Amore,Vendetta,Follia di Kvistor (/viewuser.php?uid=114219)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1 Un tetro Summit ***
Capitolo 4: *** Capitolo 2 Il Tranello ***
Capitolo 5: *** Capitolo 3 Un Cambio di Prospettiva ***
Capitolo 6: *** Capitolo 4 L'Esame ***
Capitolo 7: *** Capitolo 5 Un'ultima volta ***
Capitolo 8: *** Capitolo 6 Il Primo Incarico ***
Capitolo 9: *** Capitolo 7 Sesso e Castità ***
Capitolo 1 *** Premessa ***
Introduzione
Ricordate la festa Olimpica che si trova alla fine de “La maledizione del Titano”? Bene ci troviamo proprio dopo il ballo che Percy ha rimborsato, per così dire ,ad Annabeth e da questo momento in poi le cose non saranno più le stesse.
P.S. E’ la mia prima Fan fiction e quindi non sono sicuro dei risultati. Buona Lettura |
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Capitolo 2 *** Prologo ***
Un Bacio di Troppo
Avevamo appena finito di ballare e Percy mi stava guardando con quegli occhi verdi pieni di allegria, ma qualcosa lo turbava... << Qualche problema test... >> stavo per chiedergli, ma le parole mi si bloccarono in gola non riuscivo a prenderlo in giro << Molto strano >> pensai mentre si allontanava per prendere qualcosa da bere, ma c’era qualcosa in lui me mi chiamava quella sera; molte volte avevo pensato a lui come più che un amico ma poi il ricordo di Luke e la rivalità fra i nostri genitori divini mi avevano trattenuto dall’indugiarci ulteriormente, avevo pensato anche di diventare una cacciatrice, ma avevo desistito pensando a lui cosa poteva essere? << E’ forse amore >> mi disse una vocina nella mia testa ma io le ribattei quasi con furia << Non sono mica una figlia di Afrodite stupida voce ora taci !>> . Alla fine Percy tornò carico di coppe che sembrava un mulo da soma e con la sua immancabile goffaggine mi cadde in grembo io sbuffai anche se in fondo non mi dispiaceva quel suo essere così...così lui ecco.
P.O.V.
Le ero caduto addosso con tre coppe piene ero fortunato di essere ancora vivo, ma lei eccezion fatta per uno sbuffo non mi disse nulla anzi sorrise, allora io azzardai un sorriso e le dissi << Allora vogliamo trovare un posto un po’ più tranquillo? >> lei annuì quasi ridendo e ci andammo a sistemare sotto un ulivo fuori dal salone delle feste c’era poca luce anche se era chiaro che era nervosa.<< C’è qualche problema? >> le chiesi, adesso era diventata rossa e nemmeno la fioca luce della notte riusciva a nasconderlo lei tacque e per alcuni minuti potei solo sentire il vento attraverso le fronde dell’ulivo e lo scrosciare di un vicino torrente pieno di ninfee quasi mi dimenticai di essere al seicentesimo piano di un grattacielo; ad un tratto lei tornò a parlare << Percy io ecco... ti devo dire una cosa o meglio tante cos... >> in quel momento la baciai sapeva cosa provavo per lei o almeno credevo lo sapesse e quel gesto mi sarebbe valso una grande gioia oppure un pugnale nel tronco celebrale, lei ricambiò e ci abbandonammo l’uno all’altro senza pensare alle rivalità e agli screzi degli olimpi. Presi da ciò che provavamo non vedemmo però appollaiata su un albero una civetta argentea la SUA spia. |
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Capitolo 3 *** Capitolo 1 Un tetro Summit ***
Capitolo
1 Un
tetro summit
La
festa era finita ed il salone dei simposi si
stava svuotando, La Divina Atena guardava la scena appoggiata ad un
elegante
colonna corinzia la sala marmorea era ormai quasi vuota e non appena le
si posò
sulla spalla una civetta, la stessa che potreste immaginare sulle
Dracme
Ateniesi, la Dea sembrò uscire da uno sorta di trance
“elaborativa”
<< γεια
ή
κουκουβάγια
>> le
disse con noncuranza, poi però dopo aver
sentito il breve “rapporto” del pennuto la sua
espressione di altezzosa
saggezza mutò all’improvviso gli occhi grigi come
nuvole temporalesche si
sbarrarono e la bocca, di solito paralizzata in orizzontale, si
contorse in una
strana e terrificante smorfia di rabbia; questo cambiamento plateale
nel volto
della dea fu notato poi da un satiro e da una ninfa che passavano di
là ed è
tuttora loro opinione di essere stati fortunati a poter uscire ancora
con la
forma che gli aveva dato la natura e soprattutto ancora in vita...
In un primo momento sembrò che ella dovesse
esplodere, ma poi come
solito tornò alla calma e tornò immediatamente
alla sua residenza, un imponente
edificio di marmo, che ricordava vagamente il Partenone, il cui
frontone
decorato con una lamina d’oro recava la raffigurazione dei
suoi più grandi
trionfi ed in particolar modo la vittoria nella disputa con Poseidone
per il
patrocinio della città a lei dedicata; Poseidone il Dio il
cui avventato figlio
aveva osato toccare Annabeth, che fra tutte le sue figlie era di certo
la sua
prediletta, Perseus Jackson doveva pagare pensò infine
entrando nel suo
scrittorio e accostando la maestosa porta di noce cesellato. Si sedette
su una
comoda poltroncina foderata di velluto verde e iniziò a
pensare a come punire
il giovane, si rigirò e rivoltò sulla sedia per
ore pensando alle più atroci
torture e mutilazioni che la mente potesse concepire, ma
l’esecutrice non poteva
essere lei ci voleva un dio si ma uno che odiasse il ragazzo e avesse
la
fermezza per stroncarlo una volta e per sempre. Sarebbe potuto essere
Dioniso?
No troppo tenero ed in effetti solo scocciato dalla punizione subita...
Il
candidato perfetto era Ares odiava sì il ragazzo e avrebbe
detto di averlo
fatto per la profezia, ma Jackson era un guerriero dalle mille sorprese
avrebbe
dovuto immobilizzarlo ed ovviamente l’unico in grado di
forgiare catene
abbastanza resistenti era il Dio delle fucine Efesto, forse convincerlo
sarebbe
stato più difficile ma usando l’argomento adatto
avrebbe ceduto infondo
sull’Olimpo ogni Dio, Ninfa, o spirito di qualsivoglia genere
conosceva la sua
avversione per gli amanti e le loro “colpe”.
Si
mise in cammino verso l’Etna di lì a 2 ore e
svegliò Efesto nel cuore della notte, L’interno
del vulcano era come sempre
rovente e polveroso e c’erano ovunque pile di attrezzi da
fabbro sporchi di
fuliggine e a volte persino fusi sulla punta; ben presto
arrivò il Dio che
cercava con indosso uno spartano grembiule da fabbro la barba rossiccia
totalmente arruffata ed il congegno metallico sulla gamba allacciato in
malo
modo << Che c’è a
quest’ora? >> chiese quasi con uno sbadiglio
<< Mi serve il tuo aiuto... per punire due amanti
>> gli rispose
Atena con una falsa pazienza << Io...beh credo di...
poterti aiutare
>> annuì Efesto inizialmente un po’
titubante << cosa ti serve?
>> chiese poi a mo’ di commesso
<< una catena ASSOLUTAMENTE
infrangibile >> ordinò gelida guardandolo con
gli occhi grigi <<
dovrei averne una qui da qualche parte to’ eccola
tieni>> gli rispose
allora porgendole una catena, all’apparenza molto massiccia
ma nella realtà
estremamente leggera, che macchiò poi il completo della
Divina acquirente con
lucenti residui di metallo << Grazie Fratello
>> pronunciò queste
parole con uno sguardo sadico negli occhi che poco aveva da lasciar
intuire;
avrebbe arrecato dolore.
La
mattina seguente andò invece a far visita al più
bellicoso dei congiunti, Ares, la sua dimora o per meglio dire la sua
fortezza
si trovava appartata anzi quasi isolata ma non per desiderio di
solitudine
bensì per la paura di essere i vicini del dio della guerra
che attanagliava
quasi tutti; L’edificio era a pianta rettangolare realizzato
con solide pietre
e con al cento un immenso campo d’armi dove Ares faceva
sfoggio delle sue
sorprendenti risorse belliche ed infatti lo trovò ad
allenarsi con un
giavellotto completamente incendiato senza che però
incontrasse la minima
difficoltà nel lanciarlo o nel sostenere il bruciore, il
colloquio fu breve e
le risposte del dio monosillabiche avrebbe preso parte al tranello quel
breve e
tetro summit era stato davvero fruttuoso.
P.O.V.
(Percy)
La
vita al Campo era tornata alla normalità sveglia,
allenamenti, pranzo, allenamenti, cene e ... ? Fino a poco tempo prima
la sera
era stato il momento dell’amicizia e delle strane
consultazioni con Annabeth,
ma dopo la sera
precedente era tutto
cambiato, non ricordavo molto della serata ma ricordavo
l’emozione forte di
aver stretto quelle labbra alle mie, il riflesso negli occhi di lei e
il suo
indescrivibile profumo di libri, pergamene, ma anche di corazze e di
mostri
sbriciolati quel profumo di... lei. Era una follia ma ci voleva
provare, ci
doveva provare alla fine mi feci coraggio e lo chiesi <<
Annab...vuoi...vendam stasera? >> << Che?
>> mi rispose lei
ridendo era raggiante allora chiesi di nuovo << Annabeth
vuoi venire da
me stasera? >> << Non ti comporterai
indecentemente vero? >>
mi chiese con una civetteria quasi irresistibile, allora io la guardai
negli
occhi grigi e intensi come quelli della madre e la stuzzicai sorridendo
<< non senza il tuo permesso >>
poi la presi fra le braccia e la baciai platealmente
così che tu potessero
vederci, io non volevo più nascondere i miei sentimenti, la
amavo? Si con tutta
l’anima, le avrei mai fatto del male? No mai neanche a costo
della mia stessa
vita o almeno credevo che non gliene avrei mai fatto.
Quella
sera lei venne da me nella casa dei figli di
Poseidone,dove vivevo solo, e ci sedemmo su un triclinio che a volte
usavo per
una pennichella, tutto nel mio corpo mi urlava qualcosa e dei pensieri
“impuri”
mi attraversarono la mente, ma lei era più che un’
avventura e li trattenni
senza troppo sforzo, non parlammo ma in quel silenzio fatto di sguardi
e baci
carpii l’immagine di lei che avrei conservato fino alla
morte, bella e quasi
sacra andammo poi in riva al lago reso fantastico dalla luna quasi
piena ci
sdraiammo sulla riva a guardare quel cielo fatto di sogni e speranze,
dopo
quelle che furono forse ore lei fece per andarsene, ma io mi alzai la
raggiunsi
le slacciai la toga, che si era messa con mia somma sorpresa,
all’altezza del
collo e iniziai a baciarglielo implorandola di restare con me e
così fu ci
sdraiammo e dormimmo lì avvinghiati come da un incantesimo.
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Capitolo 4 *** Capitolo 2 Il Tranello ***
Capitolo
2 Il
Tranello
<<
La partita è avviata >> disse fra
sé
è sé Atena mantenendo lo sguardo fisso su una
scacchiera quadrata fatta in
marmo e onice nero le cui pedine erano state mutate dalla dea in
piccole
rappresentazioni dei “Protagonisti” della vicenda
imminente da un lato lei,
recante il solito sorrisetto soddisfatto, Efesto, rappresentato forse
con un
aspetto più accettabile del solito,
ed
Ares, la cui pedina brandiva un’ascia a doppio taglio sopra
la testa e negli
occhi aveva lo sguardo di chi sta per fare un eccidio;
Dall’altra parte quello
stolto seduttore che era Jackson, la cui pedina somigliava stranamente
alla
pietà di Michelangelo con la sola differenza che
anziché raffigurare i soggetti
originali raffigurava una Annabeth riluttante stretta anzi tenuta
prigioniera
dal figlio di Poseidone mostrato quasi come un molestatore con negli
occhi uno
sguardo che non voleva dire nulla di buono, le palpebre spalancate le
pupille
ridotte a due fessura e una luce negli occhi paragonabile a quella che
avrebbe
avuto un lupo trovandosi davanti un innocente agnellino indifeso dopo
mesi di
digiuno. Dopo una breve attese rise carica di freddezza e di disprezzo,
tanto
che una ninfa addetta al servizio della divinità, che si
trovava nella stanza
accanto, sentitala credé che fosse giunto Ade in persona per
condurre un malcapitato
, o forse lei stessa?, nel Tartaro.
Il
piano era ormai pronto e avviato non c’era che da
aspettare << semplice ma geniale >>
pensò malignamente la dea, il
ragazzo stava trascorrendo la mattinata con Ermes ed Apollo che avevano
insistito per insegnargli a tirare con l’arco, ennesimo
tentativo patetico di
insegnare qualcosa al ragazzo-merluzzo, verso l’ora di pranzo
sarebbero tornati
verso il campo e lei trasformatasi nella figlia avrebbe fatto da
contatto fra l’impudente
giovane e il bellicoso Ares che avrebbe finito il lavoro in fretta e
senza fare
troppe domande, l’ennesimo guerriero tutto muscoli e niente
cervello, Perseus
figlio di Jackson avrebbe raggiunto i suoi fratelli
“estinti” prima di sera.
Aveva pensato proprio a tutto e quelle che altri dei avrebbero definito
le
sottigliezze erano state le prime a cui aveva rivolto la sua meticolosa
attenzione:Il
luogo, doveva essere isolato e insonorizzato così che se
Ares si fosse voluto “divertire”
un po’ nessuno avrebbe udito le urla del ragazzo, il posto
per i resti, la dea
in questo caso scelse la più indegna delle sepolture avrebbe
dato il suo corpo
sporco e corrotto per metà alle cavalle di Diomede e per
metà ai cani del dio
della guerra, affinché
lo scannassero e
si nutrissero delle sue carni morte e putrescenti, infine la scusante,
era
risaputo che Ares odiava il ragazzo ma ciò non
l’avrebbe giustificato e non fosse
stato per la profezia che a conti fatti faceva sì che quel
gesto fosse visto
come una “garanzia” per la salvezza degli dei
stessi, semplice e diabolico...
P.O.V.
(Percy)
Che
giornata! Non immaginavo nemmeno lontanamente
cosa fosse passare una mattinata da solo con due dei! Ed io che mi ero
lamentato del fatto che noi mezzosangue non venivamo considerati
abbastanza...
Eravamo in quel bosco da oltre quattro ore e stavamo correndo dietro a
un
cinghiale da almeno la metà del tempo probabilmente Apollo
ed Ermes lo
avrebbero preso in circa tre minuti ma con una frana come me
appresso... con l’arco
ero totalmente NEGATO ed ero stato fortunato a non beccarmi le zanne di
quella
bestiaccia dritte nello stomaco; finalmente lo raggiungemmo in una
radura di
aceri e pioppi si era rifugiato fra le radici di un albero, era infatti
appena
un cucciolo ed effettivamente in quanto a zanne era carente, ed in cuor
mio
sapevo che non avrei mai potuto colpirlo neppure per errore, nonostante
tutta
quella gita avesse l’aria di essere un errore mostruoso mi
piaceva quella
foresta il caldo arancione di inizio autunno e il frusciare delle
foglie mi
avvolgevano e riuscivo a sentire tutto quello che accadeva nella
piccola radura
nascosta dalle fronde degli alberi ad un tratto sentii un fremito stava
accadendo qualcosa i miei due accompagnatori erano immobili, davanti a
noi
si era palesato un
lupo grigio che fino
a poco prima era stato in paziente attesa, probabilmente di mangiare il
povero
cinghialetto, dietro il nodoso tronco di un acero centenario
lì vicino sapevo
che non mi avrebbero aiutato ero lì per imparare e
così fu; vinta la paura ed
incoccata una freccia presi un bel respiro incurante dei paurosi versi
del
predatore aspettai tre, quattro, cinque secondi ed infine scoccai la
punta bronzea
del mio dardo si andò ad infilare nella cavità
oculare sinistra del lupo
fuoriuscì molto sangue e sentii la bestia guaire di dolore,
alla fine decisi di
porre fine alle sue sofferenze estrassi il mio coltello, che avevo
ricavato dal
corno del primo minotauro che avevo uccisi e lo colpii, infilai il
coltello
nell’arteria regalandogli per così dire una morte
rapida ed indolore <<
Bravo ragazzo hai imparato! >>
mi sentii dire poi dai miei accompagnatori e dopo un momento di pausa
per
riprendere fiato tornai a fissare il cucciolo di cinghiale e dissi
<< E’
così necessario ucciderlo? >> <<
In fondo è un animale innocente
>> aggiunsi subito dopo << E sia
>> disse beffardo il dio dei
viandanti << Lo prenderò con me e ne
farò un mio simbolo>> continuò
sorridendo << Ma gli servirà un nome
>> fece notare il dio della
poesia << Un baldo nome
vessillo
di... >>
<< Ok abbiamo
capito non partire con gli haiku >> ribatté
scorbutico l’altro poi si
guardarono risero e dissero all’unisono << Il
suo nome sarà PERCY!
>> io di fronte a due divinità dovetti
accettare e detto questo
raccogliemmo il nostro nuovo amico che anche se all’inizio
era un po’
riluttante a farsi prendere dopo due o tre ghiande
offertegli da noi fu ben felice di posare la
sua peluria scura sulle mie, comode, braccia in fondo era carino con
quel
musetto che sembrava dire << che fame! >> e
gli occhietti scuri e
pieni di vita, mi era simpatico. Adesso sembravamo una combriccola di
folli, in
fondo un postino, un diciottenne biondo con la polo ed un ragazzino
vestito
come un cacciatore del Maine tutti armati di archi, frecce e coltelli e
con in
più una pelliccia di lupo appena scuoiata ed un cinghiale da
passeggio sono uno
spettacolo comune in America no?
Alla
fine per mia fortuna giunse il momento di
tornare per pranzo, avevo la testa completamente svuotata ed ero
esausto mi
sedetti anzi mi buttai sui sedili del pick-up-carro del sole di Apollo
e dormii
una ventina di minuti poi fui svegliato da Ermes << Il
campo è in vista
sveglia! >> io mi sgranchii e guardai fuori, ebbi una
sensazione come di
acqua fredda c’era Annabeth su un dirupo e stava piangendo!
Allora mi rivolsi
di nuovo ai miei divini compagni << non è che
potreste farmi scendere qui
c’è Annabeth e vorrei parlarci >> i due risero
<< certo e siamo sicuri che
userai molto la lingua ma sta attento Atena e molto gelosa di lei e non
sarà
contenta di sapere che te la fai con sua figlia, ma tranquillo da noi
non saprà
niente, allora alla prossima ragazzo! >>.
Le
scesi affianco e la chiamai dolcemente, ma non
rispose singhiozzava come se le fosse successo qualcosa di male, o come
se
qualcuno le avesse fatto del male... solo a quel punto gettai un occhio
all’ambiente
circostante un alto dirupo circondato da boschi e a picco sul lago,
l’aria era
calma troppo calma, a quel punto mi dimenticai di tutto e feci la cosa
che mi
veniva più naturale le sfiorai una spalla, ma era
inconsistente come una nuvola
allora mi voltai sentendo qualcuno che rideva alle mie spalle aveva i
suoi
stessi occhi ma non era lei << Atena! >>
urlai sconvolto mentre
delle pesanti catene di ferro di avvolgevano i polsi e le caviglie,
sembravano
avere una volontà propria si contorsero fino a che non mi
trovai come legato ad
un muro invisibile allora comincia a dimenarmi per liberarmi ma senza
successo
poi il mio sguardo tornò alla dea << che vuol
dire tutto questo? >>
le dissi queste parole quasi con un ringhio << vuol dire
che adesso paghi
per ciò che hai fatto alla mia Annabeth... addio Perseus
>> mi
rispose gelida, in quel momento avrei
potuto dire mille cose per discolparmi come da mio solito ma invece
tacqui
pensai a come gli dei fossero crudeli e ingannatori sentii crescere una
forte
rabbia dentro di me rabbia che poi sarebbe diventata odio. Prima ancora
che
potessi reagire mi si parò davanti Ares << Ora
regoliamo i conti Jackson
>> fu l’unica cosa che mi disse prima di
iniziare a colpire, sentii un
dolore mai provato e credetti che ogni fibra del mio corpo avrebbe
preso fuoco
emisi le urla più strazianti della mia vita ma nessuno mi
ascoltava, neppure
mio padre gli dei mi avevano tradito. Non so dire per quanto
andò avanti ma mi
sembrarono dei momenti lunghi quanto dei giorni e quel tremendo
supplizio sembrava
non dover mai finire fui colpito con ogni tipo di arma e fu usata su di
me ogni
tecnica di tortura ma sopravvissi. Alla fine il Dio nella sua lucida
armatura
da battaglia mi liberò barcollai per qualche momento e poi
caddi in ginocchio
avrei voluto combatterlo ma non potevo sentivo l’Ade che mi
richiamava a se e quando
capì che ero in procinto di morire la crudele
divinità mi “congedò” per
così
dire con un calcio in pieno petto che mi scaraventò
giù dal precipizio credetti
di essere morto, finché non caddi nel lago.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 3 Un Cambio di Prospettiva ***
Capitolo
3 Un
cambio di prospettiva
L’impatto
con le fredde acque del lago mi risvegliò,ero
praticamente morente ed infatti mi bagnai nonostante le mie
“capacità”, ma
riuscii a stento a rimanere cosciente, come lo feci? Con la rabbia, con
l’odio
per gli dei che mi avevano tradito ed umiliato non sapevo cosa stesse
succedendo intorno a me, ma la volontà di vendetta sembrava
alimentarmi, certo
l’ acqua poteva guarirmi ma era la furia che mi dava la forza
per continuare;
intorno a me tutto vorticava e non vedevo nulla all’ infuori
dell’immagine di
quell’arrogante Atena che mi sorrideva gelida certa della mia
morte, avrebbe
pagato sarebbe stata la prima, poi lo avrebbero fatto tutti gli altri,
incluso
mio padre che non si era curato di proteggermi dalla vendetta di quella
boriosa
divinità. Io non ho fatto nulla di sbagliato quello che
c’era fra me e Annabeth
si... insomma era amore, ma lei me l’ha portata via, ha
voluto eliminarmi per
la sua stupida rivalità con le mie origini e un giorno se ne
sarebbe pentita,
ma non avrei mai potuto sfidare gli dei da solo, ma io non sarei stato
solo,
sapevo a chi rivolgermi. Fui sballottato dal mare per circa sei giorni
e la
fame e la sete di acqua dolce, anche se io riesco a bere anche quella
salata,
iniziavano a tormentarmi stavo per così dire, navigando,
tramite il controllo
delle onde e anche se arrivai a credere che sarei morto in mare, per me
cosa
assurda, alla fina la scorsi, La
Principessa Andromeda. Probabilmente Luke
all’inizio avrebbe creduto ad un
tranello come sospettabile, ma ero certo che dopo aver sentito
ciò che avevo da
dire si sarebbe reso conto che io avevo tante ragioni quante ne aveva
lui per
odiare quegli spregevoli olimpi alla fine inizia a nuotare fino a
raggiungere
la fiancata della nave, dopodiché mi alzai con un onda e
caddi sul ponte.
Fui
presto circondato da Minotauri e Lestrigoni,
nonché da molti mezzosangue e mostri dei generi
più svariati,alcuni lestrigoni
mi vedevano già come il loro prossimo spuntino, e tutti si
meravigliarono
quando gettai a terra sia Vortice che il pugnale di corno, avrebbero
potuto
uccidermi, ma non andò così allora presi fiato e
dissi << sono qui per
parlare con il vostro comandante >> << cosa
ti fa pensare che il
comandante voglia parlarti Jackssson? >> mi disse allora
sghignazzando
una donna-drago dall’aspetto minaccioso << tu
chiamalo monst... >>
mi trattenni dal finire la frase non appena vidi stagliarsi accanto a
me la
tetra figura di quello che una volta era Luke Castellan, mi
guardò e poi mise
la mano sull’elsa di vipera, la sua spada, per un lungo
attimo pensai che mi
avrebbe ucciso ma poi lo vidi sogghignare e mi disse <<
Salve Percy, oggi
non mi aspettavo proprio la tua visita, pensavo che avresti attaccato
intorno
al giorno 16 ad essere onesto >> io lo guardai, senza
però quel solito
disprezzo che c’era negli sguardi che gli lanciavo in
precedenza e ribattei
<< Non ho alcuna intenzione di attaccare sono venuto qui
oggi per farti
una proposta ma vorrei parlarti in privato >>
all’inizio credevo che
sarebbe scoppiato a ridere ma poi mi fece accomodare su una poltroncina
nella
cabina del capitano, la sua, e addirittura fece allontanare i due
minotauri di
guardia, aveva capito che non scherzavo. La cabina o meglio la suite
del
capitano era una camera più spaziosa delle altre ed era
arredato con dei mobili
in legno di ciliegio, le pareti erano bianco panna e nessuno avrebbe
creduto
che si trattasse della stanza di un guerriero se non fosse stato per
una
rastrelliera carica di armi che copriva quasi interamente una delle
pareti ed
un armatura di un materiale sconosciuto appesa al portabiti; fissai la
stanza
per una ventina di secondi poi inizia a parlare << Luke
ricordi cosa mi
chiedesti due anni or sono proprio in questa data? >>
<< Ti chiesi
se volevi opporti alla tirannia degli dei e scegliere la
libertà in un mondo
nuovo >> mi rispose seccato << e ricordi la
mia risposta? >>
ribattei allora con entusiasmo crescente << certo
rifiutasti la mia
proposta, ma perché ? >> rispose lui con un
interesse mai mostrato in
precedenza << ho deciso di cambiare risposta...
>> risposi io in
tono drastico << allora anche tu intendi tradire, come
dicono loro, la
causa degli dei? >> ribatté lui ormai quasi
eccitato dalla conversazione
<< Luke,Luke,Luke tradire implica abbandonare qualcosa
di,
presumibilmente, giusto per qualcos’altro io voglio adoperare
un cambio di prospettiva
>> dissi
allora con tono fermo, ero deciso a
fare ciò che mi ero ripromesso, <<
Perché dovrei crederti? >> mi
disse lui aspro << Perché io come te sono
stato tradito e umiliato dagli
dei e nessuno di essi, neppure mio padre ha fatto nulla per salvarmi e
ho
compreso che la loro arroganza porterà il mondo alla
distruzione, ed in più
voglio la mia vendetta >>
lui mi
fissò per quelli che furono almeno dieci minuti poi mi disse
<< Potrei
avere mille ragioni per dubitare di te ma so come ti senti e so che sei
intenzionato ad aiutarci, benvenuto nell’esercito dei titani
primo ufficiale
Jackson >> << grazie signore ora potrei
mangiare e risistemarmi? Sono
in mare da oltre sei giorni ed ho persino seguito il corso di un fiume
seppur
in stato di incoscienza >> risposi al mio nuovo
comandante << non è
necessario darmi del lei Percy ora siamo di nuovo amici, compagni e
...fratelli
in quest’impresa, per il resto ti farò assegnare
una cabina degna del tuo grado
e avrai tutto il tempo per rimetterti in forze, ci aspetta una lunga
guerra e
ci servi in buona forma >> mi
disse sorridendo radioso, ma non senza l’immancabile vena di
furbizia che era
così celebre di lui sin dal tempo del camp... be’
da molto tempo, alla fine
aggiunse sotto voce << domani presentati nella mia cabina
alle 11.00
dovrai essere esaminato da signore dei titani >> poi
varcò la soglia e
sparì. Per un attimo pensai a me stesso come un reietto un
traditore, ma poi
ripensai a quel ghigno gelido che mi avrebbe dovuto condannare alla
morte e subito
allontanai quei pensieri. Alla fine alzai un vassoi d’oro che
trovai sul tavolo
e mi ci specchiai, avevo una cicatrice in faccia uguale a quella di
Luke
eravamo davvero come fratelli.
P.O.V.
Luke
Non
ci potevo credere Percy si era unito alla mia
causa, avevo dubitato di lui certo, ma nei suoi occhi avevo visto un
vero odio
per quei maledetti... dovevano avergli fatto qualcosa di terribile,
qualunque
cosa fosse ben presto l’avrei capito. No, non avrei usato
tecniche d’ipnosi o
cose del genere, avrei usato la fiducia, in fondo sarebbe stato bello
avere
qualcuno con cui non essere il comandante ma essere Luke solo Luke,
insomma
qualcuno che mi fosse amico, realmente amico, qualcuno con cui parlare
e
scherzare e combattere come ai tempi del campo, si odiavo quegli esseri
che lo
gestivano ma mi mancavano quel luogo e onestamente anche alcune delle
persone
che lo abitavano. Avere Percy era come una manna e adesso saremmo stati
più
uniti che mai, avevamo gli stessi intenti e pensieri e persino la
stessa
cicatrice con la sola differenza che la mia era ormai vecchia e
rimarginata, la
sua ancora aperta e sanguinante... ma temevo per lui l’esame
di Crono avrebbe
potuto cambiarlo o addirittura condurlo alla follia e per me perderlo
avrebbe
significato la fine di ogni rapporto umano vero che avevo al mondo.
Erano
passate delle ore ed ero ancora chiuso nel ripostiglio dove di solito
mi
chiudevo con i miei pensieri, era ora di presentarlo alle truppe.
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 4 L'Esame ***
Capitolo
4 L’Esame
Ero
arrivato da quattro giorni sulla Principessa
Andromeda e da tre ne ero il
primo ufficiale, la mia presentazione alle truppe e alla ciurma aveva
destato
molto scandalo e molti fra mezzosangue e mostri all’ inizio
non mi avevano
rispettato, ma ben presto ero riuscito a ottenere il loro rispetto e
per certi
versi la loro ammirazione, infatti il giorno successivo alla mia presa
del
comando quale braccio destro di Luke un insolente figlio di Ares
Anthony Moore
aveva bofonchiato qualcosa di offensivo mentre passavo e avevo dato
l’ordine di
farlo fustigare, era stata una cosa spaventosa la frusta si era
abbattuta sulla
sua schiena per oltre venticinque minuti e questa era diventata di un
inquietante rosso sangue, potevo vedere le facce quasi impaurite di
quelli che
guardavano, certo se non potevano apprezzarmi mi avrebbero temuto, il
brusìo
della folla era ormai molto diffusi quando poi mi decisi a parlare
<< non
tollererò la mancanza di disciplina e di rispetto verso i
superiori, imparate
da quest’uomo o condividetene la sorte. >> lo
dissi con un tono quasi non
mio, forse la sua faccia mi ricordava quella del padre ma avevo quasi
provato
piacere nel vedere le estremità della frusta che lo
colpivano senza dargli
tregua e dalla voce si doveva capire perfettamente. Mentre meditavo su
quell’
episodio qualcuno bussò alla porta, era proprio lui per un
attimo pensai che
volesse aggredirmi, e stesi la mano sul pugnale che tenevo nascosto in
un vano
sotto la scrivania di noce della mia stanza, ma non mi toccò
anzi si mise in
ginocchio e mi disse in tono sommesso << io ecco signore
volevo chiedere
il suo perdono, sono stato giustamente punito e mi rendo conto che lei
in
effetti è la persona più adatta per guidarci
assieme al comandante... >>
<< bene, lo terrò presente, ora puoi andare
>> risposi
congedandolo, mentre lui chiudeva la porta a vetri della mia camera
pensai alle
parole impaurite che mi aveva rivolto, erano dettate dal terrore ma se
aveva
paura lui bene così, da quanto ne sapevo era una figura di
spicco nella truppa
e se “morto il toro, sconfitta la mandria” avevo la
situazione in pugno. Ora il
difficile... il colloquio con il re dei titani.
P.O.V. Luke
Era
il momento per Percy di essere ricevuto dal
signore Crono, fino a quattro giorni prima non me ne sarei curato anzi
probabilmente avrei insistito per eliminarlo all’ istante, ma
dopo averlo visto
comparire sulla nave e averlo nominato mio vice era necessario che
andasse all’
esame e che lo superasse per così dire, se avesse fallito io
avrei perso la mia
credibilità di comandante e il mio UNICO amico in quel mondo
fatto di rabbia,
odio e violenza che sembrava schiacciarsi sempre più sopra
di me. Mentre
rimuginavo su questi pensieri amari arrivai alla porta della sua
cabina, stavo
per bussare quando vidi che la porta era aperta e la stanza era,
apparentemente,
vuota. Mi sporsi in avanti per entrare quando uno strano particolare
attirò la
mia attenzione, era una lettera incisa con il coltello sullo stipite
destro
della porta, era una “A”, avrei potuto evitare di
fare troppe congetture, ma fu
più forte di me. Poteva dire infinite cose, era forse un
messaggio, Addio,
Assassinio? O forse era una persona? Alla fine compresi, era...
<<
Annabeth >> disse una voce alle mie spalle, mi voltai e
vidi Percy che
usciva dal bagno con indosso, solamente, un asciugamano sarebbe potuto
essere
quantomeno strano, ma in quel momento i miei pensieri erano altrove,
stavo per
parlare quando mi sentii dire << Non farci caso... ero
una persona
diversa >>. Meditai un po’ di tempo su
quell’aggettivo ma poi fui
riportato alla realtà da Percy che adesso vestiva una
camicia di Lino bianca e
dei pantaloni di seta nera, in effetti quel giorno al largo dei Caraibi
faceva
un gran caldo, dopo un lungo attimo ci incamminammo verso il santuario.
Il
Santuario era una stanza costruita interamente di pietre nere e
lucenti, onice,
ossidiana e opale nero; non c’erano finestre e la poca luce
che entrava nella
sala proveniva da un braciere nel centro, proprio accanto al sarcofago
aureo di
Crono. Appena entrati ci inchinammo, credevo che il nostro nuovo
acquisto
sarebbe stato in difficoltà essendo la prima volta alla
presenza del signore
dei Titani, eppure era stranamente tranquillo, ad un tratto vide che
incominciava a dimenarsi come posseduto da uno spirito, bastarono pochi
attimi
e fu tutto finito, ma prima che potesse rilassarsi senti la profonda
voce del
Titano echeggiare nella sua mente << Bene Generale,
nonostante le tue
paure mi hai portato un ottimo guerriero, credevo che sarebbe stato da
eliminare eppure quello che c’è dentro di lui non
mente, un ODIO talmente forte
da divorare tutto ciò di debole che c’era in lui
>> mentre parlava capii
che quel “tutto ciò di debole” voleva
dire “tutto ciò di buono”, la voce fece
una pausa e poi ricominciò a parlare ma con un tono quasi
sarcastico <<
Ma il suo corpo è debole... essendo un semidio non posso
invecchiarlo subito a
sedici anni per far avverare la profezia, ma posso far crescere il suo
corpo e
la sua mente per renderlo come te... >> a quelle parole
provai sentimenti
contrastati, averlo affianco da diciottenne sarebbe stato
più facile per conoscerlo,
ma se Crono l’avesse cambiato avrei potuto conoscerlo come
una macchina, un
fantoccio del signore dei Titani.
P.O.V.
Percy
Non
capii molto e se capii qualcosa in particolare,
non me ne ricordo. La voce di Crono mi disse cose incomprensibili, e
pronunciò
anche alcune strane formule magiche in greco antico, poi sentii ogni
molecola
del mio corpo, persino quelle che non sapevo di avere, allungarsi,
accartocciarsi, insomma mutarsi e persino nei miei sentimenti
cambiò qualcosa,
la mia rabbia la e mia frustrazione si amplificarono al massimo e
ovunque mi
girassi vedevo solo lo sguardo ghignante di Atena. Quando ritornai in
me ero
nella mia cabina sdraiato sul letto, eppure non ero io, ero
più alto e
decisamente più prestante, insomma avevo il fisico di un
diciottenne e con mia
somma sorpresa quando mi trovai ad aprire un antico manuale militare,
in fondo
adesso ero un ufficiale dovevo saper comandare le truppe oltre che
combattere,
mi resi conto di sapere già tutto quello che c’era
scritto, per una volta nella
mia vita avevo davvero un cervello superiore a quello dei miei
coetanei. In
Mattinata Luke mi portò Vortice che era stata
incredibilmente modificata...
adesso vantava una metà in acciaio, come Vipera, ed
incredibilmente una punta
in metallo dello Stige, la leggenda narrava che se si poteva ferire un
dio era
quello l’ unico metallo con cui lo si potesse fare... ero
impaziente di
provarla; poi mi resi conto che avevo ancora una cosa in sospesa dovevo
lasciarmi tutto alle spalle dovevo dare un ultimo saluto ad Annabeth.
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Capitolo 7 *** Capitolo 5 Un'ultima volta ***
Capitolo
5 Un’ultima volta
Ero
lì, con il mio
nuovo corpo da diciottenne, la voce profonda e la cicatrice
in viso, che,
insieme all’espressione sprezzante alterava i miei lineamenti
in un modo che...
quasi mi piaceva.
Ero lì,
perché lo dovevo a lei e soltanto a lei.
Guardai il pino di Talia,
mosso nella brezza
leggera. Ondeggiava, come se mi salutasse, in una muta esclamazione di
benvenuto. Non
potei evitare che sul viso
mi si dipingesse un ghigno. Scossi appena la testa, passandomi una mano
tra i
capelli e calcandomi il cappuccio sul capo.
Era mattina, mattina
presto, il cielo era di quel
bianco lattiginoso, dovuto all’incommensurabile cappa di nubi
sopra la mia
testa e il vento fresco faceva ondeggiare l’erba della
collina e in campi di
fragole in lontananza. Se conoscevo Annabeth a quell’ora era
già seduta al
tavolo di Atena, in compagnia dei suoi fratelli più
mattinieri.
Com’era strano
pensare a lei. Da quando mi ero
risvegliato, con la frustrazione nelle mani, strette a pugno, e il
senso di
cambiamento repentino e scioccante avvenuto mi sembrava strano pensare
che
adesso avrei fatto i conti con l’ultima parte che mi legava a
quei bastardi.
già, ci avrei
fatto i conti... per poi recidere
anche quel legame.
Non so dire se mi
dispiacesse o meno, ora ero una
persona nuova, migliore. Ora ero consapevole di tutte le
crudeltà di quel
manipolo di mostri. Ero consapevole, ora più che mai, di
Ares, di Atena e del
loro ghigno agghiacciante.
Ero una persona diversa
perché non provavo più
tutte quelle emozioni da ragazzino. Chissà se vedendola
avrei visto Annabeth o
solo l’ennesimo fantoccio degli dei, l’ennesimo
nemico da combattere.
Probabilmente no.
Era questa la parte che mi
preoccupava, da una parte
volevo vederla così, ma ero consapevole che le dovessi un
addio, almeno quello.
Perché se da una
parte ormai dovevo odiarla,
dall’altra ero consapevole che fosse l’unica che
non lo meritasse.
Che non meritasse questa
guerra almeno quanto io
non avevo meritato le crudeltà che mi avevano inflitto e che
ora segnavano il
mio viso, la mia espressione e il mio cuore.
Per un istante ricordai
quando da quel tavolo
lanciava sguardi a me, seduto poco più indietro, e
sorrideva. Per un secondo
tornai con la mente di un ragazzino innamorato, tornai a quella
sensazione di
calore nel petto; il ghigno mi si spense in viso.
Contieniti, Percy. E mi
contenni, ripresi il controllo di me.
Non ero più il
ragazzino pieno di false speranze,
che seguiva il volere degli dei così ciecamente.
Ora ero il nuovo Percy...
ero una persona diversa.
Quell’aggettivo
ormai era il mio preferito.
Ero diverso
perché loro lo avevano voluto.
Mossi
qualche falcata, mantenendomi sul perimetro del campo, dove sapevo non
andava
mai anima viva, con le mani in tasca e il profilo basso. Decisi di sfruttare la vicinanza
del bosco con la mensa
per chiamarla, per vederla un’ultima volta come la persona di
cui ero
innamorato e non la nemica che sarebbe diventata.
Camminai, i jeans scuri che
si impigliavano ai
rovi, fino a ritrovarmi dietro il tavolo dove solitamente, non prima
delle due
del pomeriggio, quel vecchio dio meschino, si sedeva.
Buttai gli occhi attraverso
agli alberi, il tavolo
di Atena era incomprensibilmente vuoto, ma... non quello di Poseidone.
Ed eccola. Era sempre lei,
eppure vedevo i segni, come
indelebili, delle lacrime sulle sue guancie.
Non era da lei piangere, ma
si vedeva che lo aveva
fatto. Ed
ecco un altro senso di
consapevolezza: lei non lo meritava. I
capelli biondi erano legati, in una coda disordinata, si abbracciava le
gambe
con le braccia, poggiandovi sopra il mento, il tavolo era vuoto,
nemmeno un
bicchiere di succo d’arancia, nulla.
Se ne stava lì,
con gli occhi chiusi, stretta a
sé, ogni tanto rabbrividiva.
Siccome non c’era
nessuno in vista uscii dai rovi.
Lei nemmeno si accorse.
Le andai incontro da
dietro, fino a che non sentii
il soffio del suo respiro.
Fu allora che mi schiarii
la voce per avvisarla
della mia presenza.
Lei si irrigidì
per un secondo, subito dopo
estrasse il suo coltello e mi si scagliò contro; non mi
aveva riconosciuto.
Non so perché ne
rimasi deluso, ma fu solo un
lampo, che sparì ancora prima che potessi avere tra le mani
quel pensiero. Poi
tornai ad essere me stesso, il nuovo me stesso.
Tirò un fendente
all’indietro, che bloccai grazie
ai riflessi appena acquisiti, poi tentò un calcio, ma lo
schivai con un balzo
fluido... possibile che... fossi così diverso?
Non volevo parlare. Lei non
urlava, non parlava,
ma continuava con la sua raffica di colpi.
Che, nel suo profondo,
sapesse chi ero?
non badai molto a
quell’intuizione, piuttosto mi
stufai di schivare e con uno scatto serpentino ed inimmaginabile le
bloccai il
polso ad un centimetro dal mio viso, ancora celato dal cappuccio.
Rimanemmo per un istante
immobili entrambi, lei che
inclinava la testa per cercare di vedermi in viso ed io che non
riuscivo a
staccare gli occhi di suoi. Sul viso sentivo l’espressione
che si faceva sempre
più amareggiata, più dura, alla vista di quegli
occhi che erano uguali ai suoi,
a quelli di sua madre, anche se questi erano rigati di lacrime.
Annabeth non piangeva mai,
piangeva solo quando si
sentiva colpita, nel profondo, quando qualcosa a cui teneva, a cui
teneva
davvero, le veniva strappato dalle mani.
Era orribile. La
situazione, il suo sguardo,
tutto.
Guarda cosa hai fatto a tua
figlia, Atena.
Quando distolsi lo sguardo
per non vedere, il
precario equilibrio in cui eravamo caduti si ruppe:
“Chi... Cosa....
Cosa sei?!” urlò, mi affrettai a
metterle una mano sulla bocca, per evitare che sentissero.
Lei si dimenò
appena, tentando si colpirmi, con il
risultato che le piegai il braccio dietro la schiena, immobilizzandola.
Per un secondo mi persi in
dettagli come il fatto
che finalmente fossi più alto di lei, o che i suoi capelli
avessero l’odore che
ricordavo, ma poi tornai in me.
Mi avvicinai piano al suo
orecchio, da dietro, e
sussurrai:
“Annabeth... sono
io”
Si irrigidì di
scatto, al suono di quelle parole,
rimase talmente immobile che fui sul punto di mollare la presa e
scuoterla, poi
mi sferrò un colpo secco sugli stinchi, con il tallone, un
colpo che non mi
fece male, ma mi sorprese, facendomi mollare la presa.
Lei si voltò di
scatto indietreggiando di qualche
passo, nei suoi occhi vedevo solo sorpresa e spavento.
“tu... tu n-non
sei... non sei...”
“sì,
invece” risposi, poi tolsi il cappuccio dal
viso.
Non vidi mai espressione
tanto orripilata. Mai.
La guardai dritta negli
occhi, con l’aria gelida
che di solito usavo sulla Principessa Andromeda, la guardai con lo
sguardo di
determinata furia che riservavo a quelli come lei, la guardai come se
fosse una
tra i tanti che mi erano avversi, anche se non lo era.
La guardai così
perché quell’espressione era
impressa fuoco nei miei tratti.
Per un istante volli che la
cicatrice che avevo in
volto mi si cancellasse, che si cancellasse quella voce non mia e che
quel
corpo che non mi apparteneva.
Ma ormai ero diverso, ero
una persona diversa, ed
ero lì per spiegarglielo.
“Cosa... cosa...
cosa sei?”
“Sono io,
Annabeth... lo sai”
Mi fissava, con lo sguardo
confuso, mi scrutava
dall’altro in basso, come a tentare di ritrovare il ragazzino
sotto la corazza
di ghiaccio.
Mi guardava senza capire,
quegli occhi grigi mi
trapassavano da parte a parte, senza mai riuscire a penetrare veramente
oltre
quella sottile barriera che pareva dividerci.
Storse le labbra appena,
non so se lo immaginai,
ma mi sembrava di vedere il suo mento tremare.
“Co-cosa ti
è successo?” sussurrò, con voce
fievole, mi parve quasi che volesse avvicinarsi e... non lo so, provare
a...
fare qualcosa, credo, ma quando mi guardò in faccia si
fermò.
Ignorai la domanda, fissai
gli occhi nei suoi, non
ho idea di cosa le trasmisi, ma dissi:
“Non possiamo
stare insieme”
“Che cosa?
Percy... ma... io non capisco” disse,
la voce nel panico più totale.
“Ti basta sapere
che questa... questa è l’ultima
volta che mi vedi, o meglio, spera che lo sia”
“L’ultima...
cosa stai dicendo? Perché... sei...
così?” balbettò, le mani strette a
pugno. “ti prego spiegami, Percy”
“Annabeth, non
possiamo andare avanti” dissi,
l’espressione dura, cinica.
Lei rimase in silenzio,
fissandomi negli occhi,
alla ricerca di non so quale risposta.
“Non ti
riconosco”
Già, non mi
riconosceva, ovvio.
