe potuto fare qualche ricerca in biblioteca, ma sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio. Però tentar non nuoce, pensò.
Si distese sul letto, e neanche un minuto dopo lacrime calde le rigarono il volto. Se di giorno il lavoro la teneva occupata, la notte portava silenzio e calma, ambiente dove i ricordi si ripetevano e le domande sorgevano a migliaia.
La pioggia insistente ed i tuoni la tennero sveglia fino a notte fonda, quando dalla stanza accanto arrivò un cigolio, lo stesso di una maniglia arrugginita. Poi lo scricchiolio di un'asse fece alzare Alhira, che rimase a scrutare la porta. Un'ombra vi passò davanti, come la notte prima. Avrebbe dato qualunque cosa pur di potersi tener impegnata, così si avvicinò all'uscita ed aprì. Il meccanismo non fece alcun rumore. Fece appena in tempo a vedere un lembo di mantello sparire dietro l'angolo in fondo al corridoio. Veloce, cercò di seguirlo, ma udì scattare la serratura del portone che collegava il palazzo lussuoso alla parte adibita alla servitù. Si arrestò davanti alla mensa deserta ed illuminata dai lampi improvvisi provenienti dalla stretta finestra posta in un angolo. Nulla si muoveva, si udivano soltanto piccoli rumori provenire dalle stanze. Non poteva fare nient'altro, se non … un sorriso le illuminò il volto e, come un'ombra si diresse verso le stalle. La porta si aprì senza darle problemi. I cavalli dormivano serenamente, mentre War accovacciato su un mucchietto di fieno, si svegliò non appena Alhira gi passò accanto. Il cane non fece alcun rumore e cominciò a seguirla. Chissà perché le stava vicino dopo averle ringhiato contro soltanto qualche ora prima. Alhira non si fermò ed in poco tempo raggiunse ciò che cercava. Una porticina in metallo con sopra un cartello che diceva a caratteri cubitali "Vietato Entrare". Non l'avrebbe vista nessuno, non si sarebbe fatta sentire. Provò ad aprire ma la porta era chiusa a chiave. Si guardò attorno e War se ne andò. Non sapeva come poter entrare, ma la curiosità le pompava adrenalina nel corpo e l'aria carica di tempesta la faceva sentire viva. Pose l'orecchio sul freddo metallo e quello che udì la fece fremere. War tornò completamente fradicio tenendo in bocca un anello con appesa una lunga chiave argentata. Stava forse scherzando? Ad Alhira brillarono gli occhi per la felicità. Prese la chiave e tentò di accarezzare il cane, che però si ritrasse dalla sua mano, così scuro che si confondeva tra le ombre della stalla. La serratura scattò con un rumore sordo e War entrò per primo.
Le torce erano accese, il respiro di Lauce era pesante e lento, ma qualcuno era arrivato prima di lei.
-Siete nei guai.- disse il ragazzino dai capelli dorati alla luce del fuoco. Non si voltò nemmeno.
Alhira trattenne il respiro mentre il cuore saltava un battito. Che stupida. Perché era andata fin lì? Avrebbe tanto voluto saperlo. Stupida!
-Venire nella stalla del drago di corte nel pieno della notte, potrebbe essere considerato un comportamento sospetto, non trovate?-
Alhira non fece parola ed il ragazzino le si avvicinò. Lei era schiacciata contro il muro, la porta si era lentamente chiusa e War ora se ne stava in disparte.
-Siete pregata di fornirmi una buona scusa per essere qui, prima che veniate arrestata.-
-I-io … ero venuta per vedere Lauce.- disse con un sussurro.
-E così disprezzate tanto le regole … - le fece segno di far il proprio nome.
-Alhira.-
-Alhira. Curiosità? Non dovete tener molto alla vostra incolumità se girovagate per la corte senza permesso alcuno.-
-Sono molto spiacente, vi assicuro che non accadrà mai più, vostra altezza.- ed abbassò leggermente il capo sperando con tutta sé stessa che non la facesse rinchiudere.
-Le scuse non bastano a giustificarvi.- il ragazzino si voltò e si avvicinò a War. -In ogni caso, potete ritenervi fortunata, potete osservare il drago prima che veniate portata via.
Ad Alhira venne la pelle d'oca. Fece scivolare la propria schiena contro la parete e si sedette, le ginocchia strette al petto. Lauce aveva perso di interesse e la pioggia non le trasmetteva più nulla. Continuava a ripetersi da sola quanto fosse stata stupida, irresponsabile, e tremendamente ingenua.
War sbadigliò e, come se la conoscesse da sempre, si acciambellò accanto a lei.
-Non ho un passato.- disse la ragazza fissando la terra rossastra e polverosa davanti a sé. -Mi sono risvegliata ad Emtia senza ricordar nulla. Non sapevo nemmeno il mio nome.-
-Per quanto la vostra storia possa essere affascinante, non è a me che dovete raccontarla.-
-So che prima di perdere la memoria, sapevo combattere, ero diversa. Ed ora i ricordi riaffiorano poco a poco, e fanno male. Tutte le persona che amavo, tutta la mia vita; dimenticati. Poi, ieri notte, ho ricordato qualcosa. Ho rivisto mia sorella. Ho visto un incendio bruciare la mia casa.- fece una pausa ed il ragazzino non disse nulla, attento alle parole di Alhira.
-E' come perdere la colonna che ti ha sostenuto, come sentire di non avere più una luce. Non so da dove vengo, non so dove sia lei. Non so se è viva. Ma è il mio cuore, è mia sorella.-
-Occupa la mia mente ogni singolo istante, ma se riesco a concentrarmi sul mio corpo, il dolore sparisce. Questa notte non potevo dormire, non riuscivo a non pensare a lei. Qualcuno è andato nel palazzo e l'ho seguito … ed alla fine mi sono lasciata trascinare.-
-Aspettate, qualcuno è andato nel palazzo?- chiese stupito. Alhira non rispose, non lo stava ascoltando.
Forse il commento del ragazzo ebbe un tono più acuto, perché Lauce emise un grugnito e sbatté la coda a terra. Aprì lentamente gli occhi azzurri come zaffiri e fissò Alhira. Il drago era completamente bianco, alto al garrese quanto un uomo. Aveva un collo sinuoso, le zampe possenti erano provviste di enormi aculei, le ali, piegate su sé stesse, avevano una lieve sfumatura azzurrina. Lauce la osservò a lungo, e dopo aver sbuffato, si rimise a dormire.
Lo sguardo del ragazzino andava dal drago ad Alhira.
-Quindi non ricordate nulla.- disse lui con voce bassa.
Alhira appoggiò la testa alla parete e chiuse gli occhi, ignorando qualunque suono le giungesse. Sentì War cercare di appoggiarle il capo sul grembo, quasi come un cucciolo. La ragazza distese le gambe ed il cane si addormentò su di lei.
La sua vita era ridicola, pensò. Era sempre corsa via ed adesso se ne stava lì come una stupida, la vecchia lei avrebbe lasciato il palazzo dal primo minuto passato nel suo alloggio. Ora invece, l'Alhira che era nata ad Emtia si era cacciata nei guai, ma quella vecchia si era come nascosta nel labirinto della sua mente e non ne voleva sapere di tornar fuori.
Sentì il ragazzo avvicinarsi e sedersi a poca distanza da lei, anche lui con la schiena al muro.
-Raccontami ancora.- disse lui, dimenticando il "voi", lasciando da parte la nobiltà e comportandosi come avrebbe fatto …
Un pugno, dritto nello stomaco, colpì Alhira. Ma nessuno l'aveva sfiorata. Ricordò i suoi occhi. Iethan.
Respirò, e parlò a quel ragazzino come avrebbe fatto solo con lui.




La figura scivolava rapida tra le grandi sale del palazzo, gli enormi specchi riflettevano di lei solo un'ombra, i suoi passi erano leggeri. Le guardie sembravano non vederla, eppure lei faceva loro un cenno. La pioggia picchiava forte contro le finestre ed un fulmine illuminò il portone di Elora davanti al quale si era fermata. Battè un colpo, forte, che rimbombò ovunque coprendo per un attimo il ticchettio dell'acqua. Un tuono squarciò la calma.
Thorpen aprì e la figura entrò richiudendo la porta dietro di sé.
-Allora?- fece lui, immobile davanti alla grande vetrata della sala.
-Nulla ancora, Vostra Altezza.-
-Devi continuare ad insistere.-
-C'è il rischio che possa averne abbastanza. Non mi vuole parlare.-
-Hai un compito, vedi di portarlo a termine, con le buone, con le cattive, come preferisci.- disse il Re gesticolando.
-Hai tempo una settimana, Calen. Devi solo ottenere qualche informazione sul suo passato, non ti ho chiesto la sua testa. Pensi che direbbe qualcosa al Re? Per questo ci sei tu. Tu sei come lei, e sarai tu a riferirmi ogni singola parola che ti dirà.-
-Certo, Vostra Altezza. Ma se soltanto potessi sapere … -
-No! - la interruppe Thorpen, quasi urlando. - Non sono ammesse domande, lo sai. Ora va, lasciami solo.-
-Certo, Vostra Altezza. - disse Calen in un sussurro, e come era arrivata, se ne andò, silenziosa, con il mantello nero che la nascondeva.
Thorpen si sedette alla grande scrivania di legno talmente chiaro da sembrare bianco, i decori di oro e cristallo rilucevano argentei alla luce proveniente dalla finestra. Doveva sapere. Non poteva correre il rischio e aspettare. Una settimana era già troppo.







Mi scuso per il ritardo, mi son mancate le idee, e forse si vede anche... Non so... In ogni caso ho buttato giù la trama, tanto per non "capottarmi" da qualche parte. Non ho molte conoscenze sulla vita di corte, che ovviamente qui non è proprio come quella medievale, ma comunque è possibile che abbia scritto qualcosa che non sta nè in cielo, nè in terra e neanche nel mondo Fantasy xD Spero possiate perdonarmi ^^'' e comunque, vi ringrazio di cuore perchè leggere tutte le cavolate che scrivo è un'impresa nella quale il 99,9(periodico)% delle persone non riesce :)

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Capitolo 6
*** Il Potere della Luce - Pt.1 ***






Il Potere della Luce Pt.1




-Come posso aiutarvi?- chiese cordiale una donnina dai capelli grigio scuro, ricci e raccolti con una vistosa molletta dietro il capo. La frangetta, riccia e ribelle anch'essa, era corta abbastanza da lasciarle visibile un'ampia fronte solcata da qualche ruga. Un paio di occhietti grigi e vispi fissava Alhira, mentre le labbra si erano arricciate in attesa di ricevere una risposta. Portava noiosi abiti color sabbia, un paio di occhialetti tondi e dalla montatura dorata le stavano sul naso sottile ed aquilino e tutta la sua figura esile si reggeva su un paio di scarpette a punta color fango.
-Stavo cercando questo volume.- disse la ragazza porgendole un pezzetto di pergamena con sopra scritto il titolo ed una firma ricca di ghirigori.
La bibliotecaria si aggiustò gli occhiali, e quando vide la firma, non si sa come, arricciò ancor di più le labbra. Squadrò Alhira e non fece nient'altro, se non sparire tra gli scaffali a cercare il tomo con l'energia di un tornado. Camminava spedita, sapeva dove andare, le sue scarpette producevano un fastidioso ticchettio sul pavimento di legno scuro.
-Prego, buona lettura.- le disse porgendole un grosso tomo dalla copertina grigia. Non attese nemmeno una risposta o un cenno; tornò alla scrivania lasciando la ragazza sola con il suo libro di storia.
Alhira trovò un tavolo completamente vuoto e posto proprio davanti all'enorme finestra che dava sulla città, e poi sul mare. Poggiò il pesante tomo sul legno scuro come il pavimento; quella forse era l'unica zona del palazzo dove non era il bianco a regnare. Si sedette ed iniziò a sfogliarlo, guardava i titoli, ogni tanto qualche parola le suonava familiare, qualcosa le tornava in mente. Ferah.
Gli occhi iniziarono a leggere, ma il suo cervello creava altre immagini, quello che leggeva era solo una briciola della scena che visualizzò. Si lasciò trasportare, e presto il tempo perse di ogni significato.

-Dai! Corri!-
-Aspettami Fer! Non sono veloce come te!-
Una bambina dai capelli lunghi e dorati correva tra gli arbusti ricchi di fiori mentre un ragazzino, poco più alto di lei, la seguiva cercando di stare al suo passo.
-Fer rallenta! Non ce la faccio più!- ma la bambina non gli diede ascolto e continuò verso la sua meta. Poco dopo si fermò davanti ad una caverna. L'entrata era particolarmente regolare, un arco perfetto creato con pietre squadrate poste le une sopra le altre, come se fosse un muro costruito dagli umani. Innumerevoli specie di piante rampicanti si avvinghiavano alle rocce e l'erba si arrestava a qualche braccio dall'entrata lasciando scoperta la terra.
-Finalmente.- mormorò il ragazzino senza nemmeno guardare dove era giunto. -Che cosa … Oh. -
-Vieni.- disse Ferah avanzando.
-Non penso sia una buona idea, non sai nemmeno cosa ci sia là dentro … -
-Che c'è hai paura? Sei grande e grosso e hai paura?-
-Non ho paura! E' che non voglio correre rischi inutili.-
-Del, guarda.- ed indicò la terra polverosa davanti all'entrata. -Nessuna traccia. Nulla.-
-Non penso ci assicuri che non sbucherà nulla dalle profondità di quel buco.-
-Io vado, se vuoi, vieni con me, altrimenti rimani qui. Scegli tu.- Ferah non attese un secondo in più e si addentrò nell'oscurità. Quando non riuscì più a vedere nulla mormorò poche parole ed un globo luminoso apparve sulla sua mano rischiarando le pareti. La caverna proseguiva senza mai curvare o senza dividersi in altri piccoli cunicoli.
-Fer, torna qui! E' pericoloso!- ma lei non gli rispose.
L'aria si faceva sempre più fredda e il corridoio si restringeva poco a poco, finché Ferah non dovette piegarsi per passare.
-Fer!- la voce di Del era troppo lontana ormai perché potesse giungere alla ragazzina.
Continuò a camminare, spinta dalla curiosità e dall'emozione indescrivibile che provava nell'essere l'esploratrice di quel luogo misterioso. Il cuore le batteva forte, e le sue orecchie erano attente ad ogni rumore, ma presto si rese conto che gli unici suoni che riempivano la caverna erano il suo respiro ed i suoi passi, oltre alle sporadiche urla di Del.
All'inizio le parve solo un miraggio, un inganno della sua mente, ma quando quel piccolo bagliore azzurro divenne ben visibile, si arrestò un attimo e lanciò un altro globo luminoso davanti a sé. Illuminò leggermente le pareti e poi scomparve nell'oscurità come inghiottito dal buio.
Ferah allora proseguì, non più tanto sicura che quella fosse una buona idea. Il cunicolo era talmente stretto da graffiarle le spalle.
Un passo, e le pareti rocciose che la stringevano scomparvero, o meglio, si allargarono di colpo. La ragazzina era avvolta dal buio, il globo non illuminava nient'altro che non fosse il suo volto. Attese. Il bagliore azzurro sembrava provenire da un cristallo. La luce non era uniforme e si muoveva.
Strinse i denti, combatté la paura e con cautela si avvicinò. Quello che vide fu una pietra grezza e trasparente che conteneva migliaia di piccoli filamenti luminosi che si muovevano lentamente avvolgendosi gli uni agli altri. Non sapeva se essa era sospesa nel nulla, il buio era avvolgente ed inghiottiva ogni minima luce.
Sapeva che non era prudente, sapeva che era un rischio, che poteva nascondere chissà quale stregoneria, ma Ferah allungò una mano e con la punta di un dito toccò la fredda pietra.
Freddo. Sentì migliaia di aghi penetrarle nella carne, mentre una luce bianca la sommergeva, bloccandole il respiro, togliendole aria, fermandole il cuore. Ferah spalancò gli occhi pieni di paura ed urlò. La terra iniziò a tremare, e poco dopo non sentì più nulla sotto i suoi piedi, tutto quello che provò fu dolore. Le sue piccole mani erano appoggiate sul cuore, in cerca di un battito ormai silenzioso. I suoi muscoli erano tesi in uno spasmo e gli occhi colmi di lacrime. Il ghiaccio le scorreva nelle vene, le vene di un corpo morto. La testa divenne leggera ed il mondo attorno a lei iniziò a roteare vorticosamente. I timpani parvero scoppiare, perse il controllo delle sue membra; non le sentiva più. L'aria era scomparsa, non riempiva i polmoni da troppo tempo, gli aghi nella carne non facevano più male, il freddo era solo una piacevole sensazione che andò svanendo.
Ferah morì avvolta dalla luce, cullata dal freddo, sola.

Del venne investito da un'onda di luce che lo scaraventò fuori dalla caverna nella quale si era addentrato per cercare Ferah.
-Fer!- urlò con tutto il fiato che aveva in corpo. In tutta la sua breve vita, sette anni, non si era mai sentito così. Prese a correre nell'oscurità, si inoltrò nella grotta mentre le pareti cominciavano a brillare di un bagliore azzurro. Corse a perdifiato, cadde e si rialzò senza badare alle ginocchia sbucciate, urlò quel nome finché la voce non se ne andò. Si graffiò le spalle, le braccia, le mani. Corse verso di lei, verso l'urlo che aveva preceduto l'onda, verso il fondo della caverna.
-Fer! Dove sei?- gridò disperatamente. Nessuna risposta. -Fer! Rispondimi, ti prego!-
Il cunicolo stretto sbucò in una grande sala circolare illuminata da innumerevoli rami di luce che avvolgevano il soffitto alto e ricco di gemme. La terra non era più terra, erano piastrelle dagli intricati motivi, ed al centro, su un piedistallo di roccia grigia, vi era una pietra che emanava luce. Gli occhi di Del caddero sul corpo della ragazzina, disteso a terra, con le mani poste sul cuore. Si avvicinò e si chinò su di lei. Occhi di ghiaccio lo fissavano spalancati e terrorizzati.
-Oddio, Fer.- tentò di scuoterla. La prese per le spalle e la mosse in attesa di un risveglio. -Fer … -
-Fer … - Grosse lacrime calde caddero sui vestiti di Ferah.
Del mise la propria mano sotto quelle ghiacchiate della ragazzina in cerca di un battito, di un respiro. Il corpo rimase immobile, gli occhi di ghiaccio fissi su un punto inesistente.
-Ferah.- mugolò.
Il ragazzino allora la abbracciò e la tenne stretta a sé, come un vero fratello avrebbe fatto.
Rimase sdraiato accanto alla sorella, tenendo il suo corpo privo di vita vicino a lui, vicino al suo cuore.

Secondi, minuti, ore, o forse giorni. Il corpo di Ferah iniziò a brillare. Del non la lasciò. La luce proveniente dalla pelle della ragazzina pulsò qualche volta e per un attimo si spense.
Del non se ne rese quasi conto. Un'onda di energia lo spinse via facendolo sbattere contro una parete della sala.
Stordito si rialzò. Corse di nuovo verso sua sorella e quando la toccò, un'altra onda lo scaraventò lontano dal corpo. Piangendo riprovò, e questa volta la luce lo investì e lo spinse via talmente violentemente da farlo arrivare davanti all'entrata della grotta.
Del venne ritrovato ricoperto di sangue, le braccia graffiate, le gambe piene di tagli, il volto tumefatto. L'energia che lo aveva spinto l'aveva colpito con troppa potenza.
Per fortuna riuscì a sopravvivere, e dopo un mese aveva ripreso a stare in piedi.
Dopo aver raccontato tutto l'accaduto, un gruppo di anziani si diresse in cerca di tale grotta, ma quando la trovarono, la sala era scomparsa; il cunicolo si chiudeva su una parete di roccia scura.
Si pensò quindi di incolpare della scomparsa di Ferah una bestia misteriosa; nessuno credeva a Del ed alla storia della caverna. Non avevano prove, dopotutto.

Il cadavere della ragazza rimase immutato nella camera, pallido, freddo. Da quando Del era stato scaraventato via, le luci avevano iniziato a cambiare. Piccoli filamenti azzurri iniziarono ad allungarsi dalla pietra fino a Ferah. Crescevano velocemente, come radici sottili, e circondavano la figura distesa sul pavimento. Iniziarono a penetrarle sotto la pelle, nei muscoli, nelle vene. Il corpicino divenne presto luminescente, gli occhi si colorarono di un blu talmente intenso da sembrare pietre preziose. I capelli si allungarono, le gambe si fecero più forti, le braccia si irrobustirono. Il corpo cambiava lentamente, poco a poco si trasformava. Eppure, il viso da bambina rimase, Ferah cambiava dentro, ma fuori era sempre la stessa ragazzina pallida. I filamenti iniziarono a ricoprire l'intero pavimento della sala, per poi colorare anche il soffitto e fondersi con le altre luci.
Il tempo passava, il corpo si conservava, le luci si moltiplicavano.

Ogni anno, Del lasciava davanti alla caverna un mazzo di fiori rosa in ricordo della sorella. I genitori lo lasciavano fare, e lui aveva resistito a chi gli diceva che tutto l'accaduto fosse solo un sogno fatto dopo che la bestia lo aveva attaccato. Nessuno aveva mai sentito parlare di qualche pietra magica, o aveva trovato qualcosa dentro alla grotta. Pochi si erano avventurati dentro il cunicolo, ma nessuno trovò mai la sala. Dicevano che la galleria finiva davanti ad un muro di roccia scura, nessun'altra uscita, nessun tunnel, nulla.
Del non era più entrato. Ne era terrorizzato. Aveva paura di ciò che avrebbe potuto trovare; se fosse arrivato alla sala avrebbe trovato il corpo di sua sorella, se si fosse trovato davanti al muro di roccia avrebbe avuto la conferma che erano stati attaccati davvero da un animale. Nessuna delle due strade era meglio del non sapere.
Per il suo tredicesimo compleanno, Del lasciò come al solito i fiori davanti alla grotta. Qualcosa, però, non era come tutti gli altri anni; l'erba, di un verde acceso, ora cresceva anche all'interno della galleria, e le piante in fiore ricoprivano le pareti.
Per un attimo, vide un guizzo di luce azzurra passare sui petali bianchi di un fiore cresciuto sulla soglia dell'entrata.
Lasciò il mazzetto rosa a terra e tornò al villaggio, confuso e spaventato. Era solo uno scherzo della sua mente, non poteva essere vero, si disse.

Sei, dieci, o cento anni; il tempo non contava. Il corpo di Ferah giacque tra le luci per il tempo dovuto.
Dalla pietra trasparente, un tentacolo luminoso si innalzò verso l'alto, divenne sempre più grande ed iniziò a pulsare. Il ritmo era regolare, era il suono di un cuore. Erano battiti calmi, ovattati.
Il tentacolo si piegò lentamente finché la sua punta non fu sopra il corpo di Ferah.
Si bloccò per un attimo, le pupille si rovesciarono.
Il tentacolo allora penetrò nel suo petto come un fiume, la invase, riempì ogni parte di lei. Presto Ferah prese un colorito più roseo, la sua pelle si fece calda.
Mancava solo un suono, mancava il suo cuore.
Un solo, forte, battito rimbombò nelle sue orecchie, e poi, tutto fu luce.

