The Dark Side of Us and Them

di bababortola
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***



Capitolo 1
*** I ***


1.

Quella mattina Kurt era stato portato a pensare che la vita da figlio unico, solo con suo padre, non era stata poi così terribile. Si, era bello stare in una famiglia allargata, i piatti di Carole erano strepitosi e di certo erano meglio degli esperimenti gastronomici di suo padre e lui, ma quella mattina proprio non gli venne in mente nessuna di queste due buone ragioni.
Spalancò la porta della cucina e vi entrò a grandi passi, i capelli ancora liberi dal gel, la giacca appesa al braccio e la cravatta bicolore che gli pendeva al collo. Rapidamente acchiappò una mela dal ripiano della cucina con la quale avrebbe potuto arrangiare una rapida colazione sfidando la sua ipoglicemia. Finn lo seguiva con lo sguardo, con ancora addosso il pigiama e seduto davanti a un’abbondante tazza di cereali.
“Proprio non capisco come fai ad avere tutta questa energia di prima mattina” disse assonnato.
Il fratellino girò la testa verso di lui con uno scatto. Lo fulminò con uno sguardo che – Finn l’aveva imparato a proprie spese – non prometteva nulla di buono.
“Hai una bella faccia tosta a chiedermelo Finn Hudson!” 
Eccolo lì, nome e cognome pronunciati alla fine della frase, segno che indicava una lieve - ma non troppo lieve – irritazione, pensò Finn.

“Contavo che mi svegliassi tu” fece Kurt seccato.
“Cosa?”
“Dato che ti alzi presto per fare il turno di consegna giornali mi avevi detto che mi avresti svegliato. Te l’ha detto anche Carole.”
“E’ assurdo!”
“No! Sai cosa è veramente assurdo? Che il numero delle mie ore di sonno sia così ristretto! Mi coprirò di occhiaie. Ma a te che importa? Tu non devi farti un’ora di macchina ogni giorno per andare a scuola!”
Finn lo guardò con aria pressochè assente. I suoi pensieri erano rivolti a Quinn, e al suo continuo parlare del ballo, e della sua elezione a reginetta. Non poteva fare a meno di chiedersi se lo stesse usando soltanto per arrivare a quello, ma preferì non pensarci troppo.
Il suo sguardo si spostò immediatamente sul patrigno che aveva appena fatto ingresso nella cucina, probabilmente con l’intenzione di salvarlo.
“Kurt stai calmo, è ancora presto. Hai tutto il tempo per prepararti”
Kurt lanciò un’occhiata alle cifre lampeggianti del microonde. Suo padre aveva ragione.
“Prendo la cartella.”  Uscì dalla cucina sconfitto, seguito dallo sguardo del fratello.
“Non ci badare” disse poi Burt rivolto a Finn “E’ solo che non vede l’ora di vedere quel suo amico con cui sta sempre… Quindi ha mille cose per la testa” e fece spallucce.
“Uhm.. ma chi? Blaine?” rispose Finn ingoiando una grande cucchiata di cereali.
Burt annuì.
“Mmmh, non mi piace quel tipo.”
Burt fece ancora spallucce, come se volesse dire ‘non deve mica piacere a te’.

Lui, di suo, aveva fatto un enorme sforzo per non prendere in antipatia quel ragazzo. D’altronde, qualunque genitore avrebbe preso in antipatia qualunque ragazzo che ritrovava in mezzo alle lenzuola del letto del proprio figlio, ubriaco, o che viene a interromperti nel lavoro e ti chiede di parlargli di sesso, va beh, in quello era stato…come dire, gentile? Si, gentile nei confronti di Kurt e diciamo che l’aveva apprezzato. Aveva comunque scelto di andare contro il suo istinto da genitore e di pensare alla felicità di Kurt. Sapeva che quel ragazzo era importante per lui, anche se erano solo amici. Sapeva che se lui non avesse avuto nulla contro quel ragazzo… beh sarebbe stato più semplice, e sarebbe stato ancora più semplice nell’eventualità che se le cose si fossero fatte più serie, Kurt si sarebbe sentito libero di parlargliene. Si, aveva pensato anche a quella possibilità.

-

La campanella annunciò la fine della quinta ora.

“Hey” fece Kurt procedendo verso quello che era l’armadietto di Blaine Anderson “Mensa?”.
Il ragazzo di fronte a lui doveva non averlo sentito, dato che non si era voltato e continuava a sistemare i libri nell’armadietto. Avrebbe almeno dovuto accorgersi che Kurt era lì affianco.
“Blaine?”
L’altro si voltò di scatto. “Oh.. ciao.”
“Ciao. Andiamo a pranzo?”
Esitò un po’ a rispondere. “…Certo!”

Alle volte Blaine non era molto loquace. Non c’era nulla di strano in quello, ma Kurt si chiese se Blaine non avesse avuto il verme solitario quando lo vide riempirsi due volte il vassoio. Ma fece finta di non notarlo.

-

Le riunioni dei Warblers diventavano ogni giorno più noiose. Kurt se ne stava lì, seduto sul suo divano, con le gambe acavallate tenendosi la testa con la mano. Sentiva che si era lasciato qualcosa alle spalle. Qualcuno.

Quel Kurt Hummel che camminava per i corridoi vestito da Lady Gaga su dei tacchi vertiginosi fregandosene di quello che diceva la gente. Certo, le prendeva sempre, ma almeno il McKinley era il suo campo di battaglia. La Dalton non era certo meno pericolosa. Quella del ‘tutti uguali e trattati allo stesso modo’ era solo la copertina del libro, ed era anche una bugia. Al McKinley se provavi a distinguerti venivi picchiato, gettato nel cassonetto o granitato, ma finiva lì. Alla Dalton se uscivi dal tuo posto, dal tuo ruolo – che loro ti avevano affibbiato – di certo non le prendevi, ma loro erano capaci di fare peggio, spegnere il tuo entusiasmo, toglierti la parola e la capacità di riscattarti. Loro. Quel maledetto consiglio.

Blaine sembrava sempre ascoltare e sottostare pacificamente alle decisioni del consiglio, anche se a volte aveva proposto delle idee innovative e senza sbilanciarsi troppo. L’avevano ascoltato soltanto perché era il solista e dipendevano da lui.
Kurt lanciava delle occhiate al divano affianco, dove stava seduta l’unica ragione che lo spingeva a rimanere nei Warblers.

“Allora è deciso.” Wes battè il martelletto. Cosa si fosse deciso Kurt non lo sapeva. Non gli interessava molto, sarebbe comunque finito a ondeggiare in mezzo a tutti gli altri.
Kurt vide Blaine tirare la testa indietro e sospirare. Forse anche lui si era scocciato di tutto quello. Chissà a che pensava.

Gli altri Warblers dovevano averlo sentito e cominciarono a guardarsi l’un l’altro interrogativi.
“Qualcosa non va Blaine?” fece Wes da dietro la scrivania.
Blaine si girò appena col capo, quanto bastava per guardare l’altro negli occhi.
“Mmh.. Wes, ti è mai venuto in mente che sei… noioso da morire?”
Silenzio nell’aula. Quell’uscita di Blaine aveva attonito quei cagnolini scodinzolanti che ora fissavano a bocca aperta il loro maschio alfa. Blaine aprofittò di quel silenzio per continuare.
“Anzi, a dire il vero, tutti voi, fatta eccezione per pochissimi, siete noiosi da morire.”
Un mormorio di stupore si levò nell’aula.
“Ma come ti …”
“Ah, e queste riunioni sono noiose da morire.” Fece una pausa. “Ho finito.”

Il martelletto colpì ancora il tavolo e la riunione terminò. Kurt era forse stato l’unico a non scomporsi durante l’intervento di Blaine. L’aveva guardato attentamente e aveva appurato che, sì, Blaine quel giorno era strano.
Ma sembro tornare tutto normale quando sorridente gli si avvicinò chiedendogli:
“Caffetteria come sempre?”
“… Blaine stai bene?”
L’altro agrottò le soppracciglia stranito.
“Sto benissimo” disse sorridendo.
“Okay”

Forse davvero si era immaginato tutto, perché Blaine in caffetteria e fuori dalla scuola sembrava quello di sempre. Avevano chiaccherato come sempre, nessuno dei due aveva accennato a quello che era successo alla riunione.

“Oh, è tardi. Devo andare.” Disse Kurt non appena visto l’orologio.
“Come? Te ne vai di già?” fece Blaine con aria triste.
“Andiamo sempre via a quest’ora Blaine. E poi devo fare anche un’ora di auto, lo sai.” Disse confuso “Che ti prende?”
“…No.” Fece guardando in basso. “No, nulla. Credevo non fosse così tardi, scusa.”

 

 

-

“Finn che schifo!”
Kurt era inorridito dalla potenza dei rutti che potevano uscire dalla bocca del fratello. Finn, d’altro canto, aveva cominciato a prenderci gusto nel provocare Kurt, proprio come un vero fratello, e il rimprovero di Kurt lo fece soltanto sorridere.
“Tocca a te lavare i piatti” disse il più piccolo.
“E tu devi buttare la spazzatura”
“Lo so, lo so”

Kurt si infilò nel suo cappotto color petrolio e uscì dalla porta con i sacchi stretti fra le dita candide. Camminava calmo e pacato, stava in mezzo ai suoi pensieri e all’aria fredda della notte che lo picchiava in viso. I suoi soliti pensieri gli ronzavano nella testa.
Ovviamente Blaine, la sua famiglia, la scuola, i Warblers, gli amici,…

La maggior parte dei suoi pensieri erano ovviamente dedicati al primo della lista, Blaine. Pensava al suo comportamento di oggi, a cosa doveva essere dovuto, che forse non era così fantastico e perfetto come gli era sembrato quando l’aveva incontrato per la prima volta. Certe volte aveva avuto i suoi momenti: il suo egocentrismo, la sua cotta per il commesso del Gap, la festa super-alcholica di Rachel,… che gli avevano fatto sentire tanta di quella gelosia e l’avevano fatto sentire così stupido. E poi c’era stata quella mattina. Come poteva sapere cosa gli saltasse per la testa?

Credette di avere un’allucinazione quando gli sembrò di vederlo in lontananza. Si era di sicuro un’allucinazione dovuta al fatto che era notte, era stanco, e che stava pensando a lui da ore. Non poteva essere lui, sennò cosa ci stava facendo lì?

Con un leggero sforzo della vista si accorse invece che era proprio Blaine.

L’istinto fu più veloce della mente. Senza porsi troppe domande gettò in fretta il sacchetto nel cestino e si diresse a grandi passi verso di lui per salutarlo. Stava a qualche decina di metri dal vialetto di casa sua. Non gli venne neanche in mente che suo padre o Finn avrebbero potuto vederli dalla finestra e pensare chissà che cosa. 

“Hey, che ci fai qui?” la domanda era uscita così, senza troppe pretese, ma sperava di non essere sembrato sgradevole.

Blaine sembro piombare a terra, chissà da quale dimensione si trovasse, prima che gli fosse posta quella domanda e prima di essersi trovato davanti il volto di Kurt nascosto nell’alto colletto del cappotto. Al suo silenzio Kurt si decise a osare un’altra domanda.
“Io.. non sapevo che abitassi qui. Mi avevi detto di vivere vicino alla scuola,… a Westerville” disse abozzando un mezzo sorriso.
Blaine si sentì interdetto. Era stanco. Sputò fuori quella che era la verità. “Ci vivo infatti.”
“Ah” Kurt non osò chiedere ancora una volta cosa ci facesse là, lontano da casa. Il sorriso gli sparì dal volto quando, illuminato dalla luce di un lampione, ebbe l’occasione di vederlo meglio.

“Blaine ma tu…” il suo sguardo si fece serio, leggendogli il volto con i suoi occhi celesti.
“…Ma tu tremi?”

In effetti era proprio così. Blaine palpitava e rabbrividiva, e se qualche sconosciuto fosse passato di lì nei paraggi l’avrebbe anche sentito buttar fuori una gran moltitudine di sospiri.
“Blaine che succede?” fece preoccupato Kurt.
Il silenzio di Blaine fu una risposta sufficiente. Era chiaro che non si trovava lì per una semplice passeggiata. Kurt prese Blaine per il braccio e lo condusse a fare un giro della schiera di case, prendendo una piccola stradina e convincerlo a sputare il rospo.

Finirono per sedersi sui gradini di un androne. Blaine teneva la testa fra le mani.
“Ho litigato con mia madre.” Disse “E avevo bisogno di uscire un po’.”
Kurt capì che aveva detto la verità, ma non volle sentire ragioni.
“E’ pericoloso stare qui da soli a quest’ora. Torna a casa, è meglio.”
Blaine buttò la testa in mezzo alle sue ginocchia, rannicchiato su se stesso cacciò fuori un soffio.
“Vai” disse Kurt con tono autoritario, sapeva cosa era giusto.
Blaine si alzò, e lo guardò negli occhi, annuendo lievemente.
Kurt vide la sua figura camminare lenta verso quella che avrebbe dovuto essere (sperava che lo fosse) la direzione per casa sua.
Anche lui rientrò a casa, col vento che gli scottava le guance, stretto nel suo cappotto, si chiese da quante ore Blaine fosse fuori da casa, e da quante ore stesse soffrendo tutto quel freddo.

---

Ok, scrivere una premessa mi sembrava troppo stupido e noioso, quindi scrivo quello che devo scrivere qua. 
Questo è il primo capitolo di una cosa che mi è venuta in mente subito dopo aver visto "Sexy". Mi aveva colpito molto la piccola "confessione" che Blaine aveva fatto a Burt riguardo ai suoi problemi col padre e mi stupisco che non sia stata approfondita affatto. Blaine è un personaggio particolare e mi incuriosisce molto, è diciamo spavaldo, è praticamente perfetto in tutto quello che fa e nel modo in cui lo fa. Questo porta di solito a due cose: o viene odiato o amato alla follia, o entrambe le cose (il mio caso).
Sto parlando troppo brr...
In poche parole, in questa fic voglio mostrare un lato più nascosto di Blaine : > Tutto qua.

Spero vi piaccia... ^^

Dedico questo primo capitolo a Ipuccia che ha perso un sacco di tempo a leggerla e ad aiutarmi e che oggi compie gli anni <3

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Capitolo 2
*** II ***


2.

 

Alla Dalton l’ora di ginnastica era molto diversa da quella del McKinley. Nessuna testa nel water, nessuna presa in giro, un’ora piuttosto tranquilla che a Kurt non dispiaceva.

Ma quella era pur sempre una scuola maschile. Non era raro che alcuni ragazzi entrassero in competizione fra loro per le cose più stupide come chi correva più veloce, chi faceva gli scatti migliori o chi riusciva ad afferrare più palle al balzo. Stupidi comportamenti che facevano sembrare la Dalton una scuola meno anormale, e i ragazzi non erano più quei damerini che battevano il martelletto dietro a una suntuosa scrivania in ciliegio, ma dei ragazzi normali.

Kurt, come aveva sempre fatto, si limitava a lavorare normalmente, evitando quelle stupide esibizioni mosse dal testosterone che montava. Erano stupide, per l’appunto.

Quello che spiccava di più per le sue doti atletiche era senz’altro David, ma lui mostrava un atteggiamento diverso dagli altri e non ne faceva un vanto. Doveva però accogliere tutte le sfide degli altri studenti che insistevano e lo pregavano di potersi misurare con lui. Tutti ambivano a batterlo.

“David preparati a prenderle”
Quel giorno era stato Logan ad aver lanciato la sfida per primo.

“Lo vedremo” fece David acettando pacificamente la sfida e appostandosi dietro un solco nella sabbia che fungeva da linea di partenza.

La sfida non durò più di un giro di campo. Logan arrancò gli ultimi passi esausto e palpitante, i capelli dorati e la maglia appiccicati alla pelle dal sudore. Riuscì a raggiungere David che si era fermato al traguardo di sabbia pochi secondi prima.
Logan annaspò un poco prima di riuscire a dire qualcosa. “Voglio la rivincita.”
“Scordatelo, sono esausto.”
“Ti ho detto che voglio la rivincita.”

La scena andò avanti così per qualche minuto. Accanto a Kurt, Blaine stava seduto nella panchina, apoggiato sulla rete di sicurezza che separava il prato dal campo con lo sguardo fisso sui suoi compagni.

“Perché non riesci ad accettare che sono più bravo di te nella corsa?” David non si rese conto che quella domanda invece che voler essere sportiva e pacifica, avrebbe provocato ancora di più il suo compagno.

Logan tornò fra gli altri sconfitto, cercando un posto per sedersi.
“Levati dai piedi tappeto” disse spavaldo rivolto a Blaine.
“Scusami?”
“Fammi sedere”
“Senti non so quale sia il tuo problema ma fare il prepotente con me non farà passare in secondo piano il fatto che David ti ha battuto per la milionesima volta” disse con una leggero sorriso.

“Taci Anderson! Non riusciresti a fare il mio tempo neanche fra un milione di anni con quelle gambette da checca che ti ritrovi! E adesso spostati!” sbottò Logan.
In Blaine sembrò accendersi qualcosa, senza però esplodere. Si alzò lentamente e mosse qualche passo verso il ragazzo biondo, che ora stava a pochi centimetri di distanza da lui e per un attimo Kurt temette il peggio.

“Ci sto” fece a denti stretti.

A Kurt era parso di capire che Blaine non fosse il tipo da zuffe. Di solito era sempre calmo e pacato e cercava di evitare i conflitti.
Quel Blaine che Kurt pareva di conoscere così bene si dileguò in un attimo, quando lo vide tracciare di nuovo la linea nel campo facendo strisciare il tallone contro la sabbia e guardando Logan con una ferocia negli occhi e una tal rabbia che chiunque avrebbe pensato che una parola di troppo detta dal biondo avrebbe fatto finire la cosa a cazzotti.

