All that is gold does not glitter

di Nenredhel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Manen Vilya an Thuio (COME L’ARIA CHE RESPIRI) ***
Capitolo 2: *** Mornië en Amarth (L'Ombra del Futuro) ***



Capitolo 1
*** Manen Vilya an Thuio (COME L’ARIA CHE RESPIRI) ***


Nuova pagina 1

 

Titolo: All that is gold does not glitter
Autore: Nenredhel
Fandom: Il Signore degli Anelli/Supernatural
Pairing: Terra di Mezzo!AU - elf!Castiel/wanderer!Dean, elf!Gabriel, elf!Balthazar, king!John, half-elf!Sam, half-elf!Lisa
Rating: Pg13
Chapter: 1/2
Beta:Geneviev
Words: 6605
Note: Spin off, o meglio prequel di “Not all those who wanders are lost

 

Manen Vilya an Thuio (Come l’Aria che Respiri)

 

Gli interminabili, e in molti casi tortuosi, corridoi di Imladris sembravano risplendere del chiarore del sole mattutino, che filtrava dalle migliaia di finestre che rendevano le mura del palazzo niente più che poche, indispensabili, strutture di sostegno. In ogni singolo angolo, la luce e il verde rigoglioso della valle e delle sue creature filtravano all’interno della dimora di sire John, avvolgendola in un abbraccio di splendore. Dean si muoveva velocemente tra quei corridoi: i capelli ancora arruffati dal giaciglio appena abbandonato; un’abbondante maglia di fine cotone rosso, i cui lacci pendenti ed abbandonati lasciavano scoperta una larga parte del suo giovane petto glabro, e che non sapeva certo rendere più eleganti i semplici pantaloni marroni che indossava; mentre i piedi lasciati nudi rendevano silenziosi i suoi rapidi passi.

Gli occhi verdi del giovane uomo scattavano velocemente da un lato all’altro dei vari corridoi che incrociava, nel chiaro tentativo di trovare qualcosa, mentre si districava con sicurezza fra porte e sale, svoltando a destra o a sinistra come se sapesse esattamente dove si stava dirigendo, o stesse semplicemente girando a vuoto il più velocemente possibile. Solo quando si scontrò con un giovane Elfo che trasportava un grosso vassoio colmo di vivande, il ragazzo si fermò, osservando il cibo come se gli avesse appena comunicato una profonda rivelazione, e quindi riprese la sua marcia, quasi rompendo in una corsa, con un sorriso sicuro sul volto.

Gran Burrone poteva sembrare un labirinto fin troppo complicato, per essere un semplice palazzo: la sua miriade di corridoi e sale erano cresciute insieme al paesaggio e alla vegetazione che dominava, spuntando come nuove foglie e fiori sul nucleo originale della casa di Sire John, secondo le esigenze del suo padrone. Ma Dean, dopo più di 20 anni che viveva (e correva) fra i quei corridoi, li conosceva bene quasi quanto i solchi sulla propria mano.

Non appena raggiunse la porta senza battenti della sala, dove normalmente Sire John consumava i suoi pasti insieme alla sua famiglia e a pochi amici, Dean si bloccò finalmente, fermandosi sull’uscio ad osservare i presenti, con il petto leggermente affannato dalla marcia.

Suilannen Dean (Buongiorno Dean)” lo salutò il signore di Imladris, con un sorriso tra il sorpreso e il divertito, inarcando le sopracciglia nello squadrare l’abbigliamento del suo protetto.

“Eri così affamato da correre fino qui? E senza neppure vestirti?” scherzò Sam che, seduto di fianco al padre, aveva alzato la testa velocemente quanto lui nel sentire l’inconfondibile passo pesante del fratello adottivo, e ora stava indirizzando uno sguardo perplesso ai suoi pantaloni allacciati solo a metà, e alla molto poco elegante maglia, che gli pendeva sgraziatamente da una spalla.

Dean abbassò lo sguardo su se stesso e inarcò le sopracciglia in un’espressione ‘eh-in-effetti’ che suscitò una risata nel fratello adottivo. Non aveva nemmeno indossato gli stivali, si rese conto, e improvvisamente si ritrovò a porre un piede nudo sopra l’altro, come se questo potesse in qualche modo nascondere il suo aspetto disastroso.

“No… io” il ragazzo ricominciò a scrutare la lunga tavola semideserta, senza più badare al proprio abbigliamento ma tornando a concentrarsi sul suo obiettivo principale: Sire John era seduto a capotavola, al suo fianco c’era Sam e dall’altro lato, leggermente discosti, Balthazar e Gabriel, i due figli del signore di Bosco Atro, che da qualche tempo erano ospiti a Gran Burrone.

