Say goodbye to the cyanide you drank.

di LeslieCyanide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 ***
Capitolo 3: *** Chapter 3 ***
Capitolo 4: *** Chapter 4 ***
Capitolo 5: *** Chapter 5 ***
Capitolo 6: *** Chapter 6 ***
Capitolo 7: *** Chapter 7 ***



Capitolo 1
*** Chapter 1 ***




Premetto che questo capitolo è una sorta di introduzione alla storia vera e propria, per questo è così breve. Comunque, ringrazio in anticipo coloro che vorranno intraprendere la lettura della mia fanfic. Non sono nemmeno un gran chè come scrittrice, ma scrivere è una delle poche cose che mi fa star bene, e pubblicare questa storia è come una sfida per me. Buona lettura.

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Chapter One

-Avanti Les, vedrai che ci farà bene cambiare aria! - Disse sorridendo mia madre.

Non sapeva dire altro da qualche settimana a questa parte.

- Mmmh - Mugugnai di rimando.

- Oh, andiamo Les, lo sai che non abbiamo scelta. Tutto quello che è successo, e poi questo nuovo lavoro sembra proprio l’occasione che fa al caso nostro! E’ una grande opportunità anche per te! Potrai conoscere tanti nuovi ragazzi, farti nuovi amici, potrai ricominciare da zero qui! Capiscimi, ti prego. –

Preferii rimanere in silenzio. Avrei voluto urlarle addosso, far uscire tutta la rabbia che avevo in corpo e che da troppo tempo cercavo, invano, di reprimere. Che razza di ipocrita! ‘Potrai farti dei nuovi amici’, mi stava provocando, era ovvio cosa intendeva. ‘Sei una povera asociale che sta sempre per fatti propri ad ascoltare quel dannato iPod e che nessuno caga mai. Ma tranquilla, che se ti trasferisci cambiano le cose!’ Mi faceva schifo

-Bello, sembra tanto l’inizio di uno delle solite commedie americane per bambini decerebrati dove il protagonista si trasferisce in seguito alla morte di un genitore.- Dissi sotto voce, ma lei non mi sentì.

Appoggiai la fronte contro il vetro freddo del finestrino. Il paesaggio scorreva velocemente davanti a me, ma io non lo notavo. Mamma si sbagliava, lo sapevo. Non sarebbe cambiato proprio un fico secco. Ero "quella vestita e truccata di nero, con i capelli tinti, che sta sempre sola" a Philadelphia, e sarei rimasta tale anche a Oakland.

La velocità aumentò.

Ogni secondo che passava la città si avvicinava, ma io la sentivo sempre più distante. Cosa pretendeva mia madre? Che smettessi di essere quella che ero? Mai. Non potevo farci niente se la mia era una generazione zero. Non ero mai stata in sintonia con gli altri ragazzi della mia età a Philadelphia, e di sicuro con quelli di Oakland non sarebbe stato diverso. Erano tutti uguali, alla fine. Una massa di burattini inermi plasmati dalla società, nati e cresciuti da ipocriti, ecco cos’erano i miei coetanei. Tutta quella malizia, falsità, invidia, non facevano proprio per me.

Quei pensieri mi fecero venire il mal di testa.

Sfilai dalla tasca dei jeans il mio amato compagno di vita, Jimmy. Quel piccolo iPod verde, logoro e pieno di graffi, era con me da sempre, o almeno, così mi sembrava. Mi infilai le cuffie nelle orecchie, e schiacciai il tasto di riproduzione casuale. Ah, Ramones. Finalmente potevo rilassarmi, stare da sola, sola con la mia musica.

‘Benvenuti a Oakland’ lessi di sfuggita.

-‘Benvenuti all’inferno’ sarebbe stato più appropriato- bisbigliai.

-Cyanide.

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Capitolo 2
*** Chapter 2 ***




Chapter Two

Infilai con un gesto brusco il libro di matematica nello zaino, lo zaino logoro, pieno di spille e scritte, che dall’inizio del liceo mi aveva accompagnato in quell’autostrada infernale, comunemente chiamata ‘scuola’. Non l’avevo mai vista di buon occhio quella prigione. Per quanto mi riguarda, tutto ciò che mi interessava sapere era racchiuso nei libri, per il resto potevo campare benissimo anche senza disequazioni, geometria analitica e robaccia varia.

Misi nella tasca anteriore della tracolla il mio libro preferito, “Il giovane Holden”. L’avevo riletto, avevo sfogliato quelle pagine, una per una, così tante volte che erano diventate di una tonalità simile all’ocra, e le stampe erano scolorite, tanto che da nere era diventato grigie chiaro. Ma quell’insieme di carta ingiallita e inchiostro sbiadito, contenevano tutta la fiducia e la sicurezza di cui avevo bisogno.

-Les, sbrigati! Il bus sarà qui tra cinque minuti!-

Ero ancora in pigiama. Corsi verso l’armadio, e dall’angolo più remoto del cassetto sfilai la mia maglia preferita, una nera e sdrucita con quella scritta che tanto amavo, God save the Queen. Infilai velocemente un paio di jeans logori. Converse ai piedi: ero pronta.

Sentii il clacson del bus che stava per ripartire.

Scesi al piano di sotto correndo e saltando gli scalini di due in due. -Ancora quella dannata maglia? Sembri un maschio!-

Non la degnai nemmeno di una risposta. Mi precipitai fuori dalla porta di casa: Il bus non c’era più.

-Ma che grande inizio!- Sbuffai. Ero sempre la solita sfigata. Bene, adesso mi toccava anche andare a piedi. Fortuna che la scuola era a meno di un chilometro di distanza.

Ripresi lo zaino che, per l’incazzatura del bus, avevo gettato a terra e, mettendolo sulla spalla destra, mi incamminai. Come si chiamava la scuola? Ah, si. Pinole Valley High School. Già immaginavo la mentalità pessima degli studenti, e non avevo la benché minima intenzione di soffermarmi a pensare ai professori. Sarei finita per mandarli all’altro paese come era già successo parecchie volte a Philadelphia, magari avrei fatto a botte anche con qualche ochetta del cazzo. Succedeva sempre, quelle dannate ragazzine viziate e false erano dovunque. Probabilmente sarei stata anche bocciata, e alla fine mia madre mi avrebbe costretto a cambiare scuola, come era solita fare. Non aveva ancora capito che il problema ero io, era convinta che cambiare ambiente avrebbe migliorato le cose, e aveva preso la morte di mio padre come scusa per trasferirsi, era evidente.

Immersa nei miei pensieri, non mi ero accorta di essere giunta davanti all’entrata della scuola. Mi trovai di fronte una miriade di ragazzi tutti eccitati e frementi per l’inizio del nuovo anno scolastico.

-Uhm, mi sono persa qualcosa?- dissi ad alta voce senza accorgermene.

Mi infilai nella mischia, cercando invano di rimanere illesa dagli spintoni della massa di ragazzi che riempiva l’atrio della scuola, quando all’improvviso qualcuno mi venne addosso e, come era mio solito fare, finii con le chiappe a terra.

-Ma che cazz..?!- Non feci nemmeno in tempo a girarmi che il ragazzo che mi aveva spinta mi tese la mano per aiutarmi.

-Ma vaffanculo!- Esplosi. Scansai la sua mano con un gesto brusco e mi rimisi in piedi da sola. Raccolsi velocemente le poche cose che erano fuoriuscite dallo zaino a causa della caduta e feci per andarmene, quando all’improvviso mi prese per un braccio.

-Senti, scusa, è stato un incidente, non era mia intenzione.- Disse guardandomi in faccia. Merda, che sguardo. Due smeraldi aveva al posto degli occhi, ci avrei messo la mano sul fuoco. E quei capelli che facevano trasparire una tinta blu mal riuscita, che strano tipo.

-Tranquillo- Dissi abbassando lo sguardo. Staccai il braccio dalla sua presa e mi allontanai, disperdendomi nella folla.

-Cyanide.

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Capitolo 3
*** Chapter 3 ***




Chapter Three

-Terza C- Lessi ad alta voce.

Bene, ero davanti alla mia futura classe. Stava davvero per cambiare qualcosa, oppure erano sempre e solo cazzate quelle che diceva mia madre? La seconda opzione mi sembrava la più veritiera, come sempre del resto. Stavo morendo dalla vergogna. Essere alla continua ricerca di attenzioni, desiderare gli sguardi e le occhiate di tutti, non era proprio da me. Io ero sempre "quella seduta in disparte", come dicevano gli altri. Situazioni del genere mi mettevano molto a disagio, e finivo per fare le solite brutte figure.

Abbassai la maniglia e spalancai la porta con fare risolutivo, non serviva a nulla piangersi addosso.

-Oh, ecco la nostra nuova alunna! Avanti Leslie, entra pure!-

Mi avvicinai alla cattedra dove era seduto il professore. Era un uomo anziano, sulla sessantina, con capelli radi e brizzolati, dall’aria mite e con uno sguardo d’apprensione impresso negli occhi. Non sembrava male come professore, almeno era questa l’impressione che dava. Probabilmente mi sarei ricreduta, mi succedeva sempre così quando vedevo per la prima volta una persona. Mi girai verso i miei compagni lentamente, come se avessi paura di guardare ciò che mi aspettava. Scoprii che la classe era identica a tutte le altre in cui ero stata. Avrei dovuto aspettarmelo, era sempre la stessa storia. Le scolaresche sembravano stampate e fotocopiate, erano sempre uguali. Gli alunni erano tutti divisi in gruppi, accomunati da una stessa passione o da uno stesso interesse. Non appartenendo a nessuna di queste divisioni, mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Lo ero sempre stata.

