Amore,Vendetta,Follia

di Kvistor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1 Un tetro Summit ***
Capitolo 4: *** Capitolo 2 Il Tranello ***
Capitolo 5: *** Capitolo 3 Un Cambio di Prospettiva ***
Capitolo 6: *** Capitolo 4 L'Esame ***
Capitolo 7: *** Capitolo 5 Un'ultima volta ***
Capitolo 8: *** Capitolo 6 Il Primo Incarico ***
Capitolo 9: *** Capitolo 7 Sesso e Castità ***



Capitolo 1
*** Premessa ***


Introduzione
Ricordate la festa Olimpica che si trova alla fine de “La maledizione del Titano”? Bene ci troviamo proprio dopo il ballo che Percy ha rimborsato, per così dire ,ad Annabeth e da questo momento in poi le cose non saranno più le stesse.

P.S. E’ la mia prima Fan fiction e quindi non sono sicuro dei risultati. Buona Lettura

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Capitolo 2
*** Prologo ***


 
Un Bacio di Troppo
Avevamo appena finito di ballare e Percy mi stava guardando con quegli occhi verdi pieni di allegria, ma qualcosa lo turbava... << Qualche problema test... >>  stavo per chiedergli, ma le parole mi si bloccarono in gola non riuscivo a prenderlo in giro << Molto strano >> pensai mentre si allontanava per prendere qualcosa da bere, ma c’era qualcosa in lui me mi chiamava quella sera; molte volte avevo pensato a lui come più che un amico ma poi il ricordo di Luke e la rivalità fra i nostri genitori divini mi avevano trattenuto dall’indugiarci ulteriormente, avevo pensato anche di diventare una cacciatrice, ma avevo desistito pensando a lui cosa poteva essere?  << E’ forse amore >> mi disse una vocina nella mia testa ma io le ribattei quasi con furia << Non sono mica una figlia di Afrodite stupida voce ora taci !>> . Alla fine Percy tornò carico di coppe che sembrava un mulo da soma e con la sua immancabile goffaggine mi cadde in grembo io sbuffai anche se in fondo non mi dispiaceva quel suo essere così...così lui ecco.
P.O.V.
Le ero caduto addosso con tre coppe piene ero fortunato di essere ancora vivo, ma lei eccezion fatta per uno sbuffo non mi disse nulla anzi sorrise, allora io azzardai un sorriso e le dissi << Allora vogliamo trovare un posto un po’ più tranquillo? >> lei annuì quasi ridendo e ci andammo a sistemare sotto un ulivo fuori dal salone delle feste c’era poca luce anche se era chiaro che era nervosa.<< C’è qualche problema? >> le chiesi, adesso era diventata rossa e nemmeno la fioca luce della notte riusciva a nasconderlo lei tacque e per alcuni minuti potei solo sentire il vento attraverso le fronde dell’ulivo e lo scrosciare di un vicino torrente pieno di ninfee quasi mi dimenticai di essere al seicentesimo piano di un grattacielo; ad un tratto lei tornò a parlare << Percy io ecco... ti devo dire una cosa o meglio tante cos... >> in quel momento la baciai sapeva cosa provavo per lei o almeno credevo lo sapesse e quel gesto mi sarebbe valso una grande gioia oppure un pugnale nel tronco celebrale, lei ricambiò e ci abbandonammo l’uno all’altro senza pensare alle rivalità e agli screzi degli olimpi. Presi da ciò che provavamo non vedemmo però appollaiata su un albero una civetta argentea la SUA spia.             

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Capitolo 3
*** Capitolo 1 Un tetro Summit ***


Capitolo 1 Un tetro summit

La festa era finita ed il salone dei simposi si stava svuotando, La Divina Atena guardava la scena appoggiata ad un elegante colonna corinzia la sala marmorea era ormai quasi vuota e non appena le si posò sulla spalla una civetta, la stessa che potreste immaginare sulle Dracme Ateniesi, la Dea sembrò uscire da uno sorta di trance “elaborativa” <<  γεια ή κουκουβάγια >>  le disse con noncuranza, poi però dopo aver sentito il breve “rapporto” del pennuto la sua espressione di altezzosa saggezza mutò all’improvviso gli occhi grigi come nuvole temporalesche si sbarrarono e la bocca, di solito paralizzata in orizzontale, si contorse in una strana e terrificante smorfia di rabbia; questo cambiamento plateale nel volto della dea fu notato poi da un satiro e da una ninfa che passavano di là ed è tuttora loro opinione di essere stati fortunati a poter uscire ancora con la forma che gli aveva dato la natura e soprattutto ancora in vita...                                                                              In un primo momento sembrò che ella dovesse esplodere, ma poi come solito tornò alla calma e tornò immediatamente alla sua residenza, un imponente edificio di marmo, che ricordava vagamente il Partenone, il cui frontone decorato con una lamina d’oro recava la raffigurazione dei suoi più grandi trionfi ed in particolar modo la vittoria nella disputa con Poseidone per il patrocinio della città a lei dedicata; Poseidone il Dio il cui avventato figlio aveva osato toccare Annabeth, che fra tutte le sue figlie era di certo la sua prediletta, Perseus Jackson doveva pagare pensò infine entrando nel suo scrittorio e accostando la maestosa porta di noce cesellato. Si sedette su una comoda poltroncina foderata di velluto verde e iniziò a pensare a come punire il giovane, si rigirò e rivoltò sulla sedia per ore pensando alle più atroci torture e mutilazioni che la mente potesse concepire, ma l’esecutrice non poteva essere lei ci voleva un dio si ma uno che odiasse il ragazzo e avesse la fermezza per stroncarlo una volta e per sempre. Sarebbe potuto essere Dioniso? No troppo tenero ed in effetti solo scocciato dalla punizione subita... Il candidato perfetto era Ares odiava sì il ragazzo e avrebbe detto di averlo fatto per la profezia, ma Jackson era un guerriero dalle mille sorprese avrebbe dovuto immobilizzarlo ed ovviamente l’unico in grado di forgiare catene abbastanza resistenti era il Dio delle fucine Efesto, forse convincerlo sarebbe stato più difficile ma usando l’argomento adatto avrebbe ceduto infondo sull’Olimpo ogni Dio, Ninfa, o spirito di qualsivoglia genere conosceva la sua avversione per gli amanti e le loro “colpe”.

Si mise in cammino verso l’Etna di lì a 2 ore e svegliò Efesto nel cuore della notte, L’interno del vulcano era come sempre rovente e polveroso e c’erano ovunque pile di attrezzi da fabbro sporchi di fuliggine e a volte persino fusi sulla punta; ben presto arrivò il Dio che cercava con indosso uno spartano grembiule da fabbro la barba rossiccia totalmente arruffata ed il congegno metallico sulla gamba allacciato in malo modo << Che c’è a quest’ora? >> chiese quasi con uno sbadiglio << Mi serve il tuo aiuto... per punire due amanti >> gli rispose Atena con una falsa pazienza << Io...beh credo di... poterti aiutare >> annuì Efesto inizialmente un po’ titubante << cosa ti serve? >> chiese poi a mo’ di commesso << una catena ASSOLUTAMENTE infrangibile >> ordinò gelida guardandolo con gli occhi grigi << dovrei averne una qui da qualche parte to’ eccola tieni>> gli rispose allora porgendole una catena, all’apparenza molto massiccia ma nella realtà estremamente leggera, che macchiò poi il completo della Divina acquirente con lucenti residui di metallo << Grazie Fratello >> pronunciò queste parole con uno sguardo sadico negli occhi che poco aveva da lasciar intuire; avrebbe arrecato dolore.

La mattina seguente andò invece a far visita al più bellicoso dei congiunti, Ares, la sua dimora o per meglio dire la sua fortezza si trovava appartata anzi quasi isolata ma non per desiderio di solitudine bensì per la paura di essere i vicini del dio della guerra che attanagliava quasi tutti; L’edificio era a pianta rettangolare realizzato con solide pietre e con al cento un immenso campo d’armi dove Ares faceva sfoggio delle sue sorprendenti risorse belliche ed infatti lo trovò ad allenarsi con un giavellotto completamente incendiato senza che però incontrasse la minima difficoltà nel lanciarlo o nel sostenere il bruciore, il colloquio fu breve e le risposte del dio monosillabiche avrebbe preso parte al tranello quel breve e tetro summit era stato davvero fruttuoso.

