La Gilda dei fantasmi.

di frannn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Storia della Gilda - Libro I, per principianti. ***
Capitolo 2: *** Magia non-morta - Libro I ***
Capitolo 3: *** Never gonna be alone - Nickelback. ***
Capitolo 4: *** Pack up - Eliza Doolittle. ***
Capitolo 5: *** Have a drink on me - AC/DC ***
Capitolo 6: *** Beat it - Michael Jackson ***
Capitolo 7: *** Bohemian Rhapsody - Queen ***
Capitolo 8: *** Hole in my Soul - Aerosmith. ***
Capitolo 9: *** Funhouse - Pink ***
Capitolo 10: *** One fine wire - Colbie Caillant. ***
Capitolo 11: *** (I can't get no) satisfaction - Rolling Stones. ***
Capitolo 12: *** Under Pressure - Queen. ***
Capitolo 13: *** Heaven out of Hell - Elisa. ***
Capitolo 14: *** Sick and Tired - Anastacia. ***
Capitolo 15: *** Fighter – Christina Aguilera. ***
Capitolo 16: *** Savin' me - Nickelback. ***
Capitolo 17: *** Dancing - Elisa. ***
Capitolo 18: *** In the Shadows - The Rasmus ***
Capitolo 19: *** Saint of Los Angeles – Motley Crue. ***
Capitolo 20: *** Land of Confusion - Genesis. ***
Capitolo 21: *** Hell Bells - AC/DC. ***
Capitolo 22: *** Still Waiting - Sum41. ***
Capitolo 23: *** Alone - Heart. ***
Capitolo 24: *** I miss you - Blink182 ***
Capitolo 25: *** Iris - Goo Goo Dolls. ***
Capitolo 26: *** Life's a Bitch - Motorhead. ***
Capitolo 27: *** Bound to You - Christina Aguilera. ***
Capitolo 28: *** Bleed it Out - Linkin Park ***
Capitolo 29: *** Before tomorrow comes – Alter Bridge ***
Capitolo 30: *** Your arms feel like home – 3 Doors Down ***
Capitolo 31: *** Sweet child o’ mine – Guns N’ Roses ***



Capitolo 1
*** Storia della Gilda - Libro I, per principianti. ***


Storia della Gilda - Libro I Storia della Gilda - Libro I, per principianti.

Molto, e con molto intendo davvero tanto tempo fa, un uomo cominciò a giocare con la magia.
Come, questo nessuno seppe mai spiegarlo. Qualcuno mormora che fu Dio a svelare a quell’uomo i segreti di un potere strabiliante ed illimitato; alcuni pensano che l’uomo fosse corrotto da Satana; altri suppongono che il genio umano abbia semplicemente superato i suoi limiti e si sia spinto oltre il possibile.
Quell’uomo, che noi tutti conosciamo come Sir Arthur Krüger, custodì il suo sapere in un libro e tramandò quel libro a suo figlio, che lo tramandò a suo figlio e poi a suoi figlio ancora, finché Richard Krüger non giunse alla conclusione che una scoperta di tale grandezza non poteva essere occultata in quel modo.
La sua prima intenzione era di divulgare il sapere magico a tutti, senza distinzioni, ma, a frenare quello sconsiderato ottimismo, intervenne Raya Krüger, sua consorte, che noi ricordiamo come illustre fondatrice della nostra cara Gilda.
La signora Krüger, tenendo in conto la possibilità di un abuso della magia da parte dell’uomo, persuase suo marito a limitare la conoscenza di quell’arte ad un’elitè di famiglie la cui stirpe, i Discendenti, siete voi studenti della Gilda.
Le famiglie, scelte dai coniugi Krüger secondo criteri a noi ignoti, erano sette e si tramanda che ciascuna di essere si specializzò in un particolare uso della magia: c’era chi ricavava energia dall’acqua, chi dalla terra, chi dall’aria, chi dal fuoco, dal Sole, chi dagli stessi esseri viventi, quali animali e piante. La famiglia Krüger, invece, fu la prima a ricavare il suo potere dai defunti.
Il nostro obiettivo è abilitarvi all’uso di tutte queste fonti, nel rispetto delle leggi naturali che ci vincolano.
I segreti che apprenderete alla Gilda, la sua arte e la connessione con il mondo che questa forza sovrannaturale può permettervi di avere sono un’arma a doppio taglio.
E’ un peso, una responsabilità, il rischio di mille guerre, di disastri più grandi e spaventosi del vostro incubo peggiore elevato all’ennesima potenza.
Come Raya Krüger arrivò a dedurre tempo orsono, il nostro sapere non può essere affidato all’umanità intera: sarebbe soggetto ad una spaventosa e raccapricciante corruzione; subirebbe osceni abusi e sarebbe sfruttato per scopi disonorevoli.
Gli adepti della Gilda si sentano sempre onorati di far parte di una classe eletta di uomini legati più al cielo che alla terra.

La gerarchia della Gilda:

•    Comandante (In carica: Destiny Bistroph, figlia di Stuart Bistroph, figlio di Genevieve Brockway, figlia di blablabla...)
•     Il Gran Consiglio degli Ufficiali Superiori: assemblea di Ufficiali eletti tra i membri più anziani e/o meritevoli della Gilda, atta ad offrire supporto al Comandante. Supervisiona l’istruzione, i Maestri e gli Adepti. (In carica: B. Baker, T. Fuentes, P. Bailey, S. Muller [...])
•    Maestri Scelti [...]
•    Tutori [...]
•    Adepti: classificati dal I al XIII anno d’istruzione.

Tutte le famiglie elette della Gilda, pur non abitando nella sede principale, saranno dislocate a distanze non consideravoli da essa e dovranno sempre mantenere i contatti con la Gilda stessa.
La magia non è un’arte che si acquisisce e basta: va mantenuta attiva ed è in continua evoluzione. [...]

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Capitolo 2
*** Magia non-morta - Libro I ***


Magia non-morta Magia non-morta - Libro I.

Qualsiasi essere vivente è fonte di un’energia terreste ancorata al nostro pianeta anche dopo la morte e il disfacimento di quel corpo stesso.
L’energia propria di ogni creatura non scompare col suo decesso, ma rimane incastrata in ogni angolo del nostro mondo.
E’ offerta alla Gilda e ai suoi discepoli l’opportunità di non lasciare incompiuta ed isolata quell’energia, in quanto potere latente, forte, meraviglioso e paradossalmente vivo.
Sfruttare quel potere è peculiarità della cosidetta magia non-morta.
 
[...]

La famiglia Krüger, di cui noi tutti siamo i seguaci, ci ha dato modo di conoscere l’energia dei defunti e ci ha tramandato i segreti per mettersi in contatto con quello che non è più il mondo dei vivi ma non ancora quello dei morti.
La magia non-morta è un’arte pericolosa e difficile, che non tutti riusciranno ad applicare.

[...]

Il tramite della magia non-morta è il disegno.
Nelle pagine seguenti è riportato il simbolismo che, eseguito nel modo corretto ed accompagnato dalla giusta concentrazione, apre le porte del mondo dell’energia terrestre.
Un qualsiasi uso sconsiderato di questi simboli o la loro applicazione errata, potrebbero causare una dispersione di energia che, nel migliore dei casi, andrà semplicemente sprecata.
Non è opportuno, però, sottovalutare i rischi: le leggi dell’Universo hanno spesso privato della vita chi ha abusato della potenza della morte.
Non siamo divinità, non scegliamo chi nasce e chi muore: dagli atti naturali ricaviamo la nostra forza, senza intaccarne il corso.
Ricorrere alla magia non-morta non vuol dire poter portare indietro persone a noi care che ci hanno abbandonato, né mettersi in contatto con loro, ma solo raggiungere l’aura di potenza che le anime lasciano dietro di sé quando abbandonano il loro involucro temporaneo e limitato.

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Capitolo 3
*** Never gonna be alone - Nickelback. ***


Never gonna be alone - Nickelback Never gonna be Alone - Nickelback.

Time, is going by, so much faster than I and I'm starting to regret not spending all of here with.

I Giardini della Gilda erano un’oasi surreale,
in cui perdersi era dolce come l’abbandonarsi al sonno dopo una giornata di fatiche,
in cui perdersi era pericoloso come un salto nel vuoto.
Si rischiava di rimanerne ammaliati a tal punto da preferire quel mondo incantato alla realtà.
Magia e natura, imprescindibili l’una dall’altra, davano il meglio delle loro capacità in un tripudio di colori, suoni ed odori che era più vicino alla pace dei sensi di qualsiasi altra meraviglia.
Non c’era cielo, nei Giardini della Gilda, perché le foglie, i rami ed i fiori si abbracciavano in una gigantesca cupola che isolava quel luogo dal resto del mondo.
La luce filtrava a raggi finissimi, che giocavano a creare ombre sinuose sul manto erboso o si riflettevano brillanti sull’acqua zampillante della fontano.
Si udiva in sottofondo quello che sembrava il lento fluire di un fiume e non si era nemmeno in grado di domandarsi come una fontana abbastanza modesta potesse produrre un suono simile.
C’erano farfalle, uccelli, piccoli animali nascosti, creature a metà tra l’umanamente noto e il fantastico: esseri che forse si immaginavano soltanto, che non erano davvero lì, ma potevi vederli lo stesso.
La quiete era densa, palpabile, consistente a tal punto da gravare sulle persone come un piacevole peso, qualcosa di irrilevante al cospetto di uno spettacolo etereo.
Gabby era una nota decisamente stonata in quel contesto e, in effetti, non sarebbe dovuta essere lì.
Era una bambina di appena sei anni, vispa ed energica fino all’iperattività; indossava una blusa bianco crema che di bianco aveva ormai ben poco dopo i suoi giochi e dei pantaloni mogano troppo larghi per lei.
Era stata condotta alla Gilda da pochi giorni: era indisciplinata e fuori controllo. La separazione dai suoi genitori, poi, non doveva aver contribuito a placare il suo spirito attivo.
La famiglia Sanders, cui Gabby apparteneva, era da sempre tra le elette della Gilda: il destino di quella bambina era piuttosto scontanto. Doveva essere addestrata a dovere, così come l’antica tradizione richiedeva.
I genitori di Gabby avevano deciso, come era tipico della loro famiglia, di affidare completamente la loro bambina alle cure della Gilda.
Non era una mancanza d’amore, anzi, dal loro punto di vista quella di offrirle un futuro nell’ambiente della Gilda, era la più grande dimostrazione d’affetto.
I Sanders erano di mentalità ristretta, tradizionalista e conservatrice: nessuna esistenza aveva senso se non quella al servizio della magia.
Certo, questo non poteva aver valore per una bambina, cui poco importa del futuro.
Sapere d’avere il privilegio di un’istruzione simile non le teneva compagnia le notti in cui avrebbe voluto addormentarsi tra le braccia di sua madre.
Non era la prima volta, quindi, che si presentava una situazione simile alla Gilda: per questo era stato deciso di assegnare un tutore ai bambini che, nel rispetto di tradizioni discutibili, si ritrovano trapiantati in tenera età in una nuova realtà.
Berell si era trovato investito di questo incarico, certamente non per suo volere. La sua condotta era stata, negli ultimi tempi, piuttosto discutibile: per farla breve, si era spinto un po’ oltre il limite ultimo della Gilda. Questo gli costava il “calvario” di prendersi cura di quella peste rumorosa e molesta.
Non si sentiva affatto a suo agio in quel ruolo di genitore e non pensava neppure che gli sarebbe riuscito bene. Gli Ufficili erano stati pazzi ad affidargli una simile responsabilità. Se soltanto fosse capitato di doverle preparare da mangiare, l’avrebbe fatta secca per sbaglio.
Era dinoccolato e magro, un fuscello non più adolescente ma certamente non ancora uomo. Era piuttosto avanti con gli studi rispetto ai suoi coetanei e spiccava per acume e tenacia, ma non di certo per condiscenza. Era un po’ un bastian contrario, ma le regole della Gilda non avrebbero tardato a drizzarlo a dovere.
- Dove diavolo vai? -.
Grignò tra i denti, afferrando la bambina prima che potesse combinare qualche guaio.
Mocciolosa scocciatura in miniatura.
- Non si può stare qui, capito? -.
In una frazione di secondo, il sorriso di Gabby si trasformò in grandi lacrimoni che le colavano sulle guance morbide. Cominciò a frignare e Berell andò nel panico. Le diede delle pacche leggere sulla testa, cercando di calmarla con scarso successo, trascinandola contemporaneamente fuori dai Giardini.
Una volta abbandonata la quiete di quel posto, Gabby si sentì in diritto di aumentare il volume dei suoi capricci. Berell fu tentato d’andarsene e mollare lì la bambina-sirena-dell’ambulanza, ma quando lei alzò i suoi occhi spaventati su di lui, qualcosa lo spinse a prenderla in braccio e a stringerla forte.
Se si fosse guardato allo specchio in quel momento si sarebbe sentito davvero poco virile.
Gabby non si calmò subito, anzi, il suo gridolino perforante continuò a tartassare per un po’ le orecchie del ragazzo, ma alla fine cedette e rimase stretta ad occhi chiusi contro il suo petto.

Never gonna be alone! From this moment on, if you ever feel like letting go, I won't let you fall.

Berell era giovane, non era innamorato, non pensava mai alla famiglia, né al prendersi cura di qualcuno che non fosse se stesso: non per vero e proprio egoismo, in realtà, ma era stato cresciuto in quell’ottica.
Bastò poco a fargli sentire di colpo la mancanza di ciò che non aveva avuto, a fargli percepire il peso di ciò che aveva tenuto lontano. Sebbene i primi tempi furono terribilmente difficili, non seppe più immaginarsi senza Gabby al suo fianco, come se la sua precedente vita non potesse aver senso perché non l’aveva mai condivisa con un altro.

Never gonna be alone! I'll hold you 'til the hurt is gone.

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Capitolo 4
*** Pack up - Eliza Doolittle. ***


Pack up - Eliza Doolittle. Pack up - Eliza Doolittle.

I get tired and upset and i’m trying to care a little less.

- Quante altre volte dovrò farti la solita noiosa ramanzina? -.
- La soluzione è smettere di ripeterti, Berell -.
Ringhiò Gabby tra i denti, mentre Berell la scrutava con disappunto. Era un’adolescente, ormai, e le problematiche di quell’età erano aggravate dal semplice fatto che Gabby aveva un’abilità innata nel mettersi nei guai cantando fuori dal coro in un luogo come la Gilda.
- Non puoi rifiutarti di seguire le lezioni di auto-difesa solo perché condividi i principi di Gandhi -.
Gabby scrollò le spalle.
- Non puoi nemmeno andartene in giro con una t-shirt con su scritto “il mio compagno di banco
puzza” -.
Lei roteò gli occhi.
- Era una scommessa...-.
- E non puoi uscire dopo il coprifuoco dalla tua stanza per andare a giocare a briscola con chi capita.
A briscola...davvero, Gabby? Vuoi farci impazzire o cosa? -.
Gabby saltò giù dal banco su cui stava seduta. Berell l’aveva trattenuta dopo la fine della sua lezione per assillarla con rimproveri triti e ritriti.
Da bambina era stata l’artefice di mille scherzi bizzarri, portati a termine senza l’uso della magia: aveva l’abitudine di sparire e nascondersi per ore in posti impensabili, portando con sé fumetti e libri illustrati; le piaceva giocare a campana e a “un due tre: stella!”, quando tutti i suoi coetanei si sbrizzarivvano con trucchetti magici; contrabbandava biscotti e cioccolatini in cambio di collane e figurine e faceva a botte con chi le rubava la merenda. Era un bambina abbastanza scontrosa e fin troppo normale: non era per nulla incline alla magia come i suoi coetanei...Gabby preferiva mettere serpenti finti sulle sedie dei suoi maestri e fare linguacce a destra e a manca.
Poi era subentrata la voglia di esprimere le sue opinioni: Gabby non era mai stata disposta a lasciarsi sottomettere e meno che mai quando divenne consapevole sia della sua vita nella Gilda sia in quella al di fuori di essa.
La Gilda era sconosciuta al mondo, ma non si poteva dire il contrario: la tecnologia non era bandita e attraverso internet Gabby aveva accesso a tutto e da tutto traeva vantaggio. La conoscenza la rendeva sempre più pericolosa, sempre più instabile, pronta ad esplodere.
Berell non sapeva più come tenerla sotto controllo. Non potevano permettersi di perdere una tanto promettente studentessa e lui...lui non poteva permettersi di perderla e basta.
- C’è qualcosa di davvero sbagliato nelle vostre regole -.
- Gabby, il sistema esiste perché le cose funzionino e non per torturarvi...-.
Gli si avvicinò e gli puntellò un dito sul petto, corrugando la fronte.
- Il sistema è una fregatura, Berell. La magia è dentro di noi, ci sarà sempre, anche se non mi addormenterò alle undici in punto ogni sera -.
Lui sospirò, prendendo le mani di Gabby tra le sue.
- Hai bisogno di un’istruzione e disciplina...-.
- E’ vero, ma ho bisogno anche di libertà di scelta -.
Soffiò quelle parole quasi senza muovere le labbra. Era frustrata e si scostò da Berell, che la seguì con lo sguardo.
- Volete per forza cambiarmi. Non posso semplicemente imparare ed essere brava senza annullarmi del tutto? Non posso essere così, senza tanti problemi? -.

Don’t worry, there’s no doubt, there’s always something to cry about when you’re stuck in an angry crowd, they don’t think what they say before they open their mouths.


No, non puoi.
Pensò Berell, sospirando. Sapeva che la Gilda aveva sempre funzionato perché esisteva una mentalità comune e perché, per amore della magia, gli adepti erano disposti ad accettare la tradizione e l’uniformità che questa comportava.

- La Gilda è sempre stata la mia unica casa...è vero, ho combinato qualche pasticcio ogni tanto, ma l’ho sempre rispettata. Perché nessuno ha rispetto per me? -.

I don’t care what the people may say, what the people may say about me.

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Capitolo 5
*** Have a drink on me - AC/DC ***


Have a drink on me

Have a drink on me - AC/DC.

 La città viveva di notte e Felix le faceva compagnia.
So don’t worry about tomorrow, take it today,  forget about the cheque, we’ll get hell to pay.
Gli AC/DC cantavano che “avrebbero pagato all’inferno” e lui rideva amaramente tra un sorso di tequila ed un assolo di chitarra.
Stava già pagando e quello era già l’inferno. Non c’era giustizia nel mondo che lo circondava e non ce ne sarebbe stata altrove, mai. Eddai col pessimismo cosmico.
Poggiò il bicchiere sul bancone e fece un cenno al barman.

- Un altro giro -.
Bofonchiò, voltandosi a guardare la folla accalcata nel locale. Ragazze poco vestite convinte che il corpo fosse l’unica arma a loro disposizione e ragazzi sbronzi che preferivano annacquare di alcool la realtà pur di non farci i conti. Un tempo era semplicemente uno di loro, un burattino, un ragazzino ignorante ed inconsapevole della portata degli eventi; poi la sua esistenza si era capovolta, riducendo tutto in pezzi.
Chi rompe paga. Pensò, con sarcasmo. Come no.
- Sei sicuro di essere maggiorenne? -.
Gli domandò l’omaccione dall’altra parte del bancone, con il suo fiero pancione da ozioso ed il suo sguardo poco sveglio.
Felix inarcò un sopracciglio, scettico, facendo roteare gli occhi come per indicare globalmente tutti i presenti. Con molta probabilità, il 50% di quei giovani non era in età da alcolici, eppure non sembrava essere un problema, considerato il loro stato attuale: trovarne anche solo uno sobrio era un’impresa epica.

- E tu sei sicuro di volerlo sapere? -.
La risposta fu chiara quando il tizio, in evidente svantaggio dal punto di vista psicologico, versò altra tequila nel bicchierino. Felix gli rivolse un sorriso eloquente; era tentato di confessargli d’avere quasi vent’anni e che doveva essere davvero uno stupido per non accorgersene. Non sembrava più un ragazzino, dal suo viso era sparita la confusa aria da adolescente, eppure qualcosa ancora, nei suoi occhi forse, parlava di un’innocenza strappata che disorientava chi lo guardava.
C’è un bambino lì dietro, questo si pensava, ma esternamente si vedeva solo roccia.
Bevve tutto d’un fiato ed abbandò il suo sgabello. Voleva scivolare nella mischia e lasciarsi trasportare dalla musica, fino all’alba, fin quando il giorno sarebbe tornato di nuovo per riscuotere.
Abbandonò il locale quando ormai il Sole faceva luce sullo sporco dei palazzi e sul degrado delle strade. Felix aveva sempre pensato che il posto in cui viveva acquistasse fascino soltanto nel buio e nelle ombre che smussavano gli angoli e facevano sembrare felici i volti spenti. La mediocrità delle architetture e la natura povera erano inghiottite nel nero, dove la fantasia poteva ridisegnarle più belle.
Infilò le mani in tasca sentendosi emarginato e fuori luogo per l’ennesima volta.
Nulla gli apparteneva di ciò che lo circondava e nulla, in realtà, gli era caro o lo interessava. Calciò una lattina di birra vuota abbandonata tra mozziconi di sigaretta ed escrementi di cane.
Elegante”, pensò storcendo la bocca.
Ma, in effetti, credeva di meritare quel paesaggio decadente perché allo stesso modo era devastata la sua anima. Come avrebbe potuto pretendere di meglio?

Come on all the boys make a noise, have a drink on me.

 

 

 

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Capitolo 6
*** Beat it - Michael Jackson ***


Beat it
Beat it - Michael Jackson.

They told him don't you ever come around here, don't wanna see your face, you better disappear.
The fire's in their eyes and the words are really clear, so beat it, just beat it.
 - Aprite questa porta! -.
I cardini sembravano sul punto di cedere, la casa tremava come se a scuoterla fosse un terremoto e non un esiguo gruppo di guardie.
- Berell, hai uno dei tuoi
improvvisi lampi di genio, vero? -.
Rannicchiata sotto il tavolo, Gabby fulminò con lo sguardo l’uomo che li aveva cacciati in quel brutto guaio. Dai suoi piccoli palmi fissi sul pavimento, nel frattempo, scaturiva una leggerissima e quasi impercettibile luce argentata che avvolgeva la casa come una sorta di pellicola trasparente.
Ti sto salvando il culo. Pensò, digrignando i denti. Ci sto salvando il culo.
- Berell -.
Lo chiamò ancora, sibilando.
- Sto pensando, Gab, sto pensando -.
La ragazza assunse un cipiglio contrariato.
- Utile, davvero-.
Trattenne tra le labbra altri commenti sprezzanti quando Vanda, accovacciata dietro una sedia dall’altra parte della stanza, la fulminò con gli occhi. Gabby sapeva che quello non era il momento più opportuno per litigare, ma la tensione la incattiviva. I suoi pensieri farfuglianti furono scacciati dal rumore sinistro e stridulo prodotto dallo scudo di protezione, che aveva cominciato a scucirsi come un vestito troppo stretto.
- Berrell! -.
Urlò, non appena la debolezza la costrinse a serrare i pugni, interrompendo l’affluso di energia che li proteggeva. Il luccichio d’argento si spense ed il buio li inghiottì, mentre le voci delle guardie esplodevano vittoriose fuori dalla casa. La porta cominciò a saltare nei cardini e solo un insano ottimismo poteva far sperare che avrebbe resistito per più di un minuto.
- Okay, okay! -.
La figura flessuosa ed agile di Berrell saltò in piedi ed un’accecante luce purpurea invase la stanza, inghiottendola, confondendola, cancellandola e infine facendola esplodere.

Le guardie rimasero carbonizzate, di loro non restò niente. Soltanto l’odore di carne bruciata testimoniava quella morte, impregnando l’aria sfrigolante.
Gli uomini che sarebbero dovuti intervenire in caso di estrema necessità e che erano appostati poco lontano dalla casa, sobbalzarono all’esplosione ed accorsero sconcertati nei pressi dell’abitazione, soltanto per assistere ad un desolante spettacolo di resti in fiamme, incorniciato da alberi e foglie ardenti.
- Sono morti tutti? -.
Domandò uno, a bocca aperta.
- Secondo te, idiota? -.

It doesn't matter who's wrong or right, just beat it, beat it.

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Capitolo 7
*** Bohemian Rhapsody - Queen ***


Bohemian Rhapsody

Bohemian Rhapsody - Queen.

 
Felix non si limitava a ricordare quanto accaduto. Quella brutta vicenda era una visione che si riproponeva all’improvviso, risucchiandolo ogni volta nell’orrore, nella sequenza rapida di azioni, nelle decisioni prese su due piedi, come se fosse reale, come se fosse il presente.
Is this the real life? Is this just fantasy? Caught in a landslide, no escape from reality, open your eyes, look up to the skies and see, I'm just a poor boy.
Il suo passato non poteva lasciarlo in pace, i suoi fantasmi erano troppo grandi per non gettare ombre anche su ciò che era rimasto, su quelle poche ceneri. Bastava un niente a far scattare la sua memoria; la stanza riprendeva forma intorno a lui con tanto di mobilio e sostituiva il paesaggio poco interessante della città, le persone venivano cancellate e al loro posto restavano solo suo padre Mason, sua madre Janis e suo fratello Tristan.
Suo fratello con un foro d’arma da fuoco nel mezzo della fronte, dissanguato sul pavimento della cucina, per essere precisi. 

- Cosa hai fatto, Felix? Cosa hai fatto? -.
Sua madre lo guardava inorridita, con le mani sulle labbra. Il sangue le macchiava il viso e i capelli, rendendo inquietante e macabra la sua figura solitamente bella e vivace. Le lacrime spezzavano la morbidezza dei suoi zigomi, veloci e tormentate come un torrente.
Suo padre gli tolse la pistola dalle mani, con la calma e la professionalità tipiche di un poliziotto esperto.

- Mamma io non...io... -.
- Come...tuo fratello era malato, era malato e...tu l’hai ucciso, Felix! -.

Janis cominciò ad urlare, piegandosi sul corpo di Tristan, inerme e sempre più pallido.
- L’hai ucciso! -.
La sua voce cominciò a suonare famelica, distrutta dall’angoscia. Lo fissò come una leonessa pronta all’attacco e a Felix passò per la mente il terribile pensiero che si sarebbe alzata e gli avrebbe sparato per vendetta.
- Nessuno dovrà mai sapere niente di questa storia. Diremo che Tristan si è suicidato -.
Mason pulì meticolosamente il calcio e il grilletto della Colt con un canavaccio, spostando lo sguardo dal corpo di Tristan, a sua moglie e infine a Felix che boccheggiava impotente.
- Ecco cosa diremo, sì, suicidio, ecco cosa -.
Cominciò a farfugliare, prima che i lamenti di Janis sovrastassero ogni voce e prima che il mondo della famiglia Bert sbiadisse, privo di speranze.

Quando riuscì a scrollarsi di dosso quella sensazione di pesantezza che lo opprimeva al raffiorare dei ricordi, Felix si rese conto di essere di fronte alla porta del suo appartamento. C’era arrivato senza accorgersene, condotto da un riflesso istintivo. I suoi piedi avanzavano da soli, incastrandosi alla perfezione nelle impronte impresse su quella strada di monotonia. Tirò un lungo sospiro che sapeva di alcool e infilò la chiave nella toppa. Cercò di essere il più silenzioso possibile per non svegliare la sua coinquilina, premura che si rivelò inutile. Nelly era seduta sul divano, in attesa: il suo piccolo piede destro batteva ritmicamente sul pavimento, anticipando la sua impazienza.
Felix si aspettava la solita ramanzina, quindi si concesse un ultimo secondo di calma, fissando la sua figura per l’ennesima volta, senza riuscire a trovare in essa nulla di accattivante.
Per carità, lei era bella come le modelle sulle copertine dei giornali, con i suoi cortissimi capelli ramati e la sua magrezza, gli occhi cobalto e la pelle puntinata di simpatiche lentiggini, eppure cos’altro c’era? Cos’altro aveva da offrirgli? Felix non notava nulla di spiccato nella sua personalità, non riusciva ad apprezzare la piattezza del suo modo di essere, la sua superficialità e la sua ignoranza. La bellezza un giorno sarebbe passata anche per lei, sinuosa ed elegante bambina sulla passerella, e a quel punto cosa le sarebbe rimasto?
Felix c’era finito a letto, lo ammetteva senza vergogna, ma sapeva che nel mondo lei non era coraggiosa come in una stanza. Sapeva che il futuro con una come Nelly non era un’opzione.
Tralasciando che per lui il futuro non concedeva possibilità a prescindere.
- Dove diamine sei stato? -.
Scattò come una molla, una belva sul piede di guerra, eccitante ed agile nella sua vestaglia di seta.
- Devi reagire così tutte le santissime volte? -.
Cercò di obiettare Felix, senza successo. Nelly aggirò il divano come se fosse la carcassa di una preda dissanguata e lei si stesse semplicemente preparando ad assaporare la portata successiva.
- Certo che devo, idiota! Sono le sei del mattino ed io mi sono preoccupata per te fino a poco prima che rientrassi, poi ho capito che potevi semplicemente andare a farti fottere! -.
Lui infilò le mani nelle tasche posteriori dei jeans, osservando le bottiglie di birra sparse per l’appartamento, i fazzoletti accartocciati negli angoli e l’appiccicume sulle mattonelle, notando infine una polo bianca abbandonata sulla poltrona.
Nelly aveva dato uno dei suoi festini infrasettimanali e, con tutta probabilità, il proprietario di quella polo era ancora attorcigliato nelle lenzuola del suo letto.
 - Non mi sembra che tu ti sia annoiata in mia assenza -.
Sollevò un sopracciglio ed arrestò la replica di Nelly poggiandole l’indice sulle labbra.
- Tesoro, non fare la mammina isterica con me, non ne ho bisogno. La mia unica necessità è che tu pulisca alla svelta questo schifo -.
Girò sui tacchi, desiderando ardentemente di chiudersi in camera e non sentirla più fiatare ma, come era proprio dello stile di Nelly, lei dovette aggiungere qualcosa che le sembrava brillante e necessario all’umanità.
- Sarò pure una donna, ma non servo solo a pulirti casa, ho dei diritti e merito rispetto! -.
Schioccò la lingua e batté le palpebre dalle ciglia vertiginosamente lunghe, per conferirsi un’aria di superiorità. Felix inspirò per calmarsi: odiava dal profondo del cuore quel suo modo di portare ogni discussione sul piano del sessismo, come se lui fosse uno schifoso maschilista che la trattava a pesci in faccia. La verità era che Nelly, come molte altre donne, si faceva scudo con la discriminazione dei sessi, si parava il culo per dirla in parole povere, ma poi i suoi principali interessi si riducevano a cosmetici e gossip e lei al mondo non sapeva proprio cosa offrire, eccezion fatta per il suo corpo.  Era la prima a non rispettarsi, come mai avrebbero potuto farlo gli altri?
- Sì, dai, giochiamo a fare le femministe incallite, Nelly, molto astuto! Peccato che avere le ovaie non necessariamente voglia dire saper usare il cervello -.
Ringhiò, sbattendo alle sue spalle la porta della stanza. Si ritrovò al buio, sentendo la gola bruciargli e le mani fremere dalla voglia di spaccare qualcosa. Senza accendere la luce, raggiunse tentoni il letto e si accasciò sul materasso, addormentadosi subito.

 I need no sympathy because I'm easy come, easy go, a little high, little low. Anyway the wind blows, doesn't really matter to me.

Gabby guardò un’altra volta Berell, richiamando a sé più forza di quanta in realtà avesse a sua disposizione. Drizzò le spalle, chiuse la porta e attraversò la camera a grandi falcate. Era tenuta in penombra, spartana e senza mobili, eccetto il letto e la sedia su cui lui vegetava, apatico.
- Come ti senti? -.
Poggiò le piccole mani sulle ginocchia del suo amico, speranzosa in una risposta che forse nemmeno quel giorno sarebbe arrivata. Tutte le mattine lei passava almeno mezz’ora in sua compagnia, nella maggior parte dei casi senza fiatare. Cercava di capire, di cogliere un segno dal tanto decantato silenzio, senza riuscire a sentirci dentro alcuna verità. Non c’erano mille spiegazioni nel silenzio di Berell, non c’erano emozioni, non c’erano miglioramenti. Sospirò e lasciò la stanza.
Quella deprimente scenetta si era ripetuta più volte al giorno sin da quando erano arrivati lì, quasi due mesi prima.
- Gab, è pronta la colazione -.
Vanda si destreggiava tra padelle e pentolini come se fossero il suo habitat naturale. Fermandosi sull’uscio della cucina, Gabby si domandò se smettere di combattere e vivere una vita normale, forse noiosa e ripetitiva ma familiare, fosse una possibilità per loro oppure soltanto un’illusione.
Magari il posto di Vanda era davvero dietro ai fornelli. Ed il suo... chissà! Il mondo era un ventaglio di opportunità da capogiro, di occasioni, di proposte, c’era da aver paura di non saper scegliere più che di non aver scelta.
- Si, ehm, non ho fame -.
L’odorino del frittelle e della marmellata, in realtà, l’allettava parecchio, così come l’aroma di caffè che abbracciava la casa, ma la voglia vera e propria di mangiare le era passata da un bel po’.
Vanda le scoccò un’occhiataccia, sbattendo una presina sul tavolo e lasciandosi cadere su una sedia, con il tonfo leggero del suo bel corpo. A Gabby era sempre sembrata una donna meravigliosa, eppure la tristezza, invece di appassirla, le aveva donato un nuovo fascino, un’attraente aria da sopravvissuta.
I suoi occhi erano sempre un po’ socchiusi, nascondevano le iridi ghiacciate come se fossero un segreto imbarazzante. I lunghissimi capelli color mogano si attorcigliavano sulla schiena come tentacoli di una spaventosa creatura marina e la sua pelle bruna dava l’impressione che il Sole la cercasse e scovasse il suo viso morbido per baciarlo e baciarlo e baciarlo ancora. Non era perfetta, né truccata o magrissima, era morbida e naturale come un fiore.
- Be’, vedi di fartela venire, perché di questo passo scomparirai -.
Vanda l’aveva fulminata con lo sguardo, ma Gabby non si sentì affatto mortificata. Era ben nutrita, non era così sciocca da dimenticarsi di se stessa: il problema è che aveva perso il gusto delle cose e, in quel caso specifico, del cibo. Questo era ciò che preoccupava Vanda: la vedeva perdersi ogni giorno di più, quasi volesse raggiungere Berell nel suo mondo malato e muto.
- Ti prego -.
Gabby avrebbe voluto fare uno sforzo per Vanda, avrebbe sinceramente voluto sedersi e ridere, ostentando una serenità che le apparteneva solo nei ricordi, ma non poteva, perché Vanda scovava le bugie come un gatto a caccia di ratti. Cercare di ingannarla era solo stupidità sprecata.
- Mi dispiace -.
Mormorò, afferrando una fetta biscottata ed uscendo di corsa. Non appena mise i piedi in strada, il vento le sferzò il viso, pizzicandole gli occhi già umidi di lacrime.
Riponi le tue speranze nel domani, Vanda, oggi è ancora un giorno del passato. Oggi non c’è vita per noi, ma solo macerie. Riponi le tue speranze nel domani, perché oggi io non esisto, oggi io non posso affiancarti nei tuoi desideri.
 

Mama, life had just begun, but now I've gone and thrown it all away. Mama, didn't mean to make you cry. If I'm not back again this time tomorrow carry on, carry on, as if nothing really matters.

 

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Capitolo 8
*** Hole in my Soul - Aerosmith. ***


Hole in my soul

Hole in my Soul - Aerosmith.


The punishment sometimes don't seem to fit the crime.

E’ tutto così fragile, quando ancora si crede, è tutto così trasparente con i sogni, i desideri, i propositi e l’innocenza ed è tutto irreversibilmente sporco e terrificante quando sulla limpidezza si sparge il sangue.

 La fiducia nei confronti delle persone è un corpo spesso dilaniato da morbi incurabili. Nasce sano, ben disposto ed ottimista, per poi ritrovarsi vecchio, ferito e, nel migliore dei casi, ancora speranzoso.
Felix non era il migliore dei casi.
Non avrebbe scommesso un centesimo su nessuno, nemmeno su se stesso, nemmeno con soldi d’altri.
Più avanzava tra la folla, più si mescolava alle persone, più sentiva i loro odori, più osservava gli sguardi e i movimenti e meno sperava nel prossimo, meno curava il suo essere. Aveva lasciato lentamente che la sua fiducia si ammalasse di disperazione.  

‘Cause there’s a hole in my soul that’s been killing me forever, it’s a place where a garden never grows.

Non perché avesse incontrato solo persone egoiste o cattive, ma perché le azioni dell’unica che era incappata nella sua vita l’avevano convinto che in nessuno potesse esserci del buono o che, seppur ci fosse stato, lui non avrebbe corso il rischio di scoprirlo. Serrò i pugni nelle tasche dei jeans quando il volto di suo padre gli si ripropose davanti agli occhi.
Mason Bert era chiaramente un uomo tanto furbo quanto malato. In nessun modo e per nessuna ragione, Felix sarebbe mai riuscito a perdonarlo. Il suo pensiero portava con sé soltanto odio. La rabbia e la voglia di vendetta erano sparite, ma il disprezzo per chi gli aveva rovinato la vita non sarebbe mai scomparso. Se gli fosse capitato qualcosa di brutto, a Felix non sarebbe dispiaciuto, ma non era comunque disposto ad essere l’artefice delle sue disgrazie. Non voleva più avere nulla a che fare con i Bert, né nel bene né nel male. 

 - Non sono stato io, mamma, devi credermi, non sono stato io! -.
Felix urlava e piangeva, sbattendo i pugni contro la porta della stanza di sua madre. Era il giorno del funerale di Tristan e lui cercava invano di mettere da parte il dolore, per spiegare, per salvare la situazione.
 - Come puoi pensare che l’abbia ucciso? Mamma! -.
La chiamava ma lei non rispondeva e in quel momento Felix comprese che non gli avrebbe mai creduto. Suo padre spuntò nel corridoio, osservandolo con sguardo impietosito.
 - Sei ingenuo e fastidioso, ragazzino -.
Felix si alzò, contrasse la mascella e schizzò contro suo padre, picchiando pugni alla cieca. Tutto lo sport praticato, però, non bastava a battersi con un poliziotto addestrato, un gigante muscoloso e preciso, che lo scaraventò a terra come un sacco di patate.
 - Dovresti andartene -.
Ringhiò, lasciando calare il silenzio. I singhiozzi di Janis riecheggiarono come a confermare quelle parole.
 - La fai soffrire ancora di più. Prendi le tue cose e sparisci, non tornare, vattene, vattene via! -.
A Felix sembrò assurdo che potesse davvero accadere una cosa simile. Un padre che spara ad uno dei suoi figli ed incolpa l’altro dell’accaduto, una madre inglobata dal dolore incapace di ragionare e un diciassettenne di colpo solo al mondo, senza una famiglia e senza una casa.

Digrignò i denti e per distrarsi cominciò a giocherellare con le monetine che teneva nelle tasche, facendo due conti veloci a mente per valutare la possibilità di concedersi un caffè oppure no.
La necessità di un lavoro, di quei tempi, era inversamente proporzionale alla possibilità di trovarlo: non vedeva lo straccio di uno stipendio da tre mesi, all’incirca, e arrancava soltanto grazie a quel poco che aveva messo da parte - o alle banconote accartocciate e sporche di rossetto che trovava nelle borse di Nelly.
 - Hei, guarda dove vai -.
Si fermò, sorpreso da un’acutissima voce femminile. Abbassando lo sguardo, si rese conto di aver calpestato il disegno che quella ragazza stava realizzando sul marciapiede. Felix storse la bocca e sollevò un sopracciglio con aria eloquente.
 - Sai che si cancellerà comunque, vero? Pioggia, persone, pipì di cani -.
La tipa rannicchiata lì per terra con i suoi fedeli gessetti al fianco, sollevò il capo coperto da un cappellino nero la cui visiera le aveva nascosto il volto fino a quel momento.
Felix si stupì, realizzando d’aver a che fare con una ragazzina. In effetti, pensandoci in un secondo momento, non era poi così strano: la povertà non chiedeva credenziali prima di accasarsi.
Lo sguardo con cui lei lo fissò fu incredibilmente triste, perso in qualche posto lontano che solo l’arte poteva tenere in caldo. Per un fugace frangente, Felix provò un moto di compassione spontaneo nei suoi confronti, ma poi vide quella malinconia e quel senso di smarrimento ribollire nelle iridi chiare della ragazza, fino a trasformarsi in rabbia e scortesia.
 - Fatti gli affari tuoi -.
Rispose brusca, con un’espressione dura ed inflessibile. Felix non ribatté, si allontanò di due passi e osservò meglio la situazione.
La sconosciuta aveva tracciato una grande cornice bianca ed era inginocchiata esattamente al centro di essa. Fuori dalla cornice aveva lasciato uno zainetto verde, aperto e desolatamente vuoto, insieme ad una giacca di pelle, che a Felix non parve tra le più economiche. Poteva trattarsi di una ladruncola, oltre che di un’artista dal talento indiscutibile. Soffermandosi meglio a guardare il disegno, infatti, Felix ne rimase incantato. Non era terminato, anzi, in molte parti erano visibili dei semplici abbozzi, eppure le spirali di colore che avvolgevano il grande viso glabro ancora incompleto, avevano un effetto vagamente ipnotico, in grado di trascinarlo dritto dritto nel cuore della scena.
La ragazza era tornata alla sua opera e in quel momento stava rifinendo gli spaventosi ed apatici occhi della figura principale.
 - Sei ancora qui? -.
Con un tono contrariato ed un’espressione altrettanto avversa, la ragazza si rese conto che Felix era imbambolato a scrutarla attentamente.
 - E’ un marciapiede pubblico questo, o sbaglio? Posso stare dove voglio -.
Per tutta risposta, lei emise un sospiro esasperato e si passò una mano sulla guancia, lasciando sulla pelle chiara leggere scie di colore.
 - Come ti pare -.
Dopo pochi minuti Felix si rese conto che rimanere a fissarla non era più così divertente, quindi lanciò verso di lei le poche monete che aveva nelle tasche e si allontanò velocemente, udendo appena la ragazza gridare con indignazione: “Non me ne faccio niente delle tue elemosina, stronzo!”.

Ecco che si ottiene ad essere generosi. Penso con un certo disappunto, sentendo rimbombare nelle orecchie la voce di quell’artista impertinente. Aveva rinunciato al suo caffé per essere d'aiuto ad una sconosciuta ingrata! 
Diede una o due spallate a passanti poco attenti, decidendo di tornare a casa alla svelta, irritato ed annoiato.
In un gesto abituale, infilò le mani in tasca e si bloccò sbigottito: le monete erano di nuovo di lì.

Sometimes I feel broke and can't get fixed.

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Capitolo 9
*** Funhouse - Pink ***


Funhouse Funhouse - Pink.

I dance around this empty house, tear us down, throw you out.

Quella sera era solo una tra le tante e Felix non pensava che sarebbe stata più divertente o più entusiasmante di quelle passate. Nelly l’aveva punzecchiato tutto il giorno con le sue battutine inacidite e si sentiva meno motivato del solito - e ci voleva un bel coraggio a superare i suoi limiti di non-entusiasmo. Fece roteare l’oliva nel suo drink, guardandosi intorno: vicino a lui stava seduto un biondino lagnoso che sbraitava perché non aveva avuto il permesso di dare una festa a casa sua. Il tizio muscoloso che gli sedeva accanto, lo guardava comprensivo e lo rassicurava criticando banalmente i genitori con frasi del tipo: “Ci vogliono rovinare la vita!” oppure “Gli piace dirci di no!”. Storcendo le labbra pensò che per quanto fossero stupidi, invidiava quei problemi: erano giusti, erano proporzionati all’età di chi se ne faceva carico.
La sua vita, invece, era decisamente fuori dimensione.
 - Hai intenzione di rimanere seduto tutta la sera, oppure vieni a ballare? -.
Lisa tamburellò le sue unghie laccate di blu sul bancone del bar e lo guardò eloquente.
Felix aveva delle conoscenze in quel quartiere, ormai: abitava lì da quasi due anni e, pur non volendo farsi notare, era impossibile passare del tutto inosservati tra casalinghe spione con figlie doppiamente pettegole. Lisa era la maggiore tra le sorelle Harrison ed anche la prima con cui lui aveva più o meno fatto amicizia: il loro primo incontro era stato in quello stesso locale, mentre Lisa festeggiava con le amiche il suo diploma. Avevano flirtato per un po’ ma nulla era andato in porto e da quel giorno erano diventati semplicemente compagni occasionali di serate nei pub.
- Se non mi alzo, continuerai a guardarmi in cagnesco...ho forse qualche scelta? -.
Felix abbandonò il suo posto ridendo e seguendola tra la folla scatenata: in realtà non gli dispiaceva, Lisa era una buona compagnia, disinibita al punto giusto, ma non di certo una zucca vuota.

This used to be a funhouse but now it's full of evil clowns.

Felix aveva lasciato Lisa per andare a prendere qualcosa da bere per entrambi. Poggiò i gomiti sul bancone del bar e fece un cenno al barman.
 - Sono da te tra un attimo -.
Rispose quello, troppo indaffarato per accorgersi di una ragazza che si stava servendo da sola, con molta nonchalance. Felix si accigliò, guardandola allungarsi per raggiungere lo spillatore di birra e riempirsi il bicchiere. Quando si rese conto di essere osservata, si voltò verso di lui e fece spallucce.
 - Sai come si dice, chi fa da sé...-.
Fu il modo di parlare e di muoversi, che spinse il criceto nella testa di Felix a sforzarsi un po’ per connettere quel viso così familiare al ricordo di pochi giorni prima.
 - Ehi, ehi aspetta! -.
Si mosse così di scatto da creare il panico attorno a sé per un attimo: lo sgabello su cui si era seduto cadde e un ragazzo inciampò versando il suo drink addosso ad una super-semi-nuda-teenager che non tardò a gracchiare come una cornacchia. Il gran trambusto sortì comunque un effetto positivo: la ragazza si fermò, piegata in due dalle risate.
 - Sei un disastro -.
Si voltò e fece per andar via, ma Felix, dopo essersi scusato più volte con le persone coinvolte in quel buffo incidente, la bloccò, afferrandole un braccio.
 - Tu! -.
Lei lo guardò strabuzzando gli occhi e sollevando il boccale di birra.
 - Io! Evviva! -.
 - No, tu! Tu sei quella dei disegni sul marciapiede! -.
La sconosciuta si scostò subito, di colpo allarmata. Farsi notare non era un buon affare.
 - Come hai fatto? Ti ho dato i miei soldi e poi me li sono ritrovati in tasca! Come ci sei riuscita? -.
Domandò. Aveva rimuginato a lungo su quella vicenda: era sicurissimo di aver contato bene i suoi spiccioli, quindi di regola si sarebbe dovuto ritrovare senza un centesimo.
Quella tizia doveva aver utilizzato qualche strambo trucchetto da artista di strada senza che Felix si accorgesse di nulla, dettaglio che lo infastidiva parecchio.
 - Sono una strega, uuuuuuuuuuuuuuh -.
Gli rispose, facendogli ben intendere che non aveva intenzione di dilungarsi sull’argomento.
 - ...e io sono Felix! -.
Le porse la mano, soffermandosi ad osservarla: reputò quasi divertente trovare le differenze tra quell’abbigliamento curato e il modo in cui, invece, era conciata giorni addietro, mentre disegnava sul marciapiede. Sembrava quasi un’altra persona e Felix attribuì quella netta sensazione di cambiamento all’assenza di colori. Senza i suoi gessi a macchiarle la faccia, la ragazza perdeva la sua aria magica, sebbene fosse impossibile confonderla con le altre lì presenti.
Nessuna di loro avrebbe indossato con tanta fierezza un paio di semplici pantaloni neri, nessuna avrebbe abbandonato così disordinatamente i capelli lunghi e mossi, nessuna avrebbe passato il lucidalabbra in modo tanto leggero da far sembrare che la sua bocca fosse stata appena sfiorata dall’ombra di un bacio. Un altro genere di ragazze frequentava quel posto e lei era un pesce fuor d'acqua, ma non sembrava né impacciata né imbarazzata.
 - Mi fa piacere! Buona serata -.
Girò sui tacchi e si allontanò con la stessa grazia di una signora dal comportamento impeccabile: sembrava che nessuna delle stranezze del suo modo di fare le impedisse di cancellarsi dal viso quell’espressione pacata e gioviale.
E nessuna, in quel posto, sarebbe stata in grado di reggere l’imbarazzo calando un po’ la maschera e forse nemmeno tra le persone che Felix frequentava c’era qualcuno disposto a distinguersi, ad emergere, a salvarsi dalla piattezza... nemmeno lui.
Per questo si sentì di colpo in dovere di intrattenerla ancora, di parlarle, di scoprire come fosse possibile che sembrasse padrona della sua vita e inserita nel mondo, quando l’aveva guardata disegnare e da lei era stillata una tristezza infinita.
 - Te ne vai così? -.
 - Preferisci che cammini sulle mani? -.
Felix rise, ma era chiaramente in difficoltà. Ogni risposta da parte della ragazza era una frecciatina e nel contempo un mandata di chiave nella serratura della porta che la divideva dal mondo. Sembrava amichevole, disponibile, allegra eppure allo stesso tempo inarrivabile.
 - Beviamo qualcosa insieme -.
 - Perché? -.
Domandò lei, quasi sconcertata, lanciando poi un’occhiata al boccale di birra che teneva in mano come a dire “bevo da sola, non ti preoccupare”.
 - Perché è così che si attacca bottone...? -.
Okay, amico, getta la spugna prima di cadere nel ridicolo.
La sconosciuta non si degnò nemmeno di rispondere e la sua risata fu abbastanza eloquente da far vergognare Felix.
 - Almeno dimmi il tuo nome! -.
Protestò, con un tono quasi lagnoso, mentre la guardava allontanarsi.
 - Non sei tanto male, lo sai? Cocciuto, certo, ma intraprendente -.
Quella frase diede a Felix una speranza, credette di aver fatto centro, ma la sua illusione durò poco, perché la ragazza si voltò di nuovo e si confuse velocemente tra la folla.
 - Felix! -.
La voce squillante di Lisa lo fece sobbalzare.
 - Quando ti ho chiesto una birra, non intendevo vai a raccogliere un po’ di luppolo per me -.
Lui la guardò di traverso, trovandola improvvisamente poco divertente.
 - Senti, io vado a casa. Ci becchiamo, eh -.
La lasciò lì a bocca aperta e braccia spalancate, allontanandosi a grandi falcate con la testa che ronzava per la musica troppo alta e l’aria stralunata dall’improvvisa confusione.

I'm gonna burn it down, down, down.

 

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Capitolo 10
*** One fine wire - Colbie Caillant. ***


One fine wire - Colbie Caillant.

One fine wire - Colbie Caillant.

I try so many times but it's not taking me and it seems so long ago that I used to believe and I'm so lost inside of my head and crazy but I can’t get out of it, I'm just stumbling.

Quella mattina Gabby si svegliò presto, si preparò alla svelta e, dopo aver mangiato un paio di biscotti, mise un succo di frutta nel suo zainetto e si avviò verso il centro della città. Aveva intenzione di trovare un lavoro per non gironzolare tutto il giorno destando la curiosità degli impiccioni e delle vecchiette del posto. In quel momento, era più conveniente confondersi e mimetizzarsi tra una folla uniforme che rischiare di essere avvicinata da ficcanaso tanto fastidiosi quanto esperti.
Mai sottovalutare la sete di gossip di una casalinga, pensò.
Certo, già il fatto che non frequentasse il liceo era abbastanza anomalo, ma poteva sempre giustificarsi con gli studi privati a casa.
Gabby camminava catturando mille immagini che avrebbe voluto disegnare lì, subito, ma doveva tener buone nella mente: c’era un Sole primaverile più coraggioso del solito che quasi le scaldava la pelle chiara; il cielo cristallino ed inverosimile in quelle prime ore di luce prometteva una nuova e calda stagione imminente ed era in grado di seminare speranze persino nel terreno bruciato del cuore della ragazza.
La ricerca di un impiego decente la tenne occupata più del previsto, nonostante non avesse grandi pretese. I datori di lavoro erano piuttosto diffidenti nei confronti di un’adolescente che aveva appena compiuto la maggior età, senza contare che la misteriosa famiglia di Gabby si era trasferita nella vecchia cittadina solo da poche settimane, non sufficienti ad inquadrarne accuratamente i componenti.
Stanca di domande decisamente ben poco professionali come “dove sei cresciuta?” oppure “è vero che quella donna non è tua madre? Sei orfana?”, Gabby era sul punto di darsi per vinta, quando incappò nel Pritt’s Bar sulla cui coloratissima porta campeggiava un cartello con scritte a caratteri cubitali: cercasi cameriera (con urgenza e disperazione).

Quando quella ragazzina entrò nel bar, Nelly sospirò, pensando a quanto non avesse bisogno di un’altra imbranata che si divertiva a farle perdere tempo e pazienza. La squadrò restando dietro il bancone: capelli raccolti in una treccia laterale stile hippie mancata, zaino anonimo, maglietta colorata, jeans stretti e scarpe da ginnastica. Perfetta pecorella smarrita da punzecchiare o almeno questo fu quello che pensò rivolgendole una prima occhiata globale.
Si stupì della camminata sicura della sconosciuta: di solito quelle come lei tentennavano, muovevano un passo avanti e due indietro e quando parlavano la loro voce quasi tremava, mentre il tono che sfoderò fu risoluto e determinato, dettagli che le fecero decisamente guadagnare punti.
 - Posso chiedere a lei per il lavoro...? -.
Nelly si guardò intorno, sbattendo le lunghe ciglia con aria stupida.
 - A lei non credo proprio, ma a me sì -.
Rispose, facendo accigliare la ragazza. Nelly sbuffò sonoramente, rivolgendole un cenno con il capo per intimarla a sedersi su uno dei tanti sgabelli vuoti che costeggiavano il bancone.
 - Non mi dare del lei, mi fa sentire vecchia ma come puoi notare sono giovane e bella! -.
In un primo momento Gabby fu tentata di girare sui tacchi e dire addio al possibile lavoro. L’altissima e magrissima barista che l’aveva accolta era di una stranezza unica: i suoi modi trasudavano una sicurezza e uno charme ostentati fino al ridicolo. Sicuramente il fascino non le mancava, ma esserne consapevole la portava a pavoneggiarsi a tal punto che a guardarla tutto ciò che si poteva pensare era “oca, oca, oddio, oca!
 - Sono Nelly, comunque, e più o meno sono io a portare avanti la baracca -.
Quando Nelly ricominciò a parlare, Gabby sussultò e si affrettò a sedersi, ben poco interessata a quelle chiacchiere: sarebbe voluta arrivare al nocciolo della questione senza perdere troppo tempo ma Nelly non le sembrava esattamente il genere di persona che ama essere contraddetta, quindi si cucì la bocca.
 - Il bar è di Pritt, mio fratello maggiore, ha trent’anni quindi non ti mettere a fantasticare su di lui, eh? Pritt...è un nome abbastanza stupido, c’è una marca di colla che si chiama Pritt... Coooomunque, la compagnia di Pritt, Annette o Odette o qualcosa del genere che si pronuncia alla francese, ha scodellato da poco un bebé. Evviva, gioia a volontà, vagonate d’amore, carrelli di pupù, yu-uuuh! Quindi mi hanno tipo abbandonata a gestire la bettola -.
Bettola, baracca, che alta considerazione che ha di questo posto. Pensò Gabby, evitando anche solo di considerare il resto del discorso di Nelly, che si era rivelata piuttosto logorroica. Guardandosi intorno, in realtà, il locale non le sembrò affatto male, ma una ragazza come quella doveva di certo avere standard molto più elavati o, in altre parole, la puzza sotto al naso.
Il Pritt’s Bar non era grandissimo, ma proprio le ristrette dimensioni lo rendevano piacevole ed accogliente: i tavolini con le tovaglie colorate, i contenitori del sale e del pepe a forma di ortaggi, i lunghissimi scaffali pieni di alcolici dietro il bancone, il giubox in un angolo e i poster di vecchi gruppi rock affissi alle pareti facevano pensare ad un tipico nostalgico degli anni ’80 che aveva deciso di mescolare la sua gloria passata ad uno stile un po’ western per raggruppare un gruppo di amici il sabato sera a bere una birra.
Le riflessioni di Gabby furono bruscamente interrotte quando Nelly, presa dalle sue chiacchiere continue, urtò una bottiglia di gin che si frantumò sul pavimento.
 - Ah bene! Fantastico! Grandioso! Eccellente all’ennesima potenza!
Cominciò a sbraitare agitando in aria le mani affusolate; le sue unghie erano laccate di colori talmente brillanti da essere quasi psichedeliche.
 - Ehm...-.
 - Sì, è lì, lo sgabuzzino è quello, pulisci tutto, va bene? -.
Nelly afferrò una pochette bianca da sotto il bancone, infilò un pullover a righe e zompettò sui suoi tacchi a spillo fino all’uscita.
 - Non starò via tanto, ho delle commissioni da sbrigare...oh, oh, fa molto film questa frase eh? -.
Gabby saltò in piedi, allargando le braccia con aria sbigottita.
 - Cioè, sono assunta? -.
Mentre Nelly usciva urlò: - Mi sembrava ovvio - e scoppiò in una risata giuliva.

And I'm juggling all the thoughts in my head,  I'm juggling and my fears on fire but I'm listening as it evolves in my head.

Gabby si chiedeva come fosse possibile essere talmente stupidi da lasciare un dipendente appena assunto, senza uno straccio d’esperienza sul campo, in balia di un luogo e di un impiego di cui sapeva poco e niente: cominciò ad avere dei seri dubbi sulla maturità di Nelly, anche se in effetti quella considerazione non poteva aggravare di certo la prima impressione già catastrofica che aveva avuto di lei.
Più ci rifletteva, più le sembrava assurda tanta sconsideratezza. Per quel che Nelly ne sapeva, lei sarebbe potuta essere una ladra o una stalker o una clandestina in fuga...
Eppure, senza la minima preoccupazione, era stata lontana dal Pritt’s Bar per più di due ore e mezza. Guardando la cassa, Gabby aveva avuto più volte la tentanzione di aprirla e intascare qualche soldo di nascosto per il semplice gusto di dimostrare quanto fosse ingenuo il suo capo.
Poi aveva accantonato l’idea: non le sembrava il caso di mettersi contro la legge, specie nella sua situazione precaria e, in un certo senso, latitante.
Quando ormai Gabby pensava di essere stata dimenticata dal mondo, entrarono nel locale due ragazzi.
 - Ehm, non siamo aperti...credo -.
Si sentì subito un’idiota, ma non aveva effettivamente idea degli orari di apertura del Pritt’s Bar. Nelly aveva avuto troppa fretta (di fare cosa, poi?) per darle anche solo qualche piccola indicazione.
I due scoppiarono a ridere.
 - Sei quella nuova, eh? -.
Nel momento in cui Gabby capì che gli sconosciuti dovevano essere i suoi colleghi di lavoro, tirò un profondissimo sospiro di sollievo: non era in alto mare come credeva, allora, e il meglio fu che, dopo le varie presentazioni e le imbarazzate scuse per il comportamento di Nelly, fu informata che il suo turno era finito e poteva andare via.

Gabby non tornò a casa, in realtà.
Casa era una parola così ingombrante da farle scoppiare la testa. Ripensò per un solo secondo a Berell e la prospettiva di gironzolare per il parco le sembrò il Paradiso, in confronto a quella desolazione.


Anche se penserai a me,
E la tua speranza sarà di salvarmi,
Sarò sempre così lontana,
Così intoccabile.
E se ci fosse un miracolo
Racchiuso nel domani,
Chissà se vivrà ancora quella strada per tornare da te
O se il tempo l’avrà cancellata.
I'm balancing on one fine wire.

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Capitolo 11
*** (I can't get no) satisfaction - Rolling Stones. ***


I can't get no satisfaction (I can't get no) satisfaction - Rolling Stones.

I can't get no satisfaction, 'cause I try and I try and I try and I try.

Gabby ormai aveva preso il ritmo e riusciva a tenere il passo della sua nuova frenesia quotidiana: la personalità di Nelly andava delineandosi meglio giorno per giorno, mostrando, sotto la cordialità iniziale, un dispotico senso di superiorità che Gabby riusciva a sopportare soltanto perché voleva tenersi stretto il lavoro, in cui stava diventando piuttosto pratica e che non le pesava più di tanto. Anzi, trovava divertente i suoi turni serali, in cui capitava spesso di avere a che fare con tizi singolari e buffi che le permettevano di ascoltare storie divertenti di avventure passate o dei guai del presente.
La parte difficile non era quella, non era sopportare il suo capo o avere troppe faccende da sbrigare: lontana da casa, tutto sembrava più che semplice ed intuitivo.
Quando però arrivava il momento di tornare da Vanda e Berell, percepiva l’attrito tra il mondo esterno in cui gironzolava la maggior parte della giornata, spesso riconquistando l’allegria e il buonuomore, e l’Universo parallelo a cui in realtà apparteneva e nel quale veniva catapultata con una violenza tale da cancellare il suo sorriso nel giro di un secondo.

 - Allora, com’è andata? -.
 - Benissimo -.
Rispose Gabby, abbandonando a terra il suo zaino, con un tonfo.
 - Benissimo...addirittura? -.
Insisté Vanda.
 - Non mi dici altro? -.
Gabby fece spallucce e sparì velocemente al piano di sopra. Cercava davvero di aprirsi, di lasciarsi andare, di curare le sue speranze nascoste per rinvigorire, ma percepiva un blocco, si sentiva ancora tirata verso il basso: non era pronta a balzare in alto con la forza necessaria per spezzare il cordone ombelicale che la legava al dolore.
Aprì la porta della camera di Berell con un colpetto del piede e la sua figura le si mostrò così come l’aveva lasciata: immobile, incantanta, perennemente sovrappensiero e distante. Si avvicinò a lui, scrutando attentamente i suoi movimenti. Un involucro senza animo...come poteva essere possibile? Berell respirava, il suo cuore batteva, si alzava, si sedeva, si spostava ma non parlava, non reagiva agli impulsi esterni, non rispondeva e più di tutto sembrava assente, come se di lui fosse rimasto solo il rivestimento esterno. Gabby respinse le lacrime che le salivano agli occhi e accarezzò una spalla dell’uomo, chiedendosi che percepisse quel contatto, anche solo vagamente.
 
- Teletrasporto è un termine un po’ troppo moderno, ma più o meno sì, è di questo che stiamo parlando -.

 - Bello! Perché lo dici con quella faccia seria? E’ una roba forte -.
Disse Peter, dondolando sui talloni e masticando un bastoncino di liquirizia. Gabby lo guardò ridacchiando: era sempre così positivo e sbrigativo. Lei sapeva anche dare una spiegazione a quel suo comportamento: Peter era ignaro di molte, troppe cose. Non aveva ricevuto la sua stessa istruzione e non conosceva i rischi.
Gabby, al contrario, ne vedeva ovunque. Da quando aveva cominciato a studiare con Berell, non di sua spontanea volontà ovviamente, si sentiva circondata da un esercito di pericoli nascosti. Scoprire i retroscena di ciò che a prima vista poteva sembrare “una roba forte” non era stato del tutto piacevole, eppure lei era riuscita a non farsi condizionare.
In effetti, il mondo è insidioso di per sé! Basti pensare alla semplice e naturale catena alimentare, si diceva sempre, per non lasciarsi sopraffare dai segreti che le venivano svelati.
Non aveva senso vivere nel terrore: non avrebbe nemmeno dovuto mettere un piede fuori di casa. Era pur vero che la realtà in cui viveva era piuttosto rischiosa, ma a Gabby piaceva pensare che dalla conoscenza non derivava solo il peso della verità, ma anche una grande potenza. Come avrebbe potuto proteggersi dall’ignoto? E come evitare una catastrofe, senza conoscere gli elementi che potevano generarla?
Preferiva rimanere sconcertata durante le spiegazioni di Berell che rimanerci secca e basta.
Peter era uno dei cinque nuovi adepti alla Gilda. Cinque, soltanto cinque. Più Gabby ci pensava, più la sua perplessità cresceva. In un momento di crisi simile, la paura delle persone superava notevolmente la loro voglia di rendersi utili e, ad andarci per le piste, erano quelli come lei che non potevano in alcun modo tirarsi indietro.
Lei non aveva scelto, era stata scelta.
Sebbene le ripetessero di continuo che doveva sentirsi orgogliosa del suo ruolo, Gabby proprio non ci riusciva. Nessuna moina e nessun complimento l’avrebbero spinta ad entusiasmarsi di più.
Sospirò, storcendo le labbra. Berell aveva ben pensato di tirarle su il morale costringendola a presenziare alle sue lezioni per i novizi. Certo, lei aveva chiuso Belinda in un armadio per un’ora e mezza, ma aveva le sue ragioni...
 - Forse Gabby vuole spiegare a te e al resto della classe...-.
Berell si fermò, sollevando il sopracciglio. Classe era un parolone per indicare cinque ragazzini distratti ed annoiati.
  - Sì, insomma, a voi, perché il “teletrasporto” è fin troppo forte -.
Gabby alzò gli occhi al cielo, si schiarì la voce ed intonò la solita cantilena.
 - Trasportare il proprio corpo attraverso lo spazio e/o il tempo è una violazione del regolamento della Gilda e della nostra etica. Ricaviamo potere dagli elementi, da ciò che ci circonda, dalle persone, dagli animali, dalle piante... -.
 - Qual è il problema? Non do fastidio a nessuno se faccio un saltino in California... -.
Commentò Peter, facendo ridere gli altri. Gabby non lo trovò divertente, Berell invece sorrise, forse vedendola così irritabile.
  - Non interferiamo con ciò che ci circonda. Un salto temporale o spaziale violerebbe gli equilibri della Terra -.
  - E...a chi importa? -.
 - A te, imbecille, perché potresti rimetterci la pelle -.
Nell’aula calò un silenzio inquietante.
Berell diede un colpo di tosse, che spinse Gabby a ricomporsi per continuare a ripetere la pappardella così come le era stata insegnata, senza interventi personali.
 - La nostra magia non ci permette di prescindere dagli elementi naturali. Per spostarti in un luogo o in un’epoca diversa dovresti abusare delle tue stesse fonti di energia e questo porterebbe alla distruzione del tuo corpo. Da un viaggio attraverso spazio e tempo possono derivare gravi danni, come perdita delle facoltà mentali, paraplegia, cecità, epilessia... -.
 - Okay, taglia corto, non vogliamo terrorizzarli... -.
Suggerì Berell.
 - Be’, nel caso migliore potresti morire, se questo ti solleva -.

And he's telling me more and more about some useless information supposed to fire my imagination.

Erano passati solo otto mesi da quell'avventimento, eppure il mondo della Gilda, con i suoi novellini irriventi e le lezioni lunghissime, sembrava così lontano e sbiadito da farle credere d’essere stato solo un sogno.
 - Vieni ad aiutarmi a preparare la cena -.
Esordì Vanda, alle sue spalle. Gabby la guardò poco convinta, ma lei non le diede modo di ribattere.
 - Non te lo sto chiedendo -.
Prima di scendere come le era stato ordinato, Gabby sospirò e scoccò un bacio sulla fronte di Berell.
 - Soffre come me -.
Mormorò tra i suoi capelli biondi.
 - Vuole tenermi vicina a sé perché a paura che io stia troppo male -.
Lui continuò a guardare nel vuoto.

 - Feeelix! -.
La voce di Nelly tuonò squillante ed irritante in tutto l’appartamento.
Lui mugugnò nel dormiveglia, senza rispondere e, come si aspettava, sentì i piedi della ragazza pestare pesantemente sul parquet per ciabattare poi fino alla porta della sua camera. La spalancò, furiosa.
 - Felix, sei il coinquilino peggiore che potessi mai desiderare e sto cominciando davvero a valutare l’idea di sbatterti fuori a calci! -.
Lui rise, stropicciandosi gli occhi e tirandosi su a sedere. Il lenzulo che lo copriva gli scivolò giù dal petto e Felix sorrise sornione, consapevole che il suo aspetto era un’argomentazione sufficiente a dissuaderla dal cacciarlo.
Non si riteneva e non era il più bello dei belli, ma aveva sempre avuto un buona considerazione di se stesso, sia fisicamente sia moralmente. Si sentiva giusto nella sua pelle, si piaceva...un tempo. Quanto accaduto con la sua famiglia, poi, aveva distrutto quasi completamente quell’autostima, lasciando intatta più che altro la fubizia necessaria a sfruttare le sue qualità a seconda della situazione. Con Nelly non doveva nemmeno sforzarsi, era così banale e prevedibile da accontentarsi della sua immagine.
 - Che cosa ho fatto di sbagliato questa volta? -.
Domandò, scendendo dal letto ed infilando la maglietta abbandonata a terra.
Nelly poggiò le mani sui fianchi e scosse i capelli, facendo tintinnare i suoi pendenti.
 - Vogliamo cominciare dal fatto che il frigo è vuoto? O dal lavandino che perde ancora, dopo che ti ho chiesto mille volte di ripararlo? O dal fatto che il bucato è ancora da stendere? Oppure preferisci parlare del tuo lungo e riposante pisolino pomeridiano? Hai idea di che ore sono? -.
Felix storse le labbra. Mai conosciuta creatura più petulante e scenica di Nelly: dramatizzare era senza dubbio la sua arte.
 - Sono quasi le sette! Le s-e-t-t-e! Hai dormito più di quattro ore -.
Si avvicinò alla finestra e spalancò le persiane, mostrando il crepuscolo rovente di quella sera.
 - Non ti vergogni di essere un fannullone? -.
Squittì lei, scoccandogli un’occhiata di sufficienza. Per una volta, però, le parole di Nelly lo avevano toccato e ferito. Felix non lasciò trasparire il suo sgomento, ma dentro di sé la vergogna ululava spietata.
Si alzò senza rispondere perché non aveva parole al riguardo: si vergognava della persona che stava diventando, del parassita sempre meno cosciente che si lasciava vivere.
Si diresse in bagno e appena prima di inflarsi nella doccia, sentì Nelly urlare:
 - Questa sera andrai al Pritt al posto mio! -.

Non si era nemmeno opposto, il che faceva credere a Nelly che avesse qualcosa di grave.
Tipo la peste.
Mentre si truccava di fronte allo specchio della sua stanza, gettava uno sguardo nel salotto per controllare Felix: era impassibile, seduto sul divano a tamburellare le dita sulle rotule. Aveva indossato un paio di jeans e una camicia nera con le maniche arrotolare sul gomito. Teneva gli occhi bassi e le sembrava tanto bello quanto triste.
Nelly scosse il capo, allacciando al collo una catenina d’argento con un ciondolo a forma di cuore. Si era tirata a lucido per una bella serata in discoteca con gli amici. Poteva uscire e non doveva sgobbare tutta la sera: quella era l’unica cosa importante.

Nelly si era offerta di dargli in un passaggio in macchina fino al Pritt, ma Felix aveva rifiutato: non voleva essere maleducato e non aveva voglia di litigare. Preferiva di gran lunga due passi a piedi, da solo, immerso nell’ambiente cittadino reso magico dalla notte.
Impiegò meno di dieci minuti ad arrivare e quando entrò, il bar pullulava di gente. D’altronde erano le nove e a quell’ora tutti gli accaniti di sport si sentivano in dovere di rispettare il sacro rito birra-partita. Solo più tardi sarebbero comparsi i giovani, gli amanti del biliardo e gli ubriaconi dichiarati. Vedendolo, molte persone lo salutarono e lui rispose a tutte con un sorriso e una parola gentile: aveva lavorato altre volte al Pritt e aveva imparato a conoscere i clienti abituali. Era bello scorgere nei loro sguardi il rispetto per la persona con cui credevano d’avere a che fare. Felix, in realtà, si sentiva inferiore alla sua fama.
 - Menomale che sei qui! -.
Sbraitò Tony, il barista baffuto che armeggiava con troppi boccali.
 - Ci stiamo facendo in quattro...e siamo tre -.
Corrugò la fronte, confuso dal suo stesso gioco di parole.
 - Ronnie è in cucina e puzzerà di fritto per il resto della vita. Gab gira come una trottola tra i tavoli e ha davvero bisogno di una mano -.
 - Chi? -.
Domandò lui, afferrando al volo due piatti di patatine e hamburger che Ronnie aveva velocemente poggiato sul bancone.
 - Tavolo sei -.
Aveva urlato, tornando in cucina prima che gli altri due si accorgessero del suo passaggio.
 - Gabby è nuova, lavora qui da un paio di settimane! Possibile che Nelly non te l’abbia detto? Quella ragazza è...  -.
Felix non rimase a sentire il resto di quello che si preannunciava come un lungo monologo alla Tony e si occupò invece di recapitare il cibo al tavolo giusto. Mentre zigzagava tra le sedie, cercava con lo sguardo la nuova cameriera. Poggiò i due piatti di fronte ad una coppia di omaccioni barbuti e tatuati e con la coda dell’occhio individuò una ragazza. Era di spalle e aveva i capelli raccolti in una lunga treccia. Gli sembrava educato presentarsi e rassicurarla nel caso Nelly l’avesse terrorizzata come era solita fare.
Prese un paio di ordinazioni prima di tornare al bancone da Tony e boccheggiò di sorpresa quando individuò di nuovo la sconosciuta, che in realtà non era del tutto tale. Solo pochi istanti dopo, Gabby si voltò ed incrociò gli occhi di Felix.
Il suo primo pensiero fu di buttarsi sotto un tavolo e nascondersi, ma dovette ammettere che non sarebbe stata una reazione del tutto sensata, soprattutto dopo avergli tenuto testa in quel pub, con tanta sfacciataggine.
Com’è piccolo il mondo. Pensò, mordendosi le labbra. Tanto da essere ridicolo.
Augurando buon appetito ai signori che aveva appena servito, Gabby strofinò le mani sui jeans e rimase a metà strada tra i tavoli e il bancone, indecisa sul da farsi. Tony le fece cenno di avvicinarsi ed indicò Felix con aria raggiante.
 - Vieni, Gab, ti presento una persona con cui ti troverai benissimo, senza dubbio! -.

I can't get no, oh, no, no, no.  Hey, hey, hey, that's what I say, I can't get no...

Senza dubbio. Sibiliò tra sè e sè, vedendo il ragazzo sghignazzare. Doveva essere più che soddisfatto di aver ricevuto almeno una risposta alle sue domande: aveva scoperto come si chiamava la ragazza misteriosa.
Gabby. Felix ripeté più volte quel nome nella sua mente, assaporando una piccola vittoria, eppure non riusciva ad associarlo al viso della ragazza che, dopo un attimo di smarrimento, era tornato a mostrare la sua espressione più forte e stoica.
 - Ci conosciamo già -.
 Sentenziò lui, facendo l’occhiolino a Tony, che scoppiò a ridere.
 - Non ci casco, bello mio. Se vi foste già incontrati, avresti i segni di due bei calci sul tuo enorme ego! -.
Commentò divertito, allontanandosi poi con un vassoio pieno di bicchieri strabordanti.
Per un attimo i due rimasero in silenzio, poi Gabby scrollò le spalle, ricacciando in un angolino la sua timidezza. Di rado permetteva che prendesse piede: preferiva riuscire a gestire con carattere le situazioni, non lasciando spazio all’imbarazzo.
 - Secondo te come si può chiacchierare amabilmente con un ragazzo che hai respinto? Perché mi trovo un po’ in difficoltà -.
Felix si accigliò.
 - Respinto? Quindi tu mi avresti respinto? -.
Gabby fece spallucce, affacciandosi in cucina da Ronnie in attesa che fossero pronte le ordinazioni.
 - Perché, come interpreteresti l’altra sera? -.
Ribattè lei, incrociando le braccia al petto e scrutandolo attentamente.
 - L’altra sera...be’, l’altra sera hai conosciuto un ragazzo annoiato che ha flirtato con la prima che ha visto -.
Lei mimò un “oh” con le labbra, portandosi una mano sulla bocca.
 - Ora dovrei sentirmi ferita? -.
Entrambi risero ma nessuno dei due portò avanti la conversazione, perché un'altra orda di patatine fritte, wustel e pietanze stronca-fegato attendeva d’essere servita.

Era curioso osservare le persone vivere la quotidinità, quando la tranquillità della routine le sembrava tanto distante. Il mondo a cui lei sentiva di appartenere e quello in cui invece osservava volteggiare gli altri sembravano asimmetrici ed incompatibili. Si era fatto tardi e la mezzanotte era appena passata; Gabby puliva il bancone, tenendo lo sguardo fisso su un gruppo di ragazzi ancora arzilli che scherzavano e ridevano sguiatamente.
Avevano una libertà e una spensieratezza di cui non erano consapevoli, perché nessuno aveva mai tentato di privarli di quelle fortune. Erano immacolati, quasi troppo, tanto da non sembrare veri. Sicuramente il dolore aveva colpito anche loro, ma talvolta non era un tiranno equo, si accaniva su uno e dimenticava un altro.
Gabby scosse il capo: non voleva provare quella gelosia, non voleva sentirsi una vittima. Aveva ancora più di un motivo per tenersi in piedi e doveva spingere se stessa a reagire contro quell’insana voglia di arrendersi, contro l’infezione mortale di una ferita profonda.
Felix notò la sua espressione malinconica, per un attimo studiò il suo viso e i suoi occhi distanti e ritrovò se stesso in quell’aria sospesa e pericolosamente indecisa: lottare oppure no?

Felix e suo fratello avevano ben otto anni di differenza. Quando nacque Tristan, lui non se la prese come tutti i figli unici di colpo spodestati dal loro ruolo: aveva vissuto per bel po’ al centro dell’attenzione e un compagno di giochi era ben accetto. Si sentiva già investito dal suo ruolo di fratello maggiore, pronto a sfidare il mondo pur di proteggere il più piccolo.
I mesi che precedettero la nascita furono pieni di fermento e di gioia per lui. Tutti gli chiedevano se era emozionato e la mamma gli propose di aiutarla per preparare la nursery del nascituro. “Gli piaceranno i draghetti, no?” Gli domandava, lasciando scegliere a lui i colori e le decorazioni, rendendolo partecipe perché non si sentisse mai escluso e messo da parte.
Felix aveva cominciato a mettere via alcuni dei giocattoli che gli piacevano di più, perché non si rovinassero e fossero ancora tutti interi quando Tristan fosse cresciuto abbastanza da utilizzarli.
Si era persino occupato di prepare un album di foto per il suo fratellino, perché sapesse com’era la famiglia prima di lui e potesse consocere tutti i retroscena, le litigate della zia Mary con sua sorella, i tremendi regali della nonna a Natale, le vacanze a Dubai.
Felix pensava d’essere fortunato, perché i suoi genitori lo amavano, aveva tantissimi amici e i suoi parenti, anche se bizzari, erano divertenti. Tristan sarebbe stato accolto da persone buone, persone che sarebbero sempre state presenti. Felix era felice di questo ed era sicuro che le cose sarebbero passate dall’essere belle all’essere meravigliose, con il suo arrivo.
Successe qualcosa, però, qualcosa che non riuscì a comprendere subito. Sua madre partorì prima del previsto e lui credette che fosse una lieta notizia: Tristan doveva aver capito che fuori lo aspettava un mondo strabiliante, quindi doveva essergli venuta voglia di entrarne a far parte quanto prima.
Gli altri non la pensavano come lui, ovviamente. Suo padre cominciò a lasciarlo spesso dai nonni, trascorrendo giorni e giorni all’ospedale. Felix non vide sua mamma troppo a lungo, per i gusti di un bambino.
Ci volle un po’, ma comprese che qualcosa non andava, perché sentiva mormorare da tutti parole come prematuro, fibroma, distacco della placenta, incubatrice. Non capiva il senso di quei discorsi, ma dal tono di voce di chi parlava e dalla tristezza negli occhi di tutti, era facile intuire che non si trattava certo di notizie piacevoli.
Quando tutto fu più chiaro e i suoi genitori tornarono a casa in compagnia di un piccolo, piccolissimo Tristan, Felix si arrabbiò moltissimo.
Non perché il suo fratellino era nato con dei problemi, non perché era rimasto solo per un po’ dai nonni, ma perché le persone intorno a lui avevano dipinto la situazione più nera della notte.
Guardando di persona, lui si era accorto che non andava poi così male.
Vide la sua mamma in piedi, bellissima, con gli occhi pieni d’amore incondizionato, che teneva in braccio un bimbo. Quel bambino aveva lottato, era uno scricciolo, ma aveva lottato.
Nessuno se ne rendeva conto?
Nessuno capiva che erano ancora vivi?
Cos’altro pretendevano, di cosa avevano bisogno per tirare un sospiro di sollievo?

