Mythoi Ellenika - I Miti Greci di silencio (/viewuser.php?uid=16221)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo, Teogonia ***
Capitolo 2: *** Capitolo I, JULIAN ***
Capitolo 3: *** Capitolo II, Alexandros e Cassandra ***
Capitolo 4: *** Capitolo III, Sarasvati ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV, Il risveglio del Mito ***
Capitolo 1 *** Prologo, Teogonia ***
Mythoi
EllenikA
I Miti Greci
Prologo
Teogonia, Esiodo.
Mousaon
Heliconiadon archometh’aeidein
Ai th’Heliconos echousin opos mega te zatheon te
Kai te peri kronon ioeidea poss’apaloisin
Orcheuntai kai bomon epistheneos Kronionos.
Cominciamo il canto dalle
Muse
eliconie
che di Elicona possiedono il monte grande e divino
e intorno alla fonte scura, coi teneri piedi
danzano, e all'altare del forte figlio di Crono;
Dal labbro alle Dive la voce scorre soave, infaticabile.
Cantan dei Numi la lunga storia, di Zeus Egioco e dei suoi,
cantan dei mortali, stirpe dolente, e dei Giganti.
Creatrici di dolci carole, figlie di Mnemosine, io vi chiamo:
Tersicore, Polimnia, Melpomene, Urania, Talia,
Euterpe, Erato, Clio, Calliope dolcissima,
Figlie di Zeus, l’amabile canto a me date.
In principio fu il Caos,
e da egli furono Gea, madre dall’ampio seno, terra ove hanno
sede uomini, Dei e tutte le creature; il Tartaro buoio e fondo; Eros
dalla forte fiamma, bello fra i celesti, che doma tutti gli uomini e
Numi ed ogni accorto consiglio; Erebo dolente e Notte, riposo dei
mortali, giunsero in fine. Essi furono tutti generati da Caos. E dal
caos fu il cosmo.
Erebo giacque in amore con Notte ed ella generò Etere ed
Emera e Caronte, traghettatore d’anime. E poi Notte
generò senza amorosa unione Moros il destino e Thanatos la
Morte ed Hypnos il sonno, divini gemelli, Nemesi crudele vendetta, Momo
la Colpa ed Eris la Discordia ed Apate ingannevole. E da Moros sorsero
le tre sorelle Atropo, Cloto e Lachesi, le Moire ricamatrici.
Gea materna, per primo generò a se simile Urano dalle
cerulea fronte, cosparso di stelle, che tutta potesse coprirla e fosse
sede eterna dei Numi Immortali. E generò i Monti, sede
gradita alle Ninfe, ed il Ponto che gonfia ed infuria, e da lui
nacquero Euribia e Nereo padre delle Nereidi fanciulle.
Poi con Urano giaciuta, la Madre Antica generò
l’Oceano profondo e Ceo, Crio, Giapeto, Mnemosine, Temide,
Rea, Iperione, Tea, l’amabile Tetide e Febe
dall’aurea ghirlanda. Ed in fine, funesto fra tutti, ebbe
luce Crono, scaltro consiglio, odio paterno, fra tutti i figli il
più tremendo.
In seconda unione con Urano, senza gioia d’amore, impeto di
violenza, Ella generò i Ciclopi che hanno un solo occhio
nella faccia, Sterope, Bronte ed Arge, questi i nomi dei fierissimi. E
poi i Centimani terribili, Cotto, Briareo e Gige, cento braccia e cento
teste.
Ma il Padre terribile sorte aveva per i figli, che ad ogni nascita nel
Tartaro profondo li gettava.
Dell’opera triste godeva Urano Signore, e la Terra gemeva
provata dal dolore, straziata dalla sorte dei figli amati; e
un’arte pensò, una malevola frode, vendetta contro
lo sposo violento.
Dal cinereo ferro, subito generò con rapido gesto una
pietra, l’Adamantio, e da essa una gran falce estrasse.
Convocò poi i figli Titani, e chiese loro, con forza
nell’animo e tristezza nel cuore, di sollevare la mano contro
il padre,che a lor danno rivolse per primo nella mente, ma nessuno di
essi, per timore, si fece avanti. Soltanto Crono, signore del Tempo che
scorre, allungò la mano, afferrò la sacra falce,
e con rabbiose parole di crudele auspicio giurò alla
Veneranda Madre. E la Terra immane fu lieta.