P.O.V.  (Percy)

La vita al Campo era tornata alla normalità sveglia, allenamenti, pranzo, allenamenti, cene e ... ? Fino a poco tempo prima la sera era stato il momento dell’amicizia e delle strane consultazioni con Annabeth, ma  dopo la sera precedente era tutto cambiato, non ricordavo molto della serata ma ricordavo l’emozione forte di aver stretto quelle labbra alle mie, il riflesso negli occhi di lei e il suo indescrivibile profumo di libri, pergamene, ma anche di corazze e di mostri sbriciolati quel profumo di... lei. Era una follia ma ci voleva provare, ci doveva provare alla fine mi feci coraggio e lo chiesi << Annab...vuoi...vendam stasera? >> << Che? >> mi rispose lei ridendo era raggiante allora chiesi di nuovo << Annabeth vuoi venire da me stasera? >> << Non ti comporterai indecentemente vero? >> mi chiese con una civetteria quasi irresistibile, allora io la guardai negli occhi grigi e intensi come quelli della madre e la stuzzicai sorridendo << non senza il tuo permesso >>  poi la presi fra le braccia e la baciai platealmente così che tu potessero vederci, io non volevo più nascondere i miei sentimenti, la amavo? Si con tutta l’anima, le avrei mai fatto del male? No mai neanche a costo della mia stessa vita o almeno credevo che non gliene avrei mai fatto.

Quella sera lei venne da me nella casa dei figli di Poseidone,dove vivevo solo, e ci sedemmo su un triclinio che a volte usavo per una pennichella, tutto nel mio corpo mi urlava qualcosa e dei pensieri “impuri” mi attraversarono la mente, ma lei era più che un’ avventura e li trattenni senza troppo sforzo, non parlammo ma in quel silenzio fatto di sguardi e baci carpii l’immagine di lei che avrei conservato fino alla morte, bella e quasi sacra andammo poi in riva al lago reso fantastico dalla luna quasi piena ci sdraiammo sulla riva a guardare quel cielo fatto di sogni e speranze, dopo quelle che furono forse ore lei fece per andarsene, ma io mi alzai la raggiunsi le slacciai la toga, che si era messa con mia somma sorpresa, all’altezza del collo e iniziai a baciarglielo implorandola di restare con me e così fu ci sdraiammo e dormimmo lì avvinghiati come da un incantesimo.            

     

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Capitolo 4
*** Capitolo 2 Il Tranello ***


Capitolo 2  Il Tranello

<< La partita è avviata >> disse fra sé è sé Atena mantenendo lo sguardo fisso su una scacchiera quadrata fatta in marmo e onice nero le cui pedine erano state mutate dalla dea in piccole rappresentazioni dei “Protagonisti” della vicenda imminente da un lato lei, recante il solito sorrisetto soddisfatto, Efesto, rappresentato forse con un aspetto più accettabile del solito,  ed Ares, la cui pedina brandiva un’ascia a doppio taglio sopra la testa e negli occhi aveva lo sguardo di chi sta per fare un eccidio; Dall’altra parte quello stolto seduttore che era Jackson, la cui pedina somigliava stranamente alla pietà di Michelangelo con la sola differenza che anziché raffigurare i soggetti originali raffigurava una Annabeth riluttante stretta anzi tenuta prigioniera dal figlio di Poseidone mostrato quasi come un molestatore con negli occhi uno sguardo che non voleva dire nulla di buono, le palpebre spalancate le pupille ridotte a due fessura e una luce negli occhi paragonabile a quella che avrebbe avuto un lupo trovandosi davanti un innocente agnellino indifeso dopo mesi di digiuno. Dopo una breve attese rise carica di freddezza e di disprezzo, tanto che una ninfa addetta al servizio della divinità, che si trovava nella stanza accanto, sentitala credé che fosse giunto Ade in persona per condurre un malcapitato , o forse lei stessa?, nel Tartaro.

Il piano era ormai pronto e avviato non c’era che da aspettare << semplice ma geniale >> pensò malignamente la dea, il ragazzo stava trascorrendo la mattinata con Ermes ed Apollo che avevano insistito per insegnargli a tirare con l’arco, ennesimo tentativo patetico di insegnare qualcosa al ragazzo-merluzzo, verso l’ora di pranzo sarebbero tornati verso il campo e lei trasformatasi nella figlia avrebbe fatto da contatto fra l’impudente giovane e il bellicoso Ares che avrebbe finito il lavoro in fretta e senza fare troppe domande, l’ennesimo guerriero tutto muscoli e niente cervello, Perseus figlio di Jackson avrebbe raggiunto i suoi fratelli “estinti” prima di sera. Aveva pensato proprio a tutto e quelle che altri dei avrebbero definito le sottigliezze erano state le prime a cui aveva rivolto la sua meticolosa attenzione:Il luogo, doveva essere isolato e insonorizzato così che se Ares si fosse voluto “divertire” un po’ nessuno avrebbe udito le urla del ragazzo, il posto per i resti, la dea in questo caso scelse la più indegna delle sepolture avrebbe dato il suo corpo sporco e corrotto per metà alle cavalle di Diomede e per metà ai cani del dio della guerra,  affinché lo scannassero e si nutrissero delle sue carni morte e putrescenti, infine la scusante, era risaputo che Ares odiava il ragazzo ma ciò non l’avrebbe giustificato e non fosse stato per la profezia che a conti fatti faceva sì che quel gesto fosse visto come una “garanzia” per la salvezza degli dei stessi, semplice e diabolico...

P.O.V. (Percy)

Che giornata! Non immaginavo nemmeno lontanamente cosa fosse passare una mattinata da solo con due dei! Ed io che mi ero lamentato del fatto che noi mezzosangue non venivamo considerati abbastanza... Eravamo in quel bosco da oltre quattro ore e stavamo correndo dietro a un cinghiale da almeno la metà del tempo probabilmente Apollo ed Ermes lo avrebbero preso in circa tre minuti ma con una frana come me appresso... con l’arco ero totalmente NEGATO ed ero stato fortunato a non beccarmi le zanne di quella bestiaccia dritte nello stomaco; finalmente lo raggiungemmo in una radura di aceri e pioppi si era rifugiato fra le radici di un albero, era infatti appena un cucciolo ed effettivamente in quanto a zanne era carente, ed in cuor mio sapevo che non avrei mai potuto colpirlo neppure per errore, nonostante tutta quella gita avesse l’aria di essere un errore mostruoso mi piaceva quella foresta il caldo arancione di inizio autunno e il frusciare delle foglie mi avvolgevano e riuscivo a sentire tutto quello che accadeva nella piccola radura nascosta dalle fronde degli alberi ad un tratto sentii un fremito stava accadendo qualcosa i miei due accompagnatori erano immobili, davanti a noi si  era palesato un lupo grigio che fino a poco prima era stato in paziente attesa, probabilmente di mangiare il povero cinghialetto, dietro il nodoso tronco di un acero centenario lì vicino sapevo che non mi avrebbero aiutato ero lì per imparare e così fu; vinta la paura ed incoccata una freccia presi un bel respiro incurante dei paurosi versi del predatore aspettai tre, quattro, cinque secondi ed infine scoccai la punta bronzea del mio dardo si andò ad infilare nella cavità oculare sinistra del lupo fuoriuscì molto sangue e sentii la bestia guaire di dolore, alla fine decisi di porre fine alle sue sofferenze estrassi il mio coltello, che avevo ricavato dal corno del primo minotauro che avevo uccisi e lo colpii, infilai il coltello nell’arteria regalandogli per così dire una morte rapida ed indolore  << Bravo ragazzo hai imparato! >> mi sentii dire poi dai miei accompagnatori e dopo un momento di pausa per riprendere fiato tornai a fissare il cucciolo di cinghiale e dissi << E’ così necessario ucciderlo? >> << In fondo è un animale innocente >> aggiunsi subito dopo << E sia >> disse beffardo il dio dei viandanti << Lo prenderò con me e ne farò un mio simbolo>> continuò sorridendo << Ma gli servirà un nome >> fece notare il dio della poesia << Un baldo nome vessillo di...  >> << Ok abbiamo capito non partire con gli haiku >> ribatté scorbutico l’altro poi si guardarono risero e dissero all’unisono << Il suo nome sarà PERCY! >> io di fronte a due divinità dovetti accettare e detto questo raccogliemmo il nostro nuovo amico che anche se all’inizio era un po’ riluttante a farsi prendere dopo due o tre ghiande  offertegli da noi fu ben felice di posare la sua peluria scura sulle mie, comode, braccia in fondo era carino con quel musetto che sembrava dire << che fame! >> e gli occhietti scuri e pieni di vita, mi era simpatico. Adesso sembravamo una combriccola di folli, in fondo un postino, un diciottenne biondo con la polo ed un ragazzino vestito come un cacciatore del Maine tutti armati di archi, frecce e coltelli e con in più una pelliccia di lupo appena scuoiata ed un cinghiale da passeggio sono uno spettacolo comune in America no?

Alla fine per mia fortuna giunse il momento di tornare per pranzo, avevo la testa completamente svuotata ed ero esausto mi sedetti anzi mi buttai sui sedili del pick-up-carro del sole di Apollo e dormii una ventina di minuti poi fui svegliato da Ermes << Il campo è in vista sveglia! >> io mi sgranchii e guardai fuori, ebbi una sensazione come di acqua fredda c’era Annabeth su un dirupo e stava piangendo! Allora mi rivolsi di nuovo ai miei divini compagni << non è che potreste farmi scendere qui c’è Annabeth e vorrei parlarci >>  i due risero << certo e siamo sicuri che userai molto la lingua ma sta attento Atena e molto gelosa di lei e non sarà contenta di sapere che te la fai con sua figlia, ma tranquillo da noi non saprà niente, allora alla prossima ragazzo! >>.