 - Felix -.
Una voce vellutata lo strappò via dai vividi ricordi. Gabby lo guardava, con un’espressione dubbiosa. Lui la odiò, la odiò perché era stata l’aura di emozioni che la contrornava a spingerlo verso il passato, con una delicatezza tale da non permettergli di rendersi conto della sua momentanea assenza dal presente.
 - Che vuoi? -.
Ringhiò, brusco. Lei fece un passo indietro e per un attimo sembrò che si gonfiasse come un gatto arrabbiato, poi assunse una maschera di distacco e nasconse l’indignazione per quella risposta sgarbata.
 - Gli ultimi clienti se ne sono andati e startene imbambolato lì non mi aiuta a sistemare il locale -.
Gli lanciò uno straccio e indicò con lo sguardo i tavoli ancora da pulire. Felix pensò subito di scusarsi, poi accantonò l’idea. Non gli importava di lei, nemmeno la conosceva e quel poco che aveva compreso guardandola quella sera, lo irritava. Per qualche motivo Gabby era ferita e nei momenti di distrazione lasciava traboccare i suoi sentimenti. Non avrebbe dovuto, non è quello che fanno gli altri, non è quello per cui le persone vengono istruite: nascondere, nascondere e nascondere, camuffare, mentire, proteggersi, rinchiudersi dietro mura spesse e sicure.
Lei, invece, si concedeva il lusso di espandersi, lasciando che i pensieri le scorressero sul viso, come quella volta, mentre disegnava sul marciapiede.
 - Puoi andartene, chiudo io -.
Mugugnò, scontroso, senza nemmeno guardarla. Lei non rispose, ma Felix sentiva chiaramente dei movimenti alle sue spalle. La porta del bar si chiuse sonoramente e solo un attimo prima lui udì un “ciao” indifferente.
Qualche minuto più tardi si chiese quanto fosse conveniente per una ragazza tornare a casa da sola a quell’ora. Anzi, per chiunque.

When I'm watching my TV and that man come on to tell me how white my shirt can be, well, he can't be a man 'cause he doesn't smoke the same cigarettes as me
.

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Capitolo 12
*** Under Pressure - Queen. ***


Under Pressure - Queen. Under Pressure - Queen.

Pressure pushing down on me, pressing down on you, no man asks for under pressure that brings a building down, splits a family in two, puts people on streets.

Gli altri avevano bisogno che Tristan fosse normale, per amarlo. Non riuscire a parlare correttamente, non riuscire ad esprimersi, non riuscire a correre veloce né ad arrampicarsi in alto come gli altri bambini, erano handicap che non permettevano ai loro cuori di apprezzarlo così com’era: sfortunato.
Felix covava una forte rabbia verso tutte quelle persone che si erano dileguate nel nulla. Alcuni parenti, alcuni amici, alcuni conoscenti, erano scomparsi con uno schiocco di dita, si erano volatilizzati dietro un “ci dispiace molto”. Felix e la sua famiglia erano diventati reietti perché Tristan non era perfetto.
“Nemmeno voi lo siete”, avrebbe voluto urlare Felix, “lui è buono e vi secca saperlo, vi secca sapere che una persona ritardata mentalmente e fisicamente sia migliore di voi nonostante i suoi limiti”. Lo pensava, ma non lo diceva mai. Si limitava a vegliare su Tristan, senza farsi scrupoli nel terrorizzare i ragazzini che lo prendevano in giro. Aveva quindici anni e poteva essere considerato un bullo prendendosela con dei bambini, ma non gli interessava.
Erano troppo stupidi per meritare gentilezza, loro e gli adulti che, pur essendo cresciuti, non erano riusciti a superare quel pregiudizio: erano ristretti nel pensiero, non comprendevano la diversità, erano ottusi.
Felix riusciva comunque a gestire la rabbia che provava e a trasformarla in energia più positiva: si dava da fare con gli studi, aiutava in casa, faceva sport. Non voleva che le reazioni poco intelligenti di alcuni individui lo portassero a perdere la voglia di credere.
Si ricordava che c’era speranza, che le persone potevano anche stupirlo positivamente e non tutto era malvalgio, altrimenti Tristan non avrebbe avuto quegli occhi felici e sua madre non avrebbe cucinato per loro torte e biscotti.
C’era del buono ed era più importante del male che, purtroppo, si annidava tutto intorno.

It's the terror of knowing what the world is about.

 - Nelly -.
Non l’aveva sentito avvicinarsi, ma percepì il suo respiro sul collo. Quando Felix si avvicinava in quel modo non sapeva fino a che punto doveva preoccuparsi, ma nella sua frivolezza preferiva goderne più che interrogarsi sui suoi scopi. Non le importava se era lì per chiederle un favore o per soddisfare uno sfizio improvviso. Lei era esattamente una di quelle ragazze che si lamentano del modo in cui vengono trattate, usate, lasciate, ma permettono comunque che gli altri continuino a calpestarle, ricavando quasi un forte piacere dal dramma.
 - Mh -.
Mugugnò lei, voltandosi verso Felix e gettandogli le braccia al collo. Dopo avergli lanciato uno sguardo languido, si aspettava un impeto di passione, invece il ragazzo abbassò il capo e tirò un lungo sospiro. Lui avrebbe voluto davvero essere abbastanza stupido da potersi innamorare di Nelly, senza pretendere di più, senza cercare altro sotto il suo aspetto. Sentiva il corpo spigoloso della ragazza sotto le sue mani e si chiedeva se lei fosse consapevole di non rispettare affatto se stessa.
 - Volevo chiederti se per te è un problema assumermi ufficialmente al Pritt’s -.
Le scoccò un bacio sulle labbra e la fissò dritto negli occhi. Nelly provò a sfilargli la maglietta, ma Felix la bloccò.
 - Allora? -.
Aveva davvero bisogno che accettasse, aveva bisogno del lavoro, di una distrazione. Nella sua mente, aveva già formulato una proposta vantaggiosa per lei: non voleva intascare uno stipendio netto come quello degli altri dipendenti, gli bastavano i pochi spicci da spendere per l’affitto e tante mansioni da sbrigare per non pensare. Si era detto che senza referenze né diplomi era inutile mettersi alla ricerca di un altro impiego. In realtà era una scusa: Felix voleva quello, perché era facile, perché Nelly era facile... sia da convincere, sia in generale.
 - Come ti pare -.
Sbuffò lei, irritata. Al che Felix non si oppose più.

Watching some good friends screaming 'Let me out', pray tomorrow gets me higher.

Venne a sapere soltanto a giorni di distanza che Gabby era stata licenziata per far posto a lui. Non seppe se sentirsi più sollevato o più in colpa. Quella ragazzina aveva l’abilità di spingerlo verso il baratro, urtandolo per sbaglio. I mostri del suo passato pronti a riaffiorare in ogni momento, però, non erano un valido motivo per cacciare così su due piedi una dipendente impeccabile. Tony e Ronnie avevano alzato un gran polverone per quell’ingiustizia, accusando Nelly di uno sciocco abuso di potere nonché di un’assurda mancanza di giudizio. Gabby era precisa, sempre in orario, gentile con la clientela e non si irritava mai, nemmeno quando qualcuno - o meglio Nelly stessa - le appioppava compiti che di regola non le sarebbero spettati. Era la prima ad arrivare e l’ultima ad andar via. La discussione si protrasse per giorni e giorni: il clima al Pritt’s era teso e, pur sapendo di non essere accusato, Felix si sentiva oggetto di disprezzo da parte dei suoi colleghi.
In effetti, il favoreggiamento di Nelly era innegabile e lui aveva ottenuto il lavoro con mezzi poco ortodossi.

Can't we give ourselves one more chance?  

Le era sembrato che la situazione si fosse risollevata appena, quando fu brutalmente licenziata, senza motivi apparenti. Taglio del personale, aveva detto Nelly, osservando soddisfatta le sue lunghissime e precise unghie. Come no. Aveva saputo quasi subito che Felix le aveva soffiato il posto.
Sorrise amaramente. Com’erano patetici, a far la lotta per il ruolo di sguattero.
Era amareggiata ed indignata: non soltanto aveva subito un’ingiustizia, ma Nelly aveva anche creduto di poterla trattare da stupida e Gabby non sopportava che le si mancasse di rispetto in quel modo tanto spudorato ed altezzoso.
 - Vuoi dirmi a cosa stai pensando? -.
Domandò Vanda, fissandola con fare indagatore.
Gabby calciò una lattina di birra e la lasciò rotolare stancamente prima di avvicinarsi a raccoglierla.
 - Prova ad indovinare -.
Rispose, stufa di sentire pressione sulla sua confusione. Sapeva che Vanda era preoccupata e non la reputava un’impicciona, ma schivare le sue domande cominciava a diventare impossibile.
Dove vai, cosa fai, con chi esci, perché non hai ancora fatto amicizia con nessuno, come pensi di occupare il tuo tempo, sei di nuovo andata a disegnare per strada? Se avesse risposto ad ogni singola domanda, non le sarebbe rimasto nemmeno il tempo di respirare.
 - Devi smetterla. Ha voluto salvarci, sapeva che correva dei rischi -.
Tuonò Vanda, sgomenta. Lei si fermò, guardandola inespressiva. Le sue riflessioni non riguardavano Berell in quel momento, strano ma vero. Proprio mentre Gabby era riuscita ad allontanare quel pensiero, Vanda, la donna restia ad affrontare l’argomento tabù, la riportava sui suoi passi.
 - E quale parte di questo dovrebbe aiutarmi? -.
Rispose Gabby, sprezzante pur non volendo.
Vanda sospirò e si fermò; la sua espressione si fece dura così in fretta da spaventarla.
 - Spero che tu ti renda almeno conto di essere una grande egoista. Io sono qui che cerco di tirare avanti e tenere i pezzi insieme e l’unica cosa che sei in grado di fare è ricordarmi che non sono abbastanza brava -.
Scosse la testa, ritirando in dentro le labbra come faceva sempre quando cercava di trattenere parole che sarebbero sfuggite comunque.
 - Non sei l’unica a soffrire, anche se credi sia così. Non riesco più a sopportare il tuo atteggiamento. Prima lo giustificavo, ma ora vedo più chiaramente la situazione: ti sei adagiata, non stai reagendo e questo non è da te, anche se non vuoi ammetterlo. Se solo potessi, ti rispedirei alla Gilda senza pensarci due volte! -.

Why can't we give love that one more chance?

Gabby aveva imparato ad essere veloce. Prima dell’addestramento alla Gilda, in realtà, lo sport e le attività fisiche in generale non la interessavano molto ma, come si suol dire, necessità fa virtù ed era indispensibile che lei fortificasse il suo corpo. Era stata messa sotto torchio da Berell e gli altri Ufficiali: essendo piuttosto indietro sulla tabella di marcia, la sua preparazione era stata intensificata fino allo stremo.
Devi cominciare a pensare a te stessa come ad un’arma da guerra. Aveva detto l’Ufficiale Backer, ma lei stentava ancora a credere che fosse serio.
Be’, sì, era serio.
Sebbene Gabby non fosse entrata in quell’ottica e non avesse intenzione di farlo, fu contenta di aver migliorato le sue abilità corporee. In quel momento, ad esempio, essere in grado di correre senza stramazzare al suolo dopo due minuti, si rivelò molto utile.
La sua reazione aveva spiazzato Vanda a tal punto da non farla reagire prontamente. Gabby era schizzata via in un lampo e in quel momento c’era una netta distanza fra loro.
Arrivò a casa, salì due gradini alla volta fino alla sua stanza e afferrò una borsa abbastanza capiente dall’armadio. Cominciò ad arraffare indumenti ed oggetti alla rinfusa, contando i secondi. Voleva sparire, tanto in fretta quant’era fuggita dalla brutale sincerità di Vanda.
C’era del vero nelle sue parole, Gabby riconosceva che il suo comportamento non era stato dei migliori, anzi, era stato pessimo: venti ore su ventiquattro sembrava una tipica adolescente mestruata. Però, a dispetto delle accuse che le erano state rivolte, si stava davvero impegnando per riprendersi, per rispolverare la sua parte combattiva, determinata, fiduciosa e viva.
Digrignando i denti chiuse la borsa, dopo averci spinto dentro troppe cianfrusaglie, e riprese la sua fuga.
Con il vento che le sferzava il viso mentre zigzagava per i viottoli della città, pensò che Vanda avesse commesso un errore madornale: si era aspettata che Gabby reagisse come lei agli eventi più recenti, aveva creduto che le loro emozioni combaciassero alla perfezione, dimenticandosi della diversità dei loro caratteri e dell’assurdità con cui lo stesso evento può generare nelle persone sentimenti del tutto opposti.

Why can't we give love?

Felix credeva nelle coincidenze; per lui era possibile che qualcosa accadesse senza celare uno schema preciso. Pensava che potesse essere davvero in quel modo, la vita: una semplice esplosione di eventi disordinati. Non si ostinava a cercare un filo conduttore e non dava molto credito al fato, convinto che un uomo con le sue azioni fosse in grado di costruire una strada, immaginandola a suo piacimento, e che fosse poi l’interagire con il resto del mondo a farlo deviare, discostandosi dal piano originale.
Le cose non vanno sempre come desideriamo perché non siamo i soli a fare progetti. Questa era la sua convinzione: i sogni di uno a volte si infrangono nella lotta con quelli di un altro. Non c’entrava nulla il destino: era questione di forza, coraggio...e spesso soldi, ma preferiva omettere quell’enorme e gigantesca macchia vergognosa dal suo credo.
Quando vide Gabby entrare al Pritt, però, Felix capì subito che quella non era esattamente una coincidenza e, in effetti, sarebbe stato molto sciocco ritenerla tale: chi mai avrebbe rimesso piede del bar da cui era stato ingiustamente licenziato, se non per fare una scenata?
Lo sguardo della ragazza parlava chiaro, sembrava animato da una forza brutale.
Il karma sta venendo a prendermi a calci. Pensò, stringendo i denti. Avrebbe di gran lunga preferito che Gabby fosse lì proprio per una casualità, ma non era così sciocco da sperarlo. Già la immaginava tramutarsi nell’isterica belva feroce che aveva imparato a scorgere nelle donne o, più di preciso, in quelle come Nelly.
Invece Gabby non lo degnò nemmeno di uno sguardo e si andò a sedere ad un tavolo appartato, accostato ad una finestra. Felix era sorpreso e allo stesso tempo indeciso sul da farsi: sfruttare l’occasione per svignarsela e comportarsi da codardo, oppure sotterrare l’orgoglio e andare a parlarle con la coda tra le gambe? Nessuna delle due opzioni gli sembrava abbastanza onorevole, in entrambi i casi ne sarebbe uscito umiliato. Proprio mentre valutava la possibilità di far semplicemente finta di non averla notata, Tony e Ronnie si fermarono a braccia incrociate di fronte a lui. Gli sembrarono vagamente gli agenti di Man in Black e non sapeva se ritenere la cosa più divertente o più inquietante.
 - Che c’è? -.
Sbuffò, continuando a riempire decine di boccali di birra.
Entrambi volsero lo sguardo verso Gabby.
 - Abbiamo dei clienti che aspettano e se voi due siete qui, significa che in cucina nessuno si sta occupando delle ordinazioni...vi sembra davvero il caso di metterci a perdere tempo? -.
Felix si sentì abbastanza ridicolo pronunciando quelle parole. Non era il tipo da ramanzine, soprattutto perché in quel contesto non poteva permettersele.
Tony fece cenno a Ronnie di tornare in cucina e poi strinse ancora di più le braccia al petto.
 - Allora? -.
Felix fece spallucce, a disagio sotto quello sguardo accusatore.
 - Andiamo, sei un bravo ragazzo, davvero non pensi sia tuo dovere andarti a scusare? -.
La voce di Tony si era addolcita di colpo, come se provasse compassione per Felix e per la sua chiara incapacità di rimediare agli errori commessi. Furono le prime parole di Tony, quel modo convinto di dire “sei un bravo ragazzo”, a spronarlo.
Felix voleva esserlo davvero, non gli bastava più che tutti lo ritennessero tale. Aveva pensato di smetterla con quelle sciocchezze del prendersi cura di se stessi o del rispettare gli altri, perché aveva avuto la dimostrazione di quanto potesse riverlarsi inutile, ma poggiò comunque lo straccio sul bancone e si avvicinò indeciso a Gabby, guidato forse degli istinti della persona che era solo poco tempo prima.
- Ciao -.
Gabby alzò gli occhi verso di lui e per la prima volta Felix notò quanto fossero grandi ed intensi.
Qualcosa nel suo sguardo, però, gli suggerì di diffidare di quella bellezza: Felix vi scorse una rabbia molto più forte di quella che si era aspettato di trovare, un’ira incomprensibile, dovuta necessariamente a cause più serie di un licenziamento.
 - Vorrei del whiskey -.
 - Che cosa? -.
Gabby si accigliò, allungando le braccia sul tavolo.
 - W-h-i-s-k-e-y. Whiskey, grazie -.
Notando che Felix non sembrava intenzionato a muoversi, Gabby sbuffò sonoramente e si chinò a rovistare nella borsa stracolma che aveva tra i piedi.
Tirò fuori un documento d’identità, picchiettando il dito sulla data di nascita.
 - Sono maggiorenne -.
In effetti, Felix aveva avuto dei dubbi al riguardo, ma non era la sua età a lasciarlo interdetto. Non sapeva come reagire di fronte ad un distacco così netto e ad una freddezza che certamente meritava, ma non si aspettava di dover affrontare. Per lui sarebbe stato più semplice gestire una lite furiosa.
Non sapendo se aggiungere altro, Felix girò sui tacchi ed evitò accuratamente Tony per sviare le sue domande. Dieci minuti più tardi, tornò al tavolo di Gabby, portando un bicchiere di whiskey, accompagnato da un piatto di patatine, un hamburger e un’insalata mista.
Lei fissò per un secondo il cibo e poi il suo sguardo si posò tagliente sul viso di Felix.
 - Non ho ordinato niente di tutto questo -.
 - Non fa bene bere a stomaco vuoto -.
 - Chi ti dice che non ho già mangiato? -.
Domandò lei, scettica, mettendo Felix in difficoltà. Pensandoci bene, lui aveva agito d’istinto, quasi sperando che offrirle un panino e delle patatine bastasse a sciogliere la tensione.
Scrollò le spalle, facendola ridere con amarezza.
 - Stai davvero cercando di comprarmi? Con così poco, poi? -.
Gabby sollevò le sopracciglia, scuotendo la testa. Felix non scorse neppure in quel momento una minima traccia di disprezzo nel suo sguardo. Piuttosto sembrava delusa.
 - Va bene, puoi andare ora, sei già stato abbastanza servizievole -.
E se avesse detto stronzo, leccaculo, ipocrita, imbecille, inutile o altre parole pesanti, nessuna sarebbe stata più azzeccata e più pungente di quella che aveva pronunciato.
Come l’aveva pronunciata.
Felix strinse i denti per non urlare in faccia, cosa che, essendo dalla parte del torto, non era in diritto di fare. In realtà anche le buone maniere lo trattenevano, ma solo in secondo luogo.
 - Buon appetito -.
Mugugnò, andando a rintanarsi in cucina, fingendosi all’improvviso desideroso di friggere e friggere e friggere ancora.

Dopo un po’, Felix smise di far caso a Gabby che rimase lì seduta per ore, fino alla chiusura, calma e sola. All’inizio, la sua presenza aveva continuato ad agitarlo, poi si era reso conto di essere stupido: perché lasciarsi intimorire da una ragazzina? Non aveva senso, tanto più che Gabby sembrava essere innocua.
Spaventosamente innocua.
Gli ultimi clienti sbronzi si stavano alzando sorretti dagli amici, pronti a tornare a casa, Ronnie stava pulendo la cucina, Tony sparecchiava i tavoli e Felix lucidava il bancone. Nonostante il momento di andare fosse giunto per tutti, Gabby non sembrava ancora pronta.
A Felix parve un po’ dissociata dal mondo esterno, come se la sua realtà fosse in grado di assorbirla a tal punto da non rendersi conto di ciò che la circondava. Non aveva mangiato tutto, si era limitata a sbocconcellare qua e là.
Il bicchiere di whiskey era pieno e questo per Felix non ebbe alcun senso. Stava per avvicinarsi, quando lei si alzò, si mise la borsa in spalla e lasciò cadere delle banconote e un paio di monete sul tavolo.
 - Non devi pagarli, quelli -.
Disse lui, indicando i piatti quasi pieni. Gabby si voltò ed abbozzò un sorriso, tranquillo e stanco, ma che sembrò sincero.
 - Non voglio essere in debito con nessuno -.
Mormorò, accennò un saluto a Tony e Ronnie e se ne andò.

'Cause love's such an old fashioned word and love dares you to care for the people on the edge of the night and love dares you to change our way of caring about ourselves.

A Felix sembrò naturale quello che fece subito dopo. Raccolse le sue cose e si fiondò fuori dal Pritt’s, identificando la figura di Gabby, poco distante da lui.
Era tardi e nessuna strada sarebbe stata abbastanza sicura per lasciarla andare via da sola. Certo, il suo ragionamento era un controsenso, perché quella non era la prima che lei tornava a casa a tarda notte e il pensiero di accompagnarla non l’aveva mai sfiorato prima, ma doveva pareggiare i conti, fare qualcosa che lo aiutasse a non sentirsi più in obbligo nei confronti di Gabby.
La seguiva tenendo una certa distanza, con le mani in tasca e la testa bassa, come se fosse sufficiente per passare inosservato. Sarebbe stato meglio avvicinarsi a Gabby ed insistere per accompagnarla, ma sapeva che non ci sarebbe stato verso, quindi scelse comunque di correre il rischio di sembrare un maniaco.
Camminarono dritto per dritto per cinque minuti buoni, poi Gabby si fermò, dove il viale si diramava tra gli edifici. A Felix sembrò quasi che stesse scegliendo quale imboccare, ma gli parve sciocco: come poteva non conoscere la strada di casa sua?
Si fermò, in attesa, acquattato dietro una macchina parcheggiata in seconda fila, pensando di essere caduto davvero in basso. Non saper chiedere scusa lo portava a tampinare le persone, calandosi nel ruolo di paladino della giustizia.
Si passò le mani sul viso, chiedendosi se quello non fosse il momento di fare i conti con se stesso.
Forse si era davvero trascurato troppo a lungo, aveva lasciato troppe questioni in sospeso e troppi dubbi irrisolti che lo stavano facendo impazzire. Si alzò, deciso a tornare nel suo appartamento e a dare un taglio a quella storia, ma quando riemerse dal suo nascondiglio, qualcuno gli sferzò un pugno sul viso e un calcio nello stomaco, facendolo barcollare. Per un attimo gli si annebbiò la vista, ma riuscì a scansarsi prima che un altro pugno, già alzato a mezz’aria, si abbattesse su di lui. Scrollò il capo e si rivolse verso lo sconosciuto, pronto a ripagarlo con la stessa moneta, quando la riconobbe.
 - Gabby? -.

- Non ci posso credere! -.
Felix riabbassò i pugni.
 - Tu mi hai appena aggredito! -.
Strillò, sentendosi meno virile di quanto avrebbe voluto, ma era troppo sconcertato per controllarsi.
Davvero aver perso il lavoro, l’aveva condotta ad agire in quel modo? Doveva essere proprio disperata o, forse, tra i due, era quella con più problemi mentali.
 - Non sapevo che fossi tu! -.
Ribattè lei, boccheggiando dalla sorpresa.
 - Mi stavi...mi stavi praticamente pedinando! -.
Ah, è vero, c’è anche quella piccola questione, pensò Felix, cercando di ricomporsi.
 - Non ti pedinavo! Ho solo pensato che... -.
Felix si interruppe, notando un’espressione divertita sorgere sul viso di Gabby. Un istante dopo, la ragazza scoppiò a ridere a crepapelle, portandosi addirittura le mani sulla pancia e piegandosi in avanti.
Doveva aver intuito le sue ragioni.
 - Cosa? Che ci trovi di divertente? Pensavo fosse un gesto carino. Smettila! -.
Suo malgrado, sentendola ridere in quel modo, la situazione cominciò a sembrargli buffa e trattenersi gli parve impossibile. Si appoggiò alla macchina, portandosi una mano sulle labbra per nascondere il suo divertimento; poi la lasciò scivolare sul fianco, chiedendosi perché fingere di non essere spensierato, almeno in quel momento.

- Picchi duro, eh? -.
Si erano seduti sul bordo del marciapiede, ancora entrambi increduli dell’accaduto. Gabby osservò Felix, dispiaciuta del fatto che il suo zigomo arrossato si sarebbe tramutato presto in un livido violaceo.
 - Ho seguito un paio di lezioni di boxe -.
La buttò lì, improvvisando. Non era abile con le menzogne, sapeva che complicavano anche le poche cose lineari della vita, ma aveva dovuto imparare a gestile, altrimenti la sua copertura non avrebbe retto neppure cinque minuti. Lei stessa si era stupita della naturalezza con la quale aveva mostrato il documento falso al Pritt’s. Certo, era maggiorenne, ma quella non era esattamente la sua carta d’identità.
Faceva parte della Gilda dei Fantasmi: per il resto del mondo lei non esisteva, legalmente parlando.
Felix la stava guardando con stupore e le sembrò che fingesse soltanto di aver creduto alle sue parole.
Forse era altrettanto pratico di bugie.
 - Tu sei piuttosto scarso -.
Commentò lei, con l’espressione di chi la sa lunga.
 - Mi hai solo colto alla sprovvista -.
Si schermì lui, indispettito, ma con un sorriso. In quelle settimane di conoscenza molto superificiale, per la prima volta non erano a disagio l’uno con l’altro e Felix si domandò come avesse fatto la tensione a dissolversi tanto in fretta. Probabilmente avevano montato un castello in aria basandosi su una sciocchezza.
 - Se i tuoi sensi fossero stati all’erta anche solo un minimo, mi avresti sentita arrivare -.
Lo rimbeccò lei, affrettandosi poi a ridere. Non stava parlando ad uno degli adepti della Gilda, Felix era lontano anni luce dal quel mondo ed ignaro che esistesse. Era un civile, per così dire.
Lui la guardò stralunato, poi si alzò.
 - Andiamo, ti accompagno a casa -.
Felix stava già per incamminarsi, pur non sapendo dove andare, quando notò lo sguardo vacuo di Gabby.
 - Ehi, sto bene, non sono mica di polistirolo. Sarai anche una karate-kid, ma...-.
Lei non accennò a muoversi, né l’ilarità precedente sembrò dare segni di vita.
 - Che…che succede?-.
Si guardò intorno spaesato, quasi aspettandosi un assalto improvviso di ninja volanti. Poi un particolare gli saltò all’occhio: l’enorme borsa che Gabby si trascinava dietro. A permettergli di connettere tutti i pezzi fu l’indecisione che aveva notato in lei mentre camminava.
 - Non hai una casa? -.
Domandò, ma si corresse subito, sentendosi un’idiota.
 - Cioè, certo che hai una casa, ma non puoi tornarci, forse? -.
Felix non avrebbe mai voluto vedere quella scintilla di tristezza negli occhi di nessuno, perché era troppo simile ad un dolore che conosceva. Gabby non sentiva più le sue radici, era vacante, non sapeva trovare per se stessa un posto dove riposare.
 - E’ perfetto! -.
Esclamò lui, mordendosi la lingua. Gabby era quasi inorridita.
 - No, scusa, non intendevo proprio...insomma...puoi stare da me! -.
Concluse.
 - In una sola serata mi offri da mangiare, mi segui e mi proponi di venire a casa tua... -.
Gabby si alzò, stringendo la borsa contro un fianco.
 - Qui gatta ci cova. O vuoi uccidermi o... -.
 - Voglio pareggiare i conti -.
Tagliò corto lui. Da quel poco che aveva capito, Gabby era testarda, caparbia, a tratti insolente e forse troppo furba. Le moine con lei non avrebbero funzionato, gli occhioni dolci nemmeno, un bel sorriso suadente neanche a pensarci. La verità, però, poteva sortire un effetto positivo.
 - Ti ho messa in difficoltà facendoti perdere il lavoro, presumo. Sono uno che non sa trattare con i sensi di colpa e me ne voglio liberare. Permettimi di aiutarti come posso. Lo faccio per me stesso, non per te -.
Entrambi ridacchiarono, consapevoli della stranezza di quelle parole che, ad altri, non sarebbero parse affatto convincenti.
Gabby esitò un istante, ma si rese conto di non avere molte opzioni. Tornare da Vanda, tra l’altro, non era una possibilità. Le sue alternative erano dormire sotto un ponte o su una panchina, non avendo i soldi necessari nemmeno per il più sudicio dei motel.
 - Va bene, solo per stasera -.
Felix si accigliò.
 - Come pensi di trovare la soluzione in un giorno soltanto? -.
La ragazza sospirò, mentre cominciavano a camminare, accuratamente distanti l’uno dall’altro.
 - Un paio di sere, allora. Appena posso, tolgo il disturbo e non perché non voglia darti fastidio, anzi, quello potrebbe essere piacevole -.

This is our last dance, this is ourselves, under pressure.

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Capitolo 13
*** Heaven out of Hell - Elisa. ***


Heaven out of Hell. Heaven out of Hell - Elisa.

So are you turning around your mind? Do you think the sun won't shine this time?

Le bastò un’unica occhiata globale per capire che Felix aveva una coinquilina. I cuscini zebrati sul divano, il profumo femminile nell’aria, i fiori sul tavolo e il blazer in pelle rosa appeso all’attaccapanni vicino la porta d’ingresso erano chiari segni del passaggio di una donna.
 - La mia presenza potrebbe infastidirla, non ci hai pensato? -.
Domandò lei, lasciando cadere la borsa sul parquet. Felix stava svuotando le tasche su un mobile di legno, poggiandoci chiavi, cartacce e monete, ma si interruppe.
 - Veramente pensavo che sarebbe stato un problema più per te che per lei -.
Gabby si accigliò, continuando a guardarsi intorno.
 - Per me? Perché dovrebbe? -.
 - Be’, ti ha cacciato dal Pritt, quindi...-.
Gabby si fermò di colpo e la sua espressione curiosa fu immediatamente sostituita da una maschera di sgomento.
 - Nelly? Abiti con Nelly? -.
Felix sembrò cadere dalle nuvole.
 - Sì! Non...non lo sapevi? -.
No, ovviamente. Rispose lei, con un’occhiata eloquente. Il suo sguardo si posò sul borsone che aveva abbandonato a pochi passi di distanza e di colpo rimanere lì le parve una prospettiva allucinante. Certo, il pensiero di non restare tutto il tempo sola con Felix l’aveva rassicurata, ma che il terzo elemento della loro improbabile compagnia fosse Nelly...
 - Me ne vado -.
Felix sospirò, come se avesse semplicemente aspettato quel momento, già pronto ad affrontarlo.
 - Ah, sì? E dove, di grazia? -.
La osservò mordersi il labbro inferiore e si ricordò che Gab non era dura ed imperturbabile come sembrava. L’aveva già notato nei pochi giorni di lavoro che avevano trascorso insieme, ma lei era abile a ricostruire la più stoica e forte immagine di sé, convincendolo ogni volta d’essere intoccabile.
 - Quella è la mia stanza -.
Le indicò una porta socchiusa sulla destra e si incamminò in quella direzione. Gabby avrebbe voluto davvero che un’idea brillante le balenasse all’improvviso nella mente, salvandola da quella situazione, ma si arrese con un sospiro. In effetti, era solo Nelly, una ragazza svampita. Aveva trattato con persone molto meno raccomandabili e non poteva comunque permettersi di fare la schizzinosa.
 - Non voglio che dorma tu sul divano -.
Mugugnò, a testa bassa. Felix rise, pensando che quelle parole gentili dovessero esserle costate caro.
 - Veramente pensavo che avremmo dormito insieme -.
Di colpo lo sguardo di Gabby si alzò ed un luccichio furbo le accese lo sguardo.
 - Oh, tesoro, come sei ingenuo -.
Dentro di sé, Gabby provò un forte imbarazzo che non lasciò trapelare: la sua esperienza con i ragazzi era minima. Alla Gilda aveva avuto un paio di spasimanti, ma non c’erano né il tempo né la voglia di dar loro spago. La sua vita sentimentale iniziava e finiva con una storiella avuta tempo addietro con Dan, suo coetaneo, e un paio di cotte irrilevanti.
Ad ogni modo, quella di Felix era solo una battuta e lei sapeva ben controllare le sue reazioni, quindi non c’era pericolo che lui intuisse il suo imbarazzo.
 - Va bene, c’ho provato -.
Ridacchiò Felix, accendendo l’abat-jour sul comodino. La luce illuminò una stanza caotica in cui libri e vestiti si accumulavano in ogni dove. Sarebbe stata spaziosa se tenuta più in ordine, ma quell’accumulo di cianfrusaglie sembrò a Gabby una trincea sufficientemente sicura dietro cui nascondersi.
Sulla stessa parete a cui era accostato il letto si apriva una grande finestra. La ragazza immaginò quanto fosse piacevole svegliarsi con il Sole che piano piano ti scivola sul viso, ma credeva anche che Felix non l’avesse mai notato.
La vista forse non era spettacolare, ma di certo superava le aspettative di Gabby: un susseguirsi di pittoreschi edifici si alternava a pochi alberi solitari che ondeggiavano sotto il vento delle notte e, in lontananza, nonostante l’oscurità, si stagliava la sagoma dei monti che circondavano la regione come una corona.
Gabby dovette sforzarsi per smettere di osservare tanto attentamente ogni minimo dettaglio, sentendo lo sguardo di Felix su di sé.
 - Ehm...è perfetto, grazie -.
Mormorò, poggiando la borsa ai piedi del letto e cominciando a frugarci dentro, alla ricerca di qualcosa che potesse essere spacciato per un pigiama.
 - Se ti serve altro, sai dove trovarmi -.
Disse lui, sorridendo. Prese da un cassetto il pantalone di una tuta e un volume consunto e fece per andar via, poi aggiunse: - Ci sono tre porte lungo il corridoio: quella a destra è la cucina e di rimpetto c’è la stanza di Nelly. Non che ti interessi... -.
Sussurrò, scrutando con attenzione l’espressione di Gabby.
 - In fondo c’è il bagno -.
Lei annuì e lo ringraziò. Felix si sistemò sul divano mentre lei si faceva una doccia. Voleva mettersi a dormire il prima possibile per evitare che i suoi stessi pensieri lo attaccassero. Si era comportato bene, aveva fatto la cosa giusta e quella sera si era sentito incredibilmente spensierato; non voleva complicare tutto.
Gabby riemerse dal bagno dieci minuti dopo, mentre lui era già steso a leggere “Il profumo”. Felix le lanciò un’occhiata: indossava un’anonima maglietta bianca, un pantaloncino blu scuro e aveva i capelli ancora umidi, liberi sulle spalle.
 - Buonanotte -.
Le disse.
 - ‘Notte -.
Rispose lei, con un tono impossibile, tanto triste quanto sereno.

Are you breathing only half of the air? Are you giving only half of a chance?

 - Tu cosa? -.
 Gabby aprì gli occhi di scatto, ritrovandosi spaesata in una stanza che non riconobbe subito. Soltanto dopo essersi messa a sedere ed essersi stropicciata gli occhi ricordò quanto accaduto la sera prima.
 - Non posso credere che tu sia così idiota! -.
Gabby socchiuse gli occhi, inspirando profondamente. Era Nelly a gracchiare come una cornacchia quelle parole scortesi. Immaginò che Felix l’avesse resa partecipe della sua presenza.
Si sentì terribilmente in colpa per averlo messo in quella situazione scomoda, ma l’indignazione e l’antipatia verso Nelly erano addirittura più forti.
Gabby si alzò, si infilò un reggiseno e una canotta pulita, legò i capelli sulla nuca ed uscì dalla stanza. Si diresse in cucina, da dove proveniva la voce di Nelly; Felix era seduto al tavolo, disturbato durante la sua colazione. Aveva il giornale sulle ginocchia, i gomiti piantati sul tavolo e una tazza di caffè fumante tra le mani. Un cornetto ed un paio di fette biscottate erano rimaste a metà nel suo piatto sporco di burro e marmellata. Quando la vide, cercò di mascherare l’espressione infastidita, senza successo.
 - Buongiorno -.
Disse, scusandosi con lo sguardo per quello che stava accadendo.
 - Buongiorno, Felix. Nelly -.
 Gabby la guardò dritta negli occhi, percependo il disprezzo che la ragazza provava nei suoi confronti. Erano appena le otto ma Nelly era già tirata di tutto punto, con la sua gonna corta, il top colorato, i tacchi alti e le ciglia curve. Lei e Gabby, completamente a suo agio anche se sfatta, erano agli antipodi: Nelly non sarebbe mai riuscita a non vergognarsi in “quelle condizioni”.
Nonostante la sciattezza di Gabby, Felix le aveva rivolto un saluto gentile, premura che aveva omesso per Nelly.
 - Qualche problema con il mio soggiorno qui? -.
Domandò Gabby con un tono neutrale: non voleva fornire a Nelly un pretesto, voleva continuare ad essere nel giusto.
L’altra scrollò le spalle.
 - Affatto -.
Nelly, come spesso molto delle persone che sbraitano di nascosto, non abbe il coraggio di essere sincera.
 - Menomale! Non vorrei mai creare problemi al mio capo -.
Mentre pronunciava quelle parole, Gabby assunse una finta espressione ingenua. Poteva togliersi almeno un sassolino dalla scarpa con una frecciatina innocua, no?
 - Ex-capo, pardon moi -.
Le sfilò di fianco con dignità, andandosi a sedere vicino a Felix, e cominciò a mangiare il resto del suo croissant, come se fossero compagni abituati a dividere spazio e tempo.
Nelly andò via ancheggiando e sbuffando.
 - Scusa -.
Bofonchiò Felix, ma il suo tono era duro e scontroso.
 - A quanto pare, Nelly non infastidisce solo me -.
Disse Gabby, nel tentativo di intaccare quella sua aria drammatica. Dietro la sua affermazione, però, Felix percepì delle accuse velate. Forse era solo una sua paranoia, ma gli sembrò che Gabby volesse dargli dell’ipocrita.
“In effetti lo sei, Felix, hai usato Nelly, l’hai fatta sentire importante per i tuoi scopi e in realtà nemmeno la sopporti”.
 - E’ complicato -.
Mandò giù l’ultimo sorso di caffè.
 - E comunque non è affar tuo -.
Concluse, brusco, alzandosi ed uscendo dalla cucina.
Gabby rimase sconcertata e pensò d’essere passata semplicemente da un guaio all’altro.

Don't you wanna shake because you love, cry because you care, feel 'cause you're alive, sleep because you're tired?

Vanda era furiosa. Tagliuzzava velocemente sedani e carote, digrignando i denti al solo pensiero della stupida fuga di Gabby. Questo le dimostrava quanto fosse instabile, eppure l’aveva anche rincuorata, in un certo senso: Gabby aveva reagito, aveva perso le staffe, aveva scelto e forse aveva anche compreso le parole che Vanda le aveva rivolto.
Potevano essere segni di una ripresa?
Sospirando, sentì il senso di colpa prendere il posto della rabbia. Era stata fin troppo dura, sapeva di averla ferita ed allontanata, ma una sferzata di verità in pieno volto era necessaria, anche se accompagnata da cattiverie che si sarebbe potuta risparmiare. In ogni caso preferiva quell’esplosione violenta, alla precedente situazione di stallo.
Avrebbe cominciato a cercarla dal giorno seguente, se non si fosse fatta viva, cosa su cui Vanda contava parecchio. Non era molto preoccupata, perché se fosse stata in pericolo, Gabby avrebbe saputo avvertirla.
Si voltò a controllare l’arrosto e socchiuse gli occhi, lasciando riaffiorare i ricordi.

