Faded Memories. di Melaswe (/viewuser.php?uid=88258)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo. ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo. ***
Capitolo 1 *** Primo capitolo. ***
Ci sono certi sogni, che rimangono impressi più di altri,
e
nemmeno ci rendiamo conto di quanto ne diventiamo dipendenti.
Dipendenti
dall'azione di aprire gli occhi e richiuderli,
nel
tentativo di riprendere li da dove è stato interrotto.
•••
La
brezza leggera - che sapeva d'un preludio d'estate - non bastava a
donarmi di nuovo i respiri persi. Ero uscita, attraversando la
scalinata al di fuori della sala, affacciandomi su quel balcone
interamente in marmo bianco. Posai i palmi sul corrimano, assaporando
il poco fresco che riuscivo a percepire. Niente, le guance ancora
bruciavano, la gola irritava, reduce dalle risate appena lasciate.
Qualche ciocca di capelli biondi invece, scendevano lunghi e spettinati
ai lati del viso, ignorando le ore che ci avevamo messo per sistemarli.
Sorrisi, al ricordo di poche ore prima, le amiche intente a tenermi
ferma e buona per far si che non mi presentasi con i soliti Jeans, al
ballo di fine scuola.
Mi
sporsi ancor di più, quasi in punta di piedi e con quel
maledetto vestitino bianco a farmi sembrare una che ha appena finito un
balletto di danza classica. Odioso, mancava solamente la corolla
piumata da cigno. Era corto, a metà coscia o forse
più in su. Il busto bianco ed in merletto nero scendeva in
una gonna vaporosa, nel mentre ai piedi, portavo semplici tacchi della
stessa scura colorazione. Femminile, si. Mi si sarebbe potuta definire
cosi e di fatti Andrew, rimase senza parole nel vedermi uscire dalla
porta di casa. Glielo lessi negli occhi, nella labbra mosse e richiuse
per lo stupore. Sorrisi di nuovo, apprezzando un poco quello che io
stessa detestavo. Avevo letteralmente minacciato Andrew di morte, se
avesse solo provato a toccarmi, quella sera. Nonostante tutto, se ne
era rimasto buono ed indifeso, ci stavamo divertendo, fatta eccezione
però, per un piccolo ed insignificante particolare.
Mi
voltai di scatto, i capelli ondulati frustarono l'aria e le mani furono
posate di nuovo sul marmo, appoggiando poi anche il busto. Le iridi
scivolarono sulla porta-finestra ad arcata della sala e sugli ex
alunni, intenti a perdersi fra le danze.
Mi
impuntai su una figura, familiare, molto più che familiare.
Sorrisi,
mi guardò e ricambiò.
Stava
parlando con lei, ed anche a lei, sorrideva.
La
cosa peggiore è che mi era perfino simpatica, non riuscivo a
trovarle nulla di sbagliato.
Abbassai
le iridi, prima di scorgere poi l'ombra di quel ragazzo venirmi
incontro e mettersi accanto a me. Stessa posizione e il volto puntato
all'insù. Mi morsi il labbro inferiore con il canino, giocai
con la punta dei tacchi sul pavimento grezzo.
-
Stai bene, stasera - le labbra di lui si inclinarono in un sorriso.
Mi
accigliai, mettendomi di fronte al diciassettenne ed incrociando le
braccia al petto - e le altre volte? - rifilai ironica. Il lupo perde
il pelo ma non il vizio.
Non
mi guardò, tipico. Le stelle sono meglio delle ragazze, eh?
-
Perchè? Cos'hanno di diverso le altre volte? -
confabulò innocente e noncurante, zittendomi di nuovo con
una delle sue domande. Era sempre fedele a se stesso. Ero io quella che
stava facendo fatica ad esserlo.
Avanzai
di un unico passo, approfittando della poca attenzione che mi stava
dedicando - Senti.. - sussurrai, fermandomi in tempo alle sue parole.
Abbassò
lo sguardo su di me, probabilmente senza accorgersi di quel centimetro
in meno.