La sedia accanto a Sam, che apparteneva a dama Lisa, era vuota, ma questo non stupì per niente il ragazzo, che invece emise uno sbuffo infastidito quando notò che anche il posto normalmente occupato dalla persona che stava cercando era vacante.

“Io stavo cercando…” rispose infine, il fiato ormai tornato praticamente alla normalità, ma Gabriel lo interruppe, in un gesto quantomeno scortese, che si guadagnò un’occhiata di biasimo dal padrone di casa.

“Il mio caro fratellino… ovviamente. Si direbbe che non riesci a muovere un passo, senza che lui ti tenga la manina” lo canzonò con una mezza risata, salvo poi indirizzare un distratto cenno del capo, che avrebbe dovuto passare per una richiesta di scuse, a John.

Dean rivolse ai due fratelli un’occhiata di fuoco, strinse i pugni e aprì la bocca per rispondere a tono, ma Sam si alzò improvvisamente, richiamando tutta l’attenzione con le sue imponenti dimensioni e impedendogli di dire qualcosa di più rude di quanto sarebbe stato tollerabile.

“Credo che Castiel sia uscito per una passeggiata” spiegò, indicando con un cenno della mano le grosse finestre che coprivano la parete dietro di lui “Ma fermati a fare colazione prima di raggiungerlo…” lo tentò Sam, prendendo in mano un morbido panino bianco e facendo il gesto di offrirglielo.

Il giovane uomo sentì il proprio stomaco ruggire come una belva feroce, e d’altronde sapeva bene che Sam stava cercando di salvarlo dall’ennesima figuraccia, in quel modo: irrompere in una stanza dove erano presenti non una, ma ben due linee di sangue reale, fare una domanda e quindi fuggire senza dire altro sarebbe stato quasi un affronto. Ma Dean non era per nulla nuovo a gesti di quel tipo, inoltre non era un Elfo e, nel suo modo di vedere le cose, questo lo rendeva molto meno vincolato alle loro rigide e assurde regole di etichetta.

“Dopo, sicuramente dopo, Sam” esclamò, allargando sul volto un sorriso radioso e strizzandogli rapidamente l’occhio in un ringraziamento muto mentre si dirigeva con passo deciso verso di lui, afferrava il panino che gli aveva simbolicamente teso e quindi lo superava senza aggiungere altro, semplicemente voltandosi per inchinarsi rapidamente in un gesto di congedo dei presenti, prima di oltre passare una delle grandi portafinestra della sala, attraversando il terrazzo e scavalcando il parapetto con un unico balzo atletico, per scomparire nei giardini sottostanti.

 

~~~

 

Il sole del mattino accendeva ogni cosa di colori brillanti, e faceva sembrare ogni singola foglia degli alberi della valle di Imladris come una piccola gemma, più preziosa di qualsiasi gioiello mai incastonato sulle corone degli uomini. Era primavera, e quello era sempre il periodo migliore dell’anno per passeggiare nei suoi prati e piccoli boschi. L’acqua dei fiumi sembrava voler mostrare nel suo intenso colore azzurro chiaro il gelo che aveva strappato dai ghiacciai stessi delle Montagne Nebbiose, mentre gli alberi sembravano fare a gara a chi sarebbe esploso per primo dei colori più accesi.

Dean era cresciuto giocando in quei boschi. Aveva visto mille volte lo splendore dorato dell’autunno, così come la vita rigogliosa che esplodeva in primavera, e non era certo il tipo da trovare piacere nel fermarsi ad adorare i colori di un bel quadro, eppure ogni volta l’esplodere di vita delle creature di Gran Burrone riusciva a lasciarlo a bocca aperta. Stavolta, però, era troppo impegnato a cercare di tirarsi fuori una grossa scheggia da un piede, imprecando e maledicendo a mezza voce il nome di ogni Vala che gli occorreva alla mente, per avere il tempo di notare lo splendore dell’albero sotto il quale si era accucciato, con un piede tra le mani e quasi davanti alla faccia.

Come sempre, malgrado lo conoscesse da anni e ogni volta giurasse che non sarebbe più riuscito a prenderlo alla sprovvista, Dean non sentì l’Elfo avvicinarsi, e intento com’era a compiangere il suo povero piede malandato, non si accorse della sua presenza finché non fu lui ad apostrofarlo.

Man agoreg si, Dean? (Cosa hai combinato stavolta, Dean?)” gli chiese, appoggiato ad un albero alla sua destra, con le sopracciglia inarcate e un sorriso divertito, ma solo accennato, sul volto.

Il giovane sollevò la testa dal suo piede ferito e lanciò un’occhiataccia all’Elfo, che gli si era rivolto esattamente con la stessa voce che usava sempre quando era ancora un bambino e lui stava per ammