Gocce di Sangue.

di ChloeGates
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Riflessioni. ***
Capitolo 3: *** Una mattina tutto sommato comune. ***
Capitolo 4: *** Sa, io l’ho già vista da qualche parte... ***
Capitolo 5: *** Ciò che non uccide ci fortifica, peccato io sia GiÁ MORTA. ***
Capitolo 6: *** Dimmi dove hai dormito questa notte. ***
Capitolo 7: *** Se sono già arrabbiata, non bisognerebbe girare il dito nella piaga. ***
Capitolo 8: *** Comunque vada io ti aspetto qui. ***
Capitolo 9: *** Certe cose non dovrebbero succedere. E invece... ***
Capitolo 10: *** Che cosa mi racconti di bello? ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


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Capitolo 2
*** Riflessioni. ***


Riflessioni.

 
Sette stelle.
In tutto il cielo di Chicago c’erano solo sette stelle, frammentate da qualche confusionario aereo che si dirigeva prima verso ovest, poi a nord, poi verso est. Come al solito, avevo passato la notte nel porticato, leggendo Auden. Non dormivo da molto tempo ormai, e non avevo nessuno con cui passare la notte, nessun compagno come le mie Migliori Amiche, le ragazze con le quali dividevo un duplex nella periferia di Chicago.
Lo so, avrei potuto trascorrere la notte in un bar in compagnia di una vecchia Tuborg alla spina, ma l’alcool aveva perso ogni attrattiva per me, così come i baristi che lo servivano.
“La verità, vi prego, sull’amore”. Per la terza volta questa frase catturò la mia attenzione sul foglio di carta riciclata del libricino che avevo in mano. In trecentoventidue anni di vita, l’unica cosa che non avevo mai capito era proprio l’amore. Avevo imparato tredici lingue, conseguito due lauree in medicina e quattro in architettura, ma mai ero riuscita a capire il perché di quel vuoto allo stomaco, l’accelerazione del battito cardiaco, la gola che si secca, quell’improvvisa forza di volontà e la voglia di dare tutta te stessa ad un’altra persona.
Pensando a tutto ciò, ricordandomi di che fine aveva fatto l’amore, il Mio Unico Amore, mi morsi il labbro inferiore con rabbia crescente. Con un piccolo suono acuto, come d’unghie su una lavagna, il mio canino affilato tagliò di poco la pelle carnosa, dalla quale iniziò a scorrere veleno. Il mio subconscio si ricordò della sete crescente e per quanto non volessi, mi ricordò anche che cos’ero. PERCHÉ non riuscivo a trovare un compagno.
A volte avrei voluto dimenticarmi della mia natura, riuscire a metterla da parte per qualche giorno e dedicarmi di nuovo ad una vita normale, senza sete, senza doni, potendo crescere ed osservando il mio corpo cambiare.
Ma non potevo.
Leccai la ferita sul labbro che si arginò all’istante, fermando la fuoriuscita del veleno.
Mi voltai a riguardare quelle sette stelle, toccandomi la ferita a mezzaluna sul collo che trecentoventitrè anni fa mi aveva trasformata in vampira.
 

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Capitolo 3
*** Una mattina tutto sommato comune. ***


Una mattina tutto sommato comune.


“Chloe, è giorno. Sei stata ancora qui tutta la notte?!” Alexis venne a distrarmi dai miei pensieri quando il sole ormai brillava sul legno bianco del porticato. La sua voce si fece squillante mentre continuava il rimprovero, dicendomi: “Devi andare a lavoro, genio. Sono giorni che continui a sostenere che devi tradurre il libro di quell’austriaco, o svizzero o di dove diavolo è, e ora non ti vuoi alzare da questa panchinetta?” Dio, come avrei voluto usare il mio dono contro di lei, deviare la sua volontà e farla semplicemente andare via, lasciarmi un po’ sola. Tuttavia, non avrei mai potuto “comandarla”. Il solo pensiero di dover affrontare la sua ira una volta uscita dalla sua mente mi spaventava. “Ho capito, ho capito, mi alzo. A volte mi tratti come un’umana da buttare giù dal letto. Eppure la gente crede che sia io la SORELLA MAGGIORE!” Alzandomi, guardai la figura minuta di Lex. Era alta poco più di un metro e cinquanta, un po’ rotondetta e dalle forme gentili. I capelli cortissimi color della pece coprivano di poco i suoi occhi né marroni né verdi, che ora mi fissavano gravi. “Il mio era solo un suggerimento sorellooona. Ma siccome la nostra segretezza è sul filo del rasoio, allora ti consiglio di andare a lavoro.” Odiavo non avere ragione, ma la sua personalità era troppo forte per farmi andare avanti a parlare e a ribattere. Io e Alexis eravamo totalmente diverse. La sua estrosa generosità spesso era in contrapposizione con la mia arroganza, tanto che spesso Becky doveva mettere pace tra noi due utilizzando le sue speciali “facoltà”. Becky, oltre ad essere la sorella maggiore saggia e riflessiva, possedeva un dono molto curioso, riusciva ad invadere la mente altrui. Poteva cambiare i ricordi, creare o distruggere i legami delle persone, disattivare i sensi, vedere con gli occhi degli altri. Il fatto di disattivare i sensi era tornato utile quel giorno di Dicembre di tre secoli fa, quando mescolando il suo sangue con quello mio e di mio cugino Ren Hannover, poi diventato il suo compagno, ci aveva trasformato in vampiri. Io avevo fatto lo stesso con Alexis Cheville, che aveva il potere di creare, distruggere e cambiare qualsiasi oggetto, e col suo fidanzato Sophian Des Lyrens, che riuscì da subito a spostarsi da luoghi distanti milioni di chilometri in meno di un secondo. Ren, invece, che non aveva nessun potere particolare, trasformò in vampiro il suo migliore amico e fratello di Becky, Dorian O’ Connor, che diventò il mio compagno.
Ah, Dorian.
Chissà dov’era adesso. Pur avendo il dono di deviare la volontà degli altri a mio piacimento, di certo non potevo farlo su Dorian. Semmai fosse tornato da me, lo avrebbe fatto di sua volontà. Volevo che fosse per Vero Amore, non per costrizione, eppure era passato un anno e lui ancora non tornava. Una mattina ero tornata da Springfield con Alexis e lui.. era sparito. Becky non era riuscita ad individuarlo con la mente, Sophian aveva cercato nei luoghi da lui più frequentati ma non c’era. Ren mi aveva abbracciata, mi aveva stretto canticchiando ninnananne, Alexis aveva tentato di fare apparire lontane immagini, surrogati di Dorian, ma non mi avevano tirato su di morale. Da quel giorno caddi in una specie di baratro, dal quale non mi rialzai.
“Chloe, sei inchiodata agli scalini?” Alexis andava avanti a inveire contro di me, e avvertivo la sua volontà di alzarmi con la forza e farmi andare a lavoro. Ok, avevo capito, e alla fine, perché prendermela con lei quando sapevo che aveva ragione? Non era colpa sua se non riuscivo a dimenticarmi di Dorian. Benissimo, avevo tutta l’eternità davanti. “Sì giusto Lex, vado a vestirmi” Salendo per le scale, avvertii un passo ciondolare su parquet. Ren arrivò verso di me squadrandomi con gli occhi color mogano grandi come fondi di bottiglia. Dopo qualche secondo, chissà a che stava pensando, disse “Hai ancora pensato a lui.” Non era una domanda, bensì un affermazione accusatoria. Si spettinò i capelli color cioccolato in modo distratto, quasi senza accorgersi di Becky, che arrivava dietro di lui fissandomi e facendo ondeggiare i meravigliosi ricci dorati. “Chloe, quante volte ti ho detto che pensando a Dorian ti fai solo del male!!” Becky aveva a cuore i sentimenti di tutti, ma purtroppo per lei, la mia volontà era troppo forte perché lei potesse cambiarli. E purtroppo per me, la mia volontà era troppo debole rispetto io all’amore puro e incondizionato che provavo. “Becky, me lo ripetete sempre e io non so che farci. Vuoi che smetta di pensare a Dorian? Dimmi come posso smettere di pensare!!” Entrambi mi guardarono con occhi pieni di dolcezza e comprensione, occhi color mogano quelli di Ren, color cioccolato al latte quelli di Becky e si abbracciarono forte, senza accorgersi di quanto mi faceva male, eppure non dovetti cambiare la loro volontà per farli andare via. Il fatto che Sophian e Lex, così come Becky e Ren fossero fidanzati non rendeva la nostra convivenza facile, almeno da quando Dorian se n’era andato. Per quanto loro tentassero di non farmi pesare questa situazione, non riuscivano a starsi molto lontani, e il “pericolo bacio” era sempre in agguato. Dal canto mio, non riuscivo a non comprenderli, solo sentendo quanto mi faceva male stare lontana dall’amore della mia vita, potevo intuire il loro sforzo sovrumano nello starsi lontani limitando baci ed effusioni. Immersa nei miei pensieri, feci partire l’mp3 in riproduzione casuale, giusto il tempo di lavarmi in denti. “Heartbreak Hotel”. Cos’era, uno scherzo? Forse quella mattina il cosmo era in collera con me. Rassegnata, spensi la musica e decisi di vestirmi, una delle poche attività che mi consolavano in quei giorni. Il fatto di essere vampiri aiutava nell’amministrazione finanziaria, e il fatto di essere, come dire… ricchi sfondati (non per vantarci, ma con i soli soldi che avevamo in casa avremmo potuto estinguere il debito pubblico di una piccola nazione) aiutava nel soddisfare piccoli bisogni personali. Ognuno di noi, infatti, aveva la sua collezione particolare: Becky custodiva gelosa una serie di strumenti musicali antichi e moderni, e possedeva due Stradivari da fare invidia a Joshua Bell; Alexis e Ren, appassionati d’arte contemporanea, tenevano un’importante collezione di pezzi originali nella loro stanza da letto, il che rendeva l’ingresso in quella camera un’esperienza psichedelica ed ipnotizzante; io, molto più materialista, ormai avevo finito le mensole nell’armadio a muro per i miei circa duecento paia di scarpe, e nella mia stanza da letto i CD Heavy Metal e Jimmy Choo regnavano incontrastati. Becky e Ren erano convinti che io fossi un controsenso “umano”, un’ironia della sorte, un’inneggio all’incoerenza.
Fosse vero o no, non sapevo che farci. Mi vestii in tempo record (circa mezz’ora), ascoltando Slipknot, non c’era amore per me in quella mattinata. Agguantai le chiavi della macchina graffiando il mobiletto in legno di betulla fatto su misura sul quale erano appoggiate (Ahi Ahi, Lex si sarebbe incazzata da morire..) e andai in garage. Ammirai le due Harley, la moto BMV, la Volvo Blu notte e la Porche 911 gialla di Ren, la SUA collezione, della quale amava vantarsi in presenza di Dorian, L’Honda ecologica di Sophe e Lex, che comunque non veniva usata molto, e l’Audi TT bianca latte di Becky. La mia Ypsilon, l’auto più usata e più modesta, era l’ultima della fila, quella più vicina al portellone automatico del garage, e a mio parere era l’auto più bella del mondo. Insuperabile, nemmeno Kit di Supercar poteva batterla. La vernice violetta era ancora lucida, nonostante diverse peripezie passate nei parcheggi (per quanto vampira, sono sempre una donna) e gli interni in pelle nera erano soffici come i primi giorni. Ero molto fiera del mio “mezzo”, come la chiamavo affettuosamente. Il disordine della mia camera (difetto che Dorian aveva sempre adorato) era perfettamente esteso anche nell’abitacolo della mia macchina, dove in quel momento stavo cercando “Black Album” dei Nirvana. La ricerca fu vana, e quindi mi accontentai di Nevermind. Nevermind, non importa. Quell’incitamento, capitato quasi a proposito, mi fece pensare al fatto che il mio amore non tornava, alla sete di sangue crescente, all’eternità che mi si stendeva davanti cupa e sola. Eppure, proprio mentre Kurt iniziava a cantare “Where did you sleep last Night” non importava. Ora mi lasciavo toccare dalla musica, spingevo l’accelleratore, prima. Giravo il volante, sapevo che nulla importava, non in quel momento, in quel nuovo giorno.
Andare a lavoro in auto, ad una velocità di gran lunga minore a quella delle mie gambe, mi aiutava a curare i dettagli. Ogni mattina, infatti, guardavo l’uomo di colore con la ventiquattrore che prendeva un caffè da Starbucks, o le coppiette che si salutavano dietro le persiane delle finestre. Forse potevo essere spiona, ma adoravo ammirare quanto poteva essere dolce la mortalità umana.