Azzurro. Calore. Erba. Fiori.
Dolore. Vita.
L'aria entrava regolarmente nei suoi polmoni, era fresca, profumata. Il sangue circolava nelle sue vene, il mondo non girava più vorticosamente attorno a lei.
Ferah si mosse, i muscoli le risposero pronti, come se si fosse allenata per una vita. Si levò a sedere e si guardò attorno. La caverna alle sue spalle appariva buia come quando vi era entrata, ma ora piante di ogni genere crescevano rigogliose davanti ad essa. Cercò di mettersi in piedi, ma quando appoggiò una mano a terra, trovò uno strano mazzetto di fiori rosa.
"A Ferah. Del." era scritto su un pezzetto di stoffa attaccato ad uno stelo con un nastrino rosso.
-Del!- urlò. Improvvisamente ricordò tutto, e con grande felicità si alzò. Era viva. Del doveva essere lì da qualche parte, l'aveva aspettata all'entrata della grotta.
-Del, dove sei?- Cominciò a cercare il fratello, ma non ottenne risposta. Forse era tornato a casa, pensò.
Corse; era più veloce del solito. Sfrecciava agile tra gli arbusti, che ricordava stranamente più bassi, superò il ruscello a grandi balzi, e finalmente si trovò davanti all'entrata del villaggio. Era più grigio di come lo aveva sempre visto, tutti sembravano più stanchi, le case più rovinate, gli alberi più grossi. Entrò in cerca di Del.
La casa in cui abitava era vuota, tutti gli oggetti che vi erano dentro avevano cambiato posizione, i suoi genitori erano via, probabilmente. La sua cameretta era stata riempita come se fosse un magazzino, libri, attrezzi, sacche, e piccoli oggetti erano disposti caoticamente gli uni sugli altri. Perché? Era forse uno scherzo di Del? Se così era, non lo trovava per niente divertente.
Uscì, forse suo fratello era nel loro nascondiglio segreto; nella casetta vicino al campo di fragole.

Del passava gran parte del suo tempo nel nascondiglio, le ricordava Ferah, ma non si sentiva triste, era felice di rimanere tra quelle quattro pareti di legno malconcio.
Un rumore di erba calpestata lo riscosse dai pensieri. Chi poteva essere? Nessuno si avvicinava mai alla casetta … forse un animale.
I passi si i passi si fecero sempre più vicini e veloci, e Del si ritrovò ad aver paura. Si alzò di scatto ed attese, più lontano possibile dalla porta. Con un colpo seccò essa si spalancò. Una vocina tremendamente familiare urlò il suo nome.
-Del!- disse la piccola entrando. -Eccot …-
Cosa gli era successo? Era … cresciuto. I capelli che teneva lunghi ora erano corti e più scuri, il suo viso si era allungato, era alto. Alto quasi un braccio più di lei. Era magro, portava una tunica nera da mago.
-Tu … tu non sei Del.- Il ragazzo non rispose.
Una bambina di sette anni era entrata di colpo, ma quella non era una bambina qualunque, quella era sua sorella. La sorella che aveva visto morta sul pavimento della caverna sei anni fa. Colei in onore della quale portava i fiori alla caverna, come aveva appena fatto.
Ferah lo fissava con grandi, smarriti, occhi blu oceano.
Il ragazzo non li ricordava così, eppure era lei. Sembrava diversa, ma allo stesso tempo era uguale a come l'aveva lasciata.
-Sei Del, vero?- disse spaventata.
-Tu...-
Ferah cominciò ad avanzare lentamente verso di lui.
-Stammi lontano. Tu sei morta.- Disse Del, mentre un brivido lo percorreva da capo a piedi. Possibile che la sua mente potesse essere così potente? Quella bambina non esisteva nella realtà, non poteva, erano passati sei anni e non era cresciuta neanche di un millimetro, i lineamenti erano sempre quelli.
-Io … cosa? Io sono viva Del! Come posso essere morta?-
-Vattene.- disse il ragazzo alzando la voce. -Ho visto il tuo cadavere. Non respiravi, il tuo cuore non batteva.-
-Cosa? Ma non ricordi? Mi stavi aspettando fuori dalla caverna! Non volevi entrare, e poi … sei sparito e mi hai lasciato un mazzo di fiori.-
-Io ti ho vista. Nella camera.-
-Del, sei diverso. Sei … grande.-
-Fer- pronunciare quel nome fu come ricevere una pugnalata al cuore. -Ferah, tu sei morta sei anni fa. Tu non sei reale. Vattene!-
La ragazzina rimase immobile mentre il suo cuore perdeva un battito.
-Del ma che stai dicendo? Che scherzo è questo?-
-Vattene!-
-No!- gli corse incontro, gli saltò addosso e gli avvolse le braccia attorno al collo piangendo. -Del smettila, ho paura.-
D'istinto, il ragazzo la prese in braccio e la strinse forte a sé.
Non sapeva cosa fare, cosa provare. Non distingueva più la realtà dai sogni. Eppure il suo corpicino era tra le sue braccia, i suoi morbidi capelli dorati che arrivavano fino alle ginocchia erano gli stessi, forse più lunghi, e la sua voce era rimasta invariata.
Calde lacrime iniziarono a scendere dagli occhi di Del.
-Quanti anni hai, Fer?-
-Sette.-

-Aspetta qui. Non muoverti, non dire nulla. Va bene?-
-Sì- fece Ferah sedendosi sul letto di suo fratello.
Del chiuse la porta ed andò ad aprire ai genitori. Sua madre lavorava in una bottega di un ricco signore, mentre suo padre faceva il contadino lavorando in terreni altrui. Tutti i giorni rientravano a casa stanchi e sfiniti, ma quel giorno la loro casetta era diversa, c'era qualcosa nell'aria, nell'espressione del figlio. Non avevano molto denaro; i sacrifici per crescere Del erano sempre di più, ogni anno. Per mandarlo a studiare magia avevano dovuto vendere gran parte degli oggetti preziosi che possedevano.
Ferah sentì Del parlare con suo padre e poi con sua madre. Non riusciva a distinguere le parole, parlavano a voce bassa. Poco dopo la porta si aprì lentamente.
Erano diversi. I capelli di suo padre erano bianchi, numerose rughe solcavano il suo volto, una lunga cicatrice percorreva la sua fronte fino all'occhio destro. Sua madre era terribilmente magra, i capelli si erano accorciati, gli occhi erano circondati da grandi occhiaie.
La donna si portò le mani al viso e spalancò gli occhi. Il padre rimase immobile a fissare la creatura seduta sul letto.
Ferah li guardò preoccupata. Aveva fatto qualcosa di sbagliato? Quanto avrebbe voluto abbracciarli forte … ma si fidava di Del, così rimase ferma ed attese.
-No.- disse la madre con un filo di voce.
-La voglio fuori di qui. Ora!- tuonò suo padre mentre Ferah iniziava a piangere.
-Mamma, papà. Sono io! Sono Fer!-
-Non ci credevo neppure io! Aspettate…- cercò di dire Del.
-Fuori!-
Ferah si alzò. -Papà!-
-Del hai visto i suoi occhi? Nessun essere umano ha quegli occhi! Ferah aveva gli occhi grigi. Ora mandala via di qui!-
-No! E' lei, lo giuro.-
-Del! Fai come ti ho detto!- urlò, rosso dalla rabbia.
Ferah corse verso la madre e le prese le mani.
-Mamma, sono io. Non ti ricordi?- la donna scoppiò in lacrime e con una mano tremante le accarezzò i capelli. Ferah sorrise.
-Non ricorda nulla, è come se non fossero mai passati questi sei anni.-
-Del, portala via!- urlò il padre avvicinandosi minacciosamente.
-No! Non vedi? E' tua figlia dannazione!-
-Mia figlia è scomparsa, ora avrebbe la tua età ed ha gli occhi grigi. Guardala! Non esiste in natura quel colore!-
L'uomo pieno di rabbia prese un braccio della ragazzina e la allontanò dalla madre.
-No!- gridarono Ferah e Del all'unisono.
Con forza bruta il padre di Ferah la trascinò vicino alla porta mentre Del tentava inutilmente di fermarlo.
-E se fosse lei?- gli urlò il ragazzo. L'uomo si bloccò e squadrò la bambina in lacrime davanti a sè. Era uguale a Ferah, tranne per gli occhi. Il blu era così intenso da sembrare quasi luminescente.
-Papà … - disse Ferah con la voce rotta dai singhiozzi.
-Dove l'hai trovata?- chiese l'uomo.
-Lei ha trovato me, è venuta a cercarmi nel nostro vecchio nascondiglio segreto.-
Poco a poco la rabbia del padre sembrò svanire, e la presa sul braccio della figlia si allentò.
-Chiedile qualcosa che può sapere solo lei, se non ti fidi.-
Ma prima che potesse rispondere, l'uomo si staccò dalla ragazzina lanciando un urlo di dolore. Laddove era posta prima la sua robusta mano, ora la pelle di Ferah brillava d'azzurro.
-Mostro! Tu non sei mia figlia!- urlò tenendosi la mano dal palmo annerito. Del non disse nulla e fissò la scena a bocca aperta. La madre corse verso il marito per verificare la gravità del danno.
-Io … io non volevo, davvero!-
-Esci da qui! Vattene!- l'uomo stava usando tutto il fiato in corpo per urlare a quella piccola creatura in lacrime di fronte a lui. La prese per i capelli e la trascinò fuori dalla casetta. Ferah cadde in ginocchio, la vista appannata dalle lacrime. Quello che lei cominciava a non considerar più suo padre ritornò dentro chiudendosi la porta alle spalle con violenza. Urla, grida, voci le une sulle altre. Il cielo aveva preso una sfumatura sempre più scura, fino a diventare quasi nero. Luci calde provenivano dalle finestre delle abitazioni, e qualcuno si era affacciato alla porta per vedere cosa stava accadendo. Ferah si alzò, iniziò a correre verso l'uscita del villaggio, e senza badare a chi la guardava sconvolto, a chi le urlava di fermarsi, raggiunse presto il sentiero che si inoltrava nella foresta.

Camminò finche le gambe non smisero di reggerla, non sapeva verso dove, né cosa cercare, doveva solo andarsene dal villaggio. Quando la fame si fece sentire si accontentò dei frutti che in quel periodo crescevano numerosi sulle fronde verdeggianti degli alberi. Dormiva dove capitava, zone riparate da arbusti o alberi.
Il sentiero si esaurì presto, così Ferah vagava sola nella foresta senza alcun punto di riferimento.
Era la decima, o forse nona notte, quando un rumore lontano di foglie calpestate la svegliò. Ferah aguzzò la vista. All'improvviso fu giorno, eppure il cielo era ancora grigio e la luna piena brillava al posto del sole. Da quando poteva veder nell'oscurità?
Un ringhio la riscosse dai pensieri. I passi si avvicinavano, silenziosi, le venivano incontro celandosi nell'ombra. Un ringhio più vicino la fece rabbrividire. Lei rimase immobile, pronta all'attacco. Silenzio.
La bestia le saltò addosso con le fauci spalancate; un enorme lupo dalle zampe ricoperte da squame e provviste di lungi artigli, sulla sua schiena una fila di lunghi aculei e in bocca canini affilati come quelli di una vipera risplendevano argentei alla luce lunare. Ferah scattò veloce, evitando di finire sotto la presa dell'animale. Agile si rialzò, e con un balzo gli fu alle spalle. Senza paura, afferrò un aculeo alla base e ruotò il polso. Non pensava di possedere tutta quella forza; l'aculeo si spezzò facendo guaire per un secondo il mostro. La bestia si riversò su di lei, ma con sua sorpresa, sotto le sue possenti zampe non vi era la bambina. Ferah, che al momento era riuscita a scivolargli sotto, piantò l'aculeo nel ventre dell'animale. Nello stesso istante una luce esplose dalla mano della ragazzina. Il lupo venne scaraventato contro un tronco e si accasciò morto su se stesso.
Da allora Ferah aveva tentato di controllare i propri poteri; si allenava, cercava di capire cosa era cambiato in lei. Da quando combattere animali feroci era una delle sue abilità?
Dopo giorni e giorni di vagabondaggio, Ferah giunse alle porte di un'enorme città. Tutto era fatto di uno strano cristallo dalle sfumature rosee; riuscì a capire che gli abitanti lo chiamavano "Elora".
Davanti ad una gigantesca piazza lastricata di bianco, troneggiava una torre di Elora alta circa centocinquanta braccia. Dietro ad essa il lastricato continuava fino al mare e si immergeva nelle sue profondità.
Ferah si offrì come aiutante in molte botteghe, ma nessuno voleva una bambina di sette anni, così le diedero un lavoretto nei pressi delle cave di estrazione dei cristalli. Le sue mansioni cambiavano di giorno in giorno; qualche volta doveva aiutare a trasportare grandi carichi, altre doveva pulire, riempire secchi.
La notte dormiva assieme ad altri ragazzini che lavoravano assieme a lei. Erano soprattutto orfani, figli di poveri che per poter mangiare dovevano sgobbare come animali da mattina a sera.
Inoltre, non erano tutti umani quelli che lavoravano alla cava, anzi, la maggior parte degli operai erano sirenidi. Gli scontri tra le due razze erano all'ordine del giorno, vi era sempre un motivo per iniziare un litigio.
Gli anni passarono, Ferah cresceva, e gli scontri si facevano sempre più violenti. Sette anni dopo il suo arrivo, Ferah viveva ancora con gli stessi compagni nella casa abbandonata vicino alla scogliera. Aveva stretto un forte rapporto di amicizia anche con diverse sirenidi, le avevano insegnato a nuotare più velocemente, le avevano mostrato il loro mondo sottomarino. Andare sott'acqua senza dover prendere fiato ogni minuto era una sensazione indescrivibile; la magia la dotava di un paio di branchie temporanee che le spuntavano poco prima delle orecchie, poco sotto le tempie. Era Aiwa, una sirenide di sedici anni, molto dotata nel campo della magia, che le praticava gli incantesimi. Strinsero amicizia, e presto il loro rapporto divenne un forte legame. Ogni mattina Aiwa aspettava Ferah, ormai quattordicenne, seduta sulla scogliera, per insegnarle piccoli incantesimi per controllare l'acqua. Intanto Ferah le mostrava i poteri che cercava di tenere sotto controllo da anni. Non le era più capitato di doverli usare, così doveva tenersi allenata per non lasciare che prendessero il sopravvento.

Durante l'inverno del suo quindicesimo anno, gli scontri tra le due razze degenerarono in una vera e propria guerra tra terra e mare. Il primo attacco arrivò dal mare dopo che dopo il crollo di un enorme masso nella cava aveva provocato la morte di tre giovani sirenidi; un'onda d'acqua si abbatté sulla città provocando numerose vittime, tra le quali comparivano anche alcuni inviati di Quareon, il Grande Re dei Territori. Quareon, un uomo carismatico ed ambizioso aveva conquistato tutti i Territori trent'anni fa, aiutando il padre caduto in battaglia, l'ultima prima del trionfo. Il suo enorme palazzo era posto nei Territori d'Occidente nella mastodontica città di Draelia, ma utilizzava i suoi cavalieri più valorosi per tener sotto controllo ogni città del continente.
Quando il Grande Re venne a sapere della perdita di Lareon, il cavaliere di Asidi, mandò un esercito di guerrieri e maghi pronti a contrastare l'attacco delle sirenidi.
Ferah, che assisteva quotidianamente a come gli umani trattavano l'altra razza, si mise dalla parte delle sirenidi, pronta a difendere Aiwa ed il suo popolo. La città in risposta al primo attacco, distrusse le abitazioni sottomarine con enormi catapulte che potevano scagliare enormi massi a quasi mezzo miglio di distanza, se aiutate dalla magia. L'esercito di Quareon arrivò e lo scontro si fece più vivo che mai. I guerrieri attaccarono all'alba di una fredda giornata nuvolosa, ma ancora nessuno era giunto nei pressi della scogliera.
Ferah e gli altri ragazzi si rifugiarono nella casetta nascosta tra alberi e scogli, sperando che nessuno li trovasse. Aiwa le aveva promesso di allontanarsi dalla costa per qualche mese, in modo da stare al sicuro finché la situazione non si sarebbe placata. Verso il quarto giorno di battaglia una decina di uomini si avvicinarono pericolosamente al loro nascondiglio. Anche l'uomo da cui prendevano ordini alla cava stava combattendo con gli umani. Ferah era terrorizzata; se avesse detto a qualcuno della sua amicizia con le sirenidi, l'avrebbero considerata un nemico.
Non le rimaneva che sperare.

Era notte fonda, il cibo scarseggiava, e nella casa i sei ragazzi si alternavano per far la guardia mentre gli altri dormivano. Durante il turno di riposo di Ferah, due ragazzi se ne stavano silenziosi vicino alle finestre, le orecchie tese e gli occhi fissi nel buio, stanchi dal freddo e dall'oscurità. Le foglie si mossero, e tre ombre avanzarono verso la casetta. Mentre i ragazzi tentavano di svegliare tutti, la porta si spalancò ed entrò un'enorme figura dall'armatura lucente. Ferah scattò in piedi, pronta ad attaccare.
-L'abbiamo trovata!- urlò l'uomo. A quelle parole, altri due uomini entrarono sguainando lunghe spade.
-Loro non c'entrano!- disse la ragazza. I tre risero e l'afferrarono, scaraventandola fuori.
-Avanti, fammi divertire, là fuori non c'è nulla da fare!- fece lui alzando la spada
-Lasciateli stare!- ma la spada aveva già iniziato a scendere verso di lei. Ferah rotolò su un fianco, si rialzò con un salto e si concentrò. Un lampo. L'uomo si ritrovo a qualche braccio da lei, supino, a terra. Mentre tentava di rimettersi in piedi, la ragazza corse nella casa. Nefral, il ragazzo più grande, stava trattenendo gli energumeni con un debole incantesimo, mentre gli altri tentavano di scappare dalle finestre. La barriera creata dal ragazzo si infranse dopo pochi secondi e la spada del guerriero cadde sul suo collo. Nefral urlò prima di accasciarsi contro una parete. Una risata riempì la stanza per un momento, mentre il guerriero dava un calcio al corpo privo di vita.
-Bastardo!- Ferah gli si avventò addosso scaraventandolo a terra. Con un piede fece scivolare lontano la spada del suo nemico, le mani si posizionarono sul collo e strinsero sempre più forte. L'uomo si dimenava, sconcertato dalla potenza di una ragazzina. Le sue mani non le facevano nulla, i pugni che pian piano si indebolivano non li sentiva nemmeno, tutto quello che Ferah voleva era sentire che la morte lo avvolgeva, lo portava via da quel mondo.
Le sue dita divennero luminose, ed il corpo che teneva a terra smise di contorcersi.
Mancava l'ultimo uomo; stava ancora rincorrendo gli altri quattro ragazzi. Ferah lo raggiunse e, prima che lui se ne potesse accorgere, venne gettato in acqua da un tentacolo di luce azzurra.
I quattro ragazzi rimasero a guardarla mentre calde lacrime solcavano il suo volto. Non disse nulla, si voltò e tornò da Nefral.
Il primo uomo si era rimesso in sesto ed ora la stava cercando nella casa. Non le importava, lo toccò per un attimo e la luce fece il resto.
La ragazza rimase in silenzio, in ginocchio davanti all'amico.

Quando l'alba iniziò a rischiarare il cielo, Ferah prese un coltellino da ciò che rimaneva della casa, una spada di uno degli uomini, e portò Nefral in braccio fuori dal luogo della sua morte. Si allontanò dalla scogliera finché non giunse davanti ad un enorme albero dal largo tronco chiaro. Posò il ragazzo sul terreno ghiacciato ed iniziò a scavare aiutandosi con la spada. Lavorò per ore, pianse in silenzio, scaricò un poco della propria rabbia contro la terra. Gli altri ragazzi la trovarono quando il sole pallido era alto in cielo, per quanto alto possa essere d'inverno.
Quando la buca fu abbastanza grande, vi adagiò Nefral, e con l'aiuto di un ragazzo poco più grande di lei, ricoprirono il corpo.
Saith, una ragazzina dai capelli rossicci, si avvicinò al tumulo di terra, vi poggiò una mano, e con la voce rotta dal pianto mormorò:
-Ti amo.-
Il dolore, l'irritazione, la rabbia che ribollivano nel cuore di Ferah erano inimmaginabili. Nefral aveva appena diciotto anni, era giovane, troppo per morire così.
Nefral se n'era andato per colpa sua, lei lo aveva ucciso, era lei che volevano, non lui.
Ferah prese il coltellino e con colpi decisi incise la corteccia dell'albero; "Nefral, morto per i propri compagni".
Era sera ormai, Saith era rimasta seduta sulla tomba a piangere, così Ferah le aveva dato il proprio mantello per coprirsi. Vederla così era la peggior tortura che potessero infliggerle.

Quella notte, un boato scosse la terra, fece tremare la torre, spaccò le pietre, fece crollare ciò che rimaneva della casetta. Dalla scogliera i ragazzi videro una fiammata salire ed allungarsi verso il cielo, mentre migliaia di persone gridavano disperate.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Ferah si alzò e si diresse verso Asidi.
Sentiva la luce scorrerle nelle vene, il potere, ed anche se non fosse bastato, avrebbe fatto qualcosa. Ciò che si trovò davanti fu la distruzione. Fiamme ovunque, macerie, corpi ogni dove. Sangue macchiava il lastricato bianco, fuoco anneriva le strade. Ferah non poteva più contenere la sua rabbia; strinse i pugni ed una sensazione piacevole la pervase da capo a piedi.
Un lampo azzurro illuminò l'intera città, arrivando fino al mare, sui fondali. Un'onda d'aria si allargò attorno alla ragazza investendo ogni cosa, spegnendo i fuochi magici, buttando a terra i pochi rimasti, scuotendo gli alberi spogli e sollevando polvere bianca e rosea di cristallo. Tutto era immobile, solo il rumore delle onde aveva il coraggio di farsi sentire.
Ferah corse verso il mare arrestandosi di colpo con i palmi rivolti verso l'alto. Migliaia di fulmini crearono una parete di fronte a lei, sul limite tra terra e acqua. Poco a poco si fecero sempre più piccoli, finché non sparirono completamente.
-Ehi!- un gruppo di uomini le corse incontro, le armi sguainate ed i visi furiosi. Ferah rimase immobile finché non le furono ad un braccio di distanza, ed allora scoppiò un altro lampo che durò una decina di secondi. Nella luce più totale, la ragazza disarmava i guerrieri, li gettava a terra, li feriva con le sue mani.
Quando il lampo scomparve, sette corpi si trovavano ai suoi piedi. Erano tutti uomini di Quareon.
Una ad una, le porte delle case rimaste in piedi si aprirono, uomini e donne uscirono in strada per vedere cosa era successo. Davanti a loro videro una ragazza dagli occhi talmente blu da risplendere, attorno a lei vi erano sette corpi. I più si spaventarono; poteva essere una maga inviata dalle sirenidi.
-Possiamo porre fine a questa guerra.- disse lei a voce alta.
Un vociare confuso proveniva dalla folla che poco a poco si avvicinava sospettosa. Ad un tratto, Ferah vide che tutti stavano rivolgendo uno sguardo terrorizzato alle sue spalle. Un'enorme onda si stava muovendo verso la città. La ragazza non si mosse. Con un tonfo fragoroso, la massa d'acqua si bloccò laddove prima si erano generati i fulmini.
-Vi è una barriera. Nulla potrà passarvi attraverso se non chi l'ha creata. Aggirarla non serve, la magia non può nulla contro di essa.-
La folla rimase immobile davanti a lei, in silenzio.
-Dobbiamo fermare questa guerra! Nemmeno la volevamo, sono stati i lavoratori delle cave a scatenarla!- si fece avanti un uomo sulla trentina.
Ferah lo sapeva. Chi aveva voluto lo scontro era una minoranza della popolazione, e così è stato anche per le sirenidi. Ora però chi ci stava rimettendo erano giovani, donne, uomini, anziani che non avevano mai avuto a che fare con le cave.
-Possiamo fermare i nostri uomini, ma se le sirenidi non ci ascoltano?- fece una donna.
-Sarò io a parlare con loro. Andrò questa stessa notte.-
-Qual è il tuo nome ragazzina? Hai coraggio. Non puoi pretendere così tanta fiducia da noi, in fondo, quanti anni hai? Quindici? Non sappiamo abbastanza di te.-
-Il mio nome è Ferah. Ho lavorato per sette anni nelle cave. So come girano le cose, so chi è a capo di cosa, e, soprattutto, si fidano di me. Lasciatemi questa notte, tornerò domattina all'alba.-
Nessuno sembrò rispondere.
-Spargete la voce, fermate gli uomini di Quareon, e potremmo davvero porre fine a questa guerra.- -Sì- urlò lo stesso uomo di prima.
-Sì- urlarono all'unisono un piccolo gruppo di ragazzi.
-Sì!- urlò la folla.

L'incantesimo lo sapeva a memoria, ma farlo su sé stessa era più difficile che su un altro individuo. Dopo qualche tentativo sentì la pelle del viso tirare, si toccò i lati del volto e sotto le sue dita sentì ruvide branchie, simili a quelle delle sirenidi.
Decise di scendere lungo la discesa lastricata di pietre bianche. L'acqua era fredda, gelata. Il fondale era illuminato da migliaia di luci magiche; provenivano dalle abitazioni, dalla piazza in subbuglio. Quando la ragazza fu vicina abbastanza, alzò le mani e si fermò di fronte alle guardie che restavano immobili davanti alla porta del villaggio sottomarino.
-Ferma!- urlarono.
-Sono Ferah, vengo in pace, non sono con l'esercito degli umani. Sono qui solo per parlare.- cercò di dire lei; non era ancora abituata alla strana sensazione che faceva venire parlar sott'acqua.
-Sono una conoscente di Aiwa, nonché sua stretta amica.-
-Entra Ferah. Disse una voce da dietro la porta. Era il Capo del villaggio. Le ante si dischiusero per quel poco che bastava a farla passare.
-Cosa ci fai qui? E' pericoloso.-
-Ho eretto una barriera.- il sirenide la guardò, forse sospettoso. -Chi ha voluto la guerra erano gli operai delle cave, tutto il resto di Asidi vuole finirla. La città è ridotta male, ho chiesto loro di fermare gli uomini che ha inviato Quareon per attaccarvi. Tutto quello che dovreste fare è annullare ogni tipo di offensiva verso Asidi.-
-Non ci fidiamo degli umani, ci sfruttano, ci ricattano, rovinano le nostre case, le nostre vite.-
-Dopo questa guerra saliranno persone più sagge al potere. Quareon è lontano da qui … Asidi merita la pace, merita un vero consiglio, persone sapienti che la dirigano.-
-Su questo hai ragione, Ferah, vedrò cosa posso fare.-
-Ho bisogno della vostra parola, ve ne prego.-
-Avete la mia parola; tenteremo di fermare chiunque dei nostri che voglia attaccarvi. Ma sappi, mia giovane umana, che non sarà facile. Quareon lo verrà a sapere.-
-Quareon ora è l'ultima delle nostre preoccupazioni, se la guerra continuasse, non rimarrebbe nulla né di Asidi, né del vostro villaggio, Cerelia.-
-Spero tu possa avere successo, Ferah.-
-Grazie.-

Quando Ferah risalì in superficie, l'aria fredda le bloccò il respiro. Completamente fradicia cercò di trovare riparo il prima possibile. Per fortuna, qualcuno la vide tornare, così le portarono alcune coperte prima che svenisse per il freddo.
-Ha accettato.- disse la ragazza tremante. -Ha dato la sua parola,ma ricordate, è nella nostra stessa situazione. Spargete l'informazione, cercate più persone possibili. Ora dovete andare, gli uomini di Quareon saranno già pronti ad una nuova giornata di battaglia. Vi raggiungerò il prima possibile.-
Si udì qualche mormorio ed una donna la accompagnò in un'abitazione dove all'interno bruciava un fuocherello. Ferah vi si inginocchiò accanto cercando di scaldarsi le mani che ormai non sentiva più.
-Ecco, questi vestiti sonno asciutti.- le disse la donna posandole vicino un mucchietto di abiti scuri.
-Grazie.- si cambiò più in fretta possibile e si legò i lunghi capelli in una coda alta. Prima di ritornare fuori, fece un profondo respiro e chiuse gli occhi.
Nefral. Doveva farlo per lui.
Corse fuori dove i primi guerrieri avevano capito che era presente una barriera tra il loro mondo e quello delle sirenidi. Avevano chiamato i due incantatori che erano arrivati con loro ma non avevano potuto nulla contro il muro di forza. Ferah raggiunse la torre, sola in mezzo all'enorme piazza. Con passo deciso si diresse verso gli uomini, vicino alla riva. Quando la videro, sguainarono le spade, ed uno di loro le urlò:
-Sei tu!-
-Questa guerra è finita. I vostri servigi non sono più richiesti.- disse lei cercando di assumere un tono autoritario.
Qualcuno di loro rise. -Cosa?- chiese uno divertito.
-La guerra è terminata.- Poco a poco, Ferah sentiva gli abitanti di Asidi venire avanti dalle strade, portando spade, archi, armi improvvisate. Uomini per primi, poi donne, giovani, studenti di magia, contadini, operai.
-Ragazzina, non crederai forse di poter fermarci tu?- disse ridendo ed avvicinandosi facendo roteare la spada tra le mani.
-Oh, io e l'intera città.-
-Vedremo …- e con uno scatto fece roteare la spada su Ferah, che con grazia, schivò il colpo. Non aspettò un solo secondo, e mentre schivava il secondo fendente, fece esplodere un tentacolo di luce dalla sua mano. Esso si avvolse attorno alla spada dell'uomo e gliela strappò di mano. Ferah la prese, non era così pesante come si aspettava.
Si avvicinò pericolosamente a lui e, con la spada puntata sul tozzo collo dell'uomo, chiese:
-Allora? La guerra è finita o no?-
-Stupida ragazzina.- rise.
-Come preferite.- e dal suo braccio sentì scorrere energia fino alla spada riempiendola di luce azzurra. Uno scoppio e l'uomo venne scaraventato contro la barriera.
Arrivarono altri guerrieri di Quareon e Ferah si trovò circondata, un altro gruppo aveva iniziato ad attaccare i cittadini. Gli incantatori si fecero avanti e, con difficili formule, crearono una sfera di energia attorno alla ragazza. Poco a poco, le pareti iniziarono a restringersi, riducendo l'aria. Ferah chiuse gli occhi. Migliaia di saette azzurrine iniziavano a riempire lo spazio rimanente, si moltiplicavano, creavano una luce intensa. Ferah sorrideva.
Quando l'energia degli incantatori cominciò a sfiorarle la pelle, come una bolla, scoppiò. Saette, energia, colpirono chiunque si trovasse attorno a lei, le pietre candide sotto i suoi piedi si creparono, vento forte iniziò a soffiare.
Uno dei due maghi, il più giovane, era steso a terra e con lo sguardo smarrito stava cercando di rimettersi in piedi. Ferah lo prese per la tunica sbattendolo contro la barriera tra terra e mare. Lo sollevò dal suolo e con gli occhi stretti a due fessure chiese:
-Da chi prendete ordini?-
-Quareon.- sibilò lui, senza fiato.
-Non fare il furbo con me, chi vi dà gli ordini qui?-
-Ashral.-
-Dov'è?- il mago non rispose. Ferah gli poggiò la lama della spada sulla giugulare e chiese, più lentamente:
-Dove si trova ora?-
-La… la t-torre.- un lampo esplose dalla sua mano e il ragazzo cadde a terra, privo di sensi.
Scavalcando i corpi dei guerrieri, ritornò laddove la folla combatteva. Qualcuno cercò di attaccarla, ma nessun colpo andò a segno, e Ferah si confuse tra la folla.
La torre, completamente fatta di Elora, riluceva al timido sole mattutino. Doveva andare da sola; non voleva portare qualcun altro in un edificio pieno di guardie.
Si fermò davanti al portone in metallo, pose una mano dove le due ante si univano ed un piccolo filo di luce s'intrufolò nella serratura. Decine, se non centinaia di scatti metallici risuonarono nel frastuono della battaglia. Con un cigolio, il portone si aprì quel poco per permetterle di entrare. Nella saletta prima delle scale due guardie la guardavano impugnando massicce asce, pronti ad attaccare. Ferah, senza muovere un muscolo, disse con voce ferma:
-Sono venuta per parlare con Ashral.-
Gli uomini fecero come se non avesse detto nulla. Si avvicinarono, le asce puntate in avanti. Ferah prese quindi la spada che ancora aveva con sé e, tenendola dalla parte delle lama, con molta attenzione, la porse ad una delle guardie.
-Tu sei la ragazzina che sta con il nemico, vero? Chissà perché non ti hanno ancora fatta fuori … - disse lui prendendole l'arma di mano.
-Io non voglio la guerra. Ecco con chi sto, con chi rifiuta gli scontri.-
-Vattene prima che tu faccia una brutta fine.-
-No.-
-Esci!-
-No!-
-Brutta insolente … - mentre uno dei due stava per attaccare, l'altro lo bloccò.
-Vuole parlare con Ashral, lui saprà che farne, giusto?-
Ferah pensava che le guardie venissero scelte con un poco più di intelligenza, ma quello con l'ascia ancora in aria si fermò e sorrise al compagno come se avesse avuto l'illuminazione del secolo. Sarebbe stato più facile del previsto arrivare da Ashral scortata da due guardie brillanti come loro.
Rimisero l'ascia dietro la schiena e con la delicatezza che solo un Golem avrebbe avuto, le legarono le mani e controllarono che non possedesse altre armi. Il primo la trascinava per una scalinata che saliva fino in cima alla torre, mentre il secondo li seguiva.
-Vedrai che faccia farà Ashral!- L'altro rise e Ferah non poté fare altro che sopportare loro e le loro acute battute su di lei fino in cima.
Quando giunsero davanti alla porta in legno massiccio che chiudeva la scala, le due guardie bussarono.
-Avanti.- fece una voce calda.
I due aprirono e Ferah si trovò in una lussuosa stanzetta dove il colore rosso prevaleva su ogni cosa. Pesanti tende di un rosso cupo pendevano dal soffitto, il tappeto di un color bordeaux ricopriva l'intero pavimento, cuscini e divanetti erano posti lungo tutto il perimetro circolare della camera. Una scrivania in legno scuro era posta davanti alla finestra che dava sul mare.
Un uomo piuttosto giovane dai capelli biondo platino e gli occhi azzurri se ne stava seduto consultando diverse cartine dei Territori d'Oriente. Quando levò lo sguardo su Ferah, si alzò e con un poco di preoccupazione, urlò:
-Siete impazziti?- la ragazza sorrise e le due guardie vennero colpite da un lampo che le fece accasciare a terra svenute.
-Salve.- disse Ferah tornando seria.
-Cosa vuoi?-
-Vedo che anche se siete un valoroso cavaliere di Quareon, le buone maniere mancano … In ogni caso, ciò che vengo a chiedervi, ciò che il popolo di Asidi e delle sirenidi chiede, è la pace. Ritirate i vostri uomini, lasciate la città.-
-Ho degli ordini che devo seguire, finché il popolo delle sirenidi non sarà distrutto, non potrò lasciare questo luogo.-
-Sono venuta fin qui per un motivo, avrei preferito che non tutto l'esercito dovesse morire affinché si ritiri. Ma a quanto pare ha a capo un uomo fedele al proprio sovrano, tanto da distruggere le vite dei sudditi.-
-Ho visto cosa puoi fare.-
-Sarebbe un motivo in più per non mettervi contro il popolo allora.- Ashral estrasse la sua lucente spada dal fodero e la tenne puntata verso terra.
-Davvero? Siete veramente disposto a sacrificare tutti gli uomini che avete?- disse la ragazza avvicinandosi.
-Per Quareon, questo ed altro.-
Ferah fece comparire un globo luminoso sulla propria mano.
-Solo questa piccola luce sarebbe in grado di atterrarvi, se non uccidervi. Siete ancora in tempo per ritirarvi.-
-Smettila!- Urlò togliendosi il mantello di velluto nero ed alzando la spada.
-Come preferite.- il globo cominciò a crescere sul palmo della sua mano.
Ashral partì all'attacco e prima che potesse avvicinarsi alla ragazzina, il globo esplose un una miriade di scintille azzurre spingendo l'uomo contro l'enorme finestra che immediatamente andò in frantumi.
Il cavaliere sembrò precipitare nel vuoto, ma con una mano, riuscì ad aggrapparsi al davanzale in Elora. La battaglia si era fermata per assistere alla scena. Ferah corse verso di lui.
-Ritiro gli uomini! Li manderò via da qui!- urlava disperato al vento.
-Ho la vostra parola, Ashral?-
-Certo, certo … Ora aiutami.- Ferah, seppur riluttante all'idea, offrì la propria mano all'uomo. Lui l'afferrò con forza, ed invece di issarsi sul davanzale, diede uno strattone che fece sbilanciare la ragazza. Ferah si ritrovò appesa al polso dell'uomo, ad un centinaio di braccia da terra.
-La tua parola, vero bastardo?- disse la ragazza prima che la sua mano diventasse luminosa e che Ashral lasciasse la presa. Entrambi caddero nel vuoto sotto gli occhi sconvolti della folla. Il suolo veniva loro incontro veloce e spietato. Ferah tese le mani verso terra e ne fece uscire lunghi tentacoli che penetrarono nella candida roccia come radici di un albero. Poco a poco si irrobustirono finché la sua caduta non venne rallentata.
Uno schiocco secco. Ashral cadde sulla pietra.
Avvolta dalla luce, la ragazzina atterrò, e con una capriola attutì il colpo.
Quando si rialzò in piedi, la folla scoppiò in un boato.







Salve, finalmente mi sono decisa a pubblicare, ero rimasta ferma proprio nel momento in cui la storia di Ferah iniziava... In ogni caso, scusate il papirone ç_ç Ho dovuto dividere la storia in due in quanto avevo raggiunto le 11 pagine e le 7.800 parole. Molte cose so che le avrei potute tagliare, ma mi piace tanto il personaggio di Ferah... E' così power *-*
I tempi della storia sono un continuo cambiamento, prima la narrazione va a rilento, poi accelera, si ferma e qualche volta salta anni. Lo so, scusate T.T
Volevo mandare un bacione a Lavender che mi sopporta, e volevo farle i complimenti per la sua meravigliosa ff, di cui vi lascio il link ^O^
http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=760938
Ok, inizio a lavorare alla seconda parte... =) E spero tanto di non annoiarvi come probabilmente ho già fatto ù.ù Grazie ancora, se siete arrivati fin qui non posso fare altro che farvi un mastodontico busto in Elora in vostro onore LOL :D

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Capitolo 7
*** Il Potere della Luce - Pt.2 ***






Il Potere della Luce Pt.2





L'esercito di Quareon venne sconfitto nei giorni seguenti. La città era ridotta male; case crollate, grandi massi di Elora si erano staccati dalle costruzioni, i corpi invadevano le strade, i fuochi avevano annerito le pietre.
Ma la guerra era finita. Almeno, la loro guerra.
Ferah non aveva più messo piede a Cerelia, perciò non aveva saputo come se la stavano cavando. Decise quindi di tener eretta la barriera finché non avrebbe avuto la possibilità di andare a parlare con il Capo Villaggio. Asidi doveva essere rimessa in piedi, dovevano portare via i resti dei caduti, curare chi era rimasto ferito, trovare un alloggio per chi aveva perso tutto.
Ogni settimana, Ferah e Saith, portavano ciascuna un dono sulla tomba di Nefral. Saith lasciava un biglietto, una lettera o qualche fiore bianco, mentre Ferah, portava un mazzetto di fiori rosa che doveva far creare apposta, data la stagione, da un incantatore della città. In qualche modo ricordava anche Del.
Presto la popolazione si rimise in piedi, così, dopo aver dato la precedenza alle emergenze, ora dovevano fare i conti con Quareon e la nuova amministrazione della città.
Il Grande re non aveva più dato sue notizie, forse aspettava ancora un rapporto da Ashral.
 
-Mettiamoli ai voti!- disse un anziano alla folla radunatasi ai piedi della torre.
Tre uomini stavano in piedi ed aspettavano; un mago dai capelli neri come la notte, pallido e giovane, un contadino sulla cinquantina, ed un nobile ometto, basso, dal sorriso smagliante e dall'età indefinibile.
-Alzi la mano chi offre il proprio voto a Bronu!- l'ometto fece un passo avanti buttando il petto all'infuori.
Qualche mano in fondo alla piazza si alzò, ma potevano essere al massimo una quindicina. L'espressione sul viso di Bronu passò dal falso al turbato, prima di lasciare la propria postazione offeso.
-Alzi la mano chi offre il proprio voto a Sebral!- ora le mani si alzavano numerose, mentre il contadino veniva avanti e fissava la gente con occhi increduli. Le mani si fermarono in aria attendendo che il vecchio dicesse qualcosa. Ferah non aveva ancora votato; per quanto Sebral fosse un buon uomo, di parola, e cordiale con chiunque, sapeva che non poteva essere lui a guidare la città.
-Bene, ed ora, alzi la mano chi offre il proprio voto a Nalir!- il ragazzo fece un passo avanti fissando la punta delle sue scarpe consumate, mentre i tre quarti della folla alzavano i propri palmi verso l'alto. Quando finalmente Nalir ebbe il coraggio di guardare davanti a sé, sul suo volto si dipinse il ritratto dello stupore.
-Perfetto! Spero siate d’accordo con me che la maggioranza di voti è stata ottenuta dal nostro giovane ragazzo!- La folla scoppiò in un applauso e Nalir si volse verso Sebral, che gli stava offrendo la propria mano. Per un attimo rimase immobile, ma dopo qualche secondo, il giovane abbracciò il contadino con le lacrime agli occhi. L'uomo, seppur preso alla sprovvista da quel gesto, rise e gli fece i complimenti, battendogli sonoramente la mano sulla schiena.
Nalir si era fatto valere nella battaglia contro gli uomini di Quareon, aveva guidato tutti gli incantatori, sapeva come gestire le situazioni di emergenza, aveva fegato.
-Ragazzo, ora la città ripone la fiducia in te, non tradirla.- disse l'anziano prendendolo per un braccio e portandolo di nuovo davanti alla folla. I due bisbigliarono qualcosa, ed il vecchio sorrise:
-Fai pure.-
Nalir si schiarì la voce.
-Volevo ringraziarvi, per aver deciso di fidarvi di me. Ma sappiamo tutti che questa città ha bisogno non solo di un giovane mago, ma anche di chi l'ha portata fin qui, di chi ha rischiato la propria vita, di chi ci ha riportato alla nostra pace. Vorrei avere al mio fianco qualcuno dal coraggio infinito, qualcuno che ci ha dimostrato il proprio valore.- Nalir la cercò tra centinaia di visi, cercò gli occhi talmente blu da brillare.
-Ferah, posso avere l'onore di avervi al mio fianco nella guida di Asidi?- Il cuore della ragazza perse un colpo. Quando uscì dalla massa per andare verso Nalir, un rumoroso applauso le riempì le orecchie.
Seppur Ferah conoscesse già Nalir piuttosto bene, si avvicinò, e con grazia fece un breve inchino.
-Ne sarei onorata.- rispose lei sorridendo.
 
Così, nella primavera in cui cadeva il suo sedicesimo compleanno, Ferah si trovava alla guida di un'intera città. Nalir aveva voluto che lei fosse sul suo stesso piano e che avesse il potere di fare ciò che avesse ritenuto giusto. Poco a poco la città ricresceva, la barriera venne abbattuta e le cave ripresero a funzionare con un nuovo sistema. Qualunque atto di violenza contro le sirenidi era considerato reato. Quareon non aveva mandato nemmeno un messaggio, Ferah e Nalir aspettavano un cenno, un inviato, qualcosa che provenisse da Draelia, insomma. Sapevano che mettersi al posto del cavaliere della città era come sminuire il potere del Grande Re, ma per rimettersi in piedi, la città doveva avere qualcuno che la dirigesse.
 
Accadde il mese successivo, quando Ferah si era fermata nella stanza del mago fino a tardi per progettare il nuovo porto, da costruire sopra alle macerie di quello rimasto distrutto durante la prima ondata.
La stanza circolare si chiudeva come un anello attorno alla scalinata che conduceva al vecchio alloggio di Ashral. Come quella, ve ne erano molte, tutte senza finestre ed arredate con lo stretto indispensabile.
-Sei stanca?- chiese lui con gli occhi un poco rossi.
-No … -
-Sei pallida.-
-Perché, tu no?- chiese lei sorridendo.
-Io sono pallido anche quando dormo e mangio regolarmente, mentre tu sembri distrutta.- erano giorni che dormivano quelle poche ore necessarie per rimanere lucidi e mangiavano appena capitava l'occasione. Nessuno dei due era in grado di sopportare un'altra giornata di lavoro senza dormire.
-Finisco io qui, tu puoi andare. Non voglio che stia male.-
-Nalir, se tu lavori, lavoro anch'io, se tu dormi, dormo anch'io. Prima finiamo, più ci riposiamo prima di domani.-
Il mago le prese una mano e si fece avanti sul divanetto di velluto rosso. Era vicino.
-Bene, allora dimmi, quando è stata l'ultima volta che hai dormito?- disse con un sorrisetto sulle labbra e con un sopracciglio alzato.
-Non credere di poter farmi cedere così.- disse lei sentendo la testa in fiamme.
-Oh, ti sto solo chiedendo una cifra: due, tre giorni?- la sua voce diventava sempre più suadente, si avvicinava sempre di più.
-Nalir. Spostati, non andrò a riposare.- fece lei con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra.
-Io ci ho provato … - ma rimase dove era, accanto a lei, con la sua mano fredda tra le dita.
Gli occhi blu della ragazza erano fissi sui fogli sparsi sul tavolino, mentre l'altra sua mano avanzava piano verso quella di Nalir.
Forse era la stanchezza, ma il cuore faticava a battere, il respiro era irregolare, sentiva le guance talmente calde da poter scoppiare in fiamme da un momento all'altro.
I capelli dorati le ricadevano sul volto e la coda alta che si era fatta con un nastrino si stava disfacendo. Nalir aveva sempre portato i capelli lunghi fino al collo, e quella notte i suoi occhi neri come carbone erano di una sfumatura leggermente smeraldina.
Anche se era primavera, faceva abbastanza freddo da tener acceso un fuoco magico, bruciava riscaldando l'ambiente con una tonalità d'arancione scuro.
Nalir le lasciò la mano e la posò sulla sua guancia. Ferah alzò gli occhi.
-Nalir … - cercò di dire, ma le parole non volevano uscire, non in quel momento. La sensazione che provava era meravigliosa, le sue dita calde, sul suo viso sembravano fredde, delicate.
Ferah con mano tremante gli scostò una parte di capelli che gli ricopriva un occhio.
Poteva far scoppiare un fulmine, poteva costruire una barriera alta miglia e miglia, l'energia che scorreva in lei era potente. Migliaia di sensazioni le attraversavano lo stomaco, le avvolgevano la mente impedendole di pensare.
Poco più di qualche centimetro, ecco cosa li separava.
La ragazza chiuse lentamente gli occhi, come se fosse un riflesso incondizionato, aspettando nel buio, sentendo Nalir sempre più vicino.
Fu il primo bacio della sua vita, il momento più bello che avesse mai vissuto.
Il momento in cui la sua mente fu sopraffatta dal cuore, l'attimo in cui il centro del suo universo erano "loro".
Non poté dire quanto tempo durò, tutto quello che ricordò fu l'abbraccio di lui. Poi, il sonno la travolse, spingendola tra un'infinità di sogni.
 
Quella stessa mattina, tre figure incappucciate ed avvolte da neri mantelli si presentarono davanti alle porte della città richiedendo di parlare con il cavaliere Lareon, non sapendo fosse rimasto vittima della prima ondata. Non volevano dare altre informazioni, non volevano mostrare i propri volti.
Ferah venne chiamata con urgenza dal cantiere del porto, ma quando si presentò davanti alle figure ammantate, non sembravano voler credere che una sedicenne ormai, fosse responsabile della città.
Servirono non poche discussioni e l'arrivo di Nalir per lasciarli entrare e farli salire nella torre, fino alla stanza vuota che era appartenuta prima a Lareon e poi ad Ashral. Non erano al servizio di Quareon, quell'uomo non era il tipo che mandava solamente tre persone per consegnare un messaggio. Si limitava a qualche centinaio di guerrieri ed una decina di incantatori, per non dare nell'occhio.
I tre uomini si accomodarono sui divanetti di velluto e finalmente scoprirono i propri volti.
Due di loro avevano la pelle scura, grandi occhi verdi ed i capelli neri e corti. Si assomigliavano parecchio, entrambi robusti e dalla mascella pronunciata, potevano essere scambiati per fratelli se non fosse stato per la loro corporatura, uno alto e snello e uno più tozzo. L'altro uomo era più basso, biondo ma con gli occhi neri, una lunga cicatrice gli attraversava la guancia, ma ciò che lo distingueva era il suo naso aquilino che spuntava dalla faccia come un becco di un falco.
-Allora? Perché siete qui? E perché non avete voluto dirci cosa cercavate?-
-Calma ragazzina- fece il più alto.
-Ferah.- puntualizzò lei incrociando le braccia.
-Qualunque sia il vostro nome. Tutto quello che dovete fare è dirci se voi siete stati mandati da Quareon.-
Ferah e Nalir si scambiarono un'occhiata interrogativa.
-Non è presente nessuno degli uomini di Quareon qui, al momento.- disse Nalir.
-Bene.-
-Questo ci lascia dedurre che neanche voi siete stati mandati da lui?-
-Ragazzo, veniamo dalla rivolta che combatte i suoi eserciti. Forse vi sarete chiesti perché non avete più sue notizie … da quanto ho capito, vi ha quasi "dimenticati".- sottolineò l'ultima parola. -Attualmente, ha cose più importanti a cui pensare; come, ad esempio, migliaia di abitanti dei Territori d'Oriente pronti a dare la propria vita per ottenere l'indipendenza da quel dittatore.-
Ferah e Nalir rimasero colpiti dalla notizia per un attimo, ma prima che potessero aprire bocca, il biondo iniziò a parlare:
-Siamo qui per chiedervi un aiuto. Siamo venuti a chiedervi di contrastare Quareon, come, a quanto pare avete già fatto.-
-La città è appena uscita da una guerra, non sarà pronta per combattere ancora. Possiamo cercare di convincerli a resistere, ma non possiamo contribuire con un esercito.-
-Tutto quello di cui abbiamo bisogno ora e che non permettiate a quel dittatore di mettere piede qui dentro.-
-Cercheremo di fare il nostro meglio.- disse la ragazza.
-Quante città si stanno ribellando?- chiese Nalir.
-Non sappiamo il numero esatto, ma tutti i Territori d'Oriente hanno buttato fuori dalle loro mura i cavalieri di Quareon; fino ai grandi laghi centrali è una continua guerra. Quareon ha spedito eserciti ovunque.-
Nalir ed Ferah rimasero in silenzio, meditando sulla situazione.
-Per quanto tempo volete fermarvi, signori?- fece Nalir.
-Due giorni, non di più.-
Mentre i tre si alzavano facendo ondeggiare i loro lunghi mantelli, Ferah li fermò:
-Quareon è arrivato oltre le Montagne di Krand?- il suo primo pensiero era andato a Del, al suo villaggio, ai suoi genitori.
-Sì. Pochi sono i sopravvissuti, ma non perdete la speranza giovane Ferah.- a rispondere fu uno dei due uomini scuri di pelle, quello più corpulento.
Nalir allora fece cenno loro di seguirlo, lasciando Ferah sola nella stanza; doveva pensare, doveva solo pensare.
 
Non erano passati nemmeno due mesi, che, durante una notte estiva, un centinaio di uomini sfondò le porte di Asidi. La popolazione rispose prontamente, Ferah si mise davanti a tutti. I suoi poteri riuscivano a fermare chiunque, potevano sconfiggere ogni uomo che le si parava davanti, anche se le consumavano le energie, si cibavano della sua forza.
Dopo l'attacco, Ferah eresse una barriera lungo tutte le mura; era lei a decidere chi far passare e, come per la Guerra delle Sirenidi, nessun mago poteva abbatterla.
Ma le cose non andavano bene al di fuori di essa; i tre messaggeri tornarono chiedendo un contributo in uomini. La città non se lo poteva permettere; non avrebbe resistito. Chiesero allora, che fosse lei, Ferah, ad andare.
Nalir, riluttante all'idea di lasciare la propria metà, tentò di trovare un'altra soluzione, ma lei glielo impedì, e dopo lunghe discussioni, Ferah decise di andare.
La barriera non poteva essere tenuta in piedi mentre la creatrice era lontana miglia, così Nalir e tutti i maghi presenti ad Asidi cercarono di ereggerne una potente abbastanza da non permettere l'arrivo dei nemici.
Ferah venne portata nella città di Gloveck, divenuta una base militare dall'inizio della guerra. Si preannunciava uno scontro con un esercito mandato da Draelia stessa, e nel quale doveva essere presente addirittura il figlio di Quareon; Enthiris, giovane cavaliere dall'enorme talento, simile al padre. Le spie dei ribelli erano numerose e si erano insidiate fino nel palazzo del Grande Re.
 
Il giorno della battaglia.
L'alba sembrava rallentare sempre di più. Il vento soffiava timido facendo ondeggiare le enormi praterie dorate. Ferah non aveva chiuso occhio.
Sedici anni appena compiuti, e tutto quello che si ritrovava era una imminente battaglia, morte e distruzione, forza e terrore. Non era passato un solo attimo da quando era partita in cui non aveva pensato a Nalir, al suo unico e primo amore.
Tutto quello che avrebbe voluto era a miglia e miglia da Gloveck, in una città di cristallo.
Ferah si strinse nel mantello mentre usciva dalla capanna. Il sole rosato stava salendo poco a poco, tingendo le nuvole di migliaia di sfumature.
Iniziò a camminare nervosamente lungo tutto il perimetro delle mura, cercando di ignorare il tremore alle mani, il respiro che si continuava a bloccare.
Davanti a lei, nel cielo di colori, un puntino nero si ingrandiva sempre di più. Fece per chiamare qualcuno quando la figura prese forma; la forma di un drago bianco cavalcato da un giovane, un giovane mago dai capelli corvini e gli occhi neri.
-Nalir!-urlò la ragazza, mentre lacrime di gioia iniziavano a sgorgare dai suoi occhi brillanti. Qualcuno uscì dal proprio alloggio, ma a lei non importava. Ora quel drago bianco dagli occhi color oceano che stava planando sopra la città era la sua unica priorità, il suo presente, il suo cuore.
-Fer!- disse lui scendendo dal possente animale ancora prima che si fosse completamente arrestato.
Si abbracciarono con forza, come se rischiassero di essere separati da un momento all'altro.
-Che ci fai qui?- chiese lei, sorridendo tra il pianto.
-Hei, non piangere.- la strinse ancora più a sé. Le sue lacrime gridavano libertà. -Ti ho portato una cosa.-
Con la mano sinistra estrasse una lunga spada dal fodero attaccato alla sua cintura.
L'arma brillava come un diamante in pieno giorno; la lama argentea era affilata come un coltellino da precisione, sull'elsa, radici scure avvolgevano il metallo, laddove crescevano foglie di nera pietra, rilucevano gemme azzurre come il cielo d'agosto.
-L'ho fatta fare per te, per ricordarti che sarò con te in ogni istante, che tutta Asidi ci sarà.
-Io … Non ho parole Nalir.- e le lacrime ripresero a solcarle il volto.
-Ferah, non ti voglio lasciare, non ora.-
La ragazza immerse le sue diafane dita tra i capelli di Nalir, si alzò sulle punte e lo baciò. Lo baciò come mai aveva fatto, come avrebbe dovuto fare fin dall'inizio.
-Ti amo, Ferah.-
-Ti amo, Nalir.-
In quell'istante, il suono di un corno riempì l'aria; la battaglia stava arrivando.
 
Non fu altro che un'arma. Lei, il suo corpo, la sua anima; un'arma. Un oggetto da essere utilizzato per sconfiggere Quareon, nient'altro. Una vita breve, un'infanzia difficile, ed ora che finalmente era giunto l'amore, il destino era stato talmente crudele da metterle i bastoni tra le ruote, anzi, le ruote se le era portate via.
Perché quella poteva essere l'ultima volta che il sole brillava per lei, poteva perdere tutto, cadere come altri uomini, morire senza lui. Poteva scomparire dalla faccia della terra senza aver vissuto davvero, senza aver vissuto abbastanza con lui.
Era un essere incompleto, un frutto ancora acerbo che doveva già lasciare l'albero. Non avrebbe potuto avere una famiglia, vedere i propri figli crescere, raccontare loro tutte le sue avventure.
Quello poteva essere l'ultimo momento per pensare prima di morire.
Poteva morire. Poteva non rivederlo mai più, non avere nessun ricordo di lui, dissolversi, non esistere più.
La linea continua all'orizzonte apparve lentamente, come un destino inevitabile, un presagio di distruzione.
Là, in mezzo a migliaia e migliaia di uomini, una ragazzina dagli occhi di zaffiro attendeva la sua ora.
 
Un urlo, un rumore sordo di passi, di innumerevoli creature. Mostri, ecco cosa erano. I visi deformati, gli occhi due cerchie nere e violacee. La loro pelle di un color verde e sabbia era una corazza naturale, nelle mani impugnavano lunghe asce bipenni, sulle loro teste ricoperte di crini quasi trasparenti crescevano tre corna che si avvolgevano su sé stesse fino a puntare in avanti.
Creature dall'indole calma e pacata, cresciute come carne da macello tra le grinfie di Quareon, ora erano forzuti assassini.
La corsa, lo scontro, una luce bianca avvolse tutto.
Un lampo prolungato, non esisteva più nulla se non lei e le file di nemici disorientati ed accecati dalla luminosità dell'aria. Ferah, un'arma letale, un veleno senza antidoto, un vento di lame.
La sua spada roteava veloce, si macchiava del sangue chiaro dei mostri, trapassava corpi, infliggeva dolore.
La luce scomparve all'improvviso, e la prima fila dell'esercito nemico cadde a terra sanguinante, priva di vita.
Nessuno si mosse. Un enorme drago nero sorvolò il campo lanciando un grido. Una fiammata investì gli uomini. Ferah lanciò un fulmine di azzurra potenza e la bestia si voltò verso di lei.
Enthiris, figlio ormai trentenne di Quareon, cavalcava il drago  tenendo alta in cielo la sua spada argentea.
Ferah iniziò ad attaccare; luci, affondi, urla di straziante dolore, una scia che si lasciava dietro senza pensare a nulla, se non al suo obbiettivo. Enthiris, le avevano detto. Doveva arrivare a lui, privarlo della propria forza vitale, ucciderlo. Era il punto debole di Quareon, e quella battaglia era il momento migliore per colpirlo.
Il drago planò sopra la sua testa, Ferah non si lasciò sfuggire l'occasione e, veloce, legò un tentacolo di luce al collo della creatura. Enthiris tentò ti tagliare la luce, ma dalla sua lama schizzarono solo migliaia di scintille.
Non le importava quanto dolore provocava, era tutto ciò che doveva fare per avere una vita con lui, con Nalir. E se quello era il prezzo, vedere macchiata la propria spada di sangue nemico, avrebbe accettato senza ripensarci.
Ferah si issò fino a giungere alle zampe anteriori dell'animale che si librava in volo a centinaia di braccia da terra. Urlò ed assieme a lei anche il drago ferito dalla sua spada penetrata nell'addome. Metallo e carne.
-No!- fu il grido del Principe.
Il suolo si avvicinava, i muscoli della bestia si abbandonavano al dolce abbraccio della morte.
Un lampo, e Ferah rotolò sull'erba, lontana dalla battaglia. Enthiris cadde con un tonfo sul terreno della prateria ed il drago precipitò a poca distanza da loro.
L'uomo, da sotto la pesante armatura nera come il proprio destriero, si mosse lentamente, tremava, tentando di rialzarsi. Ferah, ferita dalla caduta e povera di energie si avvicinò. Con un calcio lo fece girare, in modo da poterlo vedere in faccia; la faccia di chi doveva uccidere.
-Una ragazzina.- il Principe rise da sotto i suoi lucenti capelli rossicci. Tossì, e un rivolo di sangue gli percorse il mento.
Lei non disse nulla. La sua spada contro il suo collo, le pietre azzurre che spiccavano sotto il rosso del sangue nemico.
-Uccidimi.- un ordine. Il corpo di Enthiris, devastato dalla caduta, non gli rispondeva più. Le gambe poste in una posizione innaturale non sembravano muoversi, continuava a sputare sangue, che usciva copioso dalle sue sottili labbra sorridenti. Pochi spasmi, e la sua lama non fu necessaria. Enthiris morì senza che Ferah facesse altro.
 
Dopo la vittoria, Ferah rivide Nalir, fu tutto quello che ricordò.
La spada, ancora sporca, era rimasta in un angolo, abbandonata dalla ragazza. I giorni erano intensi, Ferah voleva vivere prima che Quareon tornasse a scatenare uragani e tempeste di ira. Una volta poteva sopravvivere, ma chiedere ancora riduceva le possibilità.
Quindici giorni di vita. Quindici meravigliosi giorni passati tra le sue braccia. Il paradiso prima dell'inferno.
 
L'inferno.
 
Un solo, possente, drago atterrò nella prateria, poco distante dal campo di battaglia dove il suo esercito era stato sconfitto miseramente da un gruppo di contadini.  
Ferah, un ramoscello impaurito, aspettava in piedi, i capelli d'oro sospinti dal vento, gli occhi pieni di terrore.
E così, era arrivata la sua ora? Aspettava la morte, la vedeva planare piano, sopra ad un destriero nero. Non era come l'aveva immaginata, pensava fosse un fantasma, trasparente, quasi invisibile. Fumo. L'aveva sempre immaginata andarsene in giro su un cavallo magro, scuro, dalla criniera lunga fino a terra.
La sua morte invece era umana. Quareon aveva cinquant'anni, un viso severo, i capelli castani, quasi rossicci, erano striati di bianco.
La rabbia del Re, alla vista di quella creatura giovane e debole, salì ancor di più. Enthiris era morto a causa di un'adolescente. Non lo poteva permettere. Ecco perché era solo. Aveva chiesto a Ferah di farsi avanti, di combattere, voleva avere la certezza che le mani che avevano ucciso suo figlio morissero.
Ferah era lì. Immobile. Cercava di respirare in qualche modo, cercava di ritrovare un ritmo al proprio battito.
-Bene, bene. Tu? Mio figlio è morto per mano tua?- non erano domande, ma affermazioni. Quareon mascherava il proprio dolore sotto un sorrisetto beffardo. -Scelta saggia venire qui. Avrei potuto uccidere una sola persona per farti abbastanza male da voler morire. Un, solo, uomo.-
Ferah non disse niente. Aspettava soltanto che attaccasse, che venisse l'occasione giusta per lasciar scorrere la luce fuori dalle sue vene. Continuava a ripetersi che era un umano, che come lui ne aveva battuti tanti, li aveva uccisi con solo un lampo, breve, efficace.
-Sono venuto dai territori d'Occidente per vederti morire. Per veder morire chiunque si fosse ribellato alla perfezione di un regno unitario.-   
-Prima di uccidere tutti loro, dovete uccidere me. Sto aspettando.-
-Richiedere la propria morte alla tua età è stupidità, non coraggio.-
-Io richiedo la vostra morte, io richiedo la libertà dei territori dalla vostra tirannia.-
Quareon rise, divertito ed allo stesso tempo infastidito. Una ragazzina presuntuosa, ecco cosa aveva ammazzato Enthiris. Estrasse la spada a due mani e la fece roteare in aria, come a voler scaldare la lama.
Ferah fece lo stesso. Le loro armi non potevano reggere il confronto; la spada della ragazza, delicata e sottile era spessa la metà di quella del Grande re.
-Fatti avanti, ragazzina.-
Ferah scattò. Una luce bianca li avvolse, ma per quanto lei provasse a ferirlo, lui la vedeva normalmente, schivava e parava i colpi alla perfezione. Il lampo si spense e l'uomo rise.
Ferah allungò una mano, e dal palmo fuoriuscirono lunghi tentacoli di luce che si avvolsero sulla spada del nemico. Quareon alzò la lama e, come mai era successo, la luce fu tagliata in pezzi. Poco a poco si dissolvevano nell'aria lasciando la ragazza senza fiato.
Con un globo azzurro, fece esplodere altra luce.
Un punto nero, una pietra brillante comparve per una frazione di secondo sul petto di Quareon.
Era stanca, cominciava a sentire la fatica espandersi in ogni arto. Ferah cercò di colpirlo ad un fianco, ma la sua sottile spada si scontrò contro il metallo di quella nemica, creando innumerevoli scintille dorate. Quareon fece un affondo, lei scaltra schivò con grazia ultraterrena.
Si voltò, un attimo, e sentì la lama tagliare la carne. Un urlò dilagò nella prateria e una macchia rossa si allargava lentamente sulla gamba di Quareon. Lui non si fermò, continuò a colpire con violenza pura, era sempre più forte, più resistente alla luce di Ferah.
Una radice forse, una pietra, il piede della ragazza si impigliò in qualcosa facendola cadere di schiena. Il Re continuava a colpire affondando la propria spada a terra, cercando di abbattere quel corpo agile che si contorceva per evitare di essere ferito. Come se avesse una possibilità, come se potesse davvero uscirne viva.
Ferah si rialzò, un balzo, e la lama andò a tagliare la pelle del collo di Quareon, che quasi non se ne accorse.
-Continuerai a scappare?- urlò consumando il poco fiato rimastogli.
Ferah chiuse gli occhi. Altra luce la circondò, invase qualunque cosa fosse attorno a lei, e finalmente poté vedere con chiarezza un medaglione che emanava oscurità. Quareon lo teneva sotto l'armatura, al sicuro. Ma lei lo percepiva, anzi, lo vedeva attraverso il metallo. Ne sentiva l'essenza, capiva cosa aggirava la sua energia.
-Vedo che non siete arrivato sprovvisto delle giuste armi.- disse camminando lentamente verso di lui.
Scattò. Troppo veloce per essere vista, in quella luce come in una giornata normale, gli fu alle spalle. Quareon cercò di liberarsi della sua presa, ma lei gli affondò la sua spada in un polpaccio. Altre grida, altro sangue.
Le sue dita, delicate anche in battaglia, cercavano la catena del medaglione mentre con il suo peso, quasi irrilevante, tentava di tenerlo a terra.
Una catena. Tirò con tutta la sua forza ed il ciondolo si staccò con uno schiocco.
Un puntino bianco in cielo comparve nel suo campo visivo, non gli diede troppa importanza.
Il Grande Re era sotto le sue mani, era stupidamente venuto a morire, per amore del proprio figlio, era venuto a chiedere vendetta. Ed ora tutto quello che si ritrovava era una gamba ormai distrutta, e l'unica arma che lo poteva salvare non gli apparteneva più.
Ferah, d'istinto, si alzò, in cerca di una roccia. Prese il medaglione per la catena e lo sbatté con tutte le sue forze su un piccolo masso nascosto tra l'erba.
Miriadi di schegge nere volarono ovunque, mentre la potente magia racchiusa nella pietra veniva dissolta nell'aria come fumo in cielo.
-Ferah!- quella voce. Perché Nalir era lì, cosa stava facendo?
Lei non poté rispondere, Quareon gli era già addosso. Ferah vide lo spada conficcarsi lentamente nell'addome del ragazzo.
Il tempo si fermò. La pioggia iniziò a cadere lenta, le gocce parevano rimanere sospese in aria. Altre persone stavano arrivando dalla città, altri guerrieri si erano nascosti dietro le colline.
Vide il corpo di lui accasciarsi lentamente emettendo un grido strozzato.
Dolore. Morte.
Il mondo divenne nero per un istante. Ferah corse da Nalir, disteso a terra, rannicchiato su se stesso.
Quareon rideva.
Nel suo cuore, solo rabbia. Nei suoi occhi di zaffiro, solo dolore.
Vento l'avvolse, acqua accorse al suo richiamo. Luce tutt'attorno.
La terra tremò. L'erba si appiattì. Il turbinio d'aria si faceva sempre più veloce, sempre più potente.
Due eserciti, uno di fronte all'altro, Ferah nel mezzo.
Energia. Potenza, fulmini caddero attorno a lei.
Non servivano parole. Non servivano suoni. Solo un respiro. E luce bianca, abbagliante, accecante come il sole, ricoprì la landa.
Ferah fu a casa. Del la stava ancora rincorrendo tra gli arbusti ricoperti di fiori. Ma la caverna era sparita, davanti ad una parete di roccia azzurra, Nalir l'attendeva. I suoi capelli corvini gli ricoprivano il volto come sempre, i suoi occhi neri erano pieni di dolcezza. Lo abbracciò. Il suo profumo, la sua diafana pelle.
Era come una realtà perfetta.
Ora poteva donargli il proprio cuore, e lui poteva darle il suo. Un amore nato e scomparso troppo presto, un amore puro, giovane, cristallino.
Le loro labbra si toccarono, come la prima volta, con timidezza, paura di ciò che sarebbe successo. La primavera li abbracciava, il vento le scompigliava i lunghi capelli d'oro.
Erano assieme. Era la loro primavera.
Ferah sentì uno strano formicolio avvolgerle le membra, e tutto quello che aveva sempre desiderato svanì avvolto da una nebbia grigia.
Freddo. Qualcosa picchiettava sul suo volto. Pioggia.
Distesa a terra, il viso sull'erba. Fissava gli occhi della propria vita. Occhi neri come voragini senza fine.
Nalir le sorrideva. Disteso di fronte a lei.
Lentamente, allungò la mano tremante verso il suo viso.
La toccò come se fosse cristallo, cristallo sotto la pioggia. Le dita percorsero il profilo del suo volto fragile.
L'acqua passava sulla pelle di Ferah, si mescolava alle lacrime. La lavava di un passato buio, le dava piacere.
Gli prese la mano e la strinse. Come una bambina che ha paura del buio, come se volesse ritornare nella caverna, assieme a lui.
Una sensazione familiare.
Sapeva cosa stava per accadere. Impaurita, guardò per l'ultima volta i suoi occhi prima di scivolare nella luce più totale.
Era un luogo dove era già stata.
Era freddo, doloroso. Aghi nella carne, la distruggevano, la dilaniavano.
Il respiro si bloccò, il battito divenne irregolare.
Non urlò come fece la bambina di nove anni fa. Sapeva come funzionava, sapeva che non poteva fare nulla.
Lasciò che il cuore divenisse silenzioso.
Lasciò che i polmoni si svuotassero d'aria.
E quando fu pronta, lasciò sé stessa.
Per la prima volta nella sua breve vita, fu circondata dalle tenebre, dal calore confortante dell'oscurità.
Nero. Morte.
Nalir vide gli occhi della ragazza spegnersi lentamente della loro luce.
Occhi grigi, occhi di ghiaccio lo fissavano.
Niente più blu, niente più vita.
Urlò. Nessuno volle dargli retta. Sentì braccia sollevarlo e portarlo via. Sentì la mano inanimata di Ferah scivolare via.
Silenzio.
Il corpo di Quareon giaceva deformato poco distante dalla ragazza.
Nalir non ricordò più nulla.
 
Quel giorno, il giorno della sconfitta di Quareon, in un villaggio lontano miglia e miglia dal campo di battaglia, nasceva una bambina, e, per la prima volta, spalancava i suoi grandi occhi verso il mondo.
Le sue iridi fissarono il suo primo istante di vita, ed occhi di zaffiro illuminarono la stanza di una fredda luce blu.
 
 
 
 
-Alhira.- una mano sulla spalla la stava scuotendo. -Alhira, ti devo parlare.-
Il libro di storia davanti ai suoi occhi era ancora aperto su quella pagina, quelle lettere ancora scritte con una calligrafia elegante: "Ferah, regina di Asidi. Sconfisse Quareon nella battaglia dei piani di Gaver."
E tutta la sua vita? Tutta la sua storia, le sue emozioni, le vicende, l'infanzia … le luci?
-Alhira, che ti succede?-
-Io …-
-La bibliotecaria mi ha detto che sono ore che fissi quella pagina. Devi venire con me adesso.-
-Ma, Ferah … -
-Sì, Ferah, la nostra eroina. Brava, hai letto due parole, adesso però seguimi.-
-Calen, calmati. Che succede?-
-Ti devo parlare.-
Alhira venne trascinata fuori dalla biblioteca, sentiva lo sguardo truce e le labbra arricciate della bibliotecaria che rimetteva a posto il volume nel proprio scaffale.    
Calen camminava spedita per i complicati corridoi del palazzo. Cristalli di Elora rilucevano alla luce del tramonto. Alhira rabbrividì, da quanto tempo era in quella stanza a fissare quella pagina, a vivere un'altra vita?
Passarono tra i corridoi dagli alti soffitti dipinti con colori scarlatti, scesero lunghe rampe di scale, finché Alhira non poté riconoscere il portone che dava alla sezione del palazzo dedicata alla schiavitù.
Calen la condusse nella sua stanza, spoglia e illuminata da raggi d'oro.
-Siediti.- fece con voce seria.
-Calen, va tutto bene?- vedere quella strana ragazza così seria e severa non le faceva pensare a nulla di buono.
-Sei qui da una settimana quasi, non mi hai ancora detto nulla di te.-
-Oh, avanti. Lo sai che non ne voglio parlare.-
-Ma io voglio sapere.- quella nota nella sua voce non era curiosità, ma bramosia di informazioni, un malato desiderio di portare a termine il proprio compito.
-Che ti prende? Hai dei brutti cambi d'umore-
-Alhira! Parla!- Calen si sporse verso la ragazza seduta sul giaciglio, lo sguardo minaccioso puntato nei suoi occhi color miele.
-Non ti dirò nulla! Non voglio! Sai abbastanza!-
-Non penso proprio.- perfidia. Calen appoggiò la mano sulla parete alle spalle di Alhira, facendola indietreggiare. I loro volti erano vicini, ogni emozione era percepibile.
-Ma che diavolo fai?- chiese Alhira furiosa spingendola lontano da sé.
Calen sorrise e cominciò a recitare una lenta litania dal suono dolce e suadente. Le sue labbra si muovevano senza più emettere suoni, le orecchie di Alhira fischiarono.
-Che …- non fece in tempo ad aggiungere altro; i muscoli si rilassarono, le palpebre divennero pesanti. La vista si annebbiò. Intorpidita, sentì il peso del proprio corpo farsi sempre meno importante. Una voce lontana arrivava come una salvezza, sembrava così invitante, gentile.
-Raccontami la tua storia, Alhira.- una scappatoia dal dolore quotidiano. Un' entità a cui confidare tutto.
Nell'ipnosi, il fiume di parole uscì naturale dalle sue labbra, lasciando che Calen sapesse tutto, confessando il proprio dolore.
 







Ecco la seconda parte della storia di Ferah, personaggio a cui mi sono affezionata parecchio. Alcuni mi hanno chiesto cosa c'entrasse... per scoprirlo la storia deve andare avanti e la trama verrà presto svelata.
Ringrazio Fra_96 e Lavender per il supporto morale ed i consigli.
Spero possiate gradire gli ultimi attimi della storia di Ferah come ho fatto io =)
Ringrazio ancora chi legge, chi continua a recensire, chi mi da la forza di continuare anche se la sezione fantasy original non è molto popolata =)
In caso vogliate aggiungermi su Facebook, e ne sarei davvero felice, chiunque voi siate, potete richiedere l'amicizia a MilunaSky Efp ^^
Grazie, volevo lasciarvi un pezzetto di testo di una canzone che probabilmente tutti bene o male hanno sentito, e che in questo periodo ha significato molto:
"E un bel giorno ti accorgi che esisti
Che sei parte del mondo anche tu
Non per tua volontà. E ti chiedi chissà
Siamo qui per volere di chi
Poi un raggio di sole ti abbraccia
I tuoi occhi si tingon di blu
E ti basta così, ogni dubbio va via
E i perché non esistono più. "

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Capitolo 8
*** Solamente Alhira ***






Soltanto Alhira




-Calen … - mormorò.
Si alzò di scatto, la rabbia verso quella ragazza, il desiderio di guardarla negli occhi, capire perché le aveva fatto un incantesimo per strapparle anche i suoi pensieri più intimi.
La stanza era buia, le stelle splendevano in cielo, nessun rumore. Alhira si alzò ed uscì dall'alloggio. Dove poteva essere?
 
-Non sa nulla … non ricorda. Sono sedici anni. Bastano ed avanzano.- disse Thorpen, più parlando a lui stesso che alla figura dai capelli neri come l'oscurità di fronte a lui.
-Vostra Altezza, non è lei che state cercando; non corrisponde alla descrizione.-
-Silenzio, Calen.- lei abbassò il capo e si zittì.
Thorpen misurava a grandi passi la sala. Non potevano sbagliare, i controlli erano severi.
-Aspetteremo.- le parole gli bruciarono dentro. Aveva detto che una settimana sarebbe stato troppo, ed ora posticipava, rimandando a quando avrebbe avuto una vera e propria conferma.
-Come volete.- Calen non alzò lo sguardo. Le parole che aveva sentito poco prima non avevano nulla di strano; la storia di una ragazzina senza memoria. Forse stava scappando dall'incendio, aveva preso tutto quello di cui aveva bisogno, cibo, un'arma, una pergamena. Poi un incidente, un colpo, una caduta le aveva fatto sbattere le testa. Punto. Non pensava ci fosse qualcosa di più. Non c'era, lo aveva sentito lei, aveva ascoltato ogni sillaba che Alhira aveva detto con un'attenzione maniacale.
-Lasciala perdere, continua il tuo lavoro.-
-Certamente, Vostra Altezza.-  
 
Alhira aveva cercato ovunque, silenziosa come un gatto, ma di Calen nemmeno l'ombra. Quella servetta doveva essersene andata, oppure poteva essere nel palazzo, nella parte lussuosa. Il portone che ne segnava l'entrata era chiuso a chiave, sorvegliato da due guardie. Aveva sentito i loro respiri oltre le enormi ante.
Calen non c'era. Ma Alhira aveva un asso nella manica, una fonte di informazioni. Uscì e si diresse verso le stalle.
War, che stava sonnecchiando su un mucchietto di paglia, le corse incontro scodinzolando. Era stupefacente la velocità con cui aveva iniziato a fidarsi di lei, dato il loro primo incontro.
Come le altre sere, il cane sparì per qualche minuto prima di portarle una chiave argentata, sempre la stessa, quella che apriva il rifugio di Lauce.
Sapeva di trovarlo lì. Quel ragazzino a volte si addormentava accanto al drago, rimaneva ore ed ore a fissarlo, a contemplare l'animale pensando alla propria vita.
Drevan era il suo nome, esile e biondo, un ragazzino di tredici anni trascurato dal padre.
-Alhira! Non sei venuta ieri notte … -
-Mi dispiace, ma non ho potuto.-
Alhira gli raccontò tutto, del libro, di Ferah e dell'incantesimo di Calen. Il principe la guardava attonito.
-Non sai dove la posso trovare?- chiese infine la ragazza.
-Calen? Non lo so. Qualche volta l'ho vista portare a palazzo delle giovani, come te. Ma è schiva, non mi degna di uno sguardo, parla solo con mio padre e con le sue "ospiti". Non saprei come aiutarti, Alhira.-
-Non ti preoccupare Drevan, troverò un modo per parlarle, vedrai.-
Seduti entrambi contro la parete di pietra, fissavano Lauce, che da un poco li fissava a sua volta, con grandi, profondi, occhi azzurri.
Alhira lo vide in volo, cavalcato da un mago dai neri capelli, diretto verso la battaglia.
-Lauce?- chiese, come se l'animale potesse capirla. Lui alzò la testa, pronto ad ascoltarla.
Non poteva essere. Quanti anni aveva? Alhira si alzò, la mano tesa verso le squame candide. Lauce colmò la distanza allungando il collo. Il contatto con la pelle del rettile la fece rabbrividire, dandole una scossa che la percorse da capo a piedi. Lauce, un'antica bellezza. Un eroe, da sempre destriero di Asidi, di potenti uomini.
-La Battaglia dei Piani di Gaver. Tu c'eri.- disse Alhira in un sussurro.
Lauce si alzò in tutta la sua maestosità, mostrando i muscoli, le zampe possenti, spiegando le ali venate di blu. Un bagliore azzurro gli percorse gli occhi, un barlume di passato.
-Alhira, le pianure centrali non sono più i piani di Gaver da secoli.- fece Drevan, incapace di comprendere la scena. -Decenni dopo la battaglia furono chiamati Piani di Quareon dagli eredi del Grande re.-
-Quanto … ?-
-Tempo è passato? Secoli, Alhira. Lauce ha centinaia di anni, non sappiamo il numero preciso però. Vive qui da sempre.-
-Secoli …- disse lei, come un'eco lontana.
-Ma come fai a sapere cosa successe a Ferah? Il suo nome è stato eliminato dalla gran parte dei libri, e nella nostra biblioteca viene nominata soltanto, nessuno ha mai parlato di luci, poteri, maghi, o altro. Sì, la sua spada era famosa, ma venne distrutta assieme al suo ricordo. Mio padre mi ha parlato di quegli anni, nemmeno lui sa molto.-
-Promettimi di non dire nulla, Drevan, per favore.-
-Certo, come vuoi.-
Alhira continuò ad accarezzare Lauce, persa nei suoi pensieri, mormorandone qualcuno senza accorgersene.
-Perché ricordo?- Lauce sbuffò e pose il suo sguardo azzurro in quello ambrato della ragazza.
-Che hai Lauce?- disse piano Drevan incuriosito dal comportamento del drago.
-Forse è ora di tornare.- disse Alhira, forse per la stanchezza, per la confusione.
-Si, è una buona idea …-
 
I giorni passavano, Calen pareva scomparsa, l'alloggio accanto a quello di Alhira era stato dato ad un uomo. Non parlò mai con lui, le faceva venire i brividi il modo in cui la guardava. Quando la notte calava, Drevan l'aspettava da Lauce e War le portava tutte le volte le chiavi, e poco a poco, Alhira lo vedeva come un cagnolino affettuoso, invece che come un lupo nero come la tenebra che l'aveva quasi attaccata la prima volta che si erano visti.
Fu durante una notte di luna nuova che, mentre si dirigeva verso le stalle, udì rumore di passi provenire da dietro al grande portone. Curiosa ma cauta, si avvicinò. Niente guardie. Un vociare lontano sembrava voler richiamare il maggior numero di uomini possibile.
Uno scricchiolio la fece voltare.
-Alhira! Che succede?-
-Non lo so, pensavo che tu lo sapessi.-
-Voglio andare a vedere.- fece il ragazzino tirando fuori dalla tasca una chiave di bronzo. La serratura scattò senza procurare molto rumore, e Drevan sgusciò rapido nel palazzo.
-Che fai, non vieni?-
-Non posso, se mi vedessero …-
-Sei assieme a me, mi inventerò qualcosa. E poi, Calen sarà sicuramente da qualche parte.-
Alhira non si fece pregare, ed assieme al principe si inoltrò nelle sfarzose sale del palazzo.
 
-E' qui?-
-No ha mandato i suoi scagnozzi!-
-Lui non si presenta mai. Sono i suoi uomini che girano i territori, che vengono ogni anno.-
-Ogni anno?-
-Sì, idiota. Ed ora và a fare il novellino da qualche altra parte.-
Un sovrapporsi di voci si udiva da dietro l'angolo che dava su un lungo corridoio ornato da sculture, quello che portava ad una delle tante porte che si affacciavano sulla sala del trono.
-Chi sta arrivando?- chiese Alhira a Drevan.
-Faralwen. Dannazione … - sembrava teso, preoccupato. -Non dovresti rimanere, forse è meglio che tu ritorni nell'alloggio.-
-Faralwen? Io non vado da nessuna parte, fino ad ora me la sono cavata egregiamente.-
-Non capisci! Non scherzo, se ti trovassero qui … - scosse la testa. -Faralwen è il Supremo, ha in mano i Territori d'occidente, una parte di quelli di Meridione e qui si comporta come se fosse a casa sua. Dobbiamo assecondarlo, non possiamo combattere contro i suoi eserciti, sarebbero, come dire, in leggero vantaggio ecco.-
-Quindi vi sottomettete e basta?-
-Sì. Ora però vai.-
-Non ci contare, io voglio vedere che succede.-
-Ma … - Alhira non sentì cosa il ragazzino volle dirle. Silenziosa, si era allontanata dalla scultura dietro alla quale si celavano agli occhi delle guardie. Udì passi correre verso destra, voci dare ordini.
Raggiunse presto l'entrata alla Sala del Trono, sorvegliata da numerosi uomini armati di scudo e spada. Ed ora come faccio?
Le parole di Drevan le rimbombarono nella mente, e per un attimo pensò che ritornare a letto potesse essere l'opzione adeguata. Eppure, la tentazione di trovare un'altra entrata era forte, dopotutto, quel nome le suonava tremendamente familiare. Faralwen. Faralwen il Supremo.
Corse verso un altro corridoio, e poi un altro ancora. Tutti erano sorvegliati.
-Ehi! Da questa parte!- Drevan le stava indicando una rientranza dietro alle possenti braccia di un grosso guerriero in Elora. Come sempre, rapida e cauta, lo raggiunse.
-Di qua.- le stava indicando uno stretto passaggio alto circa due braccia, perfettamente celato dietro allo spadone della scultura.
-Quindi hai deciso di aiutarmi?- chiese lei sottovoce alzando un sopracciglio.
-Sei una gran testarda, cosa potevo fare?- rispose il principe con un sorrisetto sulle labbra.
Alhira rise e si infilò nell'apertura. L'aria mancava ed il suo corpo era schiacciato tra le mura. Faceva fatica a respirare, per procedere doveva farsi più piccola possibile. All'altra estremità l'attendeva una scultura totalmente uguale al guerriero dietro al quale si era nascosta. Avvolta dall'oscurità, celata dalle ombre, era invisibile agli sguardi delle tre figure incappucciate con scarlatti mantelli color sangue in piedi di fronte al trono.   
-Vedo che anche quest'anno non avete nulla da consegnarci, Thorpen.- a parlare fu il più alto dei tre.
-Chi state cercando non è ad Asidi.-
-Chi avete adibito alle ricerche? Lei?- indicò Calen, in piedi a fianco del Re. Alhira dovette trattenere l'irrefrenabile voglia di correrle incontro.
-Sono più che sicuro che Calen svolga il proprio compito con cura.-
-Asidi è una città troppo grande, affidarla ad una sola persona è una sciocchezza. Fate in modo di trovare altri uomini, se il Supremo Faralwen venisse a sapere potreste avere grossi problemi, Thorpen. Queste ricerche non sono un gioco.-
-Farò in modo di intensificare i controlli.- nell'ombra, sul viso dell'uomo incappucciato si dipinse un sorriso mentre i pugni del Re si strinsero per la rabbia.
-Alhira, sbrigati, si stanno svegliando tutti!- un sussurro distolse la sua attenzione, Drevan si agitava nel passaggio stretto come una crepa.
-Cosa?- bisbigliò uno dei tre ammantati voltandosi verso l'oscurità che nascondeva la ragazza.
Alhira trattenne il respiro; il felino tornava. Il cuore, che prima aveva preso a battere all'impazzata ora era regolare, lento. la paura era scivolata via, trasformandosi in eccitazione, l'adrenalina della caccia.
Fu un istante, la ragazza sparì nel passaggio.
 
La guardo, la sua perfezione candida, la sua eleganza così innocente, avvolta in un vestito di petali, seta, gemme. E' bellissima. E' come ho sempre voluto essere, è la rappresentazione del mio ideale di bellezza.
-Sei meravigliosa.- le dico, mentre nel suo sguardo azzurro rinasce il sorriso di nostra madre.
-Grazie.- i suoi occhi azzurri risplendono carichi di lacrime alla luce del mattino, lacrime di gioia, impazienza.
Qualcuno bussa alla porta, e Ril sorride. Apro; lui è perfetto. Nella sua tunica bianca, con i suoi occhi verdi pieni di felicità, Erwan pare un angelo.  
-E' ora?- chiedo.
-Sì- risponde gettando qualche occhiata furtiva alle mie spalle, cercando di vederla.
Il mio vestito, blu intenso, lungo e vaporoso, è terribilmente scomodo. La raggiungo, e le prendo una mano ornata da lunghi nastri argentei.
-Erwan ti attende.- dico piano.
Ril si alza, tra nuvole bianche di stoffa sottile e brillanti pietre.
La bellezza di un momento, l'intensità di uno sguardo, un amore cristallino, limpido come l'aria mattutina.
Li seguo, come mi aveva chiesto di fare. La nostra casa non è mai stata così agghindata; fiori bianchi, nastri, luci magiche. Oltre la porta, un lungo portico fatto di leggeri teli candidi sostenuti da rami e foglie luminescenti li conduce fino ad un piccolo altare. Mi fermo poco prima dell'ingresso salutandoli con un sorriso.
Nostro padre è in prima fila, gli occhi lucidi, una mano sul cuore. Il matrimonio della sua primogenita, il giorno in cui non potrà più chiamarla "bambina", un cui deve lasciarla ad un altro uomo. Ma il suo amore non può essere diviso, spezzato, è più vivo che mai. E' sua figlia, e per sempre sarebbe stata la sua piccola Ril.
Lo raggiungo e, tra le sue braccia, attendo che il saggio del villaggio completi il rito. Quando Ril ed Erwan si scambiano un bacio casto, gli invitati scoppiano in un applauso, mentre Erwan mormora poche semplici parole:
-Ti amo, ti amerò per sempre.- e dalle sue mani nasce un unico fiore dai larghi petali bianchi. Lo dona alla sua amata, con una dolcezza tale da farla arrossire.
-Ti amo, Erwan. E per sempre sarà così, per sempre tu custodirai il mio cuore, per sempre io custodirò il tuo.-
Si svegliò. Una lacrima di dolore solcò la guancia della ragazza. I raggi del sole le illuminavano il volto diafano. Il ricordo di Ril era una pugnalata, una ferita aperta, una tortura. Provare un amore così intenso per una persona di cui rammentava solo pochi attimi di vita la dilaniava. Ma ogni sogno era un pezzo del suo passato, e per quanto male potesse fare, era ciò che cercava.
Si strinse le ginocchia al petto e lasciò che la sua mente masochista potesse navigare libera tra le immagini di Ril.
 