E giunse l’ora in cui le stanche membra, vinte dalla
stanchezza, si riposano. Urano giunse, bramoso d’amore per
Gea Fertile, tutto incombette sulla terra, su lei si stese coprendola.
Ma prima che l’amplesso potesse principiare avvenne
l’agguato: Crono di soppiatto balzò, la manca
afferrò del padre le gonadi feconde, impugnò con
la destra la falce tremenda ed il Padre d’un colpo fatale
evirò. E gettò il figlio i testicoli di Urano,
nel mare azzurro così che potesse portarli via.
Ma non senza effetto fu il gesto; gocce stillarono le ferite che
posandosi sulla Terra ella le accolse e col volgere degli anni da
queste generò le Erinni terribili, e gli immani Giganti, e
le Ninfe divine.
E dalle vergogne, nell’ondoso mare, da spuma sorse in ultimo
soave fanciulla, presso Citera e poi Cipro in fine, ella giunse.
Così nacque Afrodite la bella, di tutte le dee la
più tremenda e dolce.
Fra l’urla di dolore, Urano dallo stellato manto, un male
lanciò ai suoi figli; atto malvagio aveano compiuto costoro,
e di questo, come per lui accaduto, un giorno essi ne avrebbero pagato
il fio.
E cosi avvenne che un nuovo sovrano ascese alla dimora ed al potere e
Crono fu signore del nuovo mondo e dominò con scettro
possente su tutti i Titani ed i loro figli.
Da Ceo in unione con Febe nacquero Asteria, Lelantos e Leto, signora
della tecnica.
Congiuntosi con Euribia, Crio ebbe Astreo, Pallante e Perse.
Da Giapeto e Climene sorsero Atlante dalle possenti braccia, che
sorregge tutto il globo celeste, Prometeo dalla lunga vista e
l’immensa saggezza, Epimeteo e Menezio rabbioso.
Iperione si unì a Teia ed ella generò Eos dalle
d’rosee dita, Elios luminoso sole e Selene bella luna.
Oceano e Teti, in amore congiunti diedero alla luce i fiumi che fluenti
dissetano le terre dei mortali e le Oceanine fra cui, la più
illustre fu Stige infera, che in unione con Pallante generò
Cratos il Potere, Zelos l’Ardore, Bia la Forza e Nike la
Vittoria da sempre compagni di Zeus.
In ultimo Crono prese in moglie Rea e da essi venne la stirpe dei
Beati, Signori dell’Olimpo nevoso.
Sei ne generarono, grandiosi tutti in maestà: Poseidone
Ennosigeo fu il primo, dal fremente tridente, ad egli seguì
Ade il lugubre Sovrano, che sui morti e le terre marcescenti ha il
dominio, Demetra madre gentile, che delle messi e dei raccolti fa dono
a gli uomini, Estia del focolare, Era Leucolena, dall’occhio
di Vacca, ed in ultimo Zeus Cronide che su tutti i Numi ha il dominio,
il glorioso.
Ma Crono ebbe ad apprendere, e timoroso per le parole del padre,
tenendo a se caro il seggio, maligne azioni commise anch’egli
sui figli. Come il padre insegna, il figlio esegue. E fu
così che il misfatto si fece: Crono ad uno ad uno, venuti
che erano alla luce, ingoiò i figli, celandoli nel proprio
ventre così che non avesse a subire la stessa sorte di Urano
e nessuno di essi potesse mai ribellarsi.
Ma Rea chiomabella, molto sofferse ed in preda a dolore e pianto, con
gemiti supplicò la Madre Antica d’aiutarla.
Spirito di donna, cuor di madre, il dolore chiama pietà e
compassione, e chi patisce il medesimo supplizio è
più vicino.
Gea corse in soccorso della figlia suggerendole sordido inganno e Rea
udì il consiglio che altro dolore portò in
seguito.
Quando giunse l’ultimo figlio, Zeus Egioco, prese il
fanciullo in morbide fasce Rea e in custodia segreta lo diede alle
Ninfe presso l’Ida, che alto si leva sull’isola di
Creta. Recatasi poi dal crudele sposo, ideatore di mali, al posto del
divino fanciullo, una pietra avvolta in candidi panni diede a Crono e
questi, ignaro, ingannato dalla Sposa e dalla Madre, ingoiò
il simulacro.
Fra i dolci declivi dell’Ida Zeus crebbe, nutrito dal dolce
latte della capra Amaltea dal vello d’orato, protetto dai
Cureti astuti, che battevano sul ferro degli scudi onde coprire i
vagiti del bimbo affamato. Li celato alla vista del padre che molto
vede, il primo fra i Beati crebbe in forza e grazia e sapienza. Molte
amanti ebbe per se, prole divina generò da esse; Metide, che
fu moglie prima di Era, e da ella generò Atena divina,
Mnemosine, madre delle Muse, Leto che generò Apollo e
Artemide, Maia madre di Hermes, Demetra che partorì Kore
Persefone. In ultima giunse Era, che dopo la liberazione ne divenne
sposa e regina e da lei generò Ares, Ilizia ed Ebe.
Ma giunse il tempo in cui la madre richiamò il figlio ed
egli, con la consorte Metide, obbedì all’appello.
Con l’ausilio dell’astuzia femminile, desideroso di
liberare i propri fratelli, Zeus ordì un piano per
spodestare Crono astuto.
Con l’inganno Metide fece bere al sovrano Tempo un emetico
maligno, che subito in spasimi e convulsioni aggredì il
Potente. Ed egli, rotolando giù dal seggio indistruttibile,
vomitò la santissima prole, che avea ingerito. Uno dopo
l’altro, i Beati ritornarono alla luce ed insieme con Zeus
fuggirono.
E fu guerra nei cieli, sulla terra, nei mari e sotto la terra. Tutto ne
venne scosso di tremore e paura. Zeus, su consiglio di Gea,
liberò dal Tartaro i Ciclopi ed i Centimani dopo lunga
attesa, gettati ivi dai tempi di Urano e mai liberati. Ed essi
forgiarono per lui la Folgore, arma invincibile, e con essa il Cronide
si scagliò contro gli Dei Titani.
I due schieramenti contrapposti, da una parte gli Olimpi portatori di
beni e con essi i Ciclopi ed i Centimani e quanti fra i Titani non
sottostavano alla volontà di Crono, Prometeo ed Epimeteo, e
poi i figli i Stige, e Pallante, Astreo e Perse. Dall’altro
v’era Crono furente, con falce dentata, e tutta la stirpe sua
e dei fratelli. Sull’Olimpo stettero i Numi,
sull’Otri i Titani avversi. Di colpi su colpi si fece la
guerra, grande disastro e dolore, e la Terra gemette.
Con la folgore ed il potere dei Centimani, tuttavia, Zeus
conseguì la vittoria, ed il padre Titano, Crono Signore,
rovesciato fu dal seggio celeste ed insieme ai fratelli e la loro genia
gettati nel tartaro profondo e buio. Poi Poseidone eresse solide mura e
spessi cancelli di metallo a chiuderne l’entrata sigillando i
nemici degli Dei per l’eternità. A guardia delle
porte i Centimani vegliano senza sosta.
Fu così che il nuovo regno ebbe inizio. i tre fratelli si
divisero, per sorte, il mondo. A Zeus toccò il cielo, a
Poseidone le mobili acque e ad Ade il regno che sotto la terra giace,
luogo di morte.
Del canto questo è il termine, ma della storia, come e
quando, troppo lungo è il racconto, che il tempo mortale mai
basterebbe a colmare. Di come Prometeo, per amore degli uomini,
rubò il fuoco a Zeus e per questo fu dal Padre incatenato
alla roccia viva del Caucaso, divorato il suo fegato dal cane del
Cronide, l’aquila sua implacabile o di Pandora che, prima
donna, aprì lo scrigno ed il mondo a causa sua fu invaso da
ogni sorta di male.
Questo e molto altro potrei dire, ma qui mi fermo. Il continuo spetta
ad altri.
Free Talk:
Dunque, quanto sta scritto nel presente prologo e quanto
seguirà nei capitoli successivi, quindi, in una sola parola,
la storia per intero, non è nulla di che. Non è
una storia a cui particolarmente tengo al momento, diciamo che la
partii una sera ascoltando della musica, dopo aver letto lo storico
libro di Robert Grave, I Miti Greci, da cui il titolo, e dalla noia che
ultimamente mi ha pervaso. Quindi lo stile, che non è
certamente il mio stuile solito, è decisamente e volutamente
poco curato, la storia si evolve di pari passo alla scrittura e non
c'è nulla di programmato se non le semplici conclusioni del
racconto. Sentitevi dunque liberi, gentili lettori, di criticare,
segnalare gli errori, le omissioni e quant'altro vi va, non mi offendo
di certo, potete anche tacere, nemmeno in questo caso ne
avrò a male. Potrei solo trarre beneficio dalle vostre
parole.