-Ragazzi, questa è Leslie, la vostra nuova compagna di classe! Leslie, ti va di..-

"Non chiedermi di presentarmi, non chiedermi di presentarmi, non chiedermi di presentarmi" pensai, disperata all’idea di doverlo fare. Evidentemente feci una smorfia tale che il professore comprese il mio stato d’animo, e finì la frase invitandomi a prendere posto. Stranamente questa volta le cose erano andate per il verso giusto.

Mi sedetti all’ultimo banco, il più vicino alla finestra, come era mio solito fare. Nelle lezioni particolarmente noiose, mi soffermavo a guardar fuori, analizzando in mente i testi delle canzoni che preferivo, cercando i significati, le sfumature più impercettibili che potevo attribuirgli. Oppure nascondevo le cuffiette del mio amato lettore musicale nella manica della maglia, e guardavo l’insegnante con aria assorta, come se stessi ascoltando ogni singola parola da lui pronunciata.

Passai le prime quattro ore di lezione così.

Il suono della campanella mi destò dal mio dormi-veglia. Evidentemente un po’ troppo in ritardo, visto che gli altri ragazzi avevano già lasciato la classe per dirigersi nella sala della mensa.
Non avevo né fame né voglia di rinchiudermi in quella stanza affollata, piena di ragazzi urlanti che spintonano per avere una fetta di pizza e oche che fanno commenti e sputano sentenze su chiunque sia in grado di respirare e proferire parola, così decisi di andare a sedermi nel parco, magari sotto l’ombra di un albero.

Il giardino della scuola era completamente deserto, perfetto. Avrei potuto starmene per fatti miei, sola con la mia musica e la lettura. Infilai, per l’ennesima volta in quel giorno, le cuffie nelle orecchie e tirai fuori dallo zaino un libro e un pacchetto già aperto di biscotti. L’atmosfera era paradisiaca. Sarei potuta rimanere lì a vita. C’era un leggero vento, che mi scompigliava i capelli e costringeva i pochi ciuffi verdi a fare capolino sotto l’enorme massa di ciocche rosse. Appoggiai la testa al tronco dell’albero e chiusi gli occhi, troppo stanca per continuare a tenerli aperti.

Il rumore di una macchina mi destò. Feci un leggero sbadiglio, e iniziai a dischiudere lentamente le palpebre.

Scoprii che quegli occhi verde smeraldo che tanto amavo erano a venti centimetri dal mio viso, ancora una volta.

-Cyanide.

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Capitolo 4
*** Chapter 4 ***




Chapter Four

Rimasi per qualche secondo a fissarlo. Ero totalmente persa nei suoi occhi. Erano così verdi e profondi, sembrava che ne avessero viste proprio tante, e conferivano a quel ragazzo, che di normale non aveva proprio nulla, un aspetto quasi saggio. Era davvero strano trovare in quella scuola, popolata da gente all’apparenza così frivola e superficiale, qualcuno del suo genere. Mi piacevano quei capelli blu scoloriti, che facevano trasparire sottili ciocche corvine. E quella bocca inarcata, dalla quale faceva capolino un sorriso malcelato. A prima vista poteva sembrare un cattivo ragazzo, ma guardandolo con più attenzione, immergendoti in quegli occhi, capivi subito che non lo era.
Ma perché mi stava fissando in quel modo? Ritornai alla realtà e scattai in piedi, imprecando.

-Ma cosa diamine ti è saltato in mente?Mi hai fatto spaventare!-

Rise. Cosa aveva da sbellicarsi tanto?

-Ti diverti?- Chiedi, incrociando le braccia.

Lui si sedette sul prato. –Dovresti ringraziarmi, invece di alzare la voce in questo modo. Sono le sette di sera e ti avranno già data per dispersa. Ti sei addormentata durante la pausa pranzo e hai saltato tutte le lezioni. Quando ti ho vista pensavo avessi avuto un malore, così mi sono avvicinato per vedere se davi ancora segni di vita e ti sei svegliata all’improvviso. Ti sembra giusto accusarmi in questo modo?- Parlò, senza che quel sorrisetto sparisse dalla sua bocca.

-Cazzo! Cazzo, cazzo, cazzo! Le sette di sera, ma come è possibile? Merda, devo tornare a casa subito, o mia madre mi ammazzerà! Ehm, grazie, grazie …-

-Billie Joe-

-Giusto, grazie Billie Joe!-

-Prego …-

Feci per andarmene, ma lui mi bloccò il braccio e si avvicinò a me. –Adesso dovresti dirmi il tuo nome.-

-Si, ehm. Giusto, si. Ehm, Leslie, mi chiamo Leslie.-

-Prego Leslie.- Disse, sorridendomi. Rimasi imbambolata per qualche secondo.

-Non dovevi correre a casa?- Disse ridendo.

Mi girai senza rispondere, e iniziai a dirigermi verso casa a passo svelto. Mi sentivo fissata, ma non avevo il coraggio di girarmi per vedere se davvero lui mi stava ancora guardando, così tirai dritto, fingendo noncuranza. Guardai l’orologio, erano davvero le sette, cazzo. Mi misi a correre e, dopo una decina di minuti, arrivai a casa. Spalancai la porta e, appena lo feci, vidi mia madre seduta sul tavolo, con la testa tra le mani.

-Mamma, ti prego, ti prego, ti prego, lasciami spiegare! Durante la pausa pranzo mi sono addormentata, e mi sono svegliata solo ora! Ti supplico, perdonami. Lo so, so che ti ho fatto stare in pensiero, lo capisco, ma non era assolutamente mia intenzione. Cambiare ambiente, casa, compagni di scuola, è tutto molto difficile, questi giorni sono stati davvero stressanti per me, capiscimi, ti prego.- Dissi tutto di un fiato, senza mai fermarmi. Lei si alzò in piedi, e si avvicinò a me. Solo in quel momento notai le occhiaie violacee che solcavano le sue guance. Mi abbracciò, e io feci lo stesso.

-Ti capisco Les, ti capisco. E’ tutto molto difficile anche per me. Ma vedrai, sistemerò tutto, sistemeremo tutto, insieme. Puoi andare a riposarti ancora, se vuoi. Ricordati solo che si cena alle otto.- Disse, dandomi un bacio sulla fronte.

Raccolsi lo zaino da terra, e iniziai a salire le scale, dirigendomi in camera mia. Nonostante avessi già dormito, ero esausta. Mi buttai sul letto, con il viso rivolto verso l’alto. Ripercorsi con la mente tutti gli avvenimenti di quella mattinata. Arrivo a scuola; entrata in classe; ore di lezione; pranzo; Billie Joe. Cercavo di evitarlo, quell’argomento, ma ogni altro pensiero mi venisse in mente veniva sovrastato. Billie Joe. Chi diamine era quel ragazzo? Mi sarebbe tanto piaciuto saperlo. E poi, cosa voleva da me? Voglio dire, poteva fregarsene altamente come tutti gli altri ragazzi della scuola, poteva benissimo lasciarmi lì a marcire, ma non l’aveva fatto, era venuto a svegliarmi, era venuto a svegliare me. Perché? Era ovvio che non era un ragazzo come tutti gli altri.

Ma alla fine, perché tanti problemi? Probabilmente non mi avrebbe nemmeno più rivolto la parola, e anche quello strano pensiero sarebbe andato a farsi benedire, come tutti gli altri, come succedeva ogni volta.

-Cyanide.

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Capitolo 5
*** Chapter 5 ***




Chapter Five

Quella mattina mi svegliai con un forte mal di testa. Avevo passato la notte in bianco, a pensare, ed ero giunta ad una conclusione. Non me ne fregava nulla di Billie Joe, dei suoi capelli blu, e soprattutto di quei fottuti occhi verde smeraldo. Ero stata una stupida, avevo dato lui troppa importanza. Che poi, cosa mi era passato per la testa? Ero convinta che a lui importasse di me solo perché mi aveva svegliato da quello stupido pisolino nel giardino della scuola. Da troppo tempo non ricevevo attenzioni e quel gesto insignificante mi aveva fatto montare la testa, ecco la verità. Tutta la situazione era veramente penosa, ma ero determinata a metterci una pietra sopra, facendo finta che non fosse successo nulla.

Iniziai a vestirmi, senza che smettessi un minuto di pensare a quella storia, nonostante avessi deciso di dimenticarla. Ero fatta così, purtroppo. Quando succedeva qualcosa che mi dava da riflettere, non riuscivo a togliermela dalla testa. E mi rimaneva per giorni e giorni un groppo alla gola, come se non riuscissi più a respirare, e quei pensieri mi annebbiavano il cervello, facendomi perdere il controllo della realtà. Idee spuntavano dai meandri più profondi della mia mente ogni secondo, e io non riuscivo a fermarle.

Finii di prepararmi e scesi a fare colazione. Le uova con il bacon di mia madre mi rimisero il buon umore.

-Ho preparato il tuo piatto preferito, Les. Sai, ieri sera ti ho vista veramente abbattuta e ho voluto fare qualcosa per farti star meglio, anche se probabilmente non servirà a nulla.- Disse lei, abbassando lo sguardo.

-Scherzi, mà?- Le sorrisi, mentre tagliuzzavo la pancetta in piccoli pezzi, come facevo ogni volta che la mangiavo. –Sai cosa? Ci voleva proprio una colazione del genere, come ai vecchi tempi.- Sorrise anche lei, e annuì.

La giornata sembrava partita per il verso giusto, stranamente. Alle 8 in punto salii sull’autobus, andandomi a sedere su uno degli ultimi posti. Mi guardavo intorno spaesata, quella confusione, quel caos, erano tutto ciò che avrei voluto evitare. Anche quella volta preferii estraniarmi da quella situazione, grazie al piccolo Jimmy, come sempre. Appoggiai la testa al finestrino e chiusi gli occhi per un istante, cercando di immaginare di essere in tutt’altro posto. Le grida e le parole dei ragazzi riuscivano addirittura a sovrastare quella musica potente, che tanto amavo. Punk, lo chiamavano. Per me si chiamava semplicemente salvezza. Una modo per evadere dalla realtà, per capire come veramente andavano le cose in quella fottuta società: il Punk offriva tutto questo e mille altre cose.

-Buongiorno dormigliona!- Sentii qualcuno sfilarmi le cuffie dalle orecchie. Alzai lo sguardo e trovai Billie Joe davanti a me, ancora una volta. Basta, basta, non ne potevo più. Voleva farmi impazzire? Ci stava riuscendo perfettamente. Non risposi. Ripresi le cuffie penzolanti, e le rimisi nelle orecchie come se niente fosse. Non avevo intenzione di dargli retta, non potevo. Avevo sofferto troppo a Philadelphia per situazioni del genere, non ci sarei ricaduta di nuovo. Ero intenzionata ad ignorarlo, e così avrei fatto.

-Che fai, mi ignori?- Mi sfilò le cuffie ancora, ma questa volta prese anche Jimmy, impedendomi così di continuare a far finta ce non esistesse. –Vediamo, vediamo- disse ridendo –adesso scopriremo che musica ti fa così impazzire, tanto da trascurare un povero ragazzo che cerca di prenderti un po’ in giro!- Nel frattempo l’autobus era arrivato a destinazione. Gli strappai Jimmy dalle mani, presi la borsa e scesi di corsa dal veicolo. Lui mi afferrò per un braccio, e mi tirò a sé. –Les, perché ti comporti così?- Mi aveva chiamato Les, come faceva sempre mia madre.

-Cosa vuoi da me, Billie Joe? Dimmelo, così potrai lasciarmi finalmente in pace. Voglio stare da sola, DA SOLA. Non ho bisogno di nessuno, mi basta semplicemente la musica, d’accordo?-

Abbassò lo sguardo e mi lasciò il braccio. –Niente, non volevo nulla di particolare. Sai, è che mi sei sembrata diversa, dalle altre intendo, quando ti ho visto la prima volta. In realtà lo sei davvero. E’ che, io ti capisco sai? Anche io ho lo stesso rapporto con la musica. La musica mi ha salvato, in un momento troppo difficile per andare avanti, mi ha sostenuto e mi ha permesso di farcela. Ma probabilmente hai ragione, ho preso troppa confidenza quando non avrei dovuto farlo, quindi ti chiedo scusa.-

Iniziò ad allontanarsi, e solo in quel momento capii che Billie Joe era non era come tutti gli altri.

-No, scusa tu, Billie Joe.- Si girò lentamente verso di me. –La colpa non è tua, ma mia. Sono stata troppo prevenuta nei tuoi confronti, ma il problema è che lo sono sempre con tutti. Tutti i ragazzi della mia età mi sembrano persone estremamente frivole e superficiali, e questa mia convinzione mi ha fatto costruire un muro di cemento intorno a me. Mi sono chiusa a riccio con te, quando non avrei dovuto. Mi dispiace.-

Lui sorrise e si avvicinò a me. Mi porse la mano, e mi guardò negli occhi. –Piacere, Billie Joe.- Disse.

Sorridendo, presi la sua mano e la strinsi forte. –Leslie, piacere mio.- Sussurrai.

-Cyanide.

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Capitolo 6
*** Chapter 6 ***




Chapter Six

Aprii con un gesto brusco le ante dell’armadio, infilando la testa nel mucchio di vestiti accatastati che occupava tutto lo spazio a disposizione. Iniziai a tirar fuori maglie, pantaloni, e quant’altro potessi indossare, scartando uno dopo l’altro qualsiasi opzione, e gettando tutti gli indumenti per terra, dietro di me. Possibile non avessi niente di leggermente più femminile in quel dannato guardaroba? Mi sentivo una stupida. Improvvisamente mia madre entrò nella stanza senza bussare, cosa che invece faceva sempre.