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Capitolo 4
*** Sa, io l’ho già vista da qualche parte... ***


Sa, io l’ho già vista da qualche parte...

 
Arrivata a lavoro, mi fissai allo specchio enorme vicino alla scrivania di accettazione.
Un surrogato di me mi fissava di rimando, un guizzo di pesante tristezza nel color nocciola dei miei occhi assetati di sangue. I capelli castano chiaro, lisci in modo quasi innaturale, lanciavano riflessi color mogano. Sistemai gli abiti già perfetti e entrai nel complicato labirinto qual era il piano della Johnson & Johnson editore. Lavoravo lì come traduttrice di libri, la paga non era un granché, ma stare immersa tra pagine e pagine libri mi ricordava che il tempo passava, e adoravo vedere come gli scrittori storici tentavano di immaginare molto spesso la mia epoca, il Settecento. Entrai in ufficio salutando Martha, la segretaria occhialuta e un po’ allampanata. Niente telefonate, come al solito. Becky preferiva farmi immaginare tutto ciò che voleva, nei rari momenti in cui aveva bisogno di qualcosa. E Lex.. Lex si sarebbe fatta scorticare viva (metaforicamente) piuttosto che chiedere aiuto a qualcuno. D’improvviso, trottando accompagnato da un rumore pesante, comparve di fianco a me Robert Downey, il mio capoufficio alla J. Jameson. Forse un po’ scorbutico, ma molto alla mano e veramente competente nel suo ruolo di capoeditore.  Prima si rivolse a me, dicendomi: “Chloe, ti ricordi Henrie Siona? Quello del libro giallo che stai traducendo? È qui e vuole un consulto con te, per.. far combaciare bene la traduzione o chennesoio. Questi scrittori stanno diventando sempre più presuntuosi...” Poi guardò la povera Martha, che intimorita stava riempiendo scartoffie, e le disse: “Quanto a te, Martha, QUANTE VOLTE TI HO DETTO CHE NON DEVI PASSARMI LE CHIAMATE DELLA MIA EX MOGLIE!! Dille direttamente che NON CI SONO!!” Ahi ahi Robert, forse devi essere più gentile.. Decisi di costringerlo a scusarsi con la povera segretaria, che sembrava sul punto di piangere. “Ma fa nieeeeeeeeente caaaaaraaa. La prossima volta vedrà che farà meglio”. Mentre mi Robert mi faceva cenno di seguirlo, la segretaria ci fissò esterrefatta.
“Allora Chloe, come va a casa, le tue sorelle stanno bene? E i tuoi cognati?” Mmm.. evidentemente oggi Rob voleva fare conversazione.. “Molto bene, grazie Signor Downey.” “Ohhh, non c’è di che, cara ragazza. Sai, mi sono sempre chiesto come una fanciulla così carina come te non abbia ancora trovato un ragazzo come si deve col quale sistemarsi.” E ora? Ci si mette anche il mio capo a girare il dito nella piaga? Maledetto Karma.. “Mah, chissà, Signor Downey. Forse sono troppo esigente.” “Ohhh, suvvia cara! Non ti buttar giù, la fortuna sorride agli audaci! E chissà, forse non è il momento giusto..” Momento giusto, puà! “Già, forse è così, signore…” Entrammo in sala conferenze pensando ad altro, lui alla sua ex moglie, potevo scommetterci, ed io… Lasciamo perdere.
Ma nonostante il mio pensare ad altro, l’uomo che vidi seduto sul divano mi lasciò senza fiato.
Il giovane scrittore era la copia esatta di Dorian. Gli stessi smeraldi luccicanti negli occhi, gli stessi capelli neri come la pece tenuti corti e spettinati, il pomo d’Adamo ruvido in mezzo al collo. La stessa barbetta incolta sulle guance e sul mento, il fisico asciutto e le labbra, che formavano una perfetta doppia curva. Ma l’aspetto di quell’uomo che mi affascinò di più, fu l’odore. L’inebriante e dolcissimo odore del suo sangue raggiunse la mia gola facendola bruciare. Sentii le pupille color nocciola dilatarsi, e il sangue affluire alla mia testa. Non potevo resistere, dovevo ucciderlo. Ma… POTEVO ucciderlo? POTEVO uccidere una persona così simile all’uomo che amavo?
No.
Dovevo resistere.
Perciò trattenni il fiato ed entrai nell’aula conferenze.
“Piacere, io sono Henrie Siona. Non immaginavo che le traduttrici fossero così carine. Dovrei farmi pubblicare più spesso dalla sua casa editrice, Sig. Downey” L’ignaro ragazzo avvicinò la sua mano alla mia, invitandomi a stringerla. Tentai di ordinargli con la mente di spostarla, ma la sua mano non si mosse di un centimetro. Strano, il mio dono non aveva mai fallito con nessuno. Riprovai ancora e ancora, ma la sua mano rimaneva immobile. Tentai di prendere tempo grattandomi la testa, non potevo mettere a contatto la mia mano con la sua, sentire le sue vene nelle quali scorreva quel dolce sangue… Niente, dovevo stringergli la mano. Sentii un brivido mentre entrava a contatto con la mia pelle fredda, ma non disse nulla. “Signor Siona, lei è un adulatore. Si sieda, prego.” La voce di Robert era lontana da me, mi sentivo sola, a combattere col mio dolore, tentando di resistere all’impulso di avventare la gola dello scrittore e berne il sangue, FINO ALL’ULTIMA GOCCIA. Li sentivo parlare, parlare, parlare. Del tempo, del libro, di lavoro, di me che silenziosa aggiungevo pochi commenti alle loro frasi, della situazione sentimentale di Henrie. E poi, d’improvviso, sentii dei passi avvicinarsi leggeri alla porta. Martha spuntò dallo stipite della porta, dicendo: “Si – Si  Signor Downey, c’è il Signor Williamsson sulla uno”  Oh, fantastico. “Bene Signori, mi perdonerete se mi assento per qualche minuto, ma è più facile negarsi ad una moglie che ad un commercialista!” No, no ti prego Robert non lasciarmi sola con lui. Non.. non posso! Presi un’altra boccata d’aria e infilai le mani in mezzo alle gambe incrociate, avevo paura di perdere il controllo. Guardai il soffitto, i suoi occhi verde smeraldo erano per me il pericolo più grande. Ma d’improvviso, sentii il suo caldo e inebriante respiro sulla gola, mentre mi sussurrava alle orecchie: “Sarebbe troppo arduo chiedere a una ragazza come lei di uscire a cena?” Uscire a cena? Oh, non credo che avrebbe voluto realmente vedermi mangiare con lui. Aspettai in silenzio che si spostasse, era decisamente troppo vicino, e il mio autocontrollo stava vacillando. “Mmm. Non mi risponde. Forse sono stato un po’ troppo audace. Bè, posso chiederle almeno se le è piaciuto il mio libro?” Feci per rispondergli, ma commisi l’errore di voltarmi e fissarlo nel verde dei suoi occhi. Perfettamente IDENTICI a quelli di Dorian. Lo fissai catturando ogni scaglia, ogni imperfezione, ogni pagliuzza dei suoi occhi. Potevo perdermi dentro, era come rotolare su un prato verde dove non potevo stare, era un attimo infinito, IL MIO attimo infinito. “Io… io…” Per quanto mi impegnai, non riuscii a dire niente. Chiusi gli occhi e presi un'altra boccata d’aria, satura ormai dell’odore attraente del sangue di quell’uomo. La sete diventò disperata, gli occhi si macchiarono di coloro porpora. Sentii la gola ardere nel profondo, mentre scappavo da quella stanza, da quell’ufficio, da quell’uomo, spinta dalla sete di sangue.

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Capitolo 5
*** Ciò che non uccide ci fortifica, peccato io sia GiÁ MORTA. ***


Ciò che non uccide ci fortifica, peccato io sia GiÁ MORTA.


Assetata, percorsi le scale ad una velocità di poco inferiore a quella della luce. Le persone di fianco a me non riuscivano a vedermi, percepivano solo uno strano spostamento d’aria sul viso… Trattenevo il fiato, ero talmente assetata che ogni odore umano poteva far scaturire la mia furia. Aspettai di essere chiusa in macchina per calmarmi. Uno, due, uno, due. Tentai di controllare i respiri, mi serviva anche solo un accenno di calma per iniziare la caccia. Un umano innocente, forse due. Ma la mia sete era troppa, e la mia scelta di essere vampiro comportava assassini. Misi in moto l’auto, sperando di riuscire ad arrivare da Chicago ai grandi laghi. Mentre la sete cresceva ancora e superavo Blue Island Avenue, pregavo di arrivare a Milwaukee, solo Milwaukee. Mentre svoltavo l’angolo a Roosvelt Road, capii di non poter più proseguire. Parcheggiai in doppia fila, francamente non mi interessava prendere una multa che logicamente non avrei pagato, e corsi a perdifiato per la strada, seguendo gli odori più invitanti. Sorpassai la fabbrica di Vogue, Best Buy, il White Palace Grill, e mi fermai a metà tra la fermata del metrò e Bongo Room. Due ragazzini erano appoggiati all’angolo con State Street, e lanciavano occhiate languide alla commessa di un negozio di fotografia. Erano LORO che desideravo. Probabilmente si credevano bellissimi, pantaloni larghi e sguardo da padroni della via, ma sentivo la loro volontà di non essere lì, di scappare, e non tornare mai più. Mista al volere di un’altra dose di cocaina. Mi avvicinai a loro, il rombante suono del sangue che scorreva libero nelle loro vene, sotto i muscoli pompati e la pelle abbronzata. Era tutto perfetto. L’odore era inebriante, assuefacente, MAGICO. Li sentii fischiare al mio passaggio. Ormai mi erano in mio potere, ormai potevo deviare la loro volontà. Imposi a loro di seguirmi, giù giù fino alla fermata della metrò, chiusi in un bagno sudicio che di certo una persona normale non avrebbe scelto come tomba. Aspettai poco ad uscire dalla loro mente, perché avevo paura di ciò che stava per succedere. Per gli altri era molto più facile sfamarsi, Alexis e Sophian potevano scappare poco dopo che la vittima iniziasse a sentire dolore, e Becky poteva annullare i sensi della sua fonte di cibo per evitare che soffrisse. Ma io… Io avvertivo la loro volontà nel voler scappare, smettere di soffrire, vendicare se stessi… Per me era fin troppo difficile, era la mia penitenza. Avevo scelto la mia vita, e questo era il prezzo da pagare. Ma il prezzo valeva la mia scelta? Preferivo non chiedermelo.
Mentre finivo di riflettere a così tante e troppe cose, uscii dalla mente dei due ragazzi. Il più basso, che sembrava esercitare una specie di potere sull’altro, disse “Collin, che cazzo ci facciamo qui?” D’improvviso iniziai a lacrimare, e spinsi il ragazzo di nome Collin in un cupicolo sudicio di quel bagno metropolitano. Mi avventai sull’altro giovane avvertendo la sua volontà, la sua inaspettata voglia di vivere… tentò di opporre resistenza, ma cosa poteva fare? Era tra le braccia della morte. Presi i suoi capelli unti e spostai la sua testa da un lato, avvertendo il pulsare delle vene, il battito accelerato del cuore che aumentava il suo cammino verso la morte. Sentii i miei occhi rovesciarsi, e i miei denti affilati come coltelli si chiusero sulla sua giugulare, strappando vene, tendini, pelle. Come burro. Succhiai tutto il sangue nel suo corpo, poi spostai la sua carcassa vuota e mi avvicinai al cupicolo dove avevo rinchiuso il povero Collin. Impaurito, aveva assistito alla morte dell’amico coprendosi gli occhi, ed ora era schiacciato contro il muro del bagno e chiedeva pietà. “Ti prego… ti prego non uccidermi… farò tutto quello che voi, GIURO!” Oddio Collin, come potevo risponderti? Stavi guardando la morte nei miei occhi, ma ormai dovevo andare avanti. “Mi dispiace Collin. Chiunque tu sia, non sai quanto mi spiace… ora sii sincero, tu ti droghi?” “è per QUESTO? Mi uccidi perché faccio uso di DROGHE?” No, aveva frainteso. “Oh no, anche io ho fatto uso di droghe, ma…” “E allora cos’è, sei del cartello della droga? Traffico di denaro? Giuro io spacciavo IN PROPRIO!” Allora capii. La mia vittima non aveva del tutto la coscienza pulita, e ora cercava un motivo per il quale io avrei dovuto ucciderlo. Non gli bastava ciò che aveva visto? Non era abbastanza la mia SETE? “Collin, io sono una vampira. Non è una leggenda, i vampiri ESISTONO. Ho appena bevuto tutto il sangue nel corpo del tuo amico, e ora farò lo stesso con te. Non per quello che hai fatto, non per come ti sei comportato. Solo perché il tuo odore invitante e il  sangue che scorre veloce nelle tue vene mi attirano come non mai. Per questo, tu morirai.” Mi guardò sgranando gli occhi e non riuscì a dire niente. Approfittai di quell’attimo di debolezza, mentre sentivo la sua volontà cambiare. Mentre mi avventavo sulla sua gola, sentivo la sua voglia di chiedere scusa alla madre, forse aveva iniziato troppo presto con la droga, la sua voglia di andare a salutare suo padre un’altra vola, nella tomba… In un gorgoglio il povero Collin si spense, lasciai piano il suo corpo e mi accasciai a terra. E mentre appiccavo fuoco a quei corpi di ragazzi, strinsi il viso tra le ginocchia e piansi come ogni volta.

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Capitolo 6
*** Dimmi dove hai dormito questa notte. ***


Dimmi dove hai dormito questa notte.

 
Giunsi a casa quando il sole era ormai tramontato, erano le sette di sera, minuto più, minuto meno. L’ora in cui di solito gli umani si sedevano a tavola ed iniziavano a mangiare. A casa mia, nessuno avrebbe mangiato. Salendo le scale, il mio udito finissimo sentì i respiri convulsi che provenivano dalla stanza da letto di Lex e Sophian, sospiri che spesso accompagnavano baci e qualcosa di più. Sentii una fitta al cuore nel vedere Becky e Ren, che a differenza di Sophian e Lex riuscivano a limitare le effusioni, seduti sul divano a vedere uno dei miei film preferiti, “La Regina dei Dannati”. Erano semplicemente abbracciati, ed ogni tanto si lanciavano delle occhiate che non erano romantiche, ma riflessive, come se l’uno volesse leggere l’anima dell’altro. In una sera normale, mi sarei seduta con loro sul divano color panna, commentando il meraviglioso Stuart Townsend che diceva: “Scusate, la colazione continuava a scapparmi” ma quella non era una serata tranquilla. Salutai Becky e Ren con un cenno della mano, e Ren rispose abbassando il mento. Ren era sempre stato il mio migliore amico, quasi un fratello maggiore per me. Capiva al volo quando volevo parlare e quando no, e sapeva sempre come farmi ridere. Becky invece… a lei quel saluto appena accennato non bastava. La sentii scrutare nella mia mente, vedendo l’immagine di Henrie Siona, sentendo le sue parole, annusandone l’odore, vide la mia folle corsa verso Roosvelt Road, i due ragazzi, le loro gole dilaniate… “Beh, Becky, ora sai tutto. Lo sai… odio ripetermi.” Becky mi fissò con gli occhi spalancati e sentii la sua volontà di aiutarmi in qualsiasi modo. I miei occhi iniziarono a tremare, riuscii a mormorarle: “Andiamo in camera mia” mentre trattenevo a stento le lacrime. Salimmo le scale di corsa, mi lasciai cadere sull’enorme letto a baldacchino nero e rosso e lei si sedette di fianco a me, chiedendomi: “Cosa hai intenzione di fare?” Come rispondere a questa domanda? Che parole potevo usare… “Non ne ho idea, Bec. Non so nemmeno cosa sta succedendo… Non so se Henrie può essere in qualche modo collegato a Dorian… Non so nemmeno se voglio SAPERE se tra i due c’è una specie di connessione!” Becky sospirò, guardò la luna, mi accarezzò e disse: “è un UMANO. Ho sentito l’odore del suo sangue ed l’effetto che ha su di te ed ho paura… paura di quello che può succedere, Chloe.” D’improvviso, il suo sguardo si fece serio, e aggiunse: “Sai anche tu cosa potrebbe accadere.” D’improvviso capii cosa intendeva dire. “Stai dicendo… stai dicendo che hai paura che io non riesca a controllarmi?” Becky guardò le mie scarpe e disse: “Sappiamo entrambe che da quando Dorian se n’è andato, il tuo autocontrollo è un po’ meno… resistente, diciamo…” No, questo non potevo accettarlo. “Che COSA? Credi che io non possa resistere al suo SANGUE? Credi che il mio amore per Dorian sia più debole della semplice SETE?” Becky scosse velocemente la testa, e iniziò a dire: “No, lo sai che non direi mai una cosa del genere ma… “ “Basta, non ho intenzione di ascoltare altro. Dimmi DOV’È. Lo so che puoi entrare in contatto con la sua mente, DIMMI DOV’ È!!” Becky tentennò, dicendo: “Chloe, non credo che sia la cosa migliore da…” Non volevo costringerla, volevo che mi dicesse dove fosse Henrie di sua spontanea volontà, ma se fosse stato necessario… “Preferisci che ti costringa a farlo? Lo sai che non mi piace entrare nella mente delle persone che amo, e ti voglio troppo bene per farlo quindi…” La mia voce tremò, abbassai la testa e le lacrime sgorgarono dai miei occhi nocciola. “Ti prego Becky… Ti prego…” Furono le mie lacrime a farle cambiare idea. Pian piano mi fece alzare, mi alzò la testa dal mento, e mi disse: “Giurami che non farai niente che Alexis non farebbe.” Quando compresi di aver vinto, le risposi con un sorrisetto: “Oh, così mi togli tutto il divertimento.” Becky chinò la testa e disse: “Alloggia in una delle suite dell’InterContinental Hotel, su North Michigan Avenue. Ti conviene entrare dal retro, la puoi raggiungere con un salto, fatti guidare dall’odore. E ti prego, non ucciderlo.” Non badai alla sua ultima affermazione, perché in meno di quattro minuti stavo già correndo verso l’Hard Rock Cafè di Chicago, correndo a perdifiato verso Michigan Avenue. Non mi importava francamente che la gente mi guardasse o meno, anche se forse una persona normale (e Alexis) non superava i duecentocinquanta chilometri orari. Dopo circa quattro minuti avevo raggiunto l’Hotel, la scritta InterContinental Dorata era lucida e brillava sotto la luce della luna. Anche l’ingresso era dorato, e dorate erano anche le decorazioni che ornavano la tettoia sopra il portone principale. Guardai in alto, poi chiusi gli occhi e annusai l’aria. Quattro finestre erano aperte, una era all’ultimo piano. Riconobbi quasi subito l’odore di Henrie, che mi imponeva quasi l’obbligo di seguirlo. Saltai agile su un lampione, e pian piano mi arrampicai salto dopo salto fino alla finestra (potevo fare invidia a spiderman). Mi appollaiai, come un falco in attesa, sul davanzale di marmo freddo e scrutai all’interno della stanza, annusando il forte odore di sangue che circondava l’aria intorno a me. Ed eccolo, Henrie Siona dormiva accartocciato in un lenzuolo bianco che non copriva la sua intera figura, la pelle compatta color bruno chiaro brillava sotto la luce della luna, che filtrava dalla finestra superando le mie spalle. Appena sotto il sedere, coperto da uno striminzito boxer bianco, la pelle aveva iniziato a rabbrividire al vento della notte, e col vento si mossero, quasi impercettibilmente, dei ciuffi neri sulla sua testa. Le palpebre chiuse tremavano ogni tanto, e con loro tremavo anche io, consapevole che sotto quelle palpebre era nascosto tutto il mio universo, ogni mia speranza ed ogni mio sogno. Saltai giù dal davanzale, ammorbidendo la caduta sulla moquette con una delicatezza impressionante, per evitare che Henrie si svegliasse. Pian piano, spinta da chissà quale forza e per chissà quale motivo, mi avvicinai a lui. Tutto, tutto dentro me urlava “Pericolo!” ma io sapevo, e se lassù c’era un Dio, lo sapeva anche lui, che quella sera non avrei mai potuto commettere un omicidio. Mi sedetti accanto a Henrie, respirando il suo forte odore di buono, riuscii solamente a guardarlo, vedere la sua gola muoversi per respirare. Era l’unico in quella stanza ad aver bisogno di ossigeno, ma sapevo che, anche se avrei mai dovuto respirare per chissà quale motivo, avrei volentieri donato tutta l’aria nel mondo a lui, solo per vederlo sussultare, per assicurarmi che stava vivendo quel secondo in più. Pian piano, stando attenta a non sveglialo, appoggiai la mia mano sulla sua spalla, calda come sabbia d’estate. Sentii il suo sussulto ancora una volta, mentre entrava in contatto con la pelle delle mie mani, fredda e compatta come marmo. Poi la feci scorrere lungo il braccio e presi la sua mano nelle mie. Le strinsi, quasi dimenticandomi che io non dovevo assolutamente essere lì, e che solo stringendo un po’ più forte avrei potuto fracassargli le falangi. Strinsi la sua mano come fosse l’unico appiglio rimasto che mi legava al mondo, come se finalmente avessi trovato un appiglio per risalire dal mio baratro. Lasciai passare del tempo, ferma di fianco a lui, tenendogli la mano, cercando di respirare i suoi sogni. Poi chissà come, chissà cosa mi aveva fatta muovere, mi ritrovai sdraiata di fianco a Henrie, a respirare il suo sangue, fissando quelle palpebre chiuse che nascondevano l’infinito. Iniziai a contare i suoi respiri e chiusi gli occhi, quasi come se potessi addormentarmi, provando una calma, una pace immensa, come non provavo da tanto tempo. Vedevo la sua gola sussultare ad ogni respiro, e allora presi ad accarezzarlo sul collo. Vedevo le sue spalle incurvarsi, e lo accarezzavo sulle spalle. Fissavo le sue mani spostarsi e allora le stringevo tra le mie. Ogni suo piccolo movimento creava in me ondate di tenerezza che mi facevano pensare che si, forse il mondo non era un posto così crudele. Qualcosa mi fece pensare che Henrie stesse avendo un incubo, e non seppi perché, ma iniziai a dargli dei piccoli baci lungo la guancia morbida. Mentre la mia gola bruciava come un aerostato, notai la differenza tra la mia guancia, dura e gelida come diamante, e la sua guancia, morbida e soffice come seta e piuma. Continuai a baciare il suo collo, le sue spalle, mentre con le lacrime segnavo il contorno del suo corpo. Forse singhiozzai troppo forte, perché sentii Henrie muoversi e, pian piano, svegliarsi. Tornai velocemente sul davanzale mentre lo guardavo stropicciarsi gli occhi. Mentre mi lasciavo scivolare giù dalla finestra, un raggio di luna fece in tempo a trafiggere il mio cuore e illuminare poi il verde dei suoi occhi, dove abitava, abita e abiterà sempre, il mio infinito.

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Capitolo 7
*** Se sono già arrabbiata, non bisognerebbe girare il dito nella piaga. ***


Se sono già arrabbiata, non bisognerebbe girare il dito nella piaga.

 
Tornai a casa ansante, aprii la porta mentre Becky e Ren facevano un castello di carte, Sophian suonava il Saxofono e  Alexis lo ascoltava rapita. E uno due, tre, sentii la presenza distratta di Becky nella mia mente, il suo urlo soffocato, quel fissarmi grave di rimprovero. Prevenuta, iniziai a dire: “Bè, non puoi dire che l’ho ucciso.” Becky fece tanto d’occhi alla mia affermazione, e rispose: “Come hai POTUTO! Come puoi anche solo PENSARE di innamorarti di un umano! Non.. non so nemmeno cosa dire sugli avvenimenti delle ultime due ore della tua vita!” Alexis s’intromise subito, chiedendosi preoccupata: “è… è lo scrittore che dicevi oggi Becky? Sta… sta bene?” Fu quello “sta bene” a scatenare la mia ira. “Sta BENE? Se ben ricordo, come dicevi stamattina, la sorella maggiore sono IO! Quindi non c’è assolutamente nessun pericolo che io perda il controllo in una situazione come questa! Soprattutto se, nonostante l’odore del suo sangue, è il ritratto dell’uomo che amo! COSA FARESTI se dicessi “Bene, io voglio trasformarlo in vampiro per stare per sempre con lui”?” Ren, tentò di calmarmi subito, dicendomi: “Chloe, lo sai che non lo faresti, ci sono cose che non puoi fare nemmeno tu. Sai quanto è stato doloroso per me e te creare Dorian, Lex e Sophe, e sai quanto ha sofferto Becky creando noi… “ Alexis, che ancora non aveva capito quando chiudere la bocca, ribatté “E poi, un altro vampiro, pff… intendi veramente rivelare la nostra esistenza a quel ragazzo, trasformarlo, fargli soffrire anni di omicidi e di sete, solo per riavere Dorian di fianco a te?” Gli occhi mi si appannarono di lacrime, piangevo per la rabbia, tentai anche di parlare, ma riuscii a dire solamente: “Solo per riavere… ma come OSI…” Poi, per fortuna, le braccia di Ren mi avvolsero in una morsa, o mi sarei scagliata contro Alexis e contro l’indifferenza di Sophian, che durante tutto questo dialogo era rimasto imperterrito a suonare il suo Saxofono. Ren disse a bassa voce, trattenendomi potente tra i suoi muscoli d’acciaio “Sentite, voi due, ora io e Becky andremo in camera di Chloe, e cercheremo di parlare un po’ dello scrittore e… di altro. Vi prego, non cercate di intromettervi, perché l’atmosfera è già abbastanza calda senza che nessuno ci spii.” Come sempre, seguii Ren senza proferire parola, poiché oltre ad essere mio cugino ed il mio migliore amico, spesso aveva anche un’influenza paterna su di me, così come Becky aveva la sua parte di influenza materna. Ancora una volta, in quella giornata che sarebbe rimasta impressa nelle vite di tutti noi, io e Becky ci trovavamo a parlare sotto il balconcino del mio letto rosso e nero, stavolta accompagnate da Ren, che ci fissava appoggiato allo stipite in stile barocco della porta. Becky mi fissò ancora una volta e mi chiese: “Ora, ora che sei stata del tempo con l’umano, nonostante io non creda che tu abbia capito qualcosa in più, sai cosa vuoi fare?” Con Becky non potevo certo arrabbiarmi, e quindi risposi pacata “Io.. No, non lo so.” “Secondo me… dovresti continuare a vederlo. Purtroppo solo io posso vedere i tuoi occhi quando guardi quelli di Henrie, o quelli di Dorian. Quell’uomo, o vampiro, è la tua ossessione. L’amore non può portarti da nessuna parte, se lo vivi in modo ossessivo, e quindi, vedendo che resisti in modo follemente facile all’odore inebriante del sangue di quel ragazzo, puoi continuare a vederlo. E chissà, forse con lui potrai guarire da questo mal d’amore che hai da quando Dorian è andato via.” Ren semplicemente fissava Becky, mentre lei diceva le parole che avrebbero cambiato la mia vita, quasi come una benedizione di un genitore ad un matrimonio. Sorridendo, io risposi: “Se è quello che credi tu, io sono sicura. Mi conosci meglio di me stessa, e puoi abitare nella mia mente. Nessuno psicologo potrebbe avere le stesse credenziali!” Ancora una volta, Ren ci fissava, e piano, in un sussurro flebile nell’aria della mia stanza che profumava di vaniglia, disse: “Qualsiasi cosa riterrai giusto fare, io asseconderò. Io non voglio vedere una sorella soffrire.” Ren disse solo questo, e poi ci intimò di scendere ancora da Lex e Sophe, sperando che le brutte sorprese di quella giornata fossero finite. E invece… Invece trovammo Lex e Sophe seduti sul divano a confabulare, entrambi smisero di parlare solo quando Ren tossicchiò per far parlare Becky, che parlò con voce perentoria:  “Chloe frequenterà l’umano. Abbiamo deciso che visto l’autocontrollo che ha dimostrato nel vederlo questa notte, non gli farà del male, e forse quel ragazzo la può aiutare nel dimenticarsi finalmente di Dorian.” A questa parole Sophian, che fino ad allora non aveva proferito parola, disse, fissandomi spavaldo: “Oh bene, come se il nostro clan non fosse già colpevole di abbastanza omicidi. GODRÒ quando tornerai a casa gonfia del sangue di quel povero ragazzo.” I miei occhi, improvvisamente, tornarono rosso cremisi, presi Sophian per la gola e lo spinsi contro un muro. Col braccio destro lo bloccai sul collo e puntai l’indice della mano sinistra a pochi millimetri dai suoi occhi verde brillante. La mia voce usci dalla gola come un sibilo, e dissi: “Morditi la lingua, ragazzino, perché il sangue di vampiro che scorre nelle tue vene è il MIO. IO ti ho dato la vita. E posso anche riprendermela.” Ebbi il tempo minimo per sbattere le palpebre offuscate dal veleno che rendeva i miei occhi rossi fuoco, e in quella minima frazione di secondo, tra l’urlo soffocato di Lex e il grido di “NO!!” di Ren, Sophian Des Lyren sparì nell’ignoto.

