Verde d'Ungheria di Saralasse (/viewuser.php?uid=32399)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 32: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Novembre 1787
Un anno. Un intero,
lunghissimo anno era già passato,
un anno nel quale si era ritrovata a contare le interminabili ore, i
minuti, i
secondi trascorsi dall’incidente che le aveva stravolto
l’esistenza.
Oscar, sdraiata sul
suo letto, continuava quel
computo estenuante, osservando ciò che la circondava: tutto
quello che era suo
si trovava in quella stanza o in quella casa, tutto escluso
l’unica cosa,
l’unica persona che le sarebbe importato di poter definire
sua.
Andrè non
era più suo. Non aveva mai ammesso a se
stessa che lo fosse, rifugiandosi dietro la solita immagine che aveva
di lui,
migliore amico, fratello, attendente.
‘Quello che
più mi conveniva’, si ritrovò a pensare
amaramente, disprezzando la codardia che le aveva fatto rifuggire i
sentimenti
ben più profondi celati nel suo cuore.
Eppure era stato
così semplice! Naturale come il
respirare, la consapevolezza si era impossessata di lei nel momento
esatto in
cui Andrè le era stato strappato via, senza che potesse
opporsi, che le fosse
data una seconda possibilità di rivelargli i sentimenti
divampati in lei e che
avevano cancellato quello che credeva essere l’amore per il
conte di Fersen.
Esattamente un anno
prima Andrè l'aveva lasciata,
precipitato dall’alto di una torre per assecondare il folle
piano che lei
stessa aveva ideato allo scopo di catturare il Cavaliere Nero; il vero
ladro
aveva colto in flagrante Andrè e senza pensarci aveva
tranciato la corda con la
quale lui si stava calando a terra, lasciandolo cadere nel vuoto. Ogni
ricerca
era stata vana, lei stessa aveva preso parte attiva ai pattugliamenti
della
zona ma il ragazzo sembrava essere scomparso nel nulla.
Le dissero di lasciar
stare, ché il fiume che scorreva
ai piedi della torre doveva essersi portato via il corpo; le dissero di
non
insistere, meglio ricordarlo com’era che sfatto e gonfio
d’acqua dopo tutti i
giorni trascorsi dal fatto. E lei aveva rinunciato, ancora una volta,
negando
alla nonna di Andrè persino la possibilità di
avere un corpo da seppellire in
quella tomba che tutti i giorni ne accoglieva, muta, le lacrime.
Nessuno le
aveva fatto una colpa di questo, ciascuno convinto che la povera
madamigella
Oscar preferisse ricordare il suo caro amico Andrè
così com’era stato; nessuno
poteva immaginare fino a che punto l’egoismo avesse dettato
quella decisione,
come avesse agito per puro istinto di conservazione, conscia che il
vedere quel
corpo ormai privo di vita l’avrebbe frantumata, schiacciata
sotto il peso di
ciò che avrebbe potuto essere e non sarebbe più
stato.
Trattenendo a fatica
l’ennesimo sospiro si alzò
avvicinandosi alla finestra e appoggiò la fronte contro il
vetro freddo,
osservando il sole che tramontava, cedendo lentamente il posto
all’oscurità;
non che le importasse, notte e giorno non facevano più
differenza per lei, non
avevano altro significato che allontanarla sempre più
dall’ultima volta che lo
aveva avuto con sé.
Un lieve bussare la
distolse dai suoi pensieri e come
sempre dopo aver concesso il permesso di entrare si ritrovò
a trattenere il fiato
nella speranza che fosse Andrè a varcare quella soglia.
Anche questa volta,
invece, si trattava di Nanny che veniva a ricordarle i suoi doveri.
“Madamigella
Oscar dovreste prepararvi, siete attesa a
Versailles stasera… il ballo, ricordate?”, si
affrettò a specificare vedendo lo
sguardo smarrito di Oscar.
“Il ballo
certo, quei nobili ungheresi… me ne ero
completamente dimenticata, grazie Nanny”.
La donna sorrise
comprensiva, tentando di ignorare il
pessimo aspetto di Oscar, pallida e dimagrita, gli occhi cerchiati di
nero,
segno evidente di molte notti di veglia.
“Principi,
madamigella, non dimenticate. I principi
Beleznay sono ospiti molto cari alla nostra Regina, sbagliare il loro
titolo
nel rivolgervi a loro sarebbe una grave mancanza”.
Oscar non rispose,
intenta a scrutare Nanny con
particolare attenzione.
‘Come
fa?’, si chiese stringendo appena i pugni. ‘Come
riesce a preoccuparsi ancora di queste inezie dopo aver perso il suo
unico
nipote? Come… perché io non ci riesco
più?!’
“Madamigella
qualcosa non va? Vi sentite poco bene
forse?”, chiese l’anziana donna fraintendendo il
suo silenzio.
“No,
va… va tutto bene, grazie Nanny, mi preparo
subito. Per favore, ordina che sia preparata la mia carrozza”.
Nanny
chinò rispettosamente il capo uscendo dalla stanza
mentre Oscar tornava a prestare una morbosa attenzione al paesaggio
visibile
dalla finestra. Quando il sole fu tramontato del tutto decise
finalmente di
muoversi e cambiarsi d’abito, ponendo fine
all’attesa del cocchiere che la
aspettava davanti all’ingresso.
Mentre la carrozza la
conduceva lentamente a
Versailles, Oscar si ritrovò a pensare con disappunto che
procedeva troppo
velocemente per i suoi gusti. Non aveva voglia di partecipare
all’ennesimo
ballo, tuttavia non se la sentiva di mancare di rispetto alla Regina
che si
dimostrava da sempre una cara amica; le aveva persino concesso una
lunga
licenza dal suo incarico presso la Guardia Reale dopo la perdita di
Andrè,
consentendole se non di dimenticare almeno di costruire una maschera
convincente
per il resto del mondo. Perciò, se lei la desiderava al suo
fianco a ricevere i
principi Beleznay, Oscar non poteva fare altro che esaudire il suo
desiderio e
presentarsi a corte in alta uniforme.
Non era la prima
volta che quella famiglia di nobili
ungheresi si recava in visita alla Regina Maria Antonietta: circa un
anno prima
erano stati ospiti in Francia in occasione del compleanno della sovrana
e li
ricordava come persone cordiali, compite ed eleganti ma poco avvezze
agli
intrighi di Versailles. Il principe Zalán e la sua consorte
Ariadné conoscevano
da tempo la Regina, dal momento che la donna era stata per un breve
periodo una
delle dame di Maria Teresa d’Austria; si era trattato di un
tentativo di
mitigare le tensioni con il recentemente annesso Regno
d’Ungheria, ma Ariadné
aveva abbandonato presto quella posizione, stanca dei commenti delle
dame
austriache, pur conservando un affetto profondo per la piccola
principessa
Maria Antonietta.
Un lacchè
si avvicinò per aprire lo sportello della
carrozza, interrompendo le riflessioni di Oscar sulla storia della
famiglia
Beleznay. La donna si avviò verso la reggia ostentando un
atteggiamento sicuro,
quasi spavaldo; era un personaggio troppo in vista per potersi
permettere di
apparire debole o peggio provata dalla perdita di un servo, quale
Andrè era
considerato in quell’ambiente. Fasciata nella candida
uniforme, si diresse alla
Sala degli Specchi, dove si sarebbe eccezionalmente tenuto il
ricevimento per
espresso volere della Regina Maria Antonietta.
Non appena vi mise
piede assistette al consueto
spettacolo delle teste dei presenti voltarsi a guardarla, tutte nello
stesso
momento, come si trattasse di una mossa studiata ad arte. Come sempre
le ignorò
per procedere spedita verso il fondo della galleria dove era stato
collocato il
trono dei sovrani e si inchinò al loro cospetto, trovandosi
davanti lo sguardo
smarrito di Maria Antonietta nel rialzarsi.
“Madamigella
Oscar io… mi aspettavo che ci
raggiungeste più presto”.
“Non mi
pare di essere in ritardo maestà”.
“Affatto
è solo che…”
La Regina fu
interrotta dall’ingresso dei principi
Beleznay, i quali procedettero fianco a fianco lungo la galleria,
accompagnati
da una terza figura che si intravedeva appena dietro il principe
Zalán.
“Miei
sovrani”, cominciò inchinandosi ai regnanti di
Francia, imitato da Ariadné e dall’altra persona,
“è un onore e un piacere
essere ricevuti ancora una volta presso di voi”.
Luigi XVI sorrise
cortesemente facendo loro cenno di
rialzarsi
“Siamo
felici che abbiate deciso di concederci la
vostra compagnia ancora una volta e speriamo che diventi una piacevole
abitudine per voi”.
Zalán e
Ariadné chinarono rispettosamente il capo e la
donna si voltò verso la persona dietro di sé,
stringendole la mano perché facesse
un passo avanti, mostrandosi ai sovrani.
“Le loro
maestà ci consentono di presentar loro una
persona?”, disse Ariadné, aspettando un cenno di
Maria Antonietta per
proseguire. “Lui è nostro figlio,
András”.
Oscar che aveva
assistito all’intera conversazione
senza battere ciglio, sentì il sangue defluirle dalle vene e
fu sicura di
essere impallidita ma non riusciva a emettere suono, né a
distogliere lo
sguardo dall’uomo in piedi fra Zalán e
Ariadné, che adesso stava chinando il
capo al cospetto di Luigi XVI e Maria Antonietta, articolando il suo
saluto in
un perfetto francese.
“Andrè…”,
riuscì solo a sussurrare.
********************************************************************************
Dunque...
è la prima volta che mi cimento nella
scrittura di una fanfiction su Lady Oscar (e in realtà ne ho
scritte poche in
generale) anche se ne ho lette moltissime di quelle pubblicate, la qual
cosa
devo dire mi ha provocato un complesso di inferiorità non
indifferente T_T
Proprio perchè ho passato l'ultimo mese accampata in questa
sezione, temo che
potrei aver inconsciamente scritto qualcosa di altrui derivazione... se
così
fosse mi scuso, non avevo e non ho intenzione di plagiare nessuno, ma
si sa che
spesso le idee si nutrono di quello che leggiamo.
Comunque, siccome
sono dell'idea che il modo più
efficace per migliorare sia confrontarsi, ho preso il coraggio a due
mani e ho
deciso di pubblicare questa mia modestissima cosa; in altre parole, vi
prego di
commentare e aspetto tanti suggerimenti perchè so di averne
bisogno!
Ovviamente sono bene
accette anche le critiche (non
siate troppo duri/e per favore, mi scoraggio facilmente ^^"), basta che
siano costruttive, se non lo sono mi deprimono e basta =__=
Ultima cosa, poi smetto di
ammorbarvi, vi chiedo scusa
se i personaggi potrebbero risultare OOC ma mantenere il carattere
originale di
ognuno di loro è una cosa che mi risulta ostica :(
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
Novembre
1787
András
tornò compito al suo posto e si volse a guardare Oscar
sorridendogli. La donna
dal canto suo restava incatenata al suo sguardo, ai suoi occhi di giada
che la
guardavano senza tradire la minima emozione. Lei ne era certa,
quell’uomo davanti
a lei era Andrè, la somiglianza era troppa perché
si trattasse di una
coincidenza.
“Principe
András”, intervenne Maria Antonietta notando quel
gioco di sguardi.
“Permettetemi di presentarvi madamigella Oscar
François de Jarjayes, Capitano
delle Guardie Reali”.
András
si avvicinò a Oscar esibendosi in un educato baciamano e
tornò a sorriderle.
“Sono
il principe András Beleznay. E’ un onore fare la
vostra conoscenza madamigella.
Non posso negare di essere sorpreso che si consenta a una creatura di
tale
bellezza di condurre una vita nell’esercito, tuttavia sono
certo che svolgiate
con la massima efficienza il vostro lavoro”.
Oscar
lo ascoltò alzando un sopracciglio; la stava corteggiando?
Improvvisamente si
rese conto che sia il principe András che la Regina Maria
Antonietta la stavano
fissando in attesa di una sua risposta e si sforzò di
sorridere a sua volta,
senza tradire il turbamento che l’aveva presa.
“L’onore
è tutto mio principe András”, disse
chinando leggermente il capo. “Vi devo fare
i miei complimenti per il vostro francese, oserei dire che è
perfetto”.
András
si voltò a guardare i genitori e al sorriso della madre
tornò a guardare Oscar.
“I
miei genitori hanno voluto che la mia educazione fosse la
più completa
possibile, per questo mi hanno consentito di partire per un Grand Tour
e infine
di studiare qui, in Francia, per molti anni. Perciò, non
deve stupirvi che io
parli perfettamente la vostra lingua”.
Oscar
non distoglieva lo sguardo dal principe cercando di cogliere in lui un
qualsiasi indizio che le confermasse i suoi sospetti. Gli occhi erano
senza
dubbio identici a quelli di Andrè e anche se i capelli erano
lunghi e sciolti
sulle spalle, sarebbero potuti ricrescere tranquillamente nel giro di
un anno.
Ne era certa, quello davanti a lei era Andrè, non poteva
ingannarsi proprio su
di lui, non dopo una vita trascorsagli accanto!
“Capisco.
Vi tratterrete molto in Francia?”.
“Solo
due settimane madamigella. La Transilvania è lontana,
raggiungerla comporta un
viaggio lungo e a tratti rischioso”.
Oscar
trasalì a quelle parole: due settimane? Due settimane
soltanto per scoprire se
quello fosse davvero Andrè, senza più
dubbi… doveva trovare la maniera di
restare da sola con lui, solo in quel caso si sarebbe mostrato a lei,
rivelandole la verità e spiegandole per quale strano scherzo
del destino si era
trovato in una famiglia di nobili ungheresi che lo trattavano come
figlio.
András
che evidentemente aveva frainteso il suo turbamento, o forse intendeva
dissiparlo, le porse il braccio invitandola a ballare.
“Mi
volete concedere l’onore del prossimo ballo?”.
“Credo
che vi stiate sbagliando principe, io sono un soldato”.
“E
io un principe ungherese, come vedete saremmo comunque una coppia ben
strana”.
Oscar
non trattenne una bassa risata, declinando cortesemente
l’invito.
“Vi
ringrazio principe András, ma continuo a pensare che non
sarebbe una buona idea”.
András
non sembrava voler cedere; insistette tanto che Oscar dovette
accordargli
almeno una passeggiata nei giardini di Versailles l’indomani
prima che la
lasciasse danzare con la Regina.
Maria
Antonietta sembrava avere un’aria colpevole mentre
volteggiava leggiadra tra le
braccia di Oscar, la quale gliene chiese il motivo.
“Vedete
madamigella, io avevo già visto il principe
András e avrei voluto avere il
tempo di prepararvi a quello che avreste visto; mi dispiace molto che
vi siate
trovata davanti una persona così somigliante ad
Andrè, non deve essere facile
per voi”.
Oscar
sorrise rassicurante, sicura di quello che credeva di aver intuito sul
conto
del principe.
“Non
dovete scusarvi maestà, in nessun caso. E comunque, il
principe non assomiglia
ad Andrè, è proprio lui”
“Cosa?!”
“Avete
capito bene, io credo che non esista nessun principe András
Beleznay, l’uomo
laggiù è Andrè Grandier. Sono certa
che domani mi rivelerà ogni cosa”.
Maria
Antonietta lasciò andare un sospiro, scuotendo leggermente
la testa in segno di
diniego.
“Devo
darvi una delusione madamigella. Ho avuto modo di parlare con i
principi e mi
hanno raccontato tutto del loro figlio. Lo hanno adottato con il
permesso
dell’Imperatore d’Austria dopo averlo cresciuto
esattamente come avrebbero fatto
con un figlio naturale. Andrè non c’è
più, dovreste accettarlo”.
Oscar
trasalì impercettibilmente, sentendo l’impulso
improvviso di urlare la sua
frustrazione. Se esisteva un Dio non poteva essere così
crudele con lei, darle
l’illusione di aver ritrovato Andrè dopo un anno
di dolore e rimorso, farle
incontrare quegli occhi così simili a quelli che conosceva,
occhi fatti per
sorriderle mentre lei li trovava estranei.
“Io…
temo che abbiate ragione maestà, devo essermi lasciata
ingannare dalla
somiglianza”.
Trattenendo
un sospiro si volse istintivamente a guardare il principe
András che
accorgendosi di essere osservato, ricambiò lo sguardo e le
sorrise,
costringendola a distogliere il suo.
András
dal canto suo la osservò perplesso, chiedendosi cosa avesse
improvvisamente
provocato quel cambiamento; solo qualche attimo prima,
l’insolita donna soldato
gli rivolgeva caldi sorrisi e adesso si voltava sdegnata se le
sorrideva a sua
volta.
“András,
va tutto bene?”, chiese la principessa Ariadné
vedendolo tanto assorto.
András
si voltò a guardarla e le sorrise annuendo.
“Certamente
madre. Avevate ragione, Versailles è davvero un posto
splendido, sono stato uno
sciocco a non volerla visitare prima, dopo tanti anni trascorsi in
terra di
Francia”.
Ariadné
continuava a guardare suo figlio e un lampo di tristezza le
attraversò gli
occhi di ghiaccio, subito cancellato dal suo dolce sorriso.
“Sono
felice che la Reggia ti piaccia, ma dovresti invitare a danzare
qualcuna di
queste graziose dame! Chissà che tu non trovi la tua futura
sposa fra loro”,
disse nascondendo un sorrisino malizioso dietro il ventaglio
opportunamente
aperto sul viso; la principessa aveva notato, infatti, che
l’avvenenza di suo
figlio non era passata inosservata nei saloni di Versailles, e anche in
quel
momento poteva notare qualche giovane dama sventagliarsi solo se
András le
posava addosso lo sguardo per puro caso.
“Non
prendetevi gioco di me, madre. Sapete bene che non mi piacciono le dame
francesi, sembrano… finte, anche quando dicono di provare
amore o qualsivoglia
sentimento. Preferisco di gran lunga le giovani ungheresi!”.
Zalán
che aveva taciuto fino a quel momento, decise di venire in soccorso
della sua
sposa, posando una mano sulla spalla di András.
“Figliolo,
tua madre ha ragione. Dovresti cercare di divertirti, altrimenti questa
diventerà
l’ennesima serata in cui avrai accompagnato i tuoi genitori
soltanto per far
sapere al mondo che esisti. Avrai tempo per annoiarti alle feste di
rappresentanza quando avrai la mia età! Coraggio, ci
sarà almeno una dama
disposta a concederti un posto nel suo carnet stasera”.
András
sembrò soppesare ancora per qualche istante le parole del
padre finchè non lo
convinsero del tutto.
“Avete
ragione padre, è meglio che provi a divertirmi come tutti i
presenti in questa
sala!”.
Così
dicendo si allontanò verso un gruppo di dame che sentirono
improvvisamente la
necessità di agitare i ventagli tutte insieme.
“Ariadné,
temo che quelle fanciulle faranno volare nostro figlio fino a casa se
continuano così!”.
La
donna nascose una risata dietro il proprio ventaglio, scoccando
un’occhiata
significativa al consorte.
“Non
dovrebbe stupirti, sai bene che ovunque andiamo András
riscuote molto successo
fra le esponenti del gentil sesso!”.
Improvvisamente
il suo sguardo si rabbuiò e sentì il bisogno di
stringere la mano di Zalán,
traendone conforto.
“Io
continuo a credere che sia stato uno sbaglio portarlo in Francia.
Quella donna,
Oscar François de Jarjayes, lo guardava in modo strano, come
se cercasse di
carpirlo! Non voglio che me lo porti via”.
Zalán
si portò la mano di sua moglie alle labbra posandovi un
tenero bacio.
“Non
devi temere Ariadné. Io non permetterò a nessuno
di distruggere la mia
famiglia. András è nostro figlio, e tale
resterà per sempre. Prova a svagarti
finchè siamo qui, in fondo si tratta di due sole settimane e
nostro figlio è un
uomo di sani principi; non resterà in questo paese per una
donna che conosce da
così poco. Lo riporteremo a casa con noi, credimi”.
Ariadné
sorrise, convinta dalle parole di Zalán e si
aggrappò al braccio che lui le
porgeva.
“Volete
concedermi questo ballo madama?”.
“Con
estremo piacere messere”.
I
due si sorrisero complici, ripetendo quel gioco delle parti che
improvvisavano ad
ogni ricevimento, e si lasciarono trasportare dalle luci e dalla musica
di
Versailles, sciogliendo in quella danza qualsiasi tipo di
preoccupazione.
************************************************************************************************
Qui urge una
piccola precisazione: all'epoca la Transilvania faceva parte del Regno
D'Ungheria, l'ho scelta solo perchè mi è sempre
piaciuta, i vampiri non c'entrano nulla ;)
Un grazie
sentito a tutti coloro che hanno commentato o soltanto letto
il prologo, spero di non avervi delusi con questo capitolo!
Cercherò
di mantenere costante il ritmo degli aggiornamenti, ma il tutto
dipenderà dai miei impegni. Al prossimo capitolo :)
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
Novembre 1787
Oscar
lasciò la reggia a tarda notte, oltremodo stanca e
confusa. L’incontro con l’erede dei principi
Beleznay aveva nuovamente gettato nel
caos più totale quella parvenza di esistenza che a fatica si
era costruita
negli ultimi mesi.
La straordinaria
somiglianza con Andrè era solo uno degli
aspetti che la confondevano. Vicino al principe András aveva
avvertito un senso di conforto e sicurezza che si
irradiavano dal suo sorriso, una sensazione che le mancava da troppo
tempo
ormai, ma quel pensiero piuttosto che darle gioia la colpì
come uno schiaffo in
pieno viso: no, non poteva permettersi di provare quei sentimenti per
qualcuno
che gli assomigliava, non poteva sostituire lui!
Sfinita, si
prese il viso fra le mani, poggiando i gomiti
sulle ginocchia. Si stava punendo per la perdita di Andrè,
come se non averlo
più accanto non fosse sufficiente; la sua testardaggine gli
aveva tolto per
sempre la possibilità di essere felice e ora una sorta di
etica distorta
imponeva a lei di subire lo stesso destino.
“Andrè…
perdonami…”.
Si
lasciò sfuggire quel sussurro sentendo ancora una volta le
lacrime scorrerle sulle dita. A stento tratteneva il pianto in presenza
di
altri ripensando ad Andrè, quando era sola non ci provava
nemmeno.
Da quando aveva
incontrato il principe ungherese aveva
cominciato a provare sollievo e si detestava per questo: non poteva
credere che
bastasse qualcuno che gli somigliava per superare la perdita di
Andrè, non lo
accettava. Se lo avesse fatto, avrebbe dovuto credere che i sentimenti
che la
legavano ancora a lui fossero stati in realtà solo dettati
dal senso di colpa;
erano troppo profondi e radicati nel suo cuore perché fosse
così.
Oscar amava
Andrè, più che mai dopo averlo perso. E questa
era l’unica certezza che le era rimasta.
Annichilita dal
suo dolore, non si accorse nemmeno di essere
giunta a palazzo Jarjayes finchè il cocchiere non
aprì lo sportello della carrozza,
bloccandosi nel vederla in quell’atteggiamento.
“Siamo
arrivati madamigella. Si sente bene?”.
“Benissimo,
grazie Antoine”.
Oscar aveva
pronunciato quelle parole mentre usciva dalla
carrozza, indossando la sua fredda maschera di indifferenza.
“Buonanotte”.
Disse soltanto
mentre guadagnava l’ingresso del palazzo.
L’alba
sorprese Oscar ancora sveglia, intenta a rivoltarsi
nel letto nel tentativo di riposare almeno qualche ora, ma il sonno non
era
riuscito a coglierla, bloccato dal suo rimuginare. Se da un lato
continuava a
imporsi di non confondere Andrè e il principe Beleznay,
dall’altro non poteva
impedire alla sua mente di sovrapporre le due immagini, facendole
pensare che
si, sarebbe stato bellissimo! Se quell’uomo fosse stato
davvero Andrè, non solo
avrebbe potuto riaverlo al suo fianco, ma tutto sarebbe stato
più semplice, lui
avrebbe potuto starle accanto in ogni occasione, chiedere a suo padre
la sua…
‘Ma
cosa vai a pensare Oscar!’.
Si
alzò immediatamente dal letto sentendo il freddo del marmo
sotto i piedi nudi e quel contatto sembrò riportarla alla
realtà. A causa della
sua educazione maschile, aveva sempre denigrato le fantasie tipiche
delle
ragazze innamorate, e adesso si trovava lei stessa in quella situazione
con
un’immaginazione che galoppava davvero veloce!
Lo sguardo le
cadde sullo specchio e notò con disappunto
quanto fosse dimagrita e sciupata. Aggrottò le sopracciglia,
chiedendosi da
quando avesse cominciato a dar peso a tali civetterie, ma il suo
fastidio non
potè che aumentare quando si rese conto che la risposta
giungeva dall’Ungheria
a tormentarla con quegli occhi che portavano in sé il colore
delle foreste.
Fissando con astio il suo riflesso si ritrovò a puntare
minacciosa il dito
contro sé stessa.
“Adesso
basta, chiaro?! Non ho nessun interesse per quel
principino straniero, lui non è Andrè!”.
Scosse la testa
rendendosi conto di ciò che stava facendo e
si vestì in fretta, scendendo nelle scuderie. Sebbene fosse
ancora molto
presto, sentiva il bisogno di schiarirsi le idee e senza
Andrè che duellava con
lei nei giardini di palazzo Jarjayes, la maniera più
semplice per farlo era
lanciarsi al galoppo con César.
“Buongiorno
César”, lo salutò facendogli una
carezza sul
muso.
L’animale
ricambiò sbuffando e strusciandole il muso contro
la spalla.
“Hai
ragione, fa freddo a quest’ora del mattino, ma ci
scalderemo subito”.
Mise la sella
sul dorso del cavallo e lo condusse fuori dal
suo recinto e dalle scuderie, montandogli in groppa. Lo condusse al
passo per
un po’, allontanandosi lentamente da palazzo Jarjayes e solo
quando la
residenza non fu più in vista, aumentò man mano
la velocità fino a lanciarlo in
una galoppata furiosa.
************************************************************************************************
Capitoletto,
una semplice e breve introspezione ^^ (se riesco, mi farò perdonare postando il prossimo capitolo stasera ;))
Dunque ragazze,
ho visto dalle vostre recensioni (e a proposito, non
smetterò mai di ringraziarvi per questo *-*) che il titolo
dei nostri nobili ungheresi, data la mia mancanza di spiegazioni,
potrebbe dare adito a delle incomprensioni, quindi inserisco qualche
appunto per renderlo più chiaro:
Principe: Il titolo ed il
rango di Principe erano i più alti
dell'aristocrazia non regnante ungherese, e venne concesso
esclusivamente dagli
Asburgo. Ad ogni modo il titolo non indicava il detentore di un
possesso
territoriale (principato), ma era semplicemente un titolo onorifico,
anche se
di gran prestigio (da Wikipedia).
Spero che adesso sia più
chiaro: i Beleznay non sono i
regnanti d'Ungheria ma semplicemente (si fa per dire) una delle tante
famiglie
nobili presenti sul territorio di quel regno ^^
Un'ultima cosa, sono curiosa di
sapere che sensazioni
vi ha dato la "mia" Oscar; spero che la lettura vi abbia lasciato un
po' la sensazione che lei dovrebbe provare e che io stessa ho provato
nello
scrivere: una grande confusione!
Al prossimo capitolo ^^
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
Novembre 1786
Andrè
era ormai a pochi metri dal suolo, quando aveva visto con orrore la
lama del
Cavaliere Nero tranciare senza esitazione la corda con la quale si
stava
calando. Appena il tempo di rendersi conto di cosa sarebbe accaduto e
si era
sentito precipitare inesorabilmente.
‘Mi
schianterò… Oscar!’.
Fu
l’ultimo pensiero coerente, prima che l’acqua
gelida e un dolore acuto lungo il
fianco destro gli facessero perdere il contatto con la
realtà.
Oscar
aveva assistito a tutta la scena dal suo nascondiglio fra gli alberi, e
senza indugi
aveva spronato César al galoppo per raggiungere il fiume e
soccorrere Andrè.
“Andrè!”,
urlò avvicinandosi all’acqua.
“Andrè! Dove sei, Andrè!”.
Non
ebbe bisogno di pensare molto prima di decidere di entrare in acqua, ma
dovette
tornare sui suoi passi onde evitare di essere trascinata dalla
corrente; il
fiume era impetuoso in quel punto, tuttavia non abbastanza profondo da
aver
accolto Andrè senza che si ferisse all’impatto, la
qual cosa preoccupava in
maniera particolare Oscar.
‘Deve
essere ferito gravemente! Devo trovarlo e subito!’.
Stringendo
i pugni per la rabbia, tornò immediatamente indietro e
montò in groppa a César,
guidandolo al trotto lungo le rive del fiume; avrebbe voluto spingerlo
alla
massima velocità che poteva per raggiungere al
più presto Andrè, ma si impose
di rimanere calma. Se avesse proceduto troppo velocemente, avrebbe
potuto non
notare eventuali tracce.
‘Andrè…
se ti accadesse qualcosa non mi perdonerei mai, mai!’.
“Ehi
guarda laggiù, c’è un
cadavere!”.
“Ma
cosa dici, vedi sempre cadaveri, magari è uno strigoi
anche stavolta, eh?”, rispose una guardia annoiata al suo
compagno. “Devi smetterla con queste storie, sono solo
leggende”.
“Non
sto scherzando Jan, almeno degnati di dare
un’occhiata!”.
Jan
si voltò sbuffando nella direzione indicata
dall’altra guardia: proprio dove il
fiume formava un’ansa, consentendo al suo corso impetuoso di
calmarsi, le acque
avevano trascinato il corpo di un uomo, che adesso giaceva dalla
cintola in su
sulla riva.
“Toh,
avevi ragione stavolta! Avanti, tiriamolo fuori, non possiamo lasciarlo
lì a
marcire”.
I
due uomini si avvicinarono per raccogliere il corpo del malcapitato,
faticando
non poco a tirarlo fuori dal groviglio di alghe e rami sommersi in cui
aveva
impigliate le gambe.
“Petre,
è ancora vivo! Anche stavolta ti sei sbagliato”,
disse Jan tentando di non
sogghignare.
“E
smettila! Piuttosto, portiamolo alla stazione di posta, sai come la
pensano i
signori riguardo il lasciare gente ferita al loro destino e sciocchezze
simili…
a volte credo che le troppe visite alla Chiesa stiano avendo su di loro
uno
strano effetto”.
Jan
annuì passandosi un braccio dell’uomo sopra le
spalle, mentre Petre faceva lo
stesso con l’altro braccio e si incamminarono verso
l’edificio, sito a pochi
metri dal fiume. Portarono l’uomo all’interno della
locanda per viaggiatori, e
Jan lo lasciò all’altra guardia precipitandosi ad
avvertire i loro padroni.
‘Ma
quanto ci mettono!’, sbuffò Petre, cominciando a
sentire il peso dell’uomo
abbandonato sulle sue spalle, proprio nel momento in cui Jan faceva
ritorno.
“Andiamo,
dobbiamo trovargli una camera e subito dopo un medico!”, lo
informò aiutandolo
a portare di sopra il ferito.
Andrè
si risvegliò che era quasi il tramonto, trovandosi disteso
sul sedile di una
carrozza. Mentre tentava di riordinare le idee, un dolore acuto
sembrò
impossessarsi della metà destra del suo corpo, svegliandolo
completamente.
“Ti
sei svegliato”, lo apostrofò una voce femminile
dall’accento straniero. “E’
meglio che tu non ti muova, il dottore ha detto che potevamo spostarti
ma a
patto che tu stessi buono, e disteso soprattutto”.
Andrè
voltò appena la testa per poter guardare il viso della
persona che stava
parlando. Istintivamente pensò che non aveva mai visto
quella donna che gli
sorrideva rassicurante, ma quando tentò di risponderle, si
ritrovò sgomento a
constatare che non avrebbe saputo dirlo con certezza.
“Chi
siete madama? E… io… io chi sono?!
Non… non ricordo!”.
Biascicò
quelle parole coprendosi gli occhi con la mano sinistra. Come poteva
essere?
Non aveva la più pallida idea di chi fosse, cosa facesse, se
avesse una
famiglia, degli affetti… niente, solo il buio totale
occupava il posto dei suoi
ricordi.
“Non
agitarti, probabilmente l’amnesia è dovuta al
colpo che hai preso”, riprese la
donna. “Vedrai che quando starai meglio…”
“Come
potete esserne certa?!”
La
interruppe Andrè tentando di mettersi seduto, ma la donna lo
costrinse
gentilmente a restare sdraiato.
“Il
dottore ha detto che l’amnesia era una possibilità
non troppo remota. Hai
battuto la testa e questo potrebbe renderti confuso per qualche giorno,
ma se
la sua diagnosi è corretta, presto ricorderai”.
Andrè
continuava a fissare la donna dritto negli occhi mentre il suo viso
tradiva l’esitazione
a fidarsi di una persona che, per quanto ricordava, avrebbe potuto
essere la
sua più acerrima nemica.
“Come
posso fidarvi di voi? Potrebbe essere colpa vostra se mi trovo in
queste
condizioni”.
“E
credi che se avessi voluto eliminarti, avrei tentato di ucciderti per
poi farti
curare? Sei ancora confuso se credi questo, torna a riposare, ti
farà bene”.
Lui
sembrò finalmente rilassarsi e socchiuse gli occhi,
evidentemente ancora troppo
provato dalle ferite che riportava per potersi permettere simili
scenate.
“Dove…
siamo diretti?”.
“Nel
Regno d’Ungheria. In Transilvania”.
Riuscì
a sentire prima di scivolare nuovamente nel sonno.
***********************************************************************************************
Vi chiedo
scusa ma non sono riuscita a pubblicare ieri questo capitolo
>.<
Or dunque,
il mistero è infine svelato madame e messeri!
Da questo
capitolo partirà un lungo flashback, dovremo pur scoprire
cos’è accaduto al
Grandier e come si è trovato adottato da una famiglia di
nobili ungheresi, no?
Piccolo
appunto: strigoi
è il termine rumeno per indicare tutta quella schiera di
anime tormentate e non morti che popolano il folklore di questo popolo,
tra cui i vampiri, ma si è trattato solo di una nota di
colore, come ho già detto non ci saranno vampiri e affini in
questa FF!
Grazie come
sempre a chi legge e a chi recensisce, siete preziosi per il mio amor
proprio
^^
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
Novembre
1786
Andrè
dormì ancora per qualche ora, fin quando la carrozza su cui
viaggiava si fermò
alla successiva stazione di posta. La donna che lo accompagnava scese
prima di
lui, mandando Jan e Petre a prenderlo perché lo portassero
all’interno della
locanda.
“Mi
raccomando, siate delicati, non dovrebbe nemmeno spostarsi nelle sue
condizioni”.
“State
tranquilla principessa”.
La
donna raggiunse suo marito, che fino a quel momento aveva viaggiato
seduto a
cassetta accanto al cocchiere.
“Puoi
viaggiare dentro con noi, la carrozza è grande a sufficienza
Zalán”.
L’uomo
le sorrise accarezzandole il viso.
“Come
sta il ragazzo?”.
“Non
ricorda”, disse Ariadné in un soffio, posando la
mano su quella di Zalán. “Io
pensavo che potremmo… insomma, non abbiamo figli e lui non
ha più memoria,
potremmo…”.
“Ariadné
non sappiamo nulla di lui, hai visto com’è
vestito? Potrebbe essere un ladro o
un assassino, senza contare che anche se non la ricorda deve avere una
famiglia”.
“Ti
prego ascoltami! Se fosse un criminale come dici tu, sarebbe condannato
alla
forca, sai come succede qui in Francia! Se fossero dei bravi cristiani
come lo
siamo noi, darebbero la possibilità di redimersi a chi la
merita, mentre loro…
uccidono senza remore chiunque non appartenga alla
nobiltà”.
Zalán
lasciò andare un sospiro.
“Ascolta
Ariadné. Io non sono convinto che sia la cosa giusta,
però lo porteremo con noi
fin quando non si sarà ristabilito. A quel punto
probabilmente saremo già in
Austria ma lo rimanderemo qui in Francia. Senza discussioni”.
Ariadné
strinse le mani del marito, soddisfatta di avergli strappato almeno
qualche
giorno.
“Grazie.
Sapevo che non l’avresti abbandonato al suo
destino”.
L’uomo
le sorrise cingendole le spalle con un braccio e la condusse
all’interno della
locanda, dove i loro servitori avevano già portato
Andrè.
Nello
stesso tempo, Oscar rientrò a palazzo Jarjayes dopo
un’infruttuosa giornata di
ricerca. Senza degnare di uno sguardo nessuno, salì come una
furia al piano
superiore, ed entrò nella sua camera sbattendo la porta.
“Maledizione!
Maledizione, maledizione!”.
Urlò
con quanto fiato aveva in gola scagliando contro il muro quello che le
capitava
a tiro, fin quando si ritrovò senza forze, in ginocchio a
colpire con i pugni
il pavimento.
“Non
è giusto… è dannatamente
ingiusto… Andrè…”.
Sussurrò
fra le lacrime rannicchiandosi su sé stessa. Non poteva
credere a quello che
era successo, non lo accettava; il senso di colpa la stava
schiacciando, era un
macigno che in certi momenti le impediva persino di respirare, ma quel
che era
peggio, aveva capito.
Si,
Oscar ne era consapevole ormai, senza Andrè la sua vita non
aveva senso, non
c’era un momento che avesse trascorso lontano da lui e aveva
preso a darlo per
scontato.
E
se c’era una cosa che quell’incidente le aveva
insegnato, era che nulla poteva
darsi per scontato nella vita, anche se si era Oscar
François de Jarjayes.
Vincere
non era scontato.
Riuscire
a proteggere Andrè non era scontato.
Avere
Andrè al suo fianco per tutta la vita lo era ancora meno.
Era
stata crudele, rovesciandogli addosso i suoi sentimenti per Fersen come
se non
sapesse, come se non avesse capito che Andrè teneva a lei in
maniera
particolare, mostrandole con la sua totale dedizione un affetto che
andava ben
oltre l’amicizia.
E
lei lo aveva ignorato, decisa a mantenere qualsiasi cosa fosse quel
sentimento
entro i limiti dell’amicizia, forse supponendo a volte che
anche quella fosse
troppo, data la differenza di rango che sussisteva fra loro.
Quanto
era stata ingiusta, quanto superba nel ritenere di poter disporre di
lui solo
nei momenti in cui ne aveva bisogno; e il suo ultimo atto di alterigia
le era
costato proprio la vita della persona che, ora lo sapeva, occupava il
ruolo più
importante nel suo cuore.
Quel
pensiero le provocò un altro accesso di pianto che
tentò di reprimere
picchiando la fronte contro i pugni chiusi.
“Voglio
dimenticarti… voglio dimenticarti, fa troppo male
ricordare… è troppo doloroso
quello che non ci sarà più”.
Una
voce lieve, quasi un sussurro, tentò di strapparla a quella
disperazione.
“Oscar…
non è stata colpa tua, calmati. Andrè sapeva
quello che faceva”
Oscar
trovò da qualche parte la forza di sollevare il capo,
puntando gli occhi lucidi
di pianto su quel viso tanto familiare e che pure era stato sempre
così lontano.
“Madre…
come… come potete dire che non è stata colpa mia?
Io ho ucciso Andrè, il nostro
Andrè! Se non fossi stata così
testarda… se non gli avessi lasciato prendere il
mio posto, lui…”.
“Lui
starebbe piangendo la tua morte e si
starebbe dando la colpa, proprio come stai facendo tu. Non riesco a
immaginare
quanto voi due foste legati, però una cosa la so: se quel
ladro avesse ucciso
te, Andrè non avrebbe sofferto meno”.
Marguerite
abbracciò Oscar che si aggrappò a lei
letteralmente.
“Lui…
mi manca così tanto madre, non la ricordo la mia vita prima
di conoscerlo!”
Singhiozzava
stretta fra le sue braccia mentre la donna le accarezzava i capelli, in
un raro
gesto di affetto tra loro. Oscar era tanto disperata da non stupirsi
nemmeno
della presenza della madre, accorsa al suo fianco per consolarla; era
tanto
disperata da non potersi godere quello che era il primo contatto
profondo tra
loro sin da quando aveva memoria.
***********************************************************************
Lo so,
l’ultima
scena è parecchio OOC… ma non credo che Nanny
potesse essere dell’umore giusto
per consolare Oscar e una scena del manga mi ha ispirato di mandarci
madame
Jarjayes :P
La principessa
Ariadné è parecchio ostinata, chissà
come convincerà suo marito che qui fa la voce
della ragione ;)
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 ***
Novembre
1786
Il viaggio dei
principi Beleznay e Andrè procedeva più
lentamente del previsto, a causa delle precarie condizioni del ragazzo,
tanto
che due settimane dopo l’incidente avevano appena varcato i
confini dell’Impero
d’Austria.
Già
dopo pochi giorni, Andrè si era ripreso abbastanza da
riuscire a restare sveglio durante il viaggio, tuttavia i suoi ricordi
non
accennavano ad affiorare, nemmeno sprazzi momentanei sembravano voler
fare luce
nella sua mente.
Ariadné
era decisa a tenere il ragazzo con sé, avendo intuito
dai suoi modi che doveva trattarsi di un animo gentile e poco incline
alla
violenza; perciò, aveva accuratamente evitato di
raccontargli come lo avessero
incontrato, rispondendo sempre in maniera vaga alle sue rare domande, e
aveva
preso a chiamarlo ‘András’,
ignara che quello fosse
praticamente il suo vero nome[1].
“In
qualche modo dovrò pur chiamarti!”, aveva
esclamato
quando Andrè aveva espresso il suo disappunto al dargli un
nome qualsiasi.
Andrè
dal canto suo, sembrava essersi chiuso in un guscio e
raramente collaborava quando la donna tentava di coinvolgerlo in una
qualsiasi
conversazione. Persino quando gli chiedeva come si sentisse o se avesse
bisogno
di qualcosa, si limitava a rispondere dicendo lo stretto indispensabile.
“András, siamo in
terra d’Austria, hai
visto? Tra poco ci fermeremo per la notte”.
Andrè aveva rivolto
appena uno sguardo
fugace al panorama che si intravedeva dal finestrino, apparentemente
insensibile persino ai fiabeschi paesaggi austriaci.
“Vedo”.
“Sei
sicuro di stare bene? Da qualche giorno sei davvero
troppo silenzioso, qualcosa ti turba?”.
“Intendete
più del fatto di non ricordare nemmeno chi io
sia?!”.
Il sarcasmo
venava le parole di Andrè e
Ariadné decise di lasciar cadere la conversazione per il
momento, con la ferma intenzione di riprenderla una volta giunti alla
stazione
di posta.
‘Cercherò
di darti io un po’ di serenità… il
Signore mi
perdoni se ti ho strappato all’affetto di una
madre’.
Giunsero alla
meta che il sole era appena tramontato e Jan si
avvicinò alla carrozza per aprire lo sportello e far
scendere Ariadné.
“Prego
principessa”.
“Grazie
Jan. Mi raccomando András, la sua
caviglia non è ancora in
grado di reggerlo, anche se si ostina a fare di testa sua”.
Jan
annuì e sorresse Andrè mentre scendeva
dalla carrozza;
Ariadné raggiunse Zalán, mettendo un
voluto tono di
rimprovero nella voce.
“Non
sei più un ragazzino che può permettersi di
scherzare
con l’inverno, e András non morde, te
lo assicuro. Quando
ti deciderai a viaggiare in carrozza con noi?”.
“Domani,
te lo prometto. Come si comporta il ragazzo?”.
“Se
domani ci degnerai della tua presenza, lo vedrai da te. È
cupo e silenzioso per adesso, ma non è mai scortese o
aggressivo… comincio ad
affezionarmi davvero a lui, sembra che abbia bisogno di molto
amore”.
Zalán
seguì con lo sguardo Jan e il
protetto di sua moglie entrare nella locanda, comprendendo
l’ostinazione di
Ariadné nel volersene occupare: per quanto si amassero, non
avevano avuto la
benedizione di un figlio, e il ragazzo che lei chiamava András poteva essere
la sua occasione di dare a qualcuno l’amore
materno che serbava nel cuore.
“Entriamo
Zalán, comincia a
far freddo qui fuori”.
L’uomo
annuì e porse il braccio a sua moglie, conducendola
all’interno. Andrè era
già stato fatto sedere al tavolo
approntato per loro, mentre Jan aveva raggiunto Petre e gli altri
uomini della
scorta.
“András ti senti
meglio?”, iniziò sedendo a
tavola di fronte a lui, mentre Ariadné prendeva posto fra i
due.
Andrè levò
lo sguardo stupito: in tanti
giorni di viaggio, era forse la seconda volta che Zalán gli rivolgeva
la parola, e adesso quel tono quasi preoccupato
nella sua voce stonava parecchio con il comportamento precedente.
“Io… si,
mi sento meglio signore, vi ringrazio”.
“Non
hai di che ringraziarmi”, esitò solo un istante,
“Non tormentarti
oltre, ti spiegheremo tutto con calma mentre ci viene servita la
cena”.
Se
Ariadné era stupita dalle parole del marito, di certo non
lo diede a vedere. Continuava a guardare Andrè, prendendogli
la mano fra le sue
quando lo vide sgranare gli occhi per la sorpresa alle parole di Zalán.
Una cameriera
rubiconda prese a fare avanti e indietro
servendo le pietanze calde ma leggere che costituivano la loro cena e
Ariadné
fece per lasciare la mano di Andrè.
“Dovresti
mangiare, sarai stanco e affamato”.
Il ragazzo
però la trattenne, guardandola con occhi
supplichevoli. Sembrava davvero affranto e la donna sentì
una stretta al cuore
al pensiero di come dovesse sentirsi a non avere il minimo ricordo
della
propria vita.
“Per
favore, spiegatemi prima. Ho bisogno di sapere chi
sono”.
Ariadné
liberò una mano della sua stretta e gliela posò
sul
viso, accarezzandolo nel tentativo di dargli conforto.
“Il
tuo nome è András Hrovat. Ti
abbiamo conosciuto che
eri molto piccolo, orfano di entrambi i genitori, e ti abbiamo portato
a
palazzo Beleznay, dove sei cresciuto”, disse la donna
anticipando qualsiasi
iniziativa del marito di rivelare la verità ad
André.
“Non
ti diremo altro per il momento”, intervenne Zalán, rivolgendo
solo una fugace occhiata di biasimo ad Ariadné,
“Il medico ci aveva detto che la cosa migliore sarebbe stata
che i tuoi ricordi
tornassero spontaneamente, per evitarti qualsiasi tipo di
trauma”.
Andrè
fissò negli occhi Zalán ancora per
qualche secondo; lo aveva prevenuto, dicendogli
che non gli avrebbe rivelato altro, perciò al momento non
poteva far altro che
accontentarsi di quel brandello di vita che gli era stato raccontato.
Annuì
stancamente, abbassando lo sguardo sul piatto e quasi
non parlò durante tutta la cena, continuando a rimuginare su
quello che sapeva
e, soprattutto, su quello che ancora non ricordava.
Andrè
sembrava talmente abbattuto che non appena chiese di
ritirarsi per la notte, Ariadné scomodò Jan dalla
sua cena perché lo
accompagnasse.
Più
tardi, disteso sul letto, il ragazzo continuava a fissare
il soffitto, quasi sperando di vedere aprirvisi una finestra che gli
rivelasse
tutto il suo passato; non riusciva a rammentare una sola immagine che
egli
potesse identificare come un ricordo, nemmeno una lettera del proprio
nome. Il
suono del nome ‘András’,
però, gli sembrò familiare e
dopotutto che motivo potevano avere dei principi stranieri per
ingannarlo? Lo
avevano salvato, questo era certo, e si occupavano di lui con la stessa
attenzione che avrebbero riservato a un parente o a un caro amico. Il
sonno
mise fine alle sue riflessioni e all’ultimo pensiero coerente.
‘Si,
András devo essere
proprio io’.
Zalán
entrò nella stanza di András per
controllare che dormisse e non udisse la conversazione,
e raggiunse Ariadné nella loro.
“Adesso
mi spieghi la tua brillante iniziativa?!”.
Era furioso e
Ariadné non poteva dirsi stupita. Non l’aveva
tradita davanti ad András solo per il
grande rispetto che le
portava, ma lei sapeva bene che se c’era qualcosa che Zalán detestava
profondamente, era proprio essere sorpreso dagli
avvenimenti o peggio dagli atteggiamenti di altre persone. Se poi
quella
persona era lei, la rabbia del marito poteva raggiungere livelli
preoccupanti.
“Zalán, mi dispiace
di aver agito in
maniera così avventata ma tu volevi rimandarlo in Francia
una volta
ristabilito! Nelle sue condizioni equivarrebbe a ucciderlo, chiunque
potrebbe
approfittarsi di lui e non arriverebbe nemmeno a destinazione! Quale
destinazione poi, tu sai dove mandarlo?”.
Zalán manteneva il
suo sguardo
impassibile, pur ammettendo a sé stesso che in parte le
obiezioni sollevate da
Ariadné erano legittime.
“Avrei
mandato Jan e Petre con lui, e avrebbero chiesto
informazioni, qualcuno dovrà pur conoscerlo nei suoi luoghi
di origine”.
“Non
sei stato tu stesso a farmi notare com’era vestito? Se
fosse davvero un ladro lo arresterebbero, lo sai! Per
favore”, aggiunse più
calma. “Lascia che si ristabilisca completamente prima,
potrebbe essere davvero
come dice il medico e allora guarirà anche
l’amnesia. A quel punto sarà lui
stesso a dirci dove accompagnarlo”.
L’uomo
si portò le mani alle tempie, cominciando a
massaggiarle come a voler scacciare un mal di testa imminente. In
quelle due
settimane aveva osservato con attenzione Ariadné e
l’aveva vista spesso
riflettere e tormentarsi, come se avesse un’importante
decisione da prendere.
Era la sua compagna da troppo tempo perché riuscisse a
ingannarlo sulle sue
reali intenzioni.
“Ariadné
non sono uno sciocco e soprattutto ti conosco bene.
Tu stai facendo di tutto per tenere con te quel ragazzo, magari
vorresti che lo
adottassimo! Non capisco perché proprio lui, ci sono molti
ragazzi nobili
d’animo fra le nostre conoscenze”.
“Non
sono come lui. Guardalo negli occhi, lui è…
è puro, il
suo sguardo è limpido come il più prezioso degli
smeraldi”.
Zalán
riportò lo sguardo su Ariadné e si
avvicinò a lei prendendola per le spalle, in un gesto di
rabbia appena
contenuta.
“Io
non voglio che tu soffra ancora. Se tu ti affezionassi a
quel ragazzo e lui recuperasse i suoi ricordi, lo perderesti,
tornerebbe alla
sua famiglia, lo capisci?!”.
“Correrò
il rischio, Zalán”.
“No.
Io non lo permetterò, resterà con noi fin quando
starà
bene, dopodichè partirà per la Francia”.
Così
dicendo l’uomo si allontanò da lei e si
spogliò,
stendendosi sul letto e infilandosi sotto le coperte.
“E’
meglio che riposi, domattina partiremo presto come
sempre”.
Ariadné
strinse i pugni stizzita e indossò la camicia da
notte, raggiungendo il marito a letto; gli diede volutamente le spalle,
perché
ora era lei ad essere arrabbiata. Sentiva di non riuscire a comunicare
a Zalán quello che
percepiva lei guardando András, parlando con
lui, trascorrendo le giornate in sua
compagnia. Era una persona speciale, se n’era accorta dal
primo istante in cui
lo aveva guardato negli occhi e avrebbe fatto il possibile per tenerlo
con sé.
Il mattino
seguente, mentre si preparava alla partenza, Zalán fu raggiunto
da un dispaccio proveniente dalla Transilvania.
Mentre leggeva, strinse così forte il foglio da farsi
sbiancare le nocche e
quando ebbe terminato lo accartocciò, tentato di gettarlo
tra le fiamme del
camino. Fermò la mano all’ultimo minuto
dispiegandolo nuovamente meglio che
potè; Ariadné aveva più diritti di lui
di leggerne il contenuto.
“Zalán?”.
Fu proprio sua
moglie a chiamarlo, scendendo in quel momento
dal piano superiore. Zalán le rivolse uno
sguardo tormentato,
porgendole il foglio perché lo leggesse. Si trattava di
poche righe che ebbero
però lo stesso effetto di una doccia gelata.
“Cosa?!
Ma lui… non può!”.
“Certo
che può, Ariadné. Ricorda che sei tu la
‘vera’ nobile
tra noi”.
“Zalán, cosa vuoi che
mi importi di quegli
stupidi titoli! Sai bene che ormai la mia famiglia non conta nulla, i
reali
d’Ungheria sono gli Asburgo da molto tempo”.
Ariadné
si avvicinò a suo marito e gli sedette di fronte,
posando la lettera per prendergli le mani fra le sue.