Le scesi affianco e la chiamai dolcemente, ma non rispose singhiozzava come se le fosse successo qualcosa di male, o come se qualcuno le avesse fatto del male... solo a quel punto gettai un occhio all’ambiente circostante un alto dirupo circondato da boschi e a picco sul lago, l’aria era calma troppo calma, a quel punto mi dimenticai di tutto e feci la cosa che mi veniva più naturale le sfiorai una spalla, ma era inconsistente come una nuvola allora mi voltai sentendo qualcuno che rideva alle mie spalle aveva i suoi stessi occhi ma non era lei << Atena! >> urlai sconvolto mentre delle pesanti catene di ferro di avvolgevano i polsi e le caviglie, sembravano avere una volontà propria si contorsero fino a che non mi trovai come legato ad un muro invisibile allora comincia a dimenarmi per liberarmi ma senza successo poi il mio sguardo tornò alla dea << che vuol dire tutto questo? >> le dissi queste parole quasi con un ringhio << vuol dire che adesso paghi per ciò che hai fatto alla mia Annabeth... addio Perseus >>  mi rispose gelida, in quel momento avrei potuto dire mille cose per discolparmi come da mio solito ma invece tacqui pensai a come gli dei fossero crudeli e ingannatori sentii crescere una forte rabbia dentro di me rabbia che poi sarebbe diventata odio. Prima ancora che potessi reagire mi si parò davanti Ares << Ora regoliamo i conti Jackson >> fu l’unica cosa che mi disse prima di iniziare a colpire, sentii un dolore mai provato e credetti che ogni fibra del mio corpo avrebbe preso fuoco emisi le urla più strazianti della mia vita ma nessuno mi ascoltava, neppure mio padre gli dei mi avevano tradito. Non so dire per quanto andò avanti ma mi sembrarono dei momenti lunghi quanto dei giorni e quel tremendo supplizio sembrava non dover mai finire fui colpito con ogni tipo di arma e fu usata su di me ogni tecnica di tortura ma sopravvissi. Alla fine il Dio nella sua lucida armatura da battaglia mi liberò barcollai per qualche momento e poi caddi in ginocchio avrei voluto combatterlo ma non potevo sentivo l’Ade che mi richiamava a se e quando capì che ero in procinto di morire la crudele divinità mi “congedò” per così dire con un calcio in pieno petto che mi scaraventò giù dal precipizio credetti di essere morto, finché non caddi nel lago.                                 

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Capitolo 5
*** Capitolo 3 Un Cambio di Prospettiva ***


Capitolo 3 Un cambio di prospettiva

L’impatto con le fredde acque del lago mi risvegliò,ero praticamente morente ed infatti mi bagnai nonostante le mie “capacità”, ma riuscii a stento a rimanere cosciente, come lo feci? Con la rabbia, con l’odio per gli dei che mi avevano tradito ed umiliato non sapevo cosa stesse succedendo intorno a me, ma la volontà di vendetta sembrava alimentarmi, certo l’ acqua poteva guarirmi ma era la furia che mi dava la forza per continuare; intorno a me tutto vorticava e non vedevo nulla all’ infuori dell’immagine di quell’arrogante Atena che mi sorrideva gelida certa della mia morte, avrebbe pagato sarebbe stata la prima, poi lo avrebbero fatto tutti gli altri, incluso mio padre che non si era curato di proteggermi dalla vendetta di quella boriosa divinità. Io non ho fatto nulla di sbagliato quello che c’era fra me e Annabeth si... insomma era amore, ma lei me l’ha portata via, ha voluto eliminarmi per la sua stupida rivalità con le mie origini e un giorno se ne sarebbe pentita, ma non avrei mai potuto sfidare gli dei da solo, ma io non sarei stato solo, sapevo a chi rivolgermi. Fui sballottato dal mare per circa sei giorni e la fame e la sete di acqua dolce, anche se io riesco a bere anche quella salata, iniziavano a tormentarmi stavo per così dire, navigando, tramite il controllo delle onde e anche se arrivai a credere che sarei morto in mare, per me cosa assurda, alla fina la scorsi, La Principessa Andromeda. Probabilmente Luke all’inizio avrebbe creduto ad un tranello come sospettabile, ma ero certo che dopo aver sentito ciò che avevo da dire si sarebbe reso conto che io avevo tante ragioni quante ne aveva lui per odiare quegli spregevoli olimpi alla fine inizia a nuotare fino a raggiungere la fiancata della nave, dopodiché mi alzai con un onda e caddi sul ponte.

Fui presto circondato da Minotauri e Lestrigoni, nonché da molti mezzosangue e mostri dei generi più svariati,alcuni lestrigoni mi vedevano già come il loro prossimo spuntino, e tutti si meravigliarono quando gettai a terra sia Vortice che il pugnale di corno, avrebbero potuto uccidermi, ma non andò così allora presi fiato e dissi << sono qui per parlare con il vostro comandante >> << cosa ti fa pensare che il comandante voglia parlarti Jackssson? >> mi disse allora sghignazzando una donna-drago dall’aspetto minaccioso << tu chiamalo monst... >> mi trattenni dal finire la frase non appena vidi stagliarsi accanto a me la tetra figura di quello che una volta era Luke Castellan, mi guardò e poi mise la mano sull’elsa di vipera, la sua spada, per un lungo attimo pensai che mi avrebbe ucciso ma poi lo vidi sogghignare e mi disse << Salve Percy, oggi non mi aspettavo proprio la tua visita, pensavo che avresti attaccato intorno al giorno 16 ad essere onesto >> io lo guardai, senza però quel solito disprezzo che c’era negli sguardi che gli lanciavo in precedenza e ribattei << Non ho alcuna intenzione di attaccare sono venuto qui oggi per farti una proposta ma vorrei parlarti in privato >> all’inizio credevo che sarebbe scoppiato a ridere ma poi mi fece accomodare su una poltroncina nella cabina del capitano, la sua, e addirittura fece allontanare i due minotauri di guardia, aveva capito che non scherzavo. La cabina o meglio la suite del capitano era una camera più spaziosa delle altre ed era arredato con dei mobili in legno di ciliegio, le pareti erano bianco panna e nessuno avrebbe creduto che si trattasse della stanza di un guerriero se non fosse stato per una rastrelliera carica di armi che copriva quasi interamente una delle pareti ed un armatura di un materiale sconosciuto appesa al portabiti; fissai la stanza per una ventina di secondi poi inizia a parlare << Luke ricordi cosa mi chiedesti due anni or sono proprio in questa data? >> << Ti chiesi se volevi opporti alla tirannia degli dei e scegliere la libertà in un mondo nuovo >> mi rispose seccato << e ricordi la mia risposta? >> ribattei allora con entusiasmo crescente << certo rifiutasti la mia proposta, ma perché ? >> rispose lui con un interesse mai mostrato in precedenza << ho deciso di cambiare risposta... >> risposi io in tono drastico << allora anche tu intendi tradire, come dicono loro, la causa degli dei? >> ribatté lui ormai quasi eccitato dalla conversazione << Luke,Luke,Luke tradire implica abbandonare qualcosa di, presumibilmente, giusto per qualcos’altro io voglio adoperare un cambio di prospettiva >>  dissi allora con tono fermo, ero deciso a fare ciò che mi ero ripromesso, << Perché dovrei crederti? >> mi disse lui aspro << Perché io come te sono stato tradito e umiliato dagli dei e nessuno di essi, neppure mio padre ha fatto nulla per salvarmi e ho compreso che la loro arroganza porterà il mondo alla distruzione, ed in più voglio la mia vendetta >>  lui mi fissò per quelli che furono almeno dieci minuti poi mi disse << Potrei avere mille ragioni per dubitare di te ma so come ti senti e so che sei intenzionato ad aiutarci, benvenuto nell’esercito dei titani primo ufficiale Jackson >> << grazie signore ora potrei mangiare e risistemarmi? Sono in mare da oltre sei giorni ed ho persino seguito il corso di un fiume seppur in stato di incoscienza >> risposi al mio nuovo comandante << non è necessario darmi del lei Percy ora siamo di nuovo amici, compagni e ...fratelli in quest’impresa, per il resto ti farò assegnare una cabina degna del tuo grado e avrai tutto il tempo per rimetterti in forze, ci aspetta una lunga guerra e ci servi in buona forma >>  mi disse sorridendo radioso, ma non senza l’immancabile vena di furbizia che era così celebre di lui sin dal tempo del camp... be’ da molto tempo, alla fine aggiunse sotto voce << domani presentati nella mia cabina alle 11.00 dovrai essere esaminato da signore dei titani >> poi varcò la soglia e sparì. Per un attimo pensai a me stesso come un reietto un traditore, ma poi ripensai a quel ghigno gelido che mi avrebbe dovuto condannare alla morte e subito allontanai quei pensieri. Alla fine alzai un vassoi d’oro che trovai sul tavolo e mi ci specchiai, avevo una cicatrice in faccia uguale a quella di Luke eravamo davvero come fratelli.