La corrente sezione, Free
Talk, la terrò per ogni singolo capitolo ove
potrò esporre le debite spiegazioni, i ringraziamenti e
quant'altro mi verrà in mente.
Concludo nel dire che il rpesente prologo è tratto, come
suggerisce il titolo, dalla Teogonia dell'inimitabile Esiodo, una summa
diciamo di quanto lui narrò. La parte iniziale, per quei
pochi che non lo sapessero è una citazione dell'incipit
direttamente in greco (non ho usato le lettere originali per permettere
a chiunque di leggere). Forse son l'unica cosa davvero bella e
significativa, proprio perchè non l'ho scritta io. Dico
inoltre d'essermi preso alcune libertà nella composizione
della storia delle divinità poichè molti sono i
miti e discordanti fra loro, tanto da creare un enorme caos
spazio-temporale peggiorato dalla presenza ingarbugliata di nomi e
luoghi.
Tutti i nomi di divinità qui citate saranno presenti nella
storia quindi son da tenere bene in mente, il proglogo stesso, inutile
dirlo, è indispensabile al racconto. per chiarimenti o
altro, basta contattarmi come recensione o sul mio profilo.
Silencio
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo I, JULIAN ***
Capitolo I
JULIAN
Quando Julian si
svegliò, la giornata parve iniziare come di consueto. Alle
sei e quarantacinque precise la sveglia sul comodino
cominciò allegramente a trillare come tutte le sacrosante
mattine, ed esattamente come tutte le mattine Julian, infastidito dal
suono di quel malefico aggeggio infrangisogni, tirò un
calcio male assestato alla sveglia, mandando a sbattere dolorosamente
l’alluce contro lo spigolo del comodino.
Ovviamente il dolore fu tale da farlo saltar per aria più
che il botto di una bomba atomica scagliata nel giardino di casa sua.
Gettando un urlo disumano, il giovinotto balzò
giù dal letto, e mentre con ambo le mani afferrava di fretta
il piede ferito mugolando e guaendo, con l’altro saltellava
come un povero scemo per tutta la stanza. Era proprio il caso di dire
che il buongiorno si vede dal mattino, e di questo, Julian ne avrebbe
avuta conferma di lì in avanti.
Intanto, svegliata dal trambusto, la madre di Julian, la dolce e
zuccherosa Mary-Sue, si diresse con passo assonnato, sfregandosi gli
occhi, nella camera del figlio. Aprendo la porta, le apparve la scena:
una stanza di medie dimensioni, arredata in modo assai spartano con un
letto a muro, un comodino, una piccola scrivania di legno, un armadio
per gli abiti e delle mensole qui e lì, un gran tappeto che
ricopriva il pavimento quasi per intero, di un accesissimo colore verde
pisello, che faceva palesemente a pugni con l’intero
arredamento (di color nocciola). E in ultimo, il caos. Un enorme,
immenso, incommensurabile caos. Libri sparsi ovunque, sulla scrivania,
sul tappeto, sulle mensole, e poi scarpe, vestiti spiegazzati alla meno
peggio, cumuli di calzini, pacchetti di patatine e altra robaccia mezza
smangiucchiata ovunque. Insomma, il disordine più
totale… ah, dimenticava, in mezzo a tutto questo
c’era anche Julian che saltellava come un povero scemo
reggendosi un piede, ma questo l’ho già detto.
-J-Julian…?- disse lei, intontita, immobile sulla soglia.
Il figlio, udendo la voce della madre, si girò di scatto
verso la porta, colto alla sprovvista. Mai azione fu più
nefasta. A causa di un’impercettibilissima torsione del
busto, l’equilibrio precario crollò
definitivamente, portando giù nella rovinosa caduta anche
Julian che, ahilui, finì a terra con un urletto parecchio
acuto e certamente poco virile. Fortuna per il suo sedere che,
indipendentemente da ciò che ne pensasse Mary-Sue, ci
fossero un bel po’ di abiti da lavare, ben ammonticchiati per
terra, che ne pararono l’atterraggio.
-Julian- ripeté la madre, con tono esausto e ormai del tutto
sveglia. –Ma guarda che disastro... Quando imparerai ad
essere più… più…-.
-Più ordinato? Più attento?- finì per
lei il figlio togliendosi un calzino dalla testa, pensando nel
frattempo a quanto la sfiga dovesse averlo preso in simpatia sin dalla
nascita.
