The Dark Side of Us and Them di bababortola (/viewuser.php?uid=118337)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 1 *** I ***
1.
Quella
mattina
Kurt era stato portato a pensare che la vita da figlio unico, solo con
suo
padre, non era stata poi così terribile. Si, era bello stare
in una famiglia
allargata, i piatti di Carole erano strepitosi e di certo erano meglio
degli
esperimenti gastronomici di suo padre e lui, ma quella mattina proprio
non gli
venne in mente nessuna di queste due buone ragioni.
Spalancò la porta della cucina e vi entrò a
grandi passi, i capelli ancora
liberi dal gel, la giacca appesa al braccio e la cravatta bicolore che
gli
pendeva al collo. Rapidamente acchiappò una mela dal ripiano
della cucina con
la quale avrebbe potuto arrangiare una rapida colazione sfidando la sua
ipoglicemia. Finn lo seguiva con lo sguardo, con ancora addosso il
pigiama e
seduto davanti a un’abbondante tazza di cereali.
“Proprio non capisco come fai ad avere tutta questa energia
di prima mattina”
disse assonnato.
Il fratellino girò la testa verso di lui con uno scatto. Lo
fulminò con uno
sguardo che – Finn l’aveva imparato a proprie spese
– non prometteva nulla di
buono.
“Hai una bella faccia tosta a chiedermelo Finn
Hudson!”
Eccolo lì, nome e cognome pronunciati alla fine della frase,
segno che indicava
una lieve - ma non troppo lieve – irritazione,
pensò Finn.
“Contavo
che mi
svegliassi tu” fece Kurt seccato.
“Cosa?”
“Dato che ti alzi presto per fare il turno di consegna
giornali mi avevi detto
che mi avresti svegliato. Te l’ha detto anche
Carole.”
“E’ assurdo!”
“No! Sai cosa è veramente assurdo? Che il numero
delle mie ore di sonno sia
così ristretto! Mi coprirò di occhiaie. Ma a te
che importa? Tu non devi farti
un’ora di macchina ogni giorno per andare a scuola!”
Finn lo guardò con aria pressochè assente. I suoi
pensieri erano rivolti a
Quinn, e al suo continuo parlare del ballo, e della sua elezione a
reginetta.
Non poteva fare a meno di chiedersi se lo stesse usando soltanto per
arrivare a
quello, ma preferì non pensarci troppo.
Il suo sguardo si spostò immediatamente sul patrigno che
aveva appena fatto
ingresso nella cucina, probabilmente con l’intenzione di
salvarlo.
“Kurt stai calmo, è ancora presto. Hai tutto il
tempo per prepararti”
Kurt lanciò un’occhiata alle cifre lampeggianti
del microonde. Suo padre aveva
ragione.
“Prendo la cartella.”
Uscì dalla cucina
sconfitto, seguito dallo sguardo del fratello.
“Non ci badare” disse poi Burt rivolto a Finn
“E’ solo che non vede l’ora di
vedere quel suo amico con cui sta sempre… Quindi ha mille
cose per la testa” e
fece spallucce.
“Uhm.. ma chi? Blaine?” rispose Finn ingoiando una
grande cucchiata di cereali.
Burt annuì.
“Mmmh, non mi piace quel tipo.”
Burt fece ancora spallucce, come se volesse dire ‘non deve mica piacere
a te’.
Lui, di
suo,
aveva fatto un enorme sforzo per non prendere in antipatia quel
ragazzo.
D’altronde, qualunque genitore avrebbe preso in antipatia
qualunque ragazzo che
ritrovava in mezzo alle lenzuola del letto del proprio figlio, ubriaco,
o che
viene a interromperti nel lavoro e ti chiede di parlargli di sesso, va
beh, in
quello era stato…come dire, gentile? Si, gentile nei
confronti di Kurt e diciamo
che l’aveva apprezzato. Aveva comunque scelto di andare
contro il suo istinto
da genitore e di pensare alla felicità di Kurt. Sapeva che
quel ragazzo era
importante per lui, anche se erano solo amici. Sapeva che se lui non
avesse
avuto nulla contro quel ragazzo… beh sarebbe stato
più semplice, e sarebbe
stato ancora più semplice
nell’eventualità che se le cose si fossero fatte
più
serie, Kurt si sarebbe sentito libero di parlargliene. Si, aveva
pensato anche
a quella possibilità.
-
La
campanella
annunciò la fine della quinta ora.
“Hey”
fece Kurt
procedendo verso quello che era l’armadietto di Blaine
Anderson “Mensa?”.
Il ragazzo di fronte a lui doveva non averlo sentito, dato che non si
era
voltato e continuava a sistemare i libri nell’armadietto.
Avrebbe almeno dovuto
accorgersi che Kurt era lì affianco.
“Blaine?”
L’altro si voltò di scatto. “Oh..
ciao.”
“Ciao. Andiamo a pranzo?”
Esitò un po’ a rispondere.
“…Certo!”
Alle volte Blaine non era molto loquace. Non c’era nulla di
strano in quello,
ma Kurt si chiese se Blaine non avesse avuto il verme solitario quando
lo vide
riempirsi due volte il vassoio. Ma fece finta di non notarlo.
-
Le riunioni dei Warblers diventavano ogni giorno più noiose.
Kurt se ne stava
lì, seduto sul suo divano, con le gambe acavallate tenendosi
la testa con la
mano. Sentiva che si era lasciato qualcosa alle spalle. Qualcuno.
Quel Kurt
Hummel
che camminava per i corridoi vestito da Lady Gaga su dei tacchi
vertiginosi
fregandosene di quello che diceva la gente. Certo, le prendeva sempre,
ma
almeno il McKinley era il suo campo
di battaglia. La Dalton non era certo meno pericolosa. Quella del
‘tutti uguali
e trattati allo stesso modo’ era solo la copertina del libro,
ed era anche una
bugia. Al McKinley se provavi a distinguerti venivi picchiato, gettato
nel
cassonetto o granitato, ma finiva lì. Alla Dalton se uscivi
dal tuo posto, dal
tuo ruolo – che loro ti
avevano
affibbiato – di certo non le prendevi, ma loro
erano capaci di fare peggio, spegnere il tuo entusiasmo, toglierti la
parola e la
capacità di riscattarti. Loro. Quel maledetto consiglio.
Blaine
sembrava
sempre ascoltare e sottostare pacificamente alle decisioni del
consiglio, anche
se a volte aveva proposto delle idee innovative e senza sbilanciarsi
troppo.
L’avevano ascoltato soltanto perché era il solista
e dipendevano da lui.
Kurt lanciava delle occhiate al divano affianco, dove stava seduta
l’unica
ragione che lo spingeva a rimanere nei Warblers.
“Allora
è
deciso.” Wes battè il martelletto. Cosa si fosse
deciso Kurt non lo sapeva. Non
gli interessava molto, sarebbe comunque finito a ondeggiare in mezzo a
tutti
gli altri.
Kurt vide Blaine tirare la testa indietro e sospirare. Forse anche lui
si era
scocciato di tutto quello. Chissà a che pensava.
Gli altri
Warblers dovevano averlo sentito e cominciarono a guardarsi
l’un l’altro
interrogativi.
“Qualcosa non va Blaine?” fece Wes da dietro la
scrivania.
Blaine si girò appena col capo, quanto bastava per guardare
l’altro negli
occhi.
“Mmh.. Wes, ti è mai venuto in mente che
sei… noioso da morire?”
Silenzio nell’aula. Quell’uscita di Blaine aveva
attonito quei cagnolini
scodinzolanti che ora fissavano a bocca aperta il loro maschio alfa.
Blaine
aprofittò di quel silenzio per continuare.
“Anzi, a dire il vero, tutti voi, fatta eccezione per
pochissimi, siete noiosi
da morire.”
Un mormorio di stupore si levò nell’aula.
“Ma come ti …”
“Ah, e queste riunioni sono noiose da morire.” Fece
una pausa. “Ho finito.”
Il
martelletto
colpì ancora il tavolo e la riunione terminò.
Kurt era forse stato l’unico a
non scomporsi durante l’intervento di Blaine.
L’aveva guardato attentamente e
aveva appurato che, sì, Blaine quel giorno era strano.
Ma sembro tornare tutto normale quando sorridente gli si
avvicinò chiedendogli:
“Caffetteria come sempre?”
“… Blaine stai bene?”
L’altro agrottò le soppracciglia stranito.
“Sto benissimo” disse sorridendo.
“Okay”
Forse
davvero si
era immaginato tutto, perché Blaine in caffetteria e fuori
dalla scuola
sembrava quello di sempre. Avevano chiaccherato come sempre, nessuno
dei due
aveva accennato a quello che era successo alla riunione.
“Oh,
è tardi.
Devo andare.” Disse Kurt non appena visto
l’orologio.
“Come? Te ne vai di già?” fece Blaine
con aria triste.
“Andiamo sempre via a quest’ora Blaine. E poi devo
fare anche un’ora di auto,
lo sai.” Disse confuso “Che ti prende?”
“…No.” Fece guardando in basso.
“No, nulla. Credevo non fosse così tardi,
scusa.”
-
“Finn
che
schifo!”
Kurt era inorridito dalla potenza dei rutti che potevano uscire dalla
bocca del
fratello. Finn, d’altro canto, aveva cominciato a prenderci
gusto nel provocare
Kurt, proprio come un vero fratello, e il rimprovero di Kurt lo fece
soltanto
sorridere.
“Tocca a te lavare i piatti” disse il
più piccolo.
“E tu devi buttare la spazzatura”
“Lo so, lo so”
Kurt si
infilò
nel suo cappotto color petrolio e uscì dalla porta con i
sacchi stretti fra le
dita candide. Camminava calmo e pacato, stava in mezzo ai suoi pensieri
e
all’aria fredda della notte che lo picchiava in viso. I suoi
soliti pensieri
gli ronzavano nella testa.
Ovviamente Blaine, la sua famiglia, la scuola, i Warblers, gli
amici,…
La
maggior parte
dei suoi pensieri erano ovviamente dedicati al primo della lista,
Blaine. Pensava
al suo comportamento di oggi, a cosa doveva essere dovuto, che forse
non era
così fantastico e perfetto come gli era sembrato quando
l’aveva incontrato per
la prima volta. Certe volte aveva avuto i suoi momenti: il suo
egocentrismo, la
sua cotta per il commesso del Gap, la festa super-alcholica di
Rachel,… che gli
avevano fatto sentire tanta di quella gelosia e l’avevano
fatto sentire così
stupido. E poi c’era stata quella mattina. Come poteva sapere
cosa gli saltasse
per la testa?
Credette
di avere
un’allucinazione quando gli sembrò di vederlo in
lontananza. Si era di sicuro
un’allucinazione dovuta al fatto che era notte, era stanco, e
che stava
pensando a lui da ore. Non poteva essere lui, sennò cosa ci
stava facendo lì?
Con un
leggero
sforzo della vista si accorse invece che era proprio Blaine.
L’istinto
fu più
veloce della mente. Senza porsi troppe domande gettò in
fretta il sacchetto nel
cestino e si diresse a grandi passi verso di lui per salutarlo. Stava a
qualche
decina di metri dal vialetto di casa sua. Non gli venne neanche in
mente che
suo padre o Finn avrebbero potuto vederli dalla finestra e pensare
chissà che
cosa.
“Hey,
che ci fai
qui?” la domanda era uscita così, senza troppe
pretese, ma sperava di non
essere sembrato sgradevole.
Blaine
sembro
piombare a terra, chissà da quale dimensione si trovasse,
prima che gli fosse
posta quella domanda e prima di essersi trovato davanti il volto di
Kurt
nascosto nell’alto colletto del cappotto. Al suo silenzio
Kurt si decise a
osare un’altra domanda.
“Io.. non sapevo che abitassi qui. Mi avevi detto di vivere
vicino alla scuola,…
a Westerville” disse abozzando un mezzo sorriso.
Blaine si sentì interdetto. Era stanco. Sputò
fuori quella che era la verità.
“Ci vivo infatti.”
“Ah” Kurt non osò chiedere ancora una
volta cosa ci facesse là, lontano da casa.
Il sorriso gli sparì dal volto quando, illuminato dalla luce
di un lampione,
ebbe l’occasione di vederlo meglio.
“Blaine
ma tu…”
il suo sguardo si fece serio, leggendogli il volto con i suoi occhi
celesti.
“…Ma tu tremi?”
In
effetti era
proprio così. Blaine palpitava e rabbrividiva, e se qualche
sconosciuto fosse
passato di lì nei paraggi l’avrebbe anche sentito
buttar fuori una gran
moltitudine di sospiri.
“Blaine che succede?” fece preoccupato Kurt.
Il silenzio di Blaine fu una risposta sufficiente. Era chiaro che non
si
trovava lì per una semplice passeggiata. Kurt prese Blaine
per il braccio e lo
condusse a fare un giro della schiera di case, prendendo una piccola
stradina e
convincerlo a sputare il rospo.
Finirono
per
sedersi sui gradini di un androne. Blaine teneva la testa fra le mani.
“Ho litigato con mia madre.” Disse “E
avevo bisogno di uscire un po’.”
Kurt capì che aveva detto la verità, ma non volle
sentire ragioni.
“E’ pericoloso stare qui da soli a
quest’ora. Torna a casa, è meglio.”
Blaine buttò la testa in mezzo alle sue ginocchia,
rannicchiato su se stesso cacciò
fuori un soffio.
“Vai” disse Kurt con tono autoritario, sapeva cosa
era giusto.
Blaine si alzò, e lo guardò negli occhi, annuendo
lievemente.
Kurt vide la sua figura camminare lenta verso quella che avrebbe dovuto
essere
(sperava che lo fosse) la direzione per casa sua.
Anche lui rientrò a casa, col vento che gli scottava le
guance, stretto nel suo
cappotto, si chiese da quante ore Blaine fosse fuori da casa, e da
quante ore
stesse soffrendo tutto quel freddo.
---
Ok, scrivere una premessa mi sembrava
troppo stupido e noioso, quindi scrivo quello che devo scrivere
qua.
Questo è il primo capitolo di una cosa che mi è
venuta in mente subito dopo aver visto "Sexy". Mi aveva colpito molto
la piccola "confessione" che Blaine aveva fatto a Burt riguardo ai suoi
problemi col padre e mi stupisco che non sia stata approfondita
affatto. Blaine è un personaggio particolare e mi
incuriosisce molto, è diciamo spavaldo, è
praticamente perfetto in tutto quello che fa e nel modo in cui lo fa.
Questo porta di solito a due cose: o viene odiato o amato alla follia,
o entrambe le cose (il mio caso).
Sto parlando troppo brr...
In poche parole, in questa fic voglio mostrare un lato più
nascosto di Blaine : > Tutto qua.
Spero vi piaccia... ^^
Dedico questo primo capitolo a
Ipuccia che ha perso un sacco di tempo a leggerla e ad aiutarmi e che
oggi compie gli anni <3
|
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Capitolo 2 *** II ***
2.
Alla
Dalton l’ora
di ginnastica era molto diversa da quella del McKinley. Nessuna testa
nel
water, nessuna presa in giro, un’ora piuttosto tranquilla che
a Kurt non dispiaceva.
Ma quella
era pur
sempre una scuola maschile. Non era raro che alcuni ragazzi entrassero
in
competizione fra loro per le cose più stupide come chi
correva più veloce, chi
faceva gli scatti migliori o chi riusciva ad afferrare più
palle al balzo. Stupidi
comportamenti che facevano sembrare la Dalton una scuola meno anormale,
e i
ragazzi non erano più quei damerini che battevano il
martelletto dietro a una
suntuosa scrivania in ciliegio, ma dei ragazzi normali.
Kurt,
come aveva
sempre fatto, si limitava a lavorare normalmente, evitando quelle
stupide
esibizioni mosse dal testosterone che montava. Erano stupide, per
l’appunto.
Quello
che
spiccava di più per le sue doti atletiche era
senz’altro David, ma lui mostrava
un atteggiamento diverso dagli altri e non ne faceva un vanto. Doveva
però
accogliere tutte le sfide degli altri studenti che insistevano e lo
pregavano
di potersi misurare con lui. Tutti ambivano a batterlo.
“David
preparati
a prenderle”
Quel giorno era stato Logan ad aver lanciato la sfida per primo.
“Lo
vedremo” fece
David acettando pacificamente la sfida e appostandosi dietro un solco
nella
sabbia che fungeva da linea di partenza.
La sfida
non durò
più di un giro di campo. Logan arrancò gli ultimi
passi esausto e palpitante, i
capelli dorati e la maglia appiccicati alla pelle dal sudore.
Riuscì a
raggiungere David che si era fermato al traguardo di sabbia pochi
secondi
prima.
Logan annaspò un poco prima di riuscire a dire qualcosa.
“Voglio la rivincita.”
“Scordatelo, sono esausto.”
“Ti ho detto che voglio la rivincita.”
La scena
andò
avanti così per qualche minuto. Accanto a Kurt, Blaine stava
seduto nella
panchina, apoggiato sulla rete di sicurezza che separava il prato dal
campo con
lo sguardo fisso sui suoi compagni.
“Perché
non riesci
ad accettare che sono più bravo di te nella
corsa?” David non si rese conto che
quella domanda invece che voler essere sportiva e pacifica, avrebbe
provocato
ancora di più il suo compagno.
Logan
tornò fra
gli altri sconfitto, cercando un posto per sedersi.
“Levati dai piedi tappeto” disse spavaldo rivolto a
Blaine.
“Scusami?”
“Fammi sedere”
“Senti non so quale sia il tuo problema ma fare il prepotente
con me non farà
passare in secondo piano il fatto che David ti ha battuto per la
milionesima
volta” disse con una leggero sorriso.
“Taci
Anderson!
Non riusciresti a fare il mio tempo neanche fra un milione di anni con
quelle
gambette da checca che ti ritrovi! E adesso spostati!”
sbottò Logan.
In Blaine sembrò accendersi qualcosa, senza però
esplodere. Si alzò lentamente
e mosse qualche passo verso il ragazzo biondo, che ora stava a pochi
centimetri
di distanza da lui e per un attimo Kurt temette il peggio.
“Ci
sto” fece a
denti stretti.
A Kurt
era parso
di capire che Blaine non fosse il tipo da zuffe. Di solito era sempre
calmo e
pacato e cercava di evitare i conflitti.