Ed era bene
così; non doveva riconoscermi, io ero
cambiato, se non le stava bene che puntasse il dito contro sua madre...
decisi
di dirglielo:
“Ed è
bene così, Annabeth, non devi riconoscermi”
“Che... che stai
dicendo?!”
Le andai incontro, muovendo
qualche falcata nella
sua direzione, lei tentò di indietreggiare, ma io
l’afferrai per le spalle, mi
chinai fino a poter fissarla dritta negli occhi.
Non fu difficile
riconoscere Atena in quegli
occhi, erano identici, per forma e colore, sempre gelidi e minacciosi.
Anche se
non riuscivo ad odiare quelli che avevo davanti come odiavo quelli
della dea
trovai il modo di convincermi a parlare, a tirare fuori
l’espressione
minacciosa che in sua presenza cedeva:
“E’
finita. È finita con te, con gli dei, è finita
con tutti voi... sono qui perché volevo avvisarti... io...
te lo devo.”
“Fi-finita?”
“Sono passato
dalla parte di Crono, e mi sento
bene, sto bene senza di loro”. Dissi, l’espressione
arcigna a pochi centimetri
dal suo viso.
Lei si scansò
subito.
“Cosa hai fatto?!
Percy... tu... non sei più tu”
“No, sono un io
migliore, Annabeth”
“Percy... come
hai potuto farlo?! Come hai potuto
farlo a me” disse, ora i suoi occhi erano pieni di disgusto.
“Credevo fossi
diverso, credevo che... sei uguale a Luke”
“Già,
ed è meglio così”
“Non ti rendi
conto di quello che hai fatto?!”
“Cos’ho
fatto, vuoi sapere? la cosa più giusta per
me... e per te”
“Per me? Cosa
stai dicendo?!”
“Chiedilo a tua
madre”
“Percy, mia madre
non...”
“Ma tua madre ora
non c’entra, hai ragione... sono
qui per avvisarti... e per dirti addio...”
“Che vuol
dire...?!” mi interruppe lei, la voce
ormai quasi isterica.
“Taci. La
prossima volta che mi vedrai cercherò di
ucciderti”
“Percy...”
“Taci ho
detto!” urlai, lei mi guardò a metà tra
la delusione, l’amarezza e l’incredulità.
“hai ragione, non
sono più io. Ed è la cosa
migliore. Questo è un addio, Annabeth” mi bloccai,
fissando le sue sopracciglia
aggrottate, la smorfia della bocca, riflettei un secondo, alla
velocità della luce.
Volevo davvero
abbandonarla? Volevo farlo per
sempre? Quello per me era davvero un addio o volevo che fosse
qualcos’altro?
La guardai ancora, mi
fissava senza dire nulla, lo
sguardo pieno di rabbia.
Le parole sgorgarono da
sole, senza che volessi
farle uscire, sgorgarono repentine, veloci come l’aria.
Il pensiero di lei, bella,
gloriosa, in un nuovo
corpo da diciottenne, con una nuova mentalità in testa, il
pensiero di lei con
me, ancora e per sempre. Un pensiero di noi contro tutti coloro che ci
erano
avversi, ecco cosa fu a parlare:
“Vieni via con
me”
Silenzio, il fruscio degli
alberi e del vento.
Silenzio pesante, greve sopra le mie spalle, sopra i miei pensieri,
silenzio
che precludeva qualsiasi opzione non fosse quella che disse:
“Mai”
Bastò quella
parola. Mi accorsi che la mia
espressione era mutata solo quando tornò ad essere la
maschera di odio, ancora
più intenso. Che preferisse ancora stare dalla loro parte?
Dopo tutto quello
che significavo per lei.
L’odio crebbe, e
con lui la voglia di urlare, di
sfoderare Vortice, la voglia di scagliarmi contro di lei, di prenderla
per le
spalle, urlarle in viso.
La fissai con
quell’espressione.
Lei parlò la
voce ridotta a poco più che un
sussurro, piena di rabbia, piena di risentimento e piena delle lacrime
che
sgorgavano da i suoi occhi.
Non esalava un singhiozzo,
ma le lacrime
scendevano copiose, unica manifestazione di quello che aveva dentro.
Estrasse il coltello:
“Resta o vattene
per sempre”
Annuii appena, ovvio,
più che giusto.
“Dopo tutto
quello che abbiamo passato... pensavo
che saresti rimasta con me” dissi, una nota di delusione
cieca nella voce,
celata appena dall’odio.
“Sarei rimasta
con te se tu fossi stato ancora tu”
Digrignai i denti.
Perché quelle parole? Non
capiva che non potevo? Che non potevo ignorare tutto quello che
facevano loro?
Che per era così
dannatamente frustrante tutta
quella situazione?
Stare lì a
spiegarle, a parlarle... senza trovare
quel punto di incontro che ci aveva unito.
Era lì davanti a
me. Da una parte avrei voluto
prenderla tra le braccia, stringerla, dall’altra avrei voluto
urlare.
Urlare davanti a quello
sguardo, davanti alla sua
espressione, alla sua faccia.
Avrei voluto urlare contro
di lei perché non
capiva, non poteva capire e nemmeno lo voleva.
Lei non si era ritrovata
perduta, spaesata, con
quel macigno di disperazione e orrore sul petto, no.
Non aveva visto il ghigno
sadico di Atena come
l’avevo visto io. Non aveva sentito le ferite aprirsi per
mano sua.
Non si era sentita come se
il mondo le crollasse
addosso, come se tutto fosse diverso.
Ed era proprio
perché il mondo mi si era ritorto
contro che ero cambiato, che ero diventato quello che ero.
E lei era lì,
immobile, i pugni serrati il
disgusto negli occhi.
Era lì, e non
capiva, non riusciva a riconoscermi.
Era lì, con le
lacrime che le rigavano le guance
uniche ambasciatrici di quello che provava per me. Quel qualcosa che le
stava
scivolando sulle guancie, perdendosi.
Probabilmente per sempre.
Ed io ero lì per
lei, per dirle addio, per darle il
giusto ricordo di me, per lasciarle qualcosa. Per farle capire che per
me lei
era la stessa, eppure sostanzialmente diversa.
Per me era una delle
nemiche più combattive e
colei che sarebbe stata dalla mia parte fino alla morte... o almeno
così avevo
creduto.
Avevo creduto anche di
poterla stringere un’ultima
volta, di poterla guardare negli occhi con quello sguardo che avevo
usato in
passato.
Avevo creduto che sarebbe
passata sotto la voce
profonda, la cicatrice, l’espressione segnata
dall’odio.
Che sarebbe passata sopra
al fatto che eravamo
nemici, che l’avrebbe fatto almeno questa volta... per me.
Ma avevo creduto troppe
cose.
La guardai ancora. Negli
occhi una richiesta di
comprensione e tanta, tanta frustrazione e rabbia e... dolore.
La sua espressione era la
fotocopia della mia; era
arrabbiata con me, frustrata per la situazione creatasi e, lo percepivo
con la
parte di me che ancora vedeva con gli occhi del vecchio Percy,
infinitamente
addolorata.
Ma lei non cercava
comprensione, no, lei cercava
di solidificare le barriere tra noi, cercava di fregarsene, di
scappare,
correre, fuggire... da me.
I suoi occhi erano spenti,
privi di quella luce
che tanto mi piaceva, privi di ogni cosa se non di tutti quei
sentimenti che
anch’io provavo.
Ed eccoci Annabeth. pensai,
eccoci a condividere
qualcosa, per l’ultima volta.
Quanto avrei voluto che
quel qualcosa fosse un
sorriso, uno sfiorarsi delle mani, qualsiasi altra cosa.
“Sai che me ne
andrò, vero?” le chiesi, la sfida
nella voce “Sai che non ti cercherò mai
più, e che se lo farò sarà... per
uccidere te e tutti coloro che ami, lo sai questo, Annabeth?”
Lei alzò il
mento le lacrime che ancora le
rigavano il viso, l’espressione d’acciaio e
ghiaccio, ma infervorata
dall’ultimo tentativo di appello che le stavo facendo.
“Lo
so.” Rispose... e per un istante mi parve di
vedere le sue spalle tremare.
Annuii secco, senza dire
nulla.
La fissai ancora, incapace
di ammettere che quello
sarebbe stato il nostro addio.
La fissai, e mi sentii
diverso un’altra volta. Ma
diverso non nel senso che mi piaceva. Ero cambiato e avevo rinunciato a
lei.
Ma non potevo e non volevo
pentirmene. Non l’avrei
fatto. non sarei tornato indietro, anche se questo significava perderla.
Quello era il nostro ultimo
saluto.
Sentivo il vociare della
folla in arrivo, vedevo
il prato in fondo che si riempiva di gente.
Ed ecco che era scaduto il
mio tempo, il nostro
tempo.
Prima che potessi dire
qualcosa, lei sospirò,
asciugandosi le ultime tracce di me sulle guance, poi disse, in un
sospiro come
di sfogo, un sospiro stremato.
“Vattene,
Percy”
“Quando mi
rivedrai non ti risparmierò” dissi,
apatico, anche se in fondo parlavo perché volevo che capisse
quanto
desiderassi, con tutto me stesso, un dannatissimo segno di... di quello
che
eravamo stati.
Lei, invece di capire, di
corrermi in contro come,
ammisi a me stesso infine, volevo disse:
“Nemmeno
io”
Annuii con un cenno secco,
poi le voltai le
spalle. Sentii che prendeva fiato per parlare, ma non lo fece.
Camminai dandole le spalle,
fino ad arrivare al
limitare del bosco, allora mi voltai e guardai indietro.