E poi partirono. Al via dato da un ragazzo di nome Fred scattarono entrambi, tirando su un gran cumulo di polvere.

All’inizio Logan era in netto vantaggio, malgrado fosse già esausto dalla sfida contro David.
A un tratto, circa a un terzo del percorso la situazione di rivoltò.

Blaine prese come una gran carica e come se da quella gara dipendesse tutta la sua vita cominciò a correre più veloce, molto più veloce, come se avesse trovato un’energia dentro di sé che non sapeva di poter tirare fuori. La sabbia sotto ai suoi piedi si sollevava in grandi ondate, andando a finire negli occhi di Logan, che era stato appena superato. Ma la cosa più impressionante era l’espressione che Blaine teneva in viso. Le soppracciglia erano aggrottate in un’espressione torva, gli occhi sgranati che mandavano fiamme di rabbia dalle pupille, i capelli zuppi di sudore e completamente in disordine. Era spaventoso.

Logan tentava di recuperare ma a ogni accelerata che tentava di fare Blaine correva più veloce ancora, evitando così di farsi superare.
Per il resto della competizione Blaine fu sempre in testa, e per primo tagliò il traguardo.

Kurt era sbalordito. Quello che ora aveva davanti con i capelli spettinati e il fiatone non poteva essere il suo amico che lo portava a vedere musical e poi da Starbucks, non era lui, non aveva la minima idea di chi fosse quel tipo.
Lo vide ancora: lo sguardo di Blaine. Quegli occhi, così pieni di rabbia, rivolti a Logan.
“Te l’ho fatta vedere” disse annaspando “Sono molto più veloce di te…” prese fiato “… e te l’ho dimostrato”.
Poteva mai essere possibile che Blaine potesse essersi scaldato tanto solamente per una così banale sfida? Con Logan poi! Era un Warbler anche lui e, era vero, lanciava qualche frecciatina ma Blaine non l’aveva mai assecondato e si era mostrato superiore. Ma ora, cosa era successo?
Poteva darsi che a Blaine avesse dato fastidio l’uso della parola ‘checca’, ma Kurt non ci contava molto. Lui, che era da sempre stato folgorato dalla perfezione e dal carisma di Blaine (quel Blaine che ora pareva lontano mille anni da quello che vedeva in quel momento), non potè fare a meno di pensare che forse la causa di quello strano comportamento poteva essere proprio lui. Ma cosa mai poteva aver fatto? Non ricordava di aver mai detto o fatto nulla che avrebbe potuto anche lontanamente offenderlo o ferirlo, no, niente. In effetti era un’ipotesi assurda, ma lo terrorizzava a tal punto da non voler abbandonare in nessun modo la sua mente.

Non l’abbandonò nemmeno quando un mormorio di preoccupazione si levò nel campo.

“Blaine stai bene?” fece uno dei ragazzi.
“Certo, non vi preoccupate. E’ solo un po’ di capogiro.”

Kurt alzò appena lo sguardo, vide che Blaine gli si stava avvicinando, aveva reindossato il suo solito sorriso di sempre, anche se faticava a camminare.
“Kurt…” disse afferrandogli l’avambraccio “… andiamo in cla…”

Kurt sentì la presa sul braccio stringersi appena, per poi allentarsi e perdersi completamente. Vide gli occhi dell’amico ruotare all’indietro a chiudersi e il peso del suo corpo accasciarsi e abbandonarsi alle sue braccia.
Fu in realtà tutto molto veloce.
Fra le preoccupazioni dei compagni e degli ordini del coatch di stare indietro per ‘lasciare aria’ in meno di un minuto Kurt aveva già portato di peso Blaine fino all’infermeria col cuore che gli batteva in gola.
Ora Blaine stava sdraiato sul lettino con l’amico di fianco che aspettava che si riprendesse.

Kurt bagnò lo straccio di acqua fredda per la terza volta e lo premette sulla fronte e le gote di Blaine, si voltò un attimo verso un catino pieno d’acqua per strizzare lo straccio quando sentì una voce.

“Che bello vederti.”

Blaine aveva aperto gli occhi in uno sguardo che non poteva davvero essere più dolce. Le labbra erano distese in un sorriso mentre guardava verso l’amico.

“Sei svenuto” disse Kurt. La condizione di salute di Blaine gli pareva più importanrte di qualunque adorabile espressione rintontita dovuta a uno svenimento.
“Come stai?” disse di nuovo.
“Sto bene.”
“Hai faticato troppo mentre correvi” rispose serio.
“Si” fece l’altro sogghignando “…ma ho battuto Logan!”
“Blaine sono serio, non devi sforzarti così se sai che ti fa quest’effetto. Davvero.” E gli bagnò ancora la fronte con lo straccio umido.

Blaine guardò Kurt con un’espressione fra l’addolcito e il sorpreso. Non sapeva che Kurt avesse questo lato così protettivo. Kurt, vedendo la sua espressione, credette di averlo offeso  o esser stato troppo duro e volle allentare l’atmosfera.
“A me succede a volte.” Disse con più calma “Diciamo che non ho un corpo molto resistente, se non mangio qualcosa al mattino può capitare che cada a terra all’improvviso privo di sensi.”

Blaine accennò un altro sorriso.
“Anche tu sei così?” disse poi.
Blaine fece no con la testa. “Però non tocco cibo da ieri mattina”
Kurt sgranò gli occhi. “Co-come?”
“Sennò avrei senz’altro fatto un tempo migliore…” disse sogghignando.
Kurt s’alzò di scatto. Fece due giri dell’infermeria, portò le mani all’altezza del viso e aprì la bocca come per dire qualcosa, poi la richiuse e si fermo davanti al lettino, incrociando le braccia.

“Pe-perché sei a digiuno?? Lo sai quanto ci hai fatto spaventare?”
“Kurt…” il ghigno gli sparì dal volto “Kurt, io…” tentò di dire qualcosa, senza sapere esattamente che cosa.
“No!” sbottò Kurt interrompendolo “Io proprio non riesco a capirti!”
Perse la pazienza. Era vero. Aveva detto la verità, come fanno le persone quando si arrabbiano: dicono quello che pensano. Blaine era sempre al suo fianco, era suo amico. Lottava ogni giorno con il suo cuore per cercare di farlo battere più lentamente ogni momento che si trovavano insieme. Cercava di convincersi che erano solo amici e questa oltre che essere una condanna era anche la sua unica consolazione, era suo amico. Nell’ambito di amicizia Blaine poteva essere suo. Era quella parola che lo consolava e alle volte davvero non poteva chiedere di meglio. Ma vedere Blaine fare così lo stupido e rovinarsi con il digiuno per chissà quale motivo, no, non poteva proprio sopportarlo.

Blaine stava lì, sdraiato sul lettino, senza sapere cosa dire o come giustificarsi. Si limitava a seguire il movimento degli occhi di Kurt, che prima guardavano verso di lui e poi in basso, pensierosi.
“E’ meglio se andiamo in classe” e si girò verso la porta dell’infermeria per uscire.
“Kurt aspet…”

Giusto il tempo di alzarsi in piedi, che Blaine svenne di nuovo. Quando arrivò l’infermiera disse che non avrebbe dovuto fare movimenti bruschi, e disse a Kurt di lasciare fare a lei, che avrebbe chiamato la madre per venirlo a prendere e che tutto si sarebbe risolto.

Kurt non potè fare a meno di chiedersi se avesse fatto bene a rimproverarlo così. Rimase con quel quesito nella testa per tutta la giornata, senza riuscire a darsi pace né a prestare attenzione alle lezioni. Era tutto un chiedersi e tormentarsi.

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Capitolo 3
*** III ***


3.
La voce di Finn aveva fatto eco per tutta l’officina.
“Hey Burt… ti disturbo?” aveva detto con un velo di imbarazzo. Non entrava mai nell’officina.
“Niente affatto Finn, dimmi pure” fece una voce ovattata che Finn capì, dopo un attimo di spaesamento, provenire dal sotto di un’auto a cui Burt lavorava da un po’ di giorni.
“Ecco… tu mi conosci bene ormai, abbiamo parlato un sacco di volte e mi hai sempre detto che avrei potuto parlarti di qualunque cosa.” Non sapeva se sentirsi a disagio o meno, gli piaceva parlare con Burt, aveva sempre la risposta pronta a tutto, quindi perché non chiedergli un consiglio?
Burt sbucò fuori dal suo lavoro e si mise in piedi davanti a lui, con un’espressione preoccupata.
“E’ successo qualcosa?”
“Oh no! No.. no, nulla di grave” lo tranquillizzò subito Finn.  “Ho bisogno di un consiglio… è per una ragazza, e non mi sento molto a mio agio a parlarne con mia madre. Capisci no?” disse con timidezza.
Burt fece sì con la testa, con l’aria di chi aveva già capito tutto. Si mise a sedere e indicò al figliastro una sedia davanti a lui.
“Su, siediti” fece paterno.
Finn obbedì e attese in silenzio che il patrigno dicesse qualcosa. Burt, d’altra parte, non sentendo Finn proferire parola decise di cominciare lui.
“Si tratta di Rachel?”
“No no…” disse con un velo di tristezza “E’… Quinn.”
“Quinn? La ragazza incinta dell’anno scorso?”
Finn annuì. “E’ fantastica. E’ bella, misteriosa… affascinante…”
“Ma…?” lo interruppè Burt.
“Ho l’impressione che mi stia solo usando.”
“Usando??” fece Burt con tono incredulo.
“Per il titolo di reginetta! Non fa che parlare del ballo, di come saremo popolari,… e io non so più cosa pensare!” sbottò.
“Ok, ok…” lo calmò Burt portando le mani avanti “Il punto qui non è quali siano i tuoi sospetti, il punto qui è cosa lei provi per te, te l’ha mai detto?”
Finn ci pensò un momento.
“…Si, ha detto che il suo posto è accanto a me, ma non ho ben capito cosa intendesse dire.”

Burt lo scrutò ancora, aspettando che il figliastro capisse che invece la ragazza era stata molto eloquente. Secondo lui.
Finn invece guardava per terra, come se la polvere sul pavimento dell’officina avesse potuto dare una risposta ai suoi problemi. Il patrigno vide la richiesta di aiuto e decise di prendere parola di nuovo.
“Senti Finn, la base di un rapporto serio è la fiducia reciproca. E’ chiaro che questa ragazza ha passato un periodo molto duro, quello che mi sembra di capire è che ha bisogno di ritrovarti e che ha bisogno di te.”
“Di me?” fece Finn perplesso.
“Esatto. Quando vuoi davvero bene a una persona, fai di tutto per proteggerla. Il tuo compito è proteggerla, è una ragazza ed è la tua ragazza. Le donne non sono come noi uomini, loro non cercano il divertimento di una storia. Loro sanno già che quello che le renderebbe davvero felici è un rapporto con una persona di cui possono fidarsi. E noi uomini, credi a me, ci mettiamo, davvero, troppo tempo a capirlo.”
Burt ora teneva quell’espressione, quell’espressione rassicurante e seria che solo un padre può tenere. Quell’espressione che Finn non aveva mai davvero conosciuto ma allo stesso tempo aveva cercato faticosamente, senza mai trovarla e che ora si trovava lì, davanti a sé, negli occhi verdi del signor Hummel. Gli bastò quello per convincersi che Burt aveva ragione. Inoltre, aveva usato le sue stesse parole che aveva usato con Quinn, un po’ diverse forse.
“E’ chiaro?”
“Si…” fece Finn alzandosi con un sorriso “grazie Burt”.
“Non c’è di che” disse, e tornò al suo lavoro.

-

In quei giorni faceva caldo. Erano appena i primi di Aprile ma la primavera aveva ormai fatto il suo ingresso. Quel giorno il sole picchiava davvero forte, il cielo era limpido. Era una giornata particolarmente bella. Kurt guardava fuori dalla finestra, incantato dal paesaggio primaverile del cortile della scuola senza badare minimamente a alla lezione di scienze.
Non sappiamo a cosa stesse pensando. Forse viaggiava con la mente e sognava ad occhi aperti guardando gli alberi coprirsi di fiori, come fanno gli innamorati. Forse non aveva voglia di seguire la lezione. Forse aveva preferito isolarsi dal resto della classe, senza chiaccherare con nessuno, dato che oggi il suo amico non c’era. Forse era soltanto in attesa che l’ultima campanella suonasse.
Alla fine suonò. Kurt sapeva già dove andare e che direzione prendere. Afferrò la sua cartella e se la mise a tracolla e si mosse a grandi passi verso il parcheggio. Mise in moto e tenne il piede premuto sull’accelleratore per quindici minuti buoni, senza mai fermarsi. Si era ricordato della strada benchè ci fosse passato solo una volta, non era trafficata ed era tutta un susseguirsi di curve ad esse. Un posto un po’ sperduto e inusuale per collocarci una casa.
Il verde si faceva più vasto a ogni metro. Ci si doveva, poi, infilare con l’auto in una nicchia formata da alberi che andavano a formare una specie di arco. Da lì in poi, la strada era asfaltata da pietre piatte e terra, quasi come delle mattonelle. La casa poi ti compariva praticamente davanti, non era grande ma in buono stato. Per nulla somigliante a una casa di campagna o a una fattoria, (tanto meno ad una villa) ma più che altro a una casa di periferia. Tutto questo a soli quindici minuti di auto dal centro. Assurdo!
Kurt tirò un sospiro di sollievo quando vide scritto sopra il campanello il cognome che cercava. Con un po’ di timore, premette col dito il pulsante sotto la scritta “Anderson”.
Anche se avesse voluto non avrebbe potuto tirarsi indietro, qualcuno doveva aver visto la sua macchina fermarsi là vicino e la sua figura dirigersi verso la porta.
Stava là ad aspettare, i secondi divennero più lenti.
Dopo un po’ la porta si aprì e con grande sorpresa di Kurt ad aprire fu una ragazza. Con una rapida occhiata Kurt potè constatare che non si trattava della madre di Blaine, dato che saltava all’occhio che avesse circa la sua stessa età. Portava i capelli raccolti in una coda scompigliata, delle lunghe ciocche in libertà le incorniciavano il viso, finendo con dei ricciolini. Indossava una giacca Letterman, (come quelle che indossano i giocatori di football) sopra un top nero e dei jeans sgualciti e strappati. Non assomigliava per niente a nessuna delle sue amiche.
“Posso aiutarti?” disse con occhi interrogativi, dopo averlo squadrato anche lei da capo a piedi.
“Sono un amico di Blaine. Oggi non c’era e sono venuto a portargli i compiti.” Un piccolo pretesto per andare a controllare che Blaine stesse bene dopo l’incidente del giorno prima, e per scusarsi per essere stato così sgarbato, forse.
La ragazza davanti a lui cambiò espressione.
“Ooh… ma che gentile!” disse illuminandosi di un sorriso sincero. “Ma purtroppo Blaine adesso non è in casa, ecco è… uscito un attimo a comprare delle cose, non so quando tornerà.” Disse poi evitando lo sguardo dell’altro. “Mi dispiace così tanto però, hai fatto molta strada? AH, comunque Blaine non si sentiva molto bene oggi, sai, dei… giramenti di testa” disse la sconosciuta continuando a sorridere. “…Ma domani verrà a scuola! Sei stato comunque gentile a preoccuparti. Sei un suo amico vero?”
Kurt fece sì con la testa, un po’ sorpreso per la marea di parole che la ragazza stava buttando fuori con così tanta naturalezza.
“Ho capito, beh, dai pure a me i compiti. Penserò io a darglieli e a dirgli che sei passato.”
“Oh, certo. Tieni pure.” Disse Kurt porgendogli un paio di libri e una pila di fogli. Tentativo fallito.
“O dio, che stupida. Non ti ho chiesto neanche come ti chiami.”
“Kurt Hummel” disse lui sorridendo.
“Kurt Hummel” disse lei scandendo il nome sulle labbra “Kurt… Hummel… cercherò di ricordarmelo. Beh, allora ciao Kurt e grazie per essere passato.”
“Di niente” rispose Kurt. La porta si chiuse alle sue spalle e si diresse verso la macchina che distava solo pochi metri. Si accorse solo in quel momento che non sapeva minimamente come si chiamasse la ragazza che fino a quel momento gli era stata davanti, e che non sapeva effettivamente chi fosse. D’altronde gli aveva detto che Blaine stava bene, e che il giorno dopo l’avrebbe rivisto a scuola, cosa c’era di cui preoccuparsi in fondo?
-
“Chi era Nelly ?”
Una donna, circa sulla trentina, stava seduta sul divano. La testa, tenuta da un palmo della sua mano, non si mosse per rivolgersi alla figlia, ma continuava a guardare davanti a sè, incantata dalle fiamme del caminetto.
Nelly si poggiò alla porta, continuando a stare in piedi e guardò sua madre. “Era un amico di Blaine.”
“Sa dov’è?” disse voltadosi di scatto.
“No, è venuto solo per passargli i compiti. Credeva che fosse qui.”  e sospirò chiedendosi a cosa stesse pensando sua madre mentre parlava con quel ragazzo alla porta. “Non l’ho mai visto sai?…” disse cercando di sviare su un altro argomento.
La donna si voltò di nuovo sconsolata, coprendosi il viso con le mani fece un lungo sospiro.
“Mamma…” tentò di dire Nelly “… Mamma, tornerà. Lo sai meglio di me.”

“…Non capisco”
“Non dev’essere andato molto lontano” disse mettendosi vicino a lei. “Starà via giusto il tempo che lui starà qui. Poi quando sarà sicuro che lui se ne sarà andato via, tornerà.”
Sara, così si chiamavala donna, si alzò dal divano. Si asciugò gli occhi da quello che, se non l’avesse interrotto sul nascere, si sarebbe rivelato un pianto interminabile e si diresse verso la sua stanza.
“Nelly io vado al lavoro. Rimani a casa e non invitare nessuno.”
“Va bene mamma”
Nelly avrebbe potuto benissimo mettersi a urlare, strepitare, rompere oggetti come aveva fatto nei giorni precedenti, ma le sembrava davvero troppo e anche se ne aveva tutte le ragioni non poteva farlo mentre sua madre era sull’orlo di una crisi di pianto come una quattordicenne. Inoltre sarebbe apparso poco originale e improduttivo dopo tre giorni di guerra e urla e la distruzione di cinque piatti e un quadro. Quell’ambiente non aveva fatto che peggiorare la situazione e far fuggire Blaine da casa. No, per quella sera avrebbe obbedito a sua madre senza fare storie.
--
“Sono a casa” disse Kurt poggiando le chiavi nel tavolino. Il salotto che di solito era occupato da suo padre e Finn che guardavano la partita di chissà quale campionato, era vuoto. Si sporse leggermente verso la cucina, quanto bastava per constatare che la porta era aperta e che tutta la sua nuova famiglia era intenta in quella che doveva essere la preparazione della cena. Suo padre, in ginocchio sul pavimento, controllava attentamente la temperatura del forno, mentre Carole e Finn tagliavano le verdure. Non si erano nemmeno accorti del suo arrivo.
“Tesoro, fai così: prendi le foglie di prezzemolo e le accartocci tutte come se fossero una pallina e poi le sminuzzi finemente. Ah, e non voglio fare un condimento di dita, quindi stai attento.”
“Così?” disse Finn confuso.
“Che succede qua?” chiese Kurt sulla porta della cucina.
 “Oh… tuo padre si è messo in testa che deve saper cucinare un agnello come si deve” rispose Carole sorridente.
“E come procede?” fece Kurt alzando un sopracciglio incredulo.
“Magnificamente” disse Burt senza togliere gli occhi dal forno.
“L’odore sembra buono” disse Finn.
“Io non mi fiderei troppo” fece Kurt saccente “Tutti gli esperimenti culinari di papà si sono sempre rivelati dei fallimenti. Fossi in voi temerei per un avvelenamento da cibo.”
“Io non farei così tanto il presuntuoso. Mi sono messo d’impegno e sembra promettere bene” disse Burt.
“Finn, lascia stare, ci penso io alle verdure” disse Carole “perché voi ragazzi non andate in salotto e aspettate che la cena sia pronta?”
I due fratelli si sedettero nel divano. Finn si impossessò del telecomando alla ricerca di qualcosa da guardare.
“Non c’è qualche gara di auto o qualche partita in programma stasera?”
“No… non sembra almeno” disse il frattello con gli occhi fissi sullo schermo mentre faceva zapping fra i canali. “Dove eri?” chiese poi.
Kurt non seppe se dire a Finn che era stato a casa di Blaine. In fondo non aveva fatto nulla di male e non l’aveva neanche trovato in casa, ma sapeva che a Finn Blaine non piaceva molto e per un momento fu tentato di dire una bugia. Poi, però ripensò al loro rapporto di fratelli già instabile che con delle bugie sarebbe stato compromesso ancora di più.
“Ero a casa di Blaine”
“Ah si?”
“Si, era malato e sono passato per dargli i compiti. Non pensare male.”
Il fratellastro lo guardò storto con un sorriso “O dio, non ho affatto pensato male! Fratello ti fai troppe paranoie!”
Forse era vero. Kurt arrossì per l’imbarazzo. “E tu dove eri?”
“Io sono sempre stato qui.”
“Non sei uscito con…” Kurt ci pensò un attimo “… con chiunque tu stia al momento?”
Finn lo guardò con aria triste, ricordanosi della sua incasinata vita sentimentale.
“S-scusa” disse Kurt con imbarazzo.
“No, no… figurati.”
“Stai con Quinn vero?”
“Si…” si alzò dal divano, forse per evitare di dire al fratello che aveva parlato di ragazze con suo padre, facendolo sentire escluso in qualche modo. O forse per evitare che le parole elaborate di Kurt avessero potuto smontare in pochi secondi la sua convinzione che Quinn ci tenesse davvero a lui. “Non c’è niente di bello alla tv, guardala tu. Io vado in camera.” Disse con finta naturalezza.

“Oh! Accidenti Burt!” Il signor Hummel aveva accidentalmente schizzato dell’olio da cucina sul maglione rosso carminio della signora Hudson. “L’avevo appena comprato!”
I passi svelti di Carole si sentivano per tutta la casa, si dirigevano al piano di sotto, nella lavanderia.
“Mio padre ha fatto danno?” disse Kurt sdraiato nel divano vedendo Carole con il maglione macchiato in mano scendere le scale.
“Si, ma non l’ha fatto apposta.”
“Non preoccuparti, la camicetta che portavi sotto ti sta anche meglio”disse sorridendo da bravo figlio amorevole.
Carole rispose con un sorriso e scese le scale.
Dalla cucina veniva un gran concerto di rumori, stoviglie, coltelli, l’acqua del rubinetto che scorreva.. tanto che Kurt credette di aver avuto un’allucinazione quando gli parve di sentire il campanello suonare. D’altronde, tutti erano in stanze diverse e quello più vicino alla porta era lui, ma chi poteva mai essere a quell’ora della sera?
-
Era assurdo. Assurdo e scortese. Non si ricordava se i suoi genitori glielo avessero mai detto ma, lui, di suo, aveva appreso nella sua vita che disturbare un’unità familiare all’ora di cena è pura scortesia. E se gli avesse davvero aperto? Cosa avrebbe detto? Che cosa avrebbe fatto? No, no, sarebbe dovuto tornare indietro, non neccessariamente a casa, no. Magari avrebbe dormito sotto un ponte fino al giorno dopo, e poi forse, sarebbe ritornato a casa. No, era assurdo suonare a casa di Kurt, per poi dirgli che cosa? Non lo sapeva, ma allo stesso tempo non gli era parso nella mente nessuna idea migliore. Ma no, non poteva suonare il campanello.

*din-don*

Ok, aveva suonato davvero il campanello. Magari avrebbe tirato fuori una scusa come del tipo
‘Hey, ciao, ho bucato una ruota!’ …ma quale ruota! Camminava da tutto il giorno e solo da qualche ora aveva capito quanto potesse fare freddo a Lima a una certa ora della sera.
Non aveva la minima idea di cosa dire se Kurt avesse aperto. E se ad aprire non fosse stato Kurt? Sbiancò al solo pensiero di trovarsi davanti il signor Hummel e di rimanere là senza dire nulla.
Ok, si sarebbe soltanto limitato a dire ‘Mi scusi per l’ora, ma Kurt può uscire un attimo per parlare?’ si, si… sembrava promettere bene come scusa. Ma poi? Cosa avrebbe detto? O dio, quanto avrebbe voluto non aver suonato affatto. Per un attimo sperò che nessuno avesse sentito il campanello. Sarebbe stato perfetto.
Non sentì nessuna voce, anche se le luci dentro casa erano accese. Stava per voltarsi e tornare sulla sua strada quando…

“Blaine, cosa ci fai qui?” chiese Kurt, in piedi sulla soglia della porta.

Blaine si sentì come paralizzarsi, cercò dentro di se quel poco di calma e buonsenso che gli era rimasto dopo quella giornata e fece un passo verso di lui pronto per parlare.
Aprì appena la bocca, ma le parole gli morirono sulle labbra, così, senza preavviso mentre Kurt continuava a guardarlo.
“Scusa per l’ora ma…” disse con un filo di voce guardando in basso. “…M-ma…ma io…”  gli occhi gli si riempirono di lacrime in un secondo.
Kurt chiuse la porta dietro di se e fece un passo verso di lui senza dire nulla.
Fu un attimo. Blaine si gettò fra le braccia dell’amico in un avido abbraccio. Premette la testa contro la sua spalla e abbandonò l’insensato proposito di trattenersi. La camicia di Kurt si riempì in pochi secondi delle lacrime di Blaine, che piangeva, cercando di trattenere i singhiozzi.
Kurt non disse nulla, lo strinse a sé soltanto e capì che davvero, qualcosa non andava. 

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Capitolo 4
*** IV ***


4.

Velocemente Kurt era rientrato in casa. Aveva detto alla sua famiglia che sarebbe dovuto uscire un attimo, inventandosi un motivo qualunque, (gli avrebbero comunque creduto in ogni caso) e promise che sarebbe tornato in tempo per la cena. Prese la giacca e uscì di nuovo.
“Ora noi due parliamo” aveva detto all’amico.
“T-ti chiedo scusa… non sarei dovuto venire qua.”
“Dovevi pensarci prima di sclerare in quel modo.” Aveva detto procedendo rapidamente davanti a sé.  “Su, seguimi.”

-

“Sono scappato”
Kurt guardò l’altro che stava a testa china, seduto nella panca della fermata degli autobus. Non sembrava molto colpito da quell’affermazione.
“Scappato da che cosa?”
“…Scappato da casa.” Disse Blaine con un evidente imbarazzo nella voce.
Kurt fece gli occhi in gloria. “Fin qui ci sono arrivato. Intendevo.. perché sei scappato?”
Nessuna risposta.
“Ok.” Kurt si mise in piedi, guardò in alto e lesse il cartello degli orari “Di qua passa una linea che va vicino a casa tua, cioè, è di strada quindi non ti verrebbe difficile.”
Gli andò incontro tirando fuori un rettangolo giallo dalla tasca. “Tieni”
“Kurt… non devi..”
“Tieni!” disse schiaffandogli il biglietto dell’autobus in mano “Torna a casa. Sei grande. Prenditi le tue responsabilità!”
Blaine abbassò di nuovo la testa, come un bambino quando viene sgridato e Kurt temette l’arrivo di un’altra crisi da pianto isterico.
Addolcì il tono della voce: “Rimango con te ad aspettare l’autobus.” E si risedette.
I minuti passavano lenti e silenziosi. Nessuno dei due parlava. Normalmente Kurt avrebbe fatto una marea di domande, si sarebbe arrabbiato nel vano tentativo di far ragionare l’amico, forse avrebbe anche potuto tirar fuori qualche mezza perla di moralismo, ma a che sarebbe servito?
Blaine sembrava intento a rispondere ad altre domande che teneva dentro di sè, sembrava occupato in altri guai, in altri affari. O forse non stava pensando a nulla, perché forse non voleva pensare a nulla.
Semplicemente stava lì, con la testa rivolta verso la strada deserta, senza avere il coraggio di voltarsi verso l’altro, perché sapeva benissimo che Kurt lo stava scrutando alla ricerca di qualcosa.
Passarono un po’ di tempo così. Kurt guardò l’orologio nel cellulare: era passata più di mezz’ora e la sua famiglia doveva essere preoccupata. Sospirò. Blaine se ne accorse e si sentì tremendamente in colpa, perciò trovò il coraggio di parlare:
“Che giorno è oggi?”
“Mhm… Venerdì.”
“Il venerdì c’è lo sciopero dei mezzi.” Disse con un filo di voce “Non passerà nessun autobus.”
Kurt lo guardò confuso.
“Me la farò a piedi, non preoccuparti” disse con un finto sorriso.
“Cos..?”
“Mhm… grazie Kurt.” Disse alzandosi e voltandogli le spalle.

-

“Finn quando imparerai a mangiare senza sporcare tutte le magliette che ti compro?” urlò Carole dalla lavanderia.
La donna piegava la biancheria pulita fresca di bucato e la odorava respirando quel buon profumo di pulito.
“Carole..”
la donna riconobbe la voce di Kurt dalla cima delle scale.
“Oh ciao tesoro, spero che tu non te la prenda ma abbiamo cenato senza di te, hai fatto un po’ tardi.”
“Si, mi dispiace tanto.” Disse scendendo i gradini con voce mesta. Mentre scendeva, la figura di un ragazzo che lo seguiva si rivelò alla luce della piccola stanza, seguita dallo sguardo perplesso della donna. “Ti devo chiedere un grosso favore Carole.”
La donna guardò prima uno e poi l’altro confusa. Blaine, allo sguardo di lei abbassò ancora di più gli occhi in preda alla vergogna.
“Cosa è successo Kurt?”
“Lui è Blaine. E’…” si prese un secondo per inventare qualcosa “…è successo un macello a casa sua e non può più tornare. Può dormire qua per stanotte?”
Carole annuì  “Certo.”
“Puoi rimanere qua tutto il tempo che ti serve” fece poi rivolta a Blaine. “Kurt fagli strada.”

-

“Non so come ringraziarti Kurt.” Fece Blaine mentre guardava l’altro sistemare un altro letto nella stanza.
“Spero tanto che tu non parli mentre dormi. Ho un programma di ore di sonno molto rigido da seguire.” E si mise sotto le coperte.
“Tua madre è davvero gentile.”
Blaine si tolse la giacca e le scarpe lasciandosi addosso la t-shirt e i pantaloni che aveva addosso e si strinse in mezzo alle coperte.
“Hai freddo?”
“Un po’ ”
“Stupido. Sei uno stupido che passa le giornate a vagare per la città con un misero cappotto di panno. Ecco perché hai freddo!”

Avrebbe tanto voluto dirglielo, ma si limitò a pensare quelle parole fra sé e tentare di trattenersi dal sorridere, perché parevano tanto le parole che si dicono ad un bambino che ha appena fatto una monelleria.

“Perché ridi?”
“No, nulla.” Fece Kurt scuotendo la testa sul cuscino “Comunque non è mia madre quella.”
“No?”
“No, Carole è la seconda moglie di mio padre ed è la madre di Finn, il mio fratellastro. La mia vera madre è morta 9 anni fa.”
“Oh…”Blaine abbassò gli occhi imbarazzato “Scusa, io… non lo sapevo.”
“No! Oddio…” Kurt scosse di nuovo la testa e sorrise “Guarda che non fa niente! Pensa che tutte le persone a cui lo dico hanno la stessa reazione! E allora ho paura che siano gentili con me solo perché gli faccio pena.”
Non potè fare a meno di pensare se anche a Blaine avesse fatto quest’effetto quando si erano incontrati. Del tipo ‘ti consolo e ti proteggo così posso dire di aver fatto una buona azione’. Il solo pensiero lo rattristì di colpo ma decise di non darlo a vedere.
“Ah e poi Carole è fantastica. Credo di aver preso due chili a causa alla sua cucina” disse facendo finta di nulla.
Blaine sorrideva e continuava a guardare l’amico.
“Anche mia madre è buona. Non è cattiva, no di certo. Solo che… a volte non ci capiamo e quando succede non so davvero cosa fare.”
Finalmente aveva parlato.

“Senti…” disse Kurt guardandolo serio “Io ho detto una bugia alla mia matrigna per farti rimanere qui stanotte, ma mi dici una volta per tutte che cosa ti è successo da un po’ di giorni a questa parte? Penso che tu me lo devi.”
Blaine accennò un altro sorriso e si strinse ancora di più nelle coperte, come per cercare un po’ di coraggio.
“E’ tornato mio padre.” Disse poi, e il sorriso gli sparì dal volto.
Kurt lo guardò confuso.
“Tornato?”
Blaine fece sì con la testa. “Ogni tanto fa un salto a trovare me, mia madre e mia sorella.”

Kurt si ricordò della spedizione solitaria che aveva fatto a casa di Blaine e della ragazza che gli aveva aperto. Poggiò i gomiti al materasso e si tenne la testa con la mano, prestando attenzione. Blaine proseguì.
“Come da programma, va a prendere mia madre da lavoro, cena con noi, dorme da noi. La mattina dopo ci chiede se possiamo saltare una giornata di scuola per stare ancora con lui, non so, fare due tiri in giardino, vedere un film… Poi mamma gli fa un caffè prima di andarsene e lui ci saluta promettendoci di tornare al più presto.” lanciò uno sbuffo.
L’altro lo guardò esterrefatto. Era da quello che stava scappando a tutti i costi? Dal quadro perfetto di una famiglia felice? Aveva forse a che fare con un pazzo? Con un ragazzo affetto dalla sindrome di Edipo?
“Blaine… non credo di riuscire a seguirti.”
“Kurt...” disse guardandolo negli occhi e concentrandosi per scandire bene le parole che stava per dire  “Io odio quell’uomo.”
Kurt sgranò ancora di più gli occhi.
“Odi tuo padre?” A Kurt non riuscì neanche possibile concepire un concetto del genere, lui che riteneva suo padre la persona più importante della sua vita.
Blaine annuì. “Lo odio. E non posso pensare che sono tre giorni che litigo senza sosta con mia madre per quello là.” Il suo tono di voce divenne flebile e tremante.
Chiuse gli occhi per pochi secondi, respirando profondamente per ritrovare la calma.
“Kurt, non credo di voler tornare in quella casa. Quello parla di debiti, dell’affitto che non riesce a pagare… e mamma che continua a proporgli di restare con noi per qualche settimana finchè non si rimette a posto, quante settimane non si sa. Ma mia madre non mi può chiedere questo, non mi può chiedere di vivere sotto lo stesso tetto di quello…” sospirò di nuovo portandosi le mano in viso per non piangere di nuovo. “…Non può!”

Kurt guardava forse il più caro dei suoi amici sdraiato in un letto affianco al suo, sull’orlo delle lacrime e nel bel mezzo di un racconto di disavventure familiari. Come avrebbe dovuto reagire? Era una situazione in cui non si era mai trovato prima.
“Blaine…”
Decise comunque di fare quello che faceva sempre.
“…Non puoi non tornare più a casa.”
Cercare di fare la voce della ragione nella situazione.

Blaine si voltò verso di lui.
“Grazie per tutto quello che stai facendo per me.”
Kurt gli sorrise dolcemente. “Dormiamo?”
“Buona idea.”

-

La casa al mattino era ancora silenziosa, il che indicava un brutto presagio. La desolazione che c’era fra quelle pareti cozzava terribilmente con le chiome verdi degli alberi e il cinguettìo degli uccelli fuori dalla finestra.
Nelly si vestì velocemente e prese lo zaino da terra, sapendo già che non sarebbe andata a scuola quella mattina e scese nel soggiorno.
“Ciao” fece rivolta a sua madre, che stava seduta sul divano fumando una sigaretta.
“Ciao tesoro”
“Non è tornato vero?” disse tagliando corto.
Sara fece no con la testa. “Non è mai successo…Non è mai successo che non tornasse per dormire… Gli dev’essere successo qualcosa.”
Nelly sbuffò. Non riusciva a sopportare la passività di sua madre in certe situazioni, tutto quello che sapeva fare era rimanere seduta sul divano a disperarsi, aspettando chissà che cosa.
“Hai fatto qualcosa almeno?” chiese seccata poggiando lo zaino di scuola per terra, sapendo gia come sarebbero andate a finire le cose.
“Certo! Ho chiamato la scuola, mi sono fatta dare i numeri dei suoi amici chiedendo se l’avessero visto da qualche parte, ma niente! Chissà dove si trova ora Blaine…” disse fra le lacrime facendo un altro tiro di sigaretta. “Sto aspettando che tuo padre arrivi con l’auto per andarlo a cercare, sennò credi che sarei ancora qua?” sbottò.
“Sai benissimo che con lui seduto nel sedile affianco al tuo non ti darà mai retta. E sai benissimo il motivo per cui è andato via.” Disse Nelly saccente.
“Ma non ha senso Nelly!”
“Ne avrebbe se solo tu riuscissi a vederlo!” sbottò “Ma sembra che tu non lo voglia capire!”
“Nelly non voglio credere a cose che non vedo con i miei occhi” disse pacata la donna.
“NO!” tuonò battendo il pugno sul tavolo “No! Tu non vuoi credere a me! Tu non vuoi credere a Blaine! Tu non credi a noi che siamo i tuoi figli, mamma!”
Sara si alzò dal divano e spense la sigaretta nel posacenere e con rapidi passi si avvicinò alla ragazza.
Con fare materno le asciugògli occhi, acarezzandole dolcemente le guance e le spostò i capelli dal viso. La strinse fra le sue braccia e la cullò come si fa ad una bambina.
“Bambina mia, ascolta” disse a voce bassa “Non farmi questo. Perfavore.. non ora che Blaine non c’è, non in questo momento. Stammi vicino almeno tu.”
Nelly si scostò, sottraendosi all’abbraccio della madre.
“Ragazzi, io vi voglio bene” disse Sara, tentando una carezza.
Nelly la guardò con occhi torvi e scacciò via la sua mano.
“Vaffanculo!”
Uscì di casa e corse verso la fermata degli autobus più vicina.
Corse per un bel tragitto, respirando a pieni polmoni l’aria fresca attorno a sè che si faceva più torbida e pesante a ogni metro che percorreva. Raggiunse la prima fermata degli autobus. In preda al dubbio si controllò le tasche. Fortunatamente teneva ancora un mazzo di biglietti e il cellulare, tutto quello che gli serviva per quello che avrebbe dovuto fare. Trovare Blaine avrebbe senza dubbio calmato le acque. Sua madre aveva detto di aver chiamato tutti i suoi amici, ma Nelly era sicura di potersi giocare ancora un’altra carta.

-


“E quindi ha dormito qui?” chiese Finn versandosi del latte in una ciotola.
“Si..” disse Kurt mentre metteva in ordine le tazze nella credenza. “Non so cosa potrebbe dire mio padre. L’ultima volta che Blaine ha dormito qui non è stato molto contento.”
“Come mai?”
“Secondo te?”
“Beh…” fece Finn con la bocca piena di muffin “Se per tuo padre il fatto di dormire insieme è un problema io avrei una soluzione.”
“Ah, e quale?”
“L’ultimo cassetto del mio comò”
“E cosa c’entra scusa?”
“E’ vuoto, e scommetto che Blaine ci sta giusto giusto.” Rise rischiando di affogarsi.
Kurt fece gli occhi in gloria come suo fratello lo costringeva spesso a fare.
Finn continuava a ridere di gusto.
“Non sei divertente!” disse Kurt versandosi del caffè. “Cerca di non farti sentire da lui piuttosto.”
“Sta ancora dormendo?”
“Si… non l’ho voluto svegliare”
“Come mai?”

“E’ così bello mentre dorme.” 

Il telefono squillò.

-

Alla Dalton non capitava spesso –quasi mai- che si vedesse una ragazza passeggiare per i corridoi, fatta eccezione ovviamente per i giorni in cui venivano ospitati gli studenti di altri istituti o nelle sere in cui c’erano gli incontri fra genitori-insegnanti. Se non in quelle occasioni, il vedere una ragazza passeggiare in quei corridoi diventava un fatto davvero inusuale che attirava l’attenzione di tutti gli studenti.
Nelly camminava a passo sicuro, guardando innanzi a sé e ignorando gli sguardi dei curiosi.

“Salve. Perfavore mi servirebbe la lista di numeri di telefono degli studenti della classe II A.” chiese sorridente al collaboratore scolastico seduto al banco della segreteria.
“Non posso fornire queste informazioni a chiunque, lei chi è?”
“Mi chiamo Sara Anderson. Ho già chiamato qui per avere quella lista ma temo di averla persa.” Nelly ringraziò la dea Fortuna che lei e sua madre avessero la voce molto simile.
“Ah, già mi ricordo. Siamo tutti molto in ansia per suo figlio, ovviamente abbiamo cercato di mantenere più riservatezza che potevamo all’interno dell’istituto. Ne và della fama della scuola, lei mi capisce.”
“Certo, certo.” Rispose prendendo il fascicolo in mano “Posso sedermi?”

Passava il dito, leggendo quella lunga lista di nomi e cercando di collegarli a un viso o a una voce, per capire se c’entrassero qualcosa con suo fratello. Purtroppo Blaine non invitava molto spesso i suoi amici a casa, il che rendeva ancora più arduo sforzare la memoria, tantochè dovette andare ad intuito molto spesso.
Jeff Lynch
… Blaine deve avermi accennato che questo tizio viene chiamato ‘il biondo’
Wes Hughes
…Lui non l’ho mai potuto sopportare. Saltiamo.
Flint Wilson
… Lui è ‘quello carino’. Ma non credo proprio.
Nicholas Brock Hudson
… mai sentito nominare!
David Thompson
… lui potrebbe essere, è venuto a casa qualche volta.
Logan Del Rio
… ah, lui non è di sicuro!”

 Nelly stava per arrendersi. Nessuno di quei ragazzi sembrava poter anche solo sapere dove fosse Blaine. Si impose di scacciare l’ipotesi che a suo fratello fosse davvero successo qualcosa, che l’avessero rapito e che fosse in pericolo. Impulsivo come era sarebbe potuto capitargli di tutto.  A un certo punto l’occhio le cadde su un nome.

 

Kurt Hummel
…Kurt… Hummel…” sforzò la memoria un secondo scandendo quel nome nella sua mente.

“Kurt Hummel, sei l’uomo che sto cercando!”

 

 

 

-

“Beh rispondi no?” fece Finn spazientito dopo qualche squillo.
Kurt mollò i piatti nel lavello e afferrò la cornetta.

“Pronto?”

-

Quando Blaine aprì gli occhi, capì subito di non trovarsi a casa sua. Intanto non vedeva una fitta chioma di foglie verdi scontrarsi contro il vetro della sua finestra, e poi c’era silenzio. Dopo quel secondo di beata incoscienza che sta fra il sonno e la veglia, Blaine ricostruì con orrore nella sua testa tutti i fatti di quei giorni. Provava tanta vergogna nell’essere piombato là, a casa di Kurt, creando problemi all’ ultima persona a cui avrebbe voluto crearli.
Inorridì ancora di più nel vedere che il letto affianco a quello dove aveva dormito, il letto di Kurt, era vuoto e rifatto. Ma quanto aveva dormito? E che ora era?
Schizzò fuori dal letto e si rivestì cercando di fare più in fretta che potesse. Poi guardò il letto e lo rifece, misurando gli angoli delle lenzuola e sistemando bene le federe. Non voleva essere un ospite scortese –se si sarebbe potuto definire un ospite-.
Scese le scale e si diresse dove sapeva esserci la cucina, per fortuna non trovò i genitori di Kurt ma soltanto un ragazzo piuttosto imponente che mangiava in piedi da una tazza di cereali, doveva essere Finn.
“Buongiorno” disse cordialmente al ragazzo più alto.
“Ehilà” rispose Finn a bocca piena. “Tutto bene?”
Blaine annuì imbarazzato e cominciò a guardarsi intorno. La cucina era spaziosa e accogliente, dipinta con colori caldi e profumava di caffè.
“Non preoccuparti, i nostri genitori sono già andati al lavoro. Burt non si è accorto di niente.”
Blaine sbiancò in viso. Se i suoi genitori erano andati al lavoro doveva essere tardi.
“C-che ora è?”
“Le nove. Potevi restare ancora un po’ a dormire.”
Fiù.
“Non vai a scuola?” chiese al più grosso.
“E’ sabato.”
“Oh..” si grattò la testa imbarazzato. Si accorse solo in quel momento di avere i capelli un completo disastro. “Forse è meglio che vada via.” Disse. “Dov’è Kurt?”
Fu in quel momento che Kurt fece la sua comparsa in cucina, anche nel week-end, vestito di tutto punto. Rimise il cordless della cucina al suo posto e si voltò serio verso i due ragazzi.
“Era tua sorella.”
Blaine sentì il suo cuore perdere un battito, pensò di averla davvero fatta grossa se sua sorella si era spinta a cercarlo.
“Mia sorella? Sei sicuro?”
“Si, Nelly.”
“E… che cosa voleva?” disse fingendo noncuranza.
“Sta venendo qua.” Poi si voltò verso suo fratellastro “Finn mangia seduto perfavore!”
Finn rispose con un mugolìo e obbedì.
“Ti faccio un caffè.” Fece di nuovo rivolto verso Blaine.
“Ma no, cioè… non devi disturbarti.”
“Nessun disturbo” rispose con un sorriso mentre allungava un braccio per prendere la moka.
“…Cos’altro ti ha detto mia sorella?”
Il campanello suonò. Kurt guardò Blaine mentre prendeva dell’acqua.
“Vai ad aprire. E’ di sicuro lei.”

Blaine si diresse verso la porta d’ingresso. Dalla vetrata della porta riusciva a scorgere la sagoma di Nelly. Continuava a suonare il campanello, senza nessuna intenzione di smettere, almeno finchè qualcuno non le avesse aperto.
“Sei proprio una maleducata.” disse Blaine appena aprì la porta.
“Sapevo di trovarti qua” fece Nelly sorridente.
Blaine guardò ai piedi della sorella due enormi sacche sportive chiaramente piene fino alla chiusura.
“Quello che ti sto per dire non ti stupirà affatto.” Continuò Nelly mettendosi le mani in tasca “Nostra madre… sta impazzendo.”
“Nelly come hai fatto a trovarmi?”
“Quindi…” disse ignorando completamente la domanda del fratello “…se proprio sei così testardo da non volere rimanere a casa…” sollevò le sacche con entrambe le mani e le buttò ai piedi del fratello “…sarà meglio se rimani qua per un po’!”
“Com.. No! Nelly, ascolta, io non posso rimanere qua!”
“Certo che puoi, e credimi, ti sto invidiando davvero molto.”
Blaine gettò uno sguardo rassegnato alle sacche per terra. Sua sorella era fuori di testa.
“Nostro padre è a casa adesso?”
“Lo sarà fra circa due ore.” Rispose “E sinceramente… non so quanto ci rimarrà.”
“Capisco.” E sospirò.
“Perciò ti dico, sangue del mio sangue, di rimanere qua.” Nelly era ormai certa di avere la situazione in pugno.
“Mamma è sclerata di brutto da quando non ci sei e penso che se sapesse che ti trovi al sicuro, a casa di brave persone, riacquisterà la ragione e manderà via il Signor Scroccasoldi.”

L’altro guardò la ragazza negli occhi, sapeva già che farla ragionare sarebbe stato utile quanto dare una bicicletta ad un pesce, ma volle comunque tentare.
“Nelly…”  fece guardandola serio, con tono calmo e paziente (il tono che si usa per parlare ai matti). “Il mondo non gira attorno a te. Non posso bussare a casa delle altre persone e restarci finchè fa comodo a me, lo capisci?”
Nelly si sentì interdetta. “Aspetta… Mi stai dicendo che sei piombato qua senza avvertire prima o chiedere il permesso per rimanere?”
Blaine arrossì e fece si con la testa.
“Ah però!”

D’un tratto la figura di Finn in pigiama fece comparsa dietro Blaine.
“Ehm… se vuoi entrare” disse rivolto alla ragazza.
Nelly lo guardò perplessa e poi guardò di nuovo Blaine.
“E’ lui il padrone di casa?”chiese indicando l’altro.
Blaine annuì.
“Caspita! Sei cresciuto dall’ultima volta!” fece sbalordita.
Blaine e Finn si guardarono a vicenda più confusi che mai.

“Ehm… scusate” la voce di Kurt si fece spazio fra i due ragazzi. “Prego entra, i nostri genitori non ci sono ma non preoccuparti, dentro casa potremo parlare meglio.” Prese le sacche e condusse la ragazza in cucina. “Accomodati, ho fatto il caffè.”
Blaine rimaneva sempre più sbalordito della capacità di Kurt di non lasciarsi trascinare dagli eventi e di fare sempre la voce della ragione. Lo ammirava, era una cosa di cui lui non sarebbe mai stato capace.
Nelly prese posto in una sedia e si guardò intorno. Allo stesso tempo mutò tono di voce e accavallò le gambe con fare diplomatico. “Sono davvero mortificata per il comportamento di mio fratello nei tuoi confronti. Io credevo che davvero non potesse arrivare a una tal sfacciataggine... Dove avrò sbagliato?”
Blaine agrottò le sopracciglia confuso.
“Blaine non ha fatto niente. Sono stato io a chiedere alla mia matrigna di farlo rimanere qua per stanotte.” Si afrettò a chiarire mentre si sistemava i bottoni ai polsi della camicia.
Nelly guardò l’altro ragazzo nella stanza.
“Si, è così” confermò Finn.
La ragazza si voltò verso suo fratello, alzando un soppracciglio. “Senti ma… questi chi sono?”
fece indicando Kurt e Finn “No perché, ti ho sentito nominare David, Wes, Jeff, Flint,… ma non ti ho mai sentito nominare nessun Kurt Hummel o nessun…” e indicò Finn.
Kurt nel sentire quelle parole non potè fare a meno di sentire una leggera fitta al petto. Davvero contava così poco per Blaine? E pensare che lui, a casa sua, non parlava d’altro.
“Forse perché non ci parliamo mai. Stai sempre per conto tuo.” Fece Blaine irritato.
“No, sei tu quello che se ne è andato dalla scuola pubblica più vicina per unirsi a quel gruppetto di damerini imbellettati mandandoci sul lastrico!”

“Ok, ok.” Intervenne Kurt. “Calma.”
“Comunque Kurt è un mio amico, si è trasferito da poco, ecco perché prima non ne parlavo molto.” fece Blaine con rancore. Kurt si sentì sollevato da quelle parole.

“Nelly…” continuò.
“Si?”
“Come sta mamma?”
“Come vuoi che stia? Sta sempre in lacrime. Crede che un gruppo di delinquenti dei boschi ti abbia rapito e che sia pronto a chiederci il riscatto.”
Blaine sospirò.
“Blaine, se davvero aiuterebbe…” si intromise Kurt “puoi dire a tua madre che stai qui per qualche giorno.”
L’altro scosse la testa. “No Kurt, non posso… davvero…”
“Carole ha detto che puoi rimanere tutto il tempo che ti serve. Non lo ha detto tanto per dire.”
“Si, ha ragione. L’anno scorso abbiamo ospitato la mia ragazza per un mese quando è stata cacciata di casa.” Aggiunse Finn.
“Ma sono sicuro che la situazione era diversa.” Blaine si sarebbe sentito un verme ad aprofittare della gentilezza di quella famiglia in quel modo, sentiva gli sguardi interrogativi degli altri tre puntati addosso.
A rompere quei secondi di silenzio fu un cellulare che suonava. Nelly riconobbe la sua suoneria e prese il telefono dalla tasca.

“Si?” rispose “No, qui non c’è nessuna Nelly, deve aver sbagliato numero.”  Portò la testa all’indietro e rise di gusto “Che cosa vuoi mamma?” disse alzandosi in piedi e passeggiando per la stanza.

I tre ragazzi si guardarono a vicenda con aria colpevole.

“Dove sono? Sono al 42 di Kayleen Street, Lima. Famiglia Hudson-Hummel, con l’acca davanti…”

Finn guardava suo fratello allarmato. Perché quella ragazza stava dando il loro indirizzo? Kurt continuava a guardare Nelly con calma apparente.
“Mhm…Ho capito, si. Va bene, ciao.” Nelly chiuse la chiamata e si voltò verso suo fratello, che attendeva spiegazioni, immobile sulla sedia.
“Chi era?” chiese.
“Barbra Streisand”
“…”
“Era nostra madre idiota! Chi volevi che fosse? Sta venendo qua.”
“Da sola?”
“Sembra di sì.”