Quel Blaine che Kurt pareva di conoscere così bene si
dileguò in un attimo,
quando lo vide tracciare di nuovo la linea nel campo facendo strisciare
il
tallone contro la sabbia e guardando Logan con una ferocia negli occhi
e una
tal rabbia che chiunque avrebbe
pensato che una parola di troppo detta dal biondo avrebbe fatto finire
la cosa
a cazzotti.
E poi
partirono.
Al via dato da un ragazzo di nome Fred scattarono entrambi, tirando su
un gran
cumulo di polvere.
All’inizio
Logan
era in netto vantaggio, malgrado fosse già esausto dalla
sfida contro David.
A un tratto, circa a un terzo del percorso la situazione di
rivoltò.
Blaine
prese come
una gran carica e come se da quella gara dipendesse tutta la sua vita
cominciò
a correre più veloce, molto più veloce, come se
avesse trovato un’energia
dentro di sé che non sapeva di poter tirare fuori. La sabbia
sotto ai suoi
piedi si sollevava in grandi ondate, andando a finire negli occhi di
Logan, che
era stato appena superato. Ma la cosa più impressionante era
l’espressione che
Blaine teneva in viso. Le soppracciglia erano aggrottate in
un’espressione
torva, gli occhi sgranati che mandavano fiamme di rabbia dalle pupille,
i
capelli zuppi di sudore e completamente in disordine. Era spaventoso.
Logan
tentava di
recuperare ma a ogni accelerata che tentava di fare Blaine correva
più veloce
ancora, evitando così di farsi superare.
Per il resto della competizione Blaine fu sempre in testa, e per primo
tagliò
il traguardo.
Kurt era
sbalordito. Quello che ora aveva davanti con i capelli spettinati e il
fiatone
non poteva essere il suo amico che lo portava a vedere musical e poi da
Starbucks, non era lui, non aveva la minima idea di chi fosse quel
tipo.
Lo vide ancora: lo sguardo di Blaine. Quegli occhi, così
pieni di rabbia, rivolti a Logan.
“Te l’ho fatta vedere” disse annaspando
“Sono molto più veloce di
te…” prese
fiato “… e te l’ho dimostrato”.
Poteva mai essere possibile che Blaine potesse essersi scaldato tanto
solamente
per una così banale sfida? Con Logan poi! Era un Warbler
anche lui e, era vero,
lanciava qualche frecciatina ma Blaine non l’aveva mai
assecondato e si era
mostrato superiore. Ma ora, cosa era successo?
Poteva darsi che a Blaine avesse dato fastidio l’uso della
parola ‘checca’, ma
Kurt non ci contava molto. Lui, che era da sempre stato folgorato dalla
perfezione e dal carisma di Blaine (quel Blaine che ora pareva lontano
mille
anni da quello che vedeva in quel momento), non potè fare a
meno di pensare che
forse la causa di quello strano comportamento poteva essere proprio
lui. Ma
cosa mai poteva aver fatto? Non ricordava di aver mai detto o fatto
nulla che
avrebbe potuto anche lontanamente offenderlo o ferirlo, no, niente. In
effetti
era un’ipotesi assurda, ma lo terrorizzava a tal punto da non
voler abbandonare
in nessun modo la sua mente.
Non
l’abbandonò
nemmeno quando un mormorio di preoccupazione si levò nel
campo.
“Blaine
stai
bene?” fece uno dei ragazzi.
“Certo, non vi preoccupate. E’ solo un
po’ di capogiro.”
Kurt
alzò appena
lo sguardo, vide che Blaine gli si stava avvicinando, aveva reindossato
il suo
solito sorriso di sempre, anche se faticava a camminare.
“Kurt…” disse afferrandogli
l’avambraccio “… andiamo in
cla…”
Kurt
sentì la
presa sul braccio stringersi appena, per poi allentarsi e perdersi
completamente. Vide gli occhi dell’amico ruotare
all’indietro a chiudersi e il
peso del suo corpo accasciarsi e abbandonarsi alle sue braccia.
Fu in realtà tutto molto veloce.
Fra le preoccupazioni dei compagni e degli ordini del coatch di stare
indietro
per ‘lasciare aria’ in meno di un minuto Kurt aveva
già portato di peso Blaine
fino all’infermeria col cuore che gli batteva in gola.
Ora Blaine stava sdraiato sul lettino con l’amico di fianco
che aspettava che
si riprendesse.
Kurt
bagnò lo
straccio di acqua fredda per la terza volta e lo premette sulla fronte
e le
gote di Blaine, si voltò un attimo verso un catino pieno
d’acqua per strizzare
lo straccio quando sentì una voce.
“Che
bello vederti.”
Blaine
aveva
aperto gli occhi in uno sguardo che non poteva davvero essere
più dolce. Le
labbra erano distese in un sorriso mentre guardava verso
l’amico.
“Sei
svenuto”
disse Kurt. La condizione di salute di Blaine gli pareva più
importanrte di
qualunque adorabile espressione rintontita dovuta a uno svenimento.
“Come stai?” disse di nuovo.
“Sto bene.”
“Hai faticato troppo mentre correvi” rispose serio.
“Si” fece l’altro sogghignando
“…ma ho battuto Logan!”
“Blaine sono serio, non devi sforzarti così se sai
che ti fa quest’effetto.
Davvero.” E gli bagnò ancora la fronte con lo
straccio umido.
Blaine
guardò
Kurt con un’espressione fra l’addolcito e il
sorpreso. Non sapeva che Kurt
avesse questo lato così protettivo. Kurt, vedendo la sua
espressione, credette
di averlo offeso o
esser stato troppo
duro e volle allentare l’atmosfera.
“A me succede a volte.” Disse con più
calma “Diciamo che non ho un corpo molto
resistente, se non mangio qualcosa al mattino può capitare
che cada a terra
all’improvviso privo di sensi.”
Blaine
accennò un
altro sorriso.
“Anche tu sei così?” disse poi.
Blaine fece no con la testa. “Però non tocco cibo
da ieri mattina”
Kurt sgranò gli occhi. “Co-come?”
“Sennò avrei senz’altro fatto un tempo
migliore…” disse sogghignando.
Kurt s’alzò di scatto. Fece due giri
dell’infermeria, portò le mani
all’altezza
del viso e aprì la bocca come per dire qualcosa, poi la
richiuse e si fermo
davanti al lettino, incrociando le braccia.
“Pe-perché
sei a
digiuno?? Lo sai quanto ci hai fatto spaventare?”
“Kurt…” il ghigno gli sparì
dal volto “Kurt, io…” tentò
di dire qualcosa, senza
sapere esattamente che cosa.
“No!” sbottò Kurt interrompendolo
“Io proprio non riesco a capirti!”
Perse la pazienza. Era vero. Aveva detto la verità, come
fanno le persone quando
si arrabbiano: dicono quello che pensano. Blaine era sempre al suo
fianco, era
suo amico. Lottava ogni giorno con il suo cuore per cercare di farlo
battere
più lentamente ogni momento che si trovavano insieme.
Cercava di convincersi
che erano solo amici e questa oltre che essere una condanna era anche
la sua
unica consolazione, era suo amico.
Nell’ambito di amicizia Blaine poteva essere suo.
Era quella parola che lo consolava e alle volte davvero non
poteva chiedere di meglio. Ma vedere Blaine fare così lo
stupido e rovinarsi
con il digiuno per chissà quale motivo, no, non poteva
proprio sopportarlo.
Blaine
stava lì,
sdraiato sul lettino, senza sapere cosa dire o come giustificarsi. Si
limitava
a seguire il movimento degli occhi di Kurt, che prima guardavano verso
di lui e
poi in basso, pensierosi.
“E’ meglio se andiamo in classe” e si
girò verso la porta dell’infermeria per
uscire.
“Kurt aspet…”
Giusto il tempo di alzarsi in piedi, che Blaine svenne di nuovo. Quando
arrivò
l’infermiera disse che non avrebbe dovuto fare movimenti
bruschi, e disse a
Kurt di lasciare fare a lei, che avrebbe chiamato la madre per venirlo
a
prendere e che tutto si sarebbe risolto.
Kurt non potè fare a meno di chiedersi se avesse fatto bene
a rimproverarlo
così. Rimase con quel quesito nella testa per tutta la
giornata, senza riuscire
a darsi pace né a prestare attenzione alle lezioni. Era
tutto un chiedersi e
tormentarsi.
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Capitolo 3 *** III ***
3.
La voce di Finn aveva fatto eco per tutta l’officina.
“Hey Burt… ti disturbo?” aveva detto con
un velo di imbarazzo. Non entrava mai nell’officina.
“Niente affatto Finn, dimmi pure” fece una voce
ovattata che Finn capì, dopo un attimo di spaesamento,
provenire dal sotto di un’auto a cui Burt lavorava da un
po’ di giorni.
“Ecco… tu mi conosci bene ormai, abbiamo parlato
un sacco di volte e mi hai sempre detto che avrei potuto parlarti di
qualunque cosa.” Non sapeva se sentirsi a disagio o meno, gli
piaceva parlare con Burt, aveva sempre la risposta pronta a tutto,
quindi perché non chiedergli un consiglio?
Burt sbucò fuori dal suo lavoro e si mise in piedi davanti a
lui, con un’espressione preoccupata.
“E’ successo qualcosa?”
“Oh no! No.. no, nulla di grave” lo
tranquillizzò subito Finn. “Ho bisogno
di un consiglio… è per una ragazza, e non mi
sento molto a mio agio a parlarne con mia madre. Capisci no?”
disse con timidezza.
Burt fece sì con la testa, con l’aria di chi aveva
già capito tutto. Si mise a sedere e indicò al
figliastro una sedia davanti a lui.
“Su, siediti” fece paterno.
Finn obbedì e attese in silenzio che il patrigno dicesse
qualcosa. Burt, d’altra parte, non sentendo Finn proferire
parola decise di cominciare lui.
“Si tratta di Rachel?”
“No no…” disse con un velo di tristezza
“E’… Quinn.”
“Quinn? La ragazza incinta dell’anno
scorso?”
Finn annuì. “E’ fantastica. E’
bella, misteriosa… affascinante…”
“Ma…?” lo interruppè Burt.
“Ho l’impressione che mi stia solo
usando.”
“Usando??” fece Burt con tono incredulo.
“Per il titolo di reginetta! Non fa che parlare del ballo, di
come saremo popolari,… e io non so più cosa
pensare!” sbottò.
“Ok, ok…” lo calmò Burt
portando le mani avanti “Il punto qui non è quali
siano i tuoi sospetti, il punto qui è cosa lei provi per te,
te l’ha mai detto?”
Finn ci pensò un momento.
“…Si, ha detto che il suo posto è
accanto a me, ma non ho ben capito cosa intendesse dire.”
Burt lo scrutò ancora, aspettando che il figliastro capisse
che invece la ragazza era stata molto eloquente. Secondo lui.
Finn invece guardava per terra, come se la polvere sul pavimento
dell’officina avesse potuto dare una risposta ai suoi
problemi. Il patrigno vide la richiesta di aiuto e decise di prendere
parola di nuovo.
“Senti Finn, la base di un rapporto serio è la
fiducia reciproca. E’ chiaro che questa ragazza ha passato un
periodo molto duro, quello che mi sembra di capire è che ha
bisogno di ritrovarti e che ha bisogno di te.”
“Di me?” fece Finn perplesso.
“Esatto. Quando vuoi davvero bene a una persona, fai di tutto
per proteggerla. Il tuo compito è proteggerla, è
una ragazza ed è la tua ragazza. Le donne non sono come noi
uomini, loro non cercano il divertimento di una storia. Loro sanno
già che quello che le renderebbe davvero felici è
un rapporto con una persona di cui possono fidarsi. E noi uomini, credi
a me, ci mettiamo, davvero, troppo tempo a capirlo.”
Burt ora teneva quell’espressione,
quell’espressione rassicurante e seria che solo un padre
può tenere. Quell’espressione che Finn non aveva
mai davvero conosciuto ma allo stesso tempo aveva cercato
faticosamente, senza mai trovarla e che ora si trovava lì,
davanti a sé, negli occhi verdi del signor Hummel. Gli
bastò quello per convincersi che Burt aveva ragione.
Inoltre, aveva usato le sue stesse parole che aveva usato con Quinn, un
po’ diverse forse.
“E’ chiaro?”
“Si…” fece Finn alzandosi con un sorriso
“grazie Burt”.
“Non c’è di che” disse, e
tornò al suo lavoro.
-
In quei giorni faceva caldo. Erano appena i primi di Aprile ma la
primavera aveva ormai fatto il suo ingresso. Quel giorno il sole
picchiava davvero forte, il cielo era limpido. Era una giornata
particolarmente bella. Kurt guardava fuori dalla finestra, incantato
dal paesaggio primaverile del cortile della scuola senza badare
minimamente a alla lezione di scienze.
Non sappiamo a cosa stesse pensando. Forse viaggiava con la mente e
sognava ad occhi aperti guardando gli alberi coprirsi di fiori, come
fanno gli innamorati. Forse non aveva voglia di seguire la lezione.
Forse aveva preferito isolarsi dal resto della classe, senza
chiaccherare con nessuno, dato che oggi il suo amico non
c’era. Forse era soltanto in attesa che l’ultima
campanella suonasse.
Alla fine suonò. Kurt sapeva già dove andare e
che direzione prendere. Afferrò la sua cartella e se la mise
a tracolla e si mosse a grandi passi verso il parcheggio. Mise in moto
e tenne il piede premuto sull’accelleratore per quindici
minuti buoni, senza mai fermarsi. Si era ricordato della strada
benchè ci fosse passato solo una volta, non era trafficata
ed era tutta un susseguirsi di curve ad esse. Un posto un po’
sperduto e inusuale per collocarci una casa.
Il verde si faceva più vasto a ogni metro. Ci si doveva,
poi, infilare con l’auto in una nicchia formata da alberi che
andavano a formare una specie di arco. Da lì in poi, la
strada era asfaltata da pietre piatte e terra, quasi come delle
mattonelle. La casa poi ti compariva praticamente davanti, non era
grande ma in buono stato. Per nulla somigliante a una casa di campagna
o a una fattoria, (tanto meno ad una villa) ma più che altro
a una casa di periferia. Tutto questo a soli quindici minuti di auto
dal centro. Assurdo!
Kurt tirò un sospiro di sollievo quando vide scritto sopra
il campanello il cognome che cercava. Con un po’ di timore,
premette col dito il pulsante sotto la scritta
“Anderson”.
Anche se avesse voluto non avrebbe potuto tirarsi indietro, qualcuno
doveva aver visto la sua macchina fermarsi là vicino e la
sua figura dirigersi verso la porta.
Stava là ad aspettare, i secondi divennero più
lenti.
Dopo un po’ la porta si aprì e con grande sorpresa
di Kurt ad aprire fu una ragazza. Con una rapida occhiata Kurt
potè constatare che non si trattava della madre di Blaine,
dato che saltava all’occhio che avesse circa la sua stessa
età. Portava i capelli raccolti in una coda scompigliata,
delle lunghe ciocche in libertà le incorniciavano il viso,
finendo con dei ricciolini. Indossava una giacca Letterman, (come
quelle che indossano i giocatori di football) sopra un top nero e dei
jeans sgualciti e strappati. Non assomigliava per niente a nessuna
delle sue amiche.
“Posso aiutarti?” disse con occhi interrogativi,
dopo averlo squadrato anche lei da capo a piedi.
“Sono un amico di Blaine. Oggi non c’era e sono
venuto a portargli i compiti.” Un piccolo pretesto per andare
a controllare che Blaine stesse bene dopo l’incidente del
giorno prima, e per scusarsi per essere stato così sgarbato,
forse.
La ragazza davanti a lui cambiò espressione.
“Ooh… ma che gentile!” disse
illuminandosi di un sorriso sincero. “Ma purtroppo Blaine
adesso non è in casa, ecco è… uscito
un attimo a comprare delle cose, non so quando
tornerà.” Disse poi evitando lo sguardo
dell’altro. “Mi dispiace così tanto
però, hai fatto molta strada? AH, comunque Blaine non si
sentiva molto bene oggi, sai, dei… giramenti di
testa” disse la sconosciuta continuando a sorridere.
“…Ma domani verrà a scuola! Sei stato
comunque gentile a preoccuparti. Sei un suo amico vero?”
Kurt fece sì con la testa, un po’ sorpreso per la
marea di parole che la ragazza stava buttando fuori con così
tanta naturalezza.
“Ho capito, beh, dai pure a me i compiti. Penserò
io a darglieli e a dirgli che sei passato.”
“Oh, certo. Tieni pure.” Disse Kurt porgendogli un
paio di libri e una pila di fogli. Tentativo fallito.
“O dio, che stupida. Non ti ho chiesto neanche come ti
chiami.”
“Kurt Hummel” disse lui sorridendo.
“Kurt Hummel” disse lei scandendo il nome sulle
labbra “Kurt… Hummel…
cercherò di ricordarmelo. Beh, allora ciao Kurt e grazie per
essere passato.”
“Di niente” rispose Kurt. La porta si chiuse alle
sue spalle e si diresse verso la macchina che distava solo pochi metri.
Si accorse solo in quel momento che non sapeva minimamente come si
chiamasse la ragazza che fino a quel momento gli era stata davanti, e
che non sapeva effettivamente chi fosse. D’altronde gli aveva
detto che Blaine stava bene, e che il giorno dopo l’avrebbe
rivisto a scuola, cosa c’era di cui preoccuparsi in fondo?
-
“Chi era Nelly ?”
Una donna, circa sulla trentina, stava seduta sul divano. La testa,
tenuta da un palmo della sua mano, non si mosse per rivolgersi alla
figlia, ma continuava a guardare davanti a sè, incantata
dalle fiamme del caminetto.
Nelly si poggiò alla porta, continuando a stare in piedi e
guardò sua madre. “Era un amico di
Blaine.”
“Sa dov’è?” disse voltadosi di
scatto.
“No, è venuto solo per passargli i compiti.
Credeva che fosse qui.” e sospirò
chiedendosi a cosa stesse pensando sua madre mentre parlava con quel
ragazzo alla porta. “Non l’ho mai visto
sai?…” disse cercando di sviare su un altro
argomento.
La donna si voltò di nuovo sconsolata, coprendosi il viso
con le mani fece un lungo sospiro.
“Mamma…” tentò di dire Nelly
“… Mamma, tornerà. Lo sai meglio di
me.”
“…Non capisco”
“Non dev’essere andato molto lontano”
disse mettendosi vicino a lei. “Starà via giusto
il tempo che lui starà qui. Poi quando sarà
sicuro che lui se ne sarà andato via,
tornerà.”
Sara, così si chiamavala donna, si alzò dal
divano. Si asciugò gli occhi da quello che, se non
l’avesse interrotto sul nascere, si sarebbe rivelato un
pianto interminabile e si diresse verso la sua stanza.
“Nelly io vado al lavoro. Rimani a casa e non invitare
nessuno.”
“Va bene mamma”
Nelly avrebbe potuto benissimo mettersi a urlare, strepitare, rompere
oggetti come aveva fatto nei giorni precedenti, ma le sembrava davvero
troppo e anche se ne aveva tutte le ragioni non poteva farlo mentre sua
madre era sull’orlo di una crisi di pianto come una
quattordicenne. Inoltre sarebbe apparso poco originale e improduttivo
dopo tre giorni di guerra e urla e la distruzione di cinque piatti e un
quadro. Quell’ambiente non aveva fatto che peggiorare la
situazione e far fuggire Blaine da casa. No, per quella sera avrebbe
obbedito a sua madre senza fare storie.
--
“Sono a casa” disse Kurt poggiando le chiavi nel
tavolino. Il salotto che di solito era occupato da suo padre e Finn che
guardavano la partita di chissà quale campionato, era vuoto.
Si sporse leggermente verso la cucina, quanto bastava per constatare
che la porta era aperta e che tutta la sua nuova famiglia era intenta
in quella che doveva essere la preparazione della cena. Suo padre, in
ginocchio sul pavimento, controllava attentamente la temperatura del
forno, mentre Carole e Finn tagliavano le verdure. Non si erano nemmeno
accorti del suo arrivo.
“Tesoro, fai così: prendi le foglie di prezzemolo
e le accartocci tutte come se fossero una pallina e poi le sminuzzi
finemente. Ah, e non voglio fare un condimento di dita, quindi stai
attento.”
“Così?” disse Finn confuso.
“Che succede qua?” chiese Kurt sulla porta della
cucina.
“Oh… tuo padre si è messo in
testa che deve saper cucinare un agnello come si deve”
rispose Carole sorridente.
“E come procede?” fece Kurt alzando un sopracciglio
incredulo.
“Magnificamente” disse Burt senza togliere gli
occhi dal forno.
“L’odore sembra buono” disse Finn.
“Io non mi fiderei troppo” fece Kurt saccente
“Tutti gli esperimenti culinari di papà si sono
sempre rivelati dei fallimenti. Fossi in voi temerei per un
avvelenamento da cibo.”
“Io non farei così tanto il presuntuoso. Mi sono
messo d’impegno e sembra promettere bene” disse
Burt.
“Finn, lascia stare, ci penso io alle verdure”
disse Carole “perché voi ragazzi non andate in
salotto e aspettate che la cena sia pronta?”
I due fratelli si sedettero nel divano. Finn si impossessò
del telecomando alla ricerca di qualcosa da guardare.
“Non c’è qualche gara di auto o qualche
partita in programma stasera?”
“No… non sembra almeno” disse il
frattello con gli occhi fissi sullo schermo mentre faceva zapping fra i
canali. “Dove eri?” chiese poi.
Kurt non seppe se dire a Finn che era stato a casa di Blaine. In fondo
non aveva fatto nulla di male e non l’aveva neanche trovato
in casa, ma sapeva che a Finn Blaine non piaceva molto e per un momento
fu tentato di dire una bugia. Poi, però ripensò
al loro rapporto di fratelli già instabile che con delle
bugie sarebbe stato compromesso ancora di più.
“Ero a casa di Blaine”
“Ah si?”
“Si, era malato e sono passato per dargli i compiti. Non
pensare male.”
Il fratellastro lo guardò storto con un sorriso “O
dio, non ho affatto pensato male! Fratello ti fai troppe
paranoie!”
Forse era vero. Kurt arrossì per l’imbarazzo.
“E tu dove eri?”
“Io sono sempre stato qui.”
“Non sei uscito con…” Kurt ci
pensò un attimo “… con chiunque tu stia
al momento?”
Finn lo guardò con aria triste, ricordanosi della sua
incasinata vita sentimentale.
“S-scusa” disse Kurt con imbarazzo.
“No, no… figurati.”
“Stai con Quinn vero?”
“Si…” si alzò dal divano,
forse per evitare di dire al fratello che aveva parlato di ragazze con
suo padre, facendolo sentire escluso in qualche modo. O forse per
evitare che le parole elaborate di Kurt avessero potuto smontare in
pochi secondi la sua convinzione che Quinn ci tenesse davvero a lui.
“Non c’è niente di bello alla tv,
guardala tu. Io vado in camera.” Disse con finta naturalezza.
“Oh! Accidenti Burt!” Il signor Hummel aveva
accidentalmente schizzato dell’olio da cucina sul maglione
rosso carminio della signora Hudson. “L’avevo
appena comprato!”
I passi svelti di Carole si sentivano per tutta la casa, si dirigevano
al piano di sotto, nella lavanderia.
“Mio padre ha fatto danno?” disse Kurt sdraiato nel
divano vedendo Carole con il maglione macchiato in mano scendere le
scale.
“Si, ma non l’ha fatto apposta.”
“Non preoccuparti, la camicetta che portavi sotto ti sta
anche meglio”disse sorridendo da bravo figlio amorevole.
Carole rispose con un sorriso e scese le scale.
Dalla cucina veniva un gran concerto di rumori, stoviglie, coltelli,
l’acqua del rubinetto che scorreva.. tanto che Kurt credette
di aver avuto un’allucinazione quando gli parve di sentire il
campanello suonare. D’altronde, tutti erano in stanze diverse
e quello più vicino alla porta era lui, ma chi poteva mai
essere a quell’ora della sera?
-
Era assurdo. Assurdo e scortese. Non si ricordava se i suoi genitori
glielo avessero mai detto ma, lui, di suo, aveva appreso nella sua vita
che disturbare un’unità familiare
all’ora di cena è pura scortesia. E se gli avesse
davvero aperto? Cosa avrebbe detto? Che cosa avrebbe fatto? No, no,
sarebbe dovuto tornare indietro, non neccessariamente a casa, no.
Magari avrebbe dormito sotto un ponte fino al giorno dopo, e poi forse,
sarebbe ritornato a casa. No, era assurdo suonare a casa di Kurt, per
poi dirgli che cosa? Non lo sapeva, ma allo stesso tempo non gli era
parso nella mente nessuna idea migliore. Ma no, non poteva suonare il
campanello.
*din-don*
Ok, aveva suonato davvero il campanello. Magari avrebbe tirato fuori
una scusa come del tipo
‘Hey, ciao, ho bucato una ruota!’ …ma
quale ruota! Camminava da tutto il giorno e solo da qualche ora aveva
capito quanto potesse fare freddo a Lima a una certa ora della sera.
Non aveva la minima idea di cosa dire se Kurt avesse aperto. E se ad
aprire non fosse stato Kurt? Sbiancò al solo pensiero di
trovarsi davanti il signor Hummel e di rimanere là senza
dire nulla.
Ok, si sarebbe soltanto limitato a dire ‘Mi scusi per
l’ora, ma Kurt può uscire un attimo per
parlare?’ si, si… sembrava promettere bene come
scusa. Ma poi? Cosa avrebbe detto? O dio, quanto avrebbe voluto non
aver suonato affatto. Per un attimo sperò che nessuno avesse
sentito il campanello. Sarebbe stato perfetto.
Non sentì nessuna voce, anche se le luci dentro casa erano
accese. Stava per voltarsi e tornare sulla sua strada quando…
“Blaine, cosa ci fai qui?” chiese Kurt, in piedi
sulla soglia della porta.
Blaine si sentì come paralizzarsi, cercò dentro
di se quel poco di calma e buonsenso che gli era rimasto dopo quella
giornata e fece un passo verso di lui pronto per parlare.
Aprì appena la bocca, ma le parole gli morirono sulle
labbra, così, senza preavviso mentre Kurt continuava a
guardarlo.
“Scusa per l’ora ma…” disse
con un filo di voce guardando in basso.
“…M-ma…ma
io…” gli occhi gli si riempirono di
lacrime in un secondo.
Kurt chiuse la porta dietro di se e fece un passo verso di lui senza
dire nulla.
Fu un attimo. Blaine si gettò fra le braccia
dell’amico in un avido abbraccio. Premette la testa contro la
sua spalla e abbandonò l’insensato proposito di
trattenersi. La camicia di Kurt si riempì in pochi secondi
delle lacrime di Blaine, che piangeva, cercando di trattenere i
singhiozzi.
Kurt non disse nulla, lo strinse a sé soltanto e
capì che davvero, qualcosa non andava.
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Capitolo 4 *** IV ***
4.
Velocemente
Kurt
era rientrato in casa. Aveva detto alla sua famiglia che sarebbe dovuto
uscire
un attimo, inventandosi un motivo qualunque, (gli avrebbero comunque
creduto in
ogni caso) e promise che sarebbe tornato in tempo per la cena. Prese la
giacca
e uscì di nuovo.
“Ora noi due parliamo” aveva detto
all’amico.
“T-ti chiedo scusa… non sarei dovuto venire
qua.”
“Dovevi pensarci prima di sclerare in quel modo.”
Aveva detto procedendo
rapidamente davanti a sé.
“Su, seguimi.”
-
“Sono
scappato”
Kurt guardò l’altro che stava a testa china,
seduto nella panca della fermata
degli autobus. Non sembrava molto colpito da
quell’affermazione.
“Scappato da che cosa?”
“…Scappato da casa.” Disse Blaine con un
evidente imbarazzo nella voce.
Kurt fece gli occhi in gloria. “Fin qui ci sono arrivato.
Intendevo.. perché
sei scappato?”
Nessuna risposta.
“Ok.” Kurt si mise in piedi, guardò in
alto e lesse il cartello degli orari “Di
qua passa una linea che va vicino a casa tua, cioè,
è di strada quindi non ti
verrebbe difficile.”
Gli andò incontro tirando fuori un rettangolo giallo dalla
tasca. “Tieni”
“Kurt… non devi..”
“Tieni!” disse schiaffandogli il biglietto
dell’autobus in mano “Torna a casa.
Sei grande. Prenditi le tue responsabilità!”
Blaine abbassò di nuovo la testa, come un bambino quando
viene sgridato e Kurt
temette l’arrivo di un’altra crisi da pianto
isterico.
Addolcì il tono della voce: “Rimango con te ad
aspettare l’autobus.” E si
risedette.
I minuti passavano lenti e silenziosi. Nessuno dei due parlava.
Normalmente
Kurt avrebbe fatto una marea di domande, si sarebbe arrabbiato nel vano
tentativo di far ragionare l’amico, forse avrebbe anche
potuto tirar fuori
qualche mezza perla di moralismo, ma a che sarebbe servito?
Blaine sembrava intento a rispondere ad altre domande che teneva dentro
di sè,
sembrava occupato in altri guai, in altri affari. O forse non stava
pensando a
nulla, perché forse non voleva pensare a nulla.
Semplicemente stava lì, con la testa rivolta verso la strada
deserta, senza
avere il coraggio di voltarsi verso l’altro,
perché sapeva benissimo che Kurt
lo stava scrutando alla ricerca di qualcosa.
Passarono un po’ di tempo così. Kurt
guardò l’orologio nel cellulare: era
passata più di mezz’ora e la sua famiglia doveva
essere preoccupata. Sospirò.
Blaine se ne accorse e si sentì tremendamente in colpa,
perciò trovò il
coraggio di parlare:
“Che giorno è oggi?”
“Mhm… Venerdì.”
“Il venerdì c’è lo sciopero
dei mezzi.” Disse con un filo di voce “Non
passerà
nessun autobus.”
Kurt lo guardò confuso.
“Me la farò a piedi, non preoccuparti”
disse con un finto sorriso.
“Cos..?”
“Mhm… grazie Kurt.” Disse alzandosi e
voltandogli le spalle.
-
“Finn
quando
imparerai a mangiare senza sporcare tutte le magliette che ti
compro?” urlò
Carole dalla lavanderia.
La donna piegava la biancheria pulita fresca di bucato e la odorava
respirando
quel buon profumo di pulito.
“Carole..”
la donna riconobbe la voce di Kurt dalla cima delle scale.
“Oh ciao tesoro, spero che tu non te la prenda ma abbiamo
cenato senza di te,
hai fatto un po’ tardi.”
“Si, mi dispiace tanto.” Disse scendendo i gradini
con voce mesta. Mentre
scendeva, la figura di un ragazzo che lo seguiva si rivelò
alla luce della
piccola stanza, seguita dallo sguardo perplesso della donna.
“Ti devo chiedere
un grosso favore Carole.”
La donna guardò prima uno e poi l’altro confusa.
Blaine, allo sguardo di lei
abbassò ancora di più gli occhi in preda alla
vergogna.
“Cosa è successo Kurt?”
“Lui è Blaine. E’…”
si prese un secondo per inventare qualcosa
“…è successo un
macello a casa sua e non può più tornare.
Può dormire qua per stanotte?”
Carole annuì “Certo.”
“Puoi rimanere qua tutto il tempo che ti serve”
fece poi rivolta a Blaine.
“Kurt fagli strada.”
-
“Non
so come
ringraziarti Kurt.” Fece Blaine mentre guardava
l’altro sistemare un altro
letto nella stanza.
“Spero tanto che tu non parli mentre dormi. Ho un programma
di ore di sonno
molto rigido da seguire.” E si mise sotto le coperte.
“Tua madre è davvero gentile.”
Blaine si tolse la giacca e le scarpe lasciandosi addosso la t-shirt e
i
pantaloni che aveva addosso e si strinse in mezzo alle coperte.
“Hai freddo?”
“Un po’ ”
“Stupido. Sei uno stupido che passa
le
giornate a vagare per la città con un misero cappotto di
panno. Ecco perché hai
freddo!”
Avrebbe tanto voluto dirglielo, ma si limitò a
pensare quelle parole fra sé
e tentare di trattenersi dal sorridere, perché parevano
tanto le parole che si
dicono ad un bambino che ha appena fatto una monelleria.
“Perché ridi?”
“No, nulla.” Fece Kurt scuotendo la testa sul
cuscino “Comunque non è mia madre
quella.”
“No?”
“No, Carole è la seconda moglie di mio padre ed
è la madre di Finn, il mio
fratellastro. La mia vera madre è morta 9 anni fa.”
“Oh…”Blaine abbassò gli occhi
imbarazzato “Scusa, io… non lo sapevo.”
“No! Oddio…” Kurt scosse di nuovo la
testa e sorrise “Guarda che non fa niente!
Pensa che tutte le persone a cui lo dico hanno la stessa reazione! E
allora ho
paura che siano gentili con me solo perché gli faccio
pena.”
Non potè fare a meno di pensare se anche a Blaine avesse
fatto quest’effetto
quando si erano incontrati. Del tipo ‘ti consolo e ti
proteggo così posso dire
di aver fatto una buona azione’. Il solo pensiero lo
rattristì di colpo ma
decise di non darlo a vedere.
“Ah e poi Carole è fantastica. Credo di aver preso
due chili a causa alla sua
cucina” disse facendo finta di nulla.
Blaine sorrideva e continuava a guardare l’amico.
“Anche mia madre è buona. Non è
cattiva, no di certo. Solo che… a volte non ci
capiamo e quando succede non so davvero cosa fare.”
Finalmente aveva parlato.
“Senti…”
disse
Kurt guardandolo serio “Io ho detto una bugia alla mia
matrigna per farti
rimanere qui stanotte, ma mi dici una volta per tutte che cosa ti
è successo da
un po’ di giorni a questa parte? Penso che tu me lo
devi.”
Blaine accennò un altro sorriso e si strinse ancora di
più nelle coperte, come
per cercare un po’ di coraggio.
“E’ tornato mio padre.” Disse poi, e il
sorriso gli sparì dal volto.
Kurt lo guardò confuso.
“Tornato?”
Blaine fece sì con la testa. “Ogni tanto fa un
salto a trovare me, mia madre e
mia sorella.”
Kurt si
ricordò
della spedizione solitaria che aveva fatto a casa di Blaine e della
ragazza che
gli aveva aperto. Poggiò i gomiti al materasso e si tenne la
testa con la mano,
prestando attenzione. Blaine proseguì.
“Come da programma, va a prendere mia madre da lavoro, cena
con noi, dorme da
noi. La mattina dopo ci chiede se possiamo saltare una giornata di
scuola per
stare ancora con lui, non so, fare due tiri in giardino, vedere un
film… Poi
mamma gli fa un caffè prima di andarsene e lui ci saluta
promettendoci di
tornare al più presto.” lanciò uno
sbuffo.
L’altro lo guardò esterrefatto. Era da quello che
stava scappando a tutti i
costi? Dal quadro perfetto di una famiglia felice? Aveva forse a che
fare con
un pazzo? Con un ragazzo affetto dalla sindrome di Edipo?
“Blaine… non credo di riuscire a
seguirti.”
“Kurt...” disse guardandolo negli occhi e
concentrandosi per scandire bene le
parole che stava per dire “Io
odio
quell’uomo.”
Kurt sgranò ancora di più gli occhi.
“Odi tuo padre?” A Kurt non riuscì
neanche possibile concepire un concetto del
genere, lui che riteneva suo padre la persona più importante
della sua vita.
Blaine annuì. “Lo odio. E non posso pensare che
sono tre giorni che litigo
senza sosta con mia madre per quello là.” Il suo
tono di voce divenne flebile e
tremante.
Chiuse gli occhi per pochi secondi, respirando profondamente per
ritrovare la
calma.
“Kurt, non credo di voler tornare in quella casa. Quello
parla di debiti,
dell’affitto che non riesce a pagare… e mamma che
continua a proporgli di
restare con noi per qualche settimana finchè non si rimette
a posto, quante
settimane non si sa. Ma mia madre non mi può chiedere
questo, non mi può
chiedere di vivere sotto lo stesso tetto di
quello…” sospirò di nuovo
portandosi le mano in viso per non piangere di nuovo.
“…Non può!”
Kurt
guardava
forse il più caro dei suoi amici sdraiato in un letto
affianco al suo,
sull’orlo delle lacrime e nel bel mezzo di un racconto di
disavventure
familiari. Come avrebbe dovuto reagire? Era una situazione in cui non
si era
mai trovato prima.
“Blaine…”
Decise comunque di fare quello che faceva sempre.