Era ancora lì
immobile, gli occhi chiusi.
La guardai ancora un
secondo.
Spero di dimenticarmi di
te, Annabeth.
Addio.
Infine me ne andai dal
campo, da lei, dalla sua
vita.
Per sempre.
Ringrazio
per aver scritto questo capitolo piccolalettrice
senza la quale sarebbe mancato un importante passaggio del Testo.
Infatti devo
dire a mio scapito che ho il sentimentalismo di un cucchiaino.
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 6 Il Primo Incarico ***
Capitolo
6 Il
Primo Incarico
Alla
fine era successo l’ultimo ponte che mi legava
al passato era caduto nell’oblio, forse era un bene, ma di
certo mi era
sembrato come perdere una parte dell’anima, dopo quel giorno
avevo avuto un
sonno agitato e pieno di cupe visioni di morte, vedevo me stesso, ma
non ero
io... ero come un mostro bruciavo e uccidevo senza pensarci due volte e
non
provavo pietà né rimorso. Mi svegliai, ero nella
mia cabina, le pareti
sembravano girare e le tende proiettavano delle ombre oscure alla luce
del sole
del primo mattino, mi soffermai per un attimo a pensare alla mia vita
recente,
stavo per trarre delle conclusioni forse completamente errate quando
fui
richiamato alla realtà da un secco colpo alla porta. Scattai
d’istinto verso
Vortice, in fondo quando si hanno dei nemici come i miei anche solo un
attimo
può esserti fatale, ma quando aprii la porta mi
tranquillizzai una volta tanto
non era qualcuno inviato per uccidermi. Mi comparve davanti Jenny
Darnel, una
figlia di Eris, la cui presenza a bordo della principessa Andromeda
faticavo
ancora a spiegarmi, ma forse essendo la figlia della Discordia, alla
quale
assomigliava in maniera incredibile per gli occhi viola, la pelle scura
e i
capelli rosso mogano, voleva
soltanto
approfittare della situazione per crearne un bel po’. Non avevo mai avuto modo
di parlare con lei,
ma dalle descrizioni di Luke mi era stata presentata come una
mangiatrice di
uomini, spero sia figurato dissi
fra
me e me gettando il pensiero ai lestrigoni << Allora cosa
ci fai qui?
>> dissi freddamente per mantenere il tono di comando
<< sono stata
mandata qui dal comandante... >> al sentire il nome di
Luke mi preparai
psicologicamente a qualche furiosa battaglia, ma poi quella
ricominciò a
parlare << sono stata mandata qui per dirle di passare
dal comandante e
per informarla che da questo momento in poi sono ai suoi ordini per
soddisfare
i suoi bisogni... di ogni genere >> pronunciò
l’ultima parte squadrandomi
i pettorali con aria bramosa, a quel punto la guardai meglio e non
potei fare a
meno di vedere la vistosa scollatura che sembrava gridarmi “Dai Percy
gettaci un occhio dentro”.
Passarono alcuni secondi imbarazzanti poi finii di vestirmi e andai da
Luke, a
metà strada mi voltai, lei era ancora dietro di me, arrivati
alla porta la feci
rimanere fuori a fare la guardia e mentre entravo non potei fare a meno
di
pensare che con lei mi sarei divertito parecchio.
Appena
entrai mi vidi arrivare incontro un Luke
sorridente quasi di buon umore e la cosa mi sembrava talmente
innaturale che
per un attimo lo guardai come fosse stato un alieno. In mano aveva un
mantello?
O forse era una cappa? Sembrò leggermi nella mente infatti
mi guardò in faccia
e mi disse << Questa è per te amico mio
è una corazza, ma anche un
oggetto di incredibile potenza, infatti è una cappa
d’ombra dì αόρατο
e ti renderà invisibile dì Πούδρα σκιάς
e nessuna serratura sarà abbastanza
per te, io posso fare queste cose per la mia insulsa parentela con il
dio dei
Ladri, e ti sto offrendo questo potere per necessità e...
per amicizia >>
ci fu un breve silenzio poi ricominciò a parlare ma con un
tono molto diverso
da quello solenne e pomposo di prima << allora che ne
pensi della tua
nuova attendente ? L’ho scelta apposta per te, una sola notte
con lei fa
miracoli e ora non ti inventare patetiche scuse, conosco il corpo di un
diciottenne e le sue necessità >> Presi l’armatura
per un po’ di tempo la
guardai immobile alla fina mi decisi a parlare <<
immagino che questa non
sia solo una visita di piacere o sbaglio? >> lui riprese il tono serio
e continuò al posto
mio << Non sbagli, stanotte avrai il tuo primo incarico
attaccheremo le
cacciatrici di Artemide è un attacco intimidatorio, ma senza
di loro la dea
sarà poi una facile preda >>
allora Artemide sarebbe stata la prima a cadere. << stanotte
attaccheremo, forma un
commando e stai pronto >>
Era
stato molto chiaro
doveva essere una cosa furtiva, così iniziai a scervellarmi
su chi potesse
essere abbastanza capace da affrontare una missione così
rischiosa, arrivai
nella sala d’armi e fu quasi come un illuminazione: un
guerriero esperto come
Anthony, un minotauro, la cui forza bruta sarebbe servita, e due
arcieri
lestrigoni per gli attacchi dalla lunga distanza, mentre accennavo ad
andarmene
un semidio, forse un altro figlio di Hermes mi diede un fiala di
veleno, esitai
ad accettarla poi ripensai alle cacciatrici ogni aiuto era il benvenuto.
La
notte era arrivata e
noi con essa, ci eravamo appostati, dopo un lungo volo su delle Arpie,
in
prossimità di un fiumiciattolo in una foresta da qualche
parte nel Montana,
contammo le tende, le cacciatrici c’erano tutte, la loro
padrona doveva essere
fuori a caccia, cagne ecco cos’erano sottomesse a qualcuno
che non le avrebbe
potute apprezzare, ma convinte di essere libere...
c’è qualcosa di più assurdo
dell’ipocrisia umana? Forse solo quella divina. Altri tre
minuti esatti e
avremmo attaccato, Luke e i due Lestrigoni si erano appostati a
Nord-Est della
nostra posizione e stavamo aspettando il loro segnale per avviare
l’attacco,
nell’attesa squadrai i miei uomini, Anthony aveva assunto la
feroce espressione
di Ares e nella sua corazza rossa incuteva un certo timore, ma non era
nulla a
confronto del Minotauro che era acquattato affianco a noi, gli occhi
piccoli,
gonfi di adrenalina, il respiro affannoso tutto coronato da una pesante
ascia
in bronzo; Ad un tratto mi sentii chiamare con il pensiero, altro dono
della
cappa, era Luke << Percy aspetta il segnale e non fare
cose avventate, e
soprattutto non farti trascinare dall’entusiasmo dei
“ragazzi” >> disse
poi rivolgendosi alle truppe.
L’attesa
sembrava
interminabile, poi le cacciatrici si riunirono per la cena e per loro
quello
sarebbe stato l’ultimo pasto, Luke mosse una fiaccola... il
segnale! Passai il veleno sulla spada e
ci gettammo all’attacco, la prima a cadere una ragazza di
forse 14 anni, fu
trafitta da una freccia nel collo e l’urlo che
scaturì da quella seduta accanto
a lei mi fece capire, mi fece capire che anche le cacciatrici di
Artemide all’apparenza
spavalde e invincibili erano ragazzine spaventate.
Ci
lanciammo all’attacco,
sulle prime esitai per controllare la situazione della battaglia, ma
poi vedere
il Minotauro che fendeva con l’ascia la schiena di una di
loro mi
risvegliò,pensai che anche quell’altra fosse
spacciata, ma con mia sorpresa si
voltò estrasse il pugnale e ferì il mio compagno
sul costato, certo sarebbero
morte tutte ma se ne sarebbero andate con stile... Una si
gettò contro di me ed
allora mi dimenticai che erano ragazze, mi ricordai che erano nemici,
il mio
corpo fu pervaso da un tremito di rabbia e fui più bestia
che uomo, tentò
di pugnalarmi il collo, feci un balzo
indietro e mi scansai a quel punto contrattaccai menando un fendente
mirato al
suo cranio doveva finire in fretta, lei parò
l’attacco ma la mia lama continuò
e le colpì un polpaccio lei arrancò,poi pensai al
veleno per lei era giunta la
fine... mi sembra ancora strano come una guerriera possa cadere per un
misero
taglietto, ma era una guerra non c’era tempo per pensare
troppo, parai
svogliatamente altri due o tre attacchi e infine la vidi soffocare con
una
smorfia sul volto e così morì...
nell’ignoranza di cosa l’aveva uccisa.
Ho
ucciso centinaia di
persone e di mostri, ma non mi potrò mai dimenticare il suo
sguardo.
Non
passò molto che mi trovai davanti un'altra
avversaria, stavamo combattendo furiosamente da qualche minuto quando
mi resi
conto di essere circondato, non sapevo cosa fare eravamo sette contro
uno, poi
arrivarono Anthony e Luke ci mettemmo schiena contro schiena e
iniziammo una
tetra danza con le nostre avversarie, il veleno faceva il suo lavoro e
credo
tutt’ora che molte cacciatrici mi maledicano ancora
dall’Ade per averlo usato,
forse non era sportivo,ma era efficace. Dopo un po’ non seppi
più cosa mi
circondava, guardavo e pensavo soltanto ad una cosa, il sangue che mi
macchiava
le mani e la scia di morte che portavo dietro di me, ma continuavo ad
uccidere
senza rimorso, finché non ne vidi una più piccola
delle altre avrà avuto una
decina d’anni, forse non era neanche una vera cacciatrice
ancora, ma il
minotauro non fece distinzioni, vidi tutto come al rallentatore la
incornò, la
poverina colpita dal mostro cadde in ginocchio, solo per poi essere
decapitata.
Non
mi sono mai ripreso da quella vista.
P.O.V.
Luke
Quello
non poteva essere Percy, ma lo
era fino a quel momento ero stato zitto, ma vederlo inflessibile di
fronte ad
un tale spettacolo mi sconvolse, non potevo sapere cosa pensava, ma per
avere
una tale freddezza, quegli esseri immortali che osano farsi chiamare
dei,
nonostante le loro orrende abitudini e i loro vizi, dovevano avergli
fatto
qualcosa di orribile che forse nemmeno lui comprendeva a pieno. La
battaglia
era quasi finita ormai era rimasta una sola cacciatrice, proprio LEI
Thalia
Grace. Mi avvicinai a lei con la spada bassa feci segno a tutti gli
altri di
starle lontano, lei era mia. Ci sfidammo con i colpi più
difficili che ci erano
stati insegnati, Vipera iniziava a pesarmi fra le mani, ma dal sudore
sulla sua
fronte capii che anche lei si era stancata, duellando eravamo ormai
arrivati ai
limiti del campo delle cacciatrici, soli. Fui stupito nel vedere che si
mise in
ginocchio, era esausta ma non intendeva arrendersi,avrei potuto farla
finita,
ma non lo feci, la guardai a lungo negli occhi, poi sentii dei rumori
Percy e
gli uomini avevano finito,dovevo prendere una decisione, ucciderla come
una
nemica o farla fuggire come un’amica, avevo sempre meno tempo
dovevo prendere
una decisione, alzai Vortice.
Abbassai
un colpo formidabile davanti
alla sua faccia, lei sbiancò << scappa e non
farti vedere, posso solo
augurarti buona fortuna >> le dissi, lei per un attimo mi
guardò
altezzosa, stava forse pensando a come l’avevo delusa in
passato? Mi appoggiò
le mani sul volto per un attimo pensai al peggio, poi mi
fissò negli occhi e
disse solo << sapevo che in te c’era ancora del
buono, lo sentivo
>> Poi se ne andò libera nella foresta.
Tornai
vicino al Falò, il Minotauro era
gravemente ferito, uno dei lestrigoni era morto, trafitto da tre frecce
argentee, Anthony era ammaccato ma stava bene, aveva radunato tutti i
corpi e
li stava bruciando, ma ne mancavano due all’appello, poi li
vidi ce li aveva
Percy... uno era il corpo di quella bambina di 10 anni
l’altro apparteneva ad
una ragazzina di 14 con il volto contratto in uno strano ghigno di
stupore; Mi
avvicinai per parlargli,ma lui mi precedette << Questo li
porto con me...
ho compreso davvero la crudeltà di quello che faccio glielo
devo... >>
dapprima credetti che avrebbe fatto qualche strano incantesimo di
negromanzia,
ma al contrario si sedette sulla riva di un ruscello, gli
pulì le ferite e
ricompose i cadaveri, li voleva davvero portare con sé...
mentre salivamo sulle
arpie per tornare alla nave il lestrigone rimasto si leccò i
baffi << il
comandante ha rimediato la cen.... >> non poté
finire la frase Percy gli
aveva trapassato la testa con il pugnale, i nostri compagni mi
guardarono come
a chiedere se dovevano immobilizzarlo, ma non dissi nulla io avrei
fatto lo
stesso.
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Capitolo 9 *** Capitolo 7 Sesso e Castità ***
Capitolo
7 Sesso e Castità
A.S.
Perdonatemi la lunga assenza ero in
Ferie...
(Narrazione
di Anthony)
Eravamo
tornati sulla nave da meno di
dieci minuti, ma si era già scatenato un putiferio di
risate, allegria e
scherno verso quelle arroganti ragazzette che giacevano in pasto ai
vermi. Il
salone delle feste era pieno di gente, si era deciso di fare una festa
esclusiva...
niente mostri o bestie; Avrei potuto entrare subito, ma optai per un
salto in
camera a cambiarmi, come diceva sempre mia madre “Un bel ragazzo come te non può certo
andare in giro come un vagabondo”
Avevo ormai quasi varcato la soglia quando sentii un piccolo singhiozzo
subito
seguito da un altro e poi un altro ancora, seguii quel suono spettrale
fino ad
uno stanzino perfettamente vuoto e scarsamente illuminato, cercai un
po’ con lo
sguardo e infine lo vidi, Percy Jackson, forse il guerriero
più feroce che
avessi mai visto, considerando anche che combatteva contro i suoi ex
alleati,
che piangeva come un bambino ai piedi di due cadaveri argentei. Erano
le due
cacciatrici, iniziavo a chiedermi se intendesse tenerle lì,
ma poi accadde
qualcosa che persino per un semi-dio si ritiene impossibile, le sue
lacrime
circondarono i corpi e divennero delle bare di cristallo dalle
sfumature verdi,
proprio come gli occhi che le avevano piante; Ero confuso io e il
capitano
avevamo deciso tacitamente di tenere segreto il primo episodio, ma
quello!
Non si grazia il nemico in battaglia,
ma seppellirlo è d’obbligo così lo
considerai solo un ennesimo piccolo segreto.
Trascorsi altri venti minuti e vestito di tutto punto entrai allora nel
grande
salone, i lampadari di cristallo pendevano in tutto il loro splendore,
i rasi e
le sete della tappezzeria erano stati tirati a lucido e ad ogni tavolo
si
brindava alla vittoria, con i lestrigoni incredibilmente servizievoli a
riempire i calici ogni qualvolta ce ne fosse bisogno, mi accomodai al
tavolo
principale assieme al comandante e al primo ufficiale. Percy era
proprio lì
euforico come se fosse appena trascorso il natale, stentavo a credere
che lui e
il ragazzo della stanza fossero la stessa persona... era
così, strano.
Dopo
almeno una ventina di brindisi fu
servita la cena: pasticcio di montone con uova alla Bismarck e tortini
di
carne, l’atmosfera era fin troppo calma e giacché
la discordia è l’antitesi
della calma, l’immancabile Darnel arrivò di
lì a poco, dal suo scarno
abbigliamento era logico che quella sera voleva guadagnarsi una
promozione nel
peggiore dei modi...
Un leggerissimo
abitino la copriva , se così si può dire, ma era
comunque esposta agli sguardi
indiscreti di tutti i presenti, cosa che a parer mio la faceva
gongolare a dir
poco... dopo un pasto luculliano tornai in camera, ma non dopo aver
ottenuto da
una disinibita figlia di Efesto un ballo per la sera successiva.
P.O.V.
Percy
<<
Mi perdonereste un attimo,
credo di non sentirmi molto bene... >> dissi poco prima
di alzarmi e
correre nella mia cabina, lì mi guardai allo specchio e mi
venne da sputarmi in
volto, iniziai a prendermela con me stesso << Brutto
mostro! Guarda cosa
sei diventato, un giorno arriverai a mangiare altre persone se oggi
festeggi in
questo modo la tua brutalità! >> stavo per
ricominciare, poi però mi
dissi che in fondo quello era solo l’antipasto della mia
vendetta e ancora
molti altri sarebbero caduti per mano mia e quindi si il festeggiamento
era
solo il primo di una lunga serie.
Tornato a tavola mi accorsi che i miei pochi commensali da
soli erano
stati in grado di finire la bottiglia di Gin che avevo fatto portare,
scoprii
solo dopo altre quattro bottiglie che neanche volendo potevo
ubriacarmi, il mio
metabolismo era troppo veloce per farmi provare la pace
dell’incoscienza. Non
voglio raccontare tutto ciò che successe quella sera, fatto
sta che dopo
neanche un’ ora dal mio gesto di onore e apprezzamento per
quelle vergini
guerriere, il mio corpo stava per possedere una ragazza che il resto di
me non
amava. Eravamo entrati nella mia cabina, Jenny si era avvicinata con
uno
sguardo malizioso, guardai le iniziali sulla porta e provai a
trattenerla, ma
un demone prese il mio controllo, ci baciammo, ma fu un bacio vuoto
mentre le
mie mani spogliavano il suo corpo, vivevo momenti di grande esitazione,
farlo o
non farlo svendere il mio corpo a una persona qualsiasi o consacrarmi a
colei
che non avrei mai avuto...
Ad
un tratto pensai alle parole di Luke
e mi arresi, la buttai sul mio letto con un impeto animalesco, insinuai
la mia
lingua fin dove un uomo possa osare fare, ottenendo in risposta solo
qualche
raro gemito, una cagna lussuriosa, non era nient’altro, ma
ero forse io
migliore? Valevo di più di lei? Domande che in futuro mi
posi spesso, ma non
quella sera, che passò fra gemiti e urla.
All’inizio
sentii l’inesperienza, ma lei
seppe supplire a tutto e la parte animalesca che ormai mi tormentava
sempre più
spesso ne fu ben contenta, in futuro seppi limitare almeno in parte i
miei
istinti, ma non quella sera in cui feci cose talmente orribili, ma in
un certo
senso fantastiche che presso il circolo vizioso della ragazza mi
valsero il
soprannome “Lupo”
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