Blaine non rispose, rimase in silenzio, e così fecero anche gli altri tre.

“Ragazzi” parlò Finn dopo un po’ “Che facciamo?”
“Mhm?” fece Kurt.
“Se adesso arriva tua madre, possiamo dire che tutto si è risolto, no?” si bloccò un secondo. Ma che cosa si era risolto? Lui non sapeva nemmeno che cosa si sarebbe dovuto risolvere. “Cioè, tu non sei stato cacciato di casa tipo?”
Kurt lanciò un’occhiata a Finn come per intimargli di stare zitto.
Stetterò tutti e quattro ad aspettare l’arrivo della donna in silenzio.

-

 

Kurt e Finn videro la macchina allontanarsi dal vialetto e procedere verso la strada deserta.
“Torno a casa, grazie di tutto” aveva detto, dopo aver visto sua madre alla soglia della porta. Così, automaticamente.
La ‘signora’, se così si poteva definire, non aveva per niente l’aspetto che Kurt si aspettava. Era piuttosto giovane, sulla trentina, non molto alta, magra, il viso pulito senza neanche una ruga, vestita con abiti semplici, i capelli lunghi e lisci che arrivavano alle spalle, bionda. Non assomigliava molto a Blaine fisicamente. Kurt si sarebbe aspettato di vedere la copia più invecchiata di Nelly che dal canto suo era molto, ma molto più somigliante al fratello.  Si scorgeva però, nel modo di muoversi, nell’espressione, nel modo di parlare quell’aria che quei tre avevano in comune.

“Senti Kurt”
“Si Finn?”
“Il tuo amico ha un bel po’ di problemi… o no?”
“Qualche disguido familiare a quanto ho capito.” Agitò la mano per salutare, mentre vedeva Blaine entrare nella macchina seguito dalle due donne.

-

Durante il tragitto in macchina, Nelly stava pregando con tutta la forza che aveva nel cuore di trovare la casa vuota.

La casa era esattamente come l’aveva lasciata, senza nessun ospite indesiderato.
Sara appese la borsa e il cappotto.
“Nelly, puoi lasciarci soli?”
“Perché? Lo devi picchiare?”
la donna lanciò uno sguardo esasperato alla figlia, che capì al volo e salì le scale verso la sua camera.
Blaine continuava a guardare il pavimento, trafitto dagli occhi di sua madre che lo guardava in silenzio.
“Non hai nulla da dire?”
Quello alzò lo sguardo. Non sapeva davvero che cosa dire. Si trovava lì, senza sapere chi aveva davanti o che cosa c’era intorno a lui. Quella era davvero sua madre? E quella poteva ancora considerarsi casa sua?

“…Scusa mamma.”
“Scusa?” fece alterata portando le mani in alto “Hai idea di quanta paura mi hai messo? Hai forse idea dei momenti che mi hai fatto passare?”
“… No.”

“Quello che mi chiedo è perché?!? Perché fai così ogni volta?”
“…”

Blaine abassò di nuovo la testa “…Mi dispiace.” Alzò appena lo sguardo e vide sua madre venirgli incontro e stringerlo forte in un abbraccio, e per un attimo Blaine la accolse, riconoscendo in quel gesto la sua mamma di sempre.
“Solo… non farlo più, ok?”
“Va bene.”

“Non sento più urla” fece una voce proveniente dal piano di sopra “Devo presumere che l’hai ucciso?”
“No cara, qui nessuno è stato ucciso” disse mentre teneva ancora suo figlio stretto a sè. “Scendi pure.”
Nelly scese le scale alla velocità del vento, sollevata nel vedere sua madre sorridere di nuovo. Andò incontro ai due e si unì all’abbraccio.

-

“Alloooora”
Sara stava seduta sul divano, girava il thè con un cucchiaio, con un sorriso malizioso sulle labbra.
“Chi era quel tuo amico?” chiese continuando a sorridere.
“Si chiama Kurt e non ne abbiamo mai sentito nominare.” Fece Nelly sedendosi vicino alla madre. “Ci nascondi qualcosa Blaine?”
Blaine, seduto davanti alle due donne, avrebbe voluto scavare una fossa e saltarci dentro pur di evitare quella conversazione. Possibile che per ogni amico che avesse quelle due pensassero subito che ci fosse qualcosa di più? E poi, se mai ci fosse stato quel qualcosa in più, glielo avrebbe detto, magari a sua sorella no ma a sua madre si. Si sentì un po’ offeso da quelle insinuazioni, ma si sa, le mamme con i figli maschi sono fatte così, evidentemente che quei figli maschi fossero gay o no, non faceva molta differenza.

“Siamo solo amici”
“Ah ok.” Rispose Sara pacificamente prendendo un sorso del suo thè.

“Cambiando argomento… vostro padre starà qua per qualche tempo. Ha detto di avere un po’ di problemi economici, che ha fatto di tutto per evitare di disturbarci, ma ho capito che gli riesce davvero difficile e così gli ho detto che può venire qua.”
I due fratelli si guardarono l’un l’altro, sconvolti dalla naturalezza in cui la loro madre aveva cambiato argomento e di come quella situazione così serena si era completamente stravolta. In quella casa, non c’era nulla di stabile o certo. 
“Ma…!” tentò di replicare Nelly alzandosi di colpo.
“Non voglio sentire storie.” Disse Sara con fermezza. “Ragazzi, so che non vi va molto a genio, e che non siete sempre andati d’accordo, ma… andiamo, è vostro padre.” Si girò poi verso Blaine, e gli lanciò un’occhiata che sembrava gridare ‘perfavore’.
“D’accordo, ci proverò.” Disse mestamente il ragazzo.
La donna finì il suo thè, fece un sorriso sincero ai suoi figli e gli ringraziò di cuore. Si alzò e si diresse verso la cucina per lavare la tazza.
Nelly la guardò lasciare la stanza con lo sguardo più torvo che avrebbe potuto fare. Si avvicinò poi al fratello e gli bisbigliò qualcosa all’orecchio.

“Te l’ho detto. Era meglio se rimanevi da quel tuo amico.”

---

A grande richiesta ho pubblicato il 4° :)
Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno recensito ^^ le recensioni fanno sempre piacere, sopratutto consigli e critiche.
Voglio farvi una domanda stupidissima... 

Voi come ve le immaginate Sara e Nelly? Di aspetto, ma anche di carattere... sono curiosa di vedere se la pensate come me!

E poi non è strano che in un sacco di FF Blaine abbia una sorella? Più piccola, più grande, gemella, ma sempre una sorella, chissà perchè...
Aprofitto per dire che l'idea della sorella non l'ho copiata da altre storie, perchè anche io - come gli altri autori, suppongo - vedo bene Blaine con una sorella.

Ah si, nella mia testa Blaine è un mammone xD No dai... non proprio :)

Al prossimo capitolo! Miao <3

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Capitolo 5
*** V ***


5.

Quando Joseph Anderson varcò la soglia della porta era mezzogiorno, lo stesso orario di ogni mese.
Sara era andata ad aprirgli, i due ex-coniugi si erano salutati con un ampio sorriso sulle labbra e con un abbraccio amichevole.
“Ma ciao Sara! Stai benissimo!”
“Anche tu, lascia che ti aiuti con i bagagli.”
“Non ci pensare neanche, faccio io. Oh, questo posto non cambia proprio mai eh?”

I soliti convenevoli che permisero a Joe Anderson di ritornare nelle loro vite.

 

-

Blaine era tornato a scuola, la Dalton aveva continuato a marciare senza di lui riuscendo a non farsi sfuggire la questione della sua breve scomparsa. Lui, d’altra parte, era riuscito a spacciare la causa delle sue assenze per una banale influenza, perché non avrebbero dovuto credergli?

Blaine sembrava essere tornato alla vita di tutti i giorni. Sorrideva come sempre. Sembrava molto lontano da quel Blaine sull’orlo di una crisi, che Kurt aveva visto pochi giorni prima. Ma Blaine andava a scuola, si comportava normalmente, studiava, non c’erano state più scene alle riunioni dei Warblers come quella della settimana prima –che sembrava esser stata totalmente dimenticata dagli altri membri-  tutte cose che per Kurt erano sufficienti ad affermare che, sì, forse Blaine stava bene.

-

Blaine ebbe un groppo alla gola quando si accorse che, mentre percorreva il sentiero che portava a casa sua, le luci erano tutte spente.
Varcò la soglia della porta e il rumore delle chiavi, buttate nel piattino di ceramica posto all’ingresso, rieccheggiò per tutto l’ingresso. Accese la luce e fece un giro della stanza per vedere se effetivamente era solo.
“Mamma?” disse a voce alta. “Mamma? Sei qui?”
Salì le scale per controllare camera sua, ma Nelly non c’era e neanche la sua borsa. Doveva essersi trattenuta a scuola o probabilmente era andata a bighellonare in giro.
Scese di nuovo le scale, per vedere se sua madre aveva lasciato qualcosa da mangiare.
A metà strada, però, un rumore metallico proveniente dalla cantina gli fece perdere un battito al cuore. Non era solo. Sentì l’adrenalina montare e con un respiro forte scese le scale che portavano allo scantinato. Allora lo vide, vide chi si aspettava di vedere. Era un po’ più magro e i capelli erano più grigi, se lo ricordava con i capelli neri e più lunghi, ricci come i suoi e come quelli di sua sorella. Spaventosamente simile a lui, odiava somigliarli così tanto di aspetto e inorridiva ogni mattina nel guardarsi allo specchio, così tentava di nascondere quel tratto che li accomunava con pettine e una discreta quantità di gel, in modo da eliminarlo completamente dalla sua persona.
Ora però se lo ritrovava davanti, ancora una volta.
Stava controllando il motore della macchina, un lavoro da uomini, si sa.
Grazie a lui ora conosceva tutte le parti di un auto, motore, telaio, sospensioni, trasmissione, impianto frenante, ruote, frizione, cambio, carrozzeria,…
“Ciao” disse l’uomo vedendolo da lontano.
“Cosa ci fai qui?” la sola vista di quell’uomo gli scatenava una rabbia incontrollata dentro di sé.
“Come cosa ci faccio qui?” fece calmo e accennando una mezza risata. “Tua madre mi ha ospitato qui, non ti ricordi?” e riprese a lavorare.
Blaine spinto da un istinto di cui non conosceva bene l’identità, si fece più vicino a lui.
“Si ma soltanto perchè non ti conosce bene.”
L’uomo posò la chiave inglese in un tavolo e guardo il figlio con espressione incredula. “Ma come? Pretendi di conoscermi meglio di come mi conosce lei?”
“Di gran lunga” fece a denti stretti.
“Provamelo.”  Abbassò la voce in segno di sfida.
“Puzzi d’alcol da far schifo.”  Fece ancora un passo verso di lui, oramai si trovava quasi sotto il suo mento ma riusciva ancora a trovare la forza di guardarlo negli occhi. “Tu fai schifo!”
“Non sono certo io quello che lo va a prendere dietro dagli amici” si fece grosso sul ragazzo per provocarlo. “Si sente da un chilometro lo sai?”
“Che cosa?”

L’uomo si abbassò, in modo da poter guardare il figlio negli occhi. Il ragazzo era nauseato dall’alito pesante e forte che sentiva mentre l’altro respirava. L’uomo misurò il tono della voce, cercando di scandire ogni singola parola.

“Puzzi di sborro da far schifo.”

In quell’attimo tutta la rabbia che Blaine aveva montato dentro di sé esplose, arrivando fino alle sue mani. Con una forza che non sapeva di avere tirò un pugno dritto in faccia al suo vecchio, che essendosi abbassato, cadde a terra in un secondo.

Appena l'uomo si rialzò, Blaine si ritrovò sospeso in aria, sollevato dalle braccia del vecchio che lo sbatteva al muro del garage con forza inaudita. Una volta, ancora un’altra, sempre più forte. Sentiva la sua schiena bruciare sotto tutti quegli impatti, che diventavano sempre più veloci e dolorosi.
Non era la prima volta che quei due ricorrevano alla violenza, anzi, Blaine non ricordava neanche un momento recente passato con suo padre in cui non se le fossero date di santa ragione.
Dopo essere stato sbattuto a terra Blaine trovò la forza di rialzarsi e tirare un altro pugno in faccia a suo padre, questa volta però fu meno potente e sbagliò la mira, infatti prese lo stomaco.

Dopo quell’attimo non sentì davvero più niente, solo un flash, un attimo, e poi, come uno scontro momentaneo che gli procurò un dolore indescrivibile al viso. Poi qualche luce soffusa, e poi il nulla.

Buio.

-

Per Nelly lo sciopero dei mezzi era davvero una maledizione inviata dalla dea Fortuna. Tornare a casa a piedi e raggiungere la campagna per quell’ora e quaranta minuti che distava dalla città era davvero troppo. Almeno avesse avuto un amico con cui chiaccherare durante il tragitto.
Finalmente giunse a casa, era in ritardo massimo, ma sua madre l’avrebbe perdonata.
Scaraventò la borsa all’ingresso e si diresse in cucina in cerca di qualcosa da mangiare. Vide un biglietto sul frigo.

Ragazzi sono a un pranzo di lavoro, tornerò stasera. 
In frigo c’è il pranzo
Un bacio
Mamma

Nelly rabbrividì. Sua madre non c’era questo voleva dire che aveva lasciato Blaine da solo.
“Blaine” chiamò a squarciagola “Blaaaineee! Dove sei?” fece il giro della casa e delle camere da letto. Nessuno.

Esaminò l’ipotesi che si trovasse in giro per il centro commerciale con i suoi amici ma avrebbe senza dubbio lasciato anche lui un biglietto. Ma allora perché tutte le luci erano spente?

Mossa da un’ultima speranza prima di cercarlo al cellulare scese le scale verso lo scantinato.

“Oh…Merda!”

Corse verso il corpo del suo fratello minore ancora privo di sensi. Spinta dal primo dei suoi istinti lo prese di peso –non era poi questa gran fatica-  salì i due piani che la separavano dalla loro stanza e lo gettò sul letto.

“Merda,…merda…merda merda merda!”

 

-

Kurt era come sempre alle prese con la pulizia della sua camera. Vivere con Finn aveva reso quell’operazione più lunga e faticosa. Mentre era alle prese con il pavimento, sentì l’aspirapolvere toccare qualcosa per terra in un angolo della stanza. Kurt si chinò e raccolse quello che pareva essere un orologio da polso, un bellissimo orologio da polso, che a giudicare dall’aspetto doveva essere costato un po’.

Se lo rigirò fra le mani, non era di certo suo, e neanche di Finn, date le sue difficoltà a leggere l’orario cardinale.
Fece una rapida analisi delle condizioni della sua stanza nei giorni scorsi; il numero di persone che avrebbero potuto possedere un così bell’orologio e allo stesso tempo essere stati nella sua camera si riduceva a... uno: Blaine.

Volle cogliere quell’occasione.
Sarebbe stato uno spreco ridarglielo a scuola, no, quello era un qualcosa di speciale, speciale come l’occasione di poter rivedere Blaine a casa sua e vedere lui ringraziarlo di cuore.
Un po’ come la storia di Cenerentola ma tutta al maschile. Non fece in tempo a finire di elaborare quel pensiero che aveva già afferrato la sua giacca ed era montato in macchina.

Rimase deluso quando invece, una volta arrivato, vide che la casa sembrava vuota. Le tapparelle erano abbassate e le luci spente. Non doveva esserci nessuno. Provò comunque a suonare il campanello, ma niente.

Sconfitto e amareggiato mise l’orologio dentro la cassetta della posta.

 

-

Kurt tornò di nuovo sui suoi passi, il flusso di pensieri dentro la sua testa fu interrotto da un ‘pss’ proveniente da dietro la sua macchina. Kurt andò a controllare e vide Nelly acovacciata per terra.
“Abbassati. Veloce!”
Kurt obbedì confuso malgrado temesse di sporcare i suoi pantaloni sul terreno bagnato del cortile.
La ragazza prese fiato, si avvicinò al ragazzo e pronunciò quelle parole con la voce più flebile e bassa che potesse fare.
“Ascolta… so che è probabilmente la cosa più sfacciata che possa chiederti e che noi due ci conosciamo poco, ma… E’ ancora valida la tua offerta di ospitare mio fratello per qualche tempo?” era strano sentire quella ragazza, malgrado la conoscesse da poco, pronunciare quelle parole in un tono così umile e supplichevole.
Kurt la guardò proccupato. “E’ successo qualcosa?”
“Credo sia troppo lungo da spiegare” fece accennando un sorriso. “Ma davvero, credo che sia meglio che non stia qui”
Sentì il rumore, per un attimo fece uno scatto guardandosi alle spalle, ma vide soltanto un gatto farsi strada fra i cespugli.
“Ti prego Kurt.” Disse ancora più umilmente.
Kurt la guardava confuso, non aveva la minima idea di che cosa dire.
“E… che cosa diresti a tua madre?” chiese.
“Una bugia, no?”
“Non lo so Nelly, non dipende da me.”
“Devo andare adesso.” Disse mettendosi a carponi “Pensaci, ok?” e corse via.

-


Kurt non riusciva a smettere di pensare alle parole che Nelly gli aveva detto il giorno prima.
Davvero non riusciva a capire che pericolo incombente ci fosse a casa sua. Provò a cercare quella risposta negli occhi di Blaine mentre lo vedeva passare nei corridoi, salutarlo e sfoggiare il suo sorriso di sempre. A lui sembrava che la solita routine fosse tornata. Possibile che Nelly fosse matta?