 - Berell, rispondimi -.
Vanda lanciò un’occhiata minacciosa a Berell, che camminava al suo fianco, a testa alta. I suoi occhi scuri erano immobili e severi, la sua figura alta e snella si muoveva con grazia. Con quei bei capelli dorati, a Vanda ricordava una spiga di grano abbandonata al vento.
 - Mi stai accusando di aver sedotto Gabby, cosa pretendi che ti dica? -.
Vanda sospirò, accelerando per tenere il suo passo.
 - Non è vero -.
Ringhiò lei, afferrando per il braccio e costringendolo a fermarsi.
 - Devi ammettere, però, che il vostro legame va ben oltre il semplice affiatamento allievo-maestro. Le brillano gli occhi quando siete insieme, è più entusiasta e ben disposta! E...-.
 - Van, vorrei davvero che tu tacessi -.
 - Devi ammettere che il contatto fisico tra voi non è un problema! Abbracci, carezze, baci...anche se dati in fronte, sono comunque baci! -.
 - Stai diventando ridicola, te ne rendi conto? -.
Tuonò lui, esasperato.
 - E’ poco più di una bambina! Ci tengo molto a lei, forse più del dovuto, questo è certo, perché dovrei considerarla soltanto una delle armi della Gilda, ma non...non mi permetterei mai... -.
Berell abbassò lo sguardo, massaggiandosi le tempie con le dita e lasciandole poi scivolare tra i capelli.
 - Puoi illuderla senza rendertene conto. E’ forte, ma anche giovane e tu sei il suo unico punto fermo in questo momento. Forse “non ti permetteresti mai”, ma questo non vuol dire che non vorresti -.
Alle parole di Vanda, Berell sgranò gli occhi, indignato.
 - Le voglio bene e la rispetto. La istruirò e la proteggerò a prescindere dai pettegolezzi che susciterà tutto questo...-.
 - Non ci sarà alcun pettegolezzo, Berell, nessuno metterebbe in dubbio la tua integrità morale senza un valido motivo. Ti prego solo di controllare la situazione...è tutto già abbastanza complicato -.
 Lui annuì e Vanda comprese che qualcosa le sfuggiva. Non poteva capire fino in fondo, secondo Berell.
In quel momento non ebbe modo di rifletterci, perché gli Ufficiali della Gilda uscirono dalla Sala delle Riunioni, portando avanti una discussione abbastanza accesa.
 - Trovo assurdo proibire il reclutamento di Esterni! Siamo a corto di adepti, nessuno è più disposto ad apprendere l’arte della Gilda per paura delle conseguenze. Dove pensate che andremo a finire? -.
L’Ufficiale Fuentes era paonazzo e gesticolava, scuotendo le mani.
 - Manteniamo la calma, signori. E’ inutile continuare a proporre soluzioni estreme, non possiamo metterci a rastrellare in giro bambini abbandonati per istruirli -.
Sbottò spazientito l’ufficile Baker, che precedeva gli altri.
 - Perché no? -.
 - Non sarebbero all’altezza dei Discendenti, rappresenterebbero solo un intralcio -.
Berell e Vanda si scambiarono un’occhiata preoccupata. I Discendenti erano i membri delle famiglie che, sin dalla sua fondazione, facevano parte della Gilda. Non erano mai stati moltissimi, ma nel tempo erano riusciti a formare un gruppo sostanzioso. Quella realtà, però, era soltanto un ricordo: negli ultimi mesi una quantità vergognosa di Discendenti erano venuti meno al loro compito rifiutandosi di seguire l’addestramento, oppure avevano abbandonato la Gilda di punto in bianco. Non senza motivo, certo.
Un’organizzazione che loro chiamavano la "Caedes" aveva cominciato a dare la caccia ai Discendenti: con qualcuno erano bastate le minacce o un braccio rotto, altri erano andati incontro alla morte, qualcuno era sparito e parecchi avevano perso la memoria o la capacità di ricorrere alla magia. Molti, spaventati, si erano tirati indietro, il che era comprensibile. Nessuno si spiegava come fosse possibile un simile attacco: le identità dei Discendenti e delle loro famiglie erano sempre state segrete, così come, in realtà, l’esistenza stessa della Gilda. La Caedes doveva essersi sviluppata all’interno, acquistando informazioni e potere. Il nemico era forte, se riusciva a sconfiggere un Discendente.
La faccenda aveva minato l’intera struttura della Gilda: non c’era più il solito senso di sicurezza, l’amore per l’apprendimento, quell’aria familiare che faceva sentire tutti a casa. La magia non veniva più utilizzata per scoprire il mondo e approfondire la realtà circostante: era diventata un’arma. E non rimaneva nemmeno più un briciolo di fiducia verso il prossimo.
D’altronde, come riconoscere un traditore?

A Vanda sfuggì il coltello dalle mani e una scossa improvvisa fece traballare sia lei che la casa. Chiuse gli occhi: quello non era un terremoto, ma un avvertimento. La paura, il terrore, la confusione, furono tutte vaghe sensazioni che le sfiorarono la mente, prima che le schiacciasse, per non esserne sopraffatta. Il suo corpo si ridestò, tornando come un automa in “modalità battaglia”. Recuperò il coltello da terra e salì rapidamente al piano di sopra, dove Berell vegetava in solitudine. Quando aprì la porta, vide un'ombra veloce spostarsi intorno a lui, ma non ebbe il tempo di salvarlo. Fu questione di un secondo e la sedia su cui era seduto prese fuoco. Le fiamme lambirono il suo corpo, inghiottendolo, ed in poco tempo l'incendio si propagò per la camera. Lo sconosciuto, avvolto in un lungo mantello di velluto rosso, sibilò come un serpente e scomparve in uno scoppio assordante.
Poi, l'Inferno distrusse anche quel posto sicuro: le assi di legno cominciarono a spezzarsi, i mobili si accartocciavano come foglie e l'odore di morte, la morte di Berell, impegnò l'aria insieme al fumo. Vanda corse fuori più in fretta possibile, bruciacchiandosi i capelli e i gomiti, graffiandosi le ginocchia nella corsa ed inciampando nei suoi stessi piedi. Scese in strada e osservò con le lacrime agli occhi la palazzina che si sgretolava su se stessa, passandosi le mani sul viso. Era stato tutto troppo rapido per essere vero.
Le sirene cominciarono a suonare intorno a lei, qualcuno urlava, i bambini piangevano, le persone  perdevano i loro beni e le loro dimore per colpa della Caedes, che li aveva raggiunti persino lì.

Make heaven, heaven out of hell now.

Una fitta allo stomaco fece cadere Gabby a terra, ma quel male fisico fu niente in confronto a ciò che rappresentava: Vanda o Berell erano in pericolo o forse già morti, perché la sofferenza cresceva, le fitte aumentavano e il legame che li teneva uniti tremava, impetuosamente.
 -Gabby! -.
Aveva la vista annebbiata, senza sapere se fosse per il dolore o per le lacrime, ma riconobbe la voce di Felix e sentì le sue mani tirarla su come un sacco.
- Che succede? Dove ti fa male? -.
Sembrava terrorizzato e Gabby, nonostante la situazione, si rese conto di quanto fosse indifeso ed impreparato. Il suo mondo doveva essere certamente più sicuro, più ignaro, più cieco; poteva dormire la notte senza aspettarsi di vedere mostri sovrannaturali sgusciare fuori dall'armadio per soffocarlo nel sonno. Felix poteva temere d'essere derubato o insultato o tradito, ma cos'erano quelle minacce in confronto alla Caedes?
Poi, quando tutto divenne più nitido intorno a lei, si rese conto che, in realtà, nemmeno lui poteva stare tranquillo. Quella della Gilda era una lotta per la sopravvivenza, era una guerra.
E in quale posto, a quale fortunata persona, era sconosciuta quella maledizione?

Quando riaprì gli occhi, fu prima sopraffatta da una zaffata di caffè, poi da un profumo muschiato ed infine da un dolore acuto alla testa.
-Bene, bene, non soltanto ti ospito in casa mia nonostante tu sia fastidiosa e saccente, ma devo anche raccoglierti col cucchiaino quanto ti spalmi sul pavimento del mio salotto -.
Sebbene Felix stesse sfoderando il suo migliore sorriso di sfida e il tono presuntuoso più convincente di cui era capace, a Gabby sembrò ugualmente privo di difese e spaesato. Gli sembrava di vedere le sue espressioni a rallentatore, scoprendo la tensione tra il sollievo e il sarcasmo.
- Ti stai guadagnando un posto in Paradiso -.
Sibilò Gabby, tirandosi su forse troppo in fretta. La vista le si annebbiò e per un attimo tutto intorno a lei fu inghiottito da mille buchi neri, poi le linee decise dei mobili sferzarono l’oscurità.
- Preferirei tenermi stretto la mia bella poltrona all’Inferno, grazie -.
Felix era seduto a terra, di fianco al divano su cui aveva adagiato Gabby. Si rialzò, passandosi una mano tra i capelli e spingendoli all’indietro, con aria distratta.
- Pressione bassa? -.
Domandò, buttandosi di peso sulla poltrona, come se prendere fisicamente le distanze fosse un loro tacito accordo. A Gabby, però, le sue parole arrivarono come un sussurro irrilevante, a cui infatti non prestò attenzione. Era concentrata sul legame che la univa ai suoi due compagni, ma qualcosa non andava. Era come se nella sua mente ci fosse un corto circuito e, pur essendo impossibile, il legame le doleva come un arto fantasma. Non era parte del corpo, ma sicuramente era la spina dorsale della sua anima e Gabby sentiva di averla persa. Si afflosciò di nuovo sul divano, con un sospiro frustrato.
- Anemia? Emofilia? Crisi d’astinenza? -.
Felix continuava a parlare a vanvera, sapendo di non essere preso in considerazione, cosa che lo irritava non poco. Si batté le mani sulle rotule, soffiando tra i denti come un gatto.
- Okay, enigmatica moribonda, devo andare a lavoro. Vedi di non morire mentre non ci sono, un cadavere in casa sarebbe difficile da gestire per Nelly. Sai, dovessero venirle le rughe -.
Le labbra di Gabby si distesero in un sorriso, suo malgrado. Non voleva essere divertita, non voleva trovare buffo il tono melodrammatico di Felix né il suo gesticolare esagerato. Qualcosa di orribile era accaduto, come poteva concedersi quella spensieratezza? Chiuse gli occhi, aspettandosi di sentire la porta dell’appartamento chiudersi alle spalle di Felix. Invece udì dei passi che la spinsero a sollevare le palpebre.
- Non sono sicuro di poterti lasciare sola -.
Felix la scrutava con aria di colpo seria, come se qualcosa sul viso della ragazza l’avesse allarmato; era la sofferenza. Non avrebbe voluto notarla, ma era impossibile ignorarla.
-Vuoi che ti porti in ospedale? Ti costerà un supplemento, va bene anche pagamento in natura! -.
La sua voce, che voleva essere ironica, si fece tetra e fievole quando Gabby spalancò gli occhi, come se avesse visto un mostro. Non aveva senso andare in ospedale, nessuna medicina avrebbe potuto aiutarla, né poteva permettersi di esporsi in quel modo. Quale bugia si sarebbe inventata, quando, nel giro di pochi minuti, tutti avrebbero scoperto che lei, in effetti, non esisteva?
- Sto bene. Vai pure. Ho bisogno di dormire -.
Lo disse con tono deciso e tagliente. Non aveva intenzione di essere scontrosa, ma quello fu il risultato, che indispettì Felix. Con una scrollata di spalle, il ragazzo scarabocchiò qualcosa su un post-it e lo appiccicò al cordless.
- Il mio cellulare, in caso ti servisse, ma non credo che Miss-Faccio-Da-Me lo troverà utile -.
Senza rispondere, Gabby si rigirò sul divano in modo da dargli le spalle ed aspettò di sentirlo uscire, prima di balzare in piedi, malgrado le proteste del suo corpo. Doveva correre da Vanda e Berell, pur non essendo certa di trovarli ancora. Mentre correva in camera sua ad infilare una felpa nera e le scarpe, si rese conto che tutta la paura stava riemergendo, facendole tremare le mani e impedendole di respirare regolarmente. Non voleva disperare prima del necessario, ma la magia non mentiva e la stava mettendo in guardia: le sue non erano fantasie e contro la morte nessun addestramento sarebbe stato sufficiente per mantenere il controllo.

Are you locked up in you counting the days? Oh, how long until you have your freedom?

Felix aveva sentito vagamente le sirene suonare impazzite e il caos fuori da casa sua. Era troppo impegnato ad improvvisarsi soccorritore per Gabby, pur non sapendo dove mettere le mani. Era ancora un po’ scombussolato dallo spavento e rimuginava sulle espressioni di paura che aveva visto scorrere sul volto della ragazza, ma i suoi pensieri scemarono man mano che si avvicinava al Pritt's e la confusione si faceva più sonora. Una cappa di fumo sovrastava i palazzi: se fosse stato più attento l’avrebbe notata persino da casa sua, nonostante fosse all’estremo opposto della cittadina. Accelerò il passo, folgorato di colpo dal timore che il Pritt's c’entrasse qualcosa con quel baccano. Quando realizzò che non era così, però, non fu sollevato. Il palazzo bruciato e le persone disperate non avrebbero rincuorato nessuno. I vigili del fuoco avevano ormai placato l’incendio e da quello che Felix capì facendosi strada tra la folla, c’era stata solo una vittima e qualche ferito non grave. Il soffitto è crollato e stavo per rimanere incastrata, ma mio marito…che eroe! E’ stato tutto troppo rapido! Non può essere successo davvero! Chi è morto?Dov’è il mio gatto? Era quello strano uomo che non usciva mai, vero? Dov’è la ragazza? E sua madre? Che disastro, i miei mobili nuovi! Felix catturò tratti di conversazioni agitate e decise di levarsi di mezzo. Non servivano altri occhi puntati su quella sciagura, c’erano già abbastanza persone che curiosavano in giro, intralciando i paramedici e i vigili del fuoco. Infilò le mani in tasca e raggiunse il Pritt's alla svelta.
Pensò che il mondo era un posto meraviglioso ed era davvero strano il modo in cui le catastrofi capitavano con tanta semplicità. Mentre entrava nel Pritt’s, si stupì di se stesso.
Il mondo era un posto meraviglioso? Quand’era stata l’ultima volta che aveva pensato una cosa del genere? Sicuramente prima della morte di suo fratello. Sorrise, ma si affrettò a nascondere quella sua piccola soddisfazione, inappropriata in quel momento. Il Pritt’s era gremito di una folla sconvolta che parlava ad alta voce e strabuzzava gli occhi. Non era opportuno mostrarsi compiaciuto, sarebbe passato per sadico, ma dentro di sé aveva percepito un lieve cambiamento: forse si stava muovendo nella direzione giusta.

Shake because you love, bleed 'cause you got hurt, die because you lived.

Felix non sapeva dove andare e nessun posto, allora, gli sembrava sicuro. Il pericolo era dentro la sua testa, la paura impregnava il suo corpo e l’odio dava ormai consistenza alle sue ossa. Non sapeva con certezza se la vita fino a quel momento fosse stata davvero sua e se quel ragazzo che ascoltava i vecchi vinili del padre e giocava a rugby fosse davvero lui. In ogni caso, non sarebbe più tornato. Felix si era trasformato in un involucro che consumava litri di caffè annacquato, aspettando l’ennesimo pullman in una stazione sudicia.
Leggeva Tolstoj e Dostoevskij viaggiando verso grandi metropoli che gli offrivano mille possibilità; D’Annunzio e Baudelaire gli tenevano compagnia di notte, nei motel, quando le luci sfarfallavano, i cani abbaiavano e gli uomini soli si godevano le loro prostitute.
Non aveva nessuno, a parte i personaggi di quei libri spesso rubati, presi in biblioteca e mai restituiti o pagati quattro soldi ai mercatini dell’usato.
Dopo solo due mesi, i soldi che aveva a sua disposizione finirono e la necessità lo spinse a reagire, pur non essendo pronto. Doveva sopravvivere, anche se suo fratello era stato ucciso e sua madre lo credeva colpevole. Janis non avrebbe mai pensato che Tristan si fosse davvero suicidato, per questo suo padre aveva rigirato la situazione per incastrare Felix. Tristan aveva paura delle armi: quando suo padre puliva la pistola o la portava appesa alla cintura, andando a lavoro, lui tremava e spesso scoppiava a piangere. Tra l’altro, non avrebbe saputo caricarla, per lui era troppo complicato.
Quindi, se Mason avesse cercato di convincerla che suo figlio si era davvero tolto la vita, il suo istinto di madre l’avrebbe messa in guardia. Lo stesso istinto che non aveva salvato Felix.
Persuadere gli altri che Tristan si fosse suicidato era soltanto la parte più semplice: bastavano le sue impronte sulla pistola e lo scenario di ragazzino mentalmente instabile completava il quadro.
Lui era l’unico inutile testimone che nessuno aveva mai voluto ascoltare e negli occhi del quale era racchiusa un'oscena verità. Doveva decidere se conviverci o tormentarsi per essa. La sua prima scelta fu la seconda possibilità: non poteva permettersi di andare avanti, con un passato del genere.
O forse sì.

Are you still turning around the same things? Are you still trying that way? Are you still praying the same prayers? Are you still waiting for that same day to come?

- Van -.
Gabby la trovò accucciata in un vicolo, con la testa tra le gambe e il sangue raggrumato sulle braccia. Vanda non la guardò e Gabby ebbe come risposta solo i suoi singhiozzi. Il pianto di Vanda era inimmaginabile nella sua mente, perché la donna tendeva a non lasciarsi mai andare, ad essere sempre composta e discreta. In quel momento, però, Gabby avrebbe dovuto aspettarsi un tale cedimento. Non sapeva cosa dire, forse perché le parole sarebbero state fastidiose e scontate, quindi si sedette al suo fianco e le poggiò una mano sulla spalla.
- Berell è morto, vero? -.
Più che una domanda, sembrava un modo per chiudere la questione. Gabby non l’avrebbe mai ammesso, ma in quel momento un peso si dissolse dentro di lei e all’improvviso si sentì talmente leggera da piangere per il sollievo invece che per il dolore. Vanda probabilmente avrebbe strepitato senza capire, ma Gabby era felice che l’agonia di Berell fosse finita. Il corpo del suo maestro aveva trovato la pace, come la sua anima aveva già fatto in precedenza. Quello non era un lutto vero e proprio: loro due avevano perso solo i resti di Berell e sebbene a volte si fossero confortate pensando che lui erano ancora lì, da qualche parte in quegli occhi spenti, entrambe avevano sempre saputo d’averlo già perso. Il fuoco, cancellando ciò che restava di Berell, aveva soltanto messo fine ad un addio tirato troppo per le lunghe.
- Devo andare via da qui, l’uomo della Caedes mi ha visto. Potrebbe tornare per me, ma se mi sposto potrò depistarlo -.
Vanda aveva inclinato appena la testa verso Gabby.
- Va bene, allora andiamo via, mettiamoci in viaggio ora, in questo caos nessuno si accorgerà che siamo sparite per un… -.
Si fermò quando Vanda scosse la testa con violenza.
- Tu devi restare -.
Gabby si ritrasse ed incrociò le braccia al petto.
- E’ la cosa più sensata da fare. Lui non ti ha vista, forse non sanno che sei qui e se seguiranno me, non torneranno in un buco di città una seconda volta. Se non userai la magia loro non potranno percepirti. Io tornerò alla Gilda e…-.
- Il tuo piano fa acqua da tutte le parti! Se non userai la magia loro non potranno percepirti? Allora come ci hanno trovato questa volta? -.
Proprio mentre pronunciava quelle parole, Gabby si rese conto che loro non avevano affatto rinunciato alla magia in quel periodo, anzi, l’avevano usata in modo sconsiderato. Lei, per esempio, aveva rispedito le monetine di Felix nelle tasche del ragazzo solo per capriccio.
- Niente magia, zero assoluto, e sarà come se tu scomparissi -.
Bello Van, grazie mille. Come se potessi essere un fantasma più di così.
- Promettimelo. Soltanto se dovessero trovarti potresti ricorrere ai tuoi poteri, ovviamente…-.
Gabby si limitò ad annuire, scostandosi da lei di qualche centimetro.
- Sei intelligente, Gab, sai che ho ragione. Non preoccuparti per me, li confonderò per qualche giorno e poi tornerò alla Gilda. Non possiamo più restare con le mani in mano -.
Gabby si riavvicinò e l’abbracciò a lungo. Nel loro silenzio c’erano le tacite scuse per il litigio che le aveva separate e la comprensione, assente fino a quel momento, verso i sentimenti dell’altra. Di colpo, poi, le braccia di Gabby si ritrovarono a cingere l’aria, perché Vanda si era dileguata veloce come mai prima.
La ragazza si alzò, sollevò gli occhi al cielo e scrutò le nuvolette di fumo grigio che si dissolvevano pian piano. Sembravano l’ultimo saluto di Berell e in quel momento lei seppe di aver superato il dolore, di averlo trasformato in malinconia, di aver salvato i ricordi per aggrapparsi ad essi le sere in cui avrebbe fatto di nuovo male. Poteva finalmente tornare ad essere se stessa.

Climbing the same mountain you're not getting higher, you're running after yourself, can't let go. Hiding in that place you don't wanna be you push happiness so far away but it comes back to give you all that you've given before, to love you the way that you do, like a mirror. Look in the air 'n catch that boomerang, can't fall anywhere else but in your own hand.

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Capitolo 14
*** Sick and Tired - Anastacia. ***


Sick and tired Sick and tired - Anastacia.

My love is on the line.

Il vestito di Destiny frusciò nel silenzio, i lunghi boccoli color nocciola ondeggiarono sulla sua schiena esile e un sorriso apparentemente ingenuo le arricciò le labbra carnose.
Il potere nelle mani sbagliate diventa pericoloso, le ripeteva sempre suo padre, istruendola sin da piccola ad una vita di rischio ma anche di coraggio. Destiny era a capo della Gilda da quando lui li aveva lasciati e sentiva il calore di una sconfinata forza espandersi nel suo corpo.
A little late for all the things you didn't say, I'm not sad for you but I'm sad for all the time I had to waste, 'cause I learned the truth.
- Quindi, Vanda, quale sarebbe la tua proposta? Dare la caccia a chi ci da la caccia? Loro sanno chi siamo. Da dove pensi che dovremmo partire noi, invece? Cominciamo ad ammazzare persone sospette a casaccio? -.
Si passò la lingua sulle labbra, come se l’idea l’allettasse davvero e si lasciò cadere sul suo grande sofà rosa antico. Scosse la testa e si massaggiò le tempie con le lunghe dita affusolate. Qualcuno avrebbe detto che Destiny era melodrammatica e scenica e anche Vanda l’aveva pensato all’inizio. Tutto fumo e niente arrosto. Tanta bellezza non poteva che essere un modo per compensare altre mancanze. Invece Vanda, come altri, dovette ricredersi e vergognarsi di quella prima impressione del tutto sbagliata.
Destiny era intelligente, enigmatica, furba, attenta, gentile e delicata. Quello era un momento di difficoltà che gravava sulle sue spalle magre, nessuno poteva permettersi di criticare le sue reazioni.
My dreams of fairytales and fantasies were torn apart.
- Impediamo ai migliori maestri della Gilda di contribuire per seguire classi di tre o quattro elementi, oppure li spediamo a zonzo per il mondo sperando che le loro tracce “si disperdano”.  Dovremmo richiamare tutti a rapporto e accorpare gli studenti in un unico corso. Forse questa soluzione sarebbe un po’ dispersiva per il loro apprendimento, ma credo sia il meglio che possiamo offrire, ora come ora -.  
Cominciò Vanda, prendendola alla larga.
- So dove vuoi arrivare a parare. Dovrei fondare una sottospecie di gruppo di spie per saperne di più sulla Caedes, giusto? -.
- Vi sembra così irragionevole? -.
Ci fu un attimo di silenzio, poi Destiny si alzò, distendendo le braccia davanti a sé.
- No -.
Mormorò e sembrò che avesse appena subito una grande sconfitta. Mandare i maestri in avanscoperta e sottrarli al loro legittimo ruolo di insegnanti era un chiaro segno del disfacimento dei principi della Gilda. Si stavano allontanando dalle loro tradizioni, dalla magia come collegamento con il mondo. Tutto ciò che prima c’era di sereno e di pacifico, in quell’istante venne rivoltato per diventare bellicoso e mortale.

I knew there'd come a day I'd set you free, ‘cause I'm sick and tired of always being sick and tired.


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Capitolo 15
*** Fighter – Christina Aguilera. ***


Fighter - Christina Aguilera Fighter Christina Aguilera.

Well I thought I knew you thinking that you were true, guess I couldn't trust called your bluff, time is up
'cause I've had enough.

Quando Felix tornò a casa il giorno dell’incendio, si trovò in difficoltà. Aveva scoperto che uno degli appartamenti del palazzo andato a fuoco era della stramba famiglia di Gabby e che l’unica vittima era proprio l’uomo che viveva con lei, un certo Bell, Brell…B-qualcosa.
La fissò, appoggiato con le spalle alla porta: aveva i capelli legati in una crocchia disordinata, era seduta a gambe incrociate sul divano e guardava la tv. Gli sembrò che avesse gli occhi arrossati. Non appena lo notò, inscenò un sorriso e si drizzò meglio, allungando la schiena.
A Felix sembrò comunque troppo piccola per sopportare una brutta notizia. Fece per aprir bocca, ma lei lo precedette e quasi le fu grato.
- Bel casino…l’incendio, intendo -.
 Lo sapeva già e gli stava implicitamente chiedendo di non aggiungere altro.
- Se hai bisogno di qualcosa…-.
Lei scosse la testa, prese il telecomando e cambiò canale più volte. Si fermò su un film di pochi anni prima: Genitori in trappola.
- Non vorrai vederlo davvero? -.
Commentò lui, arricciando le labbra. Lei si strinse nelle spalle.
- Si, perché? -.
- E’ un film da ragazzine -.
Gabby rise e si raggomitolò in un angolo del divano. Batté la mano sul posto libero vicino a lei.
- Allora ti piacerà, vieni -.
Lui fece una smorfia divertita, svuotando le tasche dalle varie cartacce e buttando le chiavi sul basso tavolino di fronte al divano. Si sedette dove lei aveva indicato, ma non guardò lo schermo del televisore; il suo sguardo rimase fisso sulla ragazza.
- Non…non c’è bisogno di parlarne -.
Borbottò lei, tirandosi sulle gambe il plaid beige pieno di pallini e pelucchi. Felix desiderò di averne uno più nuovo e colorato da offrirle, ma gli sembrò sciocco anche solo pensarlo: una bella coperta di certo non l’avrebbe aiutata.
- Non è vero -.
Rispose lui, inspirando e socchiudendo gli occhi. Ricordò la voglia di sfogarsi con qualcuno per la morte del fratello, cosa che non aveva mai avuto modo di fare. Sapeva che il dolore poteva sedimentarsi, stratificarsi e diventare una solida grotta in cui rintanarsi, ancora in vita ma non del tutto coscienti di esserlo. Lo sapeva perché il dolore era stato la sua dimora per molto tempo e lui stava appena mettendo il naso fuori da quel cantuccio tanto sicuro quanto malato.
- Era tuo padre? -.
Domandò, a bruciapelo. Non avrebbe dovuto forzarla, ma non riuscì a frenare la domanda. Lei scosse la testa.
- Ti vanno dei fantastici biscotti al burro? -.
Sembrò sorpresa da quel repentino cambiò di argomento e annuì, abbozzando un sorriso. La situazione a Felix sembrava piuttosto grave, eppure Gabby, pur apparendo ferita, non era distrutta. Mentre sistemava i biscotti in una grande ciotola arancione dei Flistones, si domandò se quella ragazza fosse davvero una persona forte, pratica, risoluta, determinata ad aggrapparsi alla vita con le unghie o con i denti, pur non di non perderla, pur di poter tornare in carreggiata anche dopo una brutta caduta. All’improvviso, si sentì onorato di averla in casa sua.

You were there by my side always, down for the ride but your joy ride just came down in flames
'cause your greed sold me out in shame.

Gabby spostò i libri di Felix e passò il piumino per la polvere anche su quella mensola. Prima di rimetterli a posto, scorse con gli occhi i titoli dei vari volumi: Brida, Il giocatore, Marcovaldo. Sorrise tra sé e sé, sistemandoli in ordine d’altezza. Felix non sembrava esattamente un lettore accanito: con i capelli spettinati, l’aria riflessiva, i jeans e il tatuaggio che si intravedeva dallo scollo delle magliette, ricordava piuttosto un amante dei viaggi on the road, a metà strada tra un membro mancato del club delle Harley Davidson e un moderno e più impacciato Indiana Jones. 
Invece Gabby aveva scoperto una persona diversa, nei pochi attimi che trascorrevano insieme. Il tempo che condividevano era limitato, perché entrambi erano molto impegnati: Felix faceva i doppi turni al Pritt’s mentre lei girava in cerca di un lavoro e aiutava in casa. Convincere Nelly a farla restare lì molto più a lungo del previsto era stato difficile e la situazione si era placata solo quando Nelly aveva realizzato che Gabby sbrigava tutte le faccende, puliva, lavava, faceva il bucato, a volte cucinava persino.
Quando capitava che in casa ci fossero soltanto lei e Felix, Gabby preferiva non infastidirlo e lasciargli il suo spazio. Qualche volta, mentre passava lo straccio sul parquet del salotto, lo osservava con la coda dell’occhio: si sedeva sempre nello stesso punto del divano, esattamente al centro, poggiava i talloni sul basso tavolino e leggeva, estraniandosi dal resto del mondo. Lei, in effetti, avrebbe anche potuto ballare il can-can in mutande senza riuscire a richiamare la sua attenzione se era in compagnia di Huckleberry Finn o Sherlock Holmes.
Sembrava che cominciasse un libro nuovo ogni due o tre giorni e Gabby era giunta alla conclusione che Felix dormisse poco, pur di portare avanti la lettura. Qualche volta indossava degli occhiali da vista con la spessa montatura nera, solitamente quando leggeva a tarda sera. Lei non osava mai interrompere quel silenzio quieto, nemmeno se le sorgeva un dubbio o se aveva voglia di scambiare due chiacchiere. In quei momenti, Felix sembrava entrare in un mondo in cui nulla di brutto poteva mai capitare o comunque, anche se il male l’avesse colpito in quella dimensione, lì i problemi avrebbero sempre trovato una soluzione. Era l’immagine del lieto fine, con le lunghe dita sulle pagine ingiallite, gli occhi che scorrevano veloci e i capelli castani ondeggianti sulla fronte. Li spingeva indietro in gesti automatici, senza mai distrarsi davvero.
Gabby aveva cominciato a considerarlo un bel ragazzo, non sapendo riconoscere se oggettivamente lo fosse. Di sicuro per Nelly era “fuori dalla portata di quelle come te”, per usare le parole che le aveva rivolto un giorno senza ricevere risposta, ma Gabby non ne era certa. Felix aveva dei difetti evidenti ed era tutto meno che perfetto, eppure aveva una grazia versatile e una forza silenziosa. Per questo, l’atteggiamento improvvisamente distaccato che in un primo momento aveva cancellato tutto l’interesse della ragazza, erano stato compensato da quella sorta di incanto in rinascita.
Doveva ancora capire che opinione avesse di lui e, prima di ogni altra cosa, non le era chiaro se poteva concedersi di affezionarsi. In quel momento la Gilda era lontana dalla sua vita e per la prima volta da quando aveva ricordi, non c’erano né lezioni né magia...ma quanto sarebbe potuto durare? 

After all of the stealing and cheating you probably think that I hold resentment for you, but, oh no, you're wrong.

- Quindi sei entrato a far parte del comitato “Recupera anche tu una sfigata dal ciglio della strada?” -.
Per fortuna Gabby in quel momento non c’era, anche se Felix aveva il sospetto che avrebbe gestito alla perfezione la situazione. Nelly non era in grado di scalfire nemmeno minimamente l’autostima e la sicurezza di Gabby, che non si innervosiva mai per le frecciatine acide o per i commenti del tutto inopportuni. Spesso sorrideva come se Nelly fosse uno spettacolo ridicolo e altre volte la confondeva con risposte gentili e tranquille. Felix, dal canto suo, non sapeva tollerare quella mancanza di rispetto e il pensiero di infastidire a morte Nelly con una terza coinquilina lo spingeva soltanto ad essere più ferreo sulle sue intenzioni.
- Ah-a, mi hanno regalato anche una spilletta -.
Sibilò, rincorrendo per il piatto l’ultima polpetta.
- Mi prendi in giro? -.
Felix scrollò le spalle, alzando gli occhi al cielo. Il suo sguardo duro fu richiamato sulla figura di Nelly solo quando lei si alzò, sbattendo le mani sul tavolo.
- Questa è casa mia! Non ho intenzione di trasformarla in un ostello della gioventù! -.
Aveva strabuzzato gli occhi e gonfiato le guance, come un pesce palla, forse cercando di sembrare minacciosa. Felix rise, scuotendo la testa.
- La verità è che la presenza di un’altra ragazza ti infastidisce. Capisco che deve essere difficile condividere il palcoscenico, ma lei è in difficoltà ed è anche colpa nostra... mi ha assicurato che in un modo o nell’altro pagherà la sua parte d’affitto. E’ un affare per tutti -.
Lei storse il naso, schioccando la lingua e gesticolando.
- Sta sicuro che una come lei non ruberà mai la scena ad una come me -.
Dopo quella perla di saggezza, che aveva definitivamente sepolto l’appetito di Felix, Nelly si allontanò ancheggiando.

Felix, in quelle settimane, si sentiva cambiato. Si era chiesto se il tempo avesse davvero sanato le sue ferite, ma quella domanda fu poi spazzata via senza ogni dubbio. Il dolore c’era, velenoso e sottile tra i ricordi. Eppure pian piano si stava allontanando dal suo passato, da quei giorni di cui era diventanto parassita: ogni scena, ogni parola, ogni dettaglio di ciò che non era più suo, era un’invisibile catena che gli impediva di andare avanti; forse aveva cominciato a sganciare gli anelli più piccoli. Da cosa fosse dettato quel passo avanti non sapeva ben capirlo; sicuramente era partito da lui, perché nessun altro avrebbe mai potuto spingerlo ad una simile reazione. Sarebbe stato romantico e dolce pensare che aver conosciuto Gabby gli avesse stravolto l’esistenza e l’avesse ridestato all’improvviso, come in una favola, ma nel baratro in cui era finito non c’era abbastanza spazio per due persone. Bastava una sua spinta per risalire ed era su quella che stava lavorando.
Gabby era un di più, una persona inciampata nella sua vita in un momento piuttosto ambiguo.
Felix non era il ragazzino di un tempo ma neppure il ragazzo che aveva abbindolato Nelly per ottenere un lavoro: non sapeva più identificare se stesso in nessuna delle sue precedenti personalità e quell’essere allo stato grezzo, non plasmato e ancora non identificabile, lo faceva sentire illimatato, libero e pieno di possibilità.

'Cause if it wasn't for all that you tried to do, I wouldn't know just how capable I am to pull through. So I wanna say thank you.

- Dove hai lasciato la tua cagnetta? -.

Domandò Nelly, dandogli una botta con l’anca. Si fermò ad un palmo dal naso di Felix, soffiando come un gatto.
- Sei davvero pessima -.
Felix storse il naso e si allontanò da lei, gettando con foga lo straccio sul bancone. Quella serata era stata piuttosto fiacca e avevano deciso di chiudere un po’ prima del solito. Tony, Ronnie e gli altri due camerieri erano già andati via, lasciandoli da soli, con suo grande rammarico.
- Gabby ci fa trovare sempre la casa pulita ed ordinata, si è trovata un lavoro...-.
- Ceeerto, aiuta occasionalmente chi capita, chiamalo lavoro! -.
Sibilò lei, ma Felix la ignorò e continuò a parlare, irritato.
- Non ha ritardato il pagamento dell’affitto, come promesso, non ti sta mai tra i piedi, anzi, si può dire che ti ignori completamente. Che problema potresti mai avere con lei? -.
La ragazza scrollò le spalle, sciogliendo la coda di cavallo e scompigliandosi i capelli con le mani. La risposta che Felix aspettava, non arrivò. Il suo era un comportamento snob e maleducato: Gabby non rientrava semplicemente nella tipologia di persone che Nelly riteneva importante, secondo criteri abbastanza discutibili. Senza contare poi il fattore gelosia.
- E’ invisibile, nessuno la noterebbe mai. Perché la grande Nelly si sente minacciata? -.
- Minacciata io? Certo che ne dici di stronz...-.
- Infatti, Felix, cosa mai ti passa per la testa? La Donna Invisibile non entrerebbe mai in competizione con Miss Copertina-Di-Vogue. Sei abbastanza intelligente da capire che sarebbe una missione suicida! -.
Solo in quel momento Nelly e Felix si resero conto che Gabby era ferma sull’uscio del Pritt’s. Dal suo indice sollevato a mezz’aria, penzolavano due mazzi di chiavi: le avevano entrambi dimenticate a casa.
- Volevo uscire, ma Lor Signori sarebbero rimasti chiusi fuori se non fossi passata a portare queste -.
Scosse la mano, facendo tintinnare le chiavi. Lanciò un mazzo alla volta verso Felix, che si riscosse dallo stupore per prenderli al volo.
- Ora che ho svolto il mio dovere servendo Sua Signoria, vado a cancellare questa scenetta patetica dalla mia testa, molto lontano da qui -.
Fece per andarsene, poi si fermò e lanciò un’occhiata tagliente a Felix, che non seppe intrepretarla. Dopo di che, sbatté la porta del Pritt’s alle sue spalle e si allontanò velocemente.

'Cause it makes me that much stronger, makes me work a little bit harder, it makes me that much wiser,
so thanks for making me a fighter.

- Questo non è stato molto furbo da parte tua -.
La voce di Felix le soffiò sulla nuca. Gabby girò sullo sgabello e gli lanciò un’occhiataccia, tornando poi a dargli le spalle. Era in un piccolo locale ai margini della cittadina, un posto tranquillo con i divanetti morbidi, le finestre ad oblò e il lungo bancone a s.
- Stai favorendo la concorrenza, sai? -.
La buttò sul ridere, ma non ebbe molto successo. Si sedette vicino a lei, tamburellando le dita con impazienza. Gabby stava bevendo un analcolico, girandolo e rigirandolo con un ombrellino colorato.
- Come se mi dispiaccia -.
Mormorò lei, alzando finalmente gli occhi su Felix, che si sentì sollevato da non essere stato ancora malmenato o aggredito. Non si era abituato al tipo di ragazza che era Gabby: vivendo tutto quel tempo con Nelly, la sua fiducia nel genere femminile, pur non volendo generalizzare, aveva subito dei brutti danni. Le scenate all’ordine del giorno erano una grande nota di demerito, ad esempio.
- Sapevo che saresti venuta qui, me l’hai detto oggi pomeriggio. Volevi che ti trovassi? -.
Ipotizzò lui, tirando su e giù la zip della felpa.
- Sinceramente non credevo che prestassi attenzione a quello che dice un fantasma -.
Non si era infastidita perché Felix aveva detto quelle cose, ma perché si trattava della verità. Gabby non poteva permettersi di dare nell’occhio, non aveva neppure una vera identità e se qualcuno avesse scavato un po’ più a fondo, sarebbe finita nei guai. In un mondo in cui contano più i documenti delle persone stesse, cominciava a sentirsi sbiadita, in trappola, priva delle opzioni di cui aveva avuto appena un accenno. Neanche a dirlo, poi, il suo corpo sentiva fisicamente la mancanza della magia e non aveva ancora del tutto assimilato gli eventi più recenti.
Nelly era solo la ciliegina sulla torta.
- Ah, andiamo, sai che...-.
Felix si interruppe, non sapendo davvero dove andare a parare. In effetti, pensava ciò che aveva detto: Gabby era un’ombra e lui non la conosceva per niente. Era troppo preso dal disordine della sua vita, non aveva pensato ad altro in quei giorni, pur apprezzando il poco tempo passato insieme.
- Ti trovo interessante, Gabby, davvero, so che forse non ti è sembrato così, ma...-.
Lei rise, drizzando la schiena.
- A me non è sembrato niente, okay? -.
Aprì bene i palmi sul bancone.
- Non mi interessa se non siamo grandi amici, non mi importa se non hai il tempo di parlare con me anche se poi ne trovi a sufficienza per parlare di me con Nelly -.
Felix abbassò la testa, incassando il colpo.
- E lei non...andiamo, lo sai. Non andremo mai d’accordo, mai. Sarebbe inverosimile e ti dirò di più, non vorrei nemmeno che fosse altrimenti -.
Mandò giù l’ultimo sorso del suo drink e scese dallo sgabello.
- Io non sono l’eroina di un romanzo rosa, non sono perennemente contesa tra baldi giovani che, senza motivi apparenti, si struggono per me e non c’entro niente con Nelly o le reginette venerate da tutti, quelle che piazzano sempre in ogni film, le stronze a cui nessuno da mai un bel pugno sul naso. Io non sono sempre curata o sempre in tiro e non ho il mondo ai miei piedi. Nemmeno me ne dispiaccio, perché preferisco avere a che fare con persone coscienti di se stesse, persone con dignità e cervello, se possibile -.
Scosse la testa per non essere interrotta.
- Lascio gli zerbini alle api regine dietro cui siete pronti a sbavare. Non ho idea del perché tu sia qui, non so se vuoi chiedermi scusa e non ritengo necessario che tu lo faccia. Non sono ferita, non sverrò ai tuoi piedi e non avrò una crisi di pianto per te...puoi dormire sonni tranquilli -.
Si mise la borsa a tracolla, decisa ad andare via. Aver dato libero sfogo ai suoi pensieri in quel modo non rientrava esattamente nelle sue abitudini: il silenzio che sigillava le sue emozioni era motivo di litigio continuo con Vanda, eppure in quel momento non seppe trattenersi. Troppe cose, a pensarci bene, erano state taciute.
- Come pensi di tornare a casa? A piedi? -.
- E tu come pensi che sia arrivata qui? Era notte anche prima -.
Felix lanciò un’occhiata all’orologio a cucù appeso dietro il bancone.
- Sì, ma ora è più notte di prima -.
Suo malgrado, Gabby rise.
- Su una cosa Nelly ha ragione: dici un mucchio di stupidaggini -.
Lui sospirò, alzando le spalle.
- Se prometto di non parlare, posso accompagnarti a casa? -.

Disguise yourself through living in denial but in the end you’ ll see, you won’t stop me.

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Capitolo 16
*** Savin' me - Nickelback. ***


11Savin’ me – Nickelback. Savin’ me – Nickelback.

Prison gates won't open up for me, on these hands and knees I'm crawling. Oh, I reach for you.

Vanda si rese conto che erano stati davvero stupidi: la Gilda era stata creata in un clima di fiducia e rispetto e nulla era cambiato nel corso del tempo, se non chi ne faceva parte. Gli avvenimenti recenti confermavano che la brama di potere e la presunzione di alcune persone avevano superato i principi morali e l’armonia a cui tutti erano sempre stati legati.
Se ne sarebbero dovuti accorgere prima, sarebbero dovuti essere più cauti. In troppi erano stati danneggiati da quella mancata attenzione, ma se da una parte Vanda rimproverava se stessa e la Gilda intera, dall’altra si domandava come avrebbero mai potuto immaginare una simile combutta.
I primi nomi erano saltati fuori, dopo le prime ricerche incessanti da cui nessuno si aspettava dei risultati. Forse la situazione era meno grave del previsto e tutto era sembrato così difficile solo perché loro non avevano voluto accettare l’evidenza: la Gilda non era più la stessa.
- Allora, parlerai con le buone oppure...? -.
Regulus Flamming era legato ad una sedia e circondato dagli Ufficiali e dai Maestri Scelti. Le catene che lo bloccavano erano rinforzate da magia potente ed oscura. A nessuno piaceva la sensazione di sfruttare l’energia circostante per danneggiare qualcuno, ma si trovavano costretti a farlo.
- Ah, perché, conoscete le cattive maniere, qui? -.
Regulus sputò verso la scarpa lucida dell’Ufficiale Backer, lanciando un’occhiata di sfida ai presenti. Non si aspettava che i principi della Gilda fossero accantonati e nei suoi occhi tutti lessero lo stupore ancora prima della paura, quando i Maestri Scelti cominciarono a torturarlo.
Vanda distolse lo sguardo, ma le urla di Regulus la seguivano mentre cercava di allontanarsi col pensiero. La magia, fino a quel momento immacolata e pura, era stata appena sporcata inesorabilmente e lei sapeva che quel cambiamento non avrebbe mai potuto portare a nulla di buono.

Well I'm terrified of these four walls, these iron bars can't hold my soul in. All I need is you.

Gabby si sentiva strana. Non sapeva come identificare quella sensazione persistente che la confondeva da giorni. Sapeva che aveva a che fare con la Gilda, ne era sicura: forse era un’eco del suo legame con Vanda.
Forse erano le tracce di un ultimo collegamento con Berell.
Abbassò lo sguardo e strinse le palpebre per ricacciare indietro le lacrime. Era stata debole e spaesata fin troppo a lungo, per i suoi gusti. Sapeva che non poteva imporre a se stessa la spensieratezza o la serenità, era ancora ben lontana dal raggiungerle, ma non avrebbe alimentato il dolore più del necessario.
- Ti va di uscire? -.
La voce di Felix la fece sussultare e lo straccio con cui stava asciugando i piatti le scivolò dalle mani.
- Eh? -.
Si girò a guardarlo mentre finiva di mangiare il suo piatto di pasta. Non sembrava molto entusiasta di dover ripetere la domanda e a Gabby questo sembrò quasi un segno di imbarazzo.
- Ti va di uscire? -.
Lei lo guardò spaesata per qualche secondo, poi si affrettò ad annuire. Non voleva che il suo silenzio fosse frainteso ed interpretato come un no.
- Stasera? -.
- Va bene! Che ora? -.
Domandò, dandogli di nuovo le spalle. Non credeva di essere arrossita né di sembrare troppo stupita o entusiasta, eppure si sentiva scoperta, quasi vulnerabile, come se Felix potesse di colpo scoppiare a ridere e dirle che la stava prendendo in giro.
- Lavoro fino alle nove, stasera. Per le nove e mezza ti passo a prendere in camera tua -.
Lui sghignazzò a quella battuta, tranquillo e contento, ma Gabby si limitò ad abbozzare un sorriso che Felix non poteva vedere. Le passò accanto, si mise davanti al lavandino e sciacquò il suo piatto e le stoviglie ancora sporche, senza fiatare. Non l’aveva invitata per un motivo specifico e non credeva nemmeno d’avere secondi fini, anche se Gabby, come già aveva chiarito, lo interessava non poco. Non ne era follemente innamorato né pensava che fosse l’unica ragazza per lui, ma la sua furbizia lo incuriosiva, i suoi modi lo divertivano e ovviamente riteneva gradevole il suo aspetto fisico. I presupposti per una serata interessante c’erano tutti. Una piccola parte di lui era anche contenta di infastidire Nelly, ma non voleva dar ascolto a quella sciocca soddisfazione. C’era un’altra sensazione, invece, che lo inseguiva: Gabby sembrava sempre così gentile, eppure era sfuggente e dispersiva. Vivendo sotto lo stesso tetto, aveva creduto di poter imparare a conoscerla, ma era ormai convinto di non sapere niente di lei, mentre non si poteva dire il contrario: Gabby si era insinuata nella sua vita cogliendo piccoli particolari per inquadrarlo e l’aveva fatto con discrezione ed abilità. Era convinto che sapesse più cose di quanto dava a vedere e si sentiva indietro rispetto a lei. Voleva recuperare, voleva porle mille domande e voleva ripescarla da quei momenti di buio in cui finiva, come se di colpo qualcuno l’avesse disconnessa dal resto del mondo, e chiederle come stava.

Show me what it's like to be the last one standing and teach me wrong from right and I'll show you what I can be.

Gabby aveva perso quasi tutti i suoi averi nell’incendio. Da allora, risparmiando con lavoretti a destra e a manca, era riuscita a ricomprare qualcosa, che fossero oggetti fondamentali, come uno spazzolino, o piccoli regali per se stessa, come una maglietta nuova. Non poteva permettersi mai di spendere molto, né si sentiva limitata da questo. L’alta moda era l’ultimo dei suoi problemi in quel momento.
Ad ogni modo, si era imbambolata di fronte al suo armadio e studiava con attenzione i pochi vestiti che vi erano accuratamente riposti. Nulla le sembrava adatto o abbastanza carino e sentiva davvero sciocca a dare peso a quei dettagli: Felix l’aveva invitata a prescindere dal suo modo di vestire...eppure quel giorno teneva al suo aspetto un po’ più del normale.
Sbuffando si avvicinò al letto ed infilò una mano sotto il materasso, estraendo una busta che conteneva i suoi risparmi. Prese un paio di banconote, permettendosi di esagerare, ed uscì in fretta.

Say it for me, say it to me and I'll leave this life behind me. Say it if it's worth saving me.

Quando Felix tornò a casa dal Pritt’s, con un leggero ritardo, trovò Gabby seduta sul divano a guardare la tv. La studiò per un secondo e si compiacque del fatto che avesse sentito il bisogno di prepararsi con più meticolosità del solito. In un certo senso, gli faceva pensare che lei ci tenesse parecchio.
Indossava un vestitino che Felix presuppose fosse nuovo, perché non l’aveva mai visto: era verde smeraldo con le spalline strette e lo scollo ampio, le arrivava sopra il ginocchio ed era stretto in vita da una cinta beige che richiamava il colore delle ballerine e della lunga collana con i ciondoli.
Non gli sembrò che si fosse truccata, se non lo stretto necessario, ed aveva lasciato i capelli sciolti e naturali. Quando si voltò verso di lui, Felix tossì e distolse lo sguardo.
- Ciao! Scusa se ho fatto tardi, abbiamo avuto qualche problema al bar...-.
Gabby si limitò a fare spallucce, abbozzando un sorriso e negando l’ansia che le attorcigliava lo stomaco. Se proprio era necessario ammetterlo, quello con Felix era il suo vero primo appuntamento o forse era lei a percepirlo come tale. Le uscite con Dan, circoscritte al perimetro della Gilda, non l’avevano mai alettrizzata in quel modo, perché appartenevano alla prigione di un mondo in cui lei, da sempre, si era sentita bloccata.
- Dammi dieci minuti -.
Bofonchiò lui, correndo a farsi una doccia velocissima e ad infilare una maglietta pulita. Poco dopo, con i capelli ancora bagnati, tornò da lei. Faceva abbastanza caldo da lasciarli così com’erano senza preoccuparsi e poi aveva fretta di uscire. Non tanto perché gli dispiacesse averla fatta aspettare, poteva succedere e il suo ritardo non era clamoroso, quanto perché aveva davvero voglia di passare una serata tranquilla e piacevole, come si aspettava che fosse.
- Andiamo! -.

Heaven's gates won't open up for me, with these broken wings I'm fallin' and all I see is you.

C’era qualcosa di inspiegabilmente semplice, nel loro rapporto. Felix non era sicuro di molte cose, eppure non aveva dubbi su quella sensazione. Era come se Gabby fosse abbastanza incasinata da placare sia i suoi problemi che quelli di Felix, rendendo fluido e spontaneo il loro modo di interagire. O forse era merito di entrambi, del modo in cui erano differenti ma comprensivi.
- Quindi, tu non hai mai, mai, mai visto un film con Jackie Chan e Owen Wilson? -.
Felix la guardò stralunato, come se quello fosse un sacrilegio.
- Dai, è così strano? -.
- No, non è semplicemente strano! E’ contro natura! Dobbiamo rimediare -.
Esordì lui, convinto, mentre Gabby rideva e tentava di finire il suo gelato.
Avevano mangiato un panino da Orsino, perché Felix aveva scoperto che Gabby, tra le tante cose, non ne aveva mai assaggiato uno e riteneva gli hamburger di Orsino un’esperienza fondamentale nella vita di chiunque. Poi erano andati a zonzo, tendendo verso la periferia e quindi lasciandosi alle spalle la fitta rete di case per favorire le schiere di alberi e praticelli. Infine, riavvicinandosi a casa, avevano preso un gelato e in quel momento stavano attraversando la piazzola principale della cittadina.
- Sissignore -.
Felix non si sentì a disagio nemmeno in quel momento, mentre il silenzio si frapponeva tra loro due. Quell'attimo di pausa, però, fece viaggiare i pensieri del ragazzo in direzioni che sarebbe stato meglio ignorare.
- Quindi...che fine ha fatto... -.
Felix si morse le labbra, pregando di poter ritirare quelle poche parole tartagliate.
Gabby lo guardò interrogativa, storcendo il naso.
- Sì, insomma...quella donna -.
Lei si fermò, come se si fosse di colpo ricordata qualcosa e Felix ebbe quasi l’impressione che l’avrebbe vista correre via come un lampo.
- Non...non era tua madre, giusto? -.
In quel momento esatto, Felix seppe di aver intrapreso una strada troppo ripida, eppure non riuscì a tornare indietro. Vide la serata crollargli davanti, in mille pezzi, dopo essere stata così limpida, scorrevole e divertente.
- Insomma...che fine hanno fatto i tuoi genitori? -.
Sapeva di non dover continuare a fare domande, eppure gli sfuggivano di bocca, suonando come la curiosità irrispettosa di uno sciocco.
Gabby non rispose e Felix ebbe il tempo di veder scorrere sul suo viso una sfilza di espressioni; tra tutte, spiccò con violenza una smorfia offesa, quasi indignata, come se in quel momento sentisse violata la sua privacy.
- Non credo che sia il caso di affrontare questo argomento -.
Specie ad un primo appuntamento, concluse tra sé e sé.
- Forse non è il momento più opportuno, ma prima o poi vorrei delle spiegazioni -.
A quel punto, Gabby strabuzzò gli occhi e si allontanò di qualche passo da Felix.
- Vorresti delle spiegazioni? E perché mai dovrei dartene? -.
- Perché ti ho ospitato in casa mia senza batter ciglio? Perché non ho mai commentato la stranezza di una ragazza senza famiglia che va a zonzo in cerca di lavoro, sembra squattrinata e disegna sui marciapiedi? -.
Non gli sembrava d’aver usato un tono così accusatorio, anzi, credeva di aver semplicemente elencato dei motivi più che ragionevoli, ma Gabby si sentì comunque attaccata.
- Ah! Ecco che la tua gentilezza mi si ritorce contro! Me lo aspettavo, sai? Mi chiedevo solo quando sarebbe successo -.
Gli si riavvicinò di colpo, puntellandogli il petto con l’indice.
- Ti sei liberato dei sensi di colpa per esserti accaparrato il mio posto di lavoro grazie alle tue presunte doti fisiche? -.
- Presunte? Ah-a -.
- Hai solo bisogno di un pretesto per cacciarmi! Cos’era quest’uscita? Un modo per indorarmi la pillola? Sta tranquillo, mi trovo alla svelta un’altra sistemazione, così non dovrai più domandarti se sono un killer professionista o un’estremista russa -.
Un sorriso piegò le labbra di Felix.
- Estremista russa? -.
- Fai il pignolo? -.
Lui scosse il capo, indeciso su come allacciare un contatto fisico. La sua mano si poggiò su una spalla di Gabby, zona che gli sembrava abbastanza neutrale da poter essere avvicinata.
- Stai dando in escandescenze e tu non lo fai mai -.
Lei assunse un’espressione sostenuta, assottigliando le palpebre.
- Che ne sai? -.
- Qualcosa su di te l’ho capita, avendoti sempre intorno -.
Lei non rispose, limitandosi a roteare gli occhi.
- Ma è solo qualcosa, come ho già detto, mentre tu di me sai molto di più. Voglio rimettermi in pari, voglio conoscerti meglio… e forse ho cominciato dall’argomento sbagliato, ma non hai mai fatto parola dell’incendio, di come ti senti, di tua madre o quel che era -.
Gabby sospirò, supplicandolo con lo sguardo di chiudere la discussione, ma le sembrò che Felix stesse per riaprire bocca, quindi si sottrasse alla sua mano e riprese a camminare verso casa.
- Non ti conosco poi così bene -.
Mormorò.
- Per esempio, non so nulla della tua famiglia -.
Si fermò e si girò a guardarlo, con uno sguardo forse troppo tagliente.
- Me ne vuoi parlare, forse? -.
Calò un silenzio tetro, che per la prima volta in quella serata li allontanava invece d’avvicinarli. Gabby abbozzò un sorriso amaro quando non ricevette una risposta e seppe di aver concluso in modo brusco e drastico la questione. Mentre camminavano distanti e taciturni, si domandò cosa sarebbe successo tra loro.

These city walls ain't got no love for me. I'm on the ledge of the eighteenth story. And oh I scream for you, come please I'm calling.

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Capitolo 17
*** Dancing - Elisa. ***


da Dancing – Elisa.

Time is gonna take my mind and carry it far away where I can fly. The depth of life will dim the temptation to live for you.

Vanda osservò il corpo inerme dell'ennesima vittima della Gilda. Era una donna bruna, in carne, con gli occhi riversi all'indietro e l'espressione di sprezzo ancora sul volto. Le abbassò le palpebre, sospirando. Aveva smesso di tenere il conto, le vite umane si spegnevano sotto le sue mani con una facilità raccapricciante. Questo era quello che le era stato ordinato di fare: quando aveva proposto di cercare i colpevoli di quella guerra intestina non pensava che ciò comportasse morte e distruzione, ma nella sua ingenuità avrebbe dovuto mettere in conto anche questo.
Si è toccati dalla violenza soltanto una volta e questa è sufficiente a contagiarci per sempre.
Si accovacciò vicino al cadavere, portò le ginocchia al petto e vi poggiò la testa, cercando di capire fino a che punto fosse giusto spingersi. La lista dei disertori della Gilda andava allungandosi, qualche nome saltava fuori grazie a ricerche accurate, altri con gli interrogatori. A volte Vanda si chiedeva se non stessero semplicemente facendo fuori tutti i sospetti. Tabula rasa, senza nemmeno la certezza di essere nel giusto.
Nel giusto, poi, secondo quale criterio?
Erano diventati assassini.

If I were to be alone silence would rock my tears 'cause it's all about love and I know better how life is a waving feather.

Quando entrò, trovò Gabby seduta sul divano, rannicchiata in un angolo con una rivista sulle gambe. La sfogliava distrattamente sotto la luce soffusa della lampada e non sembrava essere davvero interessata a quella sfilza di immagini di super-serie-modelle dai capelli cotonati e agli articoli di “cose di cui davvero non puoi fare a meno!” che blateravano su telefoni che fanno anche il pane e mascara effetto occhi-da-gattina-sexy.
Le sue mani si muovevano sulle pagine quasi meccanicamente, le sfogliavano più per inerzia che altro. Alcune ciocche di capelli sfuggite ad una treccia disordinata le incorniciavano il viso, dandole un’aria più infantile di quanto non fosse in realtà.
Fuori pioveva: era stata una giornata fredda decisamente poco primaverile e Gabby, con indosso un anonimo pigiama di cotone, era avvolta in una coperta.
Felix non sapeva decifrare il suo stato d’animo in quel momento, ma a guardarla sembrava tranquilla. Non era poi così sicuro che la sua impressione fosse giusta, ma le supposizioni erano il massimo accenno del loro rapporto, in quei giorni. Non gli restava altro che congetture dalla sera di quell’uscita finita male. Non si erano più rivolti la parola, se non lo stretto necessario, messi all’angolo da una lotta cieca, da una battaglia in cui nessuno voleva intenzionalmente far del male all’altro.
Si eravano evitati e rintanati nelle loro vite distanti, incapaci di chiedere scusa.
Felix si levò l’inappropriata giacca di pelle, di cui la pioggia si era fatta beffe. Era zuppo e stava sgocciolando sul pavimento. Come suo solito, vuotò le tasche sul mobile all’ingresso.
Nel frattempo, Gabby aveva sollevato gli occhi dal giornale, quegli occhi decisamente troppo espressivi ed offesi per essere sopportati.
- E’ molto tardi -.
Mormorò lei, con un tono quasi troppo dolce.
- Non ti ho chiesto io di rimanere sveglia ad aspettarmi -.
Ringhiò Felix, stupendosi della sua stessa veemenza. Aveva notato un piccolo sussulto di Gabby, che si era subito affrettata ad assumere un’espressione distaccata.
- Cosa ti fa pensare che ti stessi aspettando? -.
Un tuono evitò loro un imbarazzante silenzio, invadendo con il suo rombo la stanza e quando il rumore cessò, sembrò comunque che non ci fosse altro da aggiungere.

So I put my arms around you around you and I know that I'll be living soon.

Nel seguente quarto d’ora, Gabby osservò i movimenti di Felix mentre si spostava da una stanza all’altra, dalla camera da letto al bagno, per asciugarsi e cambiarsi. Lo seguiva con lo sguardo, tentando di essere discreta, quasi invisibile.
Invisibile, poi. Era così facile che si sentisse tale alla Gilda.
In quel momento, invece, si sentiva più presente che mai e sapeva che Felix, pur non guardandola, era concentrato su di lei. Questo non le permetteva di sentirsi inconsistente come quando camminava per i corridoi della Gilda. Quel litigio, quella tensione, la rendevano innegabilmente partecipe, ma lei non sapeva come muoversi, non sapeva cosa fosse giusto fare di quel desiderio di riavvicinamento. Voleva riaccostarsi silenziosamente a Felix ma si chiedeva se fosse in diritto di farlo: non erano mai stati intimi, non si conoscevano, erano capitati per caso l’uno al fianco dell’altra. Eppure Gabby ne sentiva la mancanza, voleva rimetterlo al suo posto, là dov’era inciampato fortuitamente.
Quei giorni di convivenza erano stati una gara a chi fuggiva più veloce, ma lei era stanca e voleva solo tornare sui suoi passi. Socchiuse gli occhi, ammonendo se stessa per essere così inesperta. Vivere nell’ambiente della Gilda le aveva precluso così tante esperienze da farla ora sentire, molto banalmente, un pesce fuor d’acqua.

My eyes are on you they're on you and you see that I can't stop shaking.

- Sei triste? -.
Berell le fece scivolare una mano sotto il mento e le sollevò il viso.
- No -.
Gabby si scostò, sottraendosi a quel contatto. Lei e Berell erano in una strana situazione di morboso bisogno reciproco. Era il suo insegnante, ma passavano molto più tempo del dovuto insieme e condividevano dubbi e pensieri che andavano ben oltre l’arte della magia.
Sapeva di provare un forte affetto per lui, percepiva perfino una nota troppo spinta in quel sentimento, ma era consapevole di doverlo trattenere. Anche solo pensare ad una possibile relazione tra loro era del tutto inaccettabile, ma i segnali di Berell erano contraddittori. Forse nemmeno lui si rendeva conto di quanto la confondesse, con quel suo fare a volte fraterno ed altre...
- Vuoi spiegarmi questa tua aria pensierosa, allora? -.
Lei scosse la testa, alzandosi e prendendo le distanze da lui. Aveva fisicamente bisogno di mettere un limite, perché illudere se stessa era un atto di ingenuità che non voleva compiere.
- Questo non è il mio posto -.
Mormorò.
- La Gilda non è casa mia -.
Sentì il sospiro affranto di Berell soffiare sulla sua nuca. La seguiva. Non le permetteva di allontanarsi troppo. Non le lasciava aria.
Berell sapeva che Gabby poteva uscire fuori dall’orbita prestabilita da un momento all’altro. C’era un che di troppo rivoluzionario e libero, nel suo animo, che voleva portarla lontano dal quella vita già scritta.

- Sì, invece, lo è -.
Gabby si voltò e il suo sguardo si fece coraggioso.
- La vita è appena fuori da queste mura. Forse non la tua, ma la mia sì. Le emozioni che provo qui sono solo una riproduzione vuota. Le persone a cui mi lego sono compagni di circostanza. Puoi credere quello che vuoi, Berell, ma c’è molto di più di questa imposizione e no, non chiamarlo destino. Non credo nel destino e non credo di dover essere costretta in questo posto -.
Le mani di Berell strinsero le sue e a Gabby quello sembrò un gesto disperato.
- Andrò via e non per passare la vita a Villa Sanders, a quattro passi da qui, con persone con cui ho un rapporto quasi costretto, meno solido di quello che ho con la mia spazzola -.
Berell sorrise, senza però riuscire a reprimere il suo senso di amarezza.
- E’ pur sempre la tua famiglia -.
Mormorò, ma lui stesso non ne era convinto. Come da tradizione, i suoi genitori avevano passato con lei davvero poco tempo, rispettando compleanni e festività varie, ma non era di certo in quel così che poteva nascere l’affetto. Berell era certo che amassero Gabby, ma in un modo davvero singolare, che lei si rifiutava di accettare.
- Tu sei l’unica famiglia che ho -.
Sussurrò lei, poggiando la fronte sul suo petto.
- Allora non pensare nemmeno di abbandonarmi -.
Gabby strinse i denti. Berell sapeva come farla sentire in colpa, ma non gli avrebbe permesso di bloccarla lì.
- Prima o poi dovrai lasciarmi andare -.
- Quindi puoi fare a meno di me senza problemi? -.
- Possiamo sempre andarcene insieme -.
Era una proposta assurda, la sua, e lo sapeva: la mentalità di Berell era standardizzata. Non avrebbe mai abbandonato la Gilda e in effetti lei non aveva il diritto di chiederglielo.
- Oppure... -. Si corresse subito. - Puoi fidarti di me e ricordare che, dovunque andrò, ti penserò.
La mia realtà è lì fuori ed è diversa da questa. Per quanto io possa ridere e divertirmi, per quanto io sia curiosa ed apprezzi ciò che mi viene insegnato, non è così che desidero andare avanti. Chissà, magari sentirò il richiamo di questo posto e tornerò, magari devo solo dare uno sguardo fuori per capire che è davvero qui che voglio stare. I dubbi sono necessari, Berell, non si può essere ciecamente certi di qualcosa senza prima porsi delle domande -.
Sorrise, assumendo di nuovo l’aspetto della ragazza solare che Berell conosceva.
- C’è un mondo intero per me e anche il dolore che potrò provare fuori da qui sarà meglio di questa campana di vetro -.

No, I won't step back but I'll look down to hide from your eyes 'cause what I feel is so sweet and I'm scared that even my own breath.

Gabby sbarrò gli occhi, chiedendosi perché mai le fosse ritornato alla mente quel giorno così lontano. Era successo almeno due anni prima, quando la Gilda era ancora un’oasi di inverosimile quiete. Era stato prima degli attacchi della Caedes, quando Maestri e Discendenti vivevano con il solo scopo di ampliare la magia, costretti nella Sede della Gilda. All’insorgere dei problemi, quando già molti avevano abbandonato i loro ruoli, gli Ufficiali avevano deciso di confondere i nemici, disperdendo in giro per il mondo sia gli studenti che i Maestri. Per quel motivo Gabby, Berell, Vanda e un altro esiguo numero di persone si erano ritrovati a saltare da un posto all’altro senza la minima idea di cosa fare.
Dopo aver subito un primo attacco nonostante la distanza presa dalla Gilda, il gruppo aveva deciso di dividersi ulteriormente e così Gabby era rimasta sola con i suoi insegnanti, fino all’incidente di Berell, quando erano stati raggiunti dalla Caedes.
Si alzò, confusa da quel tuffo nel passato e pensò che, forse, quel ricordo era una sorta di messaggio cifrato da parte del suo subconscio. Aveva desiderato così tanto il mondo fuori dalla Gilda e lo stava sperimentando da mesi, ormai. Si era sentita euforica e poi libera e poi ancora incredibilmente fortunata, nonostante gli eventi spiacevoli che l’avevano condotta dove voleva arrivare. Era possibile che la sua mente le stesse suggerendo di essere coraggiosa? Di tentare con Felix così come aveva tentanto in precedenza con la sua vita?
Aveva lasciato che il passato e le bugie interferissero con il presente ed era stanca di aspettare che fosse qualcun altro a muovere il primo passo.
Entrò nella stanza senza bussare e trovò Felix seduto sul letto, intento a leggere il libro di turno.
- Se devi metterti a dormire, me ne vado -.
Disse, secco. Voleva quasi rimangiarsi quelle parole e mandarla via, rivendicare il suo diritto di stare in quella camera, ma si cucì la bocca per non essere troppo scortese.
- No -.
Gabby si avvicinò al letto e diede una pacca al posto di libero vicino a Felix.
- Posso? -.
In un’altra circostanza, trattandosi di un’altra persona, una ragazza come Nelly, ad esempio, quella singola parola avrebbe assunto un tono equivoco e avrebbe creato una situazione ambigua nella mente di Felix, ma la voce di Gabby era vellutata ed innocente. Lo sforzo di colmare quel vuoto tra di loro le si leggeva sul volto e una stretta allo stomaco fece mancare il fiato a Felix: era la vergogna di non aver preso coraggio per superare l’orgoglio, come aveva fatto lei.
Annuì e si accostò di più al muro, per farle posto.
- Non so se con tutta quella ciccia starai comoda in uno spazio così piccolo -.
Si azzardò a scherzare, abbozzando un sorriso. Gabby gli riservò una linguaccia, senza aggiungere altro. Si stese al suo fianco, sentendo come una scossa d’adrenalina il calore di un corpo del tutto estraneo. Felix chiuse il libro e la guardò, senza muoversi, senza lasciar trapelare nessuna intenzione.
Poi riaprì il volume e riprese a scorrere le pagine con gli occhi, sorridendo.
Era grato a Gabby: anche se il suo poteva sembrare un comportamento strano, era riuscita a porre fine al loro silenzioso stallo con uno schiocco di dita.
Dopo poco, la testa di Gabby scivolò sul suo petto e, come se fosse assolutamente naturale, lui la cinse con un braccio senza interrompere la sua lettura.

So I put my arms around you and I hope that I will do no wrong.

Felix spense l’abat-jour e incrociò lo sguardo di Gabby, nel buio. Pensava che dormisse da tempo, invece era solo rimasta tranquilla, stretta contro di lui. Gli sembrò di aver condiviso con la ragazza un momento più che intimo, che andava al di là del contatto fisico, di colpo semplice tra loro. Gabby si era rifugiata nel suo abbraccio, aveva trovato qualcosa di familiare e di confortante nella presenza di Felix, quando lui reputava se stesso arido e vuoto come una casa abbandonata. Si era sentito riscaldato dalla vicinanza disinteressata di un’altra persona e sentiva il pericolo di sentimenti di cui, per colpa del suo passato, aveva imparato a diffidare. Non stava parlando d’amore, non voleva montare in aria fantasiose prospettive da romanzo rosa. Stava parlando di fiducia, di rispetto reciproco, di un’unione così spontanea da essere irreversibile.
Si chinò su di lei e poggiò le labbra sulla punta del suo naso, distendendole poi in un sorriso.
Si erano toccati, era la verità, si erano raggiunti in un posto lontano, nella solitudine, nelle sabbie mobili di una mancanza di fiducia. L’uno aveva tenuto compagnia all’altro in un momento di crisi ed era rimasto a guardarlo riemergere.
Non potevano più tornare indietro.
Buonanotte Gab.

My eyes are on you, they're on you and I hope that you won't hurt me.


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Capitolo 18
*** In the Shadows - The Rasmus ***


gh In the shadows – The Rasmus.

No sleep, no sleep untill I am done with finding the answer. Won’t stop, won’t stop before I find a cure for this cancer.

Qualcosa fece pensare a Felix di essere finito in una vita non sua: dopo tanto tormento, la tranquillità sembrava qualcosa di alieno e poco credibile. Eppure continuava ad alimentare la fiducia, tentando di seppellire il dubbio. Non si sarebbe mai liberato del dolore del suo passato, ne avrebbe sempre sentito l’eco, in qualche modo, anche riusciendo a non soffrire più. Sarebbe rimasto come dato di fatto, ma ciò non significava che per lui non potesse essere in attesa un futuro migliore.

Non aveva più voglia di abbattersi e malgrado questa convinzione fosse sempre più ferrea, sentiva sulle spalle la minaccia di un tranello.

Sometimes I feel I going down and so disconnected. Somehow I know that I am haunted to be wanted.

- Quuuuindi, ricapitolando: il pedone è un povero sfigatello, il cavallo è chiaramente ubriaco, la regina se la spassa, il re è il solito uomo tutto fumo e niente arrosto, la torre è una torre e nemmeno dovrebbe muoversi eee...questo simpaticone?
Gabby agitò una pedina davanti al naso di Felix.
- L’alfiere.
- Aha, l’alfiere. Be’, che ci facciamo?
Felix roteò gli occhi e scoppiò a ridere.
- Ho una soluzione a tutti i tuoi problemi, Gab.
Sporse il labbro inferiore.
- Accetta che gli scacchi non sono il gioco per te e finiamola qui.
Lei gli diede un pizzico.
- Ahi!
- Io non mi arrendo!
Esclamò, teatrale.
- Ma io sì!
Felix si alzò ridendo e stiracchiandosi. Allungò le braccia in alto e a Gabby sembrò più imponente che mai. Lo osservò per un attimo, poi si affrettò a distogliere lo sguardo. Felix fece finta di non accorgersene e, sentendo il suo ego gonfiarsi, sorrise sornione.
Gettò un’occhiata al led dell’orologio sul mobile e sospirò.
- Devo prepararmi: stasera doppio turno al Pritt’s.
Mugugnò, ragionando ad alta voce.
- Sempre meglio che vederti annaspare nei misteri degli scacchi.
Gabby assunse un’espressione sostenuta.
- Sì, in effetti Nelly che ti segue con la lingua di fuori è moooolto più piacevole di me.
Si alzò, lanciandogli uno sguardo di sfida e andò a sedersi sul divano. Accese la tv su un programma di cucina e rimase con gli occhi fissi sullo schermo.
Non sapeva spiegarsi né come né perché, ma Felix aveva sempre la sensazione che fosse Gabby ad avere il coltello dalla parte del manico. Le si avvicinò e si chinò verso di lei.
- Questo è il momento in cui cerchi di nascondermi la tua gelosia.
Bisbigliò, sghignazzando.
Comunque dubitava che fosse davvero così.

I been watching I been waiting in the shadows all my time. I been searching I been living for tomorrows all my life.

La primavera, che in quei giorni aveva vacillato, era tornata alla carica. Il primo vero caldo cominciava a farsi sentire e Felix era già proiettato col pensiero verso l’estate. Camminava sentendosi leggero, pensando a cose frivole che non richiedevano alcuno sforzo. Infilò le mani nelle tasche dei jeans e fece per attraversare la strada. Era arrivato al Pritt’s in poco tempo, talmente sovrappensiero da non essersi reso conto della velocità dei suoi passi. Di colpo, però, si bloccò e sentì lunghi artigli sulla schiena che lo tiravano via dalla sua momentanea spensieratezza per catapultarlo di nuovo tra le rovine della famiglia Bert.
Dall’altra parte della strada, ferma davanti all’entrata del Pritt’s, c’era sua madre.

I just don’t want to stay and wait for a wonder.

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Capitolo 19
*** Saint of Los Angeles – Motley Crue. ***


Saint of Los Angeles – Motley Crue.

Tonight, there's gonna be a fight so if you need a place to go, got a two roof slum, a magnum 7 gun and the cops don't never show.

Uccidere è come sballarsi con una droga davvero potente, questo pensava Peter, osservando l’ennesimo corpo inerme ai suoi piedi. Gli diede un colpetto col piede, sghignazzando.
- Andiamo Pete, non avere l’aria così divertita, sembri un maniaco...
Lo ammonì Susan, uno dei membri del suo “gruppo di attacco”. Peter fece spallucce, fissando gli occhi in quelli di lei, con una chiara aria di sfida. Si poteva dire che fosse poco più di un ragazzino, trapiantato dalla sicurezza di una classe di novizi alla violenza di un campo di battaglia.
- I veri maniaci sono loro.
Il tono cupo della sua voce fece rabbrividire Susan, che indietreggiò di un passo, distogliendo lo sguardo. Si chiedeva fino a che punto agissero per il bene della Gilda e quanto questo influenzasse le loro vite...sebbene cercassero tutti di non pensarci, stavano sporcando le loro mani di sangue.
- Andiamo, anche tu la pensi come me. Attaccare la Gilda? Chi potrebbe fare una cosa del genere, se non una persona disturbata?
- Pensala come vuoi, ma noi non siamo più sani di loro, a questo punto...
Peter sbuffò, incamminandosi fuori dall’ennesima abitazione messa a soqquadro. Non rispose a Susan, perché parlava troppo ed era noisa: il suo unico pensiero era il prossimo obiettivo da colpire.
Infilò una mano in tasca ed estrasse un foglio di carta stropicciato e completamente bianco. Socchiuse gli occhi, tenendo ben stretto il foglio tra le mani; una luce azzurrina scaturì dai suoi polpastrelli e quando risollevò le palpebre, sul foglio era comparso un altro nome.
Destiny gli stava comunicando la vittima successiva.
Quando lesse di chi si trattava, non riuscì a frenare una fragorosa risata. Sentì subito i passi svelti di Susan che, allarmata, lo aveva raggiunto fuori dall’edificio. Lo osservò sbigottita e, una volta costato che stava bene, gli strappò il foglio di mano.
- Non è possibile.
Mormorò, con il mento tremante, in procinto di scoppiare in un pianto che Peter non aveva decisamente voglia di sopportare.
- Eravate amichette? -.
Commentò con sprezzo, sollevando un sopracciglio.
- Non sei divertente, Pete, anche tu la conosci...
- Sì e nonostante questo ci ha tradito.
Tuonò lui, facendola sussultare.
- E tu...tu mi hai davvero stufato.
Con uno schiocco di dita, Susan fu scaraventata a terra, battendo la testa così forte da perdere i sensi e, mentre Peter si allontanava, cominciò ad essere stretta in una morsa da un fascio di radici emerse dal sottosuolo.
L’asfalto si era aperto lasciando uscire quello che sembrava un mostro, ma era solo una creatura naturale di cui l’ennesimo uomo faceva un uso perverso.
Peter non sentì urla, né grida di dolore, ma soltanto lo scricchiolio di ossa sbriciolate, come un rumore di passi sulla ghiaia.

So come right in, ‘cuz everybody sins. Welcome to the scene of the crime, you want it, believe it, you got it if you need it. The devil is a friend of mine.

Peter tornò alla Gilda, inscenando un pianto melodrammatico nell’Aula Grande, dove gli Ufficiali erano riuniti.
- Prima che riuscissimo ad ucciderlo ha preso Susan e...e...
Teneva il viso tra le mani e sentiva delle pacche continue sulle spalle, degli ipocriti cenni di comprensione. Sapeva di non doversi fidare di nessuno di loro; soltanto Destiny era il punto fermo delle sue sicurezze.
- Devo...devo andare da lei.
Si alzò e scappò via; non appena i battenti dell’Aula Grande si chiusero, l’espressione affranta si cancellò dal suo viso ad una velocità raccapricciante, lasciando posto ad uno sguardo vacuo, vuoto in modo spaventoso.
Era stato tramutato in un burattino inconsapevole dalla voglia di farsi difensore e portare di giustizia.

Well if you think it's crazy, you ain't seen a thing, just wait untill we're goin down in flames.

- Avevo il timore che sarebbe saltato fuori il suo nome, prima o poi...
Mormorò Destiny, abbassando la testa. Aveva un’aria sconfitta e lugubre. Non avrebbe infuso coraggio a nessuno: sembrava che la sua figura autoritaria da capo si stesse pian piano sgretolando.
- E’ sempre stata sospetta, con quel suo modo di fare, quel suo trasgredire...eppure speravo di sbagliarmi.
Le sfuggì un singhiozzo. Si affrettò a coprire le labbra con le dita magre e guardò intensamente il giovane Peter.
- Sai che devi stare attento con lei, vero? La magia non-morta è così potente.
Sussurrò.
Lui si limitò ad annuire.
- Mi dispiace doverti far carico di un così grande peso, ma è una questione delicata e so di potermi fidare di te. Di questi tempi non è poco.
Se possibile, l’espressione del ragazzo si fece ancora più seria ed orgogliosa.
- Non avete ancora idea di dove sia nascosta?
Destiny si alzò, in un fruscio d’organza blu.
- No, Peter, no, il mondo è immenso.
Pronunciò quelle parole con un tono melodrammatico fino al ridicolo.
- Però, abbiamo un asso nella manica...
Le brillò una luce sconosciuta negli occhi.
- Abbiamo Vanda.

We are, we are the saints, we signed our life away. Doesn't matter what you think, we're gonna do it anyway.

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Capitolo 20
*** Land of Confusion - Genesis. ***


Land of confusion – Genesis.
 
I must've dreamed a thousand dreams been haunted by a million screams. I can hear the marching feet, they're moving into the street.
 
Gabby mangiò un’altra tortina al cioccolato, lanciando l’ennesima occhiata alla porta d’ingresso e poi all’orologio. Era molto tardi, le calavano le palpebre dal sonno, ma non voleva addormentarsi prima che tornasse Felix. Le aveva detto che quella sera avrebbe fatto tardi, sì, ma non così tardi.
Poteva essere uscito con i suoi amici? O con Nelly? Penso a quell’ultima possibilità senza risentimento: sapeva che tra i due c’erano dei precedenti.
Nelly. E’ bella. Sì, è bella e...
E’ bella, davvero bella. Simpatica, in un modo che non colgo, ma simpatica...
Forse è esattamente ciò di cui Felix ha bisogno per svagarsi.
Forse non si sopportano di giorno, ma di notte trovano un modo per andare d’accordo...
Oh.
Forse il loro è amore e odio. Forse è odio e...odio? Forse è odio e sesso.
O amore e sesso o...
Scrollò violentemente la testa, sperando che quei pensieri fossero scaraventati fuori dal suo cervello.
Smettila.
Se c’era un ruolo in cui non si identificava era quello della paranoica gelosa e isterica. Si addiceva più a Nelly, quella parte, sì, a Nelly, ma di certo non a lei.
Non se ne stava autoconvincendo, si conosceva bene, ma non poteva negare che avrebbe preferito vedere Felix entrare in casa - da solo - per andarsene a dormire tranquilla.
Si alzò, sgrullandosi le briciole di dosso e andò in cucina per bere un bicchiere di latte.
Il cibo era un modo eccellente per occupare il tempo.
 
Non avrebbe mai pensato che potesse accadere, ma si era davvero addormentata con la faccia sul tavolo della cucina in una pozza di latte rovesciato.
Nel cuore della notte, con la sola luce arancione di una piccola lampada a pile, si era persa in qualche ragionamento insensato e si era abbandonata al sonno senza rendersene conto.
Sentì una mano sulla spalla e sussultò, facendo schizzare il latte intorno a lei. Sollevò la testa e provò la sgradevole sensazione d’avere i capelli impiastricciati sul viso.
- Cos’è, un nuovo trattamento per la pelle di cui non colgo l’efficacia?
Gli artigli di Nelly si staccarono velocemente dalla sua spalla e andarono a coprirle la bocca, mentre lei mimava un “bleah”.
Più che dare ragione a Nelly, Gabby si sarebbe ripetutamente presa a bastonate sulle gengive, ma doveva riconoscere d’essere in uno stato abbastanza disgustoso.
- Io invece non colgo l’efficacia del tuo cervello.
Bofonchiò, togliendosi i ciuffi bagnati dalla faccia.
- Come, scusa?
La voce di Nelly sembrò sfiorare gli ultrasuoni.
- Ah, qualcuno mi salvi.
Gabby roteò gli occhi e pulì velocemente il tavolo con uno straccio che poi gettò nel lavandino.
- Ti conviene avere delle amicizie ai piani alti, tesoro, perché questa volta te la vedrai proprio male.
Gabby si trattenne dal ridere di fronte a quel tono minaccioso. Nelly pensava d’avere a sua disposizione grandi armi di distruzione di massa, ma in realtà era un gattino con un costume da tigre fatto di cartapesta.
In quel momento Gabby provò un po’ di tenerezza nei suoi confronti, per quel suo modo di essere sciocca ma assolutamente convinta: Nelly era così, senza altri giri di parole. E, nello stesso modo lineare, loro due non si sopportavano. Amen.
Alzò le mani.
- Ahi, ahi, mi sono messa nei guai.
Non aspettò nemmeno la risposta inviperita di Nelly e ciabattò fino al bagno per una lunghissima doccia.
 
Si avvolse un asciugamano intorno al corpo ed un altro a mo’ di turbante in testa. Per un attimo guardò il suo riflesso nello specchio, poi raccolse i vestiti sparsi a terra, li mise nella cesta dei panni da lavare e uscì dal bagno.
Nelly doveva essere andata a dormire: c’era troppo silenzio perché fosse ancora a zonzo per la stanza ed era appena l’alba, quindi non poteva essere già uscita, specie dopo la sua nottata in discoteca.
Stava per andare in camera sua a vestirsi, quando la porta d’ingresso si aprì e la figura di Felix si stagliò sull’uscio.
E in lui non c’era nulla del ragazzo sorridente che aveva invano tentato di insegnarle a giocare a scacchi.
 
Now did you read the news today? They say the danger's gone away but I can see the fire's still alight burning into the night.

 
Era molto presto…o molto tardi.
La macchinetta del caffè gorgogliava sul fornello della cucina. Fuori il mondo cominciava a svegliarsi, tinto di rosa pastello. Felix era seduto con lo sguardo fisso nel vuoto.
Inquietante.
Gabby lo fissava e sapeva che in una normale condizione lui avrebbe alzato gli occhi su di lei, lei avrebbe fatto finta di niente concentrandosi velocemente su qualcos’altro e lui avrebbe riso.
In quel momento, invece, Felix sembrava non percepire nulla.
Per un attimo, l’immagine di Berell balenò nella mente di Gabby e le strinse lo stomaco. Si fece piccola nel pigiama che aveva indossato in fretta.
Il borbottio più insistente del caffè ormai pronto, la salvarono all’ultimo secondo.
Si voltò e lo versò in due tazze: aggiunse una generosa dose di zucchero nel suo e un goccio di latte in quello di Felix.
Si sedette di fronte a lui, dall’altra parte del tavolo e spinse la tazza nella sua direzione.
- Tieni.
Mormorò. Felix non sembrava aver voglia di bere...o mangiare o muoversi o fare qualsiasi altra cosa e di colpo la voglia passò anche a lei.
- Cos’è successo?
Domandò, a bruciapelo.
Solo a quel punto Felix la degnò di uno sguardo. Non aveva ancora fiatato da quando era rientrato e Gabby, pur tentando di mantenere il controllo, cominciava a spaventarsi.
Non perché Felix le potesse fare del male, ma perché di certo qualcuno ne aveva fatto a lui.
 
Too many men, too many people making too many problems and not much love to go round: can't you see, this is a land of confusion.
 
Il suo primo impulso era stato la fuga. Peccato che le sue gambe si rifiutarono di muovere anche solo un minuscolo passo.
Un conto era voltare pagina, impresa in cui si era cimentato da poco e con qualche intoppo, e un conto era ritrovarsi di fronte il simbolo di tutto ciò che aveva perso.
Janis, sua madre, era una grande stronza. Un’egoista. Una maledetta bastarda.
Altrimenti avrebbe avuto la decenza di non farsi vedere mai più.
Dopo quella raffica di insulti, nella sua mente calò un silenzio spettrale. Tutto rallentò quando Janis attraversò la strada e gli si avvicinò sempre di più.
Più avanzava, più Felix capiva quanto le era mancata e quanto fosse ingiusto e violento distruggere una famiglia in quel modo.
Esplodere, come bombe ad orologeria, esplodere e non morire, esistere, ma lontani e a metà.
 
Non si era lasciato abbracciare quando Janis, con i capelli eccessivamente scoloriti dal tempo e gli occhi spenti, aveva allungato le braccia verso di lui. Aveva sibilato tra i denti poche parole: “Ed ora perché sei qui?”. Era il momento più sbagliato per tornare, stava rovinando la sua rinascita.
Lei aveva le lacrime agli occhi e lo pregò di concedergli solo due minuti del suo tempo, per un discorso che, invece, sembrò lungo una vita.
 
- Ti ha detto tutto lui?
Felix strinse le mani.
- Non so perché abbia deciso di farlo, così all’improvviso. Comuqnue, si è costituito soltanto qualche giorno fa e sarà processato tra qualche settimana. Ovviamente andrà in prigione...
La voce di Janis si incrinò e la donna si fermò a riprendere fiato. Nel frattempo, l’unica cosa che Felix riusciva a pensare era che la prigione non era nulla, non era abbastanza, non era l’Inferno in cui suo padre l’aveva lasciato marcire.
Ad un assassino spettava una sorte migliore della sua...possibile?
Felix fissò i suoi occhi in quelli della madre.
- Non vi permetterò di fare di me una pessima persona. Non un’altra volta.
Non voleva avere quei pensieri di odio, non voleva che il rancore e l’ira nascessero di nuovo.
- Perché sei venuta a dirmelo?
Sua madre sollevò lo sguardo su di lui e lo riabassò subito, come se stesse invadendo la sua privacy. Rispose ad una domanda diversa da quella che Felix aveva posto.
- Non sono qui per essere perdonata. Volevo solo rivederti. Non è stato facile trovarti...
- Non è stato facile nemmeno arrivare fin qui, da solo.
Bisbigliò.
Almeno su una cosa erano d’accordo: era meglio non parlare di perdono.
Janis era stata ingannata, ma aveva abbandonato suo figlio senza concedergli il beneficio del dubbio.
La donna che sedeva al fianco di Felix non era sua madre, ma il residuo stantio di una donna che non esisteva più.
Quantomeno era sincera: non pretendeva davvero niente da lui.
E così come era arrivata, se ne andò.
Per Felix era stato un incontro distruttivo: era terribile scoprire di non essere più capaci di voler bene alla propria madre.
Per Janis era stata una salvezza: sebbene lui l’avesse respinta, non a torto, sapere che era un uomo, un uomo migliore di quanto osasse sperare, dava alla sua vita l’ultimo intenso assaggio di felicità.
 
This is the world we live in and these are the hands we're given. Use them and let's start trying to make it a place worth living in.
 
La mano di Felix strinse ancora più forte quella di Gabby: le stava chiedendo di essere il suo ultimo appiglio. Erano stesi sul letto nella sua camera...
...“sua” in senso lato, ormai era la “loro” stanza.
Il solo pensarlo lo spinse ad aprire gli occhi di scatto. Era tutto completamente buio. Si era voluto barricare in un luogo sicuro, perché per quel giorno ne aveva avuto abbastanza del mondo.
Aveva lasciato che Gabby lo seguisse in quella che doveva essere una bolla di solitudine.
Le aveva raccontato tutto, di getto, senza fermarsi mai per paura di non riuscire a continuare.
Aveva condiviso il suo segreto, ciò che lo rendeva a tutti gli effetti la persona che era: il suo passato.
Gabby era inorridita, a quelle parole: così abituata alla realtà della Gilda, aveva perso di vista gli orrori che un uomo comune poteva causare.
Aveva sempre saputo che nell’immagine che aveva di Felix c’era un tassello mancante, ma che fosse un tale macigno, questo no, non l’aveva pensato.
Al che, non si era azzardata a proferire parola: non voleva scadere nel ridicolo dei “mi dispiace”, davvero troppo miseri per essere pronunciati.
L’aveva abbracciato più forte che poteva, aveva fatto scivolare le mani nei suoi capelli e sulle sue spalle e gli aveva baciato il viso, senza vergogna e senza timidezza.
Aveva bisogno di esserci e per esserci, in quel momento, aveva a disposizione soltanto quei gesti.
Felix avrebbe voluto di più, molto di più. Per un attimo aveva pensato persino che Nelly gli sarebbe tornata utile per distrarsi.
Non avrebbe mai usato Gabby, anche se ne sentiva il bisogno. Si trattenne e le lasciò il permesso di prendersi cura di lui come meglio preferiva.
Sentiva le sue piccole dita scorrergli sul petto con una lentezza estenuante, come se stesse cercando di rimodellarlo senza ammaccature. I suoi lunghi capelli ancora bagnati gli si incollavano addosso, gli pizzicavano la pelle.
Voleva dirle di non torturarlo in quel modo, perché gli piaceva, gli piaceva tanto, troppo, la trovava furba, intelligente, simpatica, dolce, testarda, fastidiosa, petulante, perspicace, enigmatica, bella e lui era addirittura in grado di rispettarla.
Il respiro di Gabby sul suo collo lo tranquillizzava e l’ultimo gesto che gli permise di calmarsi fu il bacio che gli poggiò sulle labbra, accarezzandole lentamente.
Un bacio senza fretta né paura, di quelli che nessuno dava più.
 
Dormì tutta la mattina e quando si svegliò, Gabby non era lì. Aveva lasciato un biglietto in cui diceva d’essere fuori a sbrigare delle commissioni per conto di Nelly, commissioni riguardanti il Pritt’s, e che avrebbe coperto il suo turno al bar quella sera.
Tutto ciò che Felix provò fu gratitudine: non avrebbe sopportato di avere contatti con le persone.
Il solo pensiero era repellente.
Quando tornò a riflettere sulla sera precedente, si rese conto di aver creato un ennesimo problema.
 
La giornata di Gabby era stata, di per sé, una mezza schifezza.
Nelly doveva aver intuito qualcosa riguardo lei e Felix con quel suo radar da cacciatrice, perché l’aveva torturata più del solito.
Le aveva consegnato una lista di commissioni lunga quanto un roloto di carta igienica e l’aveva spedita nei posti più disparati e, soprattutto, accuratamente distanti l’uno dell’altro. L’aveva punzecchiata e stressata al massimo delle sue capacità, ma niente riusciva a cancellare il sorriso (da lei definito ebete) dal volto di Gabby.
Il racconto di Felix l’aveva scombussolata e se ci ripensava le saliva un groppo in gola: la forza che lui doveva aver avuto la sconvolgeva. Aveva incredibilmente dimostrato che un passato oscuro non rappresentava una condanna: sarebbe potuto diventare pericoloso, sarebbe potuto impazzire e invece si era tirato su da solo...in un modo che le piaceva da matti, motivo primo della sua persistente allegria.
Se solo ripensava al modo in cui Felix si era aggrappato a lei, stringendole i fianchi quasi fino a farle male, sentiva una voragine nello stomaco e stentava a credere a cosa le stava succedendo.
Una latitante adepta di una segretissima Gilda e un sopravvissuto.
 
Era così sorprendente e così improbabile, che quasi non si stupì di quello che accade quando tornò a casa.
Ringraziò se stessa di non essersi illusa troppo. Certo, la fantasia aveva cominciato a viaggiare, irrefrenabile e traditrice, ma aveva cercato di tenerla a freno.
Talvolta un bacio è un bacio e basta. La storia non doveva per forza continuare.
Sigillò tutte le obiezioni del suo corpo in un cassetto segreto della sua mente, nella speranza di non ricordare dove fosse la chiave.
Bastò l’espressione di Felix a far cadere quel castello di carte.
Non c’era nemmeno bisogno di parole, che giunsero comunque e, come al solito, peggiorarono la situazione.
- Ciao.
Esclamò lei quando, entrando in casa, vide Felix appollaiato sul divano. Aveva l’aria di un bambino che ha fatto qualcosa di sbagliato, davvero sbagliato, e sta cercando un modo per ammetterlo senza beccarsi una punizione.
Non le rispose e il modo in cui i suoi occhi la fissavano, la fece sospirare.
- Okay.
Mormorò.
- Okay cosa?
Si affrettò a dire lui, sussultando.
- Non c’è bisogno che ti impergoli in qualche discorso assurdo. Lo stridio delle unghie sugli specchi non è piacevole.
Per un attimo Felix strabuzzò gli occhi, poi ricordò a se stesso che Gabby era sempre più veloce del normale.
- Non complichiamo le cose, non roviniamo niente. Dobbiamo solo...dobbiamo solo fare un passo indietro.
Ci credeva poco anche lui, ma confidò in una qualsiasi botta di fortuna.
- Anche due.
Gabby si impose di non sembrare ferita e ci riuscì. Abbozzò un sorriso e si diresse in camera.
Meglio così, comunque.Lei non ci sapeva fare con le relazioni di coppia e c’erano troppe mezze-verità tra loro due. C’erano mondi di distanza.
Chissene frega.
 
I remember long ago when the sun was shining, the stars were bright all through the night and the sound of your laughter as I held you tight, so long ago.

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Capitolo 21
*** Hell Bells - AC/DC. ***


Hell Bells – AC/DC  .  
 
I'm a rolling thunder, a pouring rain, I'm comin' on like a hurricane, my lightning's flashing across the sky.
You're only young but you're gonna die

 
- Vanda, non so proprio da dove cominciare…
Vanda sollevò le sopracciglia, guardandosi intorno. La stanza in cui Destiny l’aveva sempre accolta sembrava diversa dal solito. C’era una luce insolita, sinistra. L’aria era impregnata di dal presagio di cattive notizie e lei percepiva nelle ossa che tutto stava per sgretolarsi.
- Credo dall’inizio vada bene.
Il suo tono scontroso e sarcastico non ricevette risposta. Destiny inspirò lentamente, come per prepararsi.
- Mi dispiace doverti dare questo dolore, ma è mio dovere renderti partecipe di questa triste scoperta...
Vanda si avvicinò al divano di pelle e si sedette, scivolandoci sopra come una gelatina.
Le si era fermato il fiato in gola: c’era solo una cosa in grado di ferirla, solo un male che l’avrebbe toccata, ovvero quello che poteva aver raggiunto Gabby.
Fu infatti quello il nome che abbandonò le carnose labbra di Destiny. E fu poi seguito da un fiume di accuse che lei percepì frammentate e prive di senso, come unghie viscide sulla schiena che la facevano contorcere di brividi, brividi e niente, niente altro per lei, perché la strada appena imboccata era lastricata di morte.
 
I got my bell, I'm gonna take you to hell.
 
La Caedes, tradimento, ne fa parte, ne è un membro importante, ricorda le sue bravate, ricorda il suo animo ribelle, ricorda la rabbia nei suoi occhi, lascia andare ciò che provi, La Caedes, lascia andare, è una nemica, la rabbia nei suoi occhi, uccidere, nella lista è la prossima, siamo costretti, dobbiamo, dobbiamo uccidere Gabby.
Dobbiamo. Uccidere. Gabby.
 
You got me ringing Hell's Bells.

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Capitolo 22
*** Still Waiting - Sum41. ***


Still waiting- Sum 41.
 
So am I still waiting for this world to stop hating?
 
- Non crederei a questa stronzata nemmeno se tutti i santi del calendario prendessero forma davanti a me e giurassero che Gabby ha davvero tradito la Gilda.
Dan Coleghin scosse la testa con vigore e strinse ancora di più le braccia al petto. Aveva l’aria di essere pronto ad esplodere.
Vanda lo guardava, ricordando con tenerezza i trascorsi che aveva con Gabby.
Tenerezza...insomma, per così dire.
Li aveva beccati in uno sgabuzzino a pomiciare durante l’orario di lezione e gli aveva fatto una lavata di capo degna di nota, forse persino esagerata.
Le passarono davanti agli occhi le loro facce atterrite, il sogghigno furbetto ed incancellabile di Gabby, i suoi capelli arruffati, l’imbarazzo di Dan, dipinto sul suo viso paonazzo, il loro fiato corto.
A ripensarci in quel momento le venne da ridere. Si trattenne, perché non era il caso.
Non era il casoda troppo tempo.
- Non dirmi che hai dei dubbi su di lei. Vanda. Guardami.
Era più grande di Gabby di un paio di anni, eppure in quel momento sembrò autoritario come un vero Ufficiale della Gilda. Persino la sua espressione mutò, diventando spaventosamente dura.
- Dan. Meno aggressivo.
Suggerì Lalit, sibilando tra i denti bianchissimi, in contrasto con la sua pelle scura.
Lalit veniva dal Brasile e riteneva d’aver avuto l’onore di essere una delle migliori amiche di Gabby. Certo, un po’ difficile tenersi in contatto in quel momento, ma non si era tirata indietro quando Vanda aveva cercato disperatamente di riunire un gruppo esiguo di persone legate a Gabby, che potessero aiutarla a capire.
Ad agire, a salvarla, ad uscirne indenni. Qualsiasi cosa.
Qualsiasi cosa che non fosse ucciderla.
- Lalit...
Sembrava che stesse per insultarla, ma inspirò e si contenne.
Dan non provava rancore per come era finita la sua storia con Gabby: erano piccoli e, più di tutto, non avrebbero rinunciato l’uno a l’altro perché il loro non era il perfetto lieto fine di uno zuccheroso romanzo rosa.
Non avrebbe rinunciato alla sua amicizia per niente al mondo: poteva passare su un “cuore infranto” senza troppi piagnistei. In fondo, come lui non era stato il suo grande amore, Gabby non era stato quello di Dan.
Cherry, alle sue spalle, lo confermava.
Era la sua attuale ragazza e si era unita al gruppo più per Dan che per altro. Non aveva nemmeno mai visto Gabby e la questione non la tangeva, cosa che aveva infastidito Vanda.
Non sapeva di chi fidarsi, temeva di non essere certa neppure di se stessa. Figurarsi di vattela-a-pesca-Cherry.
A completare il circolo, c’erano altre due bizzarre figure: lo svitatissimo Maestro Bastien e la sua consorte Margherita.
Entrambi avevano avuto cura di Gabby, l’uno come suo insegnante, l’altra come sua consulente.
Margherita, in realtà, offriva alla Gilda i suoi servigi come infermiera: tra morbilli, influenze, mal di pancia da ansia e febbre simulata, nessuno si districava tra i ragazzi malati - e non - come lei.
Per qualche strana ragione, Gabby sembrava essere un’assidua frequentatrice dell’infermeria.
“Mal di testa martellanti, reazioni allergiche non ben specificate, mestruazioni piacevoli come un treno in faccia”, queste erano le sue scuse preferite. La verità era che tra Gabby e Margherita c’era una sorta di rapporto madre-figlia...in più, saltare le lezioni non era poi così male.
- E’ bello che tu la difenda così appassionatamente...
Cominciò a dire Vanda, notando Cherry accigliarsi a quell’“appassionatamente”.
In quel momento provò il desiderio di alzarsi e spaccarle la faccia. Senza pietà, senza umanità, senza controllo. Solo picchiarla, per la sua superficialità, per aver letto della malizia nelle sue parole, in Gabby, in una persona che nemmeno conosceva. Per essere lì quando non avrebbe dovuto esserci. Per non essere Gabby. Per essere una Cherry qualunque, al sicuro, protetta, col suo ragazzo e i suoi lunghissimi capelli biondi. Per rappresentare la semplicità, semplicità sconosciuta nella loro vita.
Non era davvero colpa di Cherry e del suo briciolo di naturale gelosia, ma la rabbia e la violenza salirono nelle mani di Vanda, già sporche di sangue. Serrò la mascella.
Non è il momento giusto per impazzire. Si disse, ma non era certa nemmeno di non essere già uscita di senno.
- So qual è il tuo problema. Ammettendo che Gabby è innocente, dovresti chiederti perché è saltato fuori il suo nome e andando a guardare più a fondo potresti scoprire di aver ucciso persone altrettanto prive di colpa...o no? Non è questo? Cadrebbero tutte le tue giustificazioni. Tutte le noste giustificazioni.
Calò un silenzio spettrale.
- Forse ci hanno mandato ad ammazzare così, a caso.
Mugugnò Lalit.
Finsero tutti di non averla sentita.
- Non possiamo tratte co-co-co-conclusioni affrettate. M-m-ma su una cosa sono d’accordo: Gabby non c’entra con La C-C-Caedes.
Il Maestro Bastien, con i suoi difetti di pronuncia, espresse il pensiero di tutti e spinse Vanda in un angolo, arrancante e confusa.
Perché lei aveva ancora dei dubbi?
 
Can't find a good reason, can't find hope to believe in.
 
Vanda ripercorreva con la memoria tutti i momenti passati con Gabby e più lo faceva, più qualcosa non quadrava. Sapeva d’avere avuto sempre qualche riserva nei suoi confronti, per il rapporto che Gabby aveva con Berell e non con lei e per le tante cose che non le aveva mai confidato.
Ma le voleva bene e non capiva come fosse possibile dubitare in quel modo della sua lealtà.
Una traditrice...era possibile?
La Caedes aveva causato la morte di Berell...non poteva essere coinvolta anche Gabby.
A meno che lui non l’avesse scoperta e messa alle strette...
Vanda scosse la testa energicamente.
- Deve essere stato un brutto colpo per te...
Peter si era avvicinato a lei silenzioso a tal punto da spaventarla. Eppure non era una che abbassava la guardia, di solito. Era senza dubbio combattuta e spaesata.
Un punto per me, pensò il ragazzo, sopprimendo un sorriso.
- Il fatto che la nostra Gilda stia andando in pezzi, non ti concede il permesso di prenderti questa confidenza.
Tuonò Vanda, sfogando su di lui la sua frustrazione. Era solo uno studentello mediocre e indisciplinato e ai suoi occhi era troppo compiaciuto di quella catastrofe. Vanda aveva l’impressione che Peter avesse perso la bussola.
- Sono pur sempre un Maestro ed è gradito che ti rivolga a me tenendo ben a mente la mia posizione.
Peter si stizzì per un secondo, poi si ricompose.
- Dunque...deve essere stato un brutto colpo per lei, Sommo ed Eccelso Maestro.
- Non ho tempo da perdere con queste buffonate e comunque non sono affari che ti riguardano.
Peter emise uno sbuffo.
- Destiny la cercava.
- Volevi dire il Comandante, forse.
Lo rimbeccò lei. Si stava sforzando di essere una Signorina Rottermaier così puntigliosa da infastidirsi da sola.
- Certo, il Comandante.
Vanda annuì. Solo pensare di parlare con Destiny le faceva venire la nausea.
 
Drop dead, a bullet to my head, your words are like a gun in hand. You can't change the state of the nation, we just need some motivation.

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Capitolo 23
*** Alone - Heart. ***


Alone- Heart.
 
I hear the ticking of the clock. I’m lying here the room’s pitch dark.
 
I rapporti con Gabby si erano congelati.
Fuori, invece, il caldo cominciava a pulsare e a farsi spazio prepotentemente, senza riuscire ad entrare in casa.
Felix infilò la t-shirt e abbandonò le braccia lungo i fianchi. Imbecille.
Cosa aveva fatto, se non tirarsi indietro ancora prima di mettersi in ballo? Furbo, molto furbo. In effetti, Gabby era solo stata la sua confidente, la prima persona a cui affidava il suo passato, quella che era andata a lavorare al posto suo e sembrava una bambina e poi una guerriera e sorrideva come se al mondo non ci fosse niente di brutto. Sì, lei.
Il premio per Mister Guarda-come-sono-stupido di quest’anno, rullo di tamburi prego, va aaaa...
 - Felix, ti giuro che se quel tuo culetto piatto non si dà una mossa e saltella fino al Pritt’s, mi occuperò personalmente di prenderlo a calci.
Nelly. La persona sbagliata, al momento sbagliato, nel posto sbagliato, con le parole sbagliate, la faccia sbagliata, il cervello sbagliato... altro?
- Stavo giusto uscendo.
La sentì fargli il verso e si frenò dal mandarla a quel paese in mille modi coloriti.
 
Aveva corso con la fantasia, esatto.
Aveva immaginato come si sarebbe evoluto il loro rapporto, come si sarebbero lasciati andare, come si sarebbero fidati, come avrebbero finito per non poter più tornare indietro. Era troppo.
Tutto in un solo attimo. Tutto dopo aver pensato “menomale che ci sei”.
Nel momento in cui Felix si era reso conto di tenere a Gabby, aveva preferito sbarazzarsene, prima che fosse troppo tardi.
Calciò un sasso sul ciglio della strada e scrutò il Pritt’s prima di entrare.
La figura di sua madre, simile ad una cicatrice, gli si ripresentò davanti agli occhi. Scosse la testa.
Ogni tanto ripensava al loro incontro e soprattutto al processo del padre e al suo improvviso pentimento, che per lui, tra l’altro, non aveva valore.
Il fatto che suo padre fosse un poliziotto, aveva fatto sì che lo scandalo fosse ben controllato, così come aveva previsto: nessuno volle sollevare quel polverone ed infangare il dipartimento, quindi Felix non si stupì quando, in quel buco di cittadina, non giunse neppure l’eco della sua storia.
Gli avvocati dovevano essersi dati un gran da fare e lui ne fu sollevato. Non avrebbe sopportato d’essere l’ennesimo scoop succulento servito caldo ad una schiera di persone annoiate e fameliche.
Che si concentrassero pure sulla riproduzione del baco da seta e sulle scappatelle dei politici, più che sulla sua vita.
- Che guaio hai combinato questa volta?
Tony gli diede una pacca sulla spalla e i suoi baffoni ondeggiarono mossi da un sorriso.
Felix ci pensò un attimo su e in un istante decise che aveva bisogno di parlare. Non di tutto, ma di Gabby sì.
 
I wonder where you are tonight, no answer on the telephone.
 
Dopo che Felix era tornato al Pritt’s, sentendosi pronto a riaffrontare il mondo, Gabby aveva trovato lavoro in un minimarket; non era troppo faticoso e nemmeno ben retribuito, ma poteva andare. Sistemava il retrobottega e puliva il negozio e, soprattutto, il suo capo aveva molto poco a che vedere con Nelly: era una vecchietta incartapecorita, dagli occhialetti tondi e la perfetta chioma bianca.
E soprattutto, l’impiego le permetteva di stare molto tempo lontano da casa.
Non si sarebbe potuta permettere un appartamento tutto suo, neppure in affitto. La cifra che pagava convivendo con Felix e Nelly era inferiore a tutte le altre e sostenerla era già una fatica.
Tra l’altro, non era intenzionata a fuggire né a sembrare ferita, anche perché non se la cavava per niente male. In un qualsiasi filmetto, di lei avrebbero detto “ha la pellaccia dura”.
 
And the night goes by so very slow. Oh I hope that it won’t end though.
 
Quando Felix tornò a casa, era molto tardi.
Gabby era appisolata sul divano, illuminata dal bagliore del televisore ancora acceso. Sullo schermo si ripetevano a ruota ipnotizzanti televendite.
Un’altra giornata senza parlare. In effetti, Felix aveva vissuto senza di lei gran parte della sua vita. La parte più difficile. Erano soli pochi mesi di convivenza ad unirli. Quindi...
Perché sentirne la mancanza?
Ecco, esatto, perché?
 
Till now I always got by on my own, I never really cared until I met you.
 
- Sveglia, sveglia, sveglia. Belli e brutta, tutti svegli, su, op, op.
Gabby storse la bocca. La simpatia di Nelly era una sveglia perfetta, soprattutto di Domenica mattina.
- Indovinate un po’ chi sta arrivando? L’estateee, ne avete mai sentito parlare? E’ quella stagione fatta di gelati e minigonne...
Perché, tu non le indossi anche il giorno di Natale?
-...e di colori sgargianti che, oh mio Dio, Gabby, fossi in te eviterei, con quella pelle così chiara chissà che effetto orribile. Menomale che io sono già abbronzata.
No, tesoro, ti fai le lampade. E’ diverso.
- Le grandi pulizie non si portano avanti da sole. All’opera.
Gabby si stiracchiò e si alzò, controvoglia.
Nelly era quel che era, ma aveva ragione: la casa aveva bisogno di una ripulita coi fiocchi.
Si trascinò per il corridoio sbadigliando, con le palpebre ancora semichiuse. Si fermò solo quando andò a sbattere contro qualcosa di troppo morbido per essere la porta del bagno.
Spalancò gli occhi e si ritrovò appiccicata al petto nudo di Felix. Fece un balzo indietro come se avesse preso la scossa.
- Buongiorno.
Disse lui, avvolto dalla freschezza profumata di una bella doccia.
Indossava solo i jeans.
- Hai perso la maglietta?
Domandò lei, sollevando le sopracciglia.
- Sono contento di sapere che stai bene.
Felix storse il naso, cominciando a sentire il suo orgoglio lamentarsi.
- Sì, sì, buongiorno, come stai, come ti pare.
Gabby gli passò accanto e si avvicinò al lavandino, in attesa di vederlo andar via.
Felix non si girò. Poggiò una mano sullo stipite della porta e ciondolò la testa.
- Quindi, andrà così tra noi? Nemmeno ci saluteremo più?
Inaspettatamente, Gabby rise.
- Andiamo Felix, non essere stupido. Non mi hai mica investito il gatto.
Né spezzato il cuore, non basta così poco.
- Non puoi pretendere che io sia gentile con te appena sveglia. Dovrebbe essere illegale parlare con chi è in piedi da meno di cinque minuti.
Felix abbozzò un sorriso poco convinto e si decise a proporle un trattato di pace per porre fine a quella guerra fredda.
- Amici come prima?
Che...
Am...
Amici?
Come cosa? Quando? E io dov’ero?
Gabby avrebbe voluto essere una di quelle persone che “o tutto, o niente”; invece si era talmente affezionata a lui da accontentarsi di poco piuttosto che di nulla.
Ah, maledizione.
- Certo. Amici come prima.
 
Nelly li mise a lavorare duro e, stranamente, lavorò a sua volta.
Era ormai pomeriggio quando finirono di pulire da cima a fondo la cucina. Stavano giusto per prendersi una pausa quando suonò il campanello e Nelly zampettò ad aprire.
Gabby si passò una mano sulla fronte, per poi strofinarla sulla magliettona gialla già sporca. Lanciò un’occhiata a Felix. Avevano riso e scherzato e lei si era impegnata più che poteva per cancellare il loro piccolo “intoppo”.
Eppure qualcosa non quadrava e non era colpa sua. Felix aveva un’aria strana, un comportamento indecifrabile...
- Non pensavo che l’avrei mai detto, ma c’è un ragazzo per te.
Gabby non si sentì chiamata in causa dalle parole di Nelly e continuò ad osservare le sue unghie spezzate.
Non conosceva nessuno, non aveva amici lì, chi mai poteva venirla a trovare?
- Proooonto? C’è nessuno? Sto parlando con Sua Maestà.
Gabby sussultò e strabuzzò gli occhi. Quando vide Dan fare capolino alle spalle di Nelly, le tremarono le gambe.
- Scusate, non mi piace essere lasciato sull’uscio.
 
And now it chills me to the bone.
 
- Che ci fai qui?
Sebbene la domanda non sembrasse amichevole, il tono di Gabby era dei più felici ed eccitati. Felix la squadrò, con i gomiti poggiati sul tavolo e l’aria neutrale.
Il ragazzo, con i suoi capelli biondo cenere e gli occhi scuri, bevve un altro sorso di aranciata prima di risponderle.
- Avevo bisogno di vederti.
Uh, che schifo. Felix fece una smorfia. Era senza dubbio il momento di andarsene. Non aveva voglia di farsi venire le carie. Sollevò una mano, accennando un saluto, e abbandonò la cucina.
- Gabby in una piccola città, in un appartamento discreto, con un’aria da ragazza normale... non credo a quello che vedo.
Lei si limitò a scrollare le spalle. Dan, che abitava nei ricordi di un mondo lontano, sì, quel Dan era seduto di fronte a lei. Sentì un moto d’affetto nei suoi confronti, un affetto genuino e dalle profonde radici. Sorrise.
- Ma nemmeno tu crederai a quello che ti dirò.
Come non detto. L’espressione di Gabby tornò seria.
- Fai un tentativo.
- Destiny ti ha accusata, basandosi su “fonti certe”, d’essere un membro della Caedes .
Silenzio.
Silenzio.
Silenziosilenziosilenzio.
- Gab?
- Puoi ripetere?
- Destiny ti ha acc...
- Stiamo scherzando? Mi stai prendendo in giro? Ovviamente. Oggi non è primo aprirle, quindi non è divertente, idiota. Non dovresti... non... perché non stai ridendo? Non può essere vero. Cancella quell’espressione preoccupata dalla tua faccia. Subito.
- Siediti e riprendi fiato.                               
Gabby era saltata giù dalla sedia come una molla. Sentiva gli occhi pieni di lacrime e la mani tremanti di rabbia. Non sapeva davvero come calmarsi.
Dan le poggiò una mano sul braccio.
- Siediti e riprendi fiato.
Disse di nuovo e questa volta Gabby gli diede ascolto.
- Io non le credo ma...
- Vanda sì.
Per un attimo le dita di Dan si strinsero intorno al suo polso, poi lo lasciarono andare.
- No, non proprio...diciamo che è confusa.
- Confusa.
- Sai che ti vuole bene ma...
- Non avrei mai ucciso Berell. Dovrebbe bastarle come certezza.
Per un po’ non aggiunsero nulla. Gabby si sentì sola, come mai le era successo, come se non ci fosse davvero nessuno di cui fidarsi, nessuno a cui appoggiarsi. Deglutì troppe volte e troppo in fretta, perché Dan non lo ritenesse strano. Stava trattenendo tutte le sue emozioni, come faceva Vanda, la stessa Vanda che credeva di essere stata tradita, che credeva a tutto, meno che a lei.
Di colpo, Gabby abbassò le spalle e chinò il capo.
- Su la testa, soldato.
Bisbigliò Dan, ma non sperò neppure di farla ridere.
Gabby sentì di nuovo il peso di tutto addosso: dalla morte di Berell, alla Caedes, a Vanda, a quello stupido di Felix, capace di infilarsi anche in mezzo a quei giganteschi problemi.
- Ti cercheranno, Gab. Vanda non si è ancora sbilanciata, ha depistato Destiny. Le ha detto che vi siete separate durante il viaggio di ritorno alla Gilda e non ha idea di dove tu possa essere. Non vuole fregarti, Gabby. E’ solo...ha soltanto...
Si passò le mani sul volto. Non sapeva come concludere.
- Non credo che tu sia al sicuro, in ogni caso. Ed è questo il nostro principale problema. Non stai usando la magia, giusto?
Gabby annuì.
- Bene. Continua così, almeno gli daremo del filo da torcere.
- Lo dici come se fossero nostri nemici. L’ultima volta che ho controllato, i cattivi erano quelli della Caedes.
Lo sguardo di Dan si fece così intenso da far accapponare la pelle a Gabby.
- Non penso si possa fare più una distinzione tra la Gilda e La Caedes. Non sappiamo più chi è davvero dei nostri. Gabby, il tuo nome è tra quello dei nostri avversari. Come è possibile?
- Forse qualcuno ce l’ha con me e ha sparso la voce.
- E Destiny, il Comandante, darebbe retta ad una voce? Penso più che ci sia qualcosa di tarato nelle ricerche.
- Qualcuno che le altera? Qualcuno che le falsifica, è questo che stai dicendo?
- E’ la cosa più probabile. Cosa ne sappiamo, in effetti, di queste fantomatiche ricerche? Sono portate avanti dai segretari di Destiny, giusto? Segretari scelti tra gli Ufficiali più anziani. Possibile che tra di loro ci sia un traditore? Chi? E perché? E come portano avanti le ricerche, dove trovano le prove? Hanno prove o solo supposizioni?
Qualcosa non torna, c’è un tassello mancante e noi...noi potremmo aver ucciso le persone sbagliate.
Gabby passò in un attimo dall’essere confusa, all’essere atterrita. Tutte quelle domande le vorticarono nella mente, facendole venire la nausea.
- Perché, ci sono persone giuste da ammazzare? C’è un Manuale Del Corretto Assassino che non ho comprato?
Dan abbozzò un sorriso amaro.
- Non serve più a niente, la tua integrità morale. E’ dolce, credimi, ma...
- Ma niente. Non voglio uccidere nessuno.
- E io non voglio che uccidano te, ma quello che desideriamo ora è meno importante che mai.
- Vattene.
Dan chiuse gli occhi, sospirando. Si alzò come se si aspettasse quella reazione sin dall’inizio.
- Tornerò quando ne avrò la possibilità e se sarà necessario, ma non ti assicuro che ci rivedremo. E’ rischioso per me spostarmi in questo modo. Potrei attirarli qui.
Le si avvicinò, poggiando le mani sulle sue ginocchia. Si chinò in avanti e le baciò la fronte.
- Stai molto attenta, Gabby. Io farò del mio meglio per scoprire la verità e ti proteggerò come posso.
Lei non disse niente, sorrise e lo guardò piena di gratitudine e tristezza. Dan era senza dubbio l’amico più fidato che avesse mai avuto. Si voltò e fece per andar via, poi si fermò.
- Per come è andata con Berell, io...ti sono vicino.
 
