La Ricetta Della Felicità

di Many8
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo- Paure ***
Capitolo 2: *** La notte in cui tutto ebbe inizio. ***
Capitolo 3: *** Occhi come fari. ***
Capitolo 4: *** Infezione. ***
Capitolo 5: *** Fardello. ***
Capitolo 6: *** Il mio sogno più grande. ***
Capitolo 7: *** Farfalle. ***
Capitolo 8: *** Sorpresa. ***
Capitolo 9: *** Iris. ***
Capitolo 10: *** La mia donna ideale era lei. ***
Capitolo 11: *** E' solo questione di fiducia. ***
Capitolo 12: *** Non era un sogno, per fortuna. ***
Capitolo 13: *** Ci sarei sempre stato, per lei. ***
Capitolo 14: *** Sei un piccolo uragano. ***
Capitolo 15: *** C'era un filo che ci univa. Sempre. ***
Capitolo 16: *** Il mio tutto. ***
Capitolo 17: *** Una scelta. ***
Capitolo 18: *** Un nuovo inizio. ***
Capitolo 19: *** L'infinito, davanti a te. ***
Capitolo 20: *** Alice Brandon, un'amica. ***
Capitolo 21: *** L'hai sempre detto tu. ***
Capitolo 22: *** E adesso, sei felice di sentirmi? ***
Capitolo 23: *** Edward mi aveva salvata. ***
Capitolo 24: *** Sono in ritardo. ***
Capitolo 25: *** Erano solo fantasie di un bambino. ***
Capitolo 26: *** Solo per lui. ***
Capitolo 27: *** Grazie a lei. ***
Capitolo 28: *** Epilogo- Il Molo. ***
Capitolo 29: *** 1° Extra- Tanya. ***



Capitolo 1
*** Prologo- Paure ***


La Ricetta Della Felicità
 
Benvenuti per chi non mi conosce, e bentornati per coloro che hanno già letto qualcosa di mio.
In questa storia avremo un Edward umano, e una Bella più strana e solitaria del solito. Edward e Bella si conosceranno in circostanze un pò ambigue... ma per saperlo dovete continuare a leggere... =P
E' un'altra storia un pò malinconica, come quelle precedenti del resto... scusate ma io la vita non riesco a vederla Solo rose e fiori... esistono i lati negativi e ne sono molti
Il primo vero capitolo lo posterò domani o martedì, quindi un pò di pazienza ...
un bacio ...
                                                  la ricetta!
ps: il posto della foto esiste davvero *-*
vi lascio alla lettura...


Per la felicità ingredienti:
Un pontile;
-Due sedie;
-Un tavolino;
-Il mare;
- Voi;
-E la persona che si ama...
 
Tutti abbiamo paura di qualcosa, tutti, nessuno escluso.
Tutti mentono quando dicono " io non ho paura di nulla " , è solo una stupida menzagna.
Tutti, o quasi hanno paura del buoio o del futuro, questo perchè hanno paura dell'ignoto.
Molti hanno paura di perdere le persone più care a loro.
Molti hanno paura di fattori naturali, terremoti, eruzioni e tzunami...
Molte persone hanno paura di subire traumi, altre di insetti o invertrebati.
Molti hanno il timore nella vita di fallire, anche questa è una forma di paura.
Molti hanno paura della paura...
Molti non conoscono le proprie paure...
Molti giocano con le paure degli altri, facendole ampliare.
Molti hanno paura di incombere nelle proprie paure...
 
Bella aveva paura del suo passato, aveva timore di incombere in esso, nuovamente. Era riuscita a crearsi un presente diverso, diverso da quello che si sarebbe aspettata dopo ciò che le era accaduto. Aveva creato un mondo tutto suo, nel suo mutismo, Bella era muta apparentemente, ma dentro di sè era in corso una guerra...
 
 
Piccolo sondaggio: Qual è la vostra paura più grande??
un'altra domanda, preferite i pov Bella, pov Edward o entrambi? 
 
 
* Va a cercare la sua dignità *

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Capitolo 2
*** La notte in cui tutto ebbe inizio. ***


Eccomi come promesso ad aggiornare!
Le due domande che avevo fatto erano due, le paure e i pov.

Per le paure devo dire che io non so quali siano davvero le mie, faccio parte del gruppo " Molti non conoscono le proprie paure..." , quelle che riconosco sono: le calamità naturali, ho timore di perdere le persone a me care e di incombere nelle paure, ma credo che per la maggior parte delle volte io abbia paura di avere paura... un pò stupida, ma ahimè sono io!

Per i POV: credo che la maggior parte siano esclusivamente Bella, ma forse ci sarà qualcuno Edward... poco probabile, perchè a me non piace tanto fare questo salto, lo leggo con piacere ma se devo scriverlo io no... preferisco raccontare da un solo punto di vista e credo che l'abilità di uno scrittore stia in questo, far capire i punti di vista di tutti da uno solo...

ok, basta con gli sprloqui, vi lascio al capitolo, e scusate l'ho fatto con un mal di testa da pazzi...


Dobbiamo abituarci all'idea che ai più importanti bivi della vita non c'è segnaletica
Ernest   Hemingway
 
 
 
 
Un'altra giornata vuota, un'altra giornata piena di ricordi e sofferenze, mi chiedevo se lo strazio sarebbe mai finito... 
No, la risposta era questa.
Mi chiamavo Isabella, Bella per gli "amici", quei pochi amici, ero un'insignificante umana, ventitrenne, dagli occhi color cioccolato, come i capelli, lunghi con ampi boccoli, e infine un fardello sul dorso di cui nessuno conosceva l'entità, tranne ovviamente la sottoscritta.
La mia vita era cambiata, in modo drastico, da quando mi lasciai con il mio fidanzato Jacob...
Mi ritrovai in ospedale con due costole incrinate e un il radio rotto del braccio sinistro. Da quel momento decisi di chiudermi in me stessa, non era per le ossa rotte ma per ciò che era successo prima, prima che mi lasciassi con Jacob. Il mutismo mi aiutava molto, le persone non mi rivolegevano più la parola, sapendo che non ci sarebbe stata una risposta. 
Ma il lato negativo era che i miei genitori, preoccupandosi, prima mi avevano portata da uno psicologo, ma non vedendo effettivi miglioramenti mi avevano rinchiusa in questo posto; un istituto di salute mentale, o per meglio dire un manicomio.
Per loro era stato tutto più semplice scaricarmi qui, ma per me no. Continue sedute con psicologi, medicinali come calmanti , anche se i tranquillizzanti non mi servono a nulla, ero già calma di mio, sapevo che fin a quel punto nessuno mai aveva capito ciò di cui veramente avevo bisogno, neanche mia madre, colei che conoscevo di più, quella donna che mi aveva messa al mondo e mi conosceva come le sue tasche, secondo Renee (il nome di mia madre), ero impazzita... In un  certo senso lo stavo diventando... stavo impazzendo per il dolore e il senso di colpa che mi opprimeva...
Ero nella mia stanza in quella notte nella quale tutto ebbe inizio, ci fu un risvolto.
Erano le due di notte quando mi svegliai ansante, l'ennesimo incubo aveva interrotto i miei sogni. Tutti erano correlati a ciò che successe pochi mesi prima, anche le fitte al basso addome sono iniziate da quell'episodio...
Mi giravo nel letto guardandomi intorno, la stanza era piccola, conteneva una scrivania con un televisore poggiato su, una poltroncina e una minuscola libreria possedente miseri libri, e poi c'era il mio letto che occupava un terzo della stanza, un comodino adiacente ad esso, un armadio che conteneva i miei vestiti ed infine una porta che portava al bagno, si poteva dire che il bagno fosse più largo della stanza.
Mi giravo e rigiravo nel letto cercando di riaddormentarmi, vanamente. Quando capì che tutti i miei sforzi erano nulli, mi alzai dal letto accostandomi alla finestra. Il cielo era ricoperto di nuvole, la luna era nascosta, faceva capolino ogni tanto, quando lo spesso strato di nuvole glielo permetteva; trovai delle analogie tra noi, anche io ero in un certo senso così. 
Venivo notata solo quando nessuno mi oscurava, e c'era sempre qualcuno che mi nascondeva nella sua ombra.
Osservai il giardino, antistante la clinica, era immenso, passavo intere giornate tra l'erba e i fiori, magari quando c'era il sole era anche più piacevole, il mio posto era lì, sotto un pino tra cespugli e fiori. Il loro odore mi riempiva i polmoni quando ci sedevo, inebriava i miei sensi donandomi tranquillità e in quei momenti riuscivo a dimenticare tutto; il resto del mondo.
Continuavo a guardare fuori attraverso il vetro e il ferro, le finestre erano provviste di cancellate, noi "pazzi " eravamo molto popolari per aver messo fine alla nostra vita così, lanciandoci nel vuoto, quelle persone non erano pazze, ma bisognose di affetto e amore, quello che manca in questi posti, così freddi e solitari. Tra noi ci facevamo compagnia, ma la maggior parte delle volte ognuno pensava a sé, era una regola di vita, anche tra i comuni e "normali" mortali.
Presi il mio quaderno e iniziai a fare degli schizzi del territorio, ero molto brava col disegno, riuscivo a comunicare attraverso esso, riuscivo a riprodurre nei minimi particolari tutto ciò che mi circondava, ero in clinica da circa tre settimane, ed erano passati quasi due mesi da quando avevo rotto con Jacob, da quel momento i colori dei miei disegni erano diventati sempre più scuri, avevo notato come l'intensità dei colori fosse cambiata dal prima e il dopo, forse i disegni erano soltanto un modo di comunicare incosciamente ciò che provavo. 
Da circa due mesi non parlavo più, comunicavo con medici, psicologi, infermiere e famigliari attraverso la scrittura, loro mi facevano delle domande ed io rispondevo semplicemente; ma non prendevo mai io l'iniziativa, mai.
Iniziai a ritrarre il giardino, con tutte le sue caratteristiche, poi iniziai a disegnare il pino e i cespugli dove spesso mi " nascondevo"; nel complesso era molto vivido e naturale. Un ottimo lavoro. In quel momento servivano dei pastelli, li avevo deposti con cura sulla libreria, all'ultimo ripiano, non volevo che le infermiere facessero caso a loro, e anche al mio quaderno, al maggior parte delle volte lo posavo lì, custodito dall'altezza.
Presi la poltroncina,  e con più delicatezza possibile la spostai silenziosamente accanto alla libreria, ci salii su, e mi allungai per prendere il portacolori, il mio metro e sessanta non  mi aiutava di fatto.
Poi... poi non so che movimento feci, seppi solamente che una dolorossisima fitta all'addome e persi l'equilibrio, cadendo all'indietro. Cercai di sostenermi alla libreria, ma il mio peso la trascinò con me.
Tra il volo e l'impatto  sembravano essere passate ore e non secondi, trattenni il respiro, chiusi gli occhi portando le braccia al petto e l'impatto con il suolo arrivò forte e doloroso. Lo scontro con il suolo creò un forte boato, la mia povera testa sbattè contro il freddo pavimento, sentì il sangue copioso e caldo scorrermi tra i capelli ad una velocità allarmante, non riuscivo a respirare per il dolore che stavo provando un pò ovunque sul mio corpo,  la schiena mi doleva,  ma la sofferenza che pativo di più era alla testa. La libreria mi cadde addosso rovescindo i libri su di me, sentì un dolore acuto alla gamba destra.
La porta si aprì, trovò le mie gambe e con un nuovo tonfo secco mi colpì, aggiungendo altro dolore, come se non bastasse quello che già sopportavo.
Gemetti.
"Signorina Isabella " mi chiamò l'infermiera, una donna dai lunghi capelli scuri, abbastanza alta, sulla cinquantina: il suo nome era Zafrina.
Aiutatemi  dissi silenziosamente.
" state perdendo sangue " disse, oh guarda non me ne ero accorta!...
"Aspettate, vado a chiamare qualcuno " parlò e sparì nuovamente.
Sentì dei passi allontanarsi, delle voci e nuovamente  dei passi che questa volta però, si avvicinavano velocemente.
" Signorina Swan " disse il medico entrando; anche lui era alto e capelli scuri, fisico scolpito, sul suo cartellino si leggeva il nome Sam.
" chiami un'ambulanza "continuò rivolgendosi all'infermiera.
" vado subito " rispose prontamente e sparì.
Intanto io respiravo a fatica, avvertendo fitte in tutte le parti del corpo.
" Non si preoccupi, va tutto bene, la ferita alla testa è abbastanza superficiale " spiegò. A queste sue parole, seguirono dei movimenti, alzò il mio capo da terra mise un cuscino sotto l'incavo posteriore del collo e tamponò la ferita. 
Arrivò nuovamente Sue. " L'ambulanza sta arrivando " annunciò.
In quel momento avrei voluto urlare...
" Tenga questo e faccia pressione " spiegò all'infermiera. Ci fu un movimento repentino e il medico ora era davanti a me cercando di estrarmi dalla morsa che aveva creato la libreria.
L'alzò di peso facendo dei versi strani, riuscì a respirare meglio senza quel supplemento di peso.
Si iniziò a sentire una sirena in lontananza. Era stata davvero veloce.
Sam ritornò di nuovo dietro di me, riprendendo il fazzoletto e continuando la sua pressione, che era maggiore di quella di Zafrina.
Iniziai a sentire dei fischi alle orecchie, i miei occhi si chiudevano automaticamente.
" Signorina, non chiuda gli occhi, ora! " Li riaprii cercando di farli rimanere tali.
Dopo pochi minuti arrivarono dei paramedici, con una barella, mi fecero delle domande, ma non ricevendo risposte lo chiesero al medico vicino, che rispose " Non parla" dovevano aspettarselo, eravamo in una clinica di "malati", se non avessi avuto dei problemi , lì non ci sarei mai entrata.
Mi portarono nel grosso abitacolo posteriore dell'ambulanza e partimmo con le sirene spiegate,  con noi venne anche Sam, il medico.
Mi controllarono la pressione, che era a loro avviso un pò bassa e chiamarono l'ospedale annunciando il nostro arrivo.
Il viaggio fu un trambusto totale, venivo sballottata sulla barella come su una nave in piena tempesta. 
Finalmente arrivammo alla nostra meta.
Appena entrammo nel reparto " Pronto Soccorso" , ci accolse un'infermiera. Bassa, capelli corvini e occhi scuri, pelle bianchissima, non riuscì a focalizzare il nome che era segnalato sul camice blu.
mi portarono in una stanza, con un lettino, una scrivania e qualche sedia.
Mi adagiarono dalla barella sul lettino e l'infermiera dai capelli corvini rimase con me, sempre con la benda attorno al capo.
" Ciao, io sono Alice... " e mi sorrise. Sorrisi anche io di ricambio ma senza convinzione.
" tu, invece come ti chiami? " sembrava una bambina in procinto di fare nuove amicizie. Ovviamente non risposi, la schiena e la gamba destra iniziarono a dolore di più.
" Non parli, eh? "  concluse. Il mio volto era impassibile. Anche se quell'infermiera mi proferiva simpatia e dolcezza, insieme a tanta voglia di vivere. Sentimmo bussare alla porta ed entrò un dottore, lo capì dal camice bianco con delle righine blu. Era alto e grosso, con capelli e occhi castani, i capelli ricci e tante fossette che rigavano il suo viso contratto in un sorriso. Dall'apparenza doveva essere simpatico.
" Chi abbiamo qui? " chiese.
" Buonasera dottor McCarty " salutò Alice.
" Buonasera anche a lei " continuò, il dottore. " Che caso abbiamo? " chiese il medico.
" Escoriazione alla nuca, nulla di grave, ma lei non parla e non sappiamo gli effettivi danni che ha riportato, non ha spiegato nulla. " spiegò. Feci una smorfia.
" E' successo alla clinica di salute mentale " aggiunse l'infermiera. Fin a quel momento mi era parsa abbastanza simpatica, dopo quello che aveva aggiunto non più.
" Ciao, io sono Emmett, ti ricucirò la ferita " disse sorridendo, sempre calmo e allegro. Indossò dei guanti sterili bianchi e prese un carrello con l'occorrente. Prese ago e filo e mi disse di girarmi di lato, su non fianco.
Gemetti quando sentì il dolore provenire dalla schiena.
" dobbiamo fare delle lastre. " mise in conto il medico.
Sentì una parte di capelli bagnata.
" Sto disinfettando " avvisò il dottor McCarty, o meglio Emmett. Mi spiegava passo passo tutto ciò che compiva. 
Dopo circa dieci minuti la tortura era finita, ricucire una ferita non era piacevole!
" Abbiamo finito " annunciò. " Adesso farai una lastra al cranio, una alla schiena e una agli arti inferiori, in poche parole per controllare lo scheletro in generale. " Annuì.
Poi si rivolse ad Alice.
" La porti in ortopedia, lì hanno sempre tempo libero... - e sghignazzò, io non ci trovavo nulla da ridere- e le faccia fare una tac completa, dovrebbe esserci il dottor Whitlock. " terminò.
" Andiamo" mi sussurrò all'orecchio Alice, era raggiante, gli occhi le si erano illuminati. Con l'aiuto del medico mi adagiarono su una sedia a rotelle, cercai di non gemere per il dolore, quasi correndo e sgambettando Alice mi portò verso l'ascensore e salimmo al secondo piano, l'ascensore era spaziosa e completamente ricoperta di metallo, tranne che per cinquanta centimetri di parete che erano ricoperti da uno specchio. Le porta dell'ascensore si aprirono dandoci vista ad un reparto completamente addormentato. 
Ci venne incontro un medico alto, con capelli biondo miele e occhi chiari, smilzo, e abbastanza carino. Alice arrossì quando lo vide, sorrisi compiaciuta tra me.
" Buonasera, per non dire buongiorno " disse salutandoci. Abbozzai un sorriso.
" Buonasera Dottore, dobbiamo fare una tac! " disse allegra il piccolo folletto indietro a me. Si, folletto era appropriato al suo modo di essere e di fare.
" Andiamo " e ci scortò fino alla stanza per le tac.
Mi fece entrare e velocemente furono fatte queste queste lastre, nel giro di trenta minuti tutto era finito.
" Saranno pronte per le sei, lei va in medicina generale. Con il dottor Cullen " annunciò, e infine il mio sballottamento finì. Mi ritrovai in una stanza singola, formata da letto, un piccolo armadietto, un comodino e una scrivania, spoglia era l'aggettivo adatto.
 " Ti aiuto a svestirti? " mi chiese Alice. Annuì.
Mi aiutò ad indossare un pigiama dell'ospedale, e mi aiutò a salire sul letto.
" Buonanotte " disse spegnendo la luce, rimasi con la fioca illuminazione di una lampadina sul comodino adiacente al letto.
Cercai di dormire, sperando in un indomani migliore...
Un altro incubo infastidiva i miei sogni e fui svegliata, nella stanza non ero sola. 
Un medico, più o meno un metro e novanta, un fisico slanciato e muscoloso ma non massiccio, capelli ramati, attraente e occhi verdi, un verde acceso come fari...

Cosa ne pensate, fatemelo sapere...!

Risposte alle recensioni:

Aniasolary: Grazie mille per i complimenti, un bacio e spero che questo capitolo ti piaccia!
vittoriaKF: grazie mille, gentilissima... un bacio !<3
Sene: grazie mille anche a te... spero di sapere cosa pensi di questo capitolo!



Domanda per voi: Vi piace disegnare?
e se si siete bravi/e??

PS metterò il teaser del capitolo ( il prossimo) sul mio blog, passateci! <3



 

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Capitolo 3
*** Occhi come fari. ***


Un nuovo capitolo per voi!
Vorrei spiegarvi un paio di cose... 

 L'istituto mentale di cui parlo io non è come forse lo immaginate voi, io penso ad un posto dove persone, (con qualche problema, traumi ... ) possono avere supporti, e quindi fatto a posta per la nostra Bella, non è un lagher, dove vengono sottoposti a torture come elettroshok!

 A me non piace molto disegnare, alle scuole medie, lo facevo,  perchè obbligata e non di più... ogni tanto ora scarabocchio qualcosa, ma non sono brava anzi... pessima!

Troveremo la famiglia Cullen, in questa storia disintegrata, sono tutti umani e ognuno ha una vita da sè che poi verrà intrecciata con il proprio patner... in seguito!
 
Io metterò sempre i teaser dei capitoli nel mio blog, quindi se volete sapere di più passateci! un bacio 
Buona Lettura


Mi ero addormentata con qualche difficoltà, le ore precendenti non erano state affatto tranquille, anzi sembrava he un piccolo uragano avesse incontrato la mia strada, l'avesse scombinata e poi con fare di supplica avesse detto " scusa"  e fosse andato via, devastando quel poco che avevo rimesso in piedi, vanamente.
Quella notte sognai, un altro dei miei stupidi e frequenti incubi, ero in discoteca, proprio come quella notte, ballavo , mi divertivo con Jacob, il mio fidanzato, ma ancora per poco.
Ballavamo su canzoni hause, quelle che solitamente non hanno nè un senso, nè una musicalità definita.
Ci scatenavamo, i miei capelli saltano letteralmente dalle spalle, io saltavo, io mi divertivo, io mi illudevo che tutto fosse normale, semplice.
La musica diventò sempre più lenta, abbracciai Jacob, mi teneva la vita, e ondeggiavamo su note classiche e lente, inspirai il suo profumo, e sapeva come sempre di...
Improvviasamente mi allontanò da sè, portandomi fuori dalla pista...
A quel punto i miei occhi si barrarono, spevantata e ansante mi guardai in giro, stavo rivivendo quella serata, quella serata che stavo cercando di dimenticare con tutta me stessa. Dimenticare è difficile se quasi impossibile.
Mi guardai in giro disorientata, avevo dimenticato che non ero più in clinica, ma in ospedale, i miei occhi si soffermarono su qualcosa, no, su qualcuno. In stanza non ero sola.
Un medico, più o meno un metro e novanta, con un fisico slanciato e muscoloso ma non massiccio, capelli ramati, attraente e occhi verdi, un verde molto acceso, occhi come fari...
Si intratteneva leggendo su dei fogli, vicino alla porta, lo gurdai stranita e mi chiesi tra me cosa ci facesse qui. 
Semplice, doveva curarmi. 
L'osservai per qualche minuto, indossava una camicia, con una cravatta sotto il camice da dottore, il solito bianco con le righine blu, era sbottonato, e si vedevano i pantaloni neri classici, con delle scarpe simili a mocassini neri, e sul taschino attaccato con una pinza il suo cartellino, era troppo lontano per focalizzare il nome, e dentro invece c'erano delle penne, leggeva su dei fogli riposti in una cartellina di metallo, non si accorse che fossi sveglia, passarono almeno cinque minuti prima che i suoi occhi si soffermassero su di me. Chiuse la cartellina.
" L'ho svegliata?" chiese, con la sua voce melodiosa, le mie orecchie a quel suono si bearono.
Scossi la testa in segno di no. Io non parlavo, d'altronde.
" Io sono il dottor Edward Cullen, e mi prenderò cura di te " annunciò soddisfatto.
Lo guardai impassibile. 
" Vediamo un pò - aprì di nuovo i referiti, o qualunque cosa ci fosse lì dentro,e si sedette accanto al mio letto, su una sedia- ti chiami Isabella, ventitrè anni, alta un metro e sessantadue... " 
Strano... veramente molto strano, pensai fra me. Sapevo come mi chiamavo e anche quanto fossi alta.
" Sei tu giusto?" domandò, vedendo la mia espressione interrogativa.
Annuì. Aggiungendo un debole sorriso.
" Qui c'è scritto che non parli... mhm- disse accarezzando una finta barba che non c'era- come facciamo a comunicare?" concluse.
Mimai una quaderno e un atto di scrittura... 
" Ecco questo è il foglio... " e lo estrasse dalla cartellina. " e  questa è la penna" aggiunse, prendendola dal taschino del suo camice, mi passò l'occorrente.
Mi alzai sui gomiti, e mi sedetti, sicuramente feci qualche smorfia poichè il medico se ne accorse.
" Dolorante? "
Annuì.
" Passerà" parlò.
Speriamo,  pensai.
" Dove ti fa male, maggiormente? " domandò con fare medico.
Iniziai a scrivere: Provo dolore alla schiena e alla gamba destra maggiormente, poi un pò dappertutto. La mia grafia era tremolante. La porta si aprì ed entrò il dottore, lo stesso che mi aveva soccorso in clinica, Sam, si lui, lo avevo letto il giornoprima sul suo cartellino.
" Buongiorno " salutò.
" Buongiorno " ricambiò il dottor Cullen, si alzò dalla sua postazione, e andò incontro al suo collega, si strinsero la mano, e si avvicinarono nuovamente a me.
" Allora Bella, ci vuoi spiegare ciò che è successo stanotte??" chiese Cullen.
" Io ti ho trovata grazie all'infermiera, avevi una libreria capovolta addosso e perdevi sangue alla testa. Solo grazie all'infermiera sei stata soccorsa, cosa ti è saltato in mente per alzarti di notte? Cosa stavi facendo si così importante da creare tutto ciò? " Mi aggredì letteralmente, il mio rammarico aumentò, mi si creò un nodo alla gola, volevo piangere, non volevo creare questa situazione, non era nelle mie aspirazioni.
" Non l'aggredisca così! " inveì l'altro dottore, Cullen.
" E' solo una stupida pazza, non capirà mai! " quasi urlò Sam. Ero una pazza si, aveva ragione, e non avrei mai capito, come loro non avrebbero mai capito noi stupidi pazzi.
La gratitudine che avevo provati giusto sessanta secondi prima verso quell'uomo si dissolse, come un uomo in un nuovola di fumo bianco ad uno spettacolo di un mago.
Abbassai gli occhi, e fissai le mie mani.
" Isabella, ti va di parlare solo con me?" mi chiese il dottor Cullen.
Annuì, senza distogliere il mio sguardo dalle mie mani in grembo.
" Può uscire, per favore, vorrei rimanere da solo con la mia paziente " disse deciso.
" Vado, vado " rispose scorbutico. E lasciò la stanza. Sospirai e alzai gli occhi ad altezza del medico che ora si era riseduto sulla sedia adiacente al letto.
" Vuoi che ti chiami Bella o Isabella? " 
Sul foglio scrissi Bella, vide cosa scrissi e non servì passargli il foglio.
" Vuoi spiegarmi o scrivermi ciò che è successo veramente? " domanda con dolcezza e calma, completamente diverso da quella specie di scimpanzè che mi ero ritrovata sul mio cammino.
Mi servivano degli oggetti che avevo lasciato all'ultimo ripiano della libreria - non specificai l'entità degli " oggetti", non serviva a nulla, era soltanto un ulteriore e insificante dettaglio.- ho preso la poltrocina bianca, per salirci su , e ci sono salita, non riuscivo a raggiungere l'ultimo ripiano, mi sono alzata in punta di piedi , poi ho perso l'equilibrio - non aggiunsi delle fitte all'addome- mi sono trattenuta alla libreria, ma anche quella ha ceduto e l'ho portata con me, sono caduta all'indietro e ho sbattuto la testa, infine anche la libreria mi è caduta addosso.
Gli passai il foglio, lesse attentamente e poi me lo ridiede.
" Capisco " sospirò. " Quindi dobbiamo solo aspettare che in risultati della tac siano pronti " concluse.
" sarebbero dovuti essere pronti circa due ore fa, ma hanno avuto delle precedenze, Bella. Saranno pronte fra non molto " 
Sorrisi timidamente.
" Io devo andare, ci vediamo più tardi... Bella. " 
A dopo. Scrissi sul mio foglietto.
Si alzò dalla sedia, e sorridendomi uscì dalla stanza. 
Rimasi così, come una stupida a guardare la porta, quando mi accorsi di essermi incantata su uno oggetto privo di anima, guardai il foglio che avevo tra le mani. L'osservai, osservai la mia calligrafia imperfetta, e ripensai alla conversazione con quell'uomo. Era la prima volta da due mesi che parlavo così tanto con qualcuno che avevo appena conosciuto.
Riposi con cura il foglio nel comodino accanto al letto, lo misi lì insieme alla penna. Avevo dimenticato di restituirgliela, quello era una piccola promessa, un piccolo presupposto per rivederlo.
Mi stesi nel letto, il dolore alla gamba destra e alla schiena si era amplificato appena mi muovevo e quando invece stavo ferma sentivo pulsare.
Sentì di nuovo la porta bussare e face capolino Alice, l'infermiera dai capelli corvini.
" Come sta il pesciolino? " mi chiese sorridendo.
Le sorrisi sincera, divertita.
" Hai bisogno di qualcosa, prima che vada via? " domandò.
Scossi la testa.
" Sicura? " ribattè.
Annuì.
" Abbiamo chiamato i tuoi genitori, saranno qui domani, non sapevo fossi di Forks. " disse.
Mimai nuovamente un foglio e la scrittura.
" Ti serve un foglio? " 
Annuì. Non volevo usare quello che avevo già adoperato con il dottor Cullen.
Uscì velocemente dalla stanza per poi fare ritorno con l'occorente.
" Ti porterò un quaderno stasera, quando torno" disse con dolcezza e sincerità, le sorrisi grata. Mi passò il materiale e scrissi Grazie.
" Di niente " rispose. Si sedette dove poco prima il dottor Cullen parlava e mi guardò iniziando a parlare.
" Anche ho vissuto lì per un pò di tempo, ero piccola, circa ventidue anni fa, più o meno avevo tre anni, non mi ricordo un granchè, ci siamo trasferiti qui a Seattle, poichè mio padre ebbe un  trasferimento. " Disse tuttò ciò tutto d'un fiato, senza mai prendere una boccata d'aria, mi domandavo come facesse. " Tu hai sempre vissuto lì? " 
Annuì e poi scrissi: Per un pò ho vissuto qui a Seattle, dopodichè sono tornata di nuovo a Forks, finchè non sono ritornata qui, e ci vivo tutt'oggi.
Annuì. 
" I referti sono pronti, tra poco arriverà il Dottor Cullen ha spiegarti i traumi che hai riportato, nulla di grave, non preoccuparti."
Grazie, riscrissi. E infatti entrò il dottor Cullen con delle grosse lastre sottobraccio.
" Buongiorno " salutò cordiale, l'infermiera.
" Buongiorno" rispose.
" Ti lascio in ottime mani " disse e aggiunse una strizzata di un occhio. " io devo andare, a stasera, Bella. " 
Sorrisi e se ne andò. Il medico la guardò uscire dalla camera, per poi sedersi sempre sulla stessa sedia.
" Ecco gli esiti " disse prendendo una lastra e mettendola controluce. " questo è il tuo ginocchio, vedi? " indicò il punto dove posai gli occhi.
Annuì. 
" Bene, la rotula ha urtato qualcosa, credo la libreria , giusto? " chiese conferma, ed io feci si col capo. " Si è spostata di asse, leggermente, te la rimetteremo a posto, tranquilla, basterà un pò di fisioterapia, nel frattempo per il dolore ti daremo degli anti-dolorifici. " concluse, prendendo un'altra lastra.
" Questa invece è la tua schiena, tutto va bene qui, oltre al dolore che provi non ci sono traumi alle ossa, fortunatamente. " questa volta sorridemmo entrambi.
" E infine, questo è il tuo cranio, sospettavamo un leggero trauma cranico, ma non ce ne sono, sei stata davvero fortunata, potevi farti del male" terminò.
" Ti rimetterai presto " disse, sorridendo e mostrando una lunga schiera di denti bianchi e lucidissimi.
Annuì e sorrisi, come per ringraziare. Ripose le lastre in un grande cartella e prese quella più piccola, dove c'erano le mie generalità e anche la diagnosi e iniziò a scrivere qualcosa, sicuramente i referti. 
" Dobbiamo compilare questa scheda delle tue generalità, non mi va di chiedere alla clinica e a quella specie di medico scorbutico di prima " disse. " che rimanga fra noi però! " aggiunse ridendo.
Scrissi OK sul foglio. Ero divertita.
" Mhm...  Vediamo, Isabella Swan , nata a Forks, ventitre anni fa, il 13 settembre... giusto? " 
Annuì.
" Alta un metro e sessanta, peso cinquantasei ... Sei dimagrita negli ultimi tempi? " domandò, quei dati erano riferiti alla cartella clinica che avevo nell'istituto, al mio ingresso.
Si , scrissi sul foglio ... Negli ultimi due mesi ero dimagrita di quattro chili, ero partita con i miei sessanta chili, arrivando così ai cinquantasei, e poi nelle ultime settimane, per la precisione tre ero dimagrita ancora di più, altri quattro chili perlomeno, da quando avevo messo piede nella clinica non riuscivo a gestire più il mio corpo, non che fosse una cosa volontaria, ma era letteralmente impazzito.
" Dovremo fare una visita generale, nel pomeriggio per questo... " continuò annotando sul taccuino ciò.
" Andiamo avanti, sei entrata in clinica da circa tre settimane, per mutismo... " lasciò in sospeso questa frase.
Annuì e feci un gesto per spronarlo ad andare avanti.
" Qui ci sono i medicinali che ti hanno prescritto... E infine le sedute con psicologi eccetera eccetera, che a noi non interessa. " concluse sorridendo. " Credo che sia tutto apposto, ci vediamo più tardi, per la visita." disse. Lo fermai, dovevo restituirgli la penna, lo scrissi sul foglio, lesse velocemente.
" Non ce  ne bisogno Bella, puoi tenerla, ne ho a bizzeffe " disse, scossi la testa in un 
no muto e mi abbassai per arrivare al comodino, dove riuscì a prendere la penna, il cassetto resto semichiuso, per non fargli notare che il foglio della nostra conversazione precedente, gliela passai. Tenni la punta, e lui la prese dall'altra estremità, non volevo che mi toccasse.Fortunatamente non se ne accorse.
" Grazie allora, e a dopo"
Annuì, calando da una parte il capo, segno di un arrivederci.
Si alzò dalla sua postazione, recuperando tutte le sue carte, mise tutto sottobraccio e si avvicinò alla porta. Aveva la maniglia mezza inclinata quando si fermo e girandosi verso di me disse.
" Bella... " richiamò la mia attenzione su di sé, alzai gli occhi e guardai lui. " Tu non sei pazza... " sorrise e andò via.
Sorrisi tra me, ripensando a ciò che mi aveva detto, era la prima persona , tra tutti i medici che avevo incontrato che aveva capito io chi ero, e di cosa avessi bisogno, di sola fiducia e amore...

Cosa ne pensate?
Lo so ci sono tantissime parti dove non sono stata chiara, è una cosa volontaria, ogni capitolo conterrà un tassello che dovrete mettere insieme.

Risposte alle recensioni!
Aniasolary: grazie mille, aspetto un tuo capitolo ( =P)
VittoriaKf: Ecco a te il capitolo... spero piaccia... un bacio e a presto!
Patatapiccolina: Grazie mille anche a te, ho spiegato sopra ciò che intendevi per il manicomio. un bacio e a presto <3
Sene: grazie mille anche a te, grazie per il sostegno che mi dai... un bacio e spero che questo capitolo sia di tuo gradimento!

Domanda per conoscerci meglio: Avete mai trovato una persona capace di capirvi dal primo istante?





 

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Capitolo 4
*** Infezione. ***


Salve carissimi lettori, il capitolo ero pronto ieri,  ma non mi convinceva un granchè e quindi l'ho supervisionato nuovamente... spero di aver fatto un sufficiente lavoro... mi scuso per non aver messo il teaser nel mio blog... 
Volevo parlarvi della pubblicazione dei miei capitoli, non essendo tutti già pronti, devo scriverli volta per volta, quindi non ho giorni fissi per aggiornare, anzi sono molto sporadici, sto aggiornando ogni due giorni poichè voglio anticiparmi il lavoro, dalla prossima settimana mi sarà quasi impossibile stare al pc, combaceranno vari impegni starò lontana da casa e quindi anche da computer... Riassumendo, no, non ho giorni fissi, aggiorno quando termino con i capitoli e soprattutto quando sono contenta e soddisfatta del mio lavoro.

Per la domanda della volta scorsa, per la maggior parte delle volte sono io che capisco gli altri dal primo cenno o/e anche parlandoci. Non mi hanno mai capita dal primo istante, si fanno un'idea completamente sbagliata e io devo sempre lavorare per far loro cambiare idea... un lavoraccio!

Infine volevo ringraziare coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, volevo spiegare loro che non mi disturbate affatto a noi "scrittori" piace sapere il parere altrui!  E mi scuso con tutti, i capitoli dovrebbero essere più lunghi, e me ne rendo conto... Ma, mi ritrovo sempre con capitoli striminziti... 

Buona lettura....


Ricapitolando il dolore che provavo alla schiena era soltanto per la caduta, invece quello al ginocchio era dovuto allo spostamento di asse della rotula, sarebbe passato con una semplice terapia. Mi potevo ritenere fortunata, come aveva detto il dottor Cullen. La pensavo diversamente.
Non ero fortunata, se lo fossi stata non sarei caduta, non mi sarei trovata in quel momento in ospedale, ma soprattutto non avrei mai conosciuto alcune  situazioni spiagevoli.
Indomani sarebbero venuti i miei genitori, erano tre settimane esatte che non li vedevo, e non gli parlavo; erano andati via quel venerdì, quando con un semplice bacio sulla guancia mi augurarono di stare bene, lì dentro.
Provavo rancore? No, sicuramente, era stato difficile per loro capirmi, e tutt'ora non avevano capito quello che mi tormentava, quello che nascondevo nel mio cuore.
Io abitavo, o meglio convivevo con Jacob, a Seattle, in una casa abbastanza carina, nella parte periferica della città. Non andavo spesso a Forks, ogni tre o quattro mesi, l'ultima volta che li vidi fu l'ultima volta che mi sentirono parlare.
Pensavo, fingevo che la mia vita fosse normale, io e Jacob fingevamo che la nostra vita sentimentale fosse come quelle degli altri, che il nostro rapporto fosse d'amore, ma non era così, ci amavamo, ma il nostro rapporto era cambiato da quando Jacob non era più lo stesso.
I miei genitori approvavano ed io ero quasi felice, quasi: non del tutto. Ma le cose si capiscono dopo, quando ormai è troppo tardi.
Fui distratta dai miei pensieri, quando sentì bussare alla porta, non ci fu risposta ed entrarono, era nuovamente il dottor Cullen, quanto tempo ero stata immersa nei miei pensieri? Tanto, a quanto pareva.
" Ti ho spaventata? " domandò cauto.
Scossi la testa. 
" Bene. Sono venuto a prenderti per la visita, la faremo nel mio studio" 
Annuì.
" Aspetta un attimo " disse, lo guardai andare via e poi ritornare con una sedia a rotelle. Una delle ruote sbattè contro lo stipite della porta " Ops" sussurrò.
" Visto che tu hai difficoltà a camminare, ho preso questa, credo ti aiuti molto " e sogghignò.
Il problema era : Come ci sarei salita lì sopra? 
" Vieni ti aiuto " e fece per spostare le coperte che mi coprivano. Lo fermai, facendo dei gesti, ripresi la penna con i fogli che mi aveva lasciato Alice e scrissi Voglio provare. Era solo una stupida menzogna.
La verità era che non volevo che un uomo mi toccasse. Anche se quest'uomo era un dottore e non aveva altri scopi, altre a quello di aiutarmi.
" Come vuoi, ma stai attenta, e cerca di non fare forza sulla gamba destra." spiegò. Non si allontanò di molto da me,  ma quel poco mi bastava per pensare lucidamente, senza essere assalita da una paura incontrollabile.
Tolsi le coperte e le spostai di lato, mi girai cautamente, cercando di non sballottare troppo la gamba destra, ormai le gambe erano fuori, la rotula della gamba destra iniziò a far male quando la piegai a novanta gradi, feci un bel respiro profondo e infine con l'aiuto delle mie braccia riuscì ad alzarmi, sulla gamba sinistra, feci una piccola torsione con il busto, e infine dopo tanto sforzo mi sedetti sulla sedia a rotelle.
" Bene " disse Edward, prima di prendere la coperta dal mio letto e adagiarmela sulle gambe. " Fa freddo in corridoio. " si giustificò. Annuì grata.
Andò ad aprire la porta, poi venne a "recuperarmi" e iniziò la corsa verso il suo studio.
Il corridoio era davvero freddo, le pareti bianche, con una lunga striscia blu più o meno a un metro da terra. Era spoglio e vuoto, le stanze degli altri pazienti erano chiuse, non era ora di visite, tutti erano soli nei loro letti.
Svoltammo alla nostra destra, fino a ritrovarci di fronte una porta, mi lasciò andando avanti per aprirla, ritornò nuovamente e varcammo insieme la soglia del suo studio. Era abbastanza grande, composto da un lettino per visitare i pazienti, un separè adiacente a quest'ultimo, e una pianta dalla parte opposta del separè. Invece dall'altra parte della stanza c'erano la scrivania, ricoperta di fogli e cartelle, una sedia, alta di tessuto nero, forse pelle e di fronte a queste due poltrocine. A seguito c'era anche un armadietto di metallo, con ampie vetrate, dentro c'erano tantissimi medicinali. Infine una pianta. Nel complesso era carino e ordinato.
Mi " parcheggiò" davanti la sua scrivania indietro la quale si sedette. Prese la mia cartellina, sulla faccita frontale c'era il mio nome, era la prima volta che me ne accorgevo. 
Scrisse per un paio di minuti, poi si alzò, venendo verso di me.
" Posso aiutarti per salire sul lettino, o vuoi provarci tu?! " domandò.
Ci pensai su, avrebbe dovuto toccarmi per visitarmi, dentro di me tremavo. Avevo paura del suo tocco, del tocco di un uomo...
Respirai a fondo e lo guardai negli occhi, Lui non vuole farti del male dissi a me stessa, autoconvicendomi. 
Tremante gli posi la mano, la prese con dolcezza, forse capendo il mio timore, mi tirò su come se fossi stata una piuma, ero tra le sue braccia, Non voleva farmi del male, ripensai, il cuore mi batteva a mille, avevo paura.
Mi guardò negli occhi e mi sorrise dolce. Voleva farmi capire che lui era docile. Anche questa volta aveva intuito tutto.
Mi depose sul lettino, tastò il suo torace in cerca di qualcosa. Si guardò in torno e trovò quelo che cercava, lo stetoscopio. Lo recuperò, rivolgendosi poi a me.
" Posso?" chiese, indicando la maglietta del mio pigiama. Doveva tirarla su, annuì insicura.
L'alzò delicatamente, attento a non toccarmi la pelle, la tirò su fino all'altezza del seno, quello rimase coperto, lo ringraziai silenziosamente. Prese lo stetoscopio, e iniziò a controllare i battiti cardiaci. Era estremamente attento a non sfiorarmi il seno. Dopodiché sempre con lo stesso strumento controllò i miei respiri, appoggiandolo sulla mia schiena. Successivamente, lo posò sulla scrivania e prese del disinfettante.
" Dobbiamo cambiare le garze e disinfettare la ferita alla testa" spiegò. Il resto fu abbastanza doloroso, sentivo ancora i punti tirare, e la ferita bruciarmi. Mise della garza pulita e nuova.
" Stenditi, Bella" ordinò. Feci come mi era stato detto. Rialzò la maglia e iniziò a tastarmi la pancia con delicatezza. " Fermami se provi dolore"
Quando le sue mani arrivarono all'altezza del mio utero sussultai. Provai dolore, una fitta appena tastò in quel punto, proprio come quando la notte precedente, ero salita sulla poltroncina.
" Fa male?" domandò. Lo guardai intensamente, non sarebbe servito a nulla mentire. Annuì.
Toccò di nuovo quel punto, sussultai. " Puoi per piacere calare di poco i pantaloni? " chiese. Forse arrossì, non mi tirai indietro, ormai ero nel gioco e dovevo finire di giocare. Abbassai leggermente i pantaloni, sapevo che la ferita si notasse.
" Bella, hai avuto qualche operazione all'utero recentemente? " domandò. Annuì.
" Un'operazione all'utero? " ribatté. Annuì. Una lacrima scese sulla mia gote.
" Hai fatto visite post-operatorie? " insistette. Scossi la testa come per dire no. Si allontanò da me, prese il telefono che si trovava sulla scrivania e chiamò qualcuno.
" Pronto? Sono il dottor Cullen, di medicina generale, avrei bisogno di un ecografo. " disse velocemente. " Ok, grazie, e fate salire anche il dottor McCarty... grazie. " e riattaccò.
" Dobbiamo fare un'ecografia, sulla tua cartella clinica non c'era scritto... me lo scrivi più tardi" spiegò.
Un tonfo secco alla porta ed entrò il dottor McCarty, lo stesso che mi aveva ricucito la testa poche ore prima.
" Buongiorno a tutti " salutò cortesemente, trainava un carrello con sopra adagiato un display, era stato veramente veloce.
" Ero sul piano... " si giustificò. 
" Ciao Emmett " salutò Cullen.
Sistemarono l'ecografo accanto al lettino e mi misero del gel sulla pancia, e con l'ecografo attivarono gli ultrasuoni
L'ultima volta che avevo usato quel macchinario un cuore, un piccolo cuore batteva dentro di me, il suo rumore riusciva a donarmi tranquillità, ma quel bambino io non lo volevo, sarebbe stata una condanna a morte, una vita intera accanto a Jacob, l'avrei rovinato o rovinata, sarebbe cresciuta con tanti problemi ed io non volevo. Avevo detto ai medici di una clinica privata di portarlo via, di estraniarlo dal mio corpo. Stavo male, tanto male.
Questa volta nessun rumore, nessun ticchettio regolare si sprigionò nell'aria. Il mio addome era vuoto, ora. 
I medici si scambiarono delle occhiate mentre guardavano il monitor pieno di "macchie" nere e grigie. 
" Un'infezione" disse Emmett al suo collega. 
" Sembra proprio così " rispose l'altro. Spensero il monitor, il dottor McCarty mi passò dei tovaglioli, con i quali tolsi il gel, si rivolsero a me.
" Bella, hai un'infiammazione all'utero" disse Cullen. 
" Nulla di grave - continuò Emmett- ma dobbiamo fare una cura di antibiotici." Annuì.
" Se è tutto a posto io andrei, ho da fare. Il doppio turno uccide... " disse  sorridendo andò via.
" Abbiamo finito la visita, non posso controllare il tuo peso poichè non puoi appoggiare il piede a terra, lo faremo nei prossimi giorni." sussurrò. " Ma dobbiamo fare delle analisi, per questo non ti ho fatto portare la colazione stamattina." Annuì. Un gorgoglio seguì il mio gesto. Aggiustai maglietta e pantaloni, mi misi seduta e infine mi alzai su un solo piede.
Il dottor Cullen mi aiutò a spostarmi, anche se mi ero quasi abituata al suo tocco provai disgusto. Era una cosa involontaria, non aveva niente che non andava, anzi il suo odore era uno dei migliori che avessi mai sentito.
Prese un mini cuscino e lo mise sulla scrivania, poi dall'armadietto estrasse un ago, un laccio emostatico e dell'ovatta con delle provette. Successivamente eseguì il prelievo.
Dopodichè, mi passò un foglio e una penna. Voleva parlare con me.
" Di quante settimane eri quando hai abortito? " chiese con cautela.
9 e qualche giorno , scrissi. 
" Dove hanno eseguito l'intervento? " domandò nuovamente.
In una clinica privata, qui a Seattle. Glielo feci leggere.
" E quando? " disse diretto.
Due mesi fa... 
" Posso sapere il perchè? " chiese, scossi la testa. Non potevo dirglielo.
" Non fa niente, avrai avuto le tue buone ragioni... " giustificò il mio comportamento. " Andiamo in camera, starai morendo di fame" 
Sorrisi non troppo convinta.
" Ti porteranno il pranzo fra circa dieci minuti, dovrebbero averlo quasi interamente distribuito. " annunciò.
Annuì.
" Io vado Bella, ci vediamo più tardi per la somministrazione dei medicinali. " disse e con questo si congedò.
Come aveva detto, circa cinque minuti dopo mi fu portato il cibo.  Non mangiai quasi niente, c'era la minestra, del pollo che sembrava tutto tranne ciò e infine dell'insalata che sembrava anemica. Riuscì a buttar giù qualche boccone di pollo, ma sentì crescere la nausea e lasciai perdere.
La giornata passò tranquillamente, nel pomeriggio come preannunciato ritornò il dottor Cullen e mi fece prendere delle pasticche.
" Mi hanno detto che non hai mangiato quasi nulla... " sussurrò.
Annuì, sporgendomi per prendere i fogli che mi aveva lasciato Alice. 
Non mi piaceva  scrissi. 
" Ti capisco, anche io odio mangiare alla mensa giù " storse il naso.
Sorrisi a quell'espressione. 
" Ti lascio riposare... " proruppe.
Feci ciao con la mano, e se  ne andò.
Quel pomeriggio dormì, tranquillamente esausta.
Era un sogno bellissimo, ero al mare, e guardavo l'acqua e le onde imbattersi sugli scogli e creare tante goccioline che mi bagnavano il viso. Tranquillo, finalmente non feci degli incubi. Un sogno normale!
Mi svegliai che era già completamente buio.
Dopo un pò entrò Alice.
" Buonasera " salutò.
 Le sorrisi.
" Di nuovo al lavoro " si lamentò.
Aveva tra le mani un grosso quaderno, interamente giallo, ad anelli. Me lo porse. 
" questo è per te, te lo avevo promesso. " 
Le sorrisi grata. Grazie avrei voluto dirle.
" Usiamolo, visto che stasera è tutto calmo"  spiegò, io intanto aprì il quaderno, segno d'assenso.
" Hai mai studiato all'università?" chiese.
Si, studiavo magistratura. Spiegai, era così.
" Ti sei laureata? " domandò.
Scossi la testa. Meno di un anno fa mi sono trasferita qui con il mio ex fidanzato ed ho interrotto gli studi, dovevo ricominciare, ma non l'ho fatto più. Tu invece, sei fidanzata? 
" No, non sono fidanzata... " disse, dopo aver letto la mia risposta.
Ma... scrissi sul foglio, sapevo che doveva aggiungere qualcosa.
" Nessun ma... anzi forse c'è... c'è qualcuno che mi piace... " aggiunse.
Il dottore di ortopedia? scrissi.
" Perspicace! si comunque è lui, ma è inutile che mi intestardisco con lui... completamente inutile... "
Fummo interrotte da un leggero bip, ed Alice estrasse il cercapersone dalla tasca del camice.
" devo andare... un'emergenza. " disse sgranando gli occhi.
Mi lasciò sola, avevo capito che a quella infermiera birichina ed estremamente socievole piacesse quel medico di ortopedia, da come lo guardava la notte precedente e da come la luce nei suoi occhi si fosse accesa appena sentito nominare...
Restai tutta la serata a disegnare, spensierata, canticchiando tra me una canzoncina, disegnavo distratta dai miei stessi pensieri, non mi accorsi di ciò che avevo scarabocchiato, un volto, un volto di un uomo...Il Volto del  dottor Cullen...

Mhm... non mi convince tanto... spero almeno a voi piaccia....

Rispondo alle recensioni!
VittoriaKF: Grazie mille per avermi fatto sentire il suo appoggio... un bacio e a presto!
Aniasolary: grazie... ormai è diventato scontata questa parola, ma lo dico con tutto il cuore... <3
Sene: Grazie ... <3
oO_Oo: Come ho detto non ho giorni precisi in cui aggiorno, spero porterai pazienza... 
un bacio... e non mi dispiace che tu recensisca... anzi mi fa piacere...
Bellina3000: Grazie... davvero, e anche per aver recensito i capitoli scorsi... e no, non mi annoi per niente... un bacio e a presto! 
PS grazie per avermi messo nei preferiti!
Horses are my life: Grazie tante anche a te... un bacio e a presto!


Domanda: Voi studiate? O Avete sorpassato l'età dei libri, lavorate?
Al prossimo aggiornamento Many!

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Capitolo 5
*** Fardello. ***


Salve cari lettori.

Siete per la maggior parte studenti, complimenti... invece per la casalinga disperta che segue questa FF, voglio dire grazie e anche che sono onorata di averla qui, grazie poichè anche con tutti gli impegni che ha una donna sposata, riesci a farmi sentire il tuo appoggio... ( lo stesso vale per tutti gli studenti, eh!)
Invece io, io sono una studentessa, ancora per molto, non so se dire purtroppo o fortunatamente, purtroppo perchè alcune volte la routine dello studente a me non piace un granchè, fortunatamente perchè noi studenti abbaimo ancora molto da imparare, e non abbiamo grosse responsabilità come un adulto.

Mi scuso per eventuali errori tecnici medici, ma non sono una dottoressa nè sto studiando medicina... quindi abbiate pietà... xD

Buona lettura.

Alice, l’infermiera, aveva lasciato la stanza, era stata colta da un’emergenza, dopotutto eravamo in un ospedale e il personale non era qui solo per farmi compagnia. Le conversazioni mi mettevano di buon umore, anche se gli altri parlavano, io mi limitavo a scrivere.

Guardai il quaderno che mi era stato regalato, lo capovolsi dalla parte opposta, usandolo come album da disegno, disegnare mi era sempre piaciuto, riusciva a rilassarmi ed anche a farmi distrarre dalla dura realtà. Non avevo mai smesso di ritrarre oggetti, persone o ambienti anche quando ero entrata nella clinica, anzi ero ciò che facevo maggiormente, creavo un mondo tutto mio, un mondo fatto d’arte.
Iniziai a canticchiare tra me, spensierata e leggera ma soprattutto distratta, le mani si muovevano da sé, sembravano una parte distaccata dalla mia mente, ero incapace di mandare segnali ai miei arti superiori. La penna che stavo usando non era certamente un buono strumento per fare dei ritratti, ma mi bastava. Mi accorsi del mio lavoro, soltanto quando fu finito e troppo vivido da poter smentire. Avevo ritratto un volto di un uomo. Di colui che mi aveva aiutata durante questa giornata, colui che mi aveva capita dal primo istante, senza soffermarsi all’apparenza, ma capire nel profondo che qualcosa mi turbava. Il volto era del dottor Cullen.
Lo guardai sgranando gli occhi, perché avevo disegnato proprio lui?
Forse, perché mi era stato vicino, o forse più facilmente perché mi aveva colpita, nel profondo.
Lo guardai per qualche minuto, era identico a lui, ogni piccolo particolare che forse non avevo neanche notato, era una copia.
Chiusi il quaderno immediatamente quando la porta si aprì. Il mio cuore batteva a mille, ero spaventata, come quando da bambini si fanno dei pasticci e i tuoi genitori magari ti trovano con le mani nel sacco. Sapevi di essere colpevole.
Fortunatamente non era il soggetto del mio scarabocchio ma ben si un’infermiera che mi portava da mangiare. Respirai a fondo per far calmare il mio cuore.
Entrò trainando un grande carrello, poco più basso di lei, aveva i capelli corti e unti, coperti da una retina che li lasciava intravedere, tante rughe segnavano il viso stanco, ma un enorme sorriso lo caratterizzava, aveva un camice come tutte le infermiere
" La sua cena, signorina Swan." Disse.
Le sorrisi per ringraziarla.. Prese un vassoio dal carrello e lo adagiò, aveva degli appoggi proprio come un tavolino, sulle mie gambe. Uscì velocemente portando con sé il carrello con il cibo per altri pazienti.
Guardai il cibo, era più invitante della volta precedente, o forse era solamente la fame ad essere aumentata. Mangiai poco anche quella volta, l’aspetto poteva ingannare.
Misi in bilico il vassoio sulla sedia accanto al letto, dove nelle ore passate si erano sedute due persone speciali. Accertato l’equilibrio, mi stesi iniziando a fissare il soffitto. Edward, il dottor Cullen era andato via, l’avrei rivisto solamente il giorno successivo, e forse anche Alice, mi aspettava una serata in solitudine.
L’unica cosa che riusciva a rincuorarmi era il fatto che il giorno dopo avrei rincontrato i miei genitori , mi mancavano tanto e finalmente avrei passato delle giornate in compagnia di qualcuno che no fosse la solitudine. Ero irrequieta, volevo girarmi, mettermi a pancia sotto come dormivo di solito più comodamente, ma se lo avessi fatto sicuramente il dolore al ginocchio si sarebbe intensificato. La schiena ormai non faceva più quasi male, e gli antidolorifici che mia aveva dato il dottor Cullen, erano serviti per calmare il dolore ai muscoli e alla rotula, ma soltanto per poco, la sofferenza era ritornata.
Decisi di buon grado di rimettermi a disegnare, magari mi sarei distratta un po’. Questa volta feci attenzione a cosa disegnare. Di mia spontanea volontà ritrassi un campo pieno di fiori, rose, margherite, mughetti , cespugli e anche degli arbusti, simile a quello della clinica, dove ogni volta andavo quando ci lasciavano "pascolare"liberamente.
Sorrisi a quel foglio, come mi sarebbe piaciuto fare in quel momento un giro in un qualsiasi giardino. Anche lì in ospedale, forse o molto probabilmente ce n’era uno.
Chiusi il mio nuovo album definitivamente e lo riposi nel comodino, sperando che nessuno ci ficcasse il naso. In quel momento avevo bisogno di dormire.
Mi stesi, e riosservando il soffitto caddi tra le braccia di Morfeo.
Feci un incubo. L’ennesimo.
Tutto estremamente reale, proprio come quella sera, sempre la stessa. La stessa che ormai popolava la mia attuale vita, la stessa che mi perseguita e che mi stava consumando lentamente.
Inspiravo l’odore della persona che mi stava d’innanzi, da vari mesi aveva sempre lo stesso odore, ormai faceva parte di lui, si staccava da me mentre ballavamo un lento, Jacob mi portava fuori pista, mi portava verso il piano bar, no lì proprio no, non doveva andare lì, sarebbe stata una prova troppo alta per lui, non sarebbe riuscito a tenere testa alla tentazione, ci sarebbe ricaduto, se fosse mai risalito. La verità era che lui, non aveva mai eseguito le mie preghiere, me lo aveva fatto credere, mi aveva convinta, mi aveva imbrogliata. Ma aveva preso in giro se stesso, era a lui che faceva del male.
Ero agitata, cercavo di tirarlo indietro, cercavo di farlo cambiare direzione, lo avevo attirato a me, facendo aderire le nostre labbra, avevo cercato di farlo distrarre, del tutto vano.
La dipendenza era più forte dell’amore.
Cercai di portarlo con me dalla parte opposta, gli avevo gridato di continuare a ballare, ma le sue intenzioni erano quelle e dovevano essere eseguite.
Ero scoppiata a piangere, ma quello non faceva parte del sogno, ma della realtà, mi ero svegliata, ansante come tutte le notti, cercai di respirare regolarmente, ma i singhiozzi non me lo permettevano, troppo difficile.
Qualcuno bussò alla porta ma non me ne accorsi, il rumore dei miei singhiozzi mi riempiva le orecchie, erano forti e violenti, mi sentivo quasi male, non riuscivo più a respirare.
" Hey Bella" disse correndo verso di me. " Shh, calma ci sono io adesso… Non avere paura."
" Respira lentamente e regolarmente" spiegò. " Respira con me, segui me." Ribatté. Mi costrinse a guardare nei suoi occhi scuri, e profondi, riuscì a calmarmi seguendo i suoi consigli. Mi accarezzò le guance riuscendo finalmente a respirare regolarmente.
" Come va?" chiese gentile.
Annuì per farle capire che tutto andava bene, meglio.
"Qui sei al sicuro, nessuno ti farà del male nè può farlo, ci siamo noi a proteggerti"
L'abbracciai, posai la mia testa sulla sua spalla, non negò la stretta e mi abbracciò più forte, come per farmi sentire la sua presenza.
" Sono qui", la strinsi più forte, in una morsa quasi soffocante, ma non disse nulla.
Quando il mio cuore riprese a battere normalmente mi allontanai, ringraziandola con gli occhi.
Gliene ero infinitamente grata.
" Un brutto sogno?" chiese.
Annuì. Aveva fatto centro.
" Troppo reale?"
Era reale, era stato reale. Annuì lo stesso, senza aggiungere altro.
" Resto con te, ti va? Finchè non riesci ad addormentarti" domandò sorridendo gentile e dolce.
Annuì, come sempre, come d'abitudine. Avevo bisogno della sua presenza, forse sapendo che qualcuno mi stesse vicino avrei dormito più tranquillamente.
C'erano troppi se e poche certezze.
Si sedette accanto al mio letto, sullla famosa sedia, il vassoio non c'era più, l'avevano portato via. Mi stesi pogginado delicatamente il capo sul cuscino, e presi la sua mano, tenendola stretta tra le mie. Spostai la mia testa vicino al suo braccio, sentivo il suo odore dolce e buono, questo mi fece dormire con la consapevolezza che non ero sola.
Feci sono tranquilli quella volta, mi svegliai riposata, ma con gli occhi arrossati e dolenti per il pianto notturno.

Alice non c'era, in primo momento mi ero spaventata, ero andata in iperventilazione, poi avevo pensato che lei non poteva restare tutta la notte con me, e forse ora era a casa, dalla sua famiglia. Ero stata una stupida sola a pensarci. Ancora stesa stropicciai i miei occhi, facevano male e sentivo un leggero bruciore provenire dall'iride,li chiusi, nello stesso istante la porta si aprì, rimasi immobile, i passi erano leggeri, il respiro anche, era impressionante come,quando non c'è a disposizione un senso gli altri si affinino.
" Sono Alice, non stai dormendo giusto?" domandò sghignazzando leggermente.
Li aprì lentamente, nella mia visuale comparve l'infermiera.
" Non sei una brava attrice, sai..." continuò mantenendo il sorriso stampato sul volto.
Le feci una linguaccia.
Alzai la schiena dal letto, mettendomi in posizione seduta, mi aiutai con i gomiti in tutto ciò.
" Scusa se non sono restata, ma avevo da fare... " si giustificò.
Dopodoché presi il quaderno dalla copertina gialla, e scrissi: Non ti preoccupae, anzi grazie mille per avermi fatto compagnia questa notte...
" Di nulla. Come va, oggi?" domandò.
Meglio, risposi alla sua domanda, scrivendola.
" Bene, mi fa piacere, anche se dall'aspetto non si direbbe, che ne dici di sistemarci visto che tra non molto arriveranno i tuoi genitori?" concluse sorridendo.
Annuì, spostai le coperte, e posizionai le gambe fuori dalle letto, il ginocchio destro iniziò a pulsare.
" Vieni qui, ti aiuto io" disse, prendendomi un braccio e portandoselo dietro al suo collo, con un pò di fatica mi mise in piedi. Cercai in tutti i modi di non poggiare il piede a terra, quello destro intendo.
Saltellai su un piede fino al bagno, aperta la porta, il piccolo ambiente mi si parò davanti.
Era stretto ed adatto solo ad una persona, le mattonelle, sia quelle a terra che quelle al muro erano blu, cn qualche striatura di verde, gli igienici bianchi un tempo, erano diventati avorio, o almeno in parte. Nel complesso l'ambinete era pulito.
Mi aggrappai al lavandino, dove mi sciacquai la faccia, notai il sollievo agli occhi appena l'aqua entrò in contatto con quest'ultimi.

Circa due ore dopo, quando Alice era andata via poichè aveva terminato il suo turno, sentì bussare alla porta e due volti famigliari fecero capolino. I volti dei miei genitorni Charlie, e Renee.
Charlie, mio padre era un uomo passata la quarantina, dagli occhi color cioccolato e i capelli color mogano, proprio come me, abbastanza alto e snello. Era un poliziotto, a Forks, dove ero cresciuta.
Invece Renee, mia madre, aveva i capelli più chiari dei nostri, e gli occhi quasi verdi, non ci assomigliavamo per niente, il suo fisico era esile, snello. Portava una gran borsa con sé, conteneva sicuramente le mie cose.
Si erano sposati appena finiti gli studi al liceo, si erano sempre amati, una coppia perfetta, poi il tredici settembre di ventitre anni fa arrivai io, la loro unica figlia adesso con qualche problema. Eravamo stati sempre una famiglia perfetta e normale, una famiglia come tante.
" Ciao, piccola" dissero in coro, per loro sarei rimasta eterna bambina. Mi stava bene.
Sorrisi ad entrambi.
" Ci hai fatto spaventare. " disse mia madre, con la fronte contratta.
Presi il quaderno che avevo posato sul comodino e scrissi: Mi dispiace.
" Vedo che non parli ancora..." parlarono all'unisono.
Feci una smorfia. Mia madre iniziò ad accarezzami una guancia.
" Mi sei mancata sai... e tanto" sussurrò.
Sorrisi, prendendo la sua mano e portandola al naso odorai il suo profumo. Era buono come sempre, aveva un odore speciale ed unico. Un odore da mamma. Lasciai anche un piccolo bacio.
" Abbaimo portato le tue cose, siamo stati in clinica prima, così potrai avere dei piagiami puliti. E ci sono tante altre cose, libri e dei pastelli, disegni ancora, no!? " chiese mia madre.
Annuì. Per poi scrivere sul foglio: Non ho mai smesso di disegnare...
" Come stai?" chiese mio padre. Prima che potessi rispondere, entrò il dottor Cullen. Pensai al quaderno che incustodito giaceva tra le mie mani, dovevo farlo sparire. Il suo disegno era ancora tra i suoi fogli.
" Buongiorno a tutti" salutò cortesemente. " Io sono il dottor Cullen, mi occupo io di vostra figlia. " annunciò.
" Buongiorno dottore." disse mio padre, prendendo le veci anche di mia madre.
Il dottore sorrise. Strise la mano dei miei genitori che gli sussurrarono il proprio nome.
" Potremmo sapere le condizioni generali di nostra figlia?" chiese mia madre.
" Si certo... Conoscete cosa veramente è successo?" chiese disponibile.
" Ce ne hanno accennato, ha perso l'equilibrio mentre prendeva dallo scaffale più alto della libreria, nella sua stanza in clinica, giusto?" chiese conferma mio padre
" Si, è ciò che ha detto Bella, a me. " disse il medico.
Annuirono entrambi.
" Bene, le condizioni generali sono abbastanza buone, ha riportato un'escoriazione alla testa abbastanza superficiale, ed uno spostamento d'asse della rotula della gamba destra, e poi ovviamente si sente indolenzita per l'impatto, ma le condizioni generali sono buone." spiegò. Non aveva aggiunto ciò che aveva rilevato all'utero, avrei voluto ringraziarlo per questo, i miei genitori non sapevano nulla.
" E le cure, invece?" chiese mia madre. Sembrava si alternassero.
" Per la testa deve aspettare che si rimargini, invece per la rotula dovrà fare della fisioterapia, inizierà domani. Infine le sono stati somministrati degli antidolorifici." concluse.
Annuirono nuovamente.
" Ora scusate, ma dovreste uscire, dovrei visitarla. " disse rivolgendosi esclusivamente a loro. Mi diede le spalle.
" Si certo" dissero in coro.
Prima di uscire mi diedero un bacio sulla guancia.
Quando rimanemmo soli, il dottor Cullen potette rivolgersi esclusivamente a me.
" Ti vogliono bene... " disse.
Annuì, sapevo che loro mi volessero un gran bene, come ogni genitore ai propri figli.
Prese una piccola torcia e la puntò prima in un occhio e poi nell'altro.
" Hai gli occhi arrossati, hai pianto?" chiese. Non gli sfuggiva nulla.
Annuì. Fortunatamente non aggiunse altro.
" Nel pomeriggio dovremo ricambiare la fasciatura, per disinfettare la ferita" annunciò.
Tastò le ghiandole sul collo, guardando davanti a sé.
" Bene. " parlava da solo.
" Tieni questi devi prenderli, ti serviranno a non sentire dolore. " Prese dalla scatola, nella tasca del camice, delle pillole e con dell'acqua me le fece ingurgitare. Dopo circa dieci minuti la visita si concluse.
" La visita è finita, tutto va bene. " disse fiero di sé. Ma non se ne andò come credevo, ma anzi, si sedette sulla sedia accanto al letto.
" Bella, non ho detto nulla della tua operazione all'utero, perchè credo che nessuno lo sappia, visto che non è notato neanche nella tua cartella clinica." iniziò. " E non credo, io, di essere la persona più adatta a comunicarglielo. Ma spero che tu un giorno capisca che non c'è nulla più importante al mondo e più adeguato della famiglia per parlare dei nostri sentimenti e problemi. Non dico di confessarti con me, perchè forse non potrei capirti e dopotutto non sono nessuno per te, ma forse parlarne con delle persone estranee sarà più facile, riuscirai ad esprimere meglio le tue emozioni, con magari uno psicologo... " non concluse la frase.
Le lacrime inondarono i miei occhi, non era così fcile come lui credeva, No, non lo era. Neanche parlare conn dei psicologi poteva servire. E perlopiù con i propri genitori.
Avevo tolto la vita ad un bambino, anche se ancora feto dentro di me. Avevo messo uno stop al suo inizio, avevo fatto smettere ad un cuore di battere. Era stato per il suo bene, forse... Ma il peso mi logorava, più di tutto, adesso sarei stata a metà gravidanza, tra poochi mesi avrei tenuto il mio bambino fra le braccia, ma non poteva essere così, e non lo sarebbe mai stato.
Sarebbe rimasto un ricordo, un peso in più per la mia coscienza. Un fardello in più da portare sulla mia schiena.
Alzò il mio mento con il suo pollice, m fece guardare nei suoi occhi, mi scansai immediatamente.
" Non fare così, avrai avuto le tue buone intenzioni, non sei un'assassina, nessuna madre che fa un gesto del genere lo è... C'è sempre un problema dietro. Un problema forse troppo grande. Un problema forse che si nasconde nei silenzi." disse guardandomi ossessivamente. " Non devi sentirti in colpa."
Seguirono momenti di lungo silenzio, dove solo i miei singhiozzi squarciavano l'aria.
" Shh... è tutto a posto. " continuò.
Spostai il mio sguardo da lui. Fissai le mie mani chiuse sul grembo, come per custodire, qualcosa che non c'era più, che non ci sarebbe mai più stato. Quelle parole mi colpirono trmendamente per loro verità. Strinsi forte il pigiama, le lacrime crearono grosse righe sulle mie guance. Le nocche diventarono bianche per lo sforzo.Sentivo quasi le unghia trapassare il tessuto e graffiarmi la pelle.
Forse era così.
Iniziai a tremare. Presi un respiro profondo come per parlare, il dottor Cullen prese il quaderno per passarlo, aveva capito la mia intenzione, volevo parlargli.
" No. " Dissi, la voce uscì roca, e storpiata, erano due mesi che non parlavo, rifarlo era una liberazione. Il dottore mi guardò sorpreso, non se lo aspettava minimamente. "Sono stanca della scrittura... "

Ed eccoci a fine capitolo, giuro che dalla volta prossima i capitoli saranno più lunghi.

Risposte alle recensioni, grazie mille per voi che lasciate un commento:

Aniasolary: grazie mille, se davvero gentile. Un bacio...
VittoriaKf: Grazie mille per i complimenti e come ho già detto, mi fa onore avere una "casalinga disperta" tra i recensori... un bacio e a presto.
Bellina3000: Sei gentilissima. Sarei felice di sapere cosa epsni di questo... le tue recensioni mi fanno sempre sorridere ...
oO.Oo: grazie mille anche a te, un bacio e a presto!
Sene: grazie perchè mi sostienis sempre e grazie perchè tu sei stata la prima, fin dal primo istante... =)

Domanda: avete mai avuto bisogno di qualcuno che vi stesse accanto per addormentarvi?

 

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Capitolo 6
*** Il mio sogno più grande. ***


Salve a tutti
Scusate se vi ho fatto aspettare un pò di più ma come preannunciato non ho avuto un minuto libero.
Grazie mille per le recensioni dello scorso capitolo, non pensavo che questa FF potesse andare così bene come mi fate intendere, ovviamente desidero sempre migliorare per voi ma soprattutto per me, una soddisfazione personale.

Nessuno ha risposto alla domanda precedente, fa nulla. Io dico che ho avuto bisogno solo una volta nella mia vita di qualcuno che mi desse coraggio per dormire, avevo bisogno diu qualcuno. Avevo circa sette anni e dormì a casa di mia zia, non riuscivo ad addormentarmi e la raggiunsi nel suo lettone, mandando il marito sul divano xD... che bei tempi...

Andiamo avanti. Spero che questo capitolo vi piaccia, anche se corto.
Vorrei dirvi solo una cosa, chiedo da voi un pò di comprensione e pazienza per i tempi di aggiornamento. Ovviamente da me non mancherà dedizione ed impegno.

Buona Lettura.

"No. " Dissi, la voce uscì roca, e storpiata, erano due mesi che non parlavo, rifarlo era una liberazione. Il dottore mi guardò sorpreso, non se lo aspettava minimamente. "Sono stanca della scrittura... "
Con lui avrei potuto parlare, avevo la certezza che non lo avrebbe detto a nessuno. Mi fidavo su questo aspetto di lui. Ero sicura ormai potevo parlare senza che vocali e consonanti potessero uscire dalla stanza. O forse, ero soltanto stanca di mentire a tutti, me compresa.
Balbettò per qualche istante, cercando di parlare ma non lo fece poichè continuai io.
" Non è così semplice" dissi, la voce tremava scossa dai singhiozzi. " Non è facile come crede, è difficile più di quanto lo si possa immaginare, non c'è nessun motivo al mondo che può giustificare il mio comportamento, ci sono tante donne al mondo che desiderano avere un bambino, ed io cosa faccio?? Lo getto, butto una vita, un splendida vita che cresceva in me, senza dargli una possibilità, senza fargli conoscere il mondo, senza fargli conoscere cosa significa essere felici, cosa significa soffrire per una persona amata, cosa significa giocare ed essere spensierati come solo un bambino sa fare... " in quel momento la mia voce si ruppe, calde lacrime copiose rigavano il mio volto, i singhiozzi mi perforavano il petto, non riuscivo più a vedere nulla, le lacrime sommergevano i miei occhi.
" Bella... " Fece per toccarmi, ma i miei riflessi pronti lo scansarono. " Ok... scusa ... non ti tocco più... te lo giuro... " disse alzando le mani come se fosse circondato da tanti poliziotti.
Mi asciugai gli occhi con il dorso della mano, riusci finalmente a visualizzarlo, aveva la fronte corrugata, i magnifici occhi verdi tristi, la bocca impegnata in una smorfia.
" Bella, non credo che hai deciso di abortire solo per gioco, avrai avuto i tuoi validi motivi, te l'ho già detto e te lo ripeterò fino alla noia, ma sono convinto, sono sicuro che tu abbia avuto dei pretesti, nessuno decide una cosa del genere su due piedi." concluse.
Annuì, chiudendo gli occhi, respirai profondamente per poi rispondere: " C'erano dei pretesti, ma questo non basta a decidere di uccidere, di assassinare una creatura che non ha colpe, nato da genitori che non l'avrebbero potuto amare quanto davvero volevano, da un padre che non era in grado di gestire la sua voglia di alcol... oh... " avevo detto troppo, avevo fatto scappare dalla mia bocca delle parole che non potevano essere pronunciate. Mi guardava sconvolto.
" Bella, - prese un lungo respiro- non so cosa hai dovuto passare, ma davvero devi parlarne con qualcuno, ne hai bisogno. La tua mente, come il tuo corpo ne hanno passate tante, si nota nel modo in cui parli, nel modo in cui ti esprimi e anche quando ti muovi, hai sempre le spalle ricurve, per proteggerti, sobbalzi e non sopporti il contatto fisico con gli uomini, queste cose si notano e non poco..." parlò delicatamente, scandendo ogni singola parola. " Nella tua cartella clinica si dice che sei stata, due mesi fa , in ospedale per alcuni traumi tra cui due costole incrinate e il radio del braccio sinistro rotto. Non voglio azzardare a dire nulla, ma è stato lui, il papà del tuo bambino? Lui, che non riesce a tenere lontano l'alcol? "
" No, no, no... NO. Basta... vada via... per favore... " misi le mani per coprirmi le orecchie, mi curvai su me stessa, e chiusi ,infine, gli occhi.
" Faccio entrare i tuoi genitori?" chiese sempre cortese malgrado il mio comportamento.
" No, per favore. " dissi stando sempre nella stessa posizione, sentivo lo stesso.
" Ah, Bella, non dirò nulla della tua ripresa, aspetterò che tu lo faccia... "
" Grazie... " sussurrai con flebile voce, sperai che mi stesse ascoltando.
Passarono vari minuti, le lacrime continuarono a scendere per un pò, fin quando non furono terminate tutte.
E' impossibile quanto una persona estranea possa capirti più dei tuoi stessi genitori, delle persone che ti sono state accanto per tutta la tua vita.
Gli occhi rimasero arrossati, come la mattina, quando mia madre entrò in camera per salutarmi visto che dovevano raggiungere l'albergo dove alloggiavano, si preoccupò e non poco.
" Ehy, Bella! Cosa non va?" domandò.
Presi il mio quaderno e ricominciai a scrivere. Sto bene, non preoccuparti...
" sicura?" chiese guardandomi con una smorfia sul viso.
Annuì.
" Io e tuo padre dobbiamo andare via, ma se vuoi restiamo, devi solo chiederlo." disse sincera.
Scossi la testa, dovevano andare, per sistemarsi, dovevano , almeno loro, stare bene e a loro agio.
" Allora noi andiamo, saremo qui nel pomeriggio nell'orario di visita, non possiamo entrare altrimenti. Ci vediamo alle cinque, Bella." concluse e lasciò la stanza non prima di avermi schioccato un bacio sulla guancia.
Restata sola, recuperai la borsa che mi aveva portata mia madre, c'erano delle salviettine imbevute, le usai per pulirmi il volto dai residui delle lacrime. Profumavano di rose, sublime.
Controllai il borsone, c'erano tutte le mie cose che avevo in clinica, strano che avessero portato tutto, proprio tutto. Trovai il mio quaderno, i colori per i quali mi trovavo in quella situazione, i miei vestiti e tutti i miei effetti personali.
Poco dopo arrivò il pranzo. Riuscì ad ingurgitare più cose del giorno precedente, anche perchè avevo sempre più fame.
Il pomeriggio passò tranquillo, fino all'arrivo del dottor Cullen, per disinfettare la ferita.
" Posso? " Chiese il permesso.
Annuì.
" Di nuovo silenziosa? " domandò.
" No" risposi secca.
" Bene... Dobbiamo cambiare la fasciatura, mi sembra di averti avvisata stamani."
" Si, mi ha avvisata." dissi prontamente. Sorrise e iniziò il suo lavoro. Nel mentre mi rivolse la parola.
"Mi hanno chiamato i tuoi genitori, stasera non potranno venire, hanno avuto dei problemi." mi avvisò.
" quando l'hanno chiamata?" chiesi curiosa.
" Poco più di un'ora fa." parlò.
Annuì istintivamente. " Ferma!" subito inveì il dottore.
" Scusi... " e arrossì." Non preoccuparti, e poi abbiamo quasi finito, senti ancora i punti tirarti?" chiese con fare medico.
" Abbastanza."
" Non per molto, stai migliorando a vista d'occhio... e domani inizierai con la fisioterapia, la dottoressa Hale sarà la tua istruttrice." avvisò. Non ci fu risposta da parte mia. Molto probabilmente si era accorto del mio cambiamento di comportamenti nei suoi confronti.
" Bella, abbiamo finito." ed invece di andarsene, restò come da rituale, sedendosi accanto al mio letto.
" Bella, vorrei scusarmi con te per ciò che è successo questa mattina, non avrei mai voluto farti del male moralmente, ti giuro che da oggi in poi non ti chiederò nulla della tua vita privata nè ti chiederò ciò che è veramente successo." confessò.
" Non ho nulla contro di lei, ma contro il mio passato si, e le sono grata per la scelta che ha fatto, davvero. " dissi schietta, diretta.
" Allora affare fatto?" disse, sorridendo. Mi porse la mano, dovevo stringerla, ma non vedendo mie reazioni la ritirò dicendo : " scusa... anche questo comportamento lo allontanerò!" intendeva il contatto fisico. Sorrisi e allungai la mano, presi la sua e la strinsi, prima che sfuggisse. Era grossa e caldissima, accogliente, le dite affusolate e lunghe, il palmo largo e grosso. La mia era minuscola al confronto.
Sorrise anche lui, più spontaneo.
" Affare fatto dottor Cullen... "
" Ehm, dammi del tu, non sono poi così vecchio...E per te sono Edward" disse ironico ma serio allo stesso tempo.
" Ok, Edward." parlai decisa.
" Così va molto meglio, odio quando gli altri mi chiamano per cognome. Lo odio... " fece.
" La capisco... voglio dire ti capisco... " risposi aggiungendo un riso alla fine. Anche io odiavo quando i miei compagni di scuola o di corso al college mi chiamavano con il cognome. Io ero la Swan.
" Ma quando ti chiamano tutti con il cognome, soprattutto in questo posto, non mi piace un granchè! Ti fa sentire vuoto e senza personalità... " concluse.
Annuì, totalmente in accordo con lui.
" Io devo andare, mi dispiace, ci vediamo più tardi Bella." disse dopo un lungo periodo di silenzio, nel quale stranamente ero a mio agio, non c'era imbarazzo tra i nostri silenzi erano naturali, semplici.
" Arrivederci Edward." terminai con un gran sorriso sulle labbra.
Sparì chiedendo alle sue spalle la porta.
Presi il quaderno, quello che usavo anche in clinica e iniziai a sfogliarlo.
C'erano tanti disegni, ne avevo fatti tantissimi nelle ultime tre settimane, la maggior parte di loro ritraevano fiori e giardini, uno in particolare mi colpì, anche se io ne ero l'autrice. Un campo, una distesa piena di fiori, coloratissimo, diverso dagli altri, nei quali i colori predominanti erano il blu e tutte le tonalità fredde e scure. Inizia a disegnare con le matite colorate che mia madre mi aveva portato, il mio astuccio completamente rosso mi implorava di essere aperto e di usarne il contenuto, non mi limitai ad ascoltarlo.
Il pomeriggio passò abbastanza velocemente, arrivando così all'ora di cena. Durante le ore di visita l'ospedale si era ravvivato, si sentivano più voci e più rumore nei corridoi.
Con l'arrivo del buoi arrivò anche la cena. E che cena!
Mangiai anche quella volta pochissimo e se non fosse stato per la mela in quel momento sarei svenuta dalla fame, ma non si poteva avere il menù?E tutto doveva essere troppo scotto o troppo crudo?? Impossibile saziarsi in un ospedale. Se ne avessi avuto la possibilità avrei mangiato qualcosa dalle macchinette anche se quelle contengono sempre cibo pieno zeppo di calorie.
Nel momento in cui riposi il vassoio sulla sedia come il giorno prima qualcuno bussò alla porta. Ne fece capolino Edward.
" Ti disturbo?" chiese quasi timido, era la prima volta che notavo la timidezza in lui.
Scossi la testa.
Entrò portando sottobraccio un bottiglia d'acqua e una bustina con dei sandwich tra le mani. Lo guardai interrogativa. Si avvicinò al mio letto parlando.
" In mensa non mi andava di andare, e visto che tu eri sola ho pensato di farti compagnia." alla fine aggiunse un gran sorriso.
Sorrisi, compiaciuta.
Guardò il vassoio sulla sedia completamente intatto, per poi guardare me.
" Non hai mangiato nulla neanche oggi" disse. Scrollai le spalle impotente.
" Non mi piace questo cibo." aggiunsi una smorfia. Non rispose ma ne seguirono dei suoi movimenti. Posò la sua cena sul comodino, e tolse dalla sedia il vassoio, e andò via. Pochi minuti rd era di nuovo in camera. Si sedette accanto a me e mi porse un sandwich. Prendendoli dalla bustina.
" Tieni prendine uno, io ne ho a sazietà." disse sfoderando il suo sorriso sghembo.
" Grazie... " risposi esitante." Preferisci prosciutto o salame?" domandò.
" Prosciutto" decisi. Contro
Controllò quale fosse al prosciutto e me lo passò. Lo presi con le mani tremanti.
Iniziò a togliere la pellicola che li proteggeva, ed io lo imitai.
" Neanche a me non piace mangiare alla mensa. Come se non sbaglio già ti ho detto." disse prima di addentare il suo panino.
Annuì " Me ne hai parlato." risposi, prima di darne anche io un morso. Piccolo a sua differenza. Era buonissimo, era festa per il mio 
" Complimenti per lo chef! " dissi sorridendo.
" E' mia madre, ti ho già detto anche questo... Cucina davvero benissimo, la miglior cuoca che avessi mai incontrato, e non hai assaggiato le sue specialità!" annunciò fiero di sua madre. Ne parlava con ammirazione, come se fosse una dea.
" Ne sono convinta" risposi.
" Le faccio preparare qualcosa anche per te domani!" disse pensieroso.
" No, non deve disturbarsi per me, Edward. Non voglio"" Ma non è un disturbo, anzi a lei fa piacere cucinare, la cucina è il suo mondo e se non avesse solo me e mio padre starebbe sempre ai fornelli, è il suo mondo lì! " Disse, non permise che replicassi." E poi non ho detto che debba cucinare solo per te, ma anche io mangio molto volentieri il suo cibo." aggiunse.
" Sei figlio unico allora?" chiesi, curiosa, dopo un lungo momento di silenzio.
" Si... " credevo volesse aggiungere qualcos'altro ma non lo fece.
" Vivono qui i tuoi genitori? Qui a Seattle?" domandai, ero sempre più curiosa e avida di sapere cose che riguardassero lui, non riuscivo a giustificare questo mio comportamento. Presi un altro morso di panino, masticavo lentamente.
" Si, abbiamo una villa, loro vivono al secondo piano ed io al primo, può sembrare che abiatiamo insieme, ma non è così sono molto indipendente anche se in qualunque caso avessi bisogno di loro non esiterei a chiederlo... "
Annuì.
" Io invece ho promesso di non chiederti nulla, e quindi non lo farò... " disse quasi triste." Puoi farlo se vuoi" dissi, mettendo una mano davanti alla bocca, stavo masticando. " Puoi farmi delle domande, non su quello che abbiamo parlato questa mattina però, te ne prego."
" Certo, mi fa piacere parlare con te, facciamo una cosa, io ti faccio una domanda e tu ne fai una a me, ovviamente se le mie non ti piacciono o non ti va di rispondere puoi anche non farlo, ed io farò lo stesso... " annunciò.

" Mi sta bene" risposi addentando il panino.
" Ok, inizio io, visto che tu mi hai già fatto delle domande... "
" Dimmi sono pronta." sperai che tutte le sue domande avessero una risposta.
" Cosa avresti voluto fare da grande?" mi domandò. Facile e buon inizio, sapeva giocare bene le sue carte...
" Fino a poco tempo fa ho studiato al college magistratura avrei voluto lavorare in quel campo, mi sarebbe piaciuto seguire le stesse orme di mio padre, lui è un poliziotto a Forks. Mi sarebbe piaciuto far di tutto, impegnarmi per far rispettari le leggi, per battermi per una causa, fino allo stremo, è sempre stato il mio sogno più grande... "
" Mi sembra bello come lavoro... ora tocca a te farmi una domanda."
Bene. Non sapevo cosa chiedergli anche se nella mia testa vorticavano mille questioni che volevo risolvere insieme a lui.
" Prima hai tentennato quando ti ho chiesto se fossi figlio unico... volevo sapere il perchè, se posso..." chiesi molto ma molto timidamente, guardavo il panino quasi intatto.
" Solo una cosa, tu mangi io parlo, altrimenti la bocca verrà cucita... " disse facendo segno della tessitura.
Diedi un morso al gustoso sandwich per spronarlo a parlare.
" Così va meglio, - disse riferendosi al morso appena dato- ... " lasciò la frase in sospeso. " Qual era la domanda?" chiese, cercava solamente di prendere tempo, me ne ero accorta.
" Se non vuoi rispondere non fa niente, cambio domanda, non c'è problema, i patti sono patti." sussurrai.
" No, voglio rispondere, se non sbagli mi chiedevi perchè avevo tentennato alla tua domanda di prima, quelle del figlio unico, giusto?" disse deciso.
Annuì, il cuore iniziò a battermi forte, volevo sapere davvero la risposta e questo mi mandava in agitazione.
" Sono figlio unico perchè sono stato adottato."
" Oh" solo questo riuscì a rispondere, era l'unica cosa che le mie labbra riuscirono a pronunciare, non mi aspettavo una risposta del genere, pensavo perlopiù alla morte di un suo fratello, alquanto devastante anche questo, ma non mi aspettavo di ricevere quella determinata parola. " Mi dispiace" riuscì ad aggiungere.
" Non devi dispiacertene, sono stato molto fortunato ad avere Esme e Carlisle al mio fianco, non ricordo molto dei miei vecchi genitori, tutto molto confuso, ero piccolo quando mi hanno portato via da loro. E non ho contatti da quando gli assistenti sociali mi hanno affidato ai miei genitori attuali, per me sono dei veri e propri genitori, per loro provo amore e affezione, se dovessi incontrare i miei genitori biologici non proverei nulla per loro e non li riconoscerei neanche... " disse, qualche volta fermandosi per riprendere fiato e riordinare le idee.
" Non volevo farti una domanda del genere, avrei dovuto capire... scusa davvero... sono imperdonabile." sussurrai quasi in preda ad una crisi di pianto.
" Ehy, ehy, ehy, non preoccuparti se non avessi voluto rispodnere non l'avrei fatto sicuramente, mi andava di parlartene e l'ho fatto, non preoccuparti è un gioco no?! Abbiamo pattuito che avresti risposto e avrei risposto solo se avessimo voluto, ed io ho voluto. Va bene??!"
Annuì. Asciugando gli occhi con il dorso della mano libera. La fame mi era passata. Avevo mangiato poco più di mezzo panino e mi sentivo sazia. Lo richiusi nella pellicola.
" Non ne vuoi più? " chiese.
" No grazie. " dissi porgendoglielo. Lui intanto aveva finito da un pezzo il suo.
" Vuoi dell'acqua?" chiese.
" Si, grazie." mi serviva per sciogliere quel nodo che mi si era formato in gola.
Mi passò un bicchiere con dell'acqua dentro, ne bevve anche lui uno. Una volta ingoiato il contenuto posai il bicchiere sul comodino.
" Tocca a te, se vuoi... " annunciai.
" Mhm, si certo... vediamo un pò... Il tuo compleanno più bello." chiese infine dopo averci pensato per un pò di tempo. Sapevo che si trattenesse, avrebbe voluto anche lui farmi delle domande più approfondite e più soddisfacenti. Ma io non ero pronta come lui, forse perchè non avevo ancora metabolizzato tutto, tutto ciò che era successo in tre mesi. Un uragano aveva sconvolto la mia vita.
" Il mio compleanno più bello è stato a circa sette anni, ci siamo riuniti tutti in spiaggia , mi ricordo di aver ricevuto dei bellissimi regali, ma quello che più mi piacque fu un set per disegnare, c'erano più di cinquanta colori, tantissime tonalità, mi divertii davvero molto, c'erano i miei nonni, e tutte le mie amiche di scuola, loro mi regalarono il set, le ringrazia all'infinito, se ne avessi la possibilità lo farei anche ora. Come avrai capito mi piaceva e mi piace ancora disegnare. Mangiammo un pò di sabbia, per il vento che c'era ma fu una bellissima festa. " sorrise al mio racconto. Ero ancora immersa nel mio passato, in quella giornata bellissima, ed insostituibile.
Lo guardai negli occhi e lui fece lo stesso, fissavamo le iridi uno dell'altro, senza emettere parole nè suoni. Intorno a noi c'era solo il silenzio.
" Bella... " fu lui a prendere parola. " Mi chiedevo, perchè tu abbia scelto proprio me per ricominciare a parlare. Non che mi dispiaccia, anzi... ma sono curioso. " concluse. Abbassai lo sguardo, era una bella domanda e solo una poteva essere la risposta. Ne seguirono istanti silenziosi, sembravano passare secoli e non secondi. Quando trovai il coraggio in qualche regione sperduta della mia mente alzai il mio sguardo fondendo i miei occhi nei suoi. Era attento ad ogni mio movimento, sospirai prima di parlare.
" Edward, hai mai provato la sensazione di voler parlare assolutamente,con qualcuno? " chiesi gentilmente e scandendo ogni parola.
Annuì. " Si, mi è capitato." aggiunse.
" Alcune volte ti capita che delle parole vogliano uscire dalla tu a bocca che siano sfoghi e congratulazioni oppure un semplice racconto. Ti sembra impossibile non parlarne con la persone che ritieni capace di seguirti e capirti, comprenderti. Magari perchè ti ha colpito, oppure è speciale per te e rappresenta un punto fermo o semplicemente ispira fiducia. Ti è mai capitato?" Richiesi.
Annuì nuovamente sempre deciso e attento..
Abbassai gli occhi, e guardai le mie mani giocherellare con un lembo del lenzuolo. Passò più di qualche secondo del dovuto, inspirai e velocemente quasi a sfuggire parlai.
" Bene, perchè per me quel qualcuno sei tu... " dissi e alzai di nuovo gli occhi su di lui...

Fatemi sapere cosa ne pensate ;D

Rispondo alle recensioni:
Aniasolary: grazie mille, sei sempre molto gentile... un bacio!
oO_Oo: grazie per i complimenti davvero gentile... bacione...!
Bellina3000: Grazie , in parte ho spiegato perchè ha iniziat o a parlare... spero che questo capitolo ti piaccia e grazie!<3
VittoriaKF: Sarà veramente lunga non fermatevi alle apparenze cercate di capire la psiche dei personaggi, servirà nel futuro. Un bacio e grazie!
Sene: Sei dolcissima e gentilissima, ti rin grazio dal profondo. Avevo sbagliato io a scrivere Cullen, grazie per avermelo detto... ogni tanto divento sbadata (ogni tanto?!!)UN bacio!

Prossimo aggiornamento non prima di lunedì... devo lavorare ad altrio progetti, mi dispiace ma entro domenica taeser nel mio blog del nuovo capitolo...
Domanda: cosa volete fare da grandi? qual è il vostro sogno più grande??
Altrimenti se siete già " grandi" cosa avreste voluto fare?? l'avete avverato questo desiderio??

buon week end...

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Capitolo 7
*** Farfalle. ***


Buongiorno lettori.
Mi scuso per il ritardo, ma ho messo un avviso nel blog, per questo. Spero mi perdoniate.
E' solo che scuola, pc e scrittura non vanno molto d'accordo... mi dispiace, ma cercherò di essere sempre puntuale.

Vi avevo chiesto cosa sognate di diventare da grandi. Bhè io ho avuto molti sogni, ora sono due quelli fondamentali.
1- Diventare psicologa pedagogica. E' una psicologa che cura la psiche dei bambini, esclusivamente. Mi piace tantissimo e mi appassiona.
Non sogno di diventare scrittrice, questo pensiero non mi ha mai sfiorato, nemmeno minimamente.
2 quello di avere una famiglia... e avere dei figli, i bambini sono la mia passione più grande.
Passiamo al capitolo, spero vi piaccia.

Buona Lettura.

Minuti di selenzio susseguirono quella confessione, minuti di imbarazzo totale, o almeno da parte mia. I miei occhi dopo millesimi di secondo guardarono giù. Troppo forte la sua espressione.
Continuavo a fissare le mie mani, giocavano con un lembo del lenzuolo. Era più facile che perdersi nella profondità degli smeraldi. Mi sentivo osservata, fastidiossisima sensazione, ma inevitabile per la situazione che si era venuta a creare. Altri secondi, forse minuti passarono, sentivò le mie guance arrossire e farsi sempre più calde, ed ero a conoscenza del fatto che Edward se ne fosse accorto. Forse ciò non fece che aumentare il mio stato di imbarazzo.
Malgrado ciò, non riuscivo a giustificare la mia fiducia in lui, era naturale quasi istintivo parlargli del mio passato, non l'avevo mai fatto con nessun e sorprendevo me, più di quanto facessi con gli altri. Il cuore batteva forte in petto, lo sentivò premere insistentemente sullo sterno, sembrava voler uscire dal torace, volare via. E infine delle maledette farfalle nello stomaco, il mio corpo stava reagendo inconsapevolmente a qualcosa che neanche io sapevo spiegarmi.
Edward tossì, forse per necessità o forse per richiamare la mia attenzione. Le mie mani smisero si muoversi insistentemente. I miei occhi erano nei suoi, nuovamente. Leggevo in lui sorpresa, compiacimento e dolcezza.
" Bella, mi fa piacere che tu abbia scelto me, ne sono sorpreso e compiaciuto nello stesso momento" disse sorridendo. Tirai un sospiro, con il fine di calmare il cuore che a quelle parole non fece altro che aumentare i battiti.
" Non so perchè ho deciso di parlare con te, ma lo sentivo, dovevo farlo, era istinivo. La mia ragione mi sussurrava che tu non mi avresti tradito, le mie parole non sarebbero uscite da questa stanza. Il subconscio non ha mai torto." parlai velocemente. Lo vidi prima confuso, poi quando mise a fuoco ogni singola parola e infine il significato della frase intera i suoi occhi si illuminarono.
" Ne sono onorato. Ti ringrazio della tua fiducia in me, e devi sapere che non dirò mai nulla a nessuno, la tu fiducia ha scelto la persona giusta... " sussurrò.
" Viva la modestia." risposi, sorridendo e alleggerendo l'aria.
" Oh si, grazie. E' sempre stata una mia fondamentale caratteristica. " aggiuse in fine una linguaccia.
" Come siamo spiritosi dottor Edward Cullen" sapevo che ad essere chiamato con il cognome dava fastidio, lo feci di proposito. Conclusi con una finta risata. A smorzarla un lungo sbadiglio.
" Scusa." dissi, mettendo la mano alla bocca, come per nascondere quel gesto.
" No, scusa tu, è tardi, tardissimo ed io ti sto intrattenendo quando dovresti dormire."
" No, davvero la tua compagnia mi aiuta molto!" dissi di botto, senza pensarci.
" Ne sono felice, ma anche io devo andare, il mio turno è finito da un pezzo ed i miei genitoti si staranno chiedendo dove sarà il loro unico figlio... Non viviamo insieme mami controlano ancora molto... " disse quesi imbarazzato.
" Bhè, i genitori sono sempre i genitori!" aggiunsi io.
" A proposito di genitori, io non dirò nulla ai tuoi, ma aspetto che tu lo faccia molto presto. Promesso? " chiese speranzoso.
" Non te lo posso promettere Edward, inizierò a parlare un giorno, anche con loro, questo posso prometterlo... ma non immediatamente." confessai.
" Un passo alla volta. " parlò più a se stesso che a me.
Annuì. " Arriverà il momento che mi apra anche con loro, ma non ora, non immediatamente." conclusi.
" Come vuoi, l'importante è che tu sia decisa e felice delle tue scelte, come ti ho detto non voglio interferire." Disse e si alzò. " Mi ha fatto piacere parlare con te"
" Anche a me" ribadii.
" Buonanotte Bella, a domani." ormai era vicino alla porta, l'aprì e sgusciò via.
" Arrivederci dottor Cullen." sussurrai qualche minuto dopo, al buoio e nel dormiveglia. Pochi secondi dopo ero nel mondo dei sogni, stanca e spossata.
Il sonno fu tranquillo, fortunatamente, la stanchezza aveva fatto effetto. Ricordo solo che nel dormiveglia avevo pensato alla profondità del verde dei suoi occhi, della prima volta che si erano posati su di me, e delle sensazioni che ogni volta che mi guardava insistentemente mi inebriavano.
La mattina, fui svegliata dai raggi solari che entravano insistentemente all'interno della stanza, erano caldi ed arrivavano fino al mio letto riscladando il mio volto.
Il cinguettio degli uccelli era rilassante, in fin dei conti eravamo a Maggio, adoravo quel mese.
Strizzai gli occhi per un paio di volte prima di ridurli in fessure poichè i raggi davano fastidio. Li chiusi definitivamente, beandomi ancora di quel calore.
La porta si aprì e si richiuse, non avevo voglia e non mi importava di chi fosse entrato nella stanza, ero ancora assonnata e troppo rilassata per aprir semplicemente gli occhi. 
" Siamo sveglie?" chiese una voce, tanto bella e intonata quanto quella degli uccellini.
" Mhm... " mugugnai. L'avevo riconosciuto. Era Edward.
" Posso andare, sono solo venuto ad avvisarti di alcune novità... " disse.
" No!" inveii. Sempre e costantemente con gli occhi chiusi. " Non andare, lascia che mi riprenda." dissi. Mi stiracchiai, allungano ogni mio muscolo, facendo attenzione a non
muovere la gamba destra. Aprì finalmente gli occhi. Era affascinante come sempre. I capelli rossiccierano scompigliati, ma nel loro disordine bellissimi, gli occhi sempre più lucenti e brillanti. Indossava, sotto il camice, una camicia a righine lilla, con dei pantaloni blu ,sempre perfetto. Sentivo ad una distanza di poco più di un metro il suo odore, era dolce sapeva di ... miele.

Mi sorpresi dei miei pensieri sulla sua perfezione, era così ma perchè sottolinearlo?!
" Ripresa?" chiese sorridendo divertito.
Annuì energicamente. " Già qui, dottor Cullen?" domandai in tono formale.
" Si, i turni devono essere rispettati... purtroppo." si sedette accanto al mio letto sulla sua sedia.
Mi alzai, aiutandomi con i gomiti, mi misi seduta, infine.
" Mi dispiace averti fatto fare tardi, ieri sera, saresti più riposato ora..." mi scusa, sentivo il bisogno di farlo.
" Non preoccuparti, sono stato io a venire qui, sono soddisfatto punto!" disse sempre dolcemente.
" Cosa dovevi dirmi...??" chiesi, curiosa e cambiando argomento.
" Il tuo programma per oggi" rispose, vagamente. " Quello che farai durante la girnata... " tradusse sotto la mia espressione scettica.
" Si, ma questa tua aggiuta non toglie il fatto che io non sappia di cosa si tratti il mio programma" dissi seccata, forse ero esagerata, non forse ma certamente.
" Si, calma. Ora ti spiego." continuò sorridendo e capendo il mio imbarazzo momentaneo. " Allora dopo colazione, che poi l'ora della colazione è già passata da un pezzo,
potrai vedere i tuoi genitori, li ho sentiti prima, vengono" aggiunse alla mia espressione interrogativa." dopo di che, c'è il pranzo, dopo la fisioterapia, con la dottoressa Hale.
Non ti sarà possibile vedere i tuoi parenti nel pomeriggio, poichè impegnata a riassestare il tuo povero ginocchio... " concluse con una risata. Quando finì continuò a parlare. " Visto che la colazione non l'hai potuta avere perchè dormivi come un ghiro, se vuoi ti porto qualcosa dal bar qui sotto. Sono a tua completa disposizione, anzi a me piace molto il cornetto alla crema ne prendo due??" domandò scrivendo sulla cartellina.

Annuì affamata. " Grazie mille... "
" Di niente... ed ehm, cioccolata o crema?" chiese alzando gli occhi su di me.
" Cioccolata, ho proprio voglia di cioccolata!"
" Allora vado.Torno subito" e uscì.
Nella sua assenza non stetti al mio posto buona.
Mi alzai per dirigermi in bagno. Mi aiutai mantenendomi sul comodino e appoggiandomi ai muri, cecavo di saltellare su un piede, e ci riuscì ad arrivare integra al bagno. Mi guardai allo specchio una ragazza con il volto stanco e un livido , piccolo ma visibile, poco più su della tempia ricambiò lo sguardo. Sciacquai energicamente la faccia, indugiando sugli occhi che erano contornati da occhiaie profonde. Presi uno degli asciugamani che mia madre aveva sistemato nel bagno il giorno prima e mi asciugai con delicatezza il volto.
Stavo tornando al letto, saltellando sul piede sinistro quando vicino alla porta del bagno, inciampai nel mio stesso piede, non ero molto famosa per la mia stabilità e il mio equilibrio.
L'impatto arrivò, purtroppo, arrecando altri danni al quello che era rimasto del mio scheletro, già antecedentemente torturato.
Mi ritrovai con il petto a terra, il ginocchio che pulsava sempre più forte e i polsi che mi dolevano, avevo cercato di sostenermi con le braccia nella caduta. Vanamente.
Cercai più volte di alzarmi , ma la mancanza di appoggi rendeva tutto più difficile. La rotula faceva male, maledettamente. Boccheggiavo per il dolore, che oltre a quello della
caduta si era unito a quello per lo sforzo di rialzarmi. Aspettai con la guancia sul pavimento freddo qualcuno che mi recuperasse. Sperai per la prima volta in Edward.

Dopo poco riuscì a sedermi, e aspettai in un tempo che a me parse infinito l'arrivo dei "soccorsi". Respiravo pesantemente e sentì a malapena qualcuno entrare in stanza. Il
bagno era ovattato dai rumori, si sentiva a stento ciò che succedeva fuori.

" Scusa, Bella, ma c'era fila... Bella dove sei?" urlò, le ultime parole. Sentivo il suo tono spaventato. Per la prima volta.
" Bella " ripetè alzando la voce. Solo in quel momento mi venne in mente che ero anche io provvista di parole.
" Sono qui, aiutami per favore!" urlai, troppo.
La porta del bagno di aprì, rilevandone la figura slanciata del mio dottore, che corse velocemente verso di me. Con grandi falcate si avvicinò.
" Tutto bene?" chiese, preoccupato.
" Si, non preoccuparti, per favore potresti aiutarmi ad alzarmi?" domandai timidamente.
" Certo, su vieni" disse, si avvicinò a me, e mi prese in braccio. Ringraziavo quel gesto, ma ciò non fece diminuire il ripugno che provai a quel tocco. Era involontario, non
ero io a volerlo.

" Ahio " sussurrai, quando mi alzò da terra, il dolore se possibile al ginocchio si era intensificato. Ogni movimento se pur minimo faceva dolere il mio arto.Mi portò senza problemi fino al mio posto, sembravo una bambina tra le sue braccia.
Cercavo di non toccare con il mio busto il suo, cercavo di limitare il nostro contatto, avevo paura, una paura matta.
Mi ripose sul letto, guardando negli occhi.
" Come va??" chiese comprensivo.
"Abbastanza bene... " mentì.
" Non si direbbe , sai, dalla tua espressione contratta" annuncuò, con un mezzo ghigno in volto. Non mi ero accorta che avevo corrugato la fronte, la rilassai
immediatamente.

"Non preoccuparti, sto bene. Grazie Edward per avermi aiutata." lo ringraziai guardandolo negli occhi.
" Di niente, sei sicura che non hai sbattuto niente durante la caduta?? " domandò.
" No, no" e contemporaneamente scossi la testa, non permettevo repliche. Il mio stomaco brontolò.
" Ho fame, tu non avevi preso i cornetti...??!" chiesi con tono interessato, la verità era che inoltre ad avere fame, volevo concentrare la sua attenzione su altro e non
ripetutamente su di me.

" Si, certo. Eccoli- si alzò, prendendo una bustina di carta bianca chiusa all'estremità superiore, e due bicchieri infilati in un portabicchieri rosso.- ho preso anche una
cioccolata, pensavo ne avessi voglia..." disse dolce.

" Oh, grazie mille Edward, non dovevi... " rimasi di stucco, mi impressionavo e sorprendevo ogni volta per i suoi gesti infinitivamente dolci.
Scrollò le spalle risedendosi accanto al mio letto. Appoggiò il portabicchieri rosso sul comodino, dove c'erano anche dei miei oggetti personali, aprì l'involucro di carta che
conteneva i cornetti e me ne passo uno.

" Tieni questo è tuo... " sorrise.
" Grazie mille." finì prima di dare un morso. La pasta era dolce e soffice, buonissimo.
Anche Edward intanto aveva addentato il suo, la differenza fu che lui ne mangiò quasi la metà, lasciando la marmellata sulle labbra.
Sorrisi, e per farlo quasi mi strozzai.
" Cosa ridi?" chiese, masticando.
" Nulla, ha solo della marmellata intorno alle labbra." e scoppiai a ridere.
" Ah... " disse pulendosi con un tovagliolo." E' solo che quando non magio la mattina, quando non faccio colazione divento matto e molto affamato, credo che tu te ne sia accorta... " aggiunse ridendo insieme a me. Diedi un altro morso, continuando a fissarlo, mangiava con grazia anche se velocemente. Bhè lui era aggraziato in tutto ciò che faceva.
" Perchè mi fissi?" chiese accorgendosi del mio sguardo in lui. Bella domanda...
Perchè lo guardavo?
Dovevo rispondergli quello che avevo pensato, alla sua grazia nei movimenti?
No, non era la risposta giusta.
Scrollai le spalle, come aveva fatto lui pochi minuti prima. Incapace di parlare. Incapace di mettere in cosruzione un periodo.
Continuai a mangiare il mio cornetto, mentre lui prendeva un bicchiere dei due,m straboccava di schiuma bianca.
" Ti piace il cappuccino?? " domandò, prima di iniziare a sorseggiare la sua bevanda.
" No, non tollero il caffè... " risposi gentilemente, prima di affondare i denti nell'ultimo pezzo della mia colazione "solida".
Mi passò la mia cioccolata calda, anche quella era dolcissima, ero sicura che dopo quella colazione gli zuccheri nel sangue fossero saliti fino alle stelle.
" Ne vuoi un pò?" chiesi prima di berla.
" No, grazie.Preferisco il cappuccino." disse.
Scrollai le spalle iniziando ad ingurgitare la cioccolata, lentamente, scottava e non poco.
" Oggi niente domande dottor Cullen?" chiesi faccendogli la linguaccia.
" Mhm, se ne hai tu per me, le puoi fare... "disse esitante.
" No, non in particolare. Anche tu se vuoi puoi farmele." aggiunsi.
" Neanche io ho domande in serbo per te, ma ci sto pensando... " parlò facendosi serio.
" Sono pronta, quando vuoi." sorrisi, terminando.

Quasi due ore dopo, quando la nostra colazione era finita ed Edward aveva portato con sè tutto i rifiuti non prima avermi fatto prendere le pasticche, entrò in camera mia, mia madre seguita da mio padre.

" Bella, come va?" chiese, abbracciandomi.
Presi il quaderno dal cassetto del comodino e iniziaia a scrivere. Con loro non volevo parlare, non mi sentivo ancora pronta per un passo del genere.
Bene. Scrissi sul foglio.
" Scusaci non siamo potuti venire ieri, ma abbiamo avuto dei problemi, ci scusi vero?" iniziò a blaterare troppo velocemente per i miei gusti." E tu sei stata bene?" domando
infine.

Si, non preoccuparti, sono stata bene. Scarabocchiai sul quaderno.Mi accarezzò i capelli, fino a depositare un bacio sulla fronte.
" Mi sei mancata tanto in questi giorno, Bella. A casa senza di te nell'ultimo anno non è più lo stesso. Quando uscirai di qui, torneremo insieme a Forks. Te lo prometto..." disse sulla mia fronte.
Davvero?! Scrissi velocemente sul foglio.
" Davvero. Basta con la clinica."
Le baciai la guancia, felice di questa notizia. La strinsi a me, respirando il suo profumo, così familiare che mi era mancato tantissimo.
" Starai con noi, che tu riprenda o no la parola, non importa, non ti faremo vivere più in quello strazio, è un posto troppo triste per una ragazza di ventitre anni." concluse.
Grazie. Però in fin dei conti non era tanto male, non era assolutamente uno strazio vivere lì, stavo bene, nella mia solitudine, ma ci stavo bene.
Entrò anche mio padre in camera, si era allontanato per comprare del caffè a mia madre.
" Già data la buona notizia?" chiese sorridendo.
Annuì. E mia madre aggiunse: " Si, già data."
Le passò il caffè che iniziò a sorseggiare lentamente.
" Ne vuoi un pò?" chiese.
Scossi la testa in segno di negazione, avevo già fatto colazione a base di cioccolata. Meglio non scriverlo però!
Come va a Forks?! Chiesi tramite il quaderno.
" Abbastanza bene. Come sempre. E' tutto tranquillo." parlò mio padre. Uomo di poche parole.
Annuì, cosa sarebbe mai potuto accadere in una cittadina estremamente piovosa nello stato di Washington, con meno di tremila abitanti?!
Poco dopo, poco più di mezz'ora, entro in camera il dottor Cullen. Successivamente aver salutato cordiale i miei genitori, parlò loro.
" Vi devo avvisare che l'ora di visita è finita da circa dieci minuti e vi devo invitare ad andar via, mi dispiace." si scusò, anche se malgrado non ce ne fosse bosogno.
" Si, ora andiamo." dissero all'unisono i miei genitori.
Edward sorrise loro. Mia madre si avvicinò a me abbracciandomi e dandomi un bacio sulla guancia.
"Stasera ci hanno detto che farai fisioterapia, e quindi non possiamo vederti, ma ci vediamo stasera, va bene?" sussurrò al mio orecchio.
Annuì.
" Ti voglio bene" e mi strinse.Io le schioccai un bacio sulla guancia, come aveva fatto lei pochi secondi prima.
"Ciao, Bella." dissero andando via.
Edward rimase in camera, chiuse la porta quando i miei genitori uscirono dalla stanza.
" Come va?" chiese avvicinandosi al letto.
" Abbastanza bene." sussurrai, non volevo che i miei genitori ancora vicini, potessero sentirci.
" Il ginocchio?" chiese premuroso.
" Non fa più male come prima."
" Bene, Bella, io devo andare, il mio turno è finito, dovrò riattaccare stasera..." Avvisò.
Annuì." Ci vediamo tra un pò, e cerca di non farti male!" disse sorridendo.
" Non preoccuparti, starò bene. Me la sono cavata per i primi miei ventitre anni." e gli feci una linguaccia. Era incredibile quanto lo conoscessi da poco e quanto il nostro rapporto sembrasse quello di due vecchi amici.
" Allora a stasera" cercava di prendere tempo.Mi chiesi il perchè.
"Arrivederci." Lo salutai.
Quasi deluso mi sorrise e andò via.
Interrogativa sul suo comportamento, presi il quaderno giallo e iniziai a disegnare. Disegnare per me rappresentava un modo per estraniarmi dal mondo, e ci riuscivo egregiamente. Iniziai a fare disegni colorati e divertenti, astratti. Non sapevo spiegarmi come le mie mani si muovessero così liberamente quasi senza sosta su un foglio con un carboncino o semplicemente una matita tra le dita e iniziassero a scarabbochiare, linee curve, dei volti, oggetti astratti. Era il mio mondo parrallelo, dove potermi nascondere eni momenti tristi come in quelli più spensierati e positivi.
Non sapevo come tradurre la mia felicità verso ciò che mi aveva detto mia madre non sarei dovuta ritornare in clinica, e forse questo mi spinse a colorare, disegnare ed essere felice.
Che bello! Non sarei più dovuta stare con quelle povere persone, nelle quali pochi giorni prima c'ero stata anche io.


Grazie per essere arrivati fin qui. Significa che mi sopportate xD
Rispondo alle recensioni:
Aniasolary: anche per me all'inizio era un segreto, quello di diventare psicologa, mia madre era convinta che volessi fare la biologa, ma poi ritornando sul discorso, un giorno una signora disse a mia madre " sua figlia cosa vuole fare invece" mia madre " la biologa" , in disparte dissi a mia madre che non era assolutamente più vero e che volevo fare la psicologa. Spero di farcela anche io, e tanti auguri anche a te! Un bacio!
Bellina3000: mi fa piacere che ti sia piaciuto il prcedente capitolo. Chi non sognerebbe di avere un medico così... *-* ahaha, 'per sapere cosa è successo dovrete aspettare ancora un pò... un bacio!
Sene: Grazie mille per la tua recensione e disponibilità! Perchè irrealizzabile? Entrare nella marina polizia o esercito. Tutto è possibile , devi metterci solo un pò più di impegno. Un bacio e a presto!

Domanda: Qual è il vostro mondo parallelo?? In cosa o in chi vi rifugiate nei momenti particolarmente positivi e negativi?

Al prossimo aggiornamento, Many!

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Capitolo 8
*** Sorpresa. ***


Buonasera a tutti, lettori.
Mi scuso per il ritardo e non aggiungo altre chiacchiere.

Il vostro mondo parallelo è Twilight. Il mio , no. Mi piace molto la saga, ma di certo non è la migliore che io abbia letto. Mi piace leggerlo e anche scriverci, ma assolutamente non è il mio libro preferito ( è solo il terzo XD), io mi rifugio nella lettura in generale, basta che ci siano delle parole in catena e sono felice così! Un'altro mio modo per estromettermi è me stessa, inizio a pensare, mi rifugio in me stessa, in poche parole.

Per gli aggiornamenti credo si ridurrano a uno massimo due alla settimana. Mi dispiace ma ho tantissimi impegni =(.

Buona lettura.

"Domani ho una sorpresa per te" disse improvvisamente.
Inclinai la testa, e con sguardo interrogativo continuai a guardarlo.
"Domani, lo saprai" aggiunse, sorridendo, e capendo la mia curiosità.
" Aspetterò." sussurrai infine, arrossendo.

Qualche ora prima.
La fisioterapia era andata abbastanza bene, gli esercizi che mi aveva fatto fare la dottoressa Hale mi avevano aiutato molto, o forse era troppo presto per dirlo e la mia era solo una sensazione e auto-convincimento.
La dottoressa Hale era una ragazza, appena trentenne, bellissima e con un aspetto fisico da invidiare. Era magra ed alta con capelli lunghi e biondi, e gli occhi color ghiaccio. La tipica ragazza sulle riviste di moda, o addirittura da far individia alle "modelle" sulla copertina di Play-boy.
Mi aveva fatto fare degli esercizi, inizialmente avevo provato dolore, ma man mano si era affievolito donandomi sollievo. La stanza dove avevo eseguito gli esercizi era rettangolare e contenente tanti attrezzi, le pareti erano di un giallo pastello, c'erano tante persone che facevano fisioterapia, bambini e anziani compresi, quello che mi colpì di più fu un bambino, su una sedia a rotelle era nato con delle malformazioni, e nei giorni precedenti era stato operato, sorrideva anche se il dolore era molto da sopportare, malgrado i punti e il bruciore. Riusciva a sorridere, malgrado tutti i suoi problemi. Lo invidiai per tutto ciò.
Io non riuscivo a sorridere dopo quello che mi era successo, non riuscivo a lasciare alle mie spalle i miei traumi e le mie paure.
I bambini sanno farlo, gli adulti no.
Rosalie, la doressa Hale,mi aveva spiegato tanti esercizi da fare, e mi aveva aiutata in quelli più
difficili. Era stata molto gentile, cordiale e paziente.
Mi aveva messo un sostegno per la rotula, che mi sottraeva al dolore, e mi aiutava molto, mi aveva spiegato che in qualche giorno sarei riuscita a camminare, non come prima e non prima di aver fatto tutte le sedute,ma diceva che sarei riuscita a badare a me stassa senza l'aiuto di nessuno.
" Ci vediamo domani, Bella." mi salutò, mentre un'infermiera mi portava in camera.
" A domani." risposi sorridendole.
L'infermiera mi trainò via fino alla mia camera, dove mi aiutò a salire sul letto.
Biascicai un "grazie" e andò via sorridendomi, portando con sé la sedia a rotelle.
Mi stesi sbuffando per la noia, avevo disegnato per tutto il pomeriggio e non potevo dedicarmi sempre ad una sola attività, avevo fatto circa cinque disegni, ed ne ero stanca di carboncini e pastelli. Magari avrei voluto chiacchierare con qualcuno, magari Edward, visto che era l'unico con cui non dovevo usare le mani.
Ma Edward non era ancora in servizio ed Alice, con la quale riuscivo a parlare, anche se attraverso la scrittura, in quel giorno non avrebbe messo piede in ospedale.
Mi lasciai andare, facendomi sopraffare dalla noia di quel posto. Il naso ormai si era abituao allla continua "puzza" del disinfettante che imprimeva tutti i luoghi.
Gli uccellini continuavano a canticchiare fuori dalla finestra, avrei voluto avvicinarmi per vedere cosa c'era al di fuori di quella stanza. Forse un giardino, un grandissimo giardino con tante panchine, alberi e una grossa fontana, o forse quella era solo la mia immaginazione e all'estrerno tutto era ricorperto di asfalto, nero e duro. Un grosso parcheggio, sicuramente facava bella mostra di sé con tanto di auto lussuose, oppure semplici.
Non facilmente sarei riuscita ad arrivare alla finestra , e soprattutto senza sostegni nè altro. Non volevo fare la stessa fine delle ore precendenti, in quel fragente non ci sarebbe stato nessun Edward a salvarmi.

Un'ora dopo un'infermiera giovanissima, mi aveva portato il cibo, la mia cena. Quella sera non avrei pranzato con Edward come era successo precedentemente.
Mangiavo lentamente e svogliatamente dei "ravioli" ( se così potesse essere chiamata della pasta con un misero quantitativo di ripieno). Ma a salvarmi dalla mia triste sorte c'era sempre lui, c'era Edward.
Sentì bussare alla porta tra un boccone e l'altro. A farne capolino fu la testa di Edward.
" Ciao," disse in tono allegro.
" Ciao" sussurrai, la porta era ancora aperta, c'era sempre qualcuno pronta a sentirmi.
Dopo la testa anche il resto del corpo entrò in camera. Chiudendola alle spalle. Aveva tra le braccia un vassoio pieno di cibo, si avvicinò cautamente al letto.
" Non preoccuparti di saziarti con quel cibo, ne ho fatto preparare in più da mia madre, speravo potessimo condividerlo... " disse discreto, cauto.
" Oh, grazie, ma non dovevi." risposi prontamente, non mi piaceva che gli altri si occupassero in qualche modo di me.
" Ne è troppo, ed io non potrei mai mangiarlo da solo, infine mia madre mi ha espressamente detto di non portare i resti a casa, quindi possiamo far festa questa sera!" sorrise.
" Grazie, davvero."
Successivamente si sedette sulla sua sedia, poggiò il grande vassoio sul comodino, ci stava a malapena su, e tolse, infine , il mio dalle mie gambe. Spostandolo a terra.
" Vediamo da cosa iniziamo??" chiese più a se stesso che a me, ma intanto scrollai le spalle.
" Spero che le porzioni non siano eccessive, altrimenti davvero dovrai riportarti degli avanzi a casa, " risposi scherzando.
"Non preoccuparti sono moderate!" scherzò anche lui tenendo però lo sguardo basso, sul vassoio.
Prese due piatti e ne passò uno a me.
" E poi se dovessi non farcela non preoccuparti, e non esitare a lasciarlo." disse risedendosi al suo posto. Lo guardai interrogativa.
" Conoscendoti, saresti disposta a riempirti fino a scoppiare e non dire semplicemente che è troppo per te!"
Scrollai le spalle, facendogli la linguaccia.
Il cibo adagiato sul piatto era davvero invitante, dell'acquolina mi si formò in bocca. Era della pasta con una cremina semi traparente sopra e dei piccoli pezzettini di prezzemolo, l'odore era buonissimo, e tutto era
sorprendentemente caldo.

Ne portai alla bocca un boccone, l'aspetto non rendeva il sapore. Era squisito!
" Potrei sapere che condimento c'è? " chiesi, curiosa.
" Si, certo- disse asciugandosi la bocca con un tovagliolo- è crema di funghi, la fa esclusivamente mia madre, e non di certo quelle discustose creme già fatte... che ne dici?" domandò infine.
" E' buonissima, tua madre è bravissima... davvero, vorrei dire lo stesso della mia ... " e scoppiai a ridere, pensando alle "doti" culinarie di mia madre.
" Non è tanto brava?" chiese, curioso, mettendo in bocca altrsa pasta.
" No, diciamo che cucina è non è il suo ponto forte, decisamente, cucinavo io per loro, sono abbastanza brava, perlomeno migliore di lei, " dissi tutto di un fiato." E poi non mi spiego come abbiano fatto a sopravvivere
quest'ultimo anno..." conclusi, addentando altra pasta, troppo buona.

" Nell'ultimo anno?" chiese titubante.
" ah, si certo tu non lo sai... Nell'ultimo anno ho vissuto a Seattle, credevo di avertene parlato quando ti ho detto dell'università..." aggiunsi.
" Si, me ne hai parlato, per seguire il tuo ex-fidanzato" terminò.
" Si, lui, proprio lui. " dissi facendo una smorfia.
" Perchè dici così, te ne sei pentita?" Domandò.
" Cosa? Scusa non ti stavo seguendo." ero persa nei miei pensieri, a Jacob , a Seattle, all'incubo.
" Dicevo, ti sei pentita di essere venuta qui a Seattle, qui con il tuo ex-fidanzato?" ripetette tranquillo ma cauto.
" No, pentita del tutto no. E' stata comunque una nuova esperienza per me, vivere lontano dai miei genitori, con un uomo al tuo fianco e indipendente completamente. Certamente se tornassi indietro rifarei la stessa scelta, ritornerei a vivere qui, al fianco di Jacob, ma non farei alcune scelte che hanno condizionato troppo la mia vita, concessioni incluse." mi stavo confessando sempre di più, ormai Edward era diventato come sacerdote, a cui dici tutto, per poi sentirti più pulita, e forte. A poco a poco stava facendo uscire dalla mia bocca cose, argomenti di cui non avrei mai parlato con nessuno. Mai.
Mi guardava ammaliato, come se fossi l'unica su questa terra.
Ormai nessuno mangiava più, e la pasta giaceva inerme nel piatto. Presi io l'iniziativa imboccandomi nuovamente.
" E credo proprio tu mia stia portando nel campo minato della mia vita, quindi per ora basta riferimenti a Jacob o a questa città, siamo intesi?" dissi quasi arrabbiata, ma meglio essere diretti no?!
" Scusa, non volevo portarti a parlare del tuo fidanzato, sono solo le circostanze ad averti portato a parlarne, e poi non avevamo promesso che se una domanda era poco piacevole non ci sarebbe stata una risposta?? "
chiese sorridendo e contemporaneamente soffermandosi a masticare.

" Si avevamo promesso così, ma uno, non mi andava di fermare la nostra conversazione, due, con te riesco a parlarne facilmente."Scrollai le spalle alla fine.
" Mi fa onore essere la tua persona di fiducia, Bella. Non sai quanto." aggiunse, posando la forchetta nel piatto ormai vuoto.
Gli sorrisi, come fanno due vecchi amici.
Dopo un lungo momento di silenzio sbottò: " Passiamo al prossimo piatto?" chiese notando che anche il mio era completamente vuoto. Annuì.
Anche ilo secondo piatto fu buono quanto il primo. Era tacchino, con contorno di funghi. Squisito.
" Ti ho già detto che tua madre è bravissima??" domandai sarcastica.
" Credo tu me ne abbia accennato." disse sorridendo.
" Cosa fanno i tuoi genitori?" chiesi.
" Sono medici entrambi."
" Quindi tu hanno fatto conoscere fin da piccolo la medicina?" domandai.
" Si, in un certo senso, ma non ho scelto di diventare medico per compiacero loro, mi avrebbero sostenuto qualunque facoltà avessi scelto, ma la medicina mi è sempre piaciuta, come mi piace ancora e quindi ho optato
per questa facoltà, non dico che sia stato facile, ma sono contento di come ho superato tutti gli ostacoli che ho incontrato" terminò, aggiungendo un sorriso.

" Ne sono sicura..." risposi più a me stessa che a lui. " Diventare medico non è per nulla facile."
" Hai intenzioni di continuare a studiare magistratura?" chiese, ingurgitando del tacchino.
Annuì, prima di aggiungere: " Si, ho intenzione di continuare a studiare magistratura, voglio laurearmi, per poi iniziare a lavorare; continuerò a stare qui, dopo che tutto questo sarà finito. Non voglio vivere a Forks per sempre, nè tantomeno pesare economicamente sulle spalle dei miei genitori, come ti ho detto voglio essere indipendente a tutti gli effetti"
" Credo sia giusto, e sensato"
" Edward Cullen, tutto ciò che dico è sensato!" scherzai.
" Non lo smentisco! " disse strizzando l'occhio.
Passarono minuti di silenzio in cui solo il rumore delle stoviglie e dei nostri respiri faceva da sottofondo. Continuavamo a mangiare, guardavo lui, alternando lo sguardo al piatto per non sembrare troppo indiscreta.
Un melodia iniziò a diffondersi nell'aria, era il cellulare di Edward. Lo estrasse dalla tasca del camice, guardò prima il display, successivamente rispose.
" Pronto?" chiese.
Qualcuno parlò all'altro capo della cornetta.
Annuiva, rispondendo di tanto in tanto qualcosa, ma non riuscì a capire con chi e di che cosa stessero parlando.
Terminò la telefonata,  pigiando il tasto off.
" Era tua madre, mi ha detto che in questi giorni c'è uno sciopero dei trasporti qui a Seattle, e visto che l'albergo è lontano credo che domani non potranno venire qui a trovarti."
Annuì alle sue parole.

Posò il cellulare nella tasca del camice.
" Ha aggiunto che vedranno se possono venire domani nel pomeriggio, se riusciranno a spostarsi, anche se i taxi non sono in servizio, e che lo sciopero dovrebbe finire domani... Ma è sicura di rivederti dopo domani." finì.

" Quindi, domani resterò da sola?!" chiesi, intimorita da quel pensiero.
Annuì, gli occhi gli si illuminarono.
"Già ne ero a conoscenza," annuiva, grattandosi il collo, leggermente e delicatamente.
"Come fanno i miei genitori ad avere il tuo numero di telefono, Edward?" sapevo glielo avesse dato lui, ma volevo una conferma ed una spiegazione del perchè.
" Glielo ho dato io stesso, ovviamente, se per caso dovessi dirgli qualcosa oppure tu avessi avuto bisogno di loro, avrei potuto rintracciarli facilmente. Come è successo a loro in questo caso."
Annuì. Soddisfatta.
" I tuoi genitori, invece, cosa fanno?" Chiese, forse la curiosità aveva colpito anche lui.
" Mio padre è poliziotto a Forks, invece mia madre insegna ad una scuola di ballo, sempre nella stessa cittadina. Ha apeto una scuola,"
" Quindi tu sai ballare?" chiese.
" Io?! No, assolutamente no, sono tutt'altro che aggrazziata, ho provato per un pò a ballare e seguire dei corsi che impartiva mia madre e le sue colleghe, ma inutilmente, non sono mai stata brava, e direi che non sono affatto portata per nessun tipo di sport, troppo goffa e imbranata." spiegai sorridendo più volte.
"Io non credo," esprimette la sua opinione.
" Non mi hai vista ballare, e fortunatamente neanche camminare sono capace di inciampare nei miei stessi piedi, no l'attività fisica non fa per me." scoppiai a ridere ripensando alle infinite volte che ero finita in
ospedale per una stupida caduta.

" Tu invece, hai mai fatto attività sportiva?" chiesi poi, finendo finalmente il tacchino, accompagnato ai funghi.
" Io, si. Ho praticato vari sport, ho iniziato con il basket, poi nuoto, hokey su ghiaccio, mhm... ed anche pattinaggio sul ghiaccio... " disse abbassando gli occhi. Sembrava... imbarazzato.
" Credo sia un bellissimo sport il pattinaggio. Per quanto tempo l'hai praticato??" domandai, cercando il suo sguardo.
" Per due anni, è stato lo sport più divertente di tutti, e mi piaceva tantissimo, poi ho iniziato a suonare il pianoforte e addio sport, non riuscivo a far combaciare tutti i vari orari, era difficilissimo tra scuola, pianoforte
e altri impegni.Ma è stata un'esperienza fantastica."

" Suoni il pianoforte quindi??" era un susseguirsi si domande.
" Si, e mi piace molto, prima mi ci dedicavo di più, ma ho perso l'abitudine, non so se sono ancora in grado di suonare qualche nota... "
" Ti va un pezzettino di torta?" chiese improvvisamente.
" Si, ma pochissimo, altrimenti scoppio!"
Prese il piatto dalle mie mani e me ne passo un altro con un pezzattino di torta completamente al cioccolato.
" Sono sicuro che ti piaccia, vai pazza per la cioccolata, giusto?" chiese ridendo.
" Si, mi piace molto la cioccolata." dissi prima di mangiarne un pezzo, il pan di spagna era morbido, interamente di ciccolata e contenente delle scaglie sempre di cioccolata che ti si scioglievano in bocca, ma allo stesso
tempo rendevano la torta più consistente, il pan di spagna era diviso in sue parti, e tra queste c'era crema dello stesso gusto del resto. Ed infine a guarcirla, della panna.

" E' buonissima! Come tutto, del resto!" gli dissi.
" Grazie, gli portarò i tuoi complimenti."
" Davvero?"
" Se vuoi, certo."
" E tua madre sa di me?" chiesi, incerta.
" No, non gliene ho parlato esplicitamente, ma sicuramente non potevo mentirgli del tutto, non potevo giustificare una cena per due se fosse stata solo per me, non trovi?" disse sorridendo.
" Anche questo è giusto" sussurrai.
" E cosa ti domanderà tornato a casa?" chiesi, forse indiscreta, stavo entrando troppo nei particolari.
" Ovviamente se posso saperlo e se non sono indiscreta, " diedi sfogo ai miei pensieri.
" Non preoccuparti, non vado da loro appena ritornato a casa, soprattutto quando torno tardi, loro lavorano in uno studio privato e devono riposare, quindi non li vado a salutare se particolarmente tardi. Vado nel mio
appartamento, e faccio ciò che voglio, resto al pc, come riposo oppure mi preparo qualcosa da mangiare, questa sera farò così, li rivredrò direttamente domani mattina prima di ritornare qui."

" Ho capito, quindi non abiti completamente con loro." trassi le conclusioni.
" Mangiamo insieme quasi tutti i giorni, anche perchè io non sono bravo come mia madre, mi piace stare ai fornelli, inventare nuove ricette ma non come lei. Non al suo livello." aggiunse sorridendo, forse a qualche suo pensiero. " Poi, ovviamente, devo dar conto anche ai loro orari, che molte volte non combaciano con i miei."
" Capisco" ripetetti. " Mi sembrate una famiglia molto affiatata!" conclusi.
" Si, lo siamo, e molto." rispose con una nota di allegria e gratitudine. Ma scorsi anche una di malinconia, si riferiva al suo passato? Pensava alla sua famiglia biologica?
Mangiava lentamente il suo pezzettino di torta, ormai finito, come facevo io. Teneva gli occhi su di me, controllava ogni mia mossa. Sembrava euforico, e gli occhi erano ancora illuminati da una strana luce, combatteva con se stesso. Avevo la sensazione che mi dovesse dire qualcosa, e le mie sensazioni non si sbagliavano mai.
"Domani ho una sorpresa per te" disse improvvisamente.
Inclinai la testa, e con sguardo interrogativo continuai a guardarlo.
"Domani, lo saprai" aggiunse, sorridendo, e capendo la mia curiosità.
" Aspetterò." sussurrai infine, arrossendo.

Da oggi in poi non risponderò qui alle recensioni ma con il sistema appostito *-*( infatti ho risposto alle recensioni dello scorso capitolo con quest'ultimo)

Domanda: Secondo voi qual è la sorpresa?? &
qual è il vostro sport preferito??

A presto, Many.

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Capitolo 9
*** Iris. ***


Salve a tutti,
volevo spiegarvi il mio stato attuale di aggiornamenti, prima di lasciarvi alla lettura.
Visto che i miei impegni mi rendono uno straccio (...) vi prego di essere pazienti, io vi assicuro un aggionamento alla settimana, ma non posso assicurarne di più. Mi scuso con voi.

Io preferisco il pattinaggio artistico a rotelle , e lo pratico già da un bel pò, anche per questo i miei aggiornamenti sono diminuiti, ho iniziato solo da pochi
giorni, per dei problemi miei fisici, quindi davvero sono stremata in tutti i sensi.

Credo che questo sia il capitolo più lungo fino ad ora, ed è anche uno dei miei prediletti!
Il prossimo capitolo molto probabilmente sarà POV Edward, per la vostra felicità!
Vi lascio alla lettura del 9° capitolo, spero di non deludervi...

Buona lettura.

Arrossì, perchè la situazine ai miei occhi era imbarazzante, molto imbarazzante.
Avrei voluto sprofondare nel pavimento in quel momento invece che guardare negli occhi Edward. La sua espressione era soddisfatta, euforico allo stesso istante, frenetico. E la cosa mi allietava molto. Gli occhi mi scrutavano senza sosta, sorrideva, più felice che mai.
" Dottor Cullen la sua felicità mi mette soggezione!" riuscì a dire, trovando la forza per parlare, e scherzando.
" Scusa, ma non posso far a meno di essere felice!" e scrollò le spalle.
" Allora mi fai intendere che questa sorpresa sia così ..."
"Niente anticipazioni, domani lo saprai" disse senza farmi terminare la frase.
" Nemmeno un piccolo indizio?" chiesi con tono dolce.
" No, nemmeno uno, " rispose, " ed è inutile che fai quell'espressione dolce, dalle mie labbra non uscirà nulla che possa compromettere la sorpresa."
" Non mi farai dormire bene questa notte." dissi.
" Pazienza, recupererai." aggiunse scherzando anche lui.
" Continuiamo a farci domande reciprocamente, oppure vado via, visto che è leggermente tardi??" chiese.
" Domande , se per te non è un problema andare a casa più tardi!"
" No, non lo è... Dammi il piatto che tolgo via tutto." disse, e gli porsi il piatto vuoto.
" Inizio io o tu??" domandai, appena tornato al suo posto.
" Io, visto che questa sera ho risposto a molte delle tue domande senza sapere nulla di te..."
" Giusto" sussurrai.
" Vediamo un pò... Sei nata a Forks, giusto??" chiese.
" Si, lì. Ed ho passato la maggior parte dei miei anni, fino ad un anno fa, non mi sono quasi mai spostata, ho concentrato tutti i miei impegni in quella mini cittadina, e ho
cercato con tutta me stessa di non lasciarla mai, anche perchè non volevo che i miei genitori soffrissero la mia mancanza" raccontai.

" Tu o loro era la ragione... Intendo forse è più giusto dire che tu avresti sentito molto la loro mancanza, forse eri tu a non volerli lasciare..." sussurrò velocemente. Inizialmente a quelle parole mi arrabbiai, poi capì che erano delle supposizioni vere.
" Sì, forse... forse ero io quella a cui sarebbero mancati di più,ma in un modo o in un altro li ho lasciati, sono venuta a vivere qui a Seattle... Mi sono distaccata da loro, ne
ho avuto il coraggio, anche se per poco." terminai.

" Tocca a te, farmi una domanda."
" Sì, giusto. Tu invece, dove sei nato?" chiesi.
" A Chicago, sono nato lì quasi trent'anni fa." rispose. "Sei mai stata a Chicago?" mi chiese.
" Si, ci sono stata per un mese con Jacob, il primo mese in cui ho vissuto con lui, vivevamo a Chicago, ma ci siamo trasferiti dopo poco, ha avuto un traferimento qui e
quindi era diventato 
inutile continuare a vivere lì. Era inutile che facessi così tante ore di viaggio per andare a trovare i miei genitori. Abbiamo deciso di buon grado di continuare la nostra coinvivenza a Seattle." spiegai.

" Ho capito, ho vissuto a Chicago per i miei primi dieci anni, tra i quali anche con Carlisle ed Esme, vivevamo nel centro città, sulla costa, il grattacielo in cui abitavamo era completamente affacciato sul mare. In Randolph Street, non so se ricordi bene la cartina."disse." Abitavamo poco lonatano da lì! " sbottai, divertita. " Ci passavo giornate intere in quella strada, negozi a non finire, anche se non acquistavo mai nulla, i prezzi sono alle stelle in quei posti di Chicago"
Sorrise alle mie parole. " Ma poco dopo ci siamo trasferiti, ricordo una cosa, andavo spesso in biblioteca, poco distante da casa , e ci restavo per ore ed ore. Ormai gli addetti mi conoscevano così bene che mi lasciavano andare sul tetto, la struttura era alta più o meno quaranta metri, si vedeva una parte della città e di notte era bellissima. Tantissime luci accese, il traffico, le persone che camminavano aldisotto, sulla strada, erano minuscole, e i libri letti lì su... " si fermò, fermò il suo racconto guardandomi negli occhi, come se anche lui avesse detto qualcosa di più del lecito.
" E ti lasciavano stare sul tetto, tutto solo a dieci anni!??" domandai scettica.
" Sì, sapevano che potevano fidarsi di me, e poi c'erano delle protezioni per impedirmi che mi buttassi giù o che ci cadessi, era praticamente impossibile, inoltre solo gli addetti potevano salirci, nessun altro, quindi ero ben protetto. Infine anche i miei genitori lo sapevano, anche se io credevo di no, ogni volta che andavo in biblioteca , la direttrice chiamava i miei genitori e li avvisava, non li rendevo molto partecipi della mia vita, fin da bambino." terminò triste.
Ne seguirono dei minuti interminabili di silenzio, in cui nessuno disse nulla, ero in imbarazzo, nuovamente.
Fortunatamente, parlò lui.
" Ma questo non è importante, non credo sia molto interessante il mio passato..."
" Io credo di sì. " sbottai.
" Ci sono troppi segreti nel mio passato, Bella, sono molto simile a te, più di quanto tu ti possa immaginare, abbiamo entrambi qualcosa da dimenticare, tu per prima, io l'ho
messa da parte a differenza tua però! Ormai è lontano, riuscirai anche tu a non farti più condizionare dal tuo passato?!" domandò.

" Sì, ci sto provando...E spero di riuscirci."
" Bene... Mi fa piacere che almeno la pensi così e che ti stia impegnando per metterla da parte. Non è possibile dimenticare, l'ho imaparato sulla mia stessa pelle, i traumi, o
spiacevoli ricordi rimangono impressi più di quanto noi vogliamo, e impossibili da togliere, rimarginare." Mi sorrise infine.

" Grazie, Edward" ricambiai il sorriso.
" Detto questo, io vado, i miei colleghi si staranno chiedendo di me. Anche se il reparto in questi giorni è stranamente troppo tranquillo, ci sono pochissimi pazienti." disse mentre recuperava il suo vassoio e tutti i resti. " E' rimasto qualcosa, lo darò ad Emmet, il dottor McCarty. Anche lui va pazzo per la cucina di mia madre!"
" A chi non piace quello che cucina tua madre?" chiesi retorica.
" Conosco qualcuno." fece una linguaccia e aggiunse: " Devo andare, Bella, buonanotte."
" Buonanotte!" ricambiai, quando ormai era alla porta. Si voltò per un'ultima volta verso di me, mi sorrise e lasciò la stanza.

Il mattino dopo fui svegliata, nuovamente, dai raggi del sole e dal suono degli uccellini che canticchivano. Mi ero addormentata velocemente, abbandonandomi ad un sogno
senza incubi.

Mi stiacchiai ancora leggermente assonnata e mi venne in mente solo in quel momento che in quell'oggi avrei saputo di cosa si trattasse la sorpresa di Edward.
Ero stranamente euforica e impaziente al riguardo.Mi aiutai con il gomito ad alzarmi e mettermi seduta e fui felice di costatare che il ginocchio non pulsava più come i giorni precedenti, la giornata si prevedeva nettamente positiva.
Portai lo sguardo fuori dalla finestra, il cielo era azzurro e cristallino, alcune volte a Seattle si susseguivano giorni limpidissimi, e altri , invece, caratterizzati da piogge e freddo.
Era sprecato restare in quell'ambiente quando fuori si poteva far ben altro.
I miei pensieri furono interrotti dalla scriocchiolio della porta che si apriva. Come mi aspettavo, era Edward.
Il mio cuore iniziò a battere più velocemente del solito, ero felice di rivederlo, ma l'aumentare dei battiti a mio avviso era eccessivo.
" Buongiorno! Già svegli?" chiese.
Scrollai le spalle, per poi aggiungere: " Non sono riuscita a dormire bene, come ti avevo detto, ho pensato molto alla tua sorpresa... " non aggiunsi altro.
" Oh, mi dispiace, ma comunque spero di poter rimediare," annunciò sorridendo.
" Speriamo, anzi tra poco lo sapremo."
" Giusto. Hai voglia di fare colazione ora, oppure più tardi, sono solo le sei e trenta del mattino."
" Più tardi, ora non ho voglia di mangiare, "
" Bene, allora io vado a recuperare una sedia a rotelle!" sorrise, lo fermai prima che corresse fuori.
" Aspetta! "
" Dimmi." disse gentilmente.
" Quindi la tua sorpresa è fuori?" chiesi, esitante.
" Si, c'è qualche problema?" domandò a sua volta.
" No, nessun problema." ripetetti le sue stesse parole.
" Volevi restare in questa stanza, da sola, quando fuori potresti goderti il calore del sole a fine primavera?!" chiese retorico, prima di uscire dalla stanza.
Tornò dopo vari minuti.
" Andiamo?" chiese porgendomi la mano.

" Potresti prima,aiutarmi ad andare in bagno?"
" Si, certo." In quel momento si abbassò su di me, e le sue possenti braccia mi circondarono, prendendomi così in braccio. Sembravo una poppante.
" Grazie." Farfugliai.
" Di niente."
Stare tra le sue braccia mi donava tranquillità e un senso di protezione ma allo stesso tempo avevo paura. Era impossibile quanto desiderassi non provare più quel timore, che non faceva altro che danneggiare il mio rapporto con gli uomini.
Eravamo arrivati a destinazione, mi aveva rimessa in piedi e accertato del mio equilibrio mi aveva lasciata definitivamente.
" Attenta a non cadere." sussurrò al mio orecchio, il suo alito era fresco e profumato. Mi diede i brividi.
" Starò attenta." risposi, quando fui certa di non balbettare.
" Io sto qui fuori, per qualunque cosa chiamami."
Annuì e mi lasciò sola nel bagno. Mi lavai i denti, sciacquai la faccia ed infine mi cambiai,indossai la tuta che trovai in uno degli scompartimenti della borsa che avevo in bagno.
Era grigia con delle ricamature lilla. Perfetta sia per il mio stato attuale, sia per la comodità.
Saltellai fino ad arrivare alla porta dove mi soccorse, appena mi vide, Edward.
" Pensavo dovessi chiamare la polizia per denunciare il tuo rapimento!" disse scherzando. Come risposta gli feci una linguaccia.Mi aveva di nuovo presa in braccio, il suo tocco era sempre estramamente delicato, sapeva che poteva disturbarmi. Mi adagiò sulla sedia a rotelle, dove mi sistemò una coperta sulle ginocchia e infine ne prese un'altra.
" A cosa ti servono queste coperte??" chiesi.
" Tra poco lo saprai, e mi ringrazierai di averle prese."
Era sempre più interrogativa, non avevo la benchè minima idea su dove mi stesse portando.
Scrutò il mio volto interrogativo e si mise a ridere.
" Non fa così ridere!" sbottai, risentita.
" La faccia che hai fatto si , però!" e rise sempre con più gusto.
Incrociai le braccia al petto, guardando dalla parte opposta alla sua. Non smetteva di ridere e sghignazzare, stavo pensando seriamente di ritornarmene a letto.
" Finito?!" chiesi aspra.
" Si..." si tratteneva.
" Sto pensando seriamente di ritornarmene a letto, lo hai capito vero?" dissi, mantenendo lo stesso tono aspro.
" Scusa, non volevo farti arrabbiare, davvero, ma eri così buffa che non ridere sarebbe stato impossibile..." spiegò con calma." Andiamo?" domandò dolce.
" Si!" ordinai letteralmente. Sciolsi l'intreccio delle mie braccia sul petto, riportandole ognuna al proprio posto.
Uscimmo dalla stanza, durante il tragitto non incontrammo nessuno, aveva ragione Edward, il reparto era molto tranquillo, troppo. Entrammo in ascenzore, lo stesso che avevo usato con Alice pochi giorni prima, rimasi in silenzio fino a destinazione, con il timore che qualcuno potesse sentirmi, anche se le probabilità erano davvero molto basse.
Ci ritrovammo fuori dalla struttura, attraverso delle porte secondarie, dove nessuno era presente, sembrava che l'ospedale fosse deserto. Mi chiedevo se Edward avesse scelto quelle uscite secondarie proprio perchè non desiderava essere visto. Avrei dovuto ringraziarlo anche per quello.
L'esterno dell'ospedale era come lo immaginavo io. Era un parco enorme, con tantissime aiuole recintate, panchine, tantissimi alberi, arbusti e fiori di tutti i generi. Non c'era una fontana, ma era bellissimo lo stesso. Da lì si poteva sentire ancora di più il canticchiare degli uccellini, il parco era vuoto, gli unici presenti che non fossero uccellini o scoiattoli eravamo io ed Edward.
L'aria era abbstanza calda, e i raggi solare che ci colpivano ci riscaldavano ulteriormente.
Edward iniziò a trainarmi tra le varie viottole tra un'aiuola ed un'altra, non fu per nulla facile, il suolo era ricoperto di tanti ciottoli che si incastravano fra le ruote delle sedia a rotelle, rendendo l'andatura più stentata.
" E' bellissimo" sussurrai, ma Edward mi sentì ugualmente.
" Mi fa piacere che ti piaccia!" Era euforico e si sentiva dal suo tono di voce, era impossibile non accorgersene.
" Come potrebbe non piacermi?!" dissi retorica.
" E questa è solo una parte della sorpresa... " annunciò.
" Davvero? Credo che questo sia già più che sufficiente."
" No, non è questa la sorpresa vera e propria, secondo te sarebbe stata così scontata?" chiese.
" Non so cosa aspettarmi! " scherzai.
" Nulla di pericoloso."
" Ne sono certa," sussurrai. Intanto stavamo procedendo, davanti a noi c'erano tantissimi alberi che formavano una specie di barriera, non mi permettevano di vedere cosa ci
fosse all'aldilà di quell'ostacolo.

" Non ti preoccupare, non andremo ad imbatterci tra gli alberi..." Ed infatti svoltò verso destra, attraversando una nuova viottola che era circondata da alberi e arbusti. Era abbastanza insolito che in un ospedale ci fossero parchi così grandi, ma lì c'era.
" Ti piace la natura?" chiese.
" Si, mi piace molto... " dissi guardandomi intorno.
" Puoi chiudere gli occhi,per favore?" ordinò più che domandare.
Feci come mi aveva detto, chiusi gli occhi, anche se il mio inconscio mi sussurrava, anzi urlava di aprirli, odiavo il buio.
Il vento mi scompigliava leggermente i capelli, segno che ci stavamo ancora muovendo. Durante quel breve tragitto mi era venuta voglia più di una volta , di sbirciare, ma non lo feci, per rispetto di Edward, maggiormente.
" Siamo arrivati?" chiesi , ormai impaziente.
" Quasi, altri pochi metri."
" Se non mi fidassi abbastanza di te, farei ritorno in camera, lo sai vero?!"
" Si, lo pensavo anche io,ma ti fidi di me, no?!" chiese, quasi timido.
" Si, mi fido di te." confessai, a stento.
Una folata di vento più forte e l'odore tipico dei boschi mi investì, era buonissimo.
" Ok, siamo arrivati." annunciò. Non aprì ancora gli occhi, aspettavo che lui me lo dicesse. Non mi mossi neppure.
" Puoi aprire gli occhi, se vuoi..." aggiunse qualche secondo più tardi.
Li schiusi lentamente, quasi intimorita.
La vista che mi si parò davanti era sensazionale.
Davanti a me c'era una grande distesa d'erba, con tantissimi fiori che facevano da cornice e da bordo, erano tutti blu, con qualche striatura gialla, davanti non c'erano alberi
come invece dietro di noi, ma c'era un varco, che faceva intravedere il Sole quasi del tutto sorto.

Rimasi a fissare quel posto per qualche minuto che sembrarono ore. Edward era rimasto accanto a me per tutto quel tempo.
" E'... E' bellissimo" riuscì a farneticare. Guardai negli occhi Edward, nel mare verde dei suoi occhi, quasi migliori del resto del territorio. Anche lui faceva lo stesso, ci fissavamo a vicenda, senza emettere suoni, senza quasi respirare.
" Sono felice che ti piaccia." sussurrò, troppo vicino al mio viso, pochi centimetri ci dividevano.
Ritornai a guaradare il campo, come scusa per allontanarmi da lui, la nostra vicinanza era pericolosa, e troppo. Quando tornai a guardarlo si era spostato anche lui, eravamo finalmente abbastanza distanti da parlare semplicemente come due semplici amici.
" E' bellissimo Edward, non so come ringraziarti." balbettai.
" Non devi ringraziarmi, anche per me è un piacere stare qui..." e mi sorrise, guardandomi negli occhi." Con te" aggiunse subito dopo.
Arrossì violentemente, sentì le guance andare in fiamme. Spostai lo sguardo dai suoi occhi che mi tenevano imprigionata nel verde, fissai il suolo, sfortunatamente dello stesso colore delle sue iridi.
Prese la coperta che aveva portato con sé, e la distese a terra, ecco a cosa sarebbe dovuta servire, doveva farci da tappeto.
Mi porse la mano, senza parlare, la unì alla mia e riuscì ad alzarmi. Circondò la mia vita con una delle sue braccia e mi aiutò ad arrivare fino alla coperta, infine mi fece sedere, delicatamente.
Mi raggiuse dopo aver preso tutti gli accessori che aveva portato, le nostre cosce si sfioravano, eravamo davvero vicini, più di quanto non lo fossimo mai stati.
" Allora che ne pensi?" domandò impaziente.
" Come già ti ho detto è bellissimo questo posto, è la migliore sorpresa che mi abbiano mai fatto, Edward, ti ringrazio, davvero!" era la verità.
Come risposta sorrise. Era soddisfatto di sé.
Mi guardai intorno, raccogliendo ogni minimo ed insignificante dettaglio.
" Pensavi fosse una cosa del genere? La mia sorpresa, intendo."
" No, non pensavo a nulla, per la verità. Non sapevo cosa potesse essere, non ne avevo la minima idea." Spiegai.
" Impossibile..." disse scuotendo la testa. " Tutti pensano a un qualcosa, per quanto stupido sia, Bella, a me puoi dirlo."
Sospirai più volte. " Ho pensato ad una cena in camera, con tanto di tavolino, sedie e stoviglie, ma questo non l'avrei mai immaginato, sinceramente."
Annuì più di una volta, in quel momento era lui che guardava l'orizzonte, mentre io fissavo il suo volto.
" Sei molto semplice... ci ho fatto caso in questi giorni, è la prima cosa che una persona si accorge di te, dopo la timidezza ovviamente... " rise di gusto a quest'ultime parole." Sono così,davvero." ero sempre più sorpresa delle sue capacità d'osservazione, troppo svilippate per un uomo. Solitamente il genere maschile era sempre molto superficiale
a differenza di noi donne, ma lui invece era molto attento, a tutto, ad ogni cosa che lo circondasse. Erano pochi gli uomini con queste caratteristiche, Jacob non era mai stato attento, era sciatto e molto superficiale, qualunque cosa che non riguardasse lui non era importante, ed io, a quanto pareva,  non gli riguardavo.

Vivevamo nella stessa abitazione ma negli ultimi tempi non era affatto più facile vivere insieme, sia perchè lui aveva iniziato a bere, sia perchè io non riuscivo più a sopportare ciò che mi premeva sulle spalle, un peso enorme, e forse con il suo aiuto sarei riuscita a lasciarlo indietro, senza iscenare nè il mutismo nè altro, ma lui non c'era, non c'era mai stato , per me.
Presi un filo d'erba, staccandolo accuratamente da terra, come per non fargli sentire dolore, come se ne avesse sofferto, ed iniziai a giocherellarci, lo intrecciavo tra le dita, successivamente incominciai a tagliuzzarlo in mille pezzi.
" Come hai scoperto questo posto?! " chiesi, curiosa riportando il mio sguardo su di lui, mi accorsi che mi aveva osservata per tutto il tempo.
" L'ho scoperto poco dopo il mio arrivo in questo ospedale, tre anni fa. Facevo ancora pratica, non ero ancora capace di lavorare da solo, mi ero laureato da poco nella specializzazione, seguivo un dottore, uno dei migliori di tutto l'ospedale, ricordo che era una furia per quanto anziano, lavoravo come uno schiavo, inizialmente lo odiavo poichè sembravo un piccolo schiavo, ma poi con il passare del tempo capì che era solo per il mio bene, è lui he mi ha fatto capire che questo lavoro non è per tutti, è lui che mi ha fatto comprendere quanto davvero fosse difficile salvare le persone, e quanto fosse difficile confermare delle ipotesi, solo pochi di noi, siamo riusciti ad affermarci dei veri dottori e a tutti gli effetti. Arrivo al dunque, " disse sorridendo." Scoprì questo posto, un pò sperduto dal resto del mondo, vagando per questo boschetto, non tutti i dipendenti nè pazienti dell'ospedale ne conoscono l'esistenza, troppo protetto dagli alberi per essere visto. E io credo di essere l'unico a venirci tutti i giorni. Cercavo un posto dove mangiare, visto che la mensa era sempre occupata, cercavo un posto dove stare tranquillo, anche perchè ... ehm... diciamo che ero molto seguito dalle ragazze... " a quel punto arrossì anche lui, io invece sorrisi. " Inoltrandomi in questo boschetto ho scoperto l'esistenza di questo posto, e ci ritorno ogni volta che devo pranzare, o cenare, resto da solo a guardare il Sole salire sempre più su o tramontare, ovviamente quando c'è, quando piove resto chiuso in mensa. Mi piace perchè è tranquillo, riusco a pensare ed immergermi nelle mie idee più facilmente, magari rimuginando su qualche mio caso apparentemente difficile, oppure qualche problema che mi infligge particolarmente." terminò il suo racconto con un sorriso sghembo che fece battere più velocemente il mio cuore.
" Questo è il mio rifugio... il tuo, invece, qual è??" domandò.
" Io amo disegnare, è lì che mi rifugio quando sono sovrapensiero, oppure quando mi annoio, è il mio mondo, il mio piccolo mondo." spiegai.
" Poi qui ho scoperto il mio fiore preferito... " disse prima di alzarsi ed allontanarsi da me. Percorse metà radura fino ad abbassarsi e raccogliere i fiori che si trovavano ai margini. Fece ritorno con un fiore. Si sedette, accanto a me, piegò le gambe, e appoggiò la sua mano che manteneva il fiore sul ginocchio. Era blu, stelo verde e infine sui petali al centro una striatura larga meno di un centimetro, gialla. I petali erano ricurvi verso il centro.Non conscevo quel fiore e non l'avevo mai visto prima di quel momento.
Restammo in silenzio a guardare quel fiore come se fosse una divinità da contemplare, per qualche minuto, finche una mia domanda non interruppe il silenzio.
" Che fiore è?" chiesi.
" Iris, si chiama Iris. E' il mio fiore preferito, da circa tre anni, da quando ho scoperto questo posto, non ne conoscevo neanche io l'esistenza, e credo siano i fiori migliori ed i più belli tra tutti."
" Sì, hai ragione è davvero bellissimo." Guardavamo entrambi l'Iris, il fiore.
" Iris significa arcobaleno, è un nome davvero solare, e mi piace molto... " aggiunse, la voce era sempre più euforica.
" Si, è davvero molto carino, fine e moderno." dissi, mi accostai a lui per vedere meglio il soggetto della nostra conversazione.Allungai la mano per toccare i petali del fiore, ma Edward senza accorgersi del mio gesto mosse anche lui mano, la toccai, anzi al mia mano di adagiò completamente sulla sua, e rimase lì per qualche minuto ( o forse di più.).
Al mio tocco Edward si girò verso di me, i nostri occhi si incontrarono, si rispecchivano gli uni negli altri, i nostri visi erano molto vicini, solo qualche centimetro divideva le nostre facce.
" Tu... tu sei la prima persona che porto qui, i mia spontanea volontà... " disse, sentivo il suo alito caldo e profumato accarezzare il mio volto.
" Perchè mi hai portata qui, Edward?" chiesi, forse una domanda troppo stupida.La mia mano era ancora sulla sua, e i nostri visi ancora vicini, la mia mente mi urlava di scostarmi, di indietreggiare sempre di più fino ad essere al sicuro, ma c'era una forza sempre più potente che mi sussurrava a differenza dell'altra, di avvicinarmi o perlomeno di restare in quella posizione, per quanto sussurrato quell'istino prevaleva l'altro.
" Perchè... Perchè sento che tu sei la persiona giusta, avevo promesso a me stesso, che avrei condotto qui solo la persona a cui volevo più bene, e tu Bella, sei la persone più speciale che io abbia mai conosciuto, non ho mai raccontato del mio passato nemmeno alle mie ragazze precendeti, non sapevano nulla di Esme e Carlisle, non sapevano che io fossi stato adottato, non riuscivo a parlargliene, ma con te è diverso, e voglio raccontarti tutto il mio passato fase per fase, tutti i miei segreti, uno per uno, senza omettere nulla, voglio che tu sappia tutto di me. Ovviamente solo se tu mi concedi questo onore." disse tutto d'un fiato velocemente. Rimasi interdetta da quelle parole, mi investirono come un uragano, nella loro magnificenza.
Gli sorrisi, continuando a tenere il mio sguardio nel suo, carico di ... dolcezza e passione.
" Edward, sono onorata di tutto ciò... " iniziai. Mi interruppe immediatamente.
" Ma... " continuò lui...
" Non c'è nessun ma, con te riesco a dimenticarmi del mio passato, riesco a dimenticare Jacob, riesco a pensare al mio presente accanto a te e al mio futuro, un futuro più roseo se ti trovi con me. Anche io ti voglio bene, Edward." non aggiunsi altro, ciò che avevo detto era una rivelazione anche per me stessa.
Continuavamo a guardarci negli occhi, i suoi si abbassavano sulle mie labbra ad intervalli, il mio cuore batteva velocissimo come le ali di un colibrì, e sperai che anche il suo avesse avuto  la stessa reazione.
Le nostre mani erano intrecciate,ormai. Il fiore sull'erba.
Si avvicinò sempre di più a me, lentamente, troppo lentamente fino ad appoggiare le sue labbra sulle mie...

 

Solo una cosa prima di scappare in Siberia: ciò che ho scritto su Chicago non rispecchia il 100% della verità, il grattacielo e la biblioteca di cui parla Edward non esistono davvero ( o almeno così credo) io ho visto la costa (tramite satallite), ma non posso assicurarvi nulla, molte volte c'è bisogno di inventiva nei libri o perlomeno nel mio caso, nelle FF!
E Commentate!

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Capitolo 10
*** La mia donna ideale era lei. ***


Salve carissimi lettori,
Ecco a voi un nuovo capitolo, è di passaggio ma non mancheranno tante emozioni.
Credo che ci stia bene uno un pò più leggero dopo quello scorso xD...
Ringrazio coloro che hanno recensito, ed anche tutti i lettori sileziosi e quelli che mi hanno aggiunto tra le preferite/ricordate/ seguite!
Grazie mille.

Il raiting sta salendo, ora è giallo presto sarà arancio, ma non di più.
Un bacio e buona lettura!

POV Edward
Le nostre bocche si muovevano in sincrono, il bacio era lento e delicato, ma allo stesso tempo molto passionale. Cercai di essere il più delicato possibile, sapevo che a lei dava fastidio il contatto fisico con gli uomini.
Gli occhi erano chiusi, non riescivo a vedere la sua espressione, non c'era nulla oltre a noi, oltre a lei. La mia mano era stretta nella sua, non avevo intenzione di lasciarla, mai più.
Le avevo raccontato tantissime cose della mia vita, come a nessun in precedenza, bhè... lei era speciale. Era la persona più speciale che avessi incontrato, l'unica che era riuscita a perforarmi il cuore, l'unica che al primo sguardo mi aveva reso dipendente dall'amore, dai suoi occhi, dai suoi modi di fare, dal rossore che colorava il suo viso nelle situazioni più imbarazzanti, ero completamente dipendente da lei.
Le nostre bocche erano ancora incatenate le une nelle altre, un momento magico, romantico , unico.
Purtroppo ogni momento era destinato a finire, ed anche il nostro terminò. Si staccò prima lei, ma non si allontanò da me. Poggiò la sua fronte sulla mia, respiravamo a fatica entrambi, termporaneamente ci guardavamo negli occhi, i suoi erano lucidi, e credevo fossero altrettanto i miei. Strinsi ancora più forte, se possibile, la sua mano nella mia, era minuscola al confronto, proprio come lei.
Era il mio piccolo cucciolo da accudire e proteggere.
Restammo per molto tempo a guardarci senza far nulla, i nostri cuori parlavano per noi.
" Bella... " sussurrai.
" Non dire nulla, ti prego..." aggiunse, chiudendo gli occhi.
Feci come mi aveva detto, non replicai, rimasi lì a guardarla, le palprebe si muovevano impercetibilmente, respirava lentamente, e la bocca era ricurva in un mezzo sorriso.
" Sei bellissima" le dissi, dopo qualche minuto. Aprì immediatamente gli occhi e sorrise mostrando i suoi denti.
" Anche tu sei bellissimo"rispose.
" E sei dolce, molto dolce, timida, perfetta, amorevole, sensibile... sei unica." glierlo avrei ripetuto un miliardo di volte se me lo avesse concesso.
Tolse la sua fronte dalla mia, per guardarmi meglio, mi scrutò, per poi sorridere e parlare.
" Anche tu sei unico Edward; per la tua capacità di osservazione, per i tuoi modi di fare, sei unico in tutto... " balbettò.
Ogni parola in quel momento era la più superficiale della terra, nessuna poteva esprimere davvero ciò che provavo per lei.
Avevo voglia di baciarla, per la seconda volta, avevo voglia di coccolarla e di stringerla al petto, ma non feci nulla, rimasi a guardarla da lontano, tenendo la sua mano,
l'unica cosa che mi fosse concessa di lei. Non avevo voglia di turbarla, avevo paura di poter compromettere quel momento, rovinandolo.

Il contatto fisico per me era essenziale, ma per Bella no. E per il suo bene la rispettavo.
" Continuiamo a farci domande reciprocamente?" domandai.
Scosse la testa come per dire e aggiunse, " Non serve, puoi domandarmi quello che vuoi, sempre però non entrando nel campo minato della mia vita, ti dirò tutto, un giorno , ma non roviniamo questo bel momento..."
" Si certo... bene, come immaginavi la tua vita, Bella?"Volevo saperlo, volevo sapere cosa si sarebbe aspettata dalla vita, non sarei entrato nel campo minato della sua vita, e speravo, lei non sarebbe entrata nel mio, dopotutto anche io avevo bisogno un pò di tempo prima di aprirmi completamente.
" Diversa, molto diversa da come è oggi, non mi sarei mai immaginata, nemmeno lontanamente, di venire a vivere in una cittadina che non fosse Forks, malgrado ciò ho vissuto prima a Chicago, poi a Seattle per più tempo. Non avevo messo in conto di convivere a soli ventidue anni, e non avrei mai pensato di smettere con gli studi, avevo promesso a me stessa che avrei continuato in qualunque circostanza sia piacevole che spiacevole, invece è accaduto il contrario, e non avrei mai creduto di baciare un medico, in ua radura nel parco di un ospedale, dopo qualche giorno di ricovero per colpa di una caduta accidentale in una clinica di salute mentale... " rise a queste ultime parole, scuotendo il capo. " Tu invece, cosa ti saresti aspettato fin da piccolo ?" chiese.
Cosa mi ero fin da piccolo proposto, fino ai dieci anni pensavo che la mia vita non avrebbe avuto un vero inizio, sarebbe conclusa presto, ma poi con l'arrivo di Carlisle ed Esme ero riuscito a costruirmelo un futuro, mi avevano aiutato loro, e solo grazie a loro ero diventato un vero uomo, l'uomo che ero in quel momento.
" Diciamo che dai dieci anni in poi ho iniziato a pensare veramente al mio futuro, mi piaceva molto il lavoro che facevano i miei genitori, quindi ho iniziato già a pensare di diventare medico, ho sempre desiderato avere dei bambini, sono la mia passione più grande, li desidero ancora, aspetto solo la persona giusta, colei che mi starà accanto per tutta la vita... " dissi, guardandola intensamente.
" Ed i tuoi, sono contenti delle tue scelte?" mi chiese.
" Si, come ti ho detto, avrebbe acconsentito qualunque cosa avessi fatto, tutto." dopo qualche secondo aggiunsi:" i tuoi invece, sono felici del futuro che ti sei creata?"
" Credo di si" si guardava le mani torturandole. " certo avrebbero preferito che finissi il college prima he andassi a convevivere, ma erano contenti lo stesso, Jacob era il figlio di un amico di mio padre, lui si fidava e lo rispettava molto, quindi con lui sarei dovuta stare bene, non si sarebbero mai immaginati nè augurati che io entrassi in una clinica di salute mentale, non si sarebbero neanche mai augurati che avessi bisogno di psicologi, e non volevano che io mi chiudessi in me stessa, nel mio silenzio, pensavano che loro sarebbero bastati per curare le mie ferite, ma purtroppo sono io quella che deve iniziare a riucirle... " finì di parlare e fece un sospiro, volevo sapere ciò he pensava, ciò che la turbava, volevo sapere tutto di lei.
Presi il fiore dall'erba, l'avevo lasciato andare per prendere la mano durante il nostro bacio, lo raccolsi, e iniziai ad accarezzarlo. Presi la sua mano destra, che torturava l'altra, mi guardò negli occhi a quel tocco, ero sempre molto delicato e cauto, come se fosse un cagnolino impaurito, dovevi fargli capire che non c'era nulla di cui intimorirsi, cautamente.
Intrecciai la mia mano alla sua, e con l'altra, che manteneva ancora l'Iris, la portai all'altezza del suo viso, misi il fiore dietro il suo orecchio, le stava bene il blu. Faceva contrasto con la sua pelle pallida, e con i suoi capelli scuri, era semplicemente bellissima.
" Stai bene, così!" le dissi, dolcemente.
Portò la sia mano libera sull'orecchio e accarezzò quel nuovo ornamento, e sorrise timidamente. Le guance le si colorarono di rosso, lo toccai come per custodirlo per sempre.
" Ti dona il blu!" le confessai, sentì il mio cuore battere freneticamente.
" Grazie"
Rabbrividì, le sue spalle si mossero velocemente, come le labbra.
" Hai freddo?" le chiesi.
Annuì, recuperai l'altra coperta, la stessa che le avevo messo sulle gambe quando eravamo in camera sua, e le coprì le spalle, stringendola sul petto.
" Grazie mille... " sussurrò.
Le sorrisi, compiaciuto.
Anche se non faceva molto freddo tremava, io invece, al contrario avevo caldo, il sole stava diventando sempre più caldo, ed io sudavo sempre di più, decisi di togliere il
camice, anche perchè in quelle circostanza non sarebbe mai servito, anche se toglierlo non mi donò refrigerio.

Guardai meglio Bella, che osservava l'orizzonte, indossava una tuta grigia, che faceva notare tutte le sue curve, era molto magra, in sottopeso, gli zigomi mettevano in mostra le ossa, le mani erano esili, le dita sottilissime, ma anche se non era in forma era spettacolare. O almeno per me.
Ai miei occhi sarebbe stata sempre la più bella.
" Va meglio?" riportai la sua attenzione su di me.
" Si, va molto meglio, grazie mille."
" Hai voglia di mangiare, ho preso dei cornetti questa mattina." le annunciai.
" Si, grazie." sussurrò, nuovamente imbarazzata.
Presi dalla borsa la confezione con i due cornetti, non avevo potuto prendere la cioccolata calda che tanto le piaceva, ma pensai che si sarebbe accontentata anche di una
semplice caramella.

Le passai il suo cornetto alla cioccolata, che iniziò a mangiucchiare lentamente. Anche io iniziai ad ingurgitare il mio, alla marmellata, naturalmente!
" Grazie Edward" sussurrò.
" Di nulla... "
" La prossima volta lo preferisci di un altro gusto??" le chiesi, forse la cioccolata non le andava sempre, o forse ero soltanto troppo paranoico.
" No, va benissimo così!" disse euforica, forse si stava chiedendo se ci sarebbe state altre volte, bhè si cene sarebbero state molte altre, e se me lo avrebbe permesso per
sempre

" Come vuoi..."
Continuammo a mangiare in silenzio, lei si stava sporcando con la cioccolata, ne aveva un pò sul labbro, gliela feci notare. Presi un fazzolettino, mi avvicinai a lei e la pulì, lei
nel frattempo mi guardò interrogativa.

" Avevi solo della cioccolata sul labbro" spiegai.
" Siamo pari!" disse, capì a cosa intendeva.
" Rispettando il tema sogni da piccoli, come la immaginavi la tua casa da piccola?" le domandai.
" Bella domanda, l'immaginava grande, molto grande, color pesca chiaro fuori, con tantissime vetrate, piena di luce e mobili moderni, tante stanze, e quella matrimoniale grandissima, con un bel letto a baldacchino, alto e largo, molto largo, così che i bambini possano dormire con noi, se vogliono senza che tutti ci dovessimo stringere, una cucina grande, con un'isola, e la sala da pranzo accanto, con un camino e un divano davanti per riscaldarci nei momenti più freddi, e magari dove vedere la tivù insieme alla mia famiglia. Volavo sempre troppo con la fantasia" disse terminando.
" Quindi anche a te piacciono molto i bambini?" chiesi.
" Si, molto. Mi piace pensare che un giorno potrò portare i miei bambini in grembo, potrò sentirli muovere, scalciare, e svegliarmi la notte perchè troppo irrequieti, vederli per la prima volta e baciarli, poterli vedere mangiare dal tuo seno, e piangere perchè desiderano solo coccole, vederli compiere il primo passo, sentirli dire la prima parola, magari 'mamma', e vederli crescere sempre di più, apprendere diplomarsi e infine laurearsi, cosa c'è di più bello della vita stessa?? E cosa è più bello di dire ' quello è mio figlio?' ... " Aveva le lacrime agli occhi, avevo fatto la domanda sbagliata, lei aveva abortito, non avrebbe più potuto sentire il suo bambino scalciare in lei, o magari sentire il suo primo vagito. Era soltanto un mostro.
Si toccava la pancia, il bambino che aveva "perso" sarebbe vissuto sempre nei suoi ricordi.
Mi guardò negli occhi e parlò: " sarebbe stato infelice con Jacob, avrebbe fatto una brutta fine, con me come la stavo facendo io, stavo morendo, ho dovuto sacrificarlo, ma io lo volevo o almeno adesso mi vien voglia di non averlo mai fatto, io amo i bambini ma intanto ho tolta la vita ad uno." piangeva, la coperta era a terra, come anche il fiore ed il cornetto, quasi finito ,mi faceva male vederla così, stavo soffrendo anche io insieme a lei, si manteneva i lati della testa con le mani.
L'unica cosa che feci fu abbracciarla, la tenni stretto al mio petto sussurrandole di calmarsi , e la tenni così finchè le lacrime non si arrestarono ed il respiro non tornò regolare; quando si allontanò aveva le guance ricoperte d'acqua salata, e gli occhi rossi e stanchi.
" Devo finirla di piangere, faccio star male anche te, te lo si legge in faccia, mi dispiace davvero tanto Edward, scusami." singhiozzò infine.
" Non preoccuparti, io sto bene, e mi scuso per aver fatto questa domanda, non dovevo, scusami, sono un mostro." diedi sfogo a parte dei miei pensieri.
" tu non sei un mostro, sei la mia ancora di salvataggio, sei tu che riesci a calmarmi, nessun altro." sussurrò con voce roca.
Le sorrisi, portandola nuovamente al mio petto, dove restò per altri minuti, un tempo infinito per noi.
Arrestai il nostro abbraccio quando ricordai che doveva prendere le sue pasticche.
Saremmo dovuti rientrare presto, così avrei potuto eseguire la visita di controllo, e dove lei avrebbe dovuto fare un'ecografia pelvica. Non prima di averle disinfettato la
ferita alla testa.

" Bella, devi prendere le tue medicine, le ho portate con me." annunciai.
Si allontanò dal mio sterno, sorridendo calma e pacata.
Gliele passai, con un bicchiere d'acqua, e le inghiottì velocemente.
" Grazie Edward, " mi disse dopo averle prese.
Scrollai le spalle. " Sono un medico, no?!" scherzai.
" Altre domande?" chiese.
" Ne hai voglia?"
" Si, però questa volta te ne faccio io, una a te." sussurrò, il suo tono era talmente basso che anche il canticchiare degli uccellini lo coprivano.
" Il tuo film preferito?" mi domandò.
Facile. " Ghost, hai presente?"
" Si, se non sbaglio è quel film che parla di una coppia, il compagno muore però rimane sottoforma di fantasma, e fa di tutto per comunicare con la miglie?" domandò.
" Si, è lui, è molto romantico."
Mi guardò scettica.
" Perchè fai quella faccia?" chiesi.
" Perchè non ho mai incontrato un ragazzo, o meglio uomo a cui piacessero i film romantici e drammatici, sai il genere maschile non punta molto su questo genere ma per di
più su film che hanno come trama la guerra e cose varie..." spiegò.

" Ma io non sono come gli altri... " scherzai.
" Eh sì, tu sei unico." era più che seria.
" Invece il tuo, qual è?"
" Titanic... " iniziò a parlare ma la interruppi.
" Oh, oh , oh , pensavi che io fossi quello strano?" e risi.
Mi mandò un'occhiataccia, e mi zittì. " A noi donne piace molto quel film, e poi dobbiamo dire che Leonardo Di Caprio sia davvero un bell'uomo!" disse stizzita.
" Dici? Più di me?" chiesi.
" Si, più di te!" ribattè, facendomi la linguaccia.
" Il tuo uomo ideale?" le chiesi.
" Mhm... biondo, occhi scurissimi... " e scoppiò a ridere. Mi prendeva in giro!
" Invece sai la mia donna ideale come è??" chiesi, sorridendo insime a lei.
" No, però credo sia bionda."
" Ti sbagli... " sussurrai.
" E allora come è?" chiese, con tono malizioso.
" Occhi scuri, color cioccolato e capelli scuri, carattere amorevole, dolce, sensibile. E con tanta voglia di vivere." le confessai.
Fece una cosa che non mi sarei mai aspettato, mi abbracciò lei, lei prese l'iniziativa.
Si buttò tra le mie braccia con violenza, mettendo la testa sotto l'incavo del mio collo, le sua braccia mi smorzavano il respiro tanto strette intorno al mio busto, la camicia era
bagnata, dalle sue lacrime, le mie braccia le circondarono le spalle, volevo stringerla sempre di più, ma avevo paura di farle del male, era come un cristallo se lo stringevi troppo cedeva e si rompeva.

Il mio naso era tra i suoi capelli, respirava il suo profumo, dolce come lei.
Per finire le baciai la fronte,
la camicia era sempre più bagnata.
Aveva capito che la mia donna ideale era lei.

Domanda: La vostra passione più grande??
Vi prego di recensire, mi basterebbe un semplice parola per rendermi felice.
Gli aggiornamenti saranno più ravvicinati, per vostra sfortuna /fortuna.
Vi ricordo il mio Blog, metterò i teaser di tutti i capitoli lì, http://many-memyselfandi.blogspot.com/

al prossimo aggiornamento, Many.

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Capitolo 11
*** E' solo questione di fiducia. ***


Salve, si può?!
Avevo promesso degli aggiornamenti più frequenti ma ehm... ho delle ragioni che mi giustificano. Mi sono quasi slogata un polso , e quindi scrivere al pc mi faceva male!

Torniamo a noi. Le mie passioni in assoluto sono due. I bambini ( e credo si sia capito dal capitolo scorso, ) ed i cani.

Volevo ringraziare in particolare: Le ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo;
coloro che mi hanno mandato MP, grazie mille *-*
e le ragazze del gruppo! Grazie mille, siete gentilissime!!

Ora torniamo al capitolo, buona lettura.

POV Bella
Dieci minuti dopo ero ancora avvinghiata ad Edward, ma non piangevo più, avevo già completamente bagnato la sua camicia, ora zuppa si acqua salata. Gli occhi iniziavano a bruciarmi, li stropicciai staccandomi da lui, che mi scrutò con un lieve cenno di sorriso sulle labbra.
" Scusa, ti ho bagnato tutta la camicia... " mi scusai, la voce uscì roca.
" Non preoccuparti." rispose.
Presi nuovamente la coperta e me l'avvolsi intorno, i brividi stavano ritornando, eravamo a Maggio, per di più al sole ed io avevo freddo. Non c'erano dubbi sulle mie stranezze.
Raccolsi il fiore che avevo fatto cadere, ed iniziai ad accarezzarlo, i petali erano lisci, morbidi.
" Bella, dovremmo rientrare, sono le undici e abbiamo tantissime cose da fare... " mi disse.
" Certo, " risposi alzando il mio sguardo su di lui. " Andiamo"
" Inizio a raccogliere tutte le nostre cose, allora."
" Edward," lo fermai.
" Si?!"
" Perchè non ci viene mai nessuno qui?" gli chiesi.
Si rimise seduto, a gambe incrociate accanto a me. " Perchè se sono medici oppure semplici addetti, devono lavorare e di certo alla fine del turno non hanno voglia di passare del tempo in solitudine, corrono dalle proprie famiglie, invece se sono parenti dei pazienti, o quest'ultimi stessi, di certo non pensano di venire qui, hanno dei loro problemi e pensieri, chi ci viene come me ha bisogno di pensare, di riflettere e magari di un pò di solitudine, e poi questo posto è ancora integro poichè è una zone protetta, anche se ci hanno costruito accanto un ospedale, per questo non l'hanno asfaltata nè fatto un parcheggio, se non fosse stata uan parte protetta di natura ora non ci sarebbe, " spiegò.
" Giusto, " il suo discorso tornava, " Che cosa ti ha spinto a cercarlo, solo un posto dove mangiare?" gli chiesi, forse era quersta la vera domanda.
" Anche, ma forse avevo bisogno di un posto dove poter restare da solo e non sotto gli occhi vigili di tutti, un posto dove poter essere liberi, e pensare liberamente."
Annuì, lui tornò a recuperare i nostri oggetti.
Un uccellino si avvicinò a me, saltellava lentamente, lo sguardo era fisso sull'erba, ma sapevo che era a conoscenza della nostra presenza. Presi il pezzettino di cornetto che avevo lasciato sulla coperta, ormai non si potava far più nulla, ed iniziai a sbriciolarlo e a gettare le molliche nell'erba, l'animaletto si avvicinò e iniziò a bacchere il cibo, aveva un piumaggio chiaro, era molto piccolo, magari ancora cucciolo. Sembrava indifeso in quel mondo, troppo grande per lui, mi guardò prima di beccare le briciole dalla mia stessa mano. Strano per un uccellino concedersi a questi comportamenti. Si fidava dal primo istante cosa che io avevo smesso da un pò di fare.
" E' solo questione di fiducia." sussurrò Edward al mio orecchio, mi girai verso di lui, sulla mia sinistra, per guardarlo meglio, osservava la bestiolina mangiare dalla mia mano, ed io fissavo lui, il suo odore mi faceva girar la testa, troppo buono.
" Eh sì, " risposi. L'uccellino scappò, volò via, lo guardai volare finchè non lo vidi sparire tra le foglie di un albero.
" Ti fidi di me, Bella?" mi chiese, spostandosi di fronte a me.
" Si, mi fido." Era vero.
" Anche io, mi fido di te." rispose, sorridendomi, e accarezzandomi il volto, chiusi gli occhi a quel tocco, seguì ogni curva del mio viso, scese ad accarezzare il naso, fino a trovare la mia bocca, dove dopo vari secondi
lasciò un tenero bacio. Non risposi a quel contatto.

Sistemò una ciocca dei miei capelli dietro ad un orecchio, e mi sussurrò piano di aprire gli occhi.
" Andiamo?! " chiese.
" Andiamo," risposi. Mi aiutò ad alzarmi, e mi prese in braccio portandomi fino alla sedia a rotelle, raccolse la coperta da terra, la ripiegò per bene e partimmo di nuovo per la struttura.
Sembrava fin troppo bello poter restare lì, e non tornare in ospedale. Irrealistico. Ora saremmo tornati ad essere Edward il dottore e Bella la paziente pazza e muta, sperai che non fosse così, o almeno che non
cambiasse ciò che si era creato e che almeno nei momenti da soli nella mia camera potessimo continuare ad essere quello che eravamo fino a qualche secondo fa.

" Cosa ho in programma oggi?" chiesi, mentre lasciavamo alle spalle la piccola radura.
" Devi fare di nuovo la visita, dobbiamo fare un'ecografia pelvica per vedere lo stato di infezione del tuo utero, ed infine questo pomeriggio dovrai fare di nuovo fisioterapia, con la dottoressa Hale, come ti è sembrata?" 
" E' brava, molto brava, non fa molto male come prima, ha smesso di pulsare."
" Mi fa piacere, vedrai che starai ancora meglio con delle altre sedute, tra pochi giorni potrai a camminare e sostenerti per un pò." spiegò.
" Si, lo so, me l'ha spiegato, e ne sono felice.Non dovrò dipendere dagli altri!" dissi sollevata.
" Ti da così fastidio dipendere dagli altri, eh?!" domandò, con tono sarcastico.
" Si, abbastanza, sento sempre un qualcosa che ti costringe a restare accanto alla persona a cui dipendi, è come un diritto, un patto fatto fra le due persone, 'io resto vicino a te, ed invece tu mi mantieni economicamente' o in qualunque altro modo..." spiegai.
"Hai ragione, da un lato, ma dall'altro no. Ci sono persone che sono felici di aiutare delle altre, e tra fidanzati, marito e moglie , genitori e figli tutto ciò non dovrebbe succedere." ribatté.
Scrollai le spalle, era difficile quando avevi un lavoro a disposizione, rifiutarlo e farti dare dei soldi dai tuoi, quando avresti potuto benissimo badare a te stesso. Per questo volevo ricominciare a studiare, così da avere
un mio lavoro.

Camminavamo fra le aiuole dell'ospedale, eravamo in vista, alla vista di tutti.
Respirai l'aria pulita, chiudendo gli occhi. Li riaprì qualche secondo dopo poichè mi accorsi che i raggi solari non mi colpivano più. Eravamo coperti dall'edificio.
" Ehy, cosa ci fate qui?" chiese una voce maschile. Mi girai verso la provenienza di quella voce, mi accorsi fosse il dottor McCarthy.
" Ehy, Emmett." salutò Edward. Io non parlavo, feci un cenno col capo, ed molto probabilmente arrossì.

" Cosa ci fate qui?" ripetette.
" Ho fatto fare una passeggiata a Bella. Le serviva un pò di area fresca."
Emmett ci guardò scettico, ma poi annuì, dava per buona la sua versione.
" Dovete rientrare?" chiese, infine.
" Si, dobbiamo rientrare." rispose Edward, io non parlavo ma lo stesso avrei voluto aggiungere un 'purtroppo'.
" Andiamo allora" rispose l'altro medico. Aprì la porta facendoci entrare più facilmente.
" Cosa avete fatto?" domandò.
" Nulla, un giro nel parco, nulla di più." da ciò che stava dicendo dedussi che Edward fosse un bravo attore. " Noi dobbiamo lasciarti, " disse indicando un corridoio che di diramava in due, " Ma dopo mi servirebbe un
ecografo, dobbiamo ancora averlo, potresti portalo tu? "

" Si, certo, fra trenta minuti va bene?? "
" Benissimo. A dopo allora." e andammo verso il corridoio che portava all'ascensore, ai reparti.

Quando entrammo in camera mia sospirai per il sollievo.

Edward rise.
" Guarda che lui, anche se avesse scoperto qualcosa saresti stata al sicuro, è un'ottima persona." annunciò poco dopo.
" La mia fiducia sta crescendo in tutti sempre di più, ora però non eccediamo... " dissi io.
" come vuoi."
Posò tutte le cose al proprio posto, gettando i rifiuti della nostra colazione nel cestino della mia camera.
" Che ne dici, se incominciamo ad andare nel mio studi per la visita?" chiese, dopo aver finito.
" Si, è un'ottima idea."
Ed uscimmo così di nuovo dalla mia stanza, nel nostro tragitto non incontrammo nessuno, come al solito. Quel percorso già lo avevo percorso pochi giorni prima.
Entrammo nello studio del mio dottore preferito, facendomi accomodare, o meglio stendere sul lettino.
Recuperò il suo stetoscopio dalla scrivania, iniziando così visitarmi.
Controllò i battiti cardiaci, spostandosi , poi, a tastarmi l'addome. Il dolore all'utero era diminuito, fortunatamente non sussultai quando mi tastò quella parte della pancia. Continuava a sorridermi, anche se molto concentrato nel suo lavoro. Il suo tocco ormai mi era quasi indifferente, non provavo più ribrezzo, dopo ciò che era accaduto tra di noi era palese.
" Va tutto benissimo" sussurrò, abbassando la maglia sulla pancia. " dobbiamo solo aspettare gli esisti dell'ecografia, per vedere lo stato dell'infezione, ma sono certo che sia regredita." annunciò, continuando.
Gli sorrisi come risposta.
" Me la farai tu, l'ecografia, intendo??" chiesi, speravo in una sua affermazione.
" Mhm... sarebbe meglio se la facesse Emmett, ma se desideri che la faccia io, non c'è problema."
" Vorrei che me la facessi tu, Edward." dissi tutto in una sola volta, velocemente.
" Certo..." sussurrò, fissandomi.
Qualcuno bussò alla porta, segui un ' avanti' di Edward, era il dottor McCarthy, con lo stesso macchinario dei giorni precedenti, ovvero un ecografo.
" Eccomi, scusate il ritardo."
" Di nulla, mettilo pure qui, te lo farò portare da un'infermiera dopo giù." disse Edward.
" Pensavo dovessi farla io." chiese confuso.
" No, non preoccuparti, puoi andare, ci penso io qui."
" Va bene, come vuoi io vado a presto!" salutò, uscendo.
" Grazie mille " sussurrai.
Sorrise, prendendo del gel e mettendone un pò sulla mia pancia. Era freddo, feci una smorfia al contatto.
Edward rise, mormorando un ' scusa'.
Iniziò così con l'ecografia. Macchie nere si susseguivano nel monitor, Edward le osservava attento, ogni tanto spostando lo sguardo sul mio addome per spostare l'ecografo nel punto in cui c'era l'infezione." Procede bene anche qui, le cure vanno benissimo, sono adatte, non c'è altro da dire." annunciò Edward, passandomi un fazzolettino per ripulirmi dal gel.
Invece di darlo a me, ripulì lui con estrema delicatezza, un suo dito sfiorò la mia pelle e un brivido percorse la mia schiena.
Mi coprì per bene con la maglietta, prima di aiutare ad alzarmi. Sembravo una bambina e lui il mio papà, non negai che questo aspetto mi piaceva e non poco.
Mi trasportò tra le sue braccia fino alla sedia a rotelle, sedendosi dietro alla sua scrivania, sulla sedia di pelle nera. Il suo capo era abbassato e intento su un fascicolo, scriveva , probabilmente, gli esiti della visita. Mi guardai intorno, la stanza era molto pulita e ordinata, nell'aria si distingueva bene l'odore di Edward.
" Ho finito di trascrivere tutto, andiamo?" chiese, riportando lo sguardo su di me.
" Certo andiamo."
Fece il giro della scrivania fino a recuperarmi ed andare in camera mia.
Quella camera non mi era mai mancata come in quel giorno. Sembravano essere passate giornate intere dal mio risveglio, ma invece erano trascorse soltanto poche ore e ad aspettarmi c'era la maggior parte del giorno.
" Hey, ci sei?" mi chiese Edward. Mi girai verso di lui, mi guardava preoccupato, mi ero persa nei miei pensieri.
" Si, stavo solo pensando... "
" A cosa? Se posso saperlo, " sussurrò.
" A ciò che è successo da questa mattina, si sono susseguite tantissime cose, avvenimenti bellissimi, " lo tranquillizzai." Sembra essere trascorso tantissimo tempo, e non poche ore..." mi giustificai.
" Lo capisco, hai bisogno di più tempo per assimilare, e se vuoi puoi farlo con me. Possiamo continuare ciò che è accaduto questa mattina, possiamo continuare se vuoi a parlare, e non per forza ad avere dei contatti fisici... " aggiunse.
" No... " sussurrai, " mi interessa parlare con te, quanto avere dei contatti e ti assicuro che non è poco!" gli dissi.
Mi sorrise, prima di iniziare ad accarezzarmi una guancia.

Poco dopo stavamo mangiando, era cibo dell'ospedale, si era giustificato dicendo che non aveva avuto occasione di ritornare a casa, e quindi niente specialità di sua madre, non mi importava l'importante era la sua
presenza.

" Ti piace leggere??" chiesi. Tra un boccone e l'altro di pollo, il primo piatto non l'avevo toccato.
" Si, abbastanza. Prima leggevo molto di più, ora meno. E' difficile con un lavoro, anche se non ho ancora famiglia diventa davvero difficile poter avere del tempo esclusivamente per me. Ma comunque si, mi è sempre
piaciuto leggere." spiegò. " A te, invece??"

" Si, mi piace molto leggere anche se la varietà di libri è poca rileggo sempre gli stessi libri, mi piacciono e ricomincio sempre a leggerli."
" Quali sono i tuoi libri preferiti?"
" Quello preferito è uno solo, Orgoglio e Pregiudizio. Mi piace tantissimo e l'ho letto un'infinità di volte."
" Mhm capito, l'ho letto, è carino ma non è il mio genere!" rispose.
" E quale sarebbe il tuo genere?" gli domandai.
" Mi piacciono molto i gialli, e i thriller." disse prima di addentare una mela.
" Ecco, mi sarebbe sembrato un pò strano sapere che ti piacciono i libri romantici! Mi aspettavo ciò dopo il film Ghost! " e scoppiai a ridere.
Mi fece una linguaccia.
" Bella, come passi di soliti i Natale??" mi chiese.
" sono sempre molto tranquilli, in famiglia. Quest'ultimo l'ho passato con i miei genitori, con Jacob e i suoi parenti, ne eravamo di più del normale, ma nulla di troppo sfarzoso, tutto semplice."
" Ho capito, - disse, e poi rispose alla mia domanda che avevo solo pensato, ma lui probabilmente l'aveva intuita.- anche i nostri sono molto semplici, i familiari dei miei genitori, Esme e Carlisle, sono originari del Texas, quindi non ci vediamo spesso, capitava in estate quando i miei genitori , in passato quando ero ancora piccolo, avevano le ferie, ne approfittavamo per andarli a trovare, ma la maggior parte delle volte sono loro a venire da noi, ma comunque siamo pochi, mio padre è figlio unico, mentre mia madre ha una fratello." spiegò.
" Quindi i tuoi hanno sempre vissuto e si sono conosciuti in Texas?" chiesi, curiosa.
" Si, sono vissuti lì, ma non si sono mai incontrati, si sono conosciuti al college, frequentavano lo stesso college, ma non si erano mai parlati prima, anche se vivevano nella stessa cittadina e frequentavano la stessa scuola. Mio padre ha solo un anno in più a mia madre, quindi era un anno avanti. Lui era il tipo che studiava sempre, ma allo stesso tempo molto popolare, invece mia madre si rintanava in casa e studiava, non era ben vista, ma poi al college è cambiato tutto, Esme aveva sempre avuto fin dal liceo, una cotta per mio padre, ma non gliela avevo mai detto, e mio padre invece no, la considerava a malapena, tutto è cambiato, come ti ho detto, al college." finì il suo racconto.
Si era fermato più volte per dare un morso e poi masticare la mela, anche io avevo iniziato a mangiare il frutto.
" Credo sia una bellissima storia..." diedi sfogo ai miei pensieri.
" Si è interessante e ambigua allo stesso tempo." sorrise, ingoiando l'ultimo pezzettino di mela.
" Quanti fidanzati hai avuto, Bella?" mi chiese dopo vari minuti.
" Due importanti. L'ultima relazione importante è stata con Jacob, stavamo insieme da sei anni, tutti erano convinti che saremmo stati insieme per il resto della nostra vita, ma abbiamo deluso le aspettative di tutti, la prima relazione è durata due anni, o quasi, avevo quindici anni, si chiamava Mike, l'ho lasciato perchè insopportabile , si è messo con una ragazza, una mia amica, e per quanto ne so dovrebbero ancora stare insieme. Di Jacob non so nulla tra tre mesi, e non mi interessa nulla." spiegai.
La nostra conversazione fu interrotta da un'infermiera, che recuperò i nostri vassoi. Fortunatamente non mi aveva sentita parlare.
Salutò me e poi Edward sorridendogli, uscì velocemente dileguandosi.
" Puoi continuare." mi disse, scrutando il mio volto preoccupato.
" Sì, voglio lasciarmi alle spalle queste relazioni già troppo tormentate, basta, voglio solo dimenticare tutto."
" Sei sicura che tu voglia dimenticarlo??" mi disse.
" Si, perchè non dovrei?" chiesi irritata.
" Perchè con lui hai fatto esperienze positive." disse.
" si, ne ho fatte molte ma anche tante negative che per quanto mi interessano saranno sempre più marcate di quelle buone." spiegai, quasi irata.
" Sei sicura che tu non voglia mantenerti al tuo passato?"
" No, io voglio solo dimenticarlo! " dissi.
Annuì. Mi bloccò la mano, csi muoveva velocemente sul letto. La immobilizzò sul lenzuolo con la sua, era calda e avvolgeva completamente la mia.
" shh, scusa non volevo farti arrabbiare, non era nelle mie intenzioni, dimenticare non si può spero tu capisca che la sola soluzione è metterla da parte, in un cantuccio piccolo ma non eliminarla." sussurrò.
Le lacrime stavano inondando i miei occhi, alzai lo sguardo sia per non farmi notare che per arrestare il flusso.
La sua mano era ancora sulla mia, la stringeva e mi sentivo osservata, non avevo il coraggio di voltarmi verso di lui.
" Sono stanca, " sussurrai, poco dopo, delle lacrime non c'era più traccia, abbassai il mio sguardo su di lui, era tranquillo, o ciò era quello che ne traspariva. Forse avevo solo voglia di staccare un la spina, era stata un
bellissima mattinata, ma in un certo senso troppo stressante.

" Riposati allora, " sussurrò, togliendo uno dei due cuscini, così da permettermi di stendermi.
Mi stesi, girandomi verso di lui, malgrado quella posizione fosse scomoda, iniziò ad accarezzarmi i capelli, e a canticchiare una melodia dolce e come una ninna nanna mi portò nel mondo dei sogni.Sognai Edward, quel pomeriggio, ci conoscevamo al college, proprio come i suoi genitori. Eravamo felici, quando entrò anche Mike, volevo restare sola con lui , con Edward. Improvvisamente lo scenario cambiò, ero a
casa di Jacob, anzi la nostra, quella di Seattle, in salotto, e Jake era di fronte a me. Si avvicinò lenatamente, tremavo per la paura , ma allo stesso tempo era arrabbiata con lui, volevo colpirlo, ma non riuscivo a muovermi, ero ferma, immobile. Si avvicinava sempre più lentamente, i nostri visi erano vicini, i nostri nasi si sfioravano, ci guardavamo negli occhi intensamente, poi svanì. Ero rimasta sola nel salotto della mia ex casa, faceva freddo mlto freddo come se ci fossero pochi gradi misi le mani nelle tasche della felpa èper riscladarle. Mi accorsi che in quella destra c'era un fogliettino, l'aveva deposto sicuramente Jacob quando si era accostato, lo presi aprendolo in due. Quello che c'era scritta mi ghiacciò lo stomaco, non per il freddo ma per la paura.

In caratteri piccoli e con calligrafia incerta le parole mi colpirono come pugni in pieno stomaco.
Sul foglietto c'era scritto sto tornando.
Mi risvegliai ansante, Edward vicino a me, mi guardava preoccupato. La prima cosa che feci fu controllare le tasche. Erano vuote. Fortunatamente.
" stai bene, Bella?" mi chiese.
" Si, è solo un incubo." mi tastai la fronte,era bagnata.
" Sicura?" domandò, incerto
.
" Si, non preoccuparti, va bene, ora ho bisogno di sciacquarmi, però, potresti aiutarmi ad andare in bagno, per favore?" chiesi.
" Certo, " e mi prese in braccio, portandomi in bagno.
" Ce la fai?" mi chiese, quando mi lasciò.
" si, non preoccuparti, sto bene!" lo tranquillizzai.
Uscì fuori chiedendo la porta alle spalle.
Mi sciacquai la faccia, era sudata e appiccicaticcia. Guardai la ragazza con il volto bagnato da mille
goccioline e dall'espressione stanca, riflessa allo specchio. Quella persona era stanca ormai di vivere in un incubo. Ma doveva sopportarlo, doveva farlo per coloro che le volevano bene, Edward in primis.
Appoggiandomi al muro riuscì a raggiungere la porta, dove ancora una volta a soccorrermi fu Edward.
" Va meglio?" chiese.
" Si, va benissimo."
" Gli incubi tornano spesso?" domandò.
" Sì, abbastanza spesso, ma sono gestibili." Mentì.
Scrollò le spalle. " Devi fare fisioterapia, mi hanno appena chiamato, " annunciò.
" Sì, ora vado."
Guardò il pavimento prima di dire: " Se vuoi posso farti compagnia!"
Probabilmente i miei occhi si illuminarono, e risposi subito " Sì" .
Mi accompagnò fino alla stanza dove fu presente agli esercizi.
La seduta durò più di due ore, erano le otto quando tutta la stanza si era svuotata e la dottoressa Hale disse che avrei anche potuto camminare con le stampelle, cercando ovviamente di non poggiare il piede a terra.
Tornai in camera con le mie stesse gambe. L'era della dipendenza era ormai finita.
Mangiammo nuovamente insieme, parlando del più e del meno, non tornammo fortunatamente sul discorso Jacob e su quello degli incubi.
" Tu, Edward, quante fidanzate ufficiali hai avuto?" chiesi, " credevi di esserti salvato dalla domanda??"
" Ufficiali nessuna. Ma tantissime ragazze, ti ho detto, tu sei l'unica che conosce un pò del mio passato, sei l'unica a cui ho raccontato , anche se poco dei miei genitori. Nessuno sapeva più di te, ora."
" Perchè, perchè non hai mai raccontato a nessuna del tuo passato?" domandai, forse era la domanda meno opportuna.
" Non so perchè, non mi sentivo di farlo, come invece accade con te, è diverso. Avevo paura che non mi accettassero per il mio passato, un giorno te ne racconterò, non è facile neanche per me , solo Carlisle ed Esme ne sono a conoscenza, nemmeno i parenti di quest'ultimi lo sanno.Quindi capirai quando sia difficile."
" Sì, capisco. Ci sono dentro anche io, non dimentichiamolo." dissi.
Guardò l'orologio, come temevo il tempo a nostra disposizione era poco ormai, se non del tutto finito. Mi maledì del sonnellino pomeridiano avremmo potuto benissimo stare insieme, anche se per poco in più.
" Devi andare, Edward, Carlisle ed Esme si staranno chiedendo di te." cominciai io.
Cercò di controbattere ma non glielo permisi.
" No, davvero vai!" continuai.
" Aspetto che ti addormenti. E poi vado , giuro!" disse, cercando un compromesso, non gliela avrei data vinta.
" No!" il mio tono non ammetteva repliche. Guardò in basso, sul letto, poi sconfitto, parlò.
" Ne sei sicura?" domandò.
" Si, non preoccuparti, starò bene, a domani Edward" lo liquidai.
" A domani Bella," si accostò a me baciandomi la guancia, sentì le guance in fiamme.
" A Presto..." aggiunsi quasi balbettando.
Lo visi allontanarsi lentamente, mi fece pietà, ma non lo diedi a vedere. Prima di chiudere la porta si voltò verdo me e mi sorrise dolmente. La porta si chiuse.
Mi stesi nuovamente, pensando che Edward fosse accanto a me come in quel pomeriggio e mi accarezzasse i capelli. Mi addormentai accarezzando l'Iris, i petali erano vellutati, proprio come la sua pelle.
Lo avevo tra le mani, il fiore che aveva portato me ed Edward a quello che eravamo, non l'avevo mai lasciato andare da quella mattina.
E non l'avrei mai lasciato più andare, neanche quando sarebbe appassito, sarebbe stato il simbolo della nostra unione.

Ed invece , il vostro libro preferito qual è?? ( oltre a Twilight! xD)

Volevo pregarvi di recensire, per me è più bello, positivo scrivere quando a sostenermi sono tante persone, il capitolo precedente è piaciuto, ci sono stati 22 mi piace da parte di fb, se almeno la metà di quelle persone lasciasse un commento mi rendereste più felice... e ovviamente la voglia di scrivere aumenterebbe molto, quindi commentate! =)

Un bacio e tenete d'occhio il blog, Many!

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Capitolo 12
*** Non era un sogno, per fortuna. ***


Buonasera a tutti!!=)
Eccomi di ritorno!!
veloce eh?? xD
Capitolo abbastanza lungo e pieno di emozioni, soprattutto la parte finale =D!

Il mio libro preferito è "quando si ama non scende mai la notte" di Guillaume Musso, libro bellissimo *-*( non so quante volte ve l'ho ripetuto xD)

vi lascio al capitolo, altre note alla fine!
Buona lettura.

Era davvero molto presto, quella mattina, quando mi svegliai. Il Sole era sorto da poco, si notava dai raggi che erano debolissimi e a stento trapassavano il vetro della mia camera d'ospedale. Ero sola e visto che non disegnavo da più di ventiquattr'ore decisi di riprendere questa mia attività. L'Iris era di fiaco a me, sul cuscino, era leggermente appassito, i petali non erano più così vigorosi come il girono prima. Presi la matita ed il mio quaderno giallo dal un cassetto del comodino, e iniziai a scarabocchiare qualcosa, decisi il soggetto, il fiore. Volevo lasciare un ricordo anche su carta e non trovavo idea migliore di ritrarlo. Le mie mani si muovevano veloci, lasciando linee grigie sulla carta, come un palazzo in costruzione il mio disegno pian piano prendeva forma e sue caratteristiche, era abbastanza realistico, a mantenerlo c'erano due mani uno sovrapposta all'altra.
Quelle mani erano la mia e quella di Edwad. Come il giorno precendete nella radura, quel disegno sarebbe stato testimone del nostro rapporto.
Non avevo sognato nulla, per fortuna.
Aggiunsi la mia firma al disegno, quando ogni particolare era al suo posto e terminato, un piccolo scarabocchio senza forma nè apparentemente significato sostava nella parte bassa e invisibile del foglio.
Aprì lentamente il cassetto riponendo il tutto, con cura, giusto per ingannare il tempo, era una tortura dover restare sola, se precedentemente la solitudine mi piaceva in quel momento non c'era cosa che detestassi di più.
Si erano aggiunte troppe persone importanti alla mia insignificante vita, portando colore, la mia vita non era più in bianco e nero.
Qualcuno bussò alla porta, non dissi avanti, poteva essere benissimo qualcun'altro oltre Edward. Ed infatti era Alice, la mia infermiera preferita.
" Ciao!" salutò, era solare e felice, più degli altri giorni, lo si sentiva dalla voce, e dal suo modo strambo di camminare, saltellava quasi , come una bambina, contenta.
Feci cenno di Ciao con la mano, con lei non sentivo questa particolare voglia di parlare, come invece succedeva con Edward.
" Come va, pesciolino?"
Ripresi il quaderno giallo, e ci scrissi su: Sto benissimo, grazie. A te invece, ti trovo più in forma del solito.
Tradussi così la sua felicità.
" Si vede tanto?" chiese, preoccupata, e sgranando gli occhi.
Annuì pesantemente.
" Ora ti spiego tutto, " fece trovando la sedia con gli occhi, si sedette portandosi più vicino a me possibile. " Mhm... ti ricordi vero , quando ti parlai del dottor Whitlock ?"
Annuì, velocemente, curiosa di sapere.
" Bhè non ci crederai mai, o meglio io non ci credo ancora oggi, sembra tutto un sogno, è irreale quello che sta accadendo, è magnifico... " se non l'avessi fermata avrebbe continuato all'infinito. " Bhè, si ieri, avevamo
entrambi il turno libero ed... ti spiego dall'inizio, con calma." A mio parere l'unica che doveva calmarsi era lei.

" Due gironi fa, gli ho portato delle radiografie, era una commissione da parte di radiologi, doveva controllare una sua paziente, " speculativa era l'aggettivo giusto per descrivere Alice." quando gliel'ho portate mi ha trattenuta dicendo che mi doveva parlare, il cuore mi batteva a mille malgrado non conoscessi le sue intenzioni, eh bhè ... dopo vari minuti mi dice se avessi voglia di fare una passeggiata con lui, nel centro. In quel momento avrei voluto urlare, e avvinghiarmi a lui, ma non preoccuparti, non l'ho fatto!" aggiunse quando si accorse del mio sguardo interrogativo. Andò vanti." Ho accettato, ovviamente, un pò titubante per manternlo sulle spine. Il giorno dopo, mi manda un sms, dicendo l'ora e il posto dove ci saremmo dovuti incontrare, sono andata all'appuntamento, vestita impeccabilmente, non ti dico l'insicurezza nel decidere i vestiti!! Ma comunque , andiamo avanti. Facciamo questo magnifico girò tra le vetrine più emergenti di Seattle, abbiamo preso un frappé alla fragola io, ed invece lui alla banana." Parlava, gesticolando, era euforica, ogni tanto torturava le mani con lunghe unghie laccate dallo smalto. " Abbiamo parlato molto, di tutto dalle cose più insignificati a quelle più importanti, mi ha chiesto di me, se fossi fidanzata, e gli sono illuminati gli occhi quando gli ho risposto di no!" La sua euforia a quel punto era allo stremo, non era possibile fermala, conoscevo Alice da poco, ma ormai le volevo già un gran bene, per il suo carattere ad 'uragano' ed anche per i suoi modi solari e gioiosi di fare.
" Mi ha riaccompagnata a casa, e ci siamo baciati." le sue pupille a quel punto erano a forma di cuoricino. " Mi ha salutata dicendo che gli avrebbe fatto piacere rivedermi... Non trovi sia la persona più dolce del mondo??" mi chiese, prendendomi il braccio e scuotendolo.
Avrei voluto rispondere, conosco una persona che è stata gentile quanto o più lui.
Ma mi limitai a scrivere sul foglio, quando Alice mi lasciò il braccio, un semplice Sì, lo è.
" E tu, invece, cosa hai fatto ieri??" domandò, quando mise da parte il suo incontro.
Nulla, sono stata sola, mentì. Rispettavo Alice, ma non le avrei mai raccontato ciò che era successo il giorno precedente, non in quel momento, non in quel modo.
" Come va con la gamba?" mi chiese.
Abbastanza bene, grazie, scrissi.
Mi sorrise dolcemente, quasi quanto una sorella. Bhè per me lei lo era quasi. Di sicuro era un'amica, una delle quali fidarsi ciecamente.
La porta si aprì , il corridoio era più movimentato del solito, lo capivo dalle voci che si sentivano più forti e marcate, mischiate le une con le altre.
" Buongiorno, " disse Edward, entrando in camera. Il mio cuore iniziò a battere più forte, Alice si voltò verso la porta sorridendogli, e così fece anche Edward , chiuse la porta alle sue spalle, avvicinandosi a noi.
" Finito di sparlare di tutto il reparto?" chiese ad Alice. Scherzava, lo si vedeva dall'espressione del viso. Avevo imparato a riconoscere le note di sarcasmo oppure quelle che marcavano la serietà.
" No, non ancora, ci mancavi solo tu, Edward." rispose l'infermiera.
" Chissà quanto avreste detto su di me, ma mi dispiace se non potete continuare..." disse in tono finto-dispiaciuto.
" Avremmo parlato per almeno un'altra ora, se non ci avessi disturbato." c'era una bella intesa tra Alice e il mio dottore. Erano sicuramente di più di semplici colleghi.
" Allora io vado..." disse Alice , improvvisamente dopo vari minuti, si alzò dalla sedia molto lentamente, guardò attentamente me e poi Edward. Preferì pensare che non avesse intuito nulla.
" Arrivederci." salutò Edward.
" Tu non vieni?" chiese Alice, guardandolo intensamente.
" No, devo cambiare la fasciatura a Bella, ci vediamo dopo." disse lui, mostrandole il disinfettante e le garze che giacevano fra le sue mani.
Alice annuì, sorrise e corse via.
Quando la porta si chiuse mi scappò un sospiro.
Edward sorrise avvicinandosi ancora di più a me.
" E' stata dura?" domandò.
" Abbastanza... " risposi, ridendo.
" Dobbiamo stare molto attenti con lei, è difficile poterle nascondere qualcosa, "
" Me ne sono accorta" aggiunsi sospirandò sonoramente.
" Cambiamo questa fasciatura o no?!" domandò sorridendo, e accostandosi sempre di più. Le sue gambe toccavano il lato destro del mio letto, mi fece girare con le spalle verso di lui, ed iniziò a togliere la garza che ricopriva la ferita. Quando disinfettò, non sentì nessun bruciore segno che si stava rimarginando per bene, successivamente rimise altra garza pulita e sterile.
Mi girai di nuovo verso di lui, sistemando le coperte sulle mie gambe.
" Come va?" gli chiesi.
" Tutto bene, grazie, a te invece??"
" Bene... " Il suo sguardo si spostò sul cuscino, dove c'era l'Iris. Un sorriso flebile comparse sul suo volto.
" L'hai conservato." disse, non era una domanda, ma un'affermazione.
" Si, non potevo lasciarlo lì, non trovi?"
" No, non potevi, è il nostro..." sussurrò, guardandomi intensamente negli occhi, e sorridendo. Dopo vari minuti di silenzio riparlò. " Adesso devo andare questa mattina ci sono tantissime cose da fare, pazienti da visitare, e tanto altro, ci vediamo più tardi, " mi disse, avvicinandosi al mio volto, il mio cuore batteva forte, tanto forte che il rumore rimbombava nelle mio orecchi, lasciò un tenero bacio sulla fronte.
" A dopo Edward" gli dissi, balbettando.
" A presto." fece, mi diede le spalle e lentamente arrivò alla porta, mi guardò facendo un occhiolino,e chiuse la porta.
In quel giorno avevo intenzione di far vedere ad Edward i miei disegni, mi sarebbe piaciuto sapere cosa ne pensasse, sicuramente mi avrebbe elogiata.
Come solo lui sapeva fare.
Un suo pregio era quello di farti sentire amata, protetta ed unica. Tutto nello stesso istante, nello stesso momento, emozioni capaci di metterti ko, troppo forti, intense.
Ogni donna al mio posto si sarebbe beata della sua bellezza, i suoi occhi verdi smeraldo ammalivano chiunque, me ne ero resa conto il giorno precedente, nelle ore di fisioterapia, ogni dottoressa, infermiera, addetta o semplicemente paziente era incantata da quegli occhi, dalla sua bellezze, e non solo, anche i suoi modi di fare.
E questo mi faceva ingelosire, anche se in verità io non potevo pretendere nulla.
Io non ero bella come lui, ero una donna semplice, dai mille difetti, una cosa ci univa , sperai non fosse solo quello, il nostro passato burrascoso.

Mangiai da sola, a quanto pareva il reparto si era riempito davvero tanto nelle ultime ore, neanche il cibo senza Edward era lo stesso. Con lui ero riuscita a mangiare qualcosa, anche perchè pregata, l'avevo fatto per lui, invece senza il mio medico anche sforzarmi di mangiare era quasi inutile. Il mio problema era sia l'appetito sia il cibo dotato dall'ospedale.
Il pomeriggio, invece,  passò tranquillo, in compagnia di Edward.
" Dai no!!" quasi urlai, a trattenermi fu soltanto il fatto che nessuno doveva sentire urla provenire dalla mia stanza.
Edward mi stava cospargendo la faccia di cioccolata.
" Avevi detto che ti piaceva , no?! Allora tieni!!" ed altra cioccolata a sporcarmi il viso.
Io mi trovavo sul letto, seduta, mentre lui, sulla sedia.
Si era sporto dalla sedia, per venirmi più vicino e sporcarmi, io indietreggiavo sempre di più, cercando di salvare almeno i miei capelli. Le mie guance, la fronte e la bocca erano completamente ricoperte di cioccolata, aveva portato dei cornetti, ormai erano diventati la mia colazione-merenda preferita.
Ma il mio ormai era del tutto perso, tra pavimento e il mio viso.
Il suo volto era impeccabile.
" Hai finito?" chiesi, quando del cornetto era rimasta solo qualche briciola, e tantissimi pezzi a terra.
" Forse." e mi fece una linguaccia.
" ora come mi ripulisco?!" chiesi.
Scrollò le spalle, " Sei bellissima anche tutta sporca!" , fortunatamente non vide il mio arrossire.
" Si?!" chiesi, maliziosa.
Toccai con la mano il mio viso e presi un pò di cioccolata, sporgendomi dal letto gliela spalmai sul viso.
" Anche tu ora sei perfetto, così!" sghignazzai, contenta ce anche il suo viso ora non fosse più immacolato.
Si avvicinò pericolosamente a me, il mio petto aderiva al suo, se non fosse stato che la mia testa era tirata indietro le nostre bocche si sarebbero toccate.
Mi baciò la punta del naso, succhiandone la cioccolata. Scese lentamente, i suoi occhi erano nei miei, ci guardavamo intensamente, il mio cuore batteva sempre più forte, possibile che un uomo riuscisse a creare così tanto scompiglio in una donna??!
Accarezzò con il suo labbro superiore il mio, ormai la distanza non ci apparteneva, mi accostai infine io a lui, facendo aderire le nostre labbra, un bacio romantico ne scaturì da ciò.
Le nostre bocche erano fatte le une per le altre, si muovevano in sincrono, assaporavo la cioccolata spalmata sulle sue labbra, ma la sua fragranza era ancora più dolce, era miele.
" Sei dolcissima, e non solo per la cioccolata" sussurrò al mio orecchio.
" Anche tu lo sei." Le mie guance erano caldissime.
Si allontanò da me, prendendo dei fazzolettini e dell'acqua. Poco dopo stava ripulendo il pasticcio che egli stesso aveva fatto.
" Sei sicuro che ce la farai con solo quei fazzoletti per ripulire questo disastro?" chiesi.
" Si, ci riuscirò, " mi disse, strofinando energicamente un fazzoletto bagnato sul mio viso.
Dopo solo dieci minuti, con la faccia arrossata per lo sfregamento , finì.
Guardò l'orologio, per poi risposare lo sguardo su di me.
" Devi andare a fare fisioterapia, " annunciò. " Io non ci potrò essere oggi, ma al tuo ritorno c'è un'altra piccola sorpresina!"
" Un'altra?" chiesi scettica, " e dovi mi porterai questa volta, sulla Luna?"
" No, sul Titanic." annunciò. Rimasi sbalordita da quelle parola.
" In che senso?" domandai.
" Doveva essere una sorpresa, ma con te non si può far nulla, " sorrise. " avevo intenzione, ed ho tutt'ora intenzione di portare una tivù qui, per vederci Titanic insieme."
" Oh, che bella idea!" mi piaceva da morire quel film, per di più se visto con lui.
" Su andiamo ti accompagno io, da Rosalie Hale." disse, contento.
" Puoi passarmi le stampelle, per favore??" chiesi.
" Si..." girò su se stesso, cercando con lo sguardo le stampelle, non riuscendole ad inquadrarle, si fermò improvvisamente, cammionando davati a lui e prendendo il mio sostegno di deambulazione,
" Tieni, " disse, passandomele, dopo avermi aiutata ad alzarmi.
" Devo andare un attimo in bagno, per ripulirmi la faccia, è tutta appiccicaticcia!"
" Ti aspetto qui, " mi guardò allontanarmi, da sola, con le stampelle a sorreggermi.
Riuscivo a camminare abbastanza bene, anche se desideravano poter camminare senza nessun aiuto.
Mi sciacquai la faccia, non c'erano più residui, tastai piano con l'asciugamani, la faccia era già abbastanza irritata per continuare a sfregare.
Ripresi le stampelle che avevo appoggiato vicino al lavandino e mi diressi verso la mia camera.
" Andiamo?"dissi.
" Certo, " mi aprì la porta, della stanza, facendomi sgusciare fuori. Camminavamo a passo, io ero più lenta ovviamente, e lui si adattò al mio tempo.
Quando arrivammo fuori dalla camera della fisioterapia, mi accarezzò un braccio, cercando di non farsi vedere e mi salutò andando via. Lo vidi camminare dalla direzione opposta, salutare alcuni colleghi e voltare in un nuovo corridoio, scomparve.
Saltellando con le stampelle, entrai nella camera, incamminandomi vero la dottoressa Hale.
" Ciao, Bella."
" Vedo che oggi sei venuta con le tue stesse gambe, benissimo!" disse, malgrado anche il giorno precedente fossi andata via con le mie gambe.
Le sorrisi e lei continuò a parlare." Oggi cercheremo di camminare senza, ti stai riprendendo benissimo, e non c'è bisogno delle stampelle, sono più che certa che anche senza riuscirai a sostenerti."
Mi fece fare un esercizio sulle parallele, una 'pista' larga appena un metro, e ai lati due sbarre, che correvano parallelamente, mi fece camminare sostenendomi alle due aste, riuscì a farcela, per più di un'ora, quando sentì che la gamba era affaticata 'chiesi'(scrivendolo) di smettere.
" Non c'è problema," mi disse la dottoressa, " facciamo un altro esercizio meno faticoso, sei stata bravissima oggi..."
Avrei preferito tornarmene in camera.

Quando il corso finì, ero sfinita.

Avevo fatto esercizi per quasi tre ore, e a parere di Rosalie ( ormai la chiamavo con il suo vero nome,) era normale che fossi affaticata e che sarebbe passato entro poche ore.
Andare in camera sarebbe dovuto essere facile se non mi fossi persa, eppure avrei dovuto conoscere quel corridoio bene, ma non era così.
Chiesi aiuto ad un'infermiera che mi indicò la strada giusta.
Con qualche difficoltà trovai la mia camera.
Chiusi la porta alle mie spalle, incamminandomi al letto e stendendomi, ero stanchissima. Ma ciò che si prevedeva di fare quella sera era molto eccitante.
Dopo vari minuti entrò Edward, con una piccola televisione tra le braccia.
" Stai bene, Bella?" mi chiese con tono preoccupato quando mi vide stesa, e senza forze nemmeno per alzarmi.
" Si, sto bene, sono solo leggermente affaticata." il mio tono era sarcastico.
Rise, montando e collegando fili alla tivù.

Poco dopo guardavamo Titanic con pezzi di pizza fra le mani.

Edward aveva preso delle pizze all'angolo della strada, la mia, ovviamente , salame , mozzarella, prosciutto , e tanto altro ancora Edward, invece, una pizza con tantissime verdure su.
Ne mangiavamo un pezzo vedendo la parte in cui Kate Winslet alias Rose e Jack, Leonardo Di Caprio si trovavano a poppa e recitavano nella famosa scena di 'Sto volando'.
Guardavo il mio film preferito con gli occhi fuori dalle orbite, come se fosse stata la prima volta per me, ma non lo era, anzi era la millesima.
" Cosa pagheresti per stare al suo posto?" chiese Edward, indicando lo schermo della tivù.
" Nulla, sarebbe solo una recitazione, preferirei stare in un vicolo con una persone che amo, oppure in una radura con una persona speciale..." risposi, sorridendo.
Mi baciò la guancia riportando la nostra attenzione al film.
" Guidi la macchina, Bella?" mi chiese dopo poco.
" Si, ho la patente.E guidavo fino a tre mesi fa." dissi velocemente portando i miei occhi sul Leonardo Di Caprio nella scena in cui faceva il ritratto a Rose, chiunque avesse disegnato quel ritratto era bravissimo.
" Posso prendere questo??" chiese, non guardai a cosa si riferisse, ma annuì lo stesso.
Solo quando sentì Edward sfogliare delle pagine capì cosa fosse.
Mi girai lentamente verso di lui, la sua testa era china su ... il quaderno giallo, dove c'era il suo ritratto, ed anche quello dell'Iris!
" No, Edward!" urlai, cercando di prendere il mio quaderno dalle sue mani, ma ormai era troppo tardi, il suo sguardo era fisso sul suo ritratto.
" E' bellissimo" disse, gongolante.
" non... cioè si... ma non dovevi vederlo!" dissi infine.
" Tu hai detto di si... ed io ne ho approfittato!"
" Ma ero distratta, ora dammelo!"
" No, aspetta, mi hai dato il permesso, no?! Distratta o non distratta, ora ho il diritto di vederlo, anche perchè come vedo il soggetto dei ritratti sono io, " parlò girando pagina e osservando il disegno del fiore.
Sospirai sconfitta, era inutile ormai. Avevo avuto intenzione di fargli vedere i miei disegni, ma non quelli!!
" Sono bellissimi, Bella." disse ad un tratto, posando gli occhi su di me. " Migliore di Jack in Titanic, migliore mille volte." sussurrò.
" Grazie." ero in imbarazzo. Così tanti complimenti non li avevo mai ricevuti in una sola volta, e poi era la prima persona dopo i miei genitori e Jacob a vederli.
" Hai mai pensato di fare un'accademia d'arte, ti prenderebbero di sicuro, "
" No, e non ho voglia di farlo, a me piace disegnare per me, e non per gli altri nè vincolata da qualcosa."
Intanto il Titanic stava affondando.
Mi allungai sul letto per arrivare a prendere il mio quaderno quello che usavo per le esercitazioni, e glielo mostrai ad Edward.
" Sono tutti molto belli" disse, sfogliando lentamente le pagine. " Stupendi."
Non risposi, lasciai osservare tutti i ritratti prima di parlare.
" Sei la persona più brava che io avessi mai conosciuto, sul disegno, complimenti Bella."
" Grazie mille, sei troppo gentile."
" E' soltanto la semplice verità." continuò.
" Tu, tu non sei bravo a disegnare?" chiesi.
" No, sono negato, magari i prossimi arredamenti interni della mia casa li faccio fare a te, visto che la devo ristrutturare." era serio, mio malgrado.
" Sei serio?" chiesi conferma.
" Serissimo, voglio che ti scelga o almeno mi aiuti a disegnare qualche progetto,"
" Sarà un piacere lavorare con lei, Cullen."

Edward non aveva per nulla seguito il film, continuava a guardare i miei disegni, alternando lo sguardo su di me.

" Bella, mi ha chiamato tua madre, dicendo che domani sarà qui. Lo sciopero terminerà domani." disse.
" Grazie per avermi informata."
Guardò nuovamente l'orologio, per controllare l'ora.
" Devi andare??" chiesi.
" No, oggi ho il doppio turno, devo recuperare dei turni che ho rimandato." disse.
" Oh, quindi rimani qui?"
"Si, se vuoi sto accanto a te tutta la notte" il suo tono era dolce.
" Mi farebbe piacere."
Intanto il film era quasi terminato.
Mi stesi per stare più comoda, eliminando un cuscino dalla pila sotto di me, Edward iniziò ad accarezzarmi i capelli, mi tranquillizzava molto e rilassava.
La stanchezza si fece sentire, gli occhi cercavano di chiudersi, dopo pochi minuti caddi tra le braccia di Morfeo. Mi svegliai qualche ora dopo, o forse di meno, la televisione era spenta, le luci spente se non fosse per una piccola lampada al neon accanto al letto.
Edward era seduto sulla sedia, stava dormendo con la testa poggiata su letto, le mani incrociate sotto quest'ultima, una situazione davvero scomoda per riposare.
Lo scrollai lentamente e delicatamente, alzò velocemente la testa spaventata,
" Qualcosa non va?" chiese con la voce roca.
" No, tutto bene, ma non puoi dormire così! " Gli feci spazio nel letto indietreggiando, anche se non ero del tutto convinta.
Lui non mi avrebbe mai fatto del male.
Lui non aveva secondi scopi.
Lui non approfittava delle situazioni.
Di lui potevo fidarmi.
Lasciai la maggior parte del letto a lui, alzando le coperte, sussurrai: " Vieni, dormirai meglio!"
" Ne sei sicura?" chiese titubante.
" Si..." dissi, facendogli capire che ero calma.
Si alzò lentamente, sbadigliando e mettendo una mano davanti alla bocca, si sedette, togliendosi prima il camice, poi le scarpe, infilandosi successivamente accanto a me, si girò vero la mia parte.
Mi avvicinai cauta a lui, respirando profondamente, incastrai la mia testa nell'incavo del suo collo, le sue braccia mi cinsero le spalle, la sua testa sulla mia.
Il mio braccio sinistro sul suo petto.
Ci addormentammo così quella notte.
Un nuovo incubo, uno dei tanti.
Stavamo ballando il lento, in discoteca, sempre quella sera, sempre la stessa, la stessa che non avrei mai.
Mi portò fuori pista, incamminandosi verso il piano bar, gli sussurravo di no, all'orecchio, ma non mi ascoltava, la musica era troppo alta.
Ero agitata, cercavo di tirarlo indietro, cercavo di farlo cambiare direzione, lo avevo attirato a me, facendo aderire le nostre labbra, avevo cercato di farlo distrarre, del tutto vano.
Ma lui mi aveva lasciata e mi strattonava verso il piano bar. Io non volevo esserci quando si sarebbe ubriacato.
Urlavo il suo nome, ma lui come se fosse un robot camminava verso la sua meta trascinandomi con lui, non potevo far più nulla, nessuno poteva fermarlo, eravamo vicini ormai dalla sua droga. L'alcol.
Era dipendente dall'alcol, lo sapevo da mesi ormai, ma non mi importava o almeno non in quel momento, non sapendo cosa sarebbe accaduto.
Ordinò vari bicchieri di Vodka, insistevo per andarmene, non sapendo che sarebbe stata una buona scelta restare in discoteca, almeno lì c'erano delle persone che mi avrebbero potuto soccorrere.
Mi svegliai ansante, di nuovo tutta sudata, mi alzai e sedetti scoppiando a piangere, Edward si svegliò sentendo i miei singhiozzi farsi sempre più insistenti, mi mancava l'aria.
" Hey, cosa succede?" chiese. " E' stato solo un incubo!" disse, tranquillizzandomi, prese la mia testa e la premette contro il suo petto iniziando ad accarezzarmi il braccio.
" Va tutto bene, ci sono io adesso, non preoccuparti, "
Singhiozzavo sempre più forte, le lacrime facevano a gara per uscire dai miei occhi.
" Cosa ti tormenta, di me puoi fidarti, puoi dirmi tutto." aggiunse qualche minuto più tardi.
Passò tantissimo tempo, prima che riuscissi a rispondere senza che il pianto interferisse con la mia voce.
" Sei sicuro di voler sapere la verità, Edward?" chiesi, con voce flebile e rotta dal pianto...

Ed eccoci alla fine;
chiedo un pò di tempo per il prossimo capitolo, sarà difficile scriverlo o almeno per me. In quest'ultimo vedremo solo ed esclusivamente la confessione di Bella, spero capiate il perchè.

Grazie mille a chi ha recensito lo scorso capitolo vi invito a tutti i lettori di commentare =D.

Domanda: il vostro film preferito??

Se volete leggere per intero il sogno di Bella fino ad adesso passate nel mio blog (http://many-memyselfandi.blogspot.com/ )

 


Many.

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Capitolo 13
*** Ci sarei sempre stato, per lei. ***


Salve, solo ora riesco a collegarmi.
Ringrazio coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, grazie mille ragazze.
Oggi faccio un regalo a voi, malgrado sia il mio, di compleanno =). ( non chiedetemi l'età U.U)
Ora vado i fretta, la prossima volta vi dirò i miei film preferiti.
Il capitolo è molto delicato, di ciò che si parla ho cercato di camuffarlo e addolcirlo, ho fatto del mio meglio, e spero che apprezziate, le tematiche di cui ho parlato non sono facili da raccontare,
davvero.


Buona lettura.

POV Edward.
" Sei sicuro di voler sapere la verità, Edward?" chiese, con la voce rotta dal pianto. " Mi giuri che tutto ciò che ti racconterò, non comprometta il nostro rapporto??" continuò.
" Si, voglio sapere ciò che ti tormenta, e no, il nostro rapporto non cambierà mai." l'avevo stretta tra le mie braccia, ancora dei singhiozzi le perforavano il petto, ad intervalli irregolari, ma non piangeva più. Le baciavo il capo, incastrato nell'incavo del mio collo, intorno a noi tutto era buio. Non potevo osservare la sua espressione, ma ero sicuro che sarebbe stato straziante anche per me, ciò che faceva male a lei, faceva male anche a me.
" Calmati, respira, quando ti sentirai pronta e quando sarà il momento opportuno mi dirai tutto...ma senza fretta." aggiunsi. Non volevo metterle fretta, anche se la curiosità mi logorava, avrei potuto aiutarla in qualche modo se avessi saputo cosa le fosse accaduto.
" Ora è il momento giusto." sussurrò, se tutto non fosse stato silenzioso non avrei mai sentito le sue deboli parole.
Continuavo ad accarezzarle la schiena, in tutta la sua lunghezza, i singhiozzi erano impercepibili, ormai.
Sospirò più volte, forse cercando il coraggio, la forza necessaria.
" Preferisci stenderti?" chiesi, volevo che si trovasse a suo agio, anche se preferivo che restasse fra le mie braccia.
Annuì, impercettibilmente.
Annuì anche io, spostandomi e facendole posto, l'aiutai a stendersi, ma mi fermò.
" No, aspetta, vorrei sedermi, non voglio stendermi." disse.
" Certo, " presi il cuscino, che avevo adagiato sul tavolino, mettendolo dietro le sue spalle, facendola appoggiare. " Va bene, così??"
" Sì."
Presi posto sulla sedia adiacente al letto, la mia mano era intrecciata alla sua, non l'avrei mai lasciata andare. Tastai il muro per accendere la piccola luce che si trovava sul comodino, la trovai, ed una luce incandescente per i miei occhi si diffuse nella stanza.
Chiuse gli occhi a quel bagliore improvviso, coprendoseli con una mano. Anche a me, la luce dava fastidio, ma non li chiusi nè strizzai, dovevo osservare ogni sua mossa. Non dovevo perdermi nulla.
Solo dopo un pò Bella riuscì a riaprirli, guardandomi negli occhi, era stanchi, spossati ed arrossati.
" Vorrei poter dormire, per sempre, e risvegliarmi quando tutto sarà più semplice." sussurrò, senza staccare i suoi occhi dai miei. La mia mano strinse ancora di più la sua.
" Ci sono io adesso, sono qui per stare vicino a te. Sarà tutto più semplice. Te lo giuro."
Mi sorrise, timidamente ed anche senza convinzione.
" Inizierò dalla convivenza con Jacob, credo sia la partenza giusta." disse più a se stessa che a me. Si stava autoconvincendo.
Chiuse gli occhi, prendendo un bel respiro profondo ed iniziò a narrare del suo passato.

" Ho convissuto con Jacob per circa un anno, inizialmente era tutto normale, normale per una coppia alle prime armi, ci trovavamo in una grande città, diversa da Forks, Chicago era un mondo in confronto alla vecchia città. Jacob lavorava in una azienda giornalistica, sceglievano i vari candidati che poi sarebbero diventati telecronisti di partite di calcio, io invece ero felice di poter vivere in una vera cittadina e mi stavo abituando a quell'aria, al caos, al movimento, alla gente che risiedeva lì. Sentivo regolarmente i miei genitori al telefono, siamo stati un mese a Chicago. Jacob fu trasferito qui a Seattle, aveva avuto un nuovo incarico. Qui non è molto diverso da Chicago, quindi le abitudini erano quasi del tutto uguali." La sua mano, quella libera dalla mia stretta disegnava qualcosa sul copriletto che le copriva le gambe. Il suo sguardo intento nei movimenti.
" Ho lasciato Forks, per sfuggire al microcosmo della provincia, e poi perchè amavo , o almeno pensavo che fosse amore quello con Jake. Siamo cresciuti insieme, e fino a sei anni fa eravamo solo semplici amici, ma poi è mutato tutto, cambiò da un momento all'altro , da ragazzo superficiale diventò molto profondo, leggeva sempre, e sorrideva sempre, era capace di parlare con una persona per ore ed ore di una qualsiasi cosa, lo adoravo per questo" aggiunse, prima di continuare a narrare della sua vita a Seattle.
" Tutto era normale fino a cinque mesi fa, quando tutto mutò. Eravamo felici, non potevo desiderare di meglio, ma lui ha cambiato tutto, in peggio."prese respiri profondi prima di ricominciare a parlare, stavamo entrando nel campo minato della sua vita, " Non mi ero mai accorta di certi comportamenti di Jacob, quando me ne accorsi era ormai troppo tardi. Tornò a casa ubriaco, puzzava di alcol, guardavo la tivù quella sera aspettandolo, era molto tardi e mi stavo preoccupando. Non era mai tornato tardi, rincasava la sera verso le diciannove ma mai alle due del mattino, non avevo mai conosciuto quel lato di Jake, avido e indipendente di alcol.
Era confuso, riusciva a malapena a camminare in linea dritta senza andare a sbattere da qualche parte, pensavo fosse una sbronza, poteva capitare, era giovane. Il giorno dopo quando si svegliò ricordava poco o niente, si scusò dicendo che non lo avrebbe più fatto, si giustificò dell'orario dicendo che degli amici del lavoro lo avevano invitato fuori a cane, dove avevano abusato del vino. Non ci credevo al cento per cento, ma cercai di autoconvincermi." Si fermò per qualche istante, raccimolando un pò di coraggio.
" Per un mese non ci furono altri episodi, ormai ero convinta che fosse stato solo un caso, ma tutto il mondo mi è caduto addosso quando Jacob ritornò a casa ubriaco, non riusciva a camminare, barcollava e diceva di vedere doppio, era troppo euforico. Da quel momento in poi ho perso la fiducia in lui. E non l'ha mai più riconquistata, troppo difficile. Ormai avevo capito che era diventato un appuntamento fisso l'alcol, ed io non potevo far nulla."
Bella era sempre più agitata, in quel momento gesticolava con la mano libera, guardando davanti a sè.
" Avere un compagno alcolista ti colpisce all'improvviso, ma accettarlo ti richiede tanto tempo, il tuo inconscio l'ha capito, ma il tuo cuore fa di tutto per smentire, ti da mille spiegazioni e giustificazioni. Ne parlai con lui, mi disse che avrebbe smesso, lo avrebbe fatto per me, e che non era un problema e che non era dipendente dall'alcol, io l'avevo capito prima di lui.
Un giorno trovai delle birre nel mobiletto dei detersivi, un'altra volta nel cassetto della biancheria, ormai avevo paura di aprire le ante dei miei stessi mobili in casa mia, per paura di trovarci delle birre. Ci fu un periodo in cui tornava a casa di rado, questo sei mesi fa, due mesi dopo il primo episodio, lo vedevo pochissimo, e se c'era in casa non me ne accorgevo, troppo silenzioso o facevo finta di non vederlo, non ci parlavamo più. Sono rimasta sola per un mese, ma poi alla mia porta si presentò Angela una ragazza buonissima, dai mille pregi. "
La sua espressione si era addolcita.
" Si presentò alla porta di casa mia con una bambina nella carrozzina, Rachel, dicendo che suo marito, Ben, lavorava insieme a Jacob, è grazie a lei che sono riuscita a sopravvivere per altri due mesi, è grazie a lei che sono riuscita a sopportare tutto. Era la mia confidente, mi dava tantissimi consigli, era una persona leale, la migliore che avessi mai incontrata fino ad allora.
Passavo interi pomeriggi in sua compagnia, dimenticando per un pò Jacob e tutti i suoi problemi. Passeggiavamo al parcp portando cn noi la piccola Rachel, una bambina graziosa, e uguale alla madre.
Due mesi prima che andassi via da casa di Jacob la situazione migliorò, anche se per poco. Diceva che avesse smesso di bere, ci credevo, tornava a casa alle diciannove, come prima, passavamo serate romantiche, tra noi. Riprendemmo anche la nostra vita privata, avevamo rapporti, il passato, quei mesi non esistevano più, erano scomparsi. Ero felice, incominciammo di nuovo ad uscire, ad andare in discoteca, anche se non mi è mai piaciuto ballare ,c i andavo per lui, era bravissimo, e adorava stare in luoghi come discoteche.
Tre settimane dopo, andammo in discoteca, la mia ultima volta. "
Era di nuovo agitata, più di prima che raccontasse di Angela, solo le nostre dita si toccavano, i palmi erano ormai lontani.
" Ballavamo, ci scatenavamo, i miei capelli saltano letteralmente dalle spalle, io saltavo, io mi divertivo, io mi illudevo che tutto fosse normale, semplice. La musica diventò sempre più lenta, abbracciai Jacob, mi teneva la vita, e ondeggiavamo su note classiche e lente, inspirai il suo profumo, e sapeva come sempre di alcol, pensavo che ci volesse un pò di tempo prima che andasse via, ma non era così. Mi diede un bacio sulla fronte prima di portarmi fuori pista. Capì la sua meta quando eravamo troppo vicini."
Aveva gli occhi chiusi.
" Gli diedi un bacio per distrarlo per fargli cambiare idea, ma non lo fece, non riuscì nel mio intento, gli urlavo di tornare indietro, ma non si fermò. Non aveva mai smesso di bere, solo diminuito le dosi, o forse erano sempre le stesse, era lui che si era abituato. Ordinò vari bicchierini di Vodka, insistevo per andarmene, e mi stette a sentire. Uscimmo da quel posto maledetto, più tardi mi sarei maledetta per averlo fatto.
Guidai io, lui non era stabile nè completamente lucido. Eravamo sull'autostrada quando la macchina si fermò improvvisamente, riuscimmo ad arrivare ad un'area di servizio, dove scesi per vedere cosa fosse successo."
Tremava, gli occhi chiusi, io ero impotente.
" Sentì da lontano lo stridulio del motore di una moto, andavano veloci, si fermarono di botto a pochi metri da me, stavo da sola sul motore della macchina, vedendo cosa non andasse, Jacob era nell'abitacolo, mi aveva detto che non aveva forze nemmeno per camminare. Scesero dalle moto togliedosi il casco e poggiandolo sul sedile, avvicinandosi a me, avevo timore inizialmente, poi pensai che volessero solo aiutarmi, troppo ingenua, eh?" chiese, non parlava con me, parlava a se stessa, parlava al suo inconscio, parlava a quella parte di lei che non le aveva suggerito di fuggire.
" Mi chiesere se avessi bisogno di aiuto, non videro Jacob, io risposi di no, volevo solamente che si allontanassero, che andassero via anche se le loro intenzioni sabravano ingenue. Ma non fu così, capirono dal mio tono di voce la paura, si avvicinarono sempre di più toccandomi, urlavo dimenandomi e cercando di divincolarmi dalla loro stretta, era drogati, si capiva. Improvvisamente Jacob si buttò su di loro, su uno di loro, togliendomelo di dosso, ma ne era rimasto un altro, che continuava a toccarmi, "
Tremava, le sue mani tremavano, la sua mano non era più nella mia, era scossa da continui tremori, aveva gli occhi chiusi, riviveva la scena. Non potevo toccarla avrebbe associato il mio tocco con uno di quei mostri, lo avrebbe fatto, si sarebbe spaventata.
Non la sfiorai, continuavo a guardarla tremare, impotente. Riprese il suo racconto.
" Jacob e l'altro si picchivano, l'uomo vicino a me mi portò ,quasi, in macchina, ma riuscì a sfuggirgli, mi prese per il vestito stracciandolo in parte, mi bloccò e... il resto credo tu l'abbia capito." Aprì gli occhi, guardando per la prima volta nei miei. Aveva il fiatone, aveva paura, sembrava un piccolo cucciolo indifeso. Era così e lo sarebbe sempre stato.
E sapevo che la storia ancora dovesse finire.
" Quando fuggirono, non lo seppi, svenni mentre abusava di me, avevo cercato di proteggermi ma tutto era inutile, avevo perso dall'inizio.
Mi raccolse da terra Jacob, sanguinante, mi chiese come stessi, lui non sapeva nulla, e non gli dissi nulla, l'aveva capito. Jake era messo male, molto male, ma riuscì lo stesso a prendermi tra le braccia, e adagiarmi in macchina, guidò lui fino a casa. Chiesi io di non andare in ospedale, non avrei retto nient'altro. I giorni successivi era un fantasma, ero presente ma tutto di me ricordava le violenze, gli incubi mi rincorrono tutt'oggi, ed io ho torno a tremare ogni notte.
Passarono varie settimane, Jacob mi ha aiutata molto, tantissimo , da quello ho ricominciato ad amarlo, davvero. L'amavo alla follia, malgrado non gli permettessi di toccarmi, ogni tocco risvegliava il ricordo di quella notte. Ho smesso di vedere Angela, che mi chiamava inizialmente insistentemente, poi le dissi espressamente che non la volevo più vedere, la ferì, era soltanto per il suo bene. "
Le baciai la mano, che ero tornato a custodire tra le mie.
" Le settimane passavano e incominciai a riprendermi, incominciai a mangiare e a badare a me stessa. Jacob si era ripreso anche lui. Dissi a Jacob di essere incinta e che il bambino era dello stupratore, ma non era così. Il bambino era suo. Avevo scoperto di essere incinta pochi giorni prima della violenza, ero già di nove settimane quando ho abortito.
Non avrebbe avuto futuro con noi, non in quel momento.
Andammo da un ginecologo di una clinica privata qui a Seattle, decidemmo per la data e in quest'ultima il mio bambino non c'era più.
Pochi giorno dopo l'aborto ho lasciato Jacob, aveva ricominciato a bere, tutto per lui significava bere, quando andava a pescare al lago significa bere, quando usciva con gli amici significava bere, tutto girava intorno all'alcol. Quando gli dissi che la nostra lunga storia era finita mi picchiò, era ubriaco e accecato dal dolore. Da quel giorno ho preferito rinchiudermi in me stessa, non avrei dovuto rispondere alle domande degli altri che mi chiedevano perchè stessi male, perchè piangessi così spesso. Ho preferito costruirmi un mio mondo , invece di vivere la realtà."Iniziò a piangere, si gettò tra le mie braccia, la strinsi a me, facendole capire che le volevo un gran bene. Pianse molto quella notte, le diedi delle gocce per tranquillizzarla, e per farla dormire, le prese controvoglia, ma le prese.
Si addormentò velocemente esausta, ed anche grazie alle gocce che le somministrai,sotto i miei sguardi apprensivi. La guardai e l'accarezzai tutto il resto della notte, era dolce, delicata, ed indifesa.
Ci sarei sempre stato per lei, in qualunque istante, per sempre.

Spero vi piaccia, e ora volete regalarmi qualcosa?
Allora Recensite!! xD

Un bacio.

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Capitolo 14
*** Sei un piccolo uragano. ***


Salve, e buona domenica a tutti.
Scusate il ritardo.

Non ho un film preferito, ma quelli che mi piacciono di più sono quelli americani, senza dubbio.
Vi lascio alla lettura dopo aver ringraziato coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, vi aspetto altrettanto in molti.
Buona lettura.

Bella.
" Come va??" mi chiese Edward, quando i miei occhi si riaprirono, dopo una lunga nottata. Era seduto sempre sulla sedia, la sua mano sulla mia vita, si muoveva lentamente e con il dorso accarezzava la mia pelle.
Aveva gli occhi contornati da occhiaie scure, per la stanchezza, aveva vegliato tutta la notte su di me, era naturale che fosse stanco. Il suo viso era molto vicino al mio, e mi sorrideva. Speravo che ciò che gli avevo detto quella notte non cambiasse per nulla il nostro rapporto, che si era istaurato con qualche difficoltà.

Non volevo che la pena subentrasse fra di noi.
Gli sorrisi tranquilla, stiracchiandomi.
" Sto bene, tu invece, non hai dormito." le mie mani cercarono il suo viso e toccarono le macchie scure sotto i suoi occhi.
" Sto bene, " disse prendendo fra le sue , la mia mano, e portandosela alla bocca, dove lasciò un tenero bacio.
" Mi aiuti ad alzarmi??"
" Sì, certo." Si alzò dalla sedia, facendola indietreggiare con le gambe, prendendomi da sotto le ascelle, come un poppante, mi aiutò a tenermi su.
" Grazie" farfugliai, quando si sedette.
" Non sei riuscito a dormire, più??" gli chiesi, io ero riuscita a riposare grazie ai tranquillanti che mi aveva dato Edward, altrimenti non sarei mai riuscita a lasciarmi andare, rilassarmi.
" No, non avevo sonno, e poi mi piace vederti dormire." si allungò verso di me, aggiustando un ciuffo di capelli dietro l'orecchio.
Presi la sua mano, attirandolo a me, le nostre facce erano vicine, mi allungai verso di lui per far toccare le nostre soffici labbra che iniziarono a muoversi in sincrono. Avevo bisogno di bel contatto, ne avevo bisogno per rimanere a galla, per non affondare.
Per non affondare nei miei ricordi.
Le mie mano si spostarono nei suoi capelli, invece le sue erano sui miei fianchi, li massaggiavano teneramente.
Fu lento, ma lungo e terminò il nostro contatto schioccandomi un bacio sulla fronte.
Continuammo a guardarci negli occhi, vedevo la mia immagine riflessa, stanca ma entusiasta, nei suoi occhi dal color degli smeraldi. I suoi riuscivano a trasmettermi dolcezza e tanto amore. L'amore che ci univa.
A destarci dal nostro delicato momento è il suono di qualcuno che bussa alla porta, è mia madre.
" Buongiorno" Renee entrò in camera, sorridendo e posando lo sguardo su di me, ma quando gli occhi guizzarono su Edward la sue espressione mutò, strabuzzò gli occhi, confusa.
Ovviamente si stava chiedendo il perchè della presenza di Edward, che stava seduto accanto al mio letto. Fortunatamente si era allontanato sentendo il rumore di qualcuno che entrava ed in quel momento era abbastanza lontano da poter sembrare una conversazione tra medico e paziente.
" Buongiorno signora Swan." Edward salutò mia madre, con fare professionale.
" Buongiorno dottor Cullen." ricambiò, distendendo la sua smorfia in un'espressione normale.
" Io devo andare, ero venuto ad avvisare Bella della visita di oggi." mentì spudoratamente, ma bene.
" Sì, arrivederci allora."
Con queste parole uscì dalla camera.
" Ciao Bella."mi salutò Renee
" Ciao." I suoi occhi uscirono fuori dalle proprie orbite, letteralmente, la sua bocca si distese in un largo sorriso, che forse, se non fosse stato per l'ansia provata poco prima, sarebbe stato anche contagioso.
Si tuffo tra le mie braccia, stringendomi forte a lei. Anche le mie braccia la strinsero forte, sentivo la maglietta della tuta bagnata, stava piangendo.
" Oh, Bella... " sussurrò sulla mia spalla. Aumentai la mia stretta intorno a lei, le ero vicina, e doveva capirlo.
" Non sai quanto sia felice di risentire la sua voce." Scoppiò in una sonora risata, ed anche isterica.
Non c'era più motivo per tacere, il peso del mio fardello si era dimezzato grazie ad Edward, adesso anche lui ne portava un pezzettino sulla schiena, ed anche se mi dispiaceva gli ero infinitamente grata per ciò, per tutto ciò che aveva e stava facendo per me.
Avevo ricominciato a respirare come si deve, come dopo un lungo periodo di apnea, con il fiatone era riuscita in qualunque modo, con tutte le sue strategie, a respirare nuovamente, di nuovo e non solo con la mente, ma anche col cuore.
" Ti voglio bene." sussurrai.
" Oh, te ne voglio anche io tantissimo, sei la mia bambina." farfugliò, le lacrime si erano fermate, tirò su col naso, allontanandosi da me, e pulendosi le guance ed il naso con un fazzoletto.
" Non posso crederci." continuò, sedendosi al mio fianco, sul letto." non posso credere che tu abbia ripreso a parlare, non sai per quanto tempo ho sofferto i tuoi silenzi." Catturò con il suo fazzoletto una lacrima che scese solitaria sulla sua gote.
" Non sai quanto sia felice che tu sia contenta, " aggiunsi io, riprese a piangere a quelle parole, non volevo che piangesse, ma era inevitabile.
" Non sai quanto sarà
felice tuo padre! Non vedeva l'ora che tu ritornassi a parlare!!"
" Sono sicura che non piangerà, come te!"
" Ah, questo è sicuro!"
Ritornammo ad abbracciarci, in quel mese di lontananza, i suoi abbracci mi erano mancati, e non poco.

Poco dopo qualcuno alla porta bussò, era il mio amato papà.
Mi abbracciò quando sentì le note della mia voce vagare nell'aria, i suoi occhi si fecero lucidi, ma non avrebbe mai ammesso che si fosse commosso, era sempre il mio papà orso. Il mio adorato papà orso.
Parlammo per un pò, stranamente e differentemente da quello che mi immaginavo non mi chiesero nulla, nulla del periodo di silenzio che mi ero appena lasciata alle spalle, non avrei mai risposto a quella domanda, loro sarebbero diventati troppo apprensivi, mi avrebbero tartassata di domande, sapevo come fossero fatti e non volevo cadere nella loro trappola mortale, anche se era solo puro amore.
" Come ti senti??" mi chiese improvvisamente Charlie.
" Bene, sto abbastanza bene, mi sto rimettendo, il ginocchio non mi fa più male come prima e molto presto riuscirò a camminare senza sostegno, per la testa invece ormai è tutto a posto come i dolori a tutto il resto del corpo."
" Ci fa piacere che tu stia meglio." rispose mia madre per entrambi.
" Ed invece cosa ci faceva prima il dottor Cullen qui??" continuò.
" Nulla, era venuto a dirmi che oggi avrei avuto fare una visita, niente di più!" mentì, cercando di essere convincente, anche se ero a conoscenza del fatto che le mie guance erano rosse. Maledettamente rosse.
" Sicura?!!" proseguì.
" Sì, sono sicurissima, ma che vuoi che ci sia tra me e lui?! E' soltanto il mio medico curante!" mi scaldai, il mio tono di voce era diventato più aspro.
" Non intendevo nulla, era solo una domanda, calmati, amore."
" Sì, scusa, ma comunque non c'è nulla tra noi, che sia chiaro." Meglio specificare. Le mie guance erano sempre rosse.
" Certo, ne sono sicura, " aggiunse, accarezzandomi il capo.
Tirai un sospiro di sollievo in me, pessima mossa, Bella, pessima.

Andarono via dopo qualche minuto, forse di più.
L'orario delle visite era terminato e furono quasi buttati a calci fuori dalla porta della mia camera. Alice aveva usato dei modi deklicati con loro, ma che non nascondevano l'impazienza verso quei due individui che cercavano in tutti i modi di restare con la propria figlia.
" Hey, pesciolino, anche se non lo sei più! Hai ricominciato a parlare e non mi fai sentire il tuo tono di voce??" chiese, quando i miei varcarono e scomparvero dietro la porta.
" Mhm..." non sapevo cosa rispondere." ha già fatto il girp di tutta la clinica questa notiziam clamorosa??" chiesi.
" No, ma ti ho sentita parlare da fuori, anche se poi non hai salutato i tuoi genitori, ma sì, ben presto tutti coloro che hai conosciuto qui in ospedale lo sapranno." fece una linguaccia, infine.
Sorrisi mostrando la mia non gratitudine.
" Non preoccuparti, e poi sono contentissima che tu abbia ripreso la parola, " sorrise mostrando i suoi denti perfetti. " Parliamo un pò!" aggiunse sedendosi accanto a me.
Alcune volte speravo che il reparto non fosse così vuoto.
" Mhm... Tra qualche giorno, quando uscirai da qui, visto che la tua degenza è quasi terminata, dovrei andrai? Resterai qui a Seattle, oppure seguirai i tuoi a Forks?"
" Credo seguirò i miei genitori a Forks, voglio tornare lì, ricominciare il college e finirlo. Poi si vedrà. Non voglio fare progetti."
" Mi sembra giusto, mi mancherai molto, Bella, ma ci sentiremo, vero?! " chiese, la sua espressione era triste.
" Sì, ci sentiremo, te lo prometto." Mi sporsi dal letto, arrivando al comodino, aprì il cassetto e ne estrassi il mio quaderno giallo, sistemai una pagina adatta, e con una matita scrissi il nome Alice sul foglio.
" Dammi il tuo numero di telefono, così ci terremo in contatto!" aggiunsi.
" Sì." detto lentamente il suo numero, la scrittura era irregolare, ma nitida.
" Io ora devo andare, ci vediamo più tardi, Bella." mi diede un bacio sulla fronte e andò via, portando con sè la sua vivacità e il suo uragano.

" Mi fa piacere che tu abbia parlato con i tuoi genitori." disse Edward, dopo poco l'ora di pranzo, accanto a me, era seduto sul letto, una gamba era piegata sul letto, l'altra a penzoloni fuori. Mi massaggiava le mani, lentamente, avevo gli occhi chiusi, lasciandomi viziare e rilassare.

" Non sentivo più il bisogno di dover star zitta con loro, ho deciso che il mio comportamento non serve a nulla, se non a peggiorare la situazione, i miei genitori hanno bisogno di sentirsi dire che sto per ritornare quella di prima, anche se quasi impossibile, devo farli convincere che ritornerò ad essere Bella, quella di un tempo, e credo che con il loro aiuto, e con il tuo, " aprì gli occhi, e fissandolo intensamente, continuai, " riuscirò a trovare una stabilità."
" Ci riuscirai," disse, avvicinandosi e respirando sulla mia tempia, dove lasciò teneri e continui baci. Le sue mani massaggiavano ancora le mie.
" Bella, oggi ho dovuto mentire ai tuoi dicendo che avresti dovuto fare una visita, non era una vera e propria bugia, devi fare una radiografia al ginocchio." annunciò.
Annuì impercettibilmente, richiudendo gli occhi.
" Quando?" sussurrai.
" Prima della fisioterapia, nel tardo pomeriggio, molto probabilmente ti accompagnerà Alice, visto che usa scuse di tutti i tipi per andare in ortopedia,". Sospirò rumorosamente.
" Sì, conosco la sua storia," le mie labbra si allargarono in un gran sorriso, ripensando a ciò che mi aveva detto Alice di Jasper, il suo dolce medico, eravamo molto simili, nei gusti intendevo!
" Te ne ha raccontato?" domandò, fermando il movimento circolare delle sue dita.
" Sì, me ne ha parlato ieri, al suo rientro. Mi ha raccontato della sua uscita con Jasper, si chiama così, giusto?"
" Sì, Jasper, avete legato molto, a quanto vedo."
" Sì, è una ragazza speciale, quasi una sorella, è un pò biricchina ma buonissima." terminai, riaprendo gli occhi e respirando rumorosamente.
Fermai Edward che continuava a massaggiarmi la mano, e presi la sua tra le mie, iniziando a giocherellare con le sue dita affusolate.
" Sì, è proprio così."
" Quando l'hai conosciuta?" chiesi.
" Un anno fa, quando ha iniziato a lavorare qui, in questo ospedale, era un piccolo uragano, ce n'è voluto di tempo prima che tutti abituassimo a lei." scoppio in una leggera risata. Cristallina.
Sorrisi anche io, contagiata.
Lasciò la mia mano, circondandomi con il suo braccio sinistro le spalle, e con l'altro alzò il mio mento su di lui.
" Tu sei un piccolo uragano, hai sconvolto la mia vita, in meglio." sussurrò, il suo volto a pochi centimetri dal mio, sentivo il suo alito fresco e dolce investirmi il viso.
" Sei indispensabile, ormai." balbettai, sul suo mento. Lasciai un lungo bacio lì, per poi risalire, ed incontrare le sue labbra.
" Ci sarò sempre per te, in qualunque istante, il nostro è un legame troppo profondo per essere diviso." continuò. " Sono tuo, se vuoi!"
" Lo voglio, Edward,"
Continuammo a baciarci, per un tempo indeterminato che sembrò troppo corto per i miei gusti.

" Andiamo?" chiese. Eravamo in ritardo per la radiografia, Alice non era ancora arrivata, era lei che mi avrebbe dovuto accompagnare.
" Aspettiamo altri minuti, sono sicura che arriverà!"
" Come vuoi,"
Avevo ragione, entrò in camera sbattendo la porta, rumorosamente.
" Scusa per il ritardo, andiamo!" parlava velocemente, i capelli corvini, già disordinati di loro, erano ancora più sconvolti. Aveva il fiatone, ma non le impediva di straparlare.
" Tu che ci fai qui??" chiese ad Edward, quando i suoi occhi si fermarono su di lui.
" Era venuto a prendere a Bella, visto che tu non arrivavi." Buona spiegazione.
" Mhm... Comunque dobbiamo andare, in qualunque caso." Ed iniziò a trainare la mia sedia a rotelle. Il percorso che avremmo dovuto fare era abbastanza lungo per dirigermi con le mie gambe.
Edward mi fece un occhiolino prima di uscire dalla camera, lo lasciammo indietro, nella mia stanza.
" Sei euforica." le feci notare.
" Un pochino, ma non diciamolo a nessuno!" scherzò, ridendo.
" Ti deve piacere tanto!"
" Sì, è così, Bella. Vorrei farti conoscere le mie emozioni in questo momento. Non riesco a contenerle."
A chi lo dici, avrei voluto risponderle. Anche io avevo difficoltà a nascondere le mie emozioni, in qualunque momento con Edward. Era capace di farti drogare di emozioni, tante ne erano.
Mi limitai a sorriderle, non potevo parlare, eravamo arrivate.
" Buongiorno, " salutò il dottor Whitlock , aveva occhi solo per Alice, pensai di essere invisibile, mi sarei anche potuta sbracciare davanti a loro, non si sarebbero accorti di nulla, ero tra i due, si fissavano
intensamente. Parlavano attraverso il silenzio, attraverso gli occhi. Erano dolcissimi.

Mi schiarì la voce quando ormai erano passati minuti, o almeno così era sembrato a me, mi sentivo in imbarazzo tra i due.
" Scusa, " farfugliò Jasper, il suo sguardo si posò su di me, sorridendomi. " Alice mi ha detto che hai ricominciato a parlare!"
" Sì, proprio così." diedi concretezza alle sue parole.
" Mi fa piacere... Controlliamo il ginocchio?" chiese.
Annuì.
Mi portarono in una stanza, dove mi fecero sedere su una sedia di plastica. Tanti macchinari mi circondavano.
Mi lasciarono sola, non sarebbero potuti restare durante la radiografia, aspettavano dietro alla vetrata che si trovava sulla mia destra.
I macchinari iniziarono a muoversi intorno ai miei arti inferiori, producendo un rumore fastidiosissimo.
Fortunatamente quella tortura non durò a lungo, Alice mi portò direttamente al piano superiore da Rose, la dottoressa Hale, per la fisioterapia.
Riuscì a camminare abbastanza bene, inciampando nei miei stessi piedi solo un paio di volte, era normalissimo, il mio equilibrio non era mai stato eccezionale. Anche lei era contenta che parlassi, infatti chiacchierammo
del più e del meno(durante gli esercizi). Scoprì che era fidanzata con il dottor McCarthy, il dottore delle mille domande.

Era stata una giornata dalle mille prospettive, piena di emozioni, avevo bisogno di vedere Edward e rilassarmi con lui. Molto probabilmente quella sera sarebbe dovuto rientrare a casa, erano due giorni che restava in ospedale.
Ritornai in camera da sola, senza stampelle, zoppicando solo un pò. Ero desiderosa di incontrare Edward nel mio tragitto, per far costatare anche a lui il mio miglioramento, ma non fu così.
Dovetti aspettare molti minuti prima che rientrasse in camera.
Mi distrassi contando le righine del copriletto, era cinquecentoventinove (529).
Poi passai ad osservare le crepe del soffitto, ma persi il conto esausta.

Improvvisamente sentì qualcuno alla porta bussare, dalla posizione supina in cui mi trovavo, mi alzai, aiutandomi con i gomiti e mettendomi seduta.
Sbiascicai un 'avanti' e ne fece capolino la testa di Edward.
" Posso?" chiese. La porta era aperta di poco, giusto lo spazio per farmi intravedere le parte destra del suo corpo, era come se volesse nascondermi qualcosa, o nascondere la vista di qualcuno a me.
" Sì, entra." Non ci badai, il mio sorriso era largo sul mio volto.
Sorrise anche lui, con espressione tirata, sforzandosi.
Entrò, e non era solo.
La persona accanto a lui era un uomo, più alto di qualche centimetro. Carnagione scura, occhi neri e capelli altrettanto. Muscoloso, in forma.
Camminava lentamente a qualche centrimetro dietro Edward,sorridendo.
Sembrava che qualcuno avesse messo un rallentatore a quella scena, i miei pensieri volavano veloci a differenza dei movimenti.
Non era come lo ricordavo, non era ridotto come quando lo lasciai. Era curato, i capelli tagliati, come il vispo senza un filo di barba.
Il mio cuore batteva forte. Intimorita, emozionata, inorridita, allo stesso tempo.
Quell'uomo era Jacob, la persona che stavo cercando di lasciare alle mie spalle, mi fissava sorridendo, entusiasto. Si avviciniava sempre di più a me, insieme ad Edward.
Il sorriso dalle mie labbra svanì.

Cosa succederà adesso?? U.U

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Capitolo 15
*** C'era un filo che ci univa. Sempre. ***


Ecco a voi appena terminato il capitolo,
Alla domanda precedente non posso rispondervi, ma vi lascio leggere.
Prima però vorrei dirvi una cosa: dai due capitoli precedenti in poi non avrete pace, si susseguiranno tantissimi episodi, avvenimenti, intrecci. ( forse non sono così tanti, ma concreti!)
Ringrazio coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, vi invito a supportarmi nuovamente :).

Buona Lettura.

Era tornato, era ritornato portando con sé il passato che ci univa, il passato che per lui era un peso, forse quanto il mio.
Mi sorrideva, felice di rivedermi, io invece, al suo contrario, avevo smesso di sorridere, non potevo essere contenta in quel momento, malgrado il mio cuore mi dicesse di abbracciarlo, eravamo stati dei fidanzati. Mi giustificai con quest'ultimo pensiero.
" Bella, c'è una persona per te, " mi disse Edward, era infastidito, glielo si leggeva sul volto, ma fingeva.
Cosa dovevo fare? Cosa avrei dovuto fare?
Dire che non avevo voglia di parlare con Jake, lui come l'avvrebbe presa? Sicuramente non avrebbe mai smesso di venirmi a trovare, finchè non avessi deciso di ascoltarlo, minimamente. Era testardo Jacob, lo era sempre stato.
Ed invece Edward cosa avrebbe pensato di me se avessi deciso di ascoltare Jacob in quel momento? Avrebbe pensato che provassi ancora qualcosa per Jacob, e non avrei potuto mai smentire questa cosa. Volevo del bene a Jake, qualunque cosa avessimo passato insieme, era stato parte di me, della mia vita, e non per poco tempo.
Questi pensieri mi vorticavano nella mente, ero indecisa.
Optai infine per la conversazione con Jacob, l'avrei dovuto affrontare prima o poi.
" Ciao, Jacob." salutai con tono freddo, distaccato.
" Vi lascio soli?" chiese Edward, combatteva con se stesso, si notava, voleva restare accanto a me.
" Sì non preoccuparti." risposi convinta delle mie parole, volevo fargli capire che stavo bene, volevo solo tranquillizzarlo.
Abbassò il capo, sospirando lentamente. Salutò prima me, poi Jacob ed andò via, lascinadomi sola con il mio ex.
Guardavo le mie mani giocare con il copriletto, non avevo intenzione di spostare la mia visuale su di lui.
" Ciao, Bells, posso sedermi?!" chiese, la voce era come quella di un cucciolo, dolce e delicata, speravo che anche lui fosse diventato così.
" Fa come vuoi, " ero leggermente acida e sperai con tutta me stessa che se ne accorgesse.
Spostò la sedia creando uno stridulo forte e acuto, mi vennero i brividi, il mio sguardo era sempre basso.

"Non bevo più." annunciò, fiero di sé. " Questa volta è la verità." continuò.
Non so perchè a quelle parole il mio cuore aumentò i battiti. Ero soltanto contenta per lui, punto, nulla di più.
" Mi fa piacere per te." sussurrai." Bella, perchè fai così! Guardami! Sono come mi hai sempre voluto, ho ricominciato a lavorare, non bevo più, in casa non c'è una sola bottiglia di birra, sono stato da uno specialista che mi ha aiutato a disintossicarmi, sto bene, adesso." Si stava alterando, ma il tono di voce era ancora basso, lo controllava.
Alzai gli occhi su di lui, chiudendoli in due fessure.
" Perchè non ti guardo, e te lo chiedi?!! non riesci a capire il risentimento che ho verso di te?! La verità è che tu, non mi hai mai ascoltata veramente, non hai mai capito i miei bisogni, c'eri tu e basta!! Nessun altro, tu, la tua stupida voglia di alcol e di botte e nient'altro." urlai, e molto probabilmente Edward da fuori mi sentì chiaramente.
Cercò di prendere parola più volte, ma non riuscì a dire nulla.
Si zittì.
Io scoppiai.
" Non ci sei mai stato, il mio Jacob non è mai esistito! Era solo frutto della mia immaginazione e nient'altro. Ciò che eri veramente l'ho rinnegato a me stessa, pur di essere felice e renderti felice! E cosa ho avuto in cambio?! Solo menzogne e delusioni! Mi hai deluso Jacob Black, hai rinnegato le mie aspettative su di te!"
Rimase in silenzio pensando e rimuginando sui suoi pensieri.
" Mi dispiace Bella, non avrei voluto.Speravo di farti felice, ma invece no." era dispiaciuto, la testa era bassa, fissava i suoi piedi.
" Oh... Jacob, sono stata felice con te, per un pò di tempo, ma è finito, non pensiamo a nulla adesso è stata una bellissima esprerienza vivere con te, ma come tutto tende a finire anche la nostra storia altalenante è terminata. Beamoci dei bei momenti che abbiamo passato insieme. Basta, non c'è nulla di più da pensare, ormai tutto è finito, avremo un legame sempre molto intenso, ma non come prima. Non ci permetterà di essere una coppia." spiegai. Mi faceva pena, era dolce, come da piccolo. Era il bambino più dolce che avessi mai conosciuto, il più carino, altruista, generoso che avessi mai conosciuto. Ma era cambiato, poco, ma era cambiato. Era mutato quel poco, ma abbastanza da compromettere i nostri sentimenti.
" Ti vorrò bene sempre, saprai a chi appoggiarti in caso di bisogno, saprai che in qualsiasi parte del mondo ci sarò io, pronto a sostenerti. Ti aspetterò Bella. Finchè non capirai che con me potrai essere contenta, che potrò donarti un pò di calma e senerità, e amore, se lo vorrai.
Non ho mai smesso di amarti, Bella." Sussurrava velocemente quelle parole, dovetti concentrarmi per acciuffare tutte le parole che veloci scorrevano via.
" Anche io ti voglio bene, Jake."
'Ma sono sicura di non amarti più, anche se in questo momento il mio cuore vola veloce, come volava tanto tempo fa, quando riuscivi a donarmi tante emozioni, quando anche con un semplice 'Ti Amo' riuscivi a farmi tremare per i brividi che insistentemente correvano sulla mia schiena, quando tutte le volte che facevamo l'amore sussurravi continuamente il mio nome.'
Avrei potuto dirgli questo, avrei potuto dirgli la più semplice cosa esistesse al mondo: la verità.
Ma mentì, il mio cuore riusciva a battere ancora più velocemente quando a sussurrare il mio nome era Edward, anche se non facevamo l'amore, anche se non mi dicesse ' Ti
Amo'.

" Sei stato una tappa fondamentale della mia vita, sarei anche pronta a riviverla, ma credo sia giusto che adesso le nostre strade si dividano, non possiamo più fingere nulla, non possiamo fingere di amarci, Jacob, sarebbe ingannevole per noi stessi, e ci farebbe male.Sarebbe soltanto da masochisti."
" Hai ragione," riportò il suo sguardo su di me, non era così triste come temevo. " Non potremmo continuare, mi concedi un'ultima cosa?"
"Sì, certo, tutto ciò che vuoi." l'aria si era rilassata intorno a noi. Sperai che Edward non avesse sentito le mie parole, anche se non c'era nulla di compromettente per noi.
" Voglio restare con te, per almeno un'ora e parlarti, come facevamo da piccoli, parlare di tutto. Anche delle cose più insignificanti e stupide del mondo, ma voglio sentire la
melodia della tua voce espandersi nell'aria." terminò con un gran sorriso.

" Dimmi, parleremo di tutto ciò che vuoi, per quest'ultima ora." avevo anche voglia di parlare con lui, ma dovevo mettere un limite.
" Come hai passato questi ultimi mesi?" mi chiese, prendendo una mia mano fra le sue. Erano più grandi di quelle si Edward, ed il colore della pelle era più scuro, non la ritirai, quello potevo concederlo. Nient'altro.
" Sono stata male, malissimo. Non parlavo più, solo oggi ho ricominciato a parlare, e sei fortunato se tu fossi arrivato un giorno prima non avrei risposto a nulla." sorrisi, rilassando ancora di più l'aria. " I primi due mesi li ho passati a Forks, con i miei genitori. Visto che non parlavo e per un periodo non riuscivo nemmeno a badare a me stessa mi hanno portata qui a Seattle, mi hanno fatto entrare in una comunità, o meglio una clinica, dove non hanno fatto nulla per aiutarmi, i miei pensavano che sarebbero stati capaci di sollevarmi, ma era tutto falso, sarei potuta risalire quando volevo, diciamo che avevo solo bisogno di una spinta necessaria." sorrisi a quelle ultime parole, la spinta era Edward.
Jake se ne accorse, e la sua espressione diventò interrogativa. " Chi è, o cosa è questa spinta?" domandò, infine.
" Mhm... " scossi la testa ammutolendomi.
" Ok, sei libera di non rispondere. Mi fa piacere che tu abbia trovato qualcuno con cui sfogarti, ne sono felice, Bella, davvero." La sua stretta alla mia mano aumentò di intensità. Era geloso, lo era sempre stato. Anche se non gli appartenevo più. Anche se io non gli ero mai appartenuta.
Nessuno può appartenere ad un altro.

Nessuna donna ad un uomo, nessun uomo ad una donna.
Siamo tutti liberi, liberi di scegliere, di vivere come vogliamo.
" Tu, invece, come hai trascorso questi tre mesi?" chiesi, a mia volta, facendo scomparire il mio sorriso dal volto, non era molto cortese nei suoi confronti.
" Io?!... " lasciò la frase in sospeso, strabuzzando gli occhi neri e allargando le narici, più di quanto non lo fossero già.
" Sì, tu!" aggiunsi anche il movimento del capo.
" Sono stato anche io in una clinica, per disintossicarmi, è stato difficilissimo e non ti mento sul fatto che io non abbia sofferto. Però sto meglio, molto meglio e non dipendo da nessuna sostanza, oramai." disse, con una smorfia che accompagno il suo racconto per tutta la sua durata.
" Sono lieta per te che quel tuo problema sia stato risolto, e capisco tutto ciò che hai passato e credo mi debba delle scuse, non trovi?! Di come ci siamo lasciati l'ultima volta che ci siamo visti? Non ricordi nulla?!" chiesi, la mia voce era tornata acida. Ricordai il momento in cui dissi che non potevamo stare insieme, quando gli dissi che tra di noi non c'era più nulla. Aveva reagito malissimo, eccitato ancor di più dall'alcol che scorreva nel suo corpo. Mi aveva picchiata brutalmente. E le scuse erano almeno una minima parte per farsi perdonare. Anche se sarebbe sempre esistita una ferita creata da lui, e non sarebbe mai stata curata, purtroppo.
" Sì, Bella. Non ci sono parole adatte per farti capire quanto mi dispiaccia per ciò che è accaduto, non ci sono parole per farti capire il mio rammarico. Ti basterà sentire il mio cuore, " prese la mia mano destra portandosela sul petto, sul cuore. Batteva velocemente, quasi quanto il mio in presenza di... Edward. Non potevo donare a Jake ciò che potevo dare ad Edward, lo sapevo. Ma non volevo deludere Jacob, non volevo usarlo, sarebbe stato da persona viscida, nient'altro.
" Per farti capire che i miei sentimenti per te non sono cambiati. Lo senti, lo senti, Bella?? " chiese.
Scostai la mia mano dal suo petto, ritirandola, chiudendola a pugno e portandomela al petto.
" Mi perdonerai, Bella?" domandò, il suo sguardo era dolce, irresistibile se fossi stata attratta da lui.
" Oh..." riuscì a dire solo questo. Quella rivelazione non me l'aspettavo, mi sarei aspettata qualcosa di diverso, di meno romantico e più superficiale, come era stato il nostro rapporto, nei sei anni precedenti. La verità era che in sei anni di rapporto non eravamo riusciti ad essere felici.
Abbassai gli occhi, guardando le mie mani, e mordicchiandomi il labbro.
" Sì, ti perdono, ma voglio solo farti capire che io non provo più gli stessi sentimenti che provi tu, in questo momento."
Malgrado tutto, lo perdonai. Gli volevo bene come un fratello, e pertanto non avrei mai potuto voltargli le spalle, non accettare una sua scusa, anche se l'accaduto in questione era molto più grave di quanto lo si credesse.
" lo capisco. Ed ora non pretendo nulla, ti aspetterò, te lo ripeto, io ci sarò sempre per te." Si sistemò sulla sedia, mettendo le gambe una sull'altra.
" Vivi qui?" chiesi, cambiando discorso. Poco dopo.
" Sì, ma ancora per poco."
" In che senso?" domandai incuriosita. Non avrebbe dovuto importarmi, ma invece sì, glielo chiesi.
" Ritorno a Chicago. Ho chiesto il trasferimento lì." spiegò, gesticolando.
" Ho capito," dissi annuendo. " Buona partenza e permanenza lì!"
Fummo interrotti da Edward, che bussando vivacemente chiedeva il permesso per entrare.
Quando entrò la sua postura era rigida, gli occhi bassi, e scuri, le mani chiuse in pugno nelle tasche del camice.
" La signorina Swan dovrebbe riposare adesso, devo chiederle cortesemente di uscire." finì con un sorriso finto. Aveva parlato meccanicamente, come se si trattenesse.
" Certo, ora esco." disse Jacob, guardò Edward e poi me, soffermandosi per più tempo. " Bella, io tra due giorni partirò, andrò a stare nella nostra vecchia casa, se vuoi raggiungermi lì, quando tutto ciò finirà, " disse indicando la camera, " Io posso aspettarti, anche riprogrammare la mia partenza, se lo vuoi."
Nella camera regnava il silenzio più assoluto, Edward accanto alla porta era teso, le ciglia corrugate gli occhi ridotti a due fessure. Jacob accanto a me sulla sedia, speranzoso, io confusa da tantissime emozioni che vorticavano in me, confondendomi. Ma di una cosa era decisa, su ciò che dovevo rispondere, malgrado quattro paia di occhi mi osservassero entrambi, mi portavano su due strade distinte della mia vita. Edward e Jacob, il fuoco e il ghiaccio. Completamente diversi, completamente incompatibili.
" No, Jacob," dissi, aggiunsi alla mi risposta anche un cenno del capo." Tornerò a Forks, molto probabilmente. È lì il mio posto."
Decisi per la strada che portava ad Edward, sapevo benissimo che non sarei tornata a Forks. No, sarei rimasta accanto ad Edward, era davvero lì il mio posto.
" Capisco, a presto, allora." Si alzò lentamente dalla sedia, avvicinandosi a me e schioccandomi un bacio sulla fronte. Mi sorrise e uscì lentamente dalla stanza, come a
custodire e rendere più lungo quel momento.

Edward rimase impilato alla porta, senza muoversi neanche quando Jake la chiuse alle sue spalle, lasciandoci soli.
Chiuse gli occhi, portando la testa all'indietro e molto presumibilmente chiudendo gli occhi.
" Mi dispiace." sussurrai. Mi dispiaceva che stesse 'soffrendo' per colpa mia, faceva male anche a me. C'era un filo che ci univa. Sempre e comunque.
Portò i suoi occhi su di me, il suo sguardo da teso tornò dolce, amorevole.
" Non dirlo." sussurrò avvicinandosi. "Non sto così per colpa tua,"
Si sedette sulla sponda del letto, di fronte a me, eravamo vicini,  quasi che il suo odore arrivava forte e distinto. Il suo aroma dolce.
" Ma saperti a pochi centimetri dall'uomo che in passato ti ha fatto del male, mi ha fatto diventare quasi violento, ho dovuto trattenermi." annunciò, non ne andava fiero, si vergognava.
" Non preoccuparti, con Jacob è terminato tutto, non c'è più nulla tra me e lui, tornerà a Chicago, ed io resterò qui, a Seattle. Con te." sussurrai, poggiando la mia fronte sulla sua.
I suoi occhi divennero lucidi, stava piangendo.
Era la prima volta che vedevo Edward piangere, mi si strinse il cuore a quella scena.
Si alzò leggermente, quanto bastasse per darmi un bacio sulla fronte, come per scacciare quello di Jake.
" Resterai qui?" chiese. La sua voce era ferma, malgrado commosso.
" Sì, se lo vuoi." Balbettai.
" Certo che lo voglio, voglio poter vivere qui con te, Bella." Prese le mie mani nelle sue, stringendole forte.
Chiuse gli occhi, mantenendo quella posizione. Ricordava, le sue palpebre tremavano per il frettoloso movimento degli occhi.
" Quando me lo sono ritrovato davanti non sapevo chi fosse, ma appena ha accennato a te l'ho intuito. Ho fatto di tutto per non farlo avvicinare a te, ho inventato mille scuse, ho detto che in quel momento non l'avresti potuto vedere per a fare una visita, poi per la fisioterapia. E' stato ad aspettarti per più di tre ore. Poi mi sono chiesto chi fossi io per proibirti di vedere la persona che ti conoscesse meglio di me, e l'ho fatto accomodare appena sei rientrata. "
Ascoltavo in silenzio, senza respirare neppure.
" L'ho lasciato in camera tua, malgrado sperassi che tu rifiutassi la proposta di parlargli, ma invece hai accettato, e non posso mentirti che è stata una pugnalata in pieno petto. Ho aspettato qui fuori, ho cercato di non prestare ascolto alle vostre parole e intervenire soltanto in caso ne avessi bisogno, ma non ce l'ho fatta a restare inerme lì. Ho deciso di entrare, e di mandare via lui. Mi dispiace di avervi interrotti..." terminò riaprendo gli occhi e specchiandosi nei miei.
Iniziai ad accarezzargli il volto, divincolandomi dalla stretta di una delle sue mani.
" Hai fatto benissimo, Edward. E ti ringrazio. Avevo bisogno di un chiarimento con Jacob, e ringrazio anche il tuo tempismo, non avrei sopportato un altro minuto con lui.
Preferisco impiegarli così!"

Non gli diedi il tempo di trasformare il suo volto in un'espressione interrogativa, mi avvicinai a lui, baciandolo.
Era intriso di delicatezza, dolcezza e amore.

Avete mai perdonato qualcuno, per qualunque cosa grave o futile che sia??
E recensite :))

Il prossimo capitolo prima di Natale :).

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Capitolo 16
*** Il mio tutto. ***


Io ho sempre perdonato chiunque, per qualunque cosa avesse fatto, sono troppo buona mio grandissimo difetto. Do sempre una 2a possibilità ma se mandi all'aria anche quella, addio!

Ringrazio coloro che spendono parole per commentare, ai lettori silenziosi, e a tutti coloro che mi seguono, felici feste a tutti... :), grazie , grazie, grazie.


Vi lascio al capitolo, il prossimo aggiornamento nel prossimo anno, se passate nel mio blog c'è un piccolo regalo per voi, da vedere ed uno da ascoltare...

Qui, per il blog.

Buona lettura.

"Sicura di non aver fame?" chiese, corrugando le sopracciglia.
" Sì, ne sono sicura, non ho fame questa sera." risposi, mise il vassoio sul tavolino, in fondo alla stanza.
" Non vuoi nulla? Se vuoi posso prendere anche qualcosa al bar, magari più buona!" aggiunse, cercando di convincermi.
" No, Edward, sto bene e non ho fame. Non voglio nulla." specificai per bene, il mio tono era irremovibile.
La conversazione con Jacob ormai era alle spalle, esistavamo solo noi in quell'ora e nessun altro.
Anche se era trascorsa meno di un'ora da quando Jacob era andato via non c'era più nulla di cui parlare, era tutto archiviato adesso, sperai ce non dovessi più riaprire il suo fascicolo.
In quel momento c'era Edward, il mio tutto.
"Come vuoi." Disse, infine, sconfitto.
" Mi parli un pò di te?" chiesi, sapevo poco di Edward, per ora non volevo conoscere il suo passato, avrei aspettato quando fosse stato pronto per raccontarmelo, come
aveva fatto con me. Volevo sapere di lui in generale delle sue passioni, anche se molto di lui già lo aveva rivelato.

" Certo, cosa vuoi sapere?"
" Mhm, non so, un pò della tua infanzia, parlando della scuola, degli amici... "
" Sì, certo, " fissò la parete della stanza riordinando le idee, " Sono cresciutò per un pò a Chicago, ma per poco, quando ci siamo trasferiti qui a Seattle a scuola ho
conosciuto tante persone che sono dicentate i miei amici. Emmett e Jasper, ci conosciuamo dall'età di dieci anni, abbiamo fatto tutto insieme. I primi amori, abbiamo scelto tutti e tre insieme il college da frequentare, tutti e te medicina, ma ognuno ha scelto la specializzazione che voleva, ovviamente. Ma nella maggior oarte dei casi stavamo sempre insieme. Abbiamo un rapporto speciale, come se fossimo fratelli, anche i nostri genitori si conoscono. Abbiamo fatto tantissime sciocchezze insieme. Le migliori." Era perso nei suoi ricordi, sorrideva, erano ricordi piacevoli i suoi.

" Siete molto uniti," dissi, era fin troppo chiaro.
Annuì. Tornando con lo sguardo al presente, in quel momento con me.
" Oggi, quando sono venuto qui eri euforica, ma poi è andata scemando, cosa dovevi dirmi, se posso saperlo e ovviamente se quell'euforia era indirizzata a me."
" Oh, sì," me ne ero dimenticata, "Oggi sono riuscita a camminare da sola senza stampelle nè altro." sorrido fiera di me. Come un bambina.
Con Edward è facilissimo tornare all'infanzia, ti senti protetta, venerata e amata proprio come quando eri una semplice bambina, quando i tuoi genitori non ti permettevano neanche di stare in giardino da sola, erano quasi ossessivi, ma quasi a tutti i bambini piace l'ossessività. Li fa sentire desiderati ed unici, prima di stancarsene.
Io non mi sarei mai stancata della protezione di Edward, era impossibile.
" Ma è una sciocchezza." continuai.
"Bella," disse prendendo la mia mano ed incatenandola alla sua."Ciò che riguarda te non è mai una sciocchezza."
Strinsi più forte la sua mano, come un gesto di ringraziamento.
"Allora, vuoi farmi vedere o no?!" chiese retorico.
Scrollai le spalle e quasi ridendo dissi: " Se proprio ci tieni a vedermi inciampare, sono disponibile!"
Fece scoppiare la sua ilarità.
"Non vedo l'ora di vedere una tua caduta, così da salvarti prima di cadere, e stringerti fra le mie braccia." continuò, questa volta però era serio, guardava fisso nei miei occhi,
arrossire fu inevitabile.

Gli scoccai un bacio sull'angolo della bocca, fu un bacio velocissimo. Mi girai, mettendo le gambe fuori dal letto, allontanai il corpo di Edward dal mio, per permettermi di alzarmi senza fare strani movimenti, ero sempre convalescente!
"Aspetta, eh!" annuncia, facendo un gran respiro, non so perchè ma avevo le farfalle nello stomaco, non volevo sfigurare ai suoi occhi con una caduta o addirittura non riuscendo ad alzarmi, era solo stupide paranoie.
"Tutto il tempo che vuoi!" mi disse, era alla mia sinistra, e la sua testa, malgrado lui stesse in piedi era abbassata all'altezza della mia, il suo naso scostava continuamente la ciocca di capelli che finiva davanti ai miei occhi, accarezzava il mio viso con il suo naso, facendomi aumentare le molteplici farfalle nel mio povero stomaco vuoto.
Inspirai nuovamente riuscendomi ad alzare.
Il primo ostacolo era ormai alle mie spalle.
Mettendo un piede dopo l'altro, come se fossi un bebé ai suoi primi passi, lentamente, con accortezza .
Camminavo, proprio come le nelle ore precedenti, zoppicando leggermente, ma camminavo e poterlo fare era un soddisfazione personale, eccezionale.
Edward mi guardava con occhi pieni di amore, e dolcissimi, aveva le mani tese in avanti, erano rimaste tali da quando mi ero alzata, intimorito da un'ipotetica caduta.
Le sue dita però erano piegate, guardava verso di me, estasiato.
Feci il giro del letto, andando verso la finestra, avevo sempre desiderato guardare fuori da quella finestra, finalmente senza cancellate ad ostacolarmi la vista.
Edward non stava più fermo, ma seguiva me, con la mia stessa lentezza.
Arrivai alla finestra, e sentì subito le mani di Edward cingermi la vita da dietro, mi irrigidì leggermente, non ero più abituata a quei contatti e soprattutto con quella frequenza.
"Scusa," mormorò.
"Non preoccuparti." dissi, girando la testa verso di lui e con un sorriso, cercai, di fargli capire che tutto andava bene.
Guardai fuori dalla finestra, era tutto buio, fui felice di sapere che la stanza dava la vista sul parco, illuminato dai lampioni.
Era ancora più spettacolare vederlo di notte, da lassù, con qualcuno che ti cingeva la vita e continuava ad andare su e giù sul mio collo con il naso.
Il cielo era pieno di nuvole, tanto che la Luna non poteva essere visualizzata, la sua luce non riusciva nemmeno a oltrepassare le nuvole, troppo spesse. Sicuramente nelle ore siccessive avrebbe piovuto.
"E' ancora più bello da qui." sussurrai. L'aria che si era creata era così rilassante, che parlare a voce alta sembrava romperla.
"Sì," disse fermando il suo moto con il volto." E' un piccolo spettacolo, ma non quanto te, adesso."
Mi voltai verso di lui sorridendogli. Era romantico. Nessuno mai in precedenza era stato come lui. Era l'uomo che avevo sempre desiderato, che tutte le donne desiderano.
"Dove dovrebbe essere la piccola radura??" domandai, cambiando discorso.
"Lì," disse, prendendo una mia mano ed indicando un punto tra gli alberi, lontano.
Annuì.
Cercai di affilare lo sguardo per intravedere qualcosa, ma fu inutile, il buio, la lontananza e infine i tanti alberi mi impedivano di vedere ciò che desideravo.
"Ci andremo in questi giorni, un'ultima volta, prima che tu venga dimessa," mormorò al mio orecchio.
"Sì," sussurrai annuendo. "Sì, certo."

Dormimmo anche quella sera, come la notte precedente, nel mio letto, stretta a lui, e con la testa a farmi da cuscino.Mi aveva detto che sarebbe potuto restare anche quella sera con me, dopo averglielo chiesto più volte, era impossibile che restasse per così tanto tempo in ospedale senza tornare a casa, mia aveva tranquillizzata dicendomi che il mattino seguente sarebbe dovuto andare a casa per un paio di ore.
Quando c'era lui riuscivo a dormire per la maggior parte delle volte senza incubi, ad eccezione per la notte precedente.Dormivo, mi rilassavo e riposavo come non mai negli ultimi mesi.
Quando mi svegliai non riuscivo a capire se fosse ancora notte oppure giorno, le nuvole erano ancora molte e minacciose, prima o poi avrebbe piovuto.
Edward dormiva ancora, il suo volto era angelico, gli occhi chiusi in un'espressione beata.
Mi spostai dal suo petto, mettendo la testa sul cuscino e osservandolo.
Vederlo dormire faceva rilassare anche me. Sembrava un bambino per i suoi tratti dolci e delicati, tutto era appropriato al suo volto, nulla troppo grande o piccolo, tutto estremamente perfetto.
Non riuscivo a spiegarmi come la madre naturale potesse aver lascito lui, ancora piccolo e , credetti, altrettanto bello in un orfanotrofio.
Ci sarebbe voluto un coraggio enorme.
Poi pensai che io avessi fatto lo stesso con il feto che cresceva in me, l'avevo ucciso a differenza della madre biologica di Edward, gesto ancora più grave.
Avevo tolto la vita ad un bambino ancora non nato, sarebbe stato lo stesso che abbandonarlo?
I miei pensieri furono interrotti da Edward che strinse la mia mano che sostava sulla sua spalla.
"Buongiorno," dissi.
"Buongiorno anche a te!" la sua voce era roca e debole, si schiarì la voce.
"Come va?" chiese, la voce era tornata normale.
" Bene." risposi. Sperai che i pensieri di poco prima non avesse lasciato qualche traccia su mio viso, come smorfie e quant'altro.
" Non si direbbe, sei pallida." Con l'aiuto di un gomito si alzò, mettendosi seduto.
Accarezzò con l'indice e il medio la mia guancia, sorridendo dolcemente.
"Sto bene," ribattei. " Tu, invece, fatti bei sogni?" domandai.
"Sì, o almeno penso di sì, non ricordo nulla..." scrollò le spalle.
"Fa nulla, me ne racconterai un altro molto presto."
Guardò l'orologio, corrugando la fronte.
" Sono le otto e trenta. Io dovrei andare, tra massimo due ore starò di nuovo qui." annunciò.
Annuì. "A dopo , allora." continuai
"Ti porterò i progetti da fare insieme."
"Non vedo l'ora."
Mi diede un bacio, veloce recuperò il suo camice ed andò via.
L'avrei aspettato ardentemente per altre tre ore.

Edward.
Uscì dalla doccia, mille goccioline correvano veloci sul mio corpo, misi un'asciugamano in vita, uscendo dal bagno, entrando in camera mia, trovai Esme.
"Ciao, mamma!" la salutai.
"Bentornato!" disse leggermente stizzita. Aveva le braccia incrociate al petto.
Aveva ragione era stato via due giorni, senza avvisarla, nè altro, doveva essere in sovrappensiero.
" Scusami." dissi, scrollando le spalle."Sono stato in ospedale tutto il tempo, e mi dispiace tantissimo di averti fatta preoccupare." ero sincero.
" Almeno spero che i tuoi pazienti siano salvi!"
"Sì, lo sono, sani come pesci," la mia paziente preferita è quasi del tutto sana.
Presi dal mobile il mio intimo e un completo nuovo da indossare.
"Esci di nuovo?" chiese, confusa.
Aveva ragione, avevo sempre approfittato dei momenti liberi per leggere o riposarmi, o magari stare in loro compagnia, ero cambiato, qualcosa mi aveva fatto cambiare, o
meglio qualcuno.

"Sì, devo tornare in ospedale." dissi, prendendo le scarpe e dei calzini.
La sue espressione si addolcì, le sue braccia tornarono lungo i fianchi, e piegò leggermente la testa.
"Ora non mi dire nulla, ma devo andare, devo ancora vestirmi." annunciai, procedendo verso il bagno.
Mi seguì stranamente, non erano di Esme certi comportamenti.
" Spero almeno che io possa conoscerla!" quasi urlò dietro di me, arrivati alla porta del bagno.
Mi girai su me stesso, sorrideva compiaciuta.
"Almeno questa volta, intendo!" continuò.
Mi avvicinai a lei, baciandole la guancia.
Molto presto Esme, molto presto.

Bella.
Eravamo ricurvi entrambi su dei grandi fogli, Edward mi diceva cosa dovessi fare, cosa disegnare, mi dava consigli sui colori e mobili. Ovviamente era lui a decidere, il progetto che stavamo facendo doveva raccogliere tutte le stanze della sua casa. Avevamo già preparato i bagni, la cucina ed il soggiorno. Non pensavo che Edward avesse una casa così grande, malgrado ci vivesse soltanto lui.
Tuttavia stravolsi per un pò i suoi progetti, dando anche da parte mia dei consigli che si rilevarono molto utili.
" Così va bene?" chiesi, indicandogli un mobile che avevo appena ritratto.
" Sì, benissimo," disse annuendo, " Credi che mettere una credenza qui sia superfluo?" domandò indicando il punto esatto.
" No, " dissi, immaginando la stanza." Credo vada molto bene, potrebbe esserti utile."
"Quindi anche il soggiorno è fatto!" disse.
Avevamo terminato anche una nuova stanza.
" Ci manca soltanto la mia camera," continuò guardando soddisfatto i progetti."Le camere per gli ospiti non le farò sono completamente nuove." aggiunse.
"Hai, in casa tua anche delle camere per gli ospiti," dissi, incredula.
"Mhm... sì, saranno per i miei futuri bambini in realtà."
"Ho capito, comunque hai una bellissima casa..." parlai.
"Grazie, Bella, " prese la mia mano nella sua, sfilandomi dalle dita la matita con cui avevo disegnato tutto, e me la baciò. " Di tutto."
Scrollai le spalle, " E' un piacere poter lavorare per lei, dottor Cullen."
"Lo stesso per me, designer di interni Swan,"
Qualcuno bussò alla porta, finì di mettere tutti i fogli nella cartellina di Edward, che dissi 'Avanti'.
Entrò una ragazza bionda, un'infermiera a quanto sembrava dal camice. Era bellissima, alta, magrissima, capelli lunghi e biondi, sembrava una delle tante modelle sulle riviste di alta moda.
"Edward devo parlarti è urgente." disse, senza nemmeno salutare si rivolse con sfacciataggine ad Edward.
"Non adesso, Tanya, sono impegnato devo fare una visita." l'ammonì.
"E' urgente, ho detto." la ragazza era spazientita e non poco.
Non capivo perchè Edward non volesse parlarle, pensai fosse qualcosa che riguardasse il lavoro.
" Dobbiamo parlare, il prima possibile allora." continuò, con una smorfia sul volto quando i suoi occhi incontrarono i miei.
"Adesso no, vedremo Tanya, ma adesso sono occupato."
"Lo vedo, " disse, prima di voltare i tacchi e andarsene.
" Chi era?" chiesi, dopo che la porta fu chiusa con un gran tonfo.
" Nessun di importante non preoccuparti!" il suo sguardo era dolce, anche se in fondo si leggevano note di stizza.
"adesso dobbiamo andare nel mio studio per la visita e tutto il resto." annunciò.
Un'altra visita, che avrebbe dovuto determinare la mia dimissione.
"Andiamo?!"disse, aiutandomi a scendere dal letto.
"Certo!" non ne ero convinta, la visita di quella sconosciuta mi aveva alterato, e non poco.

Nello studio di Edward ci avevano raggiunto anche Emmett e Jasper, ovvero il medico del pronto soccorso e quello di ortopedia, alias fidanzato di Alice.
Ne avevamo nuovamente parlato quella mattina, quando Edward se ne era andato. Avevano fatto fatto altre uscite, e si trovavano sempre meglio insieme, avevano gli stessi gusti e Jasper dipendeva ormai da lei.
Jasper era lì poichè aveva portato la mia radiografia, la più recente. Invece Emmett si era aggregato al suo amico, ogni scusa era buona per parlare e divertirsi.
Si notava benissimo all'affiatamento che c'era tra di loro, scherzavano, parlavano, spettegolavno continuamente.
Jasper era un tipo d'uomo molto protettivo e gioiso, riusciva a influenzarti con il suo sprizzare felicità dai tutti i pori, stava bene insieme ad Alice, erano entrambi dei veri e propri uragani.
Invece Emmett sembrava un orso sia per la sua stazza che per il suo carattere, non capivo come una ragazza come Rosalie, così calma e pacata, potesse stare con una persona del genere, era buonissimo ma era troppo "casinista" per lei.
"Quindi entro due giorni Bella potrà tornare a casa?" chiese Edward.
"Sì, per quanto riguarda la gamba potrebbe andare via anche domani, facendo quest'ultima lezione di stasera, ma se vuoi trattenerla, magari per poterle controllare la ferita alla testa va benissimo." rispose Jasper, afflando lo sguardo. Evidenziò le parole trattenerla e controllare.
Che avesse intuito qualcosa?!
"Tu cosa preferisci fare?" disse poi, voltandosi verso di me. Jasper era seduto pochi centimetri davanti a me, a sua volta davanti alla scrivania, accanto ad Emmett, che
giocava con delle penne.

" Per me va bene qualunque cosa, siete voi i medici, decidete voi!" risposi.
Jasper mi sorrise, girandosi verso Edward che restò a fissarmi per altri secondi.
" Io penso che debba restare per un altro giorno ancora, così potrò anche toglierle i punti e metterle una semplice medicazione, visto che la ferita si è quasi del tutto
rimarginata."

Emmett e Jasper annuirono." Va benissimo, e un'altra seduta di fisioterapia non può che farle bene." continuò il primo.
"Bene, quindi lo aggiungo alla sua cartella." fu Edward a parlare.
"Sì," disse Jasper, " Io dovrei andare ora, il mio turno è particamente finito, ci vediamo domani, ragazzi!"
"Ciao Bella," disse rivolgendosi a me.
"Arrivederci, " lo salutai.
Si alzò, e velocemente sgattaiolò fuori.
" Io invece dovrei continuare il mio turno." fece Emmett.
"Buona fortuna!" rispose Edward.
"Grazie, devo avere un parere da te, lo sai vero?" continuò l'orso.
"Sì, ti raggiungo dopo aver portato Bella da Rose."
" Se vuoi posso accompagnarla io, non c'è problema." disse Emmett.
Edward voltò lo sguardo verso di me, fissandomi, annuì, malgrado preferissi che ad accompagnarmi fosse lui.
"Va bene, come vuoi, io devo incominciare ad andare nella stanza numero?" domandò all'amico.
" Trentradue, al secondo piano. A dopo."
Imitai Emmett che si era alzato e a passo normale mi diressi verso la porta, precedendolo, feci un occhiolino ad Edward, senza che l'altro se ne accorgesse e andai via con quest'ultimo, la strada fu breve, ma parlammo ugualmente.
" Lo sai vero che Edward prova simpatia per te!" Mi disse gesticolando.
Volevo ridere, ma mi trattenni, diretto il ragazzo!
Scrollai le spalle.
Visto che non arrivò una risposta continuò lui: " Ed anche da parte tu , eh?"
Scossi la testa.
" Lo sai vero che non ci credo?"
Annuì,"Lo so," continuai. " E' così tanto evidente?" gli domandai.
" Sì, è fin troppo evidente." disse annuendo energicamente.
Mi lasciò dopo poco, e solo dopo aver baciato a parlato con Rose.

Feci fisioterapia, la lezione fu molto veloce, visto che ormai non c'era più nulla nè da correggere che da migliorare, riuscivo a camminare come prima, o forse non proprio, ma riuscivo ad abbozzare una camminata fatta per bene.

Cercai Edward nella mia camera, ma non lo trovai, ero sicura del contrario e così mi diressi verso il suo studio, sperando di incontrarlo lì.
Camminai lentamente, mettendo un passo dopo l'altro, pensandoci per paura di cadere.
Arrivai allo studio di Edward, la porta era socchiusa, mi accostai a quest'ultima, stavo per aprirla del tutto quando mi accorsi che Edward non era solo.
C'era una ragazza, l'infermiera di poche ore prima con lui, nella sua stessa stanza, troppo vicina ad Edward. Quest'ultimo era seduto sulla sua scrivania, le gambe erano semi
aperte, la ragazza dai capelli biondi era fra quest'ultime. Era troppo vicina ad Edward per una semplice chiacchierata.

Il mio cuore si spezzò in mille piccolissimi pezzi.
Distolsi lo sguardo da quella scena, girandomi verso il corridoio, le gambe erano molli, scivolai contro la parete, mi ritrovai seduta a terra, con la testa fra le mani e gli occhi chiusi, cercando di dimenticare anche quest'ultima scena.
Un'ennesima delusione...

E con questo vi auguro Buon Natale e un felice 2011!!
Non mi odiate... è Natale , dobbiamo essere tutti più buoni!!

Ieri ho aggiunto alle mie storie anche una OS che partecipa ad un contest Natalizio, se vi va passateci e magari lasciate un commento.Ringrazio coloro che hanno recensito.
Christmas Lights

un bacio buone feste a tutti, Many... <3<3

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Capitolo 17
*** Una scelta. ***


Buona Epifania a tutti...

Scrivere questo capitolo è stato particolarmente difficile, le sensazioni, emozioni della protagonista mi hanno turbata, e non poco. Non riuscivo a scrivere una pagina, ogni talvolta qualcosa doveva essere cancellata, qualcos'altro modificato e tanto altro ancora, è stato un parto, lo ammetto.
Ed ho deciso di farlo breve, proprio perchè avreste aspettato un altro anno per leggere questo capitolo.

Ringrazio le persone che hanno recensito, grazie mille, questo capitolo lo dedico a voi e a chi oserà lasciare un commento ^^.