-Si…- rispose con un sospiro la donna. Lanciò
un’occhiata nostalgica al suo pargoletto: ne
scrutò ogni lineamento, dai capelli corti e lisci, di un
biondo slavato, al viso magro e pallido, passando poi a tutto il resto
del corpo, piccolo e magrolino, più da dodicenne che da
quindicenne fatto e finito.
-Mamma, non è colpa mia. Io cerco di mettere in ordine, dico
sul serio… ma in qualche modo sembra che sia il disordine a
venire a cercarmi…- . Julian si alzò, si diede
una sistemata veloce, tanto per riassumere un minimo di decenza.
–Ora esci per favore, dovrei vestirmi-.
Mary gettò allora una fragorosa risata.
–Cos’è?- disse con un sorriso sornione
–Ti vergogni della tua mammina? Ti ho fatto io sai? Non
c’è nulla di te che io non abbia mai visto!- e per
sottolineare la cosa, tirando il naso all’insù,
rise con fare civettuolo e palesemente finto.
Julian, avvezzo ormai alle sparate di quella psicopatica di madre,
senza dir nulla, senza fare una piega, si diresse alla porta
chiudendola in faccia alla donna, gridandole soltanto –Sono
in ritardo!-.
Sopirò Mary da un lato dell’uscio chiuso. Suo
figlio era cresciuto. Perduti erano i giorni in cui lo attaccava al
proprio seno per allattarlo nel pieno della notte, lontani i tempi dei
pannolini, delle pappine, degli abitini piccoli e graziosi, con cui lei
lo vestiva a mo’ di bambolotto… fine di un tempo
era quella e dei divertimenti di una giovane madre… ora
giunta era l’adolescenza, gli sbalzi umorali, le prime
cotte… Ed ecco che la sua mente, a quel singolo pensiero
s’illuminò di nuova luce. In un millesimo di
secondo, un’equazione le balenò: cotte
adolescenziali = segreti imbarazzanti = nuovi divertimenti per una
madre contorta. Con una risata degna di Satana, congiungendo le mani
come e meglio di Montgomeri Burns, si diresse saltellando nella sua
stanza. Per i prossimi anni aveva trovato qualcosa da fare, finalmente.
Dall’altra parte, al sicuro dietro le pareti della sua
camera, Julian ebbe improvvisamente un brivido freddo, sudore diaccio
gli imperlò la fronte e il cuore perse un battito. Il male
era in agguato. Sua madre stava architettando qualcosa, lui lo sentiva,
lui sapeva. Di solito si ritiene che il legame psicologico madre-figlio
cessi una volta avvenuto il parto, entro la prima settimana o poco
più. Nel caso di Julian e di Mary, invece, durava da ben
quindici anni. Potrebbe apparire una bella cosa in una situazione
normale, ma tenendo conto del particolare carattere posseduto dalla
“dolce e zuccherosa” Mary-Sue, tanto graziosa
quanto contorta, si può ben capire quanto molesta potesse
risultare al figlio.
Con rassegnazione, il ragazzo vagò in giro per la stanza
rovistando fra i mucchi di abiti, in cerca di qualcosa da mettersi per
quella mattina. In fretta poi si sistemò, si
pettinò i capelli alla meno peggio con le mani (odiava i
pettini), cercando di darsi un tono tra il pettinato male e lo
spettinato bene, inforcò lo zaino in spalla, prese le chiavi
che stavano sul comodino e si diresse al piano di sotto, dove ad
attenderlo stavano già la madre, il povero padre suo,
vittima prediletta dopo lui da Mary, ed il fratello maggiore Charles.
Occorre, in questa sede, dare alcune piccole precisazioni su tale
soggetto che risponde al nome di Charles Ali. Alto un metro e
ottantasei centimetri virgola nove, spalle larghe ma non troppo, corpo
atletico da giocatore di calcio, gambe muscolose, occhi nocciola
(ereditati dalla madre), capelli neri e sguardo tra l’ingenuo
e lo scaltro, Charles era quello che tutti definirebbero il tipico
ragazzo dalle tre B: Bravo, Bello, Buono (Julian avrebbe volentieri
aggiunto Bastardo, ma questo era parere poco considerato dalla gran
parte). Tanto bello quanto astuto, sapeva tranquillamente passare da
uno stato di malvagità pura, solitamente rivolta ai danni
del fratellino minore, a uno di santità degna di Francesco
D’Assisi e poco ci mancava lo si vedesse in quei momenti
chiacchierare allegramente con gli uccelli. Lui era un vincente nato,
bravo a scuola, benché s’impegnasse il minimo
indispensabile, bravo nello sport e in ogni altra cosa che
faceva… ed inoltre, aveva un grande successo con il gentil
sesso, di cui faceva allegramente uso e consumo, cambiando soggetto
ogni due giorni o poco più.
Giunto in cucina il nostro non tanto fortunato protagonista, il signor
Michael Ali, padre di Julian, rivolse al figlioletto un buongiorno
molto strascicato; sulla fronte esibiva vistosamente un bernoccolo
fresco fresco, sicuro regalo di buona sveglia da parte
dell’adorabile mogliettina. Leggeva il giornale seduto a
capotavola mentre, alla sua sinistra, Charles beveva il suo frullato
ipercalorico quotidiano.
-Buon giorno sorellina…- lo salutò, con un
sorriso smagliante del tipo
“ti-vedo-in-uno-stato-di-cacca-ed-io-ne-gioisco-come-un-bimbo-a-natale”.
–Assonato, Julian? Hai fatto brutti sogni per caso?-
Julian non rispose, preferendo esser superiore e non cedere
così alle vili provocazioni. Mary-Sue, che invece non aveva
mai compreso il genio malvagio che il figlio maggiore certamente da lei
aveva ereditato, rispose al posto del minore.
-Oggi Julian s’è svegliato male, credo abbia
sbattuto il piede-… era abbastanza perspicace, anche se non
sembrava.
-Oh povero piccino. Ma lo sai che se ti fai la bua puoi sempre
chiedermi aiuto… a che servirei altrimenti; come fratello
maggiore ho delle responsabilità nei tuoi confronti!- disse
solenne Charles, mentendo spudoratamente.
Julian lo fissò con odio profondo prima di rispondere un
secco –Posso farne a meno!-
Poi afferrò un toast, ingollò in fretta il suo
succo d’arancia e, salutando mestamente la famigliola felice,
uscì da casa per dirigersi al luogo dell’eterna
tortura: la scuola.
Ritrovatosi nel cortile di casa, getto un’occhiata al cielo,
era terso e azzurro, pochissime nuvole, candide come pezzetti di cotone
lo chiazzavano qui e lì. La giornata era cominciata,
perfettamente normale, perfettamente identica alle altre. In quel
momento, un senso di completa noia mista a una strana tristezza lo
afferrò. Quanto avrebbe voluto che la sua vita potesse
assumere una svolta nuova, inaspettata, diversa da prima.
Non sapeva Julian in quel momento che molte forze erano in moto per
realizzare tale desiderio.
Free Talk
Ecco a voi il primo vero capitolo del racconto (il secondo è
già bello che finito, ma lo posterò la prossima
settimana).
Come potete vederei toni cercherò di tenerli
oscillanti nel comico-facetto ed il serio, ciò
dipendente anche dai personaggi o dall'argomento che in quel capitolo
viene trattato. Spero di avervi rallegrati con questo inizio allegro e
vediamo chi avrà il "coraggio" di seguirmi di qui in avanti.
Alla prossima.
Silencio
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo II, Alexandros e Cassandra ***
Capitolo
II
Alexandros
ed Cassandra
-…e
Demetra a tutti mostrò i riti misterici,
a Trittolemo e a
Polisseno, e inoltre a Diocle,
I riti santi, che non si
possono trasgredire
né apprendere
né proferire:
difatti una grande
attonita atterrita reverenza per gli dei impedisce la voce.
Felice colui –
tra gli uomini viventi
sulla terra – che
ha visto queste cose:
chi invece non è stato
iniziato ai sacri riti, chi non ha avuto
questa sorte
non avrà mai un
uguale destino, da morto,
nelle umide
tenebre marcescenti di
laggiù-.
Declamò
il Gran Sacerdote di Demetra,
Agapios Kerthomas, levando le braccia al cielo appena stellato. Li, fra
le nubi
aranciate del crepuscolo, un’aquila si levò in
volo, lanciando il suo strillo
acuto sopra la teste dei fedeli. Quello, pensò Agapios, era
certo un segno di
Zeus che, con Demetra e tutti gli Olimpi, aveva accettato le offerte.
