Il mio Amore Fragile

di OpunziaEspinosa
(/viewuser.php?uid=115874)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***




Sono pessima, lo so.
Dovrei:
- scrivere l'extra di The Nicest Thing
- scrivere il capitolo conclusivo di Misunderstanding
- scrivere la bozza di Anime Perse
Ed invece pubblico il Primo Capitolo di una storiellina romantica, roba da carie ai denti. Ma era lì, nella mia testa... che fare? Non farla uscire?
Sarà breve e non so quando pubblicherò. Ma lo farò.
Besos,

Opunzia Espinosa




Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale. I personaggi sono proprietà di S.Meyer e non vengono utilizzati a scopi lucrativi. La riproduzione anche solo parziale di questa ff non è autorizzata.
 



Capitolo 1
 
“Non-non ce la faccio più… Non ce-non ce la faccio più… O-odio questo posto… Vo-Voglio tornare a casa… Vo-voglio tornare a Chicago…”
Non vorrei piangere, dico sul serio. Vorrei essere forte abbastanza da poter affrontare tutto questo schifo come un vero uomo, e senza inzuppare la camicia che indosso di lacrime. Ma non lo sono. James, Victoria e Laurent hanno ragione: sono solo una femminuccia, o una “checca”, come dicono loro.
In fin dei conti ho passato l’ultima mezz’ora rannicchiato dietro i cassoni della spazzatura che si trovano a ridosso dell’ingresso posteriore della mensa, a singhiozzare e a maledire il giorno in cui i miei genitori - due ricercatori botanici dell’Università di Chicago - hanno deciso di mettersi a capo di un nuovo progetto di studio e di trasferirsi nella minuscola quanto sperduta cittadina di Forks per condurre delle ricerche sui boschi centenari dello stato di Washington.
Chicago. Mi manca Chicago. Mi  manca soprattutto la mia vecchia scuola. Non sono mai stato popolare, ma almeno nel vecchio liceo avevo qualche amico e, in un modo o nell’altro, riuscivo a passare inosservato. Lì di strambi, sfigati, nerd e perdenti ce n’erano a secchiate, ed i bulli dell’istituto avevano solo l’imbarazzo della scelta. Io ero uno dei tanti - di certo non tra i peggiori -  quindi sono sempre riuscito a cavarmela senza grossi problemi.
Ma la scuola che frequento ora  è talmente piccola che  non farsi notare è stato impossibile. Così, da circa un mese, sono diventato il bersaglio preferito dei tre teppisti della zona: James, uno pseudo-metallaro fissato con Marylin Manson, Victoria, la sua ragazza tutta borchie, piercing e tatuaggi, e Laurent, l’amico scemo che li segue ovunque, scimmiottandoli in ogni cosa.
Tutti i giorni mi accolgono con qualche sberla, un paio di calci nel sedere, ed insulti talmente fantasiosi da far sbellicare dalle risate i casuali testimoni delle mie disgrazie. Mi rubano i soldi per il pranzo e mi costringono a fare i loro compiti a casa. E se per caso  mi faccio coraggio e mi azzardo a dire no – com’è successo oggi, ma solo perché ho un’importante relazione di biologia da presentare per lunedì prossimo, e non ho il tempo materiale per dedicarmi ad altro – mi  trascinano fin dietro la mensa e mi scaraventano tra i rifiuti. È la terza volta che capita. Le prime due me la sono cavata, visto che il cassonetto era quasi vuoto. Ma oggi no. Oggi era stracolmo di immondizia, lurida e puzzolente.
Così eccomi qui, rintanato sotto le finestre della mensa, a piangere il mio triste presente e ad aspettare che tutti gli altri studenti se ne vadano, perché non voglio che qualcuno mi veda così, con gli occhi gonfi, rossi e pieni di lacrime, ed i vestiti sporchi e maleodoranti. Diventerei lo zimbello di tutti, non solo dei miei aguzzini, ed il mio povero ego, già fortemente minato, non ne uscirebbe vivo.
Sto ancora piangendo, quando sento una voce provenire da dietro il cassonetto. Una voce che conosco bene. È la voce della ragazza di cui sono segretamente innamorato da settimane.  È la voce di Isabella Swan.
“C’è… c’è qualcuno?”
All’istante smetto di singhiozzare e mi rannicchio contro il muro, pregando che lei non decida di venire a curiosare. L’idea che qualcuno mi possa vedere in questo stato è terrificante. L’idea che sia proprio lei a farlo  mi paralizza.
“C’è qualcuno lì dietro?” chiede di nuovo, sempre più vicina.
Ti prego, Isabella, vattene. Ti prego, non venire qui.
Chiudo gli occhi e smetto anche di respirare, nella speranza di scomparire, magari sprofondare nel terreno. Purtroppo nessuna voragine si spalanca sotto i miei piedi, ed io resto lì, ad attendere l’inevitabile.
“Stai… stai bene?”
Mi volto lentamente, e lei è lì, di fronte a me. Bellissima, nella sua divisa gialla e blu di cheerleader; stretta in un grosso golf di morbida lana grigia perché siamo solo a marzo e le giornate sono ancora piuttosto fredde.
“Edward!” esclama stupita dopo avermi messo a fuoco. “Edward, che ci fai lì? Che ti è successo?”
Lei conosce il mio nome? Isabella Swan, la ragazza più bella e popolare della scuola, sa come mi chiamo? Non è possibile, non ci credo.
La prima volta che ho visto Isabella è stato un mese e mezzo fa. Eravamo in città da poche ore, ed io mi trovavo in segreteria con i miei genitori per completare le pratiche di iscrizione al nuovo liceo. Lei è entrata, ha consegnato dei documenti ad una delle due impiegate, ha commentato la necessità impellente di acquistare alcuni nuovi volumi di letteratura contemporanea per la biblioteca, e poi se n’è andata, lasciandomi con la consapevolezza che la mia vita non sarebbe stata più la stessa, che ero irrimediabilmente innamorato e che avrei sofferto come un cane per questo.
“Edward, stai bene?”
E siccome non rispondo – pur continuando a fissarla inebetito da dietro gli occhiali appannati a causa del pianto – si avvicina e si inginocchia di fianco a me.
“Edward, cosa ti è successo? Perché piangi?”
Che vergogna, se n’è accorta. Penserà che sono patetico, un perdente di prima categoria.
“Ma tu sei… sei… Che ti è successo, Edward? Perché sei ricoperto di immondizia?” chiede allarmata togliendomi delle foglie di insalata marcita  dalla giacca.
Mi do una rapida occhiata e mi rendo conto di essere rivestito da capo a piedi di resti di cibo andato a male e dio solo sa cos’altro. E che, probabilmente, sto anche emanando una puzza terribile.
“Scu-scusa…” riesco infine a singhiozzare, perché non mi sono ancora calmato del tutto.
“Santo cielo, guardati… Me lo dici che ti è successo?” insiste senza smettere di ripulirmi.
“Mi hanno… mi hanno…”
Cerco di spiegarle il motivo per cui sono qui e mi trovo in questo stato pietoso, ma cosa dovrei dire? Che sono sfigato al punto tale che se rifiuto di fare ciò che mi viene ordinato, James, Victoria e Laurent non ci pensano due volte a sollevarmi di peso e a buttarmi nel cassonetto dell’immondizia? Che sono così codardo da non sapermi né ribellare né difendere? Che sono talmente stanco, triste e disperato da non riuscire più a trattenere le lacrime?
“Edward, sei ferito. Sanguini.”
“Cosa?”
“Ti sei tagliato,” continua preoccupata infilando una mano in tasca ed estraendo un fazzoletto di cotone. “Hai un graffio sullo zigomo.”
E poi, sollevandomi leggermente gli occhiali con un dito, comincia a tamponarmi la ferita con attenzione e delicatezza, concentrando il suo sguardo su quell’unica porzione sanguinante del mio volto.
Io sono paralizzato. Letteralmente. Non riesco a muovere un muscolo. L’unica cosa che riesco a fare è osservarla incantato e pensare che lei è bellissima e che sa di prati verdi e fioriti.
“Vieni.” Senza alcun preavviso Isabella mi prende per una mano e mi costringe a rialzarmi. “Dobbiamo disinfettare quel taglio.”
Cerca di portarmi via, ed io vorrei continuare a stringere quella mano morbida e calda. Io vorrei tanto. È una cosa che ho desiderato e sognato quasi ogni notte, da quando l’ho incontrata. Ma ho ancora paura che qualcuno mi possa vedere.
“No!” esclamo terrorizzato, divincolandomi e trovando rifugio contro il muro.
Lei mi guarda senza capire. “Che significa no? Edward devi..”
“Non voglio che mi vedano… per favore… non voglio…” balbetto in preda al panico.
Isabella appare sinceramente stupita ed inizia a scrutarmi pensierosa. Probabilmente sta pensando che sono un povero idiota, una specie di ritardato. Ma come darle torto? Mi ha sorpreso  a piangere come una femminuccia, rintanato dietro un cassonetto, cosparso di lurida sporcizia!
“Ok, aspettami qui,” mi ordina. E poi si volta e comincia a correre in direzione dell’ingresso principale.
Torna dopo cinque minuti, armata di cotone, disinfettante e cerotti.
“Che corsa!” esclama sorridendo, il fiato corto per lo sforzo. “Non c’era più nessuno in infermeria, così ho scassinato l’armadietto dei medicinali!” continua appoggiando tutto sul davanzale della finestra della mensa. “Speriamo non se ne accorga nessuno! Non voglio che la gente sappia che so aprire un lucchetto con una forcina per capelli!”
Poi, con estrema gentilezza, mi toglie gli occhiali e  se li infila in tasca. Prende un po’ di cotone, lo bagna con il disinfettante,  e comincia a tamponarmi la ferita.
Oddio… ma che sta succedendo? Io non capisco... semplicemente non capisco. Fino a qualche minuto fa credevo che Isabella Swan non sapesse neppure come mi chiamo. Invece non solo conosce il mio nome, è venuta in mio soccorso. Mi ha preso per mano, mi ha tirato fuori dall’angolo buio e sporco in cui mi ero rifugiato, ed ora si sta occupando di me, sta disinfettando il taglio che mi sono procurato cadendo nel cassonetto.
“Ti fa male?” mi chiede premurosa, continuando a tamponare la porzione di zigomo tutt’intorno alla ferita.
“No.”
“Sicuro?”
Non dico nulla e faccio sì con la testa.
“Certo che sei un gran chiacchierone!” esclama divertita di fronte al mio impacciato mutismo.
“Scu-scusa…” balbetto, rendendomi conto di quanto debba sembrare noioso, oltre che stupido.
“Scusa?! E di cosa?” osserva scartando un cerotto ed appiccicandomelo sulla guancia. “Fatto. Come nuovo.”
Mi sorride, ed io penso che il suo sorriso è la cosa più bella che io abbia mai visto. A parte i suoi meravigliosi occhi color cioccolato, ovvio.
“Allora, me lo vuoi dire cos’è successo?” domanda mentre recupera i miei occhiali dalla tasca del suo maglione e me li rinfila sul naso.
Mi stringo nelle spalle ed abbasso lo sguardo. Vorrei dirglielo. Vorrei tanto. Ma mi vergogno come un ladro.
“Non vuoi farlo?”
“No!” mi affretto a dire. “Il fatto è che…” Ma di nuovo mi mancano le parole.
“Tranquillo. Non mi devi nessuna spiegazione.” E poi, cambiando discorso, probabilmente per togliermi dall’impaccio, mi chiede: “Edward, di solito torni con l’autobus, vero?”
“Sì…” annuisco, sorpreso che lei sappia persino con quale mezzo di trasporto vengo ogni giorno a scuola. Non ci siamo mai parlati, prima d’ora. Mai. Se escludiamo il “grazie” che mi ha rivolto due settimane fa, quando le ho passato la pila di test che il professor Cooper ci aveva chiesto di far circolare di banco in banco prima di iniziare il compito in classe. In quell’occasione sono riuscito anche a sfiorarle un dito per una frazione di secondo. L’indice della mano destra. Il momento più eccitante della mia intera misera esistenza.
“Sono le cinque, il tuo autobus è partito da un pezzo,” commenta guardando l’orologio. “Se vuoi, ti do io un passaggio.”
“Cosa?”
“Ti porto a casa, se non sai come tornarci.”
Isabella Swan si è spontaneamente offerta di darmi un passaggio fino a casa? Questo è un sogno. Oppure uno scherzo. Probabilmente, anzi, sicuramente è uno scherzo. Non c’è altra spiegazione logica.
“Dove abiti?”
“Sulla collina, vicino al bosco. L’ultima casa del sentiero,” mormoro con un filo di voce.
“Non è lontano da dove abito io, allora. Due o tre miglia. Non di più.”
Lo so, Isabella. So dove abiti. So tantissime cose su di te. E non immagini quante altre cose vorrei sapere. Ma sono troppo imbranato per avvicinarmi, rivolgerti la parola, o anche solo chiedere in giro. E poi, con chi dovrei parlare? Non ho amici in questa scuola.
“Ti sporcherò i sedili…” mormoro imbarazzato dando un’occhiata ai i miei abiti ormai lerci. “E puzzo…”
Isabella guida una Volvo meravigliosa. I miei genitori non potrebbero permettersi di regalarmi un’auto simile neppure con i risparmi di cento anni di duro e sudato lavoro. A dire il vero i miei genitori non possono permettersi di regalarmi neppure un catorcio di terza mano. E neppure io posso farlo. Ecco perché prendo l’autobus ogni giorno.
“Non c’è problema, ho una vecchia coperta nel bagagliaio. E poi possiamo tenere i finestrini abbassati. Forza, andiamo.”
Isabella fa qualche passo in direzione del parcheggio, poi si volta, visto che io non mi sono mosso di un millimetro.
“Tranquillo, ormai non c’è più nessuno a quest’ora,” cerca di rassicurarmi. “Non ti vedrà nessuno, Edward. Promesso.”
Mi sorride. Di nuovo. Ed io so di potermi fidare. Non è un sogno, e neppure uno scherzo. Isabella Swan mi riporterà a casa.
Raccolgo da terra il mio zaino e la seguo in silenzio nel parcheggio della scuola, fino alla Volvo.
Aveva ragione: non c’è più nessuno a quest’ora.
Isabella recupera la vecchia coperta dal bagagliaio. Poi, dopo aver aperto la portiera del passeggero, la sistema con cura sul sedile. Infine, con un ampio gesto della mano, mi invita a salire. “Prego.”
Che strano… dovrei essere io, l’uomo, ad aprirle la portiera, farla accomodare e riaccompagnarla a casa. Invece no, è lei a farlo.
“Non ti spaventare, ma dicono che la mia guida sia un po’ spericolata!” confessa scoppiando  a ridere proprio mentre mette in moto.
“Ti piace la musica? Vuoi che accenda la radio? O preferisci un CD? Guarda pure nel cassetto del cruscotto… scegli quello che ti pare.”
Esito per un attimo, incerto sul da farsi. Mi piace la musica e la sola idea di curiosare tra le sue cose mi intriga da morire, ma non voglio passare per un ficcanaso.
“Po-posso? Davvero?” balbetto, la mano a metà strada, in direzione dello sportellino.
“Te l’ho detto: scegli quello che ti pare. C’è un po’ di tutto.”
Finalmente mi decido ed apro il cassetto. È vero: c’è un po’ di tutto.
“Britney Spears?” le chiedo timido, mostrandole uno dei CD.
“O Santo Cielo! Che vergogna!” esclama arrossendo. “Non ricordavo neppure di averlo! Magari quello lo ascoltiamo un’altra volta…” aggiunge facendo una smorfia.
Come? Un’altra volta? Ci sarà un’altra volta?
“Prendi quello!” suggerisce con entusiasmo puntando con il dito una copertina azzurra. “I Pearl Jam! Ti va? Ti piacciono?”
“Sì… sì, mi piacciono molto,” le confesso sorridendo ed aprendo la custodia del disco.
“Io li adoro! Sono di Seattle, sai? Praticamente vicini di casa!”
“Li hai mai… Sei mai stata… Hai mai visto un loro concerto?” chiedo inserendo il CD nel lettore e premendo il tasto play.
“Certo!” E così Isabella inizia a raccontarmi di quando, lo scorso anno, lei e la sua amica Alice sono scappate di casa per andare a Seattle ad assistere ad un loro live.
Isabella non è solo bellissima, è una vera e propria forza della natura, oltre che una gran chiacchierona! Continua a parlare, lungo tutto il tragitto. Dei suoi gruppi preferiti, della scuola, di Forks, dei professori, dei nostri compagni di classe, della squadra di basket… Passa da un argomento all’altro, senza mai concluderne uno, come se volesse spiegarmi in pochi minuti tutto il mondo che conosce, il mondo in cui vive da sempre.
Io l’ascolto in silenzio, rapito, cullato dal suono della sua bellissima voce, dolce e calda, ed ancor prima che me ne renda conto, Isabella sta parcheggiando di fronte al vialetto che conduce a casa mia.
“Siamo arrivati. È qui che abiti, giusto?”
“Sì… sì… abbiamo… abbiamo fatto presto,” commento deluso. Avrei voluto passare più tempo con lei. Molto più tempo. Ma so di essere stato fortunato, oggi,  e che, al momento, non posso osare chiedere di più.
“Te l’avevo detto che la mia guida è un po’ spericolata! Ci vediamo domani, allora?”
“Ok… va… va bene.” Però non mi muovo. Gli occhi bassi, fisso il tappetino che si trova sotto i miei piedi.
“Edward?”
Nulla. Continuo a fissare il tappetino. E a pensare che lei deve sapere. Per qualche motivo che ancora non conosco – e che di sicuro non capirei - Isabella sembra provare una certa simpatia per me. Ma deve rendersi conto che si sta sbagliando, che ha a che fare con un perdente, un inetto incapace di difendersi. Deve sapere che io e lei apparteniamo a mondi lontani e che non abbiamo assolutamente nulla in comune.
“È stato James. Lui, Victoria e Laurent,” le confesso con un filo di voce.
“Scusa?”
“A buttarmi… a buttarmi nel cassonetto,” le spiego sbirciando la sua reazione da dietro i capelli un po’ troppo lunghi e che tengo calati sulla fronte.
Lei sgrana gli occhi, sinceramente stupita. “Stai scherzando?”
“No.” Scuoto la testa arrossendo visibilmente.
“E perché?”
“Mi sono rifiutato di fare i loro compiti…” ammetto distogliendo lo sguardo ed iniziando a grattarmi la nuca. È una cosa che faccio sempre quando sono nervoso.
“Edward,” mi chiede cauta. “Ti succede spesso?”
“Cosa? Che mi buttino nel cassonetto, o che mi insultino, o mi picchino, o mi rubino i soldi? Nel cassonetto ci sono finito solo tre volte, ma salto il pranzo quasi ogni giorno…” Credo che questa sia la frase più lunga che ho pronunciato in presenza di Isabella. Probabilmente in presenza di chiunque, qui a Forks.
“Edward, devi dirlo a qualcuno! Devi parlare con il  Preside Grant! Devi…”
“No! Per favore! Non…” Se lo dico a qualcuno sarà ancora peggio. Lo so. Me lo ha detto James. Mi ha promesso che me la farà pagare cara. Ed io gli credo. Quello è un pazzo, sarebbe capace di tutto, anche di uccidermi.
“Edward, non puoi andare avanti così! Non puoi farti buttare nei cassonetti! Guardati!”
“Lo so, cosa credi? Che mi diverta? Però io…  io…” Ecco. Mi viene da piangere. Di nuovo. Che schifo. Mi faccio schifo.
“Edward…” Isabella tende una mano verso di me, come se mi volesse accarezzare. Ma io mi ritraggo e trovo rifugio contro il finestrino. Non voglio la sua pietà. Non la voglio.
“Dio, che rabbia!” sbotta all’improvviso dando un pugno al cruscotto. “Li odio quei tre! Sono tre coglioni! Tre teste di cazzo!”
Sono sconcertato. L’angelica ed eterea Isabella Swan che si mette ad imprecare e a tirare pugni? Mi piace. Mi piace da morire. La trovo terribilmente… sexy?
“Ascoltami bene Edward, tu da domani mi devi stare incollato.”
“Cosa?!”
“Quelli hanno paura di me. O comunque ce l’hanno dei miei amici.  Se stai con me sei salvo.”
“Isabella… non devi… non voglio… non sei obbligata…”
“Bella. Chiamami Bella.”
“Bella, non ti devi preoccupare. Posso cavarmela…”
“Edward, senza offesa, da solo non ce la farai mai ad arrivare vivo a fine anno! Non vuoi chiedere aiuto al preside? Perfetto, lo rispetto ed in parte lo capisco. Non vuoi passare per un codardo. Ma almeno lascia che sia io ad aiutarti!”
Non so cosa fare. L’idea di passare tutti i miei giorni “incollato” a lei è un sogno che diventa realtà, ma il timore  che Isabella, anzi no, Bella, lo faccia per mera compassione  mi devasta.
“Cos’è? Non ti sto simpatica? Per questo non vuoi che ti aiuti?” chiede scettica.
Io l’osservo confuso, senza afferrare del tutto il senso delle sue parole. Credo stia facendo dell’umorismo, ma non ne sono sicuro.
“Se preferisci li faccio picchiare…”
“No!” esclamo allarmato. Non sono un violento. Non lo sono mai stato.
“Edward, scherzavo…” sbuffa alzando gli occhi al cielo.
“Ah…”
“Anche se non mi dispiacerebbe sferrargli un pugno o due…” Bella mi sorride e mi strizza l’occhio. “Allora, ci vediamo domattina alle otto all’ingresso?”
“Ehm… sì… ok, va bene.”
Credo che ormai Bella abbia deciso. Per entrambi.
“Scusa se non ti passo a prendere, ma la mattina ho sempre i secondi contati e venire fino a qui significherebbe partire da casa dieci minuti prima e proprio non ce la faccio. Ma il pomeriggio ti posso riaccompagnare.”
“Bella, non è necessario…”
“Invece sì, l’autobus ci impiega il doppio del tempo, con tutte le fermate. Se ti accompagno io risparmi più di mezz’ora.”
“Ok… ehm… allora… allora ci vediamo domani.”
“A domani.”
“Vuoi… vuoi che ti lavi la coperta?” le chiedo prima di scendere.
Bella scuote la testa, sconsolata. “No, Edward. Non ce n’è bisogno.”
“Bella?”
“Sì?”
“Grazie.”
Bella mi sorride. E le sorrido anch’io. Poi scendo dalla macchina e mi incammino verso casa. Pensando che sono felice, perché finalmente ho un’amica.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***



Capitolo 2
 
Quando la mattina dopo mi sveglio, sono allegro e pimpante, nulla a che vedere con lo stato di finto ed ostentato entusiasmo indossato come una maschera in queste ultime sei lunghe e penose settimane di insulti, botte e profonda solitudine. E solo a beneficio dei miei genitori. Per non farli preoccupare, o sentire in colpa per avermi trascinato via da Chicago, ma soprattutto per evitare il loro diretto intervento con il Preside Grant. Penso veramente che James sia un pazzo capace di qualunque cosa, anche di uccidermi se venissero presi dei provvedimenti contro di lui. E per quanto triste e solitaria sia la mia vita, non ho nessuna intenzione di morire. Non ora che un timido raggio di speranza sta rischiarando quel buio orizzonte che, fino a qualche ora fa, sembrava essere il mio triste destino. Mi riferisco ad Isabella Swan, ovviamente. Anzi no. A Bella. perché è così che vuole essere chiamata. Anche se trovo che Isabella sia un nome bellissimo, dolce ed un pizzico esotico, perfetto per lei.
Forse non dovrei essere tanto felice, forse dovrei vergognarmi a morte, dopotutto ho tacitamente acconsentito a farmi difendere da una ragazza. Ma non riesco a non provare un senso di diffuso benessere, se penso che tra poco meno di due ore la vedrò. E non mi sentivo così da troppo tempo. È un sentimento che mi mancava. Un sentimento che, forse, non ho mai provato veramente. Benessere.
Da che ho memoria per ricordare qualcosa, mi sono sempre sentito inadeguato e fuori posto, e, crescendo, questi sentimenti, piuttosto che attenuarsi, si sono acutizzati.
Ci sono dei momenti in cui la mia timidezza cronica mi paralizza, ed io vorrei essere un’altra persona, o non essere affatto.
Non so a chi assomiglio. I miei genitori non sono così. Sono persone aperte e gioviali, facili alle amicizie, e, com’era prevedibile, non hanno faticato ad ambientarsi qui a Forks.
Forse io assomiglio a qualche lontano parente. O forse sono stato adottato, anche se tendo ad escluderlo. Fisicamente sono la fusione perfetta tra i miei genitori. Ho lo stesso corpo alto e longilineo di mio padre Carlisle, e gli stessi occhi verdi e la stessa espressione attenta di mia madre Esme. Persino i capelli sono identici ai suoi: né lisci né ricci, né castani né rossi, ma di un’inconsueta tonalità che ricorda tanto il bronzo. Da qualche anno – da quando ho iniziato il liceo – li tengo leggermente lunghi. Non troppo da sembrare un poco di buono, ma non abbastanza da poter sostenere di avere un taglio alla moda. Però mi coprono quel tanto che basta i lati dei viso e la fronte da riuscire a creare, assieme agli occhiali da miope e dalla spessa montatura nera, una sorta di cortina protettiva dal mondo che mi circonda, e nei confronti del quale, troppo spesso, mi sento come un corpo totalmente estraneo.
Ci sono dei giorni in cui mi piaccio – rari, molto rari – ed arrivo a credere di essere persino interessante. Suono il piano da quando ho cinque anni. Sono un lettore vorace. Qualche volta scrivo poesie. Sono un appassionato di manga ed anime, ma soprattutto di film di fantascienza.
Fino ad ora, però, a parte qualche amico nerd che ho lasciato a Chicago, non ho incontrato molti coetanei che condividessero queste mie passioni.
Quando sei il primo della classe in tutte le materie, e quando trascorri il tuo tempo libero in biblioteca a leggere o a scrivere, vieni immediatamente etichettato ed inserito senza possibilità di replica nella categoria dei secchioni, e questo non aiuta a farsi nuove amicizie.
Inoltre, una volta raggiunta l’età in cui si comincia a provare interesse per l’altro sesso, ho scoperto con enorme imbarazzo e stupore che le ragazze (almeno quelle che mi sono sempre piaciute) non sembrano nutrire alcuna curiosità né per i fumetti, né per la fantascienza. Trovandoli argomenti ricchi di fascino, sospetto di essere io ad avere qualcosa che non va. Probabilmente, anzi, sicuramente, non sono un bravo oratore. O forse ho sempre sbagliato target. Non so perché, ma ogni volta mi innamoro delle ragazze più carine, quelle più popolari, che si accompagnano ai giocatori della squadra di football o di basket, o comunque a degli atleti. Quelle irraggiungibili, per intenderci.
In passato mi è capitato di accarezzare l’affascinante idea di iniziare a praticare uno sport – uno qualsiasi - pur di cancellare il marchio di sfigato. All’inizio del primo anno, in preda ad un attacco di eroismo (o forse di stupidità?), mi sono iscritto alla squadra di atletica.
“Hai il fisico adatto,” mi diceva l’insegnate di educazione fisica.
Mi sono lasciato convincere. Ma dopo essere inciampato due volte di fila nelle stringhe slacciate delle scarpe da corsa, e caduto rovinosamente a terra graffiandomi gomiti e ginocchia, sotto lo sguardo divertito dei miei compagni ed esasperato ed affranto del mio coach, ho desistito, e mi sono iscritto al club di lettura. È inutile. A quanto pare, nel mio caso, timidezza e goffaggine vanno di pari passo.
Mi resta la musica, una cosa in cui sono davvero dotato. Ma alle feste non puoi portarti appresso un pianoforte ed intrattenere gli amici con qualche brano di musica classica o di jazz contemporaneo. E così, il primo idiota che sa strimpellare due accordi con una chitarra e non ha paura di mettersi in mostra di fronte ad un’orda di adolescenti disinibiti e con gli ormoni in subbuglio viene considerato un gran musicista e riscuote molto più successo del sottoscritto.
Non che io creda di poter trovare il coraggio di esibirmi in pubblico. La gente mi spaventa. Razionalmente so che, con ogni probabilità, nessuno bada a me; ma negli ambienti affollati non riesco a non sentirmi sempre sotto osservazione, come se tutti fossero lì a scrutare ogni mio più piccolo movimento e a ridere dei miei modi così impacciati, o del mio aspetto così insipido e fuori moda.
A dire il vero, per la maggior parte del tempo, la gente mi ignora. È come se fossi un fantasma, per loro. Ma non mi posso lamentare: ho passato anni a camminare rasente i muri, cercando di non attirare l’attenzione. Passare inosservato è ciò che ho sempre voluto.
Bella è la prima persona – la prima ragazza – che si è avvicinata a me mostrando sincero interesse. È la prima che mi rivolge la parola, e non per prendermi in giro, o mortificarmi, o chiedermi aiuto con lo studio. Lei mi ha visto in difficoltà e mi ha dato una mano, senza volere nulla in cambio.
Non sono ancora del tutto convinto che non si tratti di uno scherzo organizzato dai suoi amici, gli atleti della squadra di basket. Lei, bellissima cheerleader, è l’esca perfetta per attirare in trappola un perdente come me. Ma se anche fosse, va bene così. Farei di tutto – sopporterei di tutto – pur di godere della compagnia di Bella, anche solo per pochi minuti.
 
“Buongiorno, Edward.”
“Buongiorno, mamma.”
Mia madre mi aspetta in cucina e, non appena mi vede, mi serve la colazione: macedonia di frutta, pane tostato ed un enorme bicchiere di latte, come ogni mattina.
“Siamo di buon umore, vedo,” commenta dandomi una rapida occhiata.
Effettivamente non riesco a togliermi dalla faccia un ridicolo sorriso da ebete. E non solo perché vedrò Bella. Finalmente, dopo sei settimane, non verrò accolto con insulti, sberle e minacce, e riuscirò a godermi il pranzo in santa pace.
“Sì, di ottimo umore!”
“C’entra una ragazza?” chiede maliziosa guardandomi di sottecchi.
Per mia madre sono il ragazzo più carino al mondo e non si spiega la ragione per cui io non abbia mai avuto una fidanzata.
“Mamma!” esclamo arrossendo. Anche se non aggiungo altro, il tono della mia voce è chiaro ed inequivocabile. Lascia intendere qualcosa a metà strada fra “non dire idiozie” e “fatti gli affari tuoi”.
“Sono certa si tratti di una ragazza,” continua imperterrita accomodandosi di fronte a me e scrutandomi con gli occhi socchiusi. “Non ti saresti messo in ghingheri, altrimenti.”
Mia madre ha ragione. Dopo essermi fatto una doccia, rasato quei due peletti che mi crescono in viso, e praticamente affogato nell’acqua di colonia di mio padre, ho passato in rassegna tutto il mio armadio alla ricerca di qualcosa di appropriato.
Non ne capisco niente di moda. Non so abbinare i colori e nemmeno distinguere ciò che è in da ciò che è out, ma credo di meritare almeno la sufficienza. Indosso un paio di jeans neri dal taglio classico, la mia maglietta di Star Wars preferita (quella bianca con la scritta nera, proprio come i jeans) e  un cardigan di cotone grigio.
Nero, grigio, bianco. Anche se non sono un esperto, mi pare un abbinamento decente.
Di fronte allo specchio ho meditato cinque minuti buoni sull’opportunità di mettermi il gel o meno. Alla fine ho scelto di non farlo: ogni volta che ci provo il risultato è pessimo e pare che io abbia in testa della verdura bollita.
“Mamma! Non c’entra nessuna ragazza!” mento spudoratamente, e torno a concentrarmi sulla mia macedonia evitando accuratamente il suo sguardo curioso ed indagatore.
 
Un’ora più tardi sono a scuola ed aspetto Bella in un angolo appartato, vicino alla scalinata che conduce all’ingresso principale. Lei non mi vedrebbe di sicuro arrivando, ma io sì. Da qui riesco a vedere tutti.
Mentre l’aspetto, non faccio altro che controllare l’orologio, nervoso come non lo sono mai stato in tutta la mia vita, pensando che muoio dalla voglia di rivederla, parlarle e sentire di nuovo il suo delizioso profumo di prati verdi e fioriti.
Contemporaneamente penso che non ho idea di che cosa dovrei dire o fare.
Si presenterà da sola, o con i suoi amici?
Cammineremo insieme lungo i corridoi?
Come reagiranno gli altri studenti vedendoci?
Come reagirà il suo ragazzo, Jacob Black, il capitano della squadra di basket?
Bella conosce quasi tutti, ma  sta sempre in compagnia delle stesse persone: Alice Brandon e Rosalie Hale, cheerleader come lei, e come lei fidanzate con due membri della squadra, Jasper Whitlock ed Emmett  McCarty.
Non so quante volte mi sono ritrovato ad osservarli da lontano e ad invidiarli. Invidio la loro popolarità, i loro modi così sciolti e rilassati, il loro fascino, le loro risa, la loro allegria. Vorrei essere uno di loro. Meglio: vorrei essere come loro. So che non succederà mai; ma forse ora, grazie a Bella, per la prima volta nella mia vita ho la possibilità di entrare a far parte di un gruppo esclusivo. Ne sarò all’altezza?
Alle 8.00 Bella non è ancora arrivata. Alle 8.05 nemmeno. Alle 8.15 arrivano alla spicciolata il suo ragazzo ed i suoi amici. Si incontrano nel parcheggio, al solito posto. Alle 8.20, dieci minuti prima l’inizio delle lezioni, Jacob e gli altri si incamminano verso l’ingresso. Alice si guarda attorno ansiosa, come se stesse cercando qualcuno, probabilmente la sua amica. Non trovandola scompare oltre la porta, assieme agli altri. Sono le 8.25. Ancora non c’è traccia della Volvo ed io, se non mi sbrigo, rischio di arrivare in ritardo a lezione per la prima volta in vita mia. Da lontano vedo la jeep di James con a bordo il mio aguzzino, Victoria e Laurent, così me ne vado, cercando di non farmi notare.
È venerdì e di solito non ho lezione con Bella fino al pomeriggio, quindi non ho idea di che fine abbia fatto.
Tra un’ora ed un’altra mi ingegno come posso per evitare James ed i suoi. Miracolosamente ce la faccio, ma so che in mensa, durante la pausa pranzo, non avrò scampo. Mi troveranno ed inizieranno a darmi fastidio, come al solito. Se sono fortunato si limiteranno a rubarmi i soldi del pranzo. Se non lo sono… Non ci voglio neppure pensare! Finire nei cassonetti al termine della giornata è degradante, ma almeno non c’è più nessun testimone in giro. Finirci quando ti aspettano altre due ore prima che suoni la campanella ed inizi il weekend è tutt’altro paio di maniche.
Valuto per un attimo la possibilità di chiudermi in biblioteca (lì James non osa mettere piede), ma mi brontola lo stomaco ed ancora nutro la segreta speranza di incontrare Bella.
Sono tra i primi ad arrivare e tra i primi a mettersi in coda con un vassoio.
Mi guardo in giro fiducioso, ma di Bella neppure l’ombra.
Deluso come non mai, prendo posto al solito tavolo, in un angolo appartato, dove siedo sempre da solo, e comincio a mangiare, malgrado l’appetito se ne sia quasi andato.
Quando vedo Alice, seguita dagli altri, in me si riaccende una lieve speranza. Ma l’ultimo della fila, Jacob, è solo, ed io capisco che per oggi non vedrò Bella.
Prendo il cartone del latte, ci infilo la cannuccia, comincio a bere, ed il liquido quasi mi schizza fuori dal naso quando una mano poco gentile mi dà un colpo secco,  colpendomi sulla nuca.
“Ciao, Checca!” James si siede in uno dei posti liberi accanto al mio. “Ce l’hai fatta ad uscire dal cassonetto, vedo!” E poi scoppia a ridere.
Victoria e Laurent lo aspettano dall’altra parte della sala e ci osservano divertiti. In presenza del personale scolastico non mi affrontano tutti assieme per non destare sospetti.
“Allora, Checca, che fine hanno fatto i miei soldi?” chiede strappandomi il cartone del latte di mano ed iniziando a bere ampie sorsate.
Io mi irrigidisco. Non ho più un centesimo in tasca.
“Non dirmi che li hai spesi tutti per il pranzo! No-no-no…” mi fa segno con il dito indice. “Così non si fa, Checca!”
Gli occhi gli brillano, come se stesse già pregustando il momento in cui ci ritroveremo soli alla fine delle lezioni.
Sono spacciato. Un occhio nero, questa volta, non me lo leva nessuno. Come faccio a spiegare un occhio nero ai miei genitori?
Tengo gli occhi bassi, fissi sul piatto, incapace di muovere un muscolo o di controbattere. Rosso in volto, per un misto di rabbia per l’umiliazione subita, vergogna per non sapermi difendere, e paura al pensiero di quello che mi attende.
Poi avverto una presenza accanto a me. Un profumo di prati verdi e fioriti.
“James.” Isabella Swan lascia cadere distrattamente la sua borsa a terra. Piuttosto rumorosamente, trascina una delle sedie libere da sotto il tavolo verso l’esterno e ci si siede sopra.
Alzo lo sguardo esterrefatto. Da dove è sbucata?
“Ti unisci a noi per il pranzo?” domanda lanciandogli uno sguardo gelido.
James sembra preso in contropiede. “Swan, che ci fai qui?”
“Pranzo con il mio amico Edward.” Bella non molla i suoi occhi per un attimo. Sembra quasi volerlo congelare.
Io mi chiedo come faccia. La ragazza che mi siede a fianco ora non ha nulla a che vedere con il dolce angelo che mi è venuto in soccorso ieri. La sua aria è quasi minacciosa e stride terribilmente con il suo aspetto etereo e fragile, con la sua pelle di porcellana, ed il fisico minuto e delicato.
“Il tuo… il tuo amico?” ripete James incredulo, quasi balbettando.
Ancora non ne conosco la ragione, ma quello che Bella mi ha detto ieri corrisponde a verità:  James ha paura di lei.
“Sì, il mio amico. E se non ti dispiace gradiremmo restare da soli,” continua, gelida come la regina dei ghiacci.
A poco a poco la confusione e lo stupore abbandonano il volto di James per lasciar spazio a qualcosa di diverso, molto più simile alla rabbia.
Si alza rumorosamente, gettando con un colpo secco la sedia all’indietro. Poi, con le mani quasi tremanti, mi punta addosso un dito. “Non finisce qui, Cullen.”
È la prima volta che non mi chiama Checca.
James ci volta le spalle e fa per andarsene, ma Bella chiama di nuovo il suo nome. “James?”
Lui si volta, le narici dilatate per la stizza.
“Se ti vedo ronzare ancora attorno ad Edward,” gli dice calma, controllandosi le unghie corte smaltate di rosso cupo, “prendo la catena che porti attorno al collo e te la ficco su per il culo.”
Co-cosa?!
Sono sconcertato. Io non riuscirei a dire nulla del genere neppure da ubriaco!
Più tempo passo con Bella e più mi rendo conto che questa ragazza è ben diversa da come la immaginavo, dalla ragazza di cui credevo di essermi innamorato sei settimane fa. Questa Bella, se è possibile, mi piace ancora di più. È forte e temeraria e… sboccata! È tutto ciò che vorrei essere e che non sarò mai.
Mentre James se ne va con la coda tra le gambe, osservo Bella con gli occhi spalancati e la bocca aperta, incapace di comprendere appieno quello che è appena successo.
Lei, come se niente fosse accaduto, cambia discorso e torna ad essere il dolce angelo di ieri pomeriggio.
“Scusa per stamattina!” dice mortificata. “Avevo dimenticato che avrei dovuto accompagnare mia madre all’ospedale per una visita specialistica e che non sarei arrivata prima dell’ora di pranzo.”
“Non fa nulla,” cerco di rassicurarla, rilassandomi un poco.
Mi sorride a sua volta e aggiunge: “Me ne sono ricordata ieri sera tardi. Ti volevo chiamare per avvisarti, ma non ho il tuo numero! Ho chiesto ad Alice di fartelo sapere, ma non ti ha trovato stamattina!”
Quindi Alice stava cercando me? Non mi pare vero.
“Edward, è meglio che memorizzi subito il tuo numero, altrimenti rischio di dimenticarmelo.”
Bella, cellulare alla mano, alza lo sguardo impaziente, ed io, in qualche modo, riesco a ricordarmi il mio numero e glielo dico.
“Tu non memorizzi il mio?” chiede.
“Sì… sì… certo…” balbetto estraendo il telefono dalla tasca del cardigan ed accedendo alla rubrica. Scrivo Bella e poi mi faccio dettare il numero.
“Perfetto!” esclama raggiante. “Che c’è di buono?” chiede poi afferrando la mia forchetta e prendendo un po’ della pasta che stavo mangiando.
“Pasta… pasta con le zucchine… ormai… ormai è fredda…” rispondo mentre Bella ingoia un boccone.
Bella sta usando la mia forchetta... La stessa forchetta che ho usato io! E non ha schifo!
“Non male!” commenta. E poi, dando un’occhiata scettica al mio vassoio, aggiunge: “Pasta con zucchine, insalata, una mela… Edward, non sarai mica vegetariano?”
“Beh, sì…” confesso. Perché lo sono. Da tre anni. Da quando ho visto un documentario atroce sui macelli ed ho passato una notte intera a piangere in preda agli incubi.
“Che invidia! C’ho provato, sai? A diventare vegetariana. Ma non ce l’ho fatta. Adoro la carne!”
Mi stringo nelle spalle, chiedendomi se la crudeltà dei macelli sia l’argomento giusto per cercare di conquistare una ragazza. Ma Bella non mi lascia neppure il tempo di pensare a qualcosa da dire. Non so se sono i miei tempi di reazione ad essere troppo lenti, od i suoi ad essere troppo veloci. Probabilmente una via di mezzo.
“Vado a recuperare il mio pranzo. Mi aspetti qui?”
“Sì, certo,” annuisco sorridendo.
“Faccio in un attimo. E ti prendo un altro latte, visto che quel cretino te l’ha bevuto tutto.”
“Ti do i soldi!” Scatto sulla sedia iniziando a frugarmi nelle tasche. Forse riesco a racimolare qualche centesimo.
“Figurati, offro io!” E se ne va prima ancora che io possa protestare.
Bella torna dopo qualche minuto. Sul suo vassoio ci sono un hamburger, delle patate fritte, una coca cola ed il mio latte.
“Faccio schifo, lo so!” Scoppia a ridere notando il mio sguardo perplesso di fronte ad un pasto tanto calorico. “Per fortuna non ingrasso di un etto!”
Sono felice di pranzare con Bella e di passare un po’ di tempo noi due  soli. Ma mentre lei non c’era, non ho potuto fare a meno di sbirciare il tavolo occupato dai suoi amici e dal suo ragazzo, e di sentirmi enormemente a disagio. Li ho sorpresi ad osservarmi, dubbiosi. E non erano gli unici in mensa.
“Non pranzi con i tuoi amici?” le chiedo.
“Pranzo con loro tutti i giorni…” risponde alzando le spalle e mettendo in bocca qualche patatina.
“Il tuo… il tuo ragazzo non si arrabbierà?” azzardo timido.
Non che io creda di rappresentare una minaccia per Jacob Black, o che lui possa vedermi come tale. Se solo volesse, potrebbe schiacciarmi come una mosca. E lo farebbe molto più velocemente di James, ne sono certo.
Bella sembra confusa. “Quale ragazzo, scusa?” chiede perplessa.
“Jacob Black…”
“Edward, Jake non è il mio ragazzo!” esclama divertita.
“Ma… ma… state sempre assieme…”
“È il mio migliore amico,” spiega addentando il suo hamburger. “Siamo cresciuti assieme. Ma lui sta con Leah, una ragazza che vive alla riserva indiana di La Push.”
“Ah,” riesco a dire. Poi torno a mangiare la mia pasta, silenzioso.
Il fatto che Bella non stia con Jacob non significa che lei non sia comunque impegnata, ed inspiegabilmente questo pensiero mi atterrisce.
Bella sembra capire al volo cosa mi passa per la testa.
“Io non ce l’ho un ragazzo, Edward.”
So che non ho nessuna speranza con Bella, ma sapere che non sta con nessuno mi rende felice, come mai prima d’ora. Così sorrido come uno sciocco, lasciando trapelare la mia immotivata gioia.
“E tu, invece?” chiede dopo un paio di bocconi. “Ce l’hai una ragazza?”
“Noooo!” Scuoto la testa imbarazzato ed arrossisco visibilmente.
“Oh, andiamo Edward! Non dirmi che non hai spezzato il cuore di una fanciulla andandotene da Chicago!”
In condizioni normali valuterei queste parole come una presa in giro. Ma, con mio grande stupore, Bella sembra assolutamente sincera ed un filo meravigliata.
Così anch’io opto per la sincerità.
“Io non… io non ho mai avuto una ragazza…” confesso grattandomi la nuca nervosamente.
Ecco. L’ho detto. Ho ammesso di essere un perdente ed uno sfigato. A diciassette anni non ho mai avuto una ragazza.
Bella non dice nulla. Poi annuisce pensierosa, mentre una strana luce che non so interpretare le si accende negli occhi.
Torna al suo hamburger, silenziosa, una volta tanto, ed io alla mia pasta.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***




Capitolo 3
 
Passo le due ore successive alla pausa pranzo assieme a Bella, nell’aula di biologia.
Ci sediamo uno accanto all’altra, ed in coppia lavoriamo ad un esperimento sulle cellule epiteliali.
Bella è attenta, concentrata, e quando non capisce, o si trova in difficoltà, chiede il mio aiuto, certa di trovarlo. È come se desse per scontato il fatto che io non possa non sapere, e, con un certo orgoglio, le do tutte le risposte che cerca pensando che, per una volta, essere un secchione non è tanto male.
Quando parlo mi osserva con vivo interesse, aggrottando leggermente la fronte. Quella piccola V appena accennata che compare tra le sopracciglia scure, sottili ma ben definite, è deliziosa, e non so cosa darei per poterla sfiorare e percorrere con un dito. Ma sarebbe decisamente troppo strano, e probabilmente rimedierei un ceffone ed un insulto.
Solo in un paio di occasioni, sollevando lo sguardo dal microscopio,  sorprendo Bella a fissarmi con i pensieri chiaramente altrove, il capo leggermente piegato da un lato, e la bocca appena socchiusa.
In entrambe le occasioni arrossisco visibilmente e sposto la mia attenzione sulla prima cosa che capita, perché sostenere i suoi occhi è ancora un’impresa troppo ardua per me. Prima sul libro che stiamo usando come guida, poi sul blocco degli appunti. Tossisco nervosamente, inizio a grattarmi la nuca (ma perché ho questo brutto tic?), e cerco di riempire il silenzio con sciocchi commenti sull’esperimento che stiamo conducendo.
Bella, invece, non sembra per nulla a disagio.  L’ho sorpresa a fissarmi e non ha fatto una piega. Adoro questa sua sicurezza. Dovesse succedere a me una cosa simile, credo sprofonderei nelle viscere della terra per l’imbarazzo. Mi chiedo a cosa stia pensando, però. Probabilmente si sta chiedendo da che pianeta arrivo e se a Chicago i ragazzi sono tutti così mediocri ed insipidi.
Al termine delle lezioni, come mi aveva promesso, Bella mi riporta a casa. Il viaggio sembra durare un po’ più a lungo rispetto a ieri, e mi domano se abbia rallentato la sua guida spericolata di proposito. Ma solo per un attimo. In realtà sono talmente abituato a non sperare e ad aspettarmi il peggio che mi auto convinco si sia trattato di un caso. In altri termini: com’è possibile che Isabella Swan, affascinante e popolare cheerleader, possa nutrire per me un interesse diverso dalla semplice, tenera compassione che, ne sono certo, è il sentimento che l’ha spinta ad avvicinarsi a me e a prendere le mie difese?
Bella parla a raffica durante l’intero tragitto. E mi sta bene così. Non sono bravo a tenere viva una conversazione. Inoltre adoro il suono della sua voce. Potrei passare ore intere ad ascoltarla senza stancarmi mai.
Bella non è semplicemente una chiacchierona. Un vivo e sincero entusiasmo la anima, ed ha sempre qualcosa di interessante da dire. Insomma, non parla tanto per farlo. Chiede sempre la mia opinione e mi dà lo spazio per dire ciò che penso. Io sono ancora intimidito dalla sua presenza così forte e rispondo quasi a monosillabi, ma cerco, per quanto posso, di non sembrarle noioso o stupido.
“Che programmi hai per il fine settimana?” chiede una volta parcheggiato di fronte al vialetto che conduce a casa mia.
“Niente di speciale,” le spiego. “Più che altro lavorerò alla relazione di biologia che Banner ci ha assegnato e che dobbiamo presentare per lunedì.”
“Oh merda…” si lascia sfuggire spalancando gli occhi e portando una mano alla bocca.
“Non l’hai ancora iniziata?!” domando con un filo di panico nella voce. Banner ci ha assegnato quella relazione dieci giorni fa, ed io ho cominciato a lavorarci fin da subito. È un argomento complesso e delicato, che merita grande attenzione. Non riesco a credere che Bella non abbia neppure preparato una bozza.
“Ehm… ehm… credo di no…” balbetta facendo una smorfia.
“Bella!” l’ammonisco. Vorrei aggiungere: “Sei matta?” , oppure:“Che ti passa per la testa? Non ce la farai mai a finire per lunedì!”.Ma tutto quello che riesco a dire è  “Bella!” con un tono stupito e di leggera disapprovazione.
Tuttavia credo che il mio sguardo scioccato esprima ampiamente il mio sgomento perché, malgrado non sia io quello nei guai, Bella si sente in dovere di rassicurarmi.
“Oh, tranquillo Edward! Ce la posso fare. Tu non mi conosci ancora bene: lavoro meglio sotto pressione!”
Davvero non capisco come Bella possa essere così tranquilla. Ma a quanto pare, tra i due,  il più in ansia sembro essere io.
“Tu sei già a buon punto, invece…” continua. Mi guarda di sottecchi e sorride. È un sorriso strano, un po’ furbo ed un briciolo maligno.
“Beh, sì… io… io ho già scritto una bozza…” ammetto. Cos’altro ci si potrebbe aspettare da uno come me, in fondo?
“Allora non è necessario che ci passi tutto il fine settimana,” dice restando sul vago e senza abbandonare l’alone di sottile mistero. “Ti puoi ritagliare un paio d’ore…”
“Cosa… cosa vorresti dire?” domando sulla difensiva. Non mi starà mica chiedendo di darle una mano? Oddio. È per questo che mi ha avvicinato? Anche lei, come tutti gli altri, vuole solo che l’aiuti con lo studio?
“Allora? Te le prendi un paio d’ore solo per te?” insiste senza scendere nel dettaglio.
Io non posso fare a meno di annuire. Cos’altro potrei fare? Pur di passare qualche ora con Bella sarei disposto a diventare il suo schiavo. Non ho un briciolo di spina dorsale, lo so. Sono debole. Debole ed innamorato.
“Sì… credo… credo di sì. Bella, perché?”
“Domani pomeriggio potresti venire alla partita di basket! Forks Bearscontro Cotton Beavers.”
Cosa? Bella mi sta invitando ad uscire? Non so che dire. Tutto mi sarei aspettato, fuorché questo.
Non sono mai stato ad una della partite della nostra squadra di basket, anche se mi piacerebbe. Di basket non capisco nulla - e non mi importa nulla, ad essere del tutto sincero - ma la sola idea di vedere Bella danzare ed incitare la squadra agitando un paio di pom-pom colorati mi fa venire la pelle d’oca.
Ho sbirciato gli allenamenti, ti tanto in tanto, ma solo per pochi secondi, terrorizzato dall’idea che qualcuno mi potesse sorprendere aggrappato come un guardone maniaco alle inferriate delle finestre della palestra.
Dovrei accettare senza neppure pensarci. A conti fatti questo invito è la cosa più simile ad un appuntamento che mi sia mai capitata fino ad ora. E per giunta mi arriva direttamente da Isabella Sawn, la ragazza dei miei sogni.
Ma sono Edward, e sono un cretino. Così, anziché dirle che mi piacerebbe molto e che ci sarò senz’ombra di dubbio, le dico: “Non saprei… Non era nei miei piani…”
Ma Bella non demorde. “Vieni, è un match importantissimo. Se vinciamo – e vinceremo – andremo tutti al Red Lion a festeggiare!”
“Oh…”  Che significa esattamente “andremo” ? Che dovrei seguirli? Bella vuole che mi unisca a lei e ai suoi amici?
“Non devi decidere ora, ovviamente. La partita è domani alle tre. Ma sappi che mi fa piacere, se vieni.” La sua voce è dolce e calda, ed i suoi enormi occhi color cioccolato sono così belli e  limpidi da togliermi il fiato.
Davvero  non ho idea di cosa stia succedendo. Da quando Bella mi ha parlato per la prima volta è come se fossi entrato in una dimensione parallela. È un mondo affascinante, ma che non conosco. Non so come muovermi, non so come comportarmi. Non so cosa dire o fare. Non ho mai avuto tanta paura in vita mia, neppure quando James mi ha detto che me l’avrebbe fatta pagare cara se avessi spifferato a qualcuno che mi ruba i soldi e mi costringe a fare i suoi compiti e quelli dei suoi amici.
Dio, quanto vorrei non avere paura…
“Va… va bene…  se mi libero vengo.”
Lei mi sorride e mi strizza l’occhio. “Ci conto!”
Ci salutiamo e poi Bella riparte. Sgommando.
 