P.O.V. Luke

Non ci potevo credere Percy si era unito alla mia causa, avevo dubitato di lui certo, ma nei suoi occhi avevo visto un vero odio per quei maledetti... dovevano avergli fatto qualcosa di terribile, qualunque cosa fosse ben presto l’avrei capito. No, non avrei usato tecniche d’ipnosi o cose del genere, avrei usato la fiducia, in fondo sarebbe stato bello avere qualcuno con cui non essere il comandante ma essere Luke solo Luke, insomma qualcuno che mi fosse amico, realmente amico, qualcuno con cui parlare e scherzare e combattere come ai tempi del campo, si odiavo quegli esseri che lo gestivano ma mi mancavano quel luogo e onestamente anche alcune delle persone che lo abitavano. Avere Percy era come una manna e adesso saremmo stati più uniti che mai, avevamo gli stessi intenti e pensieri e persino la stessa cicatrice con la sola differenza che la mia era ormai vecchia e rimarginata, la sua ancora aperta e sanguinante... ma temevo per lui l’esame di Crono avrebbe potuto cambiarlo o addirittura condurlo alla follia e per me perderlo avrebbe significato la fine di ogni rapporto umano vero che avevo al mondo. Erano passate delle ore ed ero ancora chiuso nel ripostiglio dove di solito mi chiudevo con i miei pensieri, era ora di presentarlo alle truppe.                       

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Capitolo 6
*** Capitolo 4 L'Esame ***


Capitolo 4 L’Esame

Ero arrivato da quattro giorni sulla Principessa Andromeda e da tre ne ero il primo ufficiale, la mia presentazione alle truppe e alla ciurma aveva destato molto scandalo e molti fra mezzosangue e mostri all’ inizio non mi avevano rispettato, ma ben presto ero riuscito a ottenere il loro rispetto e per certi versi la loro ammirazione, infatti il giorno successivo alla mia presa del comando quale braccio destro di Luke un insolente figlio di Ares Anthony Moore aveva bofonchiato qualcosa di offensivo mentre passavo e avevo dato l’ordine di farlo fustigare, era stata una cosa spaventosa la frusta si era abbattuta sulla sua schiena per oltre venticinque minuti e questa era diventata di un inquietante rosso sangue, potevo vedere le facce quasi impaurite di quelli che guardavano, certo se non potevano apprezzarmi mi avrebbero temuto, il brusìo della folla era ormai molto diffusi quando poi mi decisi a parlare << non tollererò la mancanza di disciplina e di rispetto verso i superiori, imparate da quest’uomo o condividetene la sorte. >> lo dissi con un tono quasi non mio, forse la sua faccia mi ricordava quella del padre ma avevo quasi provato piacere nel vedere le estremità della frusta che lo colpivano senza dargli tregua e dalla voce si doveva capire perfettamente. Mentre meditavo su quell’ episodio qualcuno bussò alla porta, era proprio lui per un attimo pensai che volesse aggredirmi, e stesi la mano sul pugnale che tenevo nascosto in un vano sotto la scrivania di noce della mia stanza, ma non mi toccò anzi si mise in ginocchio e mi disse in tono sommesso << io ecco signore volevo chiedere il suo perdono, sono stato giustamente punito e mi rendo conto che lei in effetti è la persona più adatta per guidarci assieme al comandante... >> << bene, lo terrò presente, ora puoi andare >> risposi congedandolo, mentre lui chiudeva la porta a vetri della mia camera pensai alle parole impaurite che mi aveva rivolto, erano dettate dal terrore ma se aveva paura lui bene così, da quanto ne sapevo era una figura di spicco nella truppa e se “morto il toro, sconfitta la mandria” avevo la situazione in pugno. Ora il difficile... il colloquio con il re dei titani.

P.O.V.  Luke

Era il momento per Percy di essere ricevuto dal signore Crono, fino a quattro giorni prima non me ne sarei curato anzi probabilmente avrei insistito per eliminarlo all’ istante, ma dopo averlo visto comparire sulla nave e averlo nominato mio vice era necessario che andasse all’ esame e che lo superasse per così dire, se avesse fallito io avrei perso la mia credibilità di comandante e il mio UNICO amico in quel mondo fatto di rabbia, odio e violenza che sembrava schiacciarsi sempre più sopra di me. Mentre rimuginavo su questi pensieri amari arrivai alla porta della sua cabina, stavo per bussare quando vidi che la porta era aperta e la stanza era, apparentemente, vuota. Mi sporsi in avanti per entrare quando uno strano particolare attirò la mia attenzione, era una lettera incisa con il coltello sullo stipite destro della porta, era una “A”, avrei potuto evitare di fare troppe congetture, ma fu più forte di me. Poteva dire infinite cose, era forse un messaggio, Addio, Assassinio? O forse era una persona? Alla fine compresi, era... << Annabeth >> disse una voce alle mie spalle, mi voltai e vidi Percy che usciva dal bagno con indosso, solamente, un asciugamano sarebbe potuto essere quantomeno strano, ma in quel momento i miei pensieri erano altrove, stavo per parlare quando mi sentii dire << Non farci caso... ero una persona diversa >>. Meditai un po’ di tempo su quell’aggettivo ma poi fui riportato alla realtà da Percy che adesso vestiva una camicia di Lino bianca e dei pantaloni di seta nera, in effetti quel giorno al largo dei Caraibi faceva un gran caldo, dopo un lungo attimo ci incamminammo verso il santuario. Il Santuario era una stanza costruita interamente di pietre nere e lucenti, onice, ossidiana e opale nero; non c’erano finestre e la poca luce che entrava nella sala proveniva da un braciere nel centro, proprio accanto al sarcofago aureo di Crono. Appena entrati ci inchinammo, credevo che il nostro nuovo acquisto sarebbe stato in difficoltà essendo la prima volta alla presenza del signore dei Titani, eppure era stranamente tranquillo, ad un tratto vide che incominciava a dimenarsi come posseduto da uno spirito, bastarono pochi attimi e fu tutto finito, ma prima che potesse rilassarsi senti la profonda voce del Titano echeggiare nella sua mente << Bene Generale, nonostante le tue paure mi hai portato un ottimo guerriero, credevo che sarebbe stato da eliminare eppure quello che c’è dentro di lui non mente, un ODIO talmente forte da divorare tutto ciò di debole che c’era in lui >> mentre parlava capii che quel “tutto ciò di debole” voleva dire “tutto ciò di buono”, la voce fece una pausa e poi ricominciò a parlare ma con un tono quasi sarcastico << Ma il suo corpo è debole... essendo un semidio non posso invecchiarlo subito a sedici anni per far avverare la profezia, ma posso far crescere il suo corpo e la sua mente per renderlo come te... >> a quelle parole provai sentimenti contrastati, averlo affianco da diciottenne sarebbe stato più facile per conoscerlo, ma se Crono l’avesse cambiato avrei potuto conoscerlo come una macchina, un fantoccio del signore dei Titani.

P.O.V. Percy    

Non capii molto e se capii qualcosa in particolare, non me ne ricordo. La voce di Crono mi disse cose incomprensibili, e pronunciò anche alcune strane formule magiche in greco antico, poi sentii ogni molecola del mio corpo, persino quelle che non sapevo di avere, allungarsi, accartocciarsi, insomma mutarsi e persino nei miei sentimenti cambiò qualcosa, la mia rabbia la e mia frustrazione si amplificarono al massimo e ovunque mi girassi vedevo solo lo sguardo ghignante di Atena. Quando ritornai in me ero nella mia cabina sdraiato sul letto, eppure non ero io, ero più alto e decisamente più prestante, insomma avevo il fisico di un diciottenne e con mia somma sorpresa quando mi trovai ad aprire un antico manuale militare, in fondo adesso ero un ufficiale dovevo saper comandare le truppe oltre che combattere, mi resi conto di sapere già tutto quello che c’era scritto, per una volta nella mia vita avevo davvero un cervello superiore a quello dei miei coetanei. In Mattinata Luke mi portò Vortice che era stata incredibilmente modificata... adesso vantava una metà in acciaio, come Vipera, ed incredibilmente una punta in metallo dello Stige, la leggenda narrava che se si poteva ferire un dio era quello l’ unico metallo con cui lo si potesse fare... ero impaziente di provarla; poi mi resi conto che avevo ancora una cosa in sospesa dovevo lasciarmi tutto alle spalle dovevo dare un ultimo saluto ad Annabeth.                                     

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Capitolo 7
*** Capitolo 5 Un'ultima volta ***


Capitolo 5 Un’ultima volta


Ero lì, con il mio nuovo corpo da diciottenne, la voce profonda e la cicatrice in viso, che, insieme all’espressione sprezzante alterava i miei lineamenti in un modo che... quasi mi piaceva. Ero lì, perché lo dovevo a lei e soltanto a lei.
Guardai il pino di Talia, mosso nella brezza leggera. Ondeggiava, come se mi salutasse, in una muta esclamazione di benvenuto. Non potei evitare che sul viso mi si dipingesse un ghigno. Scossi appena la testa, passandomi una mano tra i capelli e calcandomi il cappuccio sul capo.
Era mattina, mattina presto, il cielo era di quel bianco lattiginoso, dovuto all’incommensurabile cappa di nubi sopra la mia testa e il vento fresco faceva ondeggiare l’erba della collina e in campi di fragole in lontananza. Se conoscevo Annabeth a quell’ora era già seduta al tavolo di Atena, in compagnia dei suoi fratelli più mattinieri.
Com’era strano pensare a lei. Da quando mi ero risvegliato, con la frustrazione nelle mani, strette a pugno, e il senso di cambiamento repentino e scioccante avvenuto mi sembrava strano pensare che adesso avrei fatto i conti con l’ultima parte che mi legava a quei bastardi. 
già, ci avrei fatto i conti... per poi recidere anche quel legame.
Non so dire se mi dispiacesse o meno, ora ero una persona nuova, migliore. Ora ero consapevole di tutte le crudeltà di quel manipolo di mostri. Ero consapevole, ora più che mai, di Ares, di Atena e del loro ghigno agghiacciante.
Ero una persona diversa perché non provavo più tutte quelle emozioni da ragazzino. Chissà se vedendola avrei visto Annabeth o solo l’ennesimo fantoccio degli dei, l’ennesimo nemico da combattere.
Probabilmente no. Era questa la parte che mi preoccupava, da una parte volevo vederla così, ma ero consapevole che le dovessi un addio, almeno quello.
Perché se da una parte ormai dovevo odiarla, dall’altra ero consapevole che fosse l’unica che non lo meritasse.
Che non meritasse questa guerra almeno quanto io non avevo meritato le crudeltà che mi avevano inflitto e che ora segnavano il mio viso, la mia espressione e il mio cuore.
Per un istante ricordai quando da quel tavolo lanciava sguardi a me, seduto poco più indietro, e sorrideva. Per un secondo tornai con la mente di un ragazzino innamorato, tornai a quella sensazione di calore nel petto; il ghigno mi si spense in viso.
Contieniti, Percy. E mi contenni, ripresi il controllo di me. 
Non ero più il ragazzino pieno di false speranze, che seguiva il volere degli dei così ciecamente.
Ora ero il nuovo Percy... ero una persona diversa.
Quell’aggettivo ormai era il mio preferito.
Ero diverso perché loro lo avevano voluto.
 Mossi qualche falcata, mantenendomi sul perimetro del campo, dove sapevo non andava mai anima viva, con le mani in tasca e il profilo basso. Decisi di sfruttare la vicinanza del bosco con la mensa per chiamarla, per vederla un’ultima volta come la persona di cui ero innamorato e non la nemica che sarebbe diventata.
Camminai, i jeans scuri che si impigliavano ai rovi, fino a ritrovarmi dietro il tavolo dove solitamente, non prima delle due del pomeriggio, quel vecchio dio meschino, si sedeva.
Buttai gli occhi attraverso agli alberi, il tavolo di Atena era incomprensibilmente vuoto, ma... non quello di Poseidone. Ed eccola. Era sempre lei, eppure vedevo i segni, come indelebili, delle lacrime sulle sue guancie.
Non era da lei piangere, ma si vedeva che lo aveva fatto. Ed ecco un altro senso di consapevolezza: lei non lo meritava. I capelli biondi erano legati, in una coda disordinata, si abbracciava le gambe con le braccia, poggiandovi sopra il mento, il tavolo era vuoto, nemmeno un bicchiere di succo d’arancia, nulla.
Se ne stava lì, con gli occhi chiusi, stretta a sé, ogni tanto rabbrividiva.
Siccome non c’era nessuno in vista uscii dai rovi. Lei nemmeno si accorse.
Le andai incontro da dietro, fino a che non sentii il soffio del suo respiro.
Fu allora che mi schiarii la voce per avvisarla della mia presenza.
Lei si irrigidì per un secondo, subito dopo estrasse il suo coltello e mi si scagliò contro; non mi aveva riconosciuto.
Non so perché ne rimasi deluso, ma fu solo un lampo, che sparì ancora prima che potessi avere tra le mani quel pensiero. Poi tornai ad essere me stesso, il nuovo me stesso.
Tirò un fendente all’indietro, che bloccai grazie ai riflessi appena acquisiti, poi tentò un calcio, ma lo schivai con un balzo fluido... possibile che... fossi così diverso?
Non volevo parlare. Lei non urlava, non parlava, ma continuava con la sua raffica di colpi.
Che, nel suo profondo, sapesse chi ero?
non badai molto a quell’intuizione, piuttosto mi stufai di schivare e con uno scatto serpentino ed inimmaginabile le bloccai il polso ad un centimetro dal mio viso, ancora celato dal cappuccio.
Rimanemmo per un istante immobili entrambi, lei che inclinava la testa per cercare di vedermi in viso ed io che non riuscivo a staccare gli occhi di suoi. Sul viso sentivo l’espressione che si faceva sempre più amareggiata, più dura, alla vista di quegli occhi che erano uguali ai suoi, a quelli di sua madre, anche se questi erano rigati di lacrime.
Annabeth non piangeva mai, piangeva solo quando si sentiva colpita, nel profondo, quando qualcosa a cui teneva, a cui teneva davvero, le veniva strappato dalle mani.
Era orribile. La situazione, il suo sguardo, tutto.
Guarda cosa hai fatto a tua figlia, Atena.
Quando distolsi lo sguardo per non vedere, il precario equilibrio in cui eravamo caduti si ruppe:
“Chi... Cosa.... Cosa sei?!” urlò, mi affrettai a metterle una mano sulla bocca, per evitare che sentissero.
Lei si dimenò appena, tentando si colpirmi, con il risultato che le piegai il braccio dietro la schiena, immobilizzandola.
Per un secondo mi persi in dettagli come il fatto che finalmente fossi più alto di lei, o che i suoi capelli avessero l’odore che ricordavo, ma poi tornai in me.
Mi avvicinai piano al suo orecchio, da dietro, e sussurrai:
“Annabeth... sono io”
Si irrigidì di scatto, al suono di quelle parole, rimase talmente immobile che fui sul punto di mollare la presa e scuoterla, poi mi sferrò un colpo secco sugli stinchi, con il tallone, un colpo che non mi fece male, ma mi sorprese, facendomi mollare la presa.
Lei si voltò di scatto indietreggiando di qualche passo, nei suoi occhi vedevo solo sorpresa e spavento.
“tu... tu n-non sei... non sei...”
“sì, invece” risposi, poi tolsi il cappuccio dal viso.
Non vidi mai espressione tanto orripilata. Mai.
La guardai dritta negli occhi, con l’aria gelida che di solito usavo sulla Principessa Andromeda, la guardai con lo sguardo di determinata furia che riservavo a quelli come lei, la guardai come se fosse una tra i tanti che mi erano avversi, anche se non lo era.
La guardai così perché quell’espressione era impressa fuoco nei miei tratti.
Per un istante volli che la cicatrice che avevo in volto mi si cancellasse, che si cancellasse quella voce non mia e che quel corpo che non mi apparteneva.
Ma ormai ero diverso, ero una persona diversa, ed ero lì per spiegarglielo.
“Cosa... cosa... cosa sei?”
“Sono io, Annabeth... lo sai”
Mi fissava, con lo sguardo confuso, mi scrutava dall’altro in basso, come a tentare di ritrovare il ragazzino sotto la corazza di ghiaccio.
Mi guardava senza capire, quegli occhi grigi mi trapassavano da parte a parte, senza mai riuscire a penetrare veramente oltre quella sottile barriera che pareva dividerci.
Storse le labbra appena, non so se lo immaginai, ma mi sembrava di vedere il suo mento tremare.
“Co-cosa ti è successo?” sussurrò, con voce fievole, mi parve quasi che volesse avvicinarsi e... non lo so, provare a... fare qualcosa, credo, ma quando mi guardò in faccia si fermò.
Ignorai la domanda, fissai gli occhi nei suoi, non ho idea di cosa le trasmisi, ma dissi:
“Non possiamo stare insieme”
“Che cosa? Percy... ma... io non capisco” disse, la voce nel panico più totale.
“Ti basta sapere che questa... questa è l’ultima volta che mi vedi, o meglio, spera che lo sia”
“L’ultima... cosa stai dicendo? Perché... sei... così?” balbettò, le mani strette a pugno. “ti prego spiegami, Percy”
“Annabeth, non possiamo andare avanti” dissi, l’espressione dura, cinica.
Lei rimase in silenzio, fissandomi negli occhi, alla ricerca di non so quale risposta.
“Non ti riconosco” 