-
Andrew è proprio un bravo ragazzo - sorrise raggiante,
posandomi una mano sulla spalla .. o forse, pensandoci bene, no, fatto
sta che non ricordo.
Da
quel momento, è tutto un vortice confuso.
Repressi
la voglia di gridargli contro - Gli ho detto che sono felicissimo di
affidarti a lui - rise, già rise. Sbriciolò quel
poco di coraggio che mi ero autoimposta e nel contempo mi fece
sorridere amaramente. Brutta cosa quando ti piace, anche se ride di
cose che ti fanno male.
-
Mi sono sentito un po' come se fossi un fratello magg.. -
continuò imperterrito, interrotto solo nel momento in cui i
nervi mi salirono alle stelle. Idiota. Glielo dicevo spesso che lo era,
ma sempre per motivi al di fuori di cuore o stupidaggini del genere.
Mi
alzai in punta di piedi, la mano afferrò il colletto bianco,
così da aiutarmi nell'impresa di avvicinare il mio viso al
suo. Un bacio.
A
volte, dicono che un bacio dice tutto, ma pochi secondi dopo essermi
ricomposta, preferii aggiungere altro:
-
Idiota - non lo guardai, feci retro marcia e tornai nella sala, per poi
evitarlo e sparire.
•••
Quella
solita, continua, fastidiosa sveglia prese a suonare per almeno una
buona decina di minuti.
Ancora
sotto alle coperte, allungai la mano, la spensi e la misi sotto al
cuscino. Mugugnai soddisfatta, raggomitolandomi su me stessa e
coprendomi totalmente sotto il piumone, ma niente da fare, è
proprio impossibile riprendere i sogni da dove si sono interrotti, eh ?
Mi
alzai perciò di scatto a sedere, le mani strette alle
coperte .. della serie : via il dente, via il dolore. Mi arruffai i
capelli con la destra, sentendoli corti fra le dita e mugugnai di nuovo
- come se non sapessi far altro al momento - voltando questa volta lo
sguardo verso la finestra della stanza, mentre dalle tendine rosse
filtrava quel poco di sole d'alba. Scesi piano, lentamente. Figuriamoci
se mi azzardo a correre; col precario equilibrio che mi ritrovo, la
lentezza è un diritto. Andai in bagno, quasi rischiando di
appisolarmi, nel mentre mi posavo col busto alla porta.
Sonno,
troppo sonno.
Quasi
alla cieca, infine riuscii a trovare il lavandino, affogandomi con
dell'abbondante acqua tiepida, prima di azzardarmi a guardare quel
riflesso sullo specchio arrotondato e dalla cornice argentata. Una
ragazza mi guardava di rimando, accigliandosi e facendo piccole smorfie
con le labbra. Sbuffava. Una bionda, capelli corti ed arruffati, il
viso di chi non dorme da molto e indosso un completo color pesca, non
appropriato per l'inverno. Altro affondo d'acqua, prima di riuscire a
ragionare quasi in modo lucido e sussurrare un - ah, un'altra giornata.
Fantastico! - un po' per
ironia, un po' perchè ci si spera sempre no?
•••
Sono
ritornata dopo quasi un anno, e rileggendo, ho deciso di risistemare il
tutto, con tanto di capitoli più corti rispettto a quelli di
prima, cosi da facilitarvi - spero - la lettura. Inoltre, dedico questa
Fanfic, a delle amiche speciali, che son state capaci di dare un
carattere, una delineata sagoma, a ciascun personaggio che
apparirà a seguire. Grazie a loro e grazie a chi,
recensirà, leggerà e mi aiuterà a
migliorare.
Mela.
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Capitolo 2 *** Secondo capitolo. ***
Credo negli imprevisti,
credo nelle giornate storte,
credo in quegli attimi in cui,
in una frazione di secondo,
tutto può cambiare.
•••
Un
piccolo scatto, al giro di chiave, mi avvertii di aver
definitivamente chiuso la porta blu del 28 Lincoln's Inn fields, nel
pieno di Camden Town, Londra. L'amica con cui condividevo casa era
fuori, da quello che ne so, per una vacanza con il futuro marito. Sposarsi
a 25 anni, uno spreco a
mio parere. Dedussi
perciò che al ritorno,
sarebbero direttamente andati a vivere insieme e non era il caso di
lasciare casa non chiusa a chiave. Manovrai con il mazzetto pieno di
piccoli peluche, stretto nel palmo della mano destra, mentre lasciai
scivolare le iridi sui contorni della porta.
Con
la sinistra, quasi in un gesto involontario, toccai qualcosa di
cartaceo all'interno della tasca della giacca beige.
Altri
secondi di riflessione, prima di tornare con i piedi per terra,
in una realtà in cui ero in ritardo - come al solito
daltronde - perfino per la svolta della mia carriera giornalistica.
Afferrai il manico dell'enorme valigia fucsia, mi imposi tutta la forza
di volontà che ero capace di infondermi e salii sul taxi,
precedentemente chiamato. Ne sbattei lo sportello con decisione, nel
mentre avevo stampato in faccia, un enorme sorriso.
-
areoporto di Heathrow, grazie - suonava talmente bene che mi
ricredetti sulle iniziali titubanze.
L'autista,
un uomo che probabilmente aveva almeno dieci o quindici anni
più di me, si girò.
-
certo signorina - annui, tornando poi a rivolgere la totale
attenzione sulla strada. Pochi minuti dopo accese la radio, chiedendomi
cortese se la cosa potesse creare fastidio o meno. Ma figuriamoci,
stava parlando con una ragazza che alle cinque del mattino, era capace
di svegliare tutta la via a suon di musica ad alto volume.
-
viaggio di piacere? - intonò lui, lo sguardo sempre
puntato sulla via che scorreva a macchia d'olio. Nemmeno l'ombra di un
possibile traffico. Sorrisi e notai che buttò uno sguardo
dallo specchietto retrovisore. Si
poteva definire di piacere?
-
diciamo pure così, sono stata raccomandata in una redazione
estera - favellai soddisfatta, sistemandomi per bene la sciarpa candida
intorno al collo, finendo per continuare a chiacchierare con lui, fino
a quando non mi ritrovai davanti all'imponente aereoporto. Faceva
davvero un certo effetto. Inoltre, avevo impedito ai parenti e agli
amici di venirmi a salutare, ma da loro potevo anche aspettarmi un
bello striscione a sorpresa con scitto " torna presto ", altro motivo
per cui preferii non guardarmi in giro e correre all'interno del
complesso.
-
undici meno dieci, accidenti - borbottai, trascinando la valigia fino
al check-in e tutto il resto.
Il
volo era previsto per le undici precise ed in extremis, riuscii a
varcare il tubo diretto verso l'aereo. Avevo allungato alla hostess di
volo - in un gesto noncurante e distratto - il biglietto che tenevo
nella tasca della giacca. Fu un peso in meno, sentirne l'assenza della
metà, ed in totale impiegammo solo qualche ora di viaggio,
che passai rigorosamente sprofondata tra le pagine di uno dei tanti
libri che mi ero trascinata da Londra. Una volta uscita dall'aereoporto
americano, inspirai l'aria pungente, volgendo lo sguardo attorno a me.
-
si ricomincia - bisbigliai, divorando con l'attenzione i palazzi
enormi e luccicanti. Afferrai il pezzo di bigliettino rimasto, ponendo
davanti al mio sguardo.
-
S. Francisco - recitai senza rendermene immediatamente conto.
America.
Ah, trovarsi in America. Un sogno, ma non era quello il punto.
Un dubbio mi percorse i canali neurologici.
Senza
pensarci due volte, afferrai il cellulare e composi - litigando
con i tasti del touch screen - il numero di Josephine, che ci mise
cinque buoni minuti per rispondermi, ed in quell'arco di tempo,
compresi di avere un vasto vocabolario di imprecazioni.
-
Josy! - esclamai nel panico totale.
La
voce metallica invece si limitò a sospirare - si, stai
calma, allora.. - piccola pausa per poi ricominciare - in ufficio ti
hanno dato il biglietto sbagliato, io ho quello per Los Angeles. Il
capo ha appena avvisato l'editoria - beata lei che suonava cosi calma,
mentre dal canto mio, riuscii a dischiudere le labbra e a non
pronunciare nemmeno una delle tante belle paroline delicate che avevo
appena scoperto. Peccato.
-
Facciamo a cambio okkay? - trillò la mia collega
dall'altra parte dell'apparecchio - A loro non fa differenza - a
quest'ultima affermazione, mi fece venire una voglia tremenda di
pestare i piedi contro il pavimento asfaltato, ma limitai il tutto, ad
un'alzata di iridi al cielo, con tanto di mano su di un fianco - A me
fa differenza! - e ovvio, gridai - e io cosa dovrei fare ora?! -
Attimo
di silenzio. Conoscendola, probabilmente stava cercando di
trattenere le risate.
-
Ad esempio te ne puoi andare nella casa che avevo già
affittato, la via la sai. Le abbiamo scelte insieme no? - ah
si, la faceva facile.
-
in cambio, prenderò quella che hai affittato tu -
continuò imperterrita, portandomi leggermente a detestarla
per la prima volta, specialmente perchè mi ritrovai
costretta alla resa. Magari dopo una cena e una bella dormita, la
mattina dopo sarei anche riuscita a dirgliene quattro.
-
le chiavi? - sospirai rassegnata, ricevendo altre istruzioni per la
sopravvivenza a S. francisco, contornate da risate represse.
•••
Dopo
aver attaccato bruscamente, chiamai un altro taxi e rimpiansi
l'allegria del vecchio Robert. Quest'altro, più giovane e
dal viso asciutto ed inespressivo, sembrava stesse per crollare da un
momento all'altro sul volante. Insomma, non erano nemmeno le
mezzanotte! Non mi sarei di certo meravigliata all'improvvisa vista di
una bella bottiglia di Heineken, tant'è che fui perfino sul
punto di chiedergli di fare a cambio, sarei stata disposta a guidare io
per lui.
Sbuffai
perciò sonoramente per tutto il tragitto, non
riuscendo a godermi nemmeno la traversa sul Golden Gate, troppo
preoccupata di finire dentro al fiume per colpa di un incoscente .. e
credetemi, fu davvero un lungo sospiro di sollievo, quello che usci
dalle mie labbra al poter rimettere i piedi sull'asfalto umido, proprio
quello che fronteggiava la casetta azzurra di Josy.
Il
quartiere di Nob Hill, uno dei più importanti di San
francisco. Una composizione di casette a due piani, in vecchio stile
vittoriano: scaline che portano alla veranda, incroci tra due colori
pastello per delineare i lati ed ipotizzai l'esistenza di un piccolo e
curato giardino nel retro.
Gli
americani fanno tutto con stile, anche le più piccole
sciocchezze.
Los
angeles però, rimane sempre Los Angeles e S. Francisco
non può certo tenere il confronto.
Avanzai,
rischiando di capitolare a causa del tentativo di scavalcare i
gradini con la valigia.
Cercai
le nuove chiavi alla rinfusa, pasticciando le mani nel terreno
del vaso in cui la proprietaria l'aveva nascoste. Provai un poco di
ribrezzo e sollevai gli oggettini all'altezza del mio sguardo,
tenendoli tra l'indice ed il pollice.
-
Ti ci credo che poi i ladri non vengono a rubare - commentai,
borbottando sonoramente.
Girai
nella toppa, sentendo già la mancanza di quel cigolio
di cui era solita la porta blu di Lincoln's Inn Field. Nel momento in
cui entrai di un passo, con tanto di valigia, fui investita da un dolce
profumo di miele e fiori. Una
casa profumatamente opprimente, fantastico.
La
mattina dopo avrei dovuto avvisare anche i proprietari, ma tanto
sapevo già che avrei risolto la situazione. Dovevo solo
riposarmi, tutto qua, poi sarei stata di nuovo in viaggio verso la
giusta meta.