Il giorno dopo, alle due, non sono ancora del tutto convinto di voler andare alla partita di basket. O meglio: voglio andarci, ma la solita, dannata timidezza mi blocca.
L’idea di unirmi ai membri della squadra, alle loro ragazze, ai loro amici e alle cheerleader nei festeggiamenti del dopo partita è davvero eccitante. Sospetto che questo genere di incontri sia molto più divertente e movimentato delle riunioni del Club del Libro del martedì sera.  Ma io cosa c’entro in tutto questo? Come i cavoli a merenda! Non saprei come comportarmi con queste persone. Certo, sono solo persone e non marziani. Ma con loro non ho nulla in comune! Non potrei neppure commentare i punti più belli della partita perché di basket non so nulla, solo che si vince lanciando una palla arancione in un cesto posto ad una determinata altezza. E non sono neppure sicuro che la palla sia sempre arancione!
Chiedetemi cos’è un pentagramma, cos’è una minima o una semiminima. Chiedetemi quante sinfonie ha scritto Beethoven o chi è Daniel Barenboin. Non chiedetemi nulla di sport.
Inoltre mi guarderebbero tutti. Si chiederebbero che ci fa Edward Cullen lo sfigato tra di loro. E detesto quando la gente mi guarda. Non mi piace essere al centro dell’attenzione.
Alla fine decido di andare, pensando che posso fermarmi per la partita e declinare gentilmente un eventuale invito ad unirmi ai festeggiamenti che si terranno al Red Lion.
So che non potrò evitare gli sguardi curiosi degli altri studenti, ma per quanto la cosa mi metta a disagio, la voglia di vedere Bella è ben più forte.
La vedrò nella sua striminzita uniforme gialla e blu. Vedrò le sue gambe meravigliose. La vedrò danzare e muovere i fianchi. La vedrò…
O santo cielo! Non ci devo pensare. Sono un gentiluomo, ma ho pur sempre diciassette anni!
Mi faccio accompagnare in auto da mia madre che, malgrado il brevissimo preavviso, è ben contenta di vedermi uscire di casa per qualcosa di nuovo e di diverso che non il semplice andare a scuola.
Più di una volta mi ha incoraggiato a fare nuove amicizie, ma per gente come lei e mio padre, gente così aperta e gioviale, credo non sia facile capire che non tutti sono come loro, che per alcune persone – persone come me – fare nuove conoscenze è difficile quanto andare in guerra.
Quando arrivo in palestra, la partita è iniziata da una trentina di secondi. Gli spalti sono gremiti e c’è un baccano infernale. Deve essere un match importantissimo. Non ci sono solo gli studenti della Forks High School. Ci sono anche i ragazzi della riserva indiana di La Push, moltissimi genitori, ed un folto gruppo di tifosi del liceo avversario.
Trovo un posto libero in alto, in ultima fila, contro la parete.
Mi siedo, evitando lo sguardo curioso dei miei vicini - ragazzi del secondo anno che più di una volta hanno assisto divertiti ai miei incontri/scontri con James, Victoria e Laurant,  e che di sicuro si stanno chiedendo che ci faccio qui.  Poi inizio a cercare lei, a cercare Bella.
Il mio sguardo vaga verso il basso, vicino al campo, nei pressi della panchina dei Forks Bears, e quando la vedo - con la gonna cortissima, la divisa gialla e blu che mette ancora più in risalto il suo pallore lunare, ed i capelli raccolti in alto sopra la nuca - mi manca il fiato. È semplicemente bellissima.
Per tutto il primo ed il secondo tempo i miei occhi restano incollati su di lei. La partita va avanti, i giocatori corrono da una parte all’altra del campo, quasi scoppia una rissa, i numeri sul tabellone segnapunti si susseguono, il pubblico intorno a me urla a squarciagola, incoraggia la squadra e fa tremare gli spalti. Io non mi accorgo di nulla. Io non ho occhi che per lei, per Bella.
Alla fine de primi ventiquattro minuti di gioco, mentre i ragazzi riprendono fiato in panchina ed ascoltano le nuove disposizioni del mister, Bella e le altre cheerleader scendono in campo con il proprio numero.  Giuro, non ero preparato a vedere nulla del genere. Mi aspettavo qualcosa di più classico, di più stereotipato. Mi aspettavo un paio di capriole ed il solito “Datemi una F, datemi una O, datemi una R…”.  Invece non ci sono neppure i pompon!
Quando le ragazze raggiungono il centro della palestra, improvvisamente dagli altoparlanti parte un mix di vari pezzi hip-hop, e Bella ed il suo gruppo si esibiscono in una vera e propria danza. Sono bravissime. Bella è bravissima. Sensuale come non credevo potesse essere. E quando la vedo scuotere il sedere di fronte a tutti, a momenti mi prende un infarto!
Il loro numero termina sotto gli applausi scroscianti, le urla ed i grugniti di approvazione di tutta la popolazione maschile. Bella è senza dubbio la più apprezzata e su di lei sento dire cose talmente sconce che, se non fossi l’imbranato che sono,  in tempo zero mi alzerei  e riempirei di pugni quei buzzurri che si sono azzardati a pronunciare parole così sudice. Anche se sono un pacifista.
Prima di tornare al proprio posto, vicino alla panchina dei Forks Bears, Bella si guarda intorno e poi, da bordo campo, comincia a scrutare gli spalti. Quando capisco che forse sta cercando me mi irrigidisco.
Vorrei alzare la mano, chiamarla, attirare la sua attenzione in qualche modo, ma mi vergogno di quello che potrebbero pensare gli altri.
Edward Cullen lo sfigato che osa rivolgersi ad una delle cheerleader?!
E se Bella non dovesse notarmi? Che figura farei, con la mano a mezz’aria, a salutare, non ricambiato, il sogno erotico dei tre quarti del pubblico presente in palestra oggi? Inoltre può darsi che lei stia cercando qualcun altro, e non il sottoscritto.
Così resto lì, pregando che sia Bella a scorgermi in mezzo alla gente; cercando di uscire un poco dal mio angolo,  ma senza bisogno di chiamarla a gran voce.
I suoi occhi vagano per un po’ tra la folla, poi mi vede ed il suo volto si illumina in un caldo sorriso.
“Edward!” Bella alza la mano e la agita, come per dirmi: “Guarda, sono qui!” .
Anch’io alzo la mano e la saluto timidamente, rendendomi conto che i ragazzi seduti attorno a me si sono tutti voltati nella mia direzione e mi stanno squadrando da capo a piedi, come se fossi un alieno.
Sento le guance avvampare, evito il loro sguardo curioso ed indagatore, e cerco di stringermi ancora di più nel mio angolo.
Ma Bella non si limita a salutare. Va ben oltre.
“Aspettami dopo la partita fuori dagli spogliatoi! Non te ne andare!” urla dal campo.
In palestra c’è una gran confusione e la sua voce si confonde con tutte le altre, ma io l’ho sentita bene. Così come l’anno sentita bene in miei vicini. Se possibileil loro sguardo si fa ancora più curioso ed incredulo. Ma per la prima volta in vita mia, oltre alla vergogna e all’imbarazzo per essere al centro dell’attenzione, provo dei sentimenti nuovi, qualcosa che si avvicina molto all’orgoglio e alla rivalsa.
Non avevo alcuna intenzione di fermarmi per il dopo partita, ma come posso dire di no a Bella?
Perciò le sorrido e le faccio di sì con la testa, prima di iniziare a grattarmi la nuca, ovviamente.
I Forks Bears vincono il match come da copione. Jacob Black viene portato in trionfo in quanto, se non ho capito male, ha superato il suo record stagionale. Non ho la più pallida idea di cosa questo possa significare, ma credo si tratti di una bella cosa perché tutti gli fanno i complimenti e gli mollano vigorose pacche sulle spalle; manate che probabilmente ucciderebbero il sottoscritto, ma che lui accoglie come carezze.
Dopo la partita, aspetto Bella fuori dalla palestra, poco lontano dall’uscita degli spogliatoi, proprio come mi ha chiesto lei.
Sono nervosissimo. Mi sudano le mani, mi manca il respiro e mi batte forte il cuore. E non solo perché la vedrò. Tra poco entrerò ufficialmente a far parte del suo mondo.
“Edward!”
Alzo lo sguardo che tengo ben piantato in terra per evitare le occhiate cariche di gelosia degli altri studenti, e vedo una morettina dai capelli corti abbracciata ad un alto ragazzo biondo. Sono Alice e Jasper, e dietro di loro sbucano Emmett e Rose. Si tengono per mano e, ridendo per qualcosa che si sono appena detti e che non ho sentito, superano i loro amici e si affrettano verso il parcheggio.
Alice e Jasper procedono più lentamente. Non si fermano, ma passandomi accanto lui mi fa un gesto con la testa – qualcosa che assomiglia ad un saluto – ed Alice mi dice: “Bella arriva subito. Si sta cambiando.”
“Ok… ok, va bene…”
“Ci vediamo dopo al Red Lion!” continua Alice voltandosi nella mia direzione. Ed io annuisco facendo ciao-ciao con la mano.
Che sfigato.
Dopo dieci minuti buoni, quando il parcheggio si è ormai svuotato, la porta degli spogliatoi si spalanca e finalmente Bella è di fronte a me. Con lei ci sono Jacob ed una ragazza molto carina dalla pelle ambrata. Suppongo si tratti di Leah, la ragazza di Black, visto che lui le tiene un braccio attorno al collo e lei una mano dietro la schiena.
“Edward!” Non appena mi vede, Bella mi corre incontro lasciando indietro i propri amici. “Hai visto che partita? Li abbiamo stracciati!”
Bella è entusiasta. Ed io non so che dire.
“Sì, sono stati bravi…” commento molto diplomaticamente.
La verità è che davvero non so come abbiano giocato i Forks Bears. Anche se capissi qualcosa di basket, per tutto il tempo sono stato concentrato su Bella, rivivendo nella mia testa il sensuale balletto che l’ha vista protagonista. Così conosco solo il punteggio che segnava il tabellone alla fine del match e che, per la squadra locale, era più alto.
Nel frattempo Jacob e la sua ragazza ci hanno raggiunti.
“Bella, voi venite con noi?” le chiede.
Io sto ancora cercando di processare il senso di quel ‘voi’ e di quel verbo usato al plurale, che Bella ha già risposto.
“No,” risponde. “Prendiamo la mia macchina.”
Jacob annuisce. “Ok. Ci vediamo al Red Lion tra poco, allora.” E prima di andarsene trascinando con se la sua ragazza, mi saluta con un mezzo sorriso, un gesto del capo ed un “Cullen…”
Una volta soli, Bella mi pianta addosso i suoi meravigliosi occhi scuri e sento le ginocchia cedere.
“Non ti dispiace, vero?” chiede.
“Cosa?” chiedo a mia volta.
“Se prendiamo la mia macchina,” spiega. “Ho pensato che se ti annoi possiamo andarcene prima. Nutro il vago sospetto che tu non sia mai stato ad una partita di basket prima d’ora!”
“I tuoi sospetti sono fondati,” ammetto imbarazzato.
“Bene,” continua lei iniziando a camminare in direzione del parcheggio. “Significa che oggi sei qui per me.”
Bella si volta, mi sorride maliziosa, e mi lancia uno sguardo languido.
Io sono pietrificato. Come fa a saperlo? Sono così trasparente? Soprattutto: perché la cosa non la infastidisce? Le ragazze come lei, le ragazze belle e popolari, non amano ricevere attenzioni dai tipi come me. Non sono di certo bello, ed inoltre sono timido e goffo. Una noia mortale.
Me ne resto lì, imbambolato ed osservo Bella allontanarsi con lo sguardo da pesce lesso.
“Edward!” esclama. “Cosa fai lì impalato? Andiamo!”
Mi tende la mano ed io, ancora frastornato e confuso, mi decido a schiodarmi dall’angolo in cui mi trovo. Non so descrivere ciò che provo. Sono confuso, felice, impaurito, emozionato.
La mia preoccupazione più grande, però, è rivolta al mio futuro a breve termine. Cosa dovrei fare? Prenderle la mano? Non ho mai tenuto una ragazza per mano prima d’ora. O forse sì, ma all’asilo! Inoltre: cosa implicherebbe? Certo, non siamo più nell’ottocento ed al giorno d’oggi pare che neppure fare sesso abbia necessariamente un significato. Però…
Come al solito è Bella a togliermi dall’impaccio. Non mi prende per mano, ma mi prende sottobraccio.
“Andiamo,” mi incoraggia sorridendo.
“Andiamo,” le faccio eco.
Ed insieme ci incamminiamo verso la sua Volvo.
Raggiungiamo il Red Lion in un batter di ciglio. Dopo un sorpasso azzardato trovo persino il coraggio di chiederle coma mai non le abbiano ancora ritirato la patente. Bella scoppia a ridere e mi chiede scusa. Ma poi si infila in uno dei parcheggi liberi a razzo, facendomi sobbalzare sul sedile.
Il locale è pieno e ci sono proprio tutti: i giocatori della squadra, i loro genitori ed amici, le loro ragazze, le cheerleader… Alcune di loro indossano ancora la divisa ed espongono civettuole le gambe.
Mi sarebbe piaciuto che Bella non si fosse cambiata. Ora indossa un semplicissimo paio di jeans, una camicetta bianca ed un giubbottino di pelle nera. È meravigliosa, come al solito, ma ho ancora vivo nella memoria il ricordo delle sue meravigliose gambe nude. Ripensandoci: forse è meglio che si sia cambiata. Venire sorpreso mentre le guardo le cosce come un imbecille sarebbe troppo degradante. E poi non sono un maniaco!
Quando entriamo tutti accolgono Bella con entusiasmo. La salutano, commentano la partita, le fanno i complimenti per il numero... Tutti sembrano conoscerla ed adorarla. Anche i genitori.
Lei si fa largo tra la folla, radiosa e totalmente a proprio agio. Si volta un paio di volte, per essere sicura che la stia seguendo, e quando un gruppo di ragazzi si mette tra di noi, separandoci e spingendomi lontano, viene a recuperarmi.
“Che casino!” esclama divertita trascinandomi con sé. Mi prende per mano questa volta, e, non appena sento la sua pelle morbida ed il suo tocco delicato, un brivido mi percorre la schiena.
Com’è possibile che quest’angelo possa infilare una catena su per il culo di chicchessia? Eppure, malgrado tutto, sono sicuro che Bella ne sarebbe capace. James non se ne sarebbe andato via con la coda tra le gambe, altrimenti.
Quando raggiungiamo il tavolo dei giocatori e delle loro ragazze, Alice scatta immediatamente in piedi.
“Bella, Edward! Vi abbiamo tenuto due posti, laggiù!” E ci indica l’estremità del tavolo.
“Grazie, Alice!”
Poi Bella mi presenta a tutti i suoi amici. “Ragazzi, Edward. Edward, i ragazzi. Alice, Jasper, Jake, Leah, Emmett, Rose, Mike, Jessica, Eric ed Angela.”
Nessuno sembra stupito di vedermi, ed io mi rilasso un poco, anche se trovo il tutto decisamente surreale. Io non c’entro nulla con queste persone!
Prendo posto vicino a Bella, e lei, sistemando il giubbotto sulla spalliera della sedia, mi chiede se voglio qualcosa da bere.
“Che ne dici di una coca-cola?”
Io, senza riflettere, da perfetto idiota quale sono, le confesso l’inconfessabile. “No, le bevande gassate mi pizzicano il naso.”
Bella mi guarda stranita e trattiene a stento una risata. “Ti pizzicano il naso?!”
Mi stringo nelle spalle, arrossendo come mai prima d’ora.
“Sì… proprio non riesco a berle…” ammetto.
“Beh… ti piace il latte, giusto?”
Faccio di sì con la testa. È vero, adoro il latte. Ne bevo a litri.
“Milk-shake? Quello non ti pizzica il naso, giusto?”
“Al cioccolato?” azzardo timido.
“Aggiudicato! Mi aspetti qui? Vado e torno.” E senza attendere la mia risposta, Bella si alza e si dirige verso il bancone del bar.
Alice ne approfitta per prendere il suo posto.
“Edward!” Alice scivola agile sulla sedia libera ed appoggia i gomiti sul tavolo. “Dimmi, ti è piaciuta la partita?” chiede.
“Sì, è stata…” Rifletto per un attimo in cerca della parola giusta da dire,  per mascherare il fatto che tra di loro sono un intruso e non conosco un bel niente dello sport per cui tutti qui sembrano andare pazzi. Alla fine me ne esco con un diplomatico  “interessante”.
Alice non si lascia ingannare, ovviamente. “Non sai nulla di basket, vero?” mi chiede divertita, ma non come se mi stesse prendendo in giro.
“No, no, direi di no…” ammetto imbarazzato.
“Non ti preoccupare, Edward,” cerca di rincuorarmi. “Prima di conoscere Jazz e di mettermi con lui neppure io capivo nulla di basket!”
“Dici sul serio?”
“Certo!” E, come se mi stesse svelando un gran segreto, si avvicina e mi bisbiglia in un orecchio: “Ti giuro che anche ora mi sfuggono cose basilari!”
Le sorrido, riconoscente. Trovo Alice gentile e simpatica, ed apprezzo molto il suo tentativo di farmi compagnia e di non farmi sentire un pesce fuor d’acqua. Ma al momento Bella è l’unica con la quale mi sento a mio agio al punto tale da riuscire a portare avanti una conversazione.
“Alice!” Bella ricompare magicamente dal nulla e si infila tra la sua amica ed il sottoscritto. Posa due enormi bicchieri di milk-shake al cioccolato sul tavolo e finge di essere arrabbiata con Alice. “Sbaglio od un ragazzo ce lo hai già? Si chiama Jasper ed è seduto laggiù! Quindi smamma!”
“Quanto sei noiosa!” Alice si alza sbuffando e cede il posto a Bella. Poi le fa una linguaccia. “Non te lo mangio mica il tuo Edward!”
Il tuo Edward?! Oh santo cielo…
Io temo il cuore possa schizzarmi fuori dal petto. Bella, invece, si siede accanto a me, tranquillissima, per nulla imbarazzata dalla battuta dell’amica.
“Hai conosciuto Alice!” esclama. “È simpatica, vero? È la mia migliore amica!”
E poi, mentre tutti gli altri rivivono i momenti più belli e significativi della partita, Bella mi racconta qualcosa per ognuno di loro, per farmi capire con chi ho a che fare.
Dopo un paio d’ore mi riporta a casa, ma non senza avermi proposto di unirmi a lei e al resto del gruppo per una pizza al DonkeyMonkey.
Vorrei accettare, ma è stato un pomeriggio ricco di emozioni e non voglio esagerare. Così declino gentilmente l’invito.
“Sono felice che tu sia venuto alla partita, Edward,” dice dopo aver parcheggiato di fronte al vialetto che conduce a casa mia.
“Anch’io,” le confesso. “Mi sono divertito molto. I tuoi amici sono simpatici.”
“I nostri amici, Edward,” controbatte seria ponendo l’accento sulla parola nostri. “Non devi più startene per conto tuo. Stare da soli fa schifo.”
Non so cosa dire. Sono totalmente spiazzato. La mia pena era così evidente?
“Ci vediamo lunedì a scuola?”
Annuisco. “Ok.”
“Cosa farai stasera?”
“Relazione di biologia, credo.”
“Oh… giusto…”
“Non l’hai ancora iniziata?”
“Ehm… sì… cioè… no…”
“Bella?”
“Lavoro meglio sotto pressione!”
Scoppiamo a ridere, entrambi. Poi ci salutiamo e guardo Bella scomparire a bordo della sua Volvo. Se ne va sgommando, ovviamente.
A mezzanotte sto finendo di rileggere quello che ho scritto, quando il bip-bip del cellulare mi annuncia che è appena arrivato un messaggio.
A quest’ora non so davvero chi possa essere. Forse il mio amico Will di Chicago. O, molto più probabilmente, si tratta di un messaggio promozionale inviato dalla compagnia telefonica.
Invece è Bella. Quando leggo il suo nome sullo schermo luminoso il cuore mi si ferma nel petto.
- Dormi?
- No
Devo digitare solo due lettere, ma sono così nervoso che riesco a sbagliare per ben due volte, e malgrado il T9!
- Che fai?
- Relazione di biologia
- Ancora?! Fila a letto!
- Agli ordini!
- Buonanotte, Edward.
- Buonanotte, Bella.
Sono totalmente, incondizionatamente, irrimediabilmente innamorato di Isabella Swan.


 




ECCO L'ESIBIZIONE DI BELLA E DELLE CHEERLEADER DELLA FORKS HIGH SCHOOL... NIENTE MALE, VERO?

http://www.youtube.com/watch?v=7GdWr8n90X4
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Prossimo aggiornamento: tra 10-15 giorni =)





Capitolo 4
 
Trascorro  la domenica a casa da solo, a leggere e a studiare.
I miei genitori non ci sono. Si trovano  alla serra messa in piedi dalla cooperativa dei  produttori di legname locale a condurre le loro ricerche.
Il presidente della cooperativa è Charles Swan, il padre di Bella, ma a quanto pare tutti a Forks lo chiamano Charlie. L’ho conosciuto un paio di settimane fa, proprio alla serra, e mi è sembrato un tipo in gamba. È uno degli imprenditori più ricchi della zona, ma anche uno dei più illuminati. Si rende conto che i boschi dello stato di Washington sono una risorsa preziosa e, per porre fine allo sfruttamento indiscriminato di questi territori, ha varato un progetto, uno studio di sostenibilità e sviluppo compatibile, proponendolo a varie università. Il bando è stato vinto da due ricercatori botanici dell’ateneo di Chicago - i miei genitori appunto - ed io li ho seguiti nella fredda e piovosa Forks.
Sta piovendo, e la cosa non mi stupisce affatto. Il cielo è quasi sempre grigio e carico d’acqua, da queste parti. Un vero schifo.
All’inizio odiavo Forks, e non solo perché in questa minuscola cittadina non conosco nessuno ed ho avuto la disgrazia di incontrare gli individui peggiori mai esistiti sulla faccia della terra: James, Victoria e Laurent.
Questo grigio infinito è lo specchio della mia anima. Doverci convivere ogni giorno è straziante di per sé. Vederlo riflesso in tutto ciò che mi circonda insopportabile.
Ma dopo quello che è successo ieri, non mi importa se fuori piove. Dopo quello che è successo ieri, nel mio cuore il sole sta facendo capolino da dietro le nubi e tutto è bello ed illuminato.
 
Verso le tre, quando ormai ho terminato tutti i miei compiti e riletto senza trovare errori la mia relazione di biologia, mi sdraio sul letto.
Per una volta me ne sto con le mani in mano,  e non con il naso incollato ad uno dei miei libri, e penso e ripenso alle parole di Bella:
 
“…Bene. Significa che oggi sei qui per me…”
“…Sono felice che tu sia venuto, oggi…”
“…Non devi più startene per conto tuo…”
“…Stare da soli fa schifo…”
 
Ma soprattutto ripenso alle parole di Alice:
 
“…Non te lo mangio mica il tuo Edward…”
 
Il tuo Edward…
So che Alice stava scherzando, che ha pronunciato quelle parole con leggerezza, e solo per prendere in giro l’amica. Ma la sola idea che gli altri mi associno a Bella, che mi considerino il suo Edward, mi fa venire i brividi.  Lo trovo surreale.
Vivo con il mal di pancia da ieri. Il classico mal di pancia che ti prende quando stai vivendo un’emozione forte, ma positiva. È una sensazione strana che non ho mai provato prima d’ora. Una sorta di tensione perenne che mi stringe lo stomaco. Sfiora il confine del dolore, ma non fa male sul serio, e si intensifica in nuove piacevoli ondate ogni volta che ripenso a Bella. Ai suoi occhi scuri, profondi ed espressivi, al suo sorriso radioso, ai suoi morbidi capelli danzanti, al delicato tocco della sua mano, soffice e calda, che stringe la mia…  al suo sensuale balletto…
Anche se ammetterlo mi fa vergognare a morte - perché è squallido e perché  Bella non è solo un bel viso od un bel paio di gambe - queste piacevoli ondate si infrangono  in zone del mio corpo intime e segrete; zone che ho sempre messo a tacere e che, al momento, sembrano essersi stancate di restare in silenzio.
Sono così agitato che decido di occupare la mente con qualcosa di rilassante. La musica, per esempio.
Scendo in salotto e mi metto al pianoforte. Comincio a percorrere i tasti bianchi e neri, senza bisogno di uno spartito. Cerco di pensare ad altro, di lasciarmi trasportare dalla musica. Ma Bella, il mio dolce angelo, è lì, e non ha nessuna intenzione di andarsene. Così chiudo gli occhi e lascio che sia lei a guidarmi. Ne faccio la mia musa e ciò che ne esce è la più meravigliosa delle melodie, la migliore musica che io abbia mai composto.
Dopo mezz’ora prendo carta e penna e butto giù tutto, per non dimenticare neppure una nota, anche se dubito che riuscirei a farlo. Manca un titolo. Vorrei qualcosa di più sofisticato e meno ovvio di Bella’s Lullaby. Ma in fondo proprio di questo si tratta, di una dolce ninna nanna. Una ninna nanna che  ho scritto per lei. Quindi concludo che Bella’s Lullaby è perfetto.
 
 
Alle cinque sono ancora al pianoforte. Sono decisamente più tranquillo, ma non riesco a togliermi dalla testa Bella. Ho voglia di vederla e di sentire la sua voce. Per un attimo penso che potrei chiamarla. Ma solo per un attimo. La sola idea mi provoca nuove ondate di mal di pancia, così decido che un messaggio può bastare. Probabilmente sta lavorando alla sua relazione di biologia. Se la chiamassi la interromperei, disturbandola. Un messaggio è meno impegnativo. Può leggerlo quando le pare, e rispondere solo se le va.
Corro in camera ed afferro il cellulare. Accedo alla funzione messaggi ed inizio a digitare un innocuo “ciao, come stai?” , quando il telefono comincia a squillare. La cosa mi sorprende al punto tale da spaventarmi. Sobbalzo e, da perfetto imbranato quale sono, lo faccio cadere a terra. Il cellulare rimbalza sotto il letto, ma continua a squillare. Mi sdraio sul tappeto, allungo la mano sotto il materasso, recupero il telefono, e quando leggo il nome ‘Bella’ sullo schermo luminoso sono ad un passo dall’arresto cardiaco.
Bella mi sta chiamando?! E lo fa  nell’istante esatto in cui io stavo per inviarle un messaggio?!  È forse telepatica?
Il mal di pancia raggiunge livelli di intensità inimmaginabile, ed io non ho neppure la forza di alzarmi. Rotolo sulla schiena, deglutisco rumorosamente, avvicino il cellulare all’orecchio e, con mano tremante, finalmente mi decido a rispondere. “Pronto?”
“Edward!” La voce di Bella è alta, squillante e tesa. Ha pronunciato solo il mio nome, ma intuisco immediatamente che qualcosa non va.
“Bella, va tutto bene?” le chiedo tirando su la schiena e mettendomi a sedere, in allerta.
“Sì… cioè… Oddio, Edward… non lo so…” balbetta lasciando trapelare l’angoscia.
“Bella, mi stai facendo paura. Ti è successo qualcosa?”
In un attimo schizzo in piedi, pronto all’azione. Poi vedo la mia immagine riflessa nello specchio montato sul retro della porta: capelli spettinati, occhialoni da miope, muscoli inesistenti, una vecchia maglietta scolorita di Guerre Stellari, i pantaloni della tuta, e due enormi pantofole con la testa di cane. Ma dove diavolo voglio andare così conciato?
“Cosa?! No, no, Edward… non.. non mi è successo nulla… Tranquillo…”
Bella ansima un poco, mentre parla. Sembra che stia camminando, probabilmente all’aperto, visto che sento scricchiolare della ghiaia in sottofondo.
“Bella, cosa c’è che non va, allora?” le chiedo lasciandomi cadere sul letto e continuando a fissare la mia immagine allo specchio.  Sono osceno.
“Io… io… ti prego, non odiarmi, Edward…”
Santo cielo! Cosa sta succedendo? Perché Bella pensa che io potrei avere una qualsivoglia ragione per odiarla? È ridicolo. Non potrei mai! Lei è il mio angelo!
“Bella, non capisco. Perché ti dovrei odiare?”
“Lo so che tutti si rivolgono a te solo per un motivo…” continua con voce sofferente. “Adesso tu penserai che mi sto servendo di te… Ti giuro che non è così! Ma sei la prima persona a cui ho pensato… ”
Bella parla, cerca di spiegarsi, ma inutilmente. Le sue parole sconclusionate hanno l’unico effetto di farmi sentire ancora più confuso. “Bella, sul serio, non ho la più pallida idea di cosa tu stia dicendo.”
“È per via della relazione di biologia…” azzarda timida.
“Sì?”
“L’ho finita. Tutta. Lo giuro.”
“E?”
Bella esita un attimo. Poi esplode: “Non riesco a capire se quello che ho scritto ha un senso!”
Ora è tutto chiaro. Bella vuole che l’aiuti a correggere la relazione di biologia, ma siccome gli altri studenti si avvicinano a me o per prendermi in giro o per sfruttare le mie doti di  secchione, teme il mio giudizio.  Ha  paura che la possa considerare un’approfittatrice. Mi viene quasi da ridere.
“Bella, vuoi che ti dia una mano?”
“No! Cioè, sì… Voglio solo che tu la legga, che tu mi dia un parere… Ma solo se lo vuoi davvero… Non voglio approfittarmi di te… Non voglio che tu pensi… Insomma, tu hai iniziato a lavorarci giorni fa… Io solo ieri… Anzi, lasciamo stare… Torno a casa. Mi faccio aiutare da Alice…”
Al di là dell’auricolare, sento un famigliare rumore di passi su una superficie di legno e qualcosa che cigola. Sembra una catena.
Oh, santo cielo…
“Bella! Bella, aspetta! Cos’hai detto? ‘Torno a casa’ ?! Dove sei? Bella, dove sei?” Sono agitatissimo e quasi mi metto ad urlare.
“Sono… Beh, io… io sono qui.”
Qui?!
“Qui, dove?” domando cauto. Ho capito benissimo dov’è Bella. Ma non mi pare vero.
“Sotto il tuo portico…”
“Vengo subito.” E riattacco.
Mi precipito fuori dalla stanza e corro verso le scale. Poi mi ricordo delle pantofole a forma di cane. Che idiota! Come posso presentarmi a Bella indossando questi orrori? Mi blocco, le tolgo, le lancio oltre la prima porta aperta che trovo (la stanza dei miei genitori), e mi lancio giù per i gradini a piedi nudi, rischiando di rompermi l’osso del collo.
Esito un attimo di fronte alla porta di ingresso, nervoso ed emozionato. Chiudo gli occhi, tiro un bel respiro, e poi la spalanco. Ma Bella non c’è.
“Bella?” Faccio un passo oltre la soglia e mi guardo intorno.
La trovo seduta sul dondolo, le ginocchia strette al petto e lo sguardo affranto.
“Bella…”
Non l’ho mai vista così. È spettinata, i capelli umidi per la pioggia maldestramente raccolti con due matite da disegno in altro sopra la testa. Anche lei indossa una vecchia tuta, un enorme giubbotto a quadrettoni che probabilmente appartiene al padre, scarpe da ginnastica consunte e calzettoni piuttosto spessi di due colori diversi, uno viola ed uno verde. Sembra ancora più pallida del solito, ed ha gli occhi rossi e cerchiati, come se avesse passato la notte insonne.
“Ciao…” mormora timida.
“Ciao,” le sorrido.
Ha un aspetto orribile. Ma è bellissima. Semplicemente bellissima.
“Mandami via, ti prego,” borbotta nascondendo il volto tra le mani.
Mi avvicino e la costringo ad alzarsi. “Non essere sciocca. Vieni.”
La trascino in casa, perché fuori fa freddo ed io sono a piedi nudi e con una maglietta a mezza manica e sto congelando. La conduco fino in salotto e, dopo averla aiutata a sfilare la giacca, la faccio sedere sul divano.
Bella tiene lo sguardo basso e le braccia incrociate al petto. “Sono un mostro, lo so.”
‘Mostro’in che senso? ‘Mostro’ a chiedermi aiuto? ‘Mostro’ perché sembra una terremotata?
In entrambi i casi non lo è.  “Bella, non è vero…”
“Sì, invece. Guardami!” sbotta agitando le mani in aria. “Non dormo da trentasei ore! Ho i capelli sporchi e spettinati, e non ho neppure fatto una doccia! Lavoro a quella maledetta relazione da ieri notte, da dopo che ci siamo sentiti via messaggio! L’ho finita, ma ora non connetto più! Non capisco se quello che ho scritto ha un senso! C’ho provato a rileggerla, te lo giuro! Mi si incrociano gli occhi!”
Bella è agitatissima. Ha una vera e propria crisi di nervi. Mi fa quasi paura.
“Bella, calmati!” Mi faccio coraggio e mi siedo vicino a lei. Vorrei stringerla tra le mie braccia, per rassicurarla, ma non credo sia una buona idea. Di sicuro penserebbe che sto approfittando del suo momento di debolezza per provarci, e non voglio.  E poi non ho mai abbracciato una ragazza prima d’ora. È meglio che non mi avventuri su terreni sconosciuti.
Così mi limito a parlarle con il tono di voce più tranquillo e suadente che conosco, per farle capire che sono qui, che la voglio aiutare, che la cosa non mi dispiace affatto e che non la giudico male. “Rileggerò io la tua relazione, Bella. Se c’è qualcosa che non va, la correggeremo insieme. Ok?”
“Edward, non sei obbligato… non voglio che…” Bella mi guarda preoccupata, con quei suoi enormi occhi scuri, lasciando la frase a metà.
Ma non c’è bisogno che la finisca. Ho capito cosa intende. “Certo che non sono obbligato. Ma siamo amici, giusto? E gli amici si aiutano.”
Bella si rilassa un poco, poi annuisce, ed infila una mano in tasca, estraendone una pen drive.
“È tutto qui sopra?” le chiedo afferrandola.
“Sì.”
“Andiamo.”
Mi alzo e lascio che Bella mi segua fino in camera mia.
Che emozione! Una ragazza sta per entrare nella mia stanza! Non era mai successo…
Mentre saliamo le scale, ripercorro mentalmente ogni angolo, cercando di ricordare se è tutto in ordine o se ho lasciato qualcosa di sconveniente in giro, tipo biancheria intima sporca.
Credo sia tutto a posto, perciò mi fermo sulla soglia e con un timido gesto della mano la incoraggio ad entrare. “Prima le signore,” le dico.
Bella fa qualche passo in avanti, le braccia saldamente incrociate al petto, quasi stia cercando di proteggersi, o di nascondersi. Poi comincia a guardarsi intorno, curiosa. All’istante i suoi occhi si posano sull’ampia libreria dove ho infilato alla rinfusa una quantità impressionante di libri, fumetti e CD.
“Wow…” esclama avvicinandosi. “Tu leggi un sacco! Ed ascolti un sacco di musica!” Percorre con lo sguardo ogni volume ed ogni disco, e di tanto in tanto abbozza un sorriso, come se  riconoscesse  i titoli.
Nel frattempo, ho preso posto alla mia scrivania ed ho inserito la pen drive nel PC.
“Che maleducato,” mi scuso rendendomi conto che sono stato un pessimo padrone di casa e che non le ho offerto nulla. “Vuoi qualcosa da bere, o da mangiare?”
Bella si volta, mi sorride, si avvicina,  e,  facendo leva con entrambi gli avambracci, si siede sulla scrivania, di fianco a me. “Un bicchiere di latte?” suggerisce ammiccando.
Per un attimo la fisso interdetto, senza capire. Poi mi rendo conto che mi sta prendendo in giro. Generalmente arrossirei, mi imbarazzerei da morire, ed inizierei a balbettare parole senza senso. Ma con mio immenso stupore non succede nulla di tutto questo. Anzi, decido di stuzzicarla a mia volta,  scoprendomi molto più temerario di quanto credessi. Forse è il suo aspetto da terremotata a darmi coraggio, chi può dirlo.
“Belli i calzettoni…” commento ostentando indifferenza mentre apro l’unico documento salvato sulla pen drive.
Bella appare confusa. “Scusa?” mi chiede.
“I calzettoni…” dico facendole un cenno con il capo. “Va di moda il bi-colore?”
“Che?!”
Bella si guarda i piedi. Li fissa per un attimo e poi scoppia a ridere. “Gesù, sono inguardabile!”
Adoro la sua risata. È contagiosa. E scoppio a ridere anch’io.
“Su, mettiamoci al lavoro,” la esorto ancora tra le risa.
Sono le cinque passate, dopotutto. Mi fido di Bella, ma se la relazione ha davvero bisogno di essere sistemata è meglio non perdere tempo.
Lei si ricompone immediatamente, scende dalla scrivania, prende uno sgabello, e si mette di fianco a me, vicinissima.
Oh, santo cielo… Dice di non essersi fatta una doccia e di avere i capelli sporchi, ma io continuo a sentire il solito, delizioso profumo di prati verdi e fioriti.
Acqua, PH e Molecole Biologiche di Isabella Swan,” leggo ad alta voce. E poi taccio.
Avere Bella così vicino mi crea seri problemi, non riesco a concentrarmi. Fisso lo schermo e tutto quello a cui riesco a pensare è che Isabella Swan, bellissima e popolare cheerleader, sogno erotico di tutta la popolazione maschile della Forks High School, si trova nella mia camera da letto, a pochi centimetri da me. Sento i suoi occhi addosso, sento il suo profumo ed il suo respiro caldo. E mi manca l’aria.
Bella, insospettita dal mio silenzio, si rende immediatamente conto che qualcosa non va.
“Edward?”
“Scu-scusa…” balbetto. “Ma così non ci riesco!” ammetto scattando in piedi ed allontanandomi goffamente da lei.
“Cosa?!”
“Ho bisogno di concentrazione… e se tu mi fissi… mentre leggo… io…”
Arrossisco e distolgo lo sguardo, imbarazzato come mai prima d’ora. Comincio a grattarmi la nuca, consapevole di aver appena confessato a Bella l’effetto che lei ha su di me.
Dannazione! Dov’è finito l’Edward temerario di pochi secondi fa? È stato un miraggio. Non poteva che essere un miraggio.
“Oh, scusa…” borbotta mortificata alzandosi a sua volta.
“No… sono io, è colpa mia…”
Non voglio che Bella si senta a disagio. Ne basta uno a sentirsi così.
“Senti, perché non ti siedi sul mio letto? Prendi…” le propongo afferrando alcuni fumetti a caso. “Leggi questi, nel frattempo.”
È un’idea del cavolo. Ma non riesco a pensare a nient’altro.
“Ok.. va bene…”
Bella prende in consegna i miei fumetti e si siede sul letto, mentre io torno alla scrivania.
I primi cinque minuti sono pensantissimi e carichi di tensione. Con un occhio leggo la relazione sullo schermo del computer, e con l’altro sbircio Bella seduta sul mio letto, concentrata sui miei fumetti. Poi i minuti diventano dieci, poi quindici, poi trenta…
Non mi sono dimenticato di Bella, ovviamente, ma il suo lavoro mi assorbe totalmente. Sistemo qualcosa qua e là, ma tutto sommato, considerando che ha iniziato la relazione  solo ieri sera, il risultato è più che buono.
Dopo un’ora spengo il computer, fiero di quello che è riuscita a fare in così poco tempo, ansioso di dirle che è stata bravissima.
Mi volto con un sorriso enorme stampato in faccia, ma con immenso stupore trovo Bella raggomitolata nel mio letto, addormentata in un sonno profondo.
La cosa mi prende totalmente alla sprovvista, e per un minuto buono resto ad osservarla da lontano, incredulo, con il mal di pancia che sale, il respiro che viene meno, ed il cuore che pompa con una forza tale da farmi credere possa esplodere da un momento all’altro.
Alla fine decido di muovermi. Lo spettacolo che mi trovo davanti è così meraviglioso che sento il disperato bisogno di poterlo osservare da vicino. Non so quando mi capiterà di nuovo un’occasione simile, probabilmente mai più, e non posso sprecare una cosa tanto preziosa.
Così mi alzo e mi avvicino a piccoli passi, cercando di non fare alcun rumore.
Bella è sdraiata su di un fianco, in posizione fetale. Tiene le ginocchia strette al petto, ed un pollice infilato in bocca, come una bambina, i miei fumetti sparsi attorno a lei.
È così bella che mi viene da piangere.
Resto lì a contemplarla per un po’, ipnotizzato dal suo semplice respiro. Poi, con estrema cautela,  mi siedo a terra.
Sono vicinissimo al suo viso, pochi centimetri ci separano, e tutto ciò che vorrei sarebbe darle un bacio. Non ho mai desiderato nulla così intensamente in tutta la mia vita. Mai.
Ma non posso. Non posso approfittarmi di Bella mentre dorme. E poi, se lo facessi, la sveglierei. Cosa penserebbe se, riaprendo gli occhi, si trovasse un viscido nerd spalmato sulla faccia? Non oso pensare all’orrore e all’imbarazzo di una situazione simile.
Tuttavia l’attrazione che provo nei confronti di questa ragazza è talmente forte che non posso fare a meno di sollevare una mano e scostarle una ciocca di capelli dal viso.
Lo faccio lentamente, assaporando ogni secondo, scolpendo nella memoria i contorni del suo volto e la sensazione indescrivibile che mi provoca sfiorarle la pelle e sentire i suoi morbidi capelli scivolarmi tra le dita.
Lo so che è da sfigati, ma senza dubbio questo è il momento più erotico della mia intera esistenza.
“Edward…”
Bella si muove impercettibilmente, ma senza riaprire gli occhi, e con un filo di voce pronuncia il mio nome.
Terrorizzato ritraggo la mano, e mi allontano un poco, sperando che non si sia resa conto di ciò che ho appena fatto.
Ma Bella non si è svegliata. Bella sta ancora dormendo. Ha pronunciato il mio nome nel sonno.
Non è possibile, non ci credo. Bella sta sognando di me!
Mi avvicino nuovamente e sollevo un’altra volta la mano, pronto a rivivere il momento più erotico della mia esistenza e…
“Edward!”
Questa volta non è la voce di Bella a farmi sobbalzare. È una voce maschile. Una voce profonda e decisa che conosco bene. La voce di mio padre.
Mi volto e schizzo  in piedi. “Papà!”
Lui mi guarda con gli occhi e la bocca spalancati. Fermo sulla porta, il suo sguardo passa da me a Bella, addormentata nel mio letto, a me ancora. È come se stesse cercando di risolvere una complicata equazione.
Quasi inciampando nei miei stessi piedi, lo raggiungo e lo spingo nel corridoio, richiudendo la porta dietro di me.
“Papà… non è come sembra…” mi giustifico senza sapere neppure io cosa sembra. È vero, Bella è nel mio letto. Ma è completamente vestita. E pure io lo sono.
“È Isabella Swan, quella ragazza?” chiede senza abbandonare l’espressione stupita e confusa.
“La conosci?” chiedo di rimando, probabilmente ancora più stupito e confuso di lui.
“Certamente,” annuisce. “Viene spessissimo alla serra.”
“Cosa?!”
Non ci credo. Mio padre ha conosciuto personalmente Bella, e molto prima del sottoscritto!
“È una cara ragazza, molto interessata alla botanica,” continua. “Mi ha chiesto dell’università di Chicago... Che ci fa nel tuo letto, Edward?”
Io ignoro la domanda, scioccato dal fatto che mio padre frequenta Bella quasi regolarmente. “Tu… tu parli con Bella?!”
“Certo, di molte cose. Non mi aveva detto che siete…” Fa una pausa e cerca la parola successiva con attenzione. “… intimi.”
Cosa?! Intimi’?! Oh, santo cielo, non starà mica insinuando…
“Papà! Io e Bella non siamo intimi!”
Pongo l’accento sulla parola ‘intimi’ e lo faccio come se la sola idea mi facesse schifo. In realtà la cosa non mi farebbe schifo per niente. Tutt’altro. Mi piacerebbe da morire. Ma guardiamo in faccia la realtà: io sono Edward Cullen! Quante possibilità ho con Bella? Meno di zero.
“Non c’è nulla di male, Edward.” Mio padre mi dà una pacca sulla spalla e mi strizza l’occhio con fare cameratesco. “Cercate solo di essere prudenti.”
“Pru-prudenti?!”
Non ci credo. Non è possibile. Crede che tra me e Bella… che noi siamo… che noi abbiamo… Oh, santo cielo… sto per svenire.
“Preferisco sapervi al sicuro, sotto questo tetto, piuttosto che in un auto, da qualche parte, in mezzo al bosco, alla mercé di guardoni o animali selvatici…”
Guardoni?! Animali selvatici?! Mio padre è impazzito. Conosco Bella da due giorni e lui, solo perché l’ha sorpresa nel mio letto, mentre l’accarezzavo e respiravo il suo profumo…
“Edward?”
Bella fa capolino da oltre la porta chiusa, facendomi sobbalzare.
A quanto pare negli ultimi cinque minuti non ho fatto altro: sobbalzare.
Bella è ancora mezza addormentata e mentre si avvicina si stropiccia gli occhi. “Scusa, ma il tuo letto è un vero paradiso. Sono crollata mentre…” Poi mette a fuoco mio padre. “Professor Cullen!”
“Buonasera Isabella. Ben svegliata.” Mio padre le sorride con aria benevola e lei diventa rossa come un peperone.
“Buonasera professor Cullen! Mi sono… mi sono addormentata mentre… mentre Edward correggeva la mia relazione di biologia…”
Bella sembra imbarazzata e, mentre si giustifica, si stringe nella vecchia felpa che indossa.
Mio padre continua a sorriderle, poi si gira volta nella mia direzione. “Quindi stavi correggendo la relazione di Bella…” dice inarcando un sopracciglio.
Quanto è perfido! So esattamente a cosa sta pensando. Pensa che mi ha sorpreso mentre, con lo sguardo da pesce lesso, contemplavo Bella addormentata nel mio letto e le scostavo i capelli dal viso. Altro che correggere i suoi compiti!
“Sì… sì…” balbetto sentendo le guance avvampare. “Hai fatto un buon lavoro, Bella. Non ho… non ho dovuto fare nessuna correzione di rilievo.”
“Dici sul serio?” Bella è incredula, ma raggiante. “Oh, Dio ti ringrazio… ero così preoccupata… Sicuro che la relazione non faccia schifo?”
“Bella, ne sono sicuro. Sei stata bravissima. Se non fosse così te lo direi.”
Mio padre ci interrompe. “Ragazzi,” dice. “Ero salito per informare Edward che la cena è quasi pronta e che tra mezz’ora ci sediamo a tavola.”
“Ok, papà. Scendo subito.”
“Bella, ti unisci a noi?”
Cosa?! Mio padre sta invitando Bella a cena?! Ma cosa gli è preso?
Santo cielo… speriamo che accetti!
Incrocio le dita e resto in attesa.
Bella cerca i miei occhi e la mia approvazione. “Non lo so… non vorrei disturbare…”
“No! Nessun disturbo!” mi affretto a dire, probabilmente con troppa foga.
“Beh, allora sì. Sì, mi farebbe molto piacere. Devo solo avvisare i miei.”
“Perfetto, allora dico a mia moglie che abbiamo un ospite. A tra poco, ragazzi.”
E così dicendo mio padre se ne va e ci lascia nuovamente soli.
“Non sapevo che conoscessi mio padre,” osservo mentre ritorniamo in camera mia.
Bella alza le spalle e si siede sul letto. “Non sai un sacco di cose…” borbotta.
“Perché non me lo hai mai detto?” le chiedo.
Lei mi guarda sbattendo le palpebre, come se le avessi appena fatto una domanda stupidissima. “Edward, è da almeno cinque settimane che cerco di parlarti. Mi hai sempre ignorata.”
“Co-Cosa?!”
Sono esterrefatto. Talmente stupito da non riuscire neppure a processare il senso delle parole che Bella sta pronunciando.
“Sapevo che eri il figlio del Professor Cullen. Credevo ti avrebbe fatto piacere conoscere qualcuno, visto che in città eri nuovo e non avevi amici. Ma ogni volta che provavo ad avvicinarmi a te, o a parlarti, tu cambiavi direzione. E poi ho iniziato a vederti in compagnia di James e di quegli altri due imbecilli…”
“Loro… loro non sono miei amici…”
“Certo che no… sono delle teste di cazzo!” commenta facendo una smorfia.
Non riesco a crederci. Avrei potuto conoscere Bella cinque settimane fa. Ho buttato ben cinque settimane! Trentacinque giorni! E tutto per colpa della mia dannatissima timidezza. Se me ne andassi in giro con lo sguardo alto e fiero, e non camminando rasente i muri cercando sempre di nascondermi, mi accorgerei delle belle ragazze che tentano di avvicinarsi e di rivolgermi la parola! Sono un idiota. Un idiota!
“Chiamo i miei genitori. Li avviso che mi fermo per cena.”
Annuisco e poi l’osservo mentre estrae il cellulare dalla tasca della felpa e telefona alla sua famiglia. Felice come mai lo sono stato prima d’ora.
 
Mezz’ora più tardi siamo in cucina, seduti a tavola, in compagnia dei miei genitori. A quanto pare Bella non conosce solo mio padre, conosce anche mia madre. Parla, ride, scherza. È totalmente a proprio agio, ed io mi chiedo come faccia, quale sia il suo segreto. Dovessi trovarmi io a cena con i Signori Swan, probabilmente passerei il mio tempo ad annuire e a balbettare parole senza senso.
Una volta finito di mangiare, Bella mi aiuta a sparecchiare e a lavare i piatti – compito che generalmente divido con mio padre -  e poi, con mia immensa gioia, accetta la proposta di mia madre di unirsi a noi per una delle nostre consuete partite di scarabeo. Io ed i miei genitori ci giochiamo spessissimo, quasi ogni sera.
Temo che questo passatempo da ‘famiglia impegnata’ la possa annoiare a morte, ma non è così. Bella è una giocatrice discreta, forse solo un po’ troppo competitiva. Quando sbaglia mette il broncio, ma quando fa dei punti gioisce come una bambina. In un paio di occasioni compone delle parole che chiaramente non esistono, ma è talmente convinta e fiera che né io né i miei genitori abbiamo il coraggio di dirle che quei termini non hanno un senso, e di certo non fanno parte del nostro vocabolario.
Alle dieci dichiara che si è fatto tardi e che ha bisogno di riposare. Ringrazia i miei genitori per l’ospitalità, l’ottima cena e la partita di scarabeo, e poi lascia che l’accompagni  alla propria macchina, parcheggiata da oggi pomeriggio in fondo al vialetto di ghiaia, sul ciglio della strada.
Ormai ha smesso di piovere e nel cielo si vede anche qualche stella.
“Grazie, Edward.”
“E di che?” minimizzo cercando di fare il modesto. Poi le apro la portiera con un gesto cavalleresco ed aggiungo: “Grazie a te per la bella serata.”
Bella mi sorride e si avvicina. Ancora di più.
“Ci vediamo domani a scuola?”
“Certo.”
Bella continua a fissarmi con i suoi enormi occhi scuri da cerbiatto, le labbra leggermente dischiuse. Ed io penso che potrei morire. Ora.
“Sei il migliore,” mi sussurra in un orecchio. Poi mi dà un bacio sulla guancia. Sale in macchina, chiude la portiera e mette in moto.
Io resto lì, paralizzato, e la guardo scomparire nella notte, mentre il cielo si riempie di stelle.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***




Capitolo 5
 
Sono passate più di tre settimane da quando ho conosciuto Bella. Da quando è venuta a casa mia per la prima volta, ha dormito nel mio letto e poi mi ha dato quel bacio sulla guancia.
Non si è più esposta in quel modo. Non mi ha più dato alcun bacio, e neppure Alice ha più fatto battute su di noi. Ma va bene così, non mi aspettavo altro. Ho sempre saputo di non avere alcuna speranza con lei. Bella è la ragazza più popolare e corteggiata della scuola. Io chi sono?
Tutte le mattine ci incontriamo al cancello di ingresso della Forks High School e passiamo insieme l’intera giornata. Andiamo a lezione insieme, pranziamo insieme, torniamo a casa insieme. Qualche volta Bella si ferma da me a studiare e se finiamo presto guardiamo un film in DVD. Sembra stranamente interessata alle pellicole di fantascienza che tanto mi piacciono ed ha persino preso in prestito alcuni titoli. Non sono ancora riuscito a capire se l’argomento l’affascina veramente o se vuole solo farmi piacere. Qualunque sia la ragione mi sento estremamente lusingato perché è come se cercasse di capire meglio il mio mondo. Nessuno prima d’ora l’aveva fatto.
Quando Bella ha scoperto che suono il pianoforte è andata fuori di testa. Ora, ogni volta che si ferma a casa mia, prima di iniziare a studiare, mi obbliga a suonarle qualcosa. Ho trovato il coraggio di confessarle il mio sogno segreto, una cosa stupida e probabilmente irrealizzabile che nessuno sa, neppure i miei genitori: lasciare gli studi una volta terminato il liceo e lavorare a tempo pieno in un pianobar per un anno prima di iscrivermi all’università. Eppure non sono ancora  riuscito a dirle che ho composto una ninna nanna per lei, anche se mi piacerebbe tanto.
Dopo averla vista addormentata, quel pomeriggio, a casa mia, dopo averle sfiorato la pelle ed accarezzato i capelli,  respirato il suo profumo e contemplato il suo volto, la melodia si è arricchita di nuove note che descrivono più di qualunque parola ciò che provo quando le sto accanto.  Ed è proprio questa la ragione per cui non trovo il coraggio di fargliela sentire. Significherebbe mettermi a nudo ed ammettere che mi sono follemente innamorato di lei. È  una cosa che non posso fare, rischierei di perderla. Sono sicuro che Bella non ha alcuna voglia di aggiungere un altro insulso ed inutile corteggiatore  alla  già lunga lista di spasimanti  senza speranza che l’assillano. Esserle amico è il massimo a cui posso aspirare e la considero una benedizione.
Anche  se alcune volte fa male starle così vicino pur sapendo che non sarà mai mia, che per lei sono solo un amico - o  magari peggio,  un ragazzo debole da difendere dai prepotenti, di certo non un uomo da avere accanto - preferisco soffocare questo dolore e continuare a fingere che quello che ho mi basta. Deve essere sufficiente. Di cosa dovrei lamentarmi, dopo tutto? Prima che Bella entrasse a far parte della mia vita non avevo nulla, ero solo. Ora  ho degli amici.
A parte Alice, che è identica a Bella e riuscirebbe a fare amicizia anche con i sassi, mi trovo benissimo con Jasper. Abbiamo molte cose in comune ed abbiamo legato parecchio. Esattamente come il sottoscritto Jasper è un tipo schivo e taciturno, ma non per timidezza. In realtà ha molto carisma ed è estremamente sicuro di sé. Semplicemente preferisce parlare quando ce n’è veramente bisogno. Ha degli ottimi voti e discutere con lui di letteratura è un vero piacere. Ha la mente aperta e non ragiona per cliché. Oltre a Bella, lui è l’unico con cui riesco ad aprirmi veramente, l’unico che sento ‘simile’. Certe volte penso che Jasper Hale sia la versione fica di Edward Cullen, o viceversa, che Edward Cullen sia la versione sfigata di Jasper Hale. Lui dice che mi faccio troppi problemi,  che dovrei imparare ad apprezzarmi per quello che sono, e vedere le cose belle e non le cose brutte di me. Immagino abbia ragione, ma è più semplice a dirsi che a farsi.
Emmett è il classico ragazzone grande e grosso e dall’aria in apparenza minacciosa, ma che non farebbe mai del male a nessuno, neppure ad una mosca. Lo si capisce dagli occhi limpidi, l’espressione placida, e l’enorme sorriso perennemente stampato sulla faccia. Non è una cima ed i suoi voti non vanno mai oltre la sufficienza. Pensa solo al basket, alla pesca d’altura e alla sua Rosalie.  Ultimamente si è messo in testa di insegnarmi  a giocare a pallacanestro. Per ora siamo fermi alla teoria e sono riuscito ad evitare di scendere in campo. Ma sinceramente, considerando la mia goffaggine e la disastrosa esperienza nella squadra di atletica il primo anno di liceo, non ho alcuna intenzione di mettermi a praticare altri sport che contemplino la corsa e neppure stringere una palla. Per ora non gli ho detto nulla. Non voglio offenderlo, inoltre apprezzo il suo entusiasmo ed il tentativo di coinvolgermi in quello che tutto il gruppo ama. Se non altro conoscere le regole base di questo sport mi sarà utile per capire ciò che succede durante le partite a cui ormai assisto ogni sabato.
Rosalie è la classica cheerleader: bellissima, biondissima, popolarissima e shopping-dipendente. Malgrado non abbia mai fatto nulla per mettermi a disagio, mi ispira una sorta di timore reverenziale.  Non so esattamente perché. Forse per la sua innata eleganza ed i suoi modi naturalmente alteri. Non abbiamo assolutamente nulla in comune, ma si è sempre sforzata di farmi sentire parte integrante del gruppo, e di questo devo renderle merito.
Ad esempio, una mattina, mentre aspettavo Bella, James ha tentato di avvicinarsi. Non si è ancora arreso del tutto al fatto che ormai non sono più il suo giocattolino, e continua a cercare il modo di vendicarsi. L’ho visto arrivare da lontano, con l’aria minacciosa. In quel momento ho pensato che l’idillio stava per finire, che sarei morto da lì a poco, ma che ero riconoscente per tutto quello che avevo vissuto, seppure per un tempo brevissimo.  Poi James si è bloccato a metà strada. Per una frazione di secondo ha assunto un’aria stupita e confusa. Si è subito ripreso, mi ha incenerito con lo sguardo e se n’è andato. Sapevo che non aveva cambiato strada a causa mia. Ero deciso ad affrontare la morte con dignità, ma il mio atteggiamento sicuro non poteva averlo spaventato a tal punto. Mi sono voltato e Rose era lì, con l’aria più annoiata che mai.
“Cullen, possibile che tu sia in grado di attirare i teppisti come il miele le api?” mi ha chiesto sbuffando. E poi mi ha trascinato via in malo modo prendendomi per un braccio.
Dieci minuti dopo Bella ed Emmett ci hanno trovato seduti su una delle panchine del cortile a discutere di quello che secondo Rose dovrebbe essere il mio nuovo look.
In realtà l’unica a parlare era lei. Io ascoltavo e basta. Perplesso. Incredibile ma vero, per Rose non sono male, semplicemente non mi so valorizzare. Secondo me s’è presa una pallonata in testa durante uno degli ultimi allenamenti della squadra. Un nuovo taglio di capelli e qualche abito alla moda non possono trasformarmi in ciò che non sono. E poi lei vorrebbe che rinunciassi ai miei occhiali ed iniziassi a portare le lenti a contatto. Pura follia.
L’unico che non sono ancora riuscito ad inquadrare bene è Jake. Dire che ha un atteggiamento ostile è esagerato, ma i suoi modi sono sempre alquanto formali, se non addirittura glaciali. Certe volte ho l’impressione che sia geloso, anche se mi pare ridicolo. È vero, prima che arrivassi lui aveva un rapporto privilegiato con Bella, mentre ora lei passa quasi tutto il suo tempo libero con me. Ma Jake continua ad essere il suo migliore amico. So che lei con lui si confida e gli racconta cose che a me non dice. Più di una volta li ho osservati da lontano parlare fitto fitto. Nelle rare occasioni in cui mi sono avvicinato, credendo di non disturbare, si sono interrotti bruscamente facendomi capire che ero di troppo. Ora sto attento a non intromettermi e a lasciar loro gli spazi di cui hanno bisogno. In fondo Jake la conosce da sempre, lui e Bella sono come fratello e sorella, non ho il diritto di mettermi in mezzo e rovinare il loro rapporto. Non è giusto e probabilmente anch’io, al posto di Jake, mi sentirei spiazzato ed un po’ tradito se qualcuno sbucasse dal nulla a portarmi via ciò che ho.
 
“Fiesta Amigos!” Alice, frizzante come al solito, fa cadere in mezzo al tavolo una pila di volantini di vari colori, ma tutti nelle tonalità del rosso o del rosa, e tutti decorati con tanti cuoricini neri.
Bella posa la forchetta ed afferra uno dei fogli. “Be My Valentine Party…” legge con la bocca ancora piena della torta di mele che ho avanzato e che le ho ceduto.
Be My Valentine Party?!” Jake molla nel piatto il sandwich che sta mangiando e le strappa di mano il volantino. “Che cazzata… siamo a marzo inoltrato!”
Alice, che adora le feste, soprattutto quelle a tema, gli lancia un’occhiataccia. “Jake, sei romantico quanto una capra!”
Ma lui non demorde. “Alice, questo liceo organizza feste tutti i mesi. C’è già stato un party per San Valentino. Vogliamo organizzarne un altro?”
“Andiamo Jake…” Rose, seduta in braccio ad Emmett, cerca di mediare. “A Forks non c’è nulla, neppure un cinema, e per trovare un locale decente bisogna andare fino a Port Angeles. Che male c’è se il comitato studentesco organizza una festa di tanto in tanto?”
Jake non sembra convinto, ma Alice non si lascia abbattere e con entusiasmo ci spiega che tra due sabati, nella palestra della scuola, ci sarà una “meravigliosa festa dedicata agli innamorati”. Sarà un evento diverso dal solito, formale e di classe. Tema: l’Hollywood degli anni cinquanta.
Rose è al settimo cielo perché questa festa le darà un’ottima scusa per fare shopping. Emmett è felice per il solo fatto che Rose è felice. Jasper non sembra particolarmente interessato, ma cerca di non darlo a vedere, e, conoscendolo e sapendo quanto ama Alice, sono certo farà di tutto per accontentarla e magari anche aiutarla nell’organizzazione, visto che la sua ragazza è un membro attivo del comitato. Jake continua a borbottare per difendere l’immagine di uomo rude e tutto d’un pezzo che si è creato in questi anni, ma poi abbandona il nostro tavolo per fare una telefonata e tutti capiamo che sta chiamando Leah per avvisarla e per dirle di tenersi libera.
Bella è stranamente pensierosa. Dopo aver letto il volantino non ha più detto una parola e si è limitata  ad ascoltare  i discorsi di Alice e Rose senza mai partecipare. Non ha neppure finito la torta di mele che le piace tanto.
Non so cosa le è preso. O forse sì. Dopo un breve confronto monopolizzato da Alice, l’unanime decisione è stata quella di andare alla festa tutti insieme, come gruppo. Probabilmente Bella si è resa conto che in questo modo non potrà accettare l’invito di nessuno, e che per tutta la sera si troverà tra i piedi il sottoscritto, visto che siamo gli unici non accoppiati.
Non so se a Bella interessa qualcuno, al momento. Fortunatamente di queste cose parla con Jake, non con me. Ma sono sicuro che riceverà molti inviti e non voglio che lei  rinunci ad andare alla festa con un ragazzo che le piace solo per farmi da balia.
Per darle la possibilità a Bella di essere libera, ho cercato di tirami indietro dicendo che non amo molto le feste – cosa peraltro vera – e che lei e gli altri si possono organizzare come meglio credono. Ma Alice non ha voluto sentire ragioni. “Siamo una squadra ed agiamo da squadra,” mi ha risposto.
Le sono grato, ma l’idea di essere un peso per qualcuno mi uccide. Soprattutto se quel qualcuno è Bella, la ragazza di cui sono segretamente innamorato da settimane.
Alla fine della giornata, quando ormai la notizia della festa si è diffusa tra tutti gli studenti grazie alla massiccia opera di volantinaggio messa in atto dal comitato studentesco, Bella ha già ricevuto una decina di inviti. Bigliettini con i messaggi più disparati: alcuni romantici, altri goffi o sgrammaticati, altri decisamente osceni; tutti astutamente infilati nel suo armadietto da ammiratori più o meno segreti.
Mi chiedo se tra quei nomi ce ne sia almeno uno che le interessa. Non ho nessun diritto su Bella, e non posso di certo impedirle di uscire con un ragazzo che le piace. Ma solo il pensarla con qualcuno, abbracciata a qualcuno, magari ballare o  addirittura baciare qualcuno,  mi getta nello sconforto più totale. Chissà perché non ci avevo mai pensato prima. Ero talmente concentrato a  godermi il momento, che non ho riflettuto sul fatto che ciò che sto vivendo, in realtà, si regge su un equilibrio fragile e precario,  pronto a spezzarsi da un momento all’altro.
Bella è meravigliosa. Una ragazza come lei non è fatta per stare da sola e sono certo che troverà un fidanzato prestissimo, magari proprio a quella festa. Jake manterrà il posto di migliore amico, perché la conosce da sempre e se lo merita, ne ha diritto. Io verrò giustamente dimenticato e messo da parte. Dopo tutto la conosco da sole tre settimane. Cos’altro dovrei aspettarmi?
 
Mentre nel pomeriggio mi riaccompagna a casa in macchina, Bella chiacchiera con leggerezza del più e del meno, come al solito. Sembra essersi ripresa ed aver riacquistato il consueto buon umore. Si comporta come se all’ora di pranzo non fosse accaduto nulla, come se nulla l’avesse turbata, e mi chiedo se non sia stato io ad immaginare tutto, a vedere nei suoi occhi un velo di inquietudine che in realtà non c’era.
Ma ormai il meccanismo si è innescato. Ho iniziato a rimuginare, a farmi delle domande scomode, ed ora quello che è in crisi sono io. Mi sento intrappolato in una spirale di pessimismo cosmico e non so come uscirne. L’unica cosa a cui riesco a pensare è che per Bella sono un peso, che sono lo sfigato, il ragazzo debole da proteggere perché, poveretto, nessuno lo prende in considerazione ed è crudele lasciarlo in pasto a James e alla sua cricca.
Sono solo un’opera pia. Un disperato caso umano.
Alla fine prendo coraggio e mi decido a parlare. Dovrebbe essere come togliersi un cerotto. È meglio farlo presto e con uno strappo deciso o si rischia di soffrire inutilmente.
“Bella?”
“Dimmi.”
“Perché…” Tiro un lungo sospiro e con un filo di voce finalmente glielo chiedo, le faccio la domanda che mi ronza in testa da giorni e che mi sono ostinatamente e stupidamente costretto ad ignorare. “Ecco… perché ti dai tanto da fare per me?”
Bella sembra presa in contropiede. “Che vuoi dire?”
“Beh… mi riaccompagni a casa ogni giorno, mi hai presentato i tuoi amici, mi tieni compagnia, hai fatto in modo che James, Victoria e Laurent non mi dessero più fastidio… Perché?”
Ecco. L’ho detto. Non mi pare vero. Per la prima volta ho dato voce ai miei pensieri senza esitare, con onestà.
Gli occhi di Bella non abbandonano la strada, ma dal tono di voce è evidente  che non si aspettava una confessione simile. “Non ti fa piacere?” chiede.
“Sì… sì certo che mi fa piacere, non fraintendermi…” le spiego. “Solo… solo non capisco... tu… tu sei la ragazza più popolare della scuola… io… io non sono nessuno…”
Istintivamente Bella si volta nella mia direzione. Mi fissa per un attimo, esterrefatta. Poi torna a concentrarsi sulla strada.
“Tu non sei nessuno…” ripete a distanza di qualche secondo, come se non fosse sicura di aver capito bene.
Io mi stringo nelle spalle e poi chino la testa, affranto, consapevole che è l’inizio della fine.
Conosciamo entrambi la verità. Proveniamo da mondi diversi. Lei fa parte di una categoria superiore. Occuparsi di me è un’inutile perdita di tempo, non ne vale la pena. Deve solo rendersene conto.
Bella non dice nulla per un po’.  Stringe saldamente  il volante e guarda diritto di fronte a sé.
Io l’osservo con la coda dell’occhio, in attesa, con il cuore che mi batte forte ed il mal di pancia che diventa più intenso con lo scorrere dei minuti.
Una parte di me – il sognatore – vorrebbe non aver detto nulla e continuare a godersi l’illusione che tutto è possibile, anche per un ragazzo insignificante come me. L’altra parte – l’Edward razionale – si rende conto che gettare la maschera e tornare alla realtà era un passo inevitabile.
Vorrei che Bella dicesse qualcosa, perché attendere la fine è lacerante e, se proprio deve accadere, è meglio che finisca subito. Ma lei continua a non parlare.
Quando il silenzio diventa insopportabile, cerco di attirare la sua attenzione.
“Bella…” azzardo timido.
Lei si anima improvvisamente. “Maledizione, Edward!”
Scuote la testa, chiaramente seccata. Sterza bruscamente, inchioda lungo il ciglio della strada, tira il freno a mano, e poi comincia a fissarmi. È come se stesse cercando di leggermi dentro ed io vorrei sprofondare. Gli spessi occhiali da miope ed i capelli spettinati calati sulla fronte non servono a nulla. Di fronte a lei sono nudo.
“Tu non sei nessuno,” ripete un’altra volta, in tono risentito, come se avessi insultato lei e non me stesso.
Sembra arrabbiata e non ne capisco la ragione. Poi sbotta.
“Edward, tu sei un ragazzo dolce, sensibile ed educato, niente a che vedere con i bifolchi che vivono in questa cittadina. Possiedi un’intelligenza superiore, sei il primo della classe in quasi tutte le materie e sono fermamente convinta che tu ne sappia di storia  molto più del Signor Cooper.  Ami leggere, i classici soprattutto, anche se non disdegni alcuni autori contemporanei. Ami l’Indie-rock, ma anche la musica classica, i fumetti ed i film di fantascienza.  Non mangi carne, perché non sopporti l’idea che un animale venga ucciso per sfamarti, ed il tuo piatto preferito è la pasta con le zucchine. Detesti le bevande gassate, perché ti solleticano il naso, e bevi litri di latte. Sei un pianista di talento ed il tuo sogno segreto è lavorare in un piano bar per un anno prima di andare all’università. Quando sei nervoso – spessissimo – diventi rosso e cominci a grattarti la nuca. Ma quando sorridi i tuoi occhi brillano e la stanza in cui sei s’illumina. Tu sei Edward. Non ti basta?”
Fisso Bella incredulo, con gli occhi sgranati, senza capire.
Pensavo che messa di fronte all’evidenza, lei si sarebbe finalmente decisa a guardare in faccia la realtà e a scaricarmi. Invece no. Bella ha detto di me cose bellissime, cose che mai avrei pensato di sentirle dire.
Bella non aspetta la mia reazione. Dopo aver parlato rimette in moto e ricomincia a guidare in silenzio, senza abbandonare l’espressione risentita.
Vorrei dirle qualcosa, ma non so da che parte iniziare. Malgrado le sue parole mi riempiano di gioia, non riesco a conciliarle con il tono spazientito della sua voce. Perché ce l’ha con me?
 
Siamo parcheggiati di fronte al vialetto di ghiaia che porta a casa mia da qualche minuto, ormai. Seduti in silenzio, abbiamo fissato il bosco oltre il parabrezza per tutto il tempo.
Nessuno dei due vuole andarsene, è evidente, ma è altrettanto evidente che nessuno dei due trova il coraggio o la voglia di iniziare a parlare.
“Mi dispiace,” le dico dopo un po’,  per rompere il ghiaccio. So di averla urtata, anche se non ho capito esattamente in quale modo. Ho dato della nullità a me stesso, di certo non a lei.
“Perché?” La voce di Bella è più morbida, ora. Non sembra più seccata, e questo è un gran sollievo.
“Per averti fatto arrabbiare…” le spiego continuando ad osservarla con la coda dell’occhio.
Dio, quanto vorrei abbandonare quest’aria da pecorella smarrita e terrorizzata. Sono questi i momenti in cui invidio la sicurezza ed il carisma di Jazz. Non so cosa darei per essere come lui.
Bella tira un lungo sospiro e finalmente mi regala un sorriso, seppur timido e stanco.
“Tu credi che io sia arrabbiata con te?” mi chiede.
“Hai alzato la voce…” mormoro stringendomi nelle spalle.
“Edward, non sono arrabbiata con te e non è per me che ti devi dispiacere, ma per te stesso.”
Per me stesso? Che significa? Non capisco.
Bella nota la mia espressione smarrita e mi regala un altro sorriso.
“Devi smetterla di pensare che non sei nessuno, Edward. Non credo di capire fino in fondo ciò che provi, o perché lo provi. Sono fortunata, sono sempre stata una persona forte e solare. Ma so cosa vuol dire essere giudicati. Quando sei bella le persone ti vedono in modo diverso, non per quello che sei ma per quello che rappresenti. I ragazzi dicono di amarti e ti mandano lettere e cioccolatini senza neppure conoscerti, senza sapere chi sei veramente. A loro importa solo conquistarti ed esibirti come un trofeo. Le ragazze, invece, ti disprezzano a priori. Perché? E chi lo ha mai capito!  Invidia? Gelosia? Se sei bella sei stronza e te la tiri e devi essere emarginata. Ti sembro una che se la tira? Per non parlare dei professori. Generalmente per loro bello è uguale a stupido e  fatichi il doppio per dimostrare che non è così. I preconcetti, Edward, sono una brutta cosa. Tu non devi lasciarti imbrigliare. Io non l’ho fatto, mi sono sempre rifiutata di farlo. È stupido e ti fa dimenticare l’essenziale. Devi essere te stesso, Edward. Devi essere ciò che vuoi essere. Ti piace leggere da solo in biblioteca? Fallo! Non te ne frega niente di indossare abiti alla moda? Perfetto! Vuoi cambiare look? Buon per te! Ma solo se è una cosa che desideri davvero, e non perché te lo dice Rose!”
Ascolto Bella in silenzio, senza guardarla in faccia, ostinatamente concentrato su una piccola macchia che segna il cruscotto.
Le sue parole mi colpiscono come un pugno allo stomaco. No, come una cannonata.  Credevo che appartenessimo a due mondi diversi, credevo che per lei fosse sempre stato tutto facile, ma non è così. È vero, è forte e piena di vita e non ha mai accettato di lasciarsi piegare, ma  sa  perfettamente cosa significa essere costretta a rivestire un ruolo, o sentirsi in trappola. Io e Bella siamo completamente diversi, eppure totalmente simili, due facce della stessa medaglia.
Mi sento così in colpa. Dice che sono un ragazzo dolce e sensibile, eppure non ho saputo vedere oltre il mio stesso naso ed ho fatto quello che hanno sempre fatto tutti: l’ho giudicata dall’aspetto. Mi sono convinto di amarla senza conoscerla, annientato dalla sua eterea bellezza. Solo dopo averla incontrata mi sono reso conto che ciò che provavo per lei non era nulla, non valeva nulla. Ma ora io la amo, la amo sul serio. Nessuno mi ha mai dato tanto, nessuno mi ha mai fatto sentire così. Lei è indispensabile. È come un braccio o una gamba. È come l’aria.
Non so essere sincero, non so dirle che mi sono innamorato di lei. Ma voglio che Bella sappia che non sono come tutti gli altri. Che per me lei non è solo una bella ragazza. Che lei è importante. Che le sono riconoscente per quello che sta facendo per me, per ciò che lei riesce a vedere in me.
“Io non… io non potrei… io non ti  esibirei come un trofeo, Bella,” balbetto cercando il suo sguardo.
Lei alza gli occhi, disorientata. Forse non si aspettava un’ammissione simile. Ho raccolto tutto il mio coraggio per dirle ciò che le ho appena detto. E credo che lei lo sappia.  Ormai è chiaro. Di fronte a Bella sono nudo. Sempre.
“Io ti vedo, Edward. Tu non lo capisci, ma io ti vedo.” La voce di Bella è calda e piena di dolcezza. È come se stesse cercando di coccolarmi con le parole ed io vorrei quasi mettermi a piangere. “So perché ogni giorno mi chiedi di scambiarci gli appunti. Non vuoi confrontarli per essere sicuro di aver capito tutto, come dici tu.  Semplicemente vuoi che io abbia i tuoi, perché sono più chiari e ordinati e sai che mi saranno utili. So anche perché prendi sempre la torta di mele in mensa e poi me la lasci,  fingendo di non avere più appetito. Sai che mi piace, che è la mia torta preferita, e che una fetta per me non è mai abbastanza. So cosa pensi quando i tifosi dei Forks Bears mi urlano quelle cose indecenti. Te lo leggo negli occhi. Sei geloso e vorresti prenderli a pugni. Ma so anche che non lo faresti mai, perché sei un ragazzo buono e gentile ed educato. Così educato che quando  mi guardi le gambe di nascosto, diventi rosso, perché ti senti in colpa, ed io penso che nessuno è mai stato così dolce con me. Io ti vedo, Edward.  Tu non lo capisci, ma io ti vedo.”
Non riesco a crederci. Bella lo sa. Bella lo ha sempre saputo. Ho cercato in tutti i modi di nascondere ciò che provo per lei perché non mi sento all’altezza e mi vergogno da morire, ma lei non si è mai lasciata ingannare.  Ha capito il senso di ogni mio più piccolo gesto. Eppure non mi ha mai allontanato. Cosa significa? Che le mie attenzioni le fanno piacere? Che lei vuole… No… no, non è possibile. Forse lei mi apprezza, vede in me cose che io non riesco a vedere e non mi considera né un fallito né una nullità. Ma da qui a pensare che io… che noi due…
Ho bisogno di sapere. Se non lo faccio ora non lo farò mai più, mi conosco. Se mi lascio scivolare questo momento tra le dita, non troverò mai più il coraggio di chiedere a Bella se per lei posso essere più che un semplice amico.
È surreale, mi pare di vivere in un sogno e sono talmente nervoso che la voce mi trema e non riesco a calmare il battito del mio cuore. Ma sta accadendo. Voglio che accada, e per una volta non ho intenzione di fuggire o nascondere la testa sotto la sabbia.
“Bella…”
“Sì?”
“Perché oggi, in mensa, quando Alice ci ha detto… sì, insomma… ci ha detto della festa tu… tu hai smesso di parlare e sei diventata triste?”
Se Bella prova qualcosa dovrebbe voler andare a quella festa con me. Invece la sola idea l’ha messa di malumore. Perché? Forse ho frainteso le sue parole?
Sì, probabilmente è così. Edward Cullen ed Isabella Swan non possono stare assieme.
Bella mi sorride. “Davvero non lo hai capito?”
Le faccio di no con la testa. Forse se mi concentro e ripenso a quel momento ce la posso fare, posso capire. Ma sono troppo nervoso, non riesco a ragionare. Ho bisogno che sia lei a dirmelo.
“Voglio andare a quella festa con te, Edward. Non con il gruppo come ha suggerito Alice. Voglio trovare nell’armadietto un tuo biglietto, aprirlo ed emozionarmi per quello che tu hai scritto. Ma so che non me lo chiederai mai.”
Sono senza parole. Ciò che provo è talmente intenso che non lo so neppure descrivere. 
Bella mi parla tranquillamente, senza vergogna. Mi sta confessando che per lei non sono un semplice amico e lo fa con naturalezza e dolcezza.
“Io… io…” Tento di parlarle, ma non ci riesco. Vorrei dirle che desidero chiederle di uscire  da quando l’ho incontrata per la prima volta, ma che non mi sono mai azzardato a farlo perché mi sono sempre sentito inadeguato. Ma come faccio? Bella non vuole che io pensi a me stesso in questi termini. Bella vuole che io sia forte e che mi apprezzi per quello che sono.
Così faccio l’unica cosa che posso fare in questo momento. Apro  lo zaino, prendo carta e penna, e mi metto a scrivere.
Bella mi osserva confusa, senza capire. “Che stai facendo?” mi chiede.
“Aspetta solo un attimo.”
Ti prego Bella. Sii paziente con me. Non so come ci si comporta in queste situazioni, non so cosa devo fare, non so come si chiede ad una ragazza di uscire. Per me è tutto nuovo.
Finisco di scrivere e poi le passo il foglio, accuratamente ripiegato.
Lei lo apre, e il suo volto si illumina.
 
Isabella, per me sarebbe un onore immenso poterti accompagnare alla festa che si terrà sabato prossimo. Ti prego, Be My Valentine.
Edward
 
Bella mi sorride, radiosa. “Non potrei andarci con nessun altro. ”
 
Quando Bella se ne va, non riesco a schiodarmi da quella piccola porzione di strada antistante il vialetto di ghiaia che porta a casa mia. Mi tremano le gambe e devo inginocchiarmi un attimo per riuscire a riprendermi.
La mia vita sta cambiando, completamente. La ragazza che amo vuole uscire con me, mostrarsi in pubblico con me, ed io voglio essere alla sua altezza.
Continuo a pensare che dei vestiti alla moda ed un nuovo taglio di capelli non mi renderanno migliore o diverso da ciò che sono, ma che male c’è a voler cambiare un pochino?  Forse Rose ha ragione, forse non sono così pessimo.
Mi rialzo e, rischiando di inciampare ad ogni passo, mi affretto a raggiungere il portico. Poi  recupero il cellulare. Accedo alla rubrica e trovo il numero che cerco.
Sento la sua voce dopo pochi squilli. “Pronto?”
“Rose, ho bisogno del tuo aiuto.”
 

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
se vi va...
Lui. Lei. Istantanee.

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=735884&i=1

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***




Capitolo 6
 
Se durante la cena organizzata dai miei nonni materni per salutare il 2009  e dare il benvenuto al 2010 qualcuno mi avesse detto che io, Edward Cullen, vicepresidente del Club dei Fumetti e segretario del Club di Letteratura, re dei secchioni e dei nerd dell’intera Chicago, sicuro vincitore di una medaglia d’oro caso mai esistesse un concorso per il più grande sfigato della storia americana, a distanza di neppure quattro mesi avrei accompagnato ad una festa – un ballo ispirato alla Hollywood degli anni ‘50! – una cheerleader, bellissima e popolare, frutto proibito del liceo di una minuscola cittadina del nord chiamata Forks, avrei pensato ad uno scherzo di pessimo gusto.
Se poi quel qualcuno avesse aggiunto che avrei trascorso l’intera settimana antecedente il mio primo appuntamento con la ragazza dei miei sogni – anzi, il mio primo appuntamento in assoluto – in compagnia di una maniaca dello shopping, tra mercatini e negozi vintage di abiti e scarpe, a studiare mise e tagli di capelli,  mi sarei messo a ridere, o, molto più probabilmente, sarei fuggito a gambe levate, dubitando della sanità mentale di quella stessa persona.
Invece eccomi qui, un giorno prima il grande evento, in compagnia di Rosalie Hale, a spulciare gli scaffali di un negozio di abiti usati di Port Angeles.
Mai e poi mai avrei pensato che Rose si potesse rifornire in un luogo simile. Eppure lei sostiene che le cose migliori si trovano nei posti più impensati, e che l’importante non è il ‘dove’ ma il ‘cosa’, soprattutto in un epoca di acquisti virtuali tramite la rete ed un semplice click. Raffinate boutique, popolari grandi magazzini, umili rivendite di beneficienza, comodi negozi on-line: va tutto bene, l’importante è scovare l’affare.
Ad esempio, un mese fa, in un mercatino dell’usato gestito dalla chiesa di Forks, Rose è riuscita a trovare un abito da cocktail firmato Valentino per soli venti dollari. La suora che si occupava della cassa neppure sospettava che ciò che aveva tra le mani potesse valere cinquanta volte tanto.
Io non ho la più pallida idea di cosa possa essere un ‘abito da cocktail’, e neppure chi sia questo Valentino, e se davvero le sue creazioni valgono centinaia se non migliaia di dollari, ma so che Rose è un’esperta in materia, e se lei dice di aver combinato l’affare del secolo le credo.
Dopo averla vista in azione, ho capito che per il mio cambiamento non potevo affidarmi a nessun altro. Rose è seria, competente ed appassionata: una vera professionista della moda. Purtroppo si è lasciata prendere un poco la mano. Volevo solo che mi aiutasse a trovare un abito appropriato per la festa, e magari che mi suggerisse un nuovo taglio di capelli e mi insegnasse finalmente ad usare il gel, evitando l’effetto verdura bollita. Invece, quando le ho fatto la mia richiesta, Rose ha capito che doveva rivoluzionare il mio intero stile.
Sono certo di essermi spiegato al meglio e di non aver lasciato spazio ad alcun fraintendimento, ma sono altrettanto certo che lei aspettava questo momento da quando mi ha conosciuto. In me ha visto un pezzo di creta da plasmare, un blocco di marmo da scolpire a suo piacimento.
Per farla desistere ho subito messo in chiaro che non avevo i fondi sufficienti per rifarmi l’intero guardaroba. Ma lei non s’è lasciata abbindolare, e neppure scoraggiare. Mi ha risposto che in qualche modo avremmo fatto – in quell’occasione mi ha spiegato del Valentino – dovevamo solo pianificare bene le nostre mosse.
Il pomeriggio successivo alla mia richiesta di aiuto s’è presentata a casa mia con un faldone che aveva – cito testualmente – “frettolosamente messo insieme durante la notte”, con foto di tagli di capelli, scarpe, abiti da sera e da giorno, combinazioni di vario tipo strappate da riviste di moda, che pensava potessero starmi bene ed alle quali avremmo potuto ispirarci per la nostra ricerca. Io ero talmente esterrefatto dalla fredda, lucida ed analitica determinazione con la quale stava affrontando la questione e, lo ammetto, un tantino commosso per la sua premura (anche se so che la moda è il suo habitat naturale e Rose ci sguazza come un pesciolino) da non riuscire ad oppormi. Anzi, ho fatto tutto quello che mi ha chiesto, quasi scodinzolando, a cominciare dal rompere il mio salvadanaio per capire qual’era il budget a nostra disposizione per l’ Operazione Cullen  - questo, ahimè,  il titolo scritto in grassetto  sul faldone.
 
“Rose, questa va bene?”
Lei abbandona la pila di camicie che sta esaminando e mi viene incontro, seria e risoluta.
“Edward, quante volte te lo devo ripetere? Sei alto e slanciato, giacche informi di questo genere non ti valorizzano, devi optare per qualcosa di più classico e dal taglio più aderente. Tipo….” Rose inizia e far scorrere le giacche appese all’asta di metallo. “Tipo questa! Non è deliziosa?”
“Deliziosa…” ripeto, mentre cerco di ricordare se tra gli appunti che ho preso in questi giorni nel capitologiacche ho segnato oppure no taglio aderente tra le caratteristiche fondamentali e da non dimenticare (ebbene sì, prendo appunti anche durante lezioni di moda improvvisate ed impartite da un’amica).
“Solo una cosa non va, Edward...”
Rose mi scruta, in attesa, e a distanza di qualche secondo capisco che, malgrado il taglio, quella giacca presenta un difetto che me la dovrebbe far scartare.
“Oh, sì certo… è evidente…” Prendo tempo ma non riesco a capire dove stia il tranello. A me la giacca sembra bella.
“Edward, concentrati, io non potrò essere sempre con te ad aiutarti.”
Santo cielo! Mi pare di essere nel bel mezzo di un esame. Ed anche se non ci sono voti, e Rose non è di certo una professoressa, mi sento peggio di come mi sentirei di fronte ad un plotone di professori intenti ad interrogarmi su, che ne so, il concetto di isotopo nella letteratura russa dell’ottocento, in particolare di Tolstoj.
Fisso Rose, poi la giacca, poi Rose, poi la giacca. Mi concentro e faccio appello alla mia memoria fotografica per visualizzare i miei appunti.
“Se ti dico: nuance?”
Nuance… Mmmm… quindi è qualcosa che ha a che fare con il colore… Il colore della giacca non va bene… e non va bene perché…
Già, perché?
Penso e ripenso, e poi, finalmente, eureka!
“Devo optare per colori neutri!” rispondo con entusiasmo, come se avessi appena scoperto la formula per tramutare la sabbia in oro. “Colori non stagionali e che non passino facilmente di moda. Il mio budget è limitato e devo sfruttarlo al meglio!”
Rose mi guarda compiaciuta, orgogliosa ed un briciolo commossa, nello stesso modo in cui una madre guarderebbe il proprio bimbo andare in bicicletta senza rotelline per la prima volta.
“Di tanto in tanto mi dai delle soddisfazioni enormi, Edward,” dice posandosi una mano sul cuore. “Se non fossi il ragazzo di Bella ti bacerei.”
Co-cosa?!
“Io non… io non sono il ragazzo di Bella…” balbetto mentre sento le guance prendere fuoco per l’imbarazzo.
Mi piacerebbe da morire, e spero che dopo la festa di domani sera il nostro rapporto faccia un ulteriore passo in avanti, ma non posso dare nulla per scontato. Bella mi trova dolce e sensibile; le piacciono le mie attenzioni nei suoi confronti - timide e discrete, nulla a che vedere con la morbosità a cui è costretta di solito -  ed ama passare il suo tempo libero con me. Non significa che mi trovi anche attraente. So di non essere bello, non nel modo più convenzionale, come lo possono essere Emmett o  Jake o magari Jasper, con i loro fisici atletici ed il portamento fiero. Magari non sono un cesso, ma a parte l’altezza e gli occhi verdi “che brillano” (non riesco a credere che Bella pensi ai miei occhi come a due gemme in grado di illuminare una stanza, è surreale!), cos’altro mi rimane? Ah, sì: non sono grasso e Dio mi ha risparmiato dalla piaga dell’acne adolescenziale, tratto distintivo di tutti i nerd del mondo. Per il resto rientro nella norma, malgrado quanto sostiene Rose.
Di fronte al mio evidente imbarazzo, Rose assume un’aria eccessivamente indulgente. “Edward, tesoro, dovete solo formalizzare la cosa...”
“Formalizzare?” ripeto come se non avessi capito, pur avendo capito benissimo.
“Beh, baciarvi.”
“Baciarci?” ripeto un’altra volta, come se fossi scemo, mentre penso che potrei dar fuoco all’intero edificio talmente è forte il mio imbarazzo. Ho imparato a conoscere meglio Rose in questi giorni, ad apprezzarla e a sentirmi meno a disagio con lei. Ma parlare di Bella e di baci, no: questo resta per me un argomento tabù.
“Mica potete continuare solo a tenervi per mano!” esclama.
Io non le do retta, la scanso e mi metto a cercare non so bene cosa tra gli scaffali. Ma è lampante che procedo alla cieca ed il mio unico obiettivo è evitarla.
“Non è che vi siete già baciati?” chiede inarcando un sopracciglio. E siccome non rispondo, continua: “Oh, mio Dio! Vi siete baciati! Edward, com’è stato? Non lo sapevo! Bella non me lo ha detto! Racconta!”
Per l’amor del cielo, quando finirà questa tortura?
“Rose, per favore, possiamo tornare ad occuparci del mio armadio?” la supplico, lanciando magliette a destra e sinistra, in preda al panico. “Questa? Questa va bene?”
Lei mi ignora. Afferra la maglietta che le ho passato e la butta da un lato. Strizza gli occhi e mi squadra con sospetto. “Non hai risposto alla mia domanda…”
“Rose…”
“Edward?”
“No, Rose!” sbotto alla fine. “No! Non ci siamo ancora baciati!”
“Ah.”
Baciare Bella è la cosa che desidero di più al mondo, soprattutto da quando ho scoperto cosa pensa veramente di me, che è ha conoscenza dei miei sentimenti, e che il mio interesse nei suoi confronti non la spaventa, anzi la lusinga. Ma ho paura. Non sono per nulla esperto in materia e temo di essere una delusione.
Ammetto che, malgrado il vero e proprio terrore che spesso mi attanaglia, starle vicino e non baciarla diventa sempre più complicato. E lo è ancora di più da mercoledì scorso, da quando Bella ha iniziato a tenermi la mano pubblicamente.
È successo in modo strano, o forse no. Di sicuro non me lo aspettavo. Quando è accaduto non c’erano gli uccellini che cinguettavano o fiori e farfalle colorate tutt’intorno a noi. Insomma, non è stato un momento propriamente ‘romantico’. Ma è accaduto ugualmente.
Come ogni mattina stavo aspettando Bella seduto sul muretto di cinta, vicino al cancello di ingresso della scuola. Lei è arrivata alla solita ora, ha parcheggiato al solito posto, e mi ha raggiunto. Ci siamo salutati e poi, insieme, ci siamo incamminati verso il portone. Stavamo seguendo il nostro solito rituale, insomma. Finché Bella, più o meno distrattamente - ma soprattutto di fronte a tutti - mi ha preso la mano.
Nell’istante esatto in cui ho sentito il suo palmo caldo e morbido sfiorare il mio, il mio cuore ha saltato un paio di battiti. Subito mi sono voltato verso di lei, cercando il suo sguardo ed una spiegazione. Bella non s’è scomposta. Semplicemente mi ha sorriso ed ha intrecciato le sue dita alle mie, continuando a camminare.
Vederci insieme non è più una notizia da prima pagina, ormai.  Tutti sanno che Edward Cullen ed Isabella Swan, per quanto assurdo possa sembrare, sono amici. Ma  camminare  lungo i corridoi mano nella mano ha fatto girare più di una testa curiosa, e la gente comincia a chiedersi se tra di noi ci sia qualcosa di più.
Bella mi conosce bene e sa che sono timido, per non dire un perfetto imbranato. Credo che con questi piccoli gesti stia cercando di incoraggiarmi, di farmi capire che posso e che devo farmi avanti, che anche lei lo vuole, e che non si vergogna di quello che potrebbe pensare la gente.
In un paio di occasioni sono stato sul punto di farlo, ma il risultato è stato pessimo, a conferma del fatto che non sono nato per corteggiare chicchessia.
Una sera, per esempio, dopo avermi riaccompagnato a casa,  Bella si è avvicinata per salutarmi e darmi un bacio sulla guancia. Questa è una delle altre piccole cose che ha iniziato a fare per indurmi ad uscire dal mio guscio di lumachina spaventata dal mondo. Io ho pensato: Edward, è la tua occasione, fatti avanti. Così  mi sono voltato un poco verso di lei. Sembrava il momento perfetto: il crepuscolo, le note di Yellow dei Coldplay, il delizioso profumo di prati verdi e fioriti…  Ma ho preso male la mira e tutto ciò che sono riuscito a fare è stato darle  il solito bacio sulla solita guancia,  anche se pericolosamente vicino all’angolo della bocca. Mi sono vergognato così tanto di quel tentativo fallito che sono letteralmente fuggito senza neanche dirle ciao, richiudendo velocemente lo sportello della Volvo alle mie spalle.  
 
Rose non sembra affatto sorpresa dalla mia ammissione. “Quindi non vi siete ancora baciati.”
“No,” ripeto visibilmente seccato ed iniziando a girare senza meta per il negozio.
“E si può sapere cosa aspetti?” insiste venendomi dietro.
“Santo cielo, Rosalie! Ti prego, ti scongiuro, ti supplico: possiamo cambiare argomento?”
“Bella non desidera altro!”
“Rose!”
“Edward, devi farti avanti…”
“Lo so!” urlo esasperato, attirando l’attenzione degli altri clienti del negozio. “Lo so,” ripeto abbassando la voce e guardandomi attorno con circospezione. “Sto solo aspettando… il momento giusto.”
“Il momento giusto?!”
“Esatto.”
“Fino ad ora non ce ne sono stati?” mi chiede scettica. “Avete passato praticamente in simbiosi le ultime sei settimane, e non hai mai trovato il momento giusto per baciarla?”
“No!” eslamo rassegnato infilandomi le mani tra i capelli.
Rose mi scruta senza dire nulla per qualche istante.
“Hai paura?”
Santo cielo! Rose dovrebbe lavorare per la polizia, condurre interrogatori o roba simile.
Medito se dirle una bugia oppure no, ma so che non riuscirei a fregarla. Così opto per la sincerità. “Terrorizzato.”
“Non hai mai baciato nessun’altra?”
Bella domanda. Il mio primo ed unico bacio è stato un vero disastro, un’esperienza da cancellare. Ma non posso di certo dirlo a Rose, è troppo umiliante. Così resto sul vago e minimizzo assumendo un’aria leggermente offesa. “Rose, sarò anche uno sfigato, ma non a questi livelli.”
“Quindi hai già baciato una ragazza.”
“Sì.”
“Di che cosa hai paura, allora? È come andare in bicicletta. Una volta imparato mica te lo scordi come si fa!” dice dandomi una rassicurante pacca sulla spalla.
Apprezzo i tentativi di Rose di infondermi coraggio, ma la conversazione sta degenerando ed io non ho più voglia di parlare di baci o strategie di seduzione. Voglio andare a casa.
“Rose, si sta facendo tardi, possiamo andarcene?” piagnucolo come un moccioso.
Rose tira un lungo sospiro, rassegnata. Raccoglie le poche cose che abbiamo trovato ed inizia a spingermi verso la cassa.
“Andiamo,” borbotta. “Ti dico solo una cosa, Cullen. Bella ha ricevuto venticinque inviti per il Be my Valentine Party. Venticinque! Potrebbe avere qualunque ragazzo di Forks, ma ha scelto te. Gioca bene le tue carte o la perderai.”
Gioca bene le tue carte o la perderai? Che vuol dire?
“Rose, che stai dicendo…”
“Pensi che Bella ti aspetterà per sempre?”
Bene. Se prima ero nervoso, ora lo sono ancora di più. È ovvio, Bella non mi aspetterà all’infinito, di questo ero cosciente, ma sentirlo dire da qualcuno ad alta voce rappresenta un vero shock. Devo muovermi e devo farlo in fretta o rischio di rovinare tutto.
Rose mi riaccompagna a casa e, come da programma, ci diamo un nuovo appuntamento per l’indomani mattina.
Abbiamo deciso che il mio cambiamento dovrà essere una sorpresa per Bella, e che quindi avrei aspettato fino all’ultimo per tagliarmi i capelli,  ovvero  fino al sabato della festa.
La mia idea era di andare da un vero barbiere, in un vero negozio, ma Rose dice che è un’inutile spreco di denaro, dal momento che ho a disposizione “le forbici più talentuose dello stato di Washington”.  Ovviamente parla di sé stessa.
Non so se è davvero brava, ma dice che si occupa dei capelli di Emmett da due anni, ormai. Emmett ha un bel taglio ed è sempre ordinato. Suppongo che Rose dica la verità.
 
“Allora, Edward. Come li facciamo?”
Seduto su una sedia, in bagno, con un ampio asciugamano appoggiato alle spalle, osservo la mia immagine ad uno specchio da tavolo che si trova sul mobiletto posto a  fianco del  lavandino.
Rose ha appena finito di lavarmi i capelli ed insieme stiamo decidendo che taglio fare.
“Non saprei, mi piace la foto 4a…” medito ad alta voce,  aprendo il faldone che tengo appoggiato alle ginocchia e dirigendomi  con sicurezza alla sezione Capelli.
Rose gli dà un’occhiata, l’ennesima. Credo che ormai conosca questa specie di prontuario a memoria. La cosa più preoccupante è che lo conosco a menadito pure io.
“Sì, direi di sì,” annuisce convinta. “Vedrai, starai benissimo.”
Poi mi toglie gli occhiali  e, senza neanche lasciarmi il tempo di dire addio al vecchio Edward,  comincia a tagliare.
Non riesco a crederci. Per anni i miei capelli hanno rappresentato una sorta  di cortina protettiva dietro cui nascondermi.  Ora stanno cadendo,  una ciocca alla volta. Sento la testa alleggerirsi poco a poco ed il nervosismo salire. Come farò? Non ne ho idea, ma è una cosa che dovevo fare. Per Bella, certo, ma soprattutto per me stesso. Devo crescere, devo diventare un uomo. Sembrerà sciocco partire da un taglio di capelli, ma non lo è. Per me è un grande passo. Enorme.
Rose procede decisa e, dopo una quindicina di minuti in cui tengo gli occhi chiusi per non vedere (anche se sono senza occhiali e la mia immagine riflessa risulterebbe comunque molto sfocata), esclama: “Fatto!”
Apro gli occhi, infilo di nuovo gli occhiali e comincio ad osservarmi allo specchio.
Oh, Santo Cielo… Quello sono io?!
Il taglio che abbiamo scelto è corto sui lati e sulla nuca, leggermente più lungo nella parte alta della testa. Rose deve ancora mettermi il gel, ma già si nota  la differenza rispetto a prima. È notevole, anzi, abissale.
“Ed ora il tocco finale!” Felice come non l’ho mai vista prima, Rose afferra il tubo del gel e mi esorta a  porgerle le mani.
“Vuoi che lo faccia io?!” chiedo esterrefatto. “Non sono capace, Rose!”
“Appunto! Motivo in più per imparare! Avanti! Non posso venire qui ogni mattina a pettinarti.”
Senza nascondere lo scetticismo faccio quello che mi dice. Lei lascia cadere un po’ di prodotto sulla mie dita ed infine richiude il tubetto.
“Che dovrei fare, ora?”  le domando perplesso.
“Distribuisci il gel sulle dita e poi tra i capelli, con naturalezza. L’effetto deve essere leggermente spettinato. Come nella foto.”
Seguo le indicazioni di Rose, ed inizio a passare le mani appiccicaticce tra i capelli.
“Ecco, così,” mi incoraggia. “Gesti morbidi, quasi causali…”
Che scena assurda. Non mi sono sentito tanto ridicolo in tutta la mia vita. Eppure funziona! A poco a poco la mia testa prende forma e… Edward Cullen ha finalmente un taglio alla moda e sa mettersi il gel!
“Rose,” balbetto alzandomi in piedi e procedendo a passi incerti verso lo specchio. “Rose, ce l’ho fatta...”
Sono basito. Osservo la mia immagine e non riesco a credere ai miei occhi. Sto benissimo. Ma perché diavolo non me li sono tagliati prima?
Rose mi guarda compiaciuta, sorridendo. “Non vedo l’ora di vederti con lo smoking!”
Com’era logico che accadesse, Rose si è occupata degli abiti di tutti. Visto che la festa sarà elegante e formale, per noi ragazzi ha scelto degli smoking, per le ragazze degli abiti da sera in puro stile anni cinquanta. Francamente non sto più nella pelle: muoio dalla voglia di vedere Bella. Senza dubbio sarà meravigliosa. Ma lei lo sarebbe in ogni caso, anche indossando un sacco nero dell’immondizia.
Rose interrompe i miei pensieri e mi riporta velocemente alla realtà. “Il mio dovere l’ho fatto. Ora torno a casa. Ci vediamo stasera a scuola, Cullen,” dice mentre raccoglie le sue cose e le risistema nella borsa.
“D’accordo. Grazie, Rose. Di tutto.” Le tendo la mano, riconoscente, non sapendo in che altro modo esprimerle la mia gratitudine. Forse dovrei farle recapitare dei fiori a casa, uno di questi giorni.
Rose mi stringe la mano. Poi cambia idea. “Oh, al diavolo!” esclama. E mi abbraccia.
Porca miseria. Rosalie Hale mi sta abbracciando?! Ma dove sono finito? In quale strano universo parallelo si trova Forks? Perché le belle ragazze mi ronzano attorno, mi tengono per mano, mi baciano e mi abbracciano?
Per un attimo non so cosa fare. Poi anch’io penso al diavolo, e ricambio l’abbraccio.
Tra tutte le persone che avrebbero potuto aiutarmi e starmi vicino nella vita, mai e poi mai avrei pensato che Rose sarebbe stata una di queste. E invece…
Bella ha ragione: i preconcetti sono una gran brutta cosa. Trappole che ti rendono schiavo e che ti impediscono di vedere ad un palmo dal tuo naso. Sono felice di aver chiesto aiuto a Rosalie.
Mentre scendiamo le scale, Rose mi chiede aggiornamenti su un’altra annosa questione: occhiali sì od occhiali no? Lei vorrebbe che iniziassi a portare le lenti a contatto, ma io non mi sento ancora pronto. Vada per il nuovo stile ‘shabby-chic’ (finto trasandato con stile), vada per il nuovo taglio di capelli… Ma gli occhiali non li posso abbandonare. Sarebbe un cambiamento troppo radicale.
“Allora, Edward, hai deciso?”
“Sì, ho deciso. Penso che per ora continuerò a portare i miei occhiali.”
Rose non sembra affatto sorpresa dalla mia decisione. “Lo immaginavo. Sai che ti dico? Fai bene. Ti donano quegli occhiali. Con il tuo nuovo stile fanno molto… Hipster!”
Hipster?! E che vuol dire? È inutile: Rose si trova ad anni luce di distanza. Non la raggiungerò mai.
“Cullen, a stasera.”
“Ci vediamo, Hale.”
Richiudo la porta e torno al piano di sopra, in camera mia. Inizio ad osservare la mia immagine nello specchio, incredulo. Sono lo stesso Edward, è evidente, eppure sono diverso. E non è solo per i capelli più corti ed abilmente modellati con un po’ di gel. Non sono neppure gli abiti che indosso. Rose non ha stravolto il mio stile, lo ha solo reso più attuale. Però sono diverso. Più… non saprei… sicuro? Tuttavia so già che quando incontrerò Bella, stasera, questo briciolo di sicurezza in più che ho acquisito non mi servirà a nulla.
Chissà se le piacerò con questo nuovo taglio e lo smoking. Sperò di sì, in fondo io mi piaccio.
Non vedo l’ora di vederla di nuovo. Ci siamo frequentati poco, in queste ultime due settimane. Alice le ha chiesto di aiutarla con i preparativi per la festa, e così Bella ha passato molti pomeriggi a scuola. Da una parte è stato un bene: mi sono potuto incontrare con Rose senza farle sapere nulla. Però mi è mancata tantissimo. Chissà se le sono mancato anch’io.
Non vedo l’ora che arrivi stasera.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***




Capitolo 7
 
Ci siamo. Sono le 7.13. Bella sarà qui tra poco più di un quarto d’ora.
Sarei voluto andare io a prenderla a casa, come si addice ad un vero uomo. Ma l’unico mezzo che abbiamo a disposizione in famiglia è un vecchio furgoncino scassato che i miei genitori usano anche e soprattutto per lavoro. Un mezzo decisamente poco adatto ad un’elegante festa in stile Hollywood anni cinquanta e ad un primo appuntamento. L’ho comunque proposto a Bella, ma lei ha storto il naso.
“Ne sei sicuro?” mi ha chiesto. “Davvero quel coso riuscirà a portarci fino a scuola?”
Ne ero sicuro, ovviamente. Quel coso non morirà mai. Dovesse estinguersi la specie delle automobili, il Chevy sarebbe l’unico mezzo a sopravvivere. Ma quel furgone non piace neppure a me. Puzza di vegetazione e non è neppure tanto pulito. Sarebbe una tragedia sporcare i nostri abiti eleganti di terriccio ed humus. Il noleggio dello smoking m’è costato un occhio della testa e, anche se i miei genitori sono stati più che felici di regalarmi il denaro, ho intenzione di restituire loro almeno i soldi della cauzione. Neppure voglio che Bella rovini il proprio abito, mi sentirei troppo in colpa. Inoltre tutti gli occhi saranno già puntati su di noi per ovvi motivi (tutti i liceali di Forks si chiedono se stiamo o no insieme). Non mi sembra il caso di attirare ulteriormente l’attenzione arrivando alla festa a bordo di un Chivey vecchio ed arrugginito e con la marmitta roboante.
Così sarà Bella a venire a prendermi a casa, come al solito.
Ammetto che la cosa comincia a pesarmi. Mi pesa il fatto che, tra di noi, sia lei a rivestire il ruolo del maschio. Lei mi salva dai prepotenti, lei mi presenta ai suoi amici, lei mi scarrozza in giro con la sua Volvo, lei mi chiede di uscire, mi confessa i suoi sentimenti, mi prende per mano e mi bacia sulla guancia per la prima volta…
E stasera, in occasione del nostro primo appuntamento, sarà lei a passare a prendermi.
Rose ha ragione, devo svegliarmi, darmi una mossa. È evidente che a Bella piaccio così come sono, ma non credo disprezzerà un briciolo di virilità in più da parte mia. Devo solo tirarla fuori. E magari, prima, capire dove l’ho nascosta.
 
Mi do un’ultima occhiata allo specchio, sistemo il papillon, e faccio scorrere per l’ennesima volta le mani tra i capelli, nel tentativo di spettinarli ad arte, esattamente come nella foto 4a di pagina 25 del faldone Operazione Cullen.
È ridicolo, me ne rendo conto, ma subito dopo pranzo ho passato mezz’ora al telefono con Rose a discutere di come mi sarei dovuto pettinare. Mi ha chiamato lei, “colpita da una folgorazione,” ha detto.
Secondo Rose dovrei abbandonare l’effetto spettinato ed adottare un’acconciatura più formale, in classico stile anni cinquanta. Io le ho riso in faccia, facendole presente che capello composto, riga laterale, brillantina e spessi occhiali dalla montatura nera non mi avrebbero reso attraente, avrebbero solo ricordato in modo inquietante Clark Kent, l’identità segreta di Superman.
Godo di scarsa autostima ed ho imparato solo stamattina a mettermi il gel. Non ho nessuna intenzione di azzardare cose da passerella solo perché Rose è pazza e crede che io sia il suo Ken (o la sua Barbie?) in scala 1:1.
Tiro un bel respiro, infilo la giacca, e poi scendo le scale, le scarpe di vernice in mano – altro affare scovato da Rose non voglio neppure sapere dove.
Ho deciso che aspetterò Bella di fuori, sul portico, e non in casa, sotto lo sguardo compiaciuto dei miei genitori. Già credo di essere poco maschio e sono alla disperata ricerca della mia virilità. Proprio non me la sento di dar vita ad una scena da filmetto romantico in cui Bella mi aspetta all’ingresso, in compagnia  di mio padre e di mia madre, mentre io scendo le scale con il cuore in gola. Non sono mica la ‘Reginetta del Ballo’ !
Oltretutto, conoscendo mio padre, sono più che certo che, di fronte a Bella, se ne uscirebbe con una frase ad effetto, per dimostrare che è un tipo in gamba e al passo con i tempi, ma senza rendersi conto di risultare semplicemente fuori luogo.
Una frase del tipo: “Ragazzi, siate responsabili, non bevete e, non c’è bisogno che ve lo dica, prendete le dovute precauzioni.”
Devo ancora capire come riuscire a baciare Bella evitando di fare una figuraccia. Francamente, posso aver mai pensato alla prima volta in cui io e lei faremo l’amore? No!
Cioè… in effetti… magari… un pochino… ma, giuro, è un pensiero talmente imbarazzante e recondito che, generalmente, non lo ammetto neppure a me stesso… e poi non accadrà mai…
I miei genitori mi aspettano in cucina. Mia madre sta preparando la cena, mio padre sta apparecchiando la tavola.
Mi fermo sulla soglia e mi schiarisco la voce. Mia madre è la prima a voltarsi.
“Edward…”
Se ne resta ferma, con le carote in una mano ed un coltellaccio nell’altra, e mi fissa come se avesse visto un fantasma. Oddio… sono così brutto?
Mio padre ha più o meno la stessa espressione. Anche lui è congelato con stoviglie di vario tipo tra le mani e la sua bocca è spalancata in una O quasi perfetta.
“Allora, che ne dite?” chiedo arrossendo ed iniziando a grattarmi la nuca.
“Edward…” dice mia madre.
“Edward…” dice mio padre.
“Edward… sei… sei…”
Ok. Lo so come mi chiamo. Però vorrei un parere.
Niente, i secondi passano ed io comincio a temere per la salute dei miei. Gli ho forse provocato un colpo apoplettico?
Bizzarro che due professori universitari - due ricercatori -  siano rimasti senza parole.
“Mamma… che ne dici?” insisto. “Sono… presentabile?”
“Edward,” risponde mia madre mollando carote e coltellaccio sul bancone della cucina. “Tu non sei semplicemente presentabile,” continua pulendosi le mani nel grembiule mentre gli occhi le si riempiono di lacrime. “Tu sei… tu sei…”
È così emozionata che non riesce neppure a concludere la frase. Così corre ad abbracciarmi.
“Il mio bambino…” dice mentre mi stringe forte. “Il mio bambino…” continua a ripetere mentre mi riempie di baci.
Io sono color melanzana. Non rosso. Melanzana.
“Mamma…” mi lamento cercando di liberarmi. Ma sono felice. So che per mia madre sono sempre stato il ragazzo più carino al mondo, ma vederla così commossa è una bella iniezione di fiducia ed autostima, anche se è stata lei a farmi nascere e mi amerebbe in ogni caso, anche se avessi delle orecchie da asino  e delle pinne al posto della braccia.
Nel frattempo mio padre si è ripreso. Mi osserva compiaciuto, con le mani in tasca, e mi sorride con occhi complici.
“Bella è molto fortunata,” dice. “Non poteva trovare cavaliere migliore, per questa festa.”
“Gra-grazie…” balbetto cercando di ricompormi dopo l’assalto di mia madre.
“A che ora dovrebbe arrivare, Bella?”
“Tra pochi minuti, papà.”
“A che ora avete intenzione di rientrare?”
“Non saprei…” rispondo. Perché è vero, non lo so.  So solo che la palestra chiuderà a mezzanotte. Ma so anche che Bella e gli altri, il sabato sera, fanno molto più tardi. Magari hanno intenzione di concludere la serata altrove. O magari, se le cose con Bella vanno male, potrei ritrovarmi libero per le nove, forse prima. Chi può dirlo.
“Non ti preoccupare, amore,” interviene mia madre. “Torna quando vuoi. Ci fidiamo.”
“Grazie, mamma. Cercherò di non fare tardi, comunque.”
“Prendetevi il vostro tempo,” dice mio padre. “E mi raccomando, Edward…” continua enigmatico.
“Cosa?” chiedo, pentendomene immediatamente.
“Cercate di essere…”
“Papà!”
“… prudenti…”
Ecco. Lo ha detto. Comincio a sospettare che non parli seriamente, però. Comincio a credere che mi prenda in giro. Insomma, non ne abbiamo mai discusso apertamente, ma credo sappia che tra me e Bella non c’è mai stato neppure un bacio. Come può pensare che al nostro primo appuntamento ufficiale noi… sì, insomma… noi… ecco… quella cosa lì. È pura fantascienza!
“Oh, Carlisle, lascialo in pace!” esclama mia madre. “Non credi sia già abbastanza nervoso?”
“Esme, i ragazzi devono poter parlare liberamente di…”
Oh, santo cielo... Non voglio che mio padre dica la parola sesso. Non voglio!
Così me ne vado.
“Ehm… Io esco sul portico ad aspettare Bella, ok?” lo interrompo lasciando bruscamente la stanza.
“Edward!” Lo sento chiamare il mio nome, ma io sono già sulla porta di casa, la mano sulla maniglia.
Mia madre mi è venuta dietro e cerca di tranquillizzarmi.
“Non dar retta a tuo padre,” dice sistemandomi la giacca. “Le sue parole hanno un senso, ovvio, ma forse non per questa serata, dico bene?”
Le faccio di sì con la testa, imbarazzato e riconoscente. Mia madre mi capisce al volo, certe volte.
“Forza, infila almeno le scarpe prima di uscire.”
“Va bene.”
Infilo le scarpe ed esco.
 
7.30
Bella dovrebbe essere qui a momenti.
7.35
Bella è in leggero ritardo.
7.40
Bella non è ancora qui. Comincio a stare male. È successo qualcosa o mi ha dato buca? Oddio mi ha dato buca…
Ho passato quasi due settimane a rifarmi il guardaroba, mi sono tagliato i capelli e conciato come un pinguino, e lei mi ha dato buca…
Sto male.
7.41
Squilla il cellulare.
È Bella… è Bella!
“Bella?”
“Edward, sto arrivando, sto guidando, non ti posso parlare, ciao.”
E riattacca.
Bella sta arrivando. Bella è semplicemente in ritardo, non mi ha dato buca… Meno male.
 
Dopo un paio di minuti sento il rombo di un motore e dei freni stridere in lontananza.
È Bella. Riconoscerei la sua Volvo ovunque.
Mi alzo dal dondolo, mi passo nervosamente le mani sulle gambe dei pantaloni per togliere qualche piega, mi sposto verso i tre scalini che conducono al portico, e mi fermo lì, come una sentinella, ad aspettare la ragazza che amo.
Mi batte forte il cuore ed una morsa mi ha chiuso la gola, al punto che fatico a respirare. Ma non vedo l’ora di incontrarla.
Chissà cosa penserà Bella, vedendomi. Chissà se le piacerò con lo smoking ed il nuovo taglio di capelli. Non potrei sopportare l’idea di non piacerle. Devo piacerle. Ormai ci sono troppo dentro. Ormai ho deciso, stasera la bacerò. Non posso baciare una ragazza che non si sente attratta da me.
Comincio a sentire dei passi veloci sulla ghiaia. E poi eccola, sbucare da dietro la siepe. Un angelo, una visione celestiale. È lei. È Bella, la mia Bella, ed io sono talmente felice che potrei morire, ora, e non mi importerebbe.
Resto lì, fermo, a contemplarla mentre si avvicina.
Indossa un abito bianco, con un corpino stretto, senza spalline, impreziosito da piccole stampe floreali rosa e rosse, ed una gonna ampissima, a ruota, lunga pochi centimetri oltre il ginocchio. Tiene i capelli raccolti in uno chignon stretto e basso, come una ballerina, ed il trucco leggerissimo – solo un filo di rimmel ed un velo di lucidalabbra rosso - mette ancora più in risalto i suoi lineamenti minuti e delicati.
È la creatura più bella che io abbia mai visto. Anche se indossa le scarpe da ginnastica (perché indossa le scarpe da ginnastica?).
Bella cammina tenendo lo sguardo basso e solo quando è in prossimità della casa alza la testa.
Non appena mi mette a fuoco si blocca. Sgrana gli occhi e spalanca la bocca, come se non riuscisse a capire chi diavolo si trova di fronte.
Sicuramente, visti dall’esterno, sembriamo due scemi. Io l’osservo incantato senza muovere un muscolo. Lei mi osserva esterrefatta ed impietrita.
“Oh, cazzo…” la sento dire. “Edward?”
Mi guarda da lontano, senza abbandonare l’espressione stupita. Io mi stringo nelle spalle, non sapendo bene cosa fare. Così faccio quello che so fare meglio: arrossisco e comincio a grattarmi nervosamente la nuca.
“Ciao…” le dico.
“Ciao…” mi dice. Ma non si muove.
Così prendo io l’iniziativa (sono o non sono un uomo?). Scendo i tre gradini e mi avvicino lentamente. “Mi sono… io ho… ho tagliato i capelli…”
“Lo vedo…” balbetta.
Ora sono di fronte a lei. Un solo passo ci separa. E continuiamo a fissarci in silenzio.
“Rose mi ha… mi ha preso questo smoking…” tento di nuovo.
Bella annuisce, ma non aggiunge altro. I suoi occhi non mollano i miei, ed i miei non mollano i suoi.
“Ti prego, di’ qualcosa…” la imploro. Sono teso come una corda di violino; potrei spezzarmi da un momento all’altro.
Bella sbatte le palpebre, come se stesse cercando di riprendersi da uno shock tremendo, ed io non capisco se è un buon segno o un cattivo segno.
“Faccio così schifo?” le chiedo, perché comincio ad essere seriamente preoccupato dalla sua reazione.
“Cosa?!”
“Faccio… faccio schifo?” ripeto, sempre più nervoso.
“Edward… tu sei… tu sei…” Si interrompe di nuovo e poi mi sorride. “Sei bellissimo…”
“Be-bellissimo…” ripeto balbettando. Non ci credo. Bella mi trova bellissimo. È un sogno. Sto vivendo in un sogno.
“Bellissimo,” ripete un’altra volta, con più convinzione.
Non posso fare a meno di sorridere a mia volta. “Grazie, anche tu… anche tu sei bellissima… davvero… sei… sei meravigliosa.”
Vorrei trovare un aggettivo adatto a descrivere quanto è straordinaria, ma non lo trovo. Non ci sono parole, a dire il vero.
Bella rivolge uno sguardo scettico a ciò che indossa ai piedi. “Anche con le scarpe da ginnastica?”
Eccola qui, la mia Bella. Divertente ed autoironica. Non smetterò mai di amarla. Mai.
“Ehm… quelle forse… magari…” Poi mi faccio coraggio e glielo chiedo: “Tieni delle altre scarpe in macchina, vero?”
Ora, due settimane con Rose non mi hanno trasformato in un esperto di moda, ma pure io capisco che quelle scarpe non c’azzeccano nulla!
Bella scoppia a ridere. “Certo, sciocchino! Tacco dodici. Ma non so guidare con i tacchi… Anzi, già che siamo in argomento…”
“Cosa?” le chiedo leggermente preoccupato dal suo sorriso sornione.
Bella alza un braccio e fa dondolare le chiavi della Volvo ad un palmo dal mio naso. “Non vorresti accompagnarmi tu alla festa?”
“Cosa?!” esclamo esterrefatto. “Vuoi farmi guidare la tua macchina?”
“Ce l’hai la patente, giusto?”
“Sì…”
“E allora tieni.” Bella mi prende la mano destra e ci lascia cadere le chiavi. “La Volvo è tutta tua.”
“Wow…”
Contemplo le chiavi per un attimo, e non posso fare a meno di sorridere. Sono un secchione, un nerd e non ne capisco nulla di motori. Ma ciò non toglie che l’idea di guidare un’auto simile è davvero elettrizzante.
“Ok… ok… va bene…” accetto alla fine.
Bella mi sorride compiaciuta. Io ricambio il sorriso. Poi le prendo la mano. “Sei pronta?” le chiedo.
Lei osserva le nostre dita intrecciate per qualche secondo, forse sorpresa da tanta audacia da parte mia. Per una volta sono stato io a cercare una forma di contatto fisico, per quanto casto.  Non è stata lei, e chiaramente non se lo aspettava.
Quando Bella rialza la testa, il suo sguardo è cambiato. Mi osserva in modo diverso. Non saprei dire come, ma i suoi occhi brillano di un’altra luce. Mi aveva sempre guardato come se fossi un cucciolo da difendere, prima. Ora no. Ora mi guarda come se fossi un uomo. Che sensazione straordinaria.
 
Raggiungiamo la Volvo, le apro lo sportello, l’aiuto a salire, poi mi dirigo verso il posto di guida. Finalmente posate le mani sul volante, mi ricordo che in frigo tengo un bouquet da polso per Bella. Non so se si usa fare regali simili, ma mi sembrava un’idea carina. E me ne stavo per dimenticare.
“Che idiota!” esclamo.
“Che c’è?”
“Ho una cosa per te...” E senza aggiungere altro scendo dall’auto.
“Edward, dove vai?” La sento urlare alle mie spalle. Ma io sono già lontano.
Quando torno le mostro il mio regalo. Un piccolo bouquet da polso, composto da alcuni boccioli di rosa bianchi, che ho fatto preparare da mia madre alla serra.
“Oh, mio Dio… Edward, è bellissimo.”
Bella mi guarda con occhi sognanti mentre glielo infilo, ed io non posso fare a meno di sentirmi orgoglioso per questo mio piccolo gesto.
“Ti piace sul serio?” le chiedo. “Non lo trovi troppo ‘sdolcinato’ ?”
“Edward, no… è perfetto.”
Bella mi da un bacio sulla guancia e poi metto in moto.
 
Due  minuti più tardi la sorprendo mentre mi osserva dubbiosa.
“Che c’è?” le chiedo.
Lei mi guarda, poi guarda fuori dal finestrino, poi mi guarda ancora.
“Ehm… nulla…” dice, ma non mi pare convinta.
“Bella, sul serio. Che c’è?” insisto.
“È solo che…”
Sembra stia trattenendo a stento una risata, ed io comincio a sentirmi a disagio.
“Bella…”
“Ho appena visto una tartaruga sorpassarci a gran velocità,” dice. “In sella ad una lumaca,” continua seria. “Ha pure alzato il dito medio…”
“Cosa?” Bella mi sta forse prendendo in giro per la mia guida?
“Te lo giuro, ci ha mandato a quel paese…”
Ragazzina impertinente... Mi sta decisamente prendendo in giro per la mia guida!
Non so se offendermi o meno. Poi guardo il tachimetro. Effettivamente 38 miglia orarie non sono un granché.
“E così la tua amica tartaruga ci ha mandato a quel paese…”
“Sì.”
“Ha alzato il dito medio verso di noi…”
“Oh, sì.”
“Bene,” dichiaro convinto. “Ora passo in quarta, la raggiungiamo, la sorpassiamo, e sarai tu a farle il dito!”
Ci guardiamo per un attimo, poi scoppiamo a ridere.
Siamo due scemi.
Credo che questa sarà la serata più bella della mia vita.



 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Lo so, ci ho messo un'eternità. Ma ultimamente ho poco tempo per scrivere (sigh).  
Spero che il capitolo vi piaccia (uno dei primi che ho "concepito" quando ho avuto l'idea di questa storia)!
Attendo le vostre considerazioni ;-)
Besos,
Opunzia






Capitolo 8
 
Avrei dovuto saperlo; avrei dovuto immaginare che, presto o tardi, quel poco di sicurezza conquistata con tanto impegno durante le ultime settimane mi avrebbe abbandonato, e che sarei stato colto da un attacco di panico.
Avrei dovuto preventivarlo, e mi sarei dovuto preparare ad un momento simile. Invece non l’ho fatto. Al contrario, ho totalmente dimenticato chi sono. Concentrato com’ero a rifarmi il guardaroba, studiare un nuovo taglio di capelli, riflettere se iniziare o meno a portare le lenti a contatto, ma, soprattutto, gestire quell’invasata di Rosalie Hale ed impedirle di trasformarmi nel suo personale bambolotto, ho scordato di essere Edward Cullen, il ragazzo più timido ed impacciato attualmente residente sul pianeta terra. E, cosa ben più grave, ho scordato che la festa di stasera è un ballo, e che io non so ballare.
Come ho fatto a dimenticarlo? Non lo so, non me lo spiego. Eppure è così. Ho trovato il coraggio di chiedere alla ragazza che amo di uscire con me (anche se, praticamente, è stata lei a spingermi a farlo), e dove la porto? Ad un ballo. Un ballo! Scelta solo in apparenza astuta. In fondo una della passioni più grandi di Bella è proprio danzare. Non potrebbe non divertirsi ad una festa simile.
Ma io non ho mai ballato in vita mia! Nemmeno so da dove si comincia. Perché non l’ho mai fatto, neppure nel privato della mia camera da letto. Il massimo che riesco a fare è muovere la testa su e giù a tempo, o picchiettare una mano su una coscia seguendo il ritmo della musica. Nient’altro.
Come posso affrontare una serata simile? Come posso intrattenere una ragazza che ha studiato danza per anni e che coreografa quasi tutte le esibizioni del gruppo di cheerleader di cui fa parte?
Farò la figura del fesso. Bella capirà quanto sono noioso ed imbranato, e mi lascerà ancor prima di aver iniziato a stare con me in modo serio. Poco importa che lei mi trovi dolce e sensibile. Poco importa che lei mi consideri un ragazzo interessante e dotato di un’intelligenza superiore. Bella ha diciassette anni ed è una ragazza sveglia e piena di vita. Il tipo di ragazza che scappa di casa per andare a vedere un concerto dei Pearl Jam a Seattle. Può una forza della natura come lei sopportare una lagna come il sottoscritto? Non credo proprio.
Ed io che speravo di trovare il coraggio di baciarla… Che illuso.
 
“Edward, va tutto bene?”
Sento la voce di Bella. O meglio, sento una voce femminile che mi chiede se sto bene e penso sia quella di Bella. Ma non ne sono del tutto sicuro. La mia mente è altrove. È concentrata su quel momento, neanche troppo lontano, in cui la ragazza che amo mi chiederà di portarla a ballare, ed io dovrò scegliere tra: A. dirle di no e deluderla, e B. trascinarla in mezzo alla pista, iniziare a muovermi con la stessa grazia di un ippopotamo e deluderla.
Gran bel dilemma…
Forse dovrei prendere in considerazione l’opzione C.: scappare a gambe levate e trovare rifugio in un altro paese; in Messico, ad esempio. Dicono cose meravigliose del Messico (narcos a parte).
“Edward… Edward, mi senti?”
La voce continua a chiamare il mio nome e a chiedermi come sto, se sono presente, se sono lì con lei. Così abbandono l’enorme cartello montato sopra il portone della palestra e che dice Be my Valentine – The Ultimate Dance Party, mi volto verso la voce, e vedo Bella che mi osserva con l’aria perplessa. “Edward, cosa c’è che non va?” chiede.
Mi guardo intorno, leggermente disorientato, e mi rendo conto di essermi bloccato in mezzo al vialetto che conduce alla palestra e di aver costretto Bella a fare altrettanto.
“No… no, nulla…” balbetto, grattandomi la nuca. “Va… va tutto bene, scusa.”
“Ne sei sicuro, Edward?” Bella solleva le nostre mani intrecciate e me le mostra. “Te lo chiedo perché mi stai stritolando le dita…”
Oh, santo cielo… è vero! Nell’istante esatto in cui ho adocchiato quel minaccioso “The Ultimate Dance Party” ho realizzato che la festa di stasera è un ballo e mi è preso il panico. Mi sono bloccato in mezzo al vialetto e, del tutto inconsciamente, ho iniziato a stringere la mano di Bella, in cerca di non so quale genere di conforto.
“Oddio, scu-scusa!” Istintivamente le lascio la mano e mi rendo conto che la mia, oltre che fredda, era pure un po’ sudata. Che schifo, che figura…
“Edward, sicuro che-” Bella prova a capire cosa sta succedendo, ma io l’interrompo.
“Sì… sì…” cerco di tranquillizzarla. “Va tutto bene.” E per dare più forza alle mie parole faccio qualche passo in direzione della palestra. “Andiamo,” le dico ostentando una calma che non ho. “Gli altri ci aspettano.”
Ma Bella non mi segue. Così mi volto e la vedo immobile, esattamente dove l’ho lasciata. Tiene le braccia incrociate di fronte a sé e mi guarda con sospetto, per nulla convinta che le stia dicendo la verità.
“Bella,” insisto. “Va tutto bene, dico sul serio.” Abbozzo anche un sorriso, nell’inutile tentativo di sembrare più convincente. Bella non ci casca, però. Ha imparato a conoscermi bene, in queste ultime settimane. Ha imparato a capire ed interpretare ogni mio più piccolo gesto, a comprendere ogni inflessione della mia voce. Di fronte a lei è come se fossi nudo. Sempre.
“No, non va tutto bene,” dice. Poi si avvicina, mi prende per mano, e mi costringe a seguirla nel prato, in una zona più appartata. Per poter parlare con più tranquillità, ma anche per non intralciare il passaggio degli altri studenti che stanno arrivando alla spicciolata e che, per colpa nostra, sono costretti a passare in mezzo alle aiuole.
“Allora,” chiede prendendomi entrambe le mani e stringendole nelle sue. “Me lo dici che cos’hai? Cosa ti è preso, poco fa?”
Bella mi scruta, con grande attenzione, i meravigliosi occhi scuri e tranquilli fissi su di me. Per un attimo valuto di dirle la verità. Che vuoi che sia, in fin dei conti? Perché la cosa dovrebbe farmi tanta paura? Il fatto è che non voglio deluderla. Non voglio che l’imbranato che c’è in me abbia la meglio e prenda il sopravvento anche stasera. Voglio essere forte, coraggioso. La sola idea mi riempie di angoscia, ma se devo ballare, ballerò. Anche se non so come si fa. Anche se tutti mi guarderanno. Anche se tutti rideranno di me e di quanto sono goffo e sgraziato. Così mento spudoratamente.
“Bella, te lo ripeto… va tutto bene… Non c’è bisogno che ti preoccupi…”
Bella, ovviamente, non ha intenzione di lasciar correre. “Edward, non fare così. Non mentire…”
“Non ti sto-”
“Invece sì!”
Continuiamo a tenerci per mano, le braccia distese di fronte a noi. Siamo vicini, un solo passo ci separa. È buio, una grossa quercia ci protegge e siamo lontani da tutto e da tutti. Potrei aprirmi, dirle cosa mi turba. Mentire non serve a niente, Bella ha capito che qualcosa è scattato nella mia testa e che mi sto chiudendo a riccio. Tuttavia questa consapevolezza non mi aiuta. Mi stringo nelle spalle e non dico nulla. Mi limito a stringerle le mani e a ricambiare il suo sguardo, cercando conforto nel suo tocco delicato e nei suoi occhi sereni.
“Edward, così non va,” dice scuotendo la testa, ma senza abbandonare i miei occhi.
“Che vuoi dire?”
“Edward, so che sei timido, che spesso ti è difficile aprirti e dirmi ciò che provi. Ma io non posso continuare ad indovinare i tuoi sentimenti! Devi fidarti di me, devi essere sincero, o le cose tra noi non potranno funzionare.”
Bella ha ragione. Anche se lei mi capisce, anche se sembra essere l’unica ad aver intuito chi è il vero Edward Cullen e come funziona la mia mente, non posso continuare a pretendere che mi legga nel pensiero, che sappia come interpretare le mie mezze parole, i miei sguardi enigmatici od i miei silenzi, per quanto eloquenti possano essere. Ho deciso di crescere, di diventare un uomo. Questo implica prendersi delle responsabilità, affrontare la vita di petto, dire ciò che sento, cosa voglio o non voglio. Sempre. Anche se comporta dei rischi, anche se questo significa deludere la ragazza di cui sono follemente innamorato. Bella mi capisce, ma ci conosciamo da poco. Ci sono ancora tante, tantissime cose di me che non sa. Un milione di difetti che ancora ignora. Se davvero voglio dar vita ad una relazione seria con lei devo essere sincero. Anche a costo di perderla.
“Io… io non so ballare…” le confesso in un sussurro, distogliendo lo sguardo ed iniziando a fissare il terreno.
“Cosa?” chiede. Bella non sembra stupita, però. Davvero non ha capito ciò che ho detto. Il tono della mia voce era talmente basso che non mi ha sentito.
Mi schiarisco la voce e ricomincio da capo. “Io,” ripeto, questa volta con più convinzione e cercando di sostenere il suo sguardo. “Io non so ballare.”
“E?” Bella mi osserva, in attesa, come se la mia confessione non fosse finita, come se dovessi aggiungere un’altra scottante rivelazione. Ma io non ho nient’altro da aggiungere. Ho diciassette anni e non so ballare. Non ho mai ballato. Sono un imbranato, un incapace, un inetto completo. E, a questo punto, uno stupido, in quanto pretendo di conquistare una ballerina quasi professionista con le mie pressoché nulle capacità motorie. È talmente ridicolo che mi sembra già abbastanza per scavarsi una fossa e sotterrarcisi.
“Come ‘E?’, Bella, non hai sentito quello che ti ho detto? Non so ballare!”
“Sì, ti ho sentito. Te lo ripeto. E?”
Mi stringo nelle spalle. Bella non capisce eppure a me sembra tutto così lampante. “E… niente,” le spiego. “La festa di stasera è un ballo ed io non so ballare. Non ho mai ballato in vita mia. Ti annoierai a morte con me. Mi dispiace.”
Bella aggrotta la fronte, scettica. “Edward,” chiede. “È questo ciò che ti turba? Pensi che io mi possa annoiare con te? Solo perché non sai ballare?”
“Beh, sì…”
Di fronte alla mia ammissione, Bella scuote leggermente la testa ed assume un’espressione a metà tra lo sconsolato e il divertito. “Edward,” dice sorridendo. “Credevo fosse chiaro, ma evidentemente non lo è. Io non sono qui per ballare, non mi importa nulla di questa festa.”
“Ah, no?” Che significa che non le importa nulla. Credevo che andasse matta per questo genere di aventi. L’ho vista lavorare con Alice in questi ultimi dieci giorni. Era al settimo cielo. E poi adora esibirsi con le cheerleader. “Io credevo… Beh, so che ami la danza…”
“Certo, Edward,” spiega con infinita pazienza, e stringendo ancora più forte le mie mani fredde. “Adoro ballare, mi piace da morire! Ma stasera sono qui per te. Voglio stare con te, passare un po’ di tempo assieme. Lontano dai libri, lontano dai compiti a casa, lontano dalle responsabilità… Tu no?”
Certo che sì, Bella. Anch’io sono qui per te. Perché stare con te è ciò che sogno da sempre. Solo non riesco ad abituarmi all’idea di piacerti così tanto. Non riesco a credere che tu mi possa desiderare allo stesso modo in cui io desidero te. E saperlo, sentirti dire senza vergogna né timore ciò che provi per me, rappresenta ogni volta uno shock. Fatico a crederlo. Temo si tratti di un sogno.
“Sì… sì, certo…” farfuglio. Attanagliato da mille dubbi ed incertezze, mi stacco da lei ed inizio a gesticolare in modo scomposto. “Oddio, so di non essere bravo… voglio dire… con le parole… a dire ciò che provo… per me è… Lo sai che io… Insomma, io voglio solo che tu ti diverta, voglio che tu sia felice... non voglio annoiarti…”
Bella fa un passo nella mia direzione e cattura nuovamente le mie mani. Amo il suo tocco delicato, ed amo il calore della sua pelle. È un balsamo, il miglior tranquillante che io conosca. “Lo sono, Edward,” spiega cercando il mio sguardo, nel tentativo di calmarmi. “Sono felice. Potrei non esserlo? Sono qui con te e non vorrei essere da nessun’altra parte. Sono sicura che sarà una serata bellissima. Anche se non sai ballare.”
“Dici sul serio?” chiedo per l’ennesima volta. “Davvero non ti importa?”
Bella sorride. “Edward. Ti ho visto durante l’ora di ginnastica. Sapevo che non sarei uscita con Fred Astaire!”
“Ah…” Bella sta solo cercando di sdrammatizzare, ma io mi sento ancora più inadeguato.
“Andiamo!” sbuffa divertita vedendo la mia espressione leggermente offesa. “Non fare quella faccia!” E poi aggiunge ammiccando: “E comunque ti posso sempre insegnare io…”
“A ballare?!” esclamo come uno stupido. Cos’altro dovrebbe insegnarmi? A lavorare a maglia?
“Certo! Hai a disposizione la migliore ballerina di Forks. Vuoi non approfittarne?”
“Ehm… ecco… io… Dovrò ballare di fronte a tutti?”
Bella mi lancia uno sguardo perplesso. Come darlo torto, dopotutto? Continuo a farle delle domande idiote! “Beh, sì,” spiega. “È una festa, questa è l’idea…”
Ballare? Io? Di fronte a tutti? Non esiste. “Mi vergogno!”
“E di cosa?!”
“Non lo so… io non… mi sento così goffo ed impacciato! Te l’ho già detto che non ho mai ballato?”
“Almeno un centinaio di volte…” sospira alzando gli occhi al cielo.
“Ti pesterò i piedi. O ti darò una spallata, o una gomitata… Mi hai visto durante l’ora di ginnastica…”
“Correrò il rischio,” dichiara sicura.
“Io non so se-”
“Edward,” mi interrompe. “Non dobbiamo ballare per tutto il tempo! Non ho intenzione di trascinarti in mezzo alla pista e trasformarti in Tony Manero! Non voglio insegnarti dei passi o una delle mie coreografie! Solo a muoverti cercando di sentire la musica. Possiamo iniziare da un lento…”
“Un lento?”
“Esatto, un lento. Non conosco la scaletta del deejay, ma sono sicura che ci saranno dei lenti. I lenti sono facili. Devi solo abbracciare la persona che ti sta di fronte e dondolarti un po’…”
“Don-dondolarti?”
L’idea di abbracciare Bella e dondolarmi con lei mi provoca i sudori freddi. Ma l’immagine del suo corpo vicino al mio, per quanto allettante, non mi distoglie dalla mia incomprensibile missione suicida: affossare Edward Cullen.
“E poi che faremo?” chiedo. “Una volta terminati i lenti, intendo. Resteremo seduti per tutto il tempo? Ti annoierai…”
Dio, ma che sto facendo? Ho confessato a Bella che ha a che fare con un imbranato completo, a lei non interessa minimamente - anzi, sembra che non le importi altro se non passare un po’ di tempo assieme - ed io che faccio? La respingo, e cerco ogni scusa per mettermi in cattiva luce. Sono un pazzo… un pazzo!
Mi aspetto che Bella sbotti, in preda alla frustrazione. Lo ha già fatto una volta, e non potrei biasimarla. Lei detesta quando parlo di me in termini negativi. Invece china la testa da un lato e mi sorride, più con gli occhi che con la bocca. Si morde il labbro inferiore e dice: “Troveremo un modo per riempire il tempo…”
Un modo per riempire il tempo? Oh, santo cielo! Oh, Signore onnipotente! È un sottinteso? Bella sta chiaramente alludendo a…? E mentre lo fa si avvicina e…? Oddio… Oddio!
Deglutisco rumorosamente e prendo un bel respiro, nel vano tentativo di calmare il mio povero cuore impazzito. Pompa così forte che temo possa sfondare la cassa toracica, schizzarmi fuori dal petto e colpirla in faccia.
Sta per accadere? Bacerò Bella? Santo cielo… Io non lo so se sono pronto! Però lei è così vicina… ed è così calda e bella e profumata… Il buio ci avvolge, gli altri sono lontani… Perché dovrei avere paura? Il mio sogno più grande si sta per realizzare. Finalmente le mie labbra si poseranno sulle sue. Finalmente sentirò quanto sono morbide. Finalmente sentirò il loro sapore, sentirò il tocco della sua lingua, sentirò…
“Ragazzi!” La voce squillante di Rose ci interrompe. “Ragazzi, siamo qui…”
Ci voltiamo entrambi, leggermente interdetti, e vediamo Rose avanzare decisa, trascinando Emmett con sé. Sono elegantissimi, esattamente come lo siamo noi. Emmett indossa uno smoking come il mio, e Rose un vestito a ruota molto simile a quello di Bella, ma color blu notte e con due sottili spalline.
Non appena li vede, Bella mi lascia le mani, ed è come se mi mancasse la terra da sotto i piedi. “Tempismo perfetto…” la sento sibilare mentre incrocia le braccia.
Rose ed Emmett ci hanno quasi raggiunto. “Che ci fate lì al buio?” chiede lui.
Bella non è per nulla contenta. Borbotta qualcosa di incomprensibile – forse una parolaccia? – e poi aggiunge: “… domanda cretina. Cosa non facciamo…”
Essere stati interrotti è decisamente antipatico. Ma l’espressione corrucciata di Bella è molto divertente, lo ammetto.
“Che hai detto, Bella?” chiede Rose.
Lei scuote la testa ed alza gli occhi al cielo. “Niente…” sbuffa a voce un po’ più alta, di modo che i nostri amici possano sentirla. “Solo esprimevo il mio totale disappunto per essere stati interrotti sul più bello da due guastafeste ficcanaso!”
Interrotti sul più bello?! Guastafeste ficcanaso?! Ma che sta dicendo? Bella è forse impazzita? Dove trova la faccia tosta per parlare così liberamente della nostra intimità? Ok, si tratta di Rose ed Emmett. Ok, sono amici nostri. Ma perché dovremmo informarli in tempo reale dei nostri progressi? È inopportuno! Credo…
Nel frattempo Rose ed Emmett ci hanno raggiunti, e, vedendo le nostre facce, si redono conto di aver interrotto un momento speciale.
“Ops…” esclama Rose portandosi una mano alla bocca. “Scusate… Scusa Edward, non avevamo capito che… insomma… saremmo stati di troppo…” Sembra sinceramente dispiaciuta ed il suo sguardo, mortificato, passa da Bella a me, e viceversa. Ma indugia più che altro sul sottoscritto, sicuramente memore dell’imbarazzante conversazione sul ‘primo bacio’ che abbiamo avuto ieri al negozio di abiti usati.
Emmett, invece, sghignazza divertito e mi molla una vigorosa pacca sulla schiena. Ahia!
“Hey, Cullen! Wow, nuovo taglio di capelli… fico…” esclama strizzandomi l’occhio. E poi, cingendomi una spalla con il suo braccio possente, aggiunge: “Allora, anche tu sei come tutti noi comuni mortali!” dice con fare complice. “Trascini le ragazze in luoghi bui ed appartati per palpeggiarle… Sporcaccione!”
Ma come ‘sporcaccione’?! Io non sono uno sporcaccione! Non ho palpeggiato nessuno! Non ho fatto nulla! Niente di niente!
“Cosa?!” esclamo. “No… non… Emmett, non è come pensi…” dico. Sento il disperato bisogno di giustificarmi, e non capisco il perché. Anche se avessi fatto lo ‘sporcaccione’ – e non l’ho fatto – per quale ragione ad Emmett dovrebbe importare? E per quale motivo dovrei rendergliene conto?
Bella, invece, non si smentisce. Mi vede annaspare, e così decide di mollargli un pugno su una spalla. “Idiota!” dice ad Emmett. “Sei il solito cretino!”
“Bella!” esclama Rose. “Lascia stare il mio uomo!”
“E tu di al tuo uomo di lasciare in pace il mio!”
“Beh, il tuo uomo può difendersi da solo, se crede. Non c’è bisogno di alzare le mani!”
Oh santo cielo… io sarei l’uomo di Bella, adesso? Non ci siamo ancora baciati e sono già il suo uomo... Qui si sta correndo un po’ troppo.
Rose e Bella si guardano in finto cagnesco per qualche istante, ma è chiaro che nessuna delle due è realmente arrabbiata. Stanno giocando ed a stento trattengono una risata.
“Cos’è questo?” chiede Rose ad un certo punto, afferrando il braccio di Bella. Lo fa con noncuranza, ma la conosco. Un piccolo e raffinato bouquet da polso è una finezza che un’appassionata di moda come Rose non può far passare inosservata.
Il volto di Bella cambia immediatamente espressione. “Me l’ha regalato Edward!” dichiara con orgoglio. Le brillano gli occhi ed io mi sciolgo come neve al sole, vedendola. “L’ha preparato sua madre. Non è bellissimo?”
Rose è altrettanto entusiasta. “Divino!” esclama con occhi sognanti e sfiorando con le dita le roselline bianche. “E così profumato…” aggiunge, avvicinando il polso di Bella al proprio naso.
Io mi sento profondamente in imbarazzo. Tuttavia adoro questa sensazione di pienezza. Mi sento fiero, mi sento come se fossi l’ultimo degli eroi romantici. E mi piace. Ancora di più quando Rose rimprovera Emmett.
“Perché non mi hai regalato un bouquet da polso?” chiede mettendo il broncio. “Stiamo insieme da due anni, siamo stati ad un sacco di feste. Mai una volta che tu mi abbia fatto un regalo simile.”
Emmett sbatte un poco le palpebre, confuso. Poi si volta nuovamente nella mia direzione, e mi lancia uno sguardo omicida. Ma non mi fa paura. Non ce l’ha veramente con me.
“Bel colpo Cullen,” mi rimprovera, puntando il dito. “Mi hai fatto fare una figuraccia! Per questa volta ti perdono, perché sei un novellino e volevi fare colpo sulla tua ragazza. Ma ricorda: mai concedere troppo ad una donna. Mai. Soprattutto se a rimetterci sono i tuoi amici…”
“Scusa, Emmett,” dico allontanandomi da lui ed avvicinandomi a Bella. “Ma la mia ragazza viene prima di tutto, anche dei miei amici.” Lo dico in tono scherzoso, ovviamente. Ma lo dico, lasciando Bella – e me stesso - a bocca aperta. Certe volte mi sento come Dr Jekyll e Mr Hyde. Fino a pochi istanti fa piagnucolavo come un moccioso all’idea di ballare in pubblico. Ora me ne esco con queste frasi ad effetto stile scatola di cioccolatini. Sono un vero mistero irrisolto.
“Andiamo?” chiedo a Bella, prendendole la mano. “Alice e gli altri ci aspettano.”
Lei annuisce e ricambia il mio sorriso. Poi, seguiti da Rose ed Emmett, abbandoniamo il prato e ci dirigiamo verso l’ingresso della palestra.
 
Alice ed il comitato studentesco hanno fatto le cose in grande. L’intera palestra è addobbata con palloncini rosa e rossi a forma di cuore, sfere stroboscopiche che creano strani ma affascinanti giochi di luce, ed enormi stampe in stile Andy Warhol che immortalano le più famose leggende del cinema hollywoodiano degli anni cinquanta: Marilyn Monroe, ovviamente. Ma anche Marlon Brando, James Dean, Doris Day, Sandra Dee, Rock Hudson, Elizabeth Taylor…
Entrambi i canestri sono stati rimossi. Da un lato è stato fatto spazio ad un palco in legno dove una band suona dal vivo puro rock’n roll anni cinquanta, facendo scatenare i numerosi studenti che affollano la pista da ballo centrale. Sul lato opposto, invece, ci sono svariati tavoli decorati con tovaglie rosse e centrotavola fioriti, ed un bar dov’è possibile prendere da bere e da mangiare.
Vedendo questo posto, penso che i dieci dollari del biglietto sono una cifra irrisoria. Come sono riusciti a trasformare la palestra in questo modo in così poco tempo, e con così poco denaro?
Soprattutto, cosa organizzeranno per il ballo di fine anno? Mi pare impossibile eguagliare lo splendore di questa serata.
Ci guardiamo intorno, felici ed emozionati, impazienti di dare inizio alla festa (beh, sì, lo ammetto: io sono ancora un tantino nervoso all’idea di dover ballare… Anzi, no: terrorizzato). Poi andiamo a consegnare i nostri biglietti.
Alla biglietteria troviamo una Alice indaffaratissima, ed un tantino nervosa, affiancata dal solito Jasper: tranquillo e supercool. Lo smoking di Jasper differisce dal mio e da quello di Emmett solo per il colore del papillon, bordeaux, così come la fascia che porta in vita ed il fazzoletto infilato nel taschino. Ancora sotto l’influenza dei giorni passati con Rose, non posso fare a meno di notare che  questa tonalità di rosso scuro è la stessa del vestito di Alice. Anche lei indossa un’ampia gonna a ruota, ma il corpino del suo abito, al contrario di quello delle sue migliori amiche, non le lascia le spalle scoperte, avendo due maniche a palloncino.
“Ciao, tesoro,” la saluta Bella allungandosi oltre il bancone e dandole un bacio sulla guancia. “Come sta andando? Tutto bene?”
Alice corruga la fronte. “Sì… cioè, no…”
“Come no?” le chiede Rose. “A me sembra che vada tutto bene. C’è un sacco di gente!” E poi aggiunge, guardandosi attorno soddisfatta: “Sono tutti molto eleganti!”
È vero, la palestra è piena. Quasi tutti hanno rispettato la rigida etichetta imposta dal comitato studentesco (ballo formale), e sono tirati a lucido. Solo pochi elementi hanno optato per qualcosa di più casual, ed hanno l’aria di provenire direttamente dalla scena finale del film Grease, quella dove Sandy e Danny cantano il loro amore in compagnia di tutte le Pink Ladies e di tutti i T-Birds.
“Innanzi tutto James ed i suoi amici scemi sono tra noi…” dice Alice, come se stesse parlando di esseri alieni appena giunti dallo spazio.
“Li avete fatti entrare!” esclama Emmett incredulo.
Jasper allarga le braccia, rassegnato. “Per forza,” spiega. “Sono degli imbecilli, ma hanno pagato il biglietto. Giorni fa. Non possiamo allontanare nessuno che abbia già pagato. Il preside non lo ammetterebbe.”
“Sì, ma si tratta di James, Victoria e Laurent,” interviene Bella, scandalizzata. “Quelli sono capaci di rovinare la serata…”
“Fino ad ora non hanno fatto nulla,” sbuffa Alice scostandosi una ciocca di capelli dalla fronte. “E poi ho altro a cui pensare.”
“Cosa?” chiede Rose preoccupata. “Che problema c’è?”
“Angela e Mike sono malati. Influenza,” spiega Alice mentre aiuta Jasper a ritirare i biglietti di alcuni studenti appena arrivati. “Eric e Jessica hanno deciso di restare a casa e far loro compagnia.”
“E?” chiede Emmett, non capendo come l’assenza dei nostri compagni di scuola possa rappresentare un problema.
“Erano le due coppie che dovevano fare a turno al bar,” spiega Jasper. “Jake e Leah li stanno sostituendo, per ora. Ma non possono restarci per tutta la sera-”
“Ci pensiamo io e Bella,” intervengo a sorpresa, senza neppure rifletterci. Tutti si voltano nella mia direzione, stupiti. Generalmente non sono un uomo d’azione, e non prendo mai delle iniziative. “Voglio dire,” aggiungo arrossendo e grattandomi la nuca. “Io… io vorrei dare una mano… E tu, Bella? Che ne dici?”
Voglio coinvolgerla, non voglio essere io a decidere per entrambi. Magari non se la sente. Magari ha in testa dell’altro. Anche se passare del tempo al bar ci aiuterà a riempire gli spazi morti ed allontanerà il momento atroce in cui dovrò scendere in pista.
Bella annuisce, pensierosa. “Sì, credo di sì… certo, ci pensiamo noi,” dice.
Spero ne abbia voglia sul serio, così cerco di nuovo la sua approvazione: “Bella, se non vuoi-”
“No!” mi rassicura immediatamente, regalandomi un sorriso. “Sarà divertente vederti nei panni di Brian Flanagan!”
“Chi?”
“Tom Cruise? Cocktail?”
Scuoto la testa, senza capire. Credo che Bella si stia riferendo ad un film degli anni ottanta, se non altro perché ha citato Tom Cruise.
“Ok, lascia perdere…” dice lanciandomi uno sguardo scettico, ma divertito. E poi, rivolgendosi ad Alice: “Tranquilla, diamo noi il cambio a Jake e Leah.”
Gli occhi di Alice si illuminano all’istante. “Oh, ragazzi,” esclama visibilmente sollevata, ed accennando un piccolo applauso. “Grazie, grazie, grazie! Edward, ti adoro!” Poi si rende conto che in me c’è qualcosa di diverso. Mi guarda come se mi vedesse per la prima volte e dice: “Oh, mio Dio…Ti sei tagliato i capelli!”
“Sì…” borbotto imbarazzato, arrossendo un poco e portandomi una mano alla nuca.
Santo cielo! Quando disimparerò questo ridicolo tic?
“Stai benissimo, sul serio…”
“Grazie, Alice.”
Jasper non dice nulla, ma mi strizza l’occhio, segno che anche lui approva.
Poi Alice ritira i nostri biglietti e, in cambio, ci regala un timbro a forma di cuore sul dorso della mano - segno che abbiamo pagato e che non siamo degli intrusi -  ed un paio di buoni ciascuno per ritirare da bere e da mangiare.
Emmett e Rose scendono subito in pista. Io e Bella raggiungiamo Jake e Leah al bar.
“Ciao, Bella! Ciao, Edward!” Leah ci accoglie con un caldo sorriso, mentre serve dei drink analcolici ad alcuni ragazzi. “Finalmente siete arrivati!”
“Ciao, Leah!” Bella corre dietro il bancone, attende che l’amica finisca il proprio lavoro, e poi l’abbraccia. “Mio Dio! Sei bellissima,” le dice prendendole le mani e contemplandola da capo a piedi.
È vero. Leah è bellissima. Il suo vestito è molto semplice, un tubino nero, molto stretto, lungo fin oltre il ginocchio. Potrebbe sembrare ad Audrey Hepburn, se non fosse per la pelle ambrata ed il lunghi capelli neri che le scendono lungo la schiena.
“Grazie, Bella.  Anche tu sei bellissima. Ed anche tu, Edward,” aggiunge vedendomi sbucare oltre le spalle di Bella. Ovviamente non può non notare il mio nuovo look. “Ti sei tagliato i capelli! Stai bene!” 
Sorrido, in segno di ringraziamento. Non c’è tempo per i complimenti, però. Jake sopraggiunge facendo roteare bicchieri e bottiglie per aria. Sembra un giocoliere. “Bella, come mi vedi nei panni del buon vecchio Flanagan?” chiede senza nascondere l’orgoglio per tanta destrezza.
Bella scoppia a ridere, insieme a Leah. “Da urlo!” risponde alzando il pollice verso l’alto.
Ecco. Loro sanno chi è Flanagan. Io no. Sono il solito sfigato.
“Siamo qui per darvi il cambio…” intervengo.
“Scherzi, Cullen? Mi sto divertendo come un matto. Ho trovato la mia strada nella vita…”
Il barman?! Bah… Contento tu…
A quanto pare Jake vuole passare la serata al bancone del bar, ma io non voglio farmi cacciare. Devo trovare un modo per passare il tempo. Preferibilmente un modo che non contempli la danza. Versare da bere e distribuire panini preconfezionati, patatine e tartine mi sembra molto meno pericoloso.
Così ci riprovo. “Jake, avrete sicuramente voglia di-”
“Ne parliamo dopo, Cullen. Ho dei clienti.” E così dicendo si sposta in direzione di alcuni ragazzi che reclamano da bere a gran voce.
Uffa.
“Ragazzi, voi volete qualcosa?” chiede Leah.
Bella si volta verso di me. “Edward?”
“Sì. Va bene… va bene quel cocktail analcolico che stavi servendo poco fa, Leah. Grazie.”
“Due,” dice Bella passandole i nostri buoni.
Leah ci offre due bicchieri stracolmi e poi ci saluta. “Ci vediamo dopo.” Sembra divertirsi tanto quanto Jake al bancone del bar, e a noi non resta che cercare un tavolo.
Trovarne uno è facilissimo: sono quasi tutti liberi. Gli altri studenti preferiscono fare cose divertenti, tipo ballare. Ma gli altri studenti non sono come me.
Ci sediamo ed improvvisamente cala il silenzio. Non sono un chiacchierone, tuttavia tra me è Bella non è mai stato difficile comunicare. Lei ha sempre mille cose da raccontare, mille domande da farmi. Ora, invece, Bella tace, ed io non riesco a trovare alcun argomento di conversazione. E più il silenzio perdura, peggio è. L’ansia cresce e non posso fare ameno di chiedermi cosa stia succedendo. Perché stare vicini è diventato così difficile? È vero, la musica alta non favorisce la conversazione. Ma non è la prima volta che restiamo insieme senza parlare. Fino ad ora non è mai stato un problema. Al contrario. Perché, di punto in bianco,  è diventato così imbarazzante? Pare che la vera intesa tra due persone si realizzi quando non c’è bisogno di riempire gli spazi vuoti con parole inutili e vacue. Possibile che tra me e Bella sia diventato tutto così difficile?
Non so a cosa pensa, e la cosa mi riempie di angoscia. Guarda la pista, muove la testa a tempo con la musica, sorseggia il suo cocktail. Di tanto in tanto si rivolge a me per dirmi qualcosa (innocui commenti sui nostri compagni, sul modo in cui ballano o su come sono vestiti, sulle decorazioni della palestra…). Io le rispondo a monosillabi, ma spesso non capisco. Devo avvicinare l’orecchio e chiederle di ripetere, di urlare per farsi sentire, perché la musica è troppo alta.
Santo cielo… è un disastro! Lo sapevo. Sapevo che si sarebbe annoiata con me. Che avrei reso la serata di Bella uno schifo totale. Ne ero sicuro. Ed ora, come da copione, i miei timori peggiori si stanno realizzando.
Forse siamo solo tesi per via di quello che, presumibilmente, accadrà più tardi. Io lo sono di sicuro. Ma Bella? Prima, di fronte a Rose ed Emmett, non ha mostrato un briciolo di vergogna. È davvero possibile che sia nervosa per quel bacio che stiamo entrambi aspettando? Lo trovo così strano. Lei è molto più forte e coraggiosa di me.
Mentre medito su come uscire da questo momento di impasse, Rose saltella a ritmo di musica nella nostra direzione. L’accompagna Alice, che ha affidato la gestione dell’ingresso alla festa ad un altro membro del comitato studentesco.
“Bella,” urla Alice. “Che ci fai lì? Vieni a ballare!”
Il gruppo sul palco è davvero bravo. Mischiano pezzi rock anni cinquanta ad altri più moderni e contemporanei. Ora, ad esempio, stanno proponendo le canzoni più belle e famose della colonna sonora di Grease.
Bella si volta verso di me per un attimo, prima di rispondere. “Ehm… magari… magari più tardi, ragazze.”
“Non dire idiozie! È da venti minuti che siete seduti lì, senza muovervi. Vi state perdendo il meglio!” Rose le prende la mano e cerca di trascinarla con sé, ma Bella si divincola.
“Resto qui con Edward.”
Alice insiste. “Bella, andiamo… Edward, muovi il culo!”
“Dico sul serio, vi raggiungiamo dopo…” Bella lancia uno sguardo eloquente alla sua amica. Alice capisce al volo, perciò non insiste. Che strano. Sembra che stiano comunicando telepaticamente.
“Come vuoi,” sbuffa alzando le spalle. Poi prende sotto braccio Rose, ed entrambe tornano saltellando sulla pista, da Emmett e Jasper, scatenati in un ballo frenetico.
Io mi sento uno schifo. È trasparente come l’acqua che Bella ha una gran voglia di alzarsi da questa sedia, raggiungere i suoi amici e, finalmente, lasciarsi andare e divertirsi. Io, invece, la costringo qui, a rigirarsi i pollici. Sono un essere inutile. Amorfo.
Tuttavia c’è una cosa che posso fare.
“Bella,” dico avvicinandomi al suo orecchio. “Puoi andare a ballare, se vuoi. Io ti aspetto qui.”
Lei scuote la testa, decisa. “No,” dice. “Non se ne parla. Non voglio lasciarti qui da solo.”
“Ed io non voglio rovinarti la serata! Ti prego, fallo per me. Vai a ballare,” la supplico.
“Ma Edward-” Bella tenta di replicare. Io non glielo permetto.
“Bella, ti raggiungo tra poco,” le dico posandole una mano sulla spalla nuda. “Te lo prometto. Anche se il gruppo non suonerà un lento, ti raggiungerò ugualmente. Dammi solo un attimo…”
Gli occhi di Bella si illuminano. “Dici sul serio?” chiede.
Annuisco, consapevole di averle appena fatto una promessa che non sono del tutto certo di poter mantenere. Ma vederla così felice mi ripaga di tutta quest’ansia che mi attanaglia lo stomaco.
“Ok,” dice dandomi un bacio sulla guancia. “Ti aspetto.”
Bella si alza e si affretta a raggiungere i suoi amici. Non appena è in mezzo a loro comincia a ballare.
Mio Dio… è stupenda. Semplicemente stupenda. Adoro il modo in cui si muove. È così sexy… Sul serio: come posso piacerle? Bella me lo ha spiegato, ed io ho capito ciò che mi ha detto. Tuttavia non la trovo una cosa normale. Lei merita di più, merita il meglio. Io non sono neppure in grado di tenerle compagnia durante una stupida festa!
Resto a contemplarla per un po’,  mentre balla con le sue amiche. Le canzoni si susseguono ed il gruppo lascia spazio ad un deejay che cambia totalmente genere. Bella, di tanto in tanto, si volta verso di me, per capire se ho intenzione di schiodarmi o no dalla mia sedia. Mi sorride, ma non mi fa pressione. Mi piace che non insista, che aspetti che sia io a decidermi ad alzarmi. Sembra volermi regalare tutto il tempo di cui ho bisogno. Ma i pezzi si susseguono, ed io non mi muovo. Così, sulle note di Sexy Back di Justin Timberlake, è lei a venire da me.
Lo chignon è scomparso ed i capelli le scendono, morbidi, lungo la schiena. Un leggero velo di sudore, dovuto allo sforzo, le ricopre la pelle, rendendola quasi iridescente. Le guance sono leggermente arrossate, e gli occhi enormi, bellissimi.
Si avvicina lentamente, seguendo le note della canzone.
“Vieni…” Bella mi prende per mano e mi costringe ad alzarmi. “Andiamo a ballare…”
“Bella, io…”
“Non ci sono lenti in vista, ed io voglio ballare con te. Me lo hai promesso.”
È vero: gliel’ho promesso.
Le brillano gli occhi e sembra non aspettare altro: scatenarsi e lasciarsi andare al ritmo della musica. Con me. Ma io, porca miseria, non so ballare! La sola idea di dimenare il mio corpo cercando di stare a tempo mi paralizza. So di non esserne capace. Soprattutto ho paura che tutti inizino ad osservarmi e a ridere della mia totale mancanza di grazia e coordinazione.
Perciò, malgrado le abbia fatto una promessa, mi tiro indietro. “Bella, non so ballare!” esclamo a voce un po’ troppo alta.
Bella non mi dà retta, e mi conduce in mezzo alla sala, tra decine di corpi  danzanti.
“Non importa…” Sorride e mi passa le mani attorno al collo.
Oh, santo cielo… Non siamo mai stati così vicini. Incollata a me, inizia a muovere i fianchi, seguendo la musica, e mi invita a fare lo stesso. “Lasciati andare, Edward.”
Lasciarsi andare… è una parola! Non riuscirei a farlo in condizioni normali. Come potrei farlo ora? Con lei che si struscia addosso a me e mi guarda come se fossi un pasticcino? Non mi ha mai guardato così. Mai. Nessuna ragazza mi ha mai guardato così, a dire il vero. Leggo il desiderio negli occhi di Bella. E comincio ad avere paura. 
“Bella… per favore… io non…” Sono timido. Sono goffo. Non so ballare. Non so gestire una situazione simile. Non posso. Semplicemente non posso.
“Edward,” continua. Mi sorride maliziosa e si mordicchia il labbro inferiore, avvicinandosi sempre di più, premendo tutto il suo corpo contro il mio. “Ascolta la musica… segui la musica… segui me…”
E per un attimo ci provo. Rapito dai suoi meravigliosi occhi scuri - che non abbandonano per un attimo i miei - ipnotizzato dai suoi lunghi e morbidi capelli ondeggianti, inebriato dal suo profumo,  cerco di essere alla sua altezza. Cerco di essere ciò che lei vuole che io sia. Poso le mie mani sui suoi fianchi – Oh, mio Dio… i suoi fianchi – e tento di seguire il suo ritmo, il ritmo della musica. Ma è troppo difficile. Sento gli occhi di tutti puntati su di noi. Puntati su di me. Li sento pensare e chiedersi: “Che diavolo ci fa Isabella Swan con quel perdente? È ridicolo”.
E poco importa che nessuno ci presti la benché minima attenzione. Che tutti siano impegnati a bere e a ballare e a divertirsi, non certo a guardare noi. Nella mia testa non è così. Nella mia testa stanno tutti ridendo di me.
“Bella, non posso!” esclamo in preda al panico. “Non sono capace!” Mi divincolo dal suo abbraccio e me ne vado. La lascio lì, in mezzo alla sala, esterrefatta ed ammutolita.
Senza voltarmi imbocco la porta e comincio a camminare, finché non sono fuori, nel prato.
Trovo rifugio nell’angolo più buio ed appartato, dove le luci che illuminano il vialetto di accesso alla palestra quasi non arrivano. Mi siedo sul muretto di cinta e comincio a maledire me stesso, la mia timidezza e la mia stupidità. Perché fuggire da Bella, fuggire dalla ragazza che amo, fuggire dalle sue braccia - dal suo corpo - è da stupidi. Vorrei essere come uno dei suoi amici. Vorrei essere forte, spavaldo, sicuro di me. Vorrei essere come Jake, o Emmet, o Jasper. Invece sono solo io. Edward.
Perso nei miei pensieri, non la sento neppure arrivare e sedersi accanto a me. “Scusa,” dice con un filo di voce.
Mi volto verso di lei, senza riuscire a credere che Bella mi abbia seguito. Avrebbe dovuto arrabbiarsi e mandarmi a quel paese. Invece no, lei è qui. Non mi ha abbandonato. Non mi ha lasciato solo. Non lo fa mai.
“Bella…”
“Mi dispiace di averti trascinato in mezzo a tutta quella gente,” si scusa. “Non dovevo.”
“Bella, non mi devi chiedere scusa…”
Non ha senso. Dovrei essere io a farlo, a dirle che mi dispiace di non essere alla sua altezza.
“Invece sì. So che ti mette a disagio stare sotto i riflettori, eppure ti ho trascinato a ballare. Mi dispiace, Edward.”
Non voglio che Bella continui a scusarsi. Lei non ha fatto nulla di male. Voleva solo divertirsi, perché questo è ciò che si fa alle feste. Non è colpa sua se io non sono come tutti gli altri, se non sono normale.
“Bella, non è colpa tua…”
“Volevo solo… starti più vicino,” confessa, la voce appena udibile. Tiene la testa bassa, ed i capelli le coprono il volto, lasciando scoperto solo un piccolo spiraglio del suo profilo.
“Bella…”
Lei alza lo sguardo ed inizia a fissarmi intensamente. Non c’è più malizia, nei suoi occhi, ed il desiderio che leggo è ben diverso da quello che ho visto poco fa in palestra. È uno sguardo carico di speranza ed aspettativa. E di un pizzico di timore.
Se fossi come un qualunque altro adolescente della mia età mi avvicinerei a lei; annullerei la breve distanza che ci separa e con un gesto dolce e naturale la bacerei. Ma io non sono come tutti gli altri. Io sono Edward. E Bella lo sa.
Mentre il cuore mi batte furiosamente nel petto, vedo il volto di Bella avvicinarsi, lentamente. Vedo le sue palpebre chiudersi e la sua bocca posarsi sulla mia. Non so descrivere ciò che provo, quando accade. Le sue labbra sono morbide e calde e sanno di ciliegia. Sono squisite.
Vorrei ricambiare il suo bacio. Vorrei che quel tocco delicato diventasse qualcosa di più intenso. Vorrei prenderle il volto tra le mani. Vorrei accarezzarla, lasciar scorrere le mie dita sulla sua pelle, o  tra i suoi lunghi e morbidi capelli. E più di ogni altra cosa vorrei sentire la sua lingua.
Invece me ne resto lì, pietrificato, con gli occhi spalancati.  Penso che l’unica volta che ho baciato una ragazza è stato due anni fa, ad una festa di compleanno. Lei si chiamava Jane, era di due anni più vecchia, era ubriaca, e quando mi è saltata addosso pensava fossi un altro. Io l’ho lasciata fare, perché avevo quindici anni, tutti i miei amici avevano già baciato una ragazza, ed io cominciavo a sentirmi inadeguato a non averlo mai fatto. Quel bacio umidiccio al sapore di Vodka alla pesca è durato dieci secondi. Poi Jane ha iniziato a vomitare.
Bella non è ubriaca. Bella non puzza di Vodka. Bella profuma di prati verdi e fioriti e di ciliegia. Bella sa cosa sta facendo. Vuole baciarmi. Vuole me. Mi desidera. Anche se sono fuggito da lei. E la cosa mi sciocca al punto tale da impedirmi qualunque movimento. Le mie labbra restano sigillate, i miei occhi restano spalancati ed ogni singola fibra del mio corpo si rifiuta di collaborare.
“Edward…” Bella si allontana. Lentamente la confusione dipinta sul suo viso si trasforma in imbarazzo. “Scusa io… io…”
Ma Edward non risponde. Edward la fissa incredulo.
“Che scema…” dice nascondendo il volto tra le mani. “Che stupida… io credevo… si insomma, credevo… che fosse il momento giusto… io… scusa. ”
Poi scende dal muretto e senza aggiungere altro se ne va.
Odio me stesso come non ho mai odiato nessun altro in tutta la mia vita. 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***



Hola! Come sta procedendo la vostra estate? Spero bene!
Sarei "chiusa per ferie" fino a settembre, ma ero in crisi di astinenza. Diciamo che "tengo aperto per mezza giornata" ;-)
I prossimi capitoli saranno intensi, soprattutto il 10 (per cui dovrete aspettare ancora un pochino, 8-10 giorni). La storia sta andando esattamente dove volevo che andasse, fin dall'inizio. E mi sta regalando dei momenti davvero belli. Spero di non deludervi. Aspetto come al solito i vostri commenti!
Un Bacione,
Opunzia



______________________________________________________________________________________________


Capitolo 9
 
Non riesco a credere a quello che ho appena fatto. Non sono solo un imbranato. Sono un idiota, un imbecille, un pazzo. La ragazza di cui sono perdutamente innamorato, la ragazza che venero come se fosse una dea, e che sogno ogni notte, mi bacia, ed io che faccio? Me ne resto lì, come un fesso, con gli occhi sgranati e la bocca serrata, senza muovere un muscolo, senza ricambiare il suo bacio. Peggio, la lascio andare via senza dire nulla, senza cercare di trattenerla, senza darle una spiegazione. Chi diavolo al mondo farebbe una cosa del genere? Nessuno. A meno di non essere un ritardato. Oppure di chiamarsi Edward Cullen. Che è più o meno la stessa cosa.
Ancora seduto sul muretto di cinta che delimita il cortile della palestra ‒ lo sguardo basso e la testa tra le mani ‒ maledico me stesso e la mia totale mancanza di nerbo e di carattere. Se ne avessi ‒ anche solo un briciolo ‒ avrei risposto al bacio di Bella, ed ora noi saremmo qui insieme. Ci staremmo ancora baciando, le starei passando le mani tra i capelli, la starei accarezzando. Forse sentirei la sua leggera pelle d’oca, perché il sole è tramontato da un pezzo, ormai, ed è fresco. Allora le presterei la mia giacca. Gliela appoggerei delicatamente sulle spalle. Poi la stringerei a me, ed affonderei il naso tra i suoi capelli. Mi riempirei i polmoni del suo delizioso profumo di prati verdi e fioriti, e poi le solleverei il mento con un dito, per continuare ad assaporare le sue labbra al gusto di ciliegia.
Invece no. Sono qui, da solo, a rivivere a rallentatore quello che è successo con Bella qualche istante fa, come nel più spaventoso dei film horror, ancora ed ancora. Lei che si avvicina, lei che chiude gli occhi, le sue labbra che si posano sulle mie, ed io che non reagisco in nessun modo. Santo cielo, è un incubo!
Bella se n’è andata senza che io riuscissi a trovare la prontezza e la forza di trattenerla. Non l’ho mai vista così: fragile, confusa e vulnerabile. Lei, sempre così forte e determinata. Chissà cosa pensa di me, ora. Di sicuro si è resa conto di aver gettato alle ortiche le ultime settimane; di aver perso tempo a cercare qualcosa che, evidentemente, non c’è. Probabilmente, ora lei pensa di essersi sbagliata, e che in me c’è molto meno di quanto credesse; che non sono un brutto anatroccolo pronto a trasformarsi in un cigno.
Però… Però io amo Bella. Di un amore totale ed incondizionato. Farei di tutto per renderla felice. Non c’è cosa che non sarei disposto a regalarle, se me la chiedesse. Perché lei è così straordinaria da meritare solo il meglio. Ma come faccio a darle ciò che le spetta di diritto se non sono neppure in grado di baciarla? Come posso darle ciò che porto dentro? I miei sentimenti per lei sono talmente intensi che, a volte, mi sembra di bruciare. Se lei lo sapesse, se Bella capisse tutto questo, ciò che nascondo, ciò che non riesco a dimostrarle, forse comprenderebbe, e magari riuscirebbe anche a perdonarmi e a darmi un’altra possibilità. Giuro che questa volta non la butterei via, come ho fatto pochi minuti fa.
È vero, è dal primo bacio che si capisce se c’è alchimia tra due persone, ed il nostro primo bacio è stato un disastro. Ma quello non ero io. Quello è l’idiota che mi imbriglia da troppo tempo, e che sta rendendo la mia vita un inferno. Quello che ha paura di rischiare, che teme il giudizio delle persone, e si lascia condizionare dalle sue stupide insicurezze, facendosi del male. Quello che vuole fare la cosa giusta, ma finisce con lo sbagliare, sempre. Perché ascolta tutti meno che se stesso, meno che il proprio cuore.
È successo anche stasera. Paralizzato dall’idea che gli altri avrebbero avuto di me, vedendomi ballare, dal ridicolo a cui mi sarei sottoposto con i miei modi, goffi ed impacciati, sono fuggito da Bella. Mentre avrei dovuto infischiarmene; avrei dovuto preoccuparmi solo di lei, di come rendere questa serata indimenticabile per entrambi. Pur sapendolo, non l’ho fatto. Ho iniziato a rimuginare sulla mia inadeguatezza, come al solito, ed ho rovinato un momento bello ed importante: il nostro primo bacio.
Il mio problema più grande, ciò che mi blocca costantemente, è il non sentirmi sufficientemente speciale, il non sentirmi all’altezza, mai. Mi capita sempre, nelle circostanze più disparate. Ma soprattutto con Bella. Non capisco come lei possa volermi. Continuo a chiedermi: perché io? E non trovo una risposta. Ma non deve esserci necessariamente una risposta, giusto? L’amore è così: irrazionale. Non ci sono regole, non ci sono perché, non ci sono formule matematiche. L’amore non è una dannata equazione. È istinto, è passione, è necessità. Io ho bisogno di Bella e, miracolosamente, anche lei sembra aver bisogno di me. Devo solo accettarlo ed esserne felice e riconoscente. Nient’altro. Non c’è bisogno di analizzare tutto, di sapere l’esatto perché. Infondo lei me lo ha già detto.  Mi ha già spiegato cosa le piace di me. Mi è forse indispensabile capirne le ragioni? No. È così e basta.
Mi alzo e, con una risolutezza che mi era sempre stata estranea fino ad ora, decido di andare a cercare Bella. È probabile che la piccola umiliazione a cui l’ho sottoposta stasera, rifiutando il suo bacio, le abbia fatto cambiare idea sul mio conto, e l’abbia allontanata definitivamente da me. Ma questo non mi impedisce di sperare. Forse Bella ha ancora voglia di ascoltarmi, di riprovarci, di concedermi un’altra possibilità. E se, disgraziatamente, non dovesse essere così, accetterò la sua decisione, e mi scuserò per quanto è successo.  Comunque vadano le cose, le devo delle scuse; se le merita. Merita di sapere che non è colpa sua, che non ha fatto nulla di sbagliato. Al contrario, lei è stata perfetta, come sempre. Sono stato io a rovinare ogni cosa.
Torno in palestra e mi guardo intorno. Mi infilo tra gli altri studenti, percorro tutta la pista da ballo, con un nodo allo stomaco e le mani che mi sudano per la paura che tutto sia finito ancor prima di essere cominciato, pregando che Bella abbia la voglia di ascoltarmi e la pazienza di perdonarmi. Ma di lei non c’è traccia.
“Leah, hai visto Bella?” chiedo in preda all’ansia, una volta raggiunto il bancone del bar.
“Credevo fosse con te,” risponde distrattamente Leah, mentre svuota in una pattumiera dei piattini di plastica rossa. “Jake,” chiede al suo ragazzo, a pochi passi di distanza. “Hai visto Bella? Edward la sta cercando.”
Jake mi lancia uno sguardo enigmatico. “Sì,” dice. “Poco fa. Ha preso Alice per mano e se ne sono andate, insieme. Sembrava piuttosto turbata.”
“Dove?” chiedo guardandomi intorno freneticamente, senza riuscire a celare il nervosismo.
“Cosa le hai fatto?”
“Dove, Jake?” insisto.
Jake si avvicina e stringe gli occhi. Mi osserva con l’aria scettica ed un po’ ostile, appoggiando entrambe le mani al bordo del bancone. “Cosa le hai fatto, Cullen?” chiede di nuovo, sporgendosi in avanti, minaccioso.
Leah guarda me, poi Jake, poi di nuovo me, senza capire. “Che succede, ragazzi?” chiede allarmata.
“Lascia stare,” borbotto. “La trovo da solo.” E senza aggiungere altro, me ne vado.
Non capisco perché Jake sia sempre così sgarbato con me. Perché ha subito pensato che io abbia fatto del male a Bella? Beh, sì, è vero, l’ho ferita, credo. Ma di sicuro non nel modo in cui pensa Jake. In fondo, chi potrebbe immaginare quello che è successo tra me e Bella, poco fa? Chi riuscirebbe a crederci?
Cammino alla cieca per un po’, ripercorrendo la palestra, controllando con lo sguardo gli spalti.
Dove vanno le ragazze, per parlare? Dove vanno le ragazze quando si sentono giù, quando si vogliono confidare tra di loro?
Inquadro il portoncino a due battenti che conduce agli spogliatoi e capisco. Lo raggiungo, afferro i maniglioni antipanico e li spingo. Poi imbocco il corridoio e lo percorro, lentamente. La luce è fioca, solo una delle lampade al neon appese al soffitto è accesa. Alle mie spalle sento la musica affievolirsi e trasformarsi in una sorta di strana eco. La porta degli spogliatoi delle ragazze è socchiusa. Mi guardo intorno, con circospezione, e mi accerto che non ci sia nessuno. La spingo un poco, tendo l’orecchio, e resto in ascolto. Poi, come speravo e temevo allo stesso tempo, sento due voci femminili. Sento le voci di Bella e di Alice.
Lo so, non dovrei restarmene qui, nella semioscurità, appoggiato alla parete ad origliare la loro conversazione. È disgustoso, oltre che vile. Dovrei andarmene, lasciarle al loro momento di intimità. Permettere a Bella di sfogarsi con la sua migliore amica ed aspettarla altrove, in attesa che finisca. Ma è più forte di me. Ho bisogno di sapere quello che lei pensa senza filtri; quello che lei dice di me alle sue amiche quando non sono presente. Cos’ha provato quando non ho ricambiato il suo bacio? Ho ancora qualche speranza con Bella? Mi voglio buttare, ma se avessi una piccola indicazione su come comportarmi, forse potrei evitare di sfracellarmi al suolo. Ho troppa paura di sfracellarmi al suolo.
Fatico a capire cosa dicono, e capto solo delle parole isolate e mezze frasi. La voce di Alice è più bassa e tranquilla. Quella di Bella, invece, si anima di tanto in tanto, certamente vittima dell’enorme frustrazione a cui l’ho sottoposta. E non solo stasera.
“… ma Bella, devi capire…”
“… lui non parla…  confusa … rifiutata…”
“… ne vale la pena… Edward… sicura… al tuo posto…”
“… non lo so… deprimente… è così fragile…”
“… non è giusto… Chicago… anno prossimo… ne sei sicura?”
“… per favore… impotente… farne a meno…”
“… taglio netto… soluzione…”
“… fa male…”
Oh, mio Dio… Ho capito bene? Alice sta forse convincendo Bella a lasciarmi perdere?
Quella morsa che già mi stringeva lo stomaco si fa ancora più stretta.
Mi avvicino di un altro passo, quasi infilo la testa nella porta, e trattengo il respiro, nella speranza che questo possa aiutarmi a sentire meglio. Sono sicuro di non aver equivocato, malgrado abbia recepito solo brevi stralci della loro conversazione. Tuttavia una piccola parte di me spera di essersi sbagliata, o se non altro che Bella confessi ad Alice di volermi regalare un'altra chance.
Mentre mi concentro e tendo l’orecchio, in lontananza sento una porta sbattere; poi un gruppo di voci maschili, ed una risata sguaiata e fastidiosa che conosco bene.
“Gli spacco la faccia a quello stronzo. Gliela faccio pagare, lo giuro…”
Nella penombra intravedo la figura di James, in compagnia di un gruppo di tre o quattro ragazzi che non ho mai visto prima. Forse sta parlando di me, o forse no. James odia tutti, qui a scuola. Non mi stupisce sapere che voglia prendere a pugni qualcuno. Ciò di cui sono assolutamente certo, però, è che sono in cima alla sua lista. Quando mi capita di incrociarlo nei corridoi del liceo, o magari per strada, o al Red Lion, mi lancia occhiate cariche d’odio. Poi, immancabilmente, si porta un dito alla gola e lo fa passare da destra a sinistra, lentamente, come per dire: “se ti prendo ti sgozzo.”
Non ho mai capito perché James ce l’abbia tanto con me: non gli ho mai fatto nulla. Non riesco a credere che mi detesti così tanto solo perché sono finito sotto l’ala protettiva di Bella e dei suoi amici. Inoltre non capisco perché abbia paura di Bella e, in sua presenza, malgrado non riesca a nascondere la stizza, si faccia mansueto come un agnellino. L’ho chiesto a Bella, ma lei è rimasta sul vago, ed io non ho insistito nel cercare una spiegazione.
Qualunque sia il motivo, farmi sgozzare, o spaccare la faccia ‒ se è di me che James sta parlando con i suoi amici ‒ non mi alletta per niente. Così me la svigno in silenzio, terrorizzato dall’idea che mi possa aver visto.
 
Trovo rifugio in cortile. Mi siedo su una panchina ed inizio ad osservare i miei compagni di scuola. Fanno avanti e indietro dalla palestra, probabilmente cercano un po’ di refrigerio nell’aria fresca della notte, dopo lo sforzo del ballo. Si riuniscono in piccoli gruppi isolati: chiacchierano, ridono, si fumano una sigaretta, o bevono una birra di nascosto.  Alcune coppie si appartano tra gli alberi per scambiarsi delle effusioni. Hanno tutti l’aria felice e spensierata di chi si diverte, di chi ha diciassette anni e non ha pensieri per la testa. Quanto li invidio.
“L’hai trovata?” Mi volto e vedo Jake, in piedi, con le mani in tasca. Mi osserva a pochi metri di distanza, lo sguardo serio.
“Sì,” rispondo, consapevole che sta parlando di Bella, anche se non l’ha nominata. Forse si aspetta che aggiunga qualcosa, ma non lo faccio. Mi giro di nuovo e ricomincio ad osservare chi mi sta intorno.
Jake resta in piedi dietro di me per qualche istante, in silenzio. Poi decide di sedersi sull’estremità opposta della panchina. “Avete risolto?” chiede.
Sento il suo sguardo penetrante ed indagatore addosso. Mi mette a disagio, ma peggio del bacio‒non‒bacio con Bella credo non possa esserci nulla. Non rispondo, ed alzo le spalle con un gesto eloquente.
“Cosa le hai fatto, Cullen?” Jake tenta di mantenere un tono neutro, per non spaventarmi, od offendermi, ma è evidente che si sta sforzando parecchio.
“Perché pensi che le abbia fato qualcosa?” borbotto, chiaramente infastidito.
“Mi sbaglio?”
Non confermo, e neppure smentisco. Ma, in fin dei conti, Jake ha ragione: ho ferito Bella.
“Allora?” insiste.
“Niente,” esclamo sconsolato, appoggiando i gomiti alle ginocchia, e prendendo  la testa tra le mani. “È questo il problema: niente…”
“Potresti spiegarti meglio?”
Mi tiro su ed abbandono la testa all’indietro, sospirando. Il cielo è coperto, come al solito. Non si vede neppure una stella, e non c’è traccia della luna. È molto probabile che scoppi un acquazzone da un momento all’altro.
“Bella ha cercato di baciarmi…” ammetto. Quello che è successo è vergognoso ed umiliante, ma non posso fare a meno di dirlo ad alta voce, di parlarne con qualcuno. Preferirei che al posto di Jake ci fosse Jasper. Con lui mi è più facile comunicare. Ma Jake è il migliore amico di Bella. Forse lui può darmi un consiglio, dirmi ciò che devo fare; se posso ancora rimediare e, soprattutto, come.
“E?” chiede con estrema cautela. “Non le sarai mica saltato addosso, Cullen?” Jake si anima improvvisamente. “Per questo era così turbata? Le sei saltato addosso?”
Mi volto di scatto verso di lui, quasi divertito dall’idea che Jake mi possa ritenere capace di fare una cosa simile. “Jake,” gli faccio presente. “Stiamo parlando di me. Tu credi che io possa saltare addosso ad una ragazza? Davvero?”
Lui scrolla le spalle. “Di solito sono quelli dall’aria ingenua ed innocua ad essere i più pericolosi,” borbotta.
“Beh, non è il mio caso, Jake,” sospiro. “Non le sono saltato addosso,” ammetto, distogliendo lo sguardo, ed arrossendo, credo. “Bella mi ha baciato, ed io sono rimasto lì, immobile. Non ho ricambiato il suo bacio.”
“Tu non hai…”
“No.”
“Perché?”
“Panico?”
“Oh.”
“Ho combinato un casino…”
Spero in qualche parola di incoraggiamento, tipo: “Ma no, figurati, si sistemerà tutto.” Ma Jake non dice nulla, ed il suo silenzio mi getta ancora di più nello sconforto. Come si dice? Chi tace acconsente?
“Piaci a Sally Winters,” dice dopo un po’.
“Eh?”
“Piaci a Sally Winters, ed anche a Vanessa Young.”
“Che?” Sally Winters? Vanessa Young? Non so neppure chi siano.
“Non piaci solo a Bella, a quanto pare,” mi spiega. “Ci sono altre ragazze, a scuola, che stravedono per te.”
Ragazze che ‘stravedono’ per me? Qui a Forks? Impossibile. Non ci credo.
“Jake, mi stai prendendo in giro? Se è così, non è divertente…”
“No. Le sentivo chiacchierare al bar, poco fa. Entrambe pensano che tu sia molto… carino,” dice facendo una smorfia ed alzando gli occhi al cielo, come se gli costasse una fatica enorme. Non tanto farmi un complimento, quanto parlare di queste cose: sentimenti. “Amano la tua aria stralunata, i tuoi modi gentili, i tuoi occhi verdi, e… che altro? Ah, sì: il tuo sorriso così ‘luminoso’,” conclude sollevando entrambe le mani e tracciando immaginarie virgolette nell’aria.
Io lo osservo con gli occhi sbarrati, come se mi trovassi di fronte ad un pazzo in pieno delirio.
“Vanessa vorrebbe chiederti di uscire,” continua. “Ma sa che sei cotto di Bella. Sembrava piuttosto contrariata. Lei pensa di essere più adatta a te. Giudica  Bella troppo ‘appariscente’. È evidente che non la conosce affatto…”
“Jake, ti sei fumato qualcosa?” chiedo, in un impeto di coraggio. Non mi sono mai rivolto a Jake in modo così diretto e sfacciato. Mi aspetto un ceffone da un momento all’altro.
Con mio enorme sollievo Jake si limita a lanciarmi un’occhiataccia. “Senti, Cullen, primo: io non mi faccio canne. E poi ti sembro il tipo che si inventa storie di questo genere per tirare su il morale ad un amico?”
“A‒Amico?” Ma chi è questo tizio che mi siede di fianco? Il gemello buono di Jacob Black?
“Beh,” borbotta con il suo solito fare da orso. “Mi pare che tu, ormai, sia ufficialmente parte del gruppo.”
“Credevo di non piacerti...” azzardo, ancora incredulo.
“Perché?”
“Sei sempre così freddo, distaccato…”
“Cullen, io sono fatto così. Io non sono un compagnone. Io non sono amichevole con nessuno, a parte la mia ragazza e Bella.”
“Questo è vero…” ammetto.
“È una questione di carattere. Tu sei timido, Bella è solare ed io sono diffidente. Questo non significa che tu sia uno sfigato, o Bella una sciacquetta, od io uno stronzo. Non ti pare?”
Sorrido. Jake ha colto nel segno. È un bravo ragazzo, dopotutto. Ora capisco perché Bella gli voglia così bene.
“Perché mi hai raccontato di Vanessa e Sally?”
“Perché hai bisogno di credere di più in te stesso. E sapere che Bella non è l’unica pazza a provare qualcosa per te, forse ti può aiutare a superare le tue insensate paure. Porca miseria, Cullen, davvero non sei riuscito a baciarla?”
“Jake?!”
“Ok, ok…” dice sollevando le mani, in segno di resa. “Suppongo possa capitare. A nessuno di mia conoscenza,” riflette ad alta voce. “Ma suppongo possa capitare...”
È incredibile: Jake sta cercando di aiutarmi. Lo trovo surreale, ma è così. E lo apprezzo. Enormemente. “Grazie, Jake,” dico dopo qualche istante di imbarazzato silenzio.
“Di nulla… ma se riferisci a qualcuno della nostra conversazione, sarò costretto ad uccidere te e la persona con cui hai parlato. E ad occultare i vostri cadaveri.”
“Cercherò di essere discreto.”
“Perfetto. Va a cercare Bella, ora.”
Sentendo il suo nome, il mal di stomaco ritorna prepotentemente. “E se lei non mi volesse più?” chiedo, incapace di nascondere il mio terrore.
“Cullen, Bella non è una ragazzina, sciocca e superficiale. E poi è innamorata di te.”
Alzo la testa di scatto. “Innamorata?!”
So di piacere a Bella, ma non sospettavo minimamente che lei si fosse già innamorata di me. Credevo di doverle dimostrare molto di più, di doverla conquistare.
“Mio Dio, Cullen,” esclama Jake, scuotendo la testa, incredulo. “È tu dovresti essere quello intelligente del gruppo? Certo che Bella è innamorata di te! Non è evidente?”
Volgo il mio sguardo altrove, e comincio a fissare il vuoto, pensando a tutti i momenti che io e Bella abbiamo passato assieme, a scuola e a casa. Al modo in cui mi guarda, al modo in cui si rannicchia di fianco a me quando guardiamo la televisione. Oppure al modo in cui mi sorride, o ride alle mie battute sceme. Od ancora al modo in cui mi osserva estasiata quando suono per lei. A quando mi ha preso la mano per la prima volta, o a quando, meno di un’ora fa, mi ha trascinato sulla pista da ballo e mi ha attirato a sé, permettendomi di sentire il suo corpo ‒ tutto il suo corpo. A quando mi ha baciato... Forse sì, era evidente. Ma la mia insicurezza non conosce limiti.
“Lei… lei pensa che io sia… fragile,” confesso, ricordando le parole che ho sentito dire a Bella poco fa in palestra.
Jake non è per nulla stupito. “Beh, non è così?” osserva, “Non mi pare una ‘rivelazione’…”
No, il fatto che io sia fragile, timido od insicuro non è una rivelazione. Ma quello che pensa Alice ‒ e che magari pensano anche gli altri ‒ per me lo è.
“Alice stava convincendo Bella a lasciarmi perdere,” continuo. “Ne stavano discutendo poco fa, negli spogliatoi.”
“Ne sei sicuro?”
“Al 90%.”
Jake tira un lungo sospiro, ma, ancora una volta, non si scompone. “La cosa non dovrebbe sorprenderti, Cullen.”
“Cosa?” balbetto. “Solo… solo perché non l’ho baciata? Io… io posso riprovarci…”
Possibile che nessuno abbia un briciolo di stima e di fiducia nei miei confronti? Ok, io sono il primo a non averne. Però…
“Cullen, non è per quel bacio,” mi spiega Jake. “Semplicemente nessuno di noi vuole che Bella soffra. E mettendosi con te accadrà. È inevitabile.”
“Ma che stai dicendo, Jake? Io… Io non potrei mai fare del male a Bella! Io l’amo.”
Cos’è questa storia? Tutti i nostri amici credono che io sia un male per Bella? È ridicolo. Farei qualunque cosa per lei, per renderla felice.
“Certo che l’ami, Cullen. Ma accadrà lo stesso. Anche Bella ne è consapevole.”
“Perché? Perché lei pensa questo? Perché?” chiedo, in preda allo sconforto. “Bella pensa che io possa farla soffrire?”
“Rifletti, Cullen:  tu te ne andrai. Non resterai a Forks per sempre. L’anno prossimo, a quest’ora, te ne sarai già andato. E Chicago non si trova qui, dietro l’angolo.”
La verità di Jake mi colpisce in faccia come un treno in corsa.
“No, non lo è…” balbetto, distogliendo lo sguardo. “Dio, che stupido,” dico, prendendo nuovamente la testa tra le mani. “Io non ci avevo mai pensato. Io… È di questo che parlate, tu e Bella?” chiedo, volandomi verso Jake. “È stata lei a dirti che ha paura?”
“Sì,” ammette. “Ne abbiamo parlato spesso. Ma non le importa. Vuole stare con te comunque.”
Mi sento un idiota. In queste settimane non ho fatto altro che concentrarmi sulle cose sbagliate. Ho pensato a come rendermi più attraente agli occhi di Bella, pensando di essere ben lontano da meritare le sue attenzioni. Ma lei era già innamorata di me, malgrado i vestiti che indossavo, od il mio osceno taglio di capelli. Ho pensato solo ed esclusivamente a me stesso, alle mie insensate e sciocche paure. Non ho mai neppure sospettato che anche lei potesse averne, e per delle ragioni ben diverse, più concrete e reali. Come il fatto che, all’inizio del prossimo anno, sarò costretto ad andarmene da Forks. Le ricerche dei miei genitori non dureranno per sempre. Anche se tra di noi dovesse funzionare, anche se dovessimo scoprire di essere fatti l’uno per l’altra, io tornerò a Chicago, è inevitabile. È nella mia città che terminerò il liceo e frequenterò l’università. Dovrò separarmi da Bella e la lascerò sola. Com’è possibile che io non ci abbia mai pensato? Come ho potuto essere così cieco ed egoista? Di questo lei si preoccupava. Eppure non si è allontanata. Non ha rinunciato a me. Non ha rinunciato a noi. Ancora una volta si è dimostrata straordinaria, di una forza inaudita. Com’è possibile che in quel corpo così minuto si possa nascondere tanto coraggio e tanta determinazione? Come ho potuto permettere che lei, sola, fosse forte per entrambi? Sono uguale a tutti quei maiali che hanno cercato di farsela, di conquistarla come un trofeo, senza badare ai suoi sentimenti, e solo perché è la ragazza più carina e popolare di Forks. Anzi, forse sono peggio. Perché sono un vigliacco, oltre che stupido e patetico. La volevo, esattamente come loro ‒ la desidero ancora, in realtà, più dell’aria che respiro ‒ ma, contemporaneamente, mi tiravo indietro, adducendo come scusa la mia timidezza. Non deve più accadere. Mai più.
Mentre penso a tutte queste cose, sento dei passi avvicinarsi. Sono Alice e Jasper.
“Ragazzi,” chiede Alice. “Avete visto Bella?”
Scatto in piedi. “Non era con te?”
“Sì, ma poi è venuta a cercarti. Non vi siete incontrati?”
“No, sono stato qui con Jake per tutto il tempo.”
“L’abbiamo cercata ovunque, non la troviamo,” si intromette Jasper.
“Forse è tornata a casa,” suggerisce Jake.
“No,” scuoto la testa. “Ho io le chiavi della Volvo,” dico portando istintivamente una mano alla tasca destra dei pantaloni per assicurarmi che sia così.
“Beh,” aggiunge Jake. “Non può essersi smaterializzata!”
“Ragazzi,” dico, l’ansia che sale. “Questa storia non mi piace. Alice, dove l’hai vista per l’ultima volta?”
“Eravamo negli spogliatoi. Poi io sono tornata in palestra, da Jasper, e Bella è uscita a cercarti.”
“Alice,” dice Jake sempre più nervoso. “Qui non è mai venuta.”
“Ragazzi!” Ci voltiamo. Rose ed Emmett stanno correndo verso di noi. “L’hanno vista!” urlano.
“Chi? Dove?” chiedo all’unisono con Jake.
Dopo averci raggiunto, Rose si piega sulle ginocchia, per riprendere fiato. “Con James,” dice allarmata, ed il mio cuore ha un sussulto.
“Ne sei sicura, Rose?” le chiedo prendendola per le spalle  e costringendola a tirarsi su.
“Sì,” conferma con l’aria atterrita. “Qualcuno l'ha vista allontanarsi con James, e degli altri ragazzi.”
“Chi? Quali altri ragazzi?” chiede Jasper.
“Non lo sappiamo,” dice Emmett. “Nessuno li ha mai visti, prima d’ora.”
“Cazzo!” esplode Jake, dando un calcio alla panchina. “Cazzo, cazzo, cazzo!”
Sapere che Bella è sola con James e quei brutti ceffi che l’accompagnavano mi paralizza. La furia di Jake, e le facce sgomente dei nostri amici, mi annientano. Sento il sangue defluire dal mio corpo, e le forze abbandonarmi. Sono terrorizzato. James è un pazzo. Uno psicopatico. E la odia.
Mentre cerco di prendere fiato, di ragionare, di capire cosa devo fare, il mio cellulare inizia a squillare. Prego che sia Bella, e che mi dica che sta bene, e dove posso andare a prenderla.
Estraggo il cellulare dalla tasca interna della giacca, incapace di controllare il tremito che mi scuote le mani, e quando leggo ‘Bella’ sul display ricomincio a respirare.
“Ragazzi, è lei!” dico, mostrando il telefono ai miei amici. Subito premo il pulsante ‘rispondi’ e porto il cellulare all’orecchio. “Bella!” esclamo. “Dove sei? Come stai? Va tutto bene?”
“Tranquillo, Edward. Va tutto bene. Non potrebbe andare meglio.”
No, non va bene. Per niente. Il numero è quello di Bella, ma la voce non è la sua. La voce è quella di James.
Sento una goccia bagnarmi il viso. Poi un’altra, ed un’altra ancora. E in un attimo, sta piovendo a dirotto. 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***




Capitolo 10
 
La pioggia continua a scendere, copiosa. La sento scorrere tra i capelli, sulla pelle. Mi bagna gli occhiali, appannandomi la vista, e mi inzuppa i vestiti, rendendoli pesanti. Ma io non cerco riparo. Me ne resto lì, in piedi in mezzo al cortile, pietrificato, il telefono incollato all’orecchio ed i sensi anestetizzati dal terrore.
“James…” dico in un sussurro.
La voce che mi risponde è alta, squillante, quasi euforica. “Sorpresa!” esclama. “Non ti aspettavi di sentirmi, vero? Pensavi fosse la tua ragazza, vero? Dio, è così eccitante! Non trovi che sia eccitante, Checca?”
“James, che stai…” Cerco di replicare, ma James mi interrompe.
“Non sembra uno di quei reality show che si vedono in televisione?” continua, sempre più esaltato. Parla velocemente. Molto velocemente. Temo sia strafatto. “Uno di quegli show in cui fanno incontrare due persone che si erano perse di vista, o svelano all’ospite una verità terribile e scottante, e tutti sono sconvolti e poi urlano e litigano e piangono. Che dici, Checca? Sei pronto a piangere?”
Piangere? Cazzo... Cazzo, cazzo, cazzo! “James… Dov’è… dov’è Bella? Perché… perché hai il suo telefono? Che cosa le hai fatto? Giuro… giuro se le hai fatto qualcosa, io… io…”
“Cosa, Checca? Cosa mi faresti? Sentiamo.”
“Io… io… ” Serro forte i pugni, quasi sbriciolo il cellulare. Ma non dico nulla. Cosa potrei fare a James? Lui sarebbe in grado di annientarmi con una sola manata.
“Ah, ah, ah…” James scoppia a ridere, sprezzante. “Come immaginavo, Checca. Sei un codardo: non faresti nulla.”
Bastardo. Figlio di puttana, bastardo!
“James, dov’è Bella? Cosa le hai fatto?” chiedo di nuovo, cercando di mantenere la calma e di non lasciar trapelare la mia paura. Non voglio dargli questa soddisfazione. Non voglio.
“Tranquillo, Checca. Lei sta bene. È qui con me.”
“Voglio sentire la sua voce.”
“Cos’è? Non mi credi?”
“Voglio. Sentire. La. Sua. Voce.”
Silenzio. Per un attimo temo di aver esagerato, di aver tirato troppo la corda. Per fortuna non è così.
“Come ti pare,” risponde. Sento il vuoto per qualche secondo (forse James si sta spostando), poi una porta che cigola, e di nuovo la voce di James, ma più distante. “Forza, Swan. Saluta il tuo amichetto. Di’ ciao.”
“E‒Edward?”
Oh, mio Dio: è Bella… è la sua voce, è Bella! Speravo che James stesse bluffando, che le avesse solo rubato il cellulare. Invece lei è con lui sul serio. Oddio… oddio!
“Bella? Bella, sei tu?” le chiedo.
“Edward…”
“Bella… Bella, stai bene? Cosa ti ha fatto? Bella…”
“Edward… Edward, non venire, qui! Non dargli retta… Sono in cinque! Cerca aiuto…” dice in preda al panico, la voce disperata.
“Bella!”
“Edward, cerca…”
James interrompe bruscamente la richiesta di aiuto di Bella. “Ok, basta così,” dice.
“Bella, Bella…” urlo nel telefono, come se invocare il suo nome potesse servire a qualcosa.
“Gesù, Checca, datti una calmata! Sei così melodrammatico. Hai sentito la sua voce, sta bene. Non sei contento?”
“James, che cosa vuoi? Cosa hai intenzione di fare? Sei impazzito? James‒”
“Ehi, Checca! Pensi che darmi del pazzo possa aiutare la tua ragazza?”
“Cosa?”
“Lo pensi?” ringhia nel telefono. “Credi che io sia pazzo?”
Sì, sì lo credo. Completamente pazzo. “No! Oh, mio Dio, James, ti prego, dimmi dove sei. Vengo a prendere Bella e fingiamo che non sia successo nulla, ok?”
Alla mia proposta James scoppia a ridere come un matto. Letteralmente. “Ah, ah, ah… Sei uno spasso, Checca! Ma come parli? Hai visto troppe puntate di Criminal Minds… Ah, ah, ah…”
“James, ti prego…” Lo imploro, sull’orlo delle lacrime. Il mio terrore sta raggiungendo livelli inimmaginabili. Bella è sola con uno psicopatico. Anzi no. È sola con uno psicopatico ed altri quattro fuori di testa come lui. Io non oso neppure immaginare… non oso… Oh, mio Dio…
“Oh, così va meglio, Checca. Mi piace quando mi chiedi le cose per favore. Vuoi rivedere la tua ragazza?”
“Sì…”
“Sì, cosa?”
“Sì, per favore.”
“Vuoi sapere dov’è?”
“Sì…”
“Sì, cosa, Checca?” chiede, sempre più spazientito.
“Per favore,” supplico. “Per favore, James, dove l’hai portata? Dimmelo!”
“Uhm… non lo so… Io te lo direi, però…”
Oh, Santo Cielo… Perché non si decide a dirmi dove sono? “Però, cosa, James? Ti prego, dimmi dove siete...”
“Il fatto è che la tua ragazza è così carina… E le sue gambe… oddio le sue gambe. Sai di che parlo, Checca? Lo sai vero?”
“James…”
“Sono così morbide, e lunghe…”
“James…”
“… e mi piacerebbe tanto scoprire cosa si nasconde tra le sue gambe…”
Ora sto piangendo. Le mie lacrime si mescolano alla pioggia che continua a scendere. Nessuno se ne renderebbe conto. Ma sto piangendo.
“C’è solo un’altra cosa che potrebbe piacermi più di scopare la tua ragazza, Checca,” continua James, con una calma raggelante. “Spaccarti la faccia.”
Cosa? Spaccarmi la faccia? Solo questo? Prendermi a pugni? Farmi prendere a pugni salverebbe Bella da questo pazzo? Io mi faccio mandare all’ospedale, se necessario. “Va bene. Spaccami la faccia, ammazzami di botte, quello che ti pare. Ma mi devi promettere che lascerai andare Bella, e che non le farai del male. Promettimelo.”
“Ah, ah, ah… Ti piace proprio questa puttanella, vero?”
“James, io vengo lì e tu la lasci. Promettimelo.”
James ci riflette per un attimo. Si tratta di pochi secondi, ma a me pare un’eternità. “Hai la mia parola,” si decide infine a dire.
Mi rendo conto che la parola di James, in realtà, vale poco o niente. Ma è tutto ciò che ho in questo momento.
“Dove siete?” chiedo.
“Ehi, non così in fretta. Ci sono delle regole...”
“Regole? Ma di che regole stai‒”
“Ci sono delle regole. Uno: verrai qui da solo. I miei amici controllano la zona. Se non sarai solo, il nostro accordo salta. E se l’accordo salta mi rifaccio con la tua puttanella.”
Deglutisco rumorosamente e serro forte la mascella. È la seconda volta che James insulta Bella in questo modo. Vorrei urlargli di smetterla, di non azzardarsi a farlo di nuovo, ma ho paura che questo possa innervosirlo ancora di più, e che non mi dica dove ha portato Bella. “Verrò da solo,” gli confermo.
“Due: niente adulti, niente professori, niente polizia. Se dici qualcosa a qualcuno sei morto. Anzi, siete morti. Forse non stasera, magari neppure domani… Ma vi ammazzo, entrambi. Mi hai capito bene, Checca? Non sto scherzando. Sai che ne sono capace. Non una parola. Con nessuno.”
È ufficiale: James è pazzo. E ciò che sto vivendo non è la vita reale. Ciò che sto vivendo è un incubo. È un romanzo. È American Psycho.
“Ho capito. Non dirò niente a nessuno. Dimmi dove siete.”
“Ti aspetto tra dieci minuti alla vecchia casa abbandonata dei Foster, quella vicino‒”
“Vicino al ponte,” lo interrompo. “So dov’è la casa dei Foster.”
“Perfetto, Checca. Ti aspetto. Hai dieci minuti a partire da ora. Se non ti vedo arrivare, mi scopo la tua ragazza.”
“James, James…” urlo nel telefono. Ma è inutile. Ha già riattaccato.
 
Sconvolto, lascio cadere la mano che stringe il cellulare lungo il fianco, ed alzo lo sguardo verso i miei amici. La pioggia continua a cadere, sono inzuppato fino al midollo, e le lenti degli occhiali sono piene di gocce. La vista è appannata, ma distinguo alla perfezione gli sguardi atterriti di Jake, Rose, Emmett, Jasper ed Alice. Non hanno sentito una parola di quello che James ha detto, ma sono sicuro che hanno capito.
“James ha preso Bella,” comincio a spiegare, e contemporaneamente inizio a muovermi in direzione del parcheggio. Non voglio sprecare neppure un secondo.
I ragazzi mi seguono.
“Le ha fatto del male?” chiede Jake, portandosi al mio fianco.
“Non ancora,” dico, affrettando il passo.
“Dove stiamo andando? Che sta succedendo?” chiede Jasper.
“Dove sto andando. Voi non venite.”
“Cullen,” dice Jake, trattenendomi per un braccio. “Che sta succedendo? Dov’è Bella?”
Mi fermo e spiego loro tutto. “James ha portato Bella alla vecchia casa dei Foster. Vuole che lo raggiunga lì, da solo. I suoi amici controllano la zona. Se non lo faccio, se mi presento con qualcuno ‒ voi, la polizia, chiunque ‒  farà del male a Bella.”
“Tu non vai là da solo, Edward” interviene Rose, mettendosi fra me e Jake. “Quello ti ammazza di botte!”
“Lo so, Rose,” dico, ricominciando a camminare. “Ma se non mi faccio ammazzare di botte, lui… lui…” Affretto il passo e raggiungo la Volvo.
“Lui cosa, Edward?” Jasper mi afferra per le spalle e mi spinge contro la macchina. “Lui cosa?”
Lo fisso mentre gli occhi mi si riempiono di lacrime. “Jazz, lui ha minacciato di… di violentare…”
Non riesco a pronunciare il suo nome. Non ci riesco.
Jasper mi lascia andare all’istante, sconvolto, come se, di punto in bianco, fossi diventato incandescente.
Rose ed Alice si portano una mano alla bocca, terrorizzate.
Emmett è pietrificato, pallido come un cencio.
Jake, invece, sembra un vulcano pronto ad eruttare. “Lo ammazzo!” comincia ad urlare. “Lo ammazzo, brutto figlio di puttana, giuro che lo ammazzo!” Poi mi si lancia contro. “Dammi le chiavi.”
“Cosa?”
“Dammi le chiavi della macchina. Ci vado io.”
“No!”
“Cullen, dammi le chiavi!” grida come un indemoniato, mettendomi le mani addosso.
“Non hai capito cosa ho detto?” urlo di rimando, cercando di divincolarmi. “I suoi amici fanno da sentinella. Se ti presenti tu, al posto mio, cosa credi che accadrà a Bella? Vuoi che James le faccia del male? È me che lui vuole. Lui ce l’ha con me! Con me! Non mi avrebbe chiamato, altrimenti!”
“Edward,” Emmett si mette tra di noi e spinge via Jake. “Non puoi affrontare James ed i suoi amici da solo. È un suicidio! Hai mai fatto a pugni, prima d’ora? Fa male!”
“E cosa dovrei fare?” chiedo esasperato, allargando le braccia. “Permettere che James ed i suoi amici si scopino Bella?” È la prima volta, in vita mia, che uso il termine ‘scopare’. È disgustoso.
“Chi‒chiamiamo la polizia,” balbetta Alice, aggrappandosi a me. Sta tremando come una foglia, e non solo per il freddo e la pioggia che continua a cadere. “Edward, ti‒ti prego, chia‒chiamiamo la polizia…”
“Prima voglio essere sicuro che Bella sia fuori da quella casa.”
“Edward…”
“Ragazzi, mi ha dato solo dieci minuti!” ricomincio ad urlare, sempre più disperato, scrollandomi Alice di dosso. “Sto sprecando tempo! Se non mi presento entro dieci minuti, lui… lui…”
“Faremo in questo modo,” interviene Jasper, con un’autorità ed una calma che, davvero, non so dove possa aver trovato. “Edward, ti presenterai all’appuntamento da solo. Nel frattempo noi avviseremo la polizia. Spiegheremo loro tutto. Gli diremo delle minacce di James. Sono dei professionisti, sono certo che sapranno come muoversi. Noi ti seguiremo, ma ad una certa distanza, e quando vedremo Bella uscire dalla casa dei Foster, io Jake ed Emmett entreremo ad aiutarti. E comunque, nel frattempo, la polizia sarà già arrivata.”
“Che piano del cazzo…” borbotta Jake.
“Ne hai uno migliore?” sibila Jasper, spazientito.
“Sì, vado da solo e li ammazzo tutti!”
Abbiamo già perso troppo tempo e mi restano solo cinque minuti per arrivare alla case dei Foster. Piove e la mia guida, generalmente, fa schifo. Perciò ignoro sia Jake che Jasper, faccio il giro dell’auto e salgo in macchina.
“Dove cazzo vai, Edward?” Jake blocca la portiera proprio mentre cerco di richiuderla.
Non gli rispondo. Lo guardo, disperato. Lui capisce e mi lascia andare. “Vaffanculo!” impreca a denti stretti.
“In quanti sono, Edward?” chiede Jasper, prima che richiuda lo sportello.
“Quattro, più James. Cinque.”
“Non farti pestare troppo.”
“Ci proverò,” dico. Ma so già che sarà impossibile.
 
Guido come un pazzo e, sinceramente, non ho idea di come io riesca ad arrivare sano e salvo alla casa dei Foster. La forza della disperazione, credo.
Mollo l’auto in cortile, e poi corro all’ingresso. La porta è socchiusa, e mi precipito dentro.
“Bella!” urlo non appena varco la soglia. Ma non c’è nessuno.
La stanza è molto ampia, debolmente illuminata da una lampada a petrolio appoggiata ad un tavolino da caffè rosicchiato dalle tarme. Non ci sono altri mobili, a parte un vecchio divano, sfondato ed ammuffito. Dicono che molti ragazzi vengano qui per fare sesso, o per drogarsi. La sola idea mi fa rabbrividire. Ci sono ragnatele e polvere ovunque, e l’odore di stantio penetra nei polmoni fino a saturarli. È disgustoso.
“Cullen, sei arrivato.” Mi volto. James è fermo sulla porta di quella che, un tempo, doveva essere la cucina, ed osserva intensamente il proprio orologio. “Dodici minuti…” sospira, scuotendo la testa e picchiettando un dito sul quadrante. “Che peccato…”
“James…” Cristo santo, sono qui. Sono qui e sono disposto a farmi ammazzare di botte. Due minuti in più fanno differenza?
“Per fortuna sono un tipo magnanimo,” continua, alzando la testa e piantandomi addosso i suoi occhi allucinati. È come temevo: questo tizio è strafatto. “Come vedi ho aspettato un altro paio di minuti. Dovresti ringraziarmi.”
“Dov’è Bella? Voglio vederla.”
Voglio… Quanto sei audace, Cullen. Non ti credevo così coraggioso. O stupido…” sghignazza.
“Per favore, James,” lo supplico. In fondo ama essere pregato. Se mi dimostro sottomesso mi farà vedere Bella. “Per favore. Sono qui. Puoi prendermi a pugni, a calci, quello che ti pare. Non mi importa. Fammi vedere Bella. Ti prego, dimmi che sta bene.”
James mi sorride in modo inquietante, e per un attimo temo che non abbia rispettato i patti. Ma poi si sposta di qualche passo e fa schioccare le dita. Subito due figure compaiono sulla soglia della cucina. È buio e mi ci vuole qualche secondo per abituare la vista. Quando capisco che una di queste due persone è Bella, una scossa mi percorre tutto il corpo. Dalla testa ai piedi.
“Bella…” dico. Ma non sono certo di essere riuscito ad emettere alcun suono. Ho la gola secca, e mi manca l’aria.
Bella è pallida come un fantasma. Non appena mi vede, gli enormi occhi color cioccolato, spalancati in uno sguardo di puro terrore, le si riempiono di lacrime. Sembra voler dire qualcosa, ma un grosso pezzo di nastro adesivo appiccicato alle labbra glielo impedisce. Tenta anche di fare un passo nella mia direzione. Il tipo che l’accompagna, però, la trattiene a sé, bloccandole entrambe le braccia dietro la schiena.
James le si avvicina e solleva una mano verso il nastro adesivo. “Questo non era necessario, ovviamente,” dice. “Ma anch’io, come te, Cullen, amo Criminal Minds. Ed anche C.S.I., se devo essere onesto. A te piace C.S.I., Cullen?”
Se mi piace C.S.I.? Ma che razza di domanda è? Prima che io possa rispondere, James afferra un lembo del nastro adesivo e glielo strappa dalla bocca.
Bella urla di dolore, così mi lancio verso di lui, con l’intenzione di colpirlo. So perfettamente che non sarei in grado di torcergli un capello, ma ha fatto del male a Bella. Questo mi basta. 
Non riesco neppure a compiere un passo, che due tizi sbucati dal nulla mi si parano davanti, impedendomi di raggiungerlo.
Un terzo si materializza di fianco a James. “È solo, te lo confermo,” gli dice.
Faccio un rapido calcolo. James, il tipo che gli sta accanto, un altro che tiene Bella, e poi questi due di fronte a me, che lo proteggono come un muro. Perfetto, sono cinque, e sono tutti qui, in questa stanza. Jake, Emmett e Jasper, mi possono raggiungere senza essere visti. Ma prima devo far uscire Bella da qui. Finché lei non sarà fuori da questa casa, al sicuro, non c’è modo per i ragazzi di sapere se possono intervenire o no.
Ignoro James ed i suoi amici, e mi rivolgo a Bella. “Bella… Bella stai bene? Sei ferita?”
Lei non risponde alla mia domanda. “Edward, perché sei qui? Ti ho chiesto di chiamare aiuto… Ti farà del male…” Singhiozza, ormai incapace di trattenere le lacrime.
“Bella, va tutto bene, “ le dico. “Andrà tutto bene. Bella, guardami, non piangere. Andrà tutto bene.” La verità è che ho paura. Maledettamente paura. Non so se andrà tutto bene. Non posso saperlo. Ma Bella piange, trema, è terrorizzata. Non so se le hanno fatto qualcosa, soprattutto cosa  le hanno fatto. Che altro potrei dire?
“Che quadretto commovente…” esclama James. E poi, rivolgendosi al tipo che tiene Bella, dice: “Lasciala andare.”
Lui obbedisce e la spinge in mezzo alla stanza. Sbilanciata, Bella cade in avanti dopo un paio di passi. Io mi infilo tra i due energumeni che mi stanno di fronte e la raggiungo.
“Bella! Bella, stai bene?” le chiedo, inginocchiandomi di fronte a lei. Bella mi si getta tra le braccia. Restiamo così, in ginocchio, sul pavimento lurido, aggrappati l’uno all’altra. La stringo forte a me, le prendo il viso tra le mani, le scosto i capelli dalla fronte. “Stai bene? Ti ha fatto del male? Stai bene?” continuo a chiederle, ancora ed ancora.
“Perché sei qui?” singhiozza. “Perché sei qui? Ti ammazzerà. Perché sei qui?”
“Non mi ammazzerà,” le sussurro in un orecchio, anche se posso già distinguere la luce bianca in fondo al tunnel e voci angeliche che mi invitano a raggiungerle. “Tu adesso te ne vai,” le ordino aiutandola a rialzarsi.
Se possibile i suoi occhi si fanno ancora più grandi. “Cosa?! No!” piagnucola, scuotendo freneticamente la testa. “No, io non ti lascio solo, no!”
“Bella,” le dico, cercando di sembrare tranquillo. “Tu, ora, te ne vai. Mi hai capito? Te ne vai.”
“No, no…” continua a ripetere, tremando ed aggrappandosi alla mia giacca.
“Cullen,” interviene James. “Comincio ad essere stanco. Ho voglia di fare andare le mani, oppure di scopare.  Ed anche i miei amici. Decidi tu.” Poi estrae qualcosa dalla tasca e lo fa scattare. Un coltello a serramanico. Oh, Signore, aiutami, ti prego.
“Bella, vattene,” le ordino, iniziando a spingerla verso la porta.
“No… no, ha un coltello… no…”
“Cazzo, Bella, vattene!” le urlo contro. La voglio fuori di qui. Subito.
Spalanco la porta e la spingo oltre la soglia.
“Cullen?” James, alle mie spalle, chiama il mio nome, sempre più spazientito. “Se la puttanella vuole guardare mentre ti spacco la faccia a me sta bene.”
“Ascoltami bene, Bella. Ora tu scendi quei gradini ed inizi a correre. Jake ed i ragazzi sono là fuori. Forse c’è anche la polizia. Appena li raggiungi, di’ loro di venire qui ad aiutarmi.” Le parlo in un orecchio, stringendola a me, la voce bassissima, per non farmi sentire da James e dai suoi amici.
Poi, alle mie spalle, sento i passi di James avvicinarsi inesorabilmente.
“Vai!” Spingo Bella oltre il portico. Contemporaneamente penso che il suo sguardo terrorizzato sarà l’ultima cosa che vedrò prima di morire. Perché ormai ne sono certo: James è uno psicopatico e mi ucciderà.
Bella mi osserva per qualche secondo, boccheggiando. Sembra voglia dire qualcosa, ma non riesce ad emettere alcun suono. Poi si toglie i sandali, si volta, ed inizia a correre.
“Ti amo,” sussurro, mentre la guardo allontanarsi e scomparire nella notte. Bella non mi ha sentito, ovviamente. Ormai è troppo lontana, e lo scricchiolio dei suoi passi veloci sulla ghiaia avrebbe comunque coperto la mia voce. Ma volevo sentire il suono di queste parole prima di spegnermi definitivamente. Ti amo.
Torno indietro e richiudo la porta alle mie spalle. Scappare non servirebbe a nulla: inciamperei ancora prima di aver iniziato a correre. E poi loro sono in cinque, io sono solo. Quanto impiegherebbero a riprendermi?
James è di fronte a me, e mi sorride, con quel suo sorriso idiota. Gli sorrido anch’io. Non so perché. Sono stranamente calmo. Rassegnato, forse.
Sono pronto a ricevere tutti i calci e tutti i pugni, l’importante è che Bella stia bene e che sia fuori da questa casa, lontano da James e dai suoi amici.
I ragazzi dovrebbero essere già la fuori. Forse c’è anche la polizia. Bella dovrebbe averli già raggiunti. È un’atleta. È veloce. Io inciamperei nei miei stessi piedi. Lei no. Lei è…
Sento un click, una fitta tremenda alla base del costato, vicino allo stomaco, e poi caldo. Molto caldo.
Un attimo dopo sono a terra, in ginocchio, ad osservare un’enorme macchia di sangue imbrattare il bianco immacolato della mia camicia. James mi ha accoltellato.
Non sento dolore. Lo aspetto, da un momento all’altro, terribile e lancinante. Ma non lo sento. Sono forse sotto shock?
Alzo lo sguardo verso James che continua a sorridermi. I suoi amici, invece, si sono allontanati. Lo osservano dal fondo del salone, sconvolti. “Cosa cazzo hai fatto?” urlano, agitandosi e passandosi nervosamente le mani tra i capelli. “James, l’hai accoltellato. Sei impazzito?”
“State zitti…”
“James, dovevamo solo divertirci…”
“State zitti…”
“Avremmo dovuto solo spaventarli!”
“State zitti!” urla James, e si avventa su di loro, brandendo il coltello.
I suoi amici fuggono terrorizzati, uno alla volta.  Non si scagliano su James, non lo bloccano, non lo allontanano da me. Sono in quattro, lui è solo. Sanno che è impazzito, sanno che, probabilmente, è drogato. Scappano, e mi lasciano solo con questo maniaco dallo sguardo allucinato.
Sento che sto per svenire. Mi gira la testa, mi viene da vomitare. Tutto è… confuso… tutto è…
Crollo a terra e mi rannicchio su un fianco, tenendomi lo stomaco, sentendo il sangue fluire tra le dita.
Però non vedo nessun tunnel e nessuna luce. Nessuna voce angelica sta chiamando il mio nome, ed io penso che, forse, non sto morendo. Forse è una ferita superficiale, forse…
Poi sento un calcio nello stomaco, ed esplode il dolore.
Quando penso di non poter sopportare oltre, mi arriva un altro calcio, nel fianco. Ed un altro ancora, nei genitali. E poi su una spalla, su una gamba, ancora nei genitali…
Vorrei scappare, trascinarmi via. Ma non riesco a muovermi, non riesco a fare nulla, neppure a respirare. Sento solo il sapore del sangue in bocca, e tutto il dolore del mondo concentrato in ogni singola fibra del mio corpo.
Perché questo tizio ce l’ha tanto con me? Perché mi vuole morto? Perché nessuno viene ad aiutarmi? Dove sono i ragazzi? Dov’è Jazz? E Jake? Ed Emmett? Dov’è la polizia?
È incredibile. Morirò a diciassette anni con un coltello piantato nello stomaco. Pensavo che queste cose succedessero solo agli altri, che si vedessero solo in televisione, al telegiornale. E invece…
Non sono neppure riuscito a baciare Bella, a dirle che la amo. Più di qualunque altra cosa al mondo. Più della mia stessa vita.
Bella…
Mentre la vista si fa sempre più confusa, vedo una piccola macchia bianca sul pavimento. Un bocciolo di rosa.
Istintivamente allungo la mano. Vorrei stringere tra le dita qualcosa che le appartiene, mentre me ne vado. Ma non riesco a raggiungerlo: è troppo lontano.
“Bella…” balbetto.
Poi ricevo un ultimo calcio. In faccia.
C’è solo buio, ora. Ed un assordante nulla.


_______________________________________________________________________________________________
Assordante Nulla ... vorrei aver partorito queste parole, ma sono dei Subsonica (La glaciazione)

American Psycho è un romanzo (che consiglio)  
http://www.ibs.it/code/9788806174040/ellis-bret-e-/american-psycho.html



 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***




Capitolo 11
 
Oddio, eccola: la luce in fondo al tunnel.
Sapevo che, prima o poi, sarebbe arrivata. Sapevo che James mi avrebbe ammazzato. L’ho intuito non appena ho messo piede in quella maledetta casa degli orrori. Un coltello piantato nello stomaco e una scarica di calci e pugni cos’altro avrebbero potuto fare se non spedirmi all’altro mondo? Non ho di certo il fisico di un lottatore o di un atleta! Uno come Jake, ad esempio, avrebbe potuto affrontarne dieci di James. Ma io… Che ne so di autodifesa? Che ne so di scazzottate? E il fatto che abbia visto quel capolavoro assoluto di Fight Club una decina di volte non è significativo. La teoria è una cosa, la pratica un’altra.
Santo cielo… quella maledetta luce si fa sempre più intensa. Cosa dovrei fare, ora?
Ho sempre sentito dire che la presenza di una luce alla fine di un tunnel non è un buon segno. Significa che, nella tua vita, qualcosa è andato storto, che la tua corsa è giunta al capolinea. Mi pare un tantino presto per porre fine al mio viaggio, però. Dopotutto ho solo diciassette anni!
Forse, se non seguo la luce, se mi mantengo nell’oscurità, non morirò.
A meno che… A meno che io non sia già morto! Oddio… il buio che mi circonda è una terra di mezzo? Una sorta di limbo che mi ospita in attesa che qualcuno decida cosa fare della mia anima, se mandarmi all’inferno o in paradiso? Spero di finire in paradiso… All’inferno gira un sacco di brutta gente e non avrei il coraggio di affrontarla per un tempo superiore ai cinque minuti. Figuriamoci per l’eternità!
In prima media ho copiato il compito in classe di matematica da Will Jenkis, e non è stata una bella cosa, lo ammetto. E neppure prendermi i meriti per l’ottimo voto ricevuto. Ma a mia discolpa posso dire che avevo passato tutta la settimana precedente a letto con l’influenza, che non avevo potuto studiare come si deve, e che quella è stata l’unica volta in cui ho barato. Copiare un compito in classe non mi pare una cosa grave al punto da meritare un posto tra le braccia di Satana! James, che mi ha ammazzato, che fine dovrebbe fare, allora?
“Edward… Edward…”
Ecco. Ora sento anche delle voci invocare il mio nome.
“Edward… Edward, ci puoi sentire?”
Una femminile e una maschile.
Se non altro non finirò all’inferno. Queste voci sono troppo gentili per appartenere a dei demoni.
Che strano, però. Oltre ad essere estremamente dolci queste voci assomigliano terribilmente a quelle dei miei genitori.
“Edward, amore…”
Ehi… Ma queste sono  le voci dei miei genitori!
“Edward…”
Questa è mia madre.
“Edward, mi senti?”
E questo è mio padre.
Allora non sono morto… non sono morto!
Con enorme fatica sollevo le palpebre, e quella stessa luce che fino a qualche istante fa cercavo disperatamente di fuggire mi investe in pieno, ferendomi gli occhi.
“Ma‒mamma… Pa‒papà…” riesco a dire. Vorrei aggiungere dell’altro. Vorrei chiedere: cos’è successo? Dove sono? Perché sto così male? Sono ancora vivo? È tutto vero o è un incubo? Ma non ci riesco. La voce non esce. Inoltre provo un dolore lancinante alla mascella ‒ beh, un po’ ovunque ad essere onesto. Ho le labbra e la gola secche, e mi sento come se il mio cervello fosse scollegato dal resto del mio corpo. Insomma, mi sento uno schifo.
“Edward… Edward ti sei svegliato!” Mia madre, seduta sul bordo del letto, mi prende il viso tra le mani e comincia ad accarezzarmi: le guance, la fronte, i capelli… Lo fa con estrema cautela e delicatezza, come se avesse paura di farmi del male, come se avesse paura di rompermi, o di vedermi scomparire da un momento all’altro. Dal tono della sua voce mi pare che stia piangendo, ma senza occhiali, e con questa luce accecante, non riesco a vedere bene l’espressione del suo volto. Non riesco a capire se è triste o felice. Credo sia felice, però. Ha detto: “Ti sei svegliato.” Immagino di aver dormito o di essere svenuto per un po’.
C’è anche mio padre. Riesco a distinguerne a malapena la sagoma, ma è lui. In piedi, dietro mia madre, le tiene le mani sulle spalle, come a darle coraggio, o a prenderne.
“Edward…” continua a dire. “Edward…” Pronuncia il mio nome, non fa altro, la voce rotta dal pianto.
“Chiama la Dottoressa Robinson, Carlisle,” sento dire a mia madre. All’istante mio padre si allontana da noi.
Mi guardo intorno, sbattendo le palpebre, cercando di abituare gli occhi alla luce.
Credo di essere a letto, in una stanza d’ospedale ‒ se non altro per il forte odore di disinfettante. Ma la luce è troppo intensa, non riesco a distinguere quasi nulla intorno a me.
Mia madre si rende immediatamente conto del mio disagio. “Ti dà fastidio la luce, amore?” chiede. E ancor prima di ricevere una risposta, si alza e si avvicina alla finestra. Poi abbassa le veneziane, creando una piacevole penombra.
Sì, è come sospettavo: sono a letto, in una stanza d’ospedale.
“Grazie,” riesco a dirle.
Molto bene. Mi è successo qualcosa di terribile e sono all’ospedale. Ma sono ancora in grado di parlare. Chissà se sono anche in grado di muovermi.
Cerco di spostare la testa di lato. Ce la faccio. Di sollevare una mano. Riesco a fare anche questo. Muovere un piede. Pure.
Perfetto. Non sono paralizzato. Sono vivo e non sono paralizzato. E riesco anche parlare, malgrado il dolore lancinante alla mascella. Sono così felice che potrei mettermi a ballare. E non me ne importerebbe nulla di essere preso in giro dai miei compagni di scuola.
“Ho… ho sete,” dico. Non credo di aver mai avuto la gola tanto secca in tutta la mia vita.
“Certo… certo, ti verso dell’acqua, amore.” Mia madre si avvicina e preme un bottone che fa alzare lo schienale del letto di qualche grado. Poi afferra una brocca posta sul comodino, versa dell’acqua in un bicchiere di plastica e me lo porge, aiutandomi a bere.
L’acqua è tiepida, ma deliziosa. Ne bevo a piccoli sorsi, provando immediato sollievo.
“Edward,” Una donna in camice bianco, sulla cinquantina, entra nella stanza, sorridendo. Credo sia la Dottoressa Robinson. Mio padre la segue. “Edward, ti sei svegliato, finalmente. Sai che giorno è?” chiede.
Ci rifletto per un attimo. “Domenica?”
L’ultima volta che mi sono alzato dal letto era sabato. Poi Rosalie è venuta a tagliarmi i capelli. Poi c’è stata la festa.  Poi… Poi.
Dovrebbe essere domenica.
“No, martedì pomeriggio.”
“Ma‒martedì ?!” balbetto.
Lei mi sorride, nuovamente. Ha l’aria gentile e simpatica. “Hai dormito per un po’,” si limita a dire, come se fosse una cosa normale restare privo di conoscenza per quasi tre giorni. Io lo trovo inquietante.
Poi la dottoressa Robinson inizia a esaminarmi. Mi controlla le pupille con una torcia minuscola, mi sente il polso, posa lo stetoscopio sul mio petto e mi chiede di respirare, fa lo stesso con la schiena, misura la mia temperatura corporea con un termometro digitale. Contemporaneamente mi fa delle domande, e io cerco di risponderle.
“Sai dove siamo?”
“In un ospedale.”
“Sai perché ti trovi qui?”
“Sì.”
“Cos’è successo?”
“Sono stato accoltellato.”
“Nient’altro?”
“Preso a calci. E a pugni, forse.”
“Ti ricordi chi è stato?”
“Sì.”
Che strano… Non ero mai stato ricoverato prima d’ora. Non ero neppure mai stato al pronto soccorso. Gli ospedali li ho sempre visti solo ed esclusivamente in TV. Ora mi pare di vivere una puntata di Grey’s Anatomy.
La dottoressa Robinson si sposta verso i macchinari a cui sono collegato e inizia a esaminarne i tracciati con estrema attenzione.
Da uno strano aggeggio dotato di monitor partono svariati fili appiccicati con delle ventose al mio torace. La macchina emette un bip, continuo e regolare. Spero sia un buon segno. Una cannula infilata sul dorso della mia mano sinistra è collegata ad una flebo. Un altro paio di tubicini mi fuoriescono dal naso.
“Mi pare vada tutto bene,” dice la Dottoressa Robinson, ma più a se stessa che a me o ai miei genitori che attendono impazienti in un angolo della stanza. Poi si volta nella mia direzione. “Tu come ti senti, Edward?” chiede.
Come mi sento? Non c’è una parte del mio corpo che non mi faccia male, ma mi pare di essere ancora tutto intero, di non avere nulla di rotto. E poi sono ancora vivo.
“Bene, credo…” rispondo.
“Sono un medico, uno scienziato,” dice lei. “Non dovrei credere nei miracoli, ma con te…” sospira e scuote la testa, incredula. “Penso ne sia accaduto uno, Edward.”
“Un… un miracolo?”
“Sarò sincera: eri messo male. Avevi questa ferita, molto profonda, da cui è fuoriuscito parecchio sangue. Ma quel coltello non ha colpito alcun organo vitale. Un centimetro più in là e le cose sarebbero andate diversamente.”
Ah. Interessante. Che reazione dovrei avere a una notizia del genere? Gioire? Rabbrividire? Sinceramente ciò che questa dottoressa mi sta spiegando è piuttosto inquietante. In sostanza mi sta confermando che mi sono trovato a un passo dalla morte.
“E tutti quei calci e quei pugni… Sei stato colpito anche in faccia, Edward, ripetutamente,” continua lei. “È davvero incredibile che tu non abbia nulla di rotto. Solo delle contusioni, per quanto estese, e un paio di costole incrinate. Nient’altro.”
“Nient’altro?”
“Nient’altro.”
“Sì,” balbetto, non riuscendo ancora a credere di essere sopravvissuto alla furia di James. “Sì, è… è incredibile.”
“Hai una tempra molto forte, Edward,” dice la Dottoressa.
Io? Edward Cullen? Una tempra forte? Questa, poi…
“Ora che sei sveglio la polizia vorrà parlare con te.” continua. “Sapere come sono andate le cose con James dopo che siete rimasti soli, prima che i tuoi amici e la polizia ti trovassero…”
James… Nell’istante esatto in cui sento pronunciare il suo nome ad alta voce, una serie di immagini spaventose mi riaffiora alla memoria: lui, la sua voce stridula, il suo sguardo da pazzo, i suoi occhi allucinati… il coltello…
Comincio ad agitarmi, facendo aumentare la frequenza dei bip emessi dalla macchina a cui sono collegato.  
Immediatamente la Dottoressa Robinson e mia madre sono al mio fianco.
“Tranquillo, Edward,” dice la Dottoressa. “Non è necessario che tu lo faccia subito.”
“Esatto, amore,” continua mia madre, sedendosi sul bordo del letto e prendendomi la mano. “Possiamo rimandare a domani, giusto?” E nel dirlo solleva lo sguardo in direzione del mio medico, in cerca di una conferma.
“Assolutamente, Signora Cullen. Domani. Ormai è tardi, Edward deve riposare.”
La Dottoressa Robinson inietta qualcosa nella flebo ‒ un tranquillante, credo, perché mi sento subito meglio ‒ mi dice che tornerà a controllare il mio stato tra un paio d’ore, mi prega di chiamare lei, o un infermiera, dovessi aver bisogno di qualcosa, e poi se ne va.
 
Una volta rimasti soli i miei genitori si avvicinano a me.
“Torna a riposare, Edward,” dice mio padre. “Ne hai bisogno. Hai sentito cos’ha detto la Dottoressa Robinson? È  stato un miracolo.”
Mentre lo dice la voce gli si incrina e gli si inumidiscono gli occhi, ma non piange. Lo conosco: è un uomo forte e orgoglioso. Non ama mostrare le proprie debolezze. Ho sempre pensato di non avere nulla in comune con lui, a parte la passione per lo studio. Ma forse gli assomiglio più di quanto credessi.
Sono molto stanco, oltre che indolenzito, e il tranquillante comincia a fare effetto. Tuttavia ho un pensiero fisso che mi tormenta e che mi impedisce di calmarmi del tutto. Un’immagine orribile impressa nella mente da quando la Dottoressa Robinson mi ha chiesto se ricordavo cosa fosse successo sabato sera: il volto pallido e lo sguardo terrorizzato di Bella l’ultima volta che ci siamo visti, prima che lei si mettesse a correre per andare a cercare aiuto. Qualunque cosa accadrà tra di noi in futuro, credo che non dimenticherò mai più i suoi occhi, quello che vi ho letto. In quel momento ho avuto l’assoluta certezza che l’amavo, e che anche lei mi amava. Che eravamo fatti per stare insieme, ma che la vita non ce lo avrebbe permesso. Perché per me era finita. Per sempre.
Invece sono ancora qui. Sono ancora qui è non voglio più tirarmi indietro. Non voglio più rischiare di perdere ciò che amo a causa delle mie sciocche e insensate paure. Non voglio più sprecare neanche un attimo di vita.
“Bella?” chiedo, cercando di tirarmi su. “Come sta, Bella? Sta bene? Lei sta…”
“Sta bene,” mi rassicura mia madre, accarezzandomi la testa. “È stanca, preoccupata… ma sta bene. Sarà felice di sapere che ti sei svegliato.”
“James… James le ha fatto… le ha fatto del male?” chiedo. Non è la domanda che vorrei fare, ma mio padre capisce immediatamente cosa intendo.
“No,” dice, scuotendo la testa con decisione. “James non l’ha toccata, e neppure i suoi amici. Solo…”
Solo ? C’è un solo ? Non voglio che ci sia un solo. “Cosa, papà?” chiedo, agitandomi nel letto. “Cos’è…”
Mio padre non mi lascia finire. “Niente,” si affretta a dire. “Niente, Edward. Bella sta bene.”
Sorride, ma mi sembra a disagio. Poi cambia discorso nel tentativo di distrarmi. E, purtroppo, ci riesce. Sono stanco e manco ancora di concentrazione. “Isabella è venuta a trovarti tutti i giorni, sai?” confessa.
“Tutti i giorni?”
“Sì,” annuisce mia madre, dandogli manforte. “Tutti i giorni.”
“Anche oggi?”
“Certo, Edward,” mi conferma. “Se n’è andata da poco, a dire il vero. Mezz’ora. Non di più.”
Non ci credo… Se mi fossi svegliato mezz’ora fa avrei potuto rivedere Bella. Avrei potuto rassicurarla, dirle che sto bene, che non si deve più preoccupare per me, che presto tornerò a casa.
Ho così tanta voglia di rivederla… voglio rivedere i suoi occhi. Ho bisogno di rivederli di nuovo felici e pieni di vita, e non disperati e terrorizzati. Quella è un’immagine che voglio cancellare.
“Potreste… potreste chiamarla? Dirle che sto bene? Che mi sono svegliato?” chiedo. Una parte di me vorrebbe mantenere il segreto, per farle una sorpresa domani quando tornerà di nuovo a trovarmi. Ma non voglio che continui a preoccuparsi e a stare male inutilmente. Voglio che sappia che è finita.
“Certo, Edward,” dice mia madre. “Lo avremmo fatto comunque. Bella ci ha chiesto di tenerla aggiornata. Di avvisarla immediatamente, nel caso in cui ti fossi svegliato.”
“È una ragazza meravigliosa, Edward,” aggiunge mio padre. “Davvero straordinaria. Ci tiene molto a te.”
Sorrido e faccio di sì con la testa. Forse arrossisco. “Lo so,” dico.
Poi i miei genitori iniziano a spiegarmi cosa è successo dopo che sono crollato a terra e ho perso i sensi a causa di tutti i calci e di tutti i pugni inferti da James.
Bella ha raggiunto Jasper, Emmett e Jake, nascosti in mezzo al bosco. Sono tornati indietro per aiutarmi ‒ tutti insieme, anche Bella. James era solo e per i ragazzi non è stato un problema bloccarlo e disarmarlo. Nel frattempo è arrivata la polizia e subito dopo un’ambulanza. Ora James si trova rinchiuso nel carcere minorile di Seattle, in attesa di essere processato. Il test tossicologico a cui l’hanno sottoposto ha dimostrato che ha agito sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.
 
Verso l’ora di cena i miei genitori mi salutano con la promessa di tornare a trovarmi l’indomani. Io sono stanchissimo, e quando abbandonano la mia stanza mi addormento all’istante.
 
Il giorno dopo mi sveglio di buon’ora. Sono ancora terribilmente indolenzito, ma gli antidolorifici mi aiutano a stare meglio.
La DottoressaRobinsonè molto soddisfatta del mio decorso, quindi mi scollega sia dall’ossigeno che dai monitor, lasciandomi attaccato solo alla flebo. Dice che sto recuperando velocemente, e ancora una volta si complimenta per la mia tempra molto forte.
All’ora di pranzo riesco persino a mangiare qualcosa ‒ un passato di verdure e un budino al cioccolato ‒ e ad andare in bagno a fare pipì. Da solo. Che meraviglia.
Verso le due arrivano i miei genitori. Per quanto sia felice di vederli, c’è solo una persona che desidero incontrare più di chiunque altro: Bella.
Fortunatamente non devo aspettare a lungo. Solo un altro paio d’ore e, finalmente, lei sarà qui.
Mi vergogno un po’ a farmi vedere così. Il camice copre le ferite e gli ematomi su tutto il corpo, ma la mia faccia è un disastro. Quando mi sono specchiato, stamattina, ho avuto un sussulto. Ho uno squarcio sulla fronte ‒ sette punti di sutura protetti da un cerotto ‒ un occhio nero e tumefatto, un labbro spaccato, ed escoriazioni su entrambe le guance. Davvero non riesco a capire come James non sia riuscito a rompermi anche il naso o la mascella.
Esattamente come avevo chiesto, i miei genitori hanno informato sia Bella che i miei amici del mio risveglio e delle mie condizioni. Jasper e gli altri verranno a trovarmi in serata. Per l’incontro con la polizia, invece, pare che ci sia tempo. Mi hanno concesso un altro paio di giorni, per riprendermi e ricordare meglio.
In realtà ricordo tutto alla perfezione e non ho bisogno di pensarci o di rielaborare. Ogni singolo dettaglio di quella notte terribile è impresso a fuoco nella mia mente. Rivivere quei momenti fa male, però. Molto più di tutte le ferite. Quindi sono felice di non essere costretto a raccontare come sono andate le cose per un altro po’.
 
Sto chiacchierando con i miei genitori del più e del meno quando sento una voce.
“Edward…”
Alzo la testa. Bella è in piedi, ferma poco oltre la soglia della mia camera d’ospedale.
Mio Dio… è così pallida. Ha gli occhi rossi e cerchiati, come se non dormisse da giorni. Un cerotto sulla fronte, vicino all’attaccatura dei capelli, e un piccolo ematoma sullo zigomo sinistro. Ma è lei. È viva, sta bene ed è bellissima.
“Bella…”
“Sei… ti sei risvegliato…” dice in un sussurro, come se avesse paura di disturbarmi. Stringe un bicchiere di caffè in una mano e nell’altra tiene un libro.
“Sì,” confermo. E poi taccio. Ci sono un milione di cose che le vorrei dire, ma non riesco ad aprire bocca. Me ne resto lì, in silenzio, a contemplarla.
“Edward,” interviene mio padre, con enorme tatto. “Io e tua madre scendiamo in cortile a prendere una boccata d’aria. Torniamo più tardi.”
Vogliono lasciarmi solo con Bella, regalarci un po’ di intimità. Sono i genitori migliori del mondo.
Mi danno un bacio sulla fronte, entrambi. Poi escono dalla stanza, non senza aver salutato Bella, prima. Noto una certa dose di confidenza e intimità tra di loro, e non posso che esserne felice.
Quando la porta si richiude, finalmente siamo soli.
“Ciao,” mi dice.
“Ciao,” le dico.
“Ti sei risvegliato.”
“Sì, ieri pomeriggio.”
“Come stai?”
“Tu come stai?”
“Bene.”
“La tua fronte… e la tua guancia… Che ti è successo? È stato James?”
Bella scuote la testa. Se ne resta lì, con il suo caffè e il suo libro, lontana, troppo lontana. Poi, di punto in bianco, gli occhi le si riempiono di lacrime. Lascia cadere a terra sia il libro che il bicchiere di caffè, come se non avesse più la forza per reggerli. Porta la braccia al petto ed emette un gemito ‒ un suono gutturale, profondo e straziante. Un attimo dopo tutto il suo corpo è scosso dai singhiozzi e il suo volto è rigato dalle lacrime.
“Mi dispiace,” continua a ripetere. “Mi dispiace…” Piange disperata, il bel viso  deformato dal dolore.
Io non so che fare. Vederla così mi disorienta e mi spezza il cuore.
“È tutta colpa mia,” dice. “Ti ha quasi ammazzato… ed è tutta colpa mia…”
Colpa sua? Perché? Non è vero… “Bella, che dici? Non è‒”
“Sì, invece!” esclama disperata. “Mi dispiace, Edward… Mi dispiace tanto… io…”
“Bella, sono qui… non piangere…” la imploro. Ma non mi ascolta.
“È stato terribile,” continua. “Eri lì, a terra… non riuscivo neppure a capire se eri ancora vivo… cercavo di fermare il sangue, ma continuava a fluire… credevo che saresti morto tra le mie braccia…”
Oh, mio Dio… Bella mi ha stretto a sé mentre giacevo a terra, esanime. Bella ha tentato di salvarmi la vita. Non riesco a crederci. Non oso neppure immaginare lo strazio che deve aver provato in quel momento.
Se fossi stato al posto suo… se avessi stretto tra le braccia il suo corpo insanguinato e privo di conoscenza… io… io…
Non sopporto più di vederla in queste condizioni. Non sopporto più di vederla piangere e sentirle dire che la colpa di quanto è successo è sua. Mi fa male. Più di tutte le botte che ho preso, più delle ferite che porto.
“Vieni qui,” le dico, allungando una mano nella sua direzione. “Ti prego, Bella, vieni qui.”
Lei si avvicina, ma si ferma di fianco al mio letto, le braccia incrociate, le spalle che sussultano. Piange e non accenna a smettere. Non tenta neppure di asciugarsi le lacrime. Lascia che le sgorghino dagli occhi, che le righino le guancie, fino a raggiungere il mento e poi il collo. Le lascia cadere in piccole gocce salate sulla maglietta che indossa.
“Non piangere, Bella,” la supplico. “Ti prego, non piangere. Non è colpa tua, non è colpa di nessuno…”
Sollevo una mano e le asciugo le lacrime con il pollice. Istintivamente Bella abbandona il viso nel palmo della mia mano e chiude gli occhi. Sembra che questo piccolo contatto le regali un po’ di sollievo, eppure continua a singhiozzare, senza sosta. È come se stesse sfogando tutto il dolore e la paura accumulati in questi giorni in cui sono stato incosciente.
“Vieni qui,” le dico attirandola a me e facendole un po’ di spazio nel mio letto. Muovermi mi risulta difficile, molto difficile. Ma voglio abbracciarla, stringerla a me, proteggerla, in qualche modo. Sono io quello in un letto di ospedale. Sono io ad avere due costole incrinate, ematomi ovunque, e una ferita di coltello sotto il costato. Ma è lei quella che sta male, male sul serio. È lei quella veramente fragile, ora.
“Ti farò male,” singhiozza. “Non posso… non voglio…”
“Bella, ti prego… ti prego… vieni qui…” Lei ha bisogno di me, ma anch’io ho bisogno di lei. Tanto.
Bella si accoccola al mio fianco con estrema delicatezza. Io la cingo con un braccio e lascio che appoggi la testa sulla mia spalla. È così minuta… non me ne ero mai reso veramente conto.
“Shhh…” le sussurro, dandole piccoli baci sulla fronte e accarezzandole i capelli. “Shhh… va tutto bene. Sono qui… sono qui e sto bene. Non piangere, Bella… per favore, non piangere…”
Per quanto sia minuta, il peso del suo corpo addosso mi provoca piccole fitte di dolore. Eppure non sono mai stato meglio in tutta la mia vita. Bella è qui, tra le mie braccia. La stringo a me, l’accarezzo, le bacio la fronte. E non ho paura. Non mi sento inadeguato e non voglio scappare. Sono esattamente dove vorrei essere. Con la ragazza che amo.
 
Lascio che Bella si sfoghi, perché ne ha bisogno, è evidente. Non so quanto tempo passa. Cinque minuti, dieci, venti, un’ora.
Quando finalmente si è calmata cerco di capire cosa le è capitato.
“Ti sei ferita,” osservo, dandole un piccolo bacio sulla fronte, proprio sul cerotto. “Com’è successo?”
Come temevo Bella si irrigidisce e inizia a stringere tra le dita un lembo di tessuto del mio camice. “Non è niente…” dice. Ma non le credo. Non vuole che mi spaventi o che mi agiti, è chiaro. Ma io ho bisogno di conoscere la verità.
“È stato James?” le chiedo. Non so perché insisto. È evidente che Bella non vuole parlarne, ma quel discorso interrotto di mio padre mi ronza ancora nelle orecchie e voglio sapere.
“No,” risponde. “Non è stato James.”
“Uno dei suoi amici?”
Bella annuisce. “Ha cercato di…” Bella ha un attimo di esitazione. “… toccarmi.”
La confessione di Bella mi provoca un sussulto e una fitta lancinante al costato. “Di… di toccarti?” ripeto a denti stretti, cercando di calmare il dolore, non solo fisico.
Lei si solleva un poco, in modo da potermi guardare negli occhi, e mi accarezza il viso. “Non è successo niente,” si affretta a tranquillizzarmi. “Ci ha provato, ha allungato una mano, ma non è successo niente. Gli ho dato una testata.”
“Una testata?!” Tipico di Bella. Non è una che si lascia mettere i piedi in testa. È fenomenale.
“Sì, è così che mi sono ferita.”
“E l’ematoma sullo zigomo?”
Bella torna ad appoggiare la testa sulla mia spalla.
“Quel bastardo mi ha dato uno schiaffo,” borbotta.
Sto per avere un altro attacco di bile, ma Bella mi stupisce nuovamente. “Io gli ho dato un calcio nelle palle, però,” sghignazza. “Dovevi vederlo.” Solleva di nuovo la testa e mi guarda sorridendo, quasi divertita. “Boccheggiava, piangeva come una femminuccia, e tutti i suoi amici ridevano di lui, e James si è…”
Poi non so cosa mi prende. Forse sono i farmaci, forse sono ancora sotto shock.  Ma Bella è qui, tra le mie braccia, il suo volto è vicinissimo al mio. Gli occhi le brillano, profuma di buono, ed è bellissima.
Non la lascio neppure finire di raccontare la sua storia.
“Ti amo, Bella,” le dico tutto d’un fiato.
Il suo corpo è scosso da un fremito. Spalanca gli occhi e schiude impercettibilmente le labbra. Sembra quasi che abbia smesso di respirare.
Forse ho sbagliato a dirle che la amo, ma non mi importa. Sabato sera sono quasi morto pensando che non avrei mai più avuto l’opportunità di confessarle ciò che provo per lei. Invece sono ancora vivo e lei è qui, sdraiata al mio fianco. Che senso ha aspettare?
“Ti amo,” le dico di nuovo, prendendole la mano e intrecciando le mie dita alle sue. “Grazie per essere diventata mia amica. Grazie per avermi difeso da James e dai suoi amici. Grazie per aver visto in me cose che neppure io sapevo vedere. Grazie per aver reso la mia vita meravigliosa. Sei straordinaria, Bella. E io ti amo.”
Adoro il suono delle parole che escono dalla mia bocca. E adoro le sensazioni che mi provocano. Sono un fiume in piena, quasi non riesco a smettere.
“Non c’è bisogno che tu dica nulla,” la rassicuro, visto che lei mi osserva impietrita, senza aprire bocca. “Volevo solo che tu lo sapessi.”
È incredibile, ho appena confessato a Bella che la amo e non mi sento per nulla a disagio. Al contrario, non sono mai stato meglio in tutta la mia vita. Credo di dover ringraziare antidolorifici e tranquillanti per questo. Sono loro a regalarmi tutto questo coraggio e tutta questa calma, ne sono sicuro.
Bella continua a non parlare, ma il suo sguardo si ammorbidisce, lentamente. Scioglie le nostre dita intrecciate e mi accarezza i viso. Poi i suoi occhi si spostano verso la mia bocca. Prima che io possa rendermi conto delle sue intenzioni, prima che io possa capire cosa sta realmente accadendo, ci stiamo baciando.
È un bacio vero, il nostro, profondo, e le sue labbra sono esattamente come le ricordavo: morbide e al sapore di ciliegia.
Bella si appoggia a me e so che dovrei provare dolore ‒ ho pur sempre due costole incrinate, una ferita di coltello nello stomaco, ed ematomi sparsi un po’ ovunque ‒ ma non lo sento. L’adrenalina cancella tutto. Bacio Bella e, giuro, non vorrei fare altro per il resto dei miei giorni.
“Ahia!” Ok, forse è meglio darsi una calmata.
“Scusa, Edward… scusa… ti ho fatto male?” Bella si stacca da me e comincia ad agitarsi, mortificata.
“No… no, non è niente,” la tranquillizzo.
“Mi sono lasciata trasportare…”
“Bella, non è…”
“Forse è meglio che…”
Bella cerca di scendere dal letto, ma io la trattengo. “No, ti prego!” esclamo, forse con troppa foga. “Resta qui con me…”
Le afferro un braccio, e per un attimo mi sento come un bambino.
“Edward…”
“Se vuoi… solo se… se lo vuoi…”
Ti prego, Bella, dimmi di sì. Dimmi che vuoi restare. Dimmi che anche per te questo bacio è stato meraviglioso. Non è necessario che tu mi dica ‘Ti amo’. Dimmi solo che non te ne andrai.
Bella non dice nulla, come poco fa. Ma non mi importa, non mi preoccupo. I suoi occhi parlano per lei.
Torna a sdraiarsi accanto a me con estrema cautela. Torna ad accarezzarmi il viso con immensa dolcezza. La sua espressione si illumina di una luce calda e amorevole. E poi, di nuovo, le sue labbra sono sulle mie.
“Non vedo l’ora che tu stia meglio,” mi sussurra tra un piccolo bacio e un altro. “Non vedo l’ora che tu sia fuori di qui…” Mi sfiora le labbra, mentre parla. Le appoggia delicatamente alle mie, ci gioca. È la cosa più sensuale che le abbia mai visto fare. E la sta facendo per me. Solo per me.
Sollevo una mano e l’affondo tra i suoi lunghi e morbidi capelli. “Baciami, Bella,” le chiedo. “Baciami.”
E lei lo fa, ancora ed ancora.
Non sapevo cosa significasse sentirsi desiderato.
Ora lo so. E sono felice.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***




Hola, come va amiche mie? Spero bene. Scusate la lunga attesa, ma ultimamente ho poco tempo per scrivere, e, malgrado le idee ci siano, la parole non escono. Un vero mistero.
Coraggio: siamo quasi in dirittura d’arrivo, la storia è quasi finita. Chi mi conosce sa che amo raccontare di come nasce una storia d’amore. Poi quel che sarà sarà. Sta ai protagonisti portarla avanti (Oddio, parlo come se esistessero davvero…)
Vi supplico: siate clementi leggendo questo capitolo. Ho iniziato a scrivere ieri, e già stavo poco bene. In questo momento ho la febbre a trentotto. Potrei aver pubblicato una vera schifezza. Anche se io l’ho amato.
Se vi va di sapere qual è stata la colonna sonora che ha ispirato parte di quanto scritto (oltre il fastidioso battere di denti dovuto ai brividi, ovvio), eccola:
Chasing Cars ‒ Snow Patrol


http://www.youtube.com/watch?v=l_32ej1PspQ

Semplicemente meravigliosa.


Un bacio,
Opunzia





 
Capitolo 12
 
“Edward, non voglio che tu te ne vada…”
“Tornerò a trovarti. Te lo prometto.”
“Sì, ma non sarà la stessa cosa non poterti vedere tutti i giorni…”
Già. Non sarà la stessa cosa. Dire addio, a volte, è difficile. Anche se in realtà questo non è un addio, solo un arrivederci.
“A che ora arrivano i tuoi genitori?”
Guardo l’orologio. “Saranno qui tra poco.”
“Mi suoni qualcosa prima di andare? Per favore…”
“Certo!”
Mi alzo dal letto e tendo le braccia in direzione della piccola Kate, una bambina meravigliosa, ma con gravi problemi di salute, che ho conosciuto nel reparto pediatrico dell’ospedale di Port Angeles una decina di giorni fa.
Lei sgattaiola fuori dalle coperte e mi si getta al collo.
“Hai preso tutto?” le chiedo, sistemandola sulle spalle. “Vuoi portare anche Mr Carrot?”
“Sì, sì!” esclama, agitando le manine. “Portiamo anche Mr Carrot!”
Così mi allungo verso il cuscino, recupero il suo peluche preferito ‒ un coniglio bianco e paffuto, con una carota stretta nella zampa destra ‒ e glielo passo.
Annoiandomi terribilmente, due giorni dopo essermi risvegliato dal coma provocato dall’aggressione di James, ho deciso di fare un giro per l’ospedale. Sono capitato nel reparto pediatrico e ho conosciuto Garrett, un infermiere che sta portando avanti un interessante progetto di musicoterapia. Ci siamo messi a chiacchierare, gli ho confessato che suono il pianoforte, e lui mi ha proposto di dargli una mano con i bambini di cui si prende cura per tutta la durata della mia degenza. Perciò, da una settimana a questa parte, vengo qui tutti i pomeriggi e, almeno per un’ora, suono per loro. Nulla di impegnativo: sigle di cartoni animati, filastrocche, melodie gioiose e divertenti inventate da me. Ma i bambini sembrano apprezzare e divertirsi un mondo. Soprattutto quando  Bella si unisce a noi. Perché quando c’è lei, oltre a suonare e cantare, si balla.
Esco dalla stanza con Kate sulle spalle, Mr Carrot appoggiato sulla testa, e faccio per dirigermi verso la sala giochi, dove Garrett ha messo a disposizione le sue tastiere, ma non appena oltrepasso la soglia sento una voce provenire dal fondo del corridoio.
“Ehi!” la sento chiedere in tono deciso. “Dove state andando voi due?”
Mi volto. Bella ci osserva da lontano, con le mani posate sui fianchi e lo sguardo finto imbronciato.
“Bella!” esclama Kate non appena la vede. “Edward, c’è Bella!” E comincia ad agitare le braccia nella sua direzione.
Kate adora Bella. Dice che da grande vuole diventare una ballerina come lei. Glielo auguro. Glielo auguro sul serio. Spero che possano trovarle un cuore nuovo e che lei possa finalmente vivere la vita sana e felice che si merita.
“L’ho vista!” cerco di tranquillizzarla, perché so che troppe emozioni le fanno male. “Non ti agitare, Kate!”
Comincio a camminare verso Bella, e lei fa altrettanto, sorridendomi radiosa.
Riuscirò mai ad abituarmi  alla bellezza del suo sorriso?
Riuscirò mai ad abituarmi al fatto che lei, ora, sia la mia ragazza?
Soprattutto, riuscirò mai ad abituarmi a quelle gambe spettacolari? Un paio di giorni fa, imbarazzato come non mai, ho confessato a Bella che con la divisa da cheerleader mi piace da matti. Non che lei non lo avesse già capito. Ma volevo dirglielo personalmente. Bella è felice quando sono sincero e le apro il mio cuore. Ebbene, da due giorni indossa una gonna decisamente corta, e l’idea che lo stia facendo per me mi toglie il fiato.
“Ciao, Bella!” esclama Kate.
“Ciao, piccolina! Come stai, oggi?”
“Bene! Io e Edward stiamo andando a suonare! Vieni con noi?”
“Certo che vengo con voi!”
“Possiamo anche ballare? Ti pregooo…”
Bella non sembra convinta e ci pensa un po’ su. Anche lei, come me, sa che la situazione di Kate è molto critica, e che è fondamentale non farla stancare. “Solo per qualche minuto,” le concede alla fine. “Niente salti e niente capriole. E se diventa troppo faticoso ci fermiamo. Promesso?”
Bella solleva il mignolo verso la piccola Kate. “Promesso,” risponde lei, offrendole il proprio.
“Signorina Kate,” intervengo io, in tono scherzoso. “Ora che lei e la Signorina Isabella avete finalmente raggiunto un accordo, mi concede il permesso di salutare come si deve la mia ragazza?”
Kate scoppia a ridere. “Glielo concedo, Signor Edward!”
Anche Bella sorride, e sposta i suoi occhi su di me. Anzi, no: sulla mia bocca.
“Ciao,” mi dice, sollevandosi sulla punta dei piedi e posando le sue labbra sulle mie. La sua voce e bassa, dolce e calda. “Mi sei mancato.”
“Ciao,” le rispondo, contraccambiando il bacio e scostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Mi sei mancata anche tu.”
È un bacio casto, il nostro. Casto e leggero. Ma indugio per un attimo, perché le labbra di Bella sono il frutto più delizioso che io abbia mai assaggiato. E se non fossimo in un ospedale, più precisamente nel reparto pediatrico; se infermieri, medici e genitori non facessero avanti e indietro in continuazione, e non tenessi una bambina di sei anni sulle spalle, mi spingerei sicuramente oltre. Bella sta sciogliendo a poco a poco tutti i nodi che mi tenevano legato, e che io stesso avevo costruito. Con estrema dolcezza e pazienza mi sta insegnando a vivere, a non avere paura. A non temere ciò che desidero e a chiedere ciò che voglio senza remore. C’è ancora molto da fare, ce ne rendiamo conto entrambi. Diciassette anni di insicurezze non scompaiono dall’oggi al domani e, probabilmente, non sarò mai spavaldo e sicuro di me come Jake, e neppure un leader naturale come Jasper. Ma Bella non vuole Jake, e neppure Jasper. Lei vuole me. Anche se tremo ogni volta che le sue mani si spingono un po’ oltre.
“Che ci fai qui?” le chiedo, prendendole la mano ed iniziando a camminare verso la sala giochi.
“Perché? Non sei felice di vedermi?”
“Sono sempre felice di vederti. Ma credevo sarebbero passati i miei…”
“Cambio di programma. Ti riaccompagno a casa io.”
Bella non aggiunge altro, ed io non le faccio altre domande. Perché dovrei? Lei è qui. È tutto ciò che conta.
Raggiungiamo la sala giochi e iniziamo a suonare, cantare e ballare (io suono e basta, ovviamente). Dopo qualche minuto altri bambini, accompagnati dai genitori, si uniscono a noi, e, alla fine, siamo un gruppo rumoroso e felice di almeno quindici persone.
Ci tratteniamo solo per una mezzora, perché Bella sembra stranamente impaziente di andarsene il prima possibile. Non ne capisco la ragione. Di solito si diverte un mondo e vorrebbe che questi pomeriggi non finissero mai. Forse, dopo quasi due settimane, ha solo voglia di riportarmi finalmente a casa. E, francamente, per quanto la mia permanenza in ospedale sia stata resa più leggera da questi bambini meravigliosi, forti e coraggiosi, anch’io non vedo l’ora di tornare alla normalità. Così, tra qualche lacrima e un pizzico di commozione, salutiamo i bambini e Garrett, con la promessa di tornare a trovare tutti loro molto presto; recuperiamo la mia roba, salutiamo e ringraziamo i medici e gli infermieri che si sono presi cura di me in questi giorni, e ce ne andiamo.
Usciamo dall’ospedale mano nella mano. Non so a cosa pensa Bella. Mi sembra tranquilla, malgrado quella strana luce birichina che le vedo negli occhi. Io penso che la nostra vita assieme stia iniziando ora. L’ospedale è stata una parentesi. Un’isola felice in cui io e lei abbiamo avuto l’opportunità di conoscerci meglio, di stare assieme da soli, lontano dal mondo, il nostro mondo. All’ospedale Edward e Bella erano una cosa sola per tutti, ed era normale, perché nessuno ci aveva mai incontrati prima, quando non stavamo assieme. Una volta a Forks diventeremo ufficialmente una coppia, e lo saremo non solo di fronte ai nostri genitori e amici, che, ovviamente, sanno di noi. Ma anche di fronte ai professori, ai compagni di scuola, e a tutta la comunità. Lo saremo nel nostro mondo, nei luoghi che frequentiamo di solito, facendo la vita che facciamo di solito. La cosa mi spaventa un po’; contemporaneamente non sto più nella pelle. Bella è la mia ragazza e vorrei urlarlo ai quattro venti.
“Vuoi guidare tu?” mi chiede quando raggiungiamo la Volvo parcheggiata di fronte all’ospedale.
“Dipende… quanta fretta hai di tornare a casa?”
“Non vedo l’ora.”
“Ecco, appunto. Forse è meglio che sia tu a guidare.”
Bella scuote la testa; sorride e mi prende in giro. “Da domani lezioni di guida,” dice, salendo in auto.
Faccio altrettanto e mi sporgo verso di lei che, nel frattempo, ha infilato le chiavi nel quadro. L’attiro delicatamente a me posandole una mano sulla nuca e la bacio. Bella mi rende più disinibito e subito mi viene in mente una battuta da farle. Per una frazione di secondo medito se dirla o meno. Poi decido di rischiare.
“Ad essere onesto, pensavo che avrei bisogno di un altro genere di lezioni…” La mia voce è bassa, e un po’ roca. Mi batte forte il cuore e in un angolo remoto del mio cervello penso: Cullen, che vai dicendo? Non sei mica Brad Pitt!
Bella si stacca da me e mi lancia uno sguardo stranito.
Ops… forse ho esagerato.
No. Non ho esagerato. Lo stupore di Bella dura solo un attimo. Poi mi sorride e si mordicchia il labbro. “Lo sai che sei incredibilmente sexy quando dici cose simili?”
Io? Sexy? Oh, santo cielo…
“Uhm… Ehm…” Tra di noi è sempre così. Io cerco di spingermi un po’ oltre, per superare i miei limiti e vincere le mie paure. Lei, che di paure ne ha ben poche, mi risponde a tono. Così io mi imbarazzo e non so più che dire.
“Se‒sexy?” balbetto.
Bella annuisce. Incrocia le sue mani dietro la mia nuca e mi attira a sé. “Molto sexy…”
Oh, cavolo…
Bella mi bacia con avidità e passione, accarezzandomi il volto, passandomi le mani tra i capelli, facendole scorrere lungo il mio collo, e poi più giù, sul torace. Stringe forte la mia camicia e si aggrappa a me.
Io la seguo, mi abbandono completamente e mi lascio guidare. Un attimo dopo la mia mano le sfiora la parte esterna della coscia e sta pericolosamente salendo verso l’alto.
“Forse… forse è meglio andare…” le dico quando me ne accorgo. Non ritraggo la mano, però. La lascio lì, in bilico, a sfiorarle la pelle. Il bisogno disperato di andare oltre, e, contemporaneamente, il terrore di farlo.
Non vedo l’ora di stare da solo con Bella in un posto tranquillo e sicuro; un posto che non sia l’ospedale. Quando siamo insieme è difficile stare lontani. Lo è per me, ma lo è anche per lei. Fino ad ora ci siamo sempre dovuti controllare, mantenere un certo contegno, visto il luogo in cui ci trovavamo. Una parte di me lo detestava, perché quando sono con Bella sento tutte le mie difese crollare come un fragile castello di carte. La desidero più di qualunque altra cosa al mondo, e la amo più di quanto credevo fosse possibile amare una persona. Un’altra parte di me, invece, era quasi felice di non poter andare oltre. Non sono bravo in queste cose. Ho ancora molta strada da fare, e molto da imparare. Ho capito da poco come si fa a baciare, come potrei essere già pronto per il resto? So che non lo sono. E neppure so se lo è lei.
“Ok,” dice Bella, staccandosi a malincuore. “Andiamo…”
Mi lancia un ultimo sguardo languido che mi scioglie completamente; poi mette in moto e comincia a guidare.
Durante il tragitto chiacchieriamo con semplicità e naturalezza, come al solito. Come al solito è Bella a tenere banco (potrebbe non farlo?). Ma io, rispetto ai primi tempi, sono decisamente più sciolto e tranquillo. E, perché no, un pizzico orgoglioso di questa mia lenta ma progressiva trasformazione.
Non vedo l’ora di essere a casa, di essere a Forks. A quest’ora i miei genitori lavorano e io e Bella avremo un paio d’ore per restare da soli prima di cena.
Non riesco a crederci… io e Bella completamente soli in camera mia. Il solo pensarci mi mette ansia.
Bella parla. Io l’ascolto e le rispondo, cercando di non tradire il nervosismo.
Quando Bella parcheggia di fronte al vialetto di ghiaia che conduce a casa mia ho la gola secca, le mani sudate e il cuore che mi pulsa nelle tempie.
“Va tutto bene?” mi chiede lei, mentre ci avviciniamo al portico.
“Sì,” annuisco con decisione. “Sì, va tutto bene. Solo…” Mi fermo a pochi passi dall’ingresso, indeciso su come proporle di fermarsi ed invitarla in camera mia.
“Solo?”
Mi passo una mano tra i capelli e comincio a grattarmi la nuca, come faccio sempre quando sono nervoso.
Bella, che mi conosce meglio di chiunque altro, capisce che qualcosa mi turba ed insiste. “Edward? Ho… ho fatto qualcosa che non va? Perché…”
“No! No, assolutamente nulla…” Tiro un lungo respiro e mi decido a parlare. “A quest’ora i miei genitori sono alla serra…”
Bella corruga leggermente la fronte, in attesa che io vada avanti.
“Saremo soli… per un po’… fino all’ora di cena… se vuoi… se ti va…”
Lei spalanca gli occhi, stupita. “Vuoi… tu vuoi… mi stai proponendo…”
“Potremmo salire in camera mia…” continuo. Credo di essere arrossito, ma il nuovo Edward confessa alla propria ragazza ciò che vuole e non si vergogna. Più o meno.
“Salire in camera tua?”
Annuisco. “Non dobbiamo per forza… non ti sto dicendo che voglio… non credo di volerlo… non ora… magari possiamo solo… ecco.”
Non dobbiamo per forza… non ti sto dicendo che voglio… non credo di volerlo… non ora… magari possiamo solo… ecco. Bella frase, Edward. Complimenti. Un vero latin lover.
Mi avvicino, le poso le mai sui fianchi e chino la testa, appoggiando la mia fronte alla sua. “Di’ qualcosa…” la supplico con un filo di voce e tenendo gli occhi chiusi.
Sentirla vicino mi calma. Sempre.
Bella mi sfiora il naso con il suo e comincia a giocare con i bottoni della mia camicia.
Fosse per me congelerei questo momento. Resterei qui con Bella per sempre. Non ho neppure bisogno di baciarla. Mi basta sentire la sua pelle e il suo profumo.
“Non è… non è il momento giusto…” mormora. “Non possiamo… ora…” Bella mi respinge con le parole, ma il suo corpo dice tutt’altro.
Che sta succedendo?
Mi stacco da lei e la costringo a guardami negli occhi. “Non… non te la senti?”
La domanda che vorrei farle è ‘non mi vuoi?’, ma è troppo patetica.
Lei sembra imbarazzata. “No! Non è questo, è che…” Bella si guarda intorno, frustrata. “Cavolo,” esclama. “Senti, è meglio che entriamo in casa.”
Si stacca da me e mi fruga nelle tasche del giubbino, evitando il mio sguardo. Io la lascio fare, deluso come non mai.
Tra mille incertezze e paure propongo alla mia ragazza di salire in camera mia e lei rifiuta. Bene. Molto bene. Tutto questo è un toccasana per il mio ego. Vorrei quasi tornare all’ospedale, alla nostra isola felice, e non andarmene mai più.
Bella spalanca la porta ed entra in casa. Io afferro la borsa che ho lasciato scivolare a terra qualche istante fa e la seguo. Dentro è buio. Le porte sono chiuse e le tende tirate, così cerco l’interruttore con la mano. Quando la luce si accende sento un “Sorpresa!” e, una dopo l’altra, vedo le facce di tutte le persone che conosco e a cui voglio bene sbucare da dietro i mobili del salotto.
Non riesco a crederci. Ecco perché i miei genitori hanno mandato Bella a prendermi all’ospedale: sono rimasti a casa per organizzarmi una festa di bentornato!
Mi giro verso Bella, incredulo. Lei mi guarda, sorridente e radiosa, battendo le mani come una bambina.
Un attimo dopo sono tra le braccia dei miei genitori, che mi stringono e mi baciano. “Bentornato a casa, Edward!”
“Grazie…” Contraccambio l’abbraccio, commosso ed imbarazzato. “Grazie, mamma. Grazie, papà.”
Poi, improvvisamente, vedo Rose ed Alice sbucare dalla porta della cucina reggendo un’enorme torta alla panna.
Mi guardo intorno. Ci sono proprio tutti. Oltre a loro: Jasper, Emmett, Jake, Leah, Mike, Jessica, Eric, Angela, i genitori di Bella, altri compagni di scuola e persino il preside, alcuni professori e l’ufficiale di polizia che si è occupato del mio caso.
Il salotto è stato decorato con festoni e palloncini. Lo stereo suona la mia musica preferita, ed io sono senza parole. Non avevo mai avuto una festa a sorpresa, prima d’ora. Qualche festa di compleanno. Ma nessuna così rumorosa ed affollata.
Credevo che la mia vita e i miei veri amici fossero a Chicago. Invece, qui a Forks, ho trovato molto di più.
Il pomeriggio scorre piacevolmente. Sono io il festeggiato, ma non sono costantemente al centro dell’attenzione e questo mi rilassa, permettendomi di divertirmi. Nessuno mi chiede di James, né di raccontare  quello che è successo quel sabato notte, quando sono stato aggredito e picchiato selvaggiamente. I segni sono ancora tutti lì. Stanno scomparendo pian piano, ma sono ancora visibili. Eppure è come se non ci fossero. So che dovrei sentire il peso di quello che è successo; all’ospedale mi hanno pure suggerito un aiuto psicologico, per superare il trauma. Ma io non mi sento traumatizzato. Neppure penso di essermi comportato da eroe. Bella aveva bisogno di me, ed io non mi sono tirato indietro. James ha fatto quello che ha fatto perché ha dei problemi, e non perché odia me in particolare. Avrebbe potuto esserci chiunque al posto mio, non sarebbe cambiato nulla.
Pian piano gli invitati se ne vanno e, verso le otto di sera, in casa rimaniamo solo io, Bella e i miei genitori.
Raccogliamo i festoni, i piatti e i bicchieri sporchi. Ripuliamo il salotto, portiamo fuori i sacchi della spazzatura, mettiamo i resti della torta in frigorifero, e poi ci sediamo sul divano a chiacchierare un po’.
Parliamo dell’ospedale, dei bambini del reparto pediatrico, del progetto di musicoterapia a cui voglio seriamente partecipare, e della festa di oggi pomeriggio.
Mi piace che Bella sia rimasta con noi. E mi piace che sieda accanto a me, tenendomi la mano, di fronte a mia madre e mio padre. Lo fa come se fosse normale, come se lei fosse una della famiglia.
Bella conosceva i miei genitori ancor prima di incontrarmi, e qualche settimana fa ha iniziato a frequentare casa nostra regolarmente. È una ragazza solare ed espansiva, ma stiamo ufficialmente insieme da poco. Immagino che l’esperienza terribile che abbiamo vissuto ci abbia unito molto, tutti quanti.
“Ragazzi, l’ora di cena è passata da un pezzo. Avete fame? Devo preparare qualcosa?” chiede mia madre, alzandosi in piedi.
“Oh, non per me, Signora Cullen,” dice Bella, accarezzandosi la pancia con una mano. “Credo di aver esagerato con la torta!”
“Anch’io non ho appetito, mamma. Grazie comunque.”
“Beh, Esme,” dice mio padre, alzandosi in piedi a sua volta. “Neppure io ho appetito. Che ne dici, invece, di una passeggiata? Per smaltire panna e quant’altro…”
Mio padre è un mito. Semplicemente un mito. Lo fa ogni volta. Cerca sempre una scusa per togliersi di torno e regalare a me e Bella un po’ di intimità.
“È un’ottima idea, Carlisle. Ho proprio bisogno di una boccata d’aria fresca. Prendo la giacca. Ci vediamo dopo, ragazzi.”
I miei genitori si allontanano e ci lasciano da soli.
“Ti è piaciuta la festa?” chiede Bella, sollevando le gambe e stendendole orizzontalmente sulle mie.
Questa ragazza mi vuole morto. Vista da qui la sua gonna sembra ancora più corta.
“Sì, moltissimo,” confermo, allungando un braccio dietro le sue spalle ed attirandola a me. “Non avevo mai avuto una festa a sorpresa prima d’ora.”
“Dici sul serio?”
Scuoto la testa. “Mai. Di chi è stata l’idea?”
Bella abbandona la testa sulla mia spalla e comincia a giocare con i bottoni della mia camicia. Un’altra volta. “Mia,” risponde. “Ma se avessi saputo prima cosa avevi in mente…”
Lascia la frase in sospeso, e sfila il bottone dall’asola.
So cosa vuole, e lo voglio anch’io. Ma ho bisogno di fare una cosa, prima.
“Ho composto una melodia per te,” le confesso.
Bella si scosta dalla mia spalla e mi fissa intensamente. “Una melodia per me?”
“Sì. Quando ci siamo conosciuti. Io ti amavo già da allora.”
“Tu mi…”
Annuisco.
Più stiamo insieme, più parlarle di me e di ciò che provo per lei diventa semplice. È una sensazione straordinaria.
“La vuoi sentire?” le chiedo.
“Certo… sì, certo.”
Mi alzo, trepidante; mi siedo al pianoforte e inizio a suonare. Lo faccio a occhi chiusi, mettendoci tutto il mio cuore e la mia anima, per farle capire ciò che sento dentro, ciò che lei significa per me.
Dopo essermi risvegliato dal coma ho detto a Bella che l’amavo. L’ho fatto di nuovo, nei giorni successivi, ma ho sempre pensato che quelle due parole, per quanto importanti, non fossero sufficienti.
Bella è il regalo più bello che io abbia mai ricevuto. Un angelo piovuto dal cielo che mi ha cambiato la vita; e se lei dovesse lasciarmi domani (perché io non potrei mai lasciarla, mai) sarebbe devastante, ma non riuscirei a pentirmi di un solo secondo passato insieme. Ne riserverei un ricordo preziosissimo e indelebile.
Quando finisco mi sento più nudo, ma anche più leggero. Ora Bella sa ‒ sa davvero ‒ e possiamo andare avanti, qualunque cosa significhi.
Mi giro, e la vedo seduta sul divano, le ginocchia strette al petto e gli occhi pieni di lacrime.
Piange in silenzio e il sorriso mi muore sulle labbra.
“Bella…” Mi alzo e la raggiungo, senza sapere cosa fare. Ho persino paura di toccarla. Perché piange? Io non voglio che pianga. Io voglio vederla sorridere, sempre. Io la amo.
“È bellissima…” mi dice, tirando su con il naso. “È bellissima…” ripete, con un filo di voce.
“Bella, perché piangi?”
Non capisco, semplicemente non capisco.
Lei rimane in silenzio per un po’. Le sue lacrime mi fanno paura e mi rendo conto che sto tremando. Non è un pianto disperato, il suo. È calmo e rassegnato, e non ne capisco la ragione.
“Bella…”
“Piango perché ho paura…”
“Paura? Perché? Io non… io credevo…”
Lo sapevo. Ho esagerato. Mi sono spinto troppo oltre. Perché l’ho fatto? Perché? Ho passato una vita intera a tenermi tutto dentro. Avrei dovuto continuare a farlo.
“Io ti amo, Edward,” mi confessa, tra le lacrime. “Lo so che non te l’avevo mai detto, prima. Ma io ti amo. Ti amo sul serio. Non avevo mai provato nulla del genere, prima d’ora… Non mi ero mai sentita così… amata… così… Dio, è come se… Ogni volta che stiamo insieme, io mi sento il cuore scoppiare… mi basta solo pensare a te…”
Bella chiude gli occhi per un attimo, poi li riapre e mi posa una mano sul cuore. “Lo so che ci conosciamo da poco, ma io sento ciò che provi, Edward. Lo sento anch’io, ed è meraviglioso, ed ho paura che finisca…”
“Perché? Perché, Bella? Io ti amo, io non ti lascerò mai…”
“Lo farai… tornerai a Chicago…”
“Solo per un anno. Poi andremo all’università… ci iscriveremo allo stesso ateneo…”
“Tu non mi conosci ancora bene, Edward… io non sono la ragazza perfetta che tu credi… tu non mi vorrai più…”
Ma che sta dicendo? Parla a me di perfezione ? A me ? Io sono tutto fuorché perfetto.
“Bella, io non voglio una ragazza perfetta… io voglio te… io voglio te… tu sei perfetta per me…”
Non capisco nulla di quello che sta accadendo. Cos’è successo? Perché, improvvisamente, Bella ha perso fiducia in noi? In me? In se stessa? Jake mi ha detto che lei vuole stare con me, anche se alla fine del prossimo inverno tornerò a casa, a Chicago.  Perché ora piange? Che cosa ho fatto? Dove ho sbagliato?
“Bella, che succede? Non capisco…”
Lei abbassa lo sguardo e continua a piangere in silenzio.
“È colpa mia se James ti ha quasi ammazzato…” mormora tra le lacrime.
Ci risiamo con questa storia. Le ho spiegato mille volte che non è colpa di nessuno, che James è solo un ragazzo disturbato con problemi di droga. Come può essere colpa sua?
“Bella, non è colpa tua. Guardami,” la imploro, prendendole il viso e ripetendole quello che le vado dicendo da giorni. “Non è colpa tua.”
Scandisco bene ogni singola parola, perché non voglio che continui a sentirsi in colpa.
“Edward, tu non sai… tu non conosci la ragione per cui James ha paura di me… la ragione per cui lui mi odia e ha tentato di vendicarsi su di te…”
Qualunque cosa possa aver fatto Bella a James non riesco a giustificare tanto odio e tanta violenza. James è disturbato. Punto. Non c’è altro da aggiungere.
Bella, però, sembra fermamente convinta di essere la diretta responsabile di tutto.
“Bella, spiegami cos’è successo tra te e James…”
“Mi odierai…”
“Bella, io non potrei mai odiarti.”
Bella abbassa lo sguardo e comincia a torturarsi le mani. Resta in silenzio per un po’, come se stesse cercando la forza e le parole giuste per confessarmi tutto.
Oh, Santo Cielo… cosa può aver mai fatto?
Dopo un periodo di tempo che mi sembra interminabile comincia a parlare.
“James è sempre stato un tipo strano, ma non così strano. Era uno spaccone, ma non faceva male a nessuno. Un anno fa si era messo in testa di amarmi. Mi scriveva lettere, poesie… Te lo immagini James che scrive poesie? Io non ero interessata. Non volevo uscire con lui. E gliel’ho detto. Lui, allora, mi ha chiesto se potevamo vederci da amici, bere insieme una coca. Voleva almeno spiegarmi come si sentiva. Io l’ho fatto, non ci trovavo nulla di male, e un po’ mi dispiaceva per lui. È stata una serata piacevole, non sembrava neppure James. Abbiamo cominciato a sentirci, e qualche volta a vederci, da amici. Io per lui non provavo nulla e credevo di essere stata chiara. Poi ho scoperto cosa raccontava in giro di me. Cose decisamente poco carine. Raccontava a tutti che stavamo assieme e che… beh, insomma, che ero una specie di dea del sesso, che l’avevamo fatto… Storie disgustose, ricche di particolari indecenti. Cose che non erano mai successe, ma che tutti hanno iniziato a credere, perché Isabella Swan, bella e popolare cheerleader, deve essere una facile per forza. Gli ho chiesto di raccontare la verità, di rimangiarsi tutto. Ha rifiutato. Così…”
“Così?”
“Gli ho detto che volevo fare l’amore con lui sul serio.”
“Che?! E lui ci ha creduto?”
“Sì, non è molto sveglio. Gli ho dato appuntamento alla casa dei Foster. Gli ho detto che le sue fantasie mi piacevano, che volevo realizzarne almeno una. L’ho obbligato a spogliarsi e l’ho ammanettato alla ringhiera della scale…”
“Tu cosa?”
“Già…”
“Sei pazza? Incontrarti da sola con quel folle alla casa dei Foster? Bella…”
“Non ero sola. Jake mi aspettava in giardino. Con un cane. Un pastore tedesco di nome Zelante.”
“Bella, mi sono perso… Cosa c’entra il cane? Cosa avete fatto a James? ”
“Niente! Non lo abbiamo toccato. Ma lui ha paura dei cani. Ha una vera fobia. Dopo averlo ammanettato nudo alla ringhiera delle scale ho fatto entrare Jake, che gli ha puntato addosso Zelante. Ti giuro, il cane più buono del mondo, non ha neppure più i denti. Ma James se l’è fatta sotto dalla paura. Ha iniziato a piagnucolare. Io ho iniziato a riprendere tutto con una telecamera, minacciandolo di far vedere a tutti il video se non avesse negato quello che diceva in giro di me.”
“E lui?”
“Ha pianto disperato per un po’. Più Jake gli avvicinava Zelante più lui piangeva. Più Zelante abbaiava, più lui urlava disperato di lasciarlo andare. Mi ha insultata, mi ha dato della puttana, ha pianto ancora … Poi mi ha promesso che l’avrebbe fatto, che avrebbe fatto smettere le voci.”
“Ed ha mantenuto la promessa?”
“Sì, avevo il filmato.”
Francamente non so come prendere il racconto di Bella. Non avrei mai, mai, mai pensato a nulla del genere. Mai.
“Tutto qui?” le chiedo dopo un po’.
Lei alza le spalle e tira su con il naso. “Sono un essere spregevole, lo so…”
Spregevole? Diabolica, forse. Coraggiosa, di sicuro. Decisa, non c’è dubbio.
“Spregevole? Bella, tu ti stavi solo difendendo…”
“Avrei potuto rivolgermi a qualcuno… al preside, ai miei genitori, alla polizia… non lo so.”
“Forse. O forse è stato meglio così. James ha imparato la lezione ed ha capito che non sei una che si lascia mettere i piedi in testa.”
“Sì, ma…”
“Bella, James sarebbe diventato il criminale che è oggi indipendentemente da quell’episodio. È sempre stato strano, lo hai detto anche tu. E mi picchiava ancor prima che io ti conoscessi. In quel momento lo faceva perché si divertiva, non perché voleva provocarti. Noi neppure ci parlavamo! E poi, che razza di uomo è uno che mette in giro voci simili su una ragazza che dice di amare?”
“Non mi odi, allora? Non ti faccio schifo?”
“Bella, io ti amo, ti amerò sempre. Sei meravigliosa, come te lo devo dire?”
Certo, il racconto di Bella è un po’ crudo, e sembra persino inventato per quanto è assurdo. Ma come posso biasimarla? Ha sempre dovuto combattere contro i pregiudizi, e solo perché è una bella ragazza e mezzo liceo è innamorato di lei. Forse ha sbagliato, ma stava cercando di difendersi, di difendere il proprio onore, ed io non posso condannarla per questo.
La stringo forte a me e le asciugo le lacrime.
Lei appoggia la testa al mio petto e si lascia cullare.
La voglio, la desidero da morire. Ma per ora mi basta stare qui con lei, abbracciato a lei. Nient’altro.
“Che vuoi fare?”
“I tuoi genitori saranno qui tra poco…”
“Vuoi tornare a casa?”
“No, voglio stare qui con te.”
“Guardiamo la TV?”
Lei annuisce. Tira su con il naso e poi mi da un bacio. “ Ti amo, Edward. Tanto.”
“Ti amo anch’io.”
Afferro il telecomando ed accendo la TV. Restiamo lì, a coccolarci in silenzio, semplicemente felici di essere insieme.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***




Capitolo 13

 
“Edward? Edward, mi hai sentito? Edward?”
Jasper fa schioccare le dita di fronte al mio naso, ed io sollevo lo sguardo su di lui. “Eh?”
Immerso com’ero nei miei pensieri non ho capito una sola parola di quello che mi ha detto.
“Ti ho chiesto: mi presteresti lo shampoo? Non riesco a trovare il mio, credo di averlo dimenticato a casa.”
“Oh, sì. Certo, scusa.” Mi allungo verso la mia borsa, apro la tasca laterale, quella dove tengo il doccia schiuma, e glielo passo. “Ecco, tieni.”
Jasper afferra il flacone e lo soppesa per un attimo. “Albicocca?” chiede scettico, dopo aver letto l’etichetta.
Mi stringo nelle spalle e abbozzo un sorriso. “È buono. E piace a Bella…”
Lui solleva gli occhi al cielo, ma non commenta (come potrebbe? So che il bagnoschiuma all’olio di mandorle che usa di solito non lo compra lui, ma Alice). Poi scompare nella doccia.
Un paio di settimane dopo essere stato dimesso dall’ospedale, ho chiesto a Jasper di aiutarmi a rimettermi in forma. Non ho mai amato molto il mio corpo. Non ho mai amato le mie braccia esili e le mie gambe a forma di grissino. Non ho mai amato le mie spalle ricurve e spigolose, e neppure il mio torace inesistente. Quando ho chiesto aiuto a Jasper non volevo diventare Vin Diesel, solo assumere finalmente l’aspetto di un uomo, e non di una modella russa che soffre di anoressia.
Lui le ha provate tutte.
Basket: non riuscivo a palleggiare.
Corsa: inciampavo continuamente nelle stringhe delle scarpe.
Palestra: ho rischiato di morire soffocato sotto un bilanciere.
Football: escluso a priori per motivi di peso e di stazza.
Lotta greco‒romana: vedi sopra.
Arrampicata sportiva: soffro di vertigini.
Alla fine mi ha portato in piscina e insieme abbiamo scoperto che l’unico sport in cui dimostro un briciolo di, non dico talento, ma dimestichezza, è il nuoto.
Innanzitutto sono solo: non dipendo da una squadra e una squadra non dipende da me, quindi non mi sento sotto pressione. E poi l’acqua mi avvolge completamente, come una coperta, facendomi sentire protetto. È vero che devo mostrarmi in costume da bagno, e all’inizio è stato un po’ imbarazzante. Ma ora, dopo quattro mesi, non ci faccio più caso. Finalmente ho messo su qualche chilo, il mio corpo sembra più definito, e le mie spalle hanno assunto una forma più che invidiabile.
Sarò onesto, da tempo desideravo cambiare, fare qualcosa per me stesso, ma non ne ho mai avuto il coraggio. Imbranato com’ero, sentivo che avrei fallito ancor prima di iniziare. La svolta è arrivata con Bella. Quando la tua ragazza è una Venere desiderata dall’intera popolazione maschile del liceo che frequenti, trovare le motivazioni per superare le tue insicurezze ‒ o almeno provarci ‒ diventa più semplice.
Bella non si è innamorata di me perché sono bello ‒ anche se per lei, aspetto emaciato o meno, sono il ragazzo più attraente del mondo. So che mi ama e che continuerebbe a farlo, anche se deperissi di nuovo o dovessi pesare cento chili. Ma so anche che il mio nuovo aspetto le piace. Molto. E a me piace il fatto che a lei piaccia. Molto.
Sentirsi bene con se stessi è meraviglioso e, non mentirò su questo, mi ha aiutato a vivere più tranquillamente la nostra intimità.
Per quanto la desiderassi, per quanto mi piacesse toccarla, o farmi toccare, spogliarmi di fronte a lei, all’inizio, mi risultava molto difficile. Io non mi piacevo, quindi, nella mia testa, non piacevo neppure a lei. Ovviamente non era così. Ma essere razionali, in certi casi, non solo è difficile, addirittura non serve.
Non volevo deludere Bella, volevo essere alla sua altezza. Così ho chiesto aiuto al mio migliore amico, mi sono rimboccato le maniche, e ora frequento la piscina regolarmente. Sedute di un’ora e mezza, tre volte la settimana. All’inizio Jasper era sempre con me, per insegnarmi i fondamenti. Ora mi accompagna di tanto in tanto. Smetterà di farlo tra un paio di settimane, quando ricomincerà la scuola, quindi gli allenamenti della squadra di basket.
“Edward?” Jasper sbuca da dietro il muretto delle docce e mi lancia il flacone di shampoo. “Hai intenzione di rimanere seduto lì per sempre?”
Io l’afferro al volo e poi mi alzo. Se non mi do una mossa faremo tardi. Le ragazze ci aspettano in pizzeria per le sette, e sono già le sei e mezza.
Faccio una doccia veloce, mi rivesto, spettino ad arte i capelli con un po’ di gel, come mi ha insegnato Rose, e poi infilo gli occhiali. Quando finisco, Jasper ha già abbandonato gli spogliatoi e mi aspetta impaziente appena oltre l’uscita.
“Alleluia!” esclama nell’istante esatto in cui mi vede comparire da dietro la porta. “Rosalie Hale ha creato un vero mostro! Credevo avessi deciso di intrattenere una relazione clandestina con lo specchio che sta di là.”
“Ah, ah, ah,” fingo di ridere, sarcastico. “Molto divertente…”
“Dico sul serio,” continua lui, mentre ci dirigiamo verso il parcheggio. “Già pensavo alle parole adatte per dirlo a Bella…” E poi, con fare solenne e voce impostata, continua. “Bella, mi dispiace, ma Edward ha un’altra.”
“Oddio,” mi lamento, alzando gli occhi al cielo. “Com’è che sei diventato così logorroico? C’ho messo due minuti più di te, non un’eternità!”
Nel frattempo abbiamo raggiunto l’auto di Jasper: una vecchia Jeep degli anni ottanta, un vero gioiello. Abbandoniamo le sacche sul sedile posteriore e poi saliamo a bordo.
“Dai,” si difende lui, notando la punta di acido che ho involontariamente messo nella voce. “Sto scherzando!”
“Lo fate sempre!” osservo con stizza esagerata.
Lui mi squadra dalla testa ai piedi. “Wow… siamo suscettibili, questa sera.”
Per i ragazzi sono il brutto anatroccolo che si è trasformato in un cigno. Mi prendono in giro, di tanto in tanto, ma non lo fanno con cattiveria, e onestamente la cosa non mi ha mai dato fastidio. Prendiamo in giro Jake per i suoi modi da orso, Jasper perché se la tira un po’, Emmett perché a volte è davvero lento nel comprendere, Alice perché è la regina incontrastata del gossip, Rose perché spende tutti i suoi risparmi in abiti e riviste di moda, e Bella perché spesso e volentieri si comporta da vero maschiaccio. Essere preso in giro è quasi piacevole. Mi fa sentire parte del gruppo.
Ma stasera è diverso. Stasera sono nervoso per una cosa che è capitata e ho la testa altrove.
“Sì, scusa Jazz…” borbotto, allacciando la cintura di sicurezza. “Lascia perdere.”
Però Jasper, che mi conosce bene, ed è un vero amico, decide di non lasciar perdere.
“Edward?” chiede mentre mette in moto e abbandona il parcheggio. “Tutto bene? Qualcosa non va?”
Tiro un lungo sospiro e inizio a fissare il paesaggio oltre il finestrino. Ho bisogno di parlare con qualcuno, e Jasper è l’unico con cui posso farlo. In realtà no, ci sarebbe anche Bella. La mia migliore amica è lei. Ma siccome l’oggetto della mia ansia è proprio Bella, non mi rimane che Jasper.
“È piuttosto… imbarazzante…” mi decido infine a dire.
“Beh, tu provaci.”
Resto in silenzio per qualche secondo. Poi, trattenendo il fiato, confesso a Jasper cosa mi turba. “Bella mi ha chiesto di fare l’amore con lei.”
Un paio di sere fa ero a casa di Bella, in camera sua. Abbiamo visto un film in DVD, poi abbiamo iniziato a baciarci e a coccolarci.
In questi quattro mesi ci siamo lentamente spinti sempre più in là, facendo tutte quelle cose che fanno due adolescenti che si amano e si desiderano più di qualunque altra cosa al mondo.
Ogni centimetro di pelle conquistato era il paradiso, per entrambi, e quando Bella mi ha regalato il mio primo vero orgasmo ero così felice che pensavo mi sarei messo a piangere. Volevo che anche lei potesse provare la stessa gioia immensa, la stessa meravigliosa sensazione di grazia e pienezza, e scoprire di saperlo fare, scoprire che le mie mani riescono a suonare il suo corpo allo stesso modo in cui suono il mio pianoforte, mi ha fatto sentire come non mi ero mai sentito prima. Per quanto ami riceverlo, darle piacere è la cosa che preferisco a questo mondo.
È ciò che ho fatto anche due sere fa. E mentre la stringevo a me, mentre la cullavo e le accarezzavo i capelli, me lo ha detto.“Voglio fare l’amore con te, Edward.”
E io sono in crisi da allora.
Sono vergine. Non ho mai avuto un rapporto completo prima d’ora e, malgrado questi quattro mesi con Bella abbiano ampiamente dimostrato che non ho nessun tipo di problema fisico, e che i nostri corpi semplicemente si appartengono, l’idea di andare fino in fondo mi paralizza. Ho paura. Di sbagliare, di farle male, di non riuscire ad eccitarmi, di non darle piacere, di fare una figuraccia. Di deluderla.
Più ci penso, più mi agito. Più mi agito, più mi convinco che sarà un disastro.  Maledizione: posso ripetermi all’infinito che perdere finalmente la verginità non è un affare di stato. Ma non è così. Lo è. È un affare di stato. Peggio: una crisi internazionale. E chi pensa che i ragazzi non desiderano altro, si sbagliano. Cioè, no. Non si sbagliano. Io lo desidero. Da morire. Ma questo non mi impedisce di essere terrorizzato.
Osservo Jasper con la coda dell’occhio, curioso della sua reazione. Lui tiene gli occhi fissi sulla strada, le mani salde sul volante. La mia rivelazione sembra non averlo sconvolto per niente. “Uhm,” borbotta dopo un po’. “Capisco. Non l’avevate ancora fatto?”
Scuoto la testa, tornando ad osservare il paesaggio fuori dal finestrino. “No. Voglio dire, abbiamo fatto un sacco di cose… tutto il resto, direi… però… non siamo mai andati… fino in fondo.”
“Beh,” osserva lui. “Se avete già fatto tutto il resto, non dovrebbe essere un problema. È più semplice e naturale di quanto credi. Fidati.”
Mi volto verso Jasper. “Per te e Alice è stato così?” chiedo. “Semplice e naturale?”
Guardo Jasper come se fosse il depositario di tutte le verità assolute, come se le sue parole fossero l’unica cosa in grado di salvarmi dal baratro. Lui se ne accorge e comincia ad agitarsi sul sedile, chiaramente a disagio. Mi rendo conto che sto facendo domande un po’ troppo personali, e Jasper, come me, non è uno che ama svelare troppo di sé. Nonostante questo non si tira indietro e mi racconta la sua esperienza.
“La verità? La prima volta con Alice è stata un vero disastro.”
“Oh, bene. Questo mi è di grande conforto…”
“Edward, avevamo quindici anni, eravamo due ragazzini senza alcuna esperienza. Stavamo insieme da un mese e pensavamo di sapere tutto, mentre non sapevamo assolutamente nulla. Tu e Bella avete diciotto anni, ormai, vi frequentate da quattro mesi, avete fatto pratica per settimane… andrà tutto bene.”
Annuisco e torno a guardare la strada. Le parole di Jasper hanno un senso, eppure non riesco a sentirmi più tranquillo.
Diciotto anni o meno, mi sento come se ne avessi solo quindici.
“Edward, tu hai mai…”
“No.”
“E Bella… lei?”
“No, neppure lei.”
“Sarebbe la prima volta per entrambi, quindi.”
“Sì.”
“Avete già deciso quando…”
“No, non ancora.”
“E che tipo di precauzione pensi…”
“Bella prende la pillola.”
Quando, due giorni fa, Bella mi ha confessato di voler fare l’amore con me, mi è preso il panico; ho totalmente frainteso e ho capito che voleva farlo subito, in quel momento.  Ho borbottato qualcosa sul fatto che non ero preparato, che non avevo con me nulla, che doveva lasciarmi il tempo di procurarmi dei preservativi. Con molta calma lei mi ha spiegato che non intendeva subito, che potevo prendermi tutto il tempo che mi serviva. Voleva solo che io sapessi che lei era pronta, che lo desiderava davvero e che per rendere tutto più facile e sicuro per entrambi aveva preso appuntamento con il ginecologo un paio di settimane prima e si era fatta prescrivere la pillola.
Ad essere del tutto onesto la cosa mi ha lasciato senza parole. Non che io non avessi mai pensato a quando avremmo finalmente fatto l’amore. Ci pensavo da settimane. Ero anche stato sul punto di confessarglielo in almeno un paio di occasioni. Ma non volevo precipitare le cose. Non volevo farle fretta, e neppure volevo che lei  iniziasse a vedermi come uno a cui importa solo del sesso. Soprattutto continuavo ad aver paura di non essere sufficientemente preparato. Ma mentre io ero ancora indeciso sul da farsi, e cercavo di capire quale fosse il modo migliore per dirle ciò che provavo, Bella prendeva in mano la situazione e, in silenzio, portava avanti la nostra storia, come ha sempre fatto sino ad ora.
Un po’ ci sono rimasto male. Bella è sempre un passo avanti a me, in tutto, e quando ci penso le insicurezze del passato tornano a rodermi il cervello. Una parte di me, invece è infinitamente grata per questa sua sicurezza. Sapere che Bella mi desidera quanto io la desidero, e non ha paura di affrontare la nostra vita insieme, mi tranquillizza, mi infonde coraggio. E il fatto che la sua confessione sia arrivata in un momento in cui anch’io non pensavo ad altro mi fa capire quanto forte sia il nostro legame, quanto facile sia leggerci e capire i bisogni l’uno dell’altra. Per ora la più forte tra i due è ancora lei. Ma io sto crescendo, sto imparando, e le ho già dimostrato che per lei ci sono, e ci sarò sempre. Nessuno dei due è perfetto, di sicuro io non lo sono. Ma lo diventiamo quando siamo insieme. È tutto ciò che conta.
“Bella prende la pillola…” ripete Jasper.
“Sì, da un paio di settimane…”
“E allora di cosa hai paura?”
Mi volto verso di lui. Tiene gli occhi fissi sulla strada, ma la sua espressione sembra stupita.
“Come di cosa ho paura?” gli chiedo. “Non mi hai sentito? Io non l’ho mai fatto…”
“Ripeto la mia domanda: di cosa hai paura? Amico, se Alice decidesse di prendere la pillola credo erigerei un altare agli dei in segno di riconoscenza.”
“Che?”
“Ma sì… niente interruzioni, niente momenti imbarazzanti, niente confezioni da scartare, cosi da infilare… niente ‘oddio s’è rotto’  oppure ‘oddio s’è sfilato’… Niente ‘ce l’hai? no non ce l’ho, allora non se ne fa niente’… Dio, quanto ti invidio…”
“Oh…” Ero talmente concentrato sulla questione ‘prima volta’ che avevo trascurato tutta una serie di dettagli ‒ chiamiamoli problemi tecnici ‒ che invece avrei dovuto prendere in esame. Ma non dovrò farlo. Bella mi ha risparmiato anche questo strazio. È la fidanzata migliore che un ragazzo possa trovare.
“È poi la puoi… sentire…” continua Jasper, ammiccando.
Io mi volto verso di lui. “Come ‘la posso sentire’ ?” chiedo confuso. “Che significa, Jazz? Cosa dovrei sentire?”
Jasper mi lancia uno sguardo eloquente. “Andiamo… Edward, sveglia! Niente preservativo… niente filtri…”
“Ok, ok, ok!” esclamo, tappandomi le orecchie con entrambi gli indici. Ho capito cosa intende Jasper e non penso di voler andare oltre. “Basta così… non mi interessa discutere i dettagli, ok?”
Jasper scoppia a ridere e mi dà una pacca sulla spalla. “Dai, andrà tutto bene. Bella ti ama, e anche tu la ami. Siete fatti l’uno per l’altra. Non c’è motivo di essere nervosi. E se dovesse andare male ci riproverete. Non è una tragedia.”
“Sì,” taglio corto. “Sì, hai ragione. Grazie per i… consigli.”
Questa conversazione è già andata troppo oltre. Per stasera non voglio più parlare di sesso. Con nessuno. A parte Bella.
Nel frattempo siamo arrivati in pizzeria. Bella ed Alice ci aspettano sedute ad un tavolo per quattro. Chiacchierano e sgranocchiano dei grissini.
Bella è stupenda, come al solito. Indossa quel vestitino blu che adoro, quello corto, leggermente scollato sul davanti, e i lunghi capelli scuri le scendono morbidi lungo la schiena. Ormai dovrei averci fatto l’abitudine. Non dovrei più stupirmi di quanto lei sia bella. Ma non è così. Ogni volta mi lascia senza fiato, e ogni volta non riesco a non sentirmi il ragazzo più fortunato del pianeta.
Resto imbambolato a fissarla poco oltre l’ingresso della pizzeria per qualche secondo, finché Jasper non attira la mia attenzione. “Edward? Ci sei?” mi chiede, scostandomi e procedendo oltre.
“Uhm… sì. Sì, arrivo.” Mi volto e sul bancone dal bar noto un vaso di fiori. Mi guardo intorno. I camerieri sembrano tutti molto indaffarati, nessuno baderà a me. Così mi avvicino, stacco un bocciolo, e poi seguo Jasper.
Non appena raggiungiamo il nostro tavolo mi chino su Bella e le do un bacio. “Ciao, amore,” le dico. Poi le offro il fiore che ho rubato per lei. Non so neppure come si chiama. So solo che è bianco e ha un buon profumo.
Lei spalanca gli occhi su di me, stupita. Poi il suo volto si illumina. “Edward…”
Avvicina il fiore al naso e ne respira l’odore. Poi torna a sorridermi, senza dire nulla.
Mi piace stupirla. Mi piace lasciarla senza parole con piccoli semplici gesti  ‒ lei, la chiacchierona del gruppo. Gesti insignificanti, in apparenza. Troppo zuccherosi, forse. Ma a volte non so in che altro modo farle capire quanto lei sia preziosa ed importante per me.
Passiamo una serata tranquilla e piacevole, ricordando i momenti più belli dell’estate che è appena trascorsa. Il ballo di fine anno, le giornate passate alla spiaggia di La Push a prendere il sole, i picnic nella radura in mezzo al bosco, i tre giorni di campeggio in montagna organizzati da Jake e Leah, il concerto dei Kings of Leon a Seattle per festeggiare il compleanno di Emmett, i pomeriggi che io e Bella abbiamo trascorso all’ospedale di Port Angeles con Garrett e i bambini del progetto di musicoterapia. Vivo a Forks da soli sette mesi, ma sono successe così tante cose che mi pare di trovarmi qui da un’eternità.
Dopo aver cenato ci fermiamo a chiacchierare per un altro po’. Poi, verso le dieci, conveniamo che si è fatto tardi e decidiamo di porre fine alla serata. Jasper se ne va con Alice. Io con Bella.
Bella mi riaccompagna a casa con la sua Volvo, come al solito. Come al solito parcheggia di fronte al vialetto di ghiaia, e come al solito iniziamo a baciarci non appena lei spegne il motore.
Quando l’atmosfera comincia a riscaldarsi, Bella si scosta un poco, ma senza allontanarmi veramente. “Edward…” dice, il fiato corto.
Io rispondo con un monosillabo, senza smettere di baciarle il collo. “Uhm…”
“Ti devo chiedere una cosa…”
“Tutto quello che vuoi…” ansimo, tornando a concentrarmi sulle sue labbra.
Non le sto prestando attenzione, me ne rendo conto. Ma, diamine, il suo profumo mi dà alla testa. E la sua pelle è così morbida…
“I miei… i miei genitori se ne vanno per il weekend,” mi sussurra in un orecchio, mentre fa scorrere le sue mani lungo mia schiena. “Abbiamo due giorni interi solo per noi.”
Mi blocco all’istante, sollevo la testa e la guardo fisso negli occhi.
“Potresti… potresti venire da me,” continua, passandomi le mani tra i capelli. “Potremmo… potremmo passare la notte insieme.” È buio e non la vedo bene, ma mi pare arrossisca un poco, dicendolo.
“Vuoi… vuoi che venga da te?” ripeto, come un idiota.
Bella annuisce.
“Passare la notte insieme…”
“Sì.”
Vorrei dire qualcosa di bello, o intelligente. Dirle che ho capito cosa sta cercando di fare, dove vuole portarci. Vorrei dirle che la amo, da morire, e che mi sento fortunato ad averla. Vorrei dirle che non vedo l’ora. Che sono nervoso, terrorizzato, quasi, ma che voglio fare l’amore con lei. Che non desidero altro. Invece non dico nulla. Continuo ad osservarla, al buio, gli occhi spalancati nei suoi, la bocca che tenta di muoversi e invece non emette alcun suono.
Lei mi sorride e mi posa una mano sulla guancia. “Non dobbiamo per forza andare fino in fondo, se non te la senti. Ma voglio passare la notte con te, Edward. Voglio dormire con te e risvegliarmi con te. In un letto vero e non in un sacco a pelo con Jake che russa a due centimetri da noi.”
Il ricordo della notte passata in campeggio con i ragazzi, e di Jake che russa come un orso con la sinusite scioglie la tensione e mi fa sorridere. Bella è così tranquilla. Come faccio ad avere ancora paura? Dopo quello che mi ha detto non ha più senso avere paura.
Le prendo il volto tra le mani e comincio ad accarezzarla, delicatamente. La sfioro con la punta delle dita; prima le guance, poi le labbra e il collo. “Anch’io voglio passare la notte con te, Bella,” le dico. Mi trema un poco la voce, ma va bene così. È un momento importante. “Voglio addormentarmi con te e risvegliarmi con te. Voglio stringerti, toccarti. Voglio… io voglio fare l’amore con te, Bella.”
Gli occhi di Bella diventano ancora più grandi.
Io le sorrido. “Ti amo, Bella. Ti amo da morire. E voglio fare l’amore con te.”
Anche lei mi sorride. Poi mi bacia. “Anch’io ti amo, Edward… Ti amo…”
 
“Papà?”
“Sì?”
“Dovrei… dovrei parlarti.”
Mio padre è seduto alla scrivania del suo studio; solleva gli occhi dal giornale ed aspetta che io parli.
“Ehm… Jasper… Jasper mi ha invitato a casa sua per il fine settimana… dormirò fuori questo sabato.”
Lui annuisce. “Ok, va bene,” dice. Poi torna a leggere il giornale.
“A te… a te sta bene? Non è un problema?”
“No. No, Edward,” borbotta distrattamente. “Divertitevi.”
Ecco. Facilissimo. Ho avuto il permesso di passare una notte fuori casa e c’ho messo qualcosa come quindici secondi netti. Il fatto è che ho detto una bugia, ed ora mi sento terribilmente in colpa.
“Papà?”
“Sì?”
“Dovrei dirti un’altra cosa…”
Mio padre torna a sollevare lo sguardo su di me. Mi scruta con attenzione, corrugando la fronte. “Edward,” mi chiede. “Qualcosa non va?”
“No, no… va tutto bene…”
“Sembri nervoso.”
“Lo sono.”
“Qual è il problema?”
“Ecco… non ti arrabbiare… però…”
“Però?”
“Ho ricevuto un invito per sabato sera, ma non da Jasper. Da Bella. Vorrei dormire a casa di Bella sabato notte.”
Mio padre non dice nulla. Mi osserva senza tradire alcuna emozione. Poi si alza e si avvicina. “Edward, perché mi hai detto che avresti dormito da Jasper?” chiede calmo.
Mi stringo nelle spalle. “Non lo so… temevo avresti detto di no.”
Lui annuisce, pensieroso. “Edward, sai già come la penso,” dice dopo un po’. “Ne abbiamo già parlato. Non posso impedirti di crescere. Posso solo sperare che tu agisca responsabilmente.”
“Quindi posso… posso dormire a casa di Bella?” azzardo timido.
Lui sorride e si appoggia al bordo della scrivania. “Non avrebbe senso dirti di no, Edward. Cambieresti idea?”
So cosa intende. Io e Bella faremo l’amore comunque. Sabato sera o in un altro momento. A casa sua o altrove. Ormai abbiamo preso la nostra decisione.
“No… no, credo di no.”
Ci siamo detti tutto, più o meno. Eppure non riesco ad andarmene.
“Allora,” dice mio padre. “Avete già pensato a che tipo di precauzioni prendere?”
Sollevo lo sguardo su di lui. Scioccato e terribilmente in imbarazzo.
“Co‒cosa?” balbetto. Mio padre è un tipo in gamba, ed abbiamo un bel rapporto. Eppure non riesco a credere che stiamo avendo questa conversazione.
“Siete giovani, Edward,” continua lui, serissimo. “So che tu e Bella fate sul serio, ma una gravid‒”
“Oddio, no!” esclamo.
“Edward, non devi sentirti in imbarazzo…”
“Sì, invece!”
“Voglio solo che agiate responsabilmente…”
“Papà,” farfuglio, in preda al panico e imboccando la porta. “È tutto a posto, ci abbiamo pensato. Non ti devi preoccupare.”
“Ma Edward…”
“Abbiamo tutto sotto controllo. Fidati.”
E mi precipito su per le scale.
 
Sabato arriva, e io mi sento come se dovessi partire per la guerra. Ho chiesto a Bella di non passare a prendermi. Ho deciso di raggiungere casa sua a piedi; camminare mi aiuterà a stemperare la tensione.
Passo mezz’ora in bagno e un'altra ora di fronte all’armadio aperto. Provo e riprovo  tutti i miei vestiti. Alla fine scelgo a caso. Pantaloni cargo, maglietta con scollo a V, e felpa con cappuccio. Infilo le scarpe ed esco.
Quando suono il campanello di casa Swan sono le undici e mezza del mattino. Io e Bella abbiamo deciso di passare l’intera giornata assieme.
Bella compare sulla porta di casa pochi secondi dopo, sorridente e radiosa come al solito.  Tiene una ciotola di plastica stretta al petto e con una spatola ne rimescola il contenuto.
“Buongiorno, amore,” esclama vedendomi. Si fa da parte per lasciarmi entrare, poi si solleva in punta di piedi e mi da un bacio.
“Buongiorno,” le dico, ricambiando il bacio. “Che stai preparando?” le chiedo, scrutando il contenuto nella ciotola.
“Torta al cioccolato!” risponde, allontanandosi e imboccando la porta della cucina. “La tua preferita.”
Bella è scalza. Indossa un paio di shorts cortissimi e una magliettina striminzita.
Lo ha fatto di proposito. Sono sicuro che lo ha fatto di proposito. Adora provocarmi.
Sorrido tra me e la seguo in cucina.
Nel frattempo Bella ha cominciato a versare l’impasto in una tortiera. Lo fa con estrema cautela e attenzione. In fin dei conti è una dolce che sta preparando per me.
“Posso assaggiare?” le chiedo, posizionandomi dietro di lei e posandole la mani sui fianchi. Mi appoggio appena, quel tanto per sentirla.
Bella affonda un dito nella tortiera, raccoglie un po’ d’impasto e me lo offre.
Le mie labbra si chiudono attorno al suo dito. Mmmm… L’impasto è morbido, dolce e amaro al tempo stesso. Sa di zucchero e cacao. Semplicemente delizioso.
Bella si volta, ma mantiene il contatto con il mio corpo. “Ne vuoi ancora?” chiede. Mi sorride, maliziosa; la voce decisamente più bassa e più calda.
Faccio di sì con la testa, senza staccare i miei occhi dai suoi, andando a sfiorare quella leggera porzione di pelle scoperta tra gli shorts e la maglietta.
Bella raccoglie un altro po’ d’impasto e me lo porta alle labbra.
È così che inizia. Con una torta al cioccolato.
Un’ora più tardi siamo sdraiati nel letto di Bella. Sotto le lenzuola pulite e profumate stringo il suo corpo nudo al mio, ascolto il suo respiro, e penso che sono felice.
Credevo che sarebbe stato difficile. Che avremmo dovuto aspettare fino a sera. Che ci saremmo lavati i denti, infilati il pigiama, e che poi saremmo andati a letto. Credevo che avremmo spento la luce, e che sarebbe accaduto al buio. Che sarebbe stato imbarazzante, e un po’ artefatto.
Invece no.
Io e Bella abbiamo fatto l’amore per la prima volta all’ora di pranzo, nella penombra della sua camera da letto. Ho visto il suo corpo nudo. L’ho vista cercarmi, inarcare la schiena, godere. Ed è stato bellissimo.
Non vedo l’ora di rifarlo un’altra volta.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***




Ecco a voi l'ultimo capitolo... Buona lettura!



Capitolo 14
 
Febbraio. È passato un anno da quando sono arrivato a Forks. Mi sono trasferito in questo minuscolo paesino del nord America assieme ai miei genitori, due ricercatori botanici dell’Università di Chicago, affinché potessero lavorare a un importante progetto di sfruttamento sostenibile dei boschi dello stato di Washington.
All’inizio è stato difficile ambientarsi. Ad essere del tutto onesto credevo che non ce l’avrei mai fatta a superare indenne questa parentesi in un luogo così diverso e così lontano da casa. Un gruppo di teppistelli mi aveva preso di mira, e non passava giorno senza che mi umiliassero, rubandomi i soldi, costringendomi a fare i loro compiti e, nel peggiore dei casi, picchiandomi e scaraventandomi nei cassonetti dell’immondizia della mensa. Uno di loro, il capo, un certo James, la scorsa primavera mi ha quasi ammazzato piantandomi un coltello nello stomaco. E se la mia buona stella non mi avesse protetto, ora non sarei qui.
Ma a distanza di un anno è tutto diverso. Io sono diverso. Ho conosciuto dei ragazzi davvero in gamba, che sono diventati i migliori amici che potessi trovare. E poi c’è Bella, la mia fidanzata. Stiamo insieme da dieci mesi, ormai, e non potrei essere più felice. Malgrado abbia superato gran parte delle mie insicurezze, e non abbia alcun dubbio sul fatto che Bella mi ami sul serio, ci sono ancora dei momenti in cui fatico a non stupirmi di come la ragazza più popolare della scuola ‒ la bellissima cheerleader e la studentessa modello ‒ voglia stare con me, Edward Cullen, re di Nerlandia, e non con il capitano della squadra di football. Ma Bella è così. Non gliene è mai importato molto delle apparenze. Fin da subito ha visto in me cose che nessuno era mai riuscito a vedere, neppure io. Si è innamorata di me, e con enorme pazienza mi ha aiutato a crescere, a uscire dal mio guscio, e a diventare l’uomo che sono oggi. Bella è la cosa migliore che mi potesse capitare. Non mi ha cambiato, mi ha solo fatto capire chi sono veramente. E quella persona ‒ quell’Edward ‒ non è davvero niente male.
So che è irrazionale e da ragazzini. So che nessuno può essere tanto sciocco o arrogante da pretendere di sapere cosa accadrà. Nessuno può leggere il futuro. Eppure sono certo che io e Bella staremo insieme per sempre. So che ci sposeremo, che avremo dei figli, e che invecchieremo insieme. E anche se tutto questo non dovesse accadere, se le nostre strade, disgraziatamente, un giorno dovessero dividersi, in un modo o nell’altro continuerò ad amare Bella per sempre. Perché è stata lei a rendermi ciò che sono oggi ‒ a rendermi felice ‒ e per questo non posso non esserle riconoscente.
Purtroppo, da un paio di settimane, le cose tra di noi non vanno benissimo. E ne conosco anche la ragione. Il progetto di studio dei miei genitori è ormai giunto a termine, e tra una decina di giorni ci trasferiremo di nuovo a Chicago.
Un anno fa non vedevo l’ora di tornare a casa. Di rivedere i miei amici, i miei nonni, i miei parenti. Riprendere la vita di sempre, insomma. Una vita un po’ insipida, magari, ma tranquilla e rassicurante.
Oggi no. L’idea di tornare a Chicago mi devasta. Non riesco neppure più a chiamarla casa. Qui a Forks ho trovato me stesso, e andarmene è quanto di peggio potesse capitarmi. Mi mancherà tutto. Persino il cielo grigio e la pioggia.
Bella prova lo stesso dolore, credo. Non abbiamo mai parlato seriamente del fatto che un giorno me ne sarei andato, che non avremmo vissuto l’ultimo anno di liceo assieme, e che non ci saremmo diplomati assieme. Sapevamo che sarebbe accaduto, e che sarebbe stato difficile, ma questo non ci ha impedito di innamorarci e di vivere la nostra storia, senza preoccuparci eccessivamente del futuro. Eravamo troppo impegnati a vivere il momento.
Ora che il giorno della mia partenza si avvicina, però, sento un peso sul cuore. Ancora di più perché l’umore di Bella sta cambiando in peggio. Bella non è semplicemente triste, come lo sono io. La sento distante. E la cosa mi terrorizza.
Non solo è diventata stranamente silenziosa e malinconica, ci sono dei momenti in cui si arrabbia per delle sciocchezze, e solo la mia enorme pazienza ci impedisce di litigare.
L’altro giorno, per esempio, stavamo recuperando alcuni libri dai nostri armadietti. Quando ho aperto lo sportello una busta rosa profumata è caduta a terra. L’ho presa e l’ho aperta, pensando fosse un pensiero di Bella. Di tanto in tanto lo fa. Mi lascia dei bigliettini con piccoli messaggi d’amore.
Lo sai che oggi sei bellissimo? <3
Ah, dimenticavo: ti amo da morire! ♥♥♥
Non vedo l’ora che arrivi stasera. Tu sai perché ;D
Certe volte me li infila in tasca senza che me ne accorga. E io, magari, li trovo una volta a casa, e non posso fare a meno di sorridere e ringraziare tutti i santi in paradiso per avermi fatto incontrare Bella.
Ma quella busta profumata non era da parte sua. Era una dichiarazione d’amore firmata da un’Ammiratrice Segreta.
Benché la cosa mi abbia stupito parecchio, mi ha pure riempito d’orgoglio. Insomma: non ho mai avuto ammiratrici anonime, io! Qualche mese fa ‒ la sera orribile in cui, per la troppa ansia,  non sono riuscito a baciare Bella, e poi James mi ha accoltellato ‒ Jake mi aveva confessato di sapere per certo che piaccio sia a Vanessa Young che a Sally Winters, due studentesse del liceo di Forks. Ad essere del tutto onesto Vanessa ancora mi fa gli occhi dolci quando ci incontriamo in mensa, e si è pure iscritta al Club di Letteratura per cercare di entrare nelle mie grazie. Bella la detesta, malgrado non abbia alcun motivo di essere gelosa. Certo, sapere di piacere a qualcuno oltre alla mia ragazza è bello, ma io Vanessa proprio non la considero, e non ho mai neppure cercato di flirtare con lei. È vero, sono cresciuto, e sono meno impacciato di un tempo, ma fare il cascamorto con una ragazza che non sia la mia ragazza davvero non è roba per me.
Ho mostrato la lettera a Bella. L’ho fatto senza rifletterci troppo, con il sorriso sulle labbra. Uno, lei è la mia migliore amica, e sono abituato a raccontarle tutto. Due, so che se le avessi tenuto nascosta quella dichiarazione mi sarei sentito in colpa, un po’ come se l’avessi tradita.
Credevo che Bella ci avrebbe riso sopra. Invece no. Mi ha lanciato uno sguardo gelido, e senza dire una parola ‒ ma chiudendo con eccessiva forza l’anta dell’armadietto ‒ s’è voltata e si è allontanata ad ampi passi.
Io sono rimasto lì, con la mia busta tra le dita, a chiedermi che diavolo fosse successo. Bella non mi aveva mai trattato in quel modo, prima. Non mi aveva mai guardato con tanto astio. Quando l’ho raggiunta e le ho chiesto quale fosse il problema mi ha risposto che se non ci arrivavo da solo era inutile che lei me lo spiegasse. Sapevo che c’entrava con il biglietto lasciato dall’Ammiratrice Segreta, e mi sono scusato, non capendo però fino in fondo la ragione per cui lo stavo facendo. Mica l’avevo voluta io quell’ammiratrice segreta, e neppure ricevere una lettera d’amore! E perché non apprezzava la mia onestà nel mostrargliela?
La cosa peggiore di tutte, però, quella che mi fa più paura ‒ ancora più degli sbalzi d’umore ‒ è il fatto che Bella, ultimamente, quasi non si lascia toccare. E non perché sono un pervertito e mi importa solo del sesso. Io e Bella non facevamo l’amore tutti i giorni (beh, trascurando un paio di settimane meravigliosamente folli, lo scorso dicembre, in cui lo abbiamo fatto ogni singolo giorno, in alcuni casi più volte al giorno). Però lo facevamo spesso, molto spesso.  Il nostro rapporto, con il tempo, è diventato sempre più serio, ed esprimere anche fisicamente quello che proviamo l’uno per l’altra non è mai stato un problema, soprattutto per Bella. A dire il vero la più  espansiva dei due è sempre stata lei, fin dall’inizio. È stata lei a darmi il primo bacio. È stata lei a prendere l’iniziativa e a trasformare i nostri semplici baci in qualcosa di più intimo e di più serio. Ed è sempre stata lei a chiedermi di fare l’amore per la prima volta. E in quanto al sesso… Beh, Bella è l’unica ragazza con cui io sia mai stato, e so di non poter fare paragoni. Ma Bella è una ragazza espansiva. Che ha studiato danza. E sa come muoversi. Davvero esiste qualcosa di meglio? Non credo.
Da qualche giorno, però, Bella evita accuratamente di rimanere sola con me. Usciamo sempre in gruppo, e quando mi riporta a casa blocca qualunque mio tentativo di intimità sul nascere.
Sinceramente non so come affrontare quello che ci sta capitando. Suppongo che la cosa migliore sarebbe parlarle, fronteggiarla a viso aperto. Chiederle cosa sta succedendo, perché si sta comportando in modo così scostante, e se si rende conto che mi sta facendo male. Ma ho paura. Per quanto la cosa mi sembri irreale e priva di ogni logica, non riesco a non pensare che, forse, Bella sta cercando di lasciarmi.
L’idea di non poterla vedere tutti i giorni per i prossimi cinque mesi non mi piace per niente. Ma si tratta pur sempre di cinque mesi, non di un’eternità. Cinque mesi passano in fretta. Tornerò a trovarla, oppure lei verrà a trovare me. Ci sentiremo tutti i giorni, per telefono, per e‒mail o tramite sms. Le ho installato una webcam così ci video‒chiameremo tutte le sere. Dopo il diploma, Bella mi raggiungerà, passeremo insieme l’estate, e poi frequenteremo la stessa università in cui lavorano i miei genitori. Forse è prematuro anche solo pensarlo, ma anziché trovare una camera al dormitorio magari cercheremo un appartamento e ci andremo a vivere. E se Bella non vuole più trasferirsi a Chicago, se ha cambiato idea e ora è interessata a un altro ateneo, non deve fare altro che dirmelo. Ci sono un sacco di ottime università in tutto il nord America. Troveremo insieme il posto giusto per noi.
 
Al termine delle lezioni Bella mi riporta a casa. Come al solito parcheggia di fronte al vialetto di ghiaia, e come accade da qualche giorno a questa parte non spegne neppure il motore. Molto bene, andrò in bianco anche stavolta.
“Vuoi tornare subito a casa?” azzardo timidamente. “I miei genitori sono alla serra…”
Bella mi regala un sorriso di circostanza. “Sì.. sì, credo di sì… sono piuttosto stanca. E poi devo terminare la relazione di storia…”
“Ti posso dare una mano,” le propongo.
“Non ho il materiale con me…”
“Vengo a casa tua… non è un problema…”
Guardo Bella con timore e speranza. Sinceramente non mi importa nulla di andare in bianco o meno. Voglio solo stare un po’ con lei, parlarle, capire che sta succedendo, colmare questa odiosissima distanza.
Bella scuote la testa e fa una smorfia. “Edward, ti ho detto che devo studiare… lo sai come va a finire…”
“Va a finire che ti aiuto a terminare la relazione di storia,” le spiego paziente. Non voglio che lei pensi che ci sto provando. “Hai detto che sei stanca, che hai bisogno di riposare… voglio solo darti una mano…”
“Sì, certo… una mano…” Bella sbuffa, scuote la testa e guarda fuori dal finestrino.
Io la fisso inebetito. Ma che sta succedendo? Perché si comporta così?
“Bella…”
Lei si volta, e il suo sguardo è freddo, totalmente estraneo. “Edward,” mi dice. “Si sta facendo tardi…”
Io continuo a fissarla senza dire nulla. Mi sento esattamente come mi sentivo dieci mesi fa: insicuro e sbagliato, inadeguato e fuori posto. Mi sento come se il tempo non fosse mai passato. Come se quel codardo che si faceva buttare nei cassonetti perché non sapeva difendersi, e temeva che ribellarsi avrebbe solo peggiorato le cose, non mi avesse mai abbandonato.
“Ok… me ne vado…” mormoro con il morale sotto i piedi.
Apro la portiera e scendo dall’auto. Non le dico ciao, non mi allungo neppure verso di lei per darle un bacio ‒ tanto mi porgerebbe solo la guancia, e non so cosa è peggio, francamente: non baciarla per niente, o farlo come se fossi suo fratello.
Mi allontano con la testa bassa e quella fastidiosa sensazione di panico che tanto spesso mi prendeva lo stomaco, e che non sentivo più da molto tempo.
Quando raggiungo casa non entro, mi fermo sul portico, lascio cadere lo zaino a terra e poi mi siedo sul dondolo. Sto così male che non riesco neppure a pensare lucidamente. So solo che faccio quasi fatica a respirare, che una morsa mi attanaglia la gola, e che vorrei piangere.
Non capisco cosa sta succedendo. Non capisco perché Bella si comporta così freddamente. Perché sta cercando in tutti i modi di allontanarmi? Si è forse stancata di me? Ho fatto qualcosa di male? L’ho forse offesa in qualche modo? Sta reagendo male al fatto che devo partire, oppure c’è dell’altro?
Lo sapevo che per lei non ero abbastanza. Per tutto questo tempo mi sono illuso di poterla rendere felice, anche se sono solo l’insignificante e ordinario Edward Cullen. Il fatto è che lei sembrava essere davvero felice con me. Proprio come io lo sono con lei. Cos’è successo? Perché, di punto in bianco, è cambiato tutto?
E perché non sono in grado di affrontare Bella? Ero sicuro di poterle parlare di qualunque cosa. Evidentemente non è così.
Infilo una mano in tasca e ne estraggo una scatolina di velluto blu. La porto con me da giorni, ormai, ma non sono ancora riuscito a darla a Bella. Non sono riuscito a trovare il momento adatto. Se andiamo avanti di questo passo, però, credo che non gliela darò mai.
Soppeso la scatolina per un po’, poi la apro e comincio ad osservarne il contenuto: due fedine d’argento con una piccola incisione nella parte interna. B&E per la fede più grande, quella destinata a me. E&B per la fede più piccola, quella che ho scelto per Bella.
Le guardo e improvvisamente mi sento uno scemo. Pensavo fosse un gesto romantico, un segno del mio amore, del fatto che credo in noi, che tengo a lei e sono pronto a impegnarmi, anche se siamo solo due ragazzini, e staremo lontani per cinque mesi. Ora, invece, mi sento solo un idiota ipersensibile, incapace di affrontare la propria ragazza, e da vero uomo quale sono sento gli occhi riempirsi di lacrime.
Richiudo la scatolina e la infilo nuovamente in tasca, poi tolgo gli occhiali e mi asciugo gli occhi con il dorso della mano.
“Je ne sais où va mon chemin, mais je marche mieux quand ma main serre la tienne.”
Alzo lo sguardo, gli occhi ancora lucidi. Bella è in piedi, di fronte a me, e cerca di sorridere, anche se la sua espressione è infinitamente triste. “È una frase di Alfred de Musset,” continua.
Io scuoto la testa. So chi è Alfred de Musset, ma non parlo il francese, al contrario di Bella. Ho sempre preferito il corso di spagnolo.
“Che significa?” le chiedo.
“Che non ho la più pallida idea di cosa sto facendo,” mi spiega, la voce che trema. “E neppure di dove sto andando. So solo che riesco a camminare solo quando mi stai vicino e mi tieni la mano.”
“Allora perché mi stai allontanando, Bella? Perché…” Non riesco neppure a terminare la frase.
“Perché ho paura,” risponde lei con un filo di voce.
“Di cosa?”
Bella alza le spalle e scuote appena la testa, senza abbandonare quell’aria infinitamente triste che mi lacera.
Un solo passo ci separa, ma improvvisamente la distanza tra di noi, per quanto breve, mi sembra infinita. Ho bisogno di lei, di toccarla, di stringerla, di sapere che c’è.
Mi alzo, le prendo una mano e l’attiro a me, affondando la testa tra il suo collo e la sua spalla. Sono terrorizzato dall’idea che mi possa respingere e allontanare, ma non lo fa. Bella si solleva in punta di piedi, mi getta le braccia intorno al collo, e si aggrappa a me come se fossi l’unica cosa a tenerla in vita.
“Mi dispiace… mi dispiace…” continua a ripetere, accarezzandomi i capelli. “Sono una stupida… mi dispiace, Edward…”
“Che c’è Bella?” le chiedo, scostandomi un poco e cercando i suoi occhi. “Che cosa ti ho fatto? Perché mi stai allontanando?”
“Non voglio perderti, Edward… Non voglio…”
“Non mi perderai…” le dico, scuotendo la testa con fermezza. Ma Bella non smette di tremare.
“Io non ce la faccio senza di te, Edward… non ci riesco… non…”
“Bella, si tratta solo di cinque mesi,” tento di rassicurarla. “Cinque mesi passano in fretta…”
“Lo so,” mi spiega, mentre gli occhi le diventano lucidi. “Ma ogni volta che ci penso sto male… non riesco a respirare… ho paura… io ho paura che… che tu…” Ma non finisce la frase.
“Cosa, Bella? Di cosa hai paura?”
Bella distoglie lo sguardo, quasi si vergognasse dei suoi stessi pensieri. Poi nasconde il viso tra le pieghe del mio giubbotto, incrociando le braccia dietro la mia schiena. Stringe così forte che quasi fatico a respirare.
“Bella…” la incoraggio, iniziando ad accarezzarle i capelli nel tentativo di tranquillizarla.
Bella tira un lungo sospiro e, senza abbandonare il suo piccolo rifugio contro il mio petto, mi confessa la sua più grande paura. “Non voglio che trovi un’altra…” borbotta.
Io sono senza parole. Davvero Bella crede che io possa dimenticarmi di lei e gettarmi tra le braccia della prima che passa? Dopo tutto quello che abbiamo passato insieme? Santo cielo, mi sono quasi fatto ammazzare per lei!
Forse la confessione di Bella dovrebbe farmi arrabbiare, ma non è così. La trovo molto dolce, in fondo. E mi sento anche un po’ lusingato.
“Tu credi che io possa innamorarmi di un’altra?” le chiedo, prendendole il viso tra le mani e costringendola ad alzare lo sguardo su di me. La sua espressione è triste, e gli enormi occhi neri sono velati di lacrime, eppure non l’ho mai trovata così bella.
“Il mondo è pieno di Vanesse Young e Sally Winters e Ammiratrici Anonime…” si giustifica, visibilmente imbarazzata e cercando di guardare altrove.
Non posso fare a meno di sorridere. Dovrei essere io ad aver paura di lasciarla qui da sola. Teoricamente sono io quello facilmente rimpiazzabile. Eppure mi rendo conto solo ora che non ho mai temuto di perdere Bella. Non ho mai smesso di avere fiducia in lei, in noi. Anche in questo Bella mi ha cambiato. “Bella, cosa vuoi che me ne importi delle altre?” le chiedo. “Io sono tuo. Mi hai sentito? Io sono tuo…”
Bella azzarda un sorriso, dolce e timido. “Allora perché non rimani? So che Jasper ti ha proposto di restare, me l’ha detto Alice. Perché hai rifiutato?”
La domanda più che legittima di Bella chiarisce ogni mio dubbio. Sapevo che c’era dell’altro. Sapevo che qualcosa la tormentava, che quel nervosismo latente che ci rovinava le giornate era frutto di qualcosa di più serio e concreto che non l’irrazionale paura che io potessi trovare un’altra ragazza.
Tre settimane fa Jasper è venuto da me e mi ha detto che lui e i suoi genitori sarebbero stati felici di ospitarmi fino al giorno del diploma. Il fratello maggiore di Jasper frequenta il college e avrei potuto prendere la sua camera.
Conosco bene i genitori di Jasper, so che mi vogliono bene, e che per loro non sarebbe stato assolutamente un peso accogliermi nella loro casa. Così non ho declinato subito la loro proposta, ci ho riflettuto per qualche giorno, evitando però di raccontarlo a Bella: non volevo che si facesse delle false speranze, e neppure che influenzasse la mia decisione. Non avevo messo in conto che Alice le avrebbe spifferato tutto, però.
“Bella, non posso… Non sarebbe giusto, e poi non voglio approfittare della gentilezza dei Signori Whitlock.”
“Ma loro ne sarebbero felici!” continua Bella, quasi implorante. “Davvero, a loro sta bene. Loro ti vogliono be‒”
“Bella, no,” insisto, staccandomi da lei e facendo qualche passo nella direzione opposta. “È meglio così, credimi.”
Mi giro e vedo Bella che mi osserva con un’espressione stranita. “Come fa ad essere meglio così ?” mi domanda incredula. “Te ne andrai, vivremo separati per i prossimi mesi, non ci diplomeremo insieme. Io sto male e tu stai male. Come può essere meglio così ?”
Già. Come può essere meglio così? Come faccio a spiegarglielo senza che lei creda che non la desidero più e che non ho più bisogno di lei?
Mi avvicino e le prendo entrambe le mani, stringendole nelle mie. “Bella, io ti amo da morire, e non voglio che tu fraintenda quello che ti sto per dire…”
“Cosa? Cosa dovrei fraintendere?” mi chiede lei, la voce leggermente velata di panico.
Tiro un lungo sospiro e poi glielo dico, guardandola negli occhi. “ Bella, io ho bisogno di passare un po’ di tempo lontano da Forks, lontano da te…”
Bella spalanca gli occhi. Più che ferita o spaventata sembra incredula.
“Lo‒lontano da me?” ripete, come ad accertarsi di aver capito bene.
So cosa sembra. Sembra che io voglia prendermi una pausa da noi, ma non è così. Per niente.
“Bella, io ti amo. Ti amo davvero. Tu mi hai fatto capire chi sono veramente, mi hai reso la persona che sono oggi, e ogni singolo giorno ringrazio il cielo per averti incontrata. Se non fosse stato per te… io… Io non ci voglio neppure pensare. Non voglio pensare a come sarebbe stata vuota e insignificante la mia vita. Non voglio pensare a tutto quello che avrei perso, e solo perché ero un codardo. Ma ho bisogno di sapere che posso farcela anche senza di te. Quando tu mi sei vicino mi sento forte, e so di poter affrontare tutto. E mi chiedo se sarei in grado di farlo anche da solo. Il problema è che non lo so. Io non so se da solo ce la posso fare. E voglio farcela. Per me stesso e per noi. Per te. Voglio che tu sia fiera di me, voglio che tu possa contare su di me, voglio essere forte per te. Tu mi hai dato così tanto. Sei la ragazza più generosa che io conosca. Sei una forza della natura ed io vorrei solo essere alla tua altezza.”
Le confesso tutto in apnea, senza respirare. Le mie parole escono veloci, una dopo l’altra, e prego di aver scelto quelle giuste, di non essere frainteso.
Bella rimane in silenzio per un po’. Fissa il mio giubbotto, ma non sfila le mani dalle mie, e neppure si allontana da me. Spero sia un buon segno.
“Bella,” dico, interrompendo i suoi pensieri. “Riesci a capirmi? Ti prego dimmi che riesci a capirmi…”
Bella risponde con una domanda. “E se fossi io a non farcela?” chiede con un filo di voce. “Se mi accorgessi che da sola non ci riesco?”
“Bella,” tento di rassicurarla, stringendola a me. “Tu non sei sola. Ci sono Alice, Rose, Jasper, Jake e Emmett. Ci sono i tuoi genitori. E  ci sono io. Il fatto che non sia qui con te, non significa che il mio cuore non ti appartenga.”
“Se non mi dovesse bastare, tornerai?” mi chiede cercando il mio sguardo. “Ho capito quello che mi hai detto, Edward. Ho capito perché hai bisogno di tornare a Chicago. Hai bisogno di affrontare il tuo passato e buttartelo definitivamente alle spalle. Io ti aspetterò. Ma se non ce la dovessi fare, tu tornerai? Non mi lascerai sola, vero?”
Le sorrido. Bella è la ragazza più forte che io conosca, eppure di tanto in tanto, emerge un lato di lei infinitamente fragile. È disarmante.
“Basta solo che tu me lo dica, Bella. Una parola e io tornerò da te.”
Bella annuisce e l’espressione del suo viso si fa più distesa. Poi abbandona la testa sul mio petto. “Scusa se sono stata così odiosa in questi giorni, Edward,” mi dice. “Avrei dovuto parlarti, dirti cosa mi faceva stare male, invece che provocarti e allontanarti da me. Mi dispiace. Sono così stupida, a volte.”
“No,” scuoto la testa. “Non è vero, Bella. Non lo sei. Sei meravigliosa.” E così dicendo estraggo la scatolina di velluto blu dalla tasca e gliela porgo. Se non ora quando?
Bella spalanca gli occhi prima sulla scatola, poi su di me, e il suo volto si illumina di una luce calda e radiosa, una luce che ho visto spesso da quando sta con me, e sapere di essere io a renderla così felice mi riempie di una gioia che non so neppure descrivere.
“Aprila,” le dico, la salivazione azzerata per l’emozione.
Bella lo fa. Apre la scatolina e poi comincia a fissarne il contenuto, completamente rapita.
“Non è un vero e proprio anello di fidanzamento,” borbotto, iniziando a grattarmi la nuca, perché mai in vita mia sono stato così nervoso. “Non fraintendermi… non ti sto proponendo… Però… Tu sei importante per me… Io non riesco a immaginare il mio futuro senza di te… Io ti amo Bella.”
Bella estrae l’anello più piccolo dalla scatola. “C’è un incisione…” dice, la voce appena udibile.
“Sì,” le confermo, prendendo l’altro anello. “Le nostre iniziali. Vedi?”
Bella stringe la sua piccola fede d’argento tra le dita. L’osserva senza dire nulla per qualche istante. “Edward Anthony Cullen,” dice poi, guardandomi negli occhi e sorridendo. “Voi infilarmi questo anello o devo fare da sola?”
Non me lo faccio ripetere due volte. Prendo la fedina e istintivamente miro all’anulare sinistro. Poi mi blocco, improvvisamente nervoso al riguardo. Sto esagerando?
“Credo sia il dito giusto,” dice lei, percependo la mia titubanza.
Le infilo l’anello, e lei fa lo stesso con me. È strano: eravamo soli, non c’è stata alcuna promessa, e di sicuro non c’era un prete, ma mi sento come se ci fossimo appena sposati. Non fa per niente paura.
“Allora,” dice lei in tono languido, incrociando le sue braccia intorno al mio collo e premendo il suo corpo contro il mio. “A che ora dovrebbero rientrare i tuoi genitori?”
Io le sorrido, le poso le mani sui fianchi e l’attiro a me. “Abbiamo tutto il pomeriggio,” mormoro poco prima di darle un lungo, lunghissimo bacio.
“Stiamo perdendo tempo, qui fuori,” mi provoca lei, facendo scivolare la sua mano lungo il mio torace e poi oltre.
Bella è così. È il diavolo e l’acqua santa. Non esiste nessun’altra come lei. È la cosa migliore che mi potesse capitare.
L’amerò sempre.
Per sempre.

 
 
Fine

 
 

Grazie, mille volte grazie, a tutti coloro che hanno letto e commentato. E anche a chi ha letto senza commentare. Spero che questa storia vi sia piaciuta e che vi abbia fatto sognare. Io ho amato molto scriverla.
A presto!
Opunzia

p.s.  qualcuno di voi ha visto Breaking Dawn Part I ?  Mi piacerebbe sapere che ne pensate... Se vi va mandatemi un msg privato (per non spoilerare con chi non l'ha ancora visto!)
ri-ciao!!! =)


 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=714829