Gwel l'aspettava nelle cucine, sorridente anche se stanca. Alhira prese i piatti da lavare e come due amiche iniziarono a parlare, anche se la maggior parte della conversazione era sostenuta da donna.
La servitù del palazzo era stata utilizzata per rendere il soggiorno degli inviati di Faralwen un paradiso. Cibi prelibati venivano sfornati ad ogni ora del giorno, ogni loro desiderio era un ordine.
Alhira non sopportava tutto ciò, ma doveva adeguarsi, servire i superiori, eseguire i compiti a lei assegnati senza proferir parola.
Così, quando Blaet venne da lei, tra i vapori delle cucine, dovette seguirlo fino alle stanze degli uomini.
-Hanno richiesto la tua presenza.- solo quelle cinque parole le gelarono il sangue.
-Perché?-
-Non lo so, tu vai e basta.- l'aveva spinta in un'enorme camera dalla vetrata rosea, il pavimento era bianco e sulle pareti erano scolpite piante rampicanti d'oro ed Elora.
Calen era in piedi assieme ad un uomo piuttosto anziano, il viso smunto, gli occhi piccoli, quasi nascosti sotto le folte sopracciglia grigie come i pochi capelli che gli erano rimasti. Le pesanti porte dorate si chiusero alle sue spalle con un tonfo. Alhira rimase impietrita, non sapeva cosa fare, perché era lì, cosa volevano.
Un lieve bruciore agli occhi ed una fitta allo stomaco. Paura.
-Alhira.- fece Calen, voltandosi verso la ragazza. -Vieni, accomodati.-
Non si mosse.
-Perché mi avete fatta chiamare?- i pugni stretti, la bocca secca.
-Nulla di importante cara, forza, vieni.- la falsità nella sua voce le fece venire i brividi.
Lo sguardo severo dell'uomo la squadrava da capo a piedi, fino a soffermarsi sugli occhi.
Alhira avanzò lenta verso la vetrata.
Calen le porse la mano; un gesto inaspettato, dopo tutto quello che le aveva fatto, anche solo toccarla le dava il ribrezzo.
-Perché sono qui?- ripeté Alhira, scandendo una ad una le parole.
-Dobbiamo parlare.- la voce, profonda e grave, le rimbombò nelle orecchie. L'uomo le appoggiò una mano sulla spalla e la condusse fino ad un divanetto di velluto bianco. Si sedettero, e con loro anche Calen.
-Guardami negli occhi.- disse lui.
Alhira, confusa, obbedì. Le iridi dell'uomo erano scure, un comunissimo marrone.
Quello che prima era solo un fastidio, divenne un vero e proprio bruciore. Gli occhi della ragazza si fecero rossi, ed un dolore pungente le perforò le palpebre.
Lanciò un grido, portandosi le mani al volto, mentre Calen la teneva ferma.
-Guardami!- tuonò l'uomo, ma per Alhira, ogni rumore era scomparso. Solamente un dolore insopportabile la pervadeva, espandendosi dal viso fino alla testa, il petto, la schiena.
-Tienila ferma, dannazione!-
-Non riesco!- Calen cercava di tenerla seduta, bloccando gli spasmi del corpo, ma ogni volta Alhira riusciva a liberarsi della presa, dimenandosi, cercando di lottare contro il dolore.
Un altro urlo. Calen tentò di recitare una formula, la stessa di quella sera, ma non ebbe effetto, la ragazza non era nelle condizioni per poter essere ipnotizzata.
Accecata, Alhira si alzò spingendo via da sé Calen. Un'altra ondata di dolore la fece cadere, le braccia in avanti.
Aprì gli occhi, e quello che vide fu soltanto una macchia indefinita bianca e oro, ogni tanto interrotta da qualche punto di colore. Non capiva più, non sapeva cosa fare, cosa doveva aspettarsi.
Infine, un istinto, una vecchia amica. La lei della vita passata risorse, fondendosi per un attimo con la nuova, contrastando la sofferenza e la paura. Mani la presero per le braccia, voci urlavano ordini.
Fu di nuovo in piedi, il mondo di nuovo definito, i contorni iniziavano a riprendere una forma e gli occhi parvero darle tregua. Non aspettò oltre; corse verso l'uscita, seguita da Calen e da altre guardie accorse dopo le urla. Rapida come un ghepardo, agile, si fiondò sulle ante che poco a poco si richiudevano per sbarrarle la strada.
Non fu abbastanza veloce. Le serrature erano già scattate con un frastuono infernale. La raggiunsero, strattonandola, la allontanarono dalla porta.
-No!- gridò con tutto il fiato che aveva in gola.
-Non lasciatela andare!- disse qualcuno nella confusione.
Chiuse gli occhi, le lacrime scorrevano calde sul suo volto, la paura che abbracciava il coraggio. Tutte le sue forze le vennero in soccorso, e sfruttando il caos, Alhira riuscì a liberarsi. Una mano sulla serratura, uno schiocco. Il portone d'oro si aprì e la ragazza corse via muovendosi come le diceva l'istinto, seguendo le indicazioni dei suoi sensi.
Si dirigeva verso la sua camera, ma l'intenzione non era quella di chiudersi in essa, a piangere nascosta dal mondo. Doveva prendere una cosa.
Tienilo con te, non lo lasciare mai. E' il suo unico ricordo, Alhira.
Un pezzo di metallo.
Prese i suoi vestiti, il pugnale, il tascapane. Le voci si avvicinavano, pesanti passi risuonavano dai corridoi. Non attese, sfrecciò nelle stalle, alla ricerca di un'uscita.
Prima Emtia, poi Asidi. Da quanti luoghi avrebbe ancora dovuto fuggire? Quante persone avrebbe dovuto lasciare per poter vivere? Quanto dolore avrebbe dovuto provare? Dove sarebbe andata? Avrebbe continuato a viaggiare lungo la costa, vivendo come un animale, reprimendo i sentimenti, la propria umanità. Poco meno di un mese di tranquillità, era tutto quello che era riuscita ad avere.
Il cancello, in fondo all'enorme cortile del palazzo, era alto una decina di braccia, troppo per essere scalato o oltrepassato senza attrezzi.
-Da questa parte!- le guardie stavano arrivando.
Un'ombra nera le correva di fianco, in bocca una chiave argentata e sottile. War.
Sapeva che quell'animale aveva qualcosa di speciale, ed in quel momento gli fu infinitamente grata. Prese la chiave e si infilò nella dimora di Lauce.  
Il drago riposava sopra ad un letto di paglia, il suo respiro pesante e caldo la investì come un'onda. Appena Alhira fu al sicuro, nascosta al mondo, si lasciò andare. Lauce sollevò un'ala, come per farle da rifugio e lei vi si gettò, rannicchiandosi a terra, sotto la protezione dell'animale.
Nel suo mondo, riparato dagli occhi degli esseri umani, poté versare lacrime di paura, confusione, nostalgia. Perché non ricordava? Perché Iethan, Ren, Calen, Ferah? Perché non poteva avere un passato come tutte le ragazze della sua età? Solo sedici dannatissimi anni di vuoto, come se ogni memoria fosse rinchiusa da qualche parte, in qualche cunicolo buio della sua mente. Pianse.
Pianse perché nessuno la guardava, perché nessuno poteva giudicarla. Pianse perché ne aveva bisogno, perché era sola. Ril era solo un lampo di vita, Ferah un'inspiegabile pezzo di passato.
Non si curava delle voci che passavano davanti alla porta, della confusione che invadeva ormai l'intero palazzo.
La mattina divenne sera, e sotto l'ala di Lauce, Alhira avrebbe potuto restare immobile giorni. Sapeva però che prima o poi sarebbero arrivati, sfondando la porta, trovandola accanto al drago, come se le sue pene non fossero già abbastanza. Già, le sue colpe. Quelle che non riusciva a comprendere, che non sapeva nemmeno di avere. Era ricercata per aver fatto resistenza alle torture di Calen? Perché era corsa via? O forse perché la sua mancanza di un passato era troppo sospetta?
Dopo ore di oscurità, aprì gli occhi. Un incessante battere sulla porta, come se volessero aprirla con un ariete o un'ascia. I colpi si fecero più violenti, Lauce aveva ringhiato, stringendo la ragazza a sé.
Alhira, come un debole ramoscello protetto dalle potenti fronde dell'albero, attese, senza pensare, aspettando che il vecchio istinto le dicesse cosa fare.  
Un ultimo, potente, colpo fece cadere l'anta in metallo. Dietro di essa, un uomo ammantato di rosso, Calen ed altre guardie che tenevano una figurina esile per le braccia. Quando la polvere si diradò, capelli biondi ed un viso familiare si delinearono. Drevan.
Il ragazzino tentava di divincolarsi, di urlare, ma era troppo debole, ed i suoi movimenti non facevano altro che sfinirlo.
Lauce ruggì in tutta la sua potenza, mostrando le zanne candide ed affilate, negli occhi la ferocia. Scosse le pareti, fece vibrare i pavimenti. Eppure Calen si stava avvicinando mormorando una lenta litania, come se quel drago non avesse potuto toccarla. Un altro, terrificante ruggito penetrò nelle mura, svegliando la città. Lauce si alzo, e con il muso spinse Alhira sulla sua groppa, proteggendola con le ali. La ragazza si teneva stretta alla schiena ricoperta di scaglie, aspettando, sperando.
Le guardie vennero avanti con le armi sguainate verso la bestia.
Lauce si levò sulle zampe posteriori, lanciando la propria coda verso gli uomini, gettandoli a terra, storditi. Si diresse verso il fondo della camera e, quando fu abbastanza distante, spiccò il volo. Alhira gridò.
Ciò che la preoccupava non era l'altitudine, ma un soffitto di pesanti travi di legno che si avvicinava senza paura. Un colpo, Lauce la protesse con le ali mentre con la sua corazza sfondava il tetto del riparo che l'aveva ospitato per anni ed anni.
L'aria la investì come una parete di ghiaccio, una normale sera estiva, il tramonto d'oro colorava i cristalli della città. Un istante di vuoto, un vortice sul diaframma ed Alhira fu in aria. Abbracciata al collo del drago, lasciava che la meraviglia di Elora che si ergeva sotto di lei potesse colorare le sue lacrime di rosa.
I capelli, corti e neri come pece seguivano le folate d'aria, solleticandole la testa. Anche se respirare era difficile, l'aria che inspirava era pura, fredda.
Era la stessa sensazione. Il suo primo ricordo, la sua prima immagine. Ma qui, al posto di torrenti ed alberi, si poteva scorgere solo una immensa distesa di cristallo.
Desiderò di poter rimanere così, senza nessun peso, senza pensare al passato, né al presente, né al futuro. Desiderò di poter restare a guardare la terra allontanarsi lentamente, di poter essere priva di preoccupazioni e paure, essere quello che avrebbe sempre dovuto essere; una ragazza. Prima di un essere senza memoria, prima di un felino assetato di sangue, Alhira era un'adolescente. Una ragazzina risvegliatasi in un bosco, con sé solo un pugnale e provviste.
Desiderò che Lauce non la lasciasse scendere, che Calen non le avesse mai parlato, che l'intero palazzo non si fosse rivoltato su di lei. Desiderò di non aver aperto la porta a Ren, di non aver mai detto addio a Iethan.
Poco a poco la stanchezza ebbe il sopravvento, le sue membra si abbandonavano al dolce cullare del vento. Le palpebre, ancora doloranti, caddero offuscando ogni luce ed Alhira si lasciò trasportare dal passato.
-Cosa fai?- gli chiede, mentre lui solleva la sua testa da un pesante tomo dalle pagine ingiallite.
-Cerco.- risponde vagamente.
-Cerchi cosa?- ripete lei, sottolineando le parole. Sa che sta tentando di non dirle nulla.
-Ril, non sono cose che ti riguardano. E' una ricerca che serve per i miei incantesimi.-
-Ah incantesimi? Erwan ti prego lascia stare. Ne abbiamo già parlato.- in alto, a grandi caratteri decorati con intricati decori rossi, era scritto "Memoria umana".
-Tu non capisci. E se fosse l'unico modo?-
-Non lo è! Solo perché è lei a chiederlo non significa che sia la strada giusta. Non è abbastanza matura per prendere una tale decisione.-
-Questo lo dici tu, perché è più comodo per te.-
-Come puoi dire qualcosa del genere? Io darei la mia vita per lei!- Ril sbatte una mano sul tavolo.
-Allora in fondo sai che è la cosa migliore da fare.-
-No, non lo posso permettere, Erwan. Ma non pensi a lei? Non pensi a come vivrà? Non avrà nessuno, niente se non un corpo. Non ricorderà il suo nome, i nostri volti, la sua vita.-
-Non sarà più in pericolo. Troverà un posto dove andare e si rifarà una vita. Ril, se davvero tieni a lei, lascia che faccia le sue scelte.-
-No … no, no, non sai cosa stai facendo! Metti via quel libro e lascia stare questa storia.-
-Ril …-
-No!-
E' troppo. Apro la porta attraverso la quale ho sentito tutto. Ril, gli occhi lucidi, ed Erwan mi fissano sconvolti. So cosa stanno sperando, e so che parlare non è una buona mossa. Ma Ril è in lacrime, soffre per me. Non posso vederla così.
-Ril, ho già preso la mia decisione.- lei mi corre in contro, il viso rigato di lacrime, e mi getta le braccia al collo, stringendomi forte. Faccio lo stesso, beandomi di quel contatto, sapendo che non ho ancora molto tempo, che prima o poi avrei dovuto dimenticare.
Lauce planò lentamente, girando più e più volte su una radura vicino alla scogliera. Alhira aprì gli occhi, e senza muoversi, rimase a pensare. Era stata lei a chiederlo. Lei aveva voluto dimenticare, Ril non era stata nemmeno d'accordo. Ma perché? Erwan aveva parlato di pericolo. Non capiva; pericolo di cosa? E perché non vi era soluzione meno drastica?
Si lasciò trasportare dal drago che poco a poco scendeva, fino a toccare terra.
Troppe domande, poche risposte.
Lauce la fece scivolare sull'erba con gentilezza, e lei, per un riflesso quasi involontario, balzò a terra senza provocar un minimo rumore. Erano poco distanti dalle cave, ed alle loro spalle iniziava un enorme bosco che avvolgeva la città.
Alhira, ormai corpo senza mente, si mosse tra gli arbusti, non cercava, non voleva raggiungere un luogo in particolare. Doveva tersi impegnata, sentire i muscoli tendersi, vedersi come una parte della natura, senza passato, né presente, né futuro.
Si avviò con passo deciso verso il folto della foresta, una mano stretta sul freddo metallo dell'elsa.
Lauce la seguì e le morse il mantello, facendola arrestare di colpo.
Negli occhi azzurri dell'animale comparve un bagliore di dolore, forse pena. Alhira si voltò.
-Grazie Lauce.- gli disse, mentre con delicatezza gli sfiorava il muso con le dita.
Il drago non lasciò la presa ed emise quasi un guaito, come se volesse rimanere con lei, come se avesse qualcosa da dirle.
Alhira gli posò una mano tra gli occhi, accarezzando le candide squame, versando lacrime di dolore.
-Devo andare.- la sua stessa voce, quella di un mese prima, risuonò nella sua testa. Rivide gli occhi di Iethan, sentì la presa sulla sua mano.
Lauce lasciò il mantello e, con un ruggito, spalancò le ali alzandosi in volo su un cielo di stelle brillanti.
Rimase sola. Sola assieme ai suoi pensieri, ai suoi radi ricordi. Sola assieme ai suoi passi nel bosco, assieme al dolore.
Camminava, lasciava che fosse ancora il felino a prendere il comando. Eppure, la vecchia belva, quella che aveva quasi ucciso un uomo, che aveva vissuto in lei come un animale in gabbia, ora non ritornava potente come prima. Usciva dal proprio nascondiglio con cautela, rispetto. Si insidiava nel suo corpo occupandone metà, lasciando che la nuova lei potesse rimaner presente. Permetteva che le due parti, quella di una vita passata, e quella di una vita nuova convivessero, si consolassero a vicenda facendosi forza l'una con l'altra.
Passi, ore. Non seppe per quanto tempo camminò, ma un richiamo lontano la fermò. Era solo una sensazione, nessun suono o luce stavano interrompendo la tenebra. Era come un'attrazione, una calamita che attirava a sé l'altra metà.
Alhira cambiò direzione, e si diresse verso nord, poco a poco si riavvicinava alla costa.
Si arrestò. Un enorme tronco ricoperto di piante rampicanti; ecco cosa cercava. Era un albero secolare, se non millenario. I suoi rami chiari si avviluppavano su sé stessi, si attorcigliavano fino a ricadere verso terra sottili e riccioluti. Le sue foglie, di un marrone spento, si muovevano rumorose al soffiare del vento.
Era solo l'istinto che la muoveva, Alhira non voleva svegliarsi e ritornare nel mondo reale, preferiva che fosse il suo corpo a decidere per lei. Prese il pugnale, e con pazienza, tagliò le infinite radici che avvolgevano il tronco. Notò che il colore non era uniforme, strane macchie scure comparivano sotto altri strati di muschi e foglie. La ragazza continuò a raschiare via anni ed anni di vita, lasciando scoperte solo poche lettere.
"Nefral, morto per i propri compagni"
Un lampo le attraversò la mente, e per un attimo fu tutto più giovane di secoli. Ferah era ancora seduta davanti  alla terra smossa, illuminata dalla luce di un mattino invernale.
Il dolore di una perdita, lasciare alla morte un caro. Alhira conosceva quella sensazione, era una lenta e familiare tortura. Cadde in ginocchio, pervasa da un ricordo.
La casa brucia, tra lingue di fuoco ardente, il legno si sfalda, cadendo a terra in un mare di scintille. Ril mi stringe, impaurita.
-Ce la faranno Ril, ti prego non andare!- le tengo la mano mentre tenta di rialzarsi e di correre verso la casa. -Ril!- grido con tutta me stessa. Lei si ferma, come ipnotizzata dalla scena; due figure nere su uno sfondo infuocato.
Erwan, zoppicante, regge sulla spalla il braccio di nostro padre, il quale a stento riesce ad avanzare.
Mi alzo, ed assieme a Ril, gli corro incontro. Erwan non riesce più a reggere e, privo di sensi cade tra le braccia della propria moglie. Nostro padre, si accascia a terra, tossendo e respirando a fatica.
-Papà!- la sua pelle è bruciata, il suo volto sfigurato dalle fiamme. E' come se quel fuoco avesse dilaniato anche me, come se il dolore delle ferite si trasmettesse al mio corpo.
-Papà, ti prego …- troppe lacrime.
-A … Alhira- dice in un sussurro.
-No, ti prego, non ti sforzare. Adesso Erwan ti guarirà, vedrai.- mi stringe forte una mano, calda come il fuoco.
-Alhira, combatti. Non ti arrendere, sei giovane, hai il diritto di vivere.-
-Papà, tu sarai con me!- non mi ascolta. Tossisce violentemente, e uno spasmo lo percorre. -Papà!- la mia voce è rotta dal pianto, dalla disperazione.
-No, Alhira. Lasciami andare. Sono vecchio, non sopravvivrò.-
-No!- lo abbraccio lasciando che le lacrime scorressero via.
-Padre!- grida Ril correndo verso di noi. Erwan, risvegliatosi, la segue, trascinando una gamba.
-Ril … - sussurra lui cercandola con lo sguardo ormai vitreo.
-Erwan, fai qualcosa!- grida lei prendendogli la mano.
-No … lasciatemi andare. Non avete bisogno di un peso. Sono vecchio. Dovete scappare, andarvene da qui.-
Erwan aveva iniziato a recitare un incantesimo.
-Vi prego. Andate.-
-Non posso lasciarti qui.- mormora Ril.
-Dovete … Io vi ho sempre amato, siete state la ragione per cui ho vissuto … ora an.. andate.- Il respiro diventa irregolare e gli occhi si bloccano fissando un punto inesistente.
Non mi muovo. Sento il suo battito cessare sotto il mio volto. Non voglio crederci, non è reale, tutto questo è solo un incubo. La sensazione sembra la stessa, le immagini non sono più definite e nella mente rimangono soltanto fotogrammi. I suoni si fanno sempre più ovattati, scomparendo poco a poco. Le grida di Ril, il mormorio costante di Erwan, l'incantesimo che mai avrà effetto, non esistono più. Voglio risvegliarmi, voglio ritornare a vivere assieme a mio padre. Il corpo morto che sento sotto le mie mani non è lui. Lui è vivo, perche questo è solo un sogno, un orribile incubo.
Eppure, i sogni non fanno male, non feriscono le persone distruggendole dall'interno, mangiandone la speranza, la voglia di andare avanti.
Chiudo gli occhi, sperando che il mondo attorno a me scompaia. Voglio perdermi nel buio, finché non mi risveglierò nella mia camera, finché non potrò abbracciarlo.
Braccia forti mi sollevano, le sento allontanarmi da lui. Sembra che non riescano a camminare.
-Erwan, lasciami vicino lui, ti prego.- sussurro.
Nessun suono arriva fino a me. Nulla se non un grido straziante.
Lascio che mi portino via, che mi risveglino dall'incubo. Lascio che mi riportino alla realtà, quella in cui lui è ancora con me. 
Fu solo Alhira. La belva, ribelle e forte ora soffriva quanto la ragazza timida ed insicura. Erano un'unica entità, una sola anima in un solo corpo.
Soltanto Alhira.






Salve, dal campeggio con furore vi lascio con l'ottavo capitolo =D probabilmente ora mi dovrò dar da fare con i compiti ^^'' però spero di poter trovare comunque il tempo di scrivere. ^^
Non posso fare altro che ringraziarvi tutte le volte che pubblico qualcosa, perchè se sono qui, a mandare avanti una storia da mesi, è tutto merito di quelle poche persone che hanno recensito. Grazie mille *_*
Buone vacanze, alla prossima :D P.s. recensite, criticate, scrivetemi tutto e se ne avete voglia aggiungetemi su Fb :P MilunaSky Efp xD

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Capitolo 9
*** Stelle di Roccia ***






Stelle di Roccia




Un piacevole cinguettio nell'aura dell'alba la svegliò dolcemente. Il pugnale ancora in mano, il viso rigato da un pianto continuo, gli occhi rossi e le membra doloranti.
Il tronco dell'albero, inciso secoli prima, aveva mantenuto la memoria di una vita spentasi troppo presto, le lettere scure erano ancora ben visibili. Ogni volta che Alhira le fissava, sentiva i sentimenti di Ferah fondersi assieme a quelli per suo padre in un vortice di rabbia e dolore.
Sapeva di non potersi chiudere in una bolla e smettere di vivere, ma non aveva la forza per farsi tutte le domande che le balenavano in mente. Avrebbe preferito diventare parte della terra, fondendosi tra le radici, trasformandosi in foglie e vento.
Si levò a sedere. Perché aveva chiesto di dimenticare? Perché suo padre le aveva detto di combattere, che aveva il diritto di vivere? Che pericolo correva? E perché Calen l'aveva chiamata? Cosa le avevano fatto?
Appoggiò una mano tremante sulla corteccia e si diede la spinta. Le gambe la sorreggevano appena e la testa girava. Dopo qualche tentativo, riuscì ad infilare il pugnale nel fodero appeso alla cintura. Era tremendamente debole, fisicamente e moralmente. Non avrebbe sopportato un altro sogno, un'altra coltellata nel petto.
Ma era in piedi. Stava reggendo le proprie paure, poteva sopportare, e per provarlo doveva solo andare avanti. Andare dritto, seguire la costa, rifare la stessa strada. Quella via già percorsa da felino, senza avere sensi di colpa. La via per Emtia.
 