Con
il palmo della mano destra dunque, cercai a tentoni la sagoma
dell'interrutore, ma nulla, proprio come il buio che avvolgeva
esternamente la casa.
-
faceva schifo un'interruttore vicino alla porta, vero? - ormai mi ero
lasciata andare ai monologhi.
-
prima il viaggio sbagliato, un'autista sull'orlo di un collasso di
sonno e ora mi tocca pure giocare a trova
il pulsante -
feci qualche altro passo, un braccio allungato in avanti e l'altra
mano, stretta sul manico della valigia, ed è inutile dire
che presi in pieno col ginocchio un qualche spigolo. Mi ritrovai
piegata con il busto, a massaggiarmi la parte dolorante e a digrignare
i denti, affinchè tutto il mio Karma si concentrasse
unicamente su cose positive, su quanto fossero belli i fiorellini nei
prati, il cinguettio degli uccelli, il gorgoglio di un ruscello
stracolmo di pesciolini colorati... o idiozie varie.
Beh,
non
funzionarono.
Strinsi
le mani in pugni e battei vigorosamenti i piedi a terra.
Capricci? si, si possono definire cosi.
Un
gemito mi sgorgò dalla gola. Lasciai la valigia e
prosegui decisa nel bel mezzo di una qualche stanza, continuando ad
andare a sbattere, far cadere qualcosa e a ricominciare una sottospecie
di mantra in cui comincio con il serrare le labbra, mugugnare e infine
tirare imprecazioni a destra e a manca. Mi bloccai all'improvviso
però, proprio mentre ero in procinto di tirare altre dolci
paroline ai quattro venti; questa volta, non ero stata io a causare la
caduta di qualche oggetto.
Rimasi
ferma, osservando nel buio una qualunque figura potesse uscire
fuori ed aggredirmi. Trattenni il respiro, talmente tanto da farmi
girare la testa, già troppo appesantita da altri pensieri.
Portai
la mano destra sul mobile che avevo appena colpito e lo
riconobbi come un tavolo e allla cieca, mi spostai seguento i profili
delle sedie e andando ad afferrare un possibile candelabro a
più punte, nel centro del ripiano, pronta a difendermi.
Indietreggiai
di due passi, finendo a sbattere la schiena contro
qualcosa.
Sussultai
dal dolore e subito, accortami del gesto, andai a tapparmi la
bocca e a cercare di mimetizzar tutta me stessa, col buio della notte,
ma aimè, non riuscivo a scorgere nulla, se non lo spiraglio
di luce lasciata dalla porta d'ingresso dischiusa.
-
Chi è? - una voce maschile, suono esattamente in quel
punto.
Indecisa
se rispondere o no, lo lasciai rivolgere la stessa domanda
altre due o tre volte.
-
Chi sei tu! - intonai, afferrando il manico con entrambi le mani,
scostandomi subito dalla zona in cui poteva aver sentito provenire la
mia voce.
Questa
è tutta tattica. Confondere
il nemico.
-
No, chi sei tu? - più che minaccioso, suonava perplesso..
o forse era una mia impressione.
-
..ma cosa vuoi? - ignorai beatamente le sue domande, avvicinandomi un
poco senza farmi vedere, ma continuando quella sorta di interrogatorio
senza risposte.
-
cosa ci fai qui? - e risi amara al suo dire - me lo chiedo anche io,
ma dato che per forza maggiore ci devo stare.. - Posai la sinistra sul
muro e con la capoccia, feci capolino verso l'ingresso.
Toccai
qualcosa, tanto simile ad un interruttore e fu davvero un
miracolo se non gridai soddisfatta di averlo trovato. Intanto ? Beh,
rimanemmo ancora non so quanto tempo in silenzio. Potevo sentirlo
avanzare e nel momento esatto in cui lo percepii vicino, a pochi passi
dal muro su cui ero appoggiata, premetti l'interruttore e scattai
minacciosamente, con il candelabro in avanti.
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