“Caffetteria? Oggi pago io.” Disse Blaine una volta uscito da scuola.
“Come mai paghi tu? E’ il mio turno oggi.”
“Così.” Disse con un sorriso. In realtà non voleva dire che voleva in qualche modo ‘sdebitarsi’ per averlo ospitato a casa sua, ovviamente uno stupido caffè non era sufficiente ma non poteva pensare di lasciar pagare il suo amico.

Si sedettero al solito tavolo, oramai erano clienti abituali.
“Non hai preso neanche un biscotto.”
“Blaine, guarda che non sono un bambino” disse Kurt con la sua faccia da finto arrabbiato “Non volevo farti spendere troppo, e poi è meglio che la smetta con tutti questi biscotti, non mi fanno bene.”
Blaine sorrise. Kurt sorrise di rimando, perché Blaine era così bello quando sorrideva, l’avrebbe guardato per ore. Spostò l’attenzione sulle sue guance, e si accorse che quel giorno il suo viso aveva qualcosa di diverso.

“Blaine…Ma hai messo il fondotinta?”
“Co-come?” fece l’altro con un’espressione da finto incredulo.
“Si, hai messo il fondotinta, e hai anche usato il tono sbagliato. Sembri un fantasma.”
“Ehm…”
“Oh andiamo non ti devi vergognare! Però sei un disastro, vieni in bagno con me che te lo tolgo.”
Kurt lo prese per un braccio e lo trascinò nella toilette degli uomini. Blaine si accorse dopo un attimo di spaesamento di quello che stava per succederere.
“NO! No… perfavore…”
“Guarda che non ti faccio niente!”
Senza poter fare più nulla, Blaine si arrese. Kurt tirò fuori dalla sua cartella una salvietta struccante e la passò delicatamente sul viso dell’altro.
“Ma quanto ne hai messo?” fece mentre lo puliva. Finì in poco meno di un minuto metà del viso, poi tirò fuori un’altra salvietta e si mise a struccare l’altra metà. Mentre passava la salvietta sullo zigomo sinistro agrottò le sopracciglia e rallentò il ritmo.
“Ma che…”
Sotto quella gran quantità di prodotto Blaine aveva un gran segno più scuro che si protendeva su tutta la guancia. Un livido enorme.
“Blaine…”
L’altro gli prese la mano che teneva la salvietta e la tenne stretta alla sua. “Ti prego…non…”
“Blaine, chi è stato?”
“Un incidente.”
Kurt scosse la testa. “Non è vero.”
“Si invece, te lo giuro.”

In quell’attimo Kurt capì tre cose: che Blaine era un pessimo bugiardo, che Nelly non era matta e che lui doveva fare qualcosa.

 

-

“Ha davvero detto così?”
“Si, mio caro. Kurt e suo fratello ci hanno invitati a cena da loro.”
“E perché lo ha detto a te e non a me direttamente?”
“Ha chiamato ieri sera e tu stavi facendo la doccia. Preparati su, non vorrai mica andarci in pigiama.” disse Nelly lanciando al fratello una manciata di vestiti che stavano sparsi per terra. La loro stanza era davvero una discarica alle volte.

“Vado bene così?” chiese Blaine dopo un po’ mentre si guardava nello specchio. Indossava dei jeans scoloriti con una maglia marrone semplice. “Troppo casual?”
“Perché ti preoccupi tanto?”
“Beh, Kurt è una specie di super esperto della moda e dell’eleganza. Non voglio sfigurare.”
Nelly rispose con una sonora risata. “Allora non so proprio come aiutarti.” Disse mentre posava la spazzola dopo un vano tentativo di pettinarsi i ricciolini. “Non riuscirò mai ad allisciarli.”

 

“Guido io.” Fece Nelly entrando nella macchina di sua madre.
“Sono un po’ ansioso. Avrò scelto bene cosa mettermi?”
“Tesoro, credimi, non è tanto importante adesso.”
“Perché dici così?”
“Oh… nulla.”

La macchina parcheggiò nel vialetto di casa Hummel-Hudson. I due fratelli scesero dall’auto, Nelly si portò più avanti del fratello e suonò alla porta.
Fu Kurt ad aprire.
“Ciao ragazzi, prego entrate pure.” fece sorridente dalla soglia.
Era impeccabile come sempre. Indossava una camicia grigia sotto un gilet scuro e dei semplici pantaloni neri, semplice, ma allo stesso tempo quell’immagine fece pentire amaramente Blaine di non aver speso qualche minuto in più per curare il suo abbigliamento quella sera.

I due fratelli entrarono in quella casa che avevano già conosciuto qualche giorno prima. Il profumo di caffè era stato sostituito, e ora al suo posto c’era…
“Ma cos’è quest’odore?” chiese Blaine.
“Una lasagna.” Rispose pronto Kurt.
“Ah, l’hai comprata?”
“No, non mi fido di quello che potrebbero metterci. L’ho fatta io.”
“Oh… waw” disse sorpreso “Cioè… hai preparato tutti gli ingredienti tu e l’hai…fatta?”
“Certo.” Disse come se fosse la cosa più naturale del mondo. In verità gli piaceva ricevere complimenti per la cucina, anche se il suo piatto non era stato ancora assaggiato. Non importava: Blaine lo stava ammirando. “Spero che mi esca bene, ho passato anni vivendo di cibo da asporto e di ciambelle. Per fortuna ora abbiamo Carole ma non posso lasciarla da sola, no?”
Blaine annuì e si sentì il re degli inetti a pensare che lui e sua sorella, senza la loro mamma in casa, non erano capaci di cucinare neanche un misero toast.
“Ah, a proposito.” Chiese Blaine “Dove sono i tuoi?”
“Fuori.” Si intromise prontamente Nelly  “Siamo soli.”
Blaine guardò stranito sua sorella, che a sua volta lanciò un’occhiata complice al padrone di casa.
“Blaine, il motivo per cui siamo qui oggi è un altro.”
Il moro guardò Kurt dal basso del divano, chiedendo una possibile spiegazione con lo sguardo.
“Blaine, tu, da oggi, rimani qua.” Disse la ragazza.
“Che vuoi dire?”
“Hai capito bene.”
“Cos’è questa storia? Credevo che tutto si fosse chiarito.”
“No Blaine, qui nulla è chiaro.” fece più autoritaria.
“Ma com-“
“No.”
Il ragazzo prese fiato con un sospiro. “Perché?”
Nelly guardò un attimo in basso e guardò Kurt con uno sguardo umile.
“Puoi lasciarci un minuto soli per favore?” Il suo tono di voce cambiò in un secondo, come se stesse davvero facendo fatica nel pronunciare quelle parole.
“Certo” fece Kurt allontanandosi verso la cucina.

Quando Nelly sentì la porta chiudersi ebbe la certezza di poter parlare senza che l’altro ragazzo potesse sentirli. Si avvicinò all’orecchio del fratello e bisbigliò:

“Ho visto cosa ti ha fatto l’altro giorno.”

Blaine capì tutto. Deglutì e chiuse gli occhi. “Succede ogni volta. Non ti devi preoccupare.”
“Credevo l’avreste smessa.”
“Ho cominciato io. E’ colpa mia.”
“Non provare a prenderti la colpa.”
“Posso cavarmela.”
“Eri privo di sensi Blaine!”
“Mamma si preoccuperebbe se andassi via di nuovo.”
“Non se sa che sei qui.”
“Nelly lo capisci che non posso approfittarmi di queste persone?”

La ragazza perse la pazienza e si mise in piedi, imperiosa guardò dall’alto in basso suo fratello, seccata per così tanta resistenza.
“Ok! Mettiamola così. Mettiamo che ricapita un’altra rissa come quella. Tu svieni, io non ci sono per coprirti e la mamma ti vede. Come la vedi? Io la vedo molto brutta.”
Blaine non seppe cosa dire per contrastare quella risposta e Nelly, convinta di averlo messo a tacere, bussò alla porta della cucina, segno per Kurt di rientrare nel soggiorno.

“Io ora vado via.” Disse ai due ragazzi. “Non voglio essere di troppo. Ah… e Blaine, semmai te lo stessi chiedendo, sì, ho chiesto il permesso a questa famiglia perché tu possa rimanere e.. sì, la tua roba è nel portabagagli e.. sì, te la devi portare da solo.”
Uscì dalla porta d’ingresso facendo cenno agli altri due di seguirla. Aprì l’auto e montò al posto di guida mentre guardava suo fratello dallo specchietto retrovisore prendere tre grosse sacche dal portabagagli che lei si era preoccupata di preparare e riempire.

“E poi hanno anche il coraggio di venirmi a dire che non mi so organizzare. Pfui!”

 

-

Kurt e Blaine erano rimasti soli.
Guardarono la macchina allontanarsi e farsi piccola man mano che procedeva sulla strada per uscire da Lima e, silenziosamente, rientrarono in casa.

Kurt riusciva a percepire la tensione dell’altro accrescersi sempre più ad ogni passo che facevano fianco a fianco. Davvero, non avrebbe mai detto che sarebbe riuscito a scorgere, così da vicino, un lato timoroso e insicuro di Blaine, che non aveva mai visto prima di quella settimana.

Timoroso e insicuro, proprio come lo era stato lui, come il primo giorno che si erano incontrati, o come il suo primo giorno alla Dalton, oppure quando avevano provato ad affrontare l’argomento ‘sesso’, e Blaine era sempre stato in grado di confortarlo, di dargli sicurezza e fargli coraggio, con il suo sorriso, con le sue parole.

In un primo momento, non era stato in grado di classificare con un nome la sensazione che provava ogni volta parlava con quel ragazzo, conosciuto relativamente da poco. Era totalmente diverso da tutto quello che avesse mai provato prima.

Era come se Blaine si fosse presentato come un libro aperto. Era spontaneo, gentile e tutto questo pareva non costargli la minima fatica. Era come se lo conoscesse da sempre.

L’aria che respirava intorno a lui, era diversa. Era nuova, magica.
E lui l’aveva lasciata entrare dentro di sé. L’aveva respirata, inalata e in un secondo ne era diventato completamente dipendente.
Il resto, davvero, non contava più, perché, appena ebbe il tempo di chiudere gli occhi, lasciare che il resto di quello che era, con il suo passato e le sue speranze, rimanesse oscurato per un attimo, lo vide: il suo presente.
E sentì di nuovo quell’aria pizzicargli le narici e infiltrarsi nel suo petto, sprigionando un vortice di calore che non aveva mai provato prima, e che sembrava non volersi spegnere per nessun motivo al mondo.

Quando ebbe aperto gli occhi lo capì. Ne era innamorato.

 

-

Ma ora, poteva dire di essere al fianco di quello stesso ragazzo?
“Ha…davvero…” tentò di dire Blaine impacciato. “Ha davvero chiesto il tuo consenso per questa cosa?”

Era vero, si conoscevano relativamente da poco.

“Personalmente” rispose pronto.

Forse non aveva mai veramente conosciuto Blaine.

“E i tuoi? Cosa diranno? Sono d’accordo?”

Era chiaro che quella volta, era lui a fare la parte del ‘benefattore’ e questa situazione metteva chiaramente Blaine a disagio. Era meglio forse non farglielo pesare.

“Carole sì. Mio padre a dire il vero non lo sa, ma Carole troverà il modo di convincerlo. Stai tranquillo.”

Ma Kurt ancora non sapeva che mai, come in quel momento, era in grado di poter conoscere a fondo il suo amico come non aveva mai fatto.

“Grazie Kurt.”

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Capitolo 6
*** VI ***


6.

 

Nelly continuava a rileggere quella frase dal libro di chimica posto sulle sue ginocchia. Non riusciva a memorizzarla e neanche a figurarsi in testa quel concetto che era solo la prima riga del capitolo. Aveva sempre creduto di essere un po’ stupida, a scuola non era mai stata un genio, ma la sua deconcetrazione, quella volta, era determinata da un altro fattore. Non soltanto per il fatto che la sua gamba sinistra continuava a tremare rendendo la lettura più difficile, ma anche perché erano circa le 7 e mezza di sera, ed era sola in casa.
Quanto poteva durare un pranzo di lavoro? Dove era finita sua madre?
Mentre stava a preoccuparsi di questo e desiderava che sua madre varcasse la porta d’ingresso il prima possibile, le venne in mente che sua madre, una volta rientrata, avrebbe chiesto dove si trovava Blaine, e allora lei le avrebbe dovuto spiegare che cosa aveva fatto.

Cominciò a desiderare ardentemente che sua madre rincasasse il più tardi possibile.

Circa tre righe di libro più tardi, sentì un rumore di serratura.
Sara entrò in casa sorridente, seguita dal suo ex-marito.
“Ehi, non posso credere ai miei occhi! Stai studiando!” furono le sue prime parole.
“Dove eri-… cioè, dove eravate finiti?” chiese la ragazza lanciando un’occhiata all’uomo dietro sua madre.
“Oh, Joe è venuto a prendermi dal ristorante e mi ha portato in un posto fighissimo! Una nuova pista di pattinaggio un po’ fuori da qua… non pattinavo da anni!”
“…Ma non mi dire.” fece la ragazza ironicamente.
“Sono contento che ti sia piaciuto” disse sorridente Joe “Ci lavora un mio amico, non ci ha fatto pagare.” si avvicinò al divano dove stava seduta la ragazza e si mise a carponi per guardarla negli occhi.
“Che studi Nelly?”
“Chimica.”
“Uuh, roba importante. Che ne diresti di venire con me e tua madre a cena? Conosco un posto qua vicino, la trattoria di un mio amico, ci faranno degli sconti fantastici.” E sorrise di nuovo.

Quando si tratta di scroccare non ti batte nessuno eh?


“Preferirei di no. Devo studiare.”

“Hey! Da quando fai così tante storie perché devi studiare?” si intromise Sara. “Come al solito ti riduci agli ultimi mesi di scuola!”
“Non voglio essere bocciata di nuovo!”
“Dai non farti pregare tesoro!” fece sua madre dandole una pacca sulla spalla.
Alla vicinanza della madre Nelly storse il naso. “Mamma… è odore di birra quello che sento?”
“Si, ne ho bevuto due gocci, non devi preoccuparti. Dai su metti la giacca che usciamo!”

Nelly si arrese. Buttò il libro chiuso sul divano e andò in mezzo ai suoi genitori. Quando sentì suo padre scompigliarle i capelli si ritrasse con uno scatto, al quale l’uomo reagì confuso.
“Va bene, va bene, non ti tocco i capelli. Da quando sei diventata così preziosa sul tuo aspetto? Ah, ormai sei una donna.”

Uscirono di casa. Nelly respirò l’aria fredda della campagna, unica sua amica di quei giorni.
Si sentiva sola in quella missione, stava fra i suoi genitori e, per l’ennesima volta avrebbe dovuto fingere di stare con la sua famiglia. Di essere una famiglia.

Si sentiva sola in quella missione, ma quello era il pane con cui era cresciuta, e per l’ennesima volta avrebbe cercato di essere forte.

 

-

“E così dopo un anno si sono sposati  e siamo andati a vivere qui. La nostra casa era già grande, ma non abbastanza per ospitare quattro persone e fare in modo che ognuno avesse la propria camera.”
Kurt tirò fuori dal forno una teglia fumante e la posò sul ripiano della cucina.
“Vuoi dire che non dormi con Finn?” chiese Blaine mentre sciacquava uno straccio nel lavello.
“No… cioè, abbiamo fatto un tentativo ma… è andato fallito.”
“Capisco, beato te.”
Era stato sufficiente poco tempo, e Blaine aveva abbandonato quel sentimento di timore e silenzio e ora si comportava normalmente. Si era subito offerto di aiutare a mettere in ordine la cucina e a pulirla. Non sapeva spiegarselo, ma quella casa gli dava un senso di sicurezza, forse per il suo profumo, per i colori, per lo spazio.
Si respirava un calore che lui non sentiva da tanto, troppo tempo e del quale sentiva la mancanza.
Guardò fuori dalla finestra. La strada di quella schiera di case di periferia era deserta, grigia e silenziosa. Stava su una collina, quindi la visuale che si aveva non era della città, si limitava ad abbracciare quella piccola schiera per poi far vedere il cielo, che aveva cominciato a scurirsi per il calar della sera.
Ricordò il panorama di casa sua. Doveva ammetterlo, abitare nelle vicinanze di un piccolo bosco poteva sembrare una cosa quasi fiabesca. Ma la verità era che a volte sembrava tutt’altro. Ricordò le foglie schiacciate al vetro della finestra che rendevano difficile la visuale, e quello che riusciva a scorgere dalla finestra era soltanto terra e alberi, nient’altro. Era come essere fuori dal mondo, costretti in una prigione.
Per non parlare di tutte quelle volte che da piccolo aveva passato notti insonni per quel brutto ramo che sbatteva alla finestra, e per la sua ombra che, proiettata sul muro, sembrava un mostruoso braccio scheletrico pronto ad afferrarlo non appena avesse chiuso occhio.

“…Blaine?” fece Kurt distogliendolo dai suoi pensieri.
“Oh… mi sono incantato. Scusami.”
“Che guardi alla finestra?”
Blaine si voltò di nuovo verso il vetro, incantato di nuovo da quell’immagine così pacifica.

“…La strada.”

Kurt si mise al suo fianco, guardando fuori dalla finestra. Le loro spalle si sfiorarono appena.
“La strada?”
“Si. A casa mia non riesco a vederla.”

Dal buio della strada, i due amici videro due fari luminosi farsi strada nella notte e avvicinarsi a quella casa.

“E’ arrivato Finn.” Disse Kurt.