Già, non mi riconosceva, ovvio.
Ed era bene così; non doveva riconoscermi, io ero cambiato, se non le stava bene che puntasse il dito contro sua madre... decisi di dirglielo:
“Ed è bene così, Annabeth, non devi riconoscermi”
“Che... che stai dicendo?!”
Le andai incontro, muovendo qualche falcata nella sua direzione, lei tentò di indietreggiare, ma io l’afferrai per le spalle, mi chinai fino a poter fissarla dritta negli occhi.
Non fu difficile riconoscere Atena in quegli occhi, erano identici, per forma e colore, sempre gelidi e minacciosi. Anche se non riuscivo ad odiare quelli che avevo davanti come odiavo quelli della dea trovai il modo di convincermi a parlare, a tirare fuori l’espressione minacciosa che in sua presenza cedeva:
“E’ finita. È finita con te, con gli dei, è finita con tutti voi... sono qui perché volevo avvisarti... io... te lo devo.”
“Fi-finita?”
“Sono passato dalla parte di Crono, e mi sento bene, sto bene senza di loro”. Dissi, l’espressione arcigna a pochi centimetri dal suo viso.
Lei si scansò subito.
“Cosa hai fatto?! Percy... tu... non sei più tu”
“No, sono un io migliore, Annabeth”
“Percy... come hai potuto farlo?! Come hai potuto farlo a me” disse, ora i suoi occhi erano pieni di disgusto. “Credevo fossi diverso, credevo che... sei uguale a Luke”
“Già, ed è meglio così”
“Non ti rendi conto di quello che hai fatto?!”
“Cos’ho fatto, vuoi sapere? la cosa più giusta per me... e per te”
“Per me? Cosa stai dicendo?!”
“Chiedilo a tua madre”
“Percy, mia madre non...”
“Ma tua madre ora non c’entra, hai ragione... sono qui per avvisarti... e per dirti addio...”
“Che vuol dire...?!” mi interruppe lei, la voce ormai quasi isterica.
“Taci. La prossima volta che mi vedrai cercherò di ucciderti”
“Percy...”
“Taci ho detto!” urlai, lei mi guardò a metà tra la delusione, l’amarezza e l’incredulità.
“hai ragione, non sono più io. Ed è la cosa migliore. Questo è un addio, Annabeth” mi bloccai, fissando le sue sopracciglia aggrottate, la smorfia della bocca, riflettei un secondo, alla velocità della luce. 
Volevo davvero abbandonarla? Volevo farlo per sempre? Quello per me era davvero un addio o volevo che fosse qualcos’altro? 
La guardai ancora, mi fissava senza dire nulla, lo sguardo pieno di rabbia.
Le parole sgorgarono da sole, senza che volessi farle uscire, sgorgarono repentine, veloci come l’aria.
Il pensiero di lei, bella, gloriosa, in un nuovo corpo da diciottenne, con una nuova mentalità in testa, il pensiero di lei con me, ancora e per sempre. Un pensiero di noi contro tutti coloro che ci erano avversi, ecco cosa fu a parlare:
“Vieni via con me”
Silenzio, il fruscio degli alberi e del vento. Silenzio pesante, greve sopra le mie spalle, sopra i miei pensieri, silenzio che precludeva qualsiasi opzione non fosse quella che disse:
“Mai”
Bastò quella parola. Mi accorsi che la mia espressione era mutata solo quando tornò ad essere la maschera di odio, ancora più intenso. Che preferisse ancora stare dalla loro parte? Dopo tutto quello che significavo per lei.
L’odio crebbe, e con lui la voglia di urlare, di sfoderare Vortice, la voglia di scagliarmi contro di lei, di prenderla per le spalle, urlarle in viso.
La fissai con quell’espressione.
Lei parlò la voce ridotta a poco più che un sussurro, piena di rabbia, piena di risentimento e piena delle lacrime che sgorgavano da i suoi occhi.
Non esalava un singhiozzo, ma le lacrime scendevano copiose, unica manifestazione di quello che aveva dentro.
Estrasse il coltello:
“Resta o vattene per sempre”
Annuii appena, ovvio, più che giusto.
“Dopo tutto quello che abbiamo passato... pensavo che saresti rimasta con me” dissi, una nota di delusione cieca nella voce, celata appena dall’odio.
“Sarei rimasta con te se tu fossi stato ancora tu”
Digrignai i denti. Perché quelle parole? Non capiva che non potevo? Che non potevo ignorare tutto quello che facevano loro? 
Che per era così dannatamente frustrante tutta quella situazione?
Stare lì a spiegarle, a parlarle... senza trovare quel punto di incontro che ci aveva unito. 
Era lì davanti a me. Da una parte avrei voluto prenderla tra le braccia, stringerla, dall’altra avrei voluto urlare.
Urlare davanti a quello sguardo, davanti alla sua espressione, alla sua faccia.
Avrei voluto urlare contro di lei perché non capiva, non poteva capire e nemmeno lo voleva.
Lei non si era ritrovata perduta, spaesata, con quel macigno di disperazione e orrore sul petto, no.
Non aveva visto il ghigno sadico di Atena come l’avevo visto io. Non aveva sentito le ferite aprirsi per mano sua.
Non si era sentita come se il mondo le crollasse addosso, come se tutto fosse diverso.
Ed era proprio perché il mondo mi si era ritorto contro che ero cambiato, che ero diventato quello che ero.
E lei era lì, immobile, i pugni serrati il disgusto negli occhi.
Era lì, e non capiva, non riusciva a riconoscermi.
Era lì, con le lacrime che le rigavano le guance uniche ambasciatrici di quello che provava per me. Quel qualcosa che le stava scivolando sulle guancie, perdendosi. 
Probabilmente per sempre.
Ed io ero lì per lei, per dirle addio, per darle il giusto ricordo di me, per lasciarle qualcosa. Per farle capire che per me lei era la stessa, eppure sostanzialmente diversa.
Per me era una delle nemiche più combattive e colei che sarebbe stata dalla mia parte fino alla morte... o almeno così avevo creduto.
Avevo creduto anche di poterla stringere un’ultima volta, di poterla guardare negli occhi con quello sguardo che avevo usato in passato.
Avevo creduto che sarebbe passata sotto la voce profonda, la cicatrice, l’espressione segnata dall’odio.
Che sarebbe passata sopra al fatto che eravamo nemici, che l’avrebbe fatto almeno questa volta... per me.
Ma avevo creduto troppe cose.
La guardai ancora. Negli occhi una richiesta di comprensione e tanta, tanta frustrazione e rabbia e... dolore.
La sua espressione era la fotocopia della mia; era arrabbiata con me, frustrata per la situazione creatasi e, lo percepivo con la parte di me che ancora vedeva con gli occhi del vecchio Percy, infinitamente addolorata.
Ma lei non cercava comprensione, no, lei cercava di solidificare le barriere tra noi, cercava di fregarsene, di scappare, correre, fuggire... da me.
I suoi occhi erano spenti, privi di quella luce che tanto mi piaceva, privi di ogni cosa se non di tutti quei sentimenti che anch’io provavo.
Ed eccoci Annabeth. pensai, eccoci a condividere qualcosa, per l’ultima volta.
Quanto avrei voluto che quel qualcosa fosse un sorriso, uno sfiorarsi delle mani, qualsiasi altra cosa.
“Sai che me ne andrò, vero?” le chiesi, la sfida nella voce “Sai che non ti cercherò mai più, e che se lo farò sarà... per uccidere te e tutti coloro che ami, lo sai questo, Annabeth?”
Lei alzò il mento le lacrime che ancora le rigavano il viso, l’espressione d’acciaio e ghiaccio, ma infervorata dall’ultimo tentativo di appello che le stavo facendo.
“Lo so.” Rispose... e per un istante mi parve di vedere le sue spalle tremare.
Annuii secco, senza dire nulla.
La fissai ancora, incapace di ammettere che quello sarebbe stato il nostro addio.
La fissai, e mi sentii diverso un’altra volta. Ma diverso non nel senso che mi piaceva. Ero cambiato e avevo rinunciato a lei.
Ma non potevo e non volevo pentirmene. Non l’avrei fatto. non sarei tornato indietro, anche se questo significava perderla.
Quello era il nostro ultimo saluto.
Sentivo il vociare della folla in arrivo, vedevo il prato in fondo che si riempiva di gente.
Ed ecco che era scaduto il mio tempo, il nostro tempo.
Prima che potessi dire qualcosa, lei sospirò, asciugandosi le ultime tracce di me sulle guance, poi disse, in un sospiro come di sfogo, un sospiro stremato.
“Vattene, Percy”
“Quando mi rivedrai non ti risparmierò” dissi, apatico, anche se in fondo parlavo perché volevo che capisse quanto desiderassi, con tutto me stesso, un dannatissimo segno di... di quello che eravamo stati.
Lei, invece di capire, di corrermi in contro come, ammisi a me stesso infine, volevo disse:
“Nemmeno io”
Annuii con un cenno secco, poi le voltai le spalle. Sentii che prendeva fiato per parlare, ma non lo fece.
Camminai dandole le spalle, fino ad arrivare al limitare del bosco, allora mi voltai e guardai indietro.
Era ancora lì immobile, gli occhi chiusi.
La guardai ancora un secondo.
Spero di dimenticarmi di te, Annabeth.
Addio.
Infine me ne andai dal campo, da lei, dalla sua vita.
Per sempre.