“…Non puoi non tornare più a
casa.”
Cercare di fare la voce della ragione nella situazione.
Blaine si
voltò
verso di lui.
“Grazie per tutto quello che stai facendo per me.”
Kurt gli sorrise dolcemente. “Dormiamo?”
“Buona idea.”
-
La casa
al
mattino era ancora silenziosa, il che indicava un brutto presagio. La
desolazione che c’era fra quelle pareti cozzava terribilmente
con le chiome verdi
degli alberi e il cinguettìo degli uccelli fuori dalla
finestra.
Nelly si vestì velocemente e prese lo zaino da terra,
sapendo già che non
sarebbe andata a scuola quella mattina e scese nel soggiorno.
“Ciao” fece rivolta a sua madre, che stava seduta
sul divano fumando una
sigaretta.
“Ciao tesoro”
“Non è tornato vero?” disse tagliando
corto.
Sara fece no con la testa. “Non è mai
successo…Non è mai successo che non
tornasse per dormire… Gli dev’essere successo
qualcosa.”
Nelly sbuffò. Non riusciva a sopportare la
passività di sua madre in certe
situazioni, tutto quello che sapeva fare era rimanere seduta sul divano
a
disperarsi, aspettando chissà che cosa.
“Hai fatto qualcosa almeno?” chiese seccata
poggiando lo zaino di scuola per
terra, sapendo gia come sarebbero andate a finire le cose.
“Certo! Ho chiamato la scuola, mi sono fatta dare i numeri
dei suoi amici
chiedendo se l’avessero visto da qualche parte, ma niente!
Chissà dove si trova
ora Blaine…” disse fra le lacrime facendo un altro
tiro di sigaretta. “Sto
aspettando che tuo padre arrivi con l’auto per andarlo a
cercare, sennò credi
che sarei ancora qua?” sbottò.
“Sai benissimo che con lui seduto nel sedile affianco al tuo
non ti darà mai
retta. E sai benissimo il motivo per cui è andato
via.” Disse Nelly saccente.
“Ma non ha senso Nelly!”
“Ne avrebbe se solo tu riuscissi a vederlo!”
sbottò “Ma sembra che tu non lo
voglia capire!”
“Nelly non voglio credere a cose che non vedo con i miei
occhi” disse pacata la
donna.
“NO!” tuonò battendo il pugno sul tavolo
“No! Tu non vuoi credere a me! Tu non
vuoi credere a Blaine! Tu non credi a noi che siamo i tuoi figli,
mamma!”
Sara si alzò dal divano e spense la sigaretta nel posacenere
e con rapidi passi
si avvicinò alla ragazza.
Con fare materno le asciugògli occhi, acarezzandole
dolcemente le guance e le
spostò i capelli dal viso. La strinse fra le sue braccia e
la cullò come si fa
ad una bambina.
“Bambina mia, ascolta” disse a voce bassa
“Non farmi questo. Perfavore.. non
ora che Blaine non c’è, non in questo momento.
Stammi vicino almeno tu.”
Nelly si scostò, sottraendosi all’abbraccio della
madre.
“Ragazzi, io vi voglio bene” disse Sara, tentando
una carezza.
Nelly la guardò con occhi torvi e scacciò via la
sua mano.
“Vaffanculo!”
Uscì di casa e corse verso la fermata degli autobus
più vicina.
Corse per un bel tragitto, respirando a pieni polmoni l’aria
fresca attorno a
sè che si faceva più torbida e pesante a ogni
metro che percorreva. Raggiunse
la prima fermata degli autobus. In preda al dubbio si
controllò le tasche. Fortunatamente
teneva ancora un mazzo di biglietti e il cellulare, tutto quello che
gli
serviva per quello che avrebbe dovuto fare. Trovare Blaine avrebbe
senza dubbio
calmato le acque. Sua madre aveva detto di aver chiamato tutti i suoi
amici, ma
Nelly era sicura di potersi giocare ancora un’altra carta.
-
“E quindi ha dormito qui?” chiese Finn versandosi
del latte in una ciotola.
“Si..” disse Kurt mentre metteva in ordine le tazze
nella credenza. “Non so
cosa potrebbe dire mio padre. L’ultima volta che Blaine ha
dormito qui non è
stato molto contento.”
“Come mai?”
“Secondo te?”
“Beh…” fece Finn con la bocca piena di
muffin “Se per tuo padre il fatto di
dormire insieme è un problema io avrei una
soluzione.”
“Ah, e quale?”
“L’ultimo cassetto del mio
comò”
“E cosa c’entra scusa?”
“E’ vuoto, e scommetto che Blaine ci sta giusto
giusto.” Rise rischiando di
affogarsi.
Kurt fece gli occhi in gloria come suo fratello lo costringeva spesso a
fare.
Finn continuava a ridere di gusto.
“Non sei divertente!” disse Kurt versandosi del
caffè. “Cerca di non farti
sentire da lui piuttosto.”
“Sta ancora dormendo?”
“Si… non l’ho voluto svegliare”
“Come mai?”
“E’ così bello
mentre dorme.”
Il
telefono
squillò.
-
Alla Dalton non capitava spesso –quasi mai- che si vedesse
una ragazza
passeggiare per i corridoi, fatta eccezione ovviamente per i giorni in
cui
venivano ospitati gli studenti di altri istituti o nelle sere in cui
c’erano
gli incontri fra genitori-insegnanti. Se non in quelle occasioni, il
vedere una
ragazza passeggiare in quei corridoi diventava un fatto davvero
inusuale che
attirava l’attenzione di tutti gli studenti.
Nelly camminava a passo sicuro, guardando innanzi a sé e
ignorando gli sguardi
dei curiosi.
“Salve.
Perfavore
mi servirebbe la lista di numeri di telefono degli studenti della
classe II A.”
chiese sorridente al collaboratore scolastico seduto al banco della
segreteria.
“Non posso fornire queste informazioni a chiunque, lei chi
è?”
“Mi chiamo Sara Anderson. Ho già chiamato qui per
avere quella lista ma temo di
averla persa.” Nelly ringraziò la dea Fortuna che
lei e sua madre avessero la
voce molto simile.
“Ah, già mi ricordo. Siamo tutti molto in ansia
per suo figlio, ovviamente
abbiamo cercato di mantenere più riservatezza che potevamo
all’interno dell’istituto.
Ne và della fama della scuola, lei mi capisce.”
“Certo, certo.” Rispose prendendo il fascicolo in
mano “Posso sedermi?”
Passava il dito, leggendo quella lunga lista di nomi e cercando di
collegarli a
un viso o a una voce, per capire se c’entrassero qualcosa con
suo fratello. Purtroppo
Blaine non invitava molto spesso i suoi amici a casa, il che rendeva
ancora più
arduo sforzare la memoria, tantochè dovette andare ad
intuito molto spesso.
“Jeff Lynch
… Blaine deve avermi accennato che questo tizio viene
chiamato ‘il biondo’…
Wes Hughes
…Lui non l’ho mai potuto sopportare. Saltiamo.
Flint Wilson
… Lui è ‘quello
carino’. Ma non credo
proprio.
Nicholas Brock Hudson
… mai sentito nominare!
David Thompson
… lui potrebbe essere, è venuto a casa qualche
volta.
Logan Del Rio
… ah, lui non è di sicuro!”
Nelly stava per
arrendersi. Nessuno di
quei ragazzi sembrava poter anche solo sapere dove fosse Blaine. Si
impose di
scacciare l’ipotesi che a suo fratello fosse davvero successo
qualcosa, che
l’avessero rapito e che fosse in pericolo. Impulsivo come era
sarebbe potuto
capitargli di tutto. A
un certo punto
l’occhio le cadde su un nome.
“Kurt Hummel
…Kurt… Hummel…”
sforzò la memoria un secondo scandendo quel nome nella sua
mente.
“Kurt
Hummel, sei
l’uomo che sto cercando!”
-
“Beh
rispondi
no?” fece Finn spazientito dopo qualche squillo.
Kurt mollò i piatti nel lavello e afferrò la
cornetta.
“Pronto?”
-
Quando
Blaine
aprì gli occhi, capì subito di non trovarsi a
casa sua. Intanto non vedeva una
fitta chioma di foglie verdi scontrarsi contro il vetro della sua
finestra, e
poi c’era silenzio. Dopo quel secondo di beata incoscienza
che sta fra il sonno
e la veglia, Blaine ricostruì con orrore nella sua testa
tutti i fatti di quei
giorni. Provava tanta vergogna nell’essere piombato
là, a casa di Kurt, creando
problemi all’ ultima persona a cui avrebbe voluto crearli.
Inorridì ancora di più nel vedere che il letto
affianco a quello dove aveva
dormito, il letto di Kurt, era vuoto e rifatto. Ma quanto aveva
dormito? E che
ora era?
Schizzò fuori dal letto e si rivestì cercando di
fare più in fretta che
potesse. Poi guardò il letto e lo rifece, misurando gli
angoli delle lenzuola e
sistemando bene le federe. Non voleva essere un ospite scortese
–se si sarebbe
potuto definire un ospite-.
Scese le scale e si diresse dove sapeva esserci la cucina, per fortuna
non
trovò i genitori di Kurt ma soltanto un ragazzo piuttosto
imponente che
mangiava in piedi da una tazza di cereali, doveva essere Finn.
“Buongiorno” disse cordialmente al ragazzo
più alto.
“Ehilà” rispose Finn a bocca piena.
“Tutto bene?”
Blaine annuì imbarazzato e cominciò a guardarsi
intorno. La cucina era spaziosa
e accogliente, dipinta con colori caldi e profumava di caffè.
“Non preoccuparti, i nostri genitori sono già
andati al lavoro. Burt non si è
accorto di niente.”
Blaine sbiancò in viso. Se i suoi genitori erano andati al
lavoro doveva essere
tardi.
“C-che ora è?”
“Le nove. Potevi restare ancora un po’ a
dormire.”
Fiù.
“Non vai a scuola?” chiese al più grosso.
“E’ sabato.”
“Oh..” si grattò la testa imbarazzato.
Si accorse solo in quel momento di avere
i capelli un completo disastro. “Forse è meglio
che vada via.” Disse. “Dov’è
Kurt?”
Fu in quel momento che Kurt fece la sua comparsa in cucina, anche nel
week-end,
vestito di tutto punto. Rimise il cordless della cucina al suo posto e
si voltò
serio verso i due ragazzi.
“Era tua sorella.”
Blaine sentì il suo cuore perdere un battito,
pensò di averla davvero fatta
grossa se sua sorella si era spinta a cercarlo.
“Mia sorella? Sei sicuro?”
“Si, Nelly.”
“E… che cosa voleva?” disse fingendo
noncuranza.
“Sta venendo qua.” Poi si voltò verso
suo fratellastro “Finn mangia seduto
perfavore!”
Finn rispose con un mugolìo e obbedì.
“Ti faccio un caffè.” Fece di nuovo
rivolto verso Blaine.
“Ma no, cioè… non devi
disturbarti.”
“Nessun disturbo” rispose con un sorriso mentre
allungava un braccio per
prendere la moka.
“…Cos’altro ti ha detto mia
sorella?”
Il campanello suonò. Kurt guardò Blaine mentre
prendeva dell’acqua.
“Vai ad aprire. E’ di sicuro lei.”
Blaine si
diresse
verso la porta d’ingresso. Dalla vetrata della porta riusciva
a scorgere la
sagoma di Nelly. Continuava a suonare il campanello, senza nessuna
intenzione
di smettere, almeno finchè qualcuno non le avesse aperto.
“Sei proprio una maleducata.” disse Blaine appena
aprì la porta.
“Sapevo di trovarti qua” fece Nelly sorridente.
Blaine guardò ai piedi della sorella due enormi sacche
sportive chiaramente
piene fino alla chiusura.
“Quello che ti sto per dire non ti stupirà
affatto.” Continuò Nelly mettendosi
le mani in tasca “Nostra madre… sta
impazzendo.”
“Nelly come hai fatto a trovarmi?”
“Quindi…” disse ignorando completamente
la domanda del fratello “…se proprio
sei così testardo da non volere rimanere a
casa…” sollevò le sacche con entrambe
le mani e le buttò ai piedi del fratello
“…sarà meglio se rimani qua per un
po’!”
“Com.. No! Nelly, ascolta, io non posso rimanere
qua!”
“Certo che puoi, e credimi, ti sto invidiando davvero
molto.”
Blaine gettò uno sguardo rassegnato alle sacche per terra.
Sua sorella era
fuori di testa.
“Nostro padre è a casa adesso?”
“Lo sarà fra circa due ore.” Rispose
“E sinceramente… non so quanto ci
rimarrà.”
“Capisco.” E sospirò.
“Perciò ti dico, sangue del mio sangue, di
rimanere qua.” Nelly era ormai certa
di avere la situazione in pugno.
“Mamma è sclerata di brutto da quando non ci sei e
penso che se sapesse che ti
trovi al sicuro, a casa di brave persone, riacquisterà la
ragione e manderà via
il Signor Scroccasoldi.”
L’altro guardò la ragazza negli occhi, sapeva
già che farla ragionare sarebbe
stato utile quanto dare una bicicletta ad un pesce, ma volle comunque
tentare.
“Nelly…” fece
guardandola serio, con
tono calmo e paziente (il tono che si usa per parlare ai matti).
“Il mondo non
gira attorno a te. Non posso bussare a casa delle altre persone e
restarci
finchè fa comodo a me, lo capisci?”
Nelly si sentì interdetta. “Aspetta… Mi
stai dicendo che sei piombato qua senza
avvertire prima o chiedere il permesso per rimanere?”
Blaine arrossì e fece si con la testa.
“Ah però!”
D’un
tratto la
figura di Finn in pigiama fece comparsa dietro Blaine.
“Ehm… se vuoi entrare” disse rivolto
alla ragazza.
Nelly lo guardò perplessa e poi guardò di nuovo
Blaine.
“E’ lui il padrone di casa?”chiese
indicando l’altro.
Blaine annuì.
“Caspita! Sei cresciuto dall’ultima
volta!” fece sbalordita.
Blaine e Finn si guardarono a vicenda più confusi che mai.
“Ehm… scusate” la voce di Kurt si fece
spazio fra i due ragazzi. “Prego entra,
i nostri genitori non ci sono ma non preoccuparti, dentro casa potremo
parlare
meglio.” Prese le sacche e condusse la ragazza in cucina.
“Accomodati, ho fatto
il caffè.”
Blaine rimaneva sempre più sbalordito della
capacità di Kurt di non lasciarsi
trascinare dagli eventi e di fare sempre la voce della ragione. Lo
ammirava,
era una cosa di cui lui non sarebbe mai stato capace.
Nelly prese posto in una sedia e si guardò intorno. Allo
stesso tempo mutò tono
di voce e accavallò le gambe con fare diplomatico.
“Sono davvero mortificata
per il comportamento di mio fratello nei tuoi confronti. Io credevo che
davvero
non potesse arrivare a una tal sfacciataggine... Dove avrò
sbagliato?”
Blaine agrottò le sopracciglia confuso.
“Blaine non ha fatto niente. Sono stato io a chiedere alla
mia matrigna di
farlo rimanere qua per stanotte.” Si afrettò a
chiarire mentre si sistemava i
bottoni ai polsi della camicia.
Nelly guardò l’altro ragazzo nella stanza.
“Si, è così”
confermò Finn.
La ragazza si voltò verso suo fratello, alzando un
soppracciglio. “Senti ma…
questi chi sono?”
fece indicando Kurt e Finn “No perché, ti ho
sentito nominare David, Wes, Jeff,
Flint,… ma non ti ho mai sentito nominare nessun Kurt Hummel
o nessun…” e
indicò Finn.
Kurt nel sentire quelle parole non potè fare a meno di
sentire una leggera
fitta al petto. Davvero contava così poco per Blaine? E
pensare che lui, a casa
sua, non parlava d’altro.
“Forse perché non ci parliamo mai. Stai sempre per
conto tuo.” Fece Blaine
irritato.
“No, sei tu quello che se ne è andato dalla scuola
pubblica più vicina per
unirsi a quel gruppetto di damerini imbellettati mandandoci sul
lastrico!”
“Ok, ok.” Intervenne Kurt.
“Calma.”
“Comunque Kurt è un mio amico, si è
trasferito da poco, ecco perché prima non
ne parlavo molto.” fece Blaine con rancore. Kurt si
sentì sollevato da quelle
parole.
“Nelly…” continuò.
“Si?”
“Come sta mamma?”
“Come vuoi che stia? Sta sempre in lacrime. Crede che un
gruppo di delinquenti
dei boschi ti abbia rapito e che sia pronto a chiederci il
riscatto.”
Blaine sospirò.
“Blaine, se davvero aiuterebbe…” si
intromise Kurt “puoi dire a tua madre che
stai qui per qualche giorno.”
L’altro scosse la testa. “No Kurt, non
posso… davvero…”
“Carole ha detto che puoi rimanere tutto il tempo che ti
serve. Non lo ha detto
tanto per dire.”
“Si, ha ragione. L’anno scorso abbiamo ospitato la
mia ragazza per un mese
quando è stata cacciata di casa.” Aggiunse Finn.
“Ma sono sicuro che la situazione era diversa.”
Blaine si sarebbe sentito un
verme ad aprofittare della gentilezza di quella famiglia in quel modo,
sentiva
gli sguardi interrogativi degli altri tre puntati addosso.
A rompere quei secondi di silenzio fu un cellulare che suonava. Nelly
riconobbe
la sua suoneria e prese il telefono dalla tasca.
“Si?” rispose “No, qui non
c’è nessuna Nelly, deve aver sbagliato
numero.” Portò
la testa all’indietro e rise di gusto
“Che cosa vuoi mamma?” disse alzandosi in piedi e
passeggiando per la stanza.
I tre
ragazzi si
guardarono a vicenda con aria colpevole.
“Dove
sono? Sono
al 42 di Kayleen Street, Lima. Famiglia Hudson-Hummel, con
l’acca davanti…”
Finn
guardava suo
fratello allarmato. Perché quella ragazza stava dando il
loro indirizzo? Kurt
continuava a guardare Nelly con calma apparente.
“Mhm…Ho capito, si. Va bene, ciao.”
Nelly chiuse la chiamata e si voltò verso
suo fratello, che attendeva spiegazioni, immobile sulla sedia.
“Chi era?” chiese.
“Barbra Streisand”
“…”
“Era nostra madre idiota! Chi volevi che fosse? Sta venendo
qua.”
“Da sola?”
“Sembra di sì.”
Blaine non rispose, rimase in silenzio, e così fecero anche
gli altri tre.
“Ragazzi”
parlò
Finn dopo un po’ “Che facciamo?”
“Mhm?” fece Kurt.
“Se adesso arriva tua madre, possiamo dire che tutto si
è risolto, no?” si
bloccò un secondo. Ma che cosa si era risolto? Lui non
sapeva nemmeno che cosa si sarebbe
dovuto risolvere.
“Cioè, tu non sei stato cacciato di casa
tipo?”
Kurt lanciò un’occhiata a Finn come per intimargli
di stare zitto.
Stetterò tutti e quattro ad aspettare l’arrivo
della donna in silenzio.
-
Kurt e
Finn
videro la macchina allontanarsi dal vialetto e procedere verso la
strada
deserta.
“Torno a casa, grazie di tutto” aveva detto, dopo
aver visto sua madre alla
soglia della porta. Così, automaticamente.
La ‘signora’, se così si poteva
definire, non aveva per niente l’aspetto che
Kurt si aspettava. Era piuttosto giovane, sulla trentina, non molto
alta,
magra, il viso pulito senza neanche una ruga, vestita con abiti
semplici, i
capelli lunghi e lisci che arrivavano alle spalle, bionda. Non
assomigliava
molto a Blaine fisicamente. Kurt si sarebbe aspettato di vedere la
copia più
invecchiata di Nelly che dal canto suo era molto, ma molto
più somigliante al
fratello. Si
scorgeva però, nel modo di
muoversi, nell’espressione, nel modo di parlare
quell’aria che quei tre avevano
in comune.
“Senti
Kurt”
“Si Finn?”
“Il tuo amico ha un bel po’ di problemi…
o no?”
“Qualche disguido familiare a quanto ho capito.”
Agitò la mano per salutare,
mentre vedeva Blaine entrare nella macchina seguito dalle due donne.
-
Durante
il
tragitto in macchina, Nelly stava pregando con tutta la forza che aveva
nel
cuore di trovare la casa vuota.
La casa
era
esattamente come l’aveva lasciata, senza nessun ospite
indesiderato.
Sara appese la borsa e il cappotto.
“Nelly, puoi lasciarci soli?”
“Perché? Lo devi picchiare?”
la donna lanciò uno sguardo esasperato alla figlia, che
capì al volo e salì le
scale verso la sua camera.
Blaine continuava a guardare il pavimento, trafitto dagli occhi di sua
madre
che lo guardava in silenzio.
“Non hai nulla da dire?”
Quello alzò lo sguardo. Non sapeva davvero che cosa dire. Si
trovava lì, senza
sapere chi aveva davanti o che cosa c’era intorno a lui.
Quella era davvero sua
madre? E quella poteva ancora considerarsi casa sua?
“…Scusa
mamma.”
“Scusa?” fece alterata portando le mani in alto
“Hai idea di quanta paura mi
hai messo? Hai forse idea dei momenti che mi hai fatto
passare?”
“… No.”
“Quello
che mi
chiedo è perché?!? Perché fai
così ogni volta?”
“…”
Blaine
abassò di
nuovo la testa “…Mi dispiace.”
Alzò appena lo sguardo e vide sua madre venirgli
incontro e stringerlo forte in un abbraccio, e per un attimo Blaine la
accolse,
riconoscendo in quel gesto la sua mamma di sempre.
“Solo… non farlo più, ok?”
“Va bene.”
“Non
sento più
urla” fece una voce proveniente dal piano di sopra
“Devo presumere che l’hai
ucciso?”
“No cara, qui nessuno è stato ucciso”
disse mentre teneva ancora suo figlio
stretto a sè. “Scendi pure.”
Nelly scese le scale alla velocità del vento, sollevata nel
vedere sua madre
sorridere di nuovo. Andò incontro ai due e si unì
all’abbraccio.
-
“Alloooora”
Sara stava seduta sul divano, girava il thè con un
cucchiaio, con un sorriso
malizioso sulle labbra.
“Chi era quel tuo amico?” chiese continuando a
sorridere.
“Si chiama Kurt e non ne abbiamo mai sentito
nominare.” Fece Nelly sedendosi
vicino alla madre. “Ci nascondi qualcosa Blaine?”
Blaine, seduto davanti alle due donne, avrebbe voluto scavare una fossa
e
saltarci dentro pur di evitare quella conversazione. Possibile che per
ogni
amico che avesse quelle due pensassero subito che ci fosse qualcosa di
più? E
poi, se mai ci fosse stato quel qualcosa in più, glielo
avrebbe detto, magari a
sua sorella no ma a sua madre si. Si sentì un po’
offeso da quelle
insinuazioni, ma si sa, le mamme con i figli maschi sono fatte
così, evidentemente
che quei figli maschi fossero gay o no, non faceva molta differenza.
“Siamo
solo
amici”
“Ah ok.” Rispose Sara pacificamente prendendo un
sorso del suo thè.
“Cambiando
argomento… vostro padre starà qua per qualche
tempo. Ha detto di avere un po’
di problemi economici, che ha fatto di tutto per evitare di
disturbarci, ma ho
capito che gli riesce davvero difficile e così gli ho detto
che può venire
qua.”
I due fratelli si guardarono l’un l’altro,
sconvolti dalla naturalezza in cui
la loro madre aveva cambiato argomento e di come quella situazione
così serena
si era completamente stravolta. In quella casa, non c’era
nulla di stabile o
certo.
“Ma…!” tentò di replicare
Nelly alzandosi di colpo.
“Non voglio sentire storie.” Disse Sara con
fermezza. “Ragazzi, so che non vi
va molto a genio, e che non siete sempre andati d’accordo,
ma… andiamo, è
vostro padre.” Si girò poi verso Blaine, e gli
lanciò un’occhiata che sembrava
gridare ‘perfavore’.
“D’accordo, ci proverò.” Disse
mestamente il ragazzo.
La donna finì il suo thè, fece un sorriso sincero
ai suoi figli e gli ringraziò
di cuore. Si alzò e si diresse verso la cucina per lavare la
tazza.
Nelly la guardò lasciare la stanza con lo sguardo
più torvo che avrebbe potuto
fare. Si avvicinò poi al fratello e gli bisbigliò
qualcosa all’orecchio.
“Te
l’ho detto.
Era meglio se rimanevi da quel tuo amico.”
---
A grande richiesta ho pubblicato il
4° :)
Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno recensito ^^ le recensioni
fanno sempre piacere, sopratutto consigli e critiche.
Voglio farvi una domanda stupidissima...
Voi come ve le immaginate Sara e
Nelly? Di aspetto, ma anche di carattere... sono curiosa di vedere se
la pensate come me!
E poi non è strano che in
un sacco di FF Blaine abbia una sorella? Più
piccola, più grande, gemella, ma sempre una sorella,
chissà perchè...
Aprofitto per dire che l'idea della sorella non l'ho copiata da altre
storie, perchè anche io - come gli altri autori, suppongo -
vedo bene Blaine con una sorella.
Ah si, nella mia testa Blaine è un mammone xD No dai... non
proprio :)
Al prossimo capitolo! Miao <3
|
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Capitolo 5 *** V ***
5.
Quando
Joseph
Anderson varcò la soglia della porta era mezzogiorno, lo
stesso orario di ogni
mese.
Sara era andata ad aprirgli, i due ex-coniugi si erano salutati con un
ampio
sorriso sulle labbra e con un abbraccio amichevole.
“Ma ciao Sara! Stai benissimo!”
“Anche tu, lascia che ti aiuti con i bagagli.”
“Non ci pensare neanche, faccio io. Oh, questo posto non
cambia proprio mai eh?”
I soliti
convenevoli che permisero a Joe Anderson di ritornare nelle loro vite.
-
Blaine
era
tornato a scuola, la Dalton aveva continuato a marciare senza di lui
riuscendo
a non farsi sfuggire la questione della sua breve scomparsa. Lui,
d’altra
parte, era riuscito a spacciare la causa delle sue assenze per una
banale
influenza, perché non avrebbero dovuto credergli?
Blaine
sembrava
essere tornato alla vita di tutti i giorni. Sorrideva come sempre.
Sembrava
molto lontano da quel Blaine sull’orlo di una crisi, che Kurt
aveva visto pochi
giorni prima. Ma Blaine andava a scuola, si comportava normalmente,
studiava,
non c’erano state più scene alle riunioni dei
Warblers come quella della
settimana prima –che sembrava esser stata totalmente
dimenticata dagli altri
membri- tutte cose
che per Kurt erano
sufficienti ad affermare che, sì, forse Blaine stava bene.
-
Blaine
ebbe un
groppo alla gola quando si accorse che, mentre percorreva il sentiero
che
portava a casa sua, le luci erano tutte spente.
Varcò la soglia della porta e il rumore delle chiavi,
buttate nel piattino di
ceramica posto all’ingresso, rieccheggiò per tutto
l’ingresso. Accese la luce e
fece un giro della stanza per vedere se effetivamente era solo.
“Mamma?” disse a voce alta. “Mamma? Sei
qui?”
Salì le scale per controllare camera sua, ma Nelly non
c’era e neanche la sua
borsa. Doveva essersi trattenuta a scuola o probabilmente era andata a
bighellonare in giro.
Scese di nuovo le scale, per vedere se sua madre aveva lasciato
qualcosa da
mangiare.
A metà strada, però, un rumore metallico
proveniente dalla cantina gli fece
perdere un battito al cuore. Non era solo. Sentì
l’adrenalina montare e con un
respiro forte scese le scale che portavano allo scantinato. Allora lo
vide,
vide chi si aspettava di vedere. Era un po’ più
magro e i capelli erano più
grigi, se lo ricordava con i capelli neri e più lunghi,
ricci come i suoi e
come quelli di sua sorella. Spaventosamente simile a lui, odiava
somigliarli
così tanto di aspetto e inorridiva ogni mattina nel
guardarsi allo specchio, così
tentava di nascondere quel tratto che li accomunava con pettine e una
discreta
quantità di gel, in modo da eliminarlo completamente dalla
sua persona.
Ora però se lo ritrovava davanti, ancora una volta.
Stava controllando il motore della macchina, un lavoro da uomini, si
sa.
Grazie a lui ora conosceva tutte le parti di un auto, motore, telaio,
sospensioni, trasmissione, impianto frenante, ruote, frizione, cambio,
carrozzeria,…
“Ciao” disse l’uomo vedendolo da lontano.
“Cosa ci fai qui?” la sola vista di
quell’uomo gli scatenava una rabbia
incontrollata dentro di sé.
“Come cosa ci faccio qui?” fece calmo e accennando
una mezza risata. “Tua madre
mi ha ospitato qui, non ti ricordi?” e riprese a lavorare.
Blaine spinto da un istinto di cui non conosceva bene
l’identità, si fece più
vicino a lui.
“Si ma soltanto perchè non ti conosce
bene.”
L’uomo posò la chiave inglese in un tavolo e
guardo il figlio con espressione
incredula. “Ma come? Pretendi di conoscermi meglio di come mi
conosce lei?”
“Di gran lunga” fece a denti stretti.
“Provamelo.” Abbassò
la voce in segno di
sfida.
“Puzzi d’alcol da far schifo.” Fece
ancora un passo verso di lui, oramai si trovava quasi sotto il suo
mento ma
riusciva ancora a trovare la forza di guardarlo negli occhi.
“Tu fai schifo!”
“Non sono certo io quello che lo va a prendere dietro dagli
amici” si fece
grosso sul ragazzo per provocarlo. “Si sente da un chilometro
lo sai?”
“Che cosa?”
L’uomo
si
abbassò, in modo da poter guardare il figlio negli occhi. Il
ragazzo era nauseato
dall’alito pesante e forte che sentiva mentre
l’altro respirava. L’uomo misurò
il tono della voce, cercando di scandire ogni singola parola.
“Puzzi
di sborro
da far schifo.”
In quell’attimo tutta la rabbia che Blaine aveva montato
dentro di sé esplose,
arrivando fino alle sue mani. Con una forza che non sapeva di avere
tirò un
pugno dritto in faccia al suo vecchio, che essendosi abbassato, cadde a
terra
in un secondo.
Appena
l'uomo si rialzò,
Blaine si ritrovò sospeso in aria, sollevato dalle braccia
del vecchio che lo
sbatteva al muro del garage con forza inaudita. Una volta, ancora
un’altra,
sempre più forte. Sentiva la sua schiena bruciare sotto
tutti quegli impatti,
che diventavano sempre più veloci e dolorosi.
Non era la prima volta che quei due ricorrevano alla violenza, anzi,
Blaine non
ricordava neanche un momento recente passato con suo padre in cui non
se le
fossero date di santa ragione.
Dopo essere stato sbattuto a terra Blaine trovò la forza di
rialzarsi e tirare
un altro pugno in faccia a suo padre, questa volta però fu
meno potente e
sbagliò la mira, infatti prese lo stomaco.
Dopo
quell’attimo
non sentì davvero più niente, solo un flash, un
attimo, e poi, come uno scontro
momentaneo che gli procurò un dolore indescrivibile al viso.
Poi qualche luce
soffusa, e poi il nulla.
Buio.
-
Per Nelly
lo
sciopero dei mezzi era davvero una maledizione inviata dalla dea
Fortuna.
Tornare a casa a piedi e raggiungere la campagna per
quell’ora e quaranta
minuti che distava dalla città era davvero troppo. Almeno
avesse avuto un amico
con cui chiaccherare durante il tragitto.
Finalmente giunse a casa, era in ritardo massimo, ma sua madre
l’avrebbe
perdonata.
Scaraventò la borsa all’ingresso e si diresse in
cucina in cerca di qualcosa da
mangiare. Vide un biglietto sul frigo.
Ragazzi
sono a un pranzo di lavoro, tornerò stasera.
In frigo c’è il pranzo
Un bacio
Mamma
Nelly
rabbrividì.
Sua madre non c’era questo voleva dire che aveva lasciato
Blaine da solo.
“Blaine” chiamò a squarciagola
“Blaaaineee! Dove sei?” fece il giro della casa
e delle camere da letto. Nessuno.
Esaminò
l’ipotesi
che si trovasse in giro per il centro commerciale con i suoi amici ma
avrebbe
senza dubbio lasciato anche lui un biglietto. Ma allora
perché tutte le luci
erano spente?
Mossa da
un’ultima
speranza prima di cercarlo al cellulare scese le scale verso lo
scantinato.
“Oh…Merda!”
Corse
verso il
corpo del suo fratello minore ancora privo di sensi. Spinta dal primo
dei suoi
istinti lo prese di peso –non era poi questa gran fatica- salì i due
piani che la separavano dalla loro
stanza e lo gettò sul letto.
“Merda,…merda…merda
merda merda!”
-
Kurt era
come
sempre alle prese con la pulizia della sua camera. Vivere con Finn
aveva reso
quell’operazione più lunga e faticosa. Mentre era
alle prese con il pavimento,
sentì l’aspirapolvere toccare qualcosa per terra
in un angolo della stanza.
Kurt si chinò e raccolse quello che pareva essere un
orologio da polso, un
bellissimo orologio da polso, che a giudicare dall’aspetto
doveva essere costato
un po’.
Se lo
rigirò fra
le mani, non era di certo suo, e neanche di Finn, date le sue
difficoltà a
leggere l’orario cardinale.
Fece una rapida analisi delle condizioni della sua stanza nei giorni
scorsi; il
numero di persone che avrebbero potuto possedere un così
bell’orologio e allo
stesso tempo essere stati nella sua camera si riduceva a... uno: Blaine.
Volle
cogliere
quell’occasione.
Sarebbe stato uno spreco ridarglielo a scuola, no, quello era un
qualcosa di
speciale, speciale come l’occasione di poter rivedere Blaine
a casa sua e
vedere lui ringraziarlo di cuore.
Un po’ come la storia di Cenerentola ma tutta al maschile.
Non fece in tempo a
finire di elaborare quel pensiero che aveva già afferrato la
sua giacca ed era
montato in macchina.
Rimase
deluso
quando invece, una volta arrivato, vide che la casa sembrava vuota. Le
tapparelle erano abbassate e le luci spente. Non doveva esserci
nessuno. Provò
comunque a suonare il campanello, ma niente.
Sconfitto
e
amareggiato mise l’orologio dentro la cassetta della posta.
-
Kurt
tornò di
nuovo sui suoi passi, il flusso di pensieri dentro la sua testa fu
interrotto
da un ‘pss’
proveniente da dietro la
sua macchina. Kurt andò a controllare e vide Nelly
acovacciata per terra.
“Abbassati. Veloce!”
Kurt obbedì confuso malgrado temesse di sporcare i suoi
pantaloni sul terreno
bagnato del cortile.
La ragazza prese fiato, si avvicinò al ragazzo e
pronunciò quelle parole con la
voce più flebile e bassa che potesse fare.
“Ascolta… so che è probabilmente la
cosa più sfacciata che possa chiederti e
che noi due ci conosciamo poco, ma… E’ ancora
valida la tua offerta di ospitare
mio fratello per qualche tempo?” era strano sentire quella
ragazza, malgrado la
conoscesse da poco, pronunciare quelle parole in un tono
così umile e
supplichevole.
Kurt la guardò proccupato. “E’ successo
qualcosa?”
“Credo sia troppo lungo da spiegare” fece
accennando un sorriso. “Ma davvero,
credo che sia meglio che non stia qui”
Sentì il rumore, per un attimo fece uno scatto guardandosi
alle spalle, ma vide
soltanto un gatto farsi strada fra i cespugli.
“Ti prego Kurt.” Disse ancora più
umilmente.
Kurt la guardava confuso, non aveva la minima idea di che cosa dire.
“E… che cosa diresti a tua madre?”
chiese.
“Una bugia, no?”
“Non lo so Nelly, non dipende da me.”
“Devo andare adesso.” Disse mettendosi a carponi
“Pensaci, ok?” e corse via.
-
Kurt non riusciva a smettere di pensare alle parole che Nelly gli aveva
detto
il giorno prima.
Davvero non riusciva a capire che pericolo incombente ci fosse a casa
sua.
Provò a cercare quella risposta negli occhi di Blaine mentre
lo vedeva passare
nei corridoi, salutarlo e sfoggiare il suo sorriso di sempre. A lui
sembrava
che la solita routine fosse tornata. Possibile che Nelly fosse matta?
“Caffetteria?
Oggi
pago io.” Disse Blaine una volta uscito da scuola.
“Come mai paghi tu? E’ il mio turno oggi.”
“Così.” Disse con un sorriso. In
realtà non voleva dire che voleva in qualche
modo ‘sdebitarsi’ per averlo ospitato a casa sua,
ovviamente uno stupido caffè
non era sufficiente ma non poteva pensare di lasciar pagare il suo
amico.
Si
sedettero al
solito tavolo, oramai erano clienti abituali.
“Non hai preso neanche un biscotto.”
“Blaine, guarda che non sono un bambino” disse Kurt
con la sua faccia da finto
arrabbiato “Non volevo farti spendere troppo, e poi
è meglio che la smetta con
tutti questi biscotti, non mi fanno bene.”
Blaine sorrise. Kurt sorrise di rimando, perché Blaine era
così bello quando
sorrideva, l’avrebbe guardato per ore. Spostò
l’attenzione sulle sue guance, e
si accorse che quel giorno il suo viso aveva qualcosa di diverso.
“Blaine…Ma
hai
messo il fondotinta?”
“Co-come?” fece l’altro con
un’espressione da finto incredulo.
“Si, hai messo il fondotinta, e hai anche usato il tono
sbagliato. Sembri un
fantasma.”
“Ehm…”
“Oh andiamo non ti devi vergognare! Però sei un
disastro, vieni in bagno con me
che te lo tolgo.”
Kurt lo prese per un braccio e lo trascinò nella toilette
degli uomini. Blaine
si accorse dopo un attimo di spaesamento di quello che stava per
succederere.
“NO! No… perfavore…”
“Guarda che non ti faccio niente!”
Senza poter fare più nulla, Blaine si arrese. Kurt
tirò fuori dalla sua
cartella una salvietta struccante e la passò delicatamente
sul viso dell’altro.
“Ma quanto ne hai messo?” fece mentre lo puliva.
Finì in poco meno di un minuto
metà del viso, poi tirò fuori un’altra
salvietta e si mise a struccare l’altra
metà. Mentre passava la salvietta sullo zigomo sinistro
agrottò le sopracciglia
e rallentò il ritmo.
“Ma che…”
Sotto quella gran quantità di prodotto Blaine aveva un gran
segno più scuro che
si protendeva su tutta la guancia. Un livido enorme.
“Blaine…”
L’altro gli prese la mano che teneva la salvietta e la tenne
stretta alla sua.
“Ti prego…non…”
“Blaine, chi è stato?”
“Un incidente.”
Kurt scosse la testa. “Non è vero.”
“Si invece, te lo giuro.”
In quell’attimo Kurt capì tre cose: che Blaine era
un pessimo bugiardo, che
Nelly non era matta e che lui doveva fare qualcosa.
-
“Ha
davvero detto
così?”
“Si, mio caro. Kurt e suo fratello ci hanno invitati a cena
da loro.”
“E perché lo ha detto a te e non a me
direttamente?”
“Ha chiamato ieri sera e tu stavi facendo la doccia.
Preparati su, non vorrai
mica andarci in pigiama.” disse Nelly lanciando al fratello
una manciata di
vestiti che stavano sparsi per terra. La loro stanza era davvero una
discarica
alle volte.
“Vado
bene così?”
chiese Blaine dopo un po’ mentre si guardava nello specchio.
Indossava dei jeans
scoloriti con una maglia marrone semplice. “Troppo
casual?”
“Perché ti preoccupi tanto?”
“Beh, Kurt è una specie di super esperto della
moda e dell’eleganza. Non voglio
sfigurare.”
Nelly rispose con una sonora risata. “Allora non so proprio
come aiutarti.”
Disse mentre posava la spazzola dopo un vano tentativo di pettinarsi i
ricciolini. “Non riuscirò mai ad
allisciarli.”
“Guido
io.” Fece
Nelly entrando nella macchina di sua madre.
“Sono un po’ ansioso. Avrò scelto bene
cosa mettermi?”
“Tesoro, credimi, non è tanto importante
adesso.”
“Perché dici così?”
“Oh… nulla.”
La
macchina
parcheggiò nel vialetto di casa Hummel-Hudson. I due
fratelli scesero
dall’auto, Nelly si portò più avanti
del fratello e suonò alla porta.
Fu Kurt ad aprire.
“Ciao ragazzi, prego entrate pure.” fece sorridente
dalla soglia.
Era impeccabile come sempre. Indossava una camicia grigia sotto un
gilet scuro
e dei semplici pantaloni neri, semplice, ma allo stesso tempo
quell’immagine
fece pentire amaramente Blaine di non aver speso qualche minuto in
più per
curare il suo abbigliamento quella sera.
I due
fratelli
entrarono in quella casa che avevano già conosciuto qualche
giorno prima. Il
profumo di caffè era stato sostituito, e ora al suo posto
c’era…
“Ma cos’è
quest’odore?” chiese Blaine.
“Una lasagna.” Rispose pronto Kurt.
“Ah, l’hai comprata?”
“No, non mi fido di quello che potrebbero metterci.
L’ho fatta io.”
“Oh… waw” disse sorpreso
“Cioè… hai preparato tutti gli
ingredienti tu e
l’hai…fatta?”
“Certo.” Disse come se fosse la cosa più
naturale del mondo. In verità gli
piaceva ricevere complimenti per la cucina, anche se il suo piatto non
era
stato ancora assaggiato. Non importava: Blaine lo stava ammirando.
“Spero che mi esca bene, ho passato anni vivendo di cibo
da asporto e di ciambelle. Per fortuna ora abbiamo Carole ma non posso
lasciarla da sola, no?”
Blaine annuì e si sentì il re degli inetti a
pensare che lui e sua sorella,
senza la loro mamma in casa, non erano capaci di cucinare neanche un
misero
toast.
“Ah, a proposito.” Chiese Blaine “Dove
sono i tuoi?”
“Fuori.” Si intromise prontamente Nelly
“Siamo soli.”
Blaine guardò stranito sua sorella, che a sua volta
lanciò un’occhiata complice
al padrone di casa.
“Blaine, il motivo per cui siamo qui oggi è un
altro.”
Il moro guardò Kurt dal basso del divano, chiedendo una
possibile spiegazione
con lo sguardo.
“Blaine, tu, da oggi, rimani qua.” Disse la ragazza.
“Che vuoi dire?”
“Hai capito bene.”
“Cos’è questa storia? Credevo che tutto
si fosse chiarito.”
“No Blaine, qui nulla è chiaro.” fece
più autoritaria.
“Ma com-“
“No.”
Il ragazzo prese fiato con un sospiro.
“Perché?”
Nelly guardò un attimo in basso e guardò Kurt con
uno sguardo umile.
“Puoi lasciarci un minuto soli per favore?” Il suo
tono di voce cambiò in un
secondo, come se stesse davvero facendo fatica nel pronunciare quelle
parole.
“Certo” fece Kurt allontanandosi verso la cucina.
Quando
Nelly
sentì la porta chiudersi ebbe la certezza di poter parlare
senza che l’altro
ragazzo potesse sentirli. Si avvicinò all’orecchio
del fratello e bisbigliò:
“Ho
visto cosa ti
ha fatto l’altro giorno.”
Blaine
capì
tutto. Deglutì e chiuse gli occhi. “Succede ogni
volta. Non ti devi
preoccupare.”
“Credevo l’avreste smessa.”
“Ho cominciato io. E’ colpa mia.”
“Non provare a prenderti la colpa.”
“Posso cavarmela.”
“Eri privo di sensi Blaine!”
“Mamma si preoccuperebbe se andassi via di nuovo.”
“Non se sa che sei qui.”
“Nelly lo capisci che non posso approfittarmi di queste
persone?”
La
ragazza perse
la pazienza e si mise in piedi, imperiosa guardò
dall’alto in basso suo
fratello, seccata per così tanta resistenza.
“Ok! Mettiamola così. Mettiamo che ricapita
un’altra rissa come quella. Tu
svieni, io non ci sono per coprirti e la mamma ti vede. Come la vedi?
Io la
vedo molto brutta.”
Blaine non seppe cosa dire per contrastare quella risposta e Nelly,
convinta di
averlo messo a tacere, bussò alla porta della cucina, segno
per Kurt di
rientrare nel soggiorno.
“Io
ora vado
via.” Disse ai due ragazzi. “Non voglio essere di
troppo. Ah… e Blaine, semmai
te lo stessi chiedendo, sì, ho chiesto il permesso a questa
famiglia perché tu
possa rimanere e.. sì, la tua roba è nel
portabagagli e.. sì, te la devi
portare da solo.”
Uscì dalla porta d’ingresso facendo cenno agli
altri due di seguirla. Aprì
l’auto e montò al posto di guida mentre guardava
suo fratello dallo specchietto
retrovisore prendere tre grosse sacche dal portabagagli che lei si era
preoccupata di preparare e riempire.
“E
poi hanno
anche il coraggio di venirmi a dire che non mi so organizzare.
Pfui!”
-
Kurt e Blaine erano rimasti soli.
Guardarono la macchina allontanarsi e farsi piccola man mano che
procedeva
sulla strada per uscire da Lima e, silenziosamente, rientrarono in casa.
Kurt riusciva a percepire la tensione
dell’altro accrescersi
sempre più ad ogni passo che facevano fianco a fianco.
Davvero, non avrebbe mai
detto che sarebbe riuscito a scorgere, così da vicino, un
lato timoroso e
insicuro di Blaine, che non aveva mai visto prima di quella settimana.
Timoroso e insicuro, proprio come lo
era stato lui, come il
primo giorno che si erano incontrati, o come il suo primo giorno alla
Dalton,
oppure quando avevano provato ad affrontare l’argomento
‘sesso’, e Blaine era
sempre stato in grado di confortarlo, di dargli sicurezza e fargli
coraggio,
con il suo sorriso, con le sue parole.
In un primo momento, non era stato in
grado di classificare
con un nome la sensazione che provava ogni volta parlava con quel
ragazzo,
conosciuto relativamente da poco. Era totalmente diverso da tutto
quello che
avesse mai provato prima.
Era come se Blaine si fosse
presentato come un libro aperto.
Era spontaneo, gentile e tutto questo pareva non costargli la minima
fatica.
Era come se lo conoscesse da sempre.
L’aria che respirava
intorno a lui, era diversa. Era nuova,
magica.
E lui l’aveva lasciata entrare dentro di sé.
L’aveva respirata, inalata e in un
secondo ne era diventato completamente dipendente.
Il resto, davvero, non contava più, perché,
appena ebbe il tempo di chiudere
gli occhi, lasciare che il resto di quello che era, con il suo passato
e le sue
speranze, rimanesse oscurato per un attimo, lo vide: il suo presente.
E sentì di nuovo quell’aria pizzicargli le narici
e infiltrarsi nel suo petto,
sprigionando un vortice di calore che non aveva mai provato prima, e
che
sembrava non volersi spegnere per nessun motivo al mondo.
Quando ebbe aperto gli occhi lo
capì. Ne era innamorato.
-
Ma ora,
poteva
dire di essere al fianco di quello stesso ragazzo?
“Ha…davvero…”
tentò di dire Blaine impacciato. “Ha davvero
chiesto il tuo
consenso per questa cosa?”
Era vero,
si
conoscevano relativamente da poco.
“Personalmente”
rispose pronto.
Forse non
aveva
mai veramente conosciuto Blaine.
“E
i tuoi? Cosa
diranno? Sono d’accordo?”
Era
chiaro che
quella volta, era lui a fare la parte del
‘benefattore’ e questa situazione
metteva chiaramente Blaine a disagio. Era meglio forse non farglielo
pesare.
“Carole
sì. Mio
padre a dire il vero non lo sa, ma Carole troverà il modo di
convincerlo. Stai
tranquillo.”
Ma Kurt
ancora
non sapeva che mai, come in quel momento, era in grado di poter
conoscere a
fondo il suo amico come non aveva mai fatto.
“Grazie
Kurt.”
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Capitolo 6 *** VI ***
6.
Nelly
continuava
a rileggere quella frase dal libro di chimica posto sulle sue
ginocchia. Non
riusciva a memorizzarla e neanche a figurarsi in testa quel concetto
che era
solo la prima riga del capitolo. Aveva sempre creduto di essere un
po’ stupida,
a scuola non era mai stata un genio, ma la sua deconcetrazione, quella
volta,
era determinata da un altro fattore. Non soltanto per il fatto che la
sua gamba
sinistra continuava a tremare rendendo la lettura più
difficile, ma anche
perché erano circa le 7 e mezza di sera, ed era sola in casa.
Quanto poteva durare un pranzo di lavoro? Dove era finita sua madre?
Mentre stava a preoccuparsi di questo e desiderava che sua madre
varcasse la
porta d’ingresso il prima possibile, le venne in mente che
sua madre, una volta
rientrata, avrebbe chiesto dove si trovava Blaine, e allora lei le
avrebbe
dovuto spiegare che cosa aveva fatto.
Cominciò
a
desiderare ardentemente che sua madre rincasasse il più
tardi possibile.
Circa tre
righe
di libro più tardi, sentì un rumore di serratura.
Sara entrò in casa sorridente, seguita dal suo ex-marito.
“Ehi, non posso credere ai miei occhi! Stai
studiando!” furono le sue prime
parole.
“Dove eri-… cioè, dove eravate
finiti?” chiese la ragazza lanciando un’occhiata
all’uomo dietro sua madre.
“Oh, Joe è venuto a prendermi dal ristorante e mi
ha portato in un posto
fighissimo! Una nuova pista di pattinaggio un po’ fuori da
qua… non pattinavo
da anni!”
“…Ma non mi dire.” fece la ragazza
ironicamente.
“Sono contento che ti sia piaciuto” disse
sorridente Joe “Ci lavora un mio
amico, non ci ha fatto pagare.” si avvicinò al
divano dove stava seduta la
ragazza e si mise a carponi per guardarla negli occhi.
“Che studi Nelly?”
“Chimica.”
“Uuh, roba importante. Che ne diresti di venire con me e tua
madre a cena?
Conosco un posto qua vicino, la trattoria di un mio amico, ci faranno
degli
sconti fantastici.” E sorrise di nuovo.
Quando si tratta di scroccare non ti batte nessuno eh?
“Preferirei di no. Devo studiare.”
“Hey!
Da quando
fai così tante storie perché devi
studiare?” si intromise Sara. “Come al solito
ti riduci agli ultimi mesi di scuola!”
“Non voglio essere bocciata di nuovo!”
“Dai non farti pregare tesoro!” fece sua madre
dandole una pacca sulla spalla.
Alla vicinanza della madre Nelly storse il naso.
“Mamma… è odore di birra
quello che sento?”
“Si, ne ho bevuto due gocci, non devi preoccuparti. Dai su
metti la giacca che
usciamo!”
Nelly si
arrese.
Buttò il libro chiuso sul divano e andò in mezzo
ai suoi genitori. Quando sentì
suo padre scompigliarle i capelli si ritrasse con uno scatto, al quale
l’uomo
reagì confuso.
“Va bene, va bene, non ti tocco i capelli. Da quando sei
diventata così
preziosa sul tuo aspetto? Ah, ormai sei una donna.”
Uscirono
di casa.
Nelly respirò l’aria fredda della campagna, unica
sua amica di quei giorni.
Si sentiva sola in quella missione, stava fra i suoi genitori e, per
l’ennesima
volta avrebbe dovuto fingere di stare con la sua famiglia. Di essere una famiglia.
Si
sentiva sola
in quella missione, ma quello era il pane con cui era cresciuta, e per
l’ennesima volta avrebbe cercato di essere forte.
-
“E
così dopo un
anno si sono sposati e
siamo andati a
vivere qui. La nostra casa era già grande, ma non abbastanza
per ospitare
quattro persone e fare in modo che ognuno avesse la propria
camera.”
Kurt tirò fuori dal forno una teglia fumante e la
posò sul ripiano della
cucina.
“Vuoi dire che non dormi con Finn?” chiese Blaine
mentre sciacquava uno
straccio nel lavello.
“No… cioè, abbiamo fatto un tentativo
ma… è andato fallito.”
“Capisco, beato te.”
Era stato sufficiente poco tempo, e Blaine aveva abbandonato quel
sentimento di
timore e silenzio e ora si comportava normalmente. Si era subito
offerto di
aiutare a mettere in ordine la cucina e a pulirla. Non sapeva
spiegarselo, ma
quella casa gli dava un senso di sicurezza, forse per il suo profumo,
per i
colori, per lo spazio.
Si respirava un calore che lui non sentiva da tanto, troppo tempo e del
quale
sentiva la mancanza.
Guardò fuori dalla finestra. La strada di quella schiera di
case di periferia
era deserta, grigia e silenziosa. Stava su una collina, quindi la
visuale che
si aveva non era della città, si limitava ad abbracciare
quella piccola schiera
per poi far vedere il cielo, che aveva cominciato a scurirsi per il
calar della
sera.
Ricordò il panorama di casa sua. Doveva ammetterlo, abitare
nelle vicinanze di
un piccolo bosco poteva sembrare una cosa quasi fiabesca. Ma la
verità era che
a volte sembrava tutt’altro. Ricordò le foglie
schiacciate al vetro della
finestra che rendevano difficile la visuale, e quello che riusciva a
scorgere
dalla finestra era soltanto terra e alberi, nient’altro. Era
come essere fuori
dal mondo, costretti in una prigione.
Per non parlare di tutte quelle volte che da piccolo aveva passato
notti
insonni per quel brutto ramo che sbatteva alla finestra, e per la sua
ombra
che, proiettata sul muro, sembrava un mostruoso braccio scheletrico
pronto ad
afferrarlo non appena avesse chiuso occhio.
“…Blaine?”
fece
Kurt distogliendolo dai suoi pensieri.
“Oh… mi sono incantato. Scusami.”
“Che guardi alla finestra?”
Blaine si voltò di nuovo verso il vetro, incantato di nuovo
da quell’immagine
così pacifica.
“…La
strada.”
Kurt si
mise al
suo fianco, guardando fuori dalla finestra. Le loro spalle si
sfiorarono
appena.
“La strada?”
“Si. A casa mia non riesco a vederla.”
Dal buio
della
strada, i due amici videro due fari luminosi farsi strada nella notte e
avvicinarsi a quella casa.
“E’
arrivato
Finn.” Disse Kurt.