“Non
è importante quale tra le famiglie Beleznay e Hunyadi
sia più nobile o lo sia da più tempo, agli occhi
dell’Austria siamo tutti
uguali. Mio padre non può costringermi ad adottare mio
nipote, quel ragazzo
sarebbe una serpe in seno”.
Zalán scosse la
testa puntando gli occhi
scurissimi in quelli color ghiaccio di Ariadné.
“Ci
lascia solo un mese per decidere. All’inizio del nuovo
anno, dovremo avere un erede o adottare tuo nipote. Sai bene quanta
influenza
abbia alla corte di Vienna, potrebbe convincere l’Imperatore
a imporci
quest’adozione”.
La donna
sospirò pesantemente, voltandosi a guardare il fuoco
del camino al quale diede in pasto la lettera. Sebbene fosse molto in
là con
gli anni, suo padre sapeva essere ancora determinato a ottenere i suoi
scopi e
suo nipote non faceva che fomentare queste sue velleità
sapendo di trarne
vantaggio.
“Ci
resta un mese per decidere. Sceglieremo tra i tuoi uomini
più fidati il nostro erede, Tibor non si
arricchirà ancora grazie al tuo
patrimonio”.
La
determinazione le illuminava lo sguardo e Zalán non
potè fare a meno di sorriderle. Sua moglie sapeva essere
una guerriera, una vera discendente di draghi [2].
“Hai
ragione. Sarà meglio sbrigarsi, possiamo accelerare
l’andatura dal momento che il ragazzo…”.
“András”.
“Come
preferisci, dal momento che András sta
bene”.
Ariadné
strinse il braccio che Zalán le porgeva e
uscì con lui, diretta alla carrozza, mentre
Jan come di consueto, aiutava András a fare
altrettanto.
*************************************************
Eccomi anche
oggi ad ammorbarvi con la mia fic U.U
Sono in ritardo
rispetto al solito ma stavolta ho cercato di
scrivere un capitolo più lungo, spero apprezziate lo sforzo
XD
Qualche
appuntino (li odiate, vero XD?)
[1] András:
contrariamente a quanto potreste
pensare, il nome ungherese del Grandier è frutto del caso.
Ho cercato su Google
i nomi maschili ungheresi più diffusi e al primo posto
c’è proprio András. Ci fosse
stato Zalán, sarebbe stato
quello il nuovo nome
di Andrè.
[2] Draghi o
Dragoni erano detti i cavalieri dell’Ordine
del Drago, ordine istituito dall’imperatore
Sigismondo, che però non gli sopravvisse; il primo ungherese
a farne parte fu
tale János Hunyadi,
voivoda di Transilvania nel XV secolo. Storicamente
conosciamo Vlad III Ţepeș, il quale fu
soprannominato Dracula
(Drăculea
in
lingua originale) ovvero “Figlio del Drago (Dracul)”.
Il Drago in
questione era suo padre, Vlad II, membro dell’Ordine del
Drago. Ho pensato che
avrei potuto prendere in prestito questo soprannome per la mia
Ariadné, la
quale se fosse esistita avrebbe potuto fregiarsene in quanto
discendente di János
Hunyadi.
Come avete
letto, stavolta mi sono concentrata sui Beleznay,
ho provato a delineare meglio le personalità dei coniugi
ungheresi, e penso che
avrete anche intuito perché
Andrè finirà per essere adottato ;)
Al prossimo
capitolo <3
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 ***
Novembre
– Dicembre 1786
Per
via delle parole contenute nella lettera di suo padre,
Ariadné cambiò
completamente umore. Si poteva leggere la determinazione nel suo
sguardo,
tuttavia non era sicuramente serena com’era stata quando
András l’aveva conosciuta.
‘Forse
dovrei dire riconosciuta…
sono io che
non mi ricordo di lei’.
“Principessa,
vi sentite bene? Siete così silenziosa in questi
giorni…”.
Ariadné
volse lo sguardo verso András e gli sorrise scuotendo la
testa.
“Stai
tranquillo, sto benissimo. Tu piuttosto, cominci a ricordare
qualcosa?”.
Aveva
fatto quella domanda con il cuore stretto in una morsa. Egoisticamente,
sperava
che il ragazzo che i suoi uomini avevano ripescato da un fiume francese
restasse senza ricordi, così da poterlo legare a
sé senza remore; il suo animo
gentile, però, non poteva che sperare che riconquistasse la
sua identità, per
vederlo infine tranquillo.
“No
principessa. Ho sognato una donna dai lunghi capelli biondi ma non ho
potuto
vederla in viso; dovunque lei andasse io ero sempre alle sue
spalle”.
“Capisco.
È già qualcosa, non trovi?”.
“Si,
avete ragione. Anche se… voi non sapete chi sia quella
donna?”, chiese András,
facendosi improvvisamente più attento.
Ariadné
ricambiò il suo sguardo, non tradendo la minima esitazione.
L’ultimatum postole
da suo padre cominciò improvvisamente a turbinarle in mente,
e le sembrò che la
via d’uscita fosse proprio davanti ai suoi occhi. Forse
András avrebbe potuto
essere la persona giusta, doveva solo convincere Zalán.
“Ti
abbiamo detto che non possiamo rivelarti ogni cosa che riguardi il tuo
passato,
comunque non conosco nessuna che corrisponda alla
descrizione… certo, potresti
averla incontrata negli anni trascorsi lontano. Rilassati, ormai
abbiamo
varcato da diversi giorni quelli che erano i confini
d’Ungheria. La nostra
prossima fermata sarà casa”.
Zalán
aveva assistito alla conversazione senza battere ciglio, preso dalle
stesse
preoccupazioni di sua moglie.
Man
mano che procedeva, la carrozza si addentrava sempre più nel
fitto degli alberi,
tanto che András ebbe quasi l’impressione che si
sarebbero smarriti in tutto
quel verde. Zalán si avvide del suo turbamento e si
affrettò a rassicurarlo.
“Non
temere, c’è un sentiero nel bosco, non stiamo
andando verso l’ignoto”.
András
si voltò a guardarlo, dandosi mentalmente dello sciocco;
doveva essere sembrato
terribilmente pavido in quei momenti.
“Ecco…
è solo che non mi ricordo questi posti e sembrano
così selvaggi”.
Ariadné
annuì ammirando il panorama esterno.
“Non
dovrebbero farti paura, tu il verde d’Ungheria lo porti negli
occhi”. Sorrise,
intenerita dal rossore che scorse sul viso di András.
“Guarda, si vede il
palazzo”.
András
portò lo sguardo nella direzione indicatagli da
Ariadné e vide le alte guglie
in mattoni rossi svettare contro il cielo al tramonto; mentre la
carrozza si
avvicinava, potè notare che il castello sorgeva su uno
sperone roccioso ma era
circondato su tre lati da quelle stesse fitte foreste che stavano
attraversando.
Il corpo dell’edificio era talmente bianco da sembrare
rilucere nella luce
morente della sera e di certo aveva poco a che spartire con gli snelli
palazzi
che aveva visto attraversando l’Austria [1].
Zalán
lo riscosse dall’osservazione posandogli una mano sulla
spalla.
“Siamo
arrivati András”.
Jan
aprì lo sportello della carrozza porgendo la mano ad
Ariadné per aiutarla a
scendere e la donna si strinse il mantello addosso. Aveva quasi
dimenticato
quanto potesse essere crudele il freddo di Transilvania. Il cuore le
mancò un
battito quando vide nei pressi delle scuderie una carrozza che portava
lo
stemma degli Hunyadi.
“Zalán,
Tibor è qui”.
“Di
già! András ascoltami: vorresti aiutarci a
risolvere un problema?”.
András,
dopo lo smarrimento iniziale per quella richiesta improvvisa,
accettò di buon
grado di aiutare i suoi benefattori.
“Qualsiasi
cosa principe, chiedete”.
Zalán
gli mise le mani sulle spalle sorridendo soddisfatto, il tutto sotto lo
sguardo
perplesso di Ariadné.
“Proprio
la risposta che volevo sentire. Ascolta attentamente, qualsiasi cosa
diremo io
e Ariadné dovrai assecondarci; so che non ricordi e non
capirai quello che
diremo ma fidati di me, d’accordo?”.
“Ma
Zalán, cosa vuoi fare?”.
“Guadagnare
tempo amore mio, ne ho bisogno se voglio prendere la decisione giusta
per noi”.
“Io
non credo che sia giusto nei confronti di András, lui non
ricorda e…”.
“Va
tutto bene principessa. Non dovete preoccuparvi per me. Posso
accompagnarvi in
casa?”.
Intervenne
András mostrando il suo sorriso più accattivante
e le porse il braccio. La
donna sembrò riluttante inizialmente, ma finì per
acconsentire. Aggrappandosi a
lui si diresse tranquilla verso il portone, dove li attendeva la
servitù
schierata.
“Bentornati
miei signori”, li apostrofò il maggiordomo,
scoccando un’occhiata perplessa
all’uomo che accompagnava la principessa.
“Ti
ringrazio Elek. Avete preparato la stanza di András come
avevo chiesto?”.
Elek
comprese immediatamente ciò che la sua padrona gli stava
indirettamente
ordinando e bisbigliò qualcosa alle cameriere più
vicine a lui che si
allontanarono con un inchino.
“Certamente
principessa”.
I
padroni di casa lo oltrepassarono ed entrarono in casa. Si trovavano
ancora
nell’atrio, dove altri servitori stavano prendendo in
consegna i loro mantelli,
quando furono raggiunti da Tibor. Sfoggiava il sorriso più
falso che avesse mai
mostrato.
“Cari
zii, finalmente! Avete fatto buon viaggio?”.
Il
tono mellifluo strideva terribilmente con quello che si vedeva nei suoi
occhi.
“Migliore
di quello che credi, Tibor”. Rispose a tono Zalán.
“Ma vieni, lascia che ti
presenti tuo cugino András. È stato via per
così tanto tempo e tu così a lungo
alla corte di Vienna, che non vi siete mai incontrati”.
Così
dicendo mise la mano sulla spalla di András che
chinò il capo in segno di
saluto. Sperava vivamente di aver fatto la cosa giusta, non capiva una
parola
di quello che aveva sentito da quando aveva messo piede in quel
palazzo, dove
evidentemente si parlava una lingua diversa dall’unica che
ricordasse.
Tibor
dal canto suo, divenne bianco come un cencio e il suo sguardo non
tentò più di
nascondere il livore nei confronti dei Beleznay; ancora una volta,
sembravano
sfuggiti ai suoi inganni, ma la faccenda gli risultava
tutt’altro che chiara.
“E
mio cugino è forse privo della parola?”.
“András
ha subito un’aggressione in Francia, dove stava studiando.
È stato malmenato da
alcuni malviventi che lo hanno derubato ed è salvo per
miracolo, ma è ancora
scosso e preferisce tacere. Anzi, ti chiedo di scusarmi, voglio
accompagnarlo
personalmente nelle sue stanze. Tu resta pure in compagnia di tuo zio,
vi
raggiungerò fra poco per la cena”.
Quando
furono giunti nella stanza a lui destinata, András decise di
chiedere
spiegazioni riguardo ciò che aveva visto. Non gli era
piaciuto lo sguardo che
lo sconosciuto aveva rivolto ai principi Beleznay e desiderava esser
loro
d’aiuto, per quanto in suo potere. Doveva loro la vita e non
solo; spesso aveva
riflettuto su quante persone, al loro posto, si sarebbero prese cura di
uno
sconosciuto con tale solerzia e tanto a lungo.
“Principessa,
chi è quell’uomo?”.
“Tu
non lo hai mai visto prima, è mio nipote, Tibor. Ti abbiamo
presentato come
nostro figlio”.
András
sbarrò gli occhi a quelle parole, chiedendosi se la
principessa non avesse
improvvisamente perso il senno.
“Vostro
figlio?! Ma come lo giustificherete? E come spiegherete a vostro nipote
che non
ha mai incontrato suo cugino?”.
Ariadné
sedette su un piccolo divano collocato davanti al camino che riscaldava
la
stanza e fece cenno a lui di raggiungerla. Il tempo delle spiegazioni
era
arrivato infine, non poteva trascinare András in quella
faccenda senza
rivelargli come stessero le cose.
“E’
semplice. Gli Asburgo ci concedono, in mancanza di figli naturali, di
adottare una
persona fidata che eredita il nostro titolo e i nostri possedimenti; ai
suoi
occhi tu sarai quella persona. Sei stato via per molto tempo e io ho
conosciuto
Tibor appena cinque anni fa, sebbene sapessi della sua esistenza. Suo
padre, mio
fratello Bertalan, mi odiava a morte per una sordida questione di
eredità e
quando è venuto a mancare, mio padre si è
incaricato di occuparsi di Tibor. È
stato lui a farmi conoscere infine mio nipote ma il ragazzo
è peggio di suo
padre, ha come unico scopo quello di arricchirsi”.
András
ascoltava attentamente il racconto della principessa, chiedendosi come
avrebbe
potuto lui ingannare quel Tibor. Ariadné non sembrava troppo
sconvolta nel
raccontare quei fatti scabrosi, che dopotutto coinvolgevano la sua
famiglia;
doveva essere una donna molto forte.
“Principessa,
posso chiedervi un’altra cosa?”.
“Qualsiasi
cosa”.
“Ecco…
non dovrebbe essere vostro nipote l’erede del titolo e del
patrimonio di
famiglia?”.
“No,
perché mio fratello, seppur primogenito maschio, non era
l’erede designato da
mio padre, quell’erede sono io. Devi sapere che i nobili
ungheresi godono di un
altro indubbio vantaggio: quello di trasmettere il titolo per
discendenza
femminile, dietro concessione dell’Imperatore
d’Austria, s’intende. Ovvero, io
avrei dovuto generare un figlio maschio il quale avrebbe ereditato di
diritto
il mio titolo”[2].
“Per
quale motivo vostro padre non ha scelto vostro fratello?”.
“Mia
madre è morta nel darmi alla luce e mio padre
l’amava a tal punto da promettere
di non risposarsi. Essendo io l’unica figlia nata da quel
matrimonio, inoltrò
subito alla corte di Vienna la richiesta di fare di me
l’erede, nonostante io
fossi solo una bambina di pochi mesi allora. Ma un uomo è
pur sempre un uomo, e
negli anni successivi mio padre non si fece mancare delle amanti fra le
dame
ungheresi. Una di loro concepì e lui decise di sposarla per
il bene del
nascituro, che questa volta fu maschio. Il titolo, però, non
può essermi tolto;
così mio padre preme perchè io adotti Tibor, dal
momento che non ho figli
miei”.
András
fissava le fiamme del camino, mentre Ariadné raccontava la
sua storia. Non
c’era davvero limite all’avidità umana
se un padre creava tanti ostacoli sulla
strada della figlia prediletta.
“Principessa…
se può servire ad aiutarvi accetterò di buon
grado di fingermi vostro figlio”.
Ariadné
sospirò appena portando lo sguardo su András.
Sembrava esitare ma infine gli
parlò stringendogli la mano nella sua, esile eppure forte.
“Tibor
potrebbe tentare di ucciderti. Non ha nessun tipo di scrupolo morale.
Per
questo motivo non volevo che Zalán ti presentasse come
nostro erede, abbiamo
fatto di te un bersaglio”.
“Non
mi ucciderà principessa, almeno non subito! Se eliminasse il
vostro erede
subito dopo l’adozione i sospetti ricadrebbero unicamente su
di lui, e anche se
restasse impunito, questo macchierebbe inevitabilmente la sua
reputazione a
Vienna”.
“Adozione?
András vorresti che ti adottassimo davvero?”.
La
donna aveva posto quella domanda mentre nella sua mente se ne poneva
un’altra.
Chi era veramente András per essere così avvezzo
agli squallidi ragionamenti
dei nobili? Nemmeno lei aveva ancora considerato
quell’aspetto e lui aveva
immediatamente tratto delle giuste conclusioni. Le sorrise ricambiando
la
stretta intorno alla sua mano.
“Soltanto
se servirà a risolvere questo problema”.
La
principessa rivolse uno sguardo colmo di gratitudine al ragazzo che le
sedeva
di fronte. Aveva visto giusto su di lui, era davvero dotato di un cuore
grande
e generoso, e non aveva esitato nell’offrirsi a quel modo
come ‘agnello
sacrificale’ all’ira di Tibor.
************************************************************
Ancora i
famigerati appuntini :D
[1] Questa
è la mia personale
descrizione del Castello di Bran, che si trova effettivamente in
Transilvania. Ho
scelto di non perdermi in dettagli architettonici per non appesantire
inutilmente il racconto.
[2]
Secondo István Werbőczy (giurista ungherese e Palatino del
XVI secolo –
conosciuto maggiormente per la propria opera pubblicata, il
Tripartitum, un
insieme di leggi ungheresi d'epoca) – i diritti della nuova
nobiltà erano i
seguenti:
non
potevano essere arrestati se non con procedura penale,
dovevano
obbedienza al solo Re,
erano
esentati da tasse e gabelle,
potevano
prestare servizio militare e svolgere una carriera nell'esercito solo
in difesa
della propria patria.
Molti
dei nobili che ottennero un titolo nobiliare in questa epoca, vennero
promossi
direttamente dal Re. Vi erano due modi per garantirsi un titolo
nobiliare:
essere
adottato in una famiglia nobile col permesso del Re
per
la figlia di un nobiluomo che non aveva avuto figli maschi, di avere
specifici
diritti dal Re (col permesso di passare questo titolo ai propri figli
maschi
avuti dal matrimonio). (fonte Wikipedia)
Il
trattato precede di circa due secoli la narrazione. Dal momento che non
ho
trovato indicazioni specifiche che facessero riferimento
all’epoca asburgica,
ho pensato che dovessero essere ancora valide. Prendetele per buone.
Il
flashback è quasi terminato, dovrebbe occupare solo un altro
capitolo oltre a
questo, ma credetemi sulla parola, è importante per gli
sviluppi futuri :D
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 7 ***
Dicembre
1786
La sera
dell’arrivo a palazzo Beleznay, Tibor era ripartito
subito dopo cena, talmente arrabbiato da preferire affrontare le
foreste di
notte piuttosto che rimanere sotto lo stesso tetto con András e i suoi
‘genitori’. Di certo non avrebbe ceduto il passo
di fronte a un uomo che non conosceva e che, ne era certo, doveva
essere uno di
quei borghesi di cui quello stolto
di
suo zio amava circondarsi; niente a che vedere con il sangue reale
degli
Hunyadi!
La principessa
dal canto suo, aveva informato il fidato Elek
dell’accaduto, contando che trovasse il modo di ottenere la
collaborazione di
tutta la servitù senza rivelar loro troppi particolari. András aveva
già accettato di proseguire in quella farsa e
Ariadné
si era assunta l’impegno di insegnargli il tedesco nel
più breve tempo
possibile, certamente non poteva stargli dietro tutto il tempo parlando
per lui.
“Madre…
come credete sia possibile che io abbia dimenticato
la mia lingua ma non il francese?”.
Le chiese un
giorno András nel bel mezzo
degli studi.
Fortunatamente sembrava essere predisposto a imparare in fretta le
lingue,
ormai a breve avrebbe parlato un ottimo tedesco.
“András, ti ho
già detto che hai studiato a
lungo in Francia. Non dovresti stupirti più di tanto, hai
dimenticato persino i
luoghi in cui sei cresciuto! Probabilmente ciò avviene
perché quando hai subito
l’aggressione eri abituato a parlare da molto tempo il
francese… non so cosa dirti,
non sono un medico”.
La spiegazione
sembrava aver convinto András, e il fatto
che a parte il sogno con la donna bionda non
avesse avuto altri ricordi del suo passato, lo aveva persuaso che non
avrebbe
più riacquistato la memoria.
All’inquietudine
dei primi giorni era subentrata una sorta di
rassegnazione, e aveva deciso di creare per se stesso dei nuovi
ricordi, come
se la sua vita fosse iniziata il giorno in cui si era svegliato in una
carrozza
che lo aveva portato in Transilvania. Ariadné e Zalán erano degli
ottimi genitori ed era certo che non avrebbero
potuto essere tanto gentili con qualcuno che non conoscevano affatto.
Aveva
deciso di ignorare, sebbene ne fosse perfettamente a conoscenza, che
quel forte
desiderio di tenerlo presso di loro aveva motivazioni molteplici,
alcune delle
quali sicuramente poco altruistiche.
I giorni
trascorrevano lenti per András, costretto a
girovagare senza meta nel castello. Il medico
che lo aveva visitato al suo arrivo aveva sentenziato che non sarebbe
stato opportuno
lasciarlo uscire a cavallo o peggio per una battuta di caccia, la qual
cosa
dispiacque particolarmente a Zalán che si
dimostrava ansioso di
mostrargli quanto fosse ricca di selvaggina la Transilvania. E
così non poteva
fare molto se non visitare la biblioteca del castello, per la
verità molto fornita
e varia, soprattutto per quanto riguardava la provenienza dei testi.
Altre volte si
recava fino alle scuderie, dove passava anche
delle ore ad ammirare i cavalli. Si sentiva a suo agio in quel posto,
nonostante
Ariadné lo avesse pregato di non strigliare più
gli animali, dopo averlo
sorpreso intento a occuparsi con solerzia di un magnifico stallone
sauro.
“András! Ci sono gli
stallieri per questo,
non devi farlo personalmente”.
Aveva detto
raggiungendo il ragazzo che ora la stava fissando
fermo con la mano a mezz’aria. Non avrebbe saputo come
spiegarlo, ma era stato
un impulso naturale quello di prendere la striglia e avvicinarsi al
cavallo.
“Ti
piace questo cavallo?”.
“E’
un esemplare superbo”.
András era uscito dal
recinto raggiungendo
Ariadné, ma continuava a guardare lo stallone e ad
accarezzargli il muso.
“Sembra
forte e fin troppo caparbio però”.
Ariadné
non trattenne una risata, persa in un ricordo, e
annuì.
“Il
primo giorno Zalán ha avuto un
piccolo incidente…
Augustus lo ha sbalzato di groppa senza troppi complimenti”.
András rise con lei,
trattenendo il
cavallo che tentava di strusciargli il muso sul viso.
“Si
chiama Augustus? Un nome da imperatore”.
“Si”.
Gli sorrise vedendo con quanto desiderio guardasse
l’animale. “Ascolta, che ne diresti di provare a
domarlo? Se ci riuscirai,
Augustus sarà tuo”.
“Dite
davvero? Certamente, madre, vedrete che diventerà
docile come un agnellino!”.
Il ragazzo
schioccò un bacio sulla guancia di Ariadné e mise
i finimenti al cavallo, portandolo fuori dalle scuderie.
“Io e
te diventeremo amici, credimi”.
Dicembre
trascorreva veloce e il tempo a disposizione di Zalán era ormai agli
sgoccioli. La decisione da prendere non era
cosa da poco conto e ritenne opportuno consultarsi con sua moglie. Per
quanto
avesse tentato di mantenere il segreto, la voce che avesse deciso di
adottare
uno dei suoi uomini più fidati si era sparsa velocemente e
aveva potuto
osservare quelli che aveva ritenuto i migliori candidati intenti a
sperticarsi
in azioni più o meno generose e di valore, al limite della
follia in certi
casi. Nessuno di loro sembrava essere disinteressato, la qual cosa gli
aveva
procurato una cocente delusione. La figura di sua moglie che si
stagliava nel
vano della porta gli strappò un sorriso e le tese la mano
perché lo
raggiungesse davanti al camino.
“Vieni.
Chiudi la porta, devo parlarti”.
Ariadné
si chiuse la porta dello studio alle spalle e
raggiunse Zalán sedendo sulla
poltrona di fronte alla sua.
“Sembri
turbato. Cosa succede?”.
“Non
lo immagini? L’adozione che dobbiamo decidere non
è
rimasta un segreto e vedo i miei uomini comportarsi in maniera ridicola
pur di
attirare l’attenzione ed essere scelti. L’unico che
sembra non avere interesse
è András, proprio lui
che è il prescelto agli occhi di Tibor”.
“Ti
avevo detto già tempo fa che lui è diverso. Ha
domato
Augustus finalmente e sembra che cavalcarlo lo renda la persona
più felice
d’Ungheria. Non dimostra grande interesse per i beni
materiali, eppure comincio
a credere che appartenga a una famiglia nobile, ha una cultura vasta e
raffinata e ottime maniere, senza contare che la sua mente è
abituata a
districarsi tra le malizie di una corte”.
“E se
scegliessimo lui?”.
Ariadné
tacque fissando le fiamme del camino. Aveva agito
d’impulso pretendendo di tenere con sé quel
ragazzo di cui non conosceva nulla
ma ora si rendeva conto che adottarlo avrebbe significato legarlo a
sé in
maniera indelebile e non era certa che fosse giusto nei suoi confronti,
né nei
confronti della famiglia che probabilmente lo piangeva come morto.
“Non
so. Lui si è offerto di sua spontanea volontà di
essere
adottato a tutti gli effetti già quella sera che ha
incontrato Tibor. Ma mi
sembra che la cosa stia andando troppo in là, non possiamo
fargli questo”.
“Non
possiamo fargli questo?! Stiamo pensando di lasciargli
una fortuna e da parte tua anche un titolo di alto prestigio, cosa
potrebbe
volere di più?”.
“Decidere
per se stesso e riavere la sua vita, ti sembra
poco? Gli abbiamo costruito una farsa addosso, davvero pensi che
continuare sia
giusto? Raccontargli di un Grand Tour, di studi effettuati a Parigi,
abbiamo
inventato di sana pianta una vita pur di legarlo a noi, e non dire
niente, so
che sono stata io a cominciare tutto, ma ciò non toglie che
mi sia resa conto
dell’errore!”.
Ariadné
era pallida e aveva il respiro corto mentre fissava
con gli occhi sbarrati suo marito. Sentiva la colpa di aver portato via
András alla sua vita
e ora che l’incanto che l’aveva avvolta nei
primi giorni stava svanendo, desiderava con tutta sé stessa
che recuperasse la
memoria. Zalán si
alzò e le si inginocchiò davanti, prendendole le
mani in
una delle sue. Le portò alle labbra e vi posò un
bacio mentre le accarezzava il
viso.
“Calmati
amore mio. Siamo andati troppo oltre, cosa potremmo
dire adesso al ragazzo? C’è una sola cosa che
posso fare per toglierti ogni
peso dalla coscienza. Manderò Jan e Petre in Francia, a
prendere informazioni.
Se scopriranno della scomparsa di un nobile che corrisponda alla
descrizione di
András, si
assicureranno che sia lui e lo rimanderemo alla sua
famiglia. Va bene?”.
Lei
annuì appena, ritrovando un respiro regolare e costrinse
la sua mente a tornare a ciò che stavano discutendo prima di
quella ‘crisi’.
“E per
l’adozione?”.
“Posso
adottarlo lo stesso. Se poi troveremo la sua famiglia,
la cosa non farà differenza, almeno avrò avuto il
tempo di scegliere un’altra
persona che ne sia degna”.
“Quando
glielo diremo?”.
“Anche
subito, se non è fuggito in groppa ad Augustus, sono
giorni che tiene d’occhio il cancello! Credo che le
disposizioni del dottore
gli stiano strette”.
Ariadné
sorrise finalmente e si alzò affacciandosi alla
finestra.
“Non
è fuggito, è in cortile. E non è
nemmeno a cavallo, sta
leggendo”.
Zalán la raggiunse
cingendole la vita da
dietro.
“E’
un bravo ragazzo. Stiamo facendo la scelta giusta, non ci
deluderà”.
“Dovremo
proteggerlo da Tibor. Non si ferma davanti a
niente”.
“Non
lascerò che gli faccia del male, ti ho appena promesso
che lo rimanderò in Francia non appena ritroveremo la sua
famiglia, e intendo
rimandarlo a casa tutto d’un pezzo!”.
*******************************************************************
Aggiornamento
al volo, sto per restare senza internet :(
Non so
quando potrò postare il prossimo capitolo, purtroppo,
comunque il flashback è
finito, dal prossimo capitolo si torna al presente ;)
Grazie
ancora per tutte le recensioni, sono commossa! A presto <3
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 8 ***
Novembre
1787
Oscar si
presentò a Versailles con qualche minuto di ritardo,
per la prima volta da quando faceva parte delle Guardie Reali. Durante
la
cavalcata si era allontanata più di quanto credesse da
palazzo Jarjayes e il
ritorno aveva richiesto del tempo; non poteva pretendere da
César più di quanto
avesse dato nella galoppata a cui lo aveva spinto.
Lei aveva
completamente dimenticato la promessa fatta la sera
prima al principe András, ma
evidentemente per lui non era
lo stesso. Si presentò al campo di addestramento delle
Guardie Reali e si
dispose ad aspettarla appoggiato contro il tronco di un albero poco
distante,
con le braccia incrociate sul petto.
Il cuore di
Oscar saltò a piè pari un battito quando lo vide.
Se non fosse stata certa del contrario, avrebbe pensato che avesse
assunto
apposta quella posizione, la stessa in cui poteva vedere
Andrè aspettarla ogni
giorno per poi tornare a casa con lei.
“Comandante, c’è qualcosa non va?”.
“Cosa?
Oh no… no Girodelle, va tutto bene, riprendiamo”.
Il conte di
Girodelle aveva intravisto prima di Oscar il
principe András ed era certo
di comprendere il turbamento del suo
comandante. Nemmeno a lui era sfuggita l’impressionante
somiglianza tra
l’ungherese e Andrè. Inconsciamente strinse
maggiormente le briglie del suo
cavallo; non avrebbe permesso che lei ricadesse in quel vortice fatto
di dolore
e sensi di colpa, proprio adesso che sembrava stesse riconquistando la
sua
vita. Proprio adesso che senza Andrè fra loro poteva sperare
di far breccia nel
cuore di Oscar.
András aspettava
paziente che la sua dama
terminasse di svolgere il suo lavoro quella mattina per poterla avere
per sé
qualche ora. Non gli pesava affatto stare fermo lì ad
osservarla, gli sembrava
di esserci abituato. Ed era decisamente bella, madamigella Oscar. I
lunghi
riccioli biondi che era certo avrebbe sentito serici sotto le dita,
incorniciavano un ovale perfetto illuminato dagli occhi azzurri
più belli che
avesse mai visto: spicchi di cielo nei quali era facile scrutare
tempeste e
giorni di sole alternarsi secondo i pensieri di quella donna.
Finalmente la
vide avvicinarsi e l’accolse con un sorriso
smagliante, ignaro di quanto questo potesse scombussolare la povera
Oscar che
cominciava a temere di essere sulla soglia della pazzia. Qualsiasi
atteggiamento del principe András non faceva che
ricordarle
dolorosamente Andrè, ma questi sentimenti venivano subito
rimbeccati dalla sua parte
razionale che le ricordava come i due non potessero essere la stessa
persona.
“Buongiorno
madamigella”.
“Buongiorno
principe András”.
“Temo
che abbiate dimenticato la promessa che mi avete fatto
al ballo. Si era detto che avremmo visitato insieme i giardini di
Versailles ma
non siete abbigliata per una passeggiata”.
Oscar lo
guardò inarcando un sopracciglio.
“Vi
aspettavate forse di vedermi indossare un vestito?”.
“Perchè
no? Non lo fareste per me?”.
Aveva
pronunciato queste parole guardando negli occhi Oscar,
in un chiaro tentativo di ammaliarla, ma ebbe lo spiacevole risultato
di
vederla impallidire neanche si fosse trovata davanti un fantasma.
“Madamigella
Oscar, vi sentite bene?”.
Lei
annuì, rigida, e si incamminò allontanandosi da
lui. Solo
una volta aveva indossato delle vesti femminili per un uomo e ne era
uscita più
che scottata. L’unico per il quale avrebbe di nuovo
sopportato una simile
umiliazione non c’era più e ora quello…
quello straniero osava chiederle una
cosa del genere!
András si
affrettò a seguirla, perplesso
da quel suo atteggiamento e standole dietro non potè non
notare la capigliatura
bionda ondeggiare al ritmo del suo passo. Era lei! Certo, era lei la
donna del
suo sogno, l’aveva ritrovata!
“Oscar!”.
Quella
voce… il suo nome, pronunciato da
quella voce! Oscar si fermò di colpo, come fulminata,
incapace di compiere un
altro singolo passo. Non voleva illudersi di nuovo, voltarsi credendo
di vedere
Andrè e guardare negli occhi uno straniero che gli
assomigliava. Il suo cuore e
soprattutto la sua mente non avrebbero retto a lungo a quel conflitto.
Stava
già pensando di chiedere alla Regina un’ulteriore
licenza, quando sentì delle
forti braccia cingerla da dietro.
Ariadné
si trovava al Petit Trianon in compagnia della Regina
Maria Antonietta, che piena d’entusiasmo le stava mostrando
il procedere dei
lavori per la Hameau de
la Reine.
“E’
un posto splendido maestà”.
“Qui
potrò finalmente essere me stessa,
principessa. Come la bambina che voi ricordate”.
Maria Antonietta
rivolse uno sguardo
malinconico ad Ariadné che non potè far altro che
ricambiare. Avrebbe
desiderato poterla stringere fra le braccia, proprio come quando era la
piccola
arciduchessa austriaca, ma l’etichetta le imponeva distacco.
“Ditemi
piuttosto”, esordì la Regina, mettendo
fine a quel momento. “Come avete conosciuto il giovane che
avete adottato? Mi
avete detto che il principe András ha studiato a lungo qui
in Francia, eppure
non lo avete mai indirizzato a corte, per quale motivo?”.
“Vostra
altezza c’è una cosa di cui vorrei
parlarvi in privato, credete che sia possibile?”.
Ariadné
aveva guardato Maria Antonietta con
occhi talmente tormentati che la Regina non potè che
acconsentire, invitandola
formalmente a un incontro privato all’interno del Petit
Trianon. Quando vi
giunsero, la principessa si avvicinò alla finestra che dava
sul giardino,
restando in silenzio.
“Principessa,
se la mia domanda vi ha offeso in
qualche modo…”.
“No
maestà”. Ariadné la interruppe
voltandosi
a guardarla. “Al contrario, sento il bisogno di confidare a
qualcuno le mie
pene. Non posso ottenere perdono per ciò che ho
fatto”.
“Cosa
potete aver mai fatto di così
terribile?”.
“András
è francese. Quando ripartimmo dopo
avervi fatto visita, lo scorso anno, gli uomini della mia scorta lo
trovarono
ferito e privo di sensi nei pressi di una stazione di posta. Lo
portammo con
noi e ce ne occupammo, con l’intenzione di rimandarlo
indietro quando fosse
stato bene ma aveva subito un’amnesia e nonostante la
diagnosi del medico che
la riteneva un fenomeno passeggero, tutt’ora gli ottenebra la
mente”.
“Non
mi sembra abbiate compiuto atti così
indegni del perdono divino”.
“Lo
abbiamo tenuto con noi. Lo abbiamo fatto
per un nostro fine personale, senza più tentare di
restituirgli la sua vita.
Certo, con il tempo abbiamo imparato ad amarlo come fosse un figlio,
è
impossibile non affezionarsi a lui, però…
però sento un peso sulla coscienza
ogni volta che lo sento parlare dell’Ungheria come se davvero
fosse la sua
casa. Quando mi chiama ‘madre’ sento calore nel
cuore ma gelo nell’anima”.
Maria Antonietta
ascoltò attentamente il
racconto di Ariadné. Un sospetto stava prendendo forma nella
sua mente ma non
osava esprimerlo a voce alta; se si fosse rivelato fondato, avrebbe
visto
tornare il sorriso sul volto di una cara amica.
************************************************************************************************
Rieccomi
ragazzi/e, in ritardo ma ce l’ho fatta :P
Volevo fare solo
una piccola precisazione riguardo al
capitolo precedente, che ieri mi è sfuggita. Ho letto che la
lingua ufficiale
del Regno d’Ungheria era il latino, essendo una nazione
cattolicissima; però,
mi sembrava improbabile che i nobili ungheresi recandosi a Vienna,
presso
quello che effettivamente era il loro sovrano, si esprimessero in
latino,
perciò ho puntato sul tedesco ^^
Grazie come
sempre per tutte le recensioni, cercherò di rispondervi come
ho sempre fatto ^^ A presto ^^
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Capitolo 10 *** Capitolo 9 ***
Novembre
1787
Maria Antonietta
guardò Ariadné negli occhi per qualche
istante, indecisa se dirle o meno dei suoi sospetti. Alla luce della
sua
confessione era certa che András non fosse
altri che Andrè Grandier,
troppe le coincidenze e soprattutto, eccessiva la somiglianza fra i due.
“Principessa
non angustiatevi, credo di sapere chi sia in
realtà il vostro András. Potete
riportarlo alla sua
famiglia in qualsiasi momento”.
“Io…
vi ringrazio maestà ma non sono certa di volermi
separare da lui, dopotutto. Sempre che i suoi ricordi non tornino ora
che si
trova in Francia, in quel caso non opporrò la minima
resistenza”.
“Non
vi capisco. Mi avete detto pochi minuti or sono di
essere tormentata dai sensi di colpa per aver portato via András, eppure
rifiutate di lasciarlo alle cure della sua
famiglia. Vi contraddite”.
“Ne
sono consapevole. Ma ormai il mio amore per lui è troppo
grande perché io lo lasci qui a una vita che non ricorda.
Ditemi soltanto… come
si chiama?”.
“André
Grandier. Era l’attendente di madamigella Oscar, la
donna che io stessa gli ho presentato al ballo”.
“Attendente?!
Attendente di quella donna soldato, e io dovrei
lasciarlo qui, a condurre una vita da servo quando in Ungheria
è un principe di
stirpe reale?”.
“Calmatevi
principessa. Vi posso assicurare che la sua vita è
stata ben al di sopra di quella di molti borghesi, è stato
istruito, ha
imparato a tirare di scherma, a cavalcare, tutto questo assieme a
madamigella
Oscar. Solo il titolo nobiliare li distingue”.
Ariadné
ricambiò lo sguardo di Maria Antonietta, la
determinazione a illuminarle gli occhi di ghiaccio.
“Se io
acconsentissi a lasciarlo qui… voi vi impegnereste a
riconoscere il suo rango anche qui in Francia?”.
“Non
so se posso farlo, in Francia non basta essere adottati
da un nobile per diventarlo a sua volta [1]”.
“E’
l’unico caso in cui lo lascerei. Altrimenti lo
riporterò
con me in Ungheria. Non è il titolo che gli ho dato a
renderlo nobile e mi
rifiuto di accettare che venga sbeffeggiato e indicato come
‘servo’ da persone
che non sono degne nemmeno di lucidare le fibbie delle sue
scarpe!”.
Aveva parlato
senza curarsi se le parole pronunciate fossero
o meno degne delle orecchie di una regina, spinta solo dal desiderio di
proteggere suo figlio. Qualsiasi
fossero
stati gli sviluppi da quel momento in poi, András…
no, Andrè, sarebbe rimasto suo
figlio.
Maria Antonietta
non si scompose, comprendendo il turbamento
della principessa Ariadné, tuttavia sapeva di non poterle
promettere ciò che
chiedeva, almeno non prima di aver parlato con il Re. La
nobiltà francese era
molto più conservatrice rispetto a quella austriaca e aveva
provato sulla
propria pelle quanto tutti i suoi componenti o quasi fossero
disponibili a
calpestare chiunque pur di ottenere sempre più potere. Pochi
di loro avrebbero
accolto di buon grado un parvenu
quale sarebbe stato il principe Andrè Beleznay [2].
“Principessa,
per l’amicizia che ci lega parlerò a Sua
Maestà
il Re della vostra richiesta. Sappiate, però, che il suo
consenso è tutt’altro
che certo”.
“Lo
comprendo bene maestà e vi ringrazio per
l’attenzione che
mi state dedicando”.
Maria Antonietta
rivolse un sorriso ad Ariadné. Desiderava davvero
aiutare Andrè a mantenere il titolo acquisito in Ungheria,
con il duplice
intento di aiutare, seppur in maniera diversa, due persone a cui teneva
molto.
Oscar era
rimasta pietrificata fra le braccia di András. Come avrebbe
dovuto reagire? Lentamente girò il volto quel
tanto che bastava per guardare il principe.
“Che
cosa state facendo principe?”.
András
lasciò andare Oscar come se
scottasse, imbarazzato da quel gesto che non sapeva spiegarsi. Non era
da lui
ignorare così bellamente le regole dell’etichetta,
a prescindere dal luogo o
dalla persona che aveva davanti.
“Io…
scusate madamigella Oscar, volevo solo fermarvi! Stavate
andando via ignorandomi completamente”.
“E
questo vi sembra un buon motivo per mettermi le mani
addosso?!”.
“No!
Madamigella vi prego, non fraintendetemi! Non intendevo
mancarvi di rispetto, è che… circa un anno fa
sono stato vittima di
un’aggressione e adesso la mia memoria non funziona come
dovrebbe. Scusate se
la mia domanda vi sembrerà sciocca ma da quanto ci
conosciamo noi due?”.
Oscar
sgranò gli occhi azzurri sentendo quelle parole. Una
timida speranza stava facendo capolino nel suo cuore ma aveva bisogno
di
certezze. András le aveva fatto
capire di aver subito un’amnesia ma di
ricordare lei perciò forse… forse era lecito
sperare.
“Più
che sembrarmi sciocca mi meraviglia, principe. Non
ricordo di avervi mai visto prima di ieri sera, però avete
studiato in Francia
mi pare, no?”.
“Sì,
sono rimasto in Francia fino allo scorso anno, quando i
miei genitori si sono recati in visita qui a Versailles per la prima
volta. È
stato mentre mi recavo a incontrarli che sono stato
aggredito”.
Un lieve sorriso
si dipinse sul volto di Oscar che forzando
la propria natura ritrosa posò una mano sul braccio di András per attirarne
l’attenzione, e indicò con un cenno del capo
i giardini. Lui la guardò, dapprima confuso dal suo
atteggiamento, poi si
incamminò assieme a lei lungo i viali di siepi.
“Forse
ci siamo incontrati a Parigi, anche se in effetti non
mi reco spesso in città. Ditemi qualcosa in più
su di voi, forse potrei
ricordare un giovane studente straniero!”.
Aveva
pronunciato quelle parole ridendo, come non le capitava
da tempo. Qualunque cosa dicesse Maria Antonietta, l’uomo
accanto a lei era
Andrè. Restava da capire come fosse stato trovato e adottato
da quei nobili
ungheresi, ma era certa che l’amnesia avesse giocato il suo
ruolo in quella
mossa.
András
lasciò andare un lieve sospiro,
fingendosi sconsolato.
“Madamigella
perché mi ignorate? Vi ho appena spiegato che
sono vittima di un’amnesia, non mi ascoltate o vi piace
rigirare il dito nella
piaga?”.
Il viso di Oscar
passò dall’ilarità di pochi minuti
prima a
un’espressione di assoluta mortificazione, accentuata dallo
sguardo che
rapidamente raggiunse le punte degli stivali.
“Perdonatemi
principe András, non intendevo
prendermi gioco del
vostro male”.
Lui si rese
conto di non essere stato affatto capace di
scherzare e tentò di correre ai ripari.
“Non
mi avete offeso, non temete! Non parliamone più, volete?
Piuttosto, com’è possibile che una donna come voi
non sia circondata tutto il
tempo da tenaci corteggiatori?”.
Oscar
levò lo sguardo spazientita, incrociando le braccia al
petto.
“Cosa
devo fare per convincervi che io sono un soldato e non
una dama, sfidarvi a duello?”.
András
arretrò di un passo alzando le mani
in una posa volutamente teatrale.
“Oh no
vi prego, non intendo finire male!”.
Rise voltandosi
mentre il vento giocava coi suoi capelli
scuri, scostandoli dal suo volto. Oscar si rese conto di essere rimasta
incantata a fissarlo quando lo vide sorriderle.
“Sul
serio madamigella. Siete un soldato, ma bisognerebbe
essere ciechi per non vedere che splendida donna siate”.
Lei
trasalì impercettibilmente a quelle parole che alle sue
orecchie suonavano come una conferma. Chi altri le aveva mai dato a
intendere
di vederla come una donna, una bella donna, se non Andrè? Un
sorriso sincero le
increspò le labbra e levò una mano a scostare una
ciocca bionda che il vento le
faceva ondeggiare davanti agli occhi.
“Voi
mi ricordate molto una persona, principe András”.
“Spero
almeno che a essa siano legati ricordi piacevoli”.
“I
più belli della mia vita… vogliamo
andare?”.
Aveva cambiato
improvvisamente tono, rendendosi conto di
essere stata sul punto di confidarsi con la persona meno adatta. Se lui
fosse
stato Andrè, sarebbe stato come dichiarargli il proprio
amore e non riteneva di
essere pronta a farlo; se non lo fosse stato, ipotesi che ormai aveva
definitivamente accantonato, avrebbe confessato i suoi pensieri
più intimi a
una persona pressoché sconosciuta.
“Principe
András, vi piacerebbe
visitare il Giardino
d’Inverno?”.
András si
fermò accanto a Oscar
scrutandola dalla sua maggiore altezza. Quella
donna era una persona particolare ma così affascinante da
fargli sentire
un’attrazione mai provata prima e al contempo così
familiare da star quasi male;
sentiva di conoscerla da sempre, e si convinceva sempre più
che avesse fatto
prepotentemente parte della sua vita.
Quel
senso di familiarità si era insediato nel suo cuore sin da
quando erano giunti
nei pressi di Parigi e pareva non volerlo lasciare. Nemmeno a palazzo
Beleznay
lo avvertiva con tanta urgenza.
“Siete
sicura che non sia sconveniente che ci addentriamo nei giardini senza
uno chaperon?”.
Oscar
sorrise tra sé. Andrè era pur sempre
Andrè, anche senza memoria non poteva fare
a meno di preoccuparsi per lei.
“Non
c’è niente di scandaloso se il Capitano delle
Guardie Reali accompagna un
ospite della Regina a visitare i giardini della Reggia”.
András
rise all’affermazione di Oscar, tirandole indietro dal viso
una ciocca di
capelli, in un gesto che la fece lievemente arrossire.
“Dovete
perdonarmi madamigella Oscar, ma io proprio non riesco a vedervi come
nulla di
diverso da una donna”.
Jan
e Petre si occupavano di Augustus nelle scuderie di Versailles. Nessuno
dei due
sembrava entusiasta del lavoro che svolgeva e il cavallo
sbuffò il suo
disappunto per una strigliata troppo energica.
“Che
hai da lamentarti, stupido ronzino!”.
“Jan
vacci piano, se succede qualcosa al cavallo del principe
András, i Beleznay ci rimandano
in Ungheria a trovarne un altro identico”.
“Il
principe
András!”, esclamò Jan in
tono canzonatorio. “Se questi spocchiosi francesi sapessero
la verità su quello
a cui rivolgono inchini e riverenze neanche fosse il loro Re! Ci
sarebbe
davvero da ridere, soprattutto per le facce dei Beleznay, sbugiardati
in questo
modo!”.
Petre
scosse la testa continuando a pulire la sella di Augustus.
“Non
è con questa rabbia che otterrai qualcosa”.
Jan
si voltò, lasciando cadere la striglia e afferrò
Petre per il bavero con fare
minaccioso.
“Stai
forse cercando di dirmi come devo comportarmi con loro?! Sono degli
ingrati,
ecco cosa sono, altro che bravi cristiani! Hanno adottato uno di cui
non sanno
nulla, neanche il suo vero nome, preferendolo a uno di noi! Siamo noi
che ci
spacchiamo la schiena al loro servizio da anni, qualcosa
dovrà pur contare!”.
Petre
mise le mani su quelle di Jan, staccandole a forza dalla propria giacca
e
riprese impassibile il suo lavoro.
“Guarda
cos’hai combinato, devo ricominciare da capo, Jan!”.
Jan
afferrò la striglia con un gesto di stizza e
ricominciò a lavorare, la mascella
contratta dalla rabbia.
“Io
li odio. Tutti, soprattutto il francese. Il rango che ha lui avrebbe
potuto
essere mio, o tuo, o di un altro ungherese qualsiasi, invece hanno
fatto di uno
straniero un principe!”.
Lo
sfogo di rabbia di Jan non cessò con il lavoro, anzi prese
posto malamente
accanto a Petre, rischiando di sbilanciare la panca su cui sedevano.
“E’
gentile con noi, non è contro di lui che dovresti
indirizzare la tua rabbia”.
“Proprio
perché è gentile, lo odio ancora di
più”.
************************************************************************************************
Eccomi di nuovo
^-^
Grazie come
sempre per le bellissime recensioni, vi adoro! E
un grandissimo grazie anche a chi legge la mia fic in silenzio ^-^
Il dialogo tra i
nostri beniamini potrebbe sembrare un po' insolito ma ho cercato di
rendere un po' la confidenza che c'era tra Andrè e Oscar e
la semplicità con cui scherzavano e chiacchieravano di
qualsiasi cosa, senza dilungarmi troppo :P
Appuntini XD
[1] Non sono
riuscita a trovare informazioni al riguardo,
quindi in effetti non so se le cose stessero così. Vi chiedo
scusa se risulterà
essere un errore ^^”
[2] Non mi sono
confusa XD Se Andrè venisse riconosciuto come
Andrè Grandier e allo stesso tempo gli fosse attribuito il
titolo come figlio dei Beleznay, dei principi acquisirebbe solo il
cognome ;)
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 10 ***
Novembre
1787
Dopo quel primo
incontro nei giardini di Versailles, András si recava
sempre più spesso a trovare Oscar, aspettando che
terminasse il lavoro prima di ‘rapirla’ con il
pretesto di farsi mostrare
qualche altro angolo della Reggia. Lei ne era felice e a stento
nascondeva
questo forte sentimento dietro la solita facciata di cortesia.
Un giorno, András la raggiunse
prima del previsto e
Oscar se lo ritrovò davanti mentre stava ancora discutendo
con Girodelle i
pattugliamenti da disporre per l’indomani. Si sarebbe tenuto
un ballo di gala,
in onore degli ospiti stranieri che ancora si trovavano in Francia dopo
esservi
giunti a festeggiare il compleanno della Regina e la serata richiedeva
particolare attenzione da parte della Guardia Reale.
“András, cosa fate
qui?”.
“Sono
venuto a prendervi Oscar. Desidero visitare il Tempio
dell’Amore, al Petit Trianon”.
Oscar era
talmente impegnata ad arrossire vedendolo
ammiccare, che non si accorse che Girodelle, al contrario, sembrava
aver perso
tutto il sangue delle vene.
“Il
Petit Trianon si potrebbe visitare soltanto se la Regina
Maria Antonietta vi invitasse”.
“Lo ha
già fatto, madamigella. Però, non posso
infastidire
oltre la Regina per un mio personale capriccio, trovate?”.
“State
dicendo che avete abbandonato il Petit Trianon per
venire a prendere madamigella Oscar? È molto scortese
lasciare la compagnia
della Regina se non si viene congedati”.
Girodelle
fissava András con
un’espressione tutt’altro che
amichevole; mal sopportava il principe ungherese che, dal suo punto di
vista,
rivolgeva una corte serrata a Oscar mascherando le sue intenzioni
dietro
l’amicizia. András dal canto suo,
non provava
sentimenti troppo dissimili nei confronti del conte, geloso del tempo
che
poteva trascorrere con Oscar.
“La
Regina è al corrente della mia venuta qui. Ho espresso il
desiderio di venire di persona a invitare madamigella Oscar, e lei mi
ha
concesso questo privilegio”.
“Calmatevi
Girodelle. Se la Regina mi vuole al Petit Trianon,
non posso che esaudirla”.
Girodelle
strinse i guanti che si era appena tolto nel
tentativo di trattenere la rabbia. Facendo appello a tutto il suo
sangue freddo
riuscì a sorridere a Oscar.
“Certamente
comandante, avete perfettamente ragione”.
Oscar
annuì, apparentemente ignara del turbamento del suo
secondo e si incamminò accanto a András per
raggiungere la residenza della
Regina.
“Non
dovreste provocarlo in quel modo, András”.
“Io
non provoco nessuno. È il conte di Girodelle che mi
detesta, lo vedrebbe persino un cieco”.
Aveva
un’espressione terribilmente infantile in quel momento,
con le braccia incrociate al petto e le labbra piegate in un leggero
broncio.
Sembrava un bambino colto sul fatto dopo l’ennesima
marachella.
“D’accordo
András ma toglietevi
quell’espressione,
non vorrete angustiare la Regina?”.
“No,
affatto, è così gentile! È una donna
splendida, mi è
difficile credere che qualcuno possa non amarla”.
Oscar si
rabbuiò un poco a quelle parole. Purtroppo, sapeva
fin troppo bene quanto Maria Antonietta potesse essere detestata in
Francia, e il
recente ‘Affare della Collana’ non aveva fatto che
alimentare l’odio verso la
sovrana.
“Oscar,
vi sentite bene? Ho forse detto qualcosa che vi ha
offesa?”.
“Niente
affatto András, non temete.
Piuttosto, vogliamo
visitare il Tempio dell’Amore come mi avete
chiesto?”.
András
tornò a sorriderle, entusiasta di
poter trascorrere del tempo in sua compagnia. Non ne aveva mai
abbastanza e
quando doveva separarsi da lei, avvertiva un distacco bruciante,
sopportabile
solo grazie all’idea che l’indomani
l’avrebbe rivista. Oscar gli stava entrando
dentro e per qualche motivo, la cosa non lo meravigliava minimamente.
Una carrozza
procedeva lentamente, diretta a Versailles. Sul
fianco faceva bella mostra di sé lo stemma nobiliare, un corvo nero appoggiato su un ramo
d'oro con foglie, su
fondo blu, con un anello d'oro nel becco, affiancato da un leone rosso
rampante,
con una corona fra le zampe anteriori, su fondo bianco.
“Lo
stai controllando come ti ho
ordinato?”.
“Certamente,
mio signore. Non è stato
difficile, mi hanno messo al suo servizio”.
“Molto
bene. Adesso abbiamo bisogno
di un aiuto alla Reggia”.
Un sogghigno
giunse in risposta alla
domanda.
“Le
donne possono essere un’arma
efficace in casi come questi. Sono causa di violente gelosie e un uomo
geloso
può compiere azioni contrarie alla sua natura”.
“Stai
parlando di qualcuno in
particolare?”.
“Sì,
mio signore. Ma mi serve il
vostro aiuto per ingannarlo, altrimenti non potremo servircene,
è troppo
onesto”.
“Fai
in modo che gli giungano questi,
per il momento”.
“Come
desiderate mio signore”.
Ariadné
si trovava in compagnia della Regina ma non poteva
impedirsi di guardare sempre più spesso Oscar e András che si
intrattenevano nei pressi del Tempio dell’Amore.
“Principessa,
siete forse preoccupata per la virtù di vostro
figlio?”.
Maria Antonietta
nascose una leggera risata dietro il
ventaglio, strappando un sorriso anche ad Ariadné.
“Dovrei
tenerlo sotto chiave maestà, ovunque andiamo è
oggetto delle attenzioni femminili, più o meno
sfacciate”.
“Non
dovreste meravigliarvi, è un uomo affascinante”.
Ariadné
non potè impedirsi di cercare nuovamente con lo
sguardo András. Non lo aveva
mai visto così sereno com’era da quando aveva
ritrovato madamigella Oscar e i sensi di colpa tornavano a farsi
sentire in lei
con sempre maggiore prepotenza. Non faceva che chiedersi come avesse
potuto
consentire a Zalán di adottarlo
legalmente,
strappandolo a quella che era la sua vita; puntualmente, si rispondeva
che non
aveva fatto granché per opporsi, contenta di poter tenere
con sé il ragazzo
sconosciuto e senza memoria. Trattenendo un sospiro spostò
dietro l’orecchio
una ciocca corvina sfuggita all’acconciatura.
“Non
mi meraviglia infatti maestà. Temo, però, che
ostinarsi
a visitare ogni angolo dei giardini di questi periodi, lo
farà finire a
trascorrere la nostra visita al caldo nel suo letto!”.
“Principessa
vi conosco bene. Tentate di nascondere la vostra
preoccupazione dietro queste facezie.
Vi
prego però di tornare a considerare l’idea di
rivelare la verità ad Andrè e
rimandarlo alla sua famiglia”.
“Si
tratta di un ordine maestà?”.
“Sapete
bene che non posso darvi ordini. Non posso che
appellarmi al vostro buon cuore”.
Ariadné
levò lo sguardo fiero a incontrare quello di Maria
Antonietta.
“Non
posso decidere da sola in ogni caso. Zalán si
è affezionato ad András almeno quanto
me e gli ha dato il
suo nome. Potrebbe rifiutare di lasciarlo andare e io non avrei il
diritto, né
l’autorità di oppormi”.
“Sono
certa che saprete come convincere il vostro sposo. Il
vostro è un matrimonio felice”.
La Regina aveva
detto quelle parole con uno sguardo triste,
alludendo alla propria cattiva sorte nel trovarsi legata a un uomo per
il quale
non provava niente di più dell’affetto.
Ariadné stava per risponderle quando
furono raggiunte da András e Oscar. La
donna soldato mostrava
il suo solito atteggiamento distaccato mentre lui aveva
un’espressione che la
madre avrebbe associato al viso di un bambino il giorno di Natale.
Salutarono
la Regina, come prevedeva l’etichetta e poi András si rivolse ad
Ariadné.
“Madre,
madamigella Oscar ci ha cortesemente invitati a
essere suoi ospiti domani. A palazzo Jarjayes”.
Ariadné
si irrigidì fissando per qualche istante András. Avrebbe
voluto urlare a gran voce di no, che non gli
avrebbe mai consentito di tornare in quella casa, dove era stato un
servo e
dove, ne era sicura, voleva tornare con tutto se stesso. Il suo viso
sorridente
però, non le permise di opporre un rifiuto a
quell’invito e in ogni caso, farlo
sarebbe stato un atto di grande scortesia.
“Certamente.
Madamigella Oscar, saremo felici di farvi visita
a palazzo Jarjayes”.
Si costrinse a
sorridere, anche se la sua espressione
tormentata non era sfuggita alla diretta interessata. Oscar era certa
che la
principessa Beleznay non fosse entusiasta di quell’invito, ma
sapeva quanto
fosse difficile dire di no ad Andrè… anzi András, ancora per
qualche giorno.
************************************************************************************************
Ed eccomi
qui anche oggi, un po’ in ritardo in effetti ^^”
Non sono
granchè soddisfatta di questo capitolo che dovrebbe essere
solo di transizione;
sarei comunque felice di sapere cosa ne pensate, in modo da poter
migliorare ^^
Domani
potrei avere qualche problema ad aggiornare, spero di riuscire a
postare il
capitolo, altrimenti ci risentiamo mercoledì ^^
Grazie come
sempre per le recensioni e le letture, vi adoro <3
|
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Capitolo 12 *** Capitolo 11 ***
Novembre
1787
Sorgeva il sole
su palazzo Jarjayes, quando Oscar aprì gli
occhi, infastidita dalla luce improvvisa. Aveva dimenticato di tirare
le tende
la sera prima e ora si vedeva costretta a svegliarsi ma
bastò il pensiero di
Andrè finalmente a casa, a destarla completamente.
Un sorriso le
affiorò alle labbra mentre si stiracchiava nel
letto e si mise seduta di scatto; non aveva ancora avvisato Nanny! Non
poteva
portarle in casa Andrè, András o comunque
volesse essere chiamato,
senza avvisarla, alla povera vecchina sarebbe preso un colpo,
trovandosi
davanti il nipote quando aspettava un perfetto sconosciuto. Lottando
contro la
voglia di rimettersi al caldo sotto le coperte, si alzò e si
vestì in fretta,
uscendo subito per cercarla. Era ancora molto presto, ma voleva avere
il tempo
di parlarle prima che si perdesse nei corridoi del palazzo impegnata a
dirigere
tutta la servitù.
La vecchia
governante si trovava in cucina, come al solito, e
Oscar rimase qualche minuto sulla soglia a osservare quella stanza in
cui tante
volte aveva combinato qualche guaio assieme ad Andrè.
Puntualmente, venivano
scoperti e puniti, e Andrè finiva per prendere il doppio
degli scappellotti
assieme a qualche mestolata; la dolce nonnina gli dava sempre la
maggior parte
della colpa.
“Madamigella
Oscar, come mai siete già in piedi?”.
Fu la voce di
Nanny a riscuoterla dai suoi pensieri e
voltandosi a guardarla, Oscar non potè non notare come fosse
improvvisamente
invecchiata nell’ultimo anno. Era sempre la solita, energica
governante di
casa Jarjayes, ma il suo viso sembrava mostrare esso solo tutto il
dolore che
aveva patito alla notizia della morte di Andrè.
“Nanny,
ti posso parlare?”.
“Certo
madamigella, ma fate in fretta, sapete che ci sono
molte cose da fare prima dell’arrivo degli ospiti”.
“C’è
ancora tempo, li aspettiamo per pranzo… e poi è
proprio
di loro che voglio parlare, anzi, del principe András”.
L’espressione
interrogativa che Nanny le rivolse, spinse
Oscar a continuare, e prese posto alla grande tavola di noce.
“Ecco
lui… lui assomiglia moltissimo ad Andrè. Tanto,
così
tanto che la prima volta che lo vidi ne rimasi sconvolta”.
Decise di tenere
per sé la convinzione che in realtà i due
fossero la stessa persona. Doveva assicurarsene prima, non poteva
procurarle un
altro dolore di quell’entità.
“Madamigella
Oscar, per quanto la somiglianza possa essere
spiccata, non confonderò mai uno sconosciuto con il mio caro
Andrè, credetemi”.
Nanny aveva
pronunciato quelle parole con voce ferma, ma
Oscar notò immediatamente gli occhi rossi e lucidi di
lacrime che si rifiutava
di versare in presenza della sua padrona.
“Nanny…
piangi pure se vuoi. Anche a me manca tantissimo”.
Quelle parole
furono come la rottura di un argine per la
povera donna. Senza più tentare di trattenersi
scoppiò in un pianto
inconsolabile, le spalle curve squassate dai singhiozzi.
“Era
un così brav’uomo, madamigella! Non meritava di
finire
così, un corpo abbandonato a marcire nelle gelide acque di
un fiume… il mio
Andrè, il mio povero Andrè!”.
Oscar si morse
le labbra per evitare di cedere alla
commozione, ma una nuova luce le illuminava lo sguardo; doveva
assicurarsi
senza più possibili dubbi che Andrè e András fossero la
stessa persona. E una
volta sicura di ciò, non avrebbe più sprecato un
solo secondo trascorso in sua
compagnia.
La carrozza dei
principi Beleznay procedeva spedita verso
palazzo Jarjayes. Nonostante fosse una splendida giornata di sole,
l’aria era
pungente e Ariadné si strinse maggiormente nel suo mantello,
ma non sentiva
freddo; era il terrore di perdere suo figlio a farle tremare il cuore.
András non faceva che
affacciarsi e
chiedere al cocchiere quanto mancasse alla loro destinazione.
Osservando il
paesaggio attorno a loro, trovava familiari persino le pietre del
selciato e
desiderava venire a capo della faccenda; Oscar diceva di non averlo
incontrato
prima del ballo, ma era certo di aver percorso diverse volte proprio
quella
strada. Come era certo di conoscere lei, la donna soldato fiera come
Marte e
splendida come Venere.
“András ci farai
prendere un malanno se
continui ad aprire le tende!”.
“Avete
ragione madre, perdonatemi”.
Ariadné
si morse il labbro vedendo l’espressione contrita di
András. Non voleva
sgridarlo come fosse un bambino, ma la tensione
per quell’incontro che temeva più di qualsiasi
altra cosa nella vita, l’aveva
resa nervosa oltre misura.
“Siamo
arrivati”, esordì Zalán stringendole
la mano nella sua e si
chinò per sussurrarle all’orecchio.
“Andrà tutto bene”.
Lei sorrise
appena e tornò a voltarsi in attesa che il lacchè
aprisse lo sportello della carrozza.
“Benvenuti
a palazzo Jarjayes”.
Li
apostrofò la voce di Oscar non appena furono a terra e
Ariadné le rivolse un’occhiata non troppo
amichevole. Sentiva fortemente la
colpa di aver strappato András alle sue
origini, ma mai avrebbe
permesso che tornasse a essere un servo, a costo di trascinarlo in
Ungheria con
la forza se avesse recuperato la memoria. Mentre questi pensieri le
impedivano
di sorridere, vide András avvicinarsi a
Oscar ed esibirsi in
un perfetto baciamano.
“Buongiorno
Oscar”.
“Buongiorno
András. Ancora una
volta mi costringete a
ricordarvi che non sono una dama”.
“Davanti
agli occhi ho solo una splendida donna”.
Fu la sua pronta
risposta mentre si alzava. Si perse qualche
attimo a osservare la villa e si portò la mano alla tempia,
tenendo gli occhi
chiusi.
“András cosa
c’è, ti senti male forse?”.
Lui strinse i
denti e scosse la testa per rassicurare i suoi
genitori, dopodiché si rivolse di nuovo a Oscar.
“La
vostra residenza è davvero magnifica Oscar”.
“Vi
ringrazio András. È
meglio che entriamo, non è la
giornata adatta per conversare all’aperto e voi non avete un
bell’aspetto in
realtà”.
Una volta
varcato l’ingresso, trovarono il generale Jarjayes
e la sua consorte ad accoglierli. Mentre i padroni di casa e i Beleznay
scambiavano i convenevoli di rito, András osservava
l’ambiente in cui si
trovava. Esattamente come pochi minuti prima in giardino, innumerevoli
immagini
si sovrapposero nella sua mente, un turbinio di suoni e colori, cui non
riusciva ancora a dare un senso; per quanto si sforzasse,
l’unico risultato fu
un mal di testa lancinante, talmente intenso da provocargli un forte
senso di
nausea.
“András”, lo
riscosse la voce di Zalán.
“Non vuoi salutare i nostri ospiti?”.
András
tornò a prestare attenzione ai
propri genitori e ai Jarjayes e si avvicinò, sforzandosi di
sorridere come
sempre. Il generale sembrava impassibile al suo aspetto, mentre
Marguerite non
riuscì a trattenere un’espressione di puro
stupore. Immediatamente si volse a
guardare Oscar, la quale però sembrava assolutamente
tranquilla.
“Generale
Jarjayes, madame”, salutò András chinando il
capo. “E’ stato molto cortese invitarci presso
la vostra dimora”.
“Principe,
siete cari amici della Regina. È per noi un grande
onore avervi a palazzo Jarjayes”.
Il Generale
pronunciò queste parole guardando sia András che i suoi
genitori; Zalán fece un passo
avanti, stringendo la
sua mano tesa.
“Le
vostre parole ci onorano, generale”.
András stava
osservando la scena ma non la
vedeva davvero. Il dolore alla testa non gli dava tregua e nemmeno la
confusione nella sua mente accennava a placarsi. Si passò la
mano sugli occhi
nel tentativo di ottenere un po’ di sollievo e si accorse di
avere la fronte
imperlata di sudore.
“András, vi sentite
bene?”.
Oscar si era
avvicinata, preoccupata dall’espressione di
sofferenza che poteva vedergli in volto. Sembrava che stesse molto
male, e lei
non si spiegava come fosse possibile; era sicuramente in gran forma
quando era
sceso dalla carrozza. András si
voltò a guardarla e le rivolse
un sorriso stanco.
“Non
temete Oscar, mi sento solo un po’ accaldato”.
“Accaldato?!”.
Oscar era a dir
poco confusa da quell’affermazione. Per
quanto Andrè potesse essere
abituato a climi ben più rigidi di quello
parigino, avendo vissuto in Transilvania, era ormai novembre inoltrato
e la
temperatura era tutt’altro che elevata.
“Siete
tanto in pena per me?”, le chiese lui, riacquistando
la sua faccia tosta.
“Smettetela,
siete mio ospite, è normale che mi preoccupi”,
sbuffò Oscar voltandosi per nascondere le guance arrossite.
András represse una
risata e seguì i
padroni di casa nel salotto attiguo all’atrio, ringraziando
la sua buona stella
che Oscar non avesse insistito oltre. Sentiva di stare per crollare,
quando fu
fatto accomodare su una poltrona davanti al camino.
Ariadné
gli rivolse uno sguardo fugace prima di tornare a
prestare attenzione a Marguerite che le stava chiedendo se avrebbero
presenziato al ballo organizzato dalla Regina quella sera stessa.
“Certamente
madame, non potremmo mancare dal momento che
facciamo parte degli ospiti d’onore”.
“Anche
vostro figlio sarà presente? Non sembra avere una
bella cera”.
“Temo
che trascinare vostra figlia in giro per i giardini di
Versailles nei giorni scorsi, gli sia costato un po’ troppo
freddo e il resto
della permanenza a letto”.
Marguerite
proruppe in una bassa risata, osservando András che era
intento a scrutare le fiamme del camino.
“Sapete,
assomiglia moltissimo a una persona che conoscevamo
bene qui a Palazzo Jarjayes”.
La principessa
spalancò appena gli occhi ma riprese subito il
suo contegno annuendo alle parole di Marguerite. Cominciava a essere
davvero
stanca di tutte quelle insinuazioni, quelle frasi mezze dette e gli
sguardi
insistenti che venivano rivolti ad András. Lei non se ne
sarebbe separata
tanto facilmente.
“Mi
è stato riferito madame, e spero che il nostro amato
figlio non sia stato causa di turbamenti per qualcuno della vostra
famiglia”.
“No,
non angustiatevi principessa. Temevo la reazione di
Oscar, ma come potete vedere mia figlia è perfettamente in
sé. Oserei dire che
il principe non crea problemi a nessuno”.
Ebbe appena
terminato di pronunciare quella frase che Nanny
entrò nella sala. Era entrata per invitare i padroni di casa
e i loro ospiti a
raggiungere la sala da pranzo ma vedendo András
soffocò un grido coprendosi la
bocca con le mani.
“Andrè…”,
disse con un filo di voce, ma abbastanza forte
perché il diretto interessato la sentisse.
Si
voltò a guardarla e con il cuore affranto dovette dirle
chi fosse. Si era sempre considerato una persona sensibile, ma non
credeva di
poter soffrire tanto nel dare una delusione a quell’anziana
donna che vedeva
per la prima volta.
Nanny si riprese
immediatamente e scusandosi si congedò
mentre Oscar sospirava fissandosi i piedi. Aveva tentato di prevenire
un
episodio del genere ma sapeva che sarebbe accaduto qualcosa nonostante
tutto.
In fondo davanti avevano proprio Andrè, poteva sua nonna
restare impassibile
vedendolo? Levò lo sguardo a osservarlo e potè
notare quanto fosse turbato;
forse dopotutto era stata davvero una buona idea riportarlo a casa.
Nel pomeriggio
András
trascinò Oscar all’aperto,
facendosi accompagnare a visitare il giardino di palazzo Jarjayes nella
speranza che il malessere che provava si attenuasse. Il fastidio che
avvertiva
all’interno della residenza non gli dava tregua e temeva di
perdere i sensi da
un momento all’altro; ben magra figura davanti a lei.
Lei, la sua
sconosciuta. Perché ne era certo, forse non la
ricordava ma Oscar gli apparteneva, la sentiva sotto la pelle e nel
profondo
del cuore. Nessuna delle donne che aveva incontrato in Ungheria gli
aveva dato
le stesse sensazioni che sapeva trasmettergli un semplice sguardo di
quegli
abissi marini.
Poteva perdersi
per ore osservando ogni dettaglio del suo
viso, ogni più piccola sfumatura delle sue espressioni che
cambiavano repentine
come l’umore di lei; e sentiva improvvisamente il battito
furioso del proprio
cuore non appena scorgeva le sue labbra piegarsi in un sorriso, sovente
rivolto
proprio a lui.
Non sopportava
più la sua mancanza, era diventata l’aria che
gli consentiva di respirare, la luce che gli permetteva di vedere con
occhi
nuovi il mondo. Sempre più spesso si scopriva a chiedersi
come sarebbe stato
intrecciare le dita in quei capelli color del grano, che immaginava
morbidi e
profumati di rose, la stessa fragranza che gli giungeva quando
l’aveva accanto.
Adesso, Oscar si
era seduta sul bordo della fontana che si
trovava al centro del giardino e lui l’aveva prontamente
imitata, accomodandosi
forse un po’ troppo vicino, tanto da costringerla ad alzare
il viso per guardarlo,
data la differenza d’altezza. Da quella posizione
privilegiata poteva
agevolmente osservarla spingendo lo sguardo oltre quello che la morale
avrebbe
consentito, e intravide le fasce che le stringevano il seno. Quella
mortificazione della sua natura femminile gli fece aggrottare le
sopracciglia
di disappunto. Perché? Per quale motivo doveva portare
avanti quella farsa
negando di essere una donna, una splendida donna? Era venuto a
conoscenza del
motivo per cui fosse stata cresciuta come un uomo e un soldato, ma non
era più
una ragazzina costretta a obbedire sempre e comunque al genitore,
allora
perché?
Sentì
vagamente che lo stava chiamando e riportò lo sguardo
sul suo viso, concentrandosi sulle labbra rosse e piene che si
muovevano nel
pronunciare il suo nome. Dio, quanto desiderava baciarla!
“András?”.
Oscar aveva
visto il principe cambiare improvvisamente
espressione. Sembrava arrabbiato e non ne capiva il motivo; solo
qualche minuto
prima stavano amabilmente chiacchierando del più e del meno
e adesso le
sembrava quasi ostile.
Approfittando
della sua ‘assenza’ si prese del tempo per
osservarlo, concedendosi di smarrirsi nel suo sguardo cristallino.
Più lo
guardava, più riconosceva i lineamenti di Andrè,
dell’unica persona che avesse
avuto così vicina da poterne imparare le fattezze.
Le mancava
atrocemente quella presenza costante e
rassicurante che si occupava di lei anche quando non ne era
consapevole; il suo
cuore grande e generoso che batteva all’unisono con il
proprio, tanto da essere
il solo ad averla udita quel giorno lontano al convento di Saverne. La
sua
voce, ridotta a un sussurro, aveva raggiunto non l’udito, ma
l’anima di Andrè.
Durante tutta la
sua assenza aveva cercato il suo viso in
quello di sconosciuti dalle lunghe chiome d’ebano, proprio
come i suoi… no, mai
come i suoi, niente di Andrè era comune. I suoi capelli
scuri erano fatti per
catturare il vento, lasciando che lei potesse vederne il volto e
innamorarsi
ogni volta di quegli occhi buoni e sinceri che erano capaci di
sorriderle anche
più delle labbra [1].
Aveva creduto di
averlo perso per sempre e si era sentita
spezzare, aveva percepito quel distacco come se le avessero strappato
il cuore
dal petto. Nello stesso momento in cui Andrè era precipitato
dalla torre, aveva
cominciato ad appassire, mantenuto in vita soltanto dal nuovo
sentimento che
era emerso in tutta la sua prepotenza, l’amore, quello vero.
Non l’infatuazione
che aveva provato per Fersen ma un affetto che aveva riconosciuto
immediatamente come l’unico capace di andare oltre la morte e
resistere anche
alla mancanza del suo oggetto.
Un sorriso di
soddisfazione le curvò le labbra. Poteva rifiorire
adesso che Andrè era tornato da lei e con ostinazione voleva
appartenerle di
nuovo, poteva vivere. Avrebbe
recuperato
tutti i suoi ricordi se fosse rimasto in Francia, ne era certa. Si
rabbuiò un
poco pensando che avrebbe dovuto vincere le resistenze di
Ariadné; la
principessa sembrava intenzionata a tornare in Ungheria portandolo con
sé.
Sentì
la grande mano dell’uomo coprire la sua e abbassò
lo
sguardo osservandole intrecciarsi, come se quello non fosse il suo
corpo. Alzò il
capo a chiedere spiegazioni ma la bocca di Andrè sulla
sua bloccò ogni
protesta e le sue labbra si dischiusero sotto quel gentile assalto
zittendo
ogni barlume di razionalità.
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Capitolo
luuungo! Ma non me la sono sentita di tagliarlo a metà, la
giornata a palazzo
Jarjayes andava vissuta tutta insieme!
[1] La prima
parte di questa frase me l’ha ispirata la canzone dei
Nightwish “While your
lips are still red”, romanticissima *-* La frase originale
dice “Dark hair for
catching the wind, not to veil the sight of a cold world”,
non potevo non
pensare ad Andrè con quei meravigliosi capelli scuri! Vi
consiglio di
ascoltarla se non la conoscete, è veramente una splendida
ballata ^-^
Ok…
l’introspezione
non è il mio forte e non mi riesce bene, però mi
sono emozionata scrivendo l’ultima
parte, perciò ditemi che ne pensate per favore ^-^
Grazie mille
a chi legge e a chi recensisce <3
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Capitolo 13 *** Capitolo 12 ***
Quando Andrè si
staccò da Oscar poggiò la fronte
contro la sua, portando la mano libera ad accarezzarle il viso. Lei lo
guardò e
vide che teneva gli occhi chiusi e sorrideva. Restò
immobile, ancora
frastornata dal gesto di lui e soprattutto dalla facilità
con cui aveva
ricambiato. Prima che potesse impedirselo, posò la mano su
quella di Andrè che
con un gesto repentino l’attirò contro il suo
petto stringendola fra le
braccia.
“Oscar…
perdonatemi ma non sono riuscito a fermarmi”.
Oscar
allargò impercettibilmente gli occhi; per un istante
aveva pensato che Andrè fosse tornato. A quanto pareva
avrebbe dovuto aspettare
ma non le importava più, non ora che sapeva quanto il suo
cuore le appartenesse
ancora. Confortata da quel pensiero si rilassò contro di
lui, lasciando che il
mondo restasse fuori ancora un po’.
“Ditemi
la verità, ci conosciamo bene, vero? Io vorrei
ricordarvi, lo vorrei con tutto me stesso e sono certo che il mio cuore
rammenta bene quello che alla mente sfugge, perché non posso
fare a meno della
vostra presenza da quando vi ho ritrovata”.
Oscar si
tirò su sciogliendosi dall’abbraccio e guardando
Andrè negli occhi. Lui le sorrideva fiducioso e il cuore di
lei mancò un
battito. Era sempre stato così dannatamente affascinante?
“Non
mi ricordo di voi eppure metterei la mia vita nelle
vostre mani”.
“Non
sapete quanto sbagliereste”.
Fu la triste
risposta di Oscar che si alzò e compì alcuni
passi, dandogli le spalle. Ricordava con straziante precisione ogni
istante di
quella maledetta notte in cui si era incaricata di proteggerlo e aveva
fallito
miseramente.
Andrè
la seguì con lo sguardo, non osando avvicinarsi per il
timore di essersi preso troppe libertà e averla offesa.
Voleva raggiungerla e
abbracciarla ancora, baciarla, accarezzarla, strappare quelle maledette
fasce
che mortificavano il suo seno e il suo essere donna, fare
l’amore con lei…
“Oscar
vi prego di perdonarmi se il mio comportamento vi ha
offesa, non intendevo”, disse sforzandosi di allontanare quei
pensieri.
Oscar
voltò il capo quel tanto che bastava per guardarlo con
la coda dell’occhio. Era proprio nel suo carattere prendersi
tutte le
responsabilità, come se lei non avesse collaborato! Avrebbe
voluto dirgli che
desiderava essere stretta di nuovo fra le sue braccia, avvertire di
nuovo il
calore del suo corpo contro il proprio, sentire il sapore delle sue
labbra,
perché solo così poteva essere sé
stessa. Ancora una volta, il soldato che era
riemerse in maniera inopportuna, facendole tacere queste sensazioni.
“Eravamo
in due András, non
dimenticate. Non mi avete
offesa in nessun modo, state tranquillo”.
“Allora
posso chiedervi di essere la mia dama stasera?”.
Oscar trattenne
un impropero poco elegante portandosi la mano
alla tempia. Ancora con questa storia della dama, era ostinato!
“Dovete
perdonarmi András ma stasera la
mia presenza è
richiesta in quanto Capitano delle Guardie Reali. Dobbiamo sorvegliare
attentamente la Reggia e i suoi esterni, la presenza degli ospiti
stranieri
potrebbe provocare qualche disordine”.
“Oh…”.
“Mi
spiace avervi deluso”.
András
recuperò in fretta tutta la sua
sicurezza e si avvicinò a Oscar sfoderando il suo sorriso
migliore.
“Potete
tenermi compagnia domattina se volete farvi
perdonare”.
Lei lo
guardò ridacchiando e scosse la testa divertita.
Decisamente quando la corteggiava così sfacciatamente non
era lo stesso Andrè
che conosceva da una vita, pacato e silenzioso.
“Siete
davvero cocciuto, ve l’hanno mai detto?”.
“Ditemi
soltanto si o no”.
“Si”.
Quello stesso
pomeriggio, un uomo avvicinò Girodelle al
termine delle esercitazioni, che stava conducendo da solo. Era
più esigente del
solito e le giovani reclute non potevano immaginare quale fosse il
motivo
reale. Da quando gli avevano comunicato che Oscar non si sarebbe recata
a
Versailles quel giorno e aveva notato che l’ungherese non
gironzolava attorno
al campo come al solito, non faceva che chiedersi se fossero insieme e
soprattutto cosa stesse succedendo tra loro.
Si stava dando
centinaia di risposte, dalle più innocenti ad
altre che avrebbero fatto arrossire tutta la compagnia di soldati che
aveva
davanti, perciò non fu troppo gentile quando uno sconosciuto
gli si avvicinò
proclamando di dovergli comunicare una questione della massima urgenza.
Senza
contare che dall’accento sembrava ungherese anche lui.
“Sono
occupato, non vedete?!”.
“Se
non mi ascoltate potrebbe andarne delle sorti della
Francia”.
Girodelle
recuperò d’un colpo la calma e congedò
i soldati,
pregando il suo interlocutore di seguirlo in un luogo appartato.
“Qui
siamo al riparo da orecchie indiscrete. Parlate”.
Gli furono
passati dei fogli ripiegati su sé stessi e fermati
dal sigillo di una qualche famiglia nobiliare straniera. Da quanto
riportato
all’interno, András aveva
ingannato i Beleznay,
convincendoli a farsi adottare per potersi introdurre indisturbato a
corte, ma
si trattava in realtà di un dissidente il cui obiettivo era
assassinare
l’Imperatore d’Austria, in nome di una sedicente
organizzazione segreta che
ribadiva l’indipendenza del Regno D’Ungheria dal
Sacro Romano Impero.
“Non
capisco come queste informazioni potrebbero nuocere alla
Francia. Forse dovreste portarle a Vienna”.
“Quell’uomo
è stato identificato solo pochi giorni fa grazie
alle indagini condotte da una famiglia nobile fedele a Vienna e al
momento, lo
sapete, si trova qui in Francia. Il desiderio dei miei mandanti
è salvare
l’impero senza destare scalpore, e voi avete il dovere di
arrestarlo in quanto
alleati dell’Austria. Tuttavia, vogliono anche che la
faccenda resti segreta,
perciò la mia richiesta è che voi mi aiutiate a
portarlo via senza che nessuno
lo venga a sapere”.
Girodelle
osservava l’uomo che aveva davanti, ponderando le
sue parole. Sembrava sincero e in più aveva fra le mani le
prove di ciò che lui
sosteneva. Se avesse deciso di dargli fiducia e avesse sbagliato
avrebbe
rischiato grosso; d’altro canto, se avesse avuto successo
forse anche la stima
che Oscar nutriva per lui sarebbe cresciuta, e insieme a essa
chissà... forse avrebbe
potuto guardarlo diversamente.
“E i
Beleznay? Non credete che troveranno strana la
sparizione del loro unico figlio?”, chiese sarcastico.
“I
Beleznay saranno avvisati a tempo debito. Potrebbero
opporre resistenza all’arresto per l’affetto che
gli portano, ma quell’uomo
dev’essere fermato”.
Il
vicecomandante ripiegò i fogli su sé stessi e li
ripose
nella propria giacca. Aveva preso la sua decisione e non sarebbe
tornato
indietro.
“Molto
bene. Potete contare sul mio aiuto, non lascerò che la
Francia venga trascinata in un incidente diplomatico di tali
proporzioni”.
“Dovete
allontanare il vostro comandante prima, potrebbe essere
coinvolta dal momento che passa molto tempo con il
‘principe’ Beleznay”.
Girodelle
impallidì a quella possibilità. Doveva impedire
che
Oscar finisse in un tale guaio e separarla dall’ungherese, e
forse sapeva già
come fare.
“Lasciate
che me occupi io. Posso conoscere il vostro nome?”.
“E’
importante che la mia identità resti un segreto”.
Così
dicendo, l’uomo si allontanò velocemente lasciando
Girodelle a passarsi la mano sulla giacca, lì dove aveva
nascosto gli
incartamenti. Li sentiva quasi bruciare attraverso la stoffa, e accolse
quel
calore con un sorriso; erano la seconda possibilità che il
destino gli stava
dando.
Il ricevimento
era iniziato da appena mezz’ora e András era
già imbronciato per la mancanza della sua
Oscar. Non faceva che guardarsi in
giro nella speranza di vederla almeno passare ma sembrava che avesse
davvero
troppo da fare per partecipare al ballo.
Suo padre lo
guardava, divertito da quella sua estenuante
ricerca del biondo comandante. Al contrario di sua moglie, non temeva
di perdere
András a causa sua,
certo che avrebbe comunque mantenuto l’affetto
per loro, anche se lontano fisicamente.
“András, va tutto
bene? Possibile che
dobbiamo sempre spingerti a divertirti qui a Versailles?”.
András si
voltò a guardarlo senza cambiare
espressione e si avvicinò a lui. Ariadné lo amava
tantissimo ma Zalán aveva sempre
avuto il dono di capirlo meglio di chiunque
altro ed era certo che si stesse divertendo a prenderlo in giro.
“Padre,
non mi interessa proprio divertirmi stasera”.
“Immagino
che la mancanza di un certo Comandante delle
Guardie Reali abbia il suo peso in queste tue intenzioni”.
András stava per
replicare quando il nome
annunciato dal messo regale fece gelare il sangue nelle vene di
entrambi.
Ariadné lasciò cadere il ventaglio senza curarsi
di raccoglierlo.
“Cosa
ci fa lui qui?!”, disse tra i denti András, raccogliendo
l’oggetto per porgerlo a sua madre.
“Non
ne ho idea figliolo. Temo che voglia solo infastidirci,
sa bene di avere le mani legate dal momento che ti abbiamo legalmente
adottato.
Ariadné gli ha mosso uno scacco che non immaginava nemmeno
nei suoi incubi
peggiori”.
Il duca Tibor
Hunyadi si presentò ai sovrani di Francia e
quando fu congedato raggiunse sfacciatamente i Beleznay, chinando il
capo in
segno di saluto.
“Cari
zii, cugino András, è
un piacere ritrovarvi qui in
Francia”.
“Tibor,
cosa ti porta qui?”.
“La
cortesia mio caro András. Sono stato
spesso invitato a
Versailles ma non ho mai potuto recarmi in questi luoghi incantevoli, a
causa
dei miei impegni come erede del casato Hunyadi. Adesso che ci sei tu,
sono
anche libero di viaggiare!”.
Tibor aveva
pronunciato quelle parole senza nascondere l’odio
profondo che covava nei confronti di András; per buona
parte della sua vita gli
era stato ripetuto come agire, come pensare, cosa farsi piacere per
poter
diventare un giorno il degno erede del casato Hunyadi. Sin da quando
era stato
chiaro che Ariadné non avrebbe dato eredi a una famiglia
tanto prestigiosa. E
poi era arrivato lui, un perfetto sconosciuto che i suoi stolti zii
avevano
cresciuto perché prendesse il posto che invece spettava a
lui per diritto di
sangue.
“Pensa
che fortuna hai avuto!”.
Fu la risposta
sarcastica di András. Non gli
piaceva Tibor, capirlo gli era proprio impossibile
e affezionarsi a lui ancora di più. I suoi genitori erano
persone splendide ed
era certo che se lui si fosse dimostrato meno avido, Ariadné
non avrebbe avuto
nessun problema a farne suo figlio; dopotutto era il figlio di suo
fratello,
sangue del suo sangue. Se avesse dato ai Beleznay una
possibilità, avrebbe
imparato ad amarli, com’era successo a lui.
Si stavano
ancora guardando in cagnesco quando Oscar fece il
suo ingresso nel salone e anche lei, come previsto
dall’etichetta, salutò per
prima cosa i sovrani e solo dopo raggiunse i principi e András, che aveva
cominciato a fremere sin da quando l’aveva
intravista.
“Buonasera
principi. La festa è di vostro gradimento?”.
Zalán e
Ariadné le sorrisero entrambi e
la donna si avvicinò per parlare dietro al ventaglio,
suggerendole di salutare
András. Li vedeva
quei due ragazzi, tesi l’uno verso l’altro con
il solo desiderio di restare insieme e non essere più
divisi. Suo figlio non ne
era cosciente ma evidentemente Oscar doveva essere davvero importante
per lui
se persino senza ricordare chi lei fosse non riusciva a starle lontano.
Avrebbe
fatto il possibile per vederlo felice. Forse, persino rinunciare ad averlo con
sé.
“Buonasera
András”.
“Buonasera
Oscar”.
Tibor
notò gli sguardi che András e Oscar si
stavano scambiando e
fece un passo avanti. Infastidire suo cugino era sicuramente la cosa
che lo
divertiva di più in quella serata, noiosa oltre ogni dire.
“Caro
cugino, non mi presenti una tale splendida amazzone?”.
András strinse appena
i pugni; avrebbe
preferito insultare e perché no, passare a fil di spada
Tibor piuttosto che
permettergli di conversare con Oscar, ma le buone maniere imponevano
che
esaudisse la sua richiesta.
“Il
Comandante delle Guardie Reali, Oscar François de
Jarjayes. Madamigella, vi presento mio cugino, il duca Tibor
Hunyadi”.
Tibor
sfoggiò il suo sorriso migliore e fece per baciare la
mano di Oscar che lei ritrasse cortesemente.
“Duca,
vi prego di ricordare che sono un soldato”.
András trattenne a
stento una risata a
quella scena, ma suo cugino non intendeva arrendersi e
indicò con il braccio
disteso le terrazze che davano sui giardini.
“Volete
accompagnarmi a prendere un po’ d’aria?”.
Oscar represse
l’istinto di prendere a pugni quello
scocciatore. Per cortesia non poteva rifiutare il suo invito e si vide
costretta a seguirlo sebbene avesse preferito trascorrere del tempo con
András.
Dal canto suo,
il principe ungherese sembrava un leone in
gabbia. Non riusciva a distogliere lo sguardo dalla terrazza su cui si
trovavano Oscar e Tibor e avvertiva fitte dolorose trapassargli il
cuore come
pugnali a ogni risata di lei. Era consapevole che sicuramente rideva
alle
battute di suo cugino per educazione, eppure sentiva ugualmente la
gelosia
assalirlo.
Tibor era
perfido, ma si trattava pur sempre di un uomo molto
affascinante, pronto di spirito e dotato di una cultura vasta e
raffinata.
Nell’ultimo anno lo aveva incontrato a ogni festa e a ogni
ricevimento e in
nessuna occasione era rimasto senza dama troppo a lungo. Pur nutrendo
una
fiducia assoluta verso Oscar, era ugualmente preoccupato dalla piega
che stava
prendendo la serata.
L’unica
maniera perché suo cugino lasciasse perdere Oscar,
era mostrarsi interessato a un’altra dama. Sapeva che
così facendo avrebbe
spostato le sue attenzioni sulla nuova ‘conquista’.
Diede un rapido sguardo
attorno a sé e notò una giovane dama che lo stava
fissando con insistenza. Il
vestito celeste faceva risaltare il rame dei suoi capelli che
scendevano in
morbidi boccoli a evidenziarne la figura snella ed elegante. Era sola,
perciò
decise di accettare il suo tacito invito e le si avvicinò
salutandola con un galante
baciamano.
“Posso
chiedervi come mai una fanciulla di tanta bellezza non
è accompagnata?”.
“Nel
mio carnet c’è ancora un posto, principe
Beleznay”.
“Vedo
che mi conoscete. Posso allora sapere il vostro nome?”.
“Ophélie
de Sombrefleuve, per servirvi”.
************************************************************************************************
Ed eccomi anche
oggi, un po’ prima stavolta ^-^
Grazie, grazie e
ancora grazie per le recensioni al capitolo
precedente, è stato molto importante sapere cosa ne
pensavate. E vi chiedo
scusa per le lagne, ma non sono affatto sicura di quello che scrivo e
questo mi
rende insopportabilmente lamentosa ^^”
Ho tolto le date
a inizio capitolo dal momento che non intendo più inserire
flashback nè tanto meno flashforward, dovessi cambiare idea
le reinserirò :P
Come potete
leggere mi piacciono le storie tribolate e non
lascerò in pace tanto facilmente Oscar e Andrè :D
A domani ^-^
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Capitolo 14 *** Capitolo 13 ***
Oscar ascoltava
molto distrattamente quello che Tibor le
stava raccontando. Era di sicuro un uomo affascinante e la
conversazione con
lui si dimostrava amabile, ma il suo sguardo era stato inesorabilmente
attirato
da András che sembrava
aver trovato un’accompagnatrice.
La riconobbe
come Ophélie
de Sombrefleuve, una giovane le cui effettive origini nobiliari erano
in forte
dubbio e che non esitava a visitare i letti dei nobili più
influenti a corte
per il proprio tornaconto. Andrè la conosceva e avrebbe
evitato la sua
compagnia per non dare adito alle chiacchiere di corte;
András non aveva
evidentemente la più pallida idea della fama della donna con
la quale stava
conversando.
“András
non resiste alle chiome ramate”, le sussurrò
Tibor, un po’ troppo vicino
secondo i suoi gusti.
“Prego?”.
“Mio
cugino ha una predilezione per le fanciulle dai capelli rossi.
Nell’ultimo anno
l’ho visto spesso accompagnarsi a donne dalle capigliature
fulve”.
Oscar
serrò le dita attorno allo stelo del flûte
che teneva in mano; conosceva bene Andrè e sapeva che non
era tipo da facili
conquiste. L’uomo che aveva davanti, però, per
certi aspetti si era dimostrato
diverso da quello che era sparito un anno prima… che Tibor
avesse ragione?
Scosse la testa per scacciare immediatamente quel pensiero:
Andrè non le
avrebbe mai fatto niente del genere e nemmeno András, doveva
fidarsi.
“Sapete
Tibor, quello che mi dite è molto strano. András
mi ha chiaramente fatto capire
di apprezzare ben altro tipo di donna. Semplicemente, trascorrere una
serata a
Versailles senza conversare o ballare dev’essere molto
noioso”.
Parlò
con estrema sicurezza, certa di poter riporre la massima fiducia
nell’amore per
Andrè. Ciò che era accaduto fra loro quello
stesso pomeriggio aveva reso più
forte il sentimento che aveva scoperto in se stessa.
“Siete
certa di ciò che dite? Si sono appena allontanati
insieme”.
Oscar
si
volse di scatto verso la sala e constatò che effettivamente
András e Ophélie
non erano dove li aveva visti chiacchierare appena pochi minuti prima.
“Vogliate
scusarmi”.
Posò
il
bicchiere sulla balaustra e si allontanò immediatamente con
il pretesto di
tornare al pattugliamento. Tibor non la trattenne, un ghigno dipinto
sul volto;
non aveva la più pallida idea di dove fossero finiti suo
cugino e la giovane
dama, ma le sue mezze verità avevano insinuato il tarlo del
dubbio nella mente
di Oscar, e per il momento era sufficiente.
Oscar
marciava attraverso il salone per guadagnare al più presto
l’uscita. Era stata
tentata di cercare Andrè ma poi si era detta che doveva
assolutamente fidarsi
di lui e del proprio amore. Sebbene non le avesse confessato nulla,
percepiva
dai suoi sguardi e ancora di più dal bacio che si erano
scambiati quanto
tenesse a lei, non poteva sbagliare fino a quel punto.
Il
ricordo le fece portare le mani alle labbra per un istante. Desiderava
che la
baciasse ancora, sentire i loro cuori battere insieme l’uno
per l’altro; non
era forse amore quello? No, non lo avrebbe cercato, decisa a fidarsi a
dispetto
della gelosia che tentava di carpirle il cuore.
Forte
di
questa nuova certezza, raggiunse i suoi uomini per portare a termine il
lavoro
di quella sera.
Il
mattino seguente, András raggiunse i
suoi genitori per salutarli prima di incontrare Oscar. Chinandosi a
baciare
sulla guancia Ariadné, non potè non notare il suo
viso tirato e lo sguardo
affranto.
“Madre,
cosa vi succede?”.
Ariadné
posò la mano sul suo viso,
accarezzandolo gentilmente. La presenza di Tibor l’aveva
innervosita proprio
per via di András, temeva che la sua vita fosse in pericolo,
tuttavia non
voleva turbarlo.
“Non
mi succede niente András, stai
tranquillo. Incontrerai madamigella Oscar anche oggi?”.
“Si,
dovrei ma… voi non state bene,
preferisco passare la giornata con voi”.
La
principessa scosse la testa,
spingendolo via delicatamente. András era del tutto sereno
solo in compagnia di
Oscar, e sopra ogni altra cosa, lei voleva la sua felicità.
“Non
se ne parla nemmeno! Muoviti, non
far attendere la tua dama, sarebbe davvero scortese”.
“Ma
madre…”.
“Se
sento un altro ‘ma madre’, ti
accompagnerò personalmente all’appuntamento
tenendoti per l’orecchio”.
András
deglutì a vuoto; era davvero una
prospettiva poco allettante quella di farsi vedere dalla sua
Oscar mentre sua madre lo trattava come un poppante. Avrebbe
fatto meglio ad andare, prima che Ariadné mettesse in atto
il suo proposito.
“Va
bene madre. Farò come volete, ma per
favore, sorridetemi al mio ritorno!”.
Zalán
attese che fosse lontano prima di
rivolgersi a sua moglie; sapeva bene quali fossero i suoi timori ma li
riteneva
infondati.
“Tibor
non gli farà nulla in terra di
Francia. Non ha appoggi qui, dovrebbe corrompere l’intero
esercito francese”.
“Basterebbe
un solo soldato troppo
zelante, invece. András non viene scortato quando si muove e
Versailles è
immensa”.
“Dimentichi
che si trova spesso in
compagnia di madamigella Oscar e mi hanno detto un gran bene di quella
donna
come soldato”.
Ariadné
si alzò dalla poltrona e si
avvicinò alla finestra, stringendosi le braccia attorno al
corpo. Sentiva come
un cattivo presagio da quando aveva incontrato Tibor la sera precedente
e se
c’era una cosa che aveva imparato vivendo in Transilvania,
era proprio quella
di non ignorarli.
“Zalán,
voglio che András sia
sorvegliato. Incarica Jan e Petre di farlo”.
Suo
marito si avvicinò a lei e le cinse
le spalle con un braccio, attirandola contro di sé. Le
baciò la fronte,
accarezzandole la schiena, con l’intento di tranquillizzarla.
“Farò
come desideri Ariadné”.
András
nel frattempo, aveva raggiunto
Oscar nei pressi del campo d’addestramento e
l’aveva portata via con sè,
convincendola ad accompagnarlo durante la visita alla Hameau de la
Reine.
Trovava sempre il modo di convincerla, tanto che le era impossibile
dirgli di
no.
“Se
la Regina mi vedesse gironzolare da
solo, si sentirebbe in colpa per non aver destinato nessuno alla mia
compagnia”.
“Di
cosa state parlando András?”.
“Credetemi
Oscar, sarebbe contenta
soltanto se vedesse che ci siete voi con me”.
Oscar
non era affatto sicura di quegli
argomenti ma decise comunque di accompagnare András,
facendogli da Cicerone
anche stavolta. Dopotutto era contenta di poter trascorrere del tempo
con lui,
sperando sempre che riacquistasse la memoria standogli accanto.
“Penso
che abbiate scelto la giornata
sbagliata per visitare la Hameau, András”.
Alzò
il viso verso il cielo plumbeo che
minacciava pioggia da un momento all’altro. Per fortuna, data
la distanza della
loro meta avevano deciso di prendere i cavalli, se avesse piovuto si
sarebbero
potuti mettere al riparo in fretta.
“Non
vi preoccupate Oscar, non pioverà
vedrete!”.
András
aveva appena terminato di
pronunciare quelle parole che le prime gocce li avvertirono
dell’imminente
acquazzone.
“Dicevate?”.
Si
trattenne dallo sbuffare, imbarazzato
dalla previsione palesemente sbagliata e spinse Augustus al galoppo
mentre
Oscar spronava César a seguirlo. Giunsero in vista del
mulino della Hameau in
poco tempo, e si rifugiarono immediatamente all’interno,
eppure non erano stati
abbastanza veloci da risparmiarsi la pioggia.
“Sapevo
che sarebbe successo!”.
“Non
arrabbiatevi Oscar, non è successo
nulla di grave!”.
Oscar
si stava togliendo la giacca
dell’uniforme ormai fradicia e gli scoccò
un’occhiata tutt’altro che
amichevole.
“András
siamo bloccati in un mulino nel
bel mezzo della Hameau mentre fuori infuria un temporale, e siamo tutto
fuorchè
asciutti, cosa dovrebbe succedere ancora?”.
“Vedete
l’aspetto negativo della cosa
Oscar”, sentenziò lui mentre si liberava della
giacca e sedeva sul divanetto
che si trovava nella stanza [1].
Le
tese la mano, invitandola a
raggiungerlo, e lei si sedette ma senza toccarlo. Trovarsi
lì con lui, da soli
senza che nessuno sapesse dove fossero, le dava delle sensazioni
contrastanti.
Se da un lato sperava quasi che lui la baciasse di nuovo,
dall’altro temeva che
se lo avesse fatto avrebbe perso il controllo di se stessa.
András
la osservava rapito, sentendosi
terribilmente geloso delle gocce di pioggia che stillavano dai suoi
capelli
percorrendole tutto il viso fino a fermarsi sulle labbra, su quella
bocca che
desiderava baciare ancora e ancora. Le prese la mano posandovi un
delicato
bacio ed ebbe il piacevole risultato di vederla arrossire.
“András…”.
“Cosa
c’è Oscar? Il mio atteggiamento vi
offende forse?”.
Scosse
la testa, non riuscendo ad
articolare parola. Era imbarazzata da quelle avances ma non faceva che
desiderarle dopo quel primo bacio fra loro.
András
le posò entrambe le mani sul
viso, accarezzandolo con i pollici e l’attirò
più vicina a sé. Le sfiorò le
labbra con le proprie, mantenendo una distanza minima fra loro.
“Mi
siete indispensabile Oscar. Credetemi,
non tento di sedurvi; vi sento dentro come mai mi era successo. Il mio
cuore vi
rammenta bene”.
Oscar
sentiva il cuore martellarle nel
petto, disorientata da quello che stava provando e dalle parole di
Andrè. Guardandolo
negli occhi da così vicino, li scoprì diversi da
quelli cristallini
che conosceva; erano cupi e agitati come un mare in tempesta. Le
facevano quasi
paura.
“Dovete
ricordare. Non posso essere io a
raccontarvi la vostra vita, la dovete riconquistare”.
András
rise piano, portando una mano ad accarezzarle
la schiena e la strinse contro di sé.
“E’
questo che mi piace di voi, siete
onesta e leale in ogni aspetto. Abbiate fede nel fatto che lo sono
anch’io. E nel
fatto che vi amo”.
Le
soffiò quelle parole sulle labbra, prima
di imprigionarle in un bacio impetuoso, desiderato e temuto. Oscar lo
abbracciò
infilando le dita nei suoi capelli che, bagnati, creavano un piacevole
contrasto con la sua pelle bollente.
András
la spinse delicatamente a
stendersi senza interrompere il contatto tra di loro e reggendosi su un
braccio
per non pesarle addosso, tirò un lembo dello jabot [2]
che finì a terra
consentendogli di tormentarle il collo con le dita e poi con le labbra.
Oscar sospirò
di piacere, totalmente persa in quel turbinio dei sensi che il suo
tocco le
provocava. Mosse le mani scendendo ad accarezzargli la schiena sopra la
camicia
che non le impediva di sentirne il calore e risalì
prendendogli il viso fra le
mani per guardarlo negli occhi.
“Andr…”.
“Comandante!”
Una
voce dall’esterno li riscosse subitaneamente,
facendoli sobbalzare entrambi. Oscar sgusciò
dall’abbraccio di András e
raccolse lo jabot, avvicinandosi alla finestra. Due dei suoi soldati
si
trovavano vicino ai cavalli e la stavano evidentemente cercando. Senza
perderli
di vista si risistemò, annodando lo jabot, quando si
sentì cingere la vita
da dietro.
“Lasciali
andare”.
Sentì
la voce di Andrè fra i capelli e
chiuse gli occhi per un istante, ignorando come fosse passato
improvvisamente a
un tono così informale.
“Non
posso, ci cercherebbero”.
Indugiò
ancora qualche secondo fra le
sue braccia, tentando di trattenere quel languido calore che la
avvolgeva ma il
senso del dovere ebbe il sopravvento e si allontanò da lui,
indossando la giacca. András la imitò a
malincuore e la seguì all’esterno.
“Soldato,
cosa succede?”.
I
soldati si misero sull’attenti,
battendo i tacchi e portando la mano destra alla fronte.
“Siete
desiderata alla reggia comandante
Oscar!”.
************************************************************************************************
Lo so, non ci
speravate più oggi ^^”
Perdonatemi ma
sono stata fuori e ho revisionato il capitolo
al volo :P Perciò se ci fosse qualche errore di battitura
ignoratelo XD
[1] Non so
effettivamente come fossero arredati gli ambienti
degli edifici facenti parte della Hameau de la Reine, ma ho letto che
non erano
edifici funzionali, servivano a Maria Antonietta per dare delle piccole
feste
in stile “bucolico”. Ho immaginato quindi che
fossero arredati in maniera
simile agli appartamenti di Versailles, passatemi la licenza poetica :P
[2] Non ho idea
di come si chiami il fazzoletto che portano
al collo i nostri protagonisti, ero indecisa se chiamarlo cravatta o foulard ma questo termine mi da il senso
di un indumento femminile, quindi ho optato per il primo ^^ Un grazie grandissimo a jelore che mi ha dato il termine esatto consentendomi di correggere, grazie *-*
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Capitolo 15 *** Capitolo 14 ***
Appurato
che alla reggia non fosse accaduto nulla di grave e che la chiamata
fosse
dovuta solo all’improvviso desiderio della regina di vederla,
Oscar prese la
via del ritorno, congedandosi da András con la promessa di
rivedersi il mattino
seguente, secondo quella che era diventata una piacevole abitudine tra
loro.
Girodelle
aveva un’espressione strana quella mattina. Sembrava che il
suo pensiero stesse
percorrendo delle strade tutte sue piuttosto che concentrarsi sui suoi
compiti,
ed era preoccupante. In tanti anni trascorsi fianco a fianco
nell’esercito,
Oscar non lo aveva mai visto così assorto da non accorgersi
nemmeno che
l’addestramento era concluso.
“Girodelle,
vi sentite bene?”.
“Cosa?
Oh comandante, siete voi. Sto benissimo, perché me lo
chiedete?”.
“Perché
le esercitazioni sono terminate e voi state ancora impugnando la spada
fissando
il posto in cui si trovavano i soldati qualche minuto fa”.
Il
conte
si diede mentalmente dell’idiota, vergognandosi di quella
performance. Era
tanto concentrato a pensare alla buona riuscita del piano per arrestare
quel
fuorilegge ungherese da non dare peso al mondo circostante.
D’altra parte, non
poteva informare Oscar della verità, era certo che non gli
avrebbe creduto,
troppo presa da quella persona che assomigliava tanto ad
Andrè.
“Vi
chiedo di scusarmi comandante, devo essermi distratto”.
“Lo
vedo”.
Fu
la
secca risposta di Oscar mentre scendeva da cavallo, guardandosi intorno
come se
cercasse qualcosa o… qualcuno. Andrè non
l’aveva ancora raggiunta, ed era davvero
strano che la invitasse a trascorrere la mattina con lui per poi
mancare
l’appuntamento. Ophélie e la sua delicata figura
irruppero prepotentemente nei
suoi pensieri; che fosse di nuovo in sua compagnia?
Senza
indugiare oltre si diresse verso la Reggia, decisa a tirare
giù dal letto Andrè
e sperando per lui che non si trovasse in compagnia di quella
donnicciola di
facili costumi!
‘Se
lo
trovo con lei gli faccio recuperare la memoria a suon di
pugni!’.
Oscar
camminava spedita continuando a minacciare mentalmente Andrè
ma giunta nell’ala
della reggia destinata agli appartamenti, si rese conto di non avere la
più
pallida idea di quale fosse la stanza che cercava. Stava per tornare
indietro e
cercare un maggiordomo quando il rumore di una porta che si apriva
lungo il
corridoio la fece voltare.
Si
sorprese a trattenere il respiro vedendo che si trattava proprio di
Ophélie che
si richiudeva la porta dietro le spalle. Sebbene fosse già
molto tardi, sembrava
essere appena sveglia, con i capelli scarmigliati e i vestiti in
disordine…
quel pensiero la gelò. Non era da una lunga notte di sonno
che era reduce, ma
da ben altre attività.
Velocemente,
si nascose dietro una colonna attendendo che la ragazza si allontanasse
e rosa
da un tarlo fastidioso si chiese se fosse il caso di controllare a chi
appartenesse la stanza; cosa avrebbe fatto se avesse scoperto che
quello era
proprio l’appartamento di Andrè? E se fosse andata
via senza assicurarsene,
avrebbe sopportato il dubbio?
Rompendo
ogni indugio uscì dal suo nascondiglio e si
avvicinò alla porta della camera,
dando due o tre colpi decisi. Non giunse nessuna risposta
dall’interno e dopo
un solo istante di esitazione mise la mano sulla maniglia ed
entrò; dovette
stringere gli occhi per abituarli alla penombra, le tende erano ancora
tirate e
lasciavano passare ben poca luce.
Il
cuore
le martellava nel petto mentre si avvicinava al letto e le
sembrò che si fosse
fermato quando, completamente abbandonato al sonno e appena coperto
dalle
lenzuola vide proprio l’oggetto dei suoi pensieri. Non era
difficile indovinare
che sotto il leggero strato di stoffa dovesse essere completamente nudo
e
quella constatazione le costò tutto il sangue freddo di
soldato.
Arrossì
furiosamente mentre indugiava con lo sguardo sul corpo di
Andrè, percorrendo
più volte il torace completamente scoperto e la gamba che
era scivolata fuori
dalle coltri. Aveva completamente dimenticato Ophélie e la
voglia di fare a
pugni con lui. Riportò lo sguardo sul suo viso soffermandosi
sulle labbra che
moriva dalla voglia di risentire sulle proprie e si trattenne dal
sobbalzare
quando vide le iridi verdi puntate su di sè.
Ringraziando
la penombra che nascondeva il rossore delle sue guance,
poggiò le mani sui
fianchi guardando severamente Andrè.
“Buongiorno”.
Esclamò sarcastica. “Avete riposato bene, principe
András?!”.
Lui
la guardò confuso e fece per
mettersi seduto quando si accorse in che condizioni era e imprecando
tra i
denti raccolse le lenzuola coprendo alla bell’e meglio le
gambe e i fianchi.
“Oscar!
Ma che ci fai qui?”.
“Ero
venuta a cercarti, dal momento che
non ti sei presentato al nostro appuntamento, ma evidentemente avrei
fatto
meglio a lasciarti dormire, devi aver passato una nottata
intensa!”.
András
era se possibile ancora più
perplesso. Si guardò intorno cercando di capire cosa fosse
successo in quella
stanza ma al posto dell’ultima notte nella sua mente
c’era un grande buco nero.
Cominciava a essere veramente stanco di quei ricordi evanescenti che lo
abbandonavano di punto in bianco.
“Io
davvero non capisco di cosa parli
Oscar. Forse ho dormito troppo ma non mi sembra un buon motivo per
essere tanto
arrabbiata”.
“Il
buon motivo per essere arrabbiata è
uscita da questa stanza appena qualche minuto fa con i suoi bei capelli
rossi
arruffati e scarmigliati. Ti ricorda qualcuno?”.
“Parli
di Ophélie?”.
“Ah,
adesso è Ophélie! La conosci
bene, vedo”.
András
si passò la mano sugli occhi
tentando di raccogliere le idee. Certo, non era affatto facile pensare
sapendo
di essere praticamente nudo davanti a Oscar, anche se doveva ammettere
che un
angolino del suo cervello trovava la cosa stuzzicante, a dispetto della
situazione.
“Oscar
ti prego. Per favore, aspettami
fuori, dammi solo il tempo di rivestirmi e sarò tutto
tuo”.
La
risposta di Oscar lo colpì sul viso
con una rapidità e una rabbia tali da lasciarlo frastornato.
“Non
voglio vedervi né ora, né in
futuro, principe. Fate in modo che non debba incontrarvi fin quando non
sarete
ripartito”.
András
si portò la mano sulla guancia
colpita, ascoltando quelle parole senza aver quasi il coraggio di
respirare.
Lei tremava per lo sforzo di contenere la rabbia e si
ritrovò a ringraziare
l’addestramento che aveva ricevuto; se fosse stata una donna
normale, con una
spada a disposizione, lo avrebbe già mandato al Creatore.
“Oscar,
non è come pensi, devi
credermi!”.
“Non
voglio sentire altre scuse. Addio
András”.
Uscì
dalla stanza così velocemente che
András non riuscì a trattenerla, sebbene non
abbastanza perchè non notasse le
lacrime che le bagnavano le gote. Imprecando contro sé
stesso e la sua
stoltezza, riuscì ad alzarsi dal letto e a coprirsi in
qualche modo, aprendo la
porta per richiamarla ma il corridoio era deserto.
Ophélie
si trovava nei suoi appartamenti,
intenta a ricomporsi, quando qualcuno bussò alla sua porta
ed entrò, senza
attendere il permesso.
“Non
dovreste entrare nella stanza di
una donna prima che vi venga accordato”.
“Voglio
sapere com’è andata”.
“Ha
dormito come un angelo, ho potuto liberarlo
dei vestiti e restare lì tutta la notte senza che si sia
mosso di un
millimetro! Anche se vi devo confessare che avrei preferito sedurlo sul
serio”.
“Non
ci sareste riuscita, nemmeno
facendo appello a tutte le vostre arti. Lei vi ha vista?”.
Ophélie
rise, sedendosi alla toeletta
per sistemare l’acconciatura davanti allo specchio.
“Certo
che mi ha vista, anche se crede
di non essere stata scoperta. Appena mi sono allontanata è
entrata nella stanza
del principe”.
“Molto
bene. Siete stata perfetta”.
“Non
crediate di cavarvela così a buon
mercato. Mi dovete un favore Victor”.
Oscar raggiunse
di corsa le scuderie e montò in groppa a
César, spingendolo al galoppo non appena fu
all’aperto.
Non voleva altro
che allontanarsi da Andrè, dal suo corpo di
uomo che si rendeva conto di desiderare, e da quello che era successo
in quella
dannata notte con una donna che non era lei.
Stentava a
credere a ciò che aveva visto in quella camera,
perché lui non era così, Andrè, il suo
Andrè non l’avrebbe mai ingannata a quel modo,
dicendole di amarla per poi
farsi scaldare il letto dalla prima dama compiacente.
Non si era
nemmeno accorta di piangere fin quando vide le
lacrime caderle sui guanti e bagnarli. Per un intero anno, sognando che
non
fosse morto, aveva sperato di vederlo tornare, di rivedere i suoi
occhi, il suo
sorriso, per potergli dire finalmente quello che aveva capito, quale
sentimento
le era sbocciato nel cuore e lui la tradiva così. Se le
avesse trafitto il
cuore fisicamente non le avrebbe fatto tanto male quanto ne sentiva in
quel
momento.
Tirò
le redini lasciando che César scegliesse da solo
l’andatura e la strada da percorrere e si stupì
non poco quando si rese conto
che senza volerlo l’aveva condotta nei pressi del laghetto
che aveva rischiato
di inghiottire lei e Andrè da bambini.
Andrè.
Lui che era sempre stato il suo punto fermo, la casa a
cui tornare quando il mondo si faceva ostile e l’unico pronto
a capirla senza
giudicarla. Chi avrebbe potuto raccogliere i cocci del suo cuore
infranto
adesso?
Fermò
il cavallo e smontò, lasciandolo pascolare tranquillo.
Aveva scelto bene, quel posto era l’ideale per pensare; e lei
aveva tanto
bisogno di riflettere con calma.
Si distese
sull’erba ripensando a un giorno di tanti anni
prima, quando proprio in quel luogo, lui l’aveva pregata di
diventare una donna
rinunciando al folle proposito di suo padre di crescerla come fosse un
uomo.
Un
uomo… se lo fosse stata avrebbe sofferto sicuramente di
meno. Si sarebbe comportata come Andrè, prendendo solo
ciò che desiderava dalla
vita. Già, ma lui non era così.
Si rimise seduta
dandosi della stupida, aveva voglia di
prendersi a pugni! Perché non era rimasta ascoltando quello
che aveva da dire?
Non si era sentita sicura del suo amore tanto da desiderare affidarsi
del tutto
a lui? Era davvero poca la sua sicurezza se bastava una donna mezzo
svestita a
sbriciolarla.
Ecco centrato il
problema, la sua mancanza di sicurezza. Era
totalmente inesperta d’amore e d’altronde era stata
cresciuta come un soldato,
chi avrebbe dovuto insegnarle come comportarsi con gli uomini?
Strinse i pugni
e si rialzò, avvicinandosi a César. Era stata
allevata come un soldato e da bravo soldato avrebbe combattuto per il
suo uomo.
Andrè le apparteneva, così come lei apparteneva a
lui. E non avrebbe più permesso
a nessuna donnetta svenevole di mettersi fra loro.
András si era lavato
e vestito con
metodicità, con la vana illusione che ripetendo tutti i
soliti gesti anche le
cose tra lui e Oscar sarebbero tornate alla normalità. Non
avrebbe mai creduto
di poter soffrire tanto all’idea di ferirla. La conosceva da
pochi giorni
eppure era sicuro di ciò che le aveva confessato, la amava.
Amava tutto di
lei, i suoi sorrisi così come gli accessi
d’ira, la sua femminilità inconsapevole che
tentava inutilmente di nascondere e
soffocare.
Amava
l’espressione infastidita che assumeva quando ribadiva
di essere un soldato e non una dama.
Amava persino la
forza con cui aveva chiaramente sottolineato
di non volerlo rivedere.
Sospirò
portandosi la mano sulla guancia. Come aveva potuto
lasciarla andar via in quel modo, convinta che si fosse preso gioco di
lei? E
soprattutto, che diavolo ci faceva completamente nudo nel suo letto
mentre
Oscar lo accusava di aver trascorso la notte con Ophélie?
Per quanto si
sforzasse di ricordare la notte precedente,
ottenne solo un brutto mal di testa e nessun ricordo soddisfacente. Le
immagini
che vedeva duravano un lampo e in nessuna di esse era contemplata
Ophélie, ma
sempre e soltanto Oscar.
Il filo dei suoi
pensieri fu interrotto da qualcuno che
bussava alla porta e dopo il suo permesso, attese che la persona
entrasse.
“Perdonatemi
principe. Mademoiselle de Sombrefleuve desidera
incontrarvi”.
“Dove?”.
“Alle
scuderie, vorrebbe cavalcare in vostra compagnia”.
András
restò in silenzio qualche minuto,
chiedendosi per quale motivo proprio Ophélie avesse mandato
a chiamarlo. Ne
dedusse che probabilmente voleva parlargli della notte precedente e
decise di
raggiungerla. Doveva sapere cosa fosse successo, ne andava del rapporto
tra lui
e Oscar e non avrebbe consentito a niente e nessuno di dividerli ancora.
Uscì
dalla stanza procedendo spedito verso le scuderie.
Sapeva dove si trovassero dal momento che vi aveva condotto
personalmente
Augustus dopo essere tornato dalla visita alla Hameau ed
entrò senza esitazioni.
Ophélie sembrava non essere ancora arrivata e in
realtà l’intero ambiente era
deserto se si escludevano i cavalli. Sentendo dei passi, si
voltò per vedere
chi fosse, ma la forte luce esterna gli impediva di distinguere altro
che i
contorni della figura stagliata nel vano dell’ingresso.
“Ophélie?”.
Fece un passo
avanti, l’unico, prima che qualcosa si
abbattesse con violenza sul suo capo, facendogli provare un dolore
acuto. Il
mondo prese a vorticargli attorno e crollò a terra, privo di
sensi.
************************************************************************************************
Vi ringrazio
tantissimo per le recensioni costanti, è un
ottimo incentivo a non lasciar perdere tutto! Sono contenta che vi sia
piaciuto
l’intermezzo romantico al mulino ma come vedete iniziano i
guai *sogghigna*, vi
avevo detto che sono un pochino sadica :P
La nostra Oscar
si è veramente incavolata, ma per fortuna si
è subito ricordata con chi ha a che fare ed è
tornata sulla sua decisione, un
po’ di buon senso lo mantiene! Ophélie,
però, ne ha combinata una delle sue,
chissà come ne usciranno i nostri amati piccioncini!
Sto pensando di
uccidere Tibor che mi sussurra cattiverie all’indirizzo
del cugino mentre scrivo, facendolo finire nei guai per mano mia U.U
|
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Capitolo 16 *** Capitolo 15 ***
Oscar
spronò César a tornare verso palazzo Jarjayes,
senza
fretta. Avrebbe rivisto Andrè il giorno dopo, si era fatto
tardi e sarebbe
sembrato alquanto strano che tornasse a Versailles. E comunque soffrire
un po’
non gli avrebbe fatto male di certo, almeno avrebbe imparato a non dare
troppa
retta a donne della risma di Ophélie de Sombrefleuve!
Sorrise tra
sé a quel pensiero. Da quando Oscar François de
Jarjayes era una donna gelosa che si vendicava in quella maniera
sottile?
Da quando era
tornato lui, rispose una vocina dentro di sè. Nei
momenti in cui aveva creduto di averlo perso, aveva riconosciuto
l’amore ma il
dolore l’aveva quasi annientata. Era un sentimento che faceva
soffrire quello.
E poi era
tornato, così, semplicemente com’era sparito,
presentandosi
a un ballo di corte e sconvolgendo in un attimo quella pallida
imitazione di
vita che lei stava conducendo. Era riuscito di nuovo a toccarle lo
spirito e
l’aveva amata; si era innamorata di nuovo di
quell’uomo buono e gentile, dei
suoi occhi tante volte sognati.
Era ammantato di
una nuova identità, aveva una nuova vita
alle spalle. Eppure i loro cuori si erano riconosciuti nel medesimo
battito
quando si erano ritrovati, occhi negli occhi, a scrutarsi
l’anima.
Aveva
riconosciuto questo sentimento come amore, quello vero,
non il sentimento intriso di disperazione che aveva provato in passato
verso lo
stesso uomo. Ora poteva permettersi di essere felice.
Quando
Andrè avrebbe riacquistato la memoria, avrebbe potuto
riportarlo a casa e vivere con lui giorno per giorno l’amore
che sentivano
l’uno per l’altra.
Rise piano
spingendo César ad aumentare l’andatura. Non
riusciva quasi ad attendere che giungesse il mattino per poterlo
riabbracciare.
Durante la cena,
mangiando ciò che lei aveva cucinato, Oscar
non fece che pensare alla felicità di Nanny nel momento in
cui le avrebbe
riportato Andrè. In effetti, avrebbe dovuto avvertirla
prima; e soprattutto
specificare che ancora non sapeva nulla quando lo aveva invitato a
palazzo
Jarjayes, altrimenti avrebbe rischiato di finire lei
vittima del suo mestolo per una volta!
Più
tardi si ritirò nel piccolo salotto che spesso
l’aveva
vista restare in compagnia di Andrè fino a tarda notte.
Sedette su una delle
poltrone rilassandosi al calore del camino e si stiracchiò
pigramente,
sfiorandosi il collo nel movimento. Il ricordo di altre mani si
affacciò nella
sua mente e si lasciò andare contro lo schienale sospirando
voluttuosamente.
La sua mancanza
si faceva più forte di momento in momento, e
la cosa la fece sorridere; proprio lei che era sempre stata fiera di
essere una
donna libera da qualsivoglia impedimento di natura sentimentale, capiva
infine
di essere legata in maniera indissolubile all’uomo che
l’aveva sempre seguita
come un’ombra silenziosa.
Stava per cedere
alle lusinghe del sonno quando udì un
insistente bussare al portone d’ingresso che la
risvegliò completamente. Sentì
i passi brevi e leggeri di Nanny e il rumore della pesante anta che
veniva
aperta e restò immobile in attesa. Non passarono che pochi
minuti ancora prima
che l’anziana governante la raggiungesse.
“Perdonatemi
madamigella Oscar. Un messo da Versailles, vuole
parlare con voi, pare sia una questione della massima
urgenza”.
Oscar si
alzò e uscì dalla stanza, percorrendo con ampie
falcate la breve distanza. Non appena la vide, l’uomo inviato
dalla reggia
sembrò trasalire ma lei non ci fece caso; sapeva bene quale
reazione potesse
suscitare negli altri.
“Sono
Oscar François de Jarjayes, mi cercavate?”.
“Madamigella
Oscar, perdonate se vi disturbo a tarda ora, ma il
principe Beleznay sembra scomparso nel nulla e la Regina si chiedeva se
non
fosse vostro ospite”.
Lei si mantenne
a fatica salda sulle gambe che sentiva
improvvisamente tremare. Sparito? Per un attimo pensò che si
stesse nuovamente
intrattenendo con Ophélie ma se così fosse stato
qualcuno a corte lo avrebbe
saputo, non avrebbero inviato un messo a quell’ora della
notte per sapere se
lei lo avesse visto… sparito? Perduto di nuovo…
no, non poteva essere, c’era
sicuramente un errore!
“Madamigella?”,
azzardò il messo di fronte al suo mutismo.
“Io…
no, non si trova qui, ma com’è possibile che sia
sparito
nel nulla?!”.
“Non
conosco i dettagli, sono stato solo inviato a chiedere
se si trovasse qui. Dovreste parlare con i sovrani se desiderate
conoscere i
dettagli”.
Oscar
annuì congedando l’uomo con un cenno della mano e
appena si fu allontanato, si appoggiò al muro lasciandosi
scivolare fino a
terra. Andrè… Andrè era scomparso,
sparito nel nulla!
“Non
può essere!”.
Sbottò
colpendo la parete con il pugno. Questa volta non
avrebbe lasciato perdere, consentendo al destino di strapparglielo di
nuovo.
Non poteva essersi volatilizzato, qualcuno lo aveva portato via o lo
aveva
visto allontanarsi, e lei avrebbe fatto tutto il possibile e
l’impossibile pur
di riaverlo con sé.
Andrè
aprì gli occhi a fatica, se possibile ancora più
stordito di prima. Il dolore pulsante alla testa sembrava essersi
svegliato
assieme a lui, tanto intenso da dargli la nausea. Aveva i polsi legati
e
incatenati al muro e nel mettersi seduto si accorse di essere sdraiato
su
nient’altro che il pavimento; anzi, qualcosa c’era,
ma decise che fosse meglio
non scoprire cosa fosse quel viscidume che aveva sentito sotto di
sé.
Meglio
concentrarsi sul posto. Si trovava in quella che
sembrava una specie di prigione, sotto il livello della strada
probabilmente, a
giudicare dalle piccole finestre, poste appena sotto il soffitto, dalle
quali
filtrava la luce lunare. Di certo, chiunque lo avesse portato
laggiù non si
preoccupava della sua salute, tanto meno del fatto che potesse sentire
freddo,
ma tant’è. Certamente non era lo scherzo di un
amico quello, anche se per un
istante aveva quasi pensato che fosse la terribile vendetta di Oscar.
Oscar…
avrebbe avuto l’occasione di dirle che quella botta in
testa era stata un toccasana per la sua memoria? Certo, buona parte era
ancora
indistinta, però adesso ricordava bene di chiamarsi
Andrè Grandier e di essere
stato il suo attendente per anni.
Ricordava
l’amore senza speranza che aveva nutrito nei suoi confronti
in tutto quel tempo e la disperazione provata nel vederla indossare
abiti
femminili per un uomo che non era lui.
Ricordava la
frustrazione nel sapere di non poterla rendere
felice a causa di stupide convenzioni sociali che tenevano in nessun
conto la
serenità dei singoli.
E poi
c’erano le dolci memorie degli ultimi giorni, nei quali
aveva scoperto una nuova Oscar, innamorata e tremendamente femminile,
che
accettava di arrendersi totalmente al suo tocco… o a quello
di András?
Sospirò
appoggiandosi alla parete dietro di sé, trovando
addirittura ristoratore il freddo della pietra. Se anche fosse uscito
da quella
situazione, cosa avrebbe dovuto fare? Far finta di nulla e presentarsi
al
generale Jarjayes come András Beleznay,
chiedendo la mano di
Oscar sembrava la prospettiva più allettante, ma lei voleva
indietro Andrè.
Sorrise
nonostante tutto. Per tutta la vita l’aveva seguita
fedelmente, amandola in silenzio e c’erano volute
un’amnesia e una lunga
separazione perché ricambiasse.
Doveva
assolutamente uscire da quella situazione e vivere la
sua vita con Oscar.
“Ti
sei svegliato cugino!”.
Il rumore del
chiavistello fu seguito dall’ingresso di Tibor
nella stanza. La luce delle candele che portava con sé
proiettava ombre
sinistre sul suo viso e deformava il ghigno che gli scopriva i denti.
Sembrava
una belva pronta a balzare sulla preda.
“Tibor…
dovevo immaginarlo che c’eri tu dietro tutto
questo!”.
“In
effetti i tuoi genitori avrebbero dovuto prevederlo. Pare
che il fatto di trovarsi in terra di Francia li abbia resi troppo
sicuri, mi
hanno creato l’occasione”.
“E
adesso cosa pensi di fare, uccidermi?!”.
“Come
sei precipitoso András! Ti lascio
libero di scegliere,
puoi rinunciare al titolo che ti ha lasciato quella sciocca donnetta in
preda
al delirio materno, oppure… oppure sì, penso
proprio che ti ucciderò!”.
Andrè
si alzò con un colpo di reni tentando di raggiungere
Tibor ma le catene lo bloccarono, sbilanciandolo all’indietro.
“Ehi,
ehi, calmati se vuoi restare tutto intero! Cosa
c’è, ho
offeso la tua cara mammina?”.
“Non
osare parlare di lei, schifoso bastardo!”.
L’ungherese
sembrava estremamente divertito dalla reazione di
Andrè e scosse la testa ridendo.
“Ecco
vedi, se c’è una cosa che non sopporto sono gli
insulti
rivolti alla mia ascendenza; questa non posso lasciartela passare
liscia, lo
capisci vero?”.
Pronunciò
quelle parole con espressione falsamente contrita
mentre usciva dalla cella e lasciava il posto a due energumeni. Prima
di
sparire posò la mano sulla spalla di uno di loro.
“Divertitevi
pure ma mi raccomando; se dovesse morire vi
posso assicurare che lo raggiungereste presto. Per adesso mi servi vivo
András!”.
Rise dileguandosi
nell’oscurità del corridoio.
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Il dado
è
tratto e il danno è fatto! Tibor ha decisamente cattive
intenzioni, come ne
uscirà il nostro Grandier? Non sarò troppo
cattiva, tranquille, voglio troppo
bene al nostro Andreuccio!
A costo di
sembrare ripetitiva, vi ringrazio ancora tantissimo per le letture e le
costanti recensioni, vi adoro <3
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Capitolo 17 *** Capitolo 16 ***
Il sole era
appena sorto su Versailles e Oscar si trovava già
alla reggia. Non aveva chiuso occhio quella notte, sicura che dovesse
essere
accaduto qualcosa di grave ad Andrè per farlo sparire a quel
modo.
Giunta alle
scuderie per lasciare César, vide Augustus
osservarla dal suo recinto e si avvicinò accarezzandogli il
muso.
“Lo
ritroverò, vedrai”, sussurrò come se
l’animale potesse
capirla.
“State
attenta a quel cavallo, solo con il principe András è
del tutto docile”.
Oscar si
voltò al suono di quella voce sconosciuta e si
trovò
davanti due servitori che non conosceva. Dagli indumenti,
però, dovevano far
parte del seguito dei Beleznay, e oltretutto conoscevano abbastanza
bene Andrè
da sapere che quello era il suo cavallo.
“Ci
conosciamo signori?”.
Uno dei due
sbuffò prendendo da uno scaffale la striglia per
occuparsi di Augustus.
“Jan,
e lui è Petre. Per servirla madamigella”.
Oscar
osservò attentamente i due uomini, quasi come a voler
trovare su di loro un indizio che le dicesse se erano coinvolti o meno.
Sapeva
che quelli erano i nomi degli uomini destinati dai Beleznay alla
protezione di
Andrè e decise di provare a interrogarli, da qualcosa doveva
pur partire!
“Ditemi
Jan, voi non avete idea di dove sia finito il vostro
padrone?”.
“Assolutamente
nessuna, non lo vedo da quando è venuto a
lasciare qui il suo cavallo”.
“Per
quanto ne so, avreste dovuto essere la sua scorta”.
“Se il
principe non fosse scomparso prima che avessimo il
tempo di raggiungerlo lo avremmo protetto efficacemente. Ieri
è uscito senza
avvisarci e noi non lo abbiamo più visto”.
Jan sembrava
sicuro di sé, rispondeva alle domande con calma
e senza interrompere il suo lavoro; apparentemente era del tutto
sincero, anche
se non era convinta fino in fondo. Petre, invece, spostava il peso da
un piede
all’altro ed era evidentemente più agitato, tanto
che sudava copiosamente.
“Si
sente bene?”.
“Cosa?
C-certo madamigella, è solo che fa caldo… qui,
nelle
scuderie intendo”.
Continuava a
osservarlo, per niente convinta di quella
scusante. Era troppo nervoso da quando aveva cominciato a chiedere di
Andrè e
la cosa la insospettiva parecchio. Non voleva mettere in allarme Petre,
però,
perciò decise di vagliare prima altre
possibilità. Sarebbe tornata da lui al
momento opportuno.
“Capisco.
Vi auguro buona giornata signori”.
Salutò
uscendo dalle scuderie per raggiungere i Beleznay.
Doveva parlare anche con loro, con chiunque potesse avere una vaga idea
di dove
si trovasse Andrè.
Ariadné
era letteralmente sconvolta, piegata su sé stessa col
viso affondato nei palmi nel tentativo di soffocare le lacrime che
impietose
continuavano a sgorgarle dagli occhi. Fu così che la
trovò Oscar, con Zalán che tentava
inutilmente di calmarla, temendo che finisse
per sentirsi male.
“Principessa”,
la apostrofò Oscar. “Non datevi per vinta, lo
ritroveremo”.
La donna
sollevò appena lo sguardo ma vedendo che si trattava
di Oscar prese a piangere più forte di prima, scuotendo la
testa.
“Perdonatemi…
perdonatemi madamigella Oscar, non avevo il
diritto… non dovevo portarlo via dalla sua
famiglia”.
Biascicava le
parole fra i singhiozzi e Oscar sentì una
stretta al cuore; qualsiasi fosse il motivo che aveva spinto quella
donna a
portare via Andrè, era più che evidente che lo
amava come fosse davvero suo
figlio. Non meritava biasimo per aver provato un sentimento tanto
intenso e le
si avvicinò posandole una mano sulla spalla.
“Principessa
per favore, ascoltatemi. Non dovete piangere,
anzi, dovete aiutarmi a riportare indietro András”.
“Andrè…
so che si chiama Andrè, chiamatelo col suo nome”.
Sembrava che le
parole di Oscar l’avessero effettivamente
calmata, come se in fondo temesse il suo disprezzo. Lei le sorrise
porgendole
un fazzoletto e sedette di fronte a lei.
“Come
preferite principessa. Da quando non vedete
Andrè?”.
Zalán prese posto
accanto alla moglie
stringendola a sé e fu lui a rispondere ad Oscar.
“Ieri
non lo abbiamo visto per tutto il giorno. Pensavamo che
fosse con voi, anche se in effetti era strano che non fosse passato a
salutarci
prima di raggiungervi. Vedendo che non si presentava nemmeno alla cena
con i
sovrani, però, abbiamo capito che c’era qualcosa
di strano. È sempre stato
molto attento all’etichetta, non avrebbe mancato un evento
del genere senza
avvertire”.
Oscar
annuì cortesemente ma in realtà Zalán non le stava
dicendo molto. Chiunque avesse portato via
Andrè doveva aver evitato accuratamente di incontrare i
principi. Si passò la
mano sugli occhi, sospirando; se solo non avesse messo in piedi quella
scenata,
sarebbe stata con lui, impedendo che lo portassero via di nuovo. Dei
colpi
contro la porta e la stessa che si apriva la riscossero dalle sue
riflessioni.
“Cari
zii, ho appena saputo, che tragedia!”.
Ariadné
divenne livida di rabbia e si alzò fulminea,
afferrando Tibor per il bavero della giacca e facendolo sbattere contro
la
porta dietro di sé.
“Tu!
Maledetto, sei tu che hai portato via András, dimmi dove si
trova!”.
Zalán la raggiunse
velocemente e la
afferrò per i polsi, tirandola via mentre Tibor si
massaggiava la nuca.
“Calmati
Ariadné!”.
“Siete
sempre stata incline alla violenza zia? Vengo qui a
chiedere notizie del mio adorato cugino scomparso e voi mi aggredite a
quel
modo!”.
“Tibor
è meglio che tu mi dica dove hai portato András”,
disse Zalán puntando le
iridi scure in quelle
celesti del nipote. “Altrimenti credimi, non ci
sarà luogo della terra in cui
potrai nasconderti”.
Tibor
sogghignava ricambiando lo sguardo di entrambi,
apparentemente ignaro della presenza di Oscar.
“Mi
state minacciando zio?”.
“Se
sapete qualcosa è il caso che parliate duca”.
“Madamigella
Oscar anche voi… cosa vi fa credere che io
sappia dove si trova András? Forse
dovreste proteggere meglio
gli ospiti dei sovrani, invece di perdere tempo a gettare accuse
infondate”,
concluse uscendo dalla stanza.
Oscar
lasciò la stanza dopo aver salutato i Beleznay e non
aveva percorso che pochi metri quando sentì la
necessità di affacciarsi alla
prima finestra disponibile. Il vento freddo le restituì un
po’ di quella
lucidità che sentiva di perdere minuto dopo minuto.
Andrè sembrava davvero
sparito nel nulla, senza aver lasciato nessuna traccia dietro di
sé e non aveva
la più pallida idea sul dove cominciare a cercarlo.
Tibor nascondeva
qualcosa, era più che evidente; e anche quel
servitore, Petre, era stato troppo nervoso mentre lei gli chiedeva di
Andrè.
Doveva tenerli d’occhio entrambi, sicuramente
l’avrebbero portata nel luogo
giusto e lo avrebbe ritrovato; l’idea che fosse
già morto la rifiutava a
priori.
Sapeva che se
fosse successo lo avrebbe avvertito subito,
ormai erano legati in una maniera che nemmeno la morte avrebbe potuto
ignorare.
Presto Andrè sarebbe tornato a casa, lei lo avrebbe aiutato
a recuperare i
ricordi perduti e tutto sarebbe tornato alla normalità, alla
loro normalità.
Dei movimenti
nei giardini, proprio sotto di lei, attirarono
il suo sguardo; ciò che vide la lasciò alquanto
basita. Girodelle si trovava in
compagnia di Ophélie con la quale stava evidentemente avendo
un’accesa
discussione. Per quanto poteva saperne lei, il conte non era tipo da
intrattenersi con donne come quella cortigiana, troppo preoccupato di
mantenere
immacolata la propria reputazione. E oltretutto, da come si muoveva, a
scatti,
doveva essere molto nervoso.
Aggrottò
le sopracciglia quando un pensiero terribile le
attraversò la mente: avere un complice alla reggia avrebbe
facilitato di molto il
rapimento di Andrè, ma Girodelle… ormai lo
conosceva bene, si trattava di una
persona leale e soprattutto devota alla Corona, non avrebbe mai
compiuto un
atto del genere rischiando di compromettere i rapporti tra Francia e
Ungheria.
A meno che non
fosse stato ingannato, e Ophélie sembrava la
persona più adatta, abile come la maliarda Circe nel
raggiungimento dei suoi
scopi. C’erano troppe pedine in quel gioco e ancora non era
riuscita a
piazzarne una sola ma doveva sbrigarsi: Andrè non poteva
aspettare in eterno.
Andrè
socchiuse debolmente gli occhi, per quanto gli
consentiva il viso tumefatto a causa dei colpi ricevuti. Gli scagnozzi
di Tibor
avevano colpito duro ma stando bene attenti a non ferirlo troppo
gravemente;
certo non erano stati delicati, a giudicare dai dolori che sentiva un
po’
dappertutto, doveva avere qualche costola incrinata e uno o entrambi i
polsi
spezzati per via della posizione in cui era incatenato.
Sentiva la gola
riarsa e da come gli dava sollievo il freddo
della pietra contro la pelle doveva avere anche la febbre alta.
“Oscar…”.
Il nome di lei
uscì dalle sue labbra come un lamento o una
preghiera; solo per lei resisteva, non poteva lasciarla. Non ora che
sapeva con
quanta intensità lei ricambiasse i suoi sentimenti, ora che
potevano essere
felici, ora che aveva un dannato titolo che gli consentisse di chiedere
la sua
mano.
“Ma
che gli avete fatto?! Siete impazzito duca, così lo
ammazzate!”.
La voce
proveniva dal corridoio e Andrè la riconobbe, anche
se era alquanto stordito dalle botte: il conte di Girodelle.
Pensò che doveva
essere davvero confuso se pensava di essere stato rapito proprio da
lui, però
la persona in questione continuava a discutere con Tibor sul
trattamento che
gli era stato riservato e a ogni parola confermava il suo sospetto.
Entrò
nella cella, seguito da Tibor, e si avvicinò a lui
aiutandolo a mettersi seduto come meglio poteva.
“Cristo,
vi hanno massacrato… András, mi sentite?
State tranquillo, non alzeranno più un dito su
di voi”.
“Così vi riconoscerà”.
“Lo
state per portare in Austria e in ogni caso siete voi che
avete preteso la segretezza. Io sto lavorando per il mio paese, non ho
nulla da
cui nascondermi. Senza contare che è talmente stordito che
non credo capisca
cosa succede. Toglietegli queste catene duca, ha i polsi
spezzati”.
Tibor
alzò le spalle facendo cenno a un uomo di entrare e
togliere le catene. Andrè non riuscì a impedirsi
di emettere qualche lamento,
le parti fratturate erano gonfie e bluastre per via dei lividi.
Girodelle vide
che tentava di dire qualcosa e si chinò per ascoltare.
“Non
vi… lascerò Oscar… Girodelle,
mettetevi l’anima… in
pace”.
Il conte
sbiancò a quelle parole e si rialzò rigidamente.
András aveva colpito
nel segno, demolendo la farsa che aveva
costruito attorno a quel sequestro. Non era la dedizione al lavoro che
lo aveva
spinto ad aiutare Tibor, ma la speranza di avere finalmente accesso al
cuore di
Oscar. Aveva trovato sospetti i documenti che gli erano finiti in mano
e aveva
ignorato quei pensieri, preferendo approfittare
dell’occasione che gli si era
presentata. Quando era diventato tanto meschino?
************************************************************************************************
Lo so, lo
so… non succede niente in questo capitolo, però
qualcosa delle “indagini” dovevo pur mostrarla,
siete d’accordo? Avevo anche bisogno di un capitolo di transizione per dare un ordine alle idee che mi frullano in testa, pazienza per favore (_ _)
Dal prossimo si
torna all’azione ;)
E non mi
stancherò mai di ripeterlo, grazie a tutte voi per
le recensioni e le letture, il vostro sostegno è
fondamentale per il prosieguo
di questa fanfiction, grazie, grazie mille!
Quasi dimenticavo! Ho modificato il rating per via di una scena del prossimo capitolo, lo scrivo adesso in modo da non offendere qualcuno che potrebbe non notare il rating rosso che ha adesso la fic e trovarsi davanti un capitolo che non gradisce.
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Capitolo 18 *** Capitolo 17 ***
Trascorsero
altri due giorni senza che Oscar riuscisse ad
avere notizie di Andrè e il tempo stringeva. Tibor sarebbe
ripartito di lì a
qualche giorno e lei era certa che intendesse portarlo con
sé, se non ucciderlo
prima.
Aveva parlato
con così tante persone da non riuscire a
contarle e l’unico ad averle detto qualcosa che riguardasse
Andrè era stato il
maggiordomo che lo aveva contattato per conto di Ophélie.
Restava il fatto che
sapere che fosse stato rapito nelle scuderie non era una gran scoperta.
Aveva tentato di
parlare con Ophélie, ma questa continuava a
sostenere di non aver incontrato il principe András
all’appuntamento convenuto e di
essere davvero in pena per le sue sorti. Era talmente sicura di
sé da dar sui
nervi, nemmeno una lieve incrinatura della voce l’aveva
tradita; quella donna
era fredda come ghiaccio, inutile insistere con lei.
Accusarla
sarebbe stato inutile, la sua parola contro quella
di un’altra nobile; per quanto la Regina la sostenesse, se
l’avesse appoggiata
avrebbe finito soltanto per essere odiata di più e Oscar
rifiutava di metterla
in una tale situazione. Alla luce dei fatti, l’unico dal
quale potesse sperare
di ottenere qualcosa era Girodelle. Bisognava capire se fosse coinvolto
ed
eventualmente convincerlo a collaborare al salvataggio di
Andrè.
Oscar
convocò il suo secondo nel pomeriggio, adducendo la
scusa di dover discutere con lui delle indagini. Girodelle
tentò di svicolare
sostenendo di non avere nessuna novità al riguardo, ma lei
lo invitò a restare.
“Girodelle,
devo rivelarvi un particolare importante riguardo
il principe”, stava rischiando, lo sapeva, eppure doveva
tentare il tutto per
tutto. “Quello che abbiamo conosciuto come il principe András Beleznay
è in realtà il mio attendente, Andrè
Grandier”.
Fece una pausa,
dando modo a Girodelle di assimilare la
notizia; e a se stessa il tempo di odiarsi per aver definito
Andrè il suo attendente.
Il conte impallidì
leggermente, la fronte imperlata di sudore nel tentativo di mantenere
il sangue
freddo.
“Comandante,
so che i due si assomigliano molto, ma non
credete di stare galoppando con la fantasia?”.
“Niente
affatto Girodelle. La principessa sua madre mi ha
confermato la sua identità e mi ha riferito i suoi timori
riguardo al duca
Hunyadi. Pare che egli non abbia mai amato Andrè, e lei teme
che potrebbe
esserci la sua mano dietro questa sparizione. Personalmente ritengo che
abbia
avuto un complice qui alla reggia”.
Oscar
pronunciò queste parole fissando negli occhi Girodelle,
il quale si voltò, incapace di sostenere lo sguardo.
Desiderava confessarle
ogni cosa ma temeva che lo avrebbe considerato incredibilmente ingenuo;
aveva
creduto a Tibor sulla base di false prove che accusavano una persona
inesistente, e se solo avesse mantenuto la lucidità avrebbe
intuito subito che gli
scopi del duca erano ben altri.
“Girodelle,
vi sentite bene?”.
“Comandante…
vorrei confessarvi qualcosa ma temo il vostro
giudizio”.
Oscar
provò un moto di compassione per l’uomo davanti a
sé;
in altre circostanze gli avrebbe fatto sentire la sua comprensione ma
la
situazione delicata non consentiva indugi.
“Di
qualsiasi cosa si tratti Girodelle, la stima che ho di
voi non ne risulterà compromessa”.
Girodelle
tornò a guardare Oscar e si bloccò stringendo i
pugni. Era certo che avrebbe cambiato idea una volta messa a parte
della
verità, tuttavia non poteva più tacere; per
l’amore che le portava, era
necessario che l’aiutasse.
“Sono
io. Io ho aiutato il duca Hunyadi a portar via Andrè.
Mi ha fatto recapitare questi”, disse porgendole i documenti
falsi. “E se non
fossi stato tanto ingenuo mi sarei accorto che sono prove costruite ad
arte”.
Oscar scorse
velocemente i fogli e li stracciò davanti agli
occhi di uno stupito Girodelle.
“Comandante,
cosa…”.
“Non
è importante come il duca Hunyadi sia riuscito a portar
via Andrè. Ciò che mi preme è
riportarlo a casa prima che gli venga fatto del
male”.
“In
tal caso è meglio che ci sbrighiamo a raggiungerlo.
L’ho
visto due giorni fa, era stato picchiato e bruciava di febbre. Non so
in che
condizioni si trovi”.
Lei divenne
pallida come un cencio, il timore folle di
perdere Andrè le strinse le viscere in una morsa
d’acciaio; sgranò gli occhi,
sforzandosi di soffocare il grido salitole alla gola che
fuoriuscì come una
specie di lamento dalle sue labbra.
“Portatemi
da lui Girodelle. Subito”.
Il
vicecomandante scosse la testa posandole le mani sulle
spalle, in un gesto che voleva essere di conforto e che lei
rifiutò con una
scrollata.
“Non
è possibile comandante, se mi presentassi a
quest’ora, e
senza il duca, i suoi tirapiedi non mi lascerebbero entrare. Stanotte,
quando
la luna sarà sorta, verrò a prendervi in quello
stesso posto dove mi sfidaste a
duello diciotto anni fa. Il luogo in cui tengono Andrè non
è lontano da lì”.
“Non
fatemi aspettare troppo Girodelle”.
Oscar
girò i tacchi e si allontanò, lasciandosi dietro
un
conte Girodelle confuso e amareggiato dalla propria partecipazione in
quella
che si era rivelata nient’altro che una vile vendetta nei
confronti di un uomo
inconsapevole.
Conosceva un
solo modo per riscattarsi, ed era quello di
aiutare Oscar a ritrovare e salvare Andrè. Dopotutto,
aiutarla a raggiungere la
felicità era soltanto un altro modo di amarla.
Ophélie
si mosse sotto le lenzuola contro il corpo di Tibor,
il quale però si ritrasse apparentemente infastidito dalla
provocazione. Lei si
sollevò su un gomito, guardandolo confusa.
“Cosa
vi succede Tibor? Siete stanco, forse?”, ammiccò
maliziosa.
Tibor le
scoccò un’occhiata tutt’altro che
gentile, sedendosi
con la schiena appoggiata alla testiera, mentre Ophélie
lasciava vagare la mano
sul suo corpo in un gesto apparentemente casuale. Raggiunse il suo
ventre, per
poi portare le carezze verso il basso, ma lui le afferrò il
polso.
“Andiamo,
rilassatevi”.
“Non
ho tempo per questo! Devo trovare il modo di portar via
quel bastardo prima che Girodelle confessi tutto al suo
comandante”.
Ophélie
rise avvicinandosi a lui e gli si strinse addosso,
strusciandosi con fare felino.
“Temo
che lo abbia già fatto. Quando Madamigella Oscar ha
cominciato a indagare stava per avere una crisi di nervi, abbiamo
discusso per
i suoi stupidi sensi di colpa; e lei lo ha convocato per questo
pomeriggio”.
Disse mentre gli
posava dei baci sul petto ma Tibor le
afferrò i capelli con forza tirandole su il viso.
“Cosa
avete detto?”.
“Avete
sentito bene. Vi rimane poco tempo se volete spostare
vostro cugino da quel luogo. Oppure potete tender loro una trappola;
conoscendo
madamigella Oscar si farà accompagnare dal solo Girodelle.
È decisamente sicura
delle proprie capacità, vi basteranno pochi uomini bene
armati per aver ragione
anche di lei”.
“L’assassinio
del Comandante delle Guardie Reali non
passerebbe certo inosservato”.
“Nessuno
potrebbe ricondurre la sua scomparsa a voi. E forse,
nessuno ne ritroverà mai il cadavere in quel vecchio
magazzino”.
Tibor
sogghignò stringendo a sé Ophélie e le
strinse la mano
su un seno mentre le mordeva non troppo delicatamente il collo.
“Siete
perversamente furba Ophélie. E questo mi piace”.
La
baciò con foga mettendola a cavalcioni su di sé e
le posò
le mani sui fianchi, accarezzando ogni centimetro di quella pelle
diafana
completamente esposta al suo tocco lascivo. Ophélie era come
morbida argilla,
totalmente alla sua mercé; sapeva prendere
l’iniziativa ma anche sottostare
docilmente alla sua irruenza e questo non faceva che accrescere
l’eccitazione
di Tibor.
Si spinse dentro
di lei con veemenza strappandole un grido
mentre tornava ad affondare i denti nella carne, marchiandole il corpo
dei suoi
segni. Ogni volta voleva farle male e ogni volta accoglieva con un
ghigno i
gemiti di doloroso piacere che udiva, fino a che la sentì
tremare su di sé e
tornò ad azzannarle il collo riversandosi in lei.
Ophélie
si abbandonò sulla sua spalla, aspettando che il respiro si regolarizzasse e Tibor la strinse giocherellando con i lunghi
capelli
rossi, tirando ogni tanto le ciocche che gli scivolavano fra le dita.
“Portatemi
con voi Tibor”.
Lui non rispose,
intento a leccarle il collo lì dove l’aveva
morsa fino a farne stillare una goccia di sangue.
“Sono
stato troppo violento”.
Ophélie
scosse il capo, facendo ondeggiare i boccoli rossi e
gli mise due dita sotto il mento, costringendolo a guardarla in viso.
“Mi
piace il vostro modo di amare. Siete un vero lupo di
Transilvania”.
Tibor
soffocò una risata contro il suo petto, dove posò
un
bacio prima di tornare a guardarla.
“Vorreste
davvero venire con me? L’Ungheria non è la
Francia,
sareste una straniera, ex-nemica dell’Impero”.
“Portatemi
con voi”.
Lui socchiuse
gli occhi celesti osservandola a lungo. Ophélie
era molto bella e la loro intesa a letto era una rara alchimia, ma
questo non
bastava a strapparla alla sua terra per condurla in un paese dove
sarebbe stata
additata con malizia per il solo fatto di essere nata francese. Si
sorprese a
fare quei pensieri, lui che del prossimo aveva sempre avuto ben poca
considerazione. Forse questo era sufficiente per tenere con
sé quella donna:
per la prima volta nella sua vita, aveva pensato alle conseguenze che
le sue
azioni avrebbero causato a una persona diversa da sé. E se
quella persona non
desiderava altro che affidarglisi totalmente, avrebbe esaudito quel
desiderio.
La
baciò dolcemente, senza la furia che aveva sempre
contraddistinto i loro ‘incontri’ e si sorprese a
rabbrividire quando sentì una
piccola mano fra i suoi lunghi capelli biondi.
“Sarai
mia per sempre?”, le chiese dopo.
“Per
il tempo che mi vorrai, Tibor”.
Oscar decise che
sarebbe stato opportuno mettere a parte i
Beleznay di ciò che aveva saputo. Naturalmente, era
necessario che omettesse
che Andrè fosse stato picchiato brutalmente, la principessa
non lo avrebbe
sopportato e il principe Zalán probabilmente
avrebbe cercato Tibor
per passarlo a fil di spada prima che avesse il tempo di aprirgli la
porta.
Prima di
rientrare alla reggia e raggiungerli, però, sedette
per qualche minuto su una panca dei giardini. Aveva bisogno di credere
che
Andrè potesse essere ancora salvato, che non fosse troppo
tardi; era certa che
sarebbe morta di dolore se lo avesse perso di nuovo, se avesse trovato
un
cadavere al posto di un prigioniero.
Il freddo di
quel tardo pomeriggio non lo sentiva nemmeno,
senza Andrè al suo fianco aveva troppo gelo dentro. Inutile
chiedersi quando le
fosse diventato così indispensabile; la luce si domandava
forse da quando aveva
bisogno dell’ombra per risplendere così fulgida?
La separazione che aveva
vissuto era servita soltanto perché prendesse finalmente
coscienza di quanto
indissolubile fosse questo legame, un ciclo purgativo che
l’aveva condotta alla
vera felicità, quella che aveva potuto stringere nei giorni
appena trascorsi
con il suo principe.
Si
alzò in piedi e tirò su il mento, fiera come solo
Oscar
François de Jarjayes sapeva essere. Non avrebbe consentito a
nessuno di
portarle via quella felicità.
Raggiunse la
reggia marciando sicura come sempre, non
tradendo la minima emozione. I principi si trovavano nei loro
appartamenti in
attesa della cena con i sovrani, alla quale erano tenuti a partecipare.
Oscar vide che
Ariadné sembrava essersi calmata, anche se gli
occhi rossi e lucidi tradivano un pianto recente. Di certo era una
donna forte
ma alcuni dolori lacerano nel profondo; le si avvicinò
mostrando un lieve
sorriso, con la speranza che ciò che stava per dirle
l’avrebbe rassicurata.
“Principessa
Ariadné, ho buone notizie”.
Ariadné
si illuminò in volto e le corse incontro, prendendole
le mani fra le sue.
“Lo
avete trovato? Oscar ditemi, avete trovato Andrè?”.
“So
dove si trova”, disse Oscar, sorridendo del fatto che la
principessa avesse cominciato a chiamare Andrè col suo nome.
Evidentemente, non
intendeva più portarlo via con sé.
“Andrò a prenderlo stanotte, però devo
chiedervi una cosa. Lasciate che Tibor riparta impunito”.
Zalán si
voltò di scatto, guardando Oscar
come se avesse detto un’enorme eresia. Non poteva aver
sentito bene, stava
chiedendo di lasciar andare Tibor pur sapendolo responsabile di
un’azione tanto
vile?
“Madamigella,
spero che stiate scherzando”.
“No
principe. Vi prego di ascoltarmi, se Tibor venisse
arrestato, la faccenda giungerebbe alla corte di Vienna e io non posso
mettere
la Regina Maria Antonietta in una situazione tanto delicata. Voi avete
adottato
una persona che non esiste, cosa succederebbe se una volta rivelata
l’identità
di Andrè, si venisse a sapere che la Francia ha arrestato il
rampollo di una
delle più antiche famiglie nobili ungheresi per il rapimento
di un servo? Io
non lo considero tale e so che anche per voi è tutto tranne
che un membro della
servitù; ma è quello che è agli occhi
dei Francesi e degli Austriaci”.
Zalán strinse i
pugni, reprimendo il
desiderio di colpire qualcosa. Purtroppo, madamigella Oscar aveva
ragione, se
avessero denunciato Tibor la vera identità di András sarebbe stata
svelata e tutto ciò che lei aveva
preannunciato sarebbe accaduto.
Ariadné
guardò Zalán e strinse
più forte le mani di
Oscar.
“Io mi
fido di voi, madamigella Oscar. Riportate a casa
Andrè”.
Oscar si
inchinò ai principi, prima di congedarsi.
“Non
dubiti principessa, è il mio solo scopo”.
************************************************************************************************
Dunque…
secondo me il rating rosso è alto per quella specie
di scena "hot" che ho scritto (tra l’altro è la
prima in assoluto, sono tanto
timida), tuttavia preferisco eccedere in prudenza così da
essere sicura di non
offendere nessuno con un rating al contrario troppo basso. OMBRAceleste notava giustamente che Tibor potrebbe definirsi un vampiro piuttosto che un lupo, per via del morso sul collo. In effetti, Voltaire scrisse dei vampiri nel suo Dizionario filosofico, quindi anche in Francia erano giunte certe voci; ma dal momento che l'imperatrice Maria Teresa aveva mandato il suo medico personale a investigare, col risultato che tali "presenze" furono del tutto smentite, ho immaginato che Ophélie, la quale è comunque giovane, non avrebbe avuto occasione di sentir parlare di vampiri e paragonarvi Tibor, perciò ho optato per il lupo ;)
E no, i
protagonisti non erano Oscar e Andrè ma direi che il
Grandier
ha bisogno di riprendersi una volta salvato dalla prigionia,
soprattutto se
pensa di intraprendere certe attività con la sua bella ;)
A proposito di
Andrè, lo rivedremo nel prossimo capitolo,
spero che ci sarete ancora :P
Grazie a tutti
<3
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Capitolo 19 *** Capitolo 18 ***
Oscar si
presentò all’appuntamento convenuto con Girodelle
non appena la luna fu visibile all’orizzonte. Con lei si
trovava Jan, per
insistenza del principe Zalán;
l’aveva seguita fuori dagli
appartamenti che condivideva con sua moglie, chiedendole di portare con
sé i
suoi uomini più fidati, Petre e Jan per l’appunto.
Avrebbe
preferito avere con sé il solo Girodelle, giacché
non
si fidava troppo di nessuno dei due servitori ma il principe aveva
insistito
tanto che aveva ceduto, pregandolo di farle trovare un medico al suo
ritorno.
Zalán aveva preteso
spiegazioni e lei aveva dovuto accontentarlo,
raccomandandosi di non rivelare nulla alla principessa fin quando non
fossero
tornati. Alla partenza si era presentato il solo Jan: a quanto pareva,
Petre
era letteralmente sparito e dovettero partire loro due soli.
“Sapete
madamigella, è strano che Petre non fosse a
disposizione. Non si allontana mai da solo quando si trova in terre
straniere”.
“Non
è importante Jan”.
Gli rispose
senza guardarlo, troppo presa dallo scrutare la
via in attesa di veder comparire il conte di Girodelle e quando
finalmente lo
vide, si trattenne a fatica dal rimproverarlo per il ritardo.
“Buonasera
comandante”.
“Lasciamo
perdere i convenevoli Girodelle, andiamo”.
Girodelle
annuì e smontò da cavallo, prontamente imitato da
Oscar e Jan. Si guardò intorno prima di imboccare un
viottolo nascosto in mezzo
agli alberi; gli arbusti che costeggiavano la strada principale lo
nascondevano
agli occhi dei passanti distratti, bisognava sapere esattamente dove
fosse.
Camminarono nella fitta boscaglia per diversi minuti, fin quando
Girodelle fece
cenno di fermarsi e si nascose dietro un albero per controllare la
situazione.
Si avvicinò il più possibile e quello che vide lo
lasciò di stucco: Tibor aveva
completamente sguarnito il vecchio casolare, che appariva deserto.
Possibile
che avesse già spostato Andrè, o peggio? Evitando
di fare rumore tornò indietro
fino a dove aveva lasciato Oscar e Jan.
“C’è
qualcosa di strano comandante. Non c’è
più nessuno di
guardia all’ingresso del casolare”.
“In
quale stanza si trova Andrè?”.
“C’è
un magazzino interrato che si raggiunge da una botola
posta nel centro dell’androne. Una volta percorsa la breve
scalinata, c’è un
corridoio, molto corto, e una stanza. Andrè si trova
all’interno”.
Oscar
aggrottò le sopracciglia, vagliando nella sua mente le
diverse possibilità. Doveva conoscere perfettamente la
logistica se intendeva
portar via Andrè velocemente.
“Come
ci si muove nel sotterraneo? C’è spazio per
combattere?”.
Girodelle scosse
la testa. “Molto poche comandante, il
corridoio è alto abbastanza perché un uomo ci
cammini comodamente e in quanto a
larghezza, due persone affiancate non riuscirebbero a
passare”.
“Allora
dobbiamo liberarci il passaggio prima
di scendere”.
Andrè
fu svegliato dal rumore di passi concitati a pochi
passi da lui. Respirava male per via della febbre e Tibor non si era
certo
preoccupato di fargli curare le fratture, che dolevano terribilmente.
Non si
era praticamente mosso dalla visita di Girodelle e aveva dormito quasi
tutto il
tempo, un sonno agitato e popolato da atroci incubi. Di tanto in tanto
veniva
destato da una delle guardie che lo costringeva a bere un po’
d’acqua, e poi
ripiombava in quel limbo.
Aguzzando la
vista, nella semioscurità della cella, riuscì a
distinguere una figura in piedi dietro la porta. La luce lunare
provocò uno
scintillio sulla lama del pugnale che portava e Andrè
pensò che Tibor avesse
deciso di liberarsi di lui; lacrime di frustrazione gli bruciarono gli
occhi,
stille che rifiutò di versare.
Oscar. Voleva
vivere per lei ma per quanto ardentemente lo
desiderasse, non aveva la forza per muoversi, né per tentare
di difendersi dal
boia. In quelle condizioni non avrebbe potuto fare altro che soccombere
alla
morte, rinunciando alla gioia di poterle finalmente vivere accanto.
“No…”.
Quel lamento
attirò l’attenzione dell’uomo armato che
si
voltò a guardare Andrè. Ora erano i suoi occhi di
brace a sondare l’oscurità
della cella. Quando si avvide che era sveglio gli si
avvicinò, inginocchiandosi
davanti a lui.
“Principe
András, vi siete
svegliato! O dovrei forse
chiamarvi Andrè Grandier? Chissà come
reagirà il duca Hunyadi quando scoprirà
la vostra vera identità! Madamigella Oscar parla troppo e
senza accertarsi che
non ci siano orecchie indiscrete, sapete?”.
Andrè
continuava a fissarlo e se ne avesse avuto le forze lo
avrebbe sicuramente additato, sconvolto dalla verità.
“Petre…”.
“Sì,
proprio io, il fedele Petre! E dire che la vostra bella
sospettava di quello stupido di Jan! Si vede che non ha capito niente,
lui si
arrabbia, urla, eppure non sarebbe mai capace di tradire i
Beleznay”.
Ascoltava quel
racconto come se non conoscesse la persona che
aveva davanti. Petre era sempre stato una persona quieta e
apparentemente, uno
degli uomini più fedeli a Zalán. Capire cosa
lo avesse spinto a
schierarsi con Tibor gli risultava impossibile.
“Non
guardatemi a quel modo! So che non riuscite a immaginare
che qualcuno possa voltare le spalle al principe Zalán ma voi siete
stato suo figlio, non un servo. Sa essere
davvero duro con noi e come ci ripaga? Adottando uno straniero! Non ho
niente
contro di voi, Andrè, dovete credermi. Ma se la vendetta
contro di lui passa
attraverso la vostra morte… non avrò esitazioni,
sappiatelo”.
Andrè
strinse i denti per il dolore e lo sforzo di restare
vigile; era debole e ferito ma non si sarebbe abbandonato
all’oblio. Ripercorse
mentalmente l’anno trascorso in Transilvania, a palazzo
Beleznay ma non
riusciva a ricordare nessun diverbio tra Zalán e Petre.
Possibile fosse tanto
avido da desiderare vendetta per un motivo del genere?
“Non
sforzatevi di comprendere, non ci riuscireste. Riposate
finché
potete, penso che fra poco qui si scateneranno le danze”.
Oscar, Girodelle
e Jan si avvicinarono furtivamente al
casolare, armi in pugno; l’ungherese teneva un pugnale in
ciascuna mano, e lei
si chiese per un attimo come intendesse combattere ma le sovvenne che
nell’Est
dell’Europa si poteva avere necessità di imparare
ben altro che la scherma.
Sbirciò
attraverso una finestra dai vetri rotti e capì
immediatamente perché non ci fosse nessuno
all’esterno; gli uomini di Tibor si
trovavano tutti dentro l’edificio, attorno a quella che
doveva essere la botola
di cui parlava Girodelle. Si spostò dalla visuale
dell’apertura e raggiunse i
due che la attendevano nei pressi dell’ingresso.
“Ci
sono almeno sei uomini bene armati all’interno, evidentemente
Tibor non vuole che raggiungiamo Andrè. Di lui non
c’è traccia”.
“Sarà
rimasto a palazzo comandante. Stasera era previsto un
ricevimento, se non si presentasse desterebbe sospetti”.
Jan
roteò il pugnale che impugnava nella mano destra, tenendo
lo sguardo fisso sull’entrata della cascina.
“Madamigella,
penseremo noi a impegnare quegli uomini. Voi
dovete raggiungere il principe András e portarlo
via”.
Oscar
annuì guardando con gratitudine Jan; poteva non amare
particolarmente Andrè ma per devozione ai suoi padroni lo
avrebbe tirato fuori
dall’inferno con le sue sole forze. Si avvicinarono di corsa
alla porta
d’ingresso e Oscar la spalancò affannandosi a
raggiungere la botola; Jan abbatté
immediatamente uno degli sgherri che tentavano di fermarla,
scagliandogli uno
dei pugnali dritto nel cuore.
“Sbrigatevi
comandante!”.
Girodelle
ingaggiò battaglia con un altro tirapiedi
riuscendo, insieme a Jan, ad aprire la strada a Oscar che
imboccò velocemente
le scale sotto la botola. Vide la porta della stanza nella quale era
tenuto
prigioniero Andrè e strinse più forte
l’elsa della spada, trattenendo i tremiti
che sentì all’idea che fosse troppo tardi quando,
sbirciando all’interno, lo
scorse appoggiato alla parete opposta, totalmente inerme.
“Andrè…”.
Le
sfuggì il suo nome in un sussurro e aprì la porta
di
scatto per slanciarsi all’interno; fortunatamente vide con la
coda dell’occhio
un bagliore che le fece schivare la pugnalata di Petre. Anche lui,
proprio come
Jan, impugnava una lama per mano e lei aveva solo una spada. Sarebbe
stato un
combattimento impegnativo ma doveva sbarazzarsi del suo avversario in
fretta,
Andrè sembrava al limite delle forze.
“Petre!
Credevo foste uno dei servitori dei Beleznay!”.
Si manteneva a
distanza, prendendo tempo per studiare i movimenti
dell’ungherese. Non aveva idea di come rapportarsi a qualcuno
che combattesse a
quel modo.
“Lo
credevo anche io. Ma forse per loro valiamo molto poco”.
“Jan
non la pensa come voi”.
“Jan
è uno sciocco idealista! Odia quest’uomo dal
profondo
del cuore per la posizione che ha acquisito, ma è talmente
fedele ai Beleznay
che darebbe la vita pur di salvarlo”.
Oscar
gettò un veloce sguardo all’ambiente circostante
in
cerca di qualcosa che potesse usare come uno scudo; il problema di
avere
davanti due lame era che poteva incrociarne una sola con la sua spada
mentre
l’altra era libera di colpirla. Intravide un barile in un
angolo e pensò che
avrebbe potuto prenderne il coperchio. Peccato che tra lei e la sua
‘salvezza’
vi fosse Petre.
Le si
scagliò contro e proprio come aveva immaginato,
affondò
con una sola lama che fu costretta a parare, urtando per il
contraccolpo alla
parete dietro di sé. L’impatto le mozzò
il fiato per qualche momento ma riuscì
comunque a evitare l’altro pugnale che si incassò
fra le pietre del muro.
Approfittando di questo, spinse Petre e raggiunse velocemente il barile
che
aveva già adocchiato, trovandolo però
desolatamente scoperchiato.
Trattenne un
gemito di frustrazione e si voltò per
fronteggiare l’ungherese. Per sua fortuna sembrava che il
pugnale incastrato
nella parete non volesse saperne di essere sfilato e lui si
ritrovò costretto a
combattere con una sola arma.
“Forse
dovreste arrendervi Petre. Non voglio uccidervi”.
“Arrendermi?!
E pensate che pur di vivere accetterei la
prigione?”.
Queste parole le
aveva quasi urlate attaccando Oscar che parò
senza troppe difficoltà il colpo. Petre era davvero forte e
faceva difficoltà a
trattenerne l’impeto ma per sua fortuna era molto
più leggera e si muoveva con
maggiore agilità, riuscendo persino a sbilanciarlo. Lui
batté malamente contro
il muro e si rialzò scuotendo il capo; in quel modo non
sarebbe arrivato da
nessuna parte eppure forse non tutto era perduto, poteva ancora
raggiungere il
suo scopo. Afferrò il coltello per la lama con la chiara
intenzione di
scagliarlo contro Andrè, Oscar fu più veloce e
gli lanciò contro la propria
spada, trafiggendolo.
“Non
avrei voluto che finisse così”.
Oscar diede un
veloce sguardo a Petre che ormai non
costituiva più una minaccia e si precipitò
accanto ad Andrè, prendendogli il
viso fra le mani.
“András…
András svegliati, ti
porto via da qui!”.
Andrè
socchiuse gli occhi a fatica e sorrise quando vide
Oscar davanti a sé; forse era un dolce sogno che la morte
gli concedeva prima
di portarlo via? Lei lo scosse leggermente, spostandogli i capelli
umidi dal
viso e lo attirò contro di sé, guardandosi
intorno smarrita: come avrebbe
potuto portarlo via se non si reggeva in piedi?
“Oscar…”.
“András! Riesci ad
alzarti, dobbiamo uscire
di qui”.
“Sono…
contento di averti… rivista…”.
“Cos…
András! András!”.
************************************************************************************************
Et
voilà, anche oggi il capitolo è pronto :P
Sarà
l’ultimo per qualche giorno però. Sono previsti
lavori
alla linea internet quindi sarò assente, se riesco
entrerò con il cellulare per
rispondere alle vostre recensioni (se ce ne saranno ovviamente).
Purtroppo non
ho modo di pubblicare gli altri capitoli perché vivo in un
paesino dove un
centro internet non sanno nemmeno cos’è e abbiamo
tutti lo stesso gestore,
quindi se manca a me manca a tutti quelli che conosco ^^”
Scusatemi per l’inconveniente
(_ _)
A presto ^-^
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Capitolo 20 *** Capitolo 19 ***
Girodelle e Jan
riuscirono, non senza fatica, a liberarsi
degli uomini al piano superiore e raggiunsero Oscar, che avevano
sentito
urlare. La trovarono piegata sul corpo di Andrè mentre lo
stringeva
convulsamente fra le braccia e temettero il peggio.
L’ufficiale
si avvicinò, tentando inutilmente di farle
allentare la presa. Non piangeva ma rifiutava di muoversi,
così Girodelle fece
cenno a Jan che la sollevò senza troppi complimenti, e si
chinò a sua volta sul
petto di Andrè.
“Comandante
è ancora vivo! Coraggio, dobbiamo portarlo alla
reggia perché sia curato”.
Oscar che fino a
quel momento era rimasta immobile,
trattenuta dall’ungherese, sembrò svegliarsi da un
incubo e fissò Girodelle liberandosi
di quella stretta. Il suo viso riassunse l’espressione decisa
e perentoria che
lo aveva sempre caratterizzato.
“Andremo
a palazzo Jarjayes. È più vicino”.
Jan si
allontanò da loro e si chinò su Petre, lasciando
andare un lieve sospiro.
“Anche
questo idiota è vivo. Vi aiuterò a portare fuori
il
principe e poi lo condurrò alla reggia, non deve passarla
liscia”.
Oscar raccolse
la spada, riponendola nel fodero. “Il principe
Zalán doveva cercare
un medico. Quando sarete alla reggia
mandatelo a palazzo Jarjayes”.
L’ungherese
annuì e aiutò Girodelle a sollevare
Andrè per
portarlo fuori mentre Oscar li precedeva. La cosa non si
dimostrò per niente
facile poiché era totalmente abbandonato fra le loro braccia
ma in qualche modo
riuscirono a raggiungere i cavalli e a farlo salire sul destriero di
Girodelle.
Sebbene Oscar avesse protestato, sostenendo di volerlo accompagnare
personalmente, il vicecomandante le aveva fatto giustamente notare che
non
sarebbe stata in grado di sorreggerlo ed era montato in groppa dietro
di lui.
Jan
accennò un inchino prima di tornare sui suoi passi per
recuperare Petre e Oscar fissò per qualche secondo il punto
in cui era sparito
nella boscaglia; quegli ungheresi avevano un senso dell’onore
del tutto
particolare.
“Comandante
dobbiamo andare, sbrigatevi!”.
La voce di
Girodelle la riscosse e Oscar saltò quasi in
groppa a César, spronandolo al galoppo e percorrendo accanto
al suo secondo
tutta la strada verso palazzo Jarjayes. In questo modo poteva volgere
lo
sguardo verso Andrè, scrutando il viso pallido e tumefatto,
e sperando ogni
volta di incrociarne lo sguardo. Dopo un tempo che le parve
interminabile,
giunsero finalmente alla meta e portarono Andrè in casa.
Nanny, accorsa
per aiutarli, per poco non ebbe un mancamento
quando vide chi era la persona ferita che Oscar e Girodelle stavano
trasportando. Dei servitori si incaricarono di trasportarlo e Oscar li
indirizzò verso la stanza accanto alla sua, suscitando le
proteste della
governante.
“Madamigella
non è lì che dovrebbe stare,
lui…”.
“Lui
è il principe András Beleznay, non
credo meriti di meno
che la camera degli ospiti”, sentenziò seguendo i
domestici al piano superiore.
Era certa che
Nanny avesse capito che quello che si era
presentato come un principe ungherese fosse in realtà suo
nipote Andrè,
tuttavia lui ancora non ricordava chi fosse e doveva essere trattato
come
figlio dei Beleznay.
Fortunatamente,
il medico rintracciato da Zalán raggiunse
palazzo Jarjayes nel giro di mezz’ora,
accompagnato dagli stessi principi che non ne avevano voluto sapere di
rimanere
a Versailles nonostante l’ora tarda. Oscar andò
loro incontro mentre il dottore
entrava nella stanza e dovette trattenere Ariadné che
insisteva per controllare
di persona in che condizioni versasse suo figlio.
“Principessa
dovete essere paziente. Non appena il dottore lo
riterrà possibile vi lascerò entrare”.
“Vi
prego madamigella Oscar, ho bisogno di vederlo!”.
Scosse la testa
opponendo un fermo ma gentile rifiuto alle
richieste della principessa. Le dispiaceva impedirle di vedere
l’uomo che aveva
amato come un figlio per tanto tempo ma Andrè doveva essere
visitato e curato
senza che il medico sopportasse gli isterismi di una madre apprensiva.
Lei
stessa entrò nella camera soltanto quando vide uscire le
cameriere che avevano
prestato aiuto al dottore occupandosi di lavare e cambiare
Andrè.
“Zalán…
credi che ce la farà?”.
Zalán
abbracciò Ariadné accarezzandole la
schiena. Non sopportava di veder soffrire sua moglie ma mentirle
sarebbe stato
inutile. Era totalmente all’oscuro delle condizioni di
Andrè però il fatto che
madamigella Oscar gli avesse chiesto di farle trovare un medico al suo
ritorno
poteva significare solo una cosa: sapeva già che il loro
figlio era ferito e
non lievemente.
“Possiamo
solo aspettare e pregare Ariadné. Non sappiamo
nulla, qualsiasi cosa ti dicessi starei mentendo”.
Lei
abbassò lo sguardo rafforzando la presa attorno al suo
corpo e Zalán la
sentì prendere un grande respiro per poi alzare lo
sguardo: lo faceva quando aveva qualcosa di importante da comunicargli.
“Lasciamolo
qui”.
“Direi
che non è proprio il caso di spostarlo a Versailles in
queste condizioni”.
“Zalán non fingere di
non capire, intendo
dire quando torneremo in Ungheria. Portarlo con noi adesso che sappiamo
chi
egli sia in realtà non farebbe che aggravare il nostro
sbaglio”.
“E
come lo giustificheremmo? Lo ringrazieresti di essersi
quasi fatto ammazzare da Tibor per la nostra idea di adottarlo e poi lo
lasceresti qui dicendogli che la sua famiglia sono persone che non
ricorda?”.
Ariadné
scosse il capo stringendo le mani di Zalán nelle proprie.
Avrebbe dovuto immaginare che si sarebbe
opposto all’idea di lasciare Andrè in Francia, lo
amava come un figlio e poche
cose lo rendevano tanto felice come passare del tempo con lui.
“Non
ricorda ma è innamorato di madamigella Oscar e credo che
anche lei lo ami allo stesso modo. Avresti cuore di separarli adesso
che si
sono finalmente ritrovati?”.
Zalán
accostò le labbra al suo orecchio.
“E’ un servo in questo paese. Non dimenticare che
Tibor tornerà in Austria
impunito, nonostante tutto. Perché Andrè qui
è un servo”.
Aveva
sottolineato di proposito quale fosse il ruolo di Andrè
prima che li incontrasse, sperando che sua moglie non intendesse
lasciarlo a
quel genere di vita ma Ariadné levò lo sguardo,
sicura.
“E se
ricordasse tutto? Portarlo con noi significherebbe
rapirlo, strapparlo alla realtà che ha sempre conosciuto in
favore di una che noi abbiamo
costruito per lui”.
La
guardò stupito per un istante e la lasciò,
passandosi la
mano sugli occhi.
“Io
non posso crederci Ariadné, non ci credo! Vuoi lasciarlo
a una vita che era un’umiliazione continua e togliere a noi
la gioia di essere
genitori, ti sembra sensato?”.
Ariadné
rimase in silenzio tormentandosi le mani; aveva gli
occhi lucidi ma rifiutava di piangere ancora. “E’
la decisione più penosa che
io abbia mai preso Zalán. Ma se davvero
lo amiamo, dobbiamo
fare la cosa giusta per Andrè, non per noi”.
Oscar non si era
mossa dalla stanza, preferendo ritirarsi in
un angolo piuttosto che lasciare solo Andrè. Già
una volta le era quasi costato
la sua morte; aveva deciso, non si sarebbe più separata da
lui se non lo
stretto necessario. Accolse quasi con sollievo i lamenti che sentiva
provenire
dal letto quando le medicazioni gli causavano dolore; fin tanto che si
lamentava era vivo.
Con
Andrè finalmente al sicuro, poteva pensare al da farsi
riguardo i suoi aguzzini. Di Petre si sarebbe occupato Zalán una volta
ritornati in Transilvania ma restavano Tibor e
Ophélie. Non aveva prove che dimostrassero il loro
coinvolgimento e anche se le
avesse avute, la situazione sarebbe rimasta quella che lei stessa aveva
dipinto
al principe: la vera identità di András sarebbe stata
svelata ed entrambi
sarebbero rimasti impuniti.
E infine
Girodelle… non riusciva a credere che si fosse
prestato a una tale sordida macchinazione, della quale si era accorto
per
tempo, su sua stessa ammissione. Cosa lo aveva spinto ad allearsi a
quegli
individui che avevano l’unico obiettivo di eliminare quello
che conoscevano
come il principe András? Era un uomo
onesto, non avrebbe
mai commesso una sciocchezza simile in condizioni normali; doveva
parlargli per
conoscere le sue motivazioni, anche se non era certa che le avrebbe
comprese.
“Madamigella
Oscar”, la chiamò il medico avvicinandosi a lei.
“Ho fatto il possibile ma la febbre necessitava di essere
curata prima e anche
le fratture; l’unico aspetto positivo è che non
sembra essersi mosso quindi i
polsi guariranno perfettamente se supererà questa
crisi”.
Oscar
sperò che non si fosse accorto del turbamento che
l’aveva presa nel sentire quelle parole e si
limitò ad annuire. Aveva avuto
appena il tempo di rilassarsi per averlo tirato fuori da quella
prigione
improvvisata, che già rischiava di dovergli dire addio.
“Capisco.
Cosa possiamo fare per lui?”.
“La
febbre dev’essere tenuta bassa, questo lo giudico
importante. Domani tornerò a visitarlo”.
“Sarà
fatto. Vi ringrazio per i vostri sforzi, dottore”.
L’uomo
salutò con un inchinò e lasciò la
stanza,
apprestandosi a comunicare ai principi Beleznay ciò che
aveva appena detto ad
Oscar. Lei si avvicinò al letto e sedette sul bordo,
osservando il volto di
Andrè addormentato, sperando, desiderando di vedere i suoi
occhi su di sé.
Era pallido e
sudato e anche una volta ripulito il suo viso
restava quasi irriconoscibile per via dei colpi che aveva ricevuto.
Persino
respirare doveva costargli fatica, a giudicare dai respiri brevi e
veloci che
compiva.
A Oscar si
strinse il cuore a vederlo così indifeso e
bisognoso di lei; per una volta, i ruoli si erano invertiti ed era lei
a dover
vigilare per la sua sicurezza. Se ripensava agli anni trascorsi
insieme, si
rendeva conto che non c’era quasi momento della sua vita che
non vedesse Andrè
al suo fianco e capiva che la sua proverbiale sicurezza era dovuta al
sapere,
seppure in maniera inconscia, di avere la sua ombra costantemente al
fianco.
Abbassò
lo sguardo vedendo le loro mani vicine e si mosse
intrecciando le loro dita. Sentiva la sua pelle bollente sotto i
polpastrelli e
sorrise; non avrebbe mai pensato che un contatto così
semplice potesse darle
tanta serenità in un momento simile. Andrè
ricambiò la stretta e lei alzò lo
sguardo sicura che si fosse svegliato ma il movimento era stato del
tutto
involontario; era ancora profondamente addormentato e Oscar
avvertì la
delusione pungerle l’animo.
Si
chinò sul letto, avvicinando il viso a quello martoriato
di lui e gli sfiorò le labbra con le proprie; si sentiva
più audace sapendo di
essere l’unica a conoscenza di quel suo gesto.
“Andrè…
non puoi lasciarmi, devo dirti una cosa importante
prima”.
************************************************************************************************
Guardate chi
è tornata prima del previsto XD
Pare che non
fosse un lavoro lungo, almeno spero di non
trovarmi senza linea domani -.-“
Dunque…
non sono soddisfatta di questo capitolo ma abbiate
pazienza, oggi mi sono presa una bella inc****tura e potrei deviare la
storia
verso finali oscuri è.é
Come sempre,
fatemi sapere che ne pensate, anche se fa schifo
e mi conviene darmi all’ippica.
E grazie per le
letture e le recensioni (_ _)
|
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Capitolo 21 *** Capitolo 20 ***
“Maledizione!”.
Tibor
scagliò senza preoccuparsene una tazza di fine
porcellana contro la parete della sua camera, essendo venuto a
conoscenza della
liberazione di András. Non poteva
credere che una donna
avesse sbaragliato Petre con tanta facilità e soprattutto
che fosse riuscita a
portare via l’odiato cugino appena qualche ora prima della
partenza prevista
per l’Austria.
“Calmati
Tibor, distruggere i servizi da tè della reggia non
servirà a nulla”.
Ophélie
lo guardò serafica continuando a sorseggiare la
bevanda dalla propria tazza. Tibor le scoccò
un’occhiata tutt’altro che gentile
ma lei non parve farci caso. Ormai sapeva che non le avrebbe mai fatto
del
male, per lei provava quasi affetto, ammesso che sapesse quale fosse il
significato di tale parola.
“Ophélie,
la mia indulgenza non arriva a tanto, non prenderti
gioco di me”.
“Non
lo faccio. Ma agitarti servirebbe solo a dare
soddisfazione ai Beleznay e a madamigella Oscar che credono di averti
messo nel
sacco. Invece, András non
è ancora al sicuro”.
Tibor si fece
improvvisamente attento e si avvicinò a Ophélie
sedendosi accanto a lei. Aveva imparato che sotto quegli splendidi
boccoli
rossi la sua mente non riposava mai e probabilmente sapeva
già come ovviare al
‘loro’ problema.
“Spiegati”.
“Potrebbe
essere morto in seguito alle ferite, mi hai detto
tu che era persino affetto da febbre; e se così non fosse,
palazzo Jarjayes non
è una fortezza. Un uomo ben addestrato potrebbe introdurvisi
ed eliminare tuo
cugino nel cuore della notte”.
Tibor la
guardò scettico, per niente convinto di quell’idea
che gli sembrava insensata. Sicuramente madamigella Oscar avrebbe fatto
sorvegliare András, come avrebbe
potuto un qualsiasi
uomo introdursi nella camera di suo cugino?
“Avrà
qualcuno che lo sorvegli tutto il tempo, quella donna
non lo lascerà solo”.
“Credi
che sorveglierebbe anche me?”.
“Non
capisco dove voglia arrivare”.
“Lascia
fare a me. Non resterai deluso”.
Un sorriso
perverso attraversò il viso di Tibor che si
avvicinò per baciarla. Se c’era una cosa che aveva
imparato a conoscere di
Ophélie era proprio la sua straordinaria capacità
di soddisfarlo.
Oscar non si
mosse dal capezzale di Andrè per tutta la notte,
rifiutando di cedere il suo posto persino a Nanny o ad
Ariadné. Aveva spostato
una delle poltrone accanto al letto per essere sicura di averlo sempre
sott’occhio e quando lo sentiva più accaldato gli
tamponava il viso con una
pezzuola inumidita.
Si era
addormentata su quella stessa poltrona solo da pochi
minuti quando sorse il sole e Ariadné entrò
silenziosamente, avvicinandosi al
letto. Si premette le mani sulla bocca per non urlare quando vide in
che
condizioni era ridotto il volto di Andrè e gli
accarezzò la fronte, chinandosi
per posarvi un bacio.
“Mi
dispiace Andrè. Mi dispiace di tutto”.
Si mosse con
cautela per non svegliare Oscar e sedette sul
bordo del letto, accarezzandogli lievemente il viso. Le parole di Zalán le tornarono
subito alla mente: sebbene lui fosse in quello
stato, Tibor sarebbe rimasto impunito per il semplice motivo di essere
un
nobile. Era davvero ingiusto ma non c’era niente che
potessero fare per
cambiare lo stato di cose. Tibor contava meno di un’unghia di
Andrè, però era
nato in una famiglia nobile e quindi agli occhi del mondo valeva
esattamente il
contrario.
Lei poteva
cambiare questo destino ma era davvero così
semplice prendere la decisione che gli avrebbe cambiato la vita? Se lo
avessero
lasciato in Francia con la donna che amava come Andrè
Grandier, sarebbe tornato
a essere un semplice borghese, mentre se lo avessero privato di lei
riportandolo in Ungheria sarebbe rimasto un principe.
Lasciò
andare un lieve sospiro, portando lo sguardo su Oscar.
Lei non avrebbe consentito che lo riportassero con loro, ne era certa,
e Zalán invece si
sarebbe opposto alla permanenza in Francia; a quel
punto toccava a lei essere l’ago della bilancia e sostenere
l’uno o l’altra,
anche se si trattava della decisione più difficile che
avesse mai preso. Lei stessa
era combattuta fra due forti sentimenti, il desiderio di continuare a
essere una
madre per Andrè e quello opposto di privarsi di lui pur di
vederlo felice.
Se solo avesse
ricordato avrebbe deciso lui stesso ma al
momento del rapimento era ancora convinto di essere András Beleznay!
Aveva temuto che tornare in Francia avrebbe
risvegliato i ricordi perduti invece l’unica cosa che si era
ridestata era l’amore
per Oscar, troppo intenso da essere sopito, mentre la sua memoria era
ancora
dormiente.
“Andiamo,
svegliati figlio mio, non puoi più lasciare che
siano gli altri a decidere per te”.
Sorrise tra
sé delle sue stesse parole per aver definito
Andrè suo figlio; non lo era e probabilmente si sarebbe
sdegnato una volta
appresa la verità dei fatti. In che altro modo avrebbe
potuto reagire? Sebbene sapesse
che aveva un cuore d’oro, temeva la sua reazione nel momento
in cui avesse
saputo che lo avevano portato via costruendogli una vita artefatta pur
di
trattenerlo presso di loro. Era pronta anche al suo odio ma lo avrebbe
amato
per sempre come solo una madre sa fare; e una madre avrebbe fatto la
cosa
giusta.
Sollevò
il mento fissando la finestra illuminata dai raggi del
sole ormai visibile all’orizzonte. La sua decisione era
presa, ora toccava ad
Andrè.
Andrè
socchiuse gli occhi a fatica e si guardò intorno
smarrito. L’ultima cosa che ricordava era una cella fredda e
umida nel quale
era rinchiuso e… i colpi violenti e cattivi degli uomini di
Tibor. Il ricordo
gli fece stringere i pugni ma avvertì subito il dolore ai
polsi che come potè
constatare, erano stati steccati.
Volgendo la
testa di lato, vide Oscar addormentata sulla
poltrona e nonostante fosse indolenzito un po’ dappertutto,
sorrise,
prendendosi qualche momento per osservarla meglio. Sembrava
preoccupata,
persino nel sonno il suo viso non aveva perso l’espressione
accigliata che
aveva quando qualcosa la turbava.
Pian piano nella
sua mente si affacciarono le ultime immagini
che aveva visto in quel maledetto buco dove l’avevano
rinchiuso; Oscar che
tentava di svegliarlo chiamandolo per nome, chiamandolo… András.
Già.
Lei credeva ancora di avere davanti un principe
ungherese, lo stesso principe che aveva baciato con tanta passione e al
quale
si era affidata totalmente nel mulino della Hameau. Come avrebbe
reagito
sapendo che si trattava del suo attendente sparito un anno prima?
Era certo che
Oscar stesse ancora cercando il suo amico Andrè,
lo aveva capito dalle sue parole, ma quando lo aveva baciato chi stava
abbracciando dei due, il principe o l’attendente?
Lasciò andare un sospiro e
chiuse gli occhi, stanco di tutte quelle domande irrisolte che gli
turbinavano
in mente. Aveva bisogno di capire come stessero le cose, se davvero
Oscar amava
Andrè e non András.
Un fruscio lo
fece voltare di nuovo verso la poltrona dove
dormiva Oscar. Si era svegliata e cercava di sgranchirsi il collo, per
via
della posizione in cui aveva dormito. Non appena si accorse che
Andrè la stava
guardando scattò in piedi e si chinò su di lui,
tastandogli la fronte.
“Andr…
András, come ti
senti?”.
Andrè
richiuse gli occhi, deluso dal nome che aveva sentito
uscire dalle labbra di Oscar. Sentiva la voglia irrefrenabile di dirle
tutto,
rivelandole che András non era mai
esistito e c’era stato
sempre e solo lui, con tutto il suo amore.
“Male…
sento dolore dappertutto”.
“Credo
che sia normale, ti hanno malmenato”.
“Già,
c’ero anch’io”.
Oscar
incrociò le braccia al petto rimettendosi dritta. Quando
faceva così non
poteva non pensare che
davanti aveva pur sempre Andrè, il principe ungherese non
era mai stato tanto
sarcastico.
“Ma
davvero?”, lo incalzò sullo stesso tono.
“Si
davvero, Oscar, ho rischiato di nuovo la vita!”.
Urlarle contro
era l’ultima cosa che voleva ma tutto il
dolore fisico e morale che aveva accumulato era venuto fuori senza che
lo
controllasse. Era stanco di quella situazione, le avrebbe confessato
ogni cosa
se l’avesse lasciata parlare ancora e prima doveva sapere
cosa provasse Oscar.
“Andrè?”.
“Che
c’è?!”. Si morse la lingua per
ciò che si era lasciato
sfuggire ma fece finta di nulla. “Oscar questa discussione mi
ha stancato molto…
i miei genitori sono stati avvertiti?”.
Oscar lo stava
fissando dritto negli occhi, cercando la conferma
dei suoi sospetti. Andrè aveva recuperato la memoria o
almeno una parte di essa
ma per qualche motivo intendeva portare avanti la commedia e lei lo
avrebbe
accontentato, curiosa di scoprire dove volesse andare a parare.
“Si, i
principi sono qui a palazzo Jarjayes. Vuoi vederli?”.
“Non
vorrei che mia madre si sentisse male a vedermi conciato
così… da come mi fa male il viso non
dev’essere un bello spettacolo”.
“In
effetti, sei un mostro”.
Andrè
rise ma si pentì subito a causa dei forti dolori al
petto; le sue costole non trovavano affatto divertenti le parole di
Oscar. Si
voltò dall’altra parte tossendo e lei si
piegò sul letto, preoccupata delle sue
condizioni.
“András! Ti fa molto
male?”.
Lui si
voltò improvvisamente e sollevandosi appena dal
cuscino posò le labbra sulle sue in un bacio dolce e
agognato. In fondo, András non avrebbe
perso l’occasione e da quello che ricordava non
le dispiaceva affatto la sfrontatezza del principe ungherese, poteva
approfittarne.
Oscar ebbe un
attimo d’esitazione dopo il quale lo ricambiò,
posandogli
delicatamente le mani sul viso. Da quel primo bacio alla fontana le era
difficile
resistergli, poiché aveva capito quanto in quei gesti fosse
palpabile l’amore
che provavano l’uno per l’altra, e le sembravano la
cosa più naturale del mondo.
“Tu
dovresti riposare”, gli disse dopo, facendolo appoggiare
con delicatezza sui cuscini.
“Non
mi va di restare solo”.
“Tua
madre vuole vederti sin da quando ti abbiamo riportato
qui, stanotte. Mostro o non mostro, devo farla entrare, altrimenti
sospetto che
sfonderà la porta”.
Andrè
sorrise e annuì, godendosi le sue mani intorno al viso.
La Oscar che conosceva era sempre stata fredda e un po’
scostante ma forse
aveva solo bisogno che qualcuno le mostrasse quanto calore ci fosse nel
dimostrare, con i gesti, i propri sentimenti agli altri.
Sentì quasi freddo
quando lei si alzò per uscire dalla stanza.
“Oscar!”.
“Si?”.
“Tornerai
più tardi?”.
“Tornerò
sempre”, gli disse con un sorriso chiudendosi la
porta alle spalle.
************************************************************************************************
Rieccomi anche
oggi, con una bella dose di miele ^-^
Or dunque, non
è ancora finita, Tibor e la sua degna comare
tramano alle spalle del nostro povero Grandier! Chissà chi
la spunterà alla
fine, i finali oscuri sono ancora dietro l’angolo U.U
Grazie per le
recensioni e le letture, siete davvero troppo
gentili *-*
|
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Capitolo 22 *** Capitolo 21 ***
La stanza era
perfettamente illuminata dal sole ormai alto e
Andrè era disteso con la schiena appoggiata a dei cuscini,
così da trovarsi
parzialmente sollevato mentre parlava con i principi Beleznay. Zalán e
Ariadné erano stati entusiasti di sapere che finalmente
si fosse svegliato e avevano accettato di buon grado di vederlo. Dal
canto suo
anche Andrè fu molto felice di rivederli, sebbene avesse
preso una penosa
decisione: nonostante significasse probabilmente dir loro addio,
avrebbe rivelato
ai principi di aver riacquistato in parte la memoria. Zalán lo guardava,
osservando le fasciature che gli ricoprivano
il torace e le steccature intorno ai polsi.
“Come
ti senti figliolo?”.
“Meglio
padre”.
Aveva chinato il
capo rispondendo al principe, il quale in un
primo momento si chiese se non avesse detto di sentirsi meglio soltanto
per dar
loro sollievo; sembrava ci fosse qualcosa di grave alla base di quel
turbamento.
“András, cosa
c’è? Hai forse bisogno che
chiamiamo il medico?”.
“No
io… ho una cosa da dirvi”.
Zalán
restò in piedi vicino al letto
mentre sua moglie sedette guardando Andrè con un dolce
sorriso. Era evidente
che qualsiasi cosa fosse lo stava tormentando ma era pronta ad
ascoltarlo.
“Qualsiasi
cosa sia puoi dircela, non essere così agitato”.
Andrè
le sorrise grato, non potendo fare altrimenti; da
quando la conosceva, la principessa era stata sempre molto protettiva
con lui,
proprio come sarebbe stata sua madre. Proprio per questo, trovava
difficile
confessarle la sua decisione, sapeva che ne avrebbe sofferto molto;
tacere,
però, non era la soluzione.
“Io mi
ricordo”, disse tutto d’un fiato.
“Ricordo di
chiamarmi Andrè Grandier, di essere francese e
l’attendente di madamigella
Oscar. Alcuni momenti del mio passato sono ancora oscuri,
però ricordo bene
l’ultimo anno e voglio che sappiate che vi sono molto grato.
Sono stato felice
con voi in Transilvania, e un giorno tornerò a visitarla ma
quando voi
ripartirete io resterò qui”.
Ariadné
sgranò gli occhi per la sorpresa, turbata dalle
parole di Andrè. Aveva deciso che lo avrebbe lasciato in
Francia ma sentirgli
dire che era quello che lui desiderava le faceva uno strano effetto, a
metà tra
il sollievo e il dolore sordo della perdita.
“Andrè,
sei certo di questa decisione?”, intervenne Zalán che aveva
taciuto fino a quel momento. “Se restassi qui
come suo attendente, non potresti vivere insieme a Oscar. La
società francese
non approverebbe e il sovrano non darebbe mai il suo
consenso”.
“Ne
sono consapevole. Tuttavia, lasciare di nuovo Oscar,
adesso che ricordo bene chi lei sia e sono di nuovo consapevole di
quanto la
ami… non lo sopporterei padre”.
La principessa
posò una mano su quella di Andrè, sforzandosi
di sorridergli ancora, nonostante tutto. Il loro palazzo non sarebbe
più stato
lo stesso senza la presenza discreta ma allegra del loro figlio,
però avrebbe
avuto per sé la consapevolezza di saperlo felice e questo
poteva bastarle.
“E se
adottassimo te? Non András Hrovat ma
Andrè Grandier. Se tu
avessi un titolo nobiliare potresti amare la tua Oscar alla luce del
sole”.
Andrè
strinse i denti voltandosi a guardare il paesaggio
fuori dalla finestra. Odiava quell’imposizione, il dover aver
un titolo
qualsiasi per poter stare insieme alla donna che amava più
di sé stesso. Non
voleva piegarsi a quel gioco classista.
“No
madre, vi ringrazio. Preferisco restare quello che sono,
se lei mi ama davvero dovrà accontentarsi di un ex
stalliere”.
Zalán si
spostò, piazzandosi davanti alla
finestra sì da incrociare lo sguardo di Andrè.
Aveva imparato a decifrare ciò
che si agitava dentro quegli occhi verdi e ora vi leggeva
determinazione e
l’orgoglio di essere soltanto sé stesso.
“Andrè
pensaci su, non devi rispondere ora. Io sono sicuro
che madamigella Oscar ti ami, a prescindere dal titolo che accompagna
il tuo
nome e vogliamo solo darvi la possibilità di vivere la
vostra vita insieme, non
pretenderemo che assolva a nessun dovere come erede e soprattutto,
questa volta
faremo in modo che Tibor non sappia nulla. Quello che è
successo è molto
increscioso e ne sentiamo la colpa come se avessimo agito noi
stessi”.
Andrè
lo guardo incredulo e scosse la testa con decisione,
come a scacciare quelle parole.
“Non
dovreste nemmeno pensarlo, padre. Che colpa potreste
avere voi della malizia di Tibor? E poi se non sbaglio sono stato io
stesso a
offrirmi di essere adottato, ho le mie
responsabilità”.
Ariadné
gli strinse la mano, stupendosi ancora una volta di
quanto fosse grande il cuore di quel ragazzo. Stava prendendo su di
sé una
parte della responsabilità pur di alleggerire il fardello a
lei e Zalán.
“Adesso
basta Andrè, non pensare a questo. Voglio che
rifletta con calma su cosa fare quando ti sarai rimesso. Forse dovresti
parlarne con Oscar, lei potrebbe aiutarti a prendere la decisione
giusta”.
“No
madre, assolutamente!”. Notando lo sguardo perplesso
della principessa decise di spiegarsi meglio. “Io devo sapere
se mi ama davvero
oppure è innamorata di András, è
indispensabile”.
“Siete
la stessa persona”.
“András è
facile da amare, è un principe.
Amare me significa rischiare, accettare di vivere questo sentimento
all’ombra,
dove nessuno, tranne noi due, potrebbe vederlo, oppure accettare il
biasimo del
mondo per aver osato intrattenere una relazione con un servo”.
Zalán
tornò vicino a sua moglie posandole
le mani sulle spalle. Era fiero di sentire Andrè pronunciare
quelle parole, con
le quali dimostrava di essere un uomo.
“Comprendo
quali siano i tuoi timori figliolo. Proprio per
questo ti rinnovo l’offerta, potresti essere un principe pur
essendo Andrè
Grandier… in Ungheria almeno”.
“Il
titolo potrebbe non essere riconosciuto qui in Francia”,
disse Ariadné notando lo sguardo smarrito di
Andrè. “La regina Maria Antonietta
sta tentando di convincere il Re suo marito ad approvarlo ma non
è detto che
riesca”.
Andrè
abbassò lo sguardo, fissandosi le mani. “Vi
prometto
che penserò alla vostra proposta”.
Oscar si trovava
nel salotto al piano inferiore del palazzo,
rilassandosi davanti al camino acceso. Stese le gambe nel tentativo di
riprendersi dalla nottata trascorsa sulla poltrona, era stata una
pessima idea
rannicchiarsi lì. Non avrebbe voluto lasciare
Andrè ma i principi avevano tutto
il diritto di vederlo e parlare con lui senza che lei fosse presente,
dopotutto
pensavano di incontrare il loro adorato figlio.
Da quando aveva
chiuso la porta della stanza avvertiva
un’assenza bruciante e allo stesso tempo un’assurda
gioia. Andrè era a casa
finalmente, ricordava chi fosse e lei avrebbe potuto confessargli i
suoi
sentimenti. Arrossì come una ragazzina al solo pensiero ma
la sua ritrosia non
avrebbe dovuto costituire un impedimento, se lo ripromise.
Quello che
restava da capire era per quale motivo avesse
deciso di fingersi ancora András; di certo non
era una faccenda di
eredità, Andrè non era mai stato avido e aveva
visto come l’amnesia non lo
avesse cambiato. Era solo più sfrontato, naturalmente, visto
che non aveva più
l’obbligo di essere un silenzioso e discreto attendente che
poteva amarla solo
in silenzio. Si incantò a guardare il fuoco per qualche
momento: che fosse
proprio quello il motivo? Andrè si fingeva András per lei, per
poterle stare accanto
senza che nessuno frapponesse muri invisibili fra loro?
Si
passò la mano sulla fronte giocherellando nervosamente con
i propri capelli e si chinò a rintuzzare il fuoco. Quando si
attardavano
insieme era sempre Andrè che se ne occupava e sorrise al
ricordo. Quanto era
stata felice con lui? Lui la faceva sentire a proprio agio, la faceva
ridere,
poteva parlargli di tutto, confidargli ogni problema e riceverne quel
poco affetto
che avesse mai avuto nella vita… non erano forse stati
sempre una coppia?
Magari un poco insolita e priva di ogni aspetto fisico ma la sua stessa
esistenza era sempre stato Andrè.
Rimettendosi
seduta si strinse le braccia addosso immaginando
che fossero altre braccia che la cingevano, e si distese lasciandosi
cullare
dal calore delle fiamme. Quando sentì bussare, per poco non
cadde dalla
poltrona, stava diventando un vizio recarsi a casa sua quando si stava
rilassando in quella stanza?!
Una cameriera
accompagnò Girodelle da Oscar e quest’ultima
gli rivolse un’occhiata a dir poco stupita. Si erano lasciati
a notte fonda,
dopo aver portato Andrè a palazzo Jarjayes e non credeva di
rivederlo tanto
presto, tanto più che lo immaginava a Versailles a fare le
sue veci.
“Girodelle!
Cosa fate qui?”
“Non
mi fate accomodare?”.
Vedendo il
sorrisino che sfoggiava, Oscar si trattenne appena
dallo sbuffare e indicò l’altra poltrona,
facendogli cenno di sedersi. Trovava
irritante la sicurezza ostentata dal conte in ogni occasione.
“Prego”.
Girodelle si
accomodò tentando di ignorare il gelo che gli
stava riservando il comandante.
“Come
sta Andrè?”.
“András non sta
ancora bene. Ci vorrà del tempo perché si
riprenda da quelle ferite, d’altronde
sarebbe stato meglio se le avesse evitate, non trovate?”.
Non gli
sfuggì la sottile accusa contenuta in quelle parole e
d’altra parte se l’aspettava, conoscendo Oscar; era
una persona leale e mal
sopportava chi ignorava questo principio.
“Madamigella
Oscar, so bene che ciò che ho fatto non può
essere perdonato ma spero che almeno lo comprendiate”.
“Comprenderlo? Sono
io che spero sappiate quanto sia ridicolo ciò che chiedete!
Se ho stracciato le
prove false è solo perché non voglio che la
carriera di un valido ufficiale sia
compromessa da una pessima reputazione, non certo perché
voglia assicurarvi il
mio perdono incondizionato”.
“Non
so cosa dire, madamigella, io…”.
“Allora
tacete, a volte è consigliabile”.
Girodelle
scattò in piedi, fissando Oscar dritto negli occhi.
Teneva i pugni chiusi e le labbra erano serrate in una striscia sottile.
“Dovete
almeno stare a sentire il motivo che mi ha spinto a
farlo!”.
“Non
vi devo niente Girodelle! Avete partecipato al rapimento
di un ospite della Regina, vi spetterebbe la corte marziale!”.
Quelle parole
furono come una doccia fredda per il conte che
lasciò cadere le braccia e abbassò lo sguardo.
“Spero
che prima o poi riuscirete a perdonarmi. La sola cosa
che mi ha spinto a collaborare a un’azione tanto empia,
è stato l’amore che vi
porto. La gelosia mi ha accecato e ho creduto di aver trovato il modo
di
liberarmi di un rivale”.
Oscar scosse la
testa incredula: non poteva essere arrivato a
tanto, era la motivazione più stupida che avesse mai sentito.
“Dicendomi
questo state solo aggravando la vostra posizione.
L’amore che dite di provare non è una
giustificazione per nulla, tanto meno per
aver messo in così grave pericolo una persona che sapevate
già essere molto
importante per me”.
Girodelle teneva
lo sguardo basso, incapace di sostenere
quello di Oscar, duro e tagliente come sapeva essere lei. Aveva creduto
che
aiutarla a riprendere Andrè avrebbe mitigato la rabbia nei
suoi confronti ma
evidentemente non bastava.
“Non
burlatevi dei miei sentimenti, madamigella Oscar, sono
sinceri. Quale altra forza al mondo mi avrebbe spinto a rischiare
tanto?”.
Oscar si
alzò a sua volta, tenendo le braccia incrociate al
petto. Se era turbata dalla confessione di Girodelle non lo dava a
vedere,
sembrava solo arrabbiata.
“Non
mi prendo gioco di voi, sapete che è un atteggiamento
che mi è estraneo. Tuttavia, quello che è
successo non può essere cancellato
solo perché mi avete spiegato cosa vi ha spinto ad agire,
spero lo
comprendiate”.
“Certo,
madamigella Oscar. La mia sola speranza è che
possiate perdonarmi, prima o poi”.
Così
dicendo, il conte di Girodelle si inchinò
rispettosamente in segno di saluto.
“Conosco
la strada”, disse, e uscì dalla stanza lasciando
un’ancora
incredula Oscar a rimuginare su ciò che aveva appena saputo.
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E che
cavolo, ci voleva un bel cazziatone a quello scemo di Girodelle
u.ù
Oltre questo,
capitolo di chiarimenti direi, sicuramente noioso rispetto ad altri ma
necessario
Come sempre,
grazie per le letture e le recensioni, troppo buone!
|
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Capitolo 23 *** Capitolo 22 ***
I giorni
seguenti per Oscar non furono affatto semplici,
impegnata a destreggiarsi tra un Andrè insolitamente
capriccioso che la voleva
sempre con sé, e le fughe rocambolesche a cui si costringeva
ogni volta che
intravedeva in lontananza la cara Nanny. Non intendeva tenerla
all’oscuro della
vera identità di Andrè ma per il momento la cosa
migliore era che gli unici ad
esserne a conoscenza fossero lei stessa e i Beleznay.
Lui dal canto
suo, continuava a comportarsi come se non
avesse memoria e Oscar cominciava a perdere la pazienza; senza contare
che la
costringeva a stare con lui più tempo possibile, sapendo che
lei non poteva
rifiutare: sarebbe stato molto scortese nei confronti del principe András Beleznay.
Lo
guardò di sottecchi, non vista, e pensò che era
cambiato
davvero poco da quando era sparito; anzi, con i capelli di nuovo lunghi
era
proprio il solito Andrè che conosceva da sempre, la sua
ombra. Improvvisamente
si voltò a guardarla e le sorrise facendole cenno di sedersi
sul letto accanto
a lui e Oscar non riuscì a dirgli di no.
“Ti
vedo pensierosa Oscar. Cosa c’è che non
va?”.
“Non
mi va giù che non ci siano prove del coinvolgimento di
Tibor. La passerà liscia in questo modo e non posso certo
accusare Girodelle,
ha sbagliato ma non merita la corte marziale”.
Andrè
annuì avvicinando la mano alla sua, anche se stringerla
gli era impossibile: il medico aveva rifatto la fasciatura steccando
così
strettamente i polsi, che poteva muovere appena le dita.
“Non
posso ancora credere che si sia prestato a un atto del
genere, non è da lui”.
Un lampo di
malizia attraversò gli occhi di Oscar che
guardava le loro mani mentre picchiettava con le dita su quella di
Andrè.
“Mi ha
detto di averlo fatto perché mi ama. Intendeva
liberarsi di un rivale”.
Dovette farsi
violenza per non ridere quando vide la sua
espressione, a metà tra il sorpreso e l’infuriato.
Andrè boccheggiava, come se
non sapesse cosa dire, mentre il suo colorito si faceva sempre
più acceso.
“Ti
ama?”.
Lo
guardò stupita, chiedendosi se avesse sentito tutta la
frase. Credeva che sarebbe esploso contro Girodelle che lo aveva messo
in
pericolo, invece pareva avesse recepito solo la parte che riguardava
lei. Per
la prima volta nella sua vita, Oscar avvertì piacevolmente
cosa significasse
essere il centro dei pensieri di un’altra persona; doveva
essere quello
l’orgoglio femminile che aveva sempre represso.
“Si,
mi ama. In effetti, pensandoci bene avrei dovuto
capirlo, è sempre stato un gentiluomo, così
galante e…”.
“Oscar!”.
“Dimmi
András”.
Oscar si
era avvicinata al viso imbronciato di Andrè, incatenando lo
sguardo al suo.
“Mi
state provocando senza ritegno, madamigella Oscar”.
Oscar rise
chinando leggermente il capo e Andrè pensò che
non
era mai stata tanto bella come in quel momento. O forse si,
c’era stato un
tempo in cui lo era stata prima di allora; quando, ancora bambino,
aveva
incontrato una piccola peste dai riccioli d’oro che era
diventata la sua
compagna di giochi e sapeva ancora ridere spensierata. Il tempo aveva
rinchiuso
quella bambina allegra dentro i lustrini e le medaglie di
un’uniforme,
lasciando in superficie solo l’algida donna soldato, il divertissement[1] della corte di
Versailles.
Abbassò
il capo fino a poggiare la fronte contro quella di
lei e chiuse gli occhi. La decisione da prendere diventava sempre
più
difficile; voleva davvero che lo amasse per quello che era, eppure
accettare
l’offerta dei Beleznay avrebbe significato riportare in vita
la sua bambina
perché insegnasse alla sua donna a non lasciar andare
l’allegria. Oscar avrebbe
potuto amarlo ma non sarebbe mai stata spensierata se avesse dovuto
nascondere
il loro amore dal resto del mondo.
“András?”
La voce che
amava di più lo riportò con i piedi per terra e
alzò la testa per guardare Oscar. Gli stava sorridendo e per
una volta Andrè
non seppe prevedere quello che avrebbe fatto quando gli cinse il collo
con le
braccia e lo baciò, dolcemente, sfiorandogli le labbra.
Era talmente
stupito che rimase immobile per qualche momento
prima di cingerle la schiena e stringerla contro di sé,
facendo aderire i loro
corpi che combaciavano perfettamente, quasi fossero le tessere di un
mosaico. Per
anni aveva desiderato poter baciare Oscar e adesso era lei che prendeva
l’iniziativa,
timidamente ma senza esitazioni di sorta, e quel contatto era
ciò che di più
dolce avesse assaporato nella vita. Lei amava l’uomo che
aveva davanti, ne era
certo; ma chi era quest’uomo?
Oscar si
staccò da lui e lo guardò, accarezzandogli il
viso;
i lividi stavano scomparendo ormai e i suoi lineamenti perfetti erano
ben
distinguibili. Senza rendersene conto si ritrovò a
sorridergli, e decise che
quello era il momento adatto per confessargli i suoi sentimenti.
“Voglio
parlare di cosa c’è tra noi”.
Andrè
le baciò il naso, trattenendo una risata. Come al
solito, Oscar François de Jarjayes decideva cosa fare e non
ammetteva rifiuti. Ma
in fondo aveva ragione lei; continuare a rubarsi baci appassionati
quando erano
soli, senza parlare di cosa significassero, non li avrebbe portati a
nulla. La strinse
di nuovo, e lei nascose il viso nell’incavo del suo collo.
“Io ti
amo Oscar. Ti amo come non ho mai amato prima, sei il
centro costante dei miei pensieri, un nettare dolceamaro che permea
ogni fibra
del mio essere. Solo per poterti rivedere mi sono aggrappato alla vita
durante
la prigionia”.
Oscar
sbatté le palpebre per impedirsi di versare le lacrime
che le avevano inumidito gli occhi al sentire la confessione di
Andrè; aveva
intuito da tempo quali fossero i suoi sentimenti ma sentirlo
pronunciare dalle
sue labbra era diverso, così vero e intenso da far male.
“Io…”,
le mancavano le parole ma si costrinse a parlare. “Quando
ti hanno portato via da me ho capito, ho capito tutto quello che avevo
cercato
di nascondere, a me stessa per prima. Tu non c’eri
più e mi sono sentita
morire, soffocata dal rimorso di non aver capito prima
che…”.
Andrè
sorrise intenerito, appoggiando la guancia sulla testa
di Oscar. Avrebbe voluto poterla accarezzare per tranquillizzarla e
renderle le
cose più facili: conoscendola, doveva essere molto difficile
per lei
confessargli ciò che provava.
“Cosa
non avevi capito?”.
“Che
ti amo”.
Chiuse gli occhi
stringendola più forte a sé, incredulo nel
sentire finalmente le parole che desiderava udire da una vita intera.
Un’ultima
cosa doveva sapere, se fosse proprio Andrè Grandier
l’uomo che Oscar amava; e per
la seconda volta in pochi minuti, lei lo lasciò senza parole.
“Che cosa c’è in un nome?
Quel che noi chiamiamo col nome di rosa, anche se lo chiamassimo
d’un altro
nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo[2]”.
Aveva sussurrato
quelle parole contro il suo collo,
soffiandole sulla pelle mentre si sollevava; Andrè
rabbrividì guardandola.
“Oscar,
cosa intendi dire?”.
“Credi
mi importi se puoi fregiarti o meno del titolo di
principe? Non sei forse sempre il mio Andrè,
l’unico e il solo che mi abbia mai
davvero amato? Tu non hai perso di vista la vera Oscar nemmeno quando
io stessa
l’ho smarrita, reprimendola dietro l’uniforme che
mio padre ha scelto per me. Oscar
François de Jarjayes non è nulla senza
Andrè Grandier al suo fianco”.
Andrè
la guardò commosso e l’abbracciò
posando il capo sul
suo petto. Sentiva tanta felicità nel cuore che temeva
sarebbe esploso da un
momento all’altro, perché era troppa…
troppa da sopportare da solo, però lui
non era solo. C’era la sua Oscar con lui, la donna che amava
e teneramente gli
stava accarezzando i capelli, stringendolo come se temesse di vederlo
svanire.
“Tu
davvero ami me? Non avresti preferito forse che ci fosse
davvero András qui al mio
posto?”.
“Se
András non fosse
stato Andrè, non gli
avrei concesso nemmeno la mia amicizia. È troppo
impertinente”.
Andrè
rise di cuore. “E’ soltanto libero di
amarti”.
“Anche
tu lo sei”.
“No,
io non lo sono Oscar. Sono un servo e come tale non
posso far altro che vivere alla tua ombra, essere la tua ombra. Amarti
non mi è
concesso”.
Oscar
aggrottò le sopracciglia nell’udire quelle parole.
Purtroppo
ciò che diceva Andrè corrispondeva al vero,
avrebbero impedito loro di vivere questo
amore, suo padre per primo. Al momento, però, non voleva
pensarci; era un
atteggiamento immaturo, ne era consapevole ma per il momento lui era
András Beleznay e
nessuno avrebbe trovato niente da ridire in una
loro eventuale relazione.
“Io ti
amo Andrè, e tu ami me. Non pensiamo ad altro adesso,
ti prego”.
Andrè
sollevò il capo guardandola furbescamente e le
posò un
bacio sul collo.
“Posso
essere l’impertinente András ancora per un
po’?”.
“Mi
chiedevo quando sarebbe tornato”.
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Una dose extra
di miele per questo capitolo, breve ma intenso
secondo me (le uova di Pasqua portano diabete evidentemente XD)
E ritornano i
famigerati appuntini :D
[1] Divertissement
è qui inteso nell’accezione teorizzata da Blaise
Pascal, come divertimento
negativo teso a rifuggire la condizione di infelicità
dell’essere umano; Andrè
intende come i nobili di Versailles, impegnati a divertirsi alle spalle
del “fenomeno
Oscar” non vedessero quanto fosse triste la loro stessa
condizione.
[2]
Naturalmente, questa è una citazione da Shakespeare,
dalla celeberrima “Scena del balcone” del Romeo
e Giulietta
E con questo
capitolo dolce, dolce, troppo dolce, vi auguro
una Buona Pasqua; sicuramente non potrò aggiornare nei
prossimi giorni, dal
momento che mi trascineranno via da casa, ci risentiamo dopo Pasquetta.
Gli
aggiornamenti probabilmente subiranno comunque una
rarefazione perché comincio un nuovo lavoro, quindi molto
dipenderà dal tempo
libero a mia disposizione.
Di nuovo tanti
auguri, grazie, come sempre, per le letture e
le recensioni e a presto <3
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Capitolo 24 *** Capitolo 23 ***
Oscar rimase con
Andrè ancora per un po’, lasciandosi cullare
da quella beatitudine che, sapeva, avrebbe perso fin troppo presto. Non
sarebbe
mai stato accettato come il suo uomo; poteva essere il suo attendente
senza che
nessuno lo trovasse strano ma se avesse deciso di rendere pubblica la
loro
relazione… raggelò pensando che probabilmente suo
padre avrebbe trovato il modo
di farlo condannare a morte piuttosto che accettare quel disonore.
Era a conoscenza
della proposta che i Beleznay avevano fatto
ad Andrè e anche se comprendeva benissimo
l’orgoglio che lo spingeva a
rifiutare, sperava quasi che cambiasse idea: se lui fosse stato nobile
avrebbero potuto stare insieme tranquillamente, senza preoccuparsi
della corte
di Versailles e delle reazioni inconsulte di suo padre. Un sospiro le
sfuggì
dalle labbra prima che potesse impedirlo e Andrè la
guardò preoccupato.
“Oscar,
va tutto bene?”.
“Si.
Stavo solo pensando che ci aspettano delle decisioni
davvero difficili da prendere”, disse rannicchiandosi fra le
sue braccia.
“Sono
io che devo decidere. Ti prometto, però, che farò
la
scelta giusta per entrambi”.
“Andrè
devi decidere quello che ti fa stare meglio, non
quello che fa stare bene me. Se tu preferissi tornare a lavorare qui,
rinunciando
per sempre a ogni pretesa di nobiltà, io lo
accetterei”.
Andrè
scosse il capo, poggiando la guancia su quello di
Oscar. Le accarezzava lentamente i capelli con le punte delle dita,
beandosi
del calore dei loro corpi vicini.
“Oscar
non posso decidere senza tenere conto di te. Forse
potevo farlo quando ignoravo i tuoi sentimenti ma adesso che so cosa
provi per
me sarebbe impossibile. Dobbiamo scegliere insieme il nostro futuro,
non
intendo separarmi da te per nessuna ragione e se voglio impedire che
succeda,
devo prendere le decisioni giuste”.
Oscar nascose un
sorriso contro il torace di Andrè, indecisa
se ringraziare o maledire le fasciature che gli coprivano la pelle
vietandole
il contatto con la sua.
“Sempre
premuroso il mio Andrè”.
Lui sorrise e
arrossì lievemente, scoprendosi improvvisamente
timido quando la sentiva pronunciare simili parole rivolte a lui. Se
ripensava
alla misera condizione di innamorato senza speranza e disilluso,
vissuta solo
qualche tempo prima! E invece, davanti agli occhi e fra le braccia
aveva una
nuova Oscar, che nemmeno nei suoi sogni più folli avrebbe
mai osato inventare.
Innamorata, dolce e condiscendente, e così donna come non lo
sarebbe stata
indossando tutte le trine e i merletti di Versailles.
Oscar sapeva
cavalcare, sparare e tirare di scherma; e Andrè
trovava tutto questo estremamente femminile e conturbante. Adorava
sentirla
ridere e ancor più vederla sorridere; amava baciare quelle
labbra che troppe
volte aveva visto contratte nella rigida compostezza del soldato. E non
voleva
più privarsi di niente di tutto ciò.
“Oscar,
credo che parlerò ai principi”.
“Andrè,
pensaci bene. Da una decisione del genere non si
torna indietro”.
“Non
voglio più separarmi da te, lo capisci? Tuo padre non
accetterebbe mai di vederci insieme, piuttosto ti darebbe in sposa, e
se lo
facesse io non potrei più essere nemmeno il tuo
attendente”.
Oscar si
tirò su, guardando il bel viso di Andrè nel quale
poteva
leggere amore e risolutezza ma anche paura. Temeva che le sue azioni
potessero
ferire entrambi, ferire lei. Mai avrebbe pensato di poter affidare il
suo cuore
a un’altra persona, eppure se questi era Andrè,
allora diventava la cosa più
naturale al mondo, non doveva temere nulla.
“D’accordo
Andrè. Se ti fa stare più tranquillo,
accetterò di
buon grado di essere la fidanzata del principe Andrè
Beleznay!”.
Andrè
sembrò realizzare solo grazie alle parole di Oscar cosa
avrebbe significato tornare a essere un principe ungherese. Regole su
regole,
etichetta da rispettare in ogni circostanza e fidanzamento obbligatorio
per
mantenere il buon nome dei rispettivi casati. Ma lei avrebbe accettato
di
essere trattata alla stregua delle altre donne?
“Oscar…
io non ti costringerò mai ad andare contro il tuo
modo di essere, lo sai vero?”.
Lei sorrise
prendendo il viso di Andrè fra le mani e gli posò
un delicato bacio sulle labbra. “Lo so. E tu sai che in
pubblico non sarò mai
tanto espansiva, giusto?”.
“E
cosa vuoi che mi importi del pubblico? Preferisco di gran
lunga che tu lo sia nel privato della nostra camera da letto”.
“La nostra camera
da letto?”.
“La
nostra, la mia, la tua… quella che preferisci”.
Così
dicendo si era chinato a baciarle il collo per poi
risalire fino al lobo dell’orecchio che catturò
fra le labbra. Oscar rabbrividì
lasciandosi sfuggire un gemito mentre gettava il capo
all’indietro e chiudeva
gli occhi, persa nelle sensazioni che stava provando. Il suo respiro si
fece
corto quando sentì le mani di Andrè posarsi sulla
sua pelle, appena sotto le
fasce che sfiorava con i pollici.
“Voglio
che le tolga”, soffiò sulle sue labbra di cui si
impadronì con prepotenza costringendola a schiuderle e
impegnandola in una
forma di duello del tutto nuova.
“Andrè…”,
sospirò Oscar quando la lasciò andare.
“Di cosa
parli?”.
“Delle
fasce. Voglio che tu sia te stessa e dovresti
accettare di essere nient’altro che una donna, una bellissima
donna; non
mortificare la tua femminilità a quel modo”.
Le
sfilò la camicia dai pantaloni lasciandola scivolare
lentamente sulle sue spalle candide fino a toglierla completamente e
lei lo
lasciò fare, arrendevole come mai in vita sua.
Andrè le posò un delicato bacio
sulla clavicola e tracciò con le labbra la lunghezza del suo
braccio fino alla
mano, accarezzando ciò che prima aveva baciato. Oscar teneva
gli occhi
socchiusi, lucidi del piacere che stava provando e le guance arrossate
le
davano un’aria che Andrè trovò
assolutamente adorabile. Gli circondò il viso
con le mani, avvicinandolo al proprio e gli allacciò le
braccia al collo.
“Non
le indosserò più”.
Sorrise e questa
volta fu lei a prendere l’iniziativa,
baciandolo con una passione che lei stessa stentava a credere fosse
solo sopita
dentro sè. Intrecciò le dita nei suoi capelli
scuri, così morbidi come non
avrebbe creduto, e si strinse maggiormente contro il suo corpo; sentire
senza
nessun ostacolo la pelle contro la sua le provocò un tremito
che la fece gemere
sulla bocca di Andrè. Lui sorrise a sua volta stendendosi
all’indietro sui
cuscini e la trascinò su di sé percorrendole la
schiena nuda con i polpastrelli
e Oscar lo sorprese disegnando la sua mandibola con piccoli baci
mentre
gli accarezzava le spalle. Scese lungo il collo tracciando un percorso
immaginario sulla sua pelle fino al petto dove indugiò,
avvertendo
distintamente contro la gamba l’effetto che gli stava
provocando. Andrè si
sollevò liberandosi in fretta della camicia già
sbottonata e tornò a stringere
Oscar, baciandola mentre armeggiava con le fasce cercando di toglierle.
Dopo
qualche inutile tentativo sbuffò guardandola.
“Se
non le togli tu, le strappo a morsi”.
Oscar non
potè impedirsi di ridere, divertita
dall’espressione frustrata di Andrè e
cominciò a svolgerle lentamente, sotto il
suo sguardo impaziente. Quando le lasciò cadere sul
pavimento, la fece stendere
sotto di sé, baciandola a lungo e con passione mentre le
accarezzava il seno
che si rivelò essere fatto apposta per stare nella sua mano.
“Vedi?
Siamo fatti l’uno per l’altra”.
Oscar gli cinse
il collo con le braccia, per niente
intimidita da gesti tanto intimi che pure muoveva per la prima volta.
Gli accarezzò
la schiena, sentendo i muscoli guizzare sotto le dita, e solo quando
raggiunse
l’orlo dei pantaloni si fermò guardando negli
occhi Andrè. Ma quei pozzi
abissali erano davvero gli occhi di Andrè? Erano sue quelle
dita che la
frugavano accarezzandola?
“Andrè…”.
“Non
farò niente che tu non voglia, Oscar. Devi solo dirmelo
e mi fermerò”.
Scosse la testa
percorrendo con le dita i lineamenti del suo
uomo. “Voglio che stia con me, Andrè. Come fossi
mio marito”.
Andrè
le sorrise baciandole le gote imporporate per quella
richiesta, tanto audace considerato da chi proveniva. Le impose il
ritmo lento
di un bacio mentre, e il come Oscar se lo chiese a lungo in seguito, le
tolse i
pantaloni e si spogliò a sua volta. Approfondì il
bacio, spostandosi sul collo,
le spalle e infine sul seno, dove si trattenne a lungo, facendola
gemere di
desiderio insoddisfatto; quando la sentì allacciare le
caviglie attorno alle
sue gambe, non riuscì a trattenersi oltre e si spinse in lei
con un unico
fluido movimento.
Si
fermò, dandole modo di abituarsi ad averlo dentro di
sé e
un altro bacio spense il grido che le era salito alla gola. Solo quando
la
sentì di nuovo rilassarsi sotto di lui ricominciò
a muoversi, soddisfatto degli
ansiti di puro piacere che sentiva e pronunciava.
Oscar lo strinse
più forte, stringendogli i capelli fra le
dita per avvicinarlo al suo viso e baciarlo ancora, gemendo nella sua
bocca,
tenendolo vicino come se temesse di lasciarlo andare; fin quando perse
completamente il raziocinio, consapevole soltanto del movimento
sincrono dei
loro corpi che la condusse infine al massimo del piacere,
costringendola a
mordersi le labbra per non urlare.
Andrè
si rese vagamente conto di essere giunto anch’egli al
culmine e fece per ritrarsi da lei ma Oscar lo trattenne,
circondandogli i fianchi
con le gambe.
“Resta…”
“Oscar
no… è rischioso…”.
“Resta”,
gli intimò di nuovo, attirandolo ancora dentro il
suo corpo nel quale lui raggiunse l’estasi con un grido
soffocato contro il suo
collo. Lo abbracciò, tenendolo col capo sul suo petto e
restarono così per un
tempo che nessuno dei due seppe definire, i respiri affannati che
tentavano di tornare
alla normalità. Infine Andrè si spostò
da lei, stendendosi supino e
stringendola contro il suo petto.
“Cosa
mi hai fatto fare Oscar…”.
Oscar sorrise
abbracciando Andrè e appoggiò la guancia sul
suo petto. “So bene cosa potrebbe succedere. Ma dovevo
sentirti interamente mio.
Tu sei mio Andrè”.
Lo
sentì ridere sotto di sé e abbracciarla
più stretta. “Anche
tu sei mia. Mia e di nessun altro”.
Andrè
la vide tirar su le coperte e rannicchiarglisi contro,
tornando al sicuro nel suo abbraccio, una gamba distesa sul suo corpo,
prontamente raggiunta dalla sua mano.
“Oscar,
ascolta”.
“Uhm?”,
fece lei, a un passo dal sonno.
“Ecco…
forse sono stato irruento e… ti ho fatto molto
male?”.
Oscar gli
regalò uno dei suoi sorrisi più belli e si tese a
baciarlo. “Solo un po’. Ma ne è valsa la
pena”, mormorò contro il suo collo,
mentre Morfeo la accoglieva fra le sue braccia.
Andrè
sorrise sollevato e si rilassò, colto anch’egli
dal
sonno mentre accarezzava i riccioli biondi di Oscar.
Una carrozza con
lo stemma del corvo e del leone[1] si fermò
nel cortile di palazzo Jarjayes e la persona che ne scese chiese di
poter
convenire con il generale. Nanny la condusse allo studio, non senza
perplessità, e la introdusse a lui.
“Generale,
perdonatemi se vi disturbo ma c’è una persona che
chiede di voi”.
“Di
chi si tratta?”.
“La
contessa Ophélie de Sombrefleuve”.
Il generale
alzò la testa dai documenti che stava leggendo,
chiaramente stupito dell’identità della sua ospite.
“Ophélie
de Sombrefleuve? E cosa potrebbe mai volere da me
quella donna?”.
Nanny scosse il
capo, sistemandosi gli occhialetti tondi. “Non
ha voluto mettermi al corrente generale, sostiene che si tratta di una
faccenda
privata che discuterà solo e soltanto con voi”.
François
Augustin Reynier de Jarjayes intrecciò le mani sotto al mento,
soppesando le parole della governante. Ophélie non era
persona con cui
stringere legami, a meno che non si intendessero perdere i favori della
corte;
eppure non si era mai nemmeno accostata a lui, se ora trovava il
coraggio di
farlo, probabilmente doveva comunicargli qualcosa di molto importante.
“Falla
accomodare”.
Nanny si
ritirò con un inchino e lasciò entrare
Ophélie che
si avvicinò con il suo passo sinuoso ed elegante alla
scrivania del generale;
questi gli fece cenno di accomodarsi sulla sedia posta di fronte a lui
e non se
lo fece ripetere.
“Contessa
de Sombrefleuve, non posso negare che sia una
sorpresa vedervi nella mia residenza”.
Ophélie
chinò il capo, sorridendo condiscendente. “Avete
perfettamente ragione generale, e credetemi, non vi avrei importunato
se non
fossi in possesso di informazioni che potrebbero essere di vitale
importanza
per voi”.
“Vitale
importanza? Cosa potrà mai essere?”.
“Si
tratta di vostro figlio, Oscar”.
************************************************************************************************
Lo so che mi
avevate data per dispersa, lo so… ma se mettete
le pratiche per un nuovo lavoro a cavallo delle feste di Pasqua,
immaginate
cosa ne possa uscire. In più, la linea è stata
assente per una giornata intera
o poco meno, cosa voglio di più dalla vita -.-“?
Lasciamo stare
u.ù
Come al solito
mi lamento, questo capitolo non mi piace e non
credo mi piacerà nemmeno fra 100 riletture, le scene hot mi
fanno perdere tempo
e non mi riescono bene, non per niente di solito le evito u.ù
Appuntino
*ghigna*
[1] Quando
l’ho descritto precedentemente, ho dimenticato di
specificare che questo è il vero stemma della famiglia
Hunyadi, non sono abbastanza
geniale per inventarmi l’araldica XD
Piccola
informazione, non so quante di voi lo sanno e ho
dimenticato sempre di scriverlo (ve lo dico adesso, magari se non lo
sapevate mi
perdonate il ritardo di questo e dei prossimi capitoli ^^”):
la Toei Animation
ha in cantiere una nuova serie animata per Versailles no Bara, questa
volta più
fedele al manga sia per storia che per character design. Devo dire che
preferisco i personaggi che conosciamo da sempre ma chissà,
aspettiamo e
vediamo ;)
Grazie mille per
il vostro costante sostegno, a presto <3
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Capitolo 25 *** Capitolo 24 ***
Ophélie
guardava il generale Jarjayes con un’espressione che
voleva essere contrita, sfiorandosi la fronte con la mano sottile.
“Credetemi
generale, se avessi saputo prima avrei potuto fare
qualcosa ma…”.
Si
fermò di proposito, in attesa che il suo ascoltatore
avesse una qualche reazione; non dovette attendere molto prima di
vedere il
viso del solitamente impassibile generale, assumere una soddisfacente
tonalità
pallida.
“Vi
prego di spiegarvi meglio, contessa”.
“Certamente,
ecco… si tratta del principe ungherese, András Beleznay. Vi
sarete accorto che frequenta assiduamente
vostra figlia”.
“Mio figlio è un
soldato. Non gli servono degli spasimanti”.
Ophélie
nascose un sorriso di trionfo dietro la mano,
sollevata a coprire il viso fintamente contratto dal dispiacere.
“Generale
ascoltatemi. Vostra figlia Oscar e il principe
Beleznay passano molto tempo insieme e questo sarebbe il male minore se
lui
fosse nobile”.
Il generale
assottigliò gli occhi fissando la donna davanti a
sé. Lo credeva tanto stupido da non aver riconosciuto
l’uomo che era suo ospite
da praticamente tutta la vita, oltre che le ultime settimane?
Desiderava però,
capire dove volesse andare a parare la contessa de Sombrefleuve,
perciò decise
di far finta di nulla.
“Non
vi capisco contessa. Come può un principe ungherese non
essere nobile?”.
“Semplicemente,
quell’uomo non è ungherese. È francese
e non
si tratta di altri che dell’attendente di vostra figlia. I
Beleznay lo hanno
adottato per le loro sporche macchinazioni, nell’intento di
togliere al duca
Hunyadi l’eredità che gli spetta per
discendenza”.
Lui
intrecciò le dita sotto il mento, scrutando il viso della
sua informatrice. Sembrava sicura di ciò che diceva ma come
poteva esserlo così
tanto?
“Ditemi,
come siete venuta in possesso di tali
informazioni?”.
“Ho le
mie fonti, generale. I domestici si conoscono meglio
dei loro stessi padroni e si parlano… e soprattutto
ascoltano quando sono fra
le pareti dei nostri palazzi”.
Il generale
Jarjayes si alzò dalla sedia, dando le spalle a
Ophélie nel fermarsi davanti alla finestra.
“Cosa
credete dovrei fare contessa? Ufficialmente quell’uomo
è il figlio dei principi Beleznay, ospiti molto cari alla
nostra Regina”.
Così
dicendo si era voltato di nuovo verso di lei, puntandole
i penetranti occhi azzurri in viso.
“Ecco…
non saprei come potremmo, però… dovremmo
smascherarlo,
costituisce un pericolo per vostra figlia e per il duca
Hunyadi”.
“Per
questo motivo lo aveva fatto sparire?”.
“Intendeva
portarlo in Austria perché fosse processato per
aver ingannato i Beleznay. Anche se sa bene che non
c’è nessun inganno, il suo
cuore gli impedisce di accusare i propri zii”.
Il generale
restò immobile guardando Ophélie con un
sopracciglio inarcato.
“Farò
in modo di darvi il mio aiuto contessa, a patto che
stiate lontana da mia figlia. Voi e il vostro amico,
il duca Hunyadi”
Ophélie
scosse la testa, i riccioli rossi ad accompagnare
quel movimento.
“Non
faremmo mai del male a madamigella Oscar, generale, però
voi dovrete assicurarmi che lei non costituirà impedimento.
Mi dispiace che si
sia lasciata ingannare, ma è invaghita di
quell’uomo e ci fermerebbe se
tentassimo di portarlo via”.
François
de Jarjayes tornò a sedersi alla scrivania,
massaggiandosi il mento mentre rifletteva sulle parole della contessa.
Doveva
essere veramente sciocca o ingenua se pensava di averlo convinto con
quella
storia; soprattutto, se il duca Hunyadi aveva veramente intenzione di
consegnare Andrè alle autorità perché
non denunciarlo ai sovrani francesi che
avrebbero senza dubbio assicurato il loro aiuto? Portare via il
principe András Beleznay senza
avere le prove di ciò che asseriva,
equivaleva a un rapimento.
Conosceva bene
Andrè, era cresciuto sotto il suo tetto e lui
stesso lo aveva scelto perché stesse accanto a Oscar e la
proteggesse, sapendo
quanto il suo animo fosse nobile; posto davanti all’idea, era
certo che non
avrebbe rifiutato la mano di sua figlia al principe ungherese, pur
sapendo di
chi si trattasse in realtà.
Il duca Hunyadi
e la contessa de Sombrefleuve insieme
costituivano una coppia strana ma inquietante e doveva scoprire come
intendessero agire. Avrebbe impedito che ferissero sua figlia, in
qualsiasi
modo.
“Ditemi,
cosa vorreste che facessi per aiutarvi a catturare
questo farabutto?”.
“Permettetemi
di parlare con lui. Tenterò di convincerlo ad
allontanarsi di sua volontà, senza coinvolgere madamigella
Oscar”.
“Avete
il mio permesso, ma non oggi. Il principe è ancora
convalescente, manderò un messo ai vostri appartamenti a
Versailles, quando
potrete incontrarlo”.
Ophélie
si alzò, la soddisfazione chiaramente leggibile sul
suo bel volto. Era certa di aver trovato la strada giusta, molto presto
Tibor
avrebbe avuto ciò che voleva; e se lui fosse stato felice,
sarebbe stato un
gran vantaggio anche per lei.
“Vi
ringrazio, generale. Attenderò vostre notizie”.
Salutò
chinando il capo e uscì dallo studio del generale,
senza attendere che lui la accompagnasse. Risalì sulla
carrozza del duca
Hunyadi, ordinando di essere condotta immediatamente a Versailles;
Tibor doveva
sapere che al più presto si sarebbe liberato
dell’odiato cugino András.
Andrè
socchiuse gli occhi, inizialmente convinto di aver sognato Oscar ancora
una
volta; una sinuosa realtà con lunghi riccioli biondi si fece
strada nella sua
mente, stringendosi maggiormente contro di lui e non potè
non sorridere,
affondando il viso in quella soffice nuvola fino a posare le labbra
sulla pelle
di Oscar. Nel sonno si erano voltati e adesso giacevano entrambi su un
fianco,
la schiena di lei appoggiata perfettamente al torace di
Andrè che le cingeva la
vita. La mano posata sull’addome della sua donna ne avvertiva
il ritmico
alzarsi e abbassarsi seguendo il respiro; non resistette alla
tentazione di
quella pelle diafana e prese ad accarezzarla, posandole delicati baci
sul
collo.
Oscar
si mosse, posando una mano sul viso di Andrè che si
fermò, folgorato dalla tenerezza
che quella semplice carezza portava in sé, e chiuse gli
occhi, mettendo la mano
su quella di lei.
“Andrè…”,
sussurrò; il suo nome pronunciato da lei era il suono
più dolce che avesse mai
sentito.
“Scusami
Oscar. Non volevo svegliarti”.
Oscar
si voltò fra le sue braccia, nascondendo il viso contro il
suo petto e vi posò
un bacio; intrecciò le loro gambe, aggrappandosi al suo
torace.
“E’
stato un piacevole risveglio”, gli sorrise, rivolgendo al suo
viso gli occhi
azzurri, luminosi come mai li aveva visti. “E’
molto tardi, vero?”.
Andrè
annuì, abbracciandola. “Il tramonto
dev’essere passato da un po’. Spero che la
nonna non decida di portare le candele!”.
Oscar
rise di gusto, il viso contro il suo collo. “Penso che le
prenderebbe un colpo
se sapesse”.
Lui
le tirò su il viso, le dita sotto il suo mento, e la
baciò, con tutto l’amore e
la dolcezza di cui era capace, attirandola contro di sé fino
a far aderire
completamente i loro corpi. Lei gli prese il volto fra le mani,
accarezzandolo
con i pollici, per poi intrecciare le dita fra i suoi lunghi capelli
d’ebano.
Si erano raggiunti infine, dopo una vita trascorsa a seguirsi e
cercarsi, a
volte inconsapevoli della vicinanza dell’altro.
Oscar
si spostò a baciare sulla fronte Andrè,
indugiando con le labbra su quella
pelle liscia. Ricordava ancora nitidamente la paura provata quando le
avevano
comunicato della sua sparizione, quando aveva sentito nuovamente quella
sensazione di soffocamento che la sua mancanza le causava. Pensava che
non
sarebbe sopravvissuta se le avessero portato via Andrè, non
adesso che si erano
donati totalmente l’uno all’altra.
“Oscar,
va tutto bene?”.
“Si.
Lo sai che ti amo Andrè?”.
Andrè
sorrise baciandole il mento e poi le labbra. Quanto sapeva essere
insicura la
sua Oscar! Dopo avergli confessato con tanta dolcezza i suoi
sentimenti, averlo
amato con tanta passione e dedizione, poteva dubitare che lui sapesse
quanto
profondo fosse il suo amore?
“Lo
so, Oscar”, non disse altro, lasciando che fosse lei stessa a
confessargli i
suoi timori.
“Temo
che ci separino ancora e non voglio più stare lontana da
te”.
Lui
si sollevò su un gomito, sfiorandole il viso con le punte
delle dita; aveva
esagerato, sfidando la propria capacità di guarigione e i
polsi dolevano
terribilmente ma si sarebbe fatto tagliare le mani per ottenere quello
che
aveva adesso, l’amore incondizionato di Oscar.
“Non
ci separeranno mai”, disse infine. “Ti ho
già detto che accetterò l’offerta dei
principi, sarò ancora una volta loro figlio se questo mi
permetterà di starti
accanto per sempre”.
Oscar
gli allacciò le braccia al collo, tirandolo giù
con sé; il buio che stava
lentamente riempiendo la stanza rendeva tutto indefinito, eppure era
certa che
Andrè potesse vedere il sorriso sincero che le increspava le
labbra. Lui solo
era motivo di quei sorrisi, a lui solo erano riservati con tanta
intensità.
“Sono
felice. Non lo sono mai stata tanto in vita mia ed è grazie
a te che lo sono”.
Il
sorriso di Andrè si fece più largo e
l’abbracciò forte, stringendola fra le
braccia in un gesto che voleva essere protettivo. Strinse i denti
all’ennesima mossa
azzardata date le sue ferite ma non ci fece caso, al settimo cielo per
la
gioia. Sentiva che avrebbe potuto sfidare il mondo e uscirne vincitore
per
l’amore che dava e riceveva da Oscar.
“Anch’io
lo sono, non potrebbe essere altrimenti. Siamo insieme e il resto non
è più
importante di questo”.
Oscar
lo baciò di nuovo, accarezzandogli la schiena muscolosa di
cui sentiva la pelle
calda scorrere sotto le dita, fino a raggiungere il fondoschiena, su
cui
allungò una pacca ridendo.
“Ehi!”.
“Cosa
c’è?”, chiese con finta innocenza.
“Ti da fastidio, forse?”.
Si
chinò a baciargli il collo, stringendosi contro di lui.
Pensava che non ne
avrebbe mai avuto abbastanza di lui, del suo profumo così
mascolino e di quella
pelle che sentiva bollente e vibrante a contatto con la propria. Amava
Andrè
con tutta sé stessa e fare l’amore con lui le
sembrava il modo più semplice e
naturale di dimostrarglielo.
“Niente
affatto”, rispose lui posandole una mano sulla schiena che
accarezzava
lentamente. Sentirla così intraprendente era molto piacevole
oltre che
gratificante e stuzzicante. “Ma ti stai approfittando di un
pover’uomo
convalescente”.
Oscar
rise fermandosi e si voltò dall’altra parte.
“Va bene, buonanotte allora”.
Andrè
la fece voltare di botto, stendendosi su di lei e imprigionandole i
polsi;
anche se immaginava che stesse scherzando, voleva metterla alla prova.
“E
ti arrendi così?”.
Lei
lo guardava divertita, senza tentare di liberarsi per timore di far del
male ad
Andrè, e gli allacciò le gambe attorno alla vita.
“Se
non mi lasci andare, potrei mettermi a urlare. Chissà che
divertente la faccia
di mio padre”.
“E’
meglio che cominci allora”.
Ophélie
raggiunse Tibor nei suoi appartamenti, bramosa di metterlo a parte dei
suoi
progressi, cominciava a credere di essere dipendente dallo sguardo
compiaciuto
di lui, che fosse per un incontro amoroso o per le sue
‘doti’ di ingannatrice.
“Tibor?”,
chiamò entrando nella stanza, immersa nella penombra.
Era
stato acceso soltanto il camino, le candele erano ancora spente. La
sagoma
perfetta di Tibor si stagliava contro il vetro della finestra, e
Ophélie lo
raggiunse fermandosi a pochi passi da lui.
“Perchè
al buio?”.
“In
Ungheria, noi Hunyadi siamo abituati così”.
Tibor
si voltò a guardarla e le tese le mani, attirandola contro
di sé quando le
strinse. La baciò possessivamente, posandole una mano sulla
nuca, le dita
intrecciate nei capelli ramati. Ophélie gli cinse il collo
con le braccia,
staccandosi da lui.
“Non
vuoi chiedermi com’è andata?”.
Tibor
si spostò a baciarle il collo, mordicchiandolo leggermente.
“Dalla tua
espressione direi che dev’essere andata bene”.
“Fra
qualche giorno di tuo cugino
resterà
soltanto il funerale da celebrare”.
Lui
soffocò una risata contro la sua pelle
d’alabastro, sollevando il capo per
guardarla in viso. Le sfiorò le gote e le labbra col dorso
della mano.
“Sapevo
che lasciarmi condurre dalla tua astuzia sarebbe stato molto meglio che
fidarmi
di quel traditore di Petre”.
Ophélie
sorrise compiaciuta piegando il viso sulla mano di Tibor.
“Tra qualche giorno
il generale Jarjayes mi farà incontrare András. A
quel punto ci penserò io”.
“Tu
sei assolutamente perfetta per me”.
Lei
tornò a stringerlo, baciandolo con passione. Ancora pochi
giorni e avrebbe
potuto seguire Tibor ovunque andasse; soltanto pochi giorni e avrebbe
potuto
andare incontro alla sua nuova vita.
************************************************************************************************
Rieccomi qui! Vi
sono mancata :P? Non è possibile che alle
prime quattro gocce di pioggia mi venga a mancare la linea T.T
Dunque…
devo dire che questo capitolo mi piace più del
precedente, soprattutto perché il generale ha capito tutto,
altro che quello
scemo di Girodelle u.ù
A proposito di
questo, forse qualcuno si aspettava una
sfuriata del generalone che sbotta contro Oscar dicendo che un servo
è pur
sempre un servo ma no. Io non la penso così, penso che sia
un personaggio
spesso frainteso a causa dei limiti mentali impostigli dalla sua
educazione e
inoltre credo che la stima che ha mostrato ad Andrè solo
nelle ultime puntate
dell’anime avesse radici profonde e origini lontane. Se
così non fosse stato
non lo avrebbe mai messo accanto alla sua amata figlia, io credo.
Perciò, Oscar
avrà un solido alleato nel suo caro padre.
Grazie mille
come sempre, siete troppo buone con me, davvero!
Al prossimo
capitolo (_ _)
|
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Capitolo 26 *** Capitolo 25 ***
Oscar era
sgattaiolata nella sua stanza appena qualche
momento prima dell’alba, vincendo le resistenze di
Andrè che insisteva perché
restasse con lui. Dopo avergli fatto notare che procurarle un infarto
non
sarebbe stato un buon modo per dire a Nanny la verità, per
non parlare del
colpo simultaneo che avrebbe subito il generale, riuscì a
liberarsi della sua
stretta e a tornare nella propria stanza da letto prima che la solerte
governante cominciasse a girare per il palazzo alla ricerca di compiti
da
assolvere.
Quando ebbe
chiuso la porta dietro di sé, sentì il desiderio
impellente di tornare subito indietro da Andrè ma si
trattenne, scuotendo la
testa. Comportarsi da donnicciola isterica separata dal suo uomo era
l’ultima
cosa da fare in quel frangente.
Gettò
i vestiti su una sedia e indossò la camicia da notte,
pensando di dormire almeno qualche ora. Sentiva dolere una parte del
proprio
corpo che aveva notevolmente rivalutato nelle ultime ore con
Andrè, eppure la
sofferenza fisica era così poca cosa rispetto alla
felicità che provava che non
riusciva a smettere di sorridere in maniera ebete, gli occhi sbarrati e
puntati
sul baldacchino che copriva il suo letto.
Andrè
era vivo.
Andrè
era tornato a casa dopo un anno.
Andrè
era suo.
E lei era sua,
gli apparteneva in una maniera che credeva
impossibile. Non avrebbe mai pensato di potersi legare tanto
inscindibilmente a
un’altra persona, e che questo sentimento piuttosto che farla
sentire
costretta, le desse un senso di libertà assoluta. Era libera
di essere se
stessa.
Si
voltò sul fianco e abbracciò il proprio cuscino,
strusciandovi sopra il viso. Si addormentò con in mente due
splendidi occhi
verdi che la guardavano pieni d’amore.
Qualche ora
dopo, Andrè socchiuse gli occhi, colpiti dalla
forte luce del sole che aveva inondato la stanza. Si mise seduto sul
letto,
guardandosi attorno confuso: dov’era finita Oscar? Una parte
del suo cervello
gli ricordò che era tornata nella sua stanza,
giacché si trovavano a palazzo
Jarjayes e non sarebbe stata una grande idea farsi trovare nello stesso
letto;
quella stessa parte, gli suggerì di recuperare e indossare
almeno i pantaloni
prima che sua nonna lo raggiungesse per occuparsi del suo servizio,
come tutte
le mattine.
Già,
la sua adorata nonna. Non era stato semplice per lui
continuare a fingere e lasciare che lei lo servisse, umile e dimessa
com’era
con i nobili; gli ricordava in continuazione quanto fossero ingiuste
quelle
differenze di classe che pochi avevano imposto a molti. Se avesse
accettato la
proposta dei Beleznay, l’avrebbe tradita di nuovo ma non
poteva rinunciare a
Oscar, al suo amore, a vivere al suo fianco come marito e non come
servitore.
Vivere tutte le
notti come se fossero un’illusione, dalla quale
erano costretti a scappare al mattino, prima che il sole li scorgesse
abbracciati nell’amore, non era vita. Avrebbe parlato a sua
nonna, era certo
che l’avrebbe capito e gli avrebbe dato la sua benedizione,
di sicuro non senza
‘condire’ il tutto con qualche scappellotto!
Sorrise al
pensiero mentre si rimetteva a letto ma scostando
le coperte, il sorriso gli morì sulle labbra: era ufficiale,
altro che
mestolate, lo avrebbe ucciso! Una vistosa macchia cremisi era tutto
ciò che
rimaneva della virtù di Oscar e la nonna non ci avrebbe
messo molto a fare due
più due. Per un attimo pensò di continuare a
fingersi il principe András ma poi
considerò che sarebbe stata ancora più terribile
nei
confronti di un estraneo e non trattenne un brivido, tuffandosi sotto
le
lenzuola, nel momento in cui qualcuno bussava alla porta.
“A-avanti!”,
disse un po’ incerto.
Si
paralizzò nella posizione in cui si trovava quando vide
che stava entrando proprio Nanny; riprese a respirare un poco solo
vedendo
spuntare dietro di lei due servitori che trasportavano una vasca di
latta. La
depositarono davanti al camino e uscirono con un inchino mentre la
donna si
avvicinò di un passo al letto.
“Principe
András, perdonate se
vi abbiamo disturbato
ma è stata madamigella Oscar a mandarci”.
Andrè
prese nota mentalmente di una bella ramanzina da fare a
Oscar prima di sorridere rassicurante all’indirizzo della
nonna.
“Non
stavo dormendo, in effetti, mi ero appena svegliato”.
“Faccio
portare l’acqua?”.
“No…
aspetta!”, esclamò quasi, alzandosi dal letto e
avvicinandosi a lei. “Ti posso parlare?”.
“Certamente.
Che cosa vuoi dirmi Andrè?”.
“Ecco
vedi, io… eh?”.
Nanny
posò le mani sui fianchi, guardando Andrè con
aria
minacciosa. Suo nipote sapeva essere veramente ottuso, possibile che
credesse
che non si fosse accorta di nulla?
“In
effetti, mi stavo chiedendo quando ti saresti degnato di
dire alla tua povera nonna che non sei affatto morto, anzi stai
benissimo!”
Aveva messo un
tono di rimprovero nella voce ma gli occhi
lucidi e il tremito delle labbra tradirono tutta la sua emozione.
Andrè la
abbracciò, stringendosela al petto per nascondere la
commozione e inspirò il
suo profumo di buono. Nanny singhiozzava fra le sue braccia, incapace
di
frenare il pianto, pronunciando il nome del nipote fra i singulti.
“Nonna
perdonami. Non volevo darti un simile dolore, credimi!
Non ricordavo nulla quando Oscar mi ha invitato qui la prima volta, te
lo
giuro!”.
La donna scosse
la testa tirando fuori un fazzoletto e si
asciugò il viso tentando di calmarsi. Sapeva bene che suo
nipote non aveva
nessuna colpa, era evidente che non fosse se stesso quando lo aveva
incontrato
per la prima volta come András Beleznay.
“Lo so
caro. Ti conosco troppo bene per credere che mi
faresti una cosa del genere di proposito. E dimmi, madamigella Oscar lo
sa?”.
Andrè
annuì, sorridendo a Nanny. “Certo che lo sa,
nonna. Lo
ha capito prima che io stesso ricordassi e ha fatto di tutto per
restituirmi la
mia vita. E a proposito di lei, io… cioè
noi…”.
“Sentirti
balbettare a quel modo è irritante, soprattutto
considerato quanto ti ha fatto studiare il generale! Voi cosa, che
avete
combinato?”
“Io la
amo, nonna!”, esclamò Andrè tutto
d’un fiato e chiuse
gli occhi, aspettando uno scapaccione che non arrivò.
Aprì
timidamente un occhio e poi l’altro e tutto ciò
che vide
fu sua nonna col volto di nuovo nascosto nel fazzoletto.
“Nonna
non fare così, non è un dramma!”.
“Certo
che lo è, sciagurato! Cosa ti sei messo in testa, di
essere un principe? Non lo sei e presto lo scopriranno tutti, non
potrete stare
insieme”.
Andrè
la guardò dapprima perplesso, poi intenerito. Sua nonna
tentava di proteggerlo a modo suo, mettendolo davanti alla cruda
realtà degli
eventi. Lei, infatti, non poteva sapere della generosa offerta dei
Beleznay e
soprattutto che intendeva accettarla; aggrottò le
sopracciglia pensando che
forse ne sarebbe stata delusa ma era certo che alla fine avrebbe capito
le sue
ragioni. Le mise le mani sulle spalle chinandosi davanti a lei.
“Nonna,
io amo Oscar e lei ama me. E ci sposeremo, te lo
assicuro. Vedrai che nessuno avrà da ridire su questo
matrimonio, eccetto i
cuori infranti che lascerà dietro di
sé!”.
Nanny
sembrò convinta dalle parole di Andrè e
lasciò andare
un sospiro, ripiegando il fazzoletto.
“Andrè,
non voglio che tu debba soffrire ancora per questo
amore. Ti ho visto negli anni passati accanto a lei, crescevi e il tuo
amore e
il dolore procedevano di pari passo”.
Andrè
sorrise alzandosi e si avvicinò alla finestra,
guardando il giardino del palazzo che tante volte lo aveva visto
giocare o
allenarsi insieme a Oscar.
“Non
ci sarà più dolore tra me e Oscar”.
Un urlo
soffocato alle sue spalle gli comunicò che Nanny
aveva deciso di rifare il letto.
Dei colpi decisi
alla porta distrassero Oscar dai suoi
pensieri e quale non fu il suo stupore quando vide suo padre entrare
nella sua
stanza. La sua espressione era seria e decisa più del solito
e lei pensò che dovesse
avere qualcosa su cui recriminare. Trattenne un sospiro frustrato
invitandolo a
sedersi davanti al caminetto.
“Padre,
è strano vedervi qui. Che cosa posso fare per
voi?”.
Il generale
guardò Oscar negli occhi, quegli occhi azzurri
così simili ai suoi. La figlia che aveva cresciuto come
fosse un uomo era ben
presto diventata la sua preferita tra tutte, perché si
rivedeva in lei; solo a
lui obbediva, senza obiettare o quasi, con il resto del mondo era fiera
e
orgogliosa come forse non sarebbe stata se fosse nata maschio. Era
leale e
onesta, e un ottimo soldato; ma come padre non poteva più
ignorare che si
trattava pur sempre di una donna.
“Oscar,
devi dirmi qualcosa riguardo al principe András?”.
Oscar
trasalì impercettibilmente, sorpresa dalla domanda; che
suo padre avesse scoperto la vera identità del principe
ungherese? E nel caso, come
avrebbe reagito quando lei gli avesse confermato le sue intuizioni? Si
impose
di mettere a tacere quelle domande e scoprire cosa stesse pensando il
generale.
“Che
cosa intendete dire?”.
“Intendo
dire, che dovrei essere cieco per non aver notato la
straordinaria somiglianza con qualcun altro che conosciamo molto bene.
È Andrè,
giusto?”.
“Padre,
io…”.
“Io
non disprezzo Andrè, tutt’altro. L’ho
cresciuto insieme a
te, è quasi un figlio, ma non ha titolo nobiliare; non posso
permetterti di
intrattenere una relazione con lui”.
Oscar
scattò in piedi, i pugni stretti e le braccia distese
lungo il corpo. “Padre, perdonate la mia sfrontatezza ma non
vi permetto di
parlare in questi termini di Andrè. Voi stesso avete appena
detto che è quasi
un figlio per voi, non potete misurare il valore di ciò che
ci lega in base ai
titoli nobiliari!”.
François
de Jarjayes si trattenne dal sorridere compiaciuto.
Quella era la figlia che lui stesso aveva forgiato, sua ma figlia di
Marte.
“Oscar,
mi è stato riferito che tu e il principe
András vi vedete
spesso ma ho risposto che
tu sei un soldato, non cerchi corteggiatori. Adesso però,
voglio la verità.
Devi dirmi se intendi rinunciare alla carriera militare e sposarti; e
devi
dirmi se l’uomo che vuoi sposare è
Andrè”.
Osservò
attentamente Oscar e la vide impallidire, eppure non
distoglieva lo sguardo dal suo. Sebbene la intimidisse volutamente,
dentro di
sé voleva che tirasse fuori tutto il suo coraggio e gli
dicesse di sì,
consentendogli di tracciare una strada diversa da quella che aveva
pazzamente
scelto per lei.
“Ve lo
dirò padre, a patto che voi mi diciate chi vi ha
riferito tanti dettagli”. Il generale annuì e
Oscar prese un grande respiro
prima di continuare. “Sì. Voglio essere la moglie
di Andrè perché nessuno possa
più separarci com’è avvenuto in
passato. A voi padre”.
“Ophélie
de Sombrefleuve”.
“Avrei
dovuto immaginarlo!”, esclamò Oscar, stizzita.
“Cos’altro vi ha detto?”.
“Ha
tentato di passarmi delle false informazioni su Andrè e i
Beleznay, sostenendo che vogliano derubare il duca Hunyadi
dell’eredità che gli
spetta. Mi ha chiesto di vedere Andrè ed io ho
acconsentito”, alzò una mano a
zittire sua figlia che scalpitava. “Dobbiamo scoprire cosa
vogliano fare,
altrimenti non sarete mai al sicuro. Le ho detto che avrei mandato un
messo ad
avvertirla quando il dottore avrebbe ritenuto che le visite non fossero
troppo
stancanti per lui; naturalmente attenderemo che Andrè si sia
ripreso
completamente”.
Oscar
restò in silenzio, non sapendo cosa dire; suo padre la
stava chiaramente aiutando a coronare il suo sogno d’amore,
pur sapendo che il
principe András Beleznay fosse
in realtà Andrè Grandier. Naturalmente,
fintanto che lui fosse rimasto un nobile ungherese, nessuno avrebbe
trovato
strano un suo ‘accasamento’ ma la gentilezza di suo
padre la lasciava
ugualmente perplessa. Forse comprendeva solo ora quanto profondo fosse
l’amore
del genitore nei suoi confronti.
Il generale si
alzò, voltandosi per raggiungere la porta ma
si fermò con la mano sulla maniglia. “Oscar spero
che tu capisca che se vi
sostengo così apertamente è anche
perché lui è un nobile adesso. Se per
qualsiasi motivo perdesse il titolo, non potrei… credimi,
non potrei più
farlo”.
Uscì
dalla stanza lasciando Oscar ancora più determinata a
raggiungere la sua felicità. Avrebbe parlato con
Andrè, sperando che non avesse
cambiato idea sulla proposta dei suoi ‘genitori’;
sapeva bene quanto fosse
difficile per lui accettare un simile compromesso e lei stessa soffriva
nel
vederlo tanto tormentato. Egoisticamente, però, non poteva
che sperare che il
buon senso prevalesse sull’orgoglio del suo uomo.
*******************************************************************************************************
Eccomi qui anche
oggi ^-^ E anche oggi ho avuto problemi di
connessione, ma quando finirà T.T
Capitolo di
chiarimenti, personalmente mi ha molto divertita
scrivere di Andrè e Nanny, mi piacerebbe sapere cosa ne
pensate voi se vi fa piacere, grazie ^-^
Come sempre,
grazie per il sostegno costante, vi adoro <3
Al prossimo
capitolo ;)
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Capitolo 27 *** Capitolo 26 ***
Quando fu
trascorsa un’altra settimana, Oscar e il generale
convennero che fosse giunto il momento di invitare
Ophélie per capire quale fosse il suo scopo e fermare una
volta per tutte le
macchinazioni sue e di Tibor. Andrè non era stato entusiasta
all’idea di fare
da esca e ancor meno quando gli era stato ricordato che avrebbe dovuto
essere
gentile con la contessa.
“Andrè,
non fare il bambino, ti sei messo da solo in questo
guaio. Il principe András sembrava molto
soddisfatto della
sua compagnia”.
“Andiamo
Oscar! Non ricordavo neanche chi io fossi, vuoi
farmi un’altra scenata di gelosia per essere stato cortese
con quella che mi
era sembrata una dama come le altre?”.
Oscar rise
scuotendo la testa e tornò a rilassarsi sul divano
accanto a lui. Nemmeno lei faceva salti di gioia alla prospettiva di
Andrè che
corteggiava un’altra donna ma era necessario per la sua
incolumità.
“No,
togliti quel broncio”.
“Toglimelo”.
“Andrè!
Sto parlando di cose serie, ascoltami per favore.
Dobbiamo prestare molta attenzione se vogliamo fermarla prima che ti
faccia del
male”.
Andrè
sorrise a Oscar stringendole la mano che si portò alle
labbra. “Voglio che tu stia tranquilla, d’accordo?
Ti prometto che farò
attenzione e non correrò rischi inutili, e poi cosa potrebbe
mai farmi Ophélie?
L’unica donna di cui dovrei preoccuparmi sei tu!”.
Oscar lo
abbracciò e gli schioccò un bacio sulla guancia,
appoggiando la fronte contro la sua. “Attento a quello che
fai con la contessa,
Grandier”.
“Farò
il bravo madamigella, ve lo posso giurare
solennemente!”.
Andrè
la strinse più forte, baciandole i capelli. Non le
vedeva nemmeno le altre donne, non le vedeva da anni ormai, da quando
aveva
capito che Oscar non era una sorella per lui ma molto di
più. Il pensiero di
un’altra che non fosse lei al suo fianco, gli stringeva il
cuore in una morsa
dolorosa, rifiutava persino di considerare l’idea.
“E se
rimanessi anche io con voi? In fondo è casa mia e tu
sei mio ospite, non sarebbe così strano”.
“Oscar
ti prego, non fare la fidanzata gelosa!”.
Il viso di Oscar
assunse una deliziosa tonalità di rosso e
abbassò lo sguardo, imbarazzata. “Non prendermi in
giro, Andrè, non è bello! È
che non mi piace come ti guarda quella donna, sembra che non voglia
altro che
allungare le sue manacce su di te e in ogni caso… non
sappiamo cosa voglia da
te, se fosse pericolosa?”.
“Di
nuovo con queste paure infondate, Oscar? Andrà tutto
bene, calmati”.
Oscar
respirò a fondo e tornò a guardare
Andrè. Lui aveva
perfettamente ragione, stava bene e Ophélie non poteva
fargli male fisicamente;
e se i suoi scopi fossero stati altri, lei stessa avrebbe potuto fare
ben poco.
“D’accordo
Andrè, hai ragione tu”, gli sorrise, respirando il
suo profumo. “Hai parlato con i Beleznay?”.
“No,
non ho avuto ancora l’occasione”.
“Ma se
sono venuti a trovarti ogni giorno da quando sei
qui!”.
“Si,
lo so! È difficile quello che devo dirgli
Oscar…”
“Devi
dirgli di si e basta, Andrè, non è affatto
difficile”.
“Oscar,
ti prego! Credi sia facile per me tradire le mie
origini in questo modo per diventare qualcosa di diverso?”.
Oscar
aggrottò le sopracciglia. “Non sarai diverso. Tu
resterai sempre Andrè, l’uomo che amo, con o senza
titolo nobiliare, se insisto
tanto è solo perché non voglio che nessuno possa
avere modo di dividerci. E se
tu perdessi il tuo rango, il primo a osteggiarci sarebbe mio
padre”.
Si sciolse dal
suo abbraccio alzandosi e si avvicinò alla
finestra, scrutando la carrozza che aveva appena varcato il cancello
della
proprietà.
“Oscar…”.
“Devo
andare, la tua ospite
è qui”.
Sibilò
uscendo a passo di marcia dalla stanza, non mancando
di sbattere la porta per sottolineare il proprio disappunto.
Non era passato
che qualche minuto da quando Oscar aveva
lasciato la stanza e Andrè stava ancora cercando di
riprendersi da quella
sfuriata quando Nanny bussò alla sua porta facendo
accomodare Ophélie e dovette
calarsi nella parte del principe Beleznay; né lei
né Tibor sapevano ancora che
aveva recuperato la memoria e non era il caso di informarli.
“Principe
András, che sollievo
vedervi sano e
salvo!”, cinguettò la donna avvicinandosi a lui.
Non
aspettò nemmeno che lui la invitasse, lasciandosi cadere
sul divano, un po’ troppo vicina secondo i suoi gusti ma
dovette vincere la
ritrosia e dimostrarsi cortese.
“Siete
stata molto gentile a venire sin qui solo per farmi
visita”.
“Oh ma
non potevo più aspettare! Ero così in pena per
voi,
András!”,
piagnucolò mentre gli occhi le si inumidivano.
Andrè
non potè fare a meno di chiedersi per quale
straordinaria dote naturale o insegnamento riuscisse a piangere a
comando,
sembrando così sinceramente addolorata. Sfoggiò
un sorriso smagliante
avvicinandosi al suo viso.
“Sul
serio eravate talmente preoccupata per me?”.
“Naturalmente
lo ero”, disse Ophélie, sbattendo le lunghe
ciglia. “Temevo di non rivedervi mai
più”.
Si era
avvicinata ancora, stringendogli provocatoriamente le
braccia al collo. Gli sfiorò le labbra con le proprie,
mescolando i loro
respiri.
“Ophélie,
credevo che il vostro interesse fosse rivolto a mio
cugino Tibor piuttosto che a me”.
“Tibor
si stancherà presto di me, voglio un uomo
affidabile”.
Andrè
si costrinse a stringerla, posandole le mani sulla
schiena. “Mi ucciderebbe se sapesse. Vi considera
sua”.
“Proprio
per questo sono qui, dovete fuggire. Intende davvero
uccidervi”.
“E
dovrei credere che voi siate venuta qui per buon cuore?
Non insultate la mia intelligenza Ophélie, so bene che vi
manda lui”.
Ophélie
lasciò andare Andrè sogghignando e si
voltò di lato
fissando il camino davanti a sé; la mano che lui non poteva
vedere scivolava
fra le pieghe del vestito alla ricerca di qualcosa.
“Volevo
darvi una possibilità András. Siete stato
gentile con me, anche se immagino di doverlo
al fatto che non conoscevate la mia fama. Madamigella Oscar non vi
aveva
avvertito di stare alla larga da me?”.
“Lei
non è quel tipo di persona”.
“Immagino
che lo crediate davvero ma lei è
quel tipo di persona. Vive a stretto contatto con la Regina,
concedendo la sua attenzione soltanto alle persone che Maria Antonietta
ritiene
degne”.
Andrè
strinse i pugni, nel tentativo di trattenere la rabbia
e si alzò, dando le spalle alla donna. Non sopportava che si
parlasse a quel
modo di Oscar, anche se era una nobile non era mai stata ingiusta
né superba al
punto da riservare le proprie attenzioni solo a determinate persone; se
lo
faceva era solo per evitare guai, data la sua posizione di spicco.
Un fruscio alle
sue spalle lo fece voltare, appena in tempo
per evitare la lama di un pugnale; afferrò
Ophélie per i polsi allo scopo di
disarmarla.
“Che
state facendo, Ophélie?!”.
“Voi
cosa credete?! Sto aiutando Tibor a raggiungere il suo
scopo, eliminarvi!”.
Nella
colluttazione ricaddero sul divano dietro di loro,
Andrè sopra Ophélie la teneva bloccata con il suo
corpo, cercando ancora di
toglierle il pugnale. Lei si dimenava, urlando che la lasciasse e
improvvisamente rivolse la lama contro se stessa; Andrè
tirò via la mano,
riuscendo finalmente a gettare l’arma, e il movimento
lacerò la stoffa del
vestito che indossava. Una luce perversa attraversò gli
occhi di Ophélie che
riprese a strillare più forte di prima, chiedendo aiuto,
mentre Andrè tentava
di zittirla.
Le urla,
però, avevano attratto il generale Jarjayes e le
guardie ungheresi che avevano accompagnato la donna per desiderio di
Tibor, e
la scena che si presentò loro era di certo facilmente
fraintendibile: Ophélie,
in lacrime e le vesti strappate, gridava disperata e Andrè
la teneva ferma
sotto di sé. Il generale dovette ricorrere a tutto il suo
sangue freddo per
mantenere in piedi la messinscena.
“Principe
András, posso sapere
cosa state facendo?”.
Andrè,
sconvolto dalla piega inaspettata che aveva preso
quell’incontro, lasciò i polsi di
Ophélie come se fossero roventi e si alzò,
allontanandosi velocemente da lei mentre la donna si portava le mani al
volto,
singhiozzando.
“Generale,
non è come sembra, ve lo assicuro!”.
François
de Jarjayes strinse i denti avvicinandosi al divano
per prestare aiuto a Ophélie. Conosceva troppo bene
Andrè per credere che
avesse potuto tentare di farle violenza ma data la presenza degli
uomini del
duca Hunyadi, doveva mantenere un atteggiamento più neutrale
possibile.
“Ne
parleremo, principe”, disse soltanto, sedendosi accanto
alla donna. “Contessa, vi sentite in grado di
alzarvi?”.
Ophélie
annuì appena, rimettendosi seduta grazie all’aiuto
del generale, il quale la sorresse perché si alzasse in
piedi.
“Darò
ordine che la governante si occupi di voi, state
tranquilla adesso”.
La
accompagnò personalmente fuori dalla stanza, lasciando
solo Andrè che era rimasto impalato nel bel mezzo della
stanza.
Oscar si
precipitò nella stanza di Andrè, avvertita dal
generale che era accaduto qualcosa; per un attimo temette che fosse
ferito o
peggio ma poi considerò che, in quel caso, suo padre non
sarebbe stato tanto
laconico da dirle soltanto, “Vai da lui”.
Lo
trovò seduto sul pavimento, con la testa fra le mani, le
dita che stringevano spasmodicamente i capelli. Si avvicinò
a lui,
inginocchiandoglisi di fronte e gli posò le mani sulle
spalle.
“Andrè!
Cos’è successo?”.
Andrè
sollevò appena il capo e abbracciò Oscar,
affondando il
viso nel suo petto; lei gli accarezzò i capelli, preoccupata
da
quell’atteggiamento insolito.
“Andrè,
parla, dimmi cos’è accaduto”.
“Non
so com’è successo ma…
Ophélie ha trovato il modo di
farmi sparire, sia che io sia Andrè sia che sia András. È
tutto finito Oscar”.
“Finito?!
Che stai dicendo Andrè, dimmi cosa succede!”.
Lui le strinse
le braccia attorno alla vita, tirandosela
vicino. “Aveva un pugnale e abbiamo lottato, stavo cercando
di toglierle
l’arma; siamo caduti e la tenevo ferma con il mio corpo ma
lei ha cominciato a
urlare e… le guardie che Tibor ha mandato con lei sono
entrate qui assieme a tuo
padre e ci hanno visti, il suo vestito si era strappato…
hanno sicuramente
frainteso tutto Oscar! Lei non farà nulla per smentire quel
sospetto e quindi…
è finita, in ogni caso”.
Oscar
sbarrò gli occhi incredula, continuando ad accarezzare
Andrè. Se fosse stato accusato di aver tentato di usare
violenza alla contessa
de Sombrefleuve come Andrè Grandier sarebbe stato condannato
a morte; se invece
la stessa accusa fosse stata rivolta ad András Beleznay,
sarebbe stato invitato a
lasciare la Francia e a non ripresentarsi, una formula gentile per
definire il
divieto di varcare in futuro i confini francesi.
“Andrè…
non posso permettere che scoprano chi tu sia, saresti
condannato a morte! Per favore lascia la Francia con i
Beleznay!”.
Andrè
alzò la testa, puntando gli occhi verdi in quelli di
Oscar; era a dir poco stupito, aprì la bocca per parlare ma
non ne uscì suono.
Posò le mani sul suo viso e l’attirò a
sé, baciandola.
“Oscar
non piangere”, le disse, sentendo le lacrime bagnargli
le dita. “Non ti lascerò, perciò non ne
hai motivo”.
Lei gli
gettò le braccia al collo, stringendolo più che
poteva. “Restare qui sarebbe vista come una sfida
all’autorità dei sovrani, non
puoi!”.
“Mi
rifiuto di andarmene dalla Francia, la Transilvania è
troppo lontana da te”.
Oscar
singhiozzava, il viso nascosto contro il collo di Andrè
e le dita affondate nei suoi capelli. Lui la teneva stretta,
accarezzandole la
schiena; d’improvviso sembrò calmarsi e lo
guardò, accarezzandogli il viso.
“E se
venissi con te? Partiresti se io accettassi di venire
con te, in Ungheria?”.
Andrè
la guardò per qualche attimo e se la strinse di nuovo
al petto. Era così grande il suo amore per lui, da spingerla
a lasciare il
proprio paese, la propria famiglia, tutta la propria vita per seguirlo
in una
nazione straniera? Quanto era stato stolto a dubitare che amasse
davvero lui e
non il principe ungherese che le si era presentato davanti!
“Non
posso chiederti una cosa del genere”.
“Certo
che puoi! La decisione dei sovrani non è stata ancora
presa e non è detto che crederanno a Ophélie; se
succedesse non dovresti
partire immediatamente, ti sarebbe concesso qualche giorno e
potremmo… potremmo
sposarci e io partirei con te!”.
Lui
restò, se possibile, ancora più spiazzato da
quest’ultima
proposta. Gli aveva appena comunicato che desiderava sposarlo, a modo
suo
naturalmente, era pur sempre di Oscar che si parlava.
“Ti
amo così tanto Oscar… tanto che non conosco
parole per
dirtelo”.
“Non
ce n’è bisogno, io lo sento il tuo amore. E non
posso
privarmene”.
Andrè
le sorrise avvicinandosi a lei, e la baciò,
stringendola ancora contro di sé. Oscar schiuse le labbra
sotto le sue,
ingaggiando quella che era diventata la sua schermaglia preferita. Lui
affondò
le dita nei suoi riccioli dorati, tenendola più vicino
possibile a sé. Fu solo
la necessità di respirare a interromperli e le
baciò la fronte, accarezzandole
il viso.
“Credo
che il principe András Beleznay
chiederà presto a suo
padre la mano di Oscar François de Jarjayes”.
************************************************************************************************
Eccomi ragazze,
purtroppo continuo ad avere problemi di
connessione e gravi stavolta, il mio router se n’è
andato a farsi benedire e
aspetto il tecnico da due giorni, durante i quali prego che non debbano
sostituirlo!
Comunque,
tornando alla storia… ci avviamo verso l’epilogo
ma
non senza problemi per i nostri eroi che dovranno rimettersi alla
clemenza dei
sovrani francesi, diabolica Ophélie, eh?
Grazie per il
sostegno continuo, è stato importante perché non
lasciassi perdere tutto a metà storia!
Grazie ancora,
vi adoro <3
|
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Capitolo 28 *** Capitolo 27 ***
La sera stessa
dell’incidente con Ophélie, dopo che ella fu
ripartita alla volta di Versailles, il generale Jarjayes
convocò Oscar e Andrè
nel suo studio e contemporaneamente inviò un messo alla
reggia perché chiedesse
ai Beleznay di raggiungerli l’indomani. Proprio come sua
figlia, aveva
lucidamente intuito quali fossero le sole possibili via
d’uscita per salvare la
vita di Andrè e aveva bisogno che i principi ungheresi gli
prestassero tutto il
loro aiuto. Nel frattempo i due ragazzi lo avevano raggiunto e adesso
lo
fissavano, in piedi davanti al suo scrittoio.
“Andrè”,
vedendo la sua espressione perplessa decise di
spiegarsi. “Non avrai creduto che Oscar fosse la sola a
essersi accorta di chi
fossi in realtà, vero? Sei cresciuto sotto il mio tetto, non
dimenticarlo”.
“Non
posso dimenticarlo, generale. Ma, in effetti, pensavo
che lei fosse l’unica, perché mi conosce meglio di
chiunque altro”.
Il generale
mosse la mano, come a dire di lasciar correre e poi
indicò le due poltrone davanti alla sua scrivania.
“Sedetevi,
non state lì impalati. Dobbiamo parlare e pretendo
che siate sinceri con me, d’accordo?”. I due
annuirono prendendo posto e
François de Jarjayes proseguì il suo discorso.
“So bene che quello che ho
creduto di vedere oggi è tutto un equivoco, così
come lo sa la contessa; lei,
però, certamente non si preoccuperà di smentire e
le guardie che il duca
Hunyadi aveva mandato ad accompagnarla, anche se si limitassero a dire
ciò che
hanno visto, costituiranno un grosso problema. Essendo le nostre
famiglie
entrambe molto care alla Regina, se la controversia si risolvesse a
favore di
Andrè, per lei sarebbe un grosso colpo in termini di
popolarità, perciò è
probabile che si terrà in disparte rispetto alla decisione
del sovrano. L’unico
modo perchè eviti la condanna a morte, Andrè,
è che tu continui a essere il
principe ungherese”.
Andrè
annuì stringendo la mano che Oscar gli aveva teso e
sostenne fieramente lo sguardo del generale. Sapeva bene che il
mantenere il
titolo di principe era anche l’unica condizione che gli stava
ponendo per
concedergli la mano di sua figlia.
“Ne
sono perfettamente consapevole. Infatti, la mia decisione
era già presa: i Beleznay mi hanno offerto, molto
generosamente, di adottarmi
di nuovo, questa volta come Andrè Grandier. Inizialmente non
sapevo come
comportarmi in merito, tuttavia mi rifiuto di lasciare ancora Oscar. E
a
proposito di questo… io vorrei chiedervi la mano di vostra
figlia, generale”.
Il generale
incrociò le mani sotto il mento, nella tipica
posa che assumeva quando stava ponderando le parole del proprio
interlocutore.
“Anche il conte di Girodelle mi ha fatto la stessa richiesta.
Perché dovrei
concederla a te?”.
“Perché
io sono l’unico che può rendere felice Oscar. E
siccome ritengo che voi, esattamente come me, non desideriate altro che
vederla
felice, credo che dovreste concedere a me solo il privilegio di
sposarla”.
François
de Jarjayes ridacchiò divertito, osservando Andrè
e
Oscar. “Si hai ragione, Andrè. Sei
l’unico che la renderà felice. E questa
è una
condizione che ti pongo: Oscar dovrà essere felice. Non
vorrai che un giorno debba
scoprire che è infelice per causa tua, giusto?”.
Oscar ascoltava
la conversazione in silenzio, guardando ora
Andrè, ora suo padre. Era cresciuta come fosse stata un uomo
ma non lo era e in
quel momento il suo ruolo era quello dell’ascoltatrice,
sebbene fosse proprio
lei l’argomento della discussione. Sapeva che
Andrè stava prendendo una
decisione difficile da accettare per il suo orgoglio ma era anche
consapevole
del fatto che non avrebbe mai rinunciato a lei. La sua posizione tutto
sommato
era facile, l’unica scelta che le si chiedeva di fare era
quella di sposarsi di
lì a poche settimane o attendere ancora; l’uomo
che sarebbe stato suo marito
invece, avrebbe dovuto rinnegare le sue origini poiché non
erano nobiliari.
Andrè
continuava a guardare il generale Jarjayes senza dare
alcun segno di esitazione. Era piuttosto evidente che se lo stava
inquisendo a quel
modo lo faceva perché intendeva accertarsi che i suoi
sentimenti per Oscar
fossero sinceri e forti.
“Generale
Jarjayes, posso garantirvi che vostra figlia sarà
la donna più felice che si possa incontrare nei regni di
Francia e Ungheria.
Non la ostacolerò se vorrà continuare la sua
carriera militare, e nemmeno se
preferirà ritirarsi, Oscar sarà libera di essere
soltanto se stessa. Non
negatemi il permesso di sposarla”.
Il generale tese
la mano ad Andrè, un accenno di sorriso a
increspargli le labbra. “Non lo farò”.
Andrè
strinse con forza la sua mano, l’espressione raggiante
che tradiva tutta la sua emozione. “Vi ringrazio,
generale!”.
Non appena
uscirono dallo studio del generale, Andrè afferrò
Oscar per la vita stringendosela contro e la baciò con foga
mentre lei gli
allacciava le braccia al collo. Si staccarono ansanti e felici, e si
abbracciarono teneramente, il loro amore tutto racchiuso in quel
semplice
gesto.
“Sono
felice Andrè. Tu lo sei?”.
“No.
Non sono felice, sono al settimo cielo!”, disse lui,
ridendo contro il suo collo e facendo ridere anche lei.
“Scemo!”.
Andrè
sorrise dolcemente posandole un bacio sul naso. “Ti amo
Oscar. E ti renderò ancora più felice, te lo
giuro, anche se saremo lontani da
casa”.
“Casa
per me è dove sei tu, Andrè. Non ha importanza se
ci
troviamo in Francia, in Ungheria o persino nel Nuovo Mondo, dovunque,
mi basta
che siamo insieme per sentirmi a casa mia”.
Lui
tornò a stringerla e baciarla ma in quel momento una mano
piccola e pesante si abbatté sulla sua testa, seguita a
breve dalle urla di
Nanny.
“Che
cosa stai facendo, nipote degenere!”.
Andrè
lasciò andare Oscar, tentando di ripararsi dai colpi
della nonna. “Nonna che fai!”.
Oscar rideva
assistendo alla scena, piegata in due con le
mani sullo stomaco. Credeva che Andrè avesse chiarito ogni
cosa con Nanny ma
evidentemente aveva omesso di dirgli a che punto fossero giunte le cose
fra
loro.
“Sciagurato,
altro che ferite sanguinanti! Che cosa hai fatto
a madamigella Oscar?!”.
Oscar
avvampò, avendo realizzato immediatamente di cosa
parlasse Nanny. “Nanny… guarda che non mi ha fatto
proprio nulla che io non
volessi, non sgridarlo”, disse tentando di calmarla.
Nanny si
fermò e scoppiò in lacrime, il fazzoletto
prontamente portato a coprirle il viso. “Perdonatelo
madamigella, non vi
toccherà più ma non denunciatelo!”.
Andrè
arretrò cautelativamente di un passo, massaggiandosi la
testa dolorante; in fondo se l’era cercata, avrebbe dovuto
parlare chiaro da
subito invece di inventare quella storiella su una ferita non del tutto
rimarginata. D’altronde, se Nanny non avesse sperato con
tutta se stessa che
non si fosse spinto tanto in là, di certo non gli avrebbe
creduto.
Oscar
guardò stranita Nanny, stupita dalle sue parole.
“Io
spero proprio che lo faccia ancora, Nanny!”.
“Madamigella!”.
Lei si
avvicinò a Nanny, abbracciandola per la prima volta.
“Nanny, stiamo per sposarci. Andrè sarà
mio marito, cosa ci trovi di tanto
indecente?”.
L’anziana
governante strabuzzò gli occhi a quelle parole,
indecisa se ridere o ricominciare a piangere: suo nipote era un servo,
non
poteva sposare una contessa!
“Tutto
questo è contro natura, ragazzi miei. Fermatevi
finché
potete”.
Suo nipote le
posò una mano sulla spalla. “Nonna, tenerci
separati per delle stupide convenzioni sociali è contro
natura. In ogni caso è
bene che tu sappia cosa accadrà fra pochi giorni”.
Distolse lo
sguardo mentre le raccontava ciò che era accaduto
e quali fossero le soluzioni che il generale Jarjayes gli aveva
prospettato.
Gli spezzava il cuore darle di nuovo un dolore ma non poteva rimanere
in
Francia; avrebbe dovuto dimenticare il suo paese.
“Perciò
te ne andrai di nuovo. E questa volta porterai via
anche la mia bambina”.
Andrè
teneva colpevolmente la testa bassa, incapace di
sostenere lo sguardo di sua nonna mentre le confermava le sue parole.
“E’ così
nonna. Ti chiedo perdono, non avrei voluto andarmene di nuovo dalla
Francia e
causarti tanta sofferenza”.
Contro ogni
previsione, Nanny sorrise, stupendoli con le sue
parole. “Se ti facessi uccidere, mi faresti soffrire
così tanto da non
sopravvivere questa volta. Starò bene se ti saprò
al sicuro, anche se lontano e
poi non sono tanto vecchia da non poter venire a trovarvi!”.
I due ragazzi la
guardarono stupiti, l’aveva presa davvero
meglio di quanto credessero! Nemmeno scoprire la vera origine della
‘macchia’
le aveva causato un malore, il che era il minimo che si aspettassero.
“Bambini
miei, vi ho visti crescere, pensavate davvero che
non capissi?”.
Andrè
scosse la testa ridendo. “Hai proprio ragione nonna,
siamo stati ingenui! Piuttosto, perché non vieni con noi?
Sono certo che i
principi non avranno niente in contrario”.
“Non
se ne parla nemmeno, palazzo Jarjayes cadrebbe in rovina
se io lo lasciassi dopo tutto questo tempo! Voi due invece potrete
benissimo
fare a meno di me”, disse raccogliendo le gonne e
allontanandosi lungo il
corridoio.
“Tua
nonna è davvero fantastica, Andrè”.
Lui
annuì, abbracciandola da dietro e appoggiò il
mento sulla
sua spalla. “Lo è. E poi ha proprio ragione,
possiamo fare a meno di lei”,
disse voltando il viso e baciandole il collo.
Oscar
portò le mani a coprire quelle di Andrè,
adagiandosi
contro di lui. Il pensiero che quelle dolci effusioni fra loro
sarebbero presto
diventate la normalità la fece sorridere compiaciuta e volse
il capo per
baciarlo ma lui inspiegabilmente si ritrasse.
“Cosa
c’è?”.
“Pensi
sia il caso di farci sorprendere da tuo padre? Mi
sentirei di nuovo un ragazzino se uscisse dallo studio e ci trovasse
qui ad
amoreggiare!”.
Lei
sbiancò all’idea: certo, suo padre aveva accettato
che si
sposassero ma era pur sempre una persona molto rigida e non tollerava
certi
atteggiamenti prima che si ‘regolarizzasse la
posizione’.
“Hai
ragione Andrè”.
Andrè
si guardò intorno e accertatosi che non ci fosse
nessuno, si caricò Oscar su una spalla correndo verso i
piani superiori,
completamente sordo alle sue proteste.
L’alba
li colse ancora svegli, l’una fra le braccia
dell’altro e persi nei loro pensieri. Sfumato
l’iniziale entusiasmo all’idea di
sposarsi, ciò che era accaduto il giorno precedente era
tornato a farsi vivo
con tutta la lucida durezza di quello che significava.
“Andrè,
sei sveglio?”.
Oscar
sentì la stretta delle sue braccia farsi più
forte.
“Si”.
“Non
riesci a dormire?”.
“Nemmeno
tu, Oscar. Dimmi cosa c’è che non va”.
Si
sollevò su un gomito, guardandolo e allungò la
mano che
posò sul suo viso. “Sono preoccupata, non posso
farne a meno. Ophélie è stata
diabolica, io non credevo che potesse spingersi a tanto e soprattutto
non
volevo che dovessi prendere la tua decisione in queste circostanze.
Avrei
preferito che fossi libero di scegliere”.
“Ascoltami
Oscar. È vero che la mia scelta è stata in
qualche
modo obbligata; tuttavia, più ci rifletto, più
credo che sarebbe stata la
stessa. Vivere al tuo fianco come il tuo attendente avrebbe significato
mettere
in pericolo entrambi ed esporre te alle dicerie della corte, avresti
finito per
odiarmi”.
Oscar scosse il
capo, accarezzando le labbra di Andrè con il
pollice. L’odio era l’unico sentimento che non
avrebbe mai potuto provare nei suoi
confronti, persino nella situazione che egli stesso aveva appena
dipinto,
avrebbe odiato la società in cui vivevano ma mai lui.
“Non
dire sciocchezze, non mi pentirei mai di nessun tipo di
vita purché potessi trascorrerla accanto a te”.
Andrè
sorrise, stringendola a sé con fare protettivo.
“Oggi
ho creduto che fosse finita, Oscar. Ho pensato che non avremmo
più potuto
condividere nulla, che ti saresti pentita di quello che
c’è stato fra noi, e
questo mi aveva distrutto. Sono stato stupido”.
“Lo
sei davvero se hai creduto una cosa del genere di me,
Grandier”.
“Va
bene, sono stupido ma avevamo discusso e mi avevi già
fatto una scenata per colpa di Ophélie, credevo che questa
volta mi avresti
passato a fil di spada!”.
“Per
questo eri così abbattuto quando sono venuta da te?
Allora devo davvero pensare che tu non abbia capito nulla”.
Andrè
lasciò andare un sospiro, voltandosi a guardare il
cielo notturno attraverso la finestra.
“Ti ho
amata per tanto tempo senza che tu te ne accorgessi,
Oscar. Non prenderti gioco della mia insicurezza”.
Oscar
allungò la mano facendolo voltare e si tese verso di
lui, sfiorandogli con i baci le labbra, le palpebre, tutto il viso, che
accarezzò con entrambe le mani.
“Devi
smettere di avere dubbi al riguardo. Avevo già capito
quanto fossi importante per me quando ho creduto di averti perso, un
anno fa;
col tuo ritorno mi hai fatto innamorare un’altra volta,
evidentemente non posso
fare altrimenti che amarti”.
Gli sorrise e
lui ricambiò, donandole un sorriso sereno che
non aveva più ombre. Si voltò sul fianco e la
abbracciò, stringendosela al
petto.
“Almeno
il giorno del nostro matrimonio lo indosserai un
vestito?! Non hai mai voluto essere la mia dama in queste ultime
settimane”.
Oscar rise
contro il suo petto, nascondendo l’improvviso
rossore. “Hai ragione non ho mai voluto ma se fosse stato
Andrè a chiedermelo
forse avrei detto di si”.
“Sul
serio?”.
“Certamente.
L’ho fatto una sola volta e per la persona
sbagliata, per te sarei disposta a farlo anche tutti i
giorni”.
Andrè
scosse appena la testa, sospirando sereno. “Voglio che
tu sia te stessa, la mia Oscar”.
La vide
socchiudere gli occhi, finalmente vinta dal sonno, e
le baciò il viso, carezzandole i capelli.
“Domani
parlerò con i Beleznay… con i miei
genitori”, le
disse prima che scivolasse fra le braccia di Morfeo.
************************************************************************************************
Rieccomi anche
oggi, forse non avrò più problemi di
connessione *-* Forse…
Tornando al
capitolo, spero non vi dispiaccia troppo questo
Andrè che esterna le sue paure a Oscar: sinceramente ho
sempre trovato un po’
inverosimile che soffrisse tanto per lei se davvero era tanto sicuro di
essere
ricambiato da tutta la vita; naturalmente questa è solo la
mia personalissima
opinione eh, non voglio mettere sotto giudizio gli autori
dell’anime u.ù
La scelta di
Andrè è infine compiuta, in parte per ragioni
esterne e in parte per il desiderio di non separarsi da Oscar, sembra che stiamo
andando verso
un lieto fine ^-^
Grazie, grazie e
ancora grazie per il sostegno, al prossimo
capitolo <3
|
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Capitolo 29 *** Capitolo 28 ***
I principi
Beleznay raggiunsero palazzo Jarjayes di buon
mattino, sorpresi da quell’invito così repentino
da parte del generale.
Ariadné, soprattutto, era molto in ansia, preoccupata che
Tibor avesse trovato
il modo di far del male ad Andrè. In cuor suo sperava che
lui decidesse di
accettare la loro idea e lasciarsi adottare ancora una volta,
sì da garantirgli
la possibilità di vivere con la donna che amava; eppure,
aveva imparato a
conoscere il suo cuore e temeva che rifiutasse per la vergogna di
tradire i
propri natali.
“A che
cosa stai pensando Ariadné?”.
“Temo
che Andrè rifiuti la nostra offerta e mi dispiacerebbe
moltissimo. Se perdesse il suo titolo non potrebbe chiedere la mano di
Oscar,
né tanto meno vivere una relazione con lei”.
“E
perderemmo definitivamente nostro figlio”.
Ariadné
tacque, fissando il paesaggio che scorreva veloce
sotto gli zoccoli dei cavalli. Rispondere non era necessario, Zalán sapeva bene di
avere ragione e negare sarebbe stato
inutile.
“Credi
che Tibor abbia agito di nuovo?”.
“No.
Se così fosse stato, il generale Jarjayes ci avrebbe
pregati di raggiungere subito la sua residenza, senza attendere che
sorgesse il
sole. Sono sicuro, però, che si tratti di una questione
della massima urgenza”.
Ariadné
tornò a prestare attenzione a ciò che riusciva a
vedere attraverso il finestrino della carrozza, in fremente attesa di
rivedere
palazzo Jarjayes. L’inquietudine che avvertiva sin da quando
il messo li aveva
raggiunti non si sarebbe placata, a meno di vedere con i suoi occhi che
Andrè era
sano e salvo.
Finalmente
raggiunsero la loro meta e furono fatti accomodare
nella sala per la colazione mentre Nanny si recava immediatamente ad
avvertire
del loro arrivo il generale e Andrè. François de
Jarjayes li raggiunse per
primo, invitandoli a consumare con lui la colazione. Ariadné
lo scrutava
attentamente, cercando di carpire nel suo viso un indizio su cosa fosse
successo ma sembrava perfettamente calmo.
Andrè
e Oscar li raggiunsero qualche minuto dopo e lui si
avvicinò immediatamente per salutarli, chinandosi a baciare
sulle guance
Ariadné.
“Buongiorno
madre”.
“Buongiorno
Andrè. Vedo che ormai sei perfettamente guarito,
ti trovo molto bene”.
Le sorrise
sedendosi accanto a lei, mentre Oscar prendeva
posto tra lui e il generale. “Sto molto bene infatti, madre.
Almeno
fisicamente”.
“Che
cosa intendi dire?”.
Andrè
sospirò appena prima di rispondere. Doveva raccontar
loro ciò che era successo ma temeva che la decisione
finalmente presa li
ferisse; non voleva credessero che tornasse con loro soltanto per
ciò che era
accaduto con Ophélie, quella era sicuramente una ragione ma
non l’unica.
“Ieri
ho ricevuto la visita della contessa Ophélie de
Sombrefleuve. L’avrete vista spesso con Tibor immagino, e
d’altra parte sono
convinto che sia la sua amante. In ogni caso, ha tentato di pugnalarmi
e nel
tentativo di strapparle l’arma dalle mani, siamo finiti in
una posizione che
oserei dire compromettente; purtroppo le guardie che mio cugino aveva
mandato
perché la scortassero hanno visto ogni cosa e hanno
certamente equivocato.
Anche se così non fosse, basterebbe loro essere sinceri per
causarmi dei grossi
guai”.
Zalán
ascoltò attentamente, senza
distogliere lo sguardo da Andrè nemmeno per un attimo. Lo
conosceva ormai e
sapeva che era sincero, il suo animo era troppo nobile
perché pensasse di usare
violenza a una donna.
“Non
vedo dove stia il problema. Qualsiasi cosa abbiano visto
quegli uomini, le abitudini notturne della contessa sono di pubblico
dominio,
nessuno crederebbe mai che tu abbia dovuto costringerla con la
forza”.
“Nessuno
crederebbe che il principe András Beleznay
l’abbia costretta”, intervenne Oscar.
“Tuttavia,
se lei e Tibor trovassero le prove e smascherassero Andrè
Grandier, egli
sarebbe condannato a morte senza esitazioni. Un borghese non
può toccare una
nobile”.
“Senza
contare che, anche come András,
rischio di essere infamato da tali accuse. Anche se
nessuno le credesse, avrebbe comunque seminato il sospetto”.
Il generale
Jarjayes decise infine di esprimere il suo
pensiero. “La cosa migliore è che i nostri figli
si sposino presto e poi
partano alla volta dell’Ungheria. Naturalmente se intendete
ancora considerare
Andrè come tale”.
“Generale
Jarjayes, io stessa ho proposto ad Andrè di essere
adottato nuovamente, questa volta con il suo vero nome. Non potremmo
mai
abbandonarlo in una situazione del genere e gli vogliamo bene,
perciò, riaverlo
a casa non sarebbe che un piacere per noi. Quello che mi stupisce
è la
decisione di questo matrimonio così in fretta”.
“Non
vedo perché la stupisca principessa. I nostri figli
desiderano sposarsi, tra una settimana o tra mesi che differenza fa?
Inoltre,
tutta Versailles li ha visti spesso insieme, e ha avuto modo di
congetturare su
di loro. La notizia delle nozze tra i rampolli di due famiglie
così care ai
sovrani non farà che soffocare ogni pettegolezzo creato ad
arte dalla
contessa”.
“Ditemi
generale”, disse Zalán che stava
soppesando l’idea. “Voi
parlate di pettegolezzi ma quelle della contessa potrebbero essere vere
e
proprie accuse. Ha dalla sua le guardie che hanno assistito alla scena
di cui
Andrè parla con tanto timore, non tradiranno
Tibor”.
“Ed io
non tradirò Andrè. Se fossi interrogato,
sosterrei la
verità e cioè che non ho assistito a nessuna
violenza in quella stanza; il
principe András sostiene di
essersi difeso da un’aggressione e non ho
motivo di credere che menta. Smentite le accuse, le resterebbe come
ultima
risorsa quella di creare delle dicerie che riescano a screditare
Andrè”.
Oscar
sgranò gli occhi, fissando suo padre: a tal punto era
disposto a spingersi per aiutare lei e Andrè? Sapeva di
essere molto amata
dal generale, eppure non credeva che per il suo bene giungesse a
esporsi a quel
modo in difesa dell’uomo che lei voleva sposare.
Ariadné
strinse la mano di Andrè nella sua, attirandone
l’attenzione.
“Dimmi, saresti tornato lo stesso in Ungheria?”.
“Si
madre. Non voglio perdere Oscar e il generale mi ha
comunicato senza mezzi termini che sarebbe il mio primo nemico se
perdessi il
titolo nobiliare e tentassi di stare ugualmente accanto a lei. Voglio
vivere il
mio amore con lei alla luce del sole, non nascosti come
furfanti”.
“Questo
mi rende felice Andrè. E poi chissà, forse un
giorno
potreste tornare a vivere in Francia”.
“Credo
che non lasceremo più la Transilvania alla volta di
quello che è ancora per poco il nostro paese. Qualora si
diffondesse la notizia
che avete adottato Andrè Grandier, alla corte di Versailles
saremmo
continuamente additati e la nostra vita sarebbe molto difficile
comunque.
Preferiamo la corte ungherese, lì non hanno di questi
pregiudizi”.
La principessa
annuì e tornò a prestare attenzione a suo
marito e al generale Jarjayes che avevano già cominciato a
discutere i dettagli
dell’imminente matrimonio.
Nel pomeriggio,
i principi ungheresi ripartirono alla volta
di Versailles e Andrè decise di seguirli, sì che
nessuno avesse sospetti
sull’identità del principe András. Oscar dal
canto suo, indossò
l’uniforme e si incaricò della loro sicurezza,
certa che nessuno lo avrebbe
trovato strano visto ciò che era recentemente accaduto al
principe.
Non appena
furono giunti a destinazione, una folla di curiosi
si assiepò nella sala del trono, dove il principe András Beleznay fu
ricevuto dai sovrani, ansiosi di informarsi
circa la brutta avventura che gli era capitata. Una volta congedato, fu
circondato da diversi cortigiani, incuriositi e fintamente preoccupati
per lui
mentre Oscar fu convocata dalla Regina in udienza privata.
“Madamigella
Oscar, sono contenta di vedere che il principe
András stia bene. Voi
pensate di poter ritornare al vostro
lavoro?”.
“Certamente
maestà. Credo, però, che vogliate parlarmi di
qualcos’altro”.
“Siete
nel giusto madamigella. La contessa de Sombrefleuve mi
ha chiesto udienza privata stamani, sostenendo che il principe András abbia tentato
di usarle violenza”.
Oscar strinse i
pugni, trattenendo la rabbia ma riuscì a
mantenere un atteggiamento composto, guardando in volto la Regina.
“Maestà, mio
padre è entrato nella stanza quando ha sentito le urla della
contessa e sostiene
di non aver assistito a niente di sconveniente. In effetti, egli
ritiene,
conoscendo la sua fama, che si trattasse di una messinscena volta a
screditare
il principe”.
Maria Antonietta
annuì, convinta dalle parole di Oscar. Lei
stessa aveva pensato che i fatti non potevano essersi svolti come la
contessa
sosteneva; se le dicerie di Versailles corrispondevano al vero, nessuno
era mai
dovuto giungere a tanto per ottenere i suoi favori, soprattutto
trattandosi di
personaggi tanto in vista.
“Io vi
credo madamigella Oscar, ma sua maestà il Re desidera
vedere chiaro nella faccenda. Sono convinta che vorrà
ascoltare il principe e
anche voi e vostro padre. Tutto questo dev’essere risolto
prima che i principi
Beleznay ripartano per l’Ungheria”.
“A
proposito di questo, maestà, anche io partirò
alla volta
dell’Ungheria. Con mio marito”.
La Regina
portò le mani al viso, un sorriso radioso a
illuminarlo. “Intendete dire… oh madamigella
Oscar, sono così felice per voi!”.
“Il
principe András ha chiesto la
mia mano ieri e mio
padre è stato felice di concederla. Ci sposeremo fra una
settimana”.
“Farò
il possibile perché ciò che sostiene la contessa
non
abbia a macchiare la reputazione di András”.
“Vi
ringrazio maestà ma vi prego di non esporvi troppo.
Né io
né András vogliamo
causarvi alcun tipo di problema”.
“Madamigella
Oscar, in questi anni mi sono schierata spesso
al fianco delle persone sbagliate. Sostenere voi per una volta non
sarà un
errore”.
Oscar nascose un
sorriso chinando il capo in segno di saluto
e si congedò dalla Regina per raggiungere Andrè.
Andrè
si trovava nella Sala degli Specchi in compagnia dei
suoi genitori e ancora di diversi cortigiani. Oscar stava per
raggiungerlo,
quando sentì qualcuno alle sue spalle richiamarla.
“Girodelle!”.
“Comandante
Oscar, è un piacere rivedervi a Versailles
finalmente”.
Lo
guardò con attenzione, chiedendosi se potesse nuovamente
fidarsi di lui. Aveva tradito Andrè, rischiando di causarne
la morte e dubitava
ancora di potergli perdonare un gesto tanto avventato, pur se dettato
dall’amore che diceva di provare per lei. Proprio per questo
sentimento, però,
meritava di sapere prima che fosse raggiunto dai pettegolezzi.
“Possiamo
parlare Girodelle?”.
“Certamente
comandante. Volete seguirmi?”.
Girodelle
condusse Oscar fuori dalla sala e lungo un
corridoio poco frequentato del palazzo. “Qui potremo parlare
al riparo da
orecchie indiscrete. Dite comandante”.
“Mi
rendo conto di essere stata molto severa durante il
nostro ultimo incontro Girodelle. Spero che abbiate capito le mie
motivazioni”.
“Le ho
comprese perfettamente comandante. Con il mio
atteggiamento irresponsabile, ho messo in pericolo una persona che vi
è molto
cara, è del tutto comprensibile che foste
arrabbiata”.
Oscar si
appoggiò al davanzale di una finestra dietro di
sé. “E’
così Girodelle, András mi
è molto caro. Molto più di
quanto forse immaginate, è il mio futuro marito”.
Girodelle
sembrò folgorato da quelle parole di Oscar; rimase
immobile, il viso contratto in una smorfia di dolore. Credeva che non
sarebbe
mai giunta all’altare, di certo non immaginava che rifiutasse
il suo amore per
concederlo a colui che sapeva essere il suo attendente.
“Ma…
lui non è nobile madamigella, il Re non
acconsentirà”.
“Non
so di che cosa parliate, il principe András è
tanto nobile quanto lo siamo noi altri. Sua maestà non
avrà nulla in contrario”.
“Comandante,
siete stata voi stessa a dirmi che…”.
“A
dirvi che il principe András è
una persona alla quale tengo
molto. Sapete bene quanto io sia discreta, posso fidarmi del fatto che
ciò che
vi ho rivelato in confidenza resterà tra noi?”.
Gli stava dando
un’altra possibilità perché tra loro
restasse
viva almeno la vecchia amicizia; non era proprio il caso di sprecarla,
sapeva
bene quanto sapesse essere dura e inflessibile Oscar
François de Jarjayes.
“Certamente
comandante. Non avrete mai più motivo di dubitare
di me”.
Oscar sorrise
soddisfatta. “Molto bene Girodelle. Potrò avere
il piacere di avervi fra gli ospiti al mio matrimonio?”.
Girodelle si
irrigidì a quell’invito, trattenendo la voglia
di urlare per la frustrazione; di cosa credeva che fosse fatto, di
marmo? Rifiutava
il suo amore e poi lo invitava ad assistere mentre si donava totalmente
a un
altro uomo, doveva essere completamente pazza o insensibile. La ragione
gli
suggerì che a spingerla era stata la cortesia, e non il
desiderio di fargli del
male, tuttavia essere presente quel giorno avrebbe significato
strapparsi il
cuore dal petto con le sue stesse mani e calpestarlo senza
pietà.
“Temo
che non potrò essere presente, madamigella Oscar,
Versailles non può rimanere sguarnita dei suoi ufficiali, ne
convenite?”.
Oscar comprese
benissimo che stava gentilmente declinando l’invito
ma si limitò ad annuire, osservando Girodelle che le faceva
il saluto militare
e si allontanava, lasciando dietro di sé solo il rumore
degli stivali sul
lucido marmo.
************************************************************************************************
Salve ragazze/i
(mi sono resa conto che salutavo solo le
donne e non è carino, potrebbe esserci anche qualche
maschietto fra i miei
lettori u.ù), anche oggi vi posto un nuovo capitolo, un
altro passo verso l’epilogo
ç.ç
Bene, direi che
Oscar e Girodelle hanno fatto pace ma che
fosse fra gli invitati, felice di vedere la sua Oscar convolare a
giuste nozze
con Andrè, mi sembrava troppo per il suo povero cuoricino
infranto :P
Grazie per le
letture e le recensioni, anche se sono molto
diminuite, non vi va più di dirmi cosa ne pensate di questa
specie di racconto
ç.ç? Sto scherzando naturalmente, lungi da me il
pretendere più attenzione di
quella che merito u.ù
Al prossimo
capitolo ^-^
|
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Capitolo 30 *** Capitolo 29 ***
Il tanto atteso
incontro tra le parti in causa e i sovrani
per chiarire cosa fosse accaduto a palazzo Jarjayes, ebbe luogo quella
stessa
sera in un appartamento privato di Versailles. Ophélie si
era presentata in
compagnia di Tibor e delle due guardie ungheresi che
l’avevano accompagnata il
giorno precedente a far visita al principe András. Appariva
sofferente e intimorita,
tanto da aver bisogno di appoggiarsi fisicamente al duca, il quale dal
canto
suo guardava Andrè con uno sguardo di puro odio che lo
avrebbe incenerito se ne
avesse avuto il potere.
Andrè
stringeva la mano di Oscar, deciso a sostenere a testa
alta le accuse di Ophélie; non aveva fatto nulla di cui
dovesse preoccuparsi e
lei d’altra parte non aveva le prove di ciò che
sosteneva. Anche sua madre
aveva espresso il desiderio di essere presente, mentre Zalán era rimasto
nei suoi appartamenti; era troppo infuriato con
Tibor per quest’ultima bravata, temeva che avrebbe finito per
aggredirlo alla
sua sola vista. Quando fu interpellato, il generale Jarjayes
tirò fuori uno
stiletto che consegnò a Luigi XVI.
“Maestà
questa è l’arma che la contessa sostiene sia stata
usata dal principe Beleznay per minacciarla nel tentativo di usarle
violenza.
Come potete vedere, si tratta di un’arma francese che non
appartiene alla
famiglia del principe; tanto meno fa parte del patrimonio della
famiglia
Jarjayes”.
“Mi
accusate di mentire!”, strillò istericamente
Ophélie,
sostenuta da Tibor. “Avete visto bene il vostro ospite che mi
sovrastava,
tentando di…”.
Un accenno di
pianto la frenò e per un attimo sembrò ai
presenti che fosse sincera; senza dubbio sarebbe stata
un’attrice di talento se
avesse deciso di intraprendere la carriera teatrale.
“Contessa
vi prego di contenervi”, replicò freddamente il
generale, per niente turbato dalle sue lacrime. “Io mi sto
limitando a esporre
quelli che sono i fatti. Il principe vi stava trattenendo, è
vero, ma mentre
voi sostenete che lo facesse tentando di usarvi violenza, lui riferisce
di
essersi difeso da voi che tentavate di assassinarlo e nella stanza
è stato
rinvenuto un pugnale che voi stessa avete riconosciuto. E dal momento
che non
appartiene al principe, né si trovava in casa mia prima
della vostra visita,
voi siete l’unica che può averlo portato in quella
camera”.
Ophélie
si morse le labbra, messa alle strette dalla lucida
mentalità militare del generale Jarjayes e Tibor decise di
interrompere il
proprio silenzio.
“Anche
se la contessa avesse portato con sé il pugnale,
questo non avrebbe comunque autorizzato il principe Beleznay a tentare
di
approfittare della situazione”.
“E per
quale motivo la contessa avrebbe dovuto portare con sé
un’arma?”.
“Evidentemente
sapeva che razza di persona sia il principe”.
“E pur
sapendo quanto fosse turpe e vile, si è recata
personalmente alla mia residenza pregandomi affinché le
concedessi di far
visita al principe András per il quale
era talmente
preoccupata da non poter attendere che rientrasse a
Versailles!”, esclamò
beffardo il generale.
Tibor strinse
più forte Ophélie, tacendo anche lui: non
avrebbe mai creduto di trovarsi il generale Jarjayes come avversario,
la sua
compagna gli aveva assicurato che sarebbe stato un valido alleato una
volta
messo a parte della verità riguardo András ma
evidentemente aveva preso un
abbaglio.
“Basta
così”, sentenziò il Re alzandosi dal
trono su cui
sedeva, imitato dalla Regina. “Avete esposto i fatti, spetta
a noi decidere se
questa storia sarà portata in un tribunale o si
chiuderà fra queste mura.
Domani saprete la nostra decisione”.
Uscì
dalla stanza in compagnia della sua consorte, lasciando
i contendenti da soli. Tibor congedò le sue guardie
ungheresi, tenendo con sé
solo Ophélie.
“Ebbene,
ci sei riuscito András. Hai ingannato
persino i sovrani
francesi”.
“Io
non ho ingannato nessuno, Tibor. Non avrei mai alzato un
dito su Ophélie che al contrario mi si è gettata
fra le braccia. Abusare di una
donna è qualcosa che mi disgusta nel profondo, non potrei
mai”.
Ophélie
era livida, lacrime di rabbia le solcavano il viso vedendo
il piano ideato con tanta accuratezza frantumarsi sotto la spietata
strategia
militare dei Jarjayes, i pugni così stretti da farsi
sbiancare le nocche.
“Non
crediate che finirà così, tutta la corte
saprà cosa
avete tentato di farmi!”.
Oscar
alzò le spalle con noncuranza, rivolgendole uno sguardo
di sfida. “Fate pure contessa. In ogni caso io e András ci sposeremo
la settimana prossima e partiremo alla volta
dell’Ungheria. Versailles sarà solo un ricordo o
la meta di visite saltuarie”.
Tibor
sbarrò gli occhi lasciando Ophélie e si
avvicinò
minaccioso ad Ariadné. “Che cos’hai
architettato maledetta sgualdrina?!”.
Andrè
lasciò la mano di Oscar e lo afferrò per il
bavero,
scrollandolo violentemente; già una volta lo aveva sentito
pronunciare simili parole
rivolte a sua madre ma quella volta era incatenato e stordito.
“Osa
dire ancora una sola parola del genere rivolta a mia
madre e ti restituisco il trattamento che mi hai riservato in quel buco
schifoso”, sibilò, trattenendosi a stento dal
colpirlo.
“Ma
quanto siamo nervosi, cugino!
Perché ti scaldi tanto, lei non è nemmeno la tua
vera madre!”.
“Se
anche fossimo dei perfetti estranei non tollererei simili
insulti rivolti a una donna, tanto meno se quella donna è
mia madre”.
Continuava a
ribadire quanto considerasse Ariadné sua madre
perché non sopportava quelle affermazioni di Tibor; era pur
vero che non lo
aveva dato alla luce e che la conosceva da appena un anno ma era una
persona di
gran cuore che lo amava come fosse davvero suo figlio, non avrebbe
consentito a
nessuno di ferirla.
Lasciò
andare di colpo Tibor, spingendolo via da sé. “Non
dovrai nemmeno avvicinarti a lei, chiaro?”.
Tibor sorrideva
sarcastico mentre si rassettava la giacca.
“Mi stai forse minacciando?”.
“Io
non sto minacciando nessuno ma non voglio vederti vicino
a mia madre. Le provochi sempre e solo dolore”.
Andrè
si avvicinò ad Ariadné e le porse il braccio
uscendo in
sua compagnia mentre Oscar e il generale Jarjayes li seguivano da
presso.
Il mattino
seguente Oscar si svegliò molto presto, disturbata
dalla mancanza di Andrè accanto a lei; scosse la testa,
ridendo di quel
pensiero e si alzò dal letto. Aveva davvero perso la testa
per lui se non
riusciva neanche più a dormire se non fra le sue braccia!
Si
lavò e vestì con cura e velocemente, ansiosa di
partire
alla volta di Versailles, per il forte desiderio di rivedere
Andrè, certo, ma
anche e soprattutto per scoprire cosa avessero deciso i sovrani in
merito alla
denuncia di Ophélie. Aveva pochi dubbi che la controversia
si risolvesse a
favore di Andrè, tuttavia sarebbe stata tranquilla solo
quando avrebbe sentito
con le proprie orecchie il verdetto.
Scese
direttamente nelle scuderie, senza fermarsi a fare
colazione e saltò in groppa a César, dirigendolo
verso la reggia a passo
sostenuto. Sperava con tutto il cuore che il Re non avesse deciso di
rimettere
la questione al tribunale, altrimenti avrebbero dovuto rimandare tutti
i loro
piani e bisognava lasciare la Francia prima che la vera
identità di András fosse svelata.
Giunta a
destinazione, smontò da cavallo e lo affidò alle
cure degli stallieri, dirigendosi verso gli appartamenti;
d’improvviso si sentì
afferrare per la vita, mentre una mano le tappava la bocca, e
trascinare
all’ombra di un colonnato. La persona in questione la fece
voltare verso di sé
e la baciò, stringendola possessivamente; Oscar la
lasciò fare, salvo tirargli
un pugno nello stomaco quando la lasciò andare.
“Mi
hai fatto prendere un colpo, idiota!”.
“Accidenti
Oscar, è questo il modo di trattare il tuo
fidanzato?!”, protestò Andrè
massaggiandosi la parte offesa.
“Se il
mio fidanzato si comporta in maniera tanto infantile,
sì!”.
“Volevo
solo un bacio, abbiamo passato tutta la notte
separati! Adesso devi farti perdonare”.
Oscar
alzò un sopracciglio guardandolo e ricominciò a
camminare verso la reggia, resistendo al forte impulso di ridere; lui
la
osservò allontanarsi e le corse dietro quando fu evidente
che non si sarebbe
fermata.
“Oscar
stavo scherzando, fermati!”.
“Siamo
in ritardo”.
“Non
è vero, per favore aspetta!”.
Lei si
fermò finalmente e si voltò verso di lui,
giocherellando
con il risvolto della sua giacca.
“András devo
ricordarti che attendiamo una risposta molto importante proprio
stamani? Non
abbiamo tempo”.
Andrè
le cinse la vita con le braccia, accarezzandole la
schiena. “Facciamoci aspettare”.
Oscar scosse la
testa, alzandosi sulle punte per baciarlo
mentre gli stringeva le braccia al collo; e fu una dolce promessa quel
bacio,
pronunciata senza parole.
“Andiamo.
Voglio conoscere la decisione dei sovrani”.
Andrè
si arrese annuendo e le porse il braccio, percorrendo
con lei la strada verso gli appartamenti.
Trascorse
un’altra ora e ancora non si erano avute notizie
del Re. Oscar passeggiava nervosamente avanti e indietro nella stanza,
e Andrè
la seguiva con lo sguardo.
“Oscar
forse dovresti fermarti”.
“Non
riesco a stare seduta, sono troppo in ansia”.
Tibor, seduto
dalla parte opposta della stanza assieme a
Ophélie, ridacchiava dell’ansia di Oscar.
“Cosa c’è che non va? Temete forse
che il vostro fidanzato finisca per essere processato in
tribunale?”.
Oscar si
fermò, incrociando le braccia al petto. “András non
sarà processato per qualcosa che non ha commesso. Se vi
preoccupate della virtù di chi vi si accompagna, forse
dovreste prestare più
attenzione alla scelta delle vostre amicizie”.
Ophélie
le rivolse un’occhiata sprezzante e si alzò,
andando
verso di lei fino a trovarsi tanto vicina da poter bisbigliare.
“Siete
troppo sicura di voi madamigella Oscar. State attenta
a voi e al vostro fidanzato”.
Oscar la
guardò con un sorrisino sardonico, chinandosi vicino
al suo orecchio. “Grazie per la premura, contessa. Vi
ricambio la
raccomandazione: intendo sposarmi e se accadesse qualcosa al mio futuro
marito
sareste la prima che verrei a cercare. Spero di essere stata
chiara”.
La
lasciò gelata dove si trovava tornando vicino ad
Andrè e
si sedette finalmente, posando la mano sulla sua. Sapeva di non dover
sottovalutare la minaccia di Ophélie, aveva tentato una
volta di uccidere Andrè
e avrebbe potuto riprovare; tuttavia, era quasi certa che si sarebbe
arresa una
volta che i sovrani avessero decretato la completa inconsistenza delle
sue
accuse.
Finalmente il
messo annunciò l’ingresso dei sovrani e i
presenti si alzarono, inchinandosi quando varcarono la porta della
stanza e
restando in quella posizione fin quando fu loro concesso di rialzarsi.
“Abbiamo
riflettuto molto sulla vostra controversia”,
cominciò il Re. “E non abbiamo motivo di credere
alla malafede della contessa
de Sombrefleuve”.
Un sorriso di
trionfo distese il viso di Ophélie mentre
Oscar, al contrario, impallidiva vistosamente; era certa che
Andrè sarebbe
stato giudicato innocente, non potevano aver dato credito a quella
donna! Sentì
la stretta del suo uomo più forte attorno alla mano e si
voltò a guardarlo. Le
sorrideva, nonostante tutto e lei si chiese come potesse darle tanta
sicurezza
semplicemente posando su di lei quegli splendidi occhi verdi. Le fece
cenno di
voltarsi a guardare il Re che non aveva ancora terminato di parlare.
“Tuttavia
dopo aver ascoltato i testimoni e considerato i
fatti esposti dal generale Jarjayes, non riteniamo che il principe András abbia commesso
ciò di cui viene accusato. Per questi
motivi, vi preghiamo di dimenticare questa faccenda che speriamo non
abbia
seguito alcuno. Questo è tutto”.
Non appena il Re
e la Regina ebbero lasciato la stanza, Andrè
abbracciò Oscar affondando il viso nei suoi capelli. La
stringeva
convulsamente, nonostante il verdetto del Re fosse di fatto il consenso
alle
loro nozze; sebbene avesse tentato di tranquillizzarla, lui stesso si
era
sentito mancare il terreno sotto i piedi quando aveva ascoltato le
parole
iniziali del sovrano, e ora al contrario, credeva quasi di essere
asceso al
paradiso!
“E’
tutto finito, Andrè”, gli disse Oscar con un filo
di
voce.
“No
Oscar, è solo l’inizio. La nostra
felicità è appena
cominciata”.
************************************************************************************************
Eccomi qui anche
stasera ^-^
Scusate
l’attesa ma questo capitolo non voleva saperne di
essere scritto, ha fatto tanti capricci per lasciarmi comunque
insoddisfatta :s
Comunque…
il generale Jarjayes si è costituito avvocato
difensore (d’altronde era lui a essere entrato nella stanza,
non poteva essere
Oscar) e nemmeno il Re è tanto sciocco da credere a
un’accusa infondata come
quella della serpe Ophélie. Evidentemente lei e il suo
amante hanno fatto male
i conti ;)
E’
tutto finito dite? Cosa vi ricorda l’ultima frase?
*sogghigna*
|
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Capitolo 31 *** Capitolo 30 ***
I giorni
seguenti videro Oscar e Andrè trascorrere più
tempo
lontani che insieme, ognuno rapito dai rispettivi familiari. A lei era
stata
concessa un’altra licenza perché potesse
prepararsi a dovere al proprio
matrimonio, quello stesso matrimonio che avrebbe segnato la fine della
vita che
conosceva; e la prospettiva piuttosto che spaventarla le mandava
brividi
deliziosi lungo la spina dorsale.
Sentiva che
avrebbe potuto affrontare qualsiasi cosa finché
avesse avuto Andrè accanto, così
com’era sempre stato. Se aveva potuto
illudersi di vivere come un uomo era stato solo grazie alla sua
rassicurante presenza
che non era mai venuta a mancare. Persino quando era stato lontano
l’aveva
sorretta, impedendo che commettesse una sciocchezza grazie
all’amore che aveva
scoperto per lui e che non si sentiva pronta a lasciar andare con la
morte.
“Madamigella
Oscar, dritta per favore!”.
La voce di
madame Bertin la riscosse, riportandola coi piedi
per terra. La Regina aveva insistito perché la sua modista
preferita si occupasse
di confezionare l’abito da sposa di Oscar, dichiarandosi
certa che avrebbe
saputo interpretarne alla perfezione l’animo e creare
l’abito più adatto a lei.
Ormai era in
piedi da ore, con le braccia divaricate, e
nonostante l’addestramento militare cominciava a sentire la
stanchezza di
mantenere quella scomoda posizione. Nel tentativo di distrarsi,
gettò uno
sguardo allo specchio collocato alla sua destra e dovette suo malgrado
ammettere di trovare affascinante la sua stessa figura: madame Bertin
aveva
perfettamente intuito il carattere della sposa, optando per un
semplicissimo
abito, privo dei trini e merletti che tempestavano gli indumenti delle
dame di
Versailles. I capelli, raccolti perché non intralciassero il
lavoro delle
sarte, evidenziavano il lungo collo da cigno, slanciando ulteriormente
la sua
figura e Oscar si scoprì ad arrossire chiedendosi cosa ne
avrebbe pensato Andrè
quando l’avesse vista.
“Vi
troverà splendida, madamigella”.
“Come?
Che cosa avete detto?”.
“Il
principe Beleznay non potrà resistervi, siete un
sogno”.
Oscar
accennò un sorriso, chiedendosi come avesse potuto
madame Bertin indovinare i suoi pensieri con tanta esattezza; intuito
femminile
forse, o piuttosto l’abitudine a vedere le espressioni di
decine di donne
giunte a un passo dall’altare.
Lei,
però, non era una donna come le altre, era stata
cresciuta e addestrata come un soldato e in quanto tale non avrebbe
dovuto
mostrare i suoi sentimenti a chicchessia; rialzò il mento
con cipiglio deciso
ma l’algida maschera si sciolse al sole del sorriso di
Andrè che irruppe
prepotentemente nei suoi pensieri. Lei era esattamente
come le altre, aveva solo ricevuto un’educazione differente e
come donna non
poteva negare di stare andando verso il giorno più felice
della sua vita,
quello in cui si sarebbe affidata totalmente a un uomo, al suo cuore
gentile
che la sorreggeva da sempre e sarebbe stato il suo appiglio per tutta
la vita.
“Abbiamo
finito, madamigella Oscar”, sentenziò madame
Bertin
mettendo fine a quella che Oscar avrebbe definito senza esitazioni una
tortura
medievale.
La donna e le
sue sarte la spogliarono dell’abito perché non
lo sgualcisse nel tentativo e potè finalmente scendere dallo
sgabello e
indossare una più comoda veste da camera. Quando furono
uscite, si avvicinò al
camino restando in piedi a fissare le fiamme per qualche momento. Il
rumore
della porta che si apriva, la riscosse e si voltò, certa che
si trattasse di
madame Bertin o di una delle sue sarte in cerca di qualcosa dimenticato
nella
stanza.
“Andrè!”.
Andrè
tacque, prendendosi del tempo per osservare la donna
che aveva davanti, perché per un attimo credette di trovarsi
davanti
all’incarnazione di Afrodite. Oscar era bella, più
di qualsiasi altra donna
avesse mai visto e quella bellezza così pura e semplice,
priva di ornamenti,
lui la vedeva anche sotto gli abiti maschili e gli atteggiamenti
militareschi
che da sempre erano parte di lei; eppure così, con indosso
solo una vestaglia
che poco o niente lasciava all’immaginazione, quel suo
splendore etereo non
poteva che essere accresciuto.
La vide compiere
qualche passo verso di lui e si mosse a sua
volta, raggiungendola in poche falcate; le posò le mani
intorno alla vita,
stringendosela contro, e si chinò a baciarle il viso.
“Mi
stavi aspettando?”.
Oscar rise
accarezzandogli il volto con entrambe le mani.
“Sì,
stavo proprio aspettando te. Però,
non
dovresti entrare senza bussare nella stanza della tua futura
moglie”.
“Proprio
perché sarai mia moglie, non vedo il motivo di tanta
etichetta”.
Gli sorrise,
sfiorandogli le labbra con i pollici e si tese a
baciarlo, spostando le mani sulle spalle dove alcune ciocche ribelli si
lasciarono catturare fra le sue dita; Andrè portò
le mani verso il basso fino
al fondoschiena, e la sollevò leggermente.
“Oscar…
mi fai perdere il controllo di me stesso così”,
sospirò
staccandosi da lei.
“Sarai
mio marito, non vedo il motivo di tanta etichetta”.
Oscar rise di
nuovo, rigirandogli ciò che le aveva appena
detto e Andrè ridacchiò anche lui, piegandosi a
darle un bacio sul collo.
“I
Beleznay hanno finalmente ricevuto i documenti
dall’Ungheria. Oggi hanno adottato Andrè Grandier
e András Hrovat non
esiste più”.
“Perciò,
posso chiamarti Andrè anche quando siamo qui a
Versailles?”.
Andrè
annuì baciando il nasino di Oscar. “Certo. Sono di
nuovo e per sempre Andrè”.
“Il mio Andrè”.
Ophélie
si trovava nella propria stanza a rimuginare su ciò
che era accaduto; non tollerava che quello scherzo della natura
chiamato Oscar
François de Jarjayes le avesse infine ritorto contro il suo
stesso piano. E
meno ancora sopportava lo sdegno con il quale il suo attendente
ammantato di nuova
nobiltà l’aveva respinta.
“A che
cosa stai pensando?”.
La voce di Tibor
la fece voltare verso il letto, sul quale
giaceva il duca ungherese, fra le lenzuola sfatte. Lo raggiunse sedendo
sul
bordo e stese una mano a disegnare i muscoli del suo torace.
“Non
accetto quello che è successo. Detesto perdere”.
Tibor si
sollevò, mettendosi seduto sul letto e le prese la
mano, portandola alle labbra. “Non è
finita”.
“Tibor…
cosa possiamo fare ancora, fra due giorni si
sposeranno e partiranno per l’Ungheria, hanno
vinto”.
Lui
sollevò Ophélie fra le braccia, stringendola a
sé e le
tirò su il viso, prendendo possesso delle sue labbra mentre
lei lasciava
scivolare le mani fra i suoi capelli biondi. Lo spinse
all’indietro sul letto,
suscitandogli una risata che sentì con la pelle quando lui
se la strinse
contro, premendole le mani sulla schiena. Lasciò le sue
labbra per baciargli il
collo, la mano di Tibor fra i suoi boccoli.
“Non
li lascerò tranquilli, mia cara”.
Ophélie
alzò lo sguardo e lo abbracciò, stendendosi al
suo
fianco. “Dici davvero?”.
Tibor
annuì stringendola fra le braccia, la guancia
appoggiata sulla sua testa. Le carezzava pigramente la schiena,
scostando i
capelli dalla pelle di porcellana della donna, fin quando la vide
addormentarsi
e le baciò la fronte. Aveva in mente ancora un tiro mancino
all’odiato cugino
ma doveva attendere.
Il giorno del
tanto sospirato matrimonio era giunto infine, e
la cappella di Versailles era piena fino all’inverosimile
degli invitati alla
cerimonia ma soprattutto delle decine di cortigiani incuriositi
dall’evento.
Vedere il comandante Oscar François de Jarjayes contrarre
matrimonio era già
abbastanza strano; se poi il fortunato era niente meno che un principe
giunto
dai lontani boschi della Transilvania, la rarità
dell’avvenimento ne risultava
moltiplicata. Persino Tibor e Ophélie sedevano fra i
congiunti, come se niente
fosse accaduto fra loro e le famiglie degli sposi.
Quando la sposa
fece il suo ingresso al braccio di suo padre,
le esclamazioni di sorpresa non furono lesinate e se non fosse stato
per la
prevedibile tensione che l’aveva afferrata, Oscar avrebbe
trovato assolutamente
comiche le facce dei presenti. Era convinzione diffusa che si sarebbe
presentata in alta uniforme, come ogni volta che presenziava ad eventi
di
particolare importanza; e vederla fasciata in quel semplice ed elegante
abito
color avorio, con i lunghi capelli biondi raccolti sul capo,
stupì non poco
l’intera Versailles. Per un attimo fugace, Oscar
pensò che forse qualcuno
avrebbe ricordato la misteriosa contessa straniera che aveva danzato
fra le
braccia del conte di Fersen oltre un anno prima; stranamente, si rese
conto che
non le importava affatto che la riconoscessero, non ora che la stava
aspettando
l’unico uomo che meritasse di vederla in quelle vesti.
Andrè
era a dir poco folgorato da quella vista. Osservava
Oscar percorrere la navata a passo lento, il braccio stretto attorno a
quello
del generale Jarjayes, e credette quasi di essersi definitivamente
smarrito in
uno dei suoi sogni più belli. La donna che amava da tutta la
vita stava per
diventare sua moglie, lo amava e solo per lui aveva accettato di
dismettere le
sue abitudini e per un giorno, calarsi interamente nel ruolo di sposa.
Era così
bella che guardarla faceva male ma avrebbe rinunciato per sempre alla
vista se
avesse potuto dedicare a lei il suo ultimo sguardo. Si riscosse in
parte quando
il generale gli lasciò sua figlia, posando la mano di lei
sulla sua e si piegò
leggermente per poterle parlare.
“Sei
una visione”, disse, avendo il piacere di vederla
arrossire e distogliere pudicamente lo sguardo.
Non poteva
immaginare quanto e in quale maniera avesse
provocato il rossore di Oscar; le sue parole certamente avevano avuto
il loro
effetto ma lui stesso, la sua presenza in quel luogo e ciò
che significava
erano un misto di emozioni fortissime.
Si guardarono
negli occhi tutto il tempo, le mani strette che
intrecciarono le dita quando finalmente il celebrante sancì
la loro unione agli
occhi di Dio e degli uomini.
Semplicemente
Andrè e Oscar, semplicemente un uomo e una
donna liberi finalmente di amarsi senza ostacoli.
Durante il
ricevimento, che si tenne ancora a Versailles,
Andrè e Oscar trovarono il modo di allontanarsi, non visti,
da tutte quelle
luci e quegli sfarzi che nessuno dei due amava particolarmente. Si
rifugiarono
su una terrazza abbastanza isolata perché potessero stare
tranquilli per
qualche momento; la musica e il vociare delle persone giungevano
ovattati,
dando loro l’impressione di potersi isolare da tutto il
mondo. Andrè abbracciò
Oscar da dietro, le braccia strette attorno alla sua vita e il mento
sulla sua
spalla. Nessuno dei due parlava per non interrompere la magia di quegli
istanti
di cui unici testimoni erano gli astri del firmamento.
“E
così”, disse infine Oscar posando la mano sinistra
su
quella di Andrè, “siamo sposati. Chi lo avrebbe
mai detto?”.
“Io.
Non ho mai avuto dubbi che noi due fossimo gli unici
capaci di dare felicità l’uno
all’altra”.
“Ah
si?”.
“Si”.
Andrè
voltò il capo baciando delicatamente sul collo Oscar
che chiuse gli occhi, intrecciando più strette le loro mani.
“Ti
amo Andrè, lo sai?”.
Lui sorrise
sulla sua pelle e le posò una mano sul viso,
costringendola gentilmente a voltarsi incontrando le sue labbra;
l’altra mano
vagava sul suo corpo, infastidita dalla seta del vestito che impediva
alle loro
pelli di sentirsi. Andrè la fece voltare e poggiò
la fronte contro la sua,
accarezzandole delicatamente il viso.
“Anch’io
ti amo Oscar”, le sussurrò sulle labbra.
“Ti ho già
detto che sei bellissima?”.
Oscar
arrossì di nuovo, come ogni volta che lui le rivolgeva
parole tanto lusinghiere. “In effetti, credo che tu non me lo
abbia ancora
detto abbastanza”.
Andrè
rise abbracciandola e le accarezzò la schiena mentre
lei si rifugiava sul suo petto, sospirando tranquilla; ancora pochi
giorni e
sarebbe stato il suo compleanno e avrebbe avuto di nuovo lui accanto.
Un anno
prima, il sopraggiungere di quel giorno era stato l’ennesimo
colpo al suo cuore
ferito, un altro momento in cui avrebbe voluto Andrè e non
poteva. Questa
volta, sarebbe stato un nuovo passo verso la felicità
più grande che avesse mai
provato; alzò lo sguardo incrociando il suo, tanto intenso
da farla
rabbrividire.
“Senti
freddo?”.
“No,
sto bene. Voglio solo stare con te”.
Andrè
guardò Oscar negli occhi, intuendo cosa in realtà
gli
stesse chiedendo con quelle parole, apparentemente innocenti.
“Ci
cercheranno”.
“Non
siamo il Re e la Regina, i cortigiani possono anche
restare a danzare tutta la notte, invece di controllare cosa facciamo
nella
nostra camera”.
Lui rise
stringendole la mano e tornò all’interno della
reggia, imboccando il corridoio che conduceva agli appartamenti.
Ridevano come
ragazzini mentre correvano tentando di non farsi scoprire e non smisero
nemmeno
quando raggiunsero la stanza di Andrè; lui la
sollevò fra le braccia e giunto vicino
al letto, la adagiò sul materasso, stendendosi accanto a lei.
Si
voltò supino, trascinandola su di sè e le
sfiorò leggero
il corpo, imparandone ogni segreto con le dita; tornò ai
suoi capelli dai quali
cominciò a sfilare i fermagli che li tenevano raccolti sul
capo. Le ciocche gli
ricadevano sul viso, inebriandolo del profumo di Oscar mentre lei gli
slacciava
lo jabot per avere libero accesso
al
suo collo che si chinò a baciare. Andrè si
sollevò, sedendosi sul letto e
tenendo Oscar a cavalcioni sulle gambe la baciò
voluttuosamente, sfilandosi la
giacca e il gilet che gettò lontano sul pavimento.
Oscar
liberò i capelli di Andrè dal nastro che li
tratteneva,
sfilando con mani febbrili i bottoni della sua camicia dalle asole,
ansiosa di
poter risentire quella pelle virile sotto la sua; finalmente
riuscì a toglierla
e la mandò a raggiungere gli indumenti già tolti.
Lui sciolse i lacci che
tenevano chiuso il suo vestito e glielo sfilò lentamente
dalla testa, baciando
ogni porzione di pelle che scopriva al suo passaggio.
Pochi altri
ansiosi movimenti e i loro corpi poterono
risentirsi nuovamente privi di inutili barriere di stoffa fra loro.
Oscar,
ancora adagiata sul corpo di Andrè, si mosse accogliendolo
dentro di sé, senza
ulteriori indugi, spinta da un’urgenza che le era diventata
familiare; lui le
posò le mani sui fianchi, imponendole un ritmo
più lento e si abbassò a
baciarle il collo, scendendo lentamente verso il seno. Si
scoprì a rabbrividire
sentendo le mani di Oscar intrecciarsi fra i suoi capelli scuri,
sorpreso di
quanto un gesto così innocente potesse aumentare tanto la
sua eccitazione.
La
afferrò per la vita, invertendo le posizioni con un colpo
di reni e facendola distendere sulla schiena, si sollevò sui
gomiti per non
pesarle addosso; Oscar era ancora più bella così
scarmigliata, le labbra tumide
e rosse per i baci e il viso disteso, illuminato dai suoi splendidi
occhi
azzurri, lucidi di piacere. Le posò le mani sulle gote,
baciandola dolcemente,
senza fretta.
“Ti
amo così tanto Oscar”.
Oscar sorrise,
accarezzandogli la schiena. “Ti amo anch’io
Andrè”. Gli percorse il dorso con le mani fino a
posarle sulle anche e lo tirò
contro di sé, spingendolo a muoversi; Andrè
sorrise di quell’iniziativa e la
accontentò, stringendola fra le braccia mentre lei gli
cingeva i fianchi con le
gambe.
Chiuse gli
occhi, desiderosa di sentire solo il dialogo fra i
loro corpi che parlavano una lingua antica quanto il mondo, fin quando
tutto
perse di significato e potè percepire solo vagamente
Andrè stringerle la mano
mentre giungeva al culmine a sua volta.
Qualche ora
dopo, Oscar fu svegliata dalla fastidiosa
sensazione che ci fosse qualcuno nella stanza; socchiuse gli occhi,
strusciando
il viso contro il petto di Andrè sul quale stava riposando.
Dormiva ancora
tranquillo e lei voltò il viso a posargli un delicato bacio
sul torace.
“Ben
svegliata madamigella”.
Una voce del
tutto fuori luogo la fece sobbalzare e il
movimento repentino svegliò Andrè; non appena
aprì gli occhi, vide una
spaventata Oscar seduta contro la testiera del letto, le lenzuola
strette
addosso, e si voltò nella stessa direzione in cui stava
guardando.
“Tibor!
Dannazione, che fai qui?!”, esclamò vedendo il
duca tranquillamente
seduto su una poltrona che si trovava di fronte al letto, una pistola
stretta
in pugno.
“Ah
devi scusarmi cugino sai… non avrei voluto ammazzarti
proprio la prima notte di nozze ma tu non ne hai voluto sapere di
toglierti dai
piedi prima”.
Oscar nel
frattempo aveva recuperato tutto il suo sangue
freddo e si guardava intorno, sperando di scorgere qualcosa che potesse
essere
usato come arma; trattenne uno sbuffo rendendosi conto di quante cose
inutili
potessero trovarsi in un comune appartamento della reggia.
“Tibor,
è il caso che tu te ne vada, credimi”, disse
Andrè
alzandosi in piedi, un lenzuolo a cingergli i fianchi. “Se
esci adesso,
dimenticheremo ciò che è accaduto”.
Tibor rise
sadicamente, scuotendo la testa e volse gli occhi
verso Oscar; le aveva dedicato una lunga occhiata prima che si svegliasse
e
dovette ammettere che suo cugino aveva avuto buon gusto. Lei ricambiava
il suo
sguardo, tenendolo d’occhio, e le fece cenno di raggiungerlo.
“Avvicinatevi
madamigella. Sono certo che da bravo cugino
vostro marito non avrà nulla da obiettare se vi dedicate un
po’ anche a me”.
Andrè
strinse i pugni, muovendo qualche passo verso di lui.
“Non osare nemmeno pensarci schifoso bastardo!”.
Tibor
tirò indietro il cane, puntandogli contro la pistola.
“Hai proprio fretta di morire”.
Oscar,
terrorizzata all’idea che premesse il grilletto, si
alzò coprendosi meglio che potè con le coperte e
fece per avvicinarsi a lui.
“No!
Tibor vi prego, mettete giù quella pistola, farò
ciò che
volete!”.
“Oscar
fermati!”, la pregò Andrè, immaginando
le intenzioni
perverse di suo cugino.
Il duca tese la
mano a Oscar e lei ignorò le sue suppliche
avvicinandosi ancora; posò timidamente la mano sulla sua,
mentre l’altra
stringeva i drappi sul corpo nudo e lui la afferrò,
tirandosela contro, la
pistola pericolosamente diretta al petto di Andrè. Le mise
la mano fra i
capelli, sulla nuca, e si appropriò della sua bocca,
baciandola con violenza.
Andrè
fremeva come una bestia in gabbia e mosse cautamente un
passo, fermandosi quando vide Tibor spiarlo con un occhio e sistemare
il tiro
dell’arma; Oscar si rilassò contro di lui che si
permise di abbassare la
guardia, seguendo con lo sguardo la linea del suo collo fino alla
stoffa
stretta sul seno. Andrè approfittò di
quell’attimo di distrazione e si scagliò
contro Tibor, disarmandolo dopo una breve colluttazione;
afferrò Oscar per la
vita e arretrò di qualche passo, puntandogli la pistola
contro. Posando le mani
sul braccio allacciato in vita, lei potè nettamente sentire
che tremava per lo
sforzo di trattenersi dal premere il grilletto.
“Vuoi
spararmi Andrè? Fallo, che aspetti!”.
“Lo sa
Iddio quanto vorrei vederti con un buco in fronte per
ciò che hai appena fatto”.
Oscar
alzò lo sguardo, vedendo la mascella contratta
dalla tensione e minuscole gocce di sudore imperlargli la fronte
aggrottata;
gli occhi ridotti a due fessure erano segno evidente di quanto fosse
combattuto
ma lei sperava che avesse il sangue freddo di non macchiarsi di un tale
crimine.
“Andrè…”.
Andrè
rafforzò la presa attorno alla pistola e sparò un
colpo
che si conficcò nella poltrona alle spalle di Tibor, senza
sfiorarlo. Lasciò cadere
l’arma e, voltandola verso di sé,
abbracciò Oscar, stringendosela al petto. Andrè
tremava ancora e lei si avvinghiò al suo corpo, sperando di
calmarlo con quel
contatto così forte.
“Tibor
vattene. Esci da questa stanza e fa’ in modo di uscire
anche dalle nostre vite. Non sono sicuro che mi tratterrei
ancora”.
************************************************************************************************
Eccomi, eccomi,
eccomi qua ^-^ Vi chiedo umilmente perdono
per il ritardo, mio cugino che vive lontano ha fatto
un’improvvisata e mi ha
rapita negli ultimi tre giorni XD.
Tornando al
capitolo, è decisamente più lungo rispetto al mio
solito ma non sapevo proprio dove tagliarlo :P
Una
precisazione, riguardo il vestito di Oscar: forse
qualcuno/a di voi si aspettava, come i nobili di Versailles, che
effettivamente
la nostra bionda si sposasse in uniforme. Personalmente, la spiegazione
che
Oscar da a sé stessa mentre posa per madame Bertin,
è niente di meno che la mia
personale idea; inoltre, è pur vero che si sente a suo agio
in abiti maschili
data l’educazione ricevuta ma sono convinta che se mai avesse
sposato Andrè, lo
avrebbe fatto in abito da sposa. Lui ha sempre visto la
femminilità nascosta
sotto l’uniforme ed è l’unico che le
abbia fatto capire fino in fondo quanto
fosse donna; indossare un abito femminile nello stesso giorno che li
avrebbe
visti finalmente marito e moglie sarebbe stato un ottimo modo per
accettare in
pieno questa nuova consapevolezza e renderne partecipe lui.
Bene, concluso
il tema, ci sto prendendo gusto a scrivere le
scene hot, anche se preferisco la prima X///P
Detto questo, la
storia è ormai conclusa, manca solo l’epilogo;
ancora una volta, grazie per il sostegno e fatemi sapere cosa pensate
anche di
questo capitolo, sempre se vi va ;)
A presto (_ _)
|
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Capitolo 32 *** Epilogo ***
Tibor,
spaventato da quella rabbia che vedeva per la prima
volta, fuggì in tutta fretta dalla stanza, senza curarsi che
qualcuno potesse
vederlo; per sua fortuna, era ancora molto presto e i festeggiamenti si
erano
protratti fino a tarda notte, i corridoi erano completamente deserti.
Andrè lo
aveva seguito, sbattendogli la porta dietro, ed era tornato a stringere
fra le
braccia Oscar che gli sfiorava la schiena con l’intento di
calmarlo.
“Cosa
credevi di fare?!”.
“Come?
Che cosa intendi dire Andrè?”.
La
afferrò per le braccia scostandola bruscamente da
sé. “Hai
capito cosa voleva quando ti ha chiesto di raggiungerlo? Volevi forse
che ti
violentasse?!”.
Oscar lo
guardò negli occhi smarrita; non lo aveva mai visto
tanto arrabbiato, non credeva nemmeno che potesse giungere a tale
livore e
anche se sapeva bene che non fosse indirizzato a lei, ne era spaventata.
“Io
non potevo lasciare che ti uccidesse, avrei fatto
qualsiasi cosa!”, esclamò, tentando di recuperare
la sua sicurezza.
Andrè
lasciò andare un sospiro, chinandosi fino a toccare la
fronte di Oscar con la propria e la abbracciò, baciandole la
tempia.
“Se
Tibor fosse arrivato fino in fondo, quel colpo me lo
sarei fatto sparare in testa”.
La
sentì irrigidirsi fra le sue braccia e le tirò su
il viso,
sfiorandolo con il dorso della mano. Le passò il pollice
sulle labbra, come a
voler cancellare ciò che le aveva fatto Tibor, e Oscar vide
un velo di lacrime
offuscargli lo sguardo.
“Andrè,
non è successo, ti prego calmati”.
“Stava
per succedere, Oscar, ed io non avrei potuto fare
nulla se non farmi ammazzare”.
Oscar gli
posò le mani sul volto, senza curarsi delle coperte
che le scivolarono dal corpo, e si sollevò sulle punte per
baciarlo,
allacciandogli le braccia intorno al collo; Andrè la
strinse, lasciando vagare
le mani sulla sua pelle.
“Tentare
di sedurmi non mi farà passare l’arrabbiatura,
Oscar”.
La vide
arrossire di sdegno e rise, baciandola fino a
toglierle il fiato.
“Andrè,
dobbiamo andarcene al più presto. Non voglio più
rischiare che succeda una cosa del genere, sono stanca di avere Tibor
fra i
piedi”.
Andrè
annuì, abbracciando stretta Oscar. Non avrebbe voluto
portarla via così presto ma se Tibor era arrivato al punto
di intrufolarsi
nella loro stanza per ucciderlo e addirittura abusare di lei, non
c’era tempo
da perdere.
“Se
vuoi partire adesso, dobbiamo organizzare il viaggio e
partire al massimo fra un paio di giorni. L’inverno avanzato
non ci
consentirebbe di raggiungere la Transilvania”.
Oscar distolse
lo sguardo dagli occhi di Andrè e si avvicinò
alla finestra, scostando la tenda quel tanto che bastava per osservare
il
panorama fuori. Era decisa più che mai a partire insieme a
lui ma pensava che
le fosse concesso più tempo per dire addio al mondo che
conosceva. Udì i passi
di suo marito nella stanza e qualche minuto dopo sentì il
calore della veste da
camera che le fece indossare, vestendone una a sua volta. La
abbracciò per la
vita, lasciando che si adagiasse contro di lui.
“Sei
pentita?”.
“No.
Sono solo sorpresa dalla repentinità della nostra
partenza. Non potrei mai pentirmi di aver scelto di condividere la mia
vita con
te”.
Andrè
sorrise accarezzandole delicatamente il ventre e Oscar
lo fermò posando la mano sulla sua. Prima che pronunciasse
una sola parola, lei
voltò la testa per guardarlo e gli sorrise.
“E
se… ecco, non siamo stati attenti…”.
Lui rise,
baciandole la fronte. “Se fosse accaduto, sarei
l’uomo più felice della terra, Oscar”.
Nel pomeriggio,
Andrè decise di andare a trovare i suoi
genitori, dopo aver lasciato Oscar in compagnia di madame Jarjayes.
Doveva
chiedere il parere dei principi Beleznay prima di partire ma era
disposto a intraprendere
da solo il viaggio con Oscar se avessero espresso il desiderio di
restare in
Francia.
Zalán e
Ariadné furono stupiti della sua
visita, sicuri com’erano che avrebbe trascorso
l’intera giornata con sua moglie;
l’espressione grave del suo viso li avvisò che
doveva essere accaduto qualcosa
ma nessuno dei due poteva nemmeno immaginare la verità.
“Andrè,
pensavamo che preferissi rimanere con Oscar oggi”.
“Lo
avrei voluto, madre, però è successo qualcosa
stamani che
non posso ignorare”.
Ariadné
si irrigidì e Zalán le strinse la
mano nella sua,
intuendo i suoi timori. “Avete forse deciso di rimanere in
Francia?”, chiese
senza giri di parole.
“Come?
Oh no, affatto padre. Anzi, se sono qui, è per
chiedervi di anticipare il viaggio e andare via al più
presto. Tibor si è
introdotto nei miei appartamenti stamattina, intendeva uccidermi e
usare
violenza a Oscar… io non posso più restare
così vicino a lui, stavo per
sparargli!”.
Zalán si
alzò, passeggiando nervosamente
nella stanza. Era livido di rabbia e mancò poco che
sferrasse un pugno contro
la finestra. “Io quello lo ammazzo sul serio”.
“Calmati
Zalán, ucciderlo
servirebbe solo a
metterti nei guai. Almeno fin tanto che ci troviamo in
Francia”.
Andrè
spostava lo sguardo dall’uno all’altra, preoccupato
da
quali potessero essere le loro intenzioni una volta giunti in
Transilvania.
“Madre,
voi non dovete…”.
“Quello
che dobbiamo fare è affar nostro, Andrè.
Preoccupati
che tu e Oscar siate pronti a partire, domani”.
Andrè
trasalì scorgendo una cruda determinazione negli occhi
color ghiaccio della donna; aveva imparato quanto potessero essere duri
e
spietati gli abitanti di Transilvania e si sorprese a pregare per
l’anima di
Tibor. Poi, improvvisa com’era venuta, quella rabbia
sparì, lasciando il posto
a un luminoso sorriso.
“Non
ti angustiare adesso, hai recuperato tutti i tuoi
ricordi e sei sposato con la donna che ami, dovresti sorridere tutto il
tempo!”.
Lui si
sforzò di sorriderle, prendendole le mani nelle sue.
“E’ anche merito vostro madre. Se voi non foste
stati tanto generosi da
adottarmi non avrei potuto realizzare il mio sogno”.
Ariadné
ricambiò la stretta e Zalán gli
posò una mano sulla spalla. “Non avremmo potuto
fare
altrimenti, ti vogliamo bene. Sei nostro figlio”.
Andrè
si chinò a baciare le mani della principessa,
stringendole con amore. Nanny era stata la nonna migliore che potesse
immaginare ma aveva sempre sentito la mancanza dei suoi genitori e i
principi
ungheresi avevano fatto di tutto per sopperirvi, riuscendoci quasi
completamente. Con loro e Oscar al suo fianco, poteva finalmente avere
una
famiglia.
Quando raggiunse
Oscar, Andrè la trovò intenta a consolare
sua madre che le si era gettata fra le braccia, sotto lo sguardo
commosso del
generale Jarjayes. Doveva aver detto loro ciò che era
accaduto e la decisione
di partire immediatamente e per qualche attimo Andrè si
sentì responsabile di
tutto quel dolore; se non fosse stato bersaglio della gelosia di Tibor,
Oscar
non avrebbe dovuto lasciare la Francia e la sua famiglia.
“Andrè”.
“Generale
Jarjayes”.
“Andrè,
voglio che tu mi giuri di nuovo che la renderai
felice. È doloroso per me separarmi da Oscar e ho bisogno di
sapere che la
lascerò andare incontro alla sua
serenità”.
Andrè
guardò il generale dritto negli occhi, deciso a
confermargli ciò che chiedeva. Rendere felice Oscar era
tutto ciò che
desiderava dalla vita.
“Non
mi perdonerei se Oscar fosse meno che felice un solo
giorno della sua vita”.
“Ti
ringrazio Andrè”.
“Però,
devo chiedervi perdono generale”.
“Perdono
di cosa?”.
Andrè
chinò il capo, contrito. “Se non fossi stato io il
bersaglio di quel pazzo di Tibor, non sarei stato costretto a portare
via
Oscar”.
“Stai
partendo per salvare mia figlia. Non c’è colpa in
questo”.
“Vi
ringrazio molto generale Jarjayes”.
François
de Jarjayes strinse la mano di Andrè, guardandolo
con sincero affetto. Non lo aveva mai ammesso a nessuno se non a se
stesso ma
era molto felice che fosse vivo e avesse sposato Oscar
perché sapeva che era
l’unico degno di stare al fianco della sua amata figlia.
Consolare
Marguerite non fu altrettanto semplice; inutile
ripeterle che avrebbero fatto loro visita ogni anno e che avrebbe a sua
volta
potuto raggiungerli quando l’avesse desiderato. Tutte le sue
figlie erano
sposate e vivevano in Francia e l’idea di perdere proprio
Oscar che più a lungo
di tutte aveva vissuto nella casa paterna, le era insopportabile.
Sembrò
calmarsi un poco soltanto quando sua figlia le spiegò che si
allontanava per
salvaguardare la propria incolumità ma che lasciare i propri
genitori e la
Francia le era di peso.
“Figlia
mia promettimi che mi scriverai spesso. Voglio sapere
quando mi darete dei nipoti”.
Oscar
arrossì vistosamente, scoccando un’occhiataccia ad
Andrè che ridacchiava divertito. “Certamente
madre. Qualora Andrè ed io
decidessimo di avere dei figli, sareste la prima a saperlo”.
Marguerite la
abbracciò, finalmente sorridente. “Sii felice
Oscar. È l’unica cosa che io e tuo padre abbiamo
sempre voluto per te”.
“Lo
sarò di certo, madre mia”.
Dicembre
1792
Cinque anni.
Tanto è passato da quando ho finalmente
ritrovato la mia vita e il mio amore in Francia. Liliána è
sempre più bella, a quattro anni è il
ritratto di sua madre se non fosse per gli occhi verdi che sono
certamente
opera mia[1]!
Il
‘timore’ di Oscar si rivelò fondato e la
nostra bambina nacque nell’agosto
successivo al nostro matrimonio, incredibilmente proprio il 16 come me.
La
decisione di darle un nome ungherese è stata comune, in
fondo è nata in Ungheria
ed è in questo regno che crescerà; ora
più che mai sappiamo che non torneremo
in Francia, quello non è più il paese che abbiamo
lasciato.
La
popolazione, esasperata dalla fame e dai continui rialzi della
tassazione, ha
infine dato il via a una rivolta, a quella che chiamano Rivoluzione.
Il Cavaliere Nero, che senza saperlo è stato
l’artefice della mia felicità, era soltanto
un’avanguardia dei malumori della
gente e del dissenso incarnato dai cosiddetti Giacobini.
Certo,
non posso dire di non capirli: io sono stato fortunato, pur se un
servo, sono
stato cresciuto accanto a Oscar, ho ricevuto la sua stessa educazione e
infine
ho incontrato i Beleznay che hanno fatto di me un principe
perché potessi
sposarla. Tuttavia, se fossimo rimasti in Francia, sono certo che avrei
preso
parte attivamente alla rivolta, dalla parte del popolo francese,
s’intende; e
sono anche sicuro che Oscar sarebbe stata al mio fianco, è
nata nobile ma è soprattutto
nobile d’animo e non ha mai tollerato le vessazioni rivolte
al popolo.
In
effetti, dopo la presa della Bastiglia ricevemmo la visita di un
soldato
mandato da un certo Bernard Chatelet che si è rivelato
essere il marito della
nostra Rosalie e niente meno che la persona celata dietro la maschera
del
Cavaliere Nero! Il militare ci disse di chiamarsi Alain de Soisson, un
soldato
della Guardia Metropolitana che aveva combattuto al fianco del popolo
insieme a
tutti quelli della sua compagnia. Bernard, che aveva sentito parlare di
Oscar
da sua moglie, la invitava a tornare in Francia come cittadina per
collaborare
alla riorganizzazione del paese e del suo esercito.
Prendere
quella decisione fu quanto di più difficile avessimo
affrontato nella nostra
vita. L’orgoglio ci spingeva a partire subito alla volta del
nostro paese
martoriato, con il cuore colmo della stessa speranza che aveva guidato
i
Rivoluzionari; ma Liliána aveva appena compiuto un anno e
questo ci fece
desistere: lasciarla in Ungheria e separarci da lei non era nemmeno da
considerare, tanto meno portarla con noi nel bel mezzo di una guerra
che
infuriava in tutta la Francia. Sapevamo che i nostri familiari stavano
bene e
così, pur se a malincuore, lasciammo che il soldato de
Soisson ripartisse solo
com’era giunto, strappandogli però la promessa di
tornare a trovarci assieme a
Bernard e Rosalie.
I
nostri ripensamenti si sono completamente annullati quando abbiamo
saputo delle
atrocità seguite al rovesciamento della monarchia francese;
appena qualche mese
fa, gli ultimi cortigiani fedeli alla Corona sono stati orrendamente
trucidati
e dal tono delle ultime lettere di Rosalie, credo che fra non molto i
sovrani
stessi saranno condannati alla ghigliottina. Tutto questo non
è quello che i Giacobini
sognavano, non è quello che noi immaginavamo quando siamo
stati resi partecipi
dei cambiamenti iniziati ad avvenire in Francia.
Oscar
è particolarmente preoccupata per le sorti della Regina
Maria Antonietta e non
posso dire di non capirla: sono state grandi amiche per
vent’anni e la sovrana
ha svolto una grossa parte nel coronamento del nostro sogno
d’amore. Anche mia
madre teme per la sua vita e spesso la sorprendo a piangere fissando un
ritratto che le aveva donato la stessa Maria Antonietta; ho imparato
che le sue
sensazioni sono spesso foriere di verità e tremo al pensiero
di dover un giorno
dare a Oscar questa terribile notizia.
Il
tetto del castello che rosseggia fra le cime degli alberi in lontananza
mi
distoglie dalle mie riflessioni, indicandomi di essere quasi arrivato a
casa. È
stata una giornata pesante e non vedo l’ora di tornare da
Oscar e Liliána;
stamani non ho permesso a mia moglie di seguirmi, sembra molto stanca
ed è
pallidissima, l’ho sentita dare di stomaco tutte le mattine
nelle ultime
settimane. Sono preoccupato per lei ma mi ripeto che non
dev’essere niente di
grave, non può essersi ammalata proprio adesso che siamo
felici.
Non
abbiamo altri pensieri al momento, da quando Tibor è
deceduto in un incidente,
tre anni fa; i cavalli che trainavano la sua carrozza si sono
improvvisamente
imbizzarriti, terminando la loro folle corsa sul fondo di un dirupo.
L’unico
sopravvissuto è stato Petre, che guidava il veicolo e quindi
si trovava a
cassetta, potendo così saltare prima dello schianto, e anche
se il corpo di mio
cugino non è mai stato recuperato, non penso che possa
essere ancora vivo. Ho
provato a chiedere a Jan per quale motivo ci fosse il suo amico come
cocchiere
ma non ho ricevuto risposta; è rimasto ostinatamente muto
anche quando ho
azzardato che l’incidente fosse stato provocato dallo stesso
Petre come unico
mezzo per riscattarsi agli occhi di mio padre.
È
stato allora che ho affrontato Zalán, chiedendo spiegazioni
su ciò che era
davvero accaduto; non ha ammesso un suo coinvolgimento ma mi ha
ordinato con
molta durezza di non intromettermi mai più fra lui e i suoi
uomini. Mio padre è
un colonnello dell’esercito austriaco e Jan e Petre fanno
parte della sua
guardia personale e anche del suo reggimento. La Transilvania
è una zona
particolare, una delle prime terre coinvolte se il conflitto tra
l’Impero
Asburgico e l’Impero Ottomano dovesse mai rifarsi acuto; per
questo motivo, Zalán
ha bisogno di mostrarsi duro e spietato se vuole mantenere il rispetto
dei suoi
soldati ed io non posso permettermi di mettere in dubbio la sua
autorità, era
questa la lezione.
Mi
fermo sulla soglia del salone quando sento la voce di
Liliána chiamarmi,
seguita da quella di Oscar. Sono entrambe sedute a giocare sul tappeto,
davanti
al camino acceso, uscire in giardino a dicembre, in Transilvania,
sarebbe quasi
un suicidio. Le raggiungo e siedo anch’io, accanto a loro,
abbracciando la mia
bambina che mi si è lanciata fra le braccia.
“Dove
sei stato, Andrè? E’ molto tardi, stavo per uscire
a cercarti”.
“Mi
dispiace Oscar, sono stato giù al villaggio; pensavo di
tornare prima ma non
potevo spingere Augustus al galoppo nella neve alta”.
La
vedo annuire e rannicchiarsi contro di me e stringo anche lei; non mi
stancherò
mai di tenerla fra le braccia, di sentire le sue labbra sulle mie, la
sua pelle
serica sotto le dita. Le bacio la fronte, restando con le labbra posate
e la
sento cingermi la vita con un braccio mentre l’altra mano si
sposta a cercare
la mia e la porta fino al suo ventre. La guardo, in cerca di una
risposta, e mi
rivolge un sorriso radioso, avvicinando le labbra al mio orecchio.
“Congratulazioni,
papà”.
La
guardo, confuso da quella rivelazione; sono felicissimo che ci sia
Liliána e la
mia contentezza raggiungerebbe vette inesplorate con un altro bambino.
“Davvero
Oscar? Aspetti un bambino?”.
“No”,
sorride lei, lasciandomi ancora più sconvolto. “Aspettiamo un bambino, si fanno in due
Grandier!”.
Scoppia
a ridere abbracciandomi e non posso fare a meno di ridere con lei della
mia
ingenuità. Non ha mai smesso di chiamarmi Grandier, quando
scherza o è
arrabbiata, e questo mi rende assurdamente felice: è
l’ennesima prova del fatto
che ama davvero il suo amico d’infanzia,
l’attendente, Andrè.
Solo
me, in questa vita e nella prossima.
Solo
lei, per tutta la mia esistenza e oltre.
Solo
Andrè e Oscar.
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[1] Inizialmente
avevo pensato a un figlio maschio ma ho
cambiato idea davanti a una delle fanart che si trovano sul sito
MonCoeur (non
posso inserire il link mi pare di capire dal regolamento ma se lo
trovate
rifatevi gli occhi, l’autrice disegna come la Ikeda *-*) dove
si può vedere
Andrè con la sua bambina (che è praticamente una
minuscola Oscar) fra le braccia mentre Oscar gli sgancia
il pannolino XD
Ebbene, eccomi
infine giunta alla fine di questa lunga storia,
l’ennesimo sogno di una fan che non può ancora
rassegnarsi alla fine dell’anime/manga
di Lady Oscar.
Spero non vi
dispiaccia il cambiamento di registro finale,
con la storia raccontata da Andrè; l’ho fatto
perché in fondo è lui il
protagonista della fanfiction, il verde d’Ungheria del titolo
è riferito al
colore dei suoi occhi e il riscatto era dovuto a lui più che
a Oscar. Non fraintendetemi,
mi dispiace molto anche per Oscar ma la morte di Andrè
è quella che proprio non
riesco a digerire e che mi fa piangere ogni volta che rivedo
l’anime o rileggo
il manga. Un piccolo cameo per il nostro Alain, non ho resistito :P
Non so con quali
parole dirvi quanto vi sono grata per avermi
accompagnata in questo “viaggio” e avermi spronata
a continuare, spesso ho
scritto solo per voi, per ringraziarvi della vostra costanza con la mia.
Non penso che
scriverò altro in questa sezione, per una serie
di motivi che non dirò perché non mi hanno
riguardata personalmente ma spero di
leggere qualcosa di vostro e potervi commentare.
Grazie, grazie e
ancora grazie, spero vi verrà voglia di
rileggermi ogni tanto ;)
Arigatou (_ _)
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