Lui, ormai ultra ottantenne, quasi non si
reggeva in piedi, schiacciato dal peso degli anni e dalla profonda
esperienza
accumulata. Dietro ogni sua ruga si celava un sorriso, un urlo
rabbioso, o un
gemito di pianto. Le dita ormai secche come rami, tremavano, vinte
dalla
malattia. Il suo tempo, lo sapeva, stava per concludersi. Ma prima che
le Moire
implacabili recidessero il filo della sua esistenza ed Ermete ctonio
giungesse
a prenderlo per condurlo all’Ade, nel suo cuore uno strano
presagio pian piano,
da qualche giorno, stava prendendo forma. Sentiva che presto sarebbe
accaduto
qualcosa di grande e che la sua vita, il suo consiglio, la sua
devozione, fossero
indispensabili affinché ciò che stava per
verifica giungesse a corretto
termine.
Volse uno sguardo alla piccola folla,
inchinata ai suoi piedi. Erano pochi, meno di un centinaio, gli ultimi
rimasti
e li conosceva tutti, molti di loro li aveva visti nascere, figli di
quelli che
con lui avevano operato l’ultima grande impresa, scalato il
Sacro Olimpo e reso
grazie agli Dei secondo il rito che da secoli, la comunità
dei Fedeli compiva.
Ma da allora eran già trascorsi settant’anni.
La comunità era diminuita drasticamente, e ora
restava solo lui a
serbare gelosamente le memorie, la conoscenza di una verità
oscurata da secoli d’ignoranza,
presunzione e paura.
Con gesto solenne, fissato
come ogni altro nella mente del vecchio sacerdote, afferrò
il coltello sacro,
posto sull’altare, si avvicinò alla pira ove
l’offerta abbrustoliva, un grosso
bove dal vello candido, e cominciò a tranciarne brandelli,
cotti e fumanti,
distribuendoli ai vari fedeli, a uno a uno finché le carni
non fossero state
tutte consumate e le ossa e il grasso e gli intestini, consumati dal
fuoco. Nel compiere
il rito, non poté
non pensare a chi quel dono sacro del fuoco aveva fatto, divenendo egli
steso
animale da sacrificio, subendo la collera del Cronide Padre. A lui con
tutto il
cuore fu enormemente grato.
Quando, alcune ore dopo, del
bue non rimasero che pochi brandelli e le ossa, avvinto tutto ormai
dalle
fiamme, Agapios terminò la preghiera di ringraziamento e
andò a cambiarsi le
candide vesti, macchiate del sangue del sacrificio.
Al suo fianco, per aiutarlo
v’era Daphne Galanaki, Melissa di Demetra presso le restanti
vestigia di
Eleusi. Con lei stava la figlia in apprendistato, Cassandra. Per lei,
lo
ierofante Agapios provava un grande amore, come quello di un nonno.
Egli
l’aveva vista nascere, insieme al fratello gemello
Alexandros, e da subito,
appena incrociatone l’infantile sguardo, aveva percepito che
in lei più che in
ogni altro membro della comunità brillava la fiamma della
divinazione. Lei un
giorno, ne era certo, avrebbe fatto rivivere nel cuore degli uomini
l’amore per
gli Dei Olimpici.
Adesso la bambina aveva sedici
anni. Quasi una donna nell’aspetto. I capelli biondi e
lunghi, le
incorniciavano il volto dai tratti gentili e delicati, la pelle era
scura,
tipicamente mediterranea, e il corpo già mostrava i segni di
un futuro di donna
florida e bella. E fra tutte queste belle caratteristiche ve ne era una
che le
superava: gli occhi, di uno strano colore grigio, dallo sguardo dolce e
vagamente malinconico, emanavano una luce unica, soave e bella. Lei era
nata
sicuramente sotto il favore di qualche santa dea.
Dentro la tenda, montata per
quell’occasione, Agapios si cambiò
d’abito, tornando a indossare i consueti
pantaloni e la sua amata camicia a quadri, immergendosi nuovamente in
quella
che definiva “la tediosa ma amata normalità
presente”.
Fuori dalla tenda, intanto,
Alexandros attendeva l’uscita della madre e della sorella.
Appoggiato a un
vecchio olmo, fumava di nascosto una sigaretta. Lentamente
gustò l’acre del
fumo nella bocca, sapore che di rado poteva saggiare dato il ferreo
proibizionismo
di sua madre. Da quando il padre dei gemelli era andato via,
divorziando dalla
moglie, Daphne era diventata sempre più rigida, imponendo ai
figli regole su
regole fin quasi a trincerarli dentro casa. Alek non sapeva spiegarne
il
motivo… Cassandra, che era fra i due la più
saggia e riflessiva, soleva dire
che un simile atteggiamento era dovuto all’assenza, quella
del padre, che
Daphne in tutti i modi, senza farlo notare, cercava di colmare. Alek,
non ne
era sicuro, e in fondo nemmeno gli importava. Era, dopo tutto, colpa di
Daphne
se suo padre era andato via. Era lei quella che mentiva sempre al
marito.