Buona Lettura.
Non era possibile, non poteva davvero accadere.
Il cuore doleva in mille piccolissimi pezzi nel mio petto, una voragine allo stesso punto si formava grande e maestosa, facendomi sentire la sua presenza.
Le mani dalla faccia si spostarono sulle gambe portandole al petto, strette nel vano tentativo di calmare il respiro affannoso, che quasi mi mancava.
Lacrime di delusione, dolore, rabbia, amore scendevano copiose sulle mie guance, non singhiozzavo per fortuna, mi avrebbe sentito nel caso opposto.
Chiusi gli occhi, nuovamente, cercando di dosare il respiro e calmarlo, tranquillizzarlo.
Non si sentivano rumori alle mie spalle, non ne avrei voluti sentire nemmeno. La delusione era ciò che caratterizzava il mio stato d'animo, insieme alla rabbia. Avrei potuto abbattere quella struttura se non mi fossi trattenuta. Le mani mi prudevano dalla voglia devastare, la testa mi pulsava senza motivo, pronta a scoppiare come un pacco bomba, mancava la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso, ma non tardò ad arrivare.
Il respirò si calmò, le lacrime si arrestarono.
Ma la voglia irrefrenabile di rompere qualcosa era sempre lì, sempre crescente e maggiore, come il mal di testa.
Iniziai a sentire sussurri indistinti, parlavano di qualcosa, con calma, quindi cancellai l'opzione che stessero litigando, chi litiga non sussurra, no?!
Non cercai di decifrare le loro parole, per capire, mi avrebbe fatto soltanto più male, la prima cosa che feci per bene, per me.
Mi alzai dal pavimento, mi pulì gli occhi dai residui delle lacrime con il dorso della mano, non valeva la pena di piangere.
Era decisa a voltare le spalle a quello studio e dirigermi nella mi camera, ma da testarda che ero mi voltai verso lo spiraglio lasciato aperto precedentemente.
La situazione non era cambiata: la ragazza era sempre più vicina ad Edward, e lui sempre nella stessa posizione. Tanya si muoveva in direzione di colui che avevo pensato di potermi fidare, e quest'ultimo non faceva nulla per allontanarsi, restava lì immobile.
Le lacrime ricominciarono a sgorgare fuori, indietreggiai, le mani chiuse a pugni lungo i fianchi, i passi erano lenti ma profondi.
Mi fermai, improvvisamente, avevo toccato qualcosa con la schiena, facendola cadere. L'impatto con il suolo creò un forte boato, che eccheggiò in tutto il corridoio, ed
inevitabilmente anche le persone nella stanza di fronte a me lo sentirono.

Mi guardai attorno, mi ero scontrata con un carrello di medicinali, uno dei tanti in tutti i corridoi e reparti, facendo cadere una flebo. Il vetro di quest'ultima si era fracassato al suolo, facendone fuoriuscire tutto il contenuto. Il pavimento era pieno di acqua e frammenti di vetro.
Mi guardai intorno spaesata e non sapendo cosa fare mi fiondai fuori da quel reparto, la velocità era sostenuta, se non fosse stata per la mia accortenza del ginocchio mi sarei messa a correre, fregandomene degli occhi indiscreti di pazienti, infermieri e dottori che mi guardavano camminare velocemente, come se ci fosse qualcuno a seguirmi, come se fossi impazzita.

Ma qualcuno mi seguiva.

Camminava col stesso passo, a pochi metri da me.
Sapevo cosa dovessi fare, e dove andare. I miei piedi si muovevano velocemente, la mia mente non pensava a dove dirigermi, ma rifletteva sempre la stessa immagine, Edward troppo vicino a quella ragazza. Gli occhi erano ricoperti di lacrime, vedevo sfocato e tutto ciò che incontravo aveva contorni indefiniti.
"Bella!" urlò, vicino alla mia camera.
Non mi girai, non mi voltai a quella voce cristallina che conoscevo fin troppo bene.
Ero arrivata alla mia meta: la mia camera. Aprì la porta , e con forza, sbattendola la rinchiusi dietro di me. Mi fermai al centro della stanza, con il fiatone, tentando di calmarmi. Respiravo profondamente, chiusi gli occhi quando la porta scricchiolò, aprendosi, nuovamente. Fortunatamente la porta era alle mie spalle, potevo non guardare in volto colui che fosse entrato.
"Bella," la voce di Edward si espanse nella camera.
Feci un ultimo respiro prima di dirigermi verso il tavolino, dove c'era il mio borsone. Lo presi, barcollando sotto quel nuovo peso, lo portai sul letto, aprendolo e infilandoci tutto ciò che le mie mani incontravano sul loro cammino. Pigiama, asciugamani, vari prodotti sparsi per la stanza, i miei pastelli e il mio quaderno. Quello giallo lo aprì alla pagina in cui avevo segnato il numero di Alice, prendendo una delle tante matite lo trascrissi sull'altro quaderno, lasciando il primo nel cassetto, e chiudendolo alle mie spalle.
Quando stavo per ritornare al letto, con un nuovo carico tra le braccia, Edward che era rimasto fermo, immobile al centro della stanza, con lo sguardo basso, mi prese per un braccio, bloccandomi davanti a lui.
I suoi occhi erano quasi grigi, non più verdi, si erano scuriti molto, capì che era per la rabbia repressa in quei minuti. Non capì il senso dell'ira di Edward, infondo era io quella tradita.
"Lasciami andare." scandì bene ogni sillaba, guardando la sua mano stringermi il braccio.
"Per favore, Bella, parliamone," il suo tono era spento, roco e basso.
"Cosa c'è da parlare?" chiesi, acida." Non c'è nessuna scusa che possa biasimarti, Edward, non c'è nessuna parola che potrà giustificare ciò che mi hai fatto, non ci sono parole per cui io ti dia una seconda possibilità. E' finita." conclusi, riuscendo a divincolarmi e tornando al letto, misi tutto nella valigia, senza contare l'ordine, nè altro.
"Non è come pensi," disse, guardandomi camminare per la stanza.
"E com'è allora? Vorresti negare il fatto che quell'infermiera ti stava addosso? E ti stava quasi per baciare se non vi avessi interrotti? E' l'unica o ce ne sono delle altre? Quante tre, quattro, o di più?" le parole uscivano da sole dalla mia bocca, e non mi importava se non avesse davvero un senso, o se fossero esagerate.
" Non c'è nessuna oltre a te!" inveì.
"Certo! E quella ragazza chi è tua sorella, tua cugina?" dissi, retorica.
"No, ma... "
"Edward, non devi giustificarti, ho sbagliato io a fidarmi di te, sono stata talmente sciocca da poter credere alle tue parole, sono stata talmente stupida da credere di essere davvero unica, sei un bravo ammaliatore, devo riconoscerlo, sei stato bravo a creare un legame tra di noi, sei stato fortunato a trovare una sciocca ragazza che aveva bisogno di qualcuno a cui raccontare il suo passato, e donare affetto, sei stato bravo ad ascoltarmi, devo ringraziarti per questo, sono stata meglio in tua compagnia, devo ammetterlo, ma non posso andare avanti, non possiamo fare nulla, Edward," terminai, nel mentre avevo preso le ultime cose, infilando la mia giacca a vento, visto che stava piovendo a dirotto, sporadicamente dei tuoni rompevano il silenzio fra di noi.Urlando, così forte da coprire i rumori che provenivano da fuori e dai tuoni, gli avevo detto ciò che dovevo.
Stavo meglio anche con me stessa.
Mi aveva tradita, ed io avevo usato lui, inconsciamente.
"Non so come abbia fatto a credere alle tue parole, sono stata tremendamente stupida." finì, misi la borsa in spalla, e mi diressi verso la porta.
"Aspetta, " disse prendendomi nuovamente per il braccio.
"Lasciami stare, Edward." il senso di repugno nei suoi confronti era tornato.
"Non permetterò di andartene finchè non mi avrai ascoltato, poi se vorrai potrai lasciare questa stanza e me, ma ti prego ascoltami,"
"Lasciami andare." il mio tono di voce era basso, le parole scandite lentamente.
Una pausa. Un respiro profondo.
"Mi hai delusa, Cullen." dissi, non tenendo conto delle sue precedenti parole."Ed ora fa una cosa per me. Lasciami andare, dimenticati di me, come farò io appena messo fuori piede da questa camera, dimenticati le parole che ti ho detto e quelle che tu hai detto a me, è stata una magnifica esperienza, ma adesso basta. Addio, Edward."
Uscì dalla camera, senza dargli il tempo di parlare; non sarebbe servito a nulla ascoltare le sue menzogne.
Andai da Emmett, il quale firmò il permesso e l'attestazione della mia salute, stavo bene e potevo benissimo non stare in ospedale.
Mi disse che avrei dovuto togliere i punti, tornando in quell'ospedale o da un qualsiasi medico, entro cinque giorni.
Annuì e lo rassicurai dicendo che avrei fatto tutto quello che aveva detto, in più mi chiese il poichè, risposi che sarei dovuta partire il mattino dopo.
Mi guardò confuso, appena poche ore prima gli avevo detto della mia simpatia per Edward, ed adesso andavo via da lui, senza spiegazioni.
"Arrivederci, Emmett, è stato un piacere conoscerti, potresti portare i miei saluti ad Alice, Jasper e Rose?" chiesi.
"Certo, senz'altro, ciao, Bella."
Sorrisi, incamminandomi fuori dal suo ufficio nel pronto soccorso, i corridoi erano familiari, gli stessi che avevo percorso il primo giorno, la notte in cui era arrivata in quel posto.
Nell'atrio c'era un telefono pubblico, uno di quelli che chiamano con le monete,dovevo fare due telefonate, una delle quali molto importanti.
Misi una delle monetine che avevo nella borsa nel telefono, componendo il numero che conoscevo fin troppo bene.
" Pronto?" chiese, una voce roca dall'altro capo del telefono.
"Pronto, Jacob, sono Bella,"
"Bella!" Inveì, era entusiasta, si capiva dal tono di voce."Cosa ti induce a chiamare?" chiese, tranquillo.
" Vengo con te, a Chicago."
Forse sarebbe stata un'idiozia, ma in quel momento sentivo che dovevo seguire lui, a Chicago, per riprendere una vita normale.
"Davvero? Non sai quanto sia felice di questa tua decisione!" Era estasiato. La sua voce era squillante."Dove sei? Ti vengo a prendere!"
"Aspetta, ti raggiungerò domani, all'aeroporto, adesso voglio raggiungere i miei genitori, se non ti dispiace, voglio trascorrere quest'ultima serata con loro."
"Capisco, ma ti hanno dimessa? I tuoi genitori lo sanno? Sono lì con te, adesso?"
" No, non mi hanno dimessa, ho chiesto il permesso per partire con te, domani, " mentì, lui non avrebbe mai saputo la verità. Come non l'avrebbero saputa i miei genitori.
"Ma stai bene?" chiese preoccupato.
"Sì, non preoccuparti, sto bene, il ginocchio è a posto, riesco a camminare abbastanza facilmente, e no, i miei genitori non sanno ancora che non sono più ricoverata, sono nell'atrio dell'ospedale, appena stacco con te chiamo loro. Adesso ti lascio, Jacob, a domani, all'entrata principale dell'aeroporto?"
"Sì, va benissimo, non sai quanto mi hai fatto felice, Bella."
"Certo, a domani, Jake." Staccai, posando la cornetta, presi una nuova monetina dalla borsa, facendo partire una nuova telefonata, questa volta i destinatari erano i miei genitori.
Conoscevo il numero di cellulare di entrambi, composi quello di mia madre.
"Chi è?" chiese sbrigativa una voce di donna.
"Mamma, sono Bella."
"Oh Bella,- il suo tono si era addolcito- dove sei? C'è qualche problema?" chiese, velocemente, senza darmi il tempo di parlare.
"No, calma, non preoccuparti, va tutto bene, volevo solo chiedervi dove alloggiate così che potessi raggiungervi,"
"Ma dove sei?" domandò con voce isterica.
"Sono all'ospedale, mi hanno dimessa, o meglio mi sono dimessa, è tutto a posto, non preoccuparti!"
"Ti veniamo a prendere noi, non muoverti di lì!" disse, sentivo sei rumori in sottofondo.
"Aspetta, sono in grado di muovermi da sola! Devi solo dirmi l'indirizzo!"
"Non se ne parla proprio! Adesso io e tuo padre ti veniamo a prendere, siamo lì tra dieci minuti, a dopo, piccola."
"Va bene, a dopo, mamma."
E la chiamata si interruppe. Il credito erano terminato.
Guardai l'atrio, soffermandomi su ogni oggetto, e persona che i miei occhi vedevano, fin quando quest'ultimi non si riempirono di lacrime e decisi di lasciare tutto alle mie spalle, uscendo fuori, esposta alle intemperie, dove pochi minuti dopo arrivarono i miei genitori.
Durante il tragitto, oltre ai saluti iniziali, non era volta una mosca, erano tutti silenziosi, tassista compreso, un ragazzo anche più piccolo di me, tutti percepivano il mio umore cupo.
 Alloggiavano in un albergo nel centro città a pochi minuti dall'ospedale, la loro camera era abbastanza grande, formata da un'anticamera, con un divano-letto, una tivù e dei mobili.
La stanza 'principale' era piccola, ma accogliente, c'era un letto matrimoniale, molto grande, e due comodini. Tutte le finestre erano coperte da tende dello stesso colore della moquette e delle rivestiture di letti e divani. Infine il bagno era piccolo, provvisto di tutto ciò che servisse.
Rimanemmo io mia madre da sole, quando mio padre uscì dalla camera per ordinare una cena che ci sarebbe stata servita nella medesima.
Eravamo sedute entrambe sul letto, comodo e morbido della stanza matrimoniale.
" Allora, come va?" chiese mia madre.
"Tutto bene." dissi, semplicemente, senza degnarla di uno sguardo. Il mio comportamento era molto infantile, i miei genitori non dovevano essere coinvolti nel mio stato emotivo.
" Mamma, domani parto, vado a Chicago con Jacob." sbottai, improvvisamente, portando il mio sguardo su di lei.
Mi guardava sorpresa e confusa, corrugando la fronte.
"L'ho chiamato dall'ospedale prima di avvisare voi, domani partiamo."
"Ma... non vi eravate lasciati?" chiese.
"Sì, ma credo che tornare a Chicago con lui sia la miglior cosa, qui a Seattle non voglio restarci, voglio ritrovare la mia vita, quella di un tempo e voglio farlo accanto a Jake." dissi, la mia voce a metà frase si incrinò.Le lacrime tornarono a riempire gli occhi.
"Ne sei sicura?"
"Sì, lo sono. Jacob è un buon inizio. Potrò essere felice con lui, proprio come un tempo. Ricomincerò a studiare magistratura, voglio laurearmi, a Chicago, con Jake al mio fianco." terminai, decisa.
"Se te la senti di farlo, certo, è la miglior cosa se lo credi tu." concluse.
"Sì, ne sono sicura." ripetei. L'abbracciai, mettendo la testa nell'incavo del suo collo, respiravo il suo profumo ed inevitabilmente pensai che fosse buono quasi quanto quello di Edward.
"Ti voglio tanto bene, Bella." mi disse all'orecchio, spostando una ciocca di capelli.
"Anche io," Sospirai. "Tanto."

Il giorno dopo mi svegliai di buon'ora, avevo dormito nel letto matrimoniale con mia madre, facendo riposare mio padre nel divano-letto, si svegliò con mal di schiena atroce.
Un'ora più tardi eravamo all'aeroporto, con tutto ciò che mi serviva, e con i miei genitori al mio fianco.
Cercavo con gli occhi Jacob, a poca distanza dagli imbarchi, lo visi dirigersi verso di noi, correndo, sudaticcio.
Quella visione mi fece ridere, ma la consapevolezza che lui fosse lì mi fece riempire lo stomaco di farfalle, la partenza era inevitabile ormai, avrei dovuto seguirlo. Qualcosa mi diceva che dovevo restare lì a Seattle, tornare da Edward, dargli una possibilità, e ascoltarlo. Ma il mio orgoglio mi ordinava di partire, in quel momento non era il cuore a comandarmi, ma la testa e il mio stupido orgoglio.
La mano sinistra stringeva il manico di una borsa a mano, una di quelle che possono essere imbarcate con te, vicino al tuo posto e non nella stiva.
"Eccomi, scusate per il ritardo, non ho trovato un taxi!" disse tutto di un fiato, ansimava per lo sforzo di correre. I suoi occhi si posarono prima sui miei genitori e poi su di me, addolcendo lo sguardo.
Strinse la mano ai miei genitori, salutando con più energia Charlie, il suo zio preferito, per poi baciare me sulle guance.
I contatti con gli uomini erano di nuovo diventati fastidiosi.
"Ciao, Jake." sussurrai al suo orecchio.
Una voce nell'altoparlante ci avvisò che quelli sarebbero stati gli ultimi minuti per l'imbarco, dovevamo proseguire.
"Allora a dopo, mamma, ti chiamo appena sono atterrata." le dissi, dopo averla stretta a me.
"Non ti dimenticare, mi raccomando," vedevo l'ombra di qualche lacrimona voler ribellarsi negli occhi di mia madre.
"Non preoccuparti, non potrei mai dimenticarmi di te." dissi, sorridendole." Di voi," mi corressi quando mio padre si girò verso di me, abbracciandomi anche lui.
"A presto!" salutarono, prima di voltarsi, mano nella mano e andare via.
Mi girai verso Jacob, che mi aveva cinto la vita con un braccio, sorridendogli e accennando a proseguire. Avrei voluto scansarmi, ma non lo feci.
"Tutto bene?" chiese.
"Sì, va tutto bene. Andiamo." ci perquisirono, lasciandoci andare pochi minuti dopo, con i nostri bagagli a mano.
Il mio biglietto era stato acquistato solo il giorno prima, mi dovetti accontentare di un posto in seconda classe. I sedili erano comodi, mi sentivo a mio agio con Jacob al mio fianco.
Poche ore più tardi, con Jake alla mia sinistra che riposava, con lo sguardo intendo a guardare fuori dall'oblò, mi sarei domandata se quella era stata davvero la scelta giusta.

Il prossimo capitolo inomincerà dall'imbarco, quindi prima di quest'ultimi righi.

Ricordo a tutti ( per l'ultima volta) la mia OS natalizia, classificatasi 3a ( non sapete la mia felicità!) una lettura tranquilla, e meno triste (decisamente) di questa FF xD.
Christmas Lights 

 Al prossimo aggiornamento, Many.

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Capitolo 18
*** Un nuovo inizio. ***


Ringrazio coloro che hanno recensito, coloro che mi hanno mandato messaggi privati e alle ragazze del gruppo, grazie a tutti. Non di meno i lettori silenziosi, grazie anche a voi per la semplice lettura.

Ogni vostro dubbio si sceglierà, ve lo prometto. Ma non per questo voglio affrettare le cose, voglio gustarmi ogni attimo di questa FF, con voi. Il prossimo capitolo molto probabilmente sarà ancora POV Bella, ma non tarderà ada arrivare il punto di vista di Edward.

Mi scuso per eventuali ritardi ,e per questo, mi sto impegnando moltissimo per scrivere, e trovare del tempo per fare ciò è diventata una battaglia contro mia madre, la scuola e gli impegni... Esigo da voi un pò di pazienza, devo ritrovare un equilibrio, e spero al più presto.

Buon ascolto: 
Coldplay - The Scientist E buona lettura.

Ci incamminammo per imbarcarci, arrivati, una donna dai capelli rossicci, imponente ed occhialuta, con la sua voce roca, ci disse che dovevamo togliere di dosso tutti gli oggetti di metallo, per poi passare tra i metal detector.
Così facemmo, prima io, poi Jacob, mentre toglievo un bracciale, sbirciai l'entrata dell'aeroporto, non distante da dove mi trovavo, con la speranza di vedere ancora i miei genitori, ma fui delusa, erano andati via.
Successivamente, prendemmo posto nell'aereo, ormai, completamente, occupato. C'erano persone che parlavano, altre che muovevano freneticamente i piedi, ansiose di decollare, ed ancora altre intente a guardare un punto davanti a loro, erano fermi immobili come statue di ghiaccio.
"I nostri sono il 165 e 166", mi disse Jacob, all'orecchio, camminava dietro di me, nei stretti corridoi tra un sedile ed un altro.
"Sì", sussurrai, controllando i numeri di ogni poltrona."Ecco", dissi indicando due sedili a qualche metro da noi, gli unici liberi. Presi posto su quello a destra, vicino all'oblò, non sarei riuscita a dormire durante il viaggio, tanto valeva guardare fuori per distrarmi.
Delle hostess, sorridenti si avvicinarono ad ogni sedile sussurrando di allacciare le cinture di sicurezza e spegnere i cellulari, l'aereo si sarebbe innalzalto in aria in pochi minuti.
"Cosa ti ha fatto cambiare idea?", mi chiese Jake, improvvisamente.
Mi girai verso di lui, guardando nei suoi occhi scuri, presi un respiro profondo e decisi di mentire.
"Mi sentivo di seguirti, voglio un nuovo inizio, voglio ricominciare tutto d'accapo, fin in fondo, finché è possibile, e voglio farlo con te."
Mi sorrise, accarezzandomi una guancia dolcemente.
Chiusi gli occhi a quel tocco, respirando profondamente.
"Sei bellissima", mi disse.
Dischiusi gli occhi, e sorrisi.
"Mi piace tanto quando sorridi, i tuoi lineamenti si addolciscono rendendoti ancora più bella," continuò, sussurrando.
"Grazie, Jake".
Il carattere di Jacob, aveva tante sfaccettature, era dolce, romatico, protettivo, certe volte ed altre invece in cui diventava un uomo maschilista, autoritario, potente, in poche parole stupido.
Quando era dolce, sembrava una delle persone più amorevoli al mondo, amavo quel lato di lui, amavo le sue frasi romantiche, riuscivano a farmi sentire unica, speciale. D'altronde "amavo" tutti gli uomini in grado di far sentire una donna come tale, irripetibile. Il rapporto tra uomo e donna dovrebbe comprendere anche i complimenti, nei momenti e posti più appropriati, anche dopo il matrimonio, anche da anziani con le rughe e tutto il resto. Ed anche una donna deve fare lo stesso con gli uomini, più misurato, ma deve farlo, misurato per il semplice motivo che gli uomini si montano come la panna, troppo facilmente.
Sentimmo dei rumori, e l'aereo partì, correvamo sulla pista prima di innalzarci tra le nuvole. Tutti i passeggeri si mantenevano stretti ai propri sedili, sentivano essere risucchiati quando l'aereo decollò.
"Ti serve qualcosa?" mi chiese Jake, quando le hostess ci permisero di alzarci, andava al bar.
"No, grazie, sto bene così!"
"Io torno subito", disse.
Annuì, lasciandomi andare pesantemente e floscia contro lo schienale del sedile.
Jacob camminava guardando dritto davanti a sé, indossava dei Jeans larghi, con una semplice maglietta sopra, con le maniche risvoltate fino al gomito. Stava andando al bar, e la mia mente non fu in grado di non pensare a ciò che avrebbe assaggiato lì.
Ma aveva smesso, o così mi aveva detto, aveva smesso di bere qualunque cosa che contenesse alcol, me ne aveva parlato con ammirazione verso se stesso, con fierezza.
Si può dimenticare che il tuo compagno (non ancora in quel momento, le cose dovevano essere ancora messe in chiaro), era un alcolista? Dimenticare no, andare avanti e lasciarselo alle spalle, sì.
Come mi aveva insegnato una "persona".
Era incredibile a quante volte la mia testa ritornasse a pensare a lui, continuasse a vedere sempre la stessa immagine, nella realtà c'erano dei passeggeri, un ragazzo davanti a me che dormiva russando sonoramente, e accanto un'anzina signora che mangiava noccioline, ma non vedevo quello, ma due ragazzi uno rossiccio, l'altra bionda, troppo vicini, le loro bocche di toccavano quasi, il cuore per l'ennesima volta mi sembrò di spezzarsi, la voragine al petto ingrandirsi, e l'annidarsi di lacrime agli occhi fu inevitabile, dovevo smetterla di essere masochista.
Tornò dopo poco, sorridendo mentre prendeva posto, quando si fu sistemato, con tono di disinteresse gli chiesi cosa avesse preso al bar.
"Ho preso una coca, capisco la tua apprensione, Bella, ma davvero, ho smesso".
Disse, non si era offeso, fortunatamente, mi aveva parlato serenamente, come se fosse la cosa più semplice al mondo, e forse lo era, ed ero io quella a non accorgersene.
" Ora, non mi dire nulla, ma io mi riposo, non ho dormito tutta la notte e sono stanco", disse, abbassando il sediolino e (semi)stendendosi.
Sorrisi, girandomi a fissare il panorama fuori dall'oblò.
Un debole strato di nuvole bianche e candide coprivano leggermente la mia visuale, verde o grigio, natura o abitazioni. Mi incantavo a vedere ciò, era tutto molto piccolo, ma immenso, non si riuscivano a distinguere i palazzi, dalle strade, tutto uniformemente colorato di grigio, ma i campi erano tutt'altra cosa. Si riuscivano a vedere macchie giallognole, erano i campi di grano, oppure quelli verdissimi, dei fantastici prati.
Il respiro di Jacob si era appesantito e regolarizzato, segno che stava già dormendo, non riuscivo a capire come riuscisse ad addormentarsi così velocemente, forse, sicuramente, era davvero stanco.
Gli aggiustai una ciocca di capelli che gli si era spostata sul volto, la spinsi indietro, inevitabilmente toccai la sua pelle caldissima; iniziaia ad accarezzarlo teneramente, dolcemente.
Avevo scelto lui, e fu inevitabile non ripensare alla mia scelta.
Era stato giusto prendere una decisione così velocemente? E soprattutto seguendo il mio istinto?
Ero su quell'aereo, e non sarei potuta tornare indietro.
Stavo cercando un punto, un posto dove ricominciare la mia vita, ricominciare da zero, o quasi. Stavo cercando un nuovo inizio.Come avevo già ripetuto a mia madre, Chicago era un buon posto dove ricominciare, lì negli anni precedenti era stato tranquillo, anche se fosse una grande città era vivibile, e lo sarebbe stato anche dopo il mio spostamento.
Ma qualcosa era cambiato, negli anni precedenti avevo affrontato la cosa con occhi diversi, ero felice, motivata ed entusiasta dalla novità, e dall'amore. Quello che provavo per Jake.
Invece, in quegli istanti, stavo scappando da una relazione, restando il più possibile lontana da Seattle. Sarebbe stato lo stesso partire per Forks, sarei stato identicamente lontana dalla grande città, in cui avevo vissuto per anni, ma non era lo stesso...
Vedevo Jake come una sorta di vendetta contro Edward, stavo facendo lo stesso cghe lui aveva fatto alla sottoscritta, stavo tradendo, e mi sentivo soddisfatta.
Ma non stavo usando del tutto Jake, anche se mi ero promessa di non avere più rapporti con lui, le promesse potevano non essere rispettate, no?!
Ero decisa, Chicago, con Jake era stata una buona scelta, ero felice, appagata con me stessa se non ci fosse stata quella parte piccola di me, ma tanto importante che mi sussurrasse "Sei una stupida, imbecille!"
Malgrado ciò la vocina era tanto attenuata dal rancore che neanche la sentivo, me ne sarei accorta successivamente.

Atterrammo sei ore dopo, all'aeroporto di Chicago.
Camminavo di fianco a Jake, dovevamo recuperare le nostre valigie, dopo lo scalo, un taxi ci aspettava fuori, pronto a portarci alla nostra casa.
Ci avevo vissuto poco lì, ma lo stesso le strade erano familiari, riconobbi molti negozi, ristoranti, supermercati, ma molto era cambiato, incominciando dal nostro grande palazzo, in cui risiedevamo.
Gli interni erano diventati più lussuosi, c'erano piante ad ogni angolo, i corrimano color oro, le scale in marmo. La casa era dotata dal lavoro di Jake, anche se eravamo noi (ovviamente) a pagare l'affitto anche se ridottissimo, visto che ci trovavamo in una parte di Chicago abbastanza lussuosa.
"Siamo arrivati,"disse Jacob, all'ottavo piano, sul pianerottolo, davanti alla porta di legno chiaro. Prese le chiavi dal taschino della sua giacca, e aprì la porta.
" Bentornata," sussurrò mentre entravo.
L'appartamento era abbastanza grande per me e Jacob, era composta da un salotto, cucina, due camere da letto, due bagni ed uno studio, usufruito da Jake per terminare, nelle giornate più faticose, il suo lavoro.
Sorrisi alle parole di Jacob, entrando in salotto e sedendomi sul comodissimo divano verde al centro della camera. Sì, verde, poichè tutto in quella casa era verde, tende, moquette, rivestimenti, i mobili della cucina, e le pareti. Era la parte della casa che non mi piaceva. Ogni cosa era verde anche se di diverse tonalità, ma tutto estremamente
uguale, ma soprattutto monotono.
Presi il cellulare di Jake, componendo il numero di mia madre.

"Pronto?" rispose una voce cristallina, dopo vari squilli.
" Mamma, sono Bella."
"Oh, Bella.Sei arrivata?"
"Sì, sono arrivata da circa venti minuti, è andato tutto bene, il viaggio è stato tranquillo."
"Mi fa piacere, come stai?" chiese, comprensiva.
"Bene, voi invece, dove siete?"
"Siamo ancora a Seattle, stasera partiamo per Forks, e stiamo bene,"
"Ho capito, io adesso ti lascio, mi richiami tu quando puoi?" domandai.
"Sì, certo, un bacione, Bella."
"Ciao, mamma." dissi, dolcemente. " Salutami anche papà."
"Lo farò, a presto." E staccò.
"Tutto bene?" chiese Jacob, dietro di me, era in cucina, controllando la nostra dispensa.
"Sì, va tutto bene, dobbiamo andare a fare compere, mi sa, eh?" Dissi, avvicinandomi alla dispensa su cui era calato.
"Sì, disfiamo i bagagli e magari andiamo insieme, manca un pò di roba."
Annuì, dirigendomi in camera per disfare le valigie.

I primi giorni a Chicago passarono tranquilli, lo stesso giorno del nostro arrivo comperammo tutto ciò che ci sarebbe servito per le successive settimane, il telefono di casa continuava a suonare, colleghi di Jacob che chiamavano per dargli il (ri)benvenuto, gli volevano bene tutti, un'altra capacità di Jacob, riuscirsi a farsi amare da tutti, nessuno lo odiava, esclusi i rivali in amore.
No volli più rispondere al telefono dopo la quarta telefonata, dopo che la quarta voce mi disse gentilmente e con una certa impazienza se ci fosse in casa Jake, senza nemmeno salutarmi, come se fossi un'addetta alle pulizie.
I giorni successivi furono decisamente meno movimentati, il telefono squillava decisamente meno, se non mai, quando Jake stava al lavoro, in quei momenti o provvedevo alle pulizie della casa, oppure mi rilassavo con un buon libro tra le mani, ed un drink(analcolico) appoggiato su un sottobicchiere, alla mia destra, sul tavolino.
Jacob usciva presto la mattina, senza svegliarmi, lasciando sul suo cuscino un bigliettino con scritto sopra "buon risveglio, amore.", sempre la stessa scritta, non se ne dimenticava mai.
Purtroppo ben presto ritornarono anche gli incubi, mi svegliavo ansante e timorosa, nel cuore della notte, Jake se ne accorgeva sempre, e mi tranquillizzava, con tanti baci sulla spalla, sussurrandomi parole dolci all'orecchio.
Il più delle volte riuscivo a riaddormentarmi e a dormire per il resto della notte,tranquillamente.
Il rapporto con Jacob era migliorato molto, certo non era tornato alla normalità, come eravamo stati uniti prima, ma eravamo una coppia affiatata. Anche i contatti stavano sempre di più,aumentandoli di volta in volta, anche se quando mi abbracciava da dietro sussultavo per la maggior parte delle volte, sorpresa dal tocco e dalla vicinanza. Non fui in grado di non confrontare, quando sul divano verde del salotto, la sera stessa del nostro arrivo, mentre guardavamo un film romantico, il bacio di Jacob, da quello di Edward. Era una cosa involontaria, la mia mente tornava indietro nel tempo, nella piccola radura nel parco dell'ospedale. Fu difficile costatare che le labbra di Jacob non erano lisce e morbide come quelle di Edward; i baci erano più trasportanti, più lenti, ma più passionali, quasi una contraddizione, ma era così.
Era passata una settimana ormai dal nostro arrivo, a Chicago, la vita sembrava più monotona, e fui felice di poter passarla in quel modo.
Quando mi ritrovai con il mio quaderno delle "esercitazioni" tra le mani, guardando le cifre scritte su un margine di una pagina, decisi di telefonare ad Alice, quei numeri corrispondevano al suo numero di cellulare. Dovevamo telefonarla, era passato abbastanza tempo, e mi sarebbe piaciuto risentirla.
Presi la cornetta del telefono sul comodino della stanza da letto, sedendomi su quest'ultimo a gambe incrociate composi il numero.
Uno, due, tre squilli, e rispose. La sua voce anche al telefono era entusiasta, sempre felice.
" Pronto?"
"Alice? Sono Bella..." dissi, non finì di dirlo che iniziò a parlare lei.
"Oh, Bella, non sai quanto sia contenta di risentirti! Come va? Dove sei? Ho saputo da Emmett che sei andata via, e che mi salutavi, ma mi sarebbe piaciuto salutarti di persona!" continuò.
"Oh, Alice. Anche io sono molto contenta di risentirti, sto benissimo, e sono a Chicago... scusami se me ne sono andata così, ma il giorno dopo sono dovuta partire, ed ora eccomi qui, a Chicago! Ho seguito Jacob, il mio fidanzato."
"Ma non eri single?" chiese.
"Sì... " cosa avrei dovuto raccontarle?"Sono tornata con lui..."
"Capisco." disse, prese aria e poi ricominciò a parlare. "Ti voglio aggiornare su ciò che è successo tra me e Jasper, ti annoio, sei occupata?"
"No, voglio sapere e poi sono libera, quindi..."
"Sta andando tutto per il meglio, non potrebbe andare meglio di così, sono felicissima, ci siamo fidanzati, ufficialmente!" trillò.
"Sono sorpresa, ma me lo aspettavo, non così presto, ma sì!" riuscì a farfugliare in fine.
"Ho conosciuto i suoi genitori, e lui i miei, già pensiamo al matrimonio, pensiamo di farlo tra qualche mese, massimo un anno... Non sto più nella pelle, e sei la prima a saperlo!"
"Davvero?! Tanti auguri allora, Alice, tanti auguri di cuore!" le dissi, sincera.
"Grazie mille... E tu invece, qualche novità?"
"No, nessuna... dove sei?" domandai, cambiando discorso, poteva finire su un unico discorso: Edward.
" Sono per strada, stavo andando a fare la spesa, ora sono seduta su una panchina in un parco, ci sono bambini e tanti adulti che passeggiano, tu invece, dove sei?"
" Sono a casa, sul mio letto, e parlando con te..." dissi, ridacchiando.
" In reparto si sente davvero la tua mancanza...sai..." sbottò improvvisamente. "Edward sta lì solo per i turni andando via il prima possibile, e arrivando pochi minuti prima del suo turno, non è lui, è diverso, è un altro..." continuò.
Non riuscivo a parlare un nodo in gola mi si era formato, grande ed ingombrante, volevo fermarla, dirle che non mi interessava anche se dentro di me rodevo dalla voglia di
conoscere.

" Il suo sguardo è sempre basso e triste, gli parlo e mi risponde a malapena, ha il quaderno giallo, l'ho visto una settimana fa nelle sue mani, quello che ti ho regalato io, lo guarda continuamente in sala dottori, fissa il disegno che gli hai fatto, sempre, chiudendolo appena ci sente entrare, ma lo so che è l'unico modo per tenerti vicina, non so cosa sia successo, Bella, ma credo che stare lontani non faccia bene nè a te nè, tantomeno, a lui. Sento la tua voce, non è come la ricordo, è bassa e cupa, non elettrizzata come quando venivo in camera tua e trovavo Edward..." La interruppi.
"Alice, basta, per favore, non continuare." La mia voce era meno che un sussurro, riuscì a sentirla a malapena, nei miei occhi si erano annidate delle lacrime.
Avevo lasciato il mio quaderno giallo all'ospedale, c'era lui in quel quaderno, i nostri discorsi, le nostre chiacchierate, e non volevo portare, con me, una testimonianza del nostro rapporto, l'avevo lasciato a lui, o a chiunque lo avesse preso e gettato via. Un quaderno di una paziente falsamente innamorata del suo medico.
"Scusami, non volevo... adesso devo andare, Bella. E scusami se ti ho turbata, ma pensaci, pensa alle parole che ti ho appena detto, ti serviranno, te lo garantisco... Un bacio e a presto..." disse staccando.
Ci avrei pensato, per molto tempo, a quelle parole, non era facile dimenticare simili parole che ti arrivavano come uragani nella mente.

Dopo quella telefonata, turbata presi le chiavi di casa, e varcai la soglia della porta uscendo dal lussuoso palazzone, per prendere un pò d'aria.
Camminavo per le grandissime e affollatissime strade della grossa città, fermandomi di tanto in tanto per osservare qualche vetrina, anche se ero distratta dai pensieri che esuberanti mi vorticavano nella mente.
Focalizzai i miei pensieri su altro, e si soffermarono sugli incubi, dovevo fare qualcosa per smettere di tormentarmi, entrai nella prima farmacia che vidi, chiedendo ad un gentile medico di poter avere dei tranquillanti, per indurti con maggiore facilità nel sonno più prondo quello in cui non si sogna, che non ti permette di sognare, e di fare incubi.
Mi consigliò delle gocce da prendere prima di andare a letto, mi disse di non abusarne, e di essere accorta, commentando che avrebbero fatto velocemente effetto.
Pagai, lo ringraziai e salutando uscì di nuovo al sole caldo e piacevole di quasi inizio estate.
Camminavo senza meta, era impossibile quanta gente trafficasse quella città turisti, che parlavano svariate lingue, gente del posto che sorrideva in compagnia di un uomo.
Era la prima volta che mi capitava di camminare, vagare per strada senza davvero una meta, come se il mondo non mi appartenesse ero isolata nei miei pensieri, distratta da essi, e assopita completamente. Come se qualcun'altro che non fossi io guidasse il mio corpo, verso qualcosa.
Quel qualcosa lo trovai molto presto. Quando i miei piedi si arrestarono davanti una possente struttura, con grandi scalinate, che portavano ad un'unica entrata, ai lati di quest'ultima due grosse colonne.
Quella era la biblioteca di cui mi aveva parlato Edward, quella in cui da bambino andava, non solo per leggere, ma per ammirare il panorama dal terrazzo.
Salì le scalinate, lentamente, non sapevo se quella fosse davvero la scelta giusto, pensai fosse solamente una biblioteca, avrei preso qualche libro da leggere, male che andasse.
Varcai la soglia della biblioteca, era grandissima, spaziosissima, piena di libri e scaffali da ogni parte (ovviamente).
Immaginai, con gli occhi di un bambino quella biblioteca, un mondo per lui, in cui rifugiarsi e pensare al suo passato, ai suoi genitori, che non ricordava, ai suoi nuovi genitori, alla verità che pesava fin troppo sulle tenere spalle di un bambino, che cercava in tutti i modi di tenersi impiedi, cercava di continuare la sua vita.
Da grande quel bambino sarebbe diventato un uomo, il quale passato avrebbe pesato ancora, ma in misura minore.

E voi, qual è la caratteristica più importante caratteriale che deve avere il vostro compagno/a?

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Capitolo 19
*** L'infinito, davanti a te. ***


Il mio uomo ideale... mhm... deve essere protettivo, ma non geloso e possessivo, maturo, non infantile, responsabile. Tre aggettivi, semplici, ma trovalo un "uomo" così... :\

Scusate per i ritardi, chi studia in questo periodo capirà cosa si passa a fine quadrimestre, voglio che finisca, help me, d'altronde ho tantissima voglia di scrivere, ho tantissime idee, una storia ben definita, ma devo fermarmi, e mi costa tanto.

Ultimo capitolo dal punto di vista di Bella, prima di uno pov Edward.

Buona lettura.

Ero entrata, ero in biblioteca.
Perchè lo stavo facendo? Perchè stavo ricordando ciò che volevo dimenticare? Perchè continuavo a pensare a colui che avevo lasciato alle mie spalle?
La struttura era spaziosissima, c'erano due grandi file di scaffali ai lati, e nel bel mezzo tavoli disposti uno dietro l'altro, di legno scuro, con tanto di sedie dell stesso colore. Il silenzio era tombale, ogni tanto si sentiva qualcuno che spostava una sedia, oppure qualche libro che cascava a terra, erano tonfi rumorosissimi che rompevano il silenzio.
Alla mia destra, c'era una grossa scrivania, di legno scuro, anch'essa, grossa ed imponente, dietro quest'ultima due ragazze.
Mi diressi cautamente alla scrivania, avevo paura che con i miei rumorosi passi potessi distrarre ed infastidire qualche individuo. Mi avvicinai ad una delle ragazze, chiedendo informazioni, davanti a me c'era un ragazza bionda, alta, snella, e con occhi azzurro cielo, indossava una camicetta bianca, ed intravidi una gonna blu, come tutte le altre addette in quel posto.
Mi saluto con un sussurro professionale: " Buongiorno signorina, posso esserle d'aiuto?"
Annuì, "Sì, grazie," Mi guardai intorno, per controllare che nessuno si fosse voltato nella mia direzione, disturbato. "Vorrei sapere se questa biblioteca ha un secondo piano o meno..."
"Sì, siamo forniti di vari piani, nel secondo può trovare altri libri, tra cui: psicologia, politica, cucina e sociologia, invece al terzo piano è il salone dell'astronomia, dove può assistere a lezioni di quest'ultima disciplina, pagando un biglietto di quindici dollari, al quarto c'è la sala della medicina, libri e corsi, al quinto, invece, potrà trovare la mensa, e distributori, a così via, ci sono indicazioni accanto alle scale." disse, con la sua voce cristallina.
"Ho capito, dove posso trovare le scale?" chiesi.
" Tra una quindicina di metri sia sulla sinistra che sulla destra."
"Grazie mille," dissi, voltandole le spalle, ed incamminandomi tra gli scaffali, forse erano molto di più di quindici metri, gli individui, lì presenti, non alzavano gli occhi dai libri davanti a loro, erano concetratissimi, pensai che sarebbe stato una fortuna se fossi inciampata, nessuno si sarebbe accorto di nulla.
Il ginocchio continuava, sporadicamente, molto sporadicamente, a tornare a dolere, in quei momenti mi sedevo sul divano se era in casa, altrimenti su una panchina stendendo la gamba destra, aspettando che il dolore passasse. Per la maggior parte delle volte non c'erano problemi, quando successivamente, mi alzavo riprendendo la mia passeggiata.
Due giorni prima avevo tolto i punti, dalla ferita alla testa, come aveva detto uno dei dottori in ospedale, stavo benissimo. Fu difficile costatare davvero, che per la prima volta a toccarmi la ferita era qualcun'altro, non Edward.
Un grande cartellone davanti a me, mi avvisava di stare in silenzio, sotto quest'ultimo ce n'era uno più piccolo che indicava che sia a sinistra che a destra c'erano delle scale, ed infatti girando a destra le trovai. Accanto ad essa c'era anche un ascensore, optai per le scale, salendo lentamente.
Dovetti salire cinque piani prima di arrivare all'ultimo. Non ero mai stata in quella biblioteca, e non erano tutte dicerie quelle che dicevano che questa biblioteca era una delle più grandi strutture di tutto il mondo (come biblioteca.).
Mi guardai intorno, era la mensa. C'erano tanti senzatetto, da quello che potevo capire dai loro indumenti, e dalla sporcizia che aveva sul volto. Salì ancora un piano, l'ultimo per i visitatori.
Era un grosso corridoio, con varie porte, su ognuna un cartellone con l'indicazione del corso che si tratteneva lì. Percorsi tutto il corridoio, arrivando ad una parta, grossa e di legno scuro (come tutto il resto), anche su questa c'era un cartello, rosso con una grossa scritta "Stop, riservato agli addetti", non mi feci scrupolo delle parole, in carattere fin troppo grande, misi una mano sulla maniglia, quando una persona indietro a me, mi fermò, mettendo la sua mano sulla mia spalla.
Sussultai a quel tocco, girandomi e guardando l'individuo di fronte a me, era un ragazzo, con una camicia, e dei pantaloni scuri, un addetto.
"Mi scusi signorina, non volevo spaventarla, ma qui non può entrare, c'è il deposito." mi informò, con tono dolce.
"Oh, mi scusi," mentì, "mi sono persa e non sapevo dove andare, ho provato con la prima porta per chiedere aiuto, se ci fosse stato qualcuno..."
"Sì, questo reparto è sempre molto solitario, non c'è mai nessuno, comunque per ritornare al primo piano, e all'uscita deve seguire le indicazioni, in fondo al corridoio ci sono
le scale, o l'ascensore può scendere tranquillamente lì."
"Oh, grazie." dissi, facendo la finta grata.
Il mio scopo era un altro, quello di vedere il terrazzo in cui Edward, da piccolo, passava le serate, sarebbe stato bello perdersi nel panorama che un giorno aveva aiutato lui.
"Arrivederci, e grazie per l'aiuto."
Abbassò il capo, e prima che me ne andassi mi fermò.
"Potrei sapere il tuo nome?" chiese balbettando.
"Mhm..." tentennai. " Il mio nome è Bella."
"Io sono Paul. Piacere di conoscerti, " Allungò la sua mano, in cerca di un contatto con la mia.
Gliela porsi. "Piacere, Paul."
"Sei nuova?" domandò, "Intendo, è la prima volta che vieni qui?"
"Sì, " sussurrai, ma già conosco il posto attraverso i ricordi di qualcun'altro, e mi sembra di conoscere ogni singolo metro quadrato, anche se quella persona me ne ha parlato davvero poco. "Sì, è la prima volta che vengo qui, adesso devo andare, ma prima..." dissi quando mi accorsi che i suoi occhi si erano rattristiti alle mie parole. Potevo estorcere qualche informazione in più.
" Vorrei sapere se si può accedere al terrazzo... "
"No, non si potrebbe... Ma se ci tieni... " disse scrollando le spalle, chiaramente confuso.
"Sì, ci terrei davvero molto." continuai, trovando in me forse troppa estrovesia.
"Posso portarti io, ma solo di sera, adesso non si può, si accorgerebbero subito di te..."
"Ho capito, grazie mille Paul, sei gentilissimo, se qualche sera torno, mi puoi far accedere al terrazzo?"
"Sì, ti aspetto."
Gli sorrisi, anche se una nota di dispiacere prese spazio in me, non volevo dargli false illusioni, ma volevo e sarei salita fino al terrazzo.
Mi incamminai dalla parte opposta, sentì una porta sbattere, quando mi volta verso di lui, non c'era più.
Potevo ritenermi soddisfatta della mia "missione", non sapevo perchè mi ero intestardita così tanto, da dare false speranze ad un ragazzino, solo per salire su un terrazzo e vedere il panorama.
La spiegazione che arrivò un pò più tardi era quella che volevo capire cosa fosse scattato nella mente di un bambino quando aveva visto quel posto, tanto da farlo ritornare quasi tutte le sere, per pensare su un attico di una biblioteca.

"Ti piacciono i fiori?" mi domandò, Jacob,la sera stessa, al suo rientro dal lavoro.
"Sì, mi piacciono, perchè questa domanda?" chiesi, forse un pò troppo scettica.
"Ed, invece, ti piace scrivere?"
"Jacob, perchè tutte queste domande?"
"Mi hanno offerto un lavoro per te, non serve una laura nè altro, vogliono qualcuno che sia bravo a scrivere, che se la cavi, insomma, a cui piacciono i fiori, per scrivere articoli su un giornale." spiegò.
"Hanno chiesto, questo, "dissi gesticolando, sorpresa. " Alla sottoscritta?"
Ero meravigliata. L'idea mi piaceva molto, avrei avuto delle righe dove poter esprimere ciò che volevo sui fiori, su magnifiche piante, colorate.
Anche se il mio desiderio era un altro, volevo continuare magistratura, anche se mi sarebbe piaciuto iniziare una nuova carriera come scrittrice di articoli. Mi ero informata sui corsi del college di magistratura presente a Chicago, erano accettabili, ed anche le rette, in due anni mi sarei potuta laureare, e con un pò di fortuna avrei potuto iniziare anche a lavorare, come mi sarebbe piaciuto. Però rifiutare un'occasione del genere mi sembrava da emeriti stupidi, non era una cosa che capitava ogni giorno, senza laurea.
"Che giornale è?" chiesi, la mano destra torturava quella sinistra.
"Chicago Sun-Times, è una buona occasione,"
"Sì, lo so, ma devo pensarci, io vorrei continuare il college, la laurea non è così lontana d'altronde, e rimandare mi sembra stupido, vorrei avere un posto fisso, qui non so il contratto quanto durerà, e voglio avere un lavoro, uno vero e proprio, e che mi piaccia."
"Bé, a te piacciono i fiori, no?! Quindi, saresti disposta a farlo... "
"E' vero anche questo, " ammisi, "Devo pensarci Jacob, è difficile e sai come sono fatta. Devo pensarci bene, prima." ripetei.
"Come vuoi, ma fammelo sapere prima che puoi, sarebbe importante che lo dica presto alla direzione del giornale, non è un posto che rimarrà in eterno vuoto." disse, scrollando le spalle. "E con questo non voglio metterti fretta, che sia chiaro." aggiunse, sorridendo.
"Lo so, stupido," dissi scompigliandogli i capelli, si sedette sul bracciolo del divano verde, continuando a sorridere, e passando una mano tra i capelli, per sistemarli.
Improvvisamente, mi buttai tra le sue braccia, stringendolo a me, cademmo insieme all'indietro, finendo sul divano, Jacob era sotto di me, io su di lui.
Alzò la testa fino ad avvicinare le sue labbra alle mie, e sfiorandole delicatamente, prima di dare inizio ad un bacio.
Delicatezza, dolcezza e amore, questi erano gli aggettivi che mi vennero in mente, quando le nostre labbra si toccarono, ma non era riferito a quel bacio, momentaneo, ma agli altri, non quelli di Jacob, ma di Edward.
Era strano come volessi scacciare quei pensieri dalla mia testa, e quanto più lo facessi, più tonassero insistenti a stuzzicarmi, e quanto inconsciamente speravo che quei ricordi, pensieri non mi abbandonassero mai, così da non poterlo dimenticare.

Pensai tutta la notte, girandomi e rigirandomi nel letto, alla proposto di Jake, era semplice, sì o no.
Affermazione o negazione, accettare o rifiutare.
Ma lo stesso non fui in grado di decidere in fretta, alla fine decisi di catapultarmi in quel nuovo mondo, e chissà forse mi sarebbe anche piaciuto.
Quella notte presi dei tranquillanti per permettermi di dormire più facilemente, fecero subito effetto, conducendomi tra le braccia di Morfeo.
La mattina stessa lo riferì a Jacob, che mi guardò sorridente ed entusiasto, come se fosse stato lui ad accettare un nuovo lavoro.
Restai in casa tutta la mattinata, navigai in internet, trovando ricette gustose, così da prepararle quel giorno stesso, per cena, per me e Jacob.
Trovai una ricetta non nuova, non che l'avessi cucinata io, ma l'avevo mangiata.
Tagliatelle alla crema di funghi.
La trascrissi su un foglio, cercando di ingoiare l'acquolina che mi si era formata in bocca, l'idea di quel piatto così invitante, così profumato e buono, e soprattutto come lo
aveva fatto la madre di Edward, sublime.

Ricacciai giù l'acquolina, e il ricordo, iniziando a rovistare nella dispensa gli ingredienti necessari per un semplice sugo di pomodori, il foglietto con la ricetta, strappato in mille pezzi, nella pattumiera.

Iniziai a lavorare quasi una settimana dopo, la mattina ero ansiosa, e agitata, avrei incontrato i miei diregenti e colleghi, avrei incominciato un nuovo lavoro, fuori dai miei schemi, e forse anche fuori dalle mie capacità.

Calma, Bella. Pensai, fuori dall'imponente edificio grigio, con il cuore che batteva a mille. Indossavo una giacca blu notte, una camicia a mezze maniche bianca, e dei pantaloni dello stesso colore della prima, sperai di essere presentabile. Avevo deciso con cura cosa mettere il primo giorno del nuovo lavoro, non volevo sembrare troppo professionale, ma neanche il contrario, dopo aver fatto impazzire Jake con tutti i vestiti che provai, decisi di andare sul classico, non sarebbe mai risultato banale.
Il sole era fortissimo, la base della nuca era quasi bagnata, l'asciugai con una mano. Mi incamminai verso la grande porta, con sopra una scritta, bella evidente, "Chicago Sun-Times" in blu. Almeno il mio completo non stonava.
Le porte si aprirono automaticamente, aria fredda mi investì in pieno viso, quella dei condizionatori.
Chiesi informazioni ad una ragazza dietro ad una scrivania, mi disse che dovevo salire al piano superiore.
Presi l'ascensore, ero sola, pigiai sul tasto 1 , e la scatoletta metallica partì, con un sonoro dlin, si fermò aprendo le porte. La stanza davanti a me era abbastanza grande, c'erano tantissime scrivanie, e ad ogni postazione c'era una persona, che lavorava con davanti mille scartoffie.
Mi avvicinai ad una ragazza dai capelli scuri.
"Ciao, io sono nuova, dovrei incontrare la direttrice, sapresti dirmi dove è?"
" Io sono Leah, mia madre è la direttrice, ti accompagno da lei... tu sei?" chiese infine.
"Isabella Swan, ma chiamami Bella."
"Vieni Bella, seguimi."
Si alzò dalla sedia, iniziando a camminare davanti a me, feci come mi aveva detto, la seguii.
Arrivammo ad uno studio con le pareti in vetro e tante tendine a donare un pò di privacy, Leah bussò, aprendo la porta.
"Mamma, lei è Bella, è lei che si occuperà degli articoli sui fiori, giusto?" domandò alla madre, una signora di carnagione scura, assomigliante molto alla figlia, o dovrei dire il contrario, la figlia era identica alla madre.
"Oh, ciao, Bella. Ti aspettavo, siediti pure, ti spiegherò cosa fare..."
Leah ci salutò, scusandomi e dicendo che aveva molto da fare.
Mi sedetti su una delle sedie in pelle, davanti alla scrivania.
"Allora," disse alzando gli occhi da alcuni articoli del suo giornale. "Il tuo contratto, sarà a tempo determinato, purtroppo, una ragazza è andata in maternità, e quindi ci serve
una sostituta, e credo che tu sia quella giusta, ma questo si vedrà." disse con una voce dolce e gentile.

"Grazie, " bisbigliai.
Sorrise compiaciuta prima di ricominciare a parlare. "Dovrai scrivere due articoli alla settimana, il lunedì e il giovedì, ma dovrai stare qui ogni giorno, dalle ore nove del mattino alle quindici del pomeriggio, avrai una tua casella di posta per eventuali messaggi di fan, oppure curiosi, dovrai essere pronta a rispondere dolcemente e dando una risposta completa ed esaudendo tutte le richieste del lettore, anche quando, molto probabilmente, saranno in molti, questo lavoro richiede abbastanza tempo... "
Annuì.
"Dovrai avere ogni settimana delle idee nuove, dovrebbero essere più o meno settecento parole, per ogni articolo. Dovrai essere lineare ma riassuntiva, dovrai trasmettere la tua passione ad altre persone, e aumentare quella di chi già l'ha, ti potrai aiutare con internet, ogni postazione ha il suo computer e collegamento ad internet, quindi non ci sono problemi. Devo chiederti di essere sempre puntuale, tutti gli articoli passano prima nelle mani di correttori, e poi nelle mie, che darò la risposta, se è soddisfacente potrà essere pubblicato sul giornale, se il contrario ci sono varie persone pronte a fare un altro articolo, infatti il migliore articolo tra i vostri, siete tre persone che si occupano della stessa cosa, sarà pubblicato." continuò.
Riuscì a capire e assimilai ogni parola, come se fosse oro.
"Di tanto in tanto darò io delle indicazioni su cosa scrivere, su un fiore, o una pianta, magari collegato ad un altro articolo del nostro giornale." incrociò le mani davanti a sé. "Questi sono," disse prendendo dei fogli da un cassetto, "sono delle istruzioni per fare un buon lavoro, consigli che possono rivelarsi utili, e poi invece questo," ne indicò uno in particolare."è quello su ciò che dovrai scrivere questa settimana, sei stata fortunata non devi pensare a ciò che devi scrivere."
Un sorriso smagliante sulle sue labbra.
Presi i fogli dalle sue mani, portandoli al petto.
"Un'ultima cosa, potrai firmarti come vuoi tu, e come preferisci, Bella, Isabella Swan, Isabella... Non importa, anche con un soprannome. Sono sicura, Bella, che farai un ottimo lavoro, adesso vai, la tua postazione è la numero tredici, se hai bisogno di chiedermi qualcosa chiamami dal telefono della tua postazione cliccando il tasto uno, è tutto, benvenuta e buon lavoro."
"Grazie mille, farò del mio meglio," dissi, alzandomi e porgendole una mano, che strinse delicatamente.
" Buon lavoro." ripetè, prima che varcassi la porta.
La postazione numero tredici era quella più ordinata di tutta la stanza, si trovava vicino alla vetrata che dava sulla strada. Posai i fogli che mi avava dato, sedendomi sulla sedia, comodissima e accendendo il pc.
Presi i fogli che mi aveva dato, e iniziai a leggere le prime note.
Una diceva "essere sempre puntuali nelle consegne",un'altra invece "essere sicuri del proprio scritto", e così via. Sì, erano consigli, ma anche molto scontati.
Guardai l'altro foglio, leggendo il cuore mi si strinse.
Il primo articolo doveva essere scritto sull'Iris. Un fiore bello quanto significativo. Dicevano le note della direttrice.
Dovevo scrivere un articolo sull'Iris, il fiore che aveva unito me ed Edward. Forse non ero così masochista, erano anche gli altri ad essere crudeli.
Aprì la cartella di Word, un foglio bianco mi si parò davanti, la tastiera davanti a me urlava.
Le mani mi tremavano, gli occhi a stento riuscivano a trattenere le lacrime, non era così difficile, ripetei a me stessa per più di qualche volta.
Dovevo solo cacciare indietro i ricordi, ma fu impossibile.
Chiusi gli occhi per impedire alle lacrime di sgorgare fuori, ma mi rividi seduta su una coperta in una radura, con Edward al mio fianco.
" Che fiore è?"
" Iris, si chiama Iris. E' il mio fiore preferito, da circa tre anni, da quando ho scoperto questo posto, non ne conoscevo neanche io l'esistenza, e credo siano i fiori migliori ed i più belli tra tutti."
Rividi i suoi occhi verdi, profondi, i suoi capelli rossicci, la sua bocca, e il suo viso perfetti.
Rividi le nostre mani che si univano sul fiore, rividi il fiore cadere nell'erba, le nostre mani intrecciarsi, come i nostri occhi.
Rividi nuovamente il nostro bacio.
Sentì le sue labbra sulle mie, e fu istintivo portare la mano sulla bocca, per costatare se veramente fosse lui.
Ma non c'era, lui era a Seattle, con Tanya. Io stavo lavorando e non potevo permettermi di piangere.
Riaprì gli occhi, asciugandomi con le mani la gote, soffocando di tanto in tanto dei singhiozzi.

Finì l'articolo quel pomeriggio stesso, era soddisfacente, ero stata abbastanza brava a filtrare le mie emozioni, non avevo fatto trasparire nulla di troppo personale.

Mi firmai con il nome di Bella, portando l'articolo (dopo averlo stampato,) agli appositi correttori e revisionatori.
Salutai Leah, e scesi velocemente le scale, arrivando all'atrio, dove con un gesto della mano salutai anche la direttrice.
Cercai di camminare più velocemente possibile tra la folla, che lentamente defluiva, feci gli slalom tra una persona e l'altra, sospirai contenta, quando vidi in lontananza il palazzo in cui abitavamo.
M' accasciai sul divano, appena entrata nell'appartamento, era impossibile quanta gente potesse esserci per strada alle quattro del pomeriggio.
Mi alzai, portandomi nella camera da letto, mi sedetti sul letto, pigiai il tasto della segreteria telefonica e ascoltai i messaggi.
Ce n'era uno solo, ed era di Jake.
"Bella, sono Jacob, questa sera non tornerò a cena, ho una rinione importante e molto probabilmente faremo un aperitivo qui, non preoccuparti, quindi, spero
che la tua giornata sia andata bene, poi mi racconti tutto, un bacio, amore."

Sospirai nuovamente, dirigendomi in cucina, dove preparai un tramezzino. Non avevo pranzato, per la tensione e l'ansia del primo giorno di lavoro. Presi due fette di pane, mettendo dei pomodori e dell'insalata tra le due, le guastai lentamente, guardando la tv.
Pian piano i crampi allo stomaco si attenuarono, la noia in me aumentò.
Spensi la televisione, presi la mia giacca, e chiudendomi la porta alle spalle uscii dall'edificio.
"Salve," sussurrai al custode.
"Buonasera signorina Swan." ricambiò.
Uscì dal palazzo, incamminandomi verso la biblioteca.
Era sera, come aveva detto Paul, poteva farmi salire sul terrazzo, non c'era nulla di male, no?
Era passata più di una settimana dalla mia visita alla biblioteca, non avevo avuto il tempo per dirigermi di sera, lì, soprattutto perchè c'era Jake, cosa gli avrei detto? Come avrei giustificato la mia assenza?
Quella era un'ottima occasione, non sapevo cosa cercare, mi stavo attaccando disperatamente ai ricordi di qualcun'altro, alle esperienze di qualcun'altro. In quel momento sembrava la cosa più ovvia e facile da fare. Vivere nei ricordi di Edward, nelle sue esperienze, per capirlo, dimenticando la mia vita.
Stavo vivendo per metà. La mente nella realtà, a Chicago,con Jake.
Il cuore, spezzato, a Seattle, con Edward.
Facevo del male a me stessa, ma non riuscivo a rendermene conto, stavo contraddicendo me stessa.
Volevo dimenticare Edward, ma non potevo far a meno di pensarlo, era lui che ogni mattina mi dava la carica per portare avanti la mia vita. Ero stata stupida ed egoista. Un'emerita imbecille, sovrastata dall'orgoglio, che comandava (o almeno aveva comandato) su tutto.

"Ciao, Paul, " salutai il ragazzo davanti a me, all'ultimo piano della biblioteca, l'ultimo accessibile dai visitatori.
"Oh, ciao Bella." i suoi occhi si sgranarono prima di sorridermi.
"Come va?"
"Bene, grazie, a te invece?" mi chiese.
" Tutto bene, grazie." un minuto di silenzio, un mio respiro profondo ed infine le parole che volevo uscissero dalla mia bocca, vennero pronunciate."L'altro giorno mi hai accennato che di sera mi avresti potuta farmi salire sulla terrazza..." lasciai intendere la fine.
"Ah, sì certo, " disse, grattandosi la nuca. " Certo, se vuoi seguirmi, in silenzio, però."
Sorrisi compiaciuta, dentro di me cantavo l'inno nazionale americano.
Mi portò alla porta dove c'eravamo conosciuti, aprendola con il suo pass, mi fece entrare per prima, dicendomi di salire le scale davanti a noi. Era tutto ben illuminato.
Salimmo due piani, uno dove c'erano sale di conferenza e gli spogliatoi degli addetti, ed un altro che era il deposito.
Finalmente, arrivammo agli ultimi gradini, una grossa porta di metallo ostacola il passaggio.
L'aprì facendo meno rumore possibile. Lasciandomi uscire fuori sul terrazzo.
La vista era spettacolare. La notte era ormai scesa, i palazzi, le strade erano tutte ben illuminate, creavano un paesaggio da togliere il fiato.
"Io devo andare, quando devi scendere basta che apri questa porta e rifai lo stesso percorso cercando di farti vedere il meno possibile.Ciao, Bella." disse, prima di correre in fretta per le scale, chissà cosa pensava di me quel ragazzo.
Agli occhi degli altri, dovevo sembrare una pazza, una ragazza che vuole salire sul terrazzo di una biblioteca, solo per vedere il panorama non era molto abituale.
Chissenefrega, sussurrai fra me.
Mi avvicinai al muretto che faceva da ringhiera, poggiando il bacino lì.
Il muretto era largo circa cinquanta centimetri, prima della fine c'era una balaustra doppia almeno venti centimetri, che si alzava per almeno altri cinquanta centimetri, il tutto era quasi più altro di me.
Aveva ragione Edward, era ben protetto lì.
Mi sedetti sul muretto, e guardando la favolosa città davanti e sotto di me, capì ciò che provò Edward.
In quel posto ti sentivi protetta quanto esposta.
Guardavi il panorama, l'infinito, davanti a te. Riuscivi a far vagare la mente, come non riuscivi in nessun posto, i pensieri volavano, la fantasia creava, le paure sparivano, gli spiacevoli ricordi non c'erano più.
C'eri solo tu, e il presente.
Il passato, il futuro, una sottigliezza, un elemento così insignificante e superfluo.
Potevi pensare a ciò che volevi, l'aria fresca che ti scompigliava i capelli, i rumori della strada addolciti dall'altezza.
Per la millesima volta aveva ragione Edward, quello era un posto magnifico e bellissimo.
E per la millesima volta lacrime di dolore uscirono dai miei occhi, il dolore di un cuore spezzato.
Dovevo smetterla di piangere, era stata una mia scelta, una scelta avventata.

La mia visione su ciò che vede Bella:   Clicca qui.

.
E voi, qual è il vostro fiore preferito?

Al prossimo aggiornamento, Many. 

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Capitolo 20
*** Alice Brandon, un'amica. ***


Il mio fiore preferito, dopo aver scoperto l'Iris, è proprio quest'ultimo. Mi piace il colore, mi piace la forma e le sfumature, è un fiore delicato, soprattutto mi piace per il suo significato.

Questo capitolo è POV Edward, inizierà da quando Bella lo lascia solo in stanza, andrà avanti abbastanza velocemente, fino a... (scopritelo :P)

Buona Lettura.

Edward.
Era andata via. Ero solo.
Il mio cuore aveva smesso di battere, si era spezzato in milioni di pezzetti, che non sarebbe mai stati più rimessi al proprio posto da nessuno, se non dalla persona che aveva abbandonato la stanza, chiudendo la porta con forza, senza degnarmi di un ultimo sguardo, di un ultimo bacio.
Senza darmi la possibilità di parlare, spiegare ciò che era successo. Uno stupido errore da parte mia, che poteva benissimo essere evitato, io non amavo più Tanya, il mio cuore ormai apparteneva a Bella, non era di nessuno, di nessun'altro.
Avevo concesso a Tanya di parlarmi, le dovevo delle spiegazioni, d'altronde, anche se tutto era evidentemente chiaro, non stavamo insieme, e forse non lo eravamo mai stati, più di un'amicizia tra di noi non ci sarebbe mai stato nulla, troppo diversi, troppo distanti l'uno dall'altra.
Mi aveva parlato, mia aveva detto che le mancavo, che voleva che noi tornassimo insieme, come lo eravamo stati mesi e mesi fa. Ero pronto a dirle che era tutto finito, che il suo "voler bene" non era corrisposto, le volevo bene come una sorella, come un'amica, ma non come un ragazzo vuole bene alla sua fidanzata. Ma qualcosa era andato storto, si era avvicinata troppo, non sapevo cosa fare e dire, non riuscivo a muovermi, a scostarmi per impedirle di baciarmi. Ma anche se lo avesse fatto non sarebbe stato ricambiato, avrebbe baciato una statua di ghiaccio, nulla di più.
"Io appartenevo a Bella, e a nessun'altro", avrei voluto dirle, ma poi quel rumore, la corsa alla porta e la vista di Bella camminare con passo affrettato nel corridoio, il sangue gelarmi nelle vene, aveva visto tutto. Aveva visto la cosa sbagliata.
Ero stato un deficiente.
Un deficiente incapace di fermare la propria donna, quella che desiderava, ambiva, e che aveva conquistato con tutta la sua forza di volontà, con grande ardore, e dirle che tutto era uno stupido equivoco.
Un deficiente che in quel momento se ne stato shoccato nel bel mezzo della stanza, con le braccia , inermi, lungo i fianchi, la testa bassa, e le lacrime agli occhi.
Quel deficiente che non aveva mai pianto per una donna, che non piangeva dall'età di dieci anni, le lacrime non andavano spese per sciocchezze, ma in quel momento la cosa più importante della sua vita gli era scappata dalle mani, si era dissolta troppo velocemente, così velocemente che il suo cervello non era ancora riuscito a mettere a fuoco il tutto.
Uscì dalla stanza dopo un pò, camminavo con lo sguardo perso nel vuoto, sentivo una pressione nel petto, come se fosse un nodo, che mi stringeva forte, mi causava dolore.
Era quasi straziante, mi mancava il respiro, non riuscivo a respirare bene, come si deve.
Mi diressi nella sala medici, dove incontrai Emmett.
Mi squadrò, sicuramente non riconosceva il mio comportamento, non ero mai stato così. Mi venne incontro, intanto tirai su col naso, e mi destai dai miei pensieri.
"Edward, tutto bene?"
"Sì," sussurrai, la mia voce era storpiata. Avrei voluto rispondere:"No, non va bene nulla."
"Sai, Bella, ha lasciato l'ospedale più di mezzora fa..." disse, misurando le parole.
"Lo so, lo so." dissi, laconico. Guardai in un'altra direzione, come se la faccenda non mi riguardasse, la verità è che volevo nascondere la mia smorfia di dolere che si era ben
delineata sul mio volto.

Sapevo che fosse andata via, non sarebbe mai rimasta dopo ciò che era successo.
"Sei sicuro di star bene?" chiese nuovamente."Non ti importa nulla?"
"No!" Urlai. "Non mi importa, hai capito?" continuai.
"Non mi importa nulla di nessuno, non mi interessa che Bella sia andata via!" strepitai, forse troppo.
"Ok, scusa, non volevo farti arrabbiare." Emmett corrugò le sopracciglia, assunse un'espressione desolata e confusa allo stesso tempo.
"Scusami tu..." dissi, togliendo il camice e mettendolo nel mio armadietto. Presi la giacca e mentre la indossavo gli risposi.
"Io devo andare, il mio turno è finito, ci vediamo domani, Emmett."
"Arrivederci," fece. "A domani..."Uscì, chiudendo la porta alle mie spalle, lasciando Emmett da solo, nella sala. In fretta mi diressi verso casa, dove, per il resto del giorno, sarei stato da solo. Avrei rifiutato l'invito dei miei genitori a cena, mi sarei scusato che non mi sentivo bene, sarei stato in camera mia, sul letto, con lo sguardo perso nel vuoto, e di tanto in tanto qualche lacrima avrebbe rigato il mio viso.

Il girono dopo mi svegliai prima dell'alba. Non avevo dormito affatto bene, avevo la schiena a pezzi per i continui spostamenti da un lato all'altro durante la notte, ero esausto, fisicamente e moralmente.
Tornai in ospedale, senza fare colazione, nè salutare i miei genitori. Presi una decina di caffè solo nelle prime quattro ore del turno.
Quando si fecero le dieci del mattino, presi tra le mani il mio cellulare, entrai nella rubrica e scendendo tra i vari contatti trovando quello di Renee Swan, pigiai il tasto di chiamata.
Il telefono squillò varie volte, prima che rispondesse.
"Pronto, sono Renee, chi parla?"
"Buongiorno signora Swan, sono il dottor Cullen, mi è stato detto che ieri sua figlia ha lasciato l'ospedale, le vorrei parlare un attimo di una cura, potrebbe passarmela?" chiesi professionalmente.
Sperai con tutto me stesso di poter sentire la sua voce, almeno per un misero secondo.
"Oh, dottor Cullen!" disse, sorpresa." Bella, non c'è, è appena partita, con il suo fidanzato..." parlò esitante.
In quel momento qualcos'altro dentro di me si spezzò; la speranza. L'ultima possibilità che avevo era stata spappolata. Dopo qualche secondo in più del dovuto, risposi alla madre di Bella.
"Ah, ho capito, fa niente, arrivederci, allora signora Swan."
" Vuole dire a me? Potrei dirglielo appena la sento..."
"No, non si preoccupi, non era importante, arrivederci." ripetei, aspettando che staccasse.
Cosa avrei potuto dirle?
Può dire a sua figlia che quello che ha visto è stato uno stupido malinteso? Che le voglio bene smisuratamente? Che non posso vivere senza di lei? E che sto soffrendo più, o almeno quanto lei?
No, non glielo avrei mai potuto dire. Risposi il cellulare nella tasca, pensando a ciò che mi aveva detto Renee.
"E' partita, con il suo fidanzato" aveva detto. Il suo fidanzato era Jacob? Quell'animale che le aveva fatto del male precedentemente?
Come aveva fatto Bella a ritornare con lui, e così, da un giorno all'altro?
Sentivo il nodo in gola stringersi sempre di più, mi mancava il respiro.
Inghiottii più volte, cercando di ricacciare già quella bruttissima sensazione. Quando uscì dalla sala dei medici, mi avviai verso il corridoio, lo stesso che portava alla stanza di Bella.
Incontrai Alice.
"Edward!" Mi disse, trillando al suo solito modo. Mi voltai indietro, guardandola arrivare, di corsa.
"Tutto bene?" chiese, scrutandomi in viso.
"Sì, abbastanza bene, perchè?" chiesi, con tono di chi cade dalle nuvole.
"Nulla, hai un'espressione strana." Anche lei. Trassi le conclusioni che non ero molto bravo a tenermi le mie sensazioni per me, o forse la sofferenza che stavo provando in
quel momento non poteva rimanere in me, troppo grande.

"Sto bene, non preoccuparti, dicevi?" domandai, per sviare il discorso su qualcos'altro che non fossi io.
"Volevo chiederti le dosi dei medicinali della paziente della stanza sette..."
"Mhm.." ci pensai, cercando di ricordare, in quel momento non riuscivo nemmeno a ricordare chi ci fosse in stanza sette. "Non so, Alice, c'è scritto nella cartella del
paziente, vedi lì, appunto sempre tutto, adesso non ricordo."

"Ok, vedrò lì," disse, fermandosi.
Io stavo continuando a camminare che parlò.
"Non vai da Bella?" domandò, sorpresa.
Eravamo arrivati all'"incrocio" tra un corridoio ed un altro. Un portava dritto alla camera di Bella, l'altro invece, portava agli altri reparti.
"No, non ci vado." dissi, vago. Spostando gli occhi a terra.
"Come non ci vai?" chiese, corrugando la fronte.
"Non c'è più, Alice, Bella se n'è andata." la informai.
Corrugò la fronte, guardando prima in direzione della camera di Bella, e poi di nuovo spostando gli occhi su di me.
"Come se n'è andata?" ripetè le mie stesse parole.
"E' andata via." dissi, scrollando le spalle, non avrei voluto spiegare a tutti ciò che era successo.
"E' per questo che stai male?"
"Non sto male!" ripetei, arrabbiandomi. Le voltai le spalle, incamminandomi dalla parte opposta.
Stavo male, era troppo evidente, anche per gli altri.

La stessa giornata dopo aver pranzato in mensa, salì di nuovo in reparto, dove mi accolse nuovamente, Alice.
"Questo è tuo," disse, porgendomi un quaderno giallo.
Lo presi con mani tremanti.
"L'ha lasciato Bella, qui. Nel suo cassetto. L'ho aperto, devo dire la verità e il disegno è bellissimo, sono bellissimi entrambi." annunciò.
Rimasi in silenzio.
"Edward, non so cosa sia successo, e non voglio neanche saperlo, a dirla tutta, ma voglio soltanto dirti che lei è davvero innamorata di te, lo vedevo nel suo sguardo, quando si spostava su di te. Lo vedevo nel modo in cui ti parlava, con ammirazione. Lo vedevo nel modo in cui si muoveva in tua presenza. Si capiva benissimo che lei fosse innamorata di te, parlale. Rintracciala. Anche tu sei molto innamorato di lei, si vede da come ne soffri adesso, non cammineresti nei corridoi come uno zombie. Con lo sguardo basso e perso nel vuoto. Ti ho chiamato in mensa ben due volte. Volevo che stessi con noi, con me, Jasper, Emmett e Rose, ma non mi hai nemmeno sentito, sei restato da solo in quell'angolo della stanza, a fissare una mela, senza toccare cibo." disse.
Ero sorpreso dalle parole che aveva usato Alice, non credevo possibile che potesse essere così sensibile.
"Non ho il suo numero, e sono sicuro che se anche la telefonassi non mi degnerebbe di un "pronto" Appena mi riconoscerà, staccherà il telefono in faccia, ed ha ragione."
conclusi.

Sospirò pesantemente.
"Chiamala, lei lo vorrebbe." sussurrò, infine.
"Grazie per i consigli, Alice,"
"Di nulla, mi sono affezionata ad entrambi." disse, avvicinandosi a me.
L'abbracciai, riuscendo a conquistare grazie a lei un pò di forza.
"Alice Brandon, sei un'amica." sussurai al suo orecchio.
Successivamente mi rintanai in una delle stanze vuote (ringraziai, che non ci fossero tanti pazienti in reparto), e sfogliai il quaderno.
C'erano le parole della nostre prima conversazioni, delle conversazioni con Alice, o almeno credevo dal modo in cui si riferiva a lei. C'erano i disegni, i bellissimi ritratti che aveva fatto Bella. Il mio, tanto simile che sarebbe potuto passare per una foto in bianco e nero modificata al pc, ogni punto era così realistico che con quei disegni si poteva fare un film. E poi c'era il fiore, l'Iris. E le nostre mani, intrecciate tra i petali blu e gialli.
Potevo sentirne la consistenza, potevo sentire la mano di Bella stringere la mia, la sua pelle liscia, perfetta, calda. La sua mano era così accogliente che le avrei intrecciate con le mie per giorni, senza mai staccarmi e stancarmi di lei.
La mia mano si strinse attorno all'immagine che mi si era creata nella mente.
L'unica cosa che afferrò fu solo aria.

1 settimana dopo.
La situazione non era cambiata di molto, sentivo la testa annebbiata come sempre, i pensieri che volavano verso di lei, ogni qual volta potessi farlo. Ogni qual volta il mio pensiero non era indirizzato ai pazienti, a guidare o parlare con qualcuno.
"Edward!" esclamò, Alice, venendomi incontro, con un'espressione entusiasta sul volto. "Ho parlato con Bella," continuò, con il fiatone, era appena arrivata.
Il mio cuore iniziò a battere freneticamente, volevo sapere tutto ciò che si erano dette.
La guardai interrogativa aspettando che continuasse a parlare.
"E' a Chicago." boccheggiò, "Quando mi ha chiamata era a casa sua, io ero al parco, stavo andando al supermercato, anche se non ho il turno adesso sono venuta per avvisarti!"
Riprese fiato.
"Mi ha detto che è lì con il suo fidanzato, Jacob, e che si è rimessa insieme a lui." Tamburellò il piede a terra. "Ho il suo numero, se vuoi." concluse, abbassandosi, e prendendo un foglietto dalla scrivania con una penna. Scrisse con i suoi caratteri grossi e chiari delle cifre; il numero di Bella.
"Tieni," disse, passandomelo. "Ti servirà! Sono sicura che prima o poi tu la chiamerai e per farlo ti servirà" ripetè.
"Grazie mille, Alice, stai facendo più di quanto mi aspettassi da te." osservai le cifre. "E dimmi, come ti è sembrata la voce, sta bene?" chiesi.
"Sembra... come te." disse, scrollando le spalle."E' triste, la sua voce era laconica, spenta. Mi parlava con malinconia, come se gli mancasse la sua vita, come se non potesse reggere la situazione per molto. Gli ho parlato di te, di come te la stai passando, di come sei cambiato in questa settimana, dei tuoi comportamenti strani, le ho detto che nessuno dei due sta bene senza l'altro, che entrambi soffrite, ma poi mi ha fermata, stava per piangere, glielo si sentiva nel tono di voce, era rauco, parlava a stento senza che la sua voce si spezzasse, mi dispiace."
"Tu non hai colpe, la colpa è solo mia." dissi, le mie mani vagavano sul foglietto a quadretti bianco, con le dita seguivo i contorni dei numeri.
Avevo già imparato a memoria tutte le cifre.
"Io devo andare, per qualunque cosa chiamami." disse, " e fanne buon uso." continuò indicando il fogliettino tra le mie mani, e sorridendo bonaria.
Feci un cenno con il capo, dopodiché andò via.
Memorizzai il numero nel cellulare, anche se ormai era ben definito nella mia mente. Non lo avrei dimenticato per nulla al mondo.

"Tutto a posto?"
Quella era diventata una delle domandi più frequenti che sentivo ogni volta che qualcuno mi si avvicinava.
In quel momento era Carlisle, mio padre.
Avevo sempre voluto bene a quell'uomo, anche se non era il mio padre biologico. Era diventato il modello di uomo che avevo deciso di "imitare", avevo compreso e imparato da lui tantissime cose, era lui che mi aveva salvato tantissime volte.
"Sì, va benissimo." sussurrai. Ero seduto in salotto a casa dei miei.
Da quando non c'era più Bella, non avevo visto molto i miei genitori, durante i pasti se non ero a lavoro restavo a casa, loro non sapevano di ciò che era accaduto, come
tutti gli altri, d'altronde.

Si sedette anche lui accanto a me, e alzai lo sguardo su di lui.
"Cosa succede, Edward?" domandò, calmo. Era preoccupato, non mi vedeva così triste da tantissimo tempo. La sua fronte era corrugata, passò una mano nei capelli
biondi, che stavano man mano diventando sempre più bianchi.

"Nulla..." sbiascicai, scrollando le spalle." Niente di che."
Mentire era diventato di routine, niente era ormai diventato tutto.
"Il lavoro?" chiese.
"No, quello va benissimo, non c'è problema lì."
"Donne?" domandò. Sembrava un interrogatorio.
Non avevo mai parlato di donne con loro, con Carlisle ed Esme. Erano sempre restati fuori dalla mia vita amorosa, non mi avevano mai chiesto nulla, anche se qualche dubbio doveva essergli sorto. Non avevo mai fatto conoscere una ragazza, non avevo mai chiesto consigli come cercati. Non volevo deluderli più di quanto non avessi fatto già in passato.
Sospirai e con un cenno della testa affermai.
"Posso darti qualche consiglio?" domandò,"Credo che essendo più vecchio di qualche anno posso esserti utile."
"Non credo, Carlisle. Non ci sono consigli che possano aiutarmi, in questo momento."
"Sai, mi sono sempre chiesto perchè non mi avessi mai chiesto nulla sulle relazioni, hai sempre cercato di cavartela da solo, nella vita. Di questo sono fiero di te, ma allo stesso tempo mi fa sentire inutile, inadatto. Incapace di dare un consiglio al proprio figlio. Ma so che tu non mi reputi inutile, ma preferisci solo contare sulle tue forze..."
"Non credo che tu sia inutile, anzi, ma..." cominciai.
"Edward, chiedere aiuto non cambierà nulla, chiedere aiuto non significa essere deboli, forse capisco il tuo punto di vista, e tenendo conto di ciò che ti è successo da piccolo questo un comportamento normale, non vuoi dipendere dagli altri, non vuoi affezionarti alle persone per paura che possano abbandonarti come hanno già fatto un tempo, ma non è così, hai tanti amici, questo vuol dire voler bene a degli individui, e tu ne vuoi tanto. Non aver paura di aprirti con gli altri, di far vedere i tuoi punti deboli." terminò.
Era vero. Tutto ciò che mi era capitato precedentemente aveva influenzato molto la mia vita e la mia crescita. Avevo il timore che qualcuno, qualunque esso sia, amico, una fidanzata, potessero abbandonarmi, altre persone l'avevano fatto precedentemente.
"Grazie per il consiglio, Carlisle." gli sorrisi, sforzandomi. "mi dispiace tantissimo non avervi mai considerati così tanto nella mia vita, anche se voglio che sappiate che vi voglio un gran bene. Siete i miei genitori non potrei non amarvi. Ho sempre avuto paura di deludervi, nuovamente, facendovi conoscere le mie ragazze, avevo paura che voi non l'avreste approvata, che non fosse come voi avreste desiderato per me. E' una stupida paura, lo so, ma è più forte di me..." dissi, abbassando gli occhi.
"Edward, ciò che fa felice te avrebbe fatto felice anche noi, se una ragazza ti piace e avresti deciso di presentarcela noi l'avremmo accettata solo perchè tu la ritenevi giusta per te." spiegò. "Tu sei nostro figlio, ti abbiamo desiderato tanto, e farti infelice renderebbe anche noi infelici."
"Grazie," dissi, allungandomi verso di lui e abbracciandolo. Mi ritrovai tra le sue braccia, calde accoglienti, mi ritrovai fra le braccia di mio padre, il mio vero papà. Le stesse braccia che mi avevano accolto tanto tempo prima, le stesse che mi abbracciavano nei momenti di sconforto, in quelli in cui non riuscivo a trattenere le mie emozioni, le stesse in cui mi ero ritrovato tantissime volte, le braccia che mi avevano dato forza e coraggio per tutti quegli anni.
"Grazie, papà." sussurrai infine.

Inizio Settembre, 3 mesi dopo.
"Per favore, vi preghiamo di mettere nome e cognome sui fogli e consegnare, grazie." disse, uno dei professori della commissione, che presenziava agli esami.
Feci come mi era stato detto, aggiunsi il mio nome in alto, sul foglio e mi alzai per consegnarlo.
Avevo appena finito con l'esame per diventare primario. Sperai che avessi risposto correttamente a tutti i quesiti, i due mesi di studio precedenti erano serviti molto, decisamente.
Avevo deciso di fare il concorso per diventare primario da un giorno all'altro, anche grazie al sostegno di Jasper ed Emmett, il primo mi aveva detto "E' un'occasione da non perdere, Edward!" invece il secondo scherzosamente mi aveva detto " Un secchione come te che non prova? Sarebbe sprecato! E poi chissà chi ci capita in reparto se non lo fai tu, il corso!", avevano pronunciato testuali parole, dandomi pacche sulla spalla.
Da quando Bella se n'era andata il nostro rapporto non era cambiato di molto, oltre al fatto che stavamo sempre più poco insieme, visto che loro preferivano passare tempo insieme alle proprie fidanzate (come dargli torto), ed io preferivo sempre di più passare del tempo con i miei genitori, o più semplicemente, da solo.
Negli ultimi tre mesi il dolore per l'allontanamento di Bella si era leggermente affievolito, ma faceva bella mostra di sé, ogni qual volta, sfogliassi il suo quaderno, ricordassi le nostre conversazioni, le nostre effusioni, i nostri baci. Il dolore persistente al petto era stato mascherato, ma c'era.
Il numero di telefono era rimasto custodito nel cellulare, nella memoria di quest'ultimo e ancor meglio nella mia. Ma non avevo avuto il coraggio di telefonarle. Una volta due mesi prima ero stato sul punto di chiamarla, ma prima che il primo squillo partisse avevo interrotto la chiamata, non avevo bisogno di nuove delusioni. Preferito soffrire così, sapendo che lei non sapesse la verità e non soffrire il doppio, una volta che l'avessi chiamata e lei mi avesse staccato la conversazione bruscamente. Ero un vigliacco.
Del concorso ne avevo parlato anche a mio padre, a cui gli si erano illuminati gli occhi, aveva subito detto che sarebbe stata un'ottima occasione, e che valeva la pena studiare anche se il tentativo si fosse dimostrato nullo.
Avevamo festeggiato quella sera stessa, tutti e tre insieme; io, Carlisle ed Esme. Come una famiglia perfetta.
Con mio padre avevo parlato anche di Bella, una settimana dopo essere stata dimessa, quando mio padre mi aveva parlato sul divano.
Gli avevo detto che quella ragazza mi aveva stregato, che ero pazzamente innamorata di lei, non gli avevo rivelato del passato di Bella, non l'avrei mai fatto, in fin dei conti glielo avevo promesso, ed anche se non era più vicino a me (sperai solo fisicamente, e con la mente mi pensasse sempre, proprio come facevo io) dovevo mantenere la mia promessa, la mia fedeltà.
Gli avevo detto di ciò che era successo prima che se ne andasse, in quel momento Carlisle corrugò la fronte, dispiaciuto.
"Mi dispiace, Edward, e credo che quest'ultimo avvenimento avresti potuto risparmiartelo." cominciò.
"Lo so, Carlisle, lo so. Non mi ha dato la possibilità di parlarle e di spiegarle tutto." mi ero giustificato. Anche se sapevo che giustificazioni non ne avevo.
Poco dopo la fine della conversazione Carlisle mi fece una domanda:
"Edward, non ho capito una cosa, questa Bella era in un istituto di malattie mentali, non ho capito il perché..."
Avevo tentennato per qualche minuto prima di rispondere."Io lo so, me ne ha parlato, o meglio è riuscita a raccontarmelo, ma non posso dirtelo, scusami."
Mi aveva sorriso, scollando le spalle, come per dire, 'non fa nulla'.
Diedi il mio foglio al professore davanti a me, prendendo la borsa in spalla, mi sorrise e ricambiai anche io. Prima di varcare la soglia per uscire mi raggiunse un medico, più
grande di me di un decennio.

"Hey Benjamin"
"Ciao, Edward." ricambiò.
Ci eravamo conosciuti al concorso, lui era di un altro ospedale di Seattle.
"Come è andata?" mi chiese.
"Abbastanza bene, mi aspettavo di peggio." conclusi con un sorriso.
Era un dottore in gamba, l'individuo davanti a me.
" Credo bene, ma non abbastanza da vincere." fece spallucce."Sarà contento per te se il tuo compito sarà il migliore."
"Grazie," feci un cenno con il capo per ringraziarlo ulteriormente.
"Torni all'ospedale?" chiese.
"Sì, ho il turno, tra pochi minuti, ho mezzora per arrivarci." spiegai.
"Bè anche io, allora a presto, anzi tra una settimana, il venti settembre si hanno i risultati!"
"A presto!" risposi, avviandomi verso la mia macchina.

"Signora," Mi rivolsi ad un'anziana, ricoverata da due settimane per una polmonite."E' quasi passato tutto, presto potrà tornare a casa."
"Grazie dottor Cullen, è davvero bravo! E dire, che non mi fido dei giovani!" disse, alzando la voce, secondo i miei sospetti il suo udito si era affievolito e di molto. Mi strinse una guancia, tra l'indice e il medio, strizzandolo con forza. Quando mi lasciò la mia guancia era andata a fuoco.
L'aiutai ad alzarsi dal lettino sui cui era stesa, e la feci accomodare sulla sedia a rotelle, lasciandola nelle mani di una delle infermiere che l'avrebbero portata in camera sua.
Mi sedetti alla mia scrivania scrivendo gli aggiornamenti degli stati delle pazienti.
Improvvisamente, facendomi sobbalzare, Alice entrò nel mio studio, tra le sue mani un cellulare.
"Ciao, Alice." la salutai, sorpreso.
"E' per te!" disse, passandomi il cellulare.
"Cosa?" risposi, mentre prendevo il cellulare portandolo all'orecchio, una mano era sulla cellula dell'audio, per impedire alla persona dall'altro capo del telefono di ascoltare
la mia conversazione.

"E' per te!" ripetè, era entusiasta. "E' una tua paziente, ti dico solo una cosa prima di andare, ti copriamo noi, quindi fai con calma!"
Ero sempre più confuso.
Uscì velocemente, chiudendo la porta.
Avvicinai il telefono all'orecchio, portando la mano dalla cellula, sulla scrivania, chiudendola a pugno.
"Pronto?" feci.
Un sospiro profondo dall'altra parte del telefono, quasi di sorpresa. Un 'Oh', sussurrato e appena udibile.
"Edward." disse la persona con cui stavo parlando al telefono, non era una domanda, ma un'affermazione, neanche lei sapeva che stesse parlando con me. Eravamo
entrambi spiazzati e sorpresi.

Conoscevo quella voce, dolce e cristallina.
La vidi davanti a me, gracile, dolce, amorevole. Vidi i suoi capelli castano scuro. Vidi i suoi occhi color cioccolato; la prima cosa che mi aveva spiazzato quando l'avevo
vista. Vidi le sue labbra muoversi e sussurrare il mio nome.

La vidi. Era davanti a me.
Era la mia paziente.
Era la mia Bella.


Il vostro ultimo compito/esame come è andato? ^^

* Va ad affogarsi nella cioccolata, alla prossima*

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Capitolo 21
*** L'hai sempre detto tu. ***


Mi scuso per il ritardo, nel mio blog troverete le giustificazioni. Mi inchino a voi.

Ringrazio tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, sto gongolando come una stupida, grazie davvero. Ringrazio lo stesso i lettori silenziosi, che talvolta crescono sempre di più. Ringrazio coloro che mi hanno aggiunto tra gli autori preferiti, un onore per me.

L'ultimo voto, fortunatamente, è positivo; il io bel 7 in chimica (sto ancora festeggiando).

Vi lascio al capitolo, che è POV Bella, ed inizierà qualche tempo prima della telefonta, agli inizi di Settembre. (la telefonata avverrà precisamente il 13 settembre.)
Nel mio blog,inoltre, troverete delle spiegazioni per quanto riguarda il capitolo scorso.

Buona Lettura.
Bella.
Non avevo mai immaginato la mia vita in quel modo. Non avrei mai immaginato da piccola di diventare una scrittrice di articoli sui fiori.
Sue, la direttrice mi aveva elogiata per almeno due ore, dopo aver letto il mio articolo sull'Iris, ed il giorno dopo tutti potevano leggere sul Chicago Sun-Times il mio articolo. Fu una sorpresa per me, non credevo di essere riuscita a fare meglio di altri dipendenti che lavoravano nel campo da più tempo.
La direttrice mi aveva detto che i miei articoli erano molto interessanti, c'era un qualcosa in loro che creava 'dipendenza', qualcosa che faceva incollare gli occhi al testo, finchè non fosse terminato. L'aveva definito "Del tutto originale, e con un tocco, meravigliosamente personale. Complimenti Bella".
E così via, ogni articolo che scriveva il giorno dopo veniva pubblicato sul giornale, solo qualche volta non ero riuscita a far un buon lavoro, ma era ormai d'abitudine vedere il mio nome a fine articolo della sezione giardinaggio.Dopo quasi un mese di pubblicazione, Sue mi informò che c'era la possibilità che diventassi a tutti gli effetti "scrittrice", mi aveva detto che se avessi accettato il mio posto non sarebbe più stato come 'supplenza', ma fisso.
Non sapevo per quanto quello sarebbe stato il mio lavoro. Io volevo di più. Volevo laurearmi in magistratura, volevo realizzare i miei sogni, che in fin dei conti non erano così tanto ambiziosi.
Anzi, erano del tutto l'opposto, le mie ambizioni stavano scomparendo sempre di più; stavo diventando una persona senza sogni, una persona vuota.
Dopo gli ultimi avvenimenti si poteva ben notare che sprizzavo gioia da tutti i pori. Malgrado tutto, non riuscivo ad essere davvero felice.
Con Jacob il rapporto non era dei migliori. Io lavoravo presto la mattina, quindi la mia sveglia suonava davvero presto, la sera sfinita dal lavoro, e dai lavori domestici andavo a dormire sfiacchita, invece, Jake quando uscivo la mattina dormiva, mentre quando io andavo a dormire non c'era ancora. Per quello che mi aveva detto restava in ufficio, ma iniziavo a dubitare anche di questo, non sapevo se credergli o meno, era bravissimo a dire bugie, l'aveva già fatto.
Quando la sera lui non c'era andavo in biblioteca, cercavo Paul, che puntualmente mi dava il permesso per salire sul terrazzo, e restavo lì per alcune ore, dimenticando anche di mangiare.
Restavo seduta a guardare la città sottostante, i miei pensieri volavano liberi, in altre occasioni avrei potuto usare quel modo per disegnare, quando mi distraevo riuscivo, infine, a disegnare qualcosa, a trovare l'ispirazione, ma in quel periodo disegnare era diventato un lusso; non riuscivo più a disegnare, le motivazioni erano scarse, se non del tutto nulle.
Su quel terrazzo mi sentivo davvero libera, mi sentivo in pace con me stessa, mi sentivo davvero a mio agio, come se quel posto fosse mio, solo mio.
Mi sentivo con i miei genitori almeno una volta al giorno. Mia madre era quella che mi dava la forza per continuare, riusciva ad estasiarmi con qualcosa, anche futile che sia, piccole motivazioni, ma lo faceva, e quello mi aiutava a vivere meglio. Riuscivo ad avere minuti in cui la felicità mi invadeva, scuoteva il mio corpo. Era in quei momenti che riuscivo a dare il meglio di me, riuscivo a sorridere, addirittura, riuscivo a pensare ad altro che non fosse Seattle.
Chimavo anche Alice, di tanto in tanto, e lo stesso faceva lei. Ci tenevamo in contatto, lei mi raccontava di sé ed io di me, della mia vita, quella con Jacob, il nuovo lavoro. Lei invece mi parlava dele sue uscite con Jasper, delle novità, del loro profondo amore. E la invidiavo, invidiavo il suo modo di sorridere alla vita, non c'era una telefonata in cui almeno una volta non ridesse, mi piaceva molto questa caretteristica in lei.
Durante le nostre conversazioni non parlava mai di Edward, dopo la prima telefonata in cui avevo bloccato il suo racconto non aveva mai più accennato a quel discorso, anche se, credevo, sapesse della mia curiosità. Non potevo negare che ancora un pò mi interessava, mi sarebbe piaciuto sapere di più di lui, su cosa faceva, su tutto ciò che appartenesse e riguardasse lui.
Alice non mi parlava quasi mai del reparto, se non quando mi riportava i saluti di Emmett, Rose e di Jasper.
Seattle era stata una città piena di sorprese e di eventi spiacevoli e traumatici, per me, in quel momento a Chicago mi sentivo più serena, lonatana dai brutti ricordi di quella città, anche se mi mancava molto, come Forks d'altronde, mi mancavano le giornate piovose, la frescura dell'estate e non il caldo umido di quella città.
Edward era stato la parte piacevole di Seattle, tutto il resto il contrario.
Edward mi aveva fatto rinascere, sorridere, respirare davvero dopo tanto tempo di apnea, era stato un nuovo inizio.
Edward mi aveva riparato il cuore, e dopo un pò l'aveva distrutto.

"Jacob, torni a cena?" gli chiesi, la mattina a colazione.
Era settembre, e dopo circa due mesi e mezzo riuscivo a vedere la faccia del mio compagno di mattina, con gli occhi aperti. E non come al solito con la bocca dischiusa, e sentendo un continuo russare.
"No, stasera dovrò anticipare del lavoro, altrimenti domani non tornerò a casa. Sono pieno di scartoffie."
Era ricurvo sul tavolo della sala da pranzo, ormai allestita come suo studio, con il naso su dei fogli, il tappo della penna in bocca, e le mani intrecciate nei capelli.
"Ho capito," dissi, prendendo la mia borsa. "A domani, allora."
Annuì, e mi affrettai ad uscire di casa.
La situazione era quasi insostenibile. Non c'erano più contatti tra di noi, un bacio, una carezza, nulla. Non avevamo mai fatto l'amore da quando eravamo partiti da Seattle. L'ultima volta era stato circa un mese e mezzo prima che ci lasciassimo la prima volta, e negli ultimi tempi era difficile anche guardarci negli occhi. Ma forse era meglio così, non sarei riuscita a sopportare un rapporto tra di noi, di quella entità, non sarei riuscita a sopportare il contatto della sua pelle nuda sulla mia, non sarei riuscita a sopportare i suoi baci al mio torace, sul seno, e men che meno ad avere un rapporto, provavo ribrezzo per tutto.
Si iniziava con una carezza in meno al giorno, poi un bacio in meno, un contatto in meno; e si finiva per sfiorarsi a malapena, a letto ognuno girati da un verso, il più distanti possibili. Gli sguardi erano fuggitivi, quasi pesanti da sostenere. L'aria troppo tesa.
"Ci sono nuovi articoli da fare?" chiesi a Sue, appena entrata nel suo ufficio.
"No, ma volevo complimentarmi con te, dell'ultimo articolo, sempre sublime." disse, congiungendo le mani davanti a sé. La sua scrivania non era molto ordinata, c'erano penne, fogli, libretti, e cartelline sparse un pò qua e là, sotto le sue mani c'era una cartellina rossa.
"Grazie mille." sorrisi, ero sempre più compiaciuta. A chi non sarebbe piaciuto avere degli elogi dal proprio capo?
"Oggi sei abbastanza libera, non ho ancora deciso su cosa farete il prossimo articolo, devo parlarne con i miei soci. Buona giornata, Bella." e così dicendo mi congedò gentilmente.
Uscì dal suo ufficio e mi sedetti alla mia scrivania, quella sarebbe stata una giornata noiosa.
Presi dal mio cassetto una barretta di cioccolato, erano la mia nuova passione e il mio miglior passatempo negli ultimi mesi. Quando non avevo nulla da fare mangiavo del cioccolato, e mi rilassava molto, mi faceva sentire appagata per un pò.
Fortunatamente c'erano vari chilogrammi che dovevo (e potevo) metter su, dopo i mesi precedenti ero dimagrita molto, e quindi ingrassare non avrebbe cambiato molto.
Anche se oltre al cioccolato non mangavo quasi nulla. La mattina, a colazione bevevo del latte, o in alternativa del the, invece a pranzo ero quasi sempre al lavoro, e vista la mia pigrizia, non lasciavo mai la mia postazione e scendere per la pausa pranzo, mi saziavo con una barretta al cioccolato, quella al latte, la mia preferita; aggiungendo qualche 'schifezza' dal distributore (sempre al cioccolato) ed infine una cioccolata, od un caffè, al distributore di bevande.
La cena invece, quasi sempre, la saltavo, stando sul terrazzo, le uniche volte che mangiavo era quando Jacob era a casa con me, un lusso e molto raro.
In giornate come quelle, noiose e monotone, parlavo molto con una ragazza che lavorava alla postazione accanto alla mia, Emily.
Era una ragazza dolce e sensibile, e come aveva un passato turbolento. Lo diceva la sua espressione, lo diceva il suo volto, segnato dalle violenze subite dal padre.
Aveva una grossa cicatrice che le copriva e deturpava mezzo volto, dall'occhio dino alla mascella, se ne vergognava, me lo aveva detto durante una delle nostre conversazioni, ma aveva un fidanzato che la faceva sentire unica, amata; che le faceva dimenticare il suo passato.
Parlavamo molto, anche lei come me lavorava al settore giardinaggio, quindi quando io non avevo nulla da fare, lo stesso valeva per lei. Non mi aveva detto chiaramente delle violenze subite dal padre, ma qualche volta aveva bisbigliato qualcosa che mi aveva fatto comprendere la sua situazione.
Ero sempre più sorpresa di quanto fosse diffusa la violenza sulle donne, da parte di persone sconosciute o parenti, quali esse siano.
Mi raccontava del su fidanzato, cercavano un bambino da tre mesi circa, da quando io mi era seduta per la prima volta in quell'ufficio; ma me ne aveva parlato solo un mese
prima.

Con lei non c'erano problemi relativi al lavoro di nessun modo, a differenza che con Maria. Una donna più grande di noi di molti anni che cercava in tutti i modi di riuscire a conquistare l'ammirazione di Sue.
Invano.
"Ho un ritardo!" sbottò improvvisamente Emily al mio fianco. Si era spostata dalla sua postazione alla mia, e alla mia destra con i suoi grandi occhioni mi guardava quasi entusiasta.
"Davvero?!" dissi, era contenta ed entusiasta per lei.
"Sì, ma non vorrei che fosse a causa dello stress, in questo periodo mi sento sotto pressione, quindi non saprei..." fece, guardandosi le mani, giocava con le proprie dita.
"Non buttarti giù così," continuai sfregando la mia mano sulla sua coscia."Sono sicura che questo sarà il mese giusto."
"Lo spero anche io." sospirò.
Un tonfo secco arrivò alle nostre orecchie, e poi una voce gracchiante che quasi urlava.
"Non ce la faccio più!"
Era Maria. Stava camminando con una pila di fogli tra le braccia, quando era quasi inciampata, facendo cadere tutti i fogli a terra.
Io ed Emily ci guardammo negli occhi e compiaciute sorridemmo.

Ero a casa sul divano, rivedendo una delle mie puntate preferite di Dottor House, la mente persa nei miei pensieri, più che indirizzati alla tv.
Da quando era arrivata a Chicago sentivo il bisogno di dire della gravidanza a Jacob, di come veramente stavano le cose. Volevo dirgli che il bambino era il suo, e non di quello sconosciuto; non sapevo se quella fosse davvero una buona idea, sicuramente sarebbe stato un brutto colpo per lui, aveva posto in me fiducia, credendo che il bambino non fosse il suo, mi aveva aiutato a sbarazzarmene, facendo l'errore più grande della mia vita. In quel momento l'avrei sentito scalciare e sarebbe venuto al mondo prima del compimento di un mese. Chissà se fosse stato una bambina o una bambino. Ero sicura per un maschietto.
L'avremmo dovuto chiamare Ryan, come piaceva a Jacob. Ryan Billy Black. Il mio bambino, il mio cucciolo, il mio angioletto che speravo mi sorvegliasse dal cielo, e non provasse rancore verso quella donna che gli avrebbe dovuto dare la vita, ma che allo stesso tempo gliela aveva portata via.
Jacob non mi avrebbe mai perdonato una cosa dal genere, ma forse parlandogli le cose sarebbero combiate, avrebbe visto oltre ciò, saremmo potuti essere qualcosa di più
unito, magari.

Se quel bambino in quel momento fosse stato nel mio grembo, sicuramente la mia vita non sarebbe stata quella. Sarebbe stata completamente differente.
Sicuramente avrei lasciato Jacob, come avevo fatto, sarei andata a vivere con i miei genitori, mi avrebbero aiutato a far crescere quel bambino. Con il loro amore, il loro aiuto.
Sarei stata una mamma single, innamorata perdutamente del suo bambino.
Non ci sarebbe stato nulla a portarmelo via.
Ma,ahimè, avrei avuto mille problemi con Jacob, il bambino ne avrebbe avuti.
Mi destai dai miei pensieri, avevo bisogno di nun posto dove poter riflettere sulle mie scelte, quel posto esisteva.
Spensi la televisione, mi alzai dal divano e presi le chiavi di casa chiusi la porta alle mie spalle.
Destinazione: la biblioteca.

1 settimana dopo.(12 settembre)
"Jacob, dovremmo parlare."
Avevo deciso.
Quella sera di una settimana prima, sul terrazzo della biblioteca avevo epsnato, riflettuto e scelto.
Non potevo tenermi per me tutto ciò che avremmo dovuto vivere entrambi. Non potevo portare un peso non mio. Era anche una specie di sfogo, dovevo dire ciò che non
avevo mai detto prima a Jake, ed ovviamente, avevo bisogno della sua attenzione. Quella sera, stranamente, eravamo tutti e due in casa.

Era tarda sera, e nell'indomani avrei compiuto ventiquattr'anni.
Non volevo rovinarmi una festa, ma in quel momento era pronta a tutto. Anche perchè la mia festa non ci sarebbe mai stata, quindi non c'era nulla da rovinare.
"Dimmi." disse, nel suo tono di voce si poteva distinguere il fastidio.
"Devo parlarti, è una cosa importante." continuai, guardandolo.
Gli stavo facendo capire che tutti i suoi documenti dovevano sparire dalla mia vista; ne ero stufa.
Capì, raccogliendo i fogli e portandoli nella sua borsa.
Mi sedetti di fronte a lui, congiungendo le mani in grembo, prendendo forza da ciò che avevo tra le mani.
Dal fiore: dall'Iris.
Era appassito da tantissimo tempo; i suoi petali azzurri erano diventati come la carta velina, deboli e delicati, ogni pressione l'avrebbe fatto in mille piccoli pezzettini. Li proteggevo tra le mie mani, che formavano una coppa protetta e delicata, allo stesso tempo.
Era quello che in quel momento mi stava dando la forza di pronunciare quelle parole.
Lo guardai negli occhi, e lui fece lo stesso.
Presi un grosso respiro, come per prendere coraggio dall'aria e parlai:
"Devo parlarti, di una cosa molto delicata... devo parlarti del bambino."
Il mio cuore batteva fuoriosamente per l'agitazione, le mani iniziarono a sudare e sperai con tutta me stessa che il sudore non rovinasse il fiore.
Gli occhi si Jake si allargarono sorpresi a dismisura. Non avevamo mai parlato del bambino, se non quando gli avevo detto di essere incinta, incolpando i violentatori.
Malgrado tutto non parlò; per mia fortuna, non avrei avuto la forza per bloccarlo nè per continuare.

"Il bambino... il bambino non era dei violentatori..." dissi, cautamente, guardandolo negli occhi.
Vidi il suo volto prendere una piega che avevo già conosciuto; aveva la stessa espressione quando l'avevo lasciato, prima che mi piacchiasse.
"Era tuo." conclusi secca.
Il mio respiro era accellerato, tanto accellerato da farmi girare la testa.
Jacob, invece, portava una maschera.
Oltre all'ira non si poteva capire nulla.
Respirò profondamente per un paio di volte, chiundendo gli occhi, sperai trovasse la calma che stava cercando.
Mi guardò negli occhi, i suoi occhi erano neri, arrabbiati.
Le mani gli tremavano, come quando era in astinenza. E forse lo era davvero.
Gli occhi erano tornati lucidi, come quando beveva, le mani tremavano, al di là della rabbia che provava in quel momento. Non controllava le sue emozioni.
Avevo paura.
In quel momento avevo paura che il passato ritornasse.
"Hai ucciso nostro figlio?" chiese. Il suo tono era quasi sorpreso, innaturale in quella situazione.
Non risposi, guardavo il tavolo di legno scuro.
Abbiamo, volevo correggere, ma non lo feci.
"Bella! Ti rendi conto di ciò che hai fatto?" le mani erano sul suo volto."hai ucciso il nostro bambino! Perchè! Perchè?!"
"Bella, rispondimi!" disse, avvicininadosi a me, prendendo le mie spalle e strattonandomi.
Non riuscì a scansarmi, non riuscì ad alzarmi da quella sedia ed allontanarmi da lui.
"Perchè lo hai fatto?" si stava arrabbiando ogni singolo minuto sempre di più.
"Perchè non lo volevo!" iniziai a singhiozzare."Tu eri alcolizzato, io non potevo portare avanti la gravidanza da sola, e con te accanto. Ci avresti fatto del male!"
Il mio volto venne colpito da qualcosa, di forte e intenso. Mi girai verso destra, la guancia mi bruciava. Mi aveva colpito.
Mi aveva dato uno schiaffo.
Mi aveva picchiata, di nuovo.
Mi mancò il respiro per qualche secondo, boccheggiai, per riprendere fiato.
Riuscì a divincolarmi dalla sua morsa ferrea, portandomi più lontano possibile.
"Non ce la facevo a tenerlo per me, dovevi sapere, dovevo dirtelo..." sussurrai.
Mi mandò un'occhiataccia.
"Cosa avrei dovuto fare, Jacob? Cosa?! Ero completamente sola a Seattle, tu bevevi, ero stata violentata, ed avevo un bambino nel mio grembo... come avrei dovuto
affrontare la cosa, sentivo la mia vita essere sbriciolata, non avevo modo e voglia di vivere, dovevo vivere per due, per me e la creatura che mi stava crescendo dentro, e dovevo badare a te, che non facessi stupidaggini, che non finissi in qualche guaio. Ero completamente sola, anche se tu eri al mio fianco. Non mi hai dato sostegno, sei stato
egocentrico, pensavi solo ed esclusivamente a te! Ai tuoi guai, e bevevi, bevevi tanto! Dovevi vederti; fin dal mattino il tuo alito puzzava di alcol, la sera non riuscivo mai a vederti sobrio. Anche se avessi deciso di tenere il bambino tu non avresti mai fatto parte della sua vita!" la mia voce era quasi isterica, segnata dalle lacrime e dalla sofferenza.

Prese un vaso su una delle mensole della libreria, scagliandolo al muro.
Si scriciolò, c'erano schegge dappertutto; anche ai miei piedi, nella parte opposta della stanza.
"Avresti dovuto parlarmene, avremmo trovato una soluzione. Avrei fatto di tutto per togliere quel vizio!"
"No!" urlai, scuotendo il capo. Il movimento mi causò male alla testa, lì dove Jake mi aveva colpita. "Non lo avresti fatto, Jacob. Non lo hai mai fatto! Lo so che bevi ancora, me ne sono accorta da tempo, ma smentivo le mie supposizioni, pensavo fosse una donna, ma non è così! Saperti con un'altra mi farebbe stare meglio di come sto ora! Non hai mai smesso di bere, hai diminuito le dosi, ma non hai smesso!"
"Come puoi dire una cosa del genere?" mi urlò contro. Restavamo a distanza.
"Perchè è la verità!" conclusi.
"Allora, se la pensi così, non abbiamo più nulla da dirci!" disse, dirigendosi in camera da letto. Prese uno dei borsoni che avevo risposto nella parte bassa dell'armadio, l'aprì adagiandola sul letto. Riuscivo a vederlo, ma non mi avvicinai a lui, che iniziò a mettere alcune sue cose nel borsone.
Chiusi gli occhi, respirando profodamente, riuscì a calmarmi, più mi calmavo più sentivo pulsare la tempia. Mi portai, istintivamente, la mano in quel punto e quandò riaprì gli occhi mi accorsi che c'era del sangue.
Respirai profondamente, per evitare uno svenimento.
Jacob ritornò in salotto, e si fermò davanti a me con il borsone in spalla.
"Ho preso solo alcune delle mie cose, ti do al massimo due giorni per lasciare l'appartamento, ti voglio fuori dalla mia vita, subito." disse, in tono autoritario.
In quel momento, se non fossi stata stordida dal sangue gli sarei saltato addosso.
Non mi degnò di un altro sguardo e lasciò l'appartamento, chiudendo con forza la porta.
Mi sentì libera, come non lo ero mai stata, mi sentivo senza nessun peso ad invadermi la coscienza, ero completamente libera, da tutto e da tutti.
A volte è più facile essere lasciati che lasciare.
Eravamo arrivati al capolinea.
E l'Iris mi aveva aiutata, mi aveva dato il coraggio necessario.

13 Settembre.
Non avevo dormito tutta la notte, ero rimasta a fissare il vuoto davanti a me, con le ginocchia piegate al petto, e la testa appoggiata su quest'ultime.
I miei occhi si erano riempiti varie volte di lacrime, ma forse erano più di felicità che di dispiacere.
Quando scoccò la mezzanotte sussurrai a me stessa:
"Buon compleanno, Bella. Buon ventiquattresimo compleanno."
L'avrei passato da schifo, ma non m'importava.
Avrei mentito quando i miei genitori mi avrebbe chiamato, dicendo che stavo bene, che ero contenta e che Jacob mi aveva regalato qualcosa di bello, che avevamo passato
la giornata divertendoci.

Anche se non era così. Le bugie sarebbe terminate presto.
Stavo rimurginando su cosa dovessi fare, erano le nove del mattino, e mi trovavo ancora a letto, seduta e con la schiena a pezzi, dovevo trovare un appartamento, dove vivere per almeno (e meno) di un mese, per sistemare tutto, per lasciare il lavoro, raccogliere ciò che dovevo ed andare dai miei genitori a Forks. Lì sarebbe ricominciata la
mia vita.

Avrei ricomciato il college. Basta Jacob. Ormai era alle spalle.
Il nostro non era mai stato amore puro, ci volevamo bene, come due fratelli, come due amici; o almeno prima. Ci conoscevamo a vicenda, ed avevamo imparato a mentire a noi stessi.

La prima che chiamò, quel giorno, e di cui non mi sarei mai aspettata la telefonata fu Alice.

Sentì il telefono squillare, mi schiarì la voce prima di accettare la chiamata.
"Pronto?" feci.
"Hey, Bella! Sono Alice, buon compleanno!" trillò.
"Grazie mille, Alice."
"Come va?"
"Abbastanza bene, a te invece?" ecco la prima bugia.
"Bene," disse, "adesso ti passo Jasper, anche lui vuole darti gli auguri."
Mi fece parlare con Jasper, Emmett e Rosalie, la fisioterapista. Mi augurarono tutti buon compleanno, infine, il telefono passò nuovamente nelle mani di Alice, che mi disse di
aspettare.

Tutti riuscirono a risollevarmi il morale incosciamente, riuscì a sorridere ad alcune battute di Emmett, ed ai lamenti da parte di Rose.
Aspettai un pò di tempo, che mi sembrò infinito prima che una voce rispondesse al telefono.
"Pronto?" disse deciso la voce dall'altro capo della cornetta.
Mi si gelò il sangue nelle vene. Il cuore iniziò a galoppare per l'emozione, come se fossi una ragazzina alla prima cotta.
Mi scappò un "oh" che fu appena udibile.
Portai le gambe al petto, stringendole a me.
"Edward." sussurrai sorpresa, non era una domanda, ma un'affermazione.
Dopo una manciata di secondi rispose.
"B... Bella..." disse, anche lui, come me aveva il fiato corto.
"Come va?" chiese subito.
Dovevo rispondere?
Dovevo dargli questa possibilità?
Sì, potevo. Avevo già sbagliato una volta, voltandogli le spalle, lascinadolo solo in camera mia, in ospedale, senza dargli la possibilità di spiegare; era arrivato il momento di
parlare con lui.

"Bene, grazie, a te invece?" domandai a mia volta Dire 'Bene' fu istintivo. Cercai di calmarmi, invano, la voce tremava.
"Anche a me, bene," disse."Buon compleanno."
"Grazie, Edward, grazie mille."
Restammo in silenzio per altri secondi, non c'era imbarazzo, era del tutto normale.
"Credo mi debba scusare..." iniziò, non lo feci finire che incomincia a parlare.
"No, aspetta, devo farlo io, è giusto così." continuai. "Sono stata troppo impulsiva, dovevo concederti almeno qualche minuto, ma non l'ho fatto. Sono stata una stupida."
"Ed io uno stupido. Le scuse devo fartele io, sono stato un imbecille."
"Sì, lo sei stato." lo appoggiai.
"Bella, potrai mai perdonarmi?" mi chiese. "Potremmo iniziare tutto daccapo, potremmo dimenticare il passato."
"Il passato non si può dimenticare," dissi prendondo un respiro profondo."L'hai sempre detto tu."
"Sì, è vero," sospirò pesantemente."ma c'è sempre l'eccezione alla regola, no?!"
"Potremmo ricominciare non da zero, ma come amici." continuò.
"Sì," il cuore battè ancora più veloce se possibile. "C'è l'eccezione alla regola."
"E sì," dissi dopo un pò, le mie mani torturavano le gionocchia. "Potremmo ricominciare essendo amici. Sì, amico, mi piace."


Cioccolato al latte, bianco, alle nocciole o fondente? ( o altro?)

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Capitolo 22
*** E adesso, sei felice di sentirmi? ***


Il cioccolato bianco è quello mio preferito. Amo il suo gusto dolcissimo *sbava*.

Passiamo al capitolo.
Buona lettura.

Edward.
Il mio cuore volava alle sue parole. Non avrebbe potuto battere più veloce.
Un sorriso si aprì sulla mia faccia, uno normale, semplice, spontaneo; diverso da tutti gli altri che avevo fatto nascere sul mio volto durante la sua assenza, quelli erano di circostanza, spinti, falsi.
"Sono davvero contento, Bella."Le risposi.
Anche se amico non era ciò che desideravo. Io volevo di più da noi, volevo che ci fosse qualcosa di più tra di noi, qualcosa che andasse oltre l'amicizia; anche perchè c'era stato molto prima, non si poteva cancellare. Ma in quel momento essere suo amico mi sembrava una scelta giusta, era già tanto, un buon passo, un buon compromesso.
"Dove sei?" le chiesi, per rompere il silenzio creatosi.
"Sono... sono a casa." sussurrò balbettando. Era quasi indecisa su cosa rispondere, mi accorsi che in lei, nel suo tono c'era tristezza.
"Tu, invece? Sei in ospedale, vero?" domandò, schiarendosi la voce.
La mano destra che era rimasta a pugno sul tavolo incominciava a rilassarsi, le unghia non infilzavano più il palmo della mano.
"Sì, sono in ospedale, nel mio ufficio." incominciai. "Dimmi come è la tua casa, in che stanza ti trovi? Sei sola in casa?"
"Una domanda alla volta," disse ridendo, la sua risata cristallina, dolce, arrivò debole alle mie orecchie. C'era qualcosa che non andava in lei, ne ero sicuro, la sentivo come se fosse spenta. "Sono in camera da letto, seduta su quest'ultimo, la casa è abbastanza grande, anzi fin troppo, è completamente verde, tende, moquet, anche i rivestimenti dei divani e delle sedie, addirittura le mattonelle del bagno, mi piace il verde, ma è troppo monotono." concluse sorridendo.
"Sei da sola in camera?" le domandai, calmo. Sperai di essere abbastanza convincente e di sembrare non troppo interessato, anche se dentro di me morivo dalla voglia di
sapere.

"Sì, sono sola." disse, semplicemente.
"Jacob," sussurai,maledicendomi di averlo nominato. "Il tuo fidanzato non c'è?"
Sapevo che era lì grazie a sua madre, ma non credo che lei sapesse che la madre ,mi avesse detto di lei.
"No... aspetta, come fai a sapere di Jacob, chi te lo ha detto? Alice?"
"No, Alice non c'entra nulla," iniziai. "Me lo ha detto tua madre."
"Mia madre?" domandò scettica e sorpresa. 
"Sì, l'ho chiamata il giorno dopo, quando mi hai lasciato l'ospedale. Mi ha detto che eri a Chicago, che eri partita, con Jacob."
Passarono secondi di silenzio.
"Hai chiamato mia madre per rintracciarmi?" chiese infine.
"Sì, volevo parlarti, e non trovavo modo per farlo, quindi ho chiamato tua madre, ma mi ha detto che non eri a Seattle, che eri partita per Chicago. Avevi appena preso l'aereo, con lui, il tuo fidanzato." sospirai fermandomi più volte.
"Oh." le sfuggì.
Inconciai le gambe sotto la scrivania, portando la mano sulla stoffa dei pantaloni, asciugandola dal sudore che mi si era fomanto.
"Mi avresti parlato? Mi avresti dato almeno la possibilità di parlarti al telefono?" le domandai. "Sii sincera."
"No," un sospiro da parte sua, quella volta. "Credo che per quanto arrabbiata non ti avrei concesso nessuna possibilità."
I miei sospetti si erano rilevati esatti, avrebbe interrotto la chiamata.
"E perchè adesso hai risposto?" le parole uscirono velocemente dalla mia bocca, senza che me ne accorgessi realmente. Bella esitava, senza emettere alcun suono.
Poi improvvisamente:
"Perchè ti sei fatto sentire solo ora?"
Il mio cuore perse un battito. Aveva desiderato che la chiamassi? Anche sopo ciò che le avevo fatto?
Anche in quel momento che mi diceva che non mi avrebbe dato nessuna possibilità, mi chiedeva perchè non l'avessi contattata prima?
"Perchè avevo paura in un tuo rifiuto. Mi sono detto che avrei sofferto di più se tu mi avessi rifiutato che in questa situazione, senza sapere il responso se mai l'avessi fatto," ero sincero. "Sono stato un vigliacco."
"Meglio soffrire una volta che due?" domandò.
"Sì, meglio così." risposi. "E adesso, sei felice di sentirmi?" le chiesi.
"Sì, lo sono."
Iniziai a tremare per la felicità.
"Rispondi alla mia domanda, allora, perchè mi stai parlando?"
"Perchè..." iniziò. "Perchè adesso è diverso."
"In che senso diverso, Bella?" Pronunciare il suo nome era un'emozione unica.
"Nel senso che mi sei mancato." disse, tutto d'un fiato. "Ti sto dando questa possibilità perchè te la meriti, perchè forse quello che ho visto nel tuo studio l'ho interpretato
male. Perchè forse la mia scelta, quella di tornare qui con Jake è stata sbagliata."

Aveva riconosciuto che la sua scelta era stata quella sbagliata, se n'era pentita.
"Ti sei pentita di essere tornata a Chicago, con il tuo fidanzato?"
"Non sono pentita del tutto, qui ho fatto nuove conoscenze e ho preso al volo delle occasioni, che forse, a Seattle non mi avrebbero mai offerto."
"Ma non sei felice della tua vita, vero?" insistetti.
Sospirò profondamente, più volte, prima di rispondere.
"No, non lo sono." si schiarì la voce."Tornerò a Forks, tra una, o due settimane."
Volevo chiederle il perchè, forse il fidanzato le aveva fatto nuovamente del male? Si era pentita amaramente della sua scelta? Ripensamenti? Insoddisfazione?
"Pe-" cerco di dire 'perchè?', quando mi interruppe.
"Non va bene, questa vita non mi piace. Voglio ritornare con i miei genitori, ricapitolare velocemente la mia vita e ricominciare. Nuovamente, ma lo voglio fare."
Annuì, come segno d'intesa, anche se sapevo che lei non poteva vedermi.Era un segno di intesa più per me stesso che per lei.
"Posso fare qualcosa per te?" Era l'unica cosa che potevo dirle, darle.
"No, grazie Edward, del pensiero, ma no. Non puoi fare nulla per migliorare la situazione." il suo tono era ancor più triste, spento.
"Vorrei tanto fare qualcosa per te." dissi, un pò timido.
"Sii mio amico, mi basta questo."
Davvero le bastava un'amicizia tra di noi?
A me, no. Troppo poco.
"Lo sai vero che tra di noi non c'è solo un'amicizia, e non ci sarà mai solo quella, lo sai, vero?" raccimolai tutte le forze per dire ciò, tutto il coraggio che trovai nel mio corpo.
"Credo di saperlo," disse, tentennando."L'amicizia non fa parte di noi."
"Ma per adesso, voglio solo questo, Edward. Non affrettiamo le cose." continuò.
"Ti capisco." ammisi. La capivo, era naturale che volesse aspettare, dopo ciò che aveva creduto, e magari ancora credeva.
"Parliamo di qualcos'altro." pregò.
"Certo, dimmi tu, qualsiasi cosa." Qualsiasi cosa pur di parlare e sentirti parlare.
"Come hai passato questi tre mesi?" dimandò.
"Sono stati vuoti," ammisi. "Noiosi, monotoni. Vuoti."
Ed era vero. Erano stati i mesi più vuoti della mia vita, neanche quando Carlisle ed Esme mi avevano adottato era stato tanto vuota la mia vita. C'erano loro che me la riempivano, malgrado la mancanza dei miei genitori. Invece, in quei mesi non c'era nessun capace di tirarmi su il morale, niente e nessuno
"Ta-" si fermò, sapevo cosa volesse dire. Ma preferii che continuasse. "Tanya? Cosa le hai detto, se posso saperlo?" nel suo tono 'intravedevo' gelosia.
"Puoi saperlo, per la verità non le ho detto ancora nulla. Ho cercato in tutti i modi di scansarla, di fare in modo che non potessimo parlare, non ho voglia, in questo momento, di parlare con lei, anche perchè, per lei, non ci sarebbe buone notizie. Credo l'abbia già capito. Non c'era niente neanche quando tu eri in ospedale, Bella. Non c'è mai stato niente tra di noi, oltre a qualche bacio, mesi prima del tuo arrivo in ospedale." spiegai, riuscì a dirle ciò che volevo, magari fu troppo rissuntivo, ma in quelle poche parole poteva ben capire ciò che era la realtà.
"Devi parlarle, Edward. Ha bisogno di spiegazioni, che sinao chiare." il suo tono di voce era flebile, quasi a nascondere altre emozioni.
"Era già tutto finito prima, non trovo il motivo perchè io debba parlarle." dissi, era quasi irritato, prima andava via perchè l'avevo baciata, e poi voleva che le parlassi?
"Non spezzare anche il suo di cuore, così. Dalle delle spiegazioni, non farti sentire, evitandola non fai altro che farla soffrire. In questo momento che sia la tua ex-fidanzata poco m'importa, vorrei che le parlassi, davvero, come si deve e le spiegassi ciò che hai detto a me."
Era altruista, pur di fare del bene agli altri era capace di soffrire. Era la mia Bella.
"Me lo prometti?" disse infine.
"Non so se posso promettertelo, non mi va di parlarle." confessai. Odiavo vedere le persone che soffrivano per colpa mia, l'avevo fatto con Bella, l'avevo fatto ancor prima
con Tanya; sbagliavo sempre, e ripetevo i miei errori.

"Io spero di sì." concluse.
Ancora una volta, Bella, mi stava insegando qualcosa. Mi stava invogliando a fare ciò che non volevo fare, a fare ciò che di mia spontanea volontà non avrei mai compito.
Chiamatemi come volete, falso, ipocrita, cattivo, credule, incapace di dare e ricevere amore.
Ma non ero così; da piccolo le persone che mi erano attorno avevano avuto tante volte per chiarirsi con me, come con gli altri, ma non lo avevano mai fatto, ed io avevo preferito così, per paura, per il timore di ciò che mi avrebbero potuto dire, tutto quello che stavo vivendo non era altro che il riflesso, il continuo di ciò che avevo subito da piccolo. Avevo imparato ad essere più timido, perchè gli altri, coloro che mi circondavano lo erano; e così via.
I miei pensieri furono destati da Bella, che parlò improvvisamente, malgrado la sua voce fosse sussurrata mi fece sussultare.
"Lo sapevi?-" iniziò a dire. Si fermò per qualche minuto, le mie dita, sulla scrivania seguivano i contorni di una delle tante cartelline. "Lo sapevi che Alice mi avrebbe
chiamata?"

"No," sembrò più un sospiro che altro."Mi ha passato il telefono, ma non sapevo che fossi tu." aspettai qualche altro secoondo, entrambi in silenzio. I nostri respiri accellerati erano la sola cosa udibile. "Ma ti avrei chiamata, presto, l'avrei fatto."
La sua debole risata. Il fruscio indistinto da parte della sua cornetta.
"Credo che con questo io possa andare."
Già. Era troppo poco. Era passato troppo poco tempo, quanto dieci minuti, quindici?
Volevo parlare con lei finchè la sua voce non avesse reclamato una pausa, avrei voluto continuare a ciarlare anche delle cose più stupide del mondo. Ma doveva andare.
"Quando tornerai a Forks, ti fermerai qui?" domandai, affrettandomi, come se i minuti fossero contati e ne avessimo a disposizione ben pochi.
"Non lo so, Edward. Non lo so. Noi intanto continueremo a sentirci tramite telefono. Credo che questo come inizio vada bene, no?!"
E' sempre troppo poco.
"Credo che inizialmente vada bene." sottolineai la parola 'inizialmente'.
"Allora ci sentiamo, Edward." sussurrò, sembrava che la sua voce stesse per spezzarsi.
Volevo starle accanto per abbracciarla a me, per dirle che tutto andava bene, per confortarla.
Io ci sarei sempre stato per lei. Sempre.
"Auguri ancora, buon compleanno."
"Grazie." rispose, chissà perchè immaginai le sue gote tingersi di rosso.
"Ti voglio bene, Bella." era tanto ridicolo il mio inutile tentativo di continuare a parlarle?
"Anche io, amico." Di nuovo la sua risata cristallina e riattaccò.
Rimasi immobile per qualche minuto, guardando il muro davanti a me. La mano ancora sul telefono sul mio orecchio, sentivano continui bip, quelli che mi fecero intendere che lei non c'era più, che avrei dovuto aspettare ancora un pò per risentirla.
Quei bip, che mi fecero comprendere che tutto non fosse stato soltanto uno stupido sogno. Ma la reltà. Nitida e perfetta.
Posai il cellulare di Alice sulla scrivania, ma prima diedi un'occhiata allo schermo che lampeggiava.
Sessantatre minuti. Non aveva parlato con me solamente, ma la maggior parte del tempo sì. Quel tempo che mi era scivolato tra le mani, ma che avevo gustato attimo per attimo, ognuno come se fosse il più bello, il più emozionante, quello più prezioso.
Aprì uno dei cassetti della mia scrivania, prelevandone il contenuto.
Il quaderno giallo, quello di Bella.
Lo strinsi al petto, e quest'ultimo sembrò scoppiarmi dalla felicità.
Dovevo ringraziare la 'malefica' creatiura che aveva organizzato tutto. Alice.

"Grazie." le sussurrai all'orecchio, stringendola a me. "Sei stata gentilissima, Alice. E' stato tutto perfetto." All'orecchio di qualche malizioso sarebbe potuto sembrare
qualcos'altro, ma non m'importava di nulla.

"Oh, Edward," disse, stringendosi ancor più forte."Non sai quanto sia contenta che tutto sia andato per il meglio."
"Non so davvero come ringraziarti."ribadii.
"Ci sarà un modo." e sorrise.
"Attento che la sciupi." disse scherzosamente Jasper quandò arrivò, lasciai la fidanzata del mio migliore amico, che le cinse i fianchi con un braccio.
"Allora come è andata?" chiese facendomi un occhiolino.
"Piuttosto bene, direi." rimasi sul vado. Un grosso sorriso si aprì sul mio volto, era un sorriso di ringraziamento, per tutti.
Mi accorsi di una persona che mi camminava di fianco, bionda. La seguì con gli occhi, rendendo le persone davanti a me confuse. Mi guardavano con espressione scettica.
"Devo cominciare a mettere a posto la mia vita, e credo di dover ricominciare da lei." dissi a me stesso, anche se i miei amici mi sentirono. Annuirono entrambi. Non so se furono sinceri o perchè volevano soltanto apporgiarmi senza accettare le mie scelte. Ma per me era giusto. Lo era anche per Bella. Glielo avrei dovuto promettere, in fondo possedevo un pò di coraggio.
Mi congedai dai miei amici, seguendola e fermando Tanya.
"Posso parlarti?" chiesi gentilmente. Mi guardò scettica, e con la sua solita espressione altezzosa.
"Credo che adesso dovrei rifiutarti io, ma voglio ascoltarti." mentre parlava aveva fatto diverse espressioni col volto. Rabbia, mista ad affetto. Lei non aveva le mie stesse intenzioni, non era ancora pronta a dirmi addio. Ed aveva ragione Bella, ne stava soffrendo.
La portai nel mio studio. Le dissi le stesse identiche parole che avevo ripetuto a Bella. Pianse, ma solo un pò. Non l'abbracciai, non mi avvicinai a lei, poteva intendere il contrario delle mie parole. Le sue lacrime furono pochissime, il tempo di ricomporsi e riprendere la sua espressione altezzosa e forte. Ma lo sapevo. L'avevo conosciuta abbastanza da capire quanto fosse debole e sensibile, anche se dall'apparenza nessun mai l'avrebbe detto. Tanya era sola apparenza.
Le augurai di trovare un uomo che davvero potesse amarla, davvero.
Io l'avevo trovata, e ormai avevo rimesso a posto anche un tassello dell'immenso puzzle che era la mia vita.


"I tuoi occhi sono un libro aperto, Edward. Sei ragginate. Non lo puoi nascondere." disse mia madre, quando alla sera, a casa di quest'ultima, stavo preparando insieme a lei la cena. Mio padre ancora doveva fare rietro dal lavoro. Stavo tagliuzzando del sedano, quando mia madre mi si era avvicinata e scrutandomi mi aveva detto che ero cambiato, che ero contento e che si notava da lontano.
"Sì, in un certo senso lo sono." risposi scrollando le spalle.
"Ti va di raccontarmi?" domandò. Esme, come Carlisle, conosceva tutto di Bella, ne avevo parlato con lei poco dopo averlo raccontato a mio padre.
"Ho parlato con Bella. Con la ragazza che ho conosciuto in ospedale." l'eccitazione si poteva ben capire dalle mie parole.
"E' tornata in città?" chiese, subito.
"No, ci siamo sentiti tramite telefono, in parte mi ha perdonato, le ho spiegato di Tanya, abbiamo chiacchierato abbastanza. Mi sento soddisfatto." dissi, orgoglioso di me
stesso.

Mi abbassai alla mia destra, dove c'era mia madre, schioccondole un bacio sulla guancia.
Ero talmente felice che avrei potuto scalare il mondo, in quel momento.
"Ma... qualcosa mi preoccupa." continuai. A lei avrei potuto parlarne.
"Cosa, ti preoccupa, Edward?"
"La sua voce, mi sembrava contenta, ma allo stesso tempo vuota."
"Forse sta passando un brutto periodo, dalle tempo, vedrai che potrà tornare quella di un tempo. " Presi con la lama del coltello i tantissimi pezzettini di sedano, spostandoli in un contenitore.
"E' sicuramente così," dissi, annuendo.
Fummmo interrotti dal rumore della porta, Esme si pulì le mani sul grembiule che aveva legaro alla vita e corse da Carlisle. Si amavano davvero tanto.
"Buonasera a tutti," trillò, quest'ultimo entrando in salotto.
Anche lui aveva un sorriso raggiante.
Esme, gli si avvicinò e si baciarono teneramente sulle labbra. Presi la ciotola dal bancone, portandola vicino ai fornelli. Immersi il contenuto nel resto della zuppa calda.
"Devo darvi una buona notizia." annunciò, Carlisle, sorridendo e dirigendosi in bagno per lavarsi le mani. "Ve lo dirò a tavola, con un piatto colmo davanti." gridò dalla stanza adiacente.
Io e mia madre ci guardammo negli occhi, scrollando le spalle e sospirando all'unisono.
Mi sciacquai le mani sotto il getto potente del lavabo, mentre mia madre girava la zuppa.
Quando fu pronta la versò in tre piatti differenti, tandomene due a me ed uno a lei. Li portammo a tavola. Carlisle aveva già preso posto a capo tavola.
Iniziammo a sorseggiare con un cucchiaio, in silenzio, ognuno dal proprio piatto la zuppa, che scottante mi bruciò il labbro.
Guardavo Carlisle, che osservava il suo cibo.
"Allora? Questa notizia?" domandai, impaziente.
"Non è nulla di che. Ma potrebbe essere una buona occasione per me." disse, scrollando le spalle.
Io ed Esme lo guardavamo entusiasti e impazienti, in attesa.
"Posso partecipare ad un concorso internazionale, che mi farà avere 'crediti' per aumentare il lavoro, per la 'fama', ed anche se questo non è la prima cosa che ho pensato quando sono diventato medico, mi piace molto." si giustificò.
" Mi sembra bellissimo!"parlai, seguito da mia madre.
"Sì, è un'occasione da non perdere." iniziò. Spostando i capelli dietro l'orecchio e sorridente continuò. "Tu," disse, indicandomi,"hai l'oppurtunità di diventare primario così giovane, mentre tu," continuò rivolgendosi a Carlisle. "Hai quest'altra opportunità. Ho paura di diventare la pecora nera della famiglia." ammise, scherzosamente.
Scoppiammo tutti in una sonora risata.
Continuammo a cenare insieme, parlando, discutendo un pò di tutto. Prima che Carlisle si alzasse da tavola disse:
"Allora, visto che siete d'accordo, io devo preparare le valigie."
Io e mia madre lo guardammo straniti. Valigie? Non aveva accennato a nessuna partenza. Ma secondo lui era sottointeso.
"Ah, non ve l'ho detto." disse, corrugando le sopracciglia."Il concorso è a Chicago."
Chicago. Bella. Chicago. Bella.
Erano le uniche parole che si susseguirono nella mia mente nei minuti successivi.
Carlisle andava a Chicago, quindi da Bella.
Andava da lei. Anche se non lo sapeva. Non avevo mai parlato ai miei genitori che Bella stesse a Chicago.
"Edward, tutto bene?" mi chiese Esme, stringendomi la mano sul tavolo.
La sua era caldissima, mentre la mia il contrario.
Sentivo impallidirmi. Feci un respiro pronfondo e poi le risposi.
"Va tutto bene, non preoccupatevi."
"Sicuro?" chiese mio padre." Sei sbiancato improvvisamente."
"No, sto bene." presi un bel respiro prima di continuare. "Hai detto Chicago, giusto?"
"Sì, Chicago." rispose mio padre, sempre con la stessa espressione confusa.
Annuì.
"Vengo con te."


Avete un buon rapporto con i vostri genitori? Meglio parlare con mamma o papà? :P


Il prossimo aggiornameto non arriverà presto, devo dedicarmi ad un progetto. Sorry :S.

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Capitolo 23
*** Edward mi aveva salvata. ***


Se dovessi parlare del rapporto con i miei genitori non la finirei più, cercherò di dirvi qualcosa. Preferisco parlare con mio padre, che con mia madre. Entrambi non sanno molto della mia vita 'privata', non sanno della mia passione per la scrittura, conoscono solo ciò che io voglio che sappiano. Ma nel complesso il rapporto con entrambi è buono :D.

Buona lettura.
Bella.
"Ti voglio bene, Bella." il cuore galoppava, sempre di più.
"Anche io, amico." risi, davanti ai miei occhi mille stelline, dovute alla felicità, scoppiarono.
Riattaccai, portando il telefono sul comodino. Mi si formarono lacrime agli occhi per le emozioni provate, tutte in un solo colpo, e come solo Edward sapeva donarle, anche con una sola parola.
Ancora seduta sul letto, portai le gambe al petto strigendole sempre più forte. Ero entusiasta, contenta, soddisfatta.
In qual momento la tempia non mi pulsava più, c'era solo il mio cuore, che veloce sembrava uscirmi dal petto, e le mie fantastiche emozioni.
Poggiai la testa sulle ginocchia, pensado alla nostra discussione.
Mi voleva bene, lo aveva detto lui.
Tra lui e Tanya non c'era nulla. Me l'aveva confessato. E forse avrebbe anche parlato con lei, glielo doveva.
Era il tredici settembre, il giorno del mio compleanno, e la telefonata di Edward era stato il mio regalo, inatteso, fantastico regalo di compleanno.
Speravo che tutto ciò non fosse solo stato immaginato dalla mia mente, a smentire questo pensiero era il continuo e doloroso dolore alle tempia. Mi portai una mano sulla lesione, e delicatamente constatai che era gonfia, mi diressi in bagno, e guardandomi nello specchio non feci altro che inorridirmi. Avevo pesanti occhiaie, violacee, e la
tempia sinistra era dello stesso colore. Al centro di quest'ultima un piccolo taglio. Presi del disinfettante, e mettendone un pò su un pezzo di garza lo passai sul taglio, chiusi
gli occhi quando iniziò a bruciare.

Dopo aver ripulito la ferita, misi del ghiaccio sulla parte indolenzita, sarebbe servita a ben poco, dato il fatto che ormai era già gonfio, ma almeno avrebbe fatto da anestetico.
Nel frattempo, con la mano sinistra che manteneva lo straccio con dentro dei cubetti di ghiaccio, presi il giornale del giorno prima, che Jacob aveva lasciato sul tavolo della cucina il giorno prima. Andai direttamente nella sezione "case&affitti", iniziando a cercare quella che più rispondeva alle mie esigenze.
Un attico con sette stanze (non guardai il prezzo per lo shock sicuro e perchè era poco interessante), un appartamento con tre terrazzi, e così via, finchè non leggendo gli annunci non mi ritrovai su uno che affittava un monolocale. Prezzo ridotto, una camera, e servizi. Perfetto.
Chiamai il numero che era segnato sotto, aspettando che rispondessero.
Parlai poco con la proprietaria dela casa, mi disse che il prezzo per due settimane sarebbe stato di ottocento dollari (il monolocale si trovava in una parte importante della città), che era già arredatoe che aspettava solamente che qualcuno lo abitasse. Le spese come l'elettricità e le telefonate erano pagate da lei. Mi disse che anche entro il pomeriggio mi avrebbe consegnato le chiavi, dopo aver messo una firma e anticipato il pagamento.
Era perfetto.
Per il pagamento non sarebbe stato un grosso problema, avevo a disposizione i soldi guadagnati lavorando al giornale. Erano più che sufficienti per la casa e la partenza.
Tenni sempre il ghiaccio sulla tempia quando incominciai a recuperare tutti i miei oggetti per casa. La tempia sembrava ormai del tutto anestetizzata, oltre al gelo non sentivo nulla. Sperai che il livido che mi si era formato, fin troppo evidente, scomparisse il prima possibile.
Recuperai con solo la mano destra il borsone dallo scaffale più alto della mensola del mobile della camera da letto, lì dove l'aveva conservato Jacob.
Ad un certo punto, quanto al posto della tempia iniziò a dolermi il braccio per la posizione scomoda che aveva preso, lasciai che i cubetti di ghiaccio si sciogliessero nel lavabo, poggiando lo strofinaccio bagnato sul piano cottura.
Iniziai a prendere tutti i miei vestiti e adagiarli sistematamente nella valigia, in poco tempo tutto l'armadio fu spoglio delle mie cose, quasi la maggior parte degli indumenti era mia.
Passai in bagno, racchettando, anche lì, i miei effetti personali, per poi passare per tutto il resto della casa. Feci attenzione ad ogni angolo, anche quello più nascosto, non volevo lasciare nulla.
Doveva essere come se non fossi mai rientrata nella vita di Jacob. Doveva avere il dubbio se la seconda possibilità donatagli fosse solo un'illusione. Non dovevo lasciare traccia.
Lasciai i fogli che aveva lasciato Jacob sul tavolo, non li toccai; non aveva nemmeno il motivo per farlo.
Mentre recuperavo le ultime cose da un cassettone il telefono squillò, erano le tre del pomeriggio.
"Pronto?" feci.
"Pronto, Bella?" Era mia madre.
"Mamma!"
"Auguri, tesoro!"fece una pausa. "Scusami se ti ho chiamata solo adesso, ma credevo che lavorassi oggi."
"Non preoccuparti! E grazie mille!" risposi, sedendomi in salotto sul divano verde.
"Allora, come festeggerete?" domandò, euforica.
Pensai per qualche secondo prima di rispondere. Verità o menzogna?
Avrei dovuto dirle le cose così come stavano, dovevo dire solamente la verità.
"Mamma... oggi-" mi interruppi, per la prima volta mi si formarono lacrimoni agli occhi.
Piangevo per le delusioni, che erano fin troppe. Pingevo per quest'ultima brutta notizia che avrei dovuto dire a mia madre, piangevo perchè dovevo liberarmi, dall'angoscia,
dal timore, ed anche dalla gioia che mi si era formta dentro.

"Tutto bene?" mi chiese, non sentendomi più parlare.
"Sì, va tutto bene." cercai di dire, ma il nodo in gola fece uscire la voce storpiata. "Non ci saranno festeggiamenti, oggi, mamma."
"Ma... come?" chiese, incredula. Tirai su col naso.
"Ci siamo lasciati, è successo ieri."la mia voce non era ancora tornata alla normalità.
"Mi dispiace, Bella. Non sai cosa farei per essere lì, in questo momento."
"Non preoccuparti. Sto bene." sussurrai.
"Quanto mi duole questa situazione, Bella. Vorrei tanto poterti abbracciare." disse, con la sua voce intristita.
"Anche io vorrei abbracciarti," sbiascicai. Non era mai stata brava ad evidenziare e mostrare le mie emozioni, c'era stato sempre qualcosa che mi non mi facesse mai sentire a mio agio nei contatti fisici. "Presto, molto presto ci rivedremo."
"Come presto?" chiese.
"Torno a Forks, mamma. Tra massimo due settimane." continuai. La voce si era ristabilita.
"Oh... e adesso, dove sei?" domandò.
"Sono a casa. Jacob non c'è però. Mi ha concesso alcuni giorni per prepararmi." spiegai. Dopo un pò le chiesi:
"Mamma, posso farti una domanda?"
"Certo, amore, tutto quello che vuoi."
"Edward, voglio dire il dottor Cullen ti ha chiamato quando sono partita?" la mia voce si fermò due volte nel corso della domanda.
"Sì, mi ha chiamata, te lo ha detto lui?" domandò confusa.
Portai una mano alla bocca, torturando un'unghia, prima di rispondere.
"Ci siamo sentiti, e già sapeva che fossi qui a Chicago, con Jacob, quando glielo ho chiesto mi ha detto che sei stata tu a dirglielo. Quindi è vero." quest'ultima frase non era una domanda ma un'affermazione.
"Sì, è vero. Mi ha chiesto di te perchè voleva raccomandarsi su delle medicine da prendere. Ma sinceramente dal suo tono di voce non si sarebbe detto."
Un sorriso involontario si aprì timido sul mio volto.
"Mi piaceva molto come ragazzo, e, sinceramente, " ripetè. "Pensavo ci fosse qualcosa fra di voi. Era sempre insieme a te quando venivamo a trovarti, e di certo da come vi guardavate qualcosa deve essere successo fra di voi." a quelle ultime parole le mie guance si colorarono di rosso. "anche da come insistette quando ci disse che dovevi essere subito ritirata dalla clinica. Incredibile."
Aspetta, aspetta, aspetta. Cosa aveva fatto?
"Come hai detto?" domandai incredula, sorpresa.
" Non me ne volere, Bella, ma tu non avevi ancora ricominciato a parlare, e non quando siamo arrivati in ospedale, dopo aver saputo che era caduta non pensavamo di riportarti a casa con noi. Avevamo paura dei tuoi comportamenti, eri assente, non parlavi, a stento riuscivi a sopravvivere. Credevamo che con l'aiuto di psicologi, delle infermiere che lavoravano in quella clinica ti avrebbero aiutato. Ma invece no. Da come ci aveva detto Sam, quel medico che ti ha ritrovata, " lo ricordavo fin troppo bene. Era la prima persona da cui mi aveva difesa Edward. "diceva che l'idea del dottor Cullen non era delle migliori, diceva che tu avresti ancora dovuta restare in quel posto. Ma è stato il dottor Cullen a farci ragionare. E' stato lui che ci ha detto che tu eri normalissima, e che avresti ripreso la parola ben presto, e che a te serviva solo qualcuno con cui parlare, sfogarsi. Aggiunse che noi eravamo gli unici." confessò.
Durante il suo discorso i miei occhi si erano sgranati, tanto che la tempia aveva ricominciato a pulsare. Era sorpresa. Non pensavo che fosse stato lui a convincerli. Credevo che da soli avessero preso tale decisione. Ma non era così. Edward mi aveva salvata, anche in quello.
"Ho capito." balbettai.
"Adesso devo andare," disse, improvvisamente.
"ok." sussurrai, ancora intontita.
"Bella, per qualsiasi evenienza chiamami, ok?"
"Non preoccuparti, sto bene." la rassicurai.
"Tuo padre ti chiamerà questa sera, adesso è al lavoro."
" Va bene. Ci sentiamo, allora, mamma." iniziai. " A presto."
E riattaccai.
Quando mi ripresi dal mio stato di completo intontimento, finì di preparare le mie cose, e quando fui certa che tutto ormai era nelle valigie, misi la giacca (era settembre, le temperature stavano nuovamente incominciando ad abbassarsi) e un cappello, che essendo più grande di qualche taglia della mia testa, mi copriva la tempia, e faceva in modo che il livido non si notasse.
Chiamai un taxi, che dopo pochi minuti bussò al citofono, presi le valigie, una borsone lo misi in spalla, una valigia in una mano, ed un'altra nell'altra mano. Le chiavi appese ad un ciondolo erano mantenute dalle mie labbra.
Aprì la porta con un gomito, e successivamente con il piede. Una volta fuori guardai per un'ultima volta il salotto; la tappezzeria verde, la moquette verde, tutto verde. Quel verde, di sicuro non mi sarebbe mancato.
Chiusi la porta, e misi le chiavi dietro il vaso di una pianta, dove c'erano anche altre chiavi, se in tal bisogno ci sarebbero servite. Le lasciai lì, e con l'ascensore, arrivai al pian terreno, dove salutai il custode.
Sussurrai un 'addio'.
Mi guardò male e scollando le spalle ricambiò con un 'arrivederci'.
Il tassista mi aiutò a caricare le mie valigie nel portabagagli, sedendomi in auto gli sussurrai la meta.
Dopo pochi minuti eravamo a destinazione. In fin dei conti il monolocale non era poi così distante dall'appartamento di Jacob.
Pagai l'autista, che mi estrasse i bagagli e facendomi aiutare fino all'entrata del palazzo in cui avrei dovuto risiedere per due settimane.
"Grazie mille." dissi, passandogli la mancia.
"Arrivederci, signorina." sussurrò, abbassando il capo.
Presi le mie valigie e salì al primo piano, dove c'era il monolocale.
Bussai, ed ad aprirmi venne una ragazza, molto alta, e bionda.
"Io sono Bella," mi presentai.
"Ciao, Bella, " salutò. " Io sono Irina."
"Piacere." sussurrai entrando in casa.
Chiamarla casa era troppo. Il corridoio era un, piccolo, a stento ci passavo con le valigie.
C'erano tre porte, una che portava alla cucina, un'altra alla stanza ed infine una al bagno.
Mi fece vedere le stanze, il giro d'iscursione fu molto breve, vista la 'grandezza' della casa, ci sedemo in cucina, intorno al tavolo che poteva ospitare al massimo tre persone,
e mi fece firmare, dopo aver spiegato dei punti, il contratto. Le presi i soldi, passandoglieli.

Mi ringraziò e andò via, lascindomi sola in casa.I mobili erano molto belli, tutti di un color legno chiaro, la stanza era arancio, c'era il letto matrimoniale, e dei mobili. La cucina era altrettanto piccola, tutta in legno chiaro, il bagno era tutto di color rosa, tutto.
Mi sistemai al meglio, senza togliere tutti gli indumenti dalle valigie, non sarebbe valsa la pena, estrassi dal groviglio di tessutto solo alcuni completi che mi sarebbero serviti in
quei giorni.

La prima tappa era conclusa, la prossima era licenziarmi.

Il girono dopo era in ufficio, da Sue.
"Buongiorno,"dissi, mentre entravo e successivamente mi accomodavo.
"Buongiorno, Bella."
"Come va?" chiese.
"Tutto bene grazie."
" A cosa devo questa tua visita?" domandò.
"Signora Sue," era così che la chiamavo. "devo trasferirmi, a Seattle." spiegai.
La sue espressione, solita, solare cambiò. Il sorriso scomparve, gli occhi si intristirono.
"Oh," fece. "Mi dispiace molto, Bella. Ne sei sicura?" domandò.
"Sì, purtroppo sì. Mi sarebbe piaciuto continuare a lavorare qui, ma devo trasfermi."
Sospirò pesantemente guardandomi negli occhi.
"Quindi devo iniziare le partiche? Quando hai intenzione di partire?"
"La settimana prossima devo partire, ma prima lo faccio meglio è. Credo che il mio lavoro sia teoricamente finito."
Scrollò le spalle.
"Sei molto brava, Bella. Coltiva questa passione, dedicati alla scrittura, ai fiori e a ciò che ti piace di più. Hai un talento naturale, non sprecarlo."
"Oh, grazie mille." dire che mi emozionai potrebbe essere definito un eufensmo.
"Allora io vado, ci vediamo quando tutta la documentazione sarà pronta... mi chiama lei?"domandai.
"Sì, ti chiamo io appena pronti." e sorrise.
"Posso rimanere pochi minuti per salutare tutti?" chiesi.
"Sì, fa con comodo."
"Arrivederci, è stato un piacere lavorare per lei." le porsi la mano che accetto ben volentieri.
"Lo stesso è per me, Bella."
Abbassai il capo come per ringraziarla di tutto, e uscì.
Salutai Emily e Leah, entrambe erano dispiaciute almeno quanto me per la mia partenza.
Le dissi che ci saremmo riviste presto, e comunque tenute in contatto.

5 giorni dopo.

Mi guardai nel piccolo specchio, in bagno. Il livido alla tempia si era rimpicciolito e schiarito, ma ero lo stesso evidente. Camminavo sempre con un cappello, malgrado fosse settembre, era color beige, di stoffa.
Era da più di sei giorni che non andavo in biblioteca, sul terrazzo. E quella era la sera giusta. Non aveva più timore di tornarci, visto che a casa non c'era nessu ad aspettarmi e ad insospettirsi della mia mancaza. Ero libera, senza vincoli.
Mi sistemai il colletto della camicia bianca che indossavo, la mia pelle era quasi dello stesso colore, così pallida...
Destai il mio sguardo dallo specchio, e m diressi verso la porta, uscendo di casa.
Percorsi il tragitto fino alla biblioteca, entrai e mi diressi al piano in cui di solito incontravo Paul; ed anche quella volta lo trovai allo stesso punto. Quando mi vide gli si illuminarono gli occhi.
"Ciao, Bella." mi salutò.
"Ciao, Paul." ricambiai.
"Tieni, queste sono le chiavi ne ho fatte una copia anche a te, finalmente." disse, mostrandomi una chiave piccola, ma robusta.
Porsi la mano fino a prenderla.
"Grazie mille, Paul!" iniziai."Non dovevi! Anche perchè questa sono le ultime volte che vengo, ho aspettato per dirtelo, ma la settimana prossima partirò per Seattle."
Il suo viso, come quelli di tutti gli altri a cui avevo dato la notizia, si intristì.
"Ti ridarò le chiavi tra pochi giorni, quando ci saliteremo..."
"Perchè parti?" domandò, la sua voce era incupita.
"E' difficile da spiegare, comunque nel complesso poichè tornò nella mia città natale, dai miei genitori." spiegai, iniziai a gesticolare, non ero a mio agio.
"Io domani non ci sono, come tutte le settimane. Ci vediamo dopo, allora."
"Ciao, Paul." dissi, incamminandomi verso la porta che portava al terrazzo.
Quella sera pensai poco, e restai pochissimo. Mi sedetti sul muretto, guardando davanti a me, ero come vuota. Pensai un pò ad Edward, ma la tristezza mi invase poco
dopo. Avrei dovuto di nuovo lasciare una città, ricominciare una nuova vita. L'avevo fatto troppe volte, fin troppe. Ed ero stanca dei cambiamenti, anche perchè ogni volta andava sempre peggio, ero sempre meno
felice, meno entusiasta della mia vita. Erano alti e bassi, ma i secondi prevalevano i primi.

Con Edward avevo passato dei momenti magnifici, ma era fin troppo presto.
Ed invece, con Jacob era stato un disastro, completamente.
Quando un'ora dopo aprì la porta che portava alle scale e quindi alle stanza del persone trovai Paul.
Lo guardai stranita, non era mai salito lì su, quando c'ero io, o almeno che io sapessi.
"Paul..." mormorai, vededolo.
"Posso chiederti una cosa?"mi chiese, calmo.
"Certo, dimmi." la chiave passava da una mano all'altra. Ero nervosa.
"Perchè sali qui sopra? Come facevi a conoscere questo posto? Eri così sicura la prima volta che mi hai parlato, e pure mi hai detto che era la prima volta che sei venuta qui, come se qualcuno te ne avesse parlato... sbaglio?"
Sospirai.
"Salgo qui sopra perchè mi piace guardare il panorama, mi piace poter vedere le persone che camminano sotto, vedere la vita che continua, e tu sei in alto. Come se guardassi la vita da un punto di vista diverso, come se qui sopra il tuo modo di pensare cambia, muta."
Durante le mie parole Paul si era avvicinato pericolosamente a me, ed io avevo indietreggiato. Eravamo in un corridoio stretto, presto lo spazio per indietreggiare ssarebbe finito. Iniziare ad avere paura, doveva fermarsi. Dovevo scappare. Non poteva avvicinarsi a me, non poteva permettersi di toccarmi, di sfiorarmi, o come temevo di baciarmi.
"Paul, per favore." dissi, mettendo una mano tra di noi. Uno stop, per lui.
E si fermò fortunatamente.
"Bella, sei bellissima." sussurrò. Le mie spalle erano al muro, la testa cercava in tutti i modi di indietreggiare, anche se c'era del cemento ad impedirlo.
"Per favore, Paul." gridai.
"Sei così bella." sussurrò. Ricominciò ad avvicinarsi, ormai pochi centimetri ci dividevano.
La sua mano destra stava arrivando al mio fianco, quando lo fermai.
"Basta! Per favore." lacrime calde invasero il mio viso, sempre più copiose, furono la mia scialuppa di salvataggio, Paul di arrestò, la sua mano non mi sfiorò.
"Scusami, non so cosa mi è preso." sussurrò, indietreggiando ed allontanandosi il più possibile da me.
Feci per andarmene, ma mi fermò gridando. "Aspetta!"
Mi fermai, ma non mi voltai verso di lui.
"Domani non ci sarò, però torna, non volevo farti del male, torna se vuoi."
Mi girai, e lo guardai negli occhi, era sincero. E forse sarei ritornata.
Tornai a casa in metà del tempo che impegavo di solito.
Mi stesi sul letto, iniziando a piangere.
Quando si era avvicinato avevo avuto paura che mi toccasse, che le sue mani vagassero sul mio corpo, avevo avuto paura che riaccadesse, che i fantasmi del passato potessero tornare.
Quando violano il tuo corpo hai paura di tutto, delle persone che ti si avvicinano, anche di coloro che hanno un'espressione bonaria. Hai paura che anche se per caso una loro mano ti finisce su un fianco possano andare oltre. Magari è stato solo uno sbaglio, ma ti viene da spostarti, come se quel gesto fosse di fuoco. Ogni volta ti senti sempre più sporca, lurida. Ti senti complice di quelle persone che ti hanno fatto del male gratuitamente, perchè in fondo se sei bella, affascinante e seducente è solo colpa tua, di nessun altro. La mente cambia, quando vedi un uomo vederti fai di tutto per nascondere le tue curve, ti danno fastidio quelle occhiate, che hanno tutto furchè di innocente. Gli uomini, tutti gli uomini diventano una minaccia, ti da fastidio il loro interesse per te. Gli uomini in generale diventano una categoria dalla quale puoi aspettarti solo sofferenze.
L'aggressione dura poco, la mia non so neanche quanto fosse durata, ma i segni restano per tutta la vita.
Tremavo all'idea di quello che mi avrebbe potuto fare, volevo solo una persona affianco a me in quel momento. E fu quella persona a spingermi, il giorno dopo, a tornare sul terrazzo. In quel posto mi sentivo sempre più vicina a lui, come se anche lui fosse presente, come se i suoi racconti non risalissero al passato, ma al presente.
Restai tutto il giorno a letto, sporadicamente delle lacrime di spavento, e quelle dei ricordi, quelle
che facevano male, scendevano irrigando le mie gote.
Erano le sette di sera, quando misi la giacca, il mio solito cappello, e scesi, andando verso la biblioteca. Paul non ci sarebbe stato e quella sarebbe stata l'ultima volta che
fossi andata lì.

Era un saluto. Un addio.
Quando arrivai in biblioteca, salì pian piano fino al piano che poteva essere visitato da tutti i visitatori, attenta a non farmi vedere varcai la soglia che mi avrebbe portata al
terrazzo. Salì di soppiatto le scale, attenta a non far rumore. Arrivata al grande portone, mentre infilavo le mani in tasca in cerca della chiave,mi accorsi che la porta era già aperta. Era solo accostata.

L'aprì pian piano, senza far rumore, il sangue mi si era raggelato nelle vene dalla paura, ma questo non mi fermò.
Ero sul terrazzo, e mi guardai intorno. Dove era solito che mi sedessi io c'era una figura, per quanto mi sembrò maschile. Le luci erano spente, non il contrario di come, quando c'ero io. Non si poteva vedere il volto della persona a pochi metri da me, eri illuminata dalla flebile luce della città, ma non bastava per riconoscerlo.
Mi avvicinai piano, quando funno a due metri di distanza l'uno dall'altra il mio cuore iniziò a battere più forte.
Non per la paura, ma bensì per l'emozione.
La perona davanti a me era fermo i suoi capelli rossicci sembravano castano scuro. La pelle chiara sembrava più scura nel buoio della notte.
Mi avvicinai di più a lui, eravamo ad un metro di distanza.
Vedevo i suoi lineamenti dolci, la sua bocca carnosa, i suoi capelli spettinati dal vento leggero e fresco che soffiava lì su.
Sussurrai il suo nome. E le farfalle inondarono il mio stomaco vuoto.
Sussurrai il suo nome,e le parole volarono via con il vento, le portarono via.
Lo ripetei, incredula.
Sembrava un sogno, ma non lo era. O forse lo era.
In qualunque caso Edward era lì, davanti a me.


E' un sogno, o no?! Secondo voi?
Ringrazio infinitamente coloro che leggono, e ancor di più coloro che recensiscono. Continuate a farlo mi date sempre più forza e carica.

Il prossimo aggiornamento non so quando, ho trovato del tempo per scrivere questo, ma non ho "fatto" il mio progetto. Quindi da domani si lavora!!
In qualunque caso metterò il teiser appena pronto nel mio blog (nel mio profilo troverete l'indirizzo.).

Un bacione.
Many.

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Capitolo 24
*** Sono in ritardo. ***


Vorrei dire grazie alle persone cha hanno commentato, grazie, ai lettori silenziosi che crescono sempre di più, a coloro che mi hanno inserito negli autori preferiti!

Vorrei puntualizzare una cosa prima di lasciarvi al capitolo:
più volte mi è stato detto che Bella ed Edward non meritano l'altro. Bella è stata stupida a lascialo andare così, ma soprattutto a rimettersi con Jake. Io vi vorrei dire una cosa: per Bella non è facile stare a contatto con gli uomini, non dimenticate le violenze che ha subito, le delusioni, le paure che ha. Entrate nella psicologia dei personaggi, come se foste loro.

E adesso Buona Lettura.

Forse non ero in grado di calmare il mio cuore. Ero del tutto impazzito, correva veloce, troppo veloce, tanto da farmi male il petto.
Un brivido velocemente percorse tutto il perimetro della mia schiena, scuotendomi, rimettendo in moto una parte del mio cervello che sembrava intorpidita dal sonno, che era rimasta muta, aveva taciuto per oltre tre mesi, che era stata buona aspettando il momento giusto per rimettersi in moto.
Quella parte ci cervello mi sussurrava di trovare le sue braccia, abbandonarmi ad esse, di inspirare il suo buonissimo profumo, quello di miele.
In quel momento compresi davvero quanto fossi stata stupida, superficiale, orgogliosa, in quei mesi, mi resi conto che quella brutta situazione sarebbe potuta cambiare, magari poteva essere del tutto evitata.
Sicuramente i miei occhi brillavano, le mie mani tremavano dalla voglia di cercarlo, toccarlo. I miei sensi non facevano altro che indirizzarmi a lui.
Ma malgrado tutto non mi avvicinai. Lui guardava davanti a sé, immobile, come una statua di ghiaccio.
Se non avesse voluto abracciarmi? se davvero per lui fossi stata solo un'amica? O addirittura, cosa ancor più grave, quello fosse solo un sogno? Mi sarei svegliata diversamente dalle altre volte, avrei pianto lo stesso, ma non per la paura, ma per la delusione, come se qualcosa che fosse così tanto vicino mi sarebbe scappata dalle mani, mi sarei svegliata a letto nel monolocale.

Ma poi improvvisamente, a bloccare i miei pensieri fu la sua voce. Chiara, cristallina, incantevole come sempre.
"La prima volta che sono venuto qui avevo più o meno dieci anni." dissse, il suo sguardo era ancora lontano, perso nell'oscurità della notte.
Tacqui, restando immobile.
"Non ti ho parlato ancora del mio passato, Bella," in quell'esatto momento si girò verso di me, guardandomi negli occhi. I suoi non sembravano verdi, ma lo stesso erano profondi, tanto da potermici perdere. Mi osservò per una frazione di secondo, e sul suo viso si aprì un grosso sorriso, il tempo che potessi accorgermene e portò la sua visuale di nuovo sulla città. "E credo sia arrivato il momento di svelarlo." aggiunse, infine.
Un altro brivido, un nuovo tremore, e la voglia di avvicinarmi aumentò.
"Tu l'hai fatto con me, ti sei aperta, raccontandomi il tuo passato, ti sei sfogata e mi hai reso partecipe della tua vita, credo sia arrivato il momento che lo faccia anche io, amici o qualcosa in più voglio farlo." iniziò, le sua mani erano sulle ginocchia piegate al petto. La sua schiana poggiava su una colonna dietro di lui, e la testa era piegata in avanti, alternava lo sguardo dal sue grembo, alla città.
"Ti ho raccontato qualcosa di me, anzi pochissimo, non me ho avuto il tempo, e credo che quello che ti ho detto non rispecchi la pura verità," appoggiò anche la testa alla colonna, guardando il cielo stellato, sopra di noi. "Ti ho detto che sono stato adottato quando era molto piccolo, nella prima infanzia, che non ricordo nemmeno il volto dei miei genitori, ma non è così." si fermò, prendendo un profondo respiro. Vedevo il suo petto alzarsi e abbassarsi ritmicamente, ad una velocità più eleveta di una respirazione normale. Era agitato.
"Ti ho mentito perchè non ero pronto, o almeno non ancora, ma adesso saprai tutto," sussurrò. "Inizierò da poco prima che arrivassi in famiglia con Esme e Carlisle."
Intrappolai meglio le mani nelle tasche della giacca, per fermarle, per impedirle che facessero dei momenti istintivi.
"Mia madre-" lo vidi chiudere gli occhi, e ricominciare. "Mia madre si chiamava Elizabeth, Elizabeth Masen, invece mio padre aveva il mio stesso nome, Edward Masen." incominciò. "Eravamo una famiglia felice, nella norma, mio padre era avvocato, mentre mia madre si impegnava nei lavori domestici. Avevo nove anni e mezzo quando sono morti, ed ho visto torgliergli la vita, ho sentito le loro urla, che la notte mi trovano ancora, ho sentito le loro voci sussurrare il mio nome, il loro ultimo sospiro. Ho visto tutto, e non ho potuto fare altro che chiudere gli occhi e soffocare le mie lacrime."
I miei occhi si sgranarono, sentivo le braccia molli.
"Ti va davvero di sentire la mia storia, Bella?" domandò. "Non è per nulla a lieto fine." aggiunse.
Annuì energicamente, per poi sussurrare un debole 'sì'.
"Quella notte faceva freddo, era gennaio, la sera pranzammo come sempre tutti insieme, avevo la febbre, e ricordo che non mangiai praticamente nulla. Mentre mia madre metteva a posto la cucina io e mio padre guardammo un film in tv, non ricordo cosa, molti ricordi li ho cancellati, e non so perchè ma sono quelli piacevoli dell'ultima sera." si schiarì la voce, per ricominciare a parlare."Dopo poco, ci raggiunse anche mia madre, mi portò dei pop corn, in una ciotola rossa,"
Edward non tralasciava nulla, raccontava di ogni piccolo dettaglio, che potesse arricchiere il suo racconto. Molto probabilmente, le volte che lo aveva raccontato a voce erano talmente poche, che pronunciarlo davvero era come dare voce a tutte le immagini, perchè fino a quel momento i suoi occhi avevano solamente continuato a vedere ripetutamente la scena. Dirlo a voce alta era come ricordare meglio, immagazzinare altre informazioni, rinnovare la versione.
"Eravamo seduti sul divano, loro ai miei lati, mi ricordo che improvvisamente mi addormentai, o almeno ero nel dormiveglia quando sentì le braccia di mio padre lasciarmi a letto, nel mio piccolo letto. Mi aggrappai ancor di più a lui, stringendo il suo collo. Mi destai dal mio sogno lamentandomi che volevo dormire con loro, volevo sentire il loro calore." si fermò un attimo. "E credo che se fossi rimasto in camera sarei morto anche io quella notte."
Il mio cuore smise di battere per qualche secondo a quelle parole. Sentivo le lacrime spingere ai lati degli occhi.
"Fecero come gli avevo chiesto, mi portarono nel loro letto, intimandomi che quella sarebbe stata l'ultima volta che mi fossi intrufolato nel loro letto. Sussurraono che ormai ero diventato grande, e che non ci potevamo stare tutti e tre, nel letto." la sua voce si incrinava qualche volta, ma si fermava, riassestandola, o almeno provandoci, e poi ricominciava."Abbracciai mia madre, infilando la testa nell'incavo del suo collo, e dormii inspirando il suo profumo." Intravidi, per quello concesso, un sorriso, uno di quelli amari, dolorosi. "Ricordo ancora adesso il suo profumo, dolce, quasi quanto il tuo." si voltò nuovamente verso di me, guardandomi fugacemente.
"Improvvisamente, però, sentì mia madre che mi scuoteva, che con voce agitata mi sussurrava di nascondermi."chiuse gli occhi, portando la mano destra alla testa.
"Non dimenticherò mai quella voce, gli occhi spalancati dalla paura, mio padre che guardava me e mia madre ancora più timoroso. Mi baciarono entrambi sulla fronte, prima di farmi accovacciare in un baule. Era piccolo rispetto al mio corpo, e la testa faceva in modo che non si chiudesse bene, ma che rimanessero, credo, almeno due centimetri. Lo spazio necessario per i miei occhi di vedere il letto matrimoniale dei miei genitori, e vedere loro. Si stesero a letto facendo finta di dormire, ma quasi percepivo i loro battiti cardiaci accellerati nell'aria, sentivo i miei, ero spaventato, assonnato, confuso, impaurito. Avevo gli occhi sgranati, osservavo i miei genitori fingere di dormire, e mi chiedevo perchè di quel comportamento. Poi me ne accorsi-" prese un bel respiro, "Dei rumori, arrivavano dal corridoio, si stavano avvicinando, aprirono la porta, entrando. Erano due. Vestiti di nero, avevano il passamontagna, e una piccola torcia spenta. Girarono intorno al letto lentamente e senza far rumore, rovistarono nei cassenti di mia madre, e poi in quelli di mio padre, quest'ultimi non si muovevano. Ed io neanche. Ero completamente agghiacciato. Trattenni il respiro per non so quanto tempo, e non mi mossi." La mano dalla testa torna sul torace, a far compagnia all'altra.
Mi sarei voluta avvicinare, prendergli la mano e fermare il suo racconto. Stava male, ed io non volevo, volevo consolarlo, allontanarlo dai ricordi.
Ma non lo feci. Lasciai che continuasse, he mi raccontasse di quella notte.
"Molto probabilmente non trovarono quello che volevano, si guardarono negli occhi, ed uno dei due prese una pistola la puntarono prima su mio padre e spararono. Non fece rumore, molto probabilmente avevano un silenziatore con loro. Mia madre urlò, il mio nome, quello di mio padre, prima che sparassero anche a lei." si girò verso di me, guardandomi.
Ricacciai giù le lacrime, o almeno cercai di farlo. Qualcuna riuscì a ribellarsi, e rigare la mia gote.
"In quel momento seppi che la mia vita non sarebbe stata più la stessa. Stavo per piangere, ma soffocai i singhiozzi, sarei morto anche io con loro se non lo avessi fatto. Non si accorsero di me, non posarono mai lo sguardo sul baule. Dopodiché quello che aveva sparato mise la pistola in vita, e uscirno dalla stanza, facendo cadere a terra un vaso. Sentì bene il rumore della ceramica che si rompeva, mai come in quella notte i rumori erano distinti, forti, amplificati. Sentì successivamente la porta che sbatteva, e fui sicuro di essere rimasto solo. In quella notte la mia vita era cambiata drasticamente. I miei genitori non c'erano più, ero rimasto orfano. Tutto per colpa di qualcosa che io non sapevo cosa fosse, qualcosa di futile, forse soldi, forse qualche documento di mio padre. Sapevo solamente che in quel baule ci sarei voluto restare finchè non fossi morto." La sua voce era addolorata, come se stesse ancora aspettando di ricongiungersi con i suoi genitori.
"Il tempo trascorreva velocemente, o almeno a me così sembrò, sebravo dormissi,come se quello fosse solamente un incubo e che da un momento all'altro mi sarei svegliato tra le braccia di mia madre, che avrei sentito di nuovo la sua voce, avrei sentito il suo profumo invadermi le narici. E poi mio padre, avrei sentito le sue forti pacche sulle spalle tranquillizzarmi. Ma non era così, e lo sapevo." i suoi pugni erano chiusi, riuscivo quasi a distinguerne le nocche bianche. Mi ero avvicinata, forse, incosapevolemte a lui.
Ero rimasta scioccata dalle parole di Edward, e sapevo che la sua storia ancora dovesse terminare.
"Improvvisamente sentì altre persone in casa, e il sangue mi si gelò nuovamente nelle vene. In quel momento ero solo, mi avrebbero trovato, era ciò che pensavo," l'espressione del suo viso era contratta, "Entrarono in camera dei miei genitori, li vidi abbassarsi su di loro, toccarli ed infine dire 'sono morti'. Lo sapevo, ne ero consapevole, ma sentirlo dire dalla voce altrui era come consolidarlo, rendere la notizia ufficiale. Era far morire la speranza che si era creata in me, quella che mi spingeva a pensare che fosse solo un incubo. Poi uno di loro sussurrò il mio nome, ma io non mi mossi, sapevo che non mi avrebbero fatto del male, ma ero sotto shock, e non riuscivo nemmeno a muovermi. Mi cercano per tutta la casa, sentivo continuamente ripetere il mio nome, uno di loro entrò in camera, si guardò intorno, soffermandosi sul telo che avevano disposto sui miei genitori. Sospirò, portandosi una mano sugli occhi, si girò verso il baule, e quando lasciò scivolare il braccio lungo il finaco, si accorse che ero lì." le nocche non erano più bianche, le mani non erano strette a pugno.
"Si avvicinò cautamente, aprendo il baule. La luce mi colpì il viso, e portai le mani alle orecchie, chiusi gli occhi, come per proteggermi sia da quella perona che dalla luce. Mi accarezzò i capelli, facendomi togliere le mani dalle orecchie. Avevo ancora gli occhi chiusi, restai in quel modo per alcuni minuti, prima di farmi forza e aprirli. Guardando meglio la persona davanti a me. Era un maschio, i capelli biondi, e gli occhi azzurri, quasi glaciali. Quello sguardo mi tranquillizzò. Mi prese tra le braccia, appoggiai la testa sulla sua spalla, chiudendo gli occhi nuovamente. Li aprii prima di uscire dalla stanza, l'unica cosa che vidi fu solamente il telo bianco sulle due forme umane." I suoi tratti si erano rilassati un pò. "Mi portò nell'autombulanza, e mi fece sedere su una barella, sedendosi di fronte a me. Mi osservava mentro io avevo lo sguardo basso. Quando lo guardai negli occhi così rassicuranti scoppiai a piangere, mi strinse a sé, per la prima volta. Le sue braccia erano così calde, quasi paragonabili a quelle dei miei genitori, era uno sconosciuto, ma mi strinsi a lui come se lo conoscessi da tempo."
Abbozzò quasi un sorriso, e guardò me. "Tra le sue braccia mi sono trovato benissimo fin dal primo istante, come se mi avessero aspettato da tempo. Quel medico era Carlisle." spostò il busto verso di me, portando le ginocchia davanti a lui e sedendosi. "Mi portò in ospedale, fui seguito da psicologi sia fuori che dentro l'ospedale. Nessuno dei parenti che avevo mi poteva ospitare a casa propria, e Carlisle mi disse che se avessi voluto avrei potuto vivere con lui e sua moglie." il suo sguardo non era più afflitto, pian piano ritornava normale. "Due mesi dopo mi portò a casa sua, ero in suo affidamento, che poi è diventata adozione vera e propria."
Ero a pochi centimetri da lui, vedevo le sue labbra muoversi e tutte le cellule del mio corpo non facevano altro che portarmi a lui, una vocina nella mia testa mi sussurrava di baciarlo.
"La mia adolescenza non è stata affatto facile. Anzi. Continuavo ad andare da uno psicologo, mi ha seguito fino all'età di diciasette anni. Ogni notte sognavo sempre la stessa scena, sognavo i miei genitori morire, urlare, sentivo continuamente spari. Finchè smisi anche di sognare. Prendevo dei calmanti la sera per dormire. Non ho reso facile diventare genitori ad Esme e Carlisle. Sono stato sempre grato a loro due, mi hanno cresciuto come se fossi stato davvero loro figlio, con tantissima pazienza, con orgoglio. E' grazie a loro che sono diventato quello che sono, se sono medico, se sono uomo." Terminò, scese dal muretto, mettendosi d'innanzi a me.
Durante il suo racconto avevo pianto abbastanza, ed in quel momento i miei occhi mi pizzicavano. Spostò il cappello, portando le sue mani sulla mia testa. A quel gesto il mio cuore iniziò a battere sempre più veloce.
S' accorse del livido, e con la sua mano sinistra lo carezzò, l'altra invece si posizionò sulla mascella, sfiorandola delicatamente con il pollice. I suoi occhi s'alternavano a guardare nei miei e ad osservare le mie labbra. Si avvicinò lentamente, i suoi occhi verdi erano ancora scossi dal ricordo, ne vedevo la tristezza, il dolore, ma allo stesso tempo scorgevo la felicità, l'appagamento.
Le nostre labbra, finalmente, si toccarono, assoporandosi a vicenda, chiusi gli occhi, mettendo le mani nei suoi capelli. Il baciò durò a lungo, finchè non ci staccammo per riprendere fiato.
Quella era la prova che l'amicizia non poteva esistere tra due innamorati, era la prova che io ed Edward amici non lo saremmo mai stati. Qualcosa in più, sì.
Ansante mi sussurrò a pochi centimetri dal volto:
"Sono in ritardo, scusami." sul suo volto angelico si aprì un sorriso meraviglioso.
Scossi la testa, le mani di Edward scesero sul collo.
"No, sei in perfetto orario," iniziai. "E' stato un terribile errore lasciarti, Edward, non avrei dovuto lasciare Seattle. E' stato un terribile errore, venire qui con Jacob. Non so come abbia fatto a resistere fino ad oggi, dopo tre mesi senza di te. Mi sei mancato tantissimo, Edward."
"Anche tu mi sei mancata, ed io sono stato uno stupido a fare ciò che ho fatto, a non seguirti, a non venire qui prima e riportarti con me. Sono stato un vigliac-"
"Sht-sht" lo fermai, non volevo che continuasse. "Adesso siamo insieme. Conta questo." dissi, mettendo il capo sul suo petto e stringendomi a lui.
"E' questo l'importante, davvero." mi baciò il capo.
Ci staccammo ed osservammo entrambi il panorama davanti a noi.
Rimanemmo in silenzio per un pò, limitandoci a fissare la città.
"Quando hai scoperto questo posto?" chiese dopo molto, cingendomi da dietro i fianchi.
"Una settimana dopo essere arrivata qui." risposi, sorridendo e ricordando. "E' davvero un bellissimo posto," continuo. "Venivo qui perchè mi sentivo più vicina a te, era
come se stessi accanto a me semrpre, anche se sapevo che non era così."

Si strinse ancora di più a me, bacinadomi il capo.
Mi abbandonai alle sue carezza, alle sue coccole, gustando il suo tocco caldo, il suo profumo.
"Edward?" chiesi.
"Dimmi."
"Hanno mai scoperto il motivo per cui hanno ucciso i tuoi genitori?" cercai di essere più cauta possibile.
"Sì, ma non l'ho mai voluto sapere. Carlisle me ne voleva parlare ma io ho preferito non saperlo."
Avrei voluto chiedergli il perchè, ma non lo feci.
"posso chiederti una cosa io, invece?" domandò, con tutta la gentilezza di questo mondo.
"Sì," dissi, nello stesso momento in cui annuii."Puoi chiedermi ciò che vuoi."
"Te l'ha fatto Jacob, questo?" disse, portando la sua mano sulla tempia sinistra, sul mio livido.
Sospirai prima di dargli la risposta che aspettava.
"Sì, è stato lui." lo sentì irrigidirsi e subito aggiunsi:"Edward, Jacob è lontano, ormai." dissi. Quelle parole dovevano significare tutto per lui. Dovevano fargli capire che non
c'era più nulla che ci univa, che era lontano in tutti i sensi. Sia fisicamente che dai miei ricordi, dai miei pensieri.

"Vorrei spaccargli la faccia per quello che ti ha fatto." parlò, e nel contempo sospirò.
Mi girai verso di lui. Guardandolo negli occhi, nel mare verde.
"Non serve, e non mi importa nulla di lui, e non voglio che tu abbia a che fare con lui." dissi, scandendo le parole una per una.
Scrollò le spalle afflitto.
"Dobbiamo andare prima che la biblioteca chiudi." mi disse all'orecchio. "Prima che ci chiudano qui su."
Annuì. " anche se l'idea di restare qui da sola con te non mi dispiace affatto." sorrisi, come lui.
"Andiamo." aggiunse.
Per mano ci incamminammo verso l'uscita e lentamente, senza farci sentire, uscimmo dall'edificio.
Appena fuori Edward si fermò.
"Tu dove alloggi?" chiedemmo all'unisono.
"Io," iniziai, "Poco distante da qui. Ho in affitto un monolocale. Tu, invece?"
"In un albergo appena svoltato l'angolo," riflettè per un pò prima di sentenziare. "Andiamo a prendere le tue cose?"
Lo guardai confuso. In subbuglio interiore.
"Cosa?" chiesi.
"Vieni con me, no?!" domandò retorico.
"Ma dove?" chiesi, sorpresa."Domani mattina torneremo a Seattle, tu devi rimanere ancora qui?"la sua espressione si era intristita.
"No, torno anche io." sussurrai.
Sorrise, abbraccinadomi. "Andiamo a recuperare le tue cose, signorina Swan?"
"Andiamo, Cullen."

Quindi dopotutto questo NON è un sogno.

Scrivere questo capitolo è stato un pò difficile, chi mi sostiene?!!

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Capitolo 25
*** Erano solo fantasie di un bambino. ***


Grazie per la risposta dell'ultimo capitolo; ringrazio coloro che hanno recensito, grazie, grazie, grazie.

Scusate per il ritardo, ma è ben ripagato dal capitolo più lungo di tutta la FF (o almeno credo).

Buona lettura.
Bella.
Camminavamo lentamente verso il mio monolocale, mano nella mano, alcune volte Edward mi diceva qualcosa all'orecchio, mi parlava, ed io facevo lo stesso solo per sentilo parlare. Il suo tono riusciva a rilassarmi, ero curiosa di sapere, allo stesso tempo, ciò che mi dicesse.
Ed era una prova, era lì, accanto a me. Nessuno poteva dividerci, ormai.
Quando arrivammo a casa, mi osservò mentre prendevo tutta la mia roba, poggiato allo stipite della porta, ogni tanto mi porgeva qualche domanda, e seguiva una mia risposta.
Mi fece ridere quando entrai in bagno, mi seguì (sembrava un'ombra) e fece una smorfia costatando il colore della stanza, sentì un sussurro, lo tradussi con un "Troppo rosa".
"Quindi i tuoi genitori sanno che tornerai a Seattle?" domandò, mentre tornavo dalla cucina nella mia camera, dove sul letto c'era la valigia. Era quasi piena, non avevo tolto quasi nulla da dentro se non le cose che mi sarebbe servite maggiormente.
"Sì," risposi, deponendo lo spazzolino nella tasca posteriore."Ma sanno che torno a Forks, non a Seattle. Diciamo che te non ti avevo messo in conto." abbozzai un sorriso.
Mi imitò. "E quando glielo dirai che torni a Seattle?" chiese retorico.
"Perchè torno a Seattle?" risposi con una domanda, ironizzando.
"Mhm-mhm," iniziò, i suoi occhi brillavano."Credo di sì." Si avvicinò a me, mi girai di spalle, abbassandomi sulla valigia. Mi cinse i fianchi da dietro, avvicinando il suo bacino al mio, mi alzai, facendo aderire anche i nostri busti.
Ogni suo tocco mi emozionava, sentivo il cuore battere, il sangue defluire alle guance, le mani tremare.
Girai il viso verso il suo, sfiorando con il naso il suo volto. Inspirai il suo profumo, dolce, dolcissimo. Mi era mancato. Ogni sua piccola parte, le sue parole, i suoi gesti. Sentilo parlare e parlargli. Mi era mancato il suo profumo, immegermi nella profondità dei suoi occhi.
Mi erano mancati i suoi baci. E cercavamo, in quel momento, di recuperare i mesi perduti, quelli lontani.
Mi baciò una tempia, e pian piano scese verso la guacia, e poi infine sulle labbra; dove indulgiò più tempo.
"E tu," mi fermai per riprendere fiato. "Tu sei felice che venga con te?"
I suoi occhi brillarono ancor di più, non servivano delle risposte, erano superflue.
"Non potrei essere più felice e soddisfatto di così." sussurrò, stringendomi più forte.
"Andiamo?" dissi, staccandomi da lui e chiudendo la valigia.
Annuì, prendendo metà dei miei bagagli (mi lasciò portare soltanto quelli più leggeri).
Prendemmo un taxi, per raggiungere l'albergo in cui alloggiava Edward.
Quando un facchino ci aiutò a portare tutti i bagagli nella hall (inutile dire quanto fosse magnifico l'hotel), Edward si rivolse a me.
"Bella, non sono qui da solo,"iniziò.
Lo fulminai con lo sguardo, e sicuramente si vide sul mio volto un'espressionedi terrore.
"Calmati, e respira," mi disse, accarezzando un braccio per tutta la sua lunghezza. "Respira con me," continuò, mostrandomi come fare. Non mi ero accorta di essere andata in iperventilazione, sentivo i singhiozzi che stavno per perforare il petto. "E' soltanto mio padre, calmati." terminò, stringendomi al suo petto.
"E' soltanto mio padre, calmati." ripetè al mio orecchio.
Mi vergognavo la mia reazione era stata eccessiva, e mi vergognavo che tutti ci guardassero nel grande ingresso.
"Sc-" mi schiarì la voce, allontanandomi da lui. "Scusami," mi sistemai una ciocca ribelle dietro ad uno orecchio. "Non volevo, sono stata troppo drammatica."
"Bella," disse, prendendo la mia mano tra le sue. "Non devi scusarti per nulla al mondo con me, capito?!" le sue mani calde riuscirono a riscaldare anche la mia. "E' comprensibile, avrei dovuto dirtelo con meno mistero." Annì al contempo.
Sorrisi, attenuando l'aria creatasi. Successivamente mi cinse le spalle e ci dirigemmo verso il bancone.
"Una camera matrimoniale." disse, il suo braccio lasciò le mie spalle, prendendo il suo portafogli da dove estresse la carta d'identità ed una carta di credito. In quel momento
lo fermai.

"Edw-" non mi lasciò terminare il suo nome, che mi guardò zittendomi. Cercai di prendere fiato e ricominciare, ma non uscì nulla dalle mie labbra.
La signorina dietro il bancone con un accento tipico messicano, ci augurò una buona permanenza, con un sorrido a trentadue denti.
Usufruimmo dell'ascensore per raggiungere il quarto piano, durante il quale chiesi spiegazioni.
"Edward, non voglio che tu mi paghi il soggiorno qui. Se l'avessi saputo sarei rimasta nel monolocale, e ci saremmo rivisti domani." ero arrabbiata.
"Bella," disse, calmo. Io camminavo per l'ascensore (per quanto piccolo), lui invece era poggiato ad una delle pareti, con le braccia conserte al petto. Non mi girai verso di
lui quando mi chiamò. "Non ne fare un dramma." cantilenò.

"No, Edward." dissi, fermandomi e rivolgendo lo sguardo a lui. "Non posso dipendere da te!" Sbraitai.
"Ne riparliamo dopo." concluse, sempre con una calma eccezionale, un "din" ci avvisò che eravamo arrivati a destinazione.
Uscimmo dalla scatola metallica, arrivando alla stanza trecentododici. Con una carta magnetica, Edward aprì la porta. La stanza era bellissima. Il letto matrimoniale era rotondo, spaziosissimo, il colore dominante era il bianco e il beige.
Mi sedetti con il broncio sul letto, incrociando braccia e gambe.
"Adesso ne possiamo parlare, no?" chiesi, guardandolo. Era davanti a me, impiedi.
"Non farne un dramma, Bella," scrollò le spalle, posando i suoi documenti su un mobiletto. "Non ce n'è bisogno. Non sprecare tutte queste forze per una cosa da nulla."
"Non è da nulla! È questione di principi."
"Non credo." parlò e si diresse verso una porta, che molto probabilmente portava al bagno. "E poi non mi hai ancora detto cosa pensi."
Alzò il tono di voce, così che io potessi sentirlo dall'altra stanza.
Feci lo stesso anche io. "Di cosa?"
La rabbia non era ancora sbollentata.
"Di quello che ho detto prima."
Guardai in direzione della porta, aspettando che ritornasse.
Pensai a quello che mi aveva detto nella hall; di quando avevo temuto di cadere nel panico, e poi mi venne in mente. C'era suo padre, a quel pensiero rabbrividì.
Quando mi destai dai miei pensieri mi fissava.
"Mhm-mhm-" non sapevo che dire.
"Ti va di conoscerlo?" chiese.
Feci un bel respiro profondo, e con le guance in fiamme annuì. Prima o poi l'avrei dovuto conoscere.
Il suo sguardo incerto, si ravvivò, e non potè reprimere un sorriso.
Si avvicinò a me, sedendosi al mio fianco. Le sue emozioni si potevano leggere sul viso.
Era entusiasta, felice, euforico.
Mi abbracciò e cademmo sul letto, la mia testa era sul suo petto, quasi nell'incavo del collo.
"Guarda che io ancora non ti ho perdonato." dissi, intrufolandomi nello spazzio tra il letto e il suo busto, per non farmi vedere.
Cercò in ogni modo di trovare le mie labbra, e quando fece per lasciarmi mi strinsi a lui, avventandomi sulle sue labbra. Il bacio fu intenso. Le sue labbra erano morbide, e
dolci.

"Mi sei mancata." ripetè.
"Anche tu, tantissimo." Cercai il mio posto tra le sue braccia, che sembravano fatte apposta per me.
"Sembravo morto," iniziò a dire. "Tutti si sono accorti del cambiamento, ho raccontato tutto ad Esme e Carlisle, e mi sono sentito meglio, sai," incominciò a raccontare, era tardi, e cercai di nascondere uno sbadiglio.
"Ho parlato prima con Carlisle di tutto, di te, del nostro rapporto." il mio cuore iniziò a battere. Aveva detto a suo padre anche del mio passato?
Si accorse della mia agitazione dagli occhi, e mi rassicurò.
"Non ho detto nulla di ciò che ti è accaduto, nè di Jacob, nè altro," feci un cenno positivo e continuò.
"Mi ha dato dei consigli, che non ho saputo accettare e seguire. I miei amici hanno fatto tutto, tutti si sono messi in moto per aiutarmi iniziando da Alice, poi Jasper, Emmett ed infine Rosalie. Alice è quella che ha architettato tutto. Lei mi ha passato il telefono una settimana fa; è stata lei ad aiutarmi maggiormente. Credo che le dobbiamo molto."
Annuì, incintandolo a continuare.
"Mi hanno tirato su il morale, mi hanno fatto sorridere qualche volta, e mi hanno parlato delle cose che avrei dovuto fare anche se tu eri inrecuperabile. Dicevano che avrei dovuto provare a parlati, magari telefonarti. Alice mi ha dato il tuo numero di cellulare," mi carezzò le spalle, dolcemente, quel movimento non faceva altro che invogliarmi nel mondo dei sogni, ma la curiosità di sapere cosa avesse da dire mi faceva tener ben aperti gli occhi. "mi ha detto lei che tu eri a Chicago, che eri partita con Jacob. Era la conferma di quello che mi avevano detto i tuoi genitori. Ho trattato male tutti all'inizio, mi chiedevano in continuazione cosa avessi, se stessi bene; avevo bisogno di pensare continuamente, e loro non facevano altro che disturbarmi. Poi sono scoppiato prima con Carlisle; la prima persona con cui potevo parlare, ricevere consigli che mi potessero servire. Poi a mia madre. Alice ha iniziato a ricostruire da sé tutto, io non le ho detto nulla. E poi l'ha detto agli altri," riprese fiato, la sua mano si era spostata sul braccio. "In tua assenza mi sono sentito vuoto, inutile, quasi depresso. Anzi, ero depresso. Credo che i pazienti in reparto mi scansassero, non volevano che una specie di zombie li curasse. Mi sentivo come quando una persona muore, come quando morirono i miei genitori, completamente estraniato dal mondo, solo." Lo guardai negli occhi, che erano persi nel vuoto. Gli baciai la mascella, e si riprese dal suo stato di trans. Ricominciò a parlare. "Credo di doverti continuare a raccontare la mia storia, ti ho riassunto troppo velocemente la mia adozione, e ho saltato dei pezzi importanti."
Io annuì, portandomi più vicino a lui, sentivo il suo profumo, il suo alito fresco mi accarezzava il volto, anche se non potevamo guardarci negli occhi.
Mi riparai meglio nell'incavo del suo collo per paura che le lacrime, la sofferenza che il suo racconto avrebbe scatenato potessero notarsi, non volevo che si vergognasse o pentisse si raccontarmi il suo passato, d'altronde c'ero passata anche io. E non era una situazione piacevole.
"Inizio dal mio arrivo in ospedale, non sei stanca? Ti lascio dormire, continuiamo questa conversazione in un altro momento."
"No, Edward," dissi, schioccandogli un bacio sul collo. "Continua, voglio sapere, e poi non sono stanca."
Lo sentì anniure, e prendere un altro bel respiro profondo.
"Quando arrivai in ospedale, ero sotto shock, non parlavo, non riuscivo a badare a me stesso, come un bambino della mia età poteva benissimo fare; c'era sempre qualcuno vicino a me, infermiere, dottori, ho conosciuto moltissimi psicologi, cambiavano di giorno in giorno; non ricordo molto, molte cose stanno tornando col tempo, ma è sempre più difficile ricordare, la mia mente ha cancellato tanti ricordi, purtroppo. Coloro che, maggiormente mi assistevano erano due persone: Carlisle ed Esme. Inizilmente solo lui, appena aveva un minuto libero veniva da me, passavamo interi pomeriggi a parlare, o meglio, lui parlava, io ascoltavo passivamente."
"Come me..." lo interruppi.
"Cosa?" ripetè. La sua mano dal braccio si era spostata nuovamente sulla schiena.
"Carlisle veniva da te appena un minuto libero, proprio come tu facevi con me."
"Sì, proprio come me," lo sentì ridere, e la sua mano toccò la pelle scoperta, dalla maglia, della schina. Si fermò lì; la sua mano era grande e calda, feci di tutto per non irrigidirmi, anche se sapevo che il tocco era quello di Edward, che lui non mi avrebbe fatto del male, il mio incoscio mi sussurrava di allontanarmi. Era una cosa, del tutto involontaria, ed era più forte di tutto, riusciva a sovrastare la ragione, ed il cuore.
"Continua," lo incitai. Con il suo racconto incominciò anche un movimento rotatorio sulla zona lombare della schiena, da parte della sua mano sotto la maglia.
"Poi dopo un pò, non ricordo quanto, vidi una faccia nuova, non indossava un camice Era Esme. È con lei che sono riuscito a parlare per la prima volta, a lei ho chiesto di leggermi una nuova storia, mi comprò un libro, una raccolta di storielle per bambini; me ne leggeva almeno un paio ogni volta che mi veniva a trovare, e veniva molto spesso.
Quando ricominciai a sfamarmi da me, senza l'aiuto di nessuno, né tanto meno delle flebo, e quando incominciarono a vedere dei miei miglioramenti, mi dimisero." La sua mano scendeva e saliva sotto la stoffa, sulla schiena, creando mille brividi. "Visto che nessuno poteva ospitarmi, dei miei parenti; mi accolsero con loro Carlisle ed Esme. Anche a casa loro era molto difficile. Ogni notte sognavo sempre la stessa cosa, sempre la stessa scena; mi svegliavo nel cuore della notte, nelle braccia di Esme, mi cullava e rasserenava. Poi ho iniziato ad assumere farmaci, per dormire meglio, e senza incubi. È servito abbastanza, per un periodo di tempo non sognavo più, riuscivo a dormire per più di sette pre senza mai svegliarmi. Adattarsi ad una nuova vita è stato difficile. Ero abituato in tutt'altro modo, e trovarmi improvvisamente con dei perfetti socnosciuti è riusultato un mutamento notevole."

Le lacrime agli occhi c'erano. Si erano annidate agli angoli, pronte a sgorgare fuori.
"Intanto quattro volte alla settimana andavo da uno psicologo, che mi ha aiutato a rielaborare il tutto, mi ha aiutato a stare meglio e togliermi un pò del macigno che sentivo sulle spalle. Una buona parte l'hanno tolta i miei genitori adottivi, ed altra invece la stai eliminando tu," disse, prendendo il mio mento e portando i miei occhi nei suoi. Mi sorrise, ed io, malgrado ancora le lacrime agli occhi, cercai di ricambiare.
La sua mano sulla mia schiena si fermò, spingendo il mio corpo verso il suo, ed iniziando a baciarmi. Quel bacio era tormentato, sentivo le sue labbra sulle mie frettolose, sentivo quasi le sue stesse emozioni quesi come se fossimo in simbiosi. Quando si allontanò da me, poggiai la mia testa sul suo petto. Nel silenzio della stanza sentivo il suo cuore battere velocemente, quasi quanto il mio.
"Malgrado volessi tantissimo bene a quelle due persone che mi stavano salvando," sentivo le parole rimbombare nel suo sterno, "Non riuscivo a parlare davvero con loro delle mie emozioni, e di me in generale. Sentivo sempre un blocco verso gli altri, mi sentivo un intruso nelle loro vite. Riuscivo a far diventare una delle poche giornate migliori che trascorravamo, in giornate da schifo, soltanto per colpa mia. Li facevo sempre stare in pensiero, avevo undici-dodici anni e potevo girovagare per il quartiere, senza
allontanarmi troppo, facevo così, rispettavo gli orari di rietro, e penso che loro sostenessero che giocassi con altri ragazzini del quartiere. Ma non era così. Rimanevo la maggior parte del tempo in disparte, c'erano altri ragazzini, ma erano troppo grandi, e preferivo restare in solitudine che fare marachelle con loro. Pensavo che sarebbe stato meglio restare da solo, che unirmi e fare amicizia con altri. E così, in uno dei tanti giri nel quartiere che entrai per la prima volta in una biblioteca."

I miei occhi cercavano di chiudersi, ma grazie alla mia forza di volontà riuscì a tenerli aperti. Ero stanchissima, non dormivo da più di ventiquattr'ore e potevo resistere solo altri pochi minuti.
"Salì la prima volta sul terrazzo con un libro fra le mani, e restai lì a leggere per due ore, finchè non si fece l'ora di rotornare a casa." Mi massaggiava le spalle, e quel movimento non faceva altro che invogliare il sonno ad arrivare.
"Sono stato tantissimo tempo su quel terrazzo; e mi piaceva starci-"
"Ma perchè? Intendo, ci deve essere un motivo, no?!" domandai, interromepndolo nuovamente.
"Tu perchè ci sei andata? Cosa ti ha spinto a salirci?" rispose con un'altra domanda.
Ci pensai qualche minuto, per poi rispondere:"Mi faceva sentire più vicino a te, mi piaceva poter pensare che in quel posto c'eri stato anche tu, mi sentivo nei tuoi ricordi, era come se già conoscessi da un pezzo quel posto e che non fosse nuovo, nemmeno la prima volta che ci sono stata."
"Per me, è quasi uguale. Mi sentivo a stretto contatto con i miei genitori, come se l'altezza li rendesse più vicini. Mi sentivo un bambino normale, lì su. Come se apettassi ch ei miei genitori rinascessero, e tornassero da me. Pensavo che avremmo potuto ricominciare la nostra vita. Erano solo fantasie di un bambino." Lo guardai negli occhi, intrecciando le mie mano con le sue.
"Credo che sia normalissimo per un bambino fare questi pensieri. Avevi solo dieci anni, hai avuto esperienze che nessuno in una vita potrebbe mai immaginare. Non è una cosa da nulla," cercai di giustificare, qualcosa che non c'era. Ma ne sentivo il bisogno, solamento per tranquillizzarlo. Il suo tono di voce si faceva sempre più sofferente, più tormentato.
"No, nessun bambino dovrebbe passare ciò che ho subito io, nessuno." sospirò, e con lui anche io. "Ti racconto la fine, così che tu possa addormentarti, è tardi," disse,
contornando le mie occhiaie, sicuramente più che livide. Sentivo il corpo sospeso in aria, quasi non sentivo gli arti, e la mente era offuscata dalla stanchezza. Gli sorrisi, diffondendo calore. "Passarono mesi e continuavo ad andare lì sopra, Esme e Carlisle continuavano a chiedermi cosa ci facessi, ma io non gli rispondevo. Hanno vissuto con me, tantissime menzogne e ansie. Quando poi gliene parlai mi ascoltarono in silenzio. Eravamo a tavola, ed io non ce la facevo più a sostenere un silenzio ogni volta che ci fossi io. Gli spiegai che sul terrazzo leggevo e sognavo tanto. Gli raccontai delle mie emozioni, come sto facendo adesso con te, da quel giorno il nostro rapporto cambiò, anche se non gli ho mai raccontato tanto della mia vita, ero sempre molto timido e discreto. E non volevo che si scocciassero di me, che diventassi un peso. Adesso solamente so che per loro non sarei mai diventato un peso. E cerco, cercherò di recuperare tutto il tempo perduto, loro sono i miei genitori. E lo resteranno, spero, per altro tantissimo tempo." concluse.

Mi portai alla sua altezza, la mia fronte toccava la sua, e le nostre mani, ancora intrecciate erano vicino alla mia pancia.
"Non sai quanto mi faccia piacere conoscere la tua storia, anche se è molto triste, mi fa piacere che tu mi abbia reso partecipe del tuo passat-" venni interrotta da un suo bacio, si avventò sulle mie labbra con veemenza, lasciando una delle mie mani e riportandola sotto la mia maglia, accarezzava i fianchi, la schiena, fino ad arrivare, lentamente, alla pancia. Le sue mani erano ai confini tra i pantaloni e le pelle scoperta, e non osò varcarli. Accarezzò lentamente la mia pancia, creando forme inesistenti, e contemporaneamente mi baciava. Fu quello a restituirmi un pò di lucidità.
Ci fermammo ansanti, entrambi. Ma le carezze non cessarono.
"Hai fatto anche tu lo stesso con me, mi hai reso partecipe del tuo passato, e dei tuoi ricordi, malgrado tu ne soffra ancor di più." disse, spostando la sua fronte sulla mia e chiudendo gli occhi. L'osservai, il suo viso aveva tratti dolci, ma allo stesso tempo spigolosi come quelli di un uomo. La sua pelle era liscia, perfetta. Le sue labbra rosse, che solo a guardarle ti facevano venir voglia di baciarle.
Non riuscì a soffocare l'ennesimo sbadiglio, e Edward se ne accorse.
Aprì immeditamente gli occhi, e la mano sulla mia pancia si fermò.
"Scusa..." farfugliai, arrossendo.
"No," la sua mano lasciò la mia pelle, e la portò sul volto. "devo lasciarti, sei stanchissima."
"N-n- non rimani qui?" riuscì infine a dire.
"Mio padre si starà chiedendo di me, è tardissimo, Bella."
Non nascosi la mia espressione delusa. Si sedette sul letto, sostenendosi con le braccia.
"Anche a me dispiace, ma devo andare, si starà chidendo di me." continuò. "Ci vediamo domani mattina," e mi sorrise, rassicurandomi.
Non mettevo in dubbio la sua parola, ma avrei preferito che stesse tutta la notte con me.
"Non puoi chiamare tuo padre e dire che lo raggiungi domani?" chiesi, speranzosa.
"E' a due stanze da qui." disse, indicando la porta.
"Davvero?" domandai, ed un altro sbadiglio mi colpì.
"Sì, ci vediamo domattina, Bella. Buonanotte." si avvicinò, bacinaodmi le labbra.
"Domani," iniziò a dire, con gli occhi illuminati da una strana luce. "Domani te lo farò conoscere." e terminò con un sorriso.
Annuì, non del tutto sicura.
"Ci vediamo doma-" e l'ennesimo sbadiglio fece allargare la mia bocca smisuratamente. "-ni." conclusi la parola.
"Se vuoi, però, posso aspettare che tu dorma, non ci vorrà molto." parlò, avvicinandosi e facendo per stendersi di nuovo al mio fianco.
"No, hai ragione, primo tuo padre si sarà preoccupato a morte, secondo non ci metterò molto ad addormentarmi..." lasciai la frase in sospeso, mi mandò un'occhiataccia,
scrollando le spalle.

"Dai, vai." lo incitai; mi inginocchiai sul letto aggiustando il colletto della camicia, e baciandogli il naso, poi feci forza (la poca forza che mi era rimasta) e riuscì a farlo alzare dal letto. Con lui anche io. Lo accompagnai alla porta, dove ci baciammo ancora per un'ultima volta. Eravamo avidi l'uno della l'altra.
"Ci vediamo domani," sussurrò tra un bacio ed un altro. "Anzi, più tardi."
Annuì, aprendogli la porta e facendolo uscire. Se fosse stato per lui saremmo restati tutta la notte a baciarci sulla soglia della porta.
E di certo, non mi dava per nulla fastidio.
Lo vidi allontanarsi qualche passo, prendere dalla tasca una carta, come quella della mia camera e ne aprì un'altra, quella in cui alloggiava con il padre.
Chiudi la porta prima io, accertandomi che fosse chiusa per bene, e mi diressi verso il letto, dove mi buttai a peso morto, su. Riuscì ad arrivare ai cuscini, e appoggiare la
testa su, che ancora vestita persi i sensi in pochi minuti, entrando nel mondo dei sogni e respirando l'odore di Edward impresso sui cuscini.

"Bella?" ero nel dormiveglia quando qualcuno mi chiamò, non volevo svegliarmi, avrei voluto continuare a dormire serenamente.
"Bella?" ripetè la voce, era dolce, cristallina.
"Mhm-mhm" mugugnai.
"Svegliati." riconobbi che la voce fosse quella di Edward.
Aprì lentamente gli occhi, e trovai quelli verdi intensi di Edward osservarmi.
"Sono stanca" riuscì a dire con la voce impastata dal sonno. Richiusi gli occhi.
"Non fare la bambina, sono le dieci del mattino."Tra meno di sei ore abbiamo l'aereo."
"Appunto,"dissi, senza muovermi, sempre con gli occhi chiusi e cercando, invano, che il sonno non si allontanasse. "Fammi dormire ancora un pò."
Iniziò a baciarmi il collo, per poi passare alle guance, e alle tempie.
"Guastafeste." mormorai tra un bacio e l'altro. Finalmente mi degnai di aprire gli occhi, mi stiracchiai, e Edward si allontanò da me sorridendo.
"Devo scendere a tali compromessi per farti svegliare?"
"Mhm... sì." e gli feci una linguaccia. "Vado in bagno, torno subito." dissi, alzandomi velocemente dal letto e andando verso il bagno. Prima che varcassi la soglia del bagno
mi accorsi di un vassoio sul comodino del mio letto. Mi fermai di botto, girandomi verso Edward.

"Cos'è?" chiesi, indicandolo.
"Ti ho portato la colanzione come facevo in ospedale."
Sorrisi, e sussurrai: "Torno subito."
Mi lavai velocemente la faccia ed i denti, senza soffermaimi sui miei capelli aggrovigliati in un unico nodo. Quando uscì Edward aveva "apparecchiato" il letto, aveva messo il
vassoio delle piccole ciambelline piene di zucchero e cioccolato su, e poi c'erano due bevande calde fumanti, che riconobbi essere un caffé lungo e una cioccolata.

Era tanto che non mangiavo e mi si fece l'acquolina in bocca.
"Vieni a mangiare, presto. Prima che si freddi il tutto." disse, era seduto sul letto, con una gamba a penzoloni e l'altra che toccava terra. Feci come mi aveva detto e corsi verso il letto, adagiandomi lentamente per non far cadere le bevande.
"Mangia." ordinò. "Ti piacciono vero, le ciambelle?" chiese.
"Sì, sono troppo golosa." mi giustificai. Presi una ciambella, e dando un morso. Vidi che lui non le toccava, ma sorseggiava solamente il suo caffé.
"Tu non le prendi?" domandai.
"No, grazie."
"E credi che io mangi tutto questo?" feci segno al vassoio.
Annuì con disinvolutura. Aggiungendo: "Sei dimagrita, e tanto, quindi devi rimettere su qualche chilogrammo."
" Non è vero!" riuscì a dire con la bocca piena.
Alzò un sopracciglio.
"Ok, qualche chilo... " dissi, infine.
"Mangia." ripetè.
Non avevo voglia di controbbattere e la fame era talmente elevata che non me lo feci ripetere due volte.

"Vuoi chiamre i tuoi genitori?" chiese, avvicinandosi a me.
Ero riuscita a cambiarmi, dopo aver mangiato tutta la colazione che mi aveva portato Edward; pensandoci bene non era poi così tanto. Avevo legato i capelli in una coda alta, riuscendo a mascherare il disastro.
"Sì, grazie." dissi, prendendo dalle sue mani il cellulare. Edward si sedette sulla poltrona davanti alla tv spulciando un rivista, mentre io seduta a cavalcioni sul letto digitai il numero del cellulare di mia madre.
Rispose dopo un'infinità di tempo.
"Mamma?"
"Ehy, Bella! Come va?" chiese. Era particolarmente entusiasta.
"Tutt bene?" domandai a mia volta.
"Sì, sì. A te, invece?"
"Tutto bene, mamma," meditai sull'opzione dire la verità, o mentire. Ed infine decisi che inizialmente, o almeno per la prima settimana avrei potuto dirle qualcos'altro che non fosse la verità. "Ti ho chiamata per dirti che parto per Seattle, ma non torno a Forks."
"Ma quando?" disse, confusa. Dopo averle detto che in qualunque caso sarei tornata a Forks era normale che fosse confusa.
"Tra poche ore." risposi.
"E perchè? "
"Ho da fare a Seattle. Ma verrò a trovarti, tra una settimana o due." annunciai.
"Va bene, non ti chiedo nulla, Bella, perchè so che tu me lo avresti già detto senza che io ti domandassi nulla, ma sei sicura? Posso stare tranquilla qui a casa?"
"Sì, puoi stare tranquilla, mamma. Tra una settimana o due, come già ti ho detto verrò da te e da papà. Non c'è nulla di cui preoccuparsi."
"Mi fido."
"Quindi a presto, mamma."
"A presto." disse, sospirando per poi riattaccare.
Passai il cellulare a Edward, che mi aiutò a chiudere nuovamente la valigia, dalla quale avevo preso alcuni vestiti.
"E adesso?" chiesi.
"Adesso," disse, guardando l'orologio. "E' tempo delle presentazioni."
Il mio cuore battè a mille.
Deglutì a fatica, cercando di nascondere la mia paura.
E se non mi avessero accettato? Loro erano persone colte, e se avessero saputo che ero stata in una clinica di salute mentale? Mi avrebbero voluto lo stesso al fianco del
proprio figlio?

"Sei sbiancata." disse, Edward avvicinandosi a me. "Stai bene?" chiese, sostenendomi per le braccia. Forse ero talmente bianca da farlo preoccupare.
"Sì, sto bene," deglutì un'altra volta, più facilmente. "E se non dovessi piacere?" domandai.
"Una reazione del genere per una semplice presentazione?" chiese.
Annuì energicamente, tanto che il viso di Edward mi sembrò sfocato.
"Non preoccuparti, vedrai che andrà tutto bene."
Speriamo, pensai.
Prendemmo le mie cose, e lasciammo definitivamente la stanza. Ci dirigemmo nella hall, e nel tragitto chiesi un paio di cose a Edward.
"Tuo padre sa che sono qui con te?"
"Sì, lo sa. Glielo ho detto ieri sera, quando sono rietrato." disse, tranquillizzandomi.
Feci un bel respiro profondo, almeno la prima cosa era andata.
"Già gli hai parlato di me, giusto?"
"Sì, ho già parlato di te, con loro." cantilenò.
"Ma sei sicuro?" chiesi per la centesima volta, sempre più titubante.
"Sicurissimo." disse, cingendomi le spalle con il suo braccio.
Arrivammo nella hall, era abbastanza deserta, tranne che per un'angolo dove c'era una persona. Era alto, più o meno quanto Edward, capelli biondi con qualche striatura bianca, ma quasi indistinguibile e occhi di uno straordinario azzurro cielo.
Sorrisi mentre ci avvicinavamo mano nella mano (avevo preferito così, invece che con il braccio di Edward a cingermi le spalle), e il padre di Edward fece lo stesso.
Oltrepassammo un divano, e ci trovammo davanti a Carlisle, o meglio il signor Cullen.
"Papà, lei è Bella. Bella, lui è mio padre." il mio cuore galoppava a mille, come quando sei di fronte alla commissione per un esame, se non di più.
Sicuramente le mie guance si erano tinte di rosso.
Gli porsi la mano, e lui la strinse, la sua mano calda entrò in contatto con la mia fredda e quasi sudaticcia per la tensione.
"E' un piacere conoscerti, Bella." disse.
"Anche per me è un piacere." risposi sorridendo.
"Allora, fatte le presentazioni, andiamo?" chiese Edward, cingendomi la vita.
"Certo, andiamo, i bagagli sono già partiti per l'aeroporto." ci informò, Edward annuì, e mi trascinò un pò più distante da Carlisle, prima di sussurrarmi all'orecchio:
"Vedi, è andata tutto bene, cosa temevi?"
Nel petto sentì crescere un'emozione che era mancata per un pò, troppo, tempo: la felicità.

I vostri genitori/amici/fidanzati hanno mai scoperto la verità dopo aver detto una bugia?

Quanto mi mancavano i capitoli mielosi!

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Capitolo 26
*** Solo per lui. ***


Mi scuso per l'immenso ritardo con cui aggiorno la fanfiction, sono imperdonabile, lo so. Non voglio addormentarvi, deprimervi con i miei problemi, le mie giustificazioni, preferisco andare avanti velocemente, solo una cosa: scusate.

 

Sono una persona che sa mentire troppo bene, fin troppo. Riesco a mentire su tutto, riesco a non dimenticarmi, mai, delle mie bugie, riesco (nel 99% dei casi) a non farmi beccare con le mani nel sacco), ma non mento spesso, anzi quasi mai. Una bugia tira l'altra, ogni bugia ha bisogno di altre per non farsi scoprire, quindi è una catena senza fine, ed io preferisco non iniziarla.

Siamo arrivati agli sgoccioli di questa fanfiction (purtroppo, per me) manca solo un capitolo e poi l'epilogo per mettere fine a questa favolosa (sempre per me) avventura.

Che dirvi di più, accettate questo capitolo per quello che è, sono andata in crisi per scriverlo, e spero che questa versione finale vi piaccia.

Buona lettura.
Eravamo all'aeroporto; stavamo aspettando l'ora giusta per imbarcarci, i bagagli erano già sull'aereo, mancavamo soltanto noi.
Avevamo preso un taxi dall'albergo, il veloce viaggio era stato silenzioso, la mano di Edward era stata intrecciata alla mia tutto il tempo; il padre, invece, cercava in tutti i modi di non osservarci, ma soprattutto di non osservarmi. Forse non voleva mettermi in imbarazzo, non voleva che provassi vergogna, magari non voleva disturbare me e Edward, in qualunque caso lo apprezzai.
Non avevo mai conosciuto i genitori dei miei ex ragazzi, tranne che con Jacob. Con quest'ultimo avevo un rapporto fin dall'infanzia (anzi, fin dalla nascita) con la sua famiglia, conoscevo Billy (il papà di Jacob) quasi quanto mio padre, e non c'era mai stato imbarazzo fra di noi, non c'era modo di essere vergognati o quant'altro, eravamo amici e molto legati. Con i fidanzati precedenti, non avevo avuto mai occasione di incontrarli, non ce n'era stato il tempo, né tanto meno la voglia. Erano stati rapporti fugaci, superficiali, anche con Mike, con lui avevo avuto un rapporto più lungo, ma allo stesso tempo era paragonabile a quelli occasionali.

Invece con Edward era diverso, eravamo stati pochissimo insieme, cinque giorni, più altri tre mesi senza mai vederci né sentirci, ma era molto diverso. La nostra relazione era molto profonda, completamente opposta alle precedenti, o almeno per me. Riuscivamo a capirci, ad intenderci anche senza parlare, riuscivo a capire il suo disagio, oppure la confusione, il compiacimento, solamente dagli occhi, rispecchiandomi in essi.
Era un legame molto profondo, avevamo trovato l'amore, entrambi.
Eravamo seduti nel grande atrio dell'aeroporto e parlavamo io e Edward.
Edward...” iniziai, il padre era andato a prendere un caffè sia per lui che per Edward, alla domanda ' a te cosa porto' da parte del signor Cullen, avevo risposto: “Nulla,
grazie.”, ed ero arrossita.

Sì?” rispose immediatamente. Era distratto ed era sobbalzato al mio richiamo.
Hai detto a... hai capito chi, hai chiarito con lei?” balbettai.
Sì, il giorno stesso del tuo compleanno,” iniziò. “Va tutto bene.” sorridendo infine, e carezzandomi la schiena con un braccio, in modo da tranquillizzarmi.
E' tutto a posto, quindi?”
Sì, va tutto magnificamente bene. È il passato ormai, Bella. Iniziamo daccapo, non pensare a ciò che è successo, non farlo. Starai solo male in questo modo.” il suo tono è dolce, delicato.
Hai ragione, scusa.” dissi, portando una mano alla fronte.
Sorrise, alzando le spalle.
Vedi il padre di Edward avvicinarsi a noi, e mi ricomposi velocemente. Sembrava di essere ritornati a scuola, quando all'arrivo dei professori, tutti, di corsa, tornavano ai propri posti, per non avere una nota o un'interrogazione per punizione.
Si avvicinò al figlio, porgendogli il bicchiere di carta gialla. Per poi sedersi accanto a lui.
Grazie,” sussurrò al padre, per poi voltarsi verso di me. “Ne vuoi un po'?”
No, grazie.”mi schiarì la voce. “Non tollero il caffè.”
Ripetei le stesse parole che avevo pronunciato in ospedale, in una delle tante colazioni di rito.
Una melodia appena udibile, nel baccano dell'aeroporto, si udì. Il cellulare di Edward. Quest'ultimo lo estrasse dalla sua giacca, pigiando il tasto "Yes". Posò il caffè sul tavolino in vetro davanti alle sedie, su cui sedevamo, prima della partenza; aspettando che ci chiamassero per il check-in.
Lo vidi annuire, risponde ed interloquire con la persona dall'altro capo della cornetta, parlava e allo stesso tempo sorrideva, contenta per qualunque cosa gli stessero dicendo.
Aspettai che staccasse, sorrisi anch'io, contagiata dal buon umore di Edward.
Intorno a noi c'era folla, persone che, come noi, aspettavano che il loro volo venisse chiamato, si sentiva un continuo brusio, quasi fastidioso. Sedevano tenendo a freno bambini, e ragazzi che continuavano ad urlare e giocare nell'ampio atrio.
Il padre di Edward, alla sinistra di quest'ultimo, leggeva un libro, e beveva il suo caffè. Continuava a non alzare gli occhi su di noi, ma credevo che stesse prestando attenzione a quello che dicevano ad Edward.
Quest'ultimo salutò il suo interlocutore, e mise il cellulare nella tasca della giacca.
Mi voltai verso di lui sorridente.
Mi guardò entusiasta ed euforico, iniziando a parlare, avendo così, l'attenzione di suo padre.
Mi ha chiamato Emmett,” disse, rivolgendosi più a me che a suo padre. “Dobbiamo festeggiare,” continuò, la mia espressione si fece confusa, morivo dalla voglia di sapere cosa dovessimo festeggiare. “Hanno avuto i risultati del concorso-esame per diventare primario,”
Si fermò, e guardò il padre che l'abbracciò. Io non capì nulla, non sapevo a cosa si riferisse.
Emmett era diventato primario? Oppure...
Sono primario,adesso!” trillò, abbracciando me.
E' una cosa bellissima, Edward! Non sai quanto sia felice per te!”Gli diedi un veloce bacio sul collo, euforica quanto lui. Ci allontanammo, e Edward prese una mia ciocca
di capelli tra le dita, e posandola dietro l'orecchio.

Quando hai fatto l'esame?” chiesi, le mie mani erano tra le sue, sulle mie ginocchia.
Il tredici settembre, il giorno del tuo compleanno, poco prima che Alice mi passasse la tua telefonata.”
E perché non me ne hai parlato?” domandai, esitante.
Perché non ero sicuro del risultato, e poi avevo cose migliori da dirti.” continuò.
Il padre di Edward era tornato a leggere il suo libro, e ne approfittai per dargli un bacio sulle labbra.
Anche questa è una cosa importante,” dissi,al suo orecchio pochi secondi dopo.
Alzò le spalle, baciandomi l'orecchio.
Non quanto le altre, Bella. L'ultima cosa che mi sarebbe venuto in mente di dirti era questa.”
Non sono d'accordo.” ripetei.
Fummo interrotti dall'altoparlante, che chiamava il nostro volo.
Dobbiamo andare,” disse il signor Cullen, mettendo il dito a mo' di segnalibro tra le pagine, prese un pezzettino di carta ritagliato da una rivista, e lo mise al punto in cui aveva smesso di leggere.
Io annuì, come, anche, Edward.

Quando dovremmo festeggiare?” chiesi nell'aereo, quando avemmo preso posto.
Eravamo in prima classe, io e Edward eravamo nella fila anteriore, mentre il padre di quest'ultimo dietro di noi, immerso nella lettura.
Appena arriviamo a Seattle, prenderemo la mia auto,andremo in ospedale," iniziò, giocherellando con la cintura di sicurezza. “Festeggeremo,” continuò, facendo segno con le dita due virgolette. “Nella stanza per i medici. Avranno comprato e organizzato qualcosa, per dare il benvenuto al nuovo primario.” concluse, indicandosi.
Ho capito, quindi andremo direttamente lì? Non avrò il tempo di prepararmi?”
Non c'è bisogno che ti prepari, sei bellissima già così.” sorrisi a quelle parole, abbracciandolo. Lasciò teneri baci sul mio capo, e posò la sua guancia sulla mia testa. Rimanemmo in quella posizione per vari minuti, fin quando non sentimmo:il motore dell'aereo ruggire, la voce della hostess che ci pregava di tonare ai nostri posti, ed infine la voce del capitano, attraverso l'altoparlante che ci augurava buon viaggio.

Come hai conosciuto Emmett e Jasper?” chiesi improvvisamente, quando ormai l'aereo era ad alta quota, e le hostess ci avevano permesso di togliere le cinture di
sicurezza.

A Seattle, poco dopo essermi trasferito. Andavamo a scuola insieme, e ci siamo conosciuti. Inutile dirti quanto fossimo legati l'un l'altro. Abbiamo trascorso tanti momenti insieme, ci siamo divertiti tantissimo. Abbiamo frequentato la stessa scuola, lo stesso college. Abbiamo studiato insieme quando gli argomenti erano gli stessi, quando potevamo farlo,” disse, mi guardava negli occhi senza mai distogliere lo sguardo. “Poi abbiamo scelto vari rami della medicina, io ed Emmett medici generici, mentre Jasper ortopedia. Bhè, dobbiamo dire che ci siamo sostenuti gli uni con gli altri, non abbiamo mai mollato, ci facevamo forza insieme.”
Mi piace il vostro rapporto,” iniziai, prendendogli la mano ed iniziando a giocherellare con le sue dita. “Siete molto uniti, scherzate, vi divertite insieme. Vi conoscete benissimo, sapete cosa può dar fastidio all'altro, e cosa, invece, fa piacere, si potrebbe dire che siete fratelli,” a quest'ultime parole aggiunsi anche un movimento del capo. “Vi ho visti in ospedale, ho sentito l'alchimia che c'è fra di voi. È da invidiare.” conclusi.
Sì, ci conosciamo molto bene, è frutto di quasi una vita insieme. Tu non hai mai avuto un rapporto così con le tue amiche?” domandò, corrugando le sopraciglia.
No,” scossi il capo. “O almeno non come te. Quando ero a Forks avevo pochi amici, e con loro non mi aprivo molto. Era diverso, eravamo distaccati,” sentenziai infine. Distaccati era il termine giusto per riassumerci. “Eravamo compagni, non amici. Le femmine erano egoiste e pettegole, mentre i maschi erano superficiali e frivoli. Completamente diversi da come immagino io l'amicizia.”
Avevo davvero conosciuto l'amicizia?
No, non credevo. O almeno non fino a quel momento.
Poi, ho conosciuto Angela. Quando ancora stavo con Jacob a Chicago. Con lei non c'era bisogno di parlare, mi capiva con un unico sguardo, le parlavo dei miei problemi, delle ansie che mi affliggevano, di tutto ciò che mi tormentava. Non ho mai avuto un rapporto simile al nostro, e credo che con lei abbia davvero fatto amicizia. Che tra di noi ci fosse vera amicizia, stima, rispetto. Però, poi, l'ho allontanata, e non l'ho mai più rintracciata. Non oso pensare a cosa abbia pensato di me,” e sicuramente non sarebbero stati buoni. “Penso che mi abbia reputato falsa, ipocrita, profittatrice, quando non lo sono mai stata. Con lei stavo bene davvero, senza secondi fini.”mi ero intristita, sentivo in gola formarsi un nodo.
Non è colpa tua,” disse Edward, abbracciandomi. “L'hai fatto per il suo bene, non volevi immischiala in tutti i tuoi problemi, non volevi che si preoccupasse troppo per te. Io ti ammiro, Bella. Le persone, in realtà, fanno il contrario. Raccontano dei loro problemi agli amici, ai parenti, pur di sentirsi più leggeri, pur di condividere le loro esperienze. Ma quando sono negative, tali esperienze, non si fa altro che addossare la responsabilità anche agli altri. Tu non l'hai voluto fare, sei stata coraggiosa, discreta.”
Ma l'ho fatto... “ iniziai a dire. “L'ho raccontato a te, ho voluto condividere tutto con te.” continuai. Non mi interessava che tutti potessero ascoltarci, non mi interessava che tutti potessero capire di cosa stessimo parlando. In quel momento non mi interessava neppure che a pochi centimetri dietro di noi ci fosse il signor Cullen.
Anche io l'ho fatto, Bella. Non dimenticarlo.” mi carezzava la schiena in tutta la sua lunghezza, provando a tranquillizzarmi.
Non voglio essere egoista, e non voglio addossarti le mie esperienze.” continuai. Stavo per iniziare a singhiozzare.
Io volevo sapere, è diverso. Ero pronto a sentirmi dire ciò che hai pronunciato; calmati, Bella, io volevo sapere, non sei stata egoista.”
Mi sento sempre debole, fragile, Edward.” in quel momento nell'aereo c'eravamo solo noi, come se tutto e tutti fossero scomparsi, c'era solo Edward che ascoltava i miei
lamenti, e le sue mani che correvano sulla mia schiena.

Ci sono io, non sarai mai sola, Bella. Giuro che non ti lascerò mai, ti starò sempre accanto. E poi non sei fragile, non lo sei,” mi baciò il capo dolcemente. “Sei forte, tanto
forte, hai tanto coraggio, sei una bellissima donna, qui dentro” disse, toccandomi il petto.

Per quanto provata, e in contrasto con me stessa, non potei non sorridere alla sua affermazione. Sapeva sempre dire la cosa giusta al momento giusto; quasi sapesse come le persone si sentissero in quel momento, come se sapesse cosa pensava la persona che gli stava davanti.
Non voglio piangere...” dissi, distogliendo lo sguardo da lui, e asciugandomi gli occhi con la manica della felpa.
Non devi piangere,” sussurrò, prendendo tra indice e pollice il mio mento e alzandolo, cosicché i miei occhi si scontrassero con i suoi. “Non voglio che tu pianga. Non voglio che tu pianga per me." continuò, si avvicinò, sfiorando con le sue labbra le mie, per poi, approfondire il contatto.
A pochi centimetri dal mio viso, bisbigliò:
Le persone che ti vogliono bene dovrebbero fare in modo di non farti mai piangere, ed io ti voglio bene,”baciò la punta del mio naso. “Troppe lacrime al vento, troppe lacrime sprecate. Io non voglio che tu pianga.2 sentenziò infine.
Mi poggiai al suo petto, e chiusi gli occhi.
Edward mi aiutava in tutti i modi possibili ed immaginabili anche quando non gli veniva chiesto, anche quando il suo aiuto era “gratis” quando sapeva che non avrebbe mai ricevuto nulla in cambio.

Arrivammo due ore e mezza dopo, all'aeroporto di Seattle. Gli sbarchi furono molto lenti, i bagagli arrivarono dopo un'ora dal nostro atterraggio.

Nel contempo parlammo (tutti e tre insieme).
Iniziò Edward, e poi si unì a noi anche il signor Cullen.
Inizierai di nuovo a studiare, qui, a Seattle?” domandò; eravamo seduti a pochi passi dal nostro trasportatore delle valigie, così da essere veloci appena arrivate.
Sì, la mia intenzione è questa,” iniziai a dire.
Che facoltà frequenti, Bella?” chiesi il signor Cullen, intromettendosi nella discussione.
Magistratura, devo iniziare il terzo anno,” risposi, voltandomi verso di lui.
Vuoi diventare giudice?”
Sì, in teoria sì.”iniziai a dire, le mie mani si torturavano a vicenda. “Mi piacerebbe molto lavorare nel campo della legge,” Mi aggiustai una ciocca di capelli, che, si era spostata su un occhio, impedendomi di vedere bene il padre di Edward. Intanto, quest'ultimo mi aveva circondato le spalle con le sue braccia. “Mi affascina molto.”
conclusi.

Annuì, per poi iniziare a parlare: “E' un buon lavoro, anche a me sarebbe piaciuto fare il giudice, ma infine ho optato per la medicina, ed infatti, sono diventato medico. Cosa ti appassiona della magistratura?”
Non so cosa di preciso mi piaccia, credo che sia una materia sorprendete e tanto responsabile, non è facile decidere il futuro delle persone che ti sta davanti. Devi essere meticolosa, devi controllare tutte le prove dettagliatamente, sentire ciò che hanno da dirti gli avvocati...” dissi, a tratti gesticolando.
Ti capisco, è un po' come essere medico, la vita dei tuoi pazienti è nelle tue mani, tutto dipende da te.” sussurrò, il dottor Cullen (senior).
Infatti...” intervenne Edward.
Sì, ma essendo giudici non si sta a contatto con persone sanguinanti...” Fui sincera. Il sangue era la cosa che più mi faceva ribrezzo, che mi più mi infastidiva. Alcune volte sentivo che l'aria mi mancava, quando, nelle numerose volte mi ero ferita.
Non tolleri la vista del sangue?” chiese il signor Cullen, divertito.
Scossi la testa per poi dire un semplice “no”.
Ci interruppe la voce squillante di un'annunciatrice che ci diceva che da lì a poco i bagagli sarebbero stati trasportati sul nastro. Ci alzammo tutti insieme, e, Carlisle, andò verso il nostro trasportatore, mentre Edward mi fermò, facendomi voltare verso di lui.
Non sai quanto mi piace, quando parli e le tue guance si colorarono di rosso...” disse, avvicinandosi a me, i miei polsi erano tra le sue mani. “Ed anche quando balbetti per
l'imbarazzo, sei bellissima...” continuò, facendomi arrossire.

A me, invece, non piace quando tu mi fai troppi complimenti!” scherzai.
Non smetterò mai di farteli!” concluse, con aria decisa ed irremovibile, dandomi un veloce bacio sulle labbra.

Viaggiavamo per le vie di Seattle, la nostra destinazione era l'ospedale.

Fuori all'aeroporto avevamo trovato due automobili, quella di Edward e quella di suo padre (come ci fossero arrivate non lo seppi), noi prendemmo quella del primo, mettendo i bagagli in auto.
Invece, il padre se ne andò (dopo averci salutato), tornava a casa, da sua moglie, nonché madre di Edward.
Credi che sarà una festa... come dire... lussuosa?” domandai; Edward guardò me, distogliendo per un secondo gli occhi dalla strada. Sorrise.
No, non credo, tutti avranno il camice, visto che siamo in orario lavorativo, non preoccuparti, Bella.” disse, spostando la mano dal cambio marcia e portandola sulla mia, sul sediolino.
Nessuno ti giudicherà per come sei vestita, non devi pensare questo, altrimenti solo paranoie inutili.”
Alzai le spalle, in segno di resa per poi aggiungere: “Non credo che m giudichino da come sono vestita, voglio solo che non sia fuori luogo, completamente estraniata.”
Qualunque sia la motivazione, siamo arrivati,” fermò la macchina, nel grande parcheggio dell'ospedale. “Andiamo,” mi incitò.
Scendemmo dall'automobile, e guardai verso il giardino. Dove c'era la stradina che portava alla raduna del nostro primo bacio. Dove avevo capito di volergli bene, più del rispetto e della stima verso un comune medico.
La notte era già inoltrata da un pezzo, i lampioni illuminavano la strada per l'entrata secondaria (quella per i medici).
Mi prese per mano e mi condusse verso la grande entrata, i ricordi man mano che procedevamo riaffioravano, ricordai di quando Emmett ci aveva scoperti in giardino, del modo, quasi strambo, di Edward di nascondere tutto. Quando agli occhi degli altri era fin troppo evidente.
Salimmo le scale,questa volta potei utilizzare le mie gambe, visto che l'ultima volta avevamo usato l'ascensore, perché erano sulla sedia a rotelle.
Cosa ti aspetti?” chiesi ad Edward, con il fiatone per la salita.
Penso che faranno svegliare metà reparto, ne sono sicuro!”
Risi, divertita dalle loro parole.
Eravamo arrivati al piano in cui ero stata ricoverata. I ricordi mi soffocarono, lì. Pensai a quando ero arrivata, con Alice che mi trasportava, ricordai gli occhi così profondi e belli di Edward il giorno dopo, ricordai la paura, ma allo stesso tempo la curiosità, della persona sconosciuta che era in camera mia. Poi arrivarono quelli più spiacevoli. Ricordai il suo ufficio, nel quale l'avevo scoperto con Tanya, la mia corsa per i corridoi, il dolore che si propagava nel mio cuore.
Ma quest'ultimi pensieri li repressi in fretta, non volevo rovinare la festa ad Edward.
Entrammo nella sala medici (che non avevo mai visto), ci accolsero con urla e auguri. Si avvicinarono a noi lentamente, applaudendo e tutti sorridenti; baciarono Edward sulle guance, invece, io fui travolta da un uragano chiamato Alice. Mi abbracciò energeticamente, stritolandomi.
Non sai quanto mi sei mancata!” esclamò, ancora tra le sue braccia. “Come sono felice di rivederti accanto ad Edward, come sono felice che abbiate chiarito.” continuò.
Anch'io sono molto felice, Alice,” sciolse l'abbraccio guardandomi negli occhi. “Non sai quanto.”
Come va?” mi chiese.
Bene, molto bene, a te, invece?” domandai a mia volta.
Anche per me è lo stesso, ho una grande notizia da darti!” trillò, intrecciando le dita delle mani, euforica, entusiasta.
Cosa?”
Dopo, deve essere anche Edward,” in quel momento arrivò Jasper, che cinse, da dietro, i suoi fianchi.
Ciao, Bella.” sussurrò.
Ciao, Jasper,” sorrisi, per poi voltarmi a guardare Edward, i suoi colleghi si stavano allontanando, era rimasto accerchiato solo da alcuni membri del personale, con cui parlava e rideva.
Credo debba ringraziarvi... Per tutto quello che avete fatto, dovrei ringraziarvi per aver aiutato in tutti i modi possibili, Edward.” dissi in fretta.
Entrambi sorrisero, e Alice rispose:
Siamo amici, se non fossimo disposti a questo, chi lo dovrebbe fare?”
Mi sentì stringere una spalla, la mano di Edward era su quest'ultima.
Mi voltai verso di lui, sorridente.
Di cosa stavate sparlando?” chiese, divertito.
Del nuovo primario, dicono che sia pazzo.” rispose Jasper, scherzando.
lo credo anche io, per avere dei medici in reparto così stupidi.” parlò Edward, si posizionò dietro di me, poggiando la testa sulla mia spalla.
Solo un pazzo può reggere altri pazzi,” disse, Emmett, entrando nella discussione.
Vi diamo la notizia...” iniziò Alice, sempre più raggiante.
Io e Edward ci voltammo verso di lei, ansiosi di sapere cosa ci avrebbe detto.
Tra due mesi, io e Jasper ci sposiamo!” trillò, quasi saltellando sul posto.Oh, che bello, Alice!” risposi immediatamente, abbracciandola.
Non mi sembra vero,” sussurrò al mio orecchio, era un bisbiglio solo per me, infatti, nessun altro riuscì a captarlo. “Sembra un sogno, non riesco a credere che l'uomo di cui ero innamorata persa tre mesi fa, prima del tuo arrivo, mi abbia chiesto prima di uscire e poi di sposarlo!”
Sono felicissima per te, non sai quanto!” dissi, sincera.
Si allontanò da me, ritornando nelle braccia di Jasper, mentre io, cercai la mano di Edward: la trovai subito. L'intrecciò alla mia, la sua grande, calda, accogliente mano strinse la mia.
Ti devo raccontare tutto!” parlò Alice. “Adesso andiamo,” continuò guardando Jasper. “A dopo,
Bella,” e mi fece un occhiolino prima di andare vero un gruppo di persone a me ignote.
Venne verso di me, Emmett, abbracciandomi.
Ciao, Bella. Bentornata!”
Grazie, Emmett.” dissi, arrossendo.
Vidi dirigersi verso di noi anche Rosalie, la compagna di Emmett.
Oh, Bella. Come va?” domandò, mangiucchiando un dolcino.
Tutto bene, grazie.” iniziai, ricacciando giù l'acquolina che mi si era formata in bocca. “A te, invece?”
Lo stesso,” la sua mano toccò il braccio del compagno.
E' meglio che andiate al banchetto o tutto terminerà!” disse, infine.
Certo, ora andiamo,” rispose Edward, stringendo la mia mano, e trascinandomi verso un grande tavolo, sul quale sostavano in bella mostra di loro, tantissime e buonissime
(dall'apparenza) pietanze; tra cui: dolci, pizzette, rustici e al centro una grande cornice di fiori.

Come ti sembra tornare qui?” domandò, prendendo un dolcino dal banchetto.
E' strano, molto strano, sono felice di rivedere tutti gli altri, che mi hanno aiutato molto, questo posto porta con sé tantissimi ricordi, sia belli che dolorosi. Però mi ha fatto piacere tornarci, è stato il nostro inizio, no?!” iniziai a dire, prendendo anch'io un dolcetto. “E' qui che è iniziato tutto tra me e te, ed è stato tutto grazie a te, Edward.” tutto intorno a noi, come sempre quando eravamo insieme, incominciò a svanire, restavamo solo noi, le nostre emozioni così palpabili nell'aria. “ Se fosse stato prettamente per me, starei ancora in quella clinica, Edward. Non saprei che tu sei stato a dire ai miei genitori di spostarmi da quel posto, e riportarmi a casa. Se fosse stato per me, adesso sarei ancora muta... Sei stato tu, Edward, ad aiutarmi, sei stato tu a salvarmi.”
Anche tu mi hai salvato, Bella, non dimenticarlo.” si avvicinò a me, premendo le sue labbra sulle mie, i miei occhi si chiusero. La sua bocca sapeva di dolce, di cioccolata, di ciò che aveva appena finito di mangiare.
Una melodia dolce e lenta iniziò a diffondersi nell'aria, il volume era basso, appena udibile.
Emmett e Rosalie iniziarono a dondolarsi sul posto, guardandosi negli occhi; erano molto intensi i loro sguardi, mi chiesi come potessero sembrare i nostri, quelli miei e di Edward, agli occhi degli altri.
Andiamo a ballare?” chiese Edward, guardandomi.
Mhm-mhm” era allibita, completamente inerme, credevo di avergli parlato delle mie non-doti di ballerina. “Edward,” dissi, ritraendomi per quanto possibile dal centro della stanza. “Non credo sia una buona idea, se almeno tu non voglia soccorrere la tua prima paziente da primario.”
“Non fare la stupida, andiamo, dai...” mi prese per mano, portandomi al centro della stanza, che era diventata per l'occasione una pista da ballo.
Credo ti abbia accennato della mia carriera da non- ballerina... No?!” cercai di divincolarmi, vanamente, dalla sua presa ferrea.
Guido io,” concluse accostandomi a lui e facendo aderire i nostri bacini.”Non devi temere nulla.”
La mia incolumità fisica è nelle tue mani.” dissi, portando le mie braccia a cingergli il collo.
Iniziammo a dondolare sul posto, molte persone si unirono a noi, tra i quali anche Jasper ed Alice; era strano vedere, intorno a noi, tante persone ballare, vestite con camici bianchi e blu.
Quanti cambiamenti...” sussurrai, improvvisamente. Edward si avvicinò al mio orecchio e iniziò a parlare.
Il suo alito mi faceva il solletico sull'orecchio quando diceva qualcosa; iniziò a parlare:
Sono cambiamenti positivi, no?!” domandò. Dondolavamo ancora sul posto, cercando di imitare un ballo.
Sì, sono positivi, di meglio non potevo desiderare.”
Per me è il culmine, non ho mai provato una cosa simile,” la sua guancia sfiorò il mio collo. “Voglio che tu faccia parte della mia vita, Bella, voglio che tu sia parte integrante
della mia quotidianità,” si fermò, il mio cuore iniziò a battere velocissimo, sembrava volesse uscirmi dal petto, quasi volesse che anche colui che mi stava davanti lo sentisse,
s'accorgesse della sua presenza. Voleva che Edward sapesse che batteva così velocemente solo per lui, e che non l'avesse mai fatto prima, non così energicamente.

Sei tutta la mia vita, non potrei mai vivere senza di te.”
Il mio cuore di fermò improvvisamente, le mie guance si colorarono di rosso.
La mia mente pensò che per me valesse lo stesso.

Pensate che sia meglio avere tanti amici, o pochi? E voi, ne avete pochi o molti?

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Capitolo 27
*** Grazie a lei. ***


Salve a tutti.

Io sono della categorie pochi amici, ma buoni. Non ho nulla in contrario a chi ha tanti amici, anzi, ma avere tanti amici vuol dire dedicargli del tempo, ed io non ho tempo xD.

Mi son dimenticata di dirvi la volta scorsa, che i commenti (recensioni) inferiori alle 10 parole mi saranno recapitati come messaggi privati, e non verranno visualizzati nelle recensioni della storia. A me, non importa un granché, risponderò in qualunque caso a tutti i vostri commenti.

Buona Lettura.
Edward.
“Anche per me, anche per me vale lo stesso...” disse, prendendo aria. “Anche tu sei diventato la mia vita, Edward, anche io voglio continuare a vivere con te. Anche io mi sento felice solo quando ci sei tu, qui, vicino a me.”
Mi abbracciò, ci fermammo quasi al centro della stanza, il suo capo nell'incavo del mio collo, il mio mento sulla mia testa.
In quel momento non servivano parole, completamente fuori luogo, insulse. Bastava il suo respiro accelerato sul mio collo, il mio cuore che batteva tanto forte, quasi troppo.
Le diedi un bacio sulla testa, lei alzò quest'ultima, facendo incontrare i nostri visi. I suoi occhi color cioccolato nei miei, quegli occhi che mi avevano ammaliato fin dal primo istante, il suo sguardo profondo, e quasi perso. Triste. E poi man mano che passavamo giornate insieme quegli occhi si erano accesi di una luce nuova, diversa. Quegli occhi sorpresi, delusi, amareggiati quando mi aveva visto con Tanya. Quegli occhi ancora una volta sorpresi, umidi, commossi, quando mi aveva ritrovato sulla terrazza.
Quegli occhi che ormai erano diventati il mio rifugio, dove scovare, cercare senza sosta. Dove potevo trovare i suoi turbamenti, le sue gioie, le sue paure, ma anche tutto il suo amore per me. Lo vedevo anche dal suo sguardo, cambiava quando si posava su di me, non era come quando guardava gli altri, era diverso. Più acceso, più bello.
Avvicinai le mie labbra alle sue, le dolci note accompagnavano la danza creata dalle nostre bocche, chiusi gli occhi, lasciandomi completamente andare. Non mi interessava di essere il primario, che non avrei dovuto, così esplicitamente, dare spettacolo. Non mi importava. Tutto ciò di cui ero interessato, era davanti a me, le sue labbra sulle mie, il suo petto così vicino al mio.
Ci allontanammo l'uno dall'altro, continuando a guardarci negli occhi, le mie mani portarono dei suoi ciuffi di capelli ribelli dietro le orecchie, che si erano liberati dalla grande coda in cui raccoglieva tutti gli altri.
Le presi la mano, portandolo ai lati della stanza, accanto al grande tavolo. Era stata una brava ballerina, anche se non lo sapeva, anche se continuava a dire il contrario, era brava, la più brava ai miei occhi.
“Credo qualcuno ti voglia,” dissi, vedendo Alice dirigersi sorridente verso di noi.
Sorrise, stringendo più forte la mia mano. Non volevo lasciarla nelle mani degli altri, e a quanto pareva neanche lei.
“Allora?” domandò Alice, davanti a noi.
“Allora cosa?” chiesi, a mia volta, guardandola.
“Posso rubarla?” disse, non aspettò una risposta, prese Bella a braccetto e la portò dall'altro lato della stanza, sorridendo e trillando qualcosa.
Bella guardò prima me, e, sospirando lasciò la mia mano, andando con lei. Come se avesse scelta.
Mi guardai intorno, riuscendo a visualizzare Jasper, di Emmett nemmeno l'ombra, si era dissolto, e con lui anche Rose. Mi diressi dal mio amico presente.
“Tutto solo anche tu?” domandai.
“Sì, Alice deve parlare con Bella, ha detto che doveva raccontarle tutto. Sono felice, in questo momento di non essere Bella,” iniziò, sorridendo.
“Neanche io,” guardai le ragazze, che si trovavano di fronte a noi. “Secondo te, cosa le starà dicendo?” Bella ed Alice erano sedute in un angolo, voltate una verso l'altra. La seconda parlava, gesticolava, sorrideva, seguita da Bella.
“Non lo so, ma sicuramente qualche particolare in più su tutto quello che è successo in questi mesi...”
“E cosa è successo esattamente in questi mesi?” dissi, malizioso. Mi voltai verso Jasper, che con un dolcino tra le mani scrollò le spalle.
“Tutto quello che è sfuggito ai tuoi occhi, fin troppo ciechi!” rispose, dando un piccolo morso alla pasta frolla.
“Bhè, adesso puoi dirmi tutto, anche i dettagli più succulenti, sono tutto orecchi,”
Si appoggiò all'armadietto dietro di noi, lo imitai.
“Tanto per iniziare, io ed Alice ci siamo fidanzati,” un altro morso al dolcetto, ed altre parole. “Poi, le ho chiesto di sposarmi...” lasciò la frase in sospeso, spostando lo sguardo da me, ad Alice. La guardava nel modo in cui io guardavo Bella. Con adulazione, con amore.
“Quindi ti sposerai...” biascicai.
“Sembra proprio di sì, te lo saresti mai immaginato? Me, dopo poco tempo di fidanzamento, sposato?”
“No, non me lo sarei mai aspettato da uno scapolo, secchione come te. È stato letteralmente una sorpresa, quando me lo hai detto mi sono chiesto davvero se non stessi scherzando, ma non è così. Il mio migliore amico, secchione, si sposa.” feci finta di asciugarmi una lacrima, come se fossi stato commosso.
“Anche io non mi sarei mai aspettato che tu andassi a Chicago solo per una donna. Eppure lo hai fatto, Edward. Le persone molte volte non sono come sembrano, cambiano, incontrano altre persone, scambiano idee e cambiano. Di poco, ma lo fanno. Lo hai fatto tu. L'ho fatto io. Io sono cambiato tantissimo da quando Alice è entrata nella mia vita. Neanche i miei riescono a riconoscermi più.” diede un altro morso, finendo così il dolcino.
Io era cambiato.
Anche Jasper se n'era accorto, anche mia madre mi aveva fatto notare quella cosa, un po' di mesi prima. Io ero cambiato. Grazie ad una fragile ragazza. Grazie a lei.
“Chi se lo sarebbe mai aspettato,” mormorai, passando una mano fra i capelli. Guardavo davanti a me, con lo sguardo perso nel vuoto.
“Mi sono ritrovato a chiederle di sposarmi, e credo che per quanto affrettata si astata una delle scelte più ragionevoli e giuste della mia vita.” continuò. “Non ci sono parole per esprimere la felicità che ho visto nei suoi occhi quando le ho fatto vedere l'anello, non sai quanto ha reso felice me, vederla in quel modo. È indescrivibile,”
Sapevo di cosa stesse parlando, anche io provavo lo stesso sentimento quando stavo con Bella. Ed era impossibile descriverlo, dargli una consistenza tramite le parole.
Non si poteva descrivere il calore che sentivi nel petto, ogni volta che ti si avvicinava, ogni volta che la sfioravi, ogni volta che le tue labbra incontravano le sue.
Quando non riuscivi a dormire, perché lei era più importante dei sogni, perché lei era il tuo sogno.
E vivevi nel tuo sogno, in quello che avevi sempre creduto, che avevi sperato con tutto il cuore si avverasse.
“E credo che per te sia lo stesso, no?” mi domandò.
Mi voltai, guardandolo prima di annuire.
“Sì, è lo stesso.”
Per me era diverso.
Io e Bella avevamo un passato non del tutto roseo, dovevamo essere accorti l'uno con l'altra. Dovevamo cercare di non ripescare il passato, con qualche parola o frase.
Potevamo rovinare un bel momento, anche solo con una parola, che avrebbe riportato a galla ricordi spiacevoli.
Io non volevo che lei si sentisse diversa, che si sentisse troppo fragile senza di me. O con me al suo fianco.
“Bella si è ripresa, bene, no?!” disse, guardandola.
“Sì, a quanto sembra sta abbastanza bene,” le ragazze stavano ancora parlando, quella volta Alice ascoltava mentre Bella raccontava tutto.
“Cosa ha fatto sull'occhio sinistro?” mi domandò.
Lo scrutai. Potevo dirgli che Jacob, il suo ex fidanzato le aveva fatto del male?
No, per quel momento meglio tacere. Glielo avrebbe detto lei, quasi si fosse sentita pronta.
“Nulla di importante, adesso sta bene.” dissi sbrigativamente.
Avevo notato che camminava bene, che non provava dolore al ginocchio, o almeno così sembrava apparentemente.“Tutto bene qui, in mia assenza?” domandai, rompendo il silenzio. Spostammo lo sguardo dalle ragazze, che continuavano a ciarlare, e ci voltammo l'uno contro l'altro.
“Sì, qualcuno ha chiesto di te, altri che ti hanno visto in modalità zombie, no. Ma siamo contenti di rivederti sorridente, Edward, e siamo felici per la tua promozione in primario.” I suoi occhi color ghiaccio mi scrutavano, sorridenti.
Sorrisi, bonario, sincero.
“Anche io sono contentissimo di poter dirigere questo reparto, ho paura, e lo ammetto. Non so se ne sarà in grado, e non conosco ancora tutte le difficoltà che incontrerò. Ma voglio farlo, voglio riuscirsi, o perlomeno provarci.” solo allora stavo accorgendomi di tutte le paure che avevo; sarei stato in grado di portare avanti un intero reparto?
Quando avevo fatto il concorso non avevo realmente pensato che io potessi diventare primario. Pensavo che ci fossero tantissimi altri medici che avrebbero potuto prendere il mio posto, che sarebbero stati capaci. Però non potevo non essere contento, soddisfatto di me stesso, della mia vita.
Tralasciando gli errori, gli infiniti errori del passato potevo ritenermi fortunato e soddisfatto.
“Ci riuscirai, Edward. E ti meriti questo posto più di qualunque altro, qui. Sei un bravo medico. Hai lavorato tanto per non passare per colui che veniva spinto nel campo dai genitori medici. Lo hai dimostrato agli scettici che credevano che tu fossi un buono a nulla. E tu, più di qualunque altro meriti questo posto.”
“Grazie, Jasper. Non so come ringraziarvi per tutto ciò che avete fatto per me, per me e Bella. E per quello che anche adesso state facendo.” mi interruppe.
“Per prima cosa mi darai più permessi dal lavoro, poi-”
“Non se ne parla.” iniziai a dire, guardandolo severo. “E poi tu non fai parte del mio reparto, quindi non posso fare nulla per te.”
“Non per me, ma per Alice. Per esempio,” parlò, ridendo.
Scoppiai anche io in una sonora risata.
“E poi dovresti farmi il piacere di diventare il mio testimone di nozze.” disse, velocemente. Il suo tono era quasi scherzoso. Il suo sguardo si
abbassò in attesa delle mie parole.
“Cosa dovrei fare?” chiesi, come se non avessi sentito.
Perché io?
Non che non ne fossi contento di questa scelta. Ma era una richiesta troppo azzardata. Era sorpreso. E tanto.
“Il mio testimone di nozze, nulla di più.”
Nulla di più.
Abbassai il capo di lato, e lo guardai negli occhi che aveva puntato nei miei.
“Sarei felice di diventare il tuo testimone,” dissi, sorridendogli.
Sorrise anche lui di rimando, abbracciandomi velocemente.
“Sono felice che tu abbia accettato.”
Si allontanò da me, tornando a guardare la sua fidanzata (e la mia) dall'altra parte della stanza.
“Vado a recuperare Bella,” annunciai, dirigendomi, dopo che Jasper ebbe annuito, verso di loro.
Mi avvicinai lentamente, guardai Bella, seguirmi con gli occhi per tutto il tragitto e accennarmi un sorriso.
Il più bello che avessi mai visto.
L'unico che mi facesse tremare per le emozioni.
“Posso interrompevi?” chiesi, retorico. Il mio sguardo era solo per Bella.
“No.” rispose Alice, incrociando le braccia al petto. “Credi sia il momento giusto per interromperci?”
“Sì, visto che parlate da quasi un'ora.”
Alice storse il labbro superiore, girandosi dal lato opposto, mentre Bella sorrise e scosse leggermente il capo.
Porsi la mano a quest'ultima, che non esitò a stringerla, e ad alzarsi, mettendosi al mio fianco. Intrecciò subito le sue dita alle mie.
Con l'altra mano accarezzai il dorso della sua.
“E comunque, chi tace acconsente!” sentenziò, in tono irremovibile, Alice.
Girò i tacchi, e andò via, raggiungendo Jasper che parlava con un altro collega.
“Di cosa parlava, Alice?” domandai, eravamo uno di fronte all'altro.
Sospirò, prima di iniziare a parlare.
“Mi ha chiesto di essere la sua testimone di nozze,” scosse il capo. “Non le ho risposto nulla, perché ci hai interrotto, ma non credo che Alice mi avesse posto una domanda, era più un ordine.” continuò.
Sorrisi con lei.
“Bhè,” inizia, baciandole la fronte. “Siamo in due.”

 

Eravamo rimasti in pochi nella sala dei medici.
Jasper era andato in reparto per un'emergenza, mentre tutti gli altri addetti al mio reparto, erano andati ognuno al proprio lavoro.
Eravamo rimasti solo io, Bella, Alice, Emmett e la sua fidanzata. C'eravamo seduti in cerchio, raccontando, ridendo, scherzando.
Bella sembrava stesse a proprio agio, continuava a sorridere come gli altri, alcune volte mi guardava, come se fosse insicura, cercava il mio sguardo, mi guardava intensamente, e sorrideva.
“Dobbiamo andare,” dissi, allungandomi verso di lei e sussurrando tali parole al suo orecchio. “E' tardi.”
Annuì.
“Noi andiamo,” annunciai, alzandomi. Mi seguì anche Bella, portandosi al mio fianco.
“Sì, hai ragione,” cantilenò Rose. “E' tardi. Anche io devo tornare a casa.”
“Non resti in ospedale?” le chiese Emmett, prendendole la mano.
“No, torno a casa. Sono stanca e non mi sento molto bene.” rispose.
“Sicura di voler andare da sola?” le domandò il fidanzato.
“No, non preoccuparti, riesco a guidare fino a casa.”
Li ignorai, e andai da Bella che aveva ricominciato a parlare con Alice.
“Andiamo?” le chiesi, intrecciando le mie mani alle sue.
Annuì nuovamente.
“Ciao, Alice.” le diedi un bacio sulla guancia e ricambiò il saluto. “Salutami Jasper. Ci vediamo tra due giorni.”
“Ok, a presto.” se ne andò e prima di varcare la soglia, salutò anche Rose.
Aggiustai una ciocca di capelli di Bella, dietro ad uno orecchio.
“Sei stanca?” chiesi, comprensivo. Avevamo fatto un viaggio di varie ore durante la giornata, era stato stancante, anche per me. Mi sentivospossato, stanchissimo.
“Abbastanza,” rispose, appoggiando la sua testa sul mio petto e chiudendo gli occhi. Le accarezzai la testa, con una mano, mentre con l'altra la schiena.
“Adesso andiamo a casa mia. Prima di addormentarti ti farà vedere il mio appartamento.”
“Non vedo l'ora,” disse, alzandosi dal mio petto e guardandomi entusiasta.
Non sapeva della sorpresa che l'attendeva.

 

Scendemmo con Rosalie fino al parcheggio, l'accompagnammo alla sua auto e ci salutammo lì.
Il cielo si era coperto di tante nuvole minacciose, pronte a scatenare un acquazzone.
“Dobbiamo muoverci, prima che si metta a piovere,” sussurrai a Bella, velocizzando il mio passo.
Anche lei fece lo stesso.
Salimmo in macchina, il tempo di mettere in moto ed iniziò a piovere. Man mano sempre più forte.
“Ecco.” dissi.
Bella sbadigliò silenziosamente, ed infine sorrise.
“Fortunatamente siamo al coperto.”
“Sì. Adesso sì, ma dovremo lasciare l'auto nel vialetto di casa, e quindi non riusciremo a portare dentro le valigia. Oppure faremo un bel bagno.”
Mi guardò scettica.
“Non preoccuparti, riusciremo ad uscirne asciutti infine.” e risi.
Passarono alcuni secondi poi parlò:
“Edward,” sbottò.“Ritorneremo alla radura, vero?”
Stavamo uscendo dal grande parcheggio dell'ospedale.
“Sì,” presi la sua mano, malgrado stessi guidando, e la strinsi nella mia. “Ci verremo presto.”


Eravamo arrivati fuori dalla grande villa dei miei genitori.
“Eccoci arrivati,” sussurrai, credevo stesse dormendo, ma non era così. Aveva alzato immediatamente la testa quando avevo parlato.
Mi abbassai, prendendo un telecomando dal portaoggetti, ed aprì automaticamente i cancelli. Si rivelò un grande giardino, ed in fondo un villa bianca, con tante finestre ed un portico con la porta d'ingresso.
Bella si schiarì la gola.
Premetti l'acceleratore, facendo il giro del giardino sul terriccio.
“Dovevo aspettarmi una cosa del genere, ma non era nelle mie idee.” disse, con gli occhi quasi sgranati, stupefatti.
“Ti piace?” chiesi, prima di fermare la macchina. Malgrado la pioggia si riusciva a vedere la casa abbastanza bene.
“Sì,” rispose, deglutendo. “E' davvero molto bella.”
Fermai la macchina a venti metri dal portico.
“Dobbiamo scendere qui, più avanti non si può andare.” dissi, indicando la struttura davanti a noi.
“Certo...” rispose, senza distogliere l'attenzione dalla casa.
Aprì la portiera dell'auto scendendo, e fece lo stesso Bella. Iniziammo a bagnarci a causa della pioggia.
La presi per mano e senza fiatare ci dirigemmo velocemente in casa. Sotto il grande portico ci fermammo, e attese che prendessi (che recuperassi) le chiavi dalla giacca.
“I bagagli verrò a recuperarli dopo, devo prendere un ombrello.” dissi, avvicinandomi alla porta e aprendola.
“Non è importante, puoi prenderli anche domani.” I suoi capelli erano bagnati, ed anche la giacca ed i pantaloni.
“E come ti cambierai?” domandai, facendola entrare in casa. L'ingresso portava a due piccoli corridoi. Uno che conduceva al mio appartamento, mentre l'altro alle scale, e, quindi, a quello dei miei genitori.
Rimase in silenzio per qualche istante quando varcò la soglia di casa, guardandosi intorno.
“Avrai qualcosa di tuo, no?” sussurrò, un istante dopo.
Girò su se stessa, osservando ogni particolare. Infine, si voltò verso di me, corrugando la fronte.
La zittì, portandola al mio appartamento. Accesi tutte le luci, entrando in salotto.
Qui ebbe la stessa reazione, si girò intorno, e rimase interdetta.
“Mi è alquanto familiare,” balbettò.
Sorrisi, avevo sperato che se ne accorgesse.
“E' il tuo...” mi interruppe continuando lei.
“Il mio progetto, quello che ho fatto io.”
“Sì, è lui. Sono riuscito a recuperare i progetti, e li ho messi in atto. Vuoi vedere il resto della casa?” domandai, accarezzandole il braccio. Era a qualche passo da me, intenta a guardare ciò che la circondava.
Annuì debolmente, e la condussi in ogni angola della casa.
Tutto era come l'aveva disegnato lei. Era l'esatta riproduzione dei suoi progetti, tutti i dettagli, da quello meno appariscente a quello più, erano stati riprodotti nella realtà, ed in quel momento erano in bella mostra nella mia casa.
Bella rimase sorpresa, non si sarebbe mai aspettata una cosa del genere.
Arrivati in camera mia, volteggiò per tutta la stanza, fermandosi accanto al letto.
“Quando hai fatto la ristrutturazione?” domandò. Aveva le mani in grembo, era infreddolita.
“Tra il mese di luglio e agosto.”risposi, avvicinandomi. Era bagnato quanto lei, ed i vestiti mi si erano attaccati addosso.
“Perché lo hai fatto, Edward?” chiese, scettica. Poco dopo, prima che io rispondessi, rabbrividì.
“Cosa: ho fatto?”
“Perché hai ristrutturato la tua casa come avevo progettato io, perché contornarti di cose che risvegliassero in te il mio ricordo?” ripeté.
“Perché sono troppo masochista. Per ricordarmi di te ogni tal volta tornassi in questa casa. Per non dimenticarmi di te, per mantenere attivo
sempre il tuo ricordo.” terminai, guardandola intensamente negli occhi.
Mi abbracciò, buttandosi fra le mie braccia. Premette la sua testa, quasi violentemente sul mio petto, ed io non potetti far altro che abbracciarla, e donarle calore, e amore.
“Volevo che tu fossi presente in qualche forma nella mia vita, anche solo in questo modo così stupido, ma era importante.” spiegai; le baciai il capo, stringendola, se possibile, ancora di più al mio petto.
“Preferisco far parte della tua vita in questo modo!” disse, la sua voce era rotta dal pianto.
I nostri freddi e bagnati corpi erano a contatto l'uno dell'altro, sentivo quasi i nostri cuori correre in sincrono sotto la sottile stoffa degli indumenti, le baciai di nuovo il capo bagnato, prolungandolo, inspirando il suo profumo dolcissimo, miscelato a quella della pioggia.
“Anche io,” iniziai a dire, “Anche io voglio che tu continui a far parte della mia vita in questo modo. E voglio fare lo stesso anche io.”
Annuì, allontanandosi da me, e asciugandosi gli occhi con la manica della maglia che indossava, anche quella bagnata.
Rabbrividì nuovamente, le diedi un bacio veloce, ma allo stesso tempo intenso sulle labbra.
“Vai a farti una doccia calda, stai tremando,” dissi, prendendo l'occorrente.
Glielo passai.
“Tieni, prendi questi. Domani andrò a prendere le nostre valigie.” pioveva troppo, si sentiva, nel silenzio della notte, lo scrosciare irrefrenabile
dell'acqua.
“Non preoccuparti, mi accontento di tutto,” si stropicciò gli occhi, e soffocò un sorriso.
“Dopo possiamo andare a dormire.” annunciai, “Io vado nel bagno degli ospiti, se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiamarmi.”
Annuì, e si diresse verso il bagno.
La vidi chiudere la porta e poi andai in bagno a fare una doccia.
Sotto lo getto dell'acqua calda pensai. Mi immersi nei miei pensieri.
Era strana l'emozione che provavo in quel momento, sembrava irreale, la stessa sensazione di quando sai che quello è un sogno. Mi era capitata
qualche volta in cui riuscivo a riconoscere un sogno, che ripetevo a me stesso, durante il sonno, che tutto quello che mi accadeva intorno era irreale. Ed era lo stesso, in quel momento, sotto la doccia. Con Bella a pochi metri da me.

Ma a differenza dei sogni, potevo affermare che quella era la pura verità, la pura realtà.
Uscì dalla doccia e velocemente mi asciugai e rivestì. Andai in camera mia, per controllare che Bella stesse bene. Dal rumore che sentivo stava asciugando i capelli.
I miei genitori erano al piano di sopra, e saperli così vicini a Bella era strano.
Con Carlisle un primo ostacolo era stato scavalcato, aveva conosciuto Bella, le aveva parlato, e lei non si era mostrata troppo timida, ma completamente a suo agio.
Con Esme sarebbe stato ancora più semplice, Esme era materna, era dolce, era disponibile in qualunque momento e aveva la capacità di mettere a proprio agio le persone con cui parlava.
Sarebbe stato molto più semplice che con Carlisle.
Anche perché Esme era donna, era come Bella. E per il passato di quest'ultima relazionarsi con le femmine era molto più facile, più naturale.
Ero abbastanza tranquillo. Pacato.
“Edward?” domandò, Bella, destandomi dai miei pensieri.
“Sì?” dissi, immediatamente sobbalzando.
“Nulla, avevi lo sguardo perso nel vuoto.” e scrollò le spalle. L'osservai avvicinarsi a me, indossava la mia maglietta, una maglia grande anche per me che le faceva da camicia da notte. Era bellissima, con i capelli per metà umidi, anche se aveva gli occhi stanchi e assonnati.
“Ho messo gli indumenti sporchi nella cesta in bagno...”
“Hai fatto benissimo,” si sedette sul letto, guardando me, che ero steso sul materasso. “Ti va una cioccolata calda?”
“Sì, vengo con te.” disse, mentre mi alzavo.
“No, non preoccuparti, faccio in fretta. Tu riposati pure.” Mi alzai, e camminando a piedi scalzi andai in cucina.
Un cioccolata calda non era il massimo, era solamente settembre e non c'era realmente il bisogno di riscaldarsi, ma credevo fosse perfetta prima di andare a dormire, dopo aver mangiato tanti dolci alla festa per festeggiarmi.
Ritornai in camera con due tazze piene di cioccolata fumante, quando entrai Bella era distesa in posizione fetale, mi dava le spalle.
“Bella?” sussurrai, richiamando la sua attenzione. Non si girò. Posai le tazze sul mio comodino avvicinandomi a lei. Gattonai sul grande letto tondo, portandomi accanto a lei. Respirava profondamente, le sue palpebre calate sugli occhi: dormiva.
La sua espressione era dolce, delicata.
Preferì non svegliarla, la presi in braccio, portandola sotto le coperte, e mi stesi accanto a lei, cingendole la vita, e annusandola. Le baciai l'orecchio, e si mosse.
Mugolò qualcosa, girandosi verso di me.
“Mi sono addormentata,” disse, sbadigliando.
“Non preoccuparti,” e le baciai il naso.
Le mie mani sui suoi fianchi, sulla mia maglia che indossava.
Posò lo sguardo sulle tazze ancora fumanti dietro di me, e sorrise.
“Hai portato la cioccolata.”
“Sì, ne vuoi?” le chiesi.
Lei annuì e si alzò, mettendosi seduta.
Mentre, io presi le due tazze e passandogliene una. Iniziò a sorseggiare, guardandomi.
“Edward, non ho capito una cosa...” iniziò a dire, corrugando la fronte.
“Dimmi,” l'esortai a continuare, e bevvi un sorso.
“Perché eri a Chicago?” chiese inizialmente. Mi guardò e con un gesto della mano, veloce, mi fermò. Stavo già iniziando a spiegare. “Edward, non fraintendermi. Ovviamente, non potevo e non mi sarei mai aspettata una cosa del genere. Quando ti ho riconosciuto non mi sembrava vero, quando mi hai raccontato tutto mi sono chiesta se stessi dormendo o meno. Ma perché eri lì? Per me, o cos'altro?” domandò. Si era agitata, i suoi occhi continuavano a sgusciare da una parte all'altra della stanza, senza mai soffermarsi nei miei.
“Per te.” dissi, deciso. Era seduta con le gambe sotto le coperte, e la tazza fra le mani. E vidi finalmente i suoi occhi. Erano lucidi. “Sono venuto con l'intenzione di cercarti. Di trovarti,” Posai la mia cioccolata sul comodino, incrociando le gambe e stando in quel modo seduto. “Ma non sono riuscito a trovarti, Chicago era grande, e per le conoscenze ristrette non sono riuscito a capire dove alloggiassi. Sono andato sul terrazzo, sperando che fossi lì, che avessi trovato, almeno tu, il posto di cui ti avevo parlato, ero scettico, ma dovevo fare quest'ultimo sforzo. E poi mi sono accorto di te, quando sei salita sul terrazzo, ti ho vista avvicinarti. In quel momento avrei voluto abbracciarti, correre da te, e baciarti. Ma non l'ho fatto, mi sentivo pronto per dirti di me, per raccontarmi del mio vero passato, di fartelo scoprire. E se avessi esitato almeno un minuto, se avessi posato il mio sguardo nel tuo per almeno un millesimo di secondo, sapevo che non sarei più riuscito a proseguire il mio racconto.” terminai, accarezzando le sue cosce, delicatamente.
Posò anche lei la tazza sul comodino, dalla sua parte, allungandosi per qualche istante. Tornò a guardarmi, a prendere le mie mani nelle sue, a stringerle spasmodicamente, senza tregua.
“Non sai quanto io abbia sperato, tutte le volte che salivo lì sopra di vederti. E non posso esprimere le mie emozioni quando ti ho visto.”
Le baciai le labbra, lentamente, poi tornai a parlare.
“Ho sperato con tutto me stesso, con tutte le mie energie che tu stessi lì. Che ti ricordassi del tuo amico. Di ciò che ti avevo detto in ospedale.”
“Non ho mai dimenticato nulla, Edward. Ogni parola, ogni frase la ricordo ancora.”
“Anche per me è lo stesso, non avrei mai potuto dimenticare una cosa che riguardasse te.” conclusi; mi avventai sulle sue labbra, e la feci stendere sotto di me, continuai a baciarla,a quella volta con più impazienza, con più passione.
Chiusi gli occhi, abbandonandomi alle emozioni che sentivo, alla miriade di emozioni che provavo in quel momento, anche lei, molto probabilmente, fece lo stesso, sentivo il suo respiro accelerato correre con il mio, sentivo le sua mani tra io miei capelli, le mie mani sulla sua schiena. Le mie labbra sulle sue. Incastonate perfettamente come pezzi di uno stesso imballaggio.
Cercai di essere più dolce e delicato possibile, cercai di farle capire dai miei gesti l'amore che provavo, incondizionato, per lei; per non farle venire in mente le brutalità che aveva subito, per non farla irrigidire.
“Sei tutta la mia vita adesso,” dissi a pochi centimetri dal suo volto, con il fiatone.
“Anche tu,” mi baciò il labbro superiore, con delicatezza. Quasi non sentì il suo tocco. “Anche tu, per me.”
Si addormentò sul mio petto, pochi minuti dopo.
Io ci avrei messo ancora un po', avrei ripensato a tante cose contemporaneamente, troppe, quasi.
Cullato dal respiro regolare e dolce di Bella.


Il giorno dopo quando mi svegliai trovai Bella osservarmi, mi sorrise dolcemente, ed io la imitai.
Ci demmo un veloce bacio del 'buongiorno', e ci alzammo.
Diversamente dalla notte precedente le nuvole erano quasi del tutto scomparse, si riusciva a scorgere, dietro alle nubi rimaste, il sole.
Facemmo colazione (anche se per l'ora poteva essere definita anche un piccolo spuntino di metà mattinata), attorno all'isola della cucina, come una qualsiasi coppia di innamorati. E, per la prima, sentì un'aria normale tra noi, un'aria serena, rilassante.
“Pranzeremo con i miei, oggi.” l'avvisai.
Deglutì, e annuì.
“Allora devi prendere la mia borsa, Edward. Mi servono i miei indumenti.” disse, debolmente.
“Certo. Anzi, ora vado subito, puoi anche aspettarmi qui.” mi alzai, pulendomi con un fazzoletto la bocca, e dirigendomi verso la porta di casa.
Rientrando in casa più di una volta, per portare, sia le mie, che le sue valigie.
“Non dovevi...” le dissi, appena tornai in casa. Nei pochi minuti che ero stato assente aveva iniziato a mettere in ordine la cucina, in quel momento aveva le mani in ammollo nei piatti insaponati.
“Voglio sentirmi utile,” iniziò a dire, strofinando con una spugnetta sul piatto che avevamo usato. “Non posso essere servita da te, e non voglio sembrare una bambola incapace di tutto.” aveva terminato, senza mai voltarsi verso di me.
“Per prima cosa,” iniziai, “Per questo abbiamo una signora delle pulizie,” dissi, avvicinandomi a lei, e cercando in qualche modo di toglierle la spugnetta dalle mani. “Secondo: non sei una bambola. Sei molto più bella, e vera! Infine, non devi per forza sentirti in debito, e quindi riscattarti, in questo caso non devi.” continuai, prendendo il sapone e riponendolo al suo posto, e cingendole la vita.
Si asciugò le mani con un strofinaccio che sembrò uscire dal nulla, si divincolò dalla mia presa ed infine riprese il sapone.
“Ed invece lo faccio.” sentenziò. Era la sua risposta definitiva.


“Andiamo?” le chiesi, porgendole la mano.
“Sì,” disse, guardandosi per un'ultima volta nello specchio. “Sono pronta.”
“Sei un incanto.” Era bellissima; i suoi capelli 'boccolosi' le ricadevano sulle spalle, indossava dei jeans, ed una camicia bianca che faceva risaltare tutti i suoi tratti.
Arrossì, abbassando lo sguardo.
“Non scherzare!” riuscì a balbettare infine.
“Non sto scherzando, sei bellissima.”
“Andiamo, va', è meglio!” disse, trascinandomi verso la rampa di scale che portava verso l'appartamento dei miei genitori.
Salimmo a passo misurato, bussando, prima di entrare in casa.
“Avanti,”risposero i miei genitori.
Erano a pochi metri dalla porta, sorridenti.
Vidi Bella abbozzare un sorriso, e avanzammo insieme.
“Buongiorno,” salutò, timidamente. Riuscì a scorgere le sue gote rosse.
“Buongiorno, ciao, Edward.” dissero insieme.
Mia madre era una signora di quarantacinque anni, e sembrava molto più piccola della sua età. Ovviamente, non aveva i miei stessi tratti
somatici, non eravamo madre e figlio biologici, ma ci assomigliavamo molto caratterialmente. Avevo imparato molto da lei, l'avevo quasi imitata nei suoi modi di fare, avevo seguito i suoi esempi, avevo imparato ad essere più gentile, altruista, generoso, tutto grazie a lei, con l'aiuto di mio padre, Carlisle.

“Io sono Bella.” porse la mano a mia madre, liberandola dalla mia stretta.
Mia madre sorrise maggiormente, rispondendo.
“Esme,” si interruppe, la mano di Bella tornò nella mia. “Sono felice di fare la tua conoscenza.”
“Per me è lo stesso.” rispose, senza esitazione. “Salve, signor Cullen.”
“Ciao, Bella. E per favore, chiamami Carlisle.” la corresse.
“Andiamo in sala da pranzo?” domandò mia madre.
“Certo.” dissi, seguendo i miei genitori.
Diedi un bacio sulla tempia a Bella, sussurrandole all'orecchio:
“Mi piace tantissimo quando le tue guance si colorano di rosso.” per risposta ebbi prima un sorriso, poi una leggera gomitata.
“Non sei affatto gentile.” Iniziò, sussurrando. “E poi non sono tanto arrossita,” tentennò, sapeva che non era la verità.
“Oh, no. È solo una mia impressione allora.”
Ed un'altra leggera gomitata.

 

“La posso aiutare io, se vuole.” disse Bella a mia madre.
Quest'ultima aveva chiesto aiuto per ultimare le pietanze, e Bella si era offerta di darle una mano.
“Certo, vieni.” le rispose, lasciando me e mio padre a continuare ad apparecchiare la tavola.
Entrarono nella stanza adiacente, e mio padre incominciò a parlare.
“Non sai tua madre quanto sia felice di vedere una tua fidanzata qui,” prese dalla credenza i piatti e sottopiatti, iniziando a distribuirne quattro sulla tavola. “E' euforica come una bambina da ieri sera. Mi ha chiesto di descrivere Bella, e l'ho dovuto dare,” disse, scuotendo la testa, con un sorriso sulle labbra.
“Sono felice anche io,” mi fermai, e presi un respiro profondo. “Tu cosa ne pensi?”
“E' davvero graziosa, non avrei potuto immaginare una persona più adatta a te. E si vede che è innamorata.” mi guardò, scrollando le spalle bonariamente.
Il rapporto con i genitori adottivi era diverso da quello di genitori biologici. Inizialmente quando vivevo con Esme e Carlisle continuavo a chiedermi se meritavo loro, se mi volessero davvero, se mi desiderassero. Il cuore del piccolo bambino, che poi era diventato uomo, sapeva che l'amore dei genitori era incondizionato, oltre qualsiasi limite, ma continuava a chiedersi sempre le stesse cose, aveva paura di deluderli, di causargli un dispiacere. E che dopo ciò lo spedissero in un'altra famiglia, in un'altra parte del mondo.
Crescendo, il bambino aveva abbandonato questa paure, facendo spazio ad altre, più imponenti, più sopraffacenti.
La paura che il passato tornasse, che anche loro morissero, e che il ragazzo si ritrovasse nuovamente solo. Senza nessuno.
Anche con l'aiuto dei psicologi, l'appoggio della sua mamma e del suo papà, non era riuscito a mettere da parte le angosce. Solo quando aveva deciso di non vivere ancorato al passato era riuscito a migliorare. Nettamente. Era diventato più forte, era diventato un ragazzo normale.
Quel ragazzo era diventato un uomo. Me.

 

Eravamo tornati da varie ore a casa mia, Bella si era dedicata a mettere a poso le sue cose, le avevo fatto spazio nel mio grande armadio, così che potesse sistemarsi.
Entrai in camera, e sul letto, accanto alla valigia ancora aperta c'era un contenitore di pillole.
“Bella?” la chiamai. Era nella cabina armadio, s'affacciò, guardandomi.
“Oh.” disse solamente, quando mi vide con il pacchetto in mano. Si avvicinò cautamente.
“Non è nulla,” prese le pillole dalla mia mano.
“Posso sapere?” le chiesi. Erano dei calmanti, ed oltre alla loro funzione potevano fare ben altro.
“Non è nulla, Edward,” abbassò lo sguardo, posandolo sulla coperta.
Le presi il mento tra indice e pollice e le alzai il viso.
“A me puoi dire tutto. Tutto, Bella.”
“A Chicago. Avevo problemi ad addormentarmi, continuavo a fare incubi, come quelli che continuavano a tormentarmi all'ospedale, e prima. Ho
preso queste, per dormire meglio, e non voglio che ti pensi ad altri scopi o...”
“Io non penso nulla.” le dissi, annuendo. “Hai avuto incubi in questi giorni, con me?” domandai, in seguito.
Scosse la testa. “No, nessun incubo, per fortuna, tu sei il mio calmante personale.” appoggiò la testa sul mio petto, stringendo con le braccia il
mio busto.

Le cinsi la schiena, facendo aderire i nostri petti.
“Possiamo gettarle queste, quindi.” conclusi. Presi la sua mano, accompagnandola in cucina. Buttò le piccola ad una ad una nella pattumiera, triste.
“Vieni qui.” le dissi, portandola di nuovo in camera.
La feci sedere sul letto, mi inginocchiai e presi dal cassetto il quaderno giallo. Glielo porsi.
“Questo è tuo. L'hai lasciato in camera, in ospedale.”
Sorrise, malinconica.
Lo prese con mani tremanti, aprendolo e sfogliando le pagine. Vide il ritratto che mi aveva fatto, accarezzò la pagina, osservandolo triste. Passò alle nostre mani con il fiore e sorrise amaramente.
“Sai,” si interruppe, spostando lo sguardo su di me. “E' da tanto che non disegno, non ci riesco e non ci sono riuscita per tanto tempo. Con Jacob non avevo voglia di fare un ritratto di mettermi al lavoro. Con te è molto più diverso. E' come se tutto fosse tornato normale, dai momenti di totale limbo, alla tranquillità.” Gattonò sul letto, fino ad arrivare alla valigia ed aprire uno scompartimento nel retro. Ne estrasse qualcosa che non riuscì a focalizzare bene, lo strinse tra le mani, era colorato.
Mi portò al centro del letto con lei, uno di fronte all'altro, le sue gambe divaricate sulle mie.
“Questo, questo credo te lo ricorda.” portò le sua mani davanti al mio petto, aprendole.
Un fiore. Appassito, blu, l'iris.
L'iris che le avevo dato nella radura dell'ospedale. L'aveva ancora. Era tra le sua mani.
“Ce l'hai ancora?” chiesi sbalordito.
“Sì, mi ha aiutato molto,” sospirò, si avvicinò a me. “Con Jacob, mi ha aiutato a lasciarlo una seconda volta, a dirgli la verità.” le accarezzai la tempia, dove c'era ancora il livido ormai poco visibile. “L'avevo tra le mani quando mi hai chiamata, il giorno del mio compleanno. Mi ha aiutato moltissimo, non puoi immaginare quanto.”
Mi guardò, la guardai.
Le nostre bocche si incontrarono, restarono in contatto per un tempo quasi indefinito, e con il fiato corto, la fronte sulla sua, le dissi:
“Ti amo.” non c'era parola più esatta per esprimere le mie emozioni, i miei sentimenti per lei.
Sorrise, un sorriso che contagiò anche gli occhi, li illuminò, li rese magici.
Non potetti far altro che guardarli e rimanerne ammaliato.

Ok, è finita. Inizio a piangere sul serio. :sigh:

Nel frattempo che le lacrime scorrono: ho scritto questa OS per il concorso “A spasso nel tempo con Edward e Bella” organizzato da Stupid Lamb, Federob e Lele Cullen. Se volete fare un salto questo è il link: Fiori di Ciliegio.

Questo è tutto, all'epilogo, Many.

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Capitolo 28
*** Epilogo- Il Molo. ***


Prima di iniziare a leggere, vorrei dirvi delle parole. Vorrei ringraziarvi per il supporto che mi avete dato in questi cinque, brevi mesi. Per tutte le parole che mi avete donato, per le emozioni che mi avete fatto provare, nel momento in cui leggevo le vostre recensioni.
Ringrazio coloro che sono rimasti nelle retrovie, limitandosi a leggere. Ringrazio tutte le persone che hanno messo questa storia nelle preferite, ricordate, seguite.
Ringrazio coloro che mi hanno inviato messaggi privati, chi ha letto e starà per leggere quest'ultimo capitolo.
Solo leggendo mi avete fatto un grandissimo regalo. Grazie.
Un'altra cosa: il “capitolo” è di 1500 parole, un piccolo testo per farvi capire cosa è successo nelle loro vite. Alla fine un'altra nota per voi.
E, adesso, buona lettura.
28- Epilogo- Il molo.
Quattro mesi dopo. Gennaio.
Lo stridio dei pochi gabbiani che volteggiavano nell'aria rendeva tutto più rilassante. Volavano a bassa quota, sopra di noi, sopra le nostre teste.
Eravamo a Forks, io e Edward. Alla mia città natale.
L'odore di salsedine, che inondava le narici e quasi le corrodeva, il rumore del mare, delle onde che si infrangevano sulla battigia, rendevano tutto magico ed unico.
Ma ciò che rendeva tutto speciale era il molo, su cui eravamo io e Edward, le sedie, ed il tavolino a dividerci.
Eravamo seduti su due poltrone di pelle bianca, le nostre mani intrecciate sul piccolo tavolino, guardavamo entrambi l'orizzonte; le nuvole creavano una barriera e ostacolavano il passaggio dei raggi solari, malgrado ciò non pioveva.
Eravamo arrivati a Forks il giorno prima, e avevo fatto conoscere ai miei genitori Edward, non come mio medico, ma bensì, come il mio fidanzato. Erano passati vari mesi da quando vivevo a casa Cullen, avevo detto a mia madre che ormai la mia relazione con Edward era fissa, già da tempo, e che mi ero trasferita a casa del mio fidanzato da quando ero tornata da Chicago, quella grande villa bianca, con un grande giardino a farle da contorno, che avevo ideato (per metà) anche io, la sentivo, in quel momento, anche un po' mia.
Ci vivevo come se fosse stata la mia casa di sempre, il mio rapporto con Esme e Carlisle era migliorato molto, parlavo molto con entrambi, molto di più con la madre di Edward che con il padre, ma con ambedue ero molto aperta.
Pochi giorni prima di arrivare a Forks, avevo raccontato tutto ai genitori di Edward. Avevo raccontato di ciò che mi era accaduto, di ciò che avevo passato prima con Jacob e poi con quegli emeriti sconosciuti che avevano usato il mio corpo come un oggetto, per poi abbandonarlo via, nel momento in cui fossero stati sazi.
Avevo pianto, avevo mostrato una parte di me che non avevo mai fatto vedere a nessuno, una parte così fragile da potersi spezzare in qualsiasi momento ed in qualunque situazione.
Con loro era stato “facile” più facile, di quello che sarebbe stato nel momento in cui avrei dovuto confessarmi con i miei genitori. Lo avevo deciso con Edward. Mi aveva aiutato e sostenuta lui, in ogni istante.
Inoltre, grazie ad Esme, e con l'aiuto di Carlisle avevo deciso di denunciare il tutto. Dovevo decidere quando, ma soprattutto ne dovevo essere, ulteriormente, convinta.
Esme, ormai era diventata una seconda mamma, quando le avevo raccontato il mio passato mi era stata vicina, era stata la prima donna a cui raccontavo la mia storia, e chi, più di una donna, poteva capire cosa si poteva sentire?
Certo, non aveva (fortunatamente) passato ciò che mi era stato inflitto, ma da donna, poteva capire cosa si poteva provare, o almeno farsi un'idea.
Oltre la cerchia ristretta della famiglia di Edward, non avevo parlato a nessuno di tutto ciò che riguardasse la mia vita prima di Edward.
In ospedale, il mio fidanzato, nonché nuovo primario, aveva iniziato il proprio lavoro nei migliori dei modi, tornava a casa sempre molto stanco, di sera tardi, ma non per questo mi dedicava meno tempo, cercava in qualunque modo di stare con me, mi telefonava durante i suoi momenti liberi dal lavoro, e mentre io studiavo e preparavo gli esami, lui mi aiutava e sosteneva.
Sì, avevo ricominciato il college, che distava da casa pochi chilometri. La mattina andavo lì per poter seguire i corsi, approfondire in biblioteca e cercare di fare il mio meglio; fino a Gennaio, non c'erano stati esami, ma ben presto sarebbe iniziati, ed io, con l'aiuto di Edward, mi stavo preparando per superarli nel migliore dei modi.
Avevo fatto nuove conoscenze al college, avevo riaperto i miei contatti con Angela e la sua bambina, Rachel, che in quel momento aveva più di quindici mesi.
Lei era ancora a Seattle, ma non avevamo avuto occasione di incontrarci, tra studi, e i preparativi del matrimonio di Alice, dove avevamo partecipato, io e Edward, come testimoni di nozze; si erano sposati due mesi prima e guardare loro, e sentirli pronunciare il fatidico “sì”, aveva scatenato in me un senso di romanticismo più alto del normale.
Quasi mi faceva paura.
Amo il mare,” disse, improvvisamente, Edward.
Anche io,” iniziai, distogliendo lo sguardo da un punto indefinito del legno del molo e guardando l'oceano scuro. “Mi piace tantissimo guardarlo, da piccola venivo spesso con mio padre, lui pescava, mentre io rimanevo a fissare l'oceano per ore ed ore. E pensavo.”
A cosa pensavi?” parlò, ma senza girarsi verso di me, continuando a guardare davanti a sé, come facevo io.
A tutto, a niente. A ciò che mi capitava, pensavo al mio futuro, pensavo a ciò che era accaduto già. A ciò che provavo e che speravo di poter provare...” conclusi, la malinconia mi assalì. Ricordai dei miei sogni da piccola, ai desideri di una qualsiasi bambina.
Al suo pensiero fisso di trovare il principe azzurro, di amare e farsi amare, di dedicare tutta se stessa, di poter contare sull'altro.
Di vivere “felici e contenti per il resto dei propri giorni”.
Non era stato proprio così, non avevo conosciuto subito principi azzurri, non avevo amato subito, non ero stata felice come avevo sognato.
Ma in quel momento, sul molo, mano nella mano con Edward non potevo non essere contenta e soddisfatta degli ultimi avvenimenti.
Con lui era stata felice, avevo conosciuto il vero significato della felicità.
Essere felici è un'emozione che dura poco, perlopiù delle volte, riesce ad inebriare i tuoi sensi, a renderli entusiasti, riesce a farti vedere il mondo con colori accesi e sgargianti.
Essere felici, per ogni persona indica un qualcosa, si è felici per varie cose, chi per aver esaudito un suo desiderio, chi per altri piccoli e futili motivi, ma ognuno quando è felice, riuscirebbe a spostare il mondo con un dito.
In quei momenti non senti altro che l'energia positiva su di te, riesci a vedere tutto e tutti con occhi migliori, riesci a vivere meglio.
Essere felici significa stare bene con se stessi, credere in se stessi. In quei momenti così brevi ti senti potente, più di qualunque altro.
Pensi che non c'è nulla di più bello nella vita.
Purtroppo la felicità è un'emozione costretta a durare poco, è un'emozione effimera, che ti sconvolge nel mentre, e poi quando ti scompare ti lascia scombussolata. E ricominci a sentirti vuota, spenta.
Malgrado tutto, la felicità è l'emozione più ricercata tra tutte, è ciò che ambiscono il 99% della popolazione mondiale.
Quell'1%, invece, non cerca la felicità, ma la costruisce. Non perde tempo a cercarla in tante altre emozioni della vita, che ti conducono all'infelicità, alla delusione, all'amareggiamento. No. Quell'1% delle persone riesce ad essere felice, perché la felicità è una cosa che si riesce ad ottenere con il tempo, che si riesce a provare solo quando ci si sente a proprio agio con il mondo, quando ci si realizza in qualcosa.
Ma, cosa più importante, la felicità non deve essere mai cercata, ti troverà lei, in qualche modo.
Più si cerca più si allontana.
E non c'è un modo, non c'è una scorciatoia per essere felici.
E soprattutto non c'è una ricetta per essere felici.
Non esiste nessuna Ricetta della felicità.
Guardai Edward, la mia gioia.
Io non avevo cercato lui, anzi, nel periodo in cui avevamo fatto conoscenza l'uno dell'altra, io non pensavo alla felicità, non riuscivo a pensare ad un mondo in cui io, potevo essere felice.
E nel momento in cui meno me l'aspettavo avevo conosciuto la persona che mi avrebbe portato alla mia favola.
Guardai i suoi capelli rossicci, mossi leggermente dal vento, riuscì a scorgere i suoi occhi verdi, belli e profondi, prima che si voltasse verso di me e mi facesse perdere nel mare di smeraldi.
Il pollice della mano sinistra iniziò a giocherellare con qualcosa di liscio, e piacevole al tatto, sull'anulare della stessa mano.
Distolsi lo sguardo da Edward portandolo sulla mia mano sinistra.
Non avevo ancora fatto l'abitudine di vederlo al mio dito.
Non potevo ancora crederci che quell'anello, così bello e di valore inestimabile, per ciò che rappresentava, fosse proprio al mio dito: donatomi dalla persone che amavo.
Non potevo credere che quell'anello rappresentasse una promessa. E che quella promessa me l'avesse fatta Edward.
Mi aveva chiesto di diventare sua moglie, prima di partire, nella radura. Circondati da Iris, da meravigliosi fiori.
Posai lo sguardo nuovamente su Edward, che continuava ad osservarmi.
I suoi occhi erano migliori del mare, lì mi ci potevo perdere e non riemergerci più. Potevo trovare il suo amore per me, e forse lui riusciva a capire, dai miei occhi, tutto il mio amore per lui.
Ti amo.” sussurrò. Il mio cuore, come ogni volta che diceva quella parola iniziava a battere furiosamente, pompava sangue al volto, e sentivo le guance colorarsi di rosso. Il calore più bello che avessi mai provato.
Non potei non pensare che lui mi avesse cambiato radicalmente la vita, che lui aveva portato un'aria di rinnovo, di armonia, di tranquillità nella mia vita.
Lui era riuscito a colmare gli spazi abissali che avevano lasciato altri nel passato, era riuscito a donarmi la felicità.
Lui, Edward, era la mia felicità.
---
Per chi se lo chiedesse, no, non continuerò questa fanfic. Ma metterò degli extra, saranno due o tre, ancora da decidere, che racconteranno di almeno due tappe fondamentali, che poi se avrete voglia di leggere, saprete (gli extra non so quando arriveranno, forse tra una settimana, forse un mese è tutto ancora da decidere).
Come ho già preannunciato starò lontana da EFP, e dalla scrittura per un po' di tempo, da un minimo di 2 settimane ad un massimo di 4, per la fine di aprile, comunque, dovrei aver postato la mia nuova storia.
Quindi se, magari, il mio modo di scrivere vi è gradito controllate, di tanto in tanto il mio profilo :). (E il blog per i teaser degli extra)
Un'ultima cosa: lasciatemi festeggiare con voi quest'ultima “vittoria”, e felicità, per me: Fiori di Ciliegio è riuscita ad accaparrarsi “Le menzioni d'onore” al concorso a cui ha partecipato, se volete leggerla è qui.
Per chi volesse seguirmi vi lascio il mio contatto di twitter.
Grazie ancora a tutti e vi chiedo, per un'ultima volta di sostenermi, grazie a tutti.
Many :')

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Capitolo 29
*** 1° Extra- Tanya. ***


 

 

Salve.
Ecco, con un po' di ritardo il primo extra. Parla di Tanya, dell'incontro tra lei ed Edward prima che Bella andasse via dall'ospedale.
Cosa di sono detti? Cosa è successo? 1000 parole per spiegare ciò che è accaduto tra i due.

Buona lettura.
1° Extra- Tanya.

 

 Sentì la porta aprirsi lentamente, con un debole scricchiolio che mi fece sussulatare. Non feci in tempo ad alzare gli occhi che una voce, debole e sinuosa, vagò nell'aria, fino alle mie orecchie.
Posso entrare?”Era una donna che conoscevo abbastanza bene. Alta, bionda, snella: Tanya. Tentennò sull'uscio della porta, aspettando una mia risposta.
Combattutto su cosa rispondere assentì, annuendo debolemente.
Si avvicinò alla scrivania, e chiusi, al contempo, le cartelle cliniche che avevo davanti e su cui stavo lavorando.
C'è qualcosa che posso fare per te?” il mio tono era formale, distaccato.
Alzò le sopracciglia. “Lo sai di cosa voglio parlare, Edward.”
Sospirai, congiungendo le mani al busto. Dovevo ascoltarla, prima o poi.
Ero sicuro che sarebbe stato un discorso senza risvolti, senza complicazioni.
Feci cenno con il capo di cominciare a parlare, e lo fece, stizzita.
Non fare così! Mi fai sentire uno oggetto. Non sono ai tuoi ordini come una schiava, in questo momento, quindi finiscila di fare quei cenni autoritari.”
le sue guance si colororarono di rosso.

Scusa,” farfugliai. “Non volevo essere autoritario. Scusami,” ripetei.
Respirò profondamente e chiuse gli occhi, per calmarsi.
Edward,” iniziò, riaprendo gli occhi e guardando dritto nei miei. “Sai quanto io tenga a te, sai quanto ti voglia bene... forse questo voler bene che provo nei tuoi confronti è molto di più di semplice affetto.” balbettò, contorcendosi le mani.
Tanya...” cercai le parole giuste per esprimere ciò che volevo.
Aspetta!” mi interruppe.
No, prima che continui tu, voglio dirti questa cosa.” mi alzai, e percorrendo tutto il perimetro della scrivania arrivai da lei. Restai ad una distanza discreta, sia per non sembrare troppo distaccato, sia per non darle false speranze. “Da parte mia non c'è di un affetto tra colleghi.” dissi, con il tono più dolce e comprensivo che trovai in me. “Due mesi fa non c'è stato nulla, capisci? Non voglio, in questo momento, darti false illusioni, non voglio farti soffrire ulteriolmente. Sarei un mostro se ti concedessi un'altra opportunità, perché so che da parte mia non ci sarà mai niente, purtroppo. Sei una persona gentile, sei sensibile. Non potrei mai, capisci...” aveva ascoltato il mio discorso in silenzio, fissandomi. Ebbi paura che le mancasse il respiro, dopo che lo aveva trattenuto per tutto il tempo.
È per lei, vero? Quella ragazza che è in reparto?”
Annuì, abbassando gli occhi, mentre i suoi si riempivano di lacrime.
Vi ho visti insieme, oggi. Ho visto il tuo sguardo quando la guardavi, e soprattutto ho notato il cambiamento quando mi hai riconosciuta. Non c'era più tutte quella benevolenza, non c'era la dolcezza, ma distacco e freddezza.” disse, scuotendo leggermente il capo. La fronte era corrugata, le labbra strette.
Mi dispiace, Tanya. Ma davvero...” Non provo nulla per te, avrei voluto dirle, ma sarei sembrato troppo diretto.
Ho capito, Edward, non sono nulla per te se non una semplicissima infermiera alla tua mercé, ai tuoi ordini, sottomessa a te: il superiore.”
Non sto dicendo questo!” dissi, portando le mani avanti, come a proteggermi dalle sue parole, che mi ferirono un po'.
Sembrò non ascoltarmi e continuò, imperterrita, a parlare.
Ma la sai una cosa? Io non posso farci nulla se ogni volta che ti vedo il mio cuore va a mille e rischi un infarto. Non posso far nulla se non arrossire come una bimbetta alla sua prima cotta adolescenziale. Ed essere gelosa di vederti con un'altra. Sono una stupida, perché mi sono illusa. Illusa dai tuoi sguardi, dalle tue mosse, dal tuo modo di parlare. E solo adesso mi accorgo si quanto sono stata ridicola a vedere ciò che davvero volevo vedere e non quello che tu realmente facevi o dicevi.” sussurra velocemente, roteando gli occhi. “Ma sai una cosa? Anche in questo momento, mi vien voglia di starti accanto, di avvicinarmi a te, e ti sfiorare le tue labbra, fino a far incontrare le nostre lingue...” mentre lo pronunciava avanzò verso di me. Rimasi sconvolto dalle sue ultime parole tanto da non riuscire a reagire. Non riuscì a scanzarmi quando si avvicinò. Indietreggiai fino a sedermi sulla scrivania, ma non riuscì ad andare oltre, a respingerla.
Tu mi piaci, Edward,” non guardava più i miei occhi, ma le mie labbra. Nonostante le avessi detto (o almeno fatto capire) che da parte mia non c'era nulla, lei voleva baciarmi. Aveva deciso. “Più di tutti, non ho mai provato nulla di simile di quando sono accanto a te.” Sussurrò sulle mie labbra.
Per favore...” balbettai con voce roca.
Senza badare alle mie parole sfiorò le mie labbra, leggermente, prima che riuscissi finalmente a risvegliarmi dallo stato di semi-catatonia in cui ero
caduto. Mi voltai dalla parte opposta, guandando in basso.

Come avevo potuto far correre la cosa, e aspettare che accadesse, perché ero rimasto imbambolato come una statua sulla scrivania?
Come avevo potuto non pensare alle conseguenze di quel semplice sfioramento?
Sentì, improvvisamente un rumore, che destò i miei pensieri: corsi alla porta, allontanando bruscamente Tanya dal mio fianco.
Aprì la porta che era rimasta socchiusa per tutto il tempo.
Sparso sul pavimento del corridoio c'era l'acqua di una flebo, e tanti piccoli pezzi di vetro contenente il liquido che ormai bagnava la superficie.
Vidi una persona, correre dalla parte opposta alla mia. Zoppicava, sbandando leggermente mentre cercava di correre. La riconobbi immediatamente.
Era Bella.

 

 

Il resto lo conoscete, e spero ricordiate.
Il prossimo Extra sarà, credo, più interessante, e verdrà protagonisti Bella ed Edward, insieme.

Alla prossima, come sempre ringrazio chi legge, e chi dedica qualche parola.

Un bacio, Many.

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