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Capitolo 8
*** Comunque vada io ti aspetto qui. ***


Comunque vada io ti aspetto qui.

 
Erano passate circa cinque ore da quando Sophian era sparito, e ancora né io, né Becky, sapevamo come far smettere di piangere Alexis. I suoi singhiozzi risuonavano nell’aria vuota come squarci di coltelli, e tutti noi cercavamo di dare il nostro contributo per ritrovare Sophian. Becky fissava il vuoto davanti a se, cercando di individuare la mente del ragazzo che viaggiava nel globo a velocità sorprendente. Ma se lei non riusciva ad individuarlo con la forza del suo potere, io non potevo deviare la suavolontà e costringerlo a tornare da noi, cosa che Alexis, innamorata e senza scrupoli, mi aveva esplicitamente chiesto di fare. Ren camminava per la casa piano, con le mani si accarezzava il mento e proponeva milioni di luoghi diversi dove Becky poteva cercare con la mente. Ma niente, appena riuscivamo ad individuare dov’era, lui sentiva la presenza di Becky nella sua mente e scappava in una frazione di secondo dall’altra parte del mondo. La mente di Sophian era la più complicata tra le nostre, poiché oscillava vertiginosa tra la saviezza e la follia, e quindi Becky, fortemente salda e razionale delle sue convinzioni, non sapeva bene come individuare la mente del ragazzo. Pian piano mi accorsi che stavo vivendo un flashback, perché quella sera assomigliava in tutto e per tutto a quella in cui Dorian ci aveva lasciato. E forse fu questo che mi spinse ad avvicinarmi a Lex e dire, a bassa voce: “Alexis io… io ti capisco, lo sai bene. Ti prego parlami…” I suoi occhi, tristi e dolci come quelli di un cerbiatto, fissarono i miei, e in un sussurro Alexis mi rispose: “Non so dov’è. Capisci Chloe? IO NON SO DOV’È!! Non mi sono mai separata da Sophian, mai, per trecento anni. E ora sono sola seduta su questi stramaledetti gradini, a pregare Dio, Buddha, Maometto e altri milioni di dei per farlo tornare da me… come ha potuto farmi questo!” Il suo dolore lasciava tutti senza parole, lei, lei che era sempre stata quella forte, che non si piegava alla pietà e alla compassione, che aveva pianto rarissime volte nella sua vita e che teneva la nostra famiglia come uno dei pilastri principali, ora sembrava così fragile, così piccola mentre tratteneva la testa tra le gambe e si abbracciava in una morsa stretta. “Alexis… io non so che dire. Non possiamo vederti così…” In quel preciso momento, a Ren venne un’idea e Becky, che la vide con pochi secondi d’anticipo, si congratulò col suo compagno per la prontezza di spirito e per i nervi saldi. “Chiamiamo la congrega di vampiri nell’Oregon”. Questa congrega, composta da una coppia di ragazzi e dalla sorella di uno di loro, viveva nella città di Eugene, in una piccola fattoria vicino al fiume Willamette, e John Knowar, il più grande della famiglia, possedeva un dono speciale: poteva individuare le persone ovunque esse si trovassero. Avevamo chiesto il loro aiuto il giorno seguente alla scomparsa di Dorian, ma non erano stati molto accondiscendenti poiché Sarah, sorella di John, aveva un debole per il mio compagno, e si era opposta con tutte le forze al nostro desiderio di ritrovarlo, richiedendo il silenzio del fratello maggiore come un favore personale. “Ren, tu lo sai che…” Ma m’interruppe subito, rispondendo alla mia domanda non ancora formulata: “Si, lo so che la sorella di Knowar non ci adora. Chiederemo sia a John sia al suo compagno… di venire soli.” Lentamente mi avvicinai a Lex, dicendo: “Se non vorranno vedermi, a me va bene. Se chiederanno la mia assenza, io me ne andrò e non mi farò vedere. Semplicemente se Sarah sarà con loro, portando ancora rancore, io andrò via per tutto il tempo nel quale loro saranno qui. Ma ti prego, ora basta pensarci, domani mattina telefoneremo a John e Harry, e vedremo cosa si può fare.” Feci alzare Lex tenendola per la mano, e lei si fece trascinare come un sacco di juta vuoto. Intimai a Ren e Becky di salire in camera, sarei stata io con lei.
Quella notte, guardammo tutti i suoi film preferiti: Intervista col Vampiro, La regina dei Dannati, Ghostrider, Juno, Dead Poet Society, io tentavo di ridere alle battute degli attori, mentre lei fissava lo schermo, imbambolata. E vederla in quello stato faceva molto più male che vederla piangere sui gradini del patio.
La mattina seguente, già poco dopo dell’alba, Alexis iniziò a sfogliare le agende presenti in casa per trovare il numero di telefono del clan di Eugene, cercando di accelerare i tempi (“Verso le nove del mattino telefoneremo” aveva detto Ren) che la separavano dal suo Sophian. “Chloe, Chloe, non trovo il numero!!” Sbuffai e mi grattai la testa, rispondendole: “Dio, sei una vampira! Ti basta ricordartelo!” “Ah, già”, sbuffò Lex tra i denti, mentre si lasciava cadere sul divano, e per far passare il tempo cambiava il colore della pelle bianca sulla quale era stravaccata. Rosa, Giallo, Verde, Nero, Blu, Lillà, Arancione, Rosso fuoco... “BASTA!” Al suo urlo, l’impianto Hi-fi si tranciò in due metà nette. “Ops, credo di aver perso il controllo.” Ed ecco che, calmandosi, rimarginòlo stereo come se fossero i lembi di una lettera di carta. “Lo vedo... Ti prego Alexis, controllati!” Il suo potere mi faceva paura. Era come fuoco vivo, nel perdere il controllo poteva distruggere qualsiasi coa volesse. Strano, tanto potere racchiuso in una figura così piccina. “Allora, che si fa?”  La fissai negli occhi, tentando di celare la mia paura. “Puzzle?” Sussurrò Alexis tra i denti. “Come vuoi te.”  Sapevo che era nervosa, lo sentivo nell’aria, era come più pesante, ma non dissi nulla. Nemmeno mentre la aspettavo e la guardavo cercare un puzzle da mille pezzi che finì con forzata lentezza, con le guance che impallidivano (fu quasi un’eufemismo, vedere le sue guance color avorio diventare ancora più bianche) dissi qualche parola su Sophian. Sentivo che non voleva parlare. Non voleva cacciare. Non voleva pensare. Voleva solo Sophian. Era come vedersi in uno specchio che ampliava le sofferenze e i difetti.


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Capitolo 9
*** Certe cose non dovrebbero succedere. E invece... ***


Certe cose non dovrebbero succedere. E invece...

 
Alle nove e un minuto, Ren e Becky scesero al piano di sotto, vestiti di tutto punto e pronti a chiamare il clan di Eugene al più presto possibile, per poter contenere la rabbia di Alexis, che sembrava sul punto di scoppiare da un momento all’altro. Becky prese il viso di Alexis tra le mani, e anche se a vederle così vicine sembravano veramente sproporzionate e incompatibili, la abbracciò dicendo: “Alexis, vuoi parlare tu?” “Non credo sia una buona idea. Riesco a stento a trattenere le lacrime così, credo che parlare con qualcun altro all’infuori di voi sarebbe  una catastrofe.” Mi intromisi nel discorso “Forse è meglio che chiami tu, Ren. Credo che tu sia quello più preparato a gestire questa crisi. E poi io devo andare a lavoro, quindi Becky dovrà stare con Alexis.” Becky mi sorrise piano, dicendo ad Alexis “A te va bene?” Lei annuì piano con la testa, mentre Ren raggiungeva il telefono a velocità impressionante. Tu, tu, tu... e poi una voce di donna disse: “Pronto, fattoria Knowar di Eugene” Oddio, era Sarah. Sentire la sua voce, anche in lontananza, mi infastidiva. Se solo pensavo che era per colpa sua che non potevo sapere dove fosse Dorian... Presi il cappotto e corsi a lavoro. Avevo una strana sensazione, tuttavia. Come se lasciando quella casa scampassi ad un piccolo disastro, per avviarmi ad un cataclisma. Come... se stesse per succedere qualcosa di ignobile. Mi sentivo in colpa, mi sentivo inquieta. E nonostante tutto avevo molta, moltissima voglia di rivedere Henrie. Dopo la scorsa notte, ero certa che avrei potuto mantenere il controllo in qualsiasi caso, e quindi pensavo che, si, forse mi era concesso rivederlo e stare con lui.
Era un’idea folle.
Arrivata a lavoro, mi accorsi che ciò che mi serviva era un.. numero di telefono. Potevo anche aver “dormito” con Henrie, ma lui non lo sapeva, quindi niente gli imponeva di richiamarmi! Imposi al mio adorabile capo di raggiungermi all’ingresso. Ma mentre lo sentivo avvicinarsi, un odore fin troppo familiare mi attirava nel mio ufficio. Poteva forse essere che.. ? Ma no, era impossibile. “Chloe! Ma che fine hai fatto ieri?” Oh oh. Mi ero dimenticata della fulminea fuga del giorno precedente. “Mi scusi signor Downey, ho avuto un piccolo attacco di...” Sete di sangue? Voglia di uccidere? “...mal di testa, mi spiace.” “Ohhhh non importa cara, non importa. Ma ora devi sbrigati, il signor Siona è nel tuo ufficio che ti aspetta per discutere da dove siete stati interrotti ieri e mi ha chiesto espressamente di non trattenerti, quindi...” “Scusiii?!? Ha detto che Henrie Siona è qui?!?!” Ecco come mai sentivo il suo odore! “Certo cara. Ora ti conviene sbrigarti, quando è arrivato sembrava stranamente... impaziente.” Mi avviai al mio ufficio improvvisamente intimorita. Era reale, Henrie era lì. Aprii la porta tremando e indugiando sulla maniglia. Alzai lo sguardo e riconobbi subito le sue spalle. Aveva rivolto la sedia verso la finestra di modo che io non potessi guardargli il viso, portava una maglietta grigia con un piccolo gilet nero, fissava il vuoto davati a se senza dire nulla, respirando appena. E sotto la nuca, dopo i capelli rasati con precisione, vedevo le vene del suo collo pulsare vive. “Henrie... cosa ci fai qui?” “Credevi che dopo ieri notte non sarei venuto a cercarti?” Iniziai a tremare, non mi era mai capitato prima. Forse nella mia vita umana, ma non era abbastanza nitido come ricordo per essere rievocato. “Non credevo che... Pensavo...” “Cosa pensavi?! Avanti, dimmelo. Non pensavi che io fossi sveglio? Non pensavi che potessi sentire che una donna così affascinante fosse entrata nel mio letto raggiungendolo dalla FINESTRA?!” Fu allora che si voltò a guardarmi, fisso negli occhi. Il suo sguardo attento e riflessivo mi disarmò. “Henrie, posso spiegare.” “Avanti, sono tutt’orecchi. Mi puoi spiegare cominciando dal fatto che la tua pelle è gelida, o dal fatto che ieri hai fatto un salto di circa sedici metri d’altezza? Oppure mi puoi spiegare perchè.. perchè... NON PROVI DOLORE?” E pronunciando quelle ultime parole, raccogliendo le sole, misere forze chiuse nei muscoli delle sue ridicole braccia umane, mi tirò uno schiaffo. Non riuscii a prevederlo, sentii solo il lieve tocco della sua mano sul viso, e quattro delle sue dita rompersi. Ma non era abbastanza. Dal centro della sua mano si aprì una piccola ferita, un minuscolo taglio dal quale iniziò a sgorgare sangue. Presi fiato rapidamente, poi mi coprii le labbra con l’interno del gomito: “Henrie, spostati...” Ma lui indietreggiò invece, fermo contro un muro. Guardò la sua stessa mano sanguinare copiosamente, e purtoppo, mi ritrovai a fare lo stesso. “Henrie, VATTENE.. ORA!” Ma lui non si mosse, era come pietrificato “Oh mio Dio...!” Sussurrò. E mentre puntava lo sguardo sui miei occhi ormai bordeaux cupo, una goccia del suo sangue cadde sul tappeto grigio antracite.
E lì persi il controllo.
Saltai lieve sulla scrivania, appollaiandomi come una leonessa che pregusta la preda, rotai gli occhi in un gesto più animale che umano e mi lancia sulla mano di Henrie Siona, iniziando a succhiare soddisfatta il suo sangue. Pian piano il povero scrittore diventava pallido, perdeva le forze sospirando. Ma poi, assurdamente, furono le sue parole a farmi riacquistare il controllo.  Sospirando mi fissò e disse, con quella voce in tutto e per tutto identica a quella di Dorian: “Chloe, Ti prego...” Improvvisamente riuscii a staccarmi dalla sua mano, leccando la ferita che si rimarginò all’istante. Mentre il sapore dolcissimo e inebriante del suo sangue era ancora sulla mia lingua, lo pregai di perdonarmi. “Herie...” “Ma che diavolo...” “Herie, ascoltami, ti prego.” “Cosa sei... Cosa CAZZO SEI!” Sui suoi occhi regnava sovrana la paura, il verde incredibile delle sue pupille era dolatato e le palpebre spalancate a mostrare il bianco. “Henrie, Io... Sono...” Stavo per infrangere una delle regole più importanti tra noi vampiri, una regola non pronunciata che tutti noi dovevamo rispettare: NESSUN UMANO POTEVA SAPERE DELLA NOSTRA ESISTENZA. “Credo che tu abbia capito cosa sono.” Henrie si avvicinò cauto a me “Sei... un vampiro?” “Già. Ora puoi scappare, puoi andartene urlando..” “...Ma non lo farò. Sapevo che in te c’era qualcosa di strano...” Dio, quell’uomo era semplicemente straordinario. “Da quanto lo sapevi?” “Il salto di ieri sera, il freddo della tua pelle... avevo preso in considerazione l’idea, ma mi sembrava assurda. Forse sto ancora sognando...” E dicendo l’ultima frase lasciò scappare un sorriso. Avrebbe mai potuto perdonarmi? Dimenticare ciò che era appena accaduto? Ciò che io ERO? La paura, contorceva il mio stomaco, e per un’attimo mi sentii molto più umana di quanto avessi mai potuto immaginare. “Ti amo, Chloe!” “Scusa, PUOI RIPETERE?” Henrie si avvicinò a me e mi prese il volto tra le mani. “Ti amo. Ti amo. Ogni volta è come dirtelo la prima volta. Non so cosa sento quando ti guardo, so solo che in un modo strano.. ieri sera.. quando eravamo vicini...” “Henrie, ma sei totalmente IMPAZZITO?” “Si, all’inizio ho preso in considerazione l’idea.” Ma non potei ribattere. In quel momento avvicinò le sue labbra alle mie e mi baciò. Baciò le labbra che cinque minuti prima avevano bevuto il suo sangue, e sciolse ogni mia difesa. Sentivo il sapore delle sue labbra gonfie di sangue sulle mie, e pian piano impazzivo. Pian piano andavo alla deriva. Poco prima che perdessi ancora il controllo, poco  prima che mordessi il suo collo per bere ancora da lui, squillò il mio telefono, e mi diede la scusa per separarmici. Era... Alexis? Risposi repentina. Di solito non chiamava mai, quindi doveva essere successo qualcosa di grave. “Lex! Dimmi tutto.” La sua voce terrorizzata mi rispose “Chloe, torna a casa, ti prego. È successo un disastro...” E d’improvviso mi ritrovai a guardare con degli occhi che non erano i miei. Correvo nel deserto, disperata, spinta da odio e amore. E ancor più d’improvviso, sentii cambiare una volontà che controllavo da troppo tempo.
Dorian stava tornando.
Guardai Henrie per quella che pensavo sarebbe stata l’ultima volta, e in un certo senso speravo di non rivederlo più. Mi avvicinai a lui in ultimo, estremo impeto di resistenza e lo abbracciai, dicendo: “So che tra noi non ci sarà nulla più di questo ma per quello che vale... Ti amo anche io.” Poi uscii dall’ufficio, correndo verso il mio destino che si avvicinava a gran velocità.