Il caldo torrido di un'estate nel fiore dei suoi giorni inondava la foresta, che con le sue rigogliose fronde smeraldine, bloccava la brezza fresca proveniente dal mare. Alhira viaggiava di notte e dormiva di giorno, mangiando ciò che trovava, digiunando quando la stanchezza prendeva il sopravvento. Anche l'acqua scarseggiava; pur non essendo troppo a meridione, la siccità si presentava sempre puntuale e prosciugava la gran parte dei corsi d'acqua della penisola. Asidi, come la tomba di Nefral, scomparve tra le piante centenarie lasciando il posto a miglia di latifoglie. Ogni tramonto era un nuovo giorno ed ogni alba una nuova notte. Avvolta nel suo mantello nero, Alhira si confondeva tra la vegetazione come un'ombra. Silenziosa, nemmeno gli animali si accorgevano del suo passaggio, non la sentivano, né sembravano vederla.
I giorni passavano, la ragazza marciava decisa verso il luogo dove si era risvegliata. Aveva bisogno di una persona, l'unica che avesse riposto in lei tanta fiducia, che avrebbe voluto che restasse. Allora lei lo aveva minacciato pur di scappare, ed ora, tornava sperando lui la accettasse. Non era ottimista a riguardo; lo aveva ferito, trattato come un essere senza sentimenti. Forse non avrebbe voluto vederla, forse si era trasferito in un luogo più grande, in qualche città brulicante di biblioteche e grandi maghi. Glielo aveva detto lei: "Torna a casa, torna da Gelil, studia quel poco che ti manca e dai l'esame. Non preoccuparti di ciò che farò, saprò cavarmela." Magari le aveva dato retta, l'aveva dimenticata.
 
Nel pieno dell'ottava notte, quando Alhira aveva già raggiunto la Via degli Zoccoli, un'enorme figura nera sotto la luce lunare sorvolò la baia di Emtia. Un drago di modeste dimensioni atterrò sulla costa, svegliando l'intero villaggio. Alhira cominciò a correre, la curiosità era troppa. Quel villaggio era un mondo a parte, isolato e privo di qualsiasi dittatura. La pace regnava sovrana e le poche persone che vivevano in quelle casette di legno potevano definirsi abitanti di un paradiso terrestre. Un drago scuro che vi arrivava nel mezzo della notte non poteva portare altro che cattive notizie.
La ragazza raggiunse presto l'entrata alla cittadina, così si acquattò dietro ad un'abitazione ancora addormentata.
Una figura ammantata scese dall'animale e si diresse nel centro sotto gli sguardi attoniti degli abitanti. Nessuno disse una parola, rimasero a fissare l'uomo che poco a poco si avvicinava alla capanna del saggio. Lui, un vecchio magro e alto, era sulla soglia, ad aspettarlo. Entrambi entrarono richiudendosi la porta alle spalle. 
La ragazza lo avrebbe seguito, si sarebbe nascosta come solo lei poteva vicino ad una finestra, ma qualcosa la bloccava. Invisibile tra le ombre, Alhira lo guardava.
Era uscito di casa svegliato dai ruggiti del drago ed ora era sulla soglia della porta. Quella stessa porta che l'aveva fatta entrare. Il cuore saltò un battito; i suoi capelli, forse troppo lunghi per un mago, rilucevano dorati sotto la pallida luce che uno spicchio di luna proiettava sulla terra, gli occhi, che di notte diventavano d'oscurità e di giorno di smeraldo, cercavano di scorgere i due uomini nella capanna poco distante.
-Iethan … - mormorò senza nemmeno volerlo.
Il giovane si voltò verso di lei, ma l'oscurità la celava perfettamente, nascondendola dagli occhi altrui. Eccolo, lo sguardo che l'aveva svegliata, la sua prima immagine. Eppure, negli stessi tratti qualcosa di diverso si era intrufolato nel suo viso, senza cambiarlo.
Una parola. Iethan alzò la mano ed un globo di luce azzurra comparve sul suo palmo rischiarando i lineamenti della ragazza. Alhira abbassò i suoi grandi occhi d'ambra, come se potesse nascondersi. Sentiva il suo sguardo addosso, la guardava, la trafiggeva.
-Iethan.- ripeté.
Non ottenne risposta.
Combatté la paura, e lentamente, lo guardò. Lui era immobile, sul viso un'espressione indecifrabile, tra l'indifferenza e la confusione. Dopo quello che era successo, dopo avergli detto addio, dopo averlo minacciato, quella era la sua reazione?
-A-Alhira?- balbettò.
-Sì.- disse lei, facendo un passo in avanti.
-Che ci fai qui?-
-Avevo bisogno … - di cosa? Di lui? Di qualcuno che non la facesse sentire sola al mondo?
Non poté finire, perché le era già corso incontro abbracciandola.
Quelle braccia attorno al suo corpo, quella sensazione di sicurezza. Quella notte in cui lei aveva pianto e lui le era stato vicino.
Alhira lo strinse a sé, sentendosi ancora umana, dimenticando per un attimo Asidi.
-Mi sei mancata.- disse Iethan sorridendo.
Lei non rispose; nel suo mondo, nella sua luce, quello era un attimo di pace. Quella frazione di secondo per cui aveva tanto sofferto, un momento di calma in una tempesta. Non voleva lasciarlo, non ora che era finalmente dove avrebbe dovuto restare.
Una luce calda invase il villaggio, propagandosi ovunque, cambiando i colori, investendo le costruzioni.
-Dannazione.- Iethan la allontanò. -E' un richiamo. Aspettami dentro.-
-E Gelil?-
-E' via. Non uscire finché non sarò di ritorno, capito?- Alhira annuì, aspettando che la sua figura scomparisse nella luce.
La casa era come l'aveva vista l'ultima notte. Mensole colme di libri, pozioni, mazzetti di erbe aromatiche secche erano appesi agli scaffali, piccoli armadietti in legno scolorito erano disposti lungo le pareti. Un focolare, un tavolo traballante e qualche seggiola completavano l'ambiente.
Alhira si sedette a terra, davanti alla porta, dove una volta giaceva Ren, aspettando.
 
-Silenzio!- l'urlo scosse le pareti della capanna. Il saggio, in piedi di fronte ad una decina di maghi tra i quali compariva anche Iethan, ridusse la luce fino a farla diventare un bagliore che rischiarava soltanto l'aria della camera.  
-E' arrivato un messaggero da Asidi. Faralwen sta cercando una giovane donna, occhi d'ambra, capelli corvini, sedici anni, il suo nome è Alhira.- Iethan sussultò impercettibilmente.
-La ragazza è stata avvistata nella città di cristallo otto giorni fa. E' probabile che arrivi al villaggio tra poco. Chiunque la veda è pregato di portarla qui, viva. Emtia non ha guerrieri, perciò affido questo compito a voi.-
-Perché Faralwen la sta cercando?- chiese Laglor.
-Il messaggero non ha dato altre informazioni, giovane mago, mi dispiace.-
Prima che qualcun altro potesse proferir parola, il saggio spense le luci della sala, lasciando accese soltanto le poche torce magiche appese alle pareti.
-Andate ora.-
 
Iethan piombò nella casetta chiudendosi rapido la porta alle spalle. Aveva il fiatone e gli occhi sbarrati.
-Cosa hai fatto?- le chiese, tenendo la voce bassa.
-Cosa?-
-Ti stanno cercando! Faralwen!- Alhira si alzò, rabbrividendo al suono di quel nome. -E' arrivato un messaggero da Asidi! Cosa hai combinato?-
-Maledizione … -
-Alhira!-
-E' una lunga storia.-
-Allora sbrigati.-
Come quella notte con Drevan, Alhira liberò i propri ricordi e raccontò di quel mese trascorso a palazzo. Gli disse di Calen, Thorpen, Ferah e Lauce, e l'uomo dal mantello rosso. Un bruciore agli occhi la colpì mentre raccontava di Ril, di Erwan e di suo padre. Iethan l'ascoltava senza dire nulla, rispettando i suoi silenzi ed immergendosi nelle parole della ragazza. Ogni vicenda celava una sofferenza, un mostro che Alhira teneva nascosto, cercando di ricacciare indietro le lacrime che insistenti volevano scappare. Iethan lo capiva. Lui poteva leggere quegli occhi, gli stessi che lo avevano fissato spaventati quando si era svegliata, quelli che gli avevano detto addio lasciando in lui una profonda ferita che ancora bruciava, cercando di rimarginarsi, assaporando quei momenti di solitudine.
-Tutto bene?- fece lui. Alhira si era bloccata, guardando l'alba che poco a poco colorava il cielo. Seduta a terra, le ginocchia strette al petto ed il viso diafano illuminato dalla poca luce dorata.
Non poteva infliggere dolore. Un essere talmente perfetto, talmente angelico, non poteva sapere come far del male. Quelle iridi di miele, dolci e spaventate, quelle gote pallide che sbocciavano in un rossore lieve come fiori di pesco in primavera. Quelle labbra piene, color ciliegia, quelle che non vedevano un vero sorriso da troppo tempo. Quei capelli mai al loro posto, le mani delicate, quel corpo agile. Iethan la guardava, esaminandone l'espressione, beandosi di quel momento. Alhira non poteva aver abbastanza colpe per essere ricercata da Faralwen in persona. Si sentì uno sciocco, poco prima aveva dubitato di lei, aveva avuto paura. Risentì le proprie parole prendere un tono sempre più accusatorio. Cosa hai fatto?
Un tremendo impulso di prenderle la mano e dirle che sarebbe finito tutto, che avrebbe ricordato. Avrebbe voluto farla sorridere, svuotare quella mente dal dolore, vederla di nuovo come quella notte, una bambina che scopre la terra. Senza un mondo che la cerca, senza un passato che la tortura, circondata da luci e magia.
-Sì, tutto bene.- disse lei scuotendo la testa, come per risvegliarsi da un sogno ad occhi aperti. Iethan la fissava, ma in quello sguardo non c'era nulla di sbagliato. Non era curiosità, né impazienza.
-Mi cercavano … anche prima che dimenticassi.-
-Alhira, tu non hai fatto nulla.-
-E se invece sì? E se lo scopo era proprio eliminare dalla mia memoria quello che ho fatto?-
-Cosa avresti potuto fare per attirare l'attenzione di Faralwen? Hai sedici anni maledizione!-
-E se fossi un'assassina?- Un silenzio pesante cadde improvvisamente nella stanza.
-Lu-lui non si scomoderebbe per un omicidio. Deve esserci un errore, ti hanno scambiata per un'altra.-
-Allora l'uomo che mi ha … sottoposto a chissà quale incantesimo, cosa ha fatto esattamente?-
-Non lo so …- Iethan aveva abbassato la testa, pensoso.
Aspettarono, in silenzio. Alhira percorreva con un dito le scanalature del pavimento mentre Iethan cercava un collegamento logico tra i ricordi della ragazza ed i fatti accaduti una settimana prima.
Passi, lontani braccia e braccia, giunsero alle orecchie di Alhira. Si avvicinavano nel silenzio della mattina.
-Hai sentito?- fece a Iethan, immerso nel suo mondo.
-Cosa?-
-Sta arrivando qualcuno.- come poteva saperlo? Le parole erano uscite istintivamente, le sue orecchie erano riuscite a cogliere un suono così distante.
Alhira si alzò ed aspettò che una figura bussasse alla porta; finora il suo istinto non aveva fallito, e se una voce dentro di lei le suggeriva cosa fare, lei le dava ascolto, riponendo una cieca fiducia in essa.
Le sue previsioni si rivelarono veritiere; pochi e timidi colpi si udirono provenire dalla porta.
-Nasconditi.- disse quasi senza voce Iethan per non farsi sentire. Alhira si rifugiò nella sua vecchia camera, rimanendo in ascolto.
-Iethan, apri. Ti devo parlare.-
-Chi è?-
-Laglor.- il ragazzo lo fece accomodare, guardandosi attorno per controllare che di Alhira non vi fosse nemmeno l'ombra. Sapeva che era agile e silenziosa; poteva star tranquillo.
-Cosa ti porta qui a quest'ora del mattino?-
-Iethan, devo chiederti una cosa.- disse il mago facendosi ancora più serio in volto. Le sue mani erano congiunte e gli occhi fissi su un punto indefinito del tavolo.
-Ricordi il plenilunio del mese scorso?-
-C-certo.- maledetta memoria allenata.
-Quella ragazza che era con te, quella che adesso è lontana da qui. Lei corrisponde alla descrizione.-
Iethan rimase pietrificato, incapace di trovare risposta.
Alhira sentì che la barriera sicura che Emtia creava attorno a lei cominciava a creparsi, preparandosi ad un imminente fragore di armi e di uomini che la cercano, che controllano ogni vicolo, per assicurarsi che innocenti occhi d'ambra e sedici anni di vuoto potessano finire tra le mani del Supremo. Si lasciò scivolare lentamente contro la parete, pensando a dove sarebbe andata questa volta.
-No, l-lei non può essere Laglor.- Cosa avrebbe dovuto fare? Mentire. -Lei aveva gli occhi neri, e … -
-Qual'era il suo nome?- l'uomo si sporse in avanti, sicuro delle proprie teorie.
Alhira pregò che Iethan le trovasse un nome fittizio, tanto per sviare le ipotesi di Laglor. Non sarebbe rimasta ancora molto in quel villaggio.
-Astra.- fece lui con un tono deciso, senza balbettare.
-E se fosse un nome falso che ti ha dato?-
-Laglor, capisco la tua voglia di svolgere al meglio il compito a noi affidato, ma lei … lei non c'entra. E' andata via ora, è tornata da dove era venuta.-
-Dove?-
-Non l'ha detto. Ora se non ti dispiace, vorrei chiudere qui questa faccenda. Vedrai, se la vera ricercata mai metterà piede ad Emtia, non farà nemmeno in tempo a dire una parola.-
-Io mi fido ti te, ragazzo.-
Alhira non volle sentire cosa si dissero dopo. Non voleva pensare ad un'altra fuga da un'altra caccia. Non ora. Lasciò che il sonno l'avvolgesse, lì, seduta contro la parete, stremata dal viaggio.
La pioggia cade pesante sulla terra, rumorosa ed imperterrita. Vento sconvolge le fronde, e fulmini squarciano le nubi. Una meravigliosa sensazione mi percorre, elettricità, energia. Entro nella stanzetta piccola e fredda. Quella vecchia, piena di ricordi, è stata ridotta a cenere nell'incendio. Ril ha messo qualche oggetto recuperato dal fuoco qua e là, cercando di riempire un vuoto che nulla, se non il passato, mai potrà colmare. Un libro annerito dal fumo, una piccola scultura in legno, tende di un colore spento che aveva pagato poco al mercato.
Ma era comunque meglio di niente.
Dalla finestra non si vede nulla se non una confusa macchia scura. Eppure un bagliore blu appare per un attimo sul vetro, scomparendo così come è arrivato.
Quindi, finisce così. Faralwen vince. Un essere umano lontano miglia e miglia è riuscito a rovinarmi, a spegnermi.
Un'ultima notte. Forse una notte solitaria, per pensare, piangere, e dire silenziosamente addio alla mia vita passata. Mi siedo sul giaciglio, sotto la finestra che ogni tanto getta lampi bianchi provenienti dalla tempesta. Rimango a fissare il vuoto, sentendomi più indifesa che mai, senza più la stessa potenza di un tempo, senza più nemmeno la voglia provarci.
Domattina, all'alba. E' così strano essere sicuri del momento, prefissarlo ed attendere. Fa male, più di quanto non lo faccia saperlo all'improvviso. Ma Erwan aveva bisogno di tempo, ed io gli ho lasciato tutte le ore di studio che mi ha chiesto. Vuole essere sicuro; se qualcosa andrà storto, Ril potrebbe non perdonarglielo. Ril non perdonerà neppure me.
Mi odierà per sempre, mi odierà perché ho scelto la via più facile; smettere di combattere, nascondersi e far finta di non essere mai esistiti. Cambiare il proprio aspetto, scappare, lasciare che Faralwen si arrenda all'idea della mia morte. Perché così deve essere, per lui dovrò morire. Ed in un certo senso, lo farò.
Da quello che lessi assieme ad Erwan, l'incantesimo dovrebbe spazzar via la mia memoria come un uragano, senza lasciare traccia, ma tutto ciò dipende dalla potenza del mago. Lui è bravo, ha studiato per quindici anni, ha talento, e soprattutto, ha la mia completa fiducia.
Eppure ho paura. Alhira, la ragazza che potrebbe ribaltare il mondo, è stata abbattuta, ed ora si rifugia nella sua cameretta a pensare alla propria vita. Ma se il prezzo per combattere è questo, perdere mio padre, mia madre, mettere in pericolo chi mi conosce, allora preferisco sparire, diventare un'altra persona per non permettere più a nessuno di ferire Ril ed Erwan.
Rimarrò qui. Aspettando l'alba, assaporando la mia ultima notte.
-Non è l'ultima.- disse Alhira, aprendo gli occhi.
-Ultima cosa?- chiese una voce.
La ragazza si alzò di colpo, confusa dalla presenza. I capelli, ancora più scompigliati del solito, erano una nuvola nera che le ricadeva sugli occhi. Qualcuno le liberò la vista con tocco angelico.
-Ciao.- sul viso di Iethan si era dipinto un sorriso, seduto sul letto, vestito con una vecchia tunica grigio scuro. -Come stai?-
-Meglio, in un certo senso.- Se fosse stata sincera gli avrebbe detto quanto male provava, quale sofferenza si celava sotto quel timido sorriso appena accennato. Eppure, i suoi occhi verdi irradiavano una rara serenità, qualcosa che Alhira non vedeva da troppo tempo. Le infondevano un senso di pace, erano una piacevole parentesi felice in un mare oscuro.
Iethan era entrato nella stanzetta appena dopo che Laglor ebbe lasciato la casa. L'aveva trovata addormentata, con due occhiaie violacee che segnavano la fatica e la stanchezza che l'avevano travolta. Così l'aveva posata sul letto, ed aveva aspettato.
-Hai fame? Scommetto che mangeresti volentieri qualcosa.-
-Sì.- disse Alhira massaggiandosi la fronte con una mano.
Quel sogno … era stato come rivedersi dall'alto. Come sentire i vecchi pensieri amplificati, come essere sé stessi ma allo stesso tempo essere lontani dal corpo. Si era sentita divisa, aveva guardato il ricordo da più angolazioni, e come in tutti gli altri, aveva aperto un'altra cella della sua prigione di immagini.
Seguì Iethan, che, indaffarato, cercava qualcosa da farle mangiare tra barattoli di spezie e piccoli manuali infilati nei posti più impensabili. Alhira si sedette e la seggiola scricchiolò pericolosamente.
-Ecco, spero possa essere abbastanza … non abbiamo molto.- fece lui, posandole davanti qualche mela, una pagnotta ed una fetta di formaggio giallino e maleodorante. A lei non importava; era da giorni che pativa la fame, avrebbe mangiato qualunque cosa le avesse dato.
Stava mordendo la lucida e scarlatta buccia di una mela, quando le venne in mente una domanda che la tormentava.-Dove andrò adesso?- la serenità sul viso di Iethan si spense come braci sotto un temporale.
-Puoi restare se vuoi.- lui per primo sapeva quanto stupida fosse quella affermazione, eppure era arrivata senza preavviso, uscendo dalle sue labbra quasi involontariamente.
Alhira sorrise amaramente. -Sai che non posso.-
-Ma io posso venire con te.- Iethan si sedette di fronte a lei.
-Non dire sciocchezze, mi danno la caccia. Saresti in pericolo.-
-Facciamo finta che non mi interessi quanto pericoloso sia, tu mi permetteresti di seguirti?-  
-No. Non se ne parla, ho dimenticato per non far del male alle persone che amavo. Se facessero del male a te …-
-Alhira, ora ti cercano soltanto qui e ad Asidi, ma presto la voce si diffonderà ovunque se Faralwen ti vuole così tanto. Avrai un mondo contro!-
-Combatterò contro il mondo, allora.-
-Non puoi. Finirai a passar la vita in cerca di un nascondiglio. Anche l'uomo più potente non riuscirà a scappare da migliaia di villaggi, a far cambiare direzione alla corrente.-
-Ma è solo Faralwen la corrente.-
-In primo luogo, non lo sai. Potrebbe essere soltanto lui oppure un intero territorio, e secondo, Faralwen regna in una città chiamata Draelia, non so se ne hai già sentito parlare …-
-Quareon. Sì lo so.- lo interruppe.
-Bene, allora saprai quanto sia facile entrare e come siano ospitali!- disse sarcastico.
-Cosa vuoi che faccia allora? Vuoi che stia qui, ad aspettare?-
-Non dipende da cosa voglio io, dipende da cosa è meglio per te. Non sai abbastanza di te stessa ancora, e non sei abbastanza forte da poter girovagare da sola.-
-Andrò a Nord, stanotte, da sola.-
-Sei testarda! Io voglio venire.- Iethan si sporse in avanti, negli occhi solo sincerità.
-Devo pensarci.- disse Alhira alzandosi. Il mago rimase a guardarla andarsene nella camera.
 
Durante il pomeriggio, Alhira dovette rimanere chiusa nella piccola stanza di Iethan mentre lui riceveva i pazienti. Aveva sfogliato decine di libri di incantesimi, in cerca di quello giusto, quello che le avrebbe detto come Erwan le aveva rimosso i ricordi. Ogni tomo che metteva via, nella pila di volumi sulla sua destra era un briciolo di speranza che si spegneva.
Intanto pensava; Iethan non poteva seguirla, non avrebbe potuto sopportare che gli succedesse qualcosa, era nato un legame con quel ragazzo, qualcosa che non sapeva definire, che in quel momento non avrebbe voluto si evolvesse. Era l'unica persona che aveva vicino e di cui si fidava ciecamente. Se lo avesse lasciato ad Emtia, assieme a lui sarebbe rimasto anche un pezzetto di lei, piccolo ma pulsante di vita.
Prese il pugnale, nel suo fodero decorato da disegni dorati, appariva un'arma innocua, una lama che nella mani di una ragazzina non avrebbe potuto mai far del male. Una delle pietre azzurre fu attraversata da un barlume di luce.
Iethan era entrato in silenzio. Il tramonto lasciava ormai il posto alla notte colorando le superfici di un indaco spento.
-Hai deciso?-
-Sì.- Iethan si mise a terra con le gambe incrociate, di fronte a lei, appoggiata al letto. -Andrò da sola.-
Lui sospirò. -Non è mai stata una decisione per te, vero? E' sempre stata l'unica via, fin dal primo incontro.-
-Non capisco.-
-Lasciati aiutare, pensi che non sappia a cosa vado incontro?- le prese una spalla ed abbassò il volto per incontrare i suoi occhi, fissi sul pavimento ligneo.
-Non voglio perdere più nessuno. Non voglio vedere soffrire, non posso andare avanti se ogni notte il passato ritorna ogni volta più doloroso. Non saprei come rialzarmi se succedesse qualcosa a te, o a Ril, o a Erwan.- disse lei, quasi in un mormorio.
-Sei più forte di quanto tu ora creda. Lascia che venga con te, ora sono un vero e proprio mago, per diventare guaritore dovrò far qualche anno di pratica, ma questo posso anche rimandarlo. Non sono legato qui in alcun modo.-
-E Gelil? Cosa penserà?-
-Io e Gelil non parliamo molto da quando è successo … beh, quello che è successo a Ren. Lei ha iniziato a frequentarlo, così ci vediamo ancora meno. Ultimamente viene una volta o due a settimana. Penso che se partissi la libererei di un peso.-
-Non dire così, lei ti vuole bene, insomma, ti ha cresciuto.-
-Già, e forse è arrivato il momento che lasci il nido, giusto? Meglio tardi che mai.-    
-Sappi che non te lo perdonerò.-
Sul viso di Iethan si dipinse un sorriso.
-Partiremo questa notte. Andrò io per prima, e dopo un'ora, mi raggiungerai.-
-Qual è la nostra meta?-     
-Sorpresa.-
 
Dopo aver consultato attentamente la mappa dei Territori d'Oriente, Alhira decise di muoversi verso Nord, puntando in direzione di Olniar, un villaggio posto sul limitare della foresta, laddove i terreni rocciosi incontravano la morbidezza della terra solcata da radici di alberi secolari. Iethan avrebbe portato con sé le provviste ed i propri oggetti personali, mentre lei avrebbe trasportato il resto, in modo da avere un carico più leggero che le permettesse più movimento. Era Alhira che, in caso di necessità, avrebbe dovuto combattere, e Iethan, essendo agile come un tronco, l'avrebbe aiutata con la magia.
-Hai avvertito Gelil?-
-Andrò da lei quando tu sarai già partita.- rispose lui mettendo via una lunga tunica nera.
-Mi dispiace.-
-Di cosa?-
-E' colpa mia se il vostro rapporto è cambiato. Se non avessi …-
-Non è vero, Alhira. Non l'avrei appoggiata comunque se avesse voluto iniziare un relazione con Ren, quell'uomo non mi è mai parso una persona di cui fidarsi. Da quando ha voluto aggredirti, beh, ha confermato tutte le mie ipotesi.- la interruppe.
Alhira non aggiunse altro e con grazia si avvolse nel mantello scuro come l'ombra.
-Tra un'ora, al salice. Ti aspetto, avventuriero.- gli fece l'occhiolino aprendo una finestra che dava su una zona poco visibile della strada, vicina ad un'altra parete priva di aperture di un'abitazione più grande.
-Fai attenzione.- gli sussurrò Iethan sorridendo.
-Questo dovrei dirlo io a te.- e come una folata di vento, scomparve tra le vie deserte del villaggio.
 