-
Finn
parcheggiò
l’auto nello spazio di fronte al garage che, per fortuna,
aveva trovato
vuoto. Sapeva che
Burt e sua madre non
erano in casa. Quel periodo che aveva seguito il matrimonio era un
toccasana
per la sua relazione, dato che i due neosposi uscivano spesso a fare
lunghe
passeggiate per avere un po’ di tempo da passare da soli.
Sistemò lo
specchietto retrovisore e si slacciò la cintura di sicurezza.
“Ah!
Ferma!”
disse alla ragazza bionda seduta al suo fianco. Scese
dall’auto e rapidamente
giunse ad aprirle la porta. Quinn rispose con un leggero risolino e il
ragazzo
le tese la mano per farla scendere. Ricordava di averlo visto fare in
molti
film romantici e quella sera voleva essere impeccabile: avevano la casa
tutta
per loro e doveva giocare tutte le carte possibili del buon fidanzato
per
ricevere qualche gratificazione.
“Per di qua” continuava a tenerla per mano mentre
camminava a ritroso e la
guidava verso la porta d’ingresso. Una cosa tenera quanto
stupida ma che a
Quinn, a giudicare dal suo sorriso, non sembrava dispiacere.
Ad un tratto Finn vide l’espressione della sua ragazza
cambiare e i suoi occhi
verdi guardare dietro di lui in direzione della casa.
Finn si voltò e inorridì nel vedere che le luci
di casa sua erano accese e che
alla finestra vi erano appostati suo fratello e un altro ragazzo che al
momento
non seppe riconoscere.
“Ma
che…” fece
Finn fra sé, mentre li guardava confuso.
Kurt e
Blaine,
d’altra parte, si abassarono in modo da non essere visti.
“Ti
giuro, credevo
che…” tentò di giustificarsi Finn.
“Sembra che qualcuno sia arrivato prima di noi” lo
interruppe lei e si lasciò
sfuggire una risata.
Finn si voltò di nuovo verso la casa, ma senza vedere
più nessuno alla
finestra.
“Dobbiamo
restare
abassati ancora per molto?” chiese Blaine confuso mentre si
teneva al ripiano
della cucina.
“Non lo so, ma sembra che abbiamo rovinato la festa a
Finn.”
In quella
strada
silenziosa si sentì una musichetta, che Quinn riconobbe
subito come la sua
suoneria. Prontamente tirò fuori il cellulare dalla tasca
del vestito e
rispose.
“Si?” alzò il dito indice per indicare
al suo ragazzo di darle un attimo.
Finn ne
aprofittò
per entrare in casa e capire che cosa stava succedendo.
Quello
che vide
quando entrò in casa fù una scena abbastanza
insolita: suo fratello con addosso
un grembiule, seduto per terra e
appoggiato al forno e Blaine inginocchiato accanto a lui e che si
teneva al
ripiano della cucina.
“Fratello
che
succede qua?”
Kurt si guardò intorno, indeciso se dire la
verità o no, decise di sviare
argomento.
“…Che ci fa Quinn qui?”
“E’ la mia ragazza.”
“Ah.”
“E si da il caso che stessi venendo qua per … stare con lei. Qui. Da soli.
Tu, piuttosto,
cosa ci fai qui. Credevo che uscissi con Tina.”
Spostò lo sguardo verso il
ragazzo moro e lo indicò “E lui, piuttosto, cosa
ci fa qui?”
“Ho invitato Blaine a cena.” Disse senza pensarci.
“Potevi anche avvertir-“
Si sentì il campanello suonare. Finn aprì la
porta e lasciò entrare Quinn.
“Finn, mi dispiace, ma non posso più
restare.”
“Come?”
“Ha chiamato mia madre, mi ha detto di tornare subito. Mia
nonna è tornata
dalla California e mi vuole a casa.”
“Oh… Certo. Capisco, sì.”
“Mi dispiace.” Si avvicinò per darle un
lieve bacio sulle labbra “Ci vediamo
domani.” Si voltò verso gli altri due ragazzi
“Ciao, divertitevi.”
La porta
si
chiuse dietro alle spalle di Finn, più aflitto che mai.
“Non
avrai
pensato che…” cominciò Kurt senza avere
il coraggio di terminare quella frase.
“Senti Kurt, se per una sera hai bisogno della casa, devi
solo dirmelo. Siamo
fratelli ormai, dovremo essere sinceri su certe cose.”
Lanciò un’occhiata
eloquente a Blaine.
“Ma io veramente…” fece Blaine confuso.
“Finn, ho davvero invitato Blaine a cena.”
Tagliò corto Kurt. “Quindi,
perfavore, non fare delle magre figure con il nostro ospite.”
“Oh… “ disse Finn imbarazzato
“Scusa amico.”
“Non preoccuparti.”
I tre
ragazzi
andarono a mettersi sul divano. Senza dire una parola Finn prese il
telecomando
e cominciò a fare zapping fra i canali mentre gli altri due
fissavano lo
schermo, in attesa che gli adulti rincasassero.
Trenta
minuti più
tardi la porta si aprì con un rumore di chiavi. Carole e
Burt fecero ingresso
nella loro casa.
Alla vista di Blaine, Burt agrottò le sopracciglia confuso
mentre Carole gli
fece un grande sorriso e gli venne incontro.
“Ciao caro come stai?”
“B-bene, grazie.” Fece Blaine, un po’
messo in soggezione dalla presenza del
signor Hummel che continuava a scrutarlo.
“Burt, ho dimenticato di dirtelo, stasera Blaine cena con
noi. L’ho invitato
io.”
“Ottimo” disse cambiando espressione e
rivolgendogli un sorriso “Sono felice di
rivederti.”
Blaine gli sorrise di rimando.
“Beh,
potremo
anche metterci a tavola. Siete affamati? Ci avete aspettato
molto?”
I tre ragazzi fecero no con la testa.
Finn teneva un’espressione sconsolata. I suoi erano rincasati
presto, non
avrebbe avuto comunque molto tempo da passare da solo con Quinn.
In poco
tempo, la
famiglia aveva aparecchiato la tavola e aveva aggiunto un posto per
l’ospite.
C’era movimento e profumo e Blaine si sentì
pervadere da un energia positiva.
Quello
che aveva
mangiato era buonissimo. Doveva riconoscere che il suo amico era
davvero bravo
ai fornelli, fece anche il bis.
Mentre
quasi
tutti avevano già finito, Blaine vide Kurt alzarsi e mettere
il suo piatto nel
lavello, seguito da Carole, e là, bisbigliarle qualcosa
all’orecchio. La
signora aveva fatto cenno di sì con la testa e gli aveva
sorriso.
Kurt era
andato
verso di lui e Finn, aveva indicato le scale, facendo loro cenno di
salire in
camera sua. Mentre percorrevano le scale aveva detto che doveva lasciar
parlare
i grandi da soli.
“Parlare
di che
cosa?” aveva chiesto Finn una volta entrato nella camera del
fratello.
A quella domanda Kurt guardò per terra e poi verso
l’amico. Dopo un bel respiro
trovò il coraggio di rendere partecipe suo fratello del suo
piano.
“Blaine
starà da
noi per un po’.”
“Che cosa???”
-
“Che
cosa???”
“Burt, è un amico di Kurt. Ha bisogno di
aiuto.”
“Si, ma perché deve vivere qui?”
“Kurt non direbbe mai una cosa di cui non è
sicuro, mi ha detto che quel
ragazzo ha dei seri problemi familiari.”
“Che vuoi dire? E perché queste cose le dice a te
e non a me?”
“Non è questo il punto. Il punto è che
gli ha scoperto un livido enorme sulla
faccia ed è abbastanza sicuro che quel ragazzo sia vittima
di violenze.”
“Si
ma…” Burt si
interruppe e fece una pausa per pensare. Inclinò la testa e
fece un giro della
stanza, seguito dallo sguardo di sua moglie.
“Non
ne sono
sicuro, Carole.”
Carole
gli si
avvicinò e gli mise la testa sulla sua spalla, stringendosi
al suo braccio.
“Sai…”
disse
mentre cullava suo marito. “Penso di sapere cosa
c’è che non va.”
“Ah si?”
“Si. Tu sai che questo ragazzo piace a Kurt e che
è un suo amico, però non sei
ancora riuscito a inquadrarlo per bene, quindi hai paura. E’
comprensibile.”
“Forse… Forse potrebbe essere anche
quello.”
“Io penso sia solo quello.” Si sciolse
dall’abbraccio e guardo suo marito negli
occhi, prendendogli le mani. “Burt, io so quanto sia
importante per te che Kurt
non soffra, però devi lasciargli fare le sue scielte. Kurt
è grande e per
fortuna ha la testa sulle spalle e tu lo sai. Io so che
andrà tutto bene.” Gli
fece un gran sorriso, al quale Burt non potè dire di no.
Carole era fantastica,
sapeva sempre che cosa dire e che cosa fare.
“Penso che tu abbia ragione. Va bene, credo che si possa
fare.”
-
“Kurt
non c’è il
minimo verso che tuo padre acconsenta a questa cosa, lo sai meglio di
me.”
“Tua madre non ha avuto nulla in contrario, saprà
convincere papà.”
“Non ne sono così sicuro.”
“Tua madre mi ha assicurato che ci sarebbe riuscita. Mi fido
di quello che mi
ha detto.”
Finn scossè la testa e guardò l’altro
irritato.
“…Com’è che tu e mia madre
fate così tanta comunella?”
“Come sarebbe a dire?”
“Voglio dire che vi vedo chiaccherare sempre, che ti insegna
a cucinare, che
andate a fare compere,…”
“A-aspetta…” lo interruppe Kurt
“Ti da fastidio il fatto che sia amico di tua
madre?”
“Voglio solo dire che…”
“Che sei geloso? Beh, ora sai cosa ho provato io quando ti
vedevo fare
comunella con mio padre. Lo so che non è bello.”
“Non sono affatto geloso!”
“Finn ascolta, è tua madre ed è anche
la mia matrigna ora, è ovvio che andiamo
d’accordo e che voglia aiutarmi…”
Blaine faceva da spettatore. Seduto sul letto, guardava i due fratelli
discutere al centro della stanza. Era curioso vedere come si comportava
Kurt a
casa sua con la sua famiglia. Lo incuriosiva ancora di più
vederlo alle prese
con una diatriba fra fratelli, come quelle che aveva lui di continuo
con sua
sorella... Ah, già, sua sorella, chissà che
combinava.
-
Nel
medesimo
istante in cui aprì gli occhi, Sara cacciò fuori
un lunghissimo lamento.
“Ben alzata.” Le disse Nelly seduta al pc e senza
essersi voltata per
guardarla.
Sara trovò la forza di mettersi seduta, continuava a tenersi
la testa con la
mano, come se quel gesto alleviasse il dolore provocato dalla sbornia
di quella
sera.
“C-che
… mal di
testa… che giorno è?”
“Venerdì.”
“…” fece un altro mugolio “E
che ora è?”
“Le dieci. Di sera.”
“OH dio! Il turno di notte!”
“Non preoccuparti, ho chiamato io. Mi sono finta te e ho
detto di non sentirmi
bene.”
“Oh … E dov’è tuo
padre?”
“Non ne ho idea. Ieri notte ha soltanto detto ‘vado
da degli amici’ e mi ha dato le chiavi
dell’auto. E siamo
tornate qui.” Nelly non aveva voluto sottolineare troppo il
fatto che, in
teoria, non erano proprio tornate,
in
verità lei aveva trascinato
sua madre
fino a farla sedere accanto a lei, le aveva allacciato la cintura e
guidato
fino a casa. Infine, senza più energie, l’aveva
portata di peso fino al divano.
Nella sua famiglia erano tutti molto delicati nei confronti
dell’alchol, un
paio di birre e potevi considerarti K.O.
“Mmh.”
Sara si
strofinò gli occhi e si ributtò nel divano.
“Sei una brava bambina.”
“Lo so.” Disse senza distogliere lo sguardo dallo
schermo.
-
“Mi
dispiace”
fece Finn rivolto al fratello “Non dovevo arrabbiarmi
perché sei amico di mia
madre, lo so che ti vuole molto bene.”
“Non c’è problema.” Rispose
Kurt tranquillo.
Blaine
stava in
silenzio, pensò che probabilmente una lite con sua sorella
non sarebbe finita
così in fretta e in maniera così pacifica.
“Non hai detto una
parola.” Gli disse Kurt.
“Sei nervoso?”
Blaine ci pensò un attimo. “A dire il
vero… sì.”
“E’ comprensibile. Se anche io mi trovassi nella
sua situazione…cioè” fece
Finn. Kurt lo guardò stranito. “Cioè,
… non so cosa potrebbe dire Burt in
questa situazione.”
I tre
ragazzi si
guardarono a vicenda preoccupati. Una voce proveniente dal piano di
sotto li
chiamò tutti e tre, dicendogli di scendere.
-
“Ragazzi,
ascoltate.”
Burt stava in piedi al centro della stanza. I tre ragazzi, chiamati al
rapporto, stavano seduti davanti a lui. In realtà sapevano
tutti il motivo per
cui erano stati chiamati, e Kurt sapeva già che risposta
avrebbe dato il padre.
“Blaine..”
Il ragazzo che era stato chiamato prestò ancora
più attenzione alle sue parole,
lo guardava attento, con le mani posate sulle ginocchia.
“…Puoi
restare a
casa nostra.”
Kurt
sorrise e
esultò dentro di sé. Era certo che Carole avrebbe
convinto suo padre. Lanciò
un’occhiata vittoriosa a Finn.
Blaine
spalancò
gli occhi… stava succedendo davvero?
“Ma…”
continuò
poi Burt.
Ma che cosa? Pensò Kurt
fra sé. Cosa
c’è ancora?
“Che
cosa papà?”
“Vorrei che Blaine mi aiutasse in officina.”
“…Che cosa?!?” fece Kurt perplesso.
“Ma non puoi farlo lavorare! E’ una
carognata!”
“Non preoccuparti Kurt”
Intervenne
Blaine alzandosi in piedi e rivolgendosi poi al signor Hummel
“La ringrazio
infinitamente. Cercherò di essere il miglior aiuto-meccanico
possibile”
“Sono sicuro che lo sarai.” Sorrise rassicurante il
signor Hummel.
A quel punto Blaine sentì la sua tasca vibrare.
“Scusate.”
“In veranda il telefono si sente meglio.” Fece
Carole sorridente.
“Grazie.”
-
“Pronto?”
Disse Blaine una volta giunto in veranda.
“Sono io Blaine.” Blaine riconobbe la voce di sua
sorella dall’altra parte del
telefono. “Come è andata?”
“Oh... bene. Mi fanno rimanere.”
“Ne ero sicura.”
“E
tu?”
“E tu cosa?”
“A te come è andata?” Blaine si
stupì di quella cura che lui e sua sorella
stavano dimostrando l’uno per l’altra.
Nelly rispose alla domanda con un sospiro.
“Che è successo?” chiese Blaine
preoccupato.
“... Siamo usciti tutti e tre. La mamma ha bevuto un
po’ troppo e ora non sta
molto bene… non è andata a lavorare.”
“In che senso non sta molto bene?” fece serio
Blaine.
“Non preoccuparti.” Disse calma “Solo un
po’ di mal di testa e capogiro. Ora
dorme di nuovo.”
“E… lui?”
“E lui non è ancora tornato.”
“…Capisco.”
“Meglio che vada a dormire anche io, ciao Blaine.”
“Ciao…” chiuse il telefono e si
poggiò con i gomiti sulla ringhiera. Guardò la
strada deserta e buia, e sospirò. Sentì di nuovo
quell’aria fredda, che molte
volte l’aveva accompagnato nelle sere che fuggiva di casa
dopo aver litigato
con sua madre. Adesso, pensare che sua madre era lontana e che stava
male, lo
faceva sentire in colpa. Sospirò di nuovo. Sapeva che tutto
quello che gli
stava succedendo non era colpa sua, ma non poteva fare a meno di
tormentarsi.
Quell’uomo continuava a tornare, a volte con intervalli
più lunghi fra una
visita e l’altra, ma cavolo, tornava sempre, come un incubo.
E per tutte quelle
volte che aveva sperato, che si era ritrovato a pregare a mani giunte
sul suo
letto, rivolgendosi a chissà chi lo guardasse da lontano di
non farlo tornare,
che quella visita fosse l’ultima, che quell’uomo
non tornasse più per
distruggere quello che lui, sua sorella e sua madre tentavano di far
stare in
piedi, nulla, non aveva mai funzionato.
‘Cazzo…’ si
coprì il viso con le mani, tentanto
inutilmente di scacciare quei pensieri dalla sua mente.
“Ehi…”
Kurt varcò
la soglia della porta, con un timido sorriso sulle labbra.
“Fa freddo, perché
non rientri?”
L’altro fece uno scatto.
“Mi hai spaventato…” disse con un
sorriso.
“Scusa, non volevo.” E sorrise di rimando.
“Chi era al telefono?”
L’altro cambio espressione in un attimo, e quel piccolo
sorriso gli sparì dal
volto.
“…Era mia sorella.” Disse guardando in
basso.
Kurt si accorse dell’improvviso cambio d’umore e
decise di non chiedere altro.
“Rientriamo? Fa veramente freddo qua fuori.”
“Si, hai ragione.”
-
Ovviamente
Burt
aveva tassativamente vietato ai due di dormire nello stesso letto
(malgrado il
letto di Kurt fosse anche troppo spazioso per una persona sola) e anche
di
dormire con i letti molto – troppo – vicini.
Sarebbe stato l’ideale se Blaine
avesse dormito in camera insieme a Finn, ma questi non ne voleva
sapere, e
inoltre, nella stanza di Finn non c’era spazio sufficiente
per un letto in più.
I due letti erano quindi stati messi abbastanza lontani, in una vana
speranza
di ridurre al massimo il contatto fisico fra i due. Poteva ritenersi un
comportamento un po’ ossessivo, ma stavolta Burt
preferì dare ascolto al suo
primo istinto di genitore. D’altro canto, avrebbe avuto
occasione di conoscere
meglio Blaine grazie alla trovata di farlo lavorare insieme a lui.
Ma il
problema
dei letti passò in secondo piano quando i due ragazzi
rientrarono in casa e
tutta la famiglia potè notare che Blaine continuava a
guardare in basso e a
tremare.
“Va tutto bene caro?” chiese Carole che se ne
accorse per prima.
“Si signora. E’ solo che… sono solo un
po’ stanco.”
“E’ piuttosto tardi, perché non andate a
dormire?”
“Si, ha ragione. Kurt, non ti dispiace se comincio a
salire?”