-Les, per l’amor di Dio, cosa stai combinando?- Mi girai di scatto, mettendomi davanti al mucchio di vestiti che si era ricostituito a terra, cercando invano di coprirlo alla sua vista. –Ehm, no, niente, non sto facendo niente. Sai, è che, ehm, si, dovrei fare un cambio di stagione, si, ehm, proprio così.- -Scherzi? L’estate è appena iniziata, e lo abbiamo già fatto lo scorso mese! Cosa sta succedendo Les?- Mi scrutò con uno sguardo perplesso, ma poi, guardando la mia espressione che la scongiurava di farsi gli affari propri, concluse: -No, non voglio saperlo, scusa se sono entrata senza bussare, volevo solo vedere se eri tornata da scuola. Bene, ti lascio sola.-

Fece per chiudere la porta, ma la bloccai. –Mà? Senti, ehm, oggi pomeriggio io esco, a fare un giro, si.- Abbassai lo sguardo. Lei riaprì la porta che stava socchiudendo e mi guardò, con gli occhi che le brillavano. –Oh, Leslie! Va bene, va benissimo! Ricorda solo di non fare tardi, allora!-

Lei andò via, e io mi rigirai, tornando a guardare avvilita la massa di vestiti che giaceva a terra. Ma chi volevo prendere in giro? Perché stavo cercando di essere qualcuno che non ero? Non sarei andata da nessuna parte comportandomi in quel modo. Ero un’ipocrita. Dicevo sempre di non voler essere come erano tutti gli altri, dicevo che volevo distinguermi, e cosa mi ero ritrovata a fare? Cercare di diventare uno dei tanti burattini in balia della società. In fondo, Billie Joe l’aveva detto. Tu sei diversa. Quelle parole mi risuonavano nella mente. Era il più bel complimento che mi potesse fare. Era per questo che lui mi aveva avvicinata, perché ero diversa. E allora perché fingere di essere qualcuno che non ero con la persona con la quale ero sicura di poter essere me stessa? Non aveva senso. Adesso tutto mi sembrava più semplice, potevo essere Leslie con qualcuno che mi capiva davvero.

Jeans, t-shirt dei Ramones, Converse.

Guardai l’ora, quasi le cinque. Avevo appena dieci minuti per raggiungere il bar al quale io e Billie Joe ci eravamo dati appuntamento per prendere un gelato, e non avevo la minima idea di dove si trovasse, nonostante le numerose spiegazioni. Uscii di casa. Tirai fuori un foglietto dalla borsa, dove avevo appuntato tutte le istruzioni per raggiungerlo. Gira a destra e percorri la strada fino alla rotatoria, seconda a destra, percorri la strada e gira a sinistra. Il bar si trovava alla fine del viottolo. Finalmente iniziavo a prendere confidenza con quella città. Iniziavo a riconoscere strade e vie, e tutto mi sembrava più familiare. Ero in lieve anticipo. Mi sedetti ad un tavolino del bar, in attesa.

-Allora siamo partiti con il piede giusto questa volta!- Mi girai di scatto: veniva verso di me, sorridendo. –Ero già preparato psicologicamente a dover passare un pomeriggio da solo, e invece eccoti!- Risposi al suo sorriso. –Ciao, Billie.- Si sedette di fronte a me, senza smettere un attimo di sorridere.

Ci fu un minuto di lieve imbarazzo, in cui nessuno dei due disse nulla. Dopo poco esordì. –Strano, mi aspettavo di vederti con l’mp3 alle orecchie anche oggi!- Disse, ridendo. –Solo perché sono arrivata da poco e sono troppo impedita per trovare il bar seguendo le istruzioni con le cuffie nelle orecchie.- Automaticamente tirai fuori dalla borsa Jimmy, e lo poggiai sul tavolino. Lui lo prese e iniziò a scorrere l’elenco dei brani.

–Wow.- Disse semplicemente. –Che c’è?- Ribadii io, sorpresa. –Niente, mi sembra semplicemente assurdo che una ragazza abbia i miei stessi identici gusti musicali. E’ che, beh, non è proprio una musica molto femminile, per così dire. Avevo ragione a pensare che fossi diversa dalle altre. Lo sei in tutto e per tutto.- Disse, senza staccare gli occhi dal piccolo oggetto che teneva fra le mani. –A me sembra talmente naturale ascoltare questo tipo di musica, che a volte mi sorprendo di come molta gente non lo faccia. Ci trovi tutto dentro quelle canzoni, dalla collera all’amore. C’è la storia della mia vita lì dentro.- E mentre parlavo lui alzò lo sguardo, fissandomi. –E’ esattamente ciò che penso io.- Disse in un sussurro.

Passò qualche minuto prima che uno dei due riuscisse a dire qualcosa. Alla fine staccò lo sguardo dal lettore, che sembrava aver catturato tutta la sua attenzione, e tornò a guardarmi negli occhi. –Devi venire con me al Gilman, questa sera.- Disse semplicemente, con il tono di chi non ammette repliche. –Gilman?- Chiesi sorpresa. –Te ne innamorerai, fidati. E’ il paradiso quel luogo. Questa sera io e alcuni amici suoniamo lì, ti va di venire, ehm, beh, a sentirci? Mi farebbe piacere.- Sorrise, e abbassò lo sguardo. –Scherzi? Sarebbe bellissimo! Finalmente persone che ascoltano buona musica, mi sembra incredibile! A Philadelphia non c’era di gente del genere nemmeno a cercarla con il metal detector!- Ridemmo, insieme.

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-Vengo a prenderti alle 9, allora?- Concluse Billie Joe, quando ormai il sole stava tramontando, dopo aver passato un pomeriggio a chiacchierare e parlare di musica. –Si, va benissimo!- Risposi, sorridendo. Ci alzammo insieme dal tavolino, e lui si avvicinò. –Allora, ciao Les.- Era a venti centimetri dal mio viso. Si avvicinò ancora, e mi baciò delicatamente una guancia.

Le sue labbra rimasero a contatto con la mia pelle per qualche secondo, giusto il tempo per assaporare tutta la dolcezza e la riconoscenza di quel bacio, per poi staccarsi con un gesto rapido. I miei occhi erano chiusi, e lo sentii allontanarsi dietro di me, lasciandomi da sola, impalata, in mezzo alla strada.

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Salve a tutti! Si, è la prima volta che mi rivolgo direttamente ai lettori :3 Beh, innanzitutto volevo scusarmi per non aver aggiornato più in fretta, ma sono stata due settimane senza internet ç-ç E poi volevo ringraziare ancora e ancora tutti coloro che nonostante tutto continuano a seguire e recensire questa fanfic. Siete la mia gioia, ragazzi. :’3 Un bacio a tutti.

-Cyanide.

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Capitolo 7
*** Chapter 7 ***




Chapter Seven

-Les, ripetimi un po’, con chi è che vorresti uscire stasera?- Era la terza volta che mi faceva la stessa domanda da quando ci eravamo sedute a tavola, senza contare le due volte mentre preparavamo la cena. Smisi di giocherellare con le carote, accatastandole da una parte del piatto come facevo sempre, e posai la forchetta sul tavolo con aria esasperata. –Con un ragazzo della mia scuola, Billie Joe. Mi porta a sentire la sua band suonare, d’accordo? Finiscila con il terzo grado mamma, lo sai benissimo che puoi fidarti di me.- Risposi, con un tono irritato. Lei abbassò lo sguardo, e sbiascicò qualche parola per giustificarsi, ma io replicai, evitando di far cadere lì l’argomento, e cogliendo l’occasione per rivelarle tutto ciò che pensavo e che non avevo mai avuto il coraggio di dire. –Lo so, mamma, lo so benissimo che non sei abituata a cose del genere. Hai sempre avuto a che fare con una persona come me, che preferisce rimanere da sola che mischiarsi con tutta la merda che c’è in giro, lo capisco, non pensare che io sia all’oscuro di tutto o che non mi renda conto del fatto che non ho amici. Ma adesso ho trovato una persona con cui posso essere me stessa, con cui condividere qualcosa, dovresti essere contenta, no?!- Mi fissava stupefatta. Non le avevo mai detto cose del genere, così, su due piedi. Eppure l’avevo appena fatto, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo. –Io.. Mi dispiace, Les. Non volevo..- Disse sotto voce, fissando il piatto. –E’ ovvio che sono felice per te, come potrei non esserlo? E’ solo che, non so, non so cosa mi sia preso.- La capivo, in fondo, ma non aveva il diritto di trattarmi come se fossi una bambina. Andare a vedere una band suonare con un amico, non mi sembrava niente di particolarmente allarmante. Ma lei era convinta che io mi facessi infinocchiare da qualche ragazzino idiota, le si leggeva nello sguardo. Temeva che mi innamorassi, era così evidente. Ma, in realtà, le sue paure erano fondate? .

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Guardai l’orologio, 9.25. Uscii salutando mia madre, che, come al solito, si raccomandò di non fare troppo tardi. Trovai Billie Joe ad aspettarmi davanti casa. –Sei in anticipo!- Dissi ridendo. Lui diventò rosso, e abbassò lo sguardo. Sorrisi, e rimasi a scrutarlo per qualche secondo. Dio, quanto mi piaceva. Cosa c’era di male ad ammettere l’evidenza? Era così, c’era qualcosa in lui che mi aveva affascinata dal primo momento. Non era di quei ragazzi oggettivamente belli, anzi. Era basso, goffo e con i denti storti, ma per me era come se avessi davanti la perfezione. Lo guardavo, e sentivo lo stomaco contorcersi. Erano quelle le tanto famose ‘farfalle’? Non le avevo mai provate guardando nessuno. Tutto ciò che desideravo era sedermi accanto a lui, guardarlo sorridere e potermi perdere nei suoi occhi. Era questo l’amore? Non sapevo darmi una risposta, e il dubbio mi torturava. Mi destai dai quei pensieri all’improvviso. Mi abbassai, guardandolo, permettendogli di fare lo stesso nonostante continuasse a fissare l’asfalto, e gli sorrisi. Anche lui fece lo stesso. –Si, beh, sono uscito di casa un po’ prima, temendo di non riuscire a ritrovare la tua, ma l’ho trovata subito.- Rispose farfugliando e grattandosi nervosamente la testa. –Oh, d’accordo. Piuttosto, come hai fatto a trovare casa mia? Non ti ho mai detto dove abito, adesso che ci penso!- Sgranò di colpo gli occhi, e iniziò a sbiascicare parole sconnesse. Beh, non mi importava come aveva fatto a trovare casa mia, in realtà. Mi dispiaceva vederlo così imbarazzato, quindi, sorridendo, lo presi sottobraccio. –Allora, dove si va, rockstar?- Rise. Improvvisamente mi resi conto di quanto fossero fondamentali per me le sue risate, e di quanto potessero mancarmi quando non era con me. Staccò il suo braccio dal mio e mi prese la mano. Sentii distintamente una scarica elettrica partire dall’avambraccio e disperdersi in tutto il corpo. –Vieni con me, preparati ad entrare in paradiso!- Esclamò con fare solenne, iniziando a camminare. .