Ringrazio per aver scritto questo capitolo piccolalettrice senza la quale sarebbe mancato un importante passaggio del Testo. Infatti devo dire a mio scapito che ho il sentimentalismo di un cucchiaino.                               

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Capitolo 8
*** Capitolo 6 Il Primo Incarico ***


Capitolo 6 Il Primo Incarico

Alla fine era successo l’ultimo ponte che mi legava al passato era caduto nell’oblio, forse era un bene, ma di certo mi era sembrato come perdere una parte dell’anima, dopo quel giorno avevo avuto un sonno agitato e pieno di cupe visioni di morte, vedevo me stesso, ma non ero io... ero come un mostro bruciavo e uccidevo senza pensarci due volte e non provavo pietà né rimorso. Mi svegliai, ero nella mia cabina, le pareti sembravano girare e le tende proiettavano delle ombre oscure alla luce del sole del primo mattino, mi soffermai per un attimo a pensare alla mia vita recente, stavo per trarre delle conclusioni forse completamente errate quando fui richiamato alla realtà da un secco colpo alla porta. Scattai d’istinto verso Vortice, in fondo quando si hanno dei nemici come i miei anche solo un attimo può esserti fatale, ma quando aprii la porta mi tranquillizzai una volta tanto non era qualcuno inviato per uccidermi. Mi comparve davanti Jenny Darnel, una figlia di Eris, la cui presenza a bordo della principessa Andromeda faticavo ancora a spiegarmi, ma forse essendo la figlia della Discordia, alla quale assomigliava in maniera incredibile per gli occhi viola, la pelle scura e i capelli rosso mogano,  voleva soltanto approfittare della situazione per crearne un bel po’.  Non avevo mai avuto modo di parlare con lei, ma dalle descrizioni di Luke mi era stata presentata come una mangiatrice di uomini, spero sia figurato dissi fra me e me gettando il pensiero ai lestrigoni << Allora cosa ci fai qui? >> dissi freddamente per mantenere il tono di comando << sono stata mandata qui dal comandante... >> al sentire il nome di Luke mi preparai psicologicamente a qualche furiosa battaglia, ma poi quella ricominciò a parlare << sono stata mandata qui per dirle di passare dal comandante e per informarla che da questo momento in poi sono ai suoi ordini per soddisfare i suoi bisogni... di ogni genere >> pronunciò l’ultima parte squadrandomi i pettorali con aria bramosa, a quel punto la guardai meglio e non potei fare a meno di vedere la vistosa scollatura che sembrava gridarmi  “Dai Percy gettaci un occhio dentro”. Passarono alcuni secondi imbarazzanti poi finii di vestirmi e andai da Luke, a metà strada mi voltai, lei era ancora dietro di me, arrivati alla porta la feci rimanere fuori a fare la guardia e mentre entravo non potei fare a meno di pensare che con lei mi sarei divertito parecchio.

Appena entrai mi vidi arrivare incontro un Luke sorridente quasi di buon umore e la cosa mi sembrava talmente innaturale che per un attimo lo guardai come fosse stato un alieno. In mano aveva un mantello? O forse era una cappa? Sembrò leggermi nella mente infatti mi guardò in faccia e mi disse << Questa è per te amico mio è una corazza, ma anche un oggetto di incredibile potenza, infatti è una cappa d’ombra dì  αόρατο e ti renderà invisibile dì Πούδρα σκιάς e nessuna serratura sarà abbastanza per te, io posso fare queste cose per la mia insulsa parentela con il dio dei Ladri, e ti sto offrendo questo potere per necessità e... per amicizia >> ci fu un breve silenzio poi ricominciò a parlare ma con un tono molto diverso da quello solenne e pomposo di prima << allora che ne pensi della tua nuova attendente ? L’ho scelta apposta per te, una sola notte con lei fa miracoli e ora non ti inventare patetiche scuse, conosco il corpo di un diciottenne e le sue necessità >>  Presi l’armatura per un po’ di tempo la guardai immobile alla fina mi decisi a parlare << immagino che questa non sia solo una visita di piacere o sbaglio? >>  lui riprese il tono serio e continuò al posto mio << Non sbagli, stanotte avrai il tuo primo incarico attaccheremo le cacciatrici di Artemide è un attacco intimidatorio, ma senza di loro la dea sarà poi una facile preda >>  allora Artemide sarebbe stata la prima a cadere.  << stanotte attaccheremo, forma un commando e stai pronto >>

Era stato molto chiaro doveva essere una cosa furtiva, così iniziai a scervellarmi su chi potesse essere abbastanza capace da affrontare una missione così rischiosa, arrivai nella sala d’armi e fu quasi come un illuminazione: un guerriero esperto come Anthony, un minotauro, la cui forza bruta sarebbe servita, e due arcieri lestrigoni per gli attacchi dalla lunga distanza, mentre accennavo ad andarmene un semidio, forse un altro figlio di Hermes mi diede un fiala di veleno, esitai ad accettarla poi ripensai alle cacciatrici ogni aiuto era il benvenuto.

La notte era arrivata e noi con essa, ci eravamo appostati, dopo un lungo volo su delle Arpie, in prossimità di un fiumiciattolo in una foresta da qualche parte nel Montana, contammo le tende, le cacciatrici c’erano tutte, la loro padrona doveva essere fuori a caccia, cagne ecco cos’erano sottomesse a qualcuno che non le avrebbe potute apprezzare, ma convinte di essere libere... c’è qualcosa di più assurdo dell’ipocrisia umana? Forse solo quella divina. Altri tre minuti esatti e avremmo attaccato, Luke e i due Lestrigoni si erano appostati a Nord-Est della nostra posizione e stavamo aspettando il loro segnale per avviare l’attacco, nell’attesa squadrai i miei uomini, Anthony aveva assunto la feroce espressione di Ares e nella sua corazza rossa incuteva un certo timore, ma non era nulla a confronto del Minotauro che era acquattato affianco a noi, gli occhi piccoli, gonfi di adrenalina, il respiro affannoso tutto coronato da una pesante ascia in bronzo; Ad un tratto mi sentii chiamare con il pensiero, altro dono della cappa, era Luke << Percy aspetta il segnale e non fare cose avventate, e soprattutto non farti trascinare dall’entusiasmo dei “ragazzi” >> disse poi rivolgendosi alle truppe.

L’attesa sembrava interminabile, poi le cacciatrici si riunirono per la cena e per loro quello sarebbe stato l’ultimo pasto, Luke mosse una fiaccola...     il segnale! Passai il veleno sulla spada e ci gettammo all’attacco, la prima a cadere una ragazza di forse 14 anni, fu trafitta da una freccia nel collo e l’urlo che scaturì da quella seduta accanto a lei mi fece capire, mi fece capire che anche le cacciatrici di Artemide all’apparenza spavalde e invincibili erano ragazzine spaventate.

Ci lanciammo all’attacco, sulle prime esitai per controllare la situazione della battaglia, ma poi vedere il Minotauro che fendeva con l’ascia la schiena di una di loro mi risvegliò,pensai che anche quell’altra fosse spacciata, ma con mia sorpresa si voltò estrasse il pugnale e ferì il mio compagno sul costato, certo sarebbero morte tutte ma se ne sarebbero andate con stile... Una si gettò contro di me ed allora mi dimenticai che erano ragazze, mi ricordai che erano nemici, il mio corpo fu pervaso da un tremito di rabbia e fui più bestia che uomo,  tentò di pugnalarmi il collo, feci un balzo indietro e mi scansai a quel punto contrattaccai menando un fendente mirato al suo cranio doveva finire in fretta, lei parò l’attacco ma la mia lama continuò e le colpì un polpaccio lei arrancò,poi pensai al veleno per lei era giunta la fine... mi sembra ancora strano come una guerriera possa cadere per un misero taglietto, ma era una guerra non c’era tempo per pensare troppo, parai svogliatamente altri due o tre attacchi e infine la vidi soffocare con una smorfia sul volto e così morì... nell’ignoranza di cosa l’aveva uccisa.

Ho ucciso centinaia di persone e di mostri, ma non mi potrò mai dimenticare il suo sguardo.

Non passò molto che mi trovai davanti un'altra avversaria, stavamo combattendo furiosamente da qualche minuto quando mi resi conto di essere circondato, non sapevo cosa fare eravamo sette contro uno, poi arrivarono Anthony e Luke ci mettemmo schiena contro schiena e iniziammo una tetra danza con le nostre avversarie, il veleno faceva il suo lavoro e credo tutt’ora che molte cacciatrici mi maledicano ancora dall’Ade per averlo usato, forse non era sportivo,ma era efficace. Dopo un po’ non seppi più cosa mi circondava, guardavo e pensavo soltanto ad una cosa, il sangue che mi macchiava le mani e la scia di morte che portavo dietro di me, ma continuavo ad uccidere senza rimorso, finché non ne vidi una più piccola delle altre avrà avuto una decina d’anni, forse non era neanche una vera cacciatrice ancora, ma il minotauro non fece distinzioni, vidi tutto come al rallentatore la incornò, la poverina colpita dal mostro cadde in ginocchio, solo per poi essere decapitata.