Iethan fu ancora solo, circondato dal silenzio che ultimamente era diventato quasi familiare. Le ultime settimane erano state orribili. Poi era arrivata lei. Un vento d'aria nuova, aveva portato la sua voce, le sue sofferenze e le sue paure in quella prigione. E lui non poteva fare a meno di guardarla, ammirare la forza che nascondeva sotto un velo di timidezza, scrutare quegli occhi di un colore così strano e vederne il riflesso di una vita passata che la tormentava.
Aspettò qualche minuto, e dopo aver controllato che nessuno lo potesse vedere, uscì, chiudendosi la porta alle spalle, la stessa che si era aperta per lui fin da piccolo.
Lei doveva essere a casa di Ren, forse tra le sue braccia, avvolta da un sonno privo d'incubi, accecata dall'amore.
Nessuna luce proveniva dall'interno della costruzione. Piccola e accogliente, era circondata da un giardinetto ricco di piante profumate che nel pieno dell'estate liberavano nell'aria dolci essenze fruttate. Iethan infilò una mano nella sacca e ne estrasse una busta ingiallita. Era in quell'involucro cartaceo che aveva rinchiuso il suo addio.
Rimase a fissarlo risentendo nella sua mente le parole che le aveva scritto con un groviglio di emozioni tra le dita, nel cuore. Spinse la lettera sotto la porta e rimase ad aspettare, come se qualcuno dovesse venire ad aprire.
Uno scricchiolio, piedi camminavano nudi sul legno di fronte all'entrata. Secondi di attesa. Iethan trattenne il respiro e, lentamente, indietreggiò, preso alla sprovvista.
La porta si dischiuse, ed una giovane donna comparve sulla soglia. I suoi lunghi capelli di un nero bluastro avvolgevano un viso pallido. Un paio di grandi occhi scuri si alzarono dalla busta a Iethan, fermo a qualche braccio da lei.
-Iethan? Cosa succede?-
-Me ne vado.-
Le carnose labbra scarlatte della giovane si dischiusero leggermente in un'espressione confusa. La morbidezza di quel corpo, avvolto da un leggero vestito cremisi che ne risaltava la sinuosità delle linee, era nuova al ragazzo.
-Perché?- anche la voce, prima acerba e acuta, ora matura e suadente, era diversa. -Mi avresti lasciata con una lettera?-
-Devo andarmene da qui.- abbassò gli occhi.
-Sei grande, puoi fare le tue scelte, sai che non ti ho mai obbligato a fare quello che non volevi. Almeno dimmi il perché.-
-Una missione.- non poteva dirle di Alhira, così era costretto a mentire.
Gelil capì; il suo vecchio istinto materno rinacque, rivelando la menzogna del mago, inesperto nell'arte dell'inganno. Con la busta ancora tra le mani, si avvicinò a lui, mentre timide lacrime le inumidivano le lunghe ciglia.
Le sue calde braccia lo avvolsero in un abbraccio colmo di dolcezza. Iethan rispose, sentendo vicino a lui la vera forma di colei che era stata sua madre, inebriandosi di quel profumo che l'aveva cresciuto, toccando quei capelli lunghi fino alla vita, ribelli e mossi.
-Fa attenzione.- gli disse lei, accarezzando i capelli dorati del suo unico figlio, di quel bambino che aveva preso sotto la sua ala protettiva da anni. -Inviami tue notizie appena puoi. Devi promettermelo.-
-Certo.- Disse Iethan, respingendo le lacrime, dimenticando gli scontri nati negli ultimi giorni.
Gelil lo lasciò, ed asciugandosi gli occhi, sorrise. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato, che quel giovane non sarebbe potuto rimanere in un villaggio come Emtia. Così si era abituata all'idea, e aveva già pianto in silenzio, da sola, con la mente piena di quella tristezza, immaginando ciò che ora stava accadendo.
-Addio, Gelil.- La voce di Iethan era bassa, un po' tremante per l'emozione.
-Addio.-
 
"Non è difficile da raggiungere, si nota subito" le aveva detto Iethan mentre decidevano il loro punto d'incontro. Infatti era enorme; un salice piangente dal tronco largo ed inciso dal tempo si ergeva potente vicino alla costa, i rami, che scendevano sottili e leggeri dall'alto, si muovevano ai sospiri del vento. Era un luogo magico; davanti alla spiaggia fine e bianca sotto la funerea luce lunare, era protetto da arbusti ed altre piante che lo circondavano, lasciando però uno spiraglio di spazio, così che quell'essere antico potesse guardare il mare d'argento. La sabbia, trasportata dal dolce sussurrare dell'aria, ne circondava le radici, ricoprendo il terreno di un impalpabile strato di soffice polvere.
Alhira si sedette, intimorita dal pesante silenzio che gravava sulla natura quella notte. Si tolse il cappuccio ed appoggiò la testa alla ruvida corteccia, attendendo.
Qualcuno, dal passo pesante e dal respiro affannato, stava giungendo. Alhira non dovette nemmeno voltarsi per riconoscere Iethan che con scarsa grazia si sedeva stanco contro l'albero. Non disse nulla e si prese la testa tra le mani. Alhira, seduta verso il mare, si piegò di lato per guardarlo in viso, ma tutto ciò che vide furono lunghe dita che coprivano i suoi occhi.
-Tutto bene?- chiese lei, leggermente preoccupata.
-S-sì- disse, sulla pelle ancora il profumo della vera Gelil, quella senza strane pozioni che ne cambiavano l'aspetto o che ne modificavano l'età.
-Iethan, se non vuoi affrontare questo viaggio, non c'è bis …-
-E' tutto a posto, davvero.- la interruppe, senza muoversi.
Alhira posò una mano sul braccio del ragazzo e con un movimento rapido fu al suo fianco. Rimase a guardarlo.
Non aveva mai avuto né il tempo, né la forza per rievocare la sua immagine durante la permanenza ad Asidi. Così si trovava solamente ora, travolta da una sensazione così estranea e sconosciuta, a fare i conti con ciò che provava. Un dolce affetto, un'amicizia, qualcosa di più. Adesso però non c'era più nessun vecchio istinto, nessuna voce che le suggerisse cosa fare. Una sensazione di calore si diffuse dall'addome fino alla punta delle dita, ribollendo di confusione e paura. Era come spiccare il volo aggrappata alle scaglie di Lauce, eppure i suoi piedi toccavano terra.
Investita da un'onda di sicurezza, avvolse con l'altro braccio le spalle di Iethan, appoggiando la testa sulla sua tunica. Non sapeva cosa era giusto fare, cosa bisognava dire. Così rimase immobile, come aveva fatto lui quando si era risvegliata. I ruoli si erano invertiti, bilanciando la loro situazione, mettendoli sullo stesso piano.
Iethan, immobile, pensava. Cercava in qualche modo di realizzare ciò che era appena successo. Non avrebbe mai pensato fosse così difficile, terribilmente doloroso. Gelil era sua madre ormai, e da quando era piccolo aveva sempre rappresentato la figura materna che non aveva mai incontrato. Vederla in lacrime, vederla piangere per lui era qualcosa di straziante. Il dolore che nasce in un figlio nel vedere la propria madre piangere è enorme, e poco a poco distruggeva le barriere che lo separavano dalla crudeltà del mondo, dandogli la consapevolezza dei suoi anni, del suo corpo ormai diciottenne.
Il contatto con Alhira lo riscosse dal baratro di tristezza e nostalgia. Tremavano forse quelle mani che cercavano di consolarlo? Era timore quello che le faceva battere forte il cuore?
Iethan si scoprì il volto, rivelando un luccichio sulle sue iridi scure. Avvolse il suo braccio attorno alla vita della ragazza e si voltò verso di lei. Gli occhi ambrati, prima fissi su un punto indefinito sulla sabbia, incontrarono il suo sguardo, ritornato quello di sempre. Le sorrise e cancellò ogni traccia di lacrime dal volto con un rapido gesto della manica.
-Andiamo?- le chiese in un sussurro, come se non volesse svegliare il bosco attorno a loro.
-Sì.- disse Alhira, annuendo impercettibilmente. -Iethan, mi dispiace.-
-Non è successo nulla.- e sul suo volto si dipinse quell'espressione di serenità che calmava l'animo di chiunque, scaldando l'aria. Si alzarono insieme, la mano del ragazzo ancora attorno a lei.
Alhira la guardò, e Iethan, repentino, la lasciò, mascherando il gesto scrollandosi la sabbia di dosso. La ragazza arrossì, abbozzando sulla sua pelle diafana nuvole di un soffice color vermiglio.
-Verso Olniar?- chiese lei.
-Verso Olniar.- confermò il mago.
 
Seguendo il confine tra alberi e spiaggia, Alhira e Iethan procedevano verso nord uscendo dalla baia di Emtia. Poco a poco, la costa bassa e sabbiosa iniziava a farsi più frastagliata elevandosi dal livello del mare con alti promontori a picco. L'alba nacque quando ormai il ragazzo cominciava ad inciampare per la stanchezza.
-Iethan se vuoi riposare qualche minuto ci possiamo fermare.- gli continuava a dire lei vedendolo arrancare sulle salite.
-No, sto bene. Andiamo!- e subito riprendeva a camminare spedito, per poi fermarsi dopo una decina di minuti a riprendere fiato. Alhira continuava ad avanzare con il suo ritmo, felice di poter tenere impegnato il suo corpo con dell'esercizio. Per quanto il mago fosse fuori da ogni tipo di allenamento, però, non la fece mai aspettare, ed anche se a fatica, teneva il suo passo.
-Potremmo accamparci qui per questa notte ... giorno.-
Iethan si gettò sull'erba antistante una piccola rientranza nella roccia.
-Meraviglia!- disse, disteso a terra e sorridente.
-Farò io il primo turno di guardia, tu mangia e poi riposati.- disse lei sistemandosi all'interno della caverna.
Entrambi rimasero in silenzio, Alhira ascoltava il regolare respiro del compagno, sopportando il caldo estivo placato ogni tanto dalla dolce brezza marina. Il sole, cocente ed unico sovrano del cielo, compiva il suo corso, accorciando le ombre ed ardendo le rocce.
-Tocca a te.- disse dopo qualche ora Iethan sbadigliando rumorosamente.
-Se vuoi dormire fino al tramonto fai pure, non sono stanca.-
-Alhira.- la fissò con uno sguardo che non ammetteva obbiezioni, e lei sorrise, chiudendo finalmente gli occhi.
 
Qualcuno bussa alla porta. Sì, l'alba è qui, è il momento.
-Sei pronta?- no, non sono pronta, non voglio lasciare la mia vita, non voglio lasciare mia sorella, i ricordi di mio padre. Non voglio dimenticare come si vive quando si ha qualcuno vicino, non voglio diventare qualcun altro, voglio essere Alhira. Non so dove mi porterai, non so se Ril ci sarà, non so se farà male, se dovrò soffrire.
-Sì.- bugiarda. Bugiarda, ecco cosa sono. Ho paura, una paura che non ho mai provato. Sento le mie mani tremare, il mio cuore battere troppo velocemente. Lo guardo; i suoi occhi di un verde chiaro, quasi azzurro, mi fissano colmi di tristezza. Nella luce di un sole privo di colori, mi alzo.
Stupide gambe, stupide sensazioni umane. Guardo per un ultima volta quella stanzetta spoglia dipinta da lunghe ombre grigiastre. Erwan mi aspetta, sa che non è facile, che è forse una delle azioni più difficili da compiere. Andare verso la propria morte, verso il proprio oblio.
-Seguimi.- non è tempo per piangere, non è tempo per ripensarci.
I nostri passi, ovattati alle mie orecchie, sembrano gocce d'acqua sul tetto, cadono perpetue. Rivedo le scale, così simili a quelle della vecchia casa, il vento che sposta le tende, la luce, non più amica come un tempo, colpisce i miei occhi, quasi chiamasse vendetta.
Erwan prende un mazzo di chiavi, tintinnano dolcemente nelle sue mani, risplendono metalliche nell'aria. Cambia direzione, passa davanti allo studio fino a fermarsi davanti ad una porta scura. Bussa due volte, e lentamente la apre, lasciando che sia io ad entrare. Una ragazza, seduta verso la luminosa finestra, sussulta nell'udire i miei passi.
Ril si volta, il volto straziato dal pianto, gli occhi arrossati. Mi tende una mano e mi sorride, cercando di mascherare l'irrefrenabile voglia di versare altre lacrime.
Non c'è bisogno di parole, mi porta a sé, e con forza mi stringe. Per quell'attimo di paradiso, per quelle braccia, quelle mani, quel respiro, avrei rinunciato a tutto. Avrei solcato mari, distrutto monti, cancellato cielo e terra.
-Non mi dimenticare.- le mormoro.
-Non lo farò mai. Tu sarai sempre Alhira per me, sarai mia sorella, e nulla potrà cambiarlo. Anche quando non ricorderai più nulla, rimarrai con me, il tuo ricordo non svanirà assieme alla tua memoria.-
-Ho paura, Ril. Ho paura di quello che accadrà.-
-Andrà tutto bene. Tu sei forte.- mi sussurra. Il mio viso nell'incavo del suo collo, le mie braccia strette sulla sua schiena. Se solo potessi dimenticare qui, in questo istante, senza soffrire ulteriormente, senza doverla lasciare. Perché so che non ci sarà. Non sarebbe rimasta ad aspettarmi nella sua camera a piangere se avesse potuto seguirci.
Quello era un addio.
Sento una mano che, gentile, si appoggia sulla mia spalla.
Il nostro tempo è finito. Ril allenta la presa.
-Addio, Alhira.- con una dolcezza infinita mi bacia la fronte, lasciando che calde lacrime scorrano sulle sue guancie bianche come neve.
-Addio.- le dico, quasi senza voce, con il cuore stretto in una morsa di dolore.
La lascio, mentre dentro me, come uno specchio, il sangue diventa cristallo e si spezza, si frammenta in miriadi di schegge appuntite che mi trafiggono dall'interno.
Un ultimo sguardo, un'ultima lacrima.
Mi volto, seguendo Erwan, le chiavi tintinnanti ancora in mano.
Non sento il pavimento sotto i miei piedi nudi. Non sento la veste leggera e sottile che tocca la mia pelle. Non sento nemmeno lo scatto della serratura che si attiva. Scendiamo una lunga rampa di scalini di pietra mentre l'aria si raffredda. Erwan spinge con forza un'altra porta pesante in metallo e legno, mostrando una stanza circolare illuminata da un piccolo globo luminoso bianco. Il soffitto a cupola è fatto da pietre bianche, così come anche il ruvido pavimento. Pare una dimensione differente, dove la luce non contiene colori, dove ogni cosa è fredda, di ghiaccio.
Erwan espande la sfera luminosa facendola brillare più intensamente. Con un movimento della mano, alza il globo facendolo lievitare nel punto più alto della stanza.
Al centro, coperto da un lenzuolo bianco, vi è un lettino, più somigliante ad un lungo e stretto tavolo. Sulle pareti un'infinità di libri, piccoli armadietti, scaffali, erbe e piante, barattoli e scatole.
-Non è un ambiente molto accogliente, era il vecchio laboratorio del guaritore del villaggio.-
-Non fa niente, Erwan. Non importa.- cerco di sorridergli. E' stato fin troppo gentile, l'incantesimo è difficile, richiede un'enorme quantità di energia e lui si è preparato per giorni, soltanto per me.
Lo vedo dirigersi verso uno scaffale.
-Siediti.- mi dice.
Il legno è freddo, attraverso il lenzuolo ruvido ne sento l'umidità penetrarmi nelle ossa, raggelarmi i muscoli.
Nell'addome è come se avessi una ferita aperta, un'orribile sensazione di terrore mi morde le viscere e fa pressione sui polmoni. Stringo la stoffa, scaricando il nervosismo nei miei pugni tremanti.
Non posso pensare, non riesco a muovermi.
Erwan mi viene incontro, nella mano un coltellino dalla lama lucente. Il mio cuore smette di battere per un secondo.
-E' per i capelli. Vuoi farlo tu?- scuoto la testa facendo oscillare una lunga cascata di capelli rossi ed ondulati.
Chiudo gli occhi. Un brivido mi percorre quando con delicatezza raccoglie la chioma tra le sue dita. Pochi istanti. Sento i corti capelli che si disperdono dalla sua presa, la testa si alleggerisce ed anni già spariscono tra le ciocche cremisi che giacciono inerti nella sua mano.
Tengo gli occhi chiusi, non voglio vedere, non potrei sopportare.
-Sdraiati.- e lentamente, accompagna la mia schiena finché non viene contatto con il gelido lenzuolo.
-Devi tenere gli occhi aperti però, guardare dritto davanti a te.-  Quello che vedo è soltanto la luce abbagliante proveniente dal globo, immobile, sospeso in aria.
-Guarda la mia mano.- la figura nera ed in controluce del suo palmo riempie il mio campo visivo.
Erwan inizia a mormorare l'incantesimo che dovrebbe cambiarmi, cancellare ciò che mi distingue da tutti.
Un bruciore lieve si impadronisce delle mie iridi, un formicolio si propaga dalla fronte su tutta la nuca. La luce prende una tonalità sempre più fredda, diventa azzurra, e poi blu, come il cielo notturno visto dagli abissi.
Un cambiamento repentino; ora diventa fuoco, i capelli carbone.
L'ombra sparisce, e di nuovo tutto è avvolto da un bagliore bianco e sterile.
Mi alzo a sedere. Le dita corrono alla chioma e ne prendono una ciocca. Ora i miei capelli sono scuri, un comunissimo color ebano. Erwan si avvicina e lentamente mi solleva il volto.
-Di qualunque colore siano,  tuoi occhi sono stupendi.- sorrido, cercando di non pensare a cosa succederà.
-Ecco, ora devi bere questo, è un sonnifero molto potente. Non cadrai subito addormentata, ci mette qualche minuto per far effetto. Intanto potrò iniziare l'incantesimo per eliminare la memoria. Se c'è qualsiasi cosa che tu voglia dirmi, questo è il momento per farlo.-
-Ti volevo ringraziare, Erwan.-
-Non c'è bisogno, davvero, è il minimo che possa fare. Ti voglio bene Alhira.-
Mi abbraccia, per la prima volta da quando conosco il suo nome. E' così difficile vederlo in pena per me, scorgere nei suoi occhi il dolore che gli provoca fare tutto questo alla sorella di sua moglie, ad una ragazzina di quasi sedici anni. Appoggio la testa sul suo petto, ascoltando il calmante battito del suo cuore, così diverso dal mio, irregolare e frenetico.
Mi lascia, avvolgendo nella mia mano un bicchiere contenente un liquido azzurrino dal profumo dolciastro. Trattengo il respiro e con un unico sorso, bevo il sonnifero, lottando con il mio corpo che ormai non vuole più farsi toccare. Non vuole essere cambiato ulteriormente, si ribella lanciandomi fitte al petto, bruciando gli occhi, facendo tremare ogni mio muscolo.
-Addio.- gli sussurro sorridendo, come per consolare me stessa, per dirmi che non farà male, che non sentirò nulla.
-Addio, Alhira.- e come quelle tenere parole giungono a me, lascio che la mia schiena ritorni distesa sul tavolo, che le mie palpebre ricadano pesanti oscurando la luce, che il mio cuore decidesse da solo cosa fare, se calmarsi o se continuare a battere preso dal terrore.
Il suo mormorio lontano non è altro che una meravigliosa nenia, quasi musicale. Nel cielo stellato della mia mente, soltanto pace e silenzio regnano sovrani. Nemmeno una nuvola, neanche un solo squarcio di grigio infesta le galassie che in un infinità di colori continuano a muoversi, creando costellazioni sempre nuove. Ogni stella, ogni luna è un ricordo.
Eppure, all'orizzonte, un filo di luce azzurra si avvolge attorno ad ogni diamante, assorbendone ogni bagliore, privandolo di energia, per poi lasciarlo e passare ad un altro. Ciò che ne rimane è una dura pietra scura sospesa nel cielo, mimetizzata con lo sfondo, impossibile da vedere.
Guizzi di luce, stelle che vengono racchiuse in involucri rocciosi. Urlo, cerco di fermarli, ma io non esisto, sono soltanto una spettatrice di quel crudele spettacolo.
Quando anche la luna scompare nell'immensità di tenebra che si estende dentro di me, il mio corpo si placa, confuso da ciò che è successo.
Sento la pelle brillare, sento che la luce, come una consapevolezza, si rimpicciolisce, comprimendosi in un angolo.
Non fa male, non so cosa stia succedendo.
Non so chi sono. 






Eccomi con il capitolo pre-mare-ma-dovrei-fare-i-compiti-fà-niente-li-faccio-quando-torno-e-li-copio-da-qualcuno :D In ogni caso, non succede molto, è più un viaggio nelle sensazioni... in effetti è pieno di abbracci, addii e lacrime ç___ç Aw ma quanto è bella Gelil? LOL Comunque, ringrazio chiunque legga. Non importa se lo stai facendo solo per noia o se davvero questa storia ti piace, GRAZIE <3 Commentate, CRITICATE, ditemi tutto quello che vi passa per la testa ^^ Grazie ancora ed al prossimo capitolo =D
p.s. non scriverò per una settimana, il che significa che ci sarà un ritardo di un po' di giorni per il prossimo capitolo (anche se non sono mai stata regolare nel pubblicare ^^'''''')

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