Kurt fece no con la testa, continuando a osservarlo.
“Allora buonanotte a tutti.” Disse forzando un
mezzo sorriso. La famiglia lo
guardò mentre saliva le scale con sguardo vacuo negli occhi.
Kurt
smise di
guardarlo per ultimo, fino a che non lo vide chiudere la porta della
sua camera
dietro di sé, e si voltò di nuovo verso la sua
famiglia.
“Va
da lui.” Gli
disse Burt.
“Co-come?” fece Kurt confuso da
quell’ordine.
“Va da lui, ha bisogno di te, non lasciarlo solo proprio
adesso. Non dovrei
dirtelo io.”
Kurt fece sì con la testa. Non credeva davvero che suo padre
avesse potuto
dirgli una cosa del genere. Si voltò e salì le
scale.
-
Blaine si
era
messo il pigiama, il primo che aveva trovato nella sacca preparata da
sua
sorella e il più brutto che avesse mai avuto, rosso e di pile. Si stringeva in
quell’ammasso di stoffa pesante, seduto sul
materasso e leggermente rannicchiato su se stesso.
“Ciao…”
Kurt entrò nella sua stanza, indossava un pigiama blu di
seta
che si era messo in bagno prima di entrare.
“…Ciao.” Rispose Blaine dal letto.
Kurt si mise seduto affianco
a lui. “Come mai non dormi?”
Blaine si strinse ancora di più, e guardò
l’amico. “Non so…
pensavo…”
“A che pensavi?”
“Alla parola inglese ‘blame’…
sai? Significa ‘colpa’ e somiglia tanto a
‘Blaine’. Lo so che è un po’
stupido ma è così che mi sento la maggior parte
delle volte.” Lo guardò con i suoi grandi occhi.
Erano più scuri del solito,
come vuoti.
Kurt lo guardò perplesso. “…Che
intendi?”
Blaine fece un sospiro. Capì che era inutile nascondersi, si
sarebbe ritrovato
a stare in quella casa per un bel po’, giorni,
settimane… forse mesi.
“Cosa c’è? Tua sorella ti ha dato delle
brutte notizie?” insistette Kurt.
E
soprattutto non
aveva senso nascondere il suo passato al suo amico che lo stava
ospitando. Era
certo che Kurt non l’avrebbe giudicato, Kurt era la persona
più buona che
avesse mai conosciuto.
“Sai…
Mia madre
si è sposata molto giovane.”
Kurt lo
guardava
attento, come per spronarlo a continuare, ma era già ovvio
che Blaine non si
sarebbe fermato solo con quella frase.
“Al
liceo stava
con un tizio… “ continuò
“… ed è rimasta incinta. Decise di
tenerlo… e per
fortuna quel tizio le rimase sempre accanto. Si preoccupò di
trovare un lavoro,
di provvedere a tutto quello che sarebbe servito,… si
ammazzò di fatica in
poche parole.”
“Quel
tizio…” lo
interruppe Kurt “…Era
tuo padre?”
Blaine annuì. “Si... Ben presto mio padre le
chiese di trasferirsi da lui. Mio
padre era orfano di entrambi i genitori, viveva con suo fratello che si
arruolò
nell’esercito, lasciando a lui e a mia madre la
casa.”
“…Come sai queste cose?” chiese Kurt.
“Me le ha raccontate mia madre un paio di volte, e tutte le
volte che parla di
quel periodo ha sempre il sorriso sulle labbra, erano felici in quel
periodo,
erano…innamorati, e stavano aspettando la loro bambina. Poco
importava se a
quel tempo mia madre aveva circa l’età che ho io
adesso.” Sorrise per un
attimo.
“La
chiamarono
Nelly, non mi ricordo il perché avessero scelto questo nome.
Ma erano davvero
felici per quei primi mesi, anche se entrambi dovettero mollare gli
studi. Un
brutto giorno però… le cose si misero male. Mio
padre perse il lavoro, e non
c’era verso di trovarne un altro, nessuno voleva assumere un
figlio di nessuno
con una bambina a carico. Così mia madre cominciò
a chiedere prestiti ai suoi
genitori, e per mio padre era molto stressante e lui e mia madre
cominciarono a
litigare di frequente… Non so perché ti sto
raccontando queste cose…” scosse la
testa e guardò in basso, colto da un’ improvvisa
ondata di vergogna.
“Probabilmente ti sto annoiando.”
“No”
rispose
pronto Kurt “No…no non mi annoi affatto. Non mi
hai mai parlato di te… e tu sai
praticamente tutto di me!”
Istintivamente si avvicinò ancora di più a lui,
Blaine alzò lo sguardo: di
nuovo quegli occhi vacui.
“Mi interessa… Mi interessa eccome”
disse Kurt sorridente “Ma se non vuoi… okay
non c’è problema.”
“Ok…”
fece Blaine
rassicurato da quel sorriso.
“Mio padre poi, non chiedermi come, riuscì a
vendere casa sua, e riuscì a
racimolare un po’ di soldi.”
“E dove andarono a vivere i tuoi?”
“Mio nonno… teneva una casa un po’ fuori
città, in campagna, quella dove
viviamo tutt’ora. Ma non era come è adesso, al
tempo la campagna riusciva a
ricoprire un tratto molto ma molto più ampio, prima non
c’era la strada, né la
linea degli autobus, non in quel tratto almeno. A mia madre piaceva
molto, a
mio padre… non lo so. Mia madre mi ha raccontato che gli
pesava il fatto di
dover vivere là, in una casa che non era la sua,
così era sempre stressato…”
Rimase in
silenzio per un attimo, guardando il vuoto.
“…e
molto spesso
usciva da quella casa… per andare… non lo so, non
lo so dove andasse.”
Fece un
sospiro.
“…e molto spesso tornava a casa tardi…
sempre ubriaco.”
Gli occhi
di
Blaine erano sempre fissi, brillavano. Si strinse ancora nel suo
pigiama e
prese fiato.
“E
le cose
andavano avanti così… Senza un senso. Ormai era
passato un anno e… mia madre
rimase di nuovo incinta. Di me. Mia madre non ne voleva sapere di
abortire,
così… malgrado le pressioni che le faceva mio
padre, decise di tenerlo. Si
ammazzò di fatica per trovare un altro lavoro, ma stavolta
ebbe fortuna, e
trovò lavoro ai grandi magazzini. Mio padre le promise di
darsi da fare anche
lui… ma ogni volta che usciva di casa, tornava tardi, con un
odore strano
addosso… Era chiaro che non era andato a cercare proprio
nessun lavoro.”
“E… poi?”
“Poi nacqui io. Non ho ricordi di momenti passati insieme a
mio padre, non di
bei momenti almeno.”
Un’immagine fece capolino nella mente di Kurt. Si ricordava
ancora
perfettamente del giorno in cui suo padre gli aveva insegnato ad andare
in
bici, lui era caduto e suo padre gli aveva teso la mano per rialzarsi,
si
ricordava della delusione che aveva provato per se stesso per essere
caduto, ma
suo padre l’aveva rimesso sul sellino e gli aveva detto ‘Non preoccuparti, nessuno impara al
primo colpo. Dai riprova
campione!’. Quel ricordo gli fece fare un piccolo
sorriso, ma allo stesso
tempo, sentire che Blaine non aveva vissuto momenti di quel genere con
suo
padre gli fece sentire una forte fitta al petto.
“Non
ricordo
neanche un momento in cui mi avesse supportato, anche per le piccole
cose, in
cui mi avesse detto ‘sei stato bravo’ o
‘sono fiero di te’. Stava sempre per
conto suo…”
Continuava
a
tormentare un povero residuo di filo che pendeva dalla manica del
pigiama. Lo
attorcigliava intorno alle dita, stretto, fino a farsi diventare le
dita rosse.
“Era
chiaro che
ce l’aveva a morte con me… per essere arrivato al
momento sbagliato. Non mi ha
… non mi ha mai voluto.” Disse con voce rotta.
“Blaine…”
fece
Kurt con il batticuore “…Tu non hai nessuna
colpa!”
“Lo so… è solo che a
volte…non so, ci pensi e basta.”
Attorcigliò il filo
intorno alle dita ancora una volta, e poi ancora un’altra
volta.
“I miei
continuavano a litigare. Quando ho
visto mia madre ammalarsi a causa di tutta la fatica che faceva al
lavoro e di
quanto stava male perché non riusciva a far passare un
giorno senza urlare
contro quell’uomo, io e mia sorella andammo da lei e la
pregammo di smetterla,
di porre fine a tutto. Quella fu la nostra prima vittoria e anche la
più
grande, infatti dopo un anno i miei genitori si separarono.
Andò via subito,
non si fece più sentire, neanche una telefonata. Io mia
madre e mia sorella per
qualche mese fummo sereni. In casa c’era la pace
finalmente.”
“Ma
quando
è ritornato tuo padre?”
“Due o tre anni fa mia madre e mio padre si incontrarono per
caso. Mio padre
disse di aver trovato una casa, un lavoro stabile e che stava bene, mia
madre
gli credette e qualche volta lo invitò a casa nostra, per
fare due chiacchere.
Sembrava essere totalmente cambiato, tantochè anche io e
Nelly per un primo momento
ci credemmo.”
“E
poi cosa è cambiato?”
“Ha
cominciato ad aprofittarsi della gentilezza di mia madre e della nostra
pazienza. Chiedeva prestiti, che mai venivano restituiti. Parcheggiava
l’auto a
casa nostra, usava la nostra linea telefonica e molte volte chiedeva di
passare
la notte da noi, per nascondersi da chissà che cosa. Non
credo che il suo
“lavoro”, se così lo vogliamo chiamare,
fosse qualcosa di molto
raccomandabile.”
“E
con te e Nelly come era?”
“Ci chiedeva continuamente di passare del tempo con lui. A
essere sincero la
cosa mi rendeva… felice, è normale no?
E’ pur sempre mio… ecco, mio padre. Ma
si comportava come se noi ci fossimo dimenticati che per anni e anni
non ha mai
voluto prenderci in braccio neanche per un minuto. E’
incomprensibile.”
“Si…
si, hai ragione.” Fece Kurt a testa bassa.
“Non te
l’ho mai detto ma, invidio molto il
rapporto che c’è fra te e tuo padre.”
Kurt lo guardo stupito. “Come mai dici questo?”
“Ecco… sono sempre stato molto unito a mia madre.
Parlavamo sempre, le dicevo
tutto, dei miei amici, di quello che mi piaceva, del canto, il football
e
quando avevo quattordici anni le dissi… di essere
gay.”
“E… lei?”
“E lei lo accettò e mi trattò sempre
alla stessa maniera. Certo… per ogni amico
che porto a casa mi fa il terzo grado, ma va beh!” e
accennò un piccolo
sorriso, che gli sparì dal volto un secondo dopo.
“Però poi, mio padre lo
scoprì… e da lì non ho mai avuto un
attimo di pace.”
“…Che vuoi dire?”
“Frecciatine continue, anche pesanti. I nostri dialoghi da
pochi, divennero
nulli. Sembrava sempre pronto a impartirmi qualche lezione sul come
diventare
uomo, fare cose da uomini… litigavamo sempre e presto dalle
parole giungemmo
alle mani.”
“Vi picchiavate?”
“Si… ci picchiamo sempre.”
Kurt si
sentì
mancare per un attimo. Capì che aveva avuto ragione nel
pensare che Blaine
venisse picchiato a casa sua, ma aveva sempre potuto contare sulla
speranza che
si fosse sbagliato. Ma ora, sentirlo dire da lui, gli recava ancora
più dolore.
Sentì i suoi occhi pizzicargli, ma si sforzò
comunque di non piangere.
“Oh dio…” disse Blaine appena vide
l’espressione dell’altro. “Ti prego non
lo
fare…Era la cosa che volevo evitare più di
tutte.”
Kurt alzò lo sguardo e si riprese. “No, no, non
preoccuparti. E’ solo che non
me l’aspettavo.”
“Invece sì. L’hai pensato dal primo
momento che mi hai scoperto quel livido.”
“…Si, hai ragione.” Disse sistemandosi i
capelli.
“Sei il primo dei miei amici che lo sa.”
“Davvero?”
Blaine annuì a testa bassa e si acarezzò la
guancia col dito.
“E’ quasi passato, non si vede neanche
più.” Disse con un leggero sorriso, al
quale Kurt si tranquillizzò in un attimo.
“Sto bene Kurt.”
“E’ già mezzanotte…
dormiamo?”
Blaine fece sì con la testa e si mise sotto le coperte.
-
Kurt
aprì piano
gli occhi. Attorno a lui, tutto era buio e sfocato. Ci mise un
po’ a capire di
essere sveglio, e di non trovarsi più nella fabbrica di
cioccolato di Willy
Wonka, accompagnato da Patty LuPone, in quello stranissimo sogno che
stava
facendo. Talmente strano da averlo svegliato.
Guardò la sveglia per vedere l’ora, le tre.
Si rigirò nel letto per riprendere sonno e chiuse gli occhi,
si accorse però di
sentire un po’ di freddo. Cercando di fare più
silenzio possibile, scese dal
letto sulle punte dei piedi e, a passo felpato, si diresse verso il suo
armadio. Lo aprì e prese la prima coperta che
trovò.
Ritornò sui suoi passi, ma a metà strada fra
l’armadio e il suo letto inciampò
e cadde per terra con un gran tonfo.
“Ahi!” si lasciò sfuggire. Si
tappò la bocca subito e sperò di non aver
svegliato
Blaine.
Sentì un rumore di coperte e vide un’ombra
allungare un braccio verso la bajour.
Il buio sparì e Blaine scoprì Kurt per terra, ai
piedi del suo letto con una
coperta in mano.
Kurt lo guardò mortificato. “Scusa, non volevo
svegliarti.”
Blaine lo guardò per un secondo e scoppiò in una
sonora risata che durò qualche
manciata di secondi.
Kurt si rialzò, non sapendo se essere sollevato o
offendersi, e si rimise nel
suo letto.
“Che ci facevi per terra?” chiese Blaine sorridente.
“Sono inciampato.” Disse imbarazzato.
“Avevo freddo e ho preso una coperta.”
“…E sei caduto.” Rispose con un sorriso,
posando la testa sul cuscino.
“Ti ho svegliato?”
Blaine fece no con la testa.
“Come? Eri già sveglio?”
Blaine
guardò in
basso un attimo, per poi tornare a guardare l’amico negli
occhi.
“Si, ero sveglio.”
Con l’aiuto della luce della bajour Kurt si accorse che
Blaine gli accennava un
sorriso, ma aveva anche gli occhi arrossati.
“Non hai dormito?”
“…No” ammise Blaine scuotendo la testa.
“Come mai?” insistette Kurt.
“Non sono riuscito a prendere sonno… Ho gli occhi
tutti gonfi.”
Kurt si
alzò dal
letto e si sedette di fianco a lui e lo guardò serio.
“Blaine, posso essere del tutto onesto con te?”
Blaine fece sì con la testa.
“Penso che tu non stia affatto bene. Cerchi di apparire
sereno, però riesco a
vedere quanto peso porti dentro di te. Ma fare finta di nulla e
piangere la
notte non ti aiuterà a risolvere i tuoi problemi.”
Blaine lo guardò dal basso per un secondo, colpito ancora
una volta da quella
voce.
Quelle parole erano riuscite a toccare delle corde dolenti dentro di
lui, si
strinse nelle coperte e si fece sfuggire una lacrima, che gli
rigò il volto e
andò a bagnare il cuscino già umido.
“…
Muoio di
paura.” disse senza voltarsi.
“Paura di che cosa?”
“…Di dirlo a mia madre.”
“Perchè? Lei non lo sa quello che ti fa tuo
padre?”
“No…”
Kurt lo guardò incredulo.
“Perché non glielo dici? Tutto si
risolverebbe!”
Blaine si
rimise
seduto e guardò l’altro negli occhi.
“Kurt, non posso! Lo capisci? Non ci riesco.”
“…Di cosa hai paura?”
“Ho troppa paura che mia madre non mi creda.”
“E perché non dovrebbe crederti?”
“Perché lei sembra davvero convinta che lui voglia
passare del tempo con noi,
che sia cambiato, che voglia provare a rimediare… e che noi
siamo solo infastiditi
perché non andiamo d’accordo con lui.”
“Ma Blaine, lei non sa tutto.”
“No… Ma temo… temo che se glielo
dicessi, non mi crederebbe comunque. Temo che
si schieri dalla sua parte, che…”
stette
zitto per un secondo.
Un’altra
lacrima
gli rigò la guancia.
“…
che… mi
abbandoni…” disse
fra i singhiozzi.
“Come posso fare senza di lei? Come posso farcela da
solo?”
Kurt
smise di
pensare razionalmente. Aprì le coperte del suo letto e si
coricò vicino a lui,
senza che l’altro obiettasse.
Allungò le braccia e, lo strinse, più forte che
poteva.
Blaine non si oppose e ricambiò l’abbraccio.
Continuava a singhiozzare
apoggiato al suo petto.
A Kurt ci volle qualche secondo per comprendere quello che aveva appena
fatto.
Tuttavia non volle mollare la presa per nessun motivo. Stava bene.
Stava
abbracciando Blaine.
Non gli importava che le loro gambe si toccassero o che in quel letto
ci fosse
così tanto caldo. Non gli importava più, voleva
soltanto che Blaine smettesse
di piangere.
“Non sei solo.” disse. “Troveremo una
soluzione. Te lo prometto.”
Blaine
non smise
di piangere. Quella notte la passarono insieme, vicini e abbracciati
l’uno
all’altro. Blaine dopo tanto tempo si sentì
protetto. Aveva trovato un rifugio
sicuro fra quelle quattro mura, dove nessuno dei suoi problemi
l’avrebbe potuto
raggiungere.
Aveva
trovato la
possibilità di confidarsi con qualcuno, perché
sapeva che Kurt non l’avrebbe
giudicato. Confortato da quella prospettiva e esausto per quella
giornata, alla
fine si abbandonò al sonno e si addormentò fra le
braccia del suo amico.
Quella fu la terza notte che passarono insieme. E non fu
l’ultima.
---
Mi scuso tantissimo per l'enorme ritardo con cui ho postato il
6° ma ho avuto qualche problema.
Non sono stata in città in questi giorni quindi non so
quanto ci metterò per pubblicare il 7 :(
Ok, non ho molto altro da dire :) Ovviamente si accettano suggerimenti,
idee e sopratutto critiche.
Un bacio a tutti! <3
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