Non mi sono mai ripreso da quella vista.

P.O.V. Luke  

Quello non poteva essere Percy, ma lo era fino a quel momento ero stato zitto, ma vederlo inflessibile di fronte ad un tale spettacolo mi sconvolse, non potevo sapere cosa pensava, ma per avere una tale freddezza, quegli esseri immortali che osano farsi chiamare dei, nonostante le loro orrende abitudini e i loro vizi, dovevano avergli fatto qualcosa di orribile che forse nemmeno lui comprendeva a pieno. La battaglia era quasi finita ormai era rimasta una sola cacciatrice, proprio LEI Thalia Grace. Mi avvicinai a lei con la spada bassa feci segno a tutti gli altri di starle lontano, lei era mia. Ci sfidammo con i colpi più difficili che ci erano stati insegnati, Vipera iniziava a pesarmi fra le mani, ma dal sudore sulla sua fronte capii che anche lei si era stancata, duellando eravamo ormai arrivati ai limiti del campo delle cacciatrici, soli. Fui stupito nel vedere che si mise in ginocchio, era esausta ma non intendeva arrendersi,avrei potuto farla finita, ma non lo feci, la guardai a lungo negli occhi, poi sentii dei rumori Percy e gli uomini avevano finito,dovevo prendere una decisione, ucciderla come una nemica o farla fuggire come un’amica, avevo sempre meno tempo dovevo prendere una decisione, alzai Vortice.

Abbassai un colpo formidabile davanti alla sua faccia, lei sbiancò << scappa e non farti vedere, posso solo augurarti buona fortuna >> le dissi, lei per un attimo mi guardò altezzosa, stava forse pensando a come l’avevo delusa in passato? Mi appoggiò le mani sul volto per un attimo pensai al peggio, poi mi fissò negli occhi e disse solo << sapevo che in te c’era ancora del buono, lo sentivo >> Poi se ne andò libera nella foresta.

Tornai vicino al Falò, il Minotauro era gravemente ferito, uno dei lestrigoni era morto, trafitto da tre frecce argentee, Anthony era ammaccato ma stava bene, aveva radunato tutti i corpi e li stava bruciando, ma ne mancavano due all’appello, poi li vidi ce li aveva Percy... uno era il corpo di quella bambina di 10 anni l’altro apparteneva ad una ragazzina di 14 con il volto contratto in uno strano ghigno di stupore; Mi avvicinai per parlargli,ma lui mi precedette << Questo li porto con me... ho compreso davvero la crudeltà di quello che faccio glielo devo... >> dapprima credetti che avrebbe fatto qualche strano incantesimo di negromanzia, ma al contrario si sedette sulla riva di un ruscello, gli pulì le ferite e ricompose i cadaveri, li voleva davvero portare con sé... mentre salivamo sulle arpie per tornare alla nave il lestrigone rimasto si leccò i baffi << il comandante ha rimediato la cen.... >> non poté finire la frase Percy gli aveva trapassato la testa con il pugnale, i nostri compagni mi guardarono come a chiedere se dovevano immobilizzarlo, ma non dissi nulla io avrei fatto lo stesso.      

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Capitolo 9
*** Capitolo 7 Sesso e Castità ***


Capitolo 7 Sesso e Castità

A.S. Perdonatemi la lunga assenza ero in Ferie...

(Narrazione di Anthony)

Eravamo tornati sulla nave da meno di dieci minuti, ma si era già scatenato un putiferio di risate, allegria e scherno verso quelle arroganti ragazzette che giacevano in pasto ai vermi. Il salone delle feste era pieno di gente, si era deciso di fare una festa esclusiva... niente mostri o bestie; Avrei potuto entrare subito, ma optai per un salto in camera a cambiarmi, come diceva sempre mia madre “Un bel ragazzo come te non può certo andare in giro come un vagabondo” Avevo ormai quasi varcato la soglia quando sentii un piccolo singhiozzo subito seguito da un altro e poi un altro ancora, seguii quel suono spettrale fino ad uno stanzino perfettamente vuoto e scarsamente illuminato, cercai un po’ con lo sguardo e infine lo vidi, Percy Jackson, forse il guerriero più feroce che avessi mai visto, considerando anche che combatteva contro i suoi ex alleati, che piangeva come un bambino ai piedi di due cadaveri argentei. Erano le due cacciatrici, iniziavo a chiedermi se intendesse tenerle lì, ma poi accadde qualcosa che persino per un semi-dio si ritiene impossibile, le sue lacrime circondarono i corpi e divennero delle bare di cristallo dalle sfumature verdi, proprio come gli occhi che le avevano piante; Ero confuso io e il capitano avevamo deciso tacitamente di tenere segreto il primo episodio, ma quello!         Non si grazia il nemico in battaglia, ma seppellirlo è d’obbligo così lo considerai solo un ennesimo piccolo segreto. Trascorsi altri venti minuti e vestito di tutto punto entrai allora nel grande salone, i lampadari di cristallo pendevano in tutto il loro splendore, i rasi e le sete della tappezzeria erano stati tirati a lucido e ad ogni tavolo si brindava alla vittoria, con i lestrigoni incredibilmente servizievoli a riempire i calici ogni qualvolta ce ne fosse bisogno, mi accomodai al tavolo principale assieme al comandante e al primo ufficiale. Percy era proprio lì euforico come se fosse appena trascorso il natale, stentavo a credere che lui e il ragazzo della stanza fossero la stessa persona... era così, strano.

Dopo almeno una ventina di brindisi fu servita la cena: pasticcio di montone con uova alla Bismarck e tortini di carne, l’atmosfera era fin troppo calma e giacché la discordia è l’antitesi della calma, l’immancabile Darnel arrivò di lì a poco, dal suo scarno abbigliamento era logico che quella sera voleva guadagnarsi una promozione nel peggiore dei modi...          Un leggerissimo abitino la copriva , se così si può dire, ma era comunque esposta agli sguardi indiscreti di tutti i presenti, cosa che a parer mio la faceva gongolare a dir poco... dopo un pasto luculliano tornai in camera, ma non dopo aver ottenuto da una disinibita figlia di Efesto un ballo per la sera successiva.

P.O.V. Percy

<< Mi perdonereste un attimo, credo di non sentirmi molto bene... >> dissi poco prima di alzarmi e correre nella mia cabina, lì mi guardai allo specchio e mi venne da sputarmi in volto, iniziai a prendermela con me stesso << Brutto mostro! Guarda cosa sei diventato, un giorno arriverai a mangiare altre persone se oggi festeggi in questo modo la tua brutalità! >> stavo per ricominciare, poi però mi dissi che in fondo quello era solo l’antipasto della mia vendetta e ancora molti altri sarebbero caduti per mano mia e quindi si il festeggiamento era solo il primo di una lunga serie.  Tornato a tavola mi accorsi che i miei pochi commensali da soli erano stati in grado di finire la bottiglia di Gin che avevo fatto portare, scoprii solo dopo altre quattro bottiglie che neanche volendo potevo ubriacarmi, il mio metabolismo era troppo veloce per farmi provare la pace dell’incoscienza. Non voglio raccontare tutto ciò che successe quella sera, fatto sta che dopo neanche un’ ora dal mio gesto di onore e apprezzamento per quelle vergini guerriere, il mio corpo stava per possedere una ragazza che il resto di me non amava. Eravamo entrati nella mia cabina, Jenny si era avvicinata con uno sguardo malizioso, guardai le iniziali sulla porta e provai a trattenerla, ma un demone prese il mio controllo, ci baciammo, ma fu un bacio vuoto mentre le mie mani spogliavano il suo corpo, vivevo momenti di grande esitazione, farlo o non farlo svendere il mio corpo a una persona qualsiasi o consacrarmi a colei che non avrei mai avuto...

Ad un tratto pensai alle parole di Luke e mi arresi, la buttai sul mio letto con un impeto animalesco, insinuai la mia lingua fin dove un uomo possa osare fare, ottenendo in risposta solo qualche raro gemito, una cagna lussuriosa, non era nient’altro, ma ero forse io migliore? Valevo di più di lei? Domande che in futuro mi posi spesso, ma non quella sera, che passò fra gemiti e urla.

All’inizio sentii l’inesperienza, ma lei seppe supplire a tutto e la parte animalesca che ormai mi tormentava sempre più spesso ne fu ben contenta, in futuro seppi limitare almeno in parte i miei istinti, ma non quella sera in cui feci cose talmente orribili, ma in un certo senso fantastiche che presso il circolo vizioso della ragazza mi valsero il soprannome “Lupo”            

                             

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