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Fumo, puzza di sudore e musica, tutto ciò che distinsi dopo che Billie Joe ebbe spalancato la porta dello strano locale. Tossii, e strizzai gli occhi. Li riaprii, rimanendo affascinata dalla visione. Un piccolo palco, una band che suonava, una trentina di ragazzi sotto il palco che cantavano, urlavano e pogavano come se la loro vita non dipendesse da altro. E in effetti era così, quella era la loro vita. E subito scoprii che quella era anche la mia. Quell’atmosfera così ovattata, quei ragazzi che non avevi mai visto ma che ti capivano più di chiunque altro, ti facevano sentire in famiglia, era meraviglioso. Solo dopo qualche minuto mi resi conto di essere impalata in mezzo alla sala, in trance, con Billie Joe che mi guardava sorridendo. Aveva intuito esattamente il mio stato d’animo, perché era anche il suo, e quello di chiunque altro in quel bugigattolo. -Vieni, ti presento i miei amici!- Mi trascinò dietro il palco, senza lasciare la mia mano. –Hey, ragazzi, lei è Les, la ragazza di cui vi parlavo! Les, loro sono Mike e Al!- Disse, indicando i due ragazzi mentre scandiva i loro nomi. Uno, Al, fece capolino da dietro una batteria, e agitò la mano in segno di saluto, senza però avvicinarsi. L’altro, completando l’accordatura del suo basso, si avvicinò sorridendo, e mi strinse la mano. –Ciao Les, Billie ci ha parlato tanto di te! Dice che sei una tosta, è così?- Rise, per poi rivolgersi a Billie Joe. –Tu, brutto cretino, sei in ritardo! Tocca a noi adesso! Muovi le chiappe e vai a prendere la tua chitarra, tra due minuti dobbiamo essere su quel fottuto palco!- Erano molto agitati, solo in quel momento me ne resi conto. Li capii, in un certo senso. Io non sarei mai e poi mai riuscita a salire su un palco, suonare o cantare davanti ad altre persone. Mi lasciò la mano e si allontanò, per prendere la sua chitarra. Che magnifico strumento che possedeva. Una stratocaster azzurra, piena di adesivi e scritte, un po’ malconcia. Quanto mi sarebbe piaciuto avere una chitarra, imparare a suonarla, era il mio sogno. –Tocca a noi, Les!- Mi venne vicino. –Grandi, spaccate il culo a tutti!- Ci scambiammo un sorriso, e mi allontanai, andandomi a posizionare sotto il palco.

-Noi siamo gli Sweet Children, e questa canzone si chiama Going To Pasalaqua!- Billie Joe afferrò il microfono, e scandì queste parole con una grinta che non mi sarei mai aspettata da lui. Quel ragazzo, all’apparenza così chiuso, su quel palco sembrava un’altra persona. Silenzio. Primo accordo. Caos totale. Questa sequenza avvenne in una frazione di secondo, e in un tempo altrettanto breve mi ritrovai in un vortice di persone che si spingevano a vicenda e urlavano. Sentii la testa girare vorticosamente e rischiai di cadere a terra più volte. Ma poi quello strano ballo mi coinvolse. Ascoltavo la musica, quella bellissima musica, la sentivo dentro. Quattro canzoni passarono velocemente, non me ne accorsi nemmeno.
L’interruzione della musica mi destò da quello stato di trance, in cui non ti importa altro che continuare ad ascoltare. Tutti si fermarono. Uscii dalla matassa di persone accalcate, dirigendomi verso il retro del palco. Vidi i tre ragazzi, e corsi verso di loro. –Dio mio, ma cosa siete? Siete stati fantastici a dir poco!- Al e Mike mi sorrisero, ringraziandomi. Billie Joe si avvicinò, e in meno di un secondo mi ritrovai tra le sue braccia. Mi stringeva forte. In un primo momento rimasi spiazzata, ma poi feci lo stesso, appoggiando il viso sul suo collo. Sarei rimasta in quella posizione a vita. Era così dolce con me, una dolcezza che mai ti aspetteresti da un ragazzo del genere. L’amavo, ora ne ero certa.

-Cyanide.

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