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Capitolo 10
*** Che cosa mi racconti di bello? ***


Che cosa mi racconti di bello?

 
Arrivata a casa, lo scenario era tragico.
Becky e Ren erano seduti sul divano, lei con uno sguardo preoccupato e tuttavia riflessivo, chiusa tra le braccia dell’uomo che amava, quasi come un’ancora di salvezza. Accanto al caminetto John Knowar era appoggiato al muro, e davanti a lui era in piedi Harry Moriarty, il suo compagno, al quale cingeva le spalle con forza e risoluzione. Harry era una figura molto particolare. Non parlava molto, era timido e poco sicuro di se, ma era una persona riflessiva e se interveniva, lo faceva con contegno e riguardo nei sentimenti altrui. Era molto amico di Alexis, nonostante la loro lontananza, erano rimasti in buoni rapporti anche dopo le tensioni causate dalla fuga di Dorian ai nostri clan. Di fianco a loro, Sarah Knowar era seduta impettita con le gambe accavallate in modo innaturale. I capelli corvini incorniciavano il suo viso di molto più vicino a quello di un gatto che a quello di un umano, gli occhi azzurri mi fissavano riflessivi e timorosi, ma non in collera. Sarah era... disarmante. Molto più bella di me, molto più immatura, sciocca e bambina. Eppure in lei vedevo molto di me. La materialità, la gelosia, la possessività... Ogni volta mi chiedevo perchè Dorian avesse scelto me e non lei. Di fianco a Sarah, Alexis era appoggiata e stringeva con forza il braccio di.. Sophian. Mi ritrovai col cuore in gola prima ancora di riuscire a parlare “Sophian!” Lui ovviamente non si alzò a salutarmi, e io capii che non lo faceva perchè era arriabbiato con me, bensì perchè la stretta di Alexis non era un abbraccio, ma una corda che lo teneva legato e impediva lui di scappare, alzarsi, muoversi. “Chloe! Mi spiace...” Ma prima che potesse continuare, Alexis lo fissò e disse “Ora che ci siamo tutti, devi dirci dove sei stato. Perchè sei tornato di tua spontanea volontà?” e dicendo questo lasciò Sophian perchè si potesse alzare e iniziare il suo racconto. “Era notte qui a Chicago, ma giorno nel deserto del Sahara, Becky mi ha confermato che l’ultima volta che mi ha visto è stata proprio lì. Mentre tentavo di scappare un’altra volta dall’altra parte del mondo, sento dei passi e delle parole in arabo, un gruppo di beduini si avvicinava e siccome la sete si faceva sentire, decido di attaccare il gruppo. Proprio mentre attacco l’ultimo umano, sento una voce familiare che dice “Ti manca la solita classe, Sophe.” E mi ritrovo abbracciato a Dorian che mi saluta come se fossi suo fratello.” Le gambe mi cedettero e dovetti sedermi, caso strano, proprio tra Alexis e Sarah. Tra una delle mie migliori amiche.. e la mia peggior nemica. “Hai detto.. DORIAN?” Sophian mi fissò compassionevole “Si, Dorian. Subito dopo inizia a chiedermi di te, e io sapendo come stai non gli rispondo. Lui diventa pazzo, inizia a dirmi “Dov’è? Con chi è?” e poi... buio. Inizia a torturami... per avere un pò di informazioni su di te. Faccio per alzarmi, dolorante, e dirgli qualcosa, lui si volta e... torno a casa.” Tutti sapevamo cosa Dorian era capace di fare, il suo dono era la tortura. Non un’immagine di dolore, ma vera e propria tortura fisica, che spiegava i tagli mal cicatrizzati dal veleno sul braccio di Sophian. “Oh mio Dio Sophe... ma perchè non gli hai detto quello che voleva?” Il mio tono stesso di voce era sconvolto dal lato brutale e animalesco di Dorian. “Perchè so come ti senti. Solo tu puoi scegliere se Dorian può riaverti, io non sono nessuno per scegliere per te.” Ren fece per intervenre, ma venne zittito dallo sguardo di Alexis “Dio mio, ti ha torturato! Se quell’uomo tenterò di entrare nella MIA casa, io ti giuro che...” “...No.” Sophian si impose con forza alle parole della sua compagna “Dorian tornerà o non tornerà, la decisione non è ne tua, ne mia, ne di nessun’altro in questa casa se non di... Chloe.” Quel pazzo di Sophian era riuscito a stupirmi ancora una volta, la sua logica fuori dal comune ancora una volta aveva il sopravvento su ciò che una situazione del genere imponeva di fare. La decisione era mia, ma cosa scegliere? Forse... Ma all’improvviso ecco un’altra visione. Correvo verso Springfield, parallela all’autostrada, in una zona molto vicina a Nashville. L’unica cosa che mi accompagnava erano lacrime e odio, e a volte anche desideri suicidi. Le voci della mia famiglia e dei miei amici erano lontane da me, L’unica cosa vicina era... “Dorian!!” Becky si avvicinò cingendomi le spalle, e Alexis sussurrò preoccupata “Chloe, che hai?” La mia voce tremava spaventata “Dorian! È qui... Dorian... sta arrivando, è vicino!” E a questa frase seguì il più assurdo, primordiale, incontrollato e indefinibile... caos. Sarah Knowar corse verso il fratello che le strinse la mano dubbioso, Alexis strinse di nuovo Sophian in quella morsa protettiva, Becky e Ren si avvicinarono guardandosi fissi negli occhi. Becky mi parlò da lontano: “Chloe, come puoi...? Riesci a VEDERE la sua volontà?” Chiusi di nuovo gli occhi. Era semplice, avevo sempre avuto un contatto speciale con la mente di Dorian. “Si Becky. E non vedo buone probabilità di sopravvivenza.. per lui. Vuole me, si sente in colpa verso Sophian, vuole rivedere te e Ren, vuole UCCIDERSI.” “Non lo farà.” Una voce inaspettata mi aveva distratto dai miei pensieri.  Sarah mi aveva appena parlato con quella sua vocetta leggera e frivola, buona per un sordo o un ritardato, dolce e nauseabonda come il miele zuccherato. “Per quanto mi riguarda.. può stare con te. I rapporti tra i nostri clan sono salvi, qualsiasi cosa accada.” Non sapevo come prendere quell’affermazione. Da un lato ero contenta, i nostri clan erano finalemnte riappacificati dopo tanto tempo e queto mi rendeva felice. Dall’altro, ero furibonda del fatto che Sarah potesse anche solo pensare di poter disporre della mia vita. Tuttavia, ero troppo sconcertata per poter badare a Sarah. Per un’attimo realizzai l’entità dei danni della mia voglia di riavere Dorian attraverso Henrie. Poi riflettei sul da farsi. E quando capii che non c’era niente da fare, che tutti eravamo condannati ad almeno una perdita dolorosa, caddi a terra quasi svenendo, e Ren mi recuperò un centimetro prima che io toccassi terra.

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