-

Finn parcheggiò l’auto nello spazio di fronte al garage che, per fortuna, aveva trovato vuoto.  Sapeva che Burt e sua madre non erano in casa. Quel periodo che aveva seguito il matrimonio era un toccasana per la sua relazione, dato che i due neosposi uscivano spesso a fare lunghe passeggiate per avere un po’ di tempo da passare da soli. Sistemò lo specchietto retrovisore e si slacciò la cintura di sicurezza.

“Ah! Ferma!” disse alla ragazza bionda seduta al suo fianco. Scese dall’auto e rapidamente giunse ad aprirle la porta. Quinn rispose con un leggero risolino e il ragazzo le tese la mano per farla scendere. Ricordava di averlo visto fare in molti film romantici e quella sera voleva essere impeccabile: avevano la casa tutta per loro e doveva giocare tutte le carte possibili del buon fidanzato per ricevere qualche gratificazione.
“Per di qua” continuava a tenerla per mano mentre camminava a ritroso e la guidava verso la porta d’ingresso. Una cosa tenera quanto stupida ma che a Quinn, a giudicare dal suo sorriso, non sembrava dispiacere.
Ad un tratto Finn vide l’espressione della sua ragazza cambiare e i suoi occhi verdi guardare dietro di lui in direzione della casa.
Finn si voltò e inorridì nel vedere che le luci di casa sua erano accese e che alla finestra vi erano appostati suo fratello e un altro ragazzo che al momento non seppe riconoscere.

“Ma che…” fece Finn fra sé, mentre li guardava confuso.

Kurt e Blaine, d’altra parte, si abassarono in modo da non essere visti.

“Ti giuro, credevo che…” tentò di giustificarsi Finn.
“Sembra che qualcuno sia arrivato prima di noi” lo interruppe lei e si lasciò sfuggire una risata.
Finn si voltò di nuovo verso la casa, ma senza vedere più nessuno alla finestra.

“Dobbiamo restare abassati ancora per molto?” chiese Blaine confuso mentre si teneva al ripiano della cucina.
“Non lo so, ma sembra che abbiamo rovinato la festa a Finn.”

In quella strada silenziosa si sentì una musichetta, che Quinn riconobbe subito come la sua suoneria. Prontamente tirò fuori il cellulare dalla tasca del vestito e rispose.
“Si?” alzò il dito indice per indicare al suo ragazzo di darle un attimo.

Finn ne aprofittò per entrare in casa e capire che cosa stava succedendo.

Quello che vide quando entrò in casa fù una scena abbastanza insolita: suo fratello con addosso un grembiule, seduto per terra  e appoggiato al forno e Blaine inginocchiato accanto a lui e che si teneva al ripiano della cucina.

“Fratello che succede qua?”
Kurt si guardò intorno, indeciso se dire la verità o no, decise di sviare argomento.
“…Che ci fa Quinn qui?”
“E’ la mia ragazza.”
“Ah.”
“E si da il caso che stessi venendo qua per …  stare con lei. Qui. Da soli. Tu, piuttosto, cosa ci fai qui. Credevo che uscissi con Tina.” Spostò lo sguardo verso il ragazzo moro e lo indicò “E lui, piuttosto, cosa ci fa qui?”
“Ho invitato Blaine a cena.” Disse senza pensarci.
“Potevi anche avvertir-“
Si sentì il campanello suonare. Finn aprì la porta e lasciò entrare Quinn.
“Finn, mi dispiace, ma non posso più restare.”
“Come?”
“Ha chiamato mia madre, mi ha detto di tornare subito. Mia nonna è tornata dalla California e mi vuole a casa.”
“Oh… Certo. Capisco, sì.”
“Mi dispiace.” Si avvicinò per darle un lieve bacio sulle labbra “Ci vediamo domani.” Si voltò verso gli altri due ragazzi “Ciao, divertitevi.”

La porta si chiuse dietro alle spalle di Finn, più aflitto che mai.

“Non avrai pensato che…” cominciò Kurt senza avere il coraggio di terminare quella frase.
“Senti Kurt, se per una sera hai bisogno della casa, devi solo dirmelo. Siamo fratelli ormai, dovremo essere sinceri su certe cose.” Lanciò un’occhiata eloquente a Blaine.
“Ma io veramente…” fece Blaine confuso.
“Finn, ho davvero invitato Blaine a cena.” Tagliò corto Kurt. “Quindi, perfavore, non fare delle magre figure con il nostro ospite.”
“Oh… “ disse Finn imbarazzato “Scusa amico.”
“Non preoccuparti.”

I tre ragazzi andarono a mettersi sul divano. Senza dire una parola Finn prese il telecomando e cominciò a fare zapping fra i canali mentre gli altri due fissavano lo schermo, in attesa che gli adulti rincasassero.

Trenta minuti più tardi la porta si aprì con un rumore di chiavi. Carole e Burt fecero ingresso nella loro casa.
Alla vista di Blaine, Burt agrottò le sopracciglia confuso mentre Carole gli fece un grande sorriso e gli venne incontro.
“Ciao caro come stai?”
“B-bene, grazie.” Fece Blaine, un po’ messo in soggezione dalla presenza del signor Hummel che continuava a scrutarlo.
“Burt, ho dimenticato di dirtelo, stasera Blaine cena con noi. L’ho invitato io.”
“Ottimo” disse cambiando espressione e rivolgendogli un sorriso “Sono felice di rivederti.”
Blaine gli sorrise di rimando.

“Beh, potremo anche metterci a tavola. Siete affamati? Ci avete aspettato molto?”
I tre ragazzi fecero no con la testa.
Finn teneva un’espressione sconsolata. I suoi erano rincasati presto, non avrebbe avuto comunque molto tempo da passare da solo con Quinn.

In poco tempo, la famiglia aveva aparecchiato la tavola e aveva aggiunto un posto per l’ospite. C’era movimento e profumo e Blaine si sentì pervadere da un energia positiva.

Quello che aveva mangiato era buonissimo. Doveva riconoscere che il suo amico era davvero bravo ai fornelli, fece anche il bis.

Mentre quasi tutti avevano già finito, Blaine vide Kurt alzarsi e mettere il suo piatto nel lavello, seguito da Carole, e là, bisbigliarle qualcosa all’orecchio. La signora aveva fatto cenno di sì con la testa e gli aveva sorriso.

Kurt era andato verso di lui e Finn, aveva indicato le scale, facendo loro cenno di salire in camera sua. Mentre percorrevano le scale aveva detto che doveva lasciar parlare i grandi da soli.

“Parlare di che cosa?” aveva chiesto Finn una volta entrato nella camera del fratello.
A quella domanda Kurt guardò per terra e poi verso l’amico. Dopo un bel respiro trovò il coraggio di rendere partecipe suo fratello del suo piano.

“Blaine starà da noi per un po’.”
“Che cosa???”

-

“Che cosa???”
“Burt, è un amico di Kurt. Ha bisogno di aiuto.”
“Si, ma perché deve vivere qui?”
“Kurt non direbbe mai una cosa di cui non è sicuro, mi ha detto che quel ragazzo ha dei seri problemi familiari.”
“Che vuoi dire? E perché queste cose le dice a te e non a me?”
“Non è questo il punto. Il punto è che gli ha scoperto un livido enorme sulla faccia ed è abbastanza sicuro che quel ragazzo sia vittima di violenze.”

“Si ma…” Burt si interruppe e fece una pausa per pensare. Inclinò la testa e fece un giro della stanza, seguito dallo sguardo di sua moglie.

“Non ne sono sicuro, Carole.”

Carole gli si avvicinò e gli mise la testa sulla sua spalla, stringendosi al suo braccio.

“Sai…” disse mentre cullava suo marito. “Penso di sapere cosa c’è che non va.”
“Ah si?”
“Si. Tu sai che questo ragazzo piace a Kurt e che è un suo amico, però non sei ancora riuscito a inquadrarlo per bene, quindi hai paura. E’ comprensibile.”
“Forse… Forse potrebbe essere anche quello.”
“Io penso sia solo quello.” Si sciolse dall’abbraccio e guardo suo marito negli occhi, prendendogli le mani. “Burt, io so quanto sia importante per te che Kurt non soffra, però devi lasciargli fare le sue scielte. Kurt è grande e per fortuna ha la testa sulle spalle e tu lo sai. Io so che andrà tutto bene.” Gli fece un gran sorriso, al quale Burt non potè dire di no. Carole era fantastica, sapeva sempre che cosa dire e che cosa fare.
“Penso che tu abbia ragione. Va bene, credo che si possa fare.”

-

“Kurt non c’è il minimo verso che tuo padre acconsenta a questa cosa, lo sai meglio di me.”
“Tua madre non ha avuto nulla in contrario, saprà convincere papà.”
“Non ne sono così sicuro.”
“Tua madre mi ha assicurato che ci sarebbe riuscita. Mi fido di quello che mi ha detto.”
Finn scossè la testa e guardò l’altro irritato.
“…Com’è che tu e mia madre fate così tanta comunella?”
“Come sarebbe a dire?”
“Voglio dire che vi vedo chiaccherare sempre, che ti insegna a cucinare, che andate a fare compere,…”
“A-aspetta…” lo interruppe Kurt “Ti da fastidio il fatto che sia amico di tua madre?”
“Voglio solo dire che…”
“Che sei geloso? Beh, ora sai cosa ho provato io quando ti vedevo fare comunella con mio padre. Lo so che non è bello.”
“Non sono affatto geloso!”
“Finn ascolta, è tua madre ed è anche la mia matrigna ora, è ovvio che andiamo d’accordo e che voglia aiutarmi…”


Blaine faceva da spettatore. Seduto sul letto, guardava i due fratelli discutere al centro della stanza. Era curioso vedere come si comportava Kurt a casa sua con la sua famiglia. Lo incuriosiva ancora di più vederlo alle prese con una diatriba fra fratelli, come quelle che aveva lui di continuo con sua sorella... Ah, già, sua sorella, chissà che combinava.

-

Nel medesimo istante in cui aprì gli occhi, Sara cacciò fuori un lunghissimo lamento.
“Ben alzata.” Le disse Nelly seduta al pc e senza essersi voltata per guardarla.
Sara trovò la forza di mettersi seduta, continuava a tenersi la testa con la mano, come se quel gesto alleviasse il dolore provocato dalla sbornia di quella sera.

“C-che … mal di testa… che giorno è?”
“Venerdì.”
“…” fece un altro mugolio “E che ora è?”
“Le dieci. Di sera.”
“OH dio! Il turno di notte!”
“Non preoccuparti, ho chiamato io. Mi sono finta te e ho detto di non sentirmi bene.”
“Oh … E dov’è tuo padre?”
“Non ne ho idea. Ieri notte ha soltanto detto ‘vado da degli amici’ e mi ha dato le chiavi dell’auto. E siamo tornate qui.” Nelly non aveva voluto sottolineare troppo il fatto che, in teoria, non erano proprio tornate, in verità lei aveva trascinato sua madre fino a farla sedere accanto a lei, le aveva allacciato la cintura e guidato fino a casa. Infine, senza più energie, l’aveva portata di peso fino al divano. Nella sua famiglia erano tutti molto delicati nei confronti dell’alchol, un paio di birre e potevi considerarti K.O.

“Mmh.” Sara si strofinò gli occhi e si ributtò nel divano. “Sei una brava bambina.”
“Lo so.” Disse senza distogliere lo sguardo dallo schermo.

-

“Mi dispiace” fece Finn rivolto al fratello “Non dovevo arrabbiarmi perché sei amico di mia madre, lo so che ti vuole molto bene.”
“Non c’è problema.” Rispose Kurt tranquillo.

Blaine stava in silenzio, pensò che probabilmente una lite con sua sorella non sarebbe finita così in fretta e in maniera così pacifica.

 “Non hai detto una parola.” Gli disse Kurt. “Sei nervoso?”
Blaine ci pensò un attimo. “A dire il vero… sì.”
“E’ comprensibile. Se anche io mi trovassi nella sua situazione…cioè” fece Finn. Kurt lo guardò stranito. “Cioè, … non so cosa potrebbe dire Burt in questa situazione.”

I tre ragazzi si guardarono a vicenda preoccupati. Una voce proveniente dal piano di sotto li chiamò tutti e tre, dicendogli di scendere.

-

“Ragazzi, ascoltate.”
Burt stava in piedi al centro della stanza. I tre ragazzi, chiamati al rapporto, stavano seduti davanti a lui. In realtà sapevano tutti il motivo per cui erano stati chiamati, e Kurt sapeva già che risposta avrebbe dato il padre.

“Blaine..”
Il ragazzo che era stato chiamato prestò ancora più attenzione alle sue parole, lo guardava attento, con le mani posate sulle ginocchia.

“…Puoi restare a casa nostra.”

Kurt sorrise e esultò dentro di sé. Era certo che Carole avrebbe convinto suo padre. Lanciò un’occhiata vittoriosa a Finn.

Blaine spalancò gli occhi… stava succedendo davvero?

“Ma…” continuò poi Burt.
Ma che cosa? Pensò Kurt fra sé. Cosa c’è ancora?

“Che cosa papà?”
“Vorrei che Blaine mi aiutasse in officina.”
“…Che cosa?!?” fece Kurt perplesso. “Ma non puoi farlo lavorare! E’ una carognata!”
“Non preoccuparti  Kurt” Intervenne Blaine alzandosi in piedi e rivolgendosi poi al signor Hummel “La ringrazio infinitamente. Cercherò di essere il miglior aiuto-meccanico possibile”
“Sono sicuro che lo sarai.” Sorrise rassicurante il signor Hummel.
A quel punto Blaine sentì la sua tasca vibrare.
“Scusate.”
“In veranda il telefono si sente meglio.” Fece Carole sorridente.
“Grazie.”

-

 “Pronto?”
Disse Blaine una volta giunto in veranda.
“Sono io Blaine.” Blaine riconobbe la voce di sua sorella dall’altra parte del telefono. “Come è andata?”
“Oh... bene. Mi fanno rimanere.”
“Ne ero sicura.”

“E tu?”
“E tu cosa?”
“A te come è andata?” Blaine si stupì di quella cura che lui e sua sorella stavano dimostrando l’uno per l’altra.
Nelly rispose alla domanda con un sospiro.
“Che è successo?” chiese Blaine preoccupato.
“... Siamo usciti tutti e tre. La mamma ha bevuto un po’ troppo e ora non sta molto bene… non è andata a lavorare.”
“In che senso non sta molto bene?” fece serio Blaine.
“Non preoccuparti.” Disse calma “Solo un po’ di mal di testa e capogiro. Ora dorme di nuovo.”
“E… lui?”
“E lui non è ancora tornato.”
“…Capisco.”
“Meglio che vada a dormire anche io, ciao Blaine.”
“Ciao…” chiuse il telefono e si poggiò con i gomiti sulla ringhiera. Guardò la strada deserta e buia, e sospirò. Sentì di nuovo quell’aria fredda, che molte volte l’aveva accompagnato nelle sere che fuggiva di casa dopo aver litigato con sua madre. Adesso, pensare che sua madre era lontana e che stava male, lo faceva sentire in colpa. Sospirò di nuovo. Sapeva che tutto quello che gli stava succedendo non era colpa sua, ma non poteva fare a meno di tormentarsi. Quell’uomo continuava a tornare, a volte con intervalli più lunghi fra una visita e l’altra, ma cavolo, tornava sempre, come un incubo. E per tutte quelle volte che aveva sperato, che si era ritrovato a pregare a mani giunte sul suo letto, rivolgendosi a chissà chi lo guardasse da lontano di non farlo tornare, che quella visita fosse l’ultima, che quell’uomo non tornasse più per distruggere quello che lui, sua sorella e sua madre tentavano di far stare in piedi, nulla, non aveva mai funzionato.
‘Cazzo…’  si coprì il viso con le mani, tentanto inutilmente di scacciare quei pensieri dalla sua mente.

“Ehi…” Kurt varcò la soglia della porta, con un timido sorriso sulle labbra. “Fa freddo, perché non rientri?”
L’altro fece uno scatto.
“Mi hai spaventato…” disse con un sorriso.
“Scusa, non volevo.” E sorrise di rimando. “Chi era al telefono?”
L’altro cambio espressione in un attimo, e quel piccolo sorriso gli sparì dal volto.
“…Era mia sorella.” Disse guardando in basso.
Kurt si accorse dell’improvviso cambio d’umore e decise di non chiedere altro.
“Rientriamo? Fa veramente freddo qua fuori.”
“Si, hai ragione.”
-

Ovviamente Burt aveva tassativamente vietato ai due di dormire nello stesso letto (malgrado il letto di Kurt fosse anche troppo spazioso per una persona sola) e anche di dormire con i letti molto – troppo – vicini. Sarebbe stato l’ideale se Blaine avesse dormito in camera insieme a Finn, ma questi non ne voleva sapere, e inoltre, nella stanza di Finn non c’era spazio sufficiente per un letto in più. I due letti erano quindi stati messi abbastanza lontani, in una vana speranza di ridurre al massimo il contatto fisico fra i due. Poteva ritenersi un comportamento un po’ ossessivo, ma stavolta Burt preferì dare ascolto al suo primo istinto di genitore. D’altro canto, avrebbe avuto occasione di conoscere meglio Blaine grazie alla trovata di farlo lavorare insieme a lui.

Ma il problema dei letti passò in secondo piano quando i due ragazzi rientrarono in casa e tutta la famiglia potè notare che Blaine continuava a guardare in basso e a tremare.
“Va tutto bene caro?” chiese Carole che se ne accorse per prima.
“Si signora. E’ solo che… sono solo un po’ stanco.”
“E’ piuttosto tardi, perché non andate a dormire?”
“Si, ha ragione. Kurt, non ti dispiace se comincio a salire?”
Kurt fece no con la testa, continuando a osservarlo.
“Allora buonanotte a tutti.” Disse forzando un mezzo sorriso. La famiglia lo guardò mentre saliva le scale con sguardo vacuo negli occhi.