Rivolse uno sguardo distratto
al cielo, ormai oscurato dalla notte. La falce lunare splendeva quieta
lì
appesa, come un grande diadema. Sua madre certamente avrebbe detto che
la dea
Artemide quella sera era propizia, ma lui non sapeva se crederci. Gli
sembravano solo storielle da bambini e null’altro. Lo stesso
Agapios gli
appariva come un povero vecchietto, legato ai bei tempi che furono,
troppo
arretrato perché modernizzi. Nel nuovo millennio non
c’era posto per i
fantasmi.
-Alek- la voce delicata da
uccellino della sorella gli giunse alle spalle, prendendolo di
soppiatto. –Stai
fumando Alek? Sai che la mamma non vuole-.
-Tsk.. sai che mi frega…-
disse spezzante, ma spense comunque la sigaretta.
–Allora, ti sei divertita? Piaciuto il sacro
rito agli Olimpi?- fece sarcasticamente ieratico, scimmiottando Agapios.
Cassandra non rise. Non rideva
mai molto da quando il loro padre era andato via. –Non male.
Come sempre… è il
mio futuro del resto-.
Alek non poté frenare uno
scatto d’ira a quelle parole, non tanto per il senso, che
comunque lo
ripugnava, ma per il tono usato dalla sorella: freddo, distaccato,
quasi
disinteressato.
-Ti fai sottomettere così
Cassandra? Esegui senza battere ciglio gli ordini di nostra madre e di
quel
vecchiaccio idiota?-.
Cassandra non rispose subito.
Guardò prima un punto inesistente al suolo. –Io
faccio solo ciò che è giusto
Alek… dovresti provare a farlo anche tu… al
volere degli Dei non si scappa-.
-Me ne fotto!- quasi gridò
Alek. Era disgustato, arrabbiato, triste, spaventato. Lui, che amava la
libertà
come suo padre, che desiderava un futuro avventuroso, che forgiare
giorno per
giorno secondo il proprio volere, lui che desiderava più
d’ogni altra cosa
l’esser libero di decidere e, all’occorrenza, anche
cambiare idea, mal sopportava
un futuro già deciso, già programmato da altri. E
che questi altri fossero i
parenti, i capi della comunità o gli Dei, poco gli
importava. Nessuno aveva il
diritto di decidere per lui o per la sorella.
La mano delicata della sorella
gli accarezzò d’improvviso i capelli bruni. Quel
gesto materno lo fece calmare.
Sua sorella, l’unico essere sulla terra che lo conosceva
meglio di ogni altro,
l’unica persona cui mai avrebbe rinunciato. Erano nati lo
stesso giorno, segno
infausto secondo i più anziani della comunità. E
da quel momento, proprio come
nel ventre materno, mai si erano separati. Facevano tutto insieme. E
mai si
sognavano d’esser divisi il futuro, mai lo avrebbero voluto e
Alek in
particolare, mai avrebbe permesso che una cosa simile occorresse. Mai.
-Alek, non temere per me. Io
mi fido degli Dei… prova a fidarti anche tu per una volta-.
Alexandros sospirò esausto e
rassegnato. Non poteva fare altro. Se questo era il destino, qualunque
azione
avrebbe compiuto sarebbe valsa a nulla. Se era la volontà di
Cassandra, lui
doveva rispettarla.
-Alexandros, Cassandra,
sbrigatevi, dobbiamo andare- da lontano la voce della madre li
raggiunse e i
due gemelli, mano nella mano, si incamminarono verso l’auto,
pronti per tornare
a casa, ignari delle trame che il destino stava intessendo con le loro
e con le
vite di altri giovani.
Free
talk
Ecco il secondo capitolo, come
promesso. Ringrazio da subito quanti hanno letto o stano leggendo. Per
i
prossimi capitoli (due o tre), presenterò i vari personaggi.
Dunque questa
prima parte fungerà da premessa ed introduzione alla storia
vera e propria. Mi auguro,
come ogni buon “autore”, che il presente ed il
passato capitolo suscitino un
minimo di interesse o divertimento (questo è solo
divertimento, per me, e spero
anche per voi, nulla di impegnativo, ci tengo a ribadirlo).
Alla prossima, cari lettori e
lettrici.
Silencio
|
|