How do I get you alone?
 
Berell. Il suo nome tornò come una minaccia. Gabby incrociò le braccia sul tavolo e vi poggiò la testa. Voleva richiamare all’appello i ricordi. Tanto, quel giorno, non era presente: era uno strappo temporale irreale, in cui tutto era stato messo in dubbio. Era un buco nero.
Poteva fare quello che voleva, delle ore rimanenti di quella giornata. Non sarebbe servito a nulla, comunque.
 
- La Caedes...
Mormorò Gabby, scandendo bene le lettere come se cercasse in quel nome una soluzione. Una cura per la malattia che stava distruggendo la Gilda.
- Hai raccolto solo l’essenziale?
Berell era comparso silenziosamente, ma Gabby non si spaventò. Indicò la piccola borsa ai piedi del suo letto e rimase stesa dov’era. Fissava il soffitto della sua stanza, la stessa che stava per abbandonare. Destiny aveva comunicato da un paio di giorni che i Maestri e gli allievi erano stati divisi in gruppi per partire e “disperdersi”.
Loro si sarebbero messi in viaggio la mattina seguente.
Gabby si guardò intorno. Tutte le foto e i poster che occupavano le pareti della sua camera, erano stati staccati e riposti in un baule con il resto delle cose che avrebbe lasciato lì.
Sentiva un senso di ansia alla bocca dello stomaco; quella non era casa sua, ma quanto di più vicino ad una cosa simile e la stava per lasciare, forse per sempre.
Più della malinconia, a scuoterla era l’emozione.
Il momento era tragico, la Gilda era stremata… ma Gabby stava per vedere il mondo.
- Brava piccola.
- Evita i nomignoli.
Lo rimbeccò lei, acida. Berell rise e si sedette sul letto, vicino a Gabby. I suoi occhi si incollarono su di lei, senza volerlo.
Aveva diciassette anni e lui trentuno.
Era piccoladavvero.
Le loro vite erano così legate, così vicine...
No. Sbagliato. Impensabile.
Eppure Gabby era matura, bella, pronta. Era in cima, era piena di vita, era appena affacciata alla realtà e la possibilità di crescere e di scoprire la rendeva meravigliosa. Fresca e vera.
Berell deglutì e Gabby si accorse che lo stava perdendo, che si stava smarrendo tra chissà quali pensieri. Allora sollevò una mano e la poggiò sul suo viso.
- Io sto bene, ma tu come stai?
Lui non rispose e si chinò a baciarle una guancia, troppo vicino alle labbra, troppo vicino a non farcela più.
Sentì il sospiro di Gabby sul viso e per un attimo, un solo attimo pieno di errori, le mani di Berell furono dappertutto, attraversarono le sue gambe, il suo busto e finirono dietro la sua nuca.
Poi si risvegliò e tirò indietro la testa, distanziando a dovere i loro volti.
- Ti voglio bene, Gab. Ricordatelo.
Si alzò e andò via.
Gabby strinse i pugni, furiosa. Berell era spietato: pensava di poter muoversi così violentemente nella sua vita senza causare danni, ma ne faceva eccome. Solo che non rimaneva abbastanza a lungo da notarli.
Alzava i tacchi e tornava quando Gabby aveva già rimesso tutto a posto.
 
You don’t know how long I have wanted to touch your lips and hold you tight.
 
- Sei morta?
La voce di Felix per poco non la fece cadere dalla sedia.
- Non proprio.
Rispose, sollevando la testa. Non si era accorta di piangere, perché non piangeva mai se non era sicura di essere sola. L’espressione di Felix era sorpresa e prima che aggiungesse altro, Gabby lo fulminò con lo sguardo.
Zitto. Fai finta di niente.
- Dobbiamo sistemare la mia... tua... la camera.
Disse, cogliendo il tacito ringraziamento di Gabby. Si sentì in qualche modo ferito o offeso o un’altra cosa a cui non sapeva dare nome.
Quante altre volte si sarebbe dovuto sforzare, frenare le domande, accumulare l’interesse o la preoccupazione per lei e fare finta di niente?
Sapeva di non poter pretendere niente da Gabby: lui stesso l’aveva allontanata perché non era certo di potersi fidare né di sapersi fidare, ma lei conosceva il suo peggior segreto e lui... lui, niente.
 
You don’t know how long I have waited and I was going to tell you tonight.
 
- E con questo abbiamo finito.
Disse Gabby, riponendo l’ultimo libro al suo posto. Nelly era sparita dopo la visita di Dan, lasciando a loro il compito di finire le pulizie. C’era da aspettarselo e, in tutta onestà, a Gabby non interessava. Non era nemmeno infastidita. Meglio che non ci fosse, evitava scocciature.
- Ho ordinato cinese, così non dobbiamo cucinare...
Borbottò Felix, con quell’aria strana che Gabby non aveva voglia di decifrare.
- Perfetto.
Mangiarono davanti alla tv, ottimo mezzo per impedire la comunicazione. Guardarono un film a caso, quasi senza badarci: una commedia di un gruppo di teenagers senza pensieri che festeggiava il diploma alle Barbados.
Mica come noi.
Gabby si appisolò a metà film, trasportata dalla stanchezza e, quando riaprì, realizzò d’essere stata appena appoggiata sul letto.
Il profumo di Felix la colpì come uno schiaffo in faccia.
- Che...
- Continua a dormire.
Suggerì lui, in un filo di voce. Senza accorgersene, Gabby lo stava trattenendo, con le mani ancorate alla sua maglietta. Nella penombra, vide sul suo volto un sorriso.
- Vuoi che rimanga a farti un po’ di compagnia?
Sì, certo che voglio che tu rimanga qui, sì. Stenditi al mio fianco, fai scivolare le tue braccia intorno a me, appoggiati dove ti va, spostami dove vuoi.
Posso perdermi nei tuoi mondi di storie, libri e nelle tue labbra e nelle tue ferite e nei tuoi occhi, soprattutto. Fammi sentire protetta, perché sono sempre io a proteggere me stessa ed ora potrei essere stanca.
Fa’ qualcosa, per me, sii la forza che adesso non voglio cercare. C’è, posso farcela anche da sola, ma vorrei che ora, tu, tu che per caso sei finito sulla mia strada, alleggerissi questi pesi.
Senza chiedermi il conto. Senza farmene pentire.
Ci riesci?
Puoi scegliermi?
Puoi strapparmi dal resto delle persone e dei problemi e delle domande ed essere egoista e tenermi perte?
Complice, amico, amante, confidente, scegli e resta.
Come preferisci, sotto qualsiasi forma, per qualsiasi ragione.
Resta; i posti vuoti non si colmano, i posti vuoti si accumulano e basta.
Mi volterai le spalle, tra cinque minuti, quando riprenderò sonno? Domani sarò di nuovo al punto di partenza e rincollerò tutti i pezzi senza di te?
Come l’altra volta, come la prima volta, come sempre.
Faresti un passo indietro, insieme a Vanda, insieme a Berell, insieme alla Gilda e alla mia famiglia.
Un passo indietro, come se io fossi il limite, come se io fossi troppo lontana.
Io che mi sporgo, mi espongo, mi svesto delle mie protezioni, dovrò coprirmi e armarmi fino ai denti... ancora.
E’ così, non è vero?

- No, vai...
E, senza ribattere, Felix uscì dalla stanza.
 
But the secret is still my own and my love for you is still unknown. Alone.

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Capitolo 24
*** I miss you - Blink182 ***


I miss youBlink 182.
 
Hello there, the angel from my nightmare, the shadow in the background of the morgue, the unsuspecting victim of darkness in the valley.
 
- Sei assolutamente sicura, Destiny? Non pensi che ci possa essere anche una remota possibilità di contraffazione nelle...
- No, no, smettila, Vanda. Ti prego. Non sollevare altre accuse. Se le ricerche degli Ufficiali fossero falsificate...
- Ci sarebbe tra di loro un traditore. E’ così assurdo? Andiamo, stiamo sospettando di chiunque, dai cuochi, alle infermiere, agli adepti che hanno ancora i denti da latte! Ma se si tratta degli Ufficiali, su le mani, nessuno dica nulla.
Vanda si alzò, sbattendo contro il tavolino di fronte al divano.
- Cazzo!
E gli diede un calcio. Destiny sbarrò gli occhi.
- Non prendertela con i miei mobili e modera i termini.
Vanda si fermò e inspirò lentamente. Nonostante il tentativo di calmarsi, però, non riuscì a bloccare un’occhiata truce verso Destiny.
Era più giovane di lei ed era inesperta. Voleva vedere solo quello che le faceva comodo e la stava trattando come una bambina capricciosa.
- E’ necessario controllare gli Ufficiali.
- L’ho fatto. Non ho scelto i miei segretari a caso.
- Forse non sei stata abbastanza accurata.
Destiny scattò in piedi, attraversata da una scarica di orgoglio. I suoi occhi glaciali fulminarono Vanda.
- Non ti permetto di accusarmi in questo modo. Esci immediatamente da qui e torna solo quando ti sarai calmata. Sei troppo coinvolta, ma io non posso avere a che fare con persone mediocri e deconcentrare, in questo momento.
 
Persone mediocri e deconcentrate.
Di Destiny aveva pensato tante cose, ma mai che fosse una stronza permalosa.
- Comincio ad avere dei dubbi su di lei.
Strinse tra le mani la tazza di thè caldo che Margherita le aveva preparato. Erano riuniti tutti nell’alloggio del Maestro Bastien. Fuori era già buio, ma lo scorrere del tempo ormai non era più di loro interesse.
- Sul Comandante?
Lalit si era portata le mani alla bocca, scandalizzata.
- Chi ci assicura che non sia stata proprio Destiny a tradirci? Il suo comportamento è sospetto, converrete con me su questo. Sembra voler proteggere gli Ufficiali ad ogni costo... ma se in realtà stesse proteggendo se stessa?
- Smettila di arrampicarti sugli specchi. Sei solo arrabbiata per come ti ha trattato.
Dan la guardò con aria di sufficienza e Vanda si spazientì.
- Sembrate tutti cadere dalle nuvole. Nessuno è intoccabile. Qualunque membro della Gilda potrebbe far parte de La Caedes. Se non è assurdo che Gabby mi abbia tradito, allora non è assurdo nemmeno che l’abbia fatto il nostro capo.
- Gabby non ti ha...
Bisbigliò Lalit.
- Lo so. Parlavo per ipotesi.
- Trovo inaccettabili le tue accuse, Vanda. Mi dispiace ma non le condivido.
Dan era tornato all’attacco con il suo tono saccente e Vanda decise che non sarebbe rimasta ad ascoltarlo un secondo di più.
- Bene. Continua pure ad abitare nella tua favoletta, io vado a fare i conti con la realtà.
Si alzò e uscì dalla stanza. Si aspettavano che sbattesse la porta, ma non lo fece.
La rabbia stava svanendo, lasciando il posto ad un pensiero rassicurante: Gabby le avrebbe concesso il beneficio del dubbio. Gabby avrebbe provato a guardare le cose dalla sua prospettiva, perché era così che faceva: anteponeva il rispetto ai giudizi; ascoltava, per prima cosa, poi tentava di comprendere i diversi punti di vista e solo alla fine, inevitabilmente, si faceva un’opinione sull’argomento.
Aveva bisogno di questo, di una persona che la rispettasse fino a quel punto.
Non poteva andare da lei, l’avrebbe messa in pericolo così come aveva fatto Dan. E non poteva andare da lei, perché con quale coraggio l’avrebbe guardata dopo averne dubitato?
La cosa peggiore era che Gabby l’avrebbe perdonata.
 
Where you can always find me and we'll have Halloween on Christmas. And in the night we'll wish this never ends.    
 
Come si dice, se Maometto non va alla montagna...
Era notte fonda, le sentinelle piantonavano il perimetro della Gilda e altrettante guardie controllavano ogni stanza, persino il più piccolo ed insignificante ripostiglio.
Vanda avrebbe potuto andare tranquillamente in giro, il giorno precedente: era nella cerchia dei pochi fidati di Destiny e nessuno le avrebbe detto niente. Dopo la discussione di quel pomeriggio, però, aveva l’impressione di avere molti occhi puntati addosso: la stavano controllando.
Destiny doveva aver allertato le sue guardie. Perché temeva di essere scoperta? O perché, a quel punto, pensava che Vanda fosse implicata con la Caedes?
Non sarebbe mai riuscita a venirne a capo da sola. Aveva bisogno di informazioni... informazioni certe.
E solo ad una condizione sarebbero state tali, ovvero che le trovasse da sé. Scivolò nel buio, veloce, silenziosa ed invisibile: così le era stato insegnato. Purtroppo per le guardie e per i colleghi in agguato, era piuttosto brava. Forse la più brava.
Sapeva di poter contare su Lalit, in quell’operazione. Avrebbe distratto le guardie che controllavano la Torre degli Ufficiali, dov’erano sia i loro alloggi che i loro uffici.
- Io l’ho già capito. Cosa? E loro ancora no! Si stanno innamorando e il nostro trio diventerà un duo!
Quando la voce stridula di Lalit raggiunse le sue orecchie, Vanda dovette trattenere una risata. Era appostata tra le aiuole del giardino antecedente alla Torre e poteva vedere già mille entrate: con tutte quelle finestre non sarebbe stato difficile, le bastava arrampicarsi molto, molto velocemente.
Certo che cantare le canzoni de Il re leone era un buon modo di sdrammatizzare il tutto. Subito le guardie volsero lo sguardo a Lalit. Era davanti a loro, tra le mani aveva una bottiglia di vino ed era scalza.
Studentessa minorenne ubriaca, fuori dalla sua stanza dopo il coprifuoco. E brava Lalit.
- Oh... e poi... ehm...tra ssssstelle e plen... ehm... sssc’è aria di magia!
- Cosa stai combinando, ragazzina?
Ci fu un solo istante di confusione. Solo uno: erano delle guardie ben addestrate, non dei bambinetti inesperti. Il momento della distrazione fu breve e rapido, ma a Vanda bastò. Scivolò come un serpente tra le fronde e corse verso la torre; staccò i piedi da terra in un balzo che stupì se stessa e afferrò l’asta di una delle bandiere con lo stemma della Gilda. Si dondolò sperando che non cedesse e osservò il drappo dorato e purpureo, ornato dal loro simbolo, dal barbagianni dalle ali spiegate.
Un secondo dopo, ancorò le mani ai mattoni sporgenti della torre e cominciò a salire, piantando il suo pugnale in ogni fessura disponibile e sfruttandolo come una leva.
Più saliva, più si sentiva al sicuro. Le ombre giocavano in suo favore: vestita di scuro, con i capelli corvini, leggera in quel buio denso... era impossibile da notare.
Raggiunse una finestra e sbirciò dentro. Le sembrò di riconoscere uno studio. Non voleva di certo fare irruzione nella stanza da letto di un qualche raggrinzito Ufficiale, mandando a monte il piano e rischiando un infarto alla vista di tanta giovane bellezza in pigiama.
 
Era dentro e rovistava silenziosamente ma in fretta tra le carte.
Niente, un buco nell’acqua. La Caedes non era nominata nemmeno in un appunto frettoloso. Aveva controllato tutti gli uffici di quel piano e stava cominciando a stancarsi.
Che Destiny li tenesse nascosti da qualche parte? Che i documenti fossero solo un’invenzione? Che venissero distrutti? Le sembrava strano. Alla Gilda si catalogava tutto: ogni membro aveva un fascicolo che era un malloppo esagerato di informazioni inutili.
Aveva sempre sospettato che scrivessero dettagliatamente anche l’attività intestinale di ciascuno di loro.
Possibile che quella volta non ci fosse nemmeno uno straccio di lista?
Uscì da una finestra e si arrampicò al piano superiore. Le scale e i corridoi erano zeppi di sentinelle, meglio evitare.
Quando mise piede nella stanza, fu colpita da una sensazione di agitazione.
C’era. Era vicina a qualcosa.
Vicina a mettere insieme i pezzi, vicina a capire, eppure le sfuggiva un dettaglio che mandava in confusione tutto il resto.
Era nell’ufficio dell’Ufficiale Backer.
Era stata lì più volte, più del dovuto.
Chuck Backer era il più giovane tra gli ufficiali, nella sua quarantina d’anni. Il capello leggermente brizzolato, l’esperienza, l’indiscutibile fascino derivato dalla sua intelligenza e lo sguardo sicuro avevano contribuito a dipingerlo agli occhi di Vanda sotto una luce più che amichevole.
E c’erano dei trascorsi che in quel momento risalirono a galla, spinti lontano per non essere visti, più che davvero dimenticati.
Vanda scosse la testa. C’era posto per l’amore e per le relazioni alla Gilda, ma prima della Caedes. Da un terreno sporco di sangue e malato di sfiducia non poteva germogliare niente, figurarsi un sentimento che per Vanda era tanto sconosciuto.
Quando tentò di aprire un cassetto e sentì un incantesimo opporsi, capì d’aver fatto centro.
Era raro che alla Gilda si usasse quel tipo di magia: sfruttare l’energia del mondo, dei viventi e della Terra, era più una questione momentanea. Si incanalava la forza di una pianta, ad esempio, e con essa si generava un fuoco o si spostava un oggetto, dopo di che l’energia tornava a disperdersi.
Lì era ancora concentrata, in un incantesimo permanente, che aveva qualcosa di oscuro. Qualcosa che i Maestri non insegnavano agli Adepti. La magia che la Gilda aveva sempre cercato di evitare: quella che conferiva troppo potere.
“Ci spingiamo oltre i limiti della nostra umanità, ma non possiamo spingere la natura oltre i suoi. Noi usufruiamo dell’energia che ci viene offerta, non la sfruttiamo. Quindi, così come la prendiamo in prestito, allo stesso modo la rendiamo a chi di diritto. Se l’acqua vi cede la sua potenza, ricorrete ad essa e, una volta soddisfatto il vostro bisogno, lasciatela andare”.
Quelle parole, ripetute fino alla nausea durante le lezioni, avevano decisamente perso di significato.
Se si usava la magia per uccidere, nessuna teoria restava in piedi.
Vanda si lasciò andare sul pavimento. Non sarebbe riuscita a sbloccare il cassetto. La consapevolezza di aver perso per sempre la Gilda la colpì come un colpo alle spalle.
Quell’ideale assurdo di armonia, così a lungo mantenuto, era stato contagiato, deturpato e distrutto.
All’improvviso non le importò più chi fosse il nemico. Loro stessi avevano contribuito a quel disastro, attaccandosi l’un l’altro.
La magia non sarebbe più stata incontaminata. Per i posteri, quel loro approccio pacifico all’energia e alla forza del mondo sarebbe sembrato solo un vaneggiare incosciente e quei trucchetti, quegli incantesimi, quelle scorciatoie offerte dalla magia sarebbero diventate ruotine.
Come gli omicidi, chissà.
La realtà era arrivata, aveva preso il sopravvento sulla loro dimensione fantastica.
L’umanità era arrivata. Il sotterfugio, il complotto, il desiderio di superiorità, la brama di potere e del “di più” e “sempre di più”, eccoli, i mali da cui erano incurabilmente affetti.
Un attimo dopo, Vanda sentì la punta di un pugnale dietro la schiena.
“Come un colpo alle spalle”.
E tutto finì, velocemente. Con codardia, ebbe tempo di pensare che era meglio così: che senso aveva vivere se la realtà a cui apparteneva aveva perso il suo valore?
Nessuno le aveva mai insegnato a reinventarsi.
 
I miss you.
 
Felix pensava che Gabby fosse strana. Strana per via dei segreti, non bizzarra. Strana perché misteriosa ed indecifrabile. Si arrovellava su come trovare una chiave di lettura per comprenderla. Aveva quel desiderio inopportuno di capire qualcosa su di lei, come se fosse insopportabile ammettere di non conoscerla affatto.
Si disse che, respingendola, le probabilità di sapere qualcosa sul suo conto fossero nettamente diminuite e per l’ennesima volta quel giorno si diede dello stupido fifone.
Poi, per la paura che seguì quel pensiero, si scoprì più coraggioso del previsto.
Le urla di Gabby squarciarono il buio come una scarica di proiettili. Lui saltò in piedi, rovesciando il caffè sul libro che stava leggendo. Ribaltò quasi il tavolino di fronte al divano, nello scatto verso la stanza di Gabby.
 
Il corpo di Gabby fu strappato dal sonno da quella sensazione vertiginosa di vuoto e dolore.
Fu così che seppe che Vanda non c’era più.
Il legame che li univa, già mutilato dalla scomparsa di Berell, si era ufficialmente sbriciolato.
- Gab!
Felix le afferrò le spalle e incrociò gli occhi spaventati della ragazza. Per un attimo lei si congelò e le grida morirono sulle sue labbra.
L’istante seguente, fu un pianto irrefrenabile di lacrime per cui non provò nemmeno vergogna.
 
Where are you? And I'm so sorry, I cannot sleep, I cannot dream tonight.
 
Felix si sarebbe addormentato da un momento all’altro; sapeva di lottare invano contro il sonno, ma non voleva chiudere gli occhi. Non era del tutto sicuro che Gabby stesse bene, che quella crisi fosse passata. La osservava con preoccupazione: sonnecchiava con le guance ancora rigate di lacrime e il suo viso si era disteso in un’espressione più tranquilla… ma doveva essere solo un’impressione.
Sospirando, il ragazzo si girò di fianco, facendo cigolare il letto. Trattenne il respiro per un secondo, temendo che il minimo rumore bastasse a rompere la calma, ma non accadde nulla.
Non aveva capito molto delle parole biascicate da Gabby e non gli era passato in mente nemmeno per un secondo di farle qualche domanda. Quindi, non sapeva niente ed era confuso. Tanto per cambiare.
Ma era certo che, nei giorni seguenti, qualcosa sarebbe cambiato. Qualcosa doveva cambiare.
Gabby non poteva più nascondersi e lui non poteva più fare finta di niente.
 
I need somebody and always this sick strange darkness comes creeping on so haunting every time.
 
Vanda era morta. Questa verità le si riproponeva attraverso le cose più semplice e disparate.
Se mangiava e trovava buono il suo pasto, pensava che Vanda era morta e non avrebbe potuto assaggiarlo.
Se notava dello sporco annidato negli angoli della cucina, non se ne curava: Vanda non l’avrebbe potuta sgridare perché era morta.
Si lavava, si vestiva, si pettinava, si alzava dal letto con il corpo dolorante ma Vanda era morta.
Non c’era rimedio né fuga.
Le pioveva sulla testa una condanna continua che la colpiva ogni volta come se fosse la prima.
La svuotava, rendendola patetica ed inutilizzabile.
Vanda era morta e a Gabby sembrava di affrontare il vero dolore per la prima volta: era come se stesse dando il meglio di sé per bruciarla viva, ma lei sapeva di poterne uscire viva.
Guardava il viso scavato e putrefatto della morte, ne scorgeva il seducente sorriso, sbieco e malato. Guardava nei suoi occhi d’ombra e sentiva di non avere più paura. Sofferenza, sì, ma non paura.
Felix osservò Gabby, immobile davanti ad un piatto intatto di pasta ormai gelata. Più lo guardava e meno gli credeva e non si può vivere di qualcosa in cui non riponi speranze, non si può vivere con qualcuno in cui non hai fiducia. Di questo era certo, ma non era ancora il momento giusto, non poteva ancora avvicinarsi senza causare danni.
Negli occhi di Gabby si era riacceso qualcosa e, nel momento stesso in cui Felix lo notò, seppe che si stava avvicinando l’esplosione della verità.

Will you come home and stop this pain tonight.

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Capitolo 25
*** Iris - Goo Goo Dolls. ***


IrisGoo Goo Dolls.
 
And I'd give up forever to touch you 'cause I know that you feel me somehow.
You're the closest to heaven that I'll ever be and I don't want to go home right now
And all I can taste is this moment and all I can breathe is your life, 'cause sooner or later it's over, I just don't want to miss you tonight.

 
Gabby doveva essere uscita di casa ad un orario improponibile. Felix era giunto a quella conclusione quando, alle sette e mezza del mattino, l’aveva cercata invano in tutte le stanze. Non ebbe il tempo di preoccuparsi, perché trovò un post-it sul tavolino del salotto che diceva: “Starò via tutto il giorno, ci vediamo stasera”.
Criptico, come lei. Lo accartocciò con veemenza e poi decise che era meglio tenersi occupato in qualche maniera, ad esempio lavorando, piuttosto che continuare ad arrovellarsi.
 
And I don't want the world to see me 'cause I don't think that they'd understand.
 
- Gabby.
Non appena la vide, Lalit sentì le lacrime salirle agli occhi.
- Sono così felice di vederti!
Le gettò le braccia al collo e nascose il viso tra i capelli vaporosi e spettinati della sua amica. La trovava dimagrita e pallida, ma, per qualche strana ragione, emanava forza e sicurezza.
- Mi dispiace così tanto per…
- Non dire nulla Lalit, sediamoci.
Per quanto anche Gabby fosse lieta di rivederla, non c’era tempo per lasciarsi andare. Doveva rimanere concentrata.
Erano in un bar fuori città. Gabby si era voluta allontanare da Felix, dal Pritt’s, dalla sua nuova realtà, per quanto possibile. In qualche modo, il suo era un tentativo di proteggere tutto ciò che era anni luce lontano dalla vecchia Gilda.
Gilda che, per altro, era ormai un ricordo.
Gabby era ormai certa che quel mondo fosse giunto all’epilogo.
- So chi l’ha uccisa.
Lalit strabuzzò gli occhi e allontanò con un gesto scortese il cameriere che si stava avvicinando al loro tavolo.
- Che…cosa? Come?
- L’ho visto.
Un attimo di silenzio gravò su entrambe.
- Ti prego, ti sembra il momento adatto per la suspense?
Bisbigliò Lalit, esasperata.
- L’ho visto attraverso gli occhi di Vanda. E’ stata accoltellata, ma non è morta subito. Ha avuto tempo di usare la magia per svegliare il nostro legame. Era come se fossi lì, nel suo corpo. Ho sentito il dolore che ha provato, ho sentito tutto.
- Oh…è…
- E ho visto. Sì, soprattutto ho visto. C’era qualcuno che non avrebbe dovuto o meglio potuto esserci.
- Gabby. Ti prego, arriva al punto.
 
Arrivare al punto, alla fine, non era stato così semplice.Gabby raccontò per filo e per segno tutto ciò che aveva visto e le due ragazze passarono molto, forse anche troppo tempo a riflettere, a studiare un piano d’azione, a sconvolgersi per l’assurdità di quella scoperta.
Quando Lalit le propose di tornare insieme alla Gilda per vedere Destiny e risolvere la situazione, Gabby rifiutò. Doveva andare avanti lei, correre a riferire ciò che sapeva, a svelare la verità; l’avrebbe raggiunta presto, prestissimo, così le sussurrò, ricordandole anche quanto bene le voleva. Prima, però, doveva risolvere una questione. C’era una persona a cui teneva e con cui era in debito: un debito di verità da svelare.
 
When everything's made to be broken, I just want you to know who I am.
 
- Panino salsiccia, salsa rosa, patate, pomodori e cipolla per te.
Entrando in casa con aria trionfante, Gabby sventolò un sacchetto di carta sotto il naso di Felix. Erano quasi le otto e mezza e lui stava morendo di fame, ma aveva preferito aspettarla prima di mangiare.
- Per me una cosa un po’ più discreta…
- Il mio stesso panino, ma senza cipolla?
Il sorriso di Gabby provocò una stretta allo stomaco di Felix.
- Perché ho la sensazione che stia per succedere qualcosa che non mi piacerà?
Gabby abbassò il capo per una frazione di secondo, poi fissò i suoi occhi in quelli di Felix.
- Mi piaci. Dopo quello che è successo tra noi non dovrei dirtelo, sia perché dovrebbe essere abbastanza chiaro e sia per amor proprio. Mi sto esponendo di nuovo ed è da stupidi. E’ da me. Comunque, se puoi tienilo a mente. Ricordati che sono sincera e per la persona che hai conosciuto, per questa Gabby, sei stato importante.
- Sono stato…?
Tra tutte quelle parole che in qualche modo gli toglievano il fiato, Felix notò quel passato così crudele.
- Sono ciò che vedi. Sono ciò che sai, Felix. Sono così, sono questa ragazza. Tutto ciò che di me hai conosciuto era la verità. Sul mio modo di essere e di pensare di non ti ho mai mentito…ma su altre cose sì.
Gabby si sedette sul bordo del divano, quasi pronta a scattar via da un momento all’altro.
Felix si avvicinò alla poltrona.
- Più che bugie, la maggior parte sono state omissioni, però non cambia molto…è solo un modo più carino di dirlo.
Felix, ad un passo dalla verità, si disse che forse sapere non sarebbe stato liberatorio come credeva.
Forse non c’è niente di leggero nella realtà.
- Non mi voglio giustificare. Quando saprai tutto, arriverai da solo alle ragioni del mio modo di agire…
Fece una pausa per raccogliere coraggio.
- La mia famiglia è da secoli parte di un’organizzazione, la Gilda.
- Tipo l’FBI…?
Gabby abbozzò un sorriso. Il tentativo di ironizzare era notevole e pensare che Felix non avrebbe più trovato divertente quella situazione le provocò un moto di dispiacere.
- Tipo come un gruppo di fanatici cervelloni che gioca con la magia.
Felix sbatté le palpebre più volte, poi scoppiò a ridere.
- Oddio, sei una fan di Houdini? E’ tutto qui?
Gabby si morse le labbra. Non aveva le parole giuste, non le avrebbe trovate nemmeno se avesse tentato mille volte di preparare quel discorso. Non esisteva un modo teorico per far capire a Felix ciò che voleva dire: lui non credeva nella magia e non bastano le parole a spiegare ciò in cui gli uomini non ripongono fiducia.
Lei lo sapeva. C’era bisogno di fatti, di prove.
Si alzò.
L’avrebbe mandato fuori di testa.
Sollevò una mano verso il vaso di fiori che qualche spasimante aveva regalato a Nelly.
Sapeva di sembrare ridicola, in quel momento, sapeva che Felix la guardava come si guarda un pazzo in mutande in mezzo alla strada, ma l’unico modo perché capisse era metterlo di fronte ad un’evidenza.
Strinse gli occhi e sentì le foglie accartocciarsi, i petali ritirarsi, i gambi perdere vigore. La sua mano tesa tremò e un filo di luce rossa la avvolse come un guanto.
Gabby non guardò Felix. Il flusso di potere vibrava e brillava come una bolla di sapone. Schioccò le dita e il velo di energia si dissolse. Un istante dopo, le belle rose di Nelly erano di nuovo sane e rigogliose.
Dopo un silenzio asfissiante, Gabby si trovò costretta a spostare lo sguardo su di lui. Felix era in piedi e osservava il vaso in cerca di una spiegazione. Cercava di capire il trucco.
- Vanda e Berell, ovvero le persone con cui sono arrivata qui, erano i miei Maestri. Ci siamo trasferiti perché quella che noi chiamiamo la Caedes ha messo in pericolo la Gilda. Eravamo in cerca di un posto sicuro e contemporaneamente dovevamo trovare i nostri nemici. Quella volta, quella volta in cui hai trovato nella tua tasca le monete che mi avevi dato… non era uno scherzo da maghetto. Stavo disegnando, ti ricordi? Il disegno è il veicolo che preferisco per raggiungere l’energia. Ho smesso di ricorrere alla magia quando…
- Vattene.
Gabby se lo aspettava, ma non era comunque preparata ad essere rifiutata. Ad essere cacciata.
- Vattene, Gabby, vattene via.
- So che è assurdo. Felix…guardami. Vorrei solo dirti tutto…
- Hai già detto abbastanza. Vai via, non ho bisogno di sentire altro.
La sua voce vibrava di una rabbia e di un terrore che spaventarono Gabby. Fece due passi indietro e si allontanò dal divano.
- Prendi le tue cose. Sbrigati e vattene. Sei una bugiarda, sei…
Gabby non era legata a niente di ciò che aveva. A nessun oggetto, a nessun vestito: non erano indispensabili. Aveva speso dei soldi per abiti carini, li aveva spesi per uscire con Felix.
Aveva speso dei soldi in qualche ombretto e in un mascara, per lo stesso motivo. Aveva speso dei soldi per prendersi cura di se stessa e anche di lui.
Lui era importante ed era l’unica cosa che non poteva portare con sé.
Non attese nemmeno che quella frase terminasse, terrorizzata da ciò che poteva sentire.
Corse via, veloce, corse come le era stato insegnato.
 
And you can't fight the tears that ain't coming or the moment of truth in your lies.
When everything feels like the movies, yeah you bleed just to know you're alive.

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Capitolo 26
*** Life's a Bitch - Motorhead. ***


Life’s a bitchMotorhead  .   
 
I don't know who you are, I don't know your name, but if you want to live, you better learn the game.
Don't know why you're here, ain't seen your face so far, If you don't want to fail you better hide your scars.
 

Gabby pensava di aver quasi dimenticato la Gilda. Alcuni dettagli sembravano essersi occultati nella sua mente, oscurati dalla sua nuova vita, quella in cui era immersa fino ad un attimo prima.
Prima. Prima che Felix la cacciasse.
Come biasimarlo, dopo tutto?
Sospirando, ferma sulle porte del suo passato, si rese conto che tutto era ancora intatto nella sua memoria, così come nella realtà: la facciata della Gilda, le bandiere purpuree, i merli delle torri degli alloggi, i curatissimi rampicanti verdi.
Tutto era dove l’aveva lasciato; lì, il tempo sembrava essersi congelato.
Gabby, però, sapeva che quell’apparenza stava per crollare.
Si avvicinò al grande portone intagliato e strinse una mano intorno al batacchio laccato d’oro e scandì: “Dubium sapientiae initium”.
Il portone scricchiolò e si aprì lentamente, svelando una sorpresa al lei poco gradita. Il simbolo dell’ennesimo tradimento.
Lalit la guardava con un sorriso sghembo dipinto sulle labbra.
Della sua amica, in effetti, Gabby aveva quasi creduto di potersi fidare. A trarla in inganno era stato l’aiuto che Lalit aveva offerto a Vanda… Gabby per un attimo si chiese perché aiutarla ad introdursi nella Torre, così che potesse trovare degli indizi pericolosi. Ma era ovvio che c’era un piano più grande, per cui Lalit l’aveva semplicemente spinta tra le braccia del suo assassino.
- Mi dispiace Gabby, hai scelto di stare dalla parte sbagliata.
Un manipolo di studenti era schierato alle spalle della ragazza. Riconobbe Peter, Peter dagli occhi inquietanti e iniettati di sangue.
Non il suo, ma quello che stato versato.
Gabby si accigliò. Erano pronti all’attacco, erano minacciosi e decisi, ma l’unica cosa che la colpiva davvero era la loro età: giovani, adepti, Maestri novelli; la nuova generazione della Gilda, ancora intatta, da consumare.
Avevano cercato il nemico al vertice, tra gli Ufficiali, fedeli, radicati, ancorati alla tradizione; avevano additato Destiny che di colpa aveva solo quella di non voler vedere la verità.
Il male era in loro, tra loro, con loro, non c’era da guardare altrove.
- Dov’è lui?
Chiese, diretta e rigida. Come se avesse pronunciato una parola d’ordine, il gruppetto si spaccò a metà, rivelandogli quella figura longilinea e sottile che aveva conosciuto così bene…o meglio, aveva creduto di conoscere.
- Gabby.
La sua voce era sempre stata calda, il suo tono roco e familiare; in quel momento, i brividi che una volta erano d’emozione, si confusero in Gabby con il disgusto.
- Berell.
Vivo, non arso dalle fiamme, non vegetativo per errore. Vivo.
Gabby pensava di essere impazzita quando l’aveva visto uccidere Vanda. Poi aveva riflettuto e tutto era diventato più plausibile. Non sapeva ancora bene come o perché, ma che Berell fosse la Caedes era ormai una certezza.
- Non riesci a capire, vero?
Berell fece un passo verso di lei. Gabby indietreggiò, cercando di sottrarsi a quel momento che lui aveva di spiare tra i suoi pensieri.
- Posso spiegarti.
- Non ti giustificherò. Mai.
Chiarì lei. Non poteva però nascondere la voglia di sapere.
- L’ho fatto per te.
O forse, forse no. Era meglio non sentire?
- L’ho fatto per tutti quelli che sono costretti a sottostare a leggi obsolete, a tradizioni lontane anni luce da noi. L’ho fatto per la libertà.
Nel corpo di Gabby gorgogliò la vergogna: dovette ammettere che l’intento di Berell coincideva con i desideri che lei aveva sempre nutrito, con la voglia di slegarsi da una storia di cui non era parte.
Socchiuse gli occhi.
- Sarei stata con te, sempre, se tu avessi scelto la strada giusta per raggiungere il tuo obiettivo.
- Pensi che volessi diventare un assassino? Ho cercato la strada giusta, ma…
- Ma hai scelto quella più facile.
- Non è vero.
- Ah no? Non pensi di esserti semplicemente convinto di non poter fare di più, solo per giustificare le tue azioni?
- Non è vero!
Un rombo preannunciò lo scoppio delle alte finestre intorno a loro. Gabby represse i suoi riflessi per non sussultare mentre schegge di vetro schizzavano ovunque come proiettili. Tutti si rannicchiarono d’istinto. Lei rimase immobile.
- Sei ancora in tempo per cambiare idea.
La avvertì. Gabby avrebbe voluto chiedere “altrimenti mi ucciderai?”, ma già conosceva la risposta.
- Spiegami solo com’è possibile.
Bisbigliò ed era chiaro che si riferisse al fatto d’averlo davanti, quando era convinta di aver passato mesi accanto al corpo catatonico.
- Gabby, la mia magia è superiore. E’ vera e sì, è malvagia e insana, ma va oltre tutto ciò che arrivi ad immaginare. Quello che hai visto era un uomo qualsiasi, uno sconosciuto che ho lobotomizzato e trasformato nella mia copia. L’ho modellato come argilla, Gabby, sono in grado di…
Fu in quel momento che Gabby smise di ascoltarlo. L’ho modellato come argilla, aveva detto. Quelle parole la aiutarono a comprendere d’essere di fronte ad un esaltato, un assassino, un bugiardo, un riassunto crudo del peggiore risvolto umano. Comprese all’improvviso l’ossessiva segretezza della Gilda, il timore di coinvolgere troppe persone, le regole, il potere misurato con il contagocce perché nelle mani sbagliate sarebbe stato fonte di distruzione e morte.
Eccole, le mani sbagliate. Le mani di Berell. Quelle mani che lei aveva avuto addosso o pensato di volere su di sé.
Provo un brivido di disgusto al ricordo di quello che provava per lui, del primo amore infantile, dell’attrazione, del senso d’appartenenza che, con tristezza, scopriva ancora presente.
Berell era stato tutto il suo mondo, la sua famiglia, il suo più caro amico, il suo…
Grande amore, forse. Ma quando provò a pensare una cosa del genere, sentì i conati di vomito minacciarla.
Berell continuava a parlare, con gli occhi spiritati di chi sa d’essere vicinissimo a ciò che ha sempre voluto.
Gabby studiò velocemente l’ambiente. Troppi nemici, troppi ragazzini imbevuti di promesse, troppa magia che non sapeva come contrastare.
Dov’erano finiti tutti? La sua presunta “squadra”?
- A questo punto, credo che tu debba lasciarci.
Gabby sobbalzò quando si ritrovò Berell ad un palmo dal naso. Si era completamente dissociata dal mondo esterno e il respiro di Berell sulla sua faccia la colse come un dolore lancinante.
- Tra tutte le cose assurde che hai fatto, uccidermi è quella che mi sconvolge di più.
Stava temporeggiando. Lo sapevano entrambi.
- Le cose che mi dicevi, l’affetto che provavi…era falso?
Mosse un passo indietro. Berell nemmeno le rispose. Era vero, era stato tutto vero, non bisognava ribadirlo. In quel momento, poi, non c’era tempo per chiacchierare.
Berell strinse i pugni che cominciarono a luccicare di un sinistro bagliore rosso.
Gabby chiuse gli occhi, inspirò a fondo e richiamò alla mente tutto quello che aveva imparato.
Quando sollevò di nuovo le palpebre, Dan, Cherry, il Maestro Bastien e Margherita, a capo di un piccolo esercito, erano al suo fianco, pronti a combattere.
 
Time you hit the road, better be on your way, don't scream, don't shout, three strikes and you be out, it's a shame I know, no chance to see the show.
 
Dimenticò tutto. Il passato, le ferite, i legami. L’unico modo per dare il suo meglio era archiviare quel che era stato, così lo fece, lo getto in un baratro e si liberò.
La sua mente diventò un buco nero, vortice di forza che non aveva altro da alimentare se non la rabbia.
Si sarebbe spinta oltre tutti i limiti, si sarebbe anche fatta uccidere, si sarebbe sporcata le mani senza rimorso.
Se la vita aveva deciso di prenderla a calci, lei si sarebbe adeguata.
 
Fear the man, kill the snitch, just remember Life's a Bitch.

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Capitolo 27
*** Bound to You - Christina Aguilera. ***


Bound to youChristina Aguilera  .   
 
I’ve opened up, unsure I can trust, my heart and I were buried in dust. Free me, free us.
 
Felix scivolò giù dal letto. Non poteva sopportare il corpo di Nelly che continuava ad accostarsi al suo. Sentiva il pizzo del suo completino pizzicargli la schiena.
Dopo aver ottenuto ciò che voleva, la vicinanza di Nelly era superflua. Promemoria di che razza di persona era. Felix si vergognò come un ladro e sgattaiolò fuori dalla stanza.
 
You’re all I need when I’m holding you tight. If you walk away I will suffer tonight.
 
Trovare una maglietta pulita fu un’impresa ardua in quell’ammasso di robaccia in attesa di clemenza. Non aveva voglia di pulire, non aveva voglia di pensare, non aveva voglia e basta.
“Le fantastiche ricerche di Felix”.
Felix rovistò nei cassetti, incappando in un reggiseno chiaramente non suo. Lo osservò strabuzzando gli occhi, gli stessi che furono subito coperti da un velo di tristezza. La sua stanza era ancora piena delle cose di Gabby e, in un modo o nell’altro, sembrava che si divertisse a farle uscire da ogni angolo, all’improvviso. Sbuffò.
Stava lottando da giorni contro quelle riflessioni. Non avrebbe ceduto. Non avrebbe pensato a lei e a tutta quella folle storia.
Rovistò ancora sperando di trovare in fretta una maglia qualsiasi ma, invece, pescò dal fondo del cassetto una cartellina nera, senza scritte.
Quando l’aprì, ne uscì un malloppo di fogli zeppi di disegni: creature con troppe gambe e denti aguzzi, donne dai capelli vorticanti, fiori semichiusi come promesse lasciate ad aleggiare nell’aria.
Alcuni schizzi erano veloci e lo inquietavano, trasmettendogli ansia e paura; altri erano calmi ed eterei e parlavano di un’inattaccabile pace interiore.
In quell’antitesi era racchiusa l’essenza di Gabby.
Digrignò i denti. Il disegno è il veicolo che preferisco per raggiungere l’energia. Aveva detto lei, con quell’aria da “va tutto bene, ti sto solo dicendo che Harry Potter è uno di noi”.
In uno scatto di rabbia, lanciò la cartellina in aria e i fogli ondeggiarono come piume fino a depositarsi sul pavimento.
Felix sospirò. La fiamma si era riaccesa e il suo cervello stava per essere di nuovo carbonizzato. Quei pensieri l’avrebbero arso senza pietà. Era stato carino da parte di Gabby spiattellare una cosa del genere, senza dettagli, senza giri di parole, così, come se fosse anche solo lontanamente concepibile.
Trapianti, clonazione, robot… tutto spiegabile con la ragione.
Ma la magia?
Era assurdo. Come poteva crederle?
E, considerato ciò che aveva visto, come poteva non crederle?
Si trascinò sul letto, sentendo i fogli ruvidi sotto i piedi. Gli sembrò irrispettoso camminare sui disegni di Gabby, ma ne trasse una certa soddisfazione, quasi una piccola vendetta.
Affondò la testa nel cuscino e incrociò le mani dietro la nuca. Il suo respiro caldo gli tornava in faccia e riscaldava la federa. Era fastidioso.
 
Can you see that I’m bound in chains, I finally found my way. I am bound to you.
 
Era vergognoso il modo in cui sentiva la sua mancanza.
Al Pritt’s tutti gli chiedevano di lei, la casa urlava il bisogno delle sue premure, le strade di quell’insulsa città erano tornate a non essere degne di attenzione, prive di colori, prive di stranezze.
I misteri, quegli stessi misteri che lo confondevano tanto, sembravano appendici tagliate senza pietà di cui non si poteva che sentire il bisogno.
Mille interrogativi che creavano la sua immagine erano meglio della sua assenza.
La detestava perché per lui era importante in mille modi. Come maestra, come esempio, come nemesi, come amica, come flirt, come confidente, come ancora, come confronto, come contatto col mondo, come ragazza. Alla fine, dopo tutto, era innegabile la sfumatura dei suoi sentimenti. Eppure non era la cosa che lo feriva di più.
Di certo si era pentito di averla respinta.
Gabby non aveva bisogno di lui, per questo ogni carezza ed ogni piccola attenzione che le rivolgeva erano ancora più forti: non erano gesti per persuaderla o per rassicurarla, per ottenere qualcosa o per distrarla. Erano solo naturali, come un istinto primordiale.
L’attrazione viscerale che provava era il desiderio di averla nella sua vita, in qualche modo, qualsiasi modo, purché ci fosse e tornasse il loro modo di stuzzicarsi e la sua risata sfrontata.
Si chiese quante rinunce fossero generate dalla paura.
Spreco per mancanza di coraggio, spreco a cui non poteva porre rimedio.
La vedeva come una ragazzina scritta fuori dalle righe e lo era, ma si trattava solo di una mezza verità.
In stile Batman e company, Gabby nascondeva un’identità di discutibili superpoteri e scomodi sotterfugi che vincolava il resto della sua vita e non le permetteva di respirare con leggerezza, sentendosi libera da grandi menzogne.
Chissà dov’era. Chissà se sarebbe mai tornata. Chissà se avrebbe potuto accettare una così stramba versione della vita, fatta di ciò che, nel suo mondo, era favole per bambini.
 
So much, so young, I’ve faced on my own.
Walls I built up became my home. I’m strong and I’m sure there’s a fire in us.

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Capitolo 28
*** Bleed it Out - Linkin Park ***


Bleed it outLinkin Park  .   
 
Yeah here we go for the hundredth time, hand grenade pins in every line, throw 'em up and let something shine, going out of my fucking mind.
 
Gabby scivolò sotto la pesante tenda di velluto blu. La battaglia era iniziata. Non aveva intenzione di scappare, ma doveva riprendere fiato. Studiò lo stato in cui era ridotta: a parte graffi sparsi, l’unica cosa preoccupante era la ferita aperta e zampillante di sangue al centro della pancia. Era stata questione di un attimo: non pensava che Berell l’avrebbe attaccata così a bruciapelo vedendo comparire i suoi compagni, ma l’aveva fatto, scaraventandola a terra sui vetri delle finestre.
Gabby strinse le mani al petto; si sentiva priva di forze, perché la sua magia non era mai stata distruzione.
Sentì uno scalpiccio di passi nel corridoio.
La Gilda era un grande edificio labirintico, ma evidentemente non abbastanza da nasconderla per più di una manciata di secondi.
Gabby aveva tramortito Berell con un colpo alla testa che aveva stupito anche se stessa, ma l’uomo doveva essersi ripreso molto alla svelta e doveva aver impiegato ancora meno tempo a trovarla.
I suoi galoppini, bambocci rintronati di sciocchezze, non l’avevano nemmeno guardata e si erano concentrati su Mastro Bastien e gli altri.
Tutti sapevano che Gabby era affare di Berell.
Rivide in un secondo i primi attimi della battaglia: aveva visto Margherita e Mastro Bastien contrastare gli Adepti più grandi, mentre Cherry si difendeva dai più giovani. Dan era concentrato su Lalit, sconvolto dal suo tradimento.
C’erano scoppi di energia e onde di colore che facevano vibrare l’aria. Gabby non aveva mai assistito ad una guerra del genere, in cui i boati erano urti tra essenze vitali e le ferite si aprivano sulla pelle all’improvviso, dal nulla. Sarebbe stato quasi uno spettacolo mozzafiato senza le urla di dolore e il sangue e le pareti della Gilda che tremavano e si sgretolavano.
Dettagli.
Aveva socchiuso gli occhi, trascinata in basso dal calore delle sue ferite. Quando la tenda di velluto si scostò con uno scroscio violento, o almeno lo fu nella sua testa, un brivido di paura le esplose lungo la spina dorsale.
- Va tutto bene.
Sibilò una voce, che contraddiceva quelle parole.
Il viso sfregiato di Berell era ad un palmo dal suo naso. L’afferrò per i capelli e la tirò fuori dal suo nascondiglio, sbattendola faccia a terra.
Gabby sentì un calore sulla schiena e temette che fosse un altro attacco, che Berell stesse rubando l’energia di una lampadina o di una pianta, per spezzarle le ossa.
- Malfidata.
Sussurrò al suo orecchio.
La sua ferita sulla pancia le causò una fitta lancinante che si spense dopo pochi secondi: quando Gabby si tirò su, vide la carne perfettamente liscia, senza graffi e capì che Berell l’aveva guarita.
Si voltò stupefatta e si domandò quante volte avesse desiderato d’averlo vicino come in quel momento.
- Cambia idea. Cambia idea, ti prego, cambia idea.
Le mormorò lui sul viso.
 
Truth is you can stop and stare bled myself out and no one cares, dug the trench out laid down there with a shovel up out of reach somewhere.
Yeah, someone pour it in make it a dirt dance floor again.
Say your prayers and stomp it out when they bring that chorus in.

 
In quel momento lo vide, il suo punto debole. Quello che aveva atteso si svelasse fin da quando aveva preso parte a quel doppio gioco, tenendosi in disparte, in silenzio, senza dare nell’occhio. Aveva lanciato segnali perché Berell si fidasse, aveva dato legna da ardere al suo fuoco maligno, l’aveva aiutato, talvolta sporcandosi le mani più del previsto; nel frattempo aveva cercato di indirizzare gli altri nella giusta direzione, ma non potendo sapere per certo di chi fidarsi aveva anche dovuto ingannarli. Mentire. Tradire. Ferire, come con Gabby.
Tutto per quell’istante, in cui la vulnerabilità di quel poco di uomo che era ancora in lui, avrebbe dato vita alla sua distruzione.
Non ci pensò nemmeno un attimo, perché sarebbe stato sicuramente troppo.
Chiamò a rapporto tutte le energie che trovò, prese forza da ogni fonte di vita lì presente, persino dai corpi dei suoi compagni.
Berell era troppo forte per essere sconfitto con un trucco da maghetti e nel corpo a corpo non avrebbe potuto niente contro di lui, quindi osò e si spinse oltre con la sua magia.
L’istante successivo, fu la vittoria. Berell urlò e il sangue cominciò a colargli dagli occhi. Gabby indietreggiava inorridita, scivolando a ritroso sul pavimento.
A quel punto anche Lalit scivolò a terra, stremata dalla stanchezza.
Mentre si accasciava al suolo, nella sua mente si riaffacciarono i ricordi di come aveva giocato sporco, di come era stato perversamente facile fino a quel momento, in cui si rese conto d’essere consumata e stremata.
 
I bleed it out digging deeper just to throw it away.
 
Era entrata nel giro di Berell in un modo così fulmineo che a stento lo ricordava con precisione. Era stato settimane e settimane prima, quando si era trovata in avanscoperta con Peter e lui aveva tentato di ucciderla.
Erano alla ricerca di qualche indizio su La Caedes, o almeno quello era il motivo per cui, nel cuore della notte, erano stati mandati insieme ad alcuni Maestri a perlustrare i vecchi dormitori ormai abbandonati.Lalit sospettava che li avrebbero fatti partite di lì a poco, come era successo a Gabby.
Il plotone che marciava in quell’inquieta tenebra, fu scosso da un fremito di paura quando rumori sospetti riecheggiarono nei corridoi.
Erano soldati solo in teoria. Il pericolo impegnò l’aria.
- Dov’è Peter?
Mormorò Lalit, scoprendo la sua voce spezzata più del dovuto. Aveva bloccato Rachel Osmet, il suo mentore, una dei Maestri più giovani.
- Peter!
Cominciarono a chiamare, separandosi.
“Separandosi”, ecco l’errore.

Di lì fu un crescendo: metà dei presenti erano infiltrati di Berell; Peter aveva il compito di creare un diversivo affinché il gruppo si smembrasse e tutti fossero più deboli.
Uno ad uno furono uccisi e se Lalit non avesse tradito, le sarebbe toccata la stessa fine.
Non senza vergogna, dovette poi ammettere d’aver anteposto la vita all’onore senza pensarci due volte; l’idea di infiltrarsi e distruggere La Caedes dall’interno era nata solo in un secondo momento.
Lalit non sapeva più chi era: quando Peter l’aveva attirata in quella camera buia e l’aveva attaccata, si era persa.
Aveva reagito subito, tentando invano di occultare le grida dei suoi compagni che soccombevano.
Peter le scagliò contro incantesimi che lei non conosceva, ma a cui rispose prontamente: Lalit era sempre stata una degli adepti migliori.
Arrivò a stringere le mani intorno al collo del ragazzo e a quel punto lui tirò fuori un coltello da una fodera nascosta sotto la blusa. Fece per puntarlo allo stomaco di Lalit, quando lei mollò la presa e si gettò a terra.
- Prendetemi con voi.
Mormorò, senza rendersi conto di ciò che realmente significavano le sue parole.
 
Fu così che, grazie alla sua bravura e alla sua paura, Lalit si ritrovò in quella baracca scricchiolante, appestata e marcia.
L’avevano bendata e condotta lì, trascinandola a lungo per le braccia.
La presa di quegli stupidi era stata così forte da averle lasciato dei lividi, ma erano il danno minore: le doleva ogni osso del corpo, perché l’avevano pestata come uva, mettendo alla prova le sue intenzioni.
Aveva un labbro spaccato, il naso sanguinante, un occhio violaceo e gonfio e sospettava di essersi rotta qualche dito.
Respirò stancamente ignorando le fitte alla bocca dello stomaco e si agitò sulla sudicia sedia a cui era stata legata. Le candele smangiucchiate e affondate in pozzanghere di cera facevano luce sul pavimento lercio e sui mobili tarlati e corrosi dallo sporco; una fiammella sfrigolante sul tavolo sbilenco illuminò la corsa isterica di qualche blatta.
Aveva sempre odiato le blatte. Pazienza.
Temeva che si sarebbe addormentata lì, cadendo in uno stato troppo inconsapevole ed indifeso, ma in quel momento la porta si aprì con un sinistro lamento. Una figura incappucciata riempì la stanza di un’aura densa e maligna.
Quando si rese conto di chi aveva davanti, Lalit si sentì di colpo sveglia, fulminata dall’orrore.
Fu mentre Berell si avvicinava che decise di fare il doppio gioco, da solo, conquistandosi la fiducia di lui, portandogli più informazioni di quanto sperasse e commettendo gli omicidi che le venivano commissionati. Senza battere ciglio, come il migliore dei seguaci.
Avrebbe tradito e ferito persino Gabby, ma l’avrebbe fatto per un bene superiore.
In quel capanno malandato, Berell l’asservì a sé.
Le fece bere del vino, o lei credette che lo fosse. Se ne ubriacò, quasi.
Berell la spogliò e Lalit era talmente distrutta da non avere la forza di vergognarsi. La fece stendere sul tavolo e cominciò a tracciarle strani segni sul corpo con un unguento nero pece.
Immergeva indice e medio in una boccetta spuntata dal nulla e faceva scorrere i polpastrelli sulla sua pelle.
Tutto ciò che Lalit pensava era che il tavolo avrebbe ceduto da un momento all’altro sotto il suo peso.
Berell intanto borbottava parole a lei incomprensibili, troppo distratta dal nuovo flusso di energia che percepiva espandersi al centro del petto.
Un istante dopo, tutte le candele si spensero e Lalit provò un dolore così lancinante che temette di morire.
E’ la tua anima che si spacca, sporca per sempre, oggetto del potere di un altro. Ora che sei venduta e non ti appartieni più, questa è la sofferenza che meriti; carne da macello.
Quando le fiammelle ripresero vita, un marchio a forma di pugnale era comparso sotto il piccolo seno di Lalit.
 
Go stop the show, choppy words and a sloppy flow, shotgun opera lock and load, cock it back and then watch it go!
 
Bastien era ferito, rannicchiato in un angolo con il sangue che gli colava dalla bocca. Aveva perso di vista Margherita da troppo tempo e cominciava a provare una paura pietrificante, che non gli permetteva di reagire. Guardò il duello da lontano: studenti contro studenti, ragazzini contro guardie e Maestri, compagni di lavoro di colpo traditori che infierivano sulle persone con cui avevano condiviso la vita. Non aveva alcun senso. Esplodevano bolle di sangue, guizzi di potere, scie di fuoco sulle braccia e lungo la spina dorsale. Era una bolgia infernale.
Socchiuse gli occhi e sperò di riaprirli su una realtà diversa, sul chiarore di quella sala nelle giornate estive, sul brusio proveniente dalle aule di lezione, sulle esercitazioni di scherma nel giardino, sui fiori sbocciati con uno schiocco di dita.
Sentì un ultimo respiro abbandonarlo. Se solo avesse resistito ancora, si sarebbe stupito della velocità con cui il frastuono fu inghiottito dallo scricchiolio del fuoco.
 
Mama helps me I've been cursed. Death is rolling in every verse.
 
Quando le fiamme cominciarono a divorare i corpi dei seguaci di Berell, il terrore si impadronì di tutti. Lo spettacolo era macabro, oscuro, prodotto di follia.
Nessuno sapeva che Berell li aveva uniti a sé, li aveva iniziati con rituali sconosciuti e resi dipendenti dalla sua vita, perché lo rispettassero e non si ribellassero, perché lo venerassero come la divinità che li avrebbe resi liberi.
Quando lui morì, loro divennero cenere e la Gilda si piegò su se stessa.
 
Fuck this hurts I won't lie, doesn't matter how hard I try. Half the words don't mean a thing and I know that I wont be satisfied. So, why try ignoring him?
 
Il cervello di Gabby doveva essersi impantanato, ridotto in poltiglia dai flash che le si ripetevano davanti agli occhi. Si era incantata, inzuppata nella pozza di sangue in cui Berell aveva rantolato sino ad un istante prima.
Continuava a vedere i suoi occhi rossi liquefarsi, il suo corpo esanime scivolarle di fronte, con tonfo, seguito da un’altra caduta, leggera, l’ombra di Lalit che moriva.
Dopo di che, fu il momento del fuoco e lei dovette solo correre, senza sentirsi nel suo corpo ma sempre pronta a salvarlo.
 
I've opened up these scars, I'll make you face this, I pull myself apart.
 
Crollarono le torri, per prima, mattone su mattone, stendardi in fiamme, boati, lingue d’Inferno. Gabby strisciava sulla terra, inciampava, sanguinava, si rialzava e cadeva su se stessa, mentre mille ombre le sfrecciavano intorno. Le sembrava di riconoscere qualcuno, i suoi compagni di classe, i Maestri, persino Cherry forse; tutto era sfocato e vibrava di calore, come se fossero nella bocca di Lucifero.
L’incendio sembrava una punizione: l’energia che Berell per primo e poi tutti loro avevano rubato stava infuriando, colma di ira, pronta a distruggerli. Cadde di nuovo sulle ginocchia e tossì, sentendo il sangue e il sudore colarle sulla schiena.
- Gab, in piedi, alzati.
Si sentì sollevare per le spalle. Le labbra di Dan si incollarono alla sua faccia.
- Stai bene, è finita, andiamo.
Le mormorava.
Bene? Stava bene? Nessuno stava bene, in quel momento, in quel posto.
Non aveva aria per rispondere, non aveva parole sufficientemente vive da soffiare sul collo di Dan.
Chiuse un attimo gli occhi e subito sentì uno schiaffo in pieno viso.
- No, non puoi.
Ghignò lui. Gabby lo guardò bene per la prima volta e notò le sue ferite, il taglio sotto l’occhio, i graffi sulle braccia, il labbro spaccato, la gamba leggermente piegata, come se zoppicasse.
Si ridestò e tutto le sembrò più nitido. Si voltò indietro e vide il palazzo della Gilda urlare, soffocato da una nube.
La vergogna li avrebbe accompagnati per sempre per aver contaminato e distrutto una cosa così pura.
 
I'll make you face this, now!

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Capitolo 29
*** Before tomorrow comes – Alter Bridge ***


Before tomorrow comesAlter Bridge.
 
I couldn't sleep I had to listen into a conscience knowing so well that nothing comes from indifference.
I look inside of myself. Will I find some kind of conviction? Or will I bid the hero farewell?
Will I be defined by things I could have been?
I guess time will only tell.

 
Solo pochi giorni dopo, gli Ufficiali, o perlomeno quelli sopravvissuti tra di loro, convocarono un’assemblea generale, esattamente lì, sulle ceneri della loro storia, tra le travi ancora fumanti e i cumuli di detriti.
Tutti furono chiamati all’appello per affrontare faccia a faccia i propri peccati.
Contare le vittime era stato straziante; in quel momento l’Ufficiale Jones, il più anziano e malconcio tra i presenti, ne stava leggendo i nomi ad alta voce. Sembrava una sorta di confessione.
Gabby teneva la testa alzata, lo sguardo fisso e un’espressione dura sul viso; non si era macchiata le mani di sangue direttamente, ma non poteva sentirsi meno colpevole degli altri.
Il suo sguardo vagò verso Margherita, attirata dal suo pianto di dolore per Bastien; Gabby gli dedicò un pensiero colmo di malinconia.
Il volto di Lalit le si ripresentò nella mente, sovrapposto a quello di Berell, sfigurato. Deglutì con forza e respirò a fondo. Quel gioco di sotterfugi era stato così complicato che a stentò se ne raccapezzava ora che tutto era concluso…
Lalit aveva giocato sporco mille volte, tradendo, mentendo, uccidendo; tutto per distruggere Berell, con il suo solo coraggio. Si era schierata con lui, aveva sacrificato la sua vita.
Per quanto Gabby provasse rispetto per lei, sapeva che era un fiore reciso, un’esistenza sprecata.
Se solo si fosse fidata.
Come biasimarla, però. Erano tutti infetti ed aveva valutato la missione più di se stessa; per non rovinare gli sforzi fatti aveva preferito proseguire da sola.
- La Gilda come la conoscevamo è distrutta. L’intento per cui è stata creata, il sapere, la conoscenza, il rispetto… è perduto.
L’Ufficiale Jones sospirò con così tanta fatica che Gabby temette di vederlo cadere a pezzi.
- Non la ricostruiremo. Non tenteremo di nuovo in questa impresa, perché l’animo umano la renderebbe nuovamente vana. Siamo un fallimento.
Evviva.
Gabby alzò le sopracciglia, sconvolta da quel tono asciutto. In un’altra occasione avrebbe urlato “l’ottimismo è il profumo della vita”, ma si rendeva conto che non erano davvero all’altezza.
- Andate. Integratevi in quel mondo che non ha mai saputo della nostra esistenza. Fate del vostro sapere ciò che volete.  Ricordate che la magia è buona, ma le nostre azioni ci insegnano che noi non lo siamo e non ne siamo degni. Vivete, vivete in un modo nuovo; il nostro passato è in fumo, ciò che eravamo è svanito.
Calò un silenzio di tomba, lapide perfetta su tutte quelle morti.
 
So don't let it be. Before tomorrow comes, before you turn away, take the hand in me.
Before tomorrow comes you can change everything.

 
Nessuno aggiunse più nulla. Fu breve e colmo di dolore, un sigillo sulla storia. La Gilda, così come era segretamente nata, con rapidità fu sciolta e i suoi figli furono spediti a mescolarsi tra folle ignare di quella assurda realtà.
Qualsiasi cosa fosse successa da quel momento in poi, Gabby aveva la certezza che il mondo sarebbe cambiato; già sentiva l’eco di strane notizie al telegiornale o bizzarri avvenimenti agli estremi opposti della Terra.
Chissà quanti avrebbero cercato di dimenticare, fingendo che nulla fosse mai successo, e quanti, invece, avrebbero continuato a ricorrere alla magia.
- Gabby.
Dan le arrivò alle spalle, poggiandole una mano sulla schiena. Le sorrise, ammaccato ma vivo… era già molto.
Le indicò con lo sguardo Cherry, poco distante da loro. Aveva un braccio ingessato e qualche cerotto, ma nel complesso doveva essersela cavata bene.
- Sarà difficile inserirsi in un mondo che ignorava la nostra esistenza. Dobbiamo diventare persone comuni dopo essere stati così a lungo fantasmi…
Lo sguardò di Gabby si addolcì alle sue parole.
- Non aver paura. Andrà bene.
Lui sembrò quasi offeso, colpito nel suo orgoglio maschile.
- Macché paura… al massimo, temo per te. Per questo abbiamo pensato che, se vuoi, potresti venire con noi. So che i rapporti con la tua famiglia non sono dei migliori. I genitori di Cherry sono il massimo, ci ospiterebbero volentieri per un po’…
Gabby scosse energicamente il capo.
- Grazie, ma so già dove andare.
 
Does anyone care it ain't right what we're doing?
Does anyone care it ain't right where we're going?
Does anyone dare justify how we're living?
Does anyone here care at all?

 
Il signore e la signora Sanders sarebbero stati i volti perfetti per una pubblicità. Plastificati, educati, composti.
Gabby le osservò per un po’, prima di avvicinarsi. Si era rifiutata di tornare a casa, una volta terminato lo scontro. Era stata con Margherita, nonostante sua madre e suo padre avessero più volte tentato di recuperarla e “rimetterla al suo posto”.
Il punto era proprio quello: con i Sanders non era a casa. Erano perfetti sconosciuti che l’avevano messa al mondo quasi come dono alla Gilda e rivendicavano in quel momento un diritto genitoriale che sembrava quasi una presa in giro.
Gabby era maggiorenne e indipendente, sapeva stare al mondo; non sentiva la loro mancanza e, anzi, percepiva il forte disagio di essergli completamente estranea. Non voleva cominciare il “viaggio della conoscenza” con chi aveva creduto che il suo bene fosse crescere in una scuola invece che in famiglia.
Gabby non si sentì sola quando li incontrò quel giorno e chiuse definitivamente la questione. Aveva una famiglia, una famiglia vera, anticonvenzionale e sgangherata, afflitta da molte perdite, ma questo non avrebbe mai compromesso la consapevolezza di aver amato ed essere stata amata.
Fu un addio simile ad uno strappo, veloce e prevedibile. I suoi sembravano arresi all’evidenza, anche se poco inclini ad affrontare le conseguenze delle loro sciocche decisioni.
Gabby si congedò dai Sanders senza eccessivi convenevoli e camminò austera tra studenti di cui conosceva a malapena il nome, vecchi amici e Maestri.
A passo spedito, uscì dal suo passato e se mai fu fiera di se stessa, fu nel momento in cui comprese di non voler guardare indietro.
 
We could be so much more than we are.

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Capitolo 30
*** Your arms feel like home – 3 Doors Down ***


Your arms feel like home– 3 Doors Down.
 
I think I've walked too close to love and now I'm falling in. Theres so many things this weary soul can't take, maybe you just caught me by surprise the first time that i looked into your eyes.
 
Felix aprì gli occhi con una strana sensazione addosso. Forse dipendeva dal fatto che Nelly era ferma davanti al suo letto e lo fissava.
- Inquietante.
Mugugnò, stiracchiando le gambe.
- Non mi avevi mai raccontato di tuo padre.
Bam. Fu come un pugno nello stomaco dopo il cenone di Natale.
Improvvisamente Felix trovò la ragione alla base dello sguardo compassionevole di Nelly.
- Ti ho googlato e ho letto la notizia…
- Mi hai… “googlato”?
Felix si tirò su, puntellando i gomiti sul materasso.
- Sei sempre così criptico e io voglio solo sapere qualcosa di più…
Lui sospirò, trattenendo un moto di rabbia. In fondo, doveva aspettarselo; Nelly si illudeva facilmente per potersene lamentare con altrettanta rapidità.
- Forse è arrivato il momento di mettere in chiaro le cose.
 
This life isn’t the fairy tale we both thought it would be but I can see your smiling face as it's staring back at me.
 
Uscì di casa con gli insulti di Nelly che ancora gli ronzavano nelle orecchie.
Per la prima volta aveva provato dispiacere per lei e si era sentito un verme per come l’aveva sfruttata.
Non che lei si fosse opposta, ma Felix non voleva comunque arrampicarsi sugli specchi.
Si incamminò verso il Pritt’s scivolando sulla sua vergogna.
Quando entrò nel locale, Tony gli corse incontro come un bambino in festa.
- Guarda chi si è fatto vivo!
La sua figura massiccia occupava tutta la visuale del ragazzo; quando si spostò lasciò emergere alle sue spalle il viso sorridente di Gabby.
 
I know we both see these changes now.
I know we both understand somehow.

 
- Che ci fai qui?
Tuonò lui, trascinandola fuori per un braccio.
Gabby sembrava diversa, più donna, più leggera. Solo ad una seconda occhiata, Felix notò l’ombra di graffi e lividi sulle braccia e sul collo.
- Che ti è successo? Dove sei stata? Che cazzo vuoi da me?
Sbottò. La sua confusione, mista ad una preoccupazione lancinante e condita abbondantemente di rabbia, non gli dava modo di mantenere la calma.
Gabby era una creatura strana, oscura, appartenente ad una realtà da filmetto fantasy…lui come poteva…
- Mi sei mancato.
Disse lei, asciutta, tranquilla, come se l’emozione non la scalfisse, anche se in realtà le tremavano le mani.
Aveva l’espressione serena di chi è pronto ad affrontare qualsiasi situazione.
- Non mi interessa.
E invece sì, ma era…assurdo.
- Va bene.
Soffiò lei, senza staccare gli occhi dai suoi, tanto che Felix si trovò costretto a distogliere lo sguardo.
- Ci vediamo.
Annunciò, tutto ad un tratto, e fece per allontanarsi. Un qualche pensiero, però, sembrò trattenerla; si voltò, si avvicinò, si alzò sulle punte, piccola, insolente com’era, e lasciò un bacio sulle labbra di Felix, troppo leggero per essere vero.
Più che altro, sembrò una provocazione.
 
There's a life inside of me that I can feel again. It's the only thing that takes me where I've never been.
 
Gabby non se lo sarebbe mai aspettato, ma Vanda le aveva lasciato una piccola fortuna accompagnata da una lettera in cui le spiegava che, se aveva davvero tenuto a qualcuno nella sua vita, quel qualcuno era lei.
In un primo momento si sentì una ladra ad usare i soldi di quella che per lei era stata madre, sorella e amica. Pian piano comprese che se Vanda fosse stata viva, non le avrebbe permesso di fare tutto da sola e in qualche modo avrebbe voluto aiutarla. Lasciarle quei soldi significava starle vicino anche non potendo più essere presente.
Non era una somma esorbitante, ma di sicuro era un buon punto di partenza che salvò Gabby dal dormire sotto un ponte.
Gabby non aveva avuto dubbi, una volta lasciata la Gilda. A prescindere da Felix, quel posto, quella piccola città, era stata la sua casa nel momento più difficile e più confuso della sua vita, il suo trampolino di lancio verso una nuova vita, quella che aveva sempre desiderato.
In qualche modo, terribile sia dirlo che pensarlo, certo, ma Berell le aveva donato la libertà.
 
La sua nuova casa era un buco dalla quantità impressionante di sporcizia, inversamente proporzionale alla sua grandezza. L’affitto era fin troppo alto, ma di certo il più economico sulla piazza.
Gabby si accontentò e lavorò giorni e giorni per rendere vivibile quella specie di sgabuzzino.
Il proprietario era un omaccione untuoso e rachitico che aveva dipinta sulla faccia rugosa la consapevolezza di essere un malfattore. Lei preferì non attaccare briga, comunque, ed ignorare elegantemente le avances che quel tizio discutibile le rivolgeva ogni volta che la vedeva.
Per una settimana intera, Gab non fece altro che pulire, strofinare e crollare esausta sulla sua brandina dopo una cena modesta. Andava a risparmio su tutto, fuorché energie.
Quando la sua “dimora” divenne un posto in cui era possibile respirare senza contrarre dieci tipi di malattie diverse, si impegnò nella ricerca spasmodica di un lavoro, un lavoro qualsiasi.
Rimpianse il Pritt’s sin dal primo annuncio che lesse. Rimpianse le mani di Felix sulla sua schiena, i baffi spessi di Tony e le serate colorite al pub. Rimpianse tutto…eccetto Nelly, forse.
Ma dovette richiamarsi all’ordine, perché i ricordi non pagano le bollette.
 
I don't care if I lost everything that I have known. It don't matter where I lay my head tonight.
 
- Non le hai più parlato?
Tony, appostato dietro il bancone, incrociò le braccia con aria minacciosa.
Felix sbuffò e roteò gli occhi, continuando a sistemare i contenitori del sale e del pepe sui tavolini.
- Eppure questa città non è poi così grande. Non è possibile che non vi siate incrociati nemmeno una volta…
- Tony, per favore. Lascia stare.
- Non posso, bello, perché tendi ad essere un tantino autodistruttivo e a non vedere quello che…
- Ti prego.
Sussurrò lui, abbassando la testa. Tony sembrò stupito e fece ondeggiare i baffoni.
- Comunque sia, non se la sta cavando male, sai? Abita in uno schifo di posto, certo, ma ha trovato un lavoretto onesto in un negozio, come commessa. Part-time, non paga granché, ma…
- Non te l’ho chiesto.
- ...ma non è un problema, visto che è arrivata a svolgere due o tre lavori insieme. Sembra alla conquista del mondo! Invece di riposarsi un po’, è sempre a spaccarsi la schiena. Una pulce testarda, no?
Felix pensò che nessuno al mondo sarebbe mai stato più insistente e subdolo di quell’uomo.
- Non mi ha mai chiesto di te. No signore, non una volta…sono sicuro, però, che avrebbe voluto farlo.
 
Your arms feel like home. They feel like home.

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Capitolo 31
*** Sweet child o’ mine – Guns N’ Roses ***


Sweet child o’ mineGuns N’ Roses  .  
 
She’s got a smile that it seems to me reminds me of childhood memories where everything was as fresh as the bright blue sky.
 
Quella sera era solo una tra le tante, ma Felix sapeva che si sarebbe divertito con Lisa e i suoi amici un po’ strambi ma altrettanto simpatici, soprattutto nei confronti di uno che non aveva mai dato loro confidenza.
Lisa era stata entusiasta della sua telefonata. Era parecchio che non si faceva sentire e, quel pomeriggio, ripensandoci, gli era sembrato davvero un peccato.
Si erano organizzati alla svelta ed erano lì, in quel locale dove Felix non metteva piede da un bel pezzo. Riconobbe i ragazzini abituali che fingevano di essere più grandi per bere qualche birra che gli avrebbe dato subito alla testa, le bamboline negli abiti succinti e il barista dall’aria poco intelligente.
La sensazione di déjà-vu fu presto sostituita dalla consistenza dei ricordi, a loro volta rimpiazzati dalla realtà. La Gabby che aveva incontrato quella sera lontana e con cui aveva goffamente attaccato bottone, non esisteva più.
Si sedettero ad un tavolo dall’aria molto vissuta e ordinarono da bere, mentre la musica martellava nel locale, che cominciava a farsi denso di fumo, movimento, risate e alcool.
- Allora, signorino, ci dica un po’ cos’ha combinato di tanto importante da non essersi più fatto vivo in questo periodo!
Cinguettò Lisa, fingendosi civettuola e sbattendo velocemente le palpebre. Per un attimo, gli ricordò Nelly e scoppiò a ridere.
- Be’…diciamo che ho avuto da fare…
- Con quella ragazza?
- Nelly? Ma sei matta?
Qualcuno dei suoi compagni storse il naso.
- No, intendeva l’altra, quella misteriosa…
Spiegò una biondina dall’aria furba e curiosa. Felix si sentì sotto interrogatorio e capì in fretta che tutti erano interessati alla figura enigmatica di Gabby, che si era mossa per la cittadina senza dare grande sfoggio di sé o senza parlare degli affari suoi. Per ovvi motivi.
- Sì, esatto, non fare quella faccia da “sto cadendo dalle mie soffici nuvole”. Intendo lei, proprio lei!
In quel momento arrivò un brufoloso e giovanissimo cameriere che impiegò cinque minuti buoni per capire di chi fosse questo o quel drink e distribuirli al tavolo. Felix pensò di essersi salvato in calcio d’angolo da quel discorso spinoso, quando notò che Lisa le indicava qualcosa con gli occhi.
Si voltò e vide Gabby, strappo nella folla, insolita com’era sempre stata.
 
Now and then when I see her face, she takes me away to that special place and if I stared too long I’d probably break down and cry.
 
Il barista era indaffarato come al solito. Cosa avesse quel locale di speciale non lo sapeva nessuno, forse erano i fiumi di alcool senza barriere d’età, stava di fatto che era sempre pieno zeppo.
Gabby sorrise e si avvicinò al banco, tra una gomitata e uno spintone. Rimandò i capelli arruffati all’indietro e poggiò i gomiti sul bancone. Fece un cenno al barista che sembrava essere nel panico completo e dondolò la testa, sentendo gli orecchini smuoversi di qua e di là.
Si era vestita in modo carino, con i jeans stretti, il top, la giacca di pelle; si era truccata e concessa una piccola pausa per prendersi cura di se stessa ed integrarsi nella comunità di cui voleva far parte.
Stando sempre rintanata in casa o lavorando e basta non avrebbe mai conosciuto nessuno e nessuno si sarebbe fidato di lei.
Era stata una settimana proficua; con l’aiuto di Dan, che anche a distanza sembrava sempre vegliare su di lei, aveva messo in regola tutti i documenti e le scartoffie varie che la riguardavano e, da quel giorno, non era più un fantasma. Era il caso di festeggiare.
Stava giusto per allungarsi verso lo spillatore di birra, quando qualcuno la precedette.
- Chi fa da sé…
Felix riempì un boccale, diede un sorso e poi lo porse a Gabby.
- Abbiamo un paio di questioni in sospeso…
Borbottò. A Gabby sembrò che stesse arrossendo e sorrise d’istinto, perché capisse che non c’era rancore e che il desiderio di ritrovarsi era forte. Le si avvicinò di un passo, arrivando a poggiare una guancia alla sua. Rimase un attimo in silenzio, un silenzio potente anche in quel caos.
- Però abbiamo tempo per risolverle.
Le mormorò con decisione tra i capelli.
E Gabby seppe che sarebbe andato tutto bene.
 
Sweet child o’ mine.
Sweet love of mine.

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