Kurt smise di guardarlo per ultimo, fino a che non lo vide chiudere la porta della sua camera dietro di sé, e si voltò di nuovo verso la sua famiglia.

“Va da lui.” Gli disse Burt.
“Co-come?” fece Kurt confuso da quell’ordine.
“Va da lui, ha bisogno di te, non lasciarlo solo proprio adesso. Non dovrei dirtelo io.”
Kurt fece sì con la testa. Non credeva davvero che suo padre avesse potuto dirgli una cosa del genere. Si voltò e salì le scale.

-

Blaine si era messo il pigiama, il primo che aveva trovato nella sacca preparata da sua sorella e il più brutto che avesse mai avuto, rosso e di pile. Si stringeva in quell’ammasso di stoffa pesante, seduto sul materasso e leggermente rannicchiato su se stesso.
“Ciao…” Kurt entrò nella sua stanza, indossava un pigiama blu di seta che si era messo in bagno prima di entrare.
“…Ciao.” Rispose Blaine dal letto.
Kurt si mise seduto affianco a lui. “Come mai non dormi?”
Blaine si strinse ancora di più, e guardò l’amico. “Non so… pensavo…”
“A che pensavi?”
“Alla parola inglese ‘blame’… sai? Significa ‘colpa’ e somiglia tanto a ‘Blaine’. Lo so che è un po’ stupido ma è così che mi sento la maggior parte delle volte.” Lo guardò con i suoi grandi occhi. Erano più scuri del solito, come vuoti.
Kurt lo guardò perplesso. “…Che intendi?”
Blaine fece un sospiro. Capì che era inutile nascondersi, si sarebbe ritrovato a stare in quella casa per un bel po’, giorni, settimane… forse mesi.
“Cosa c’è? Tua sorella ti ha dato delle brutte notizie?” insistette Kurt.

E soprattutto non aveva senso nascondere il suo passato al suo amico che lo stava ospitando. Era certo che Kurt non l’avrebbe giudicato, Kurt era la persona più buona che avesse mai conosciuto.

“Sai… Mia madre si è sposata molto giovane.”

Kurt lo guardava attento, come per spronarlo a continuare, ma era già ovvio che Blaine non si sarebbe fermato solo con quella frase.

“Al liceo stava con un tizio… “ continuò “… ed è rimasta incinta. Decise di tenerlo… e per fortuna quel tizio le rimase sempre accanto. Si preoccupò di trovare un lavoro, di provvedere a tutto quello che sarebbe servito,… si ammazzò di fatica in poche parole.”

“Quel tizio…” lo interruppe Kurt  “…Era tuo padre?”
Blaine annuì. “Si... Ben presto mio padre le chiese di trasferirsi da lui. Mio padre era orfano di entrambi i genitori, viveva con suo fratello che si arruolò nell’esercito, lasciando a lui e a mia madre la casa.”
“…Come sai queste cose?” chiese Kurt.
“Me le ha raccontate mia madre un paio di volte, e tutte le volte che parla di quel periodo ha sempre il sorriso sulle labbra, erano felici in quel periodo, erano…innamorati, e stavano aspettando la loro bambina. Poco importava se a quel tempo mia madre aveva circa l’età che ho io adesso.” Sorrise per un attimo.

“La chiamarono Nelly, non mi ricordo il perché avessero scelto questo nome. Ma erano davvero felici per quei primi mesi, anche se entrambi dovettero mollare gli studi. Un brutto giorno però… le cose si misero male. Mio padre perse il lavoro, e non c’era verso di trovarne un altro, nessuno voleva assumere un figlio di nessuno con una bambina a carico. Così mia madre cominciò a chiedere prestiti ai suoi genitori, e per mio padre era molto stressante e lui e mia madre cominciarono a litigare di frequente… Non so perché ti sto raccontando queste cose…” scosse la testa e guardò in basso, colto da un’ improvvisa ondata di vergogna. “Probabilmente ti sto annoiando.”

“No” rispose pronto Kurt “No…no non mi annoi affatto. Non mi hai mai parlato di te… e tu sai praticamente tutto di me!”
Istintivamente si avvicinò ancora di più a lui, Blaine alzò lo sguardo: di nuovo quegli occhi vacui.
“Mi interessa… Mi interessa eccome” disse Kurt sorridente “Ma se non vuoi… okay non c’è problema.”

“Ok…” fece Blaine rassicurato da quel sorriso.
“Mio padre poi, non chiedermi come, riuscì a vendere casa sua, e riuscì a racimolare un po’ di soldi.”
“E dove andarono a vivere i tuoi?”
“Mio nonno… teneva una casa un po’ fuori città, in campagna, quella dove viviamo tutt’ora. Ma non era come è adesso, al tempo la campagna riusciva a ricoprire un tratto molto ma molto più ampio, prima non c’era la strada, né la linea degli autobus, non in quel tratto almeno. A mia madre piaceva molto, a mio padre… non lo so. Mia madre mi ha raccontato che gli pesava il fatto di dover vivere là, in una casa che non era la sua, così era sempre stressato…”

Rimase in silenzio per un attimo, guardando il vuoto.

“…e molto spesso usciva da quella casa… per andare… non lo so, non lo so dove andasse.”

Fece un sospiro. “…e molto spesso tornava a casa tardi… sempre ubriaco.”

Gli occhi di Blaine erano sempre fissi, brillavano. Si strinse ancora nel suo pigiama e prese fiato.

“E le cose andavano avanti così… Senza un senso. Ormai era passato un anno e… mia madre rimase di nuovo incinta. Di me. Mia madre non ne voleva sapere di abortire, così… malgrado le pressioni che le faceva mio padre, decise di tenerlo. Si ammazzò di fatica per trovare un altro lavoro, ma stavolta ebbe fortuna, e trovò lavoro ai grandi magazzini. Mio padre le promise di darsi da fare anche lui… ma ogni volta che usciva di casa, tornava tardi, con un odore strano addosso… Era chiaro che non era andato a cercare proprio nessun lavoro.”
“E… poi?”
“Poi nacqui io. Non ho ricordi di momenti passati insieme a mio padre, non di bei momenti almeno.”
Un’immagine fece capolino nella mente di Kurt. Si ricordava ancora perfettamente del giorno in cui suo padre gli aveva insegnato ad andare in bici, lui era caduto e suo padre gli aveva teso la mano per rialzarsi, si ricordava della delusione che aveva provato per se stesso per essere caduto, ma suo padre l’aveva rimesso sul sellino e gli aveva detto ‘Non preoccuparti, nessuno impara al primo colpo. Dai riprova campione!’. Quel ricordo gli fece fare un piccolo sorriso, ma allo stesso tempo, sentire che Blaine non aveva vissuto momenti di quel genere con suo padre gli fece sentire una forte fitta al petto.

“Non ricordo neanche un momento in cui mi avesse supportato, anche per le piccole cose, in cui mi avesse detto ‘sei stato bravo’ o ‘sono fiero di te’. Stava sempre per conto suo…”

Continuava a tormentare un povero residuo di filo che pendeva dalla manica del pigiama. Lo attorcigliava intorno alle dita, stretto, fino a farsi diventare le dita rosse.

“Era chiaro che ce l’aveva a morte con me… per essere arrivato al momento sbagliato. Non mi ha … non mi ha mai voluto.” Disse con voce rotta.

“Blaine…” fece Kurt con il batticuore “…Tu non hai nessuna colpa!”
“Lo so… è solo che a volte…non so, ci pensi e basta.” Attorcigliò il filo intorno alle dita ancora una volta, e poi ancora un’altra volta.
“I miei continuavano a litigare. Quando ho visto mia madre ammalarsi a causa di tutta la fatica che faceva al lavoro e di quanto stava male perché non riusciva a far passare un giorno senza urlare contro quell’uomo, io e mia sorella andammo da lei e la pregammo di smetterla, di porre fine a tutto. Quella fu la nostra prima vittoria e anche la più grande, infatti dopo un anno i miei genitori si separarono. Andò via subito, non si fece più sentire, neanche una telefonata. Io mia madre e mia sorella per qualche mese fummo sereni. In casa c’era la pace finalmente.”

“Ma quando è ritornato tuo padre?”
“Due o tre anni fa mia madre e mio padre si incontrarono per caso. Mio padre disse di aver trovato una casa, un lavoro stabile e che stava bene, mia madre gli credette e qualche volta lo invitò a casa nostra, per fare due chiacchere. Sembrava essere totalmente cambiato, tantochè anche io e Nelly per un primo momento ci credemmo.”

“E poi cosa è cambiato?”

“Ha cominciato ad aprofittarsi della gentilezza di mia madre e della nostra pazienza. Chiedeva prestiti, che mai venivano restituiti. Parcheggiava l’auto a casa nostra, usava la nostra linea telefonica e molte volte chiedeva di passare la notte da noi, per nascondersi da chissà che cosa. Non credo che il suo “lavoro”, se così lo vogliamo chiamare, fosse qualcosa di molto raccomandabile.”

“E con te e Nelly come era?”
“Ci chiedeva continuamente di passare del tempo con lui. A essere sincero la cosa mi rendeva… felice, è normale no? E’ pur sempre mio… ecco, mio padre. Ma si comportava come se noi ci fossimo dimenticati che per anni e anni non ha mai voluto prenderci in braccio neanche per un minuto. E’ incomprensibile.”

“Si… si, hai ragione.” Fece Kurt a testa bassa.

 “Non te l’ho mai detto ma, invidio molto il rapporto che c’è fra te e tuo padre.”
Kurt lo guardo stupito. “Come mai dici questo?”
“Ecco… sono sempre stato molto unito a mia madre. Parlavamo sempre, le dicevo tutto, dei miei amici, di quello che mi piaceva, del canto, il football e quando avevo quattordici anni le dissi… di essere gay.”
“E… lei?”
“E lei lo accettò e mi trattò sempre alla stessa maniera. Certo… per ogni amico che porto a casa mi fa il terzo grado, ma va beh!” e accennò un piccolo sorriso, che gli sparì dal volto un secondo dopo. “Però poi, mio padre lo scoprì… e da lì non ho mai avuto un attimo di pace.”
“…Che vuoi dire?”
“Frecciatine continue, anche pesanti. I nostri dialoghi da pochi, divennero nulli. Sembrava sempre pronto a impartirmi qualche lezione sul come diventare uomo, fare cose da uomini… litigavamo sempre e presto dalle parole giungemmo alle mani.”
“Vi picchiavate?”
“Si… ci picchiamo sempre.”

Kurt si sentì mancare per un attimo. Capì che aveva avuto ragione nel pensare che Blaine venisse picchiato a casa sua, ma aveva sempre potuto contare sulla speranza che si fosse sbagliato. Ma ora, sentirlo dire da lui, gli recava ancora più dolore. Sentì i suoi occhi pizzicargli, ma si sforzò comunque di non piangere.
“Oh dio…” disse Blaine appena vide l’espressione dell’altro. “Ti prego non lo fare…Era la cosa che volevo evitare più di tutte.”
Kurt alzò lo sguardo e si riprese. “No, no, non preoccuparti. E’ solo che non me l’aspettavo.”
“Invece sì. L’hai pensato dal primo momento che mi hai scoperto quel livido.”
“…Si, hai ragione.” Disse sistemandosi i capelli.
“Sei il primo dei miei amici che lo sa.”
“Davvero?”
Blaine annuì a testa bassa e si acarezzò la guancia col dito.
“E’ quasi passato, non si vede neanche più.” Disse con un leggero sorriso, al quale Kurt si tranquillizzò in un attimo.
“Sto bene Kurt.”
“E’ già mezzanotte… dormiamo?”
Blaine fece sì con la testa e si mise sotto le coperte.

-

Kurt aprì piano gli occhi. Attorno a lui, tutto era buio e sfocato. Ci mise un po’ a capire di essere sveglio, e di non trovarsi più nella fabbrica di cioccolato di Willy Wonka, accompagnato da Patty LuPone, in quello stranissimo sogno che stava facendo. Talmente strano da averlo svegliato.
Guardò la sveglia per vedere l’ora, le tre.
Si rigirò nel letto per riprendere sonno e chiuse gli occhi, si accorse però di sentire un po’ di freddo. Cercando di fare più silenzio possibile, scese dal letto sulle punte dei piedi e, a passo felpato, si diresse verso il suo armadio. Lo aprì e prese la prima coperta che trovò.
Ritornò sui suoi passi, ma a metà strada fra l’armadio e il suo letto inciampò e cadde per terra con un gran tonfo.
“Ahi!” si lasciò sfuggire. Si tappò la bocca subito e sperò di non aver svegliato Blaine.
Sentì un rumore di coperte e vide un’ombra allungare un braccio verso la bajour.
Il buio sparì e Blaine scoprì Kurt per terra, ai piedi del suo letto con una coperta in mano.
Kurt lo guardò mortificato. “Scusa, non volevo svegliarti.”
Blaine lo guardò per un secondo e scoppiò in una sonora risata che durò qualche manciata di secondi.
Kurt si rialzò, non sapendo se essere sollevato o offendersi, e si rimise nel suo letto.
“Che ci facevi per terra?” chiese Blaine sorridente.
“Sono inciampato.” Disse imbarazzato. “Avevo freddo e ho preso una coperta.”
“…E sei caduto.” Rispose con un sorriso, posando la testa sul cuscino.
“Ti ho svegliato?”
Blaine fece no con la testa.
“Come? Eri già sveglio?”

Blaine guardò in basso un attimo, per poi tornare a guardare l’amico negli occhi.
“Si, ero sveglio.”
Con l’aiuto della luce della bajour Kurt si accorse che Blaine gli accennava un sorriso, ma aveva anche gli occhi arrossati.
“Non hai dormito?”
“…No” ammise Blaine scuotendo la testa.
“Come mai?” insistette Kurt.
“Non sono riuscito a prendere sonno… Ho gli occhi tutti gonfi.”

Kurt si alzò dal letto e si sedette di fianco a lui e lo guardò serio.
“Blaine, posso essere del tutto onesto con te?”
Blaine fece sì con la testa.
“Penso che tu non stia affatto bene. Cerchi di apparire sereno, però riesco a vedere quanto peso porti dentro di te. Ma fare finta di nulla e piangere la notte non ti aiuterà a risolvere i tuoi problemi.”
Blaine lo guardò dal basso per un secondo, colpito ancora una volta da quella voce.
Quelle parole erano riuscite a toccare delle corde dolenti dentro di lui, si strinse nelle coperte e si fece sfuggire una lacrima, che gli rigò il volto e andò a bagnare il cuscino già umido.

“… Muoio di paura.” disse senza voltarsi.
“Paura di che cosa?”
“…Di dirlo a mia madre.”
“Perchè? Lei non lo sa quello che ti fa tuo padre?”
“No…”
Kurt lo guardò incredulo.
“Perché non glielo dici? Tutto si risolverebbe!”

Blaine si rimise seduto e guardò l’altro negli occhi.
“Kurt, non posso! Lo capisci? Non ci riesco.”
“…Di cosa hai paura?”
“Ho troppa paura che mia madre non mi creda.”
“E perché non dovrebbe crederti?”
“Perché lei sembra davvero convinta che lui voglia passare del tempo con noi, che sia cambiato, che voglia provare a rimediare… e che noi siamo solo infastiditi perché non andiamo d’accordo con lui.”
“Ma Blaine, lei non sa tutto.”
“No… Ma temo… temo che se glielo dicessi, non mi crederebbe comunque. Temo che si schieri dalla sua parte, che…”  stette zitto per un secondo.

Un’altra lacrima gli rigò la guancia. 

“… che… mi abbandoni…”  disse fra i singhiozzi. “Come posso fare senza di lei? Come posso farcela da solo?”

Kurt smise di pensare razionalmente. Aprì le coperte del suo letto e si coricò vicino a lui, senza che l’altro obiettasse.
Allungò le braccia e, lo strinse, più forte che poteva.
Blaine non si oppose e ricambiò l’abbraccio. Continuava a singhiozzare apoggiato al suo petto.
A Kurt ci volle qualche secondo per comprendere quello che aveva appena fatto. Tuttavia non volle mollare la presa per nessun motivo. Stava bene. Stava abbracciando Blaine.
Non gli importava che le loro gambe si toccassero o che in quel letto ci fosse così tanto caldo. Non gli importava più, voleva soltanto che Blaine smettesse di piangere.
“Non sei solo.” disse. “Troveremo una soluzione. Te lo prometto.”

Blaine non smise di piangere. Quella notte la passarono insieme, vicini e abbracciati l’uno all’altro. Blaine dopo tanto tempo si sentì protetto. Aveva trovato un rifugio sicuro fra quelle quattro mura, dove nessuno dei suoi problemi l’avrebbe potuto raggiungere.

Aveva trovato la possibilità di confidarsi con qualcuno, perché sapeva che Kurt non l’avrebbe giudicato. Confortato da quella prospettiva e esausto per quella giornata, alla fine si abbandonò al sonno e si addormentò fra le braccia del suo amico.
Quella fu la terza notte che passarono insieme. E non fu l’ultima.

 

 

 

 

 

 

 







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Mi scuso tantissimo per l'enorme ritardo con cui ho postato il 6° ma ho avuto qualche problema.
Non sono stata in città in questi giorni quindi non so quanto ci metterò per pubblicare il 7 :(
Ok, non ho molto altro da dire :) Ovviamente si accettano suggerimenti, idee e sopratutto critiche.
Un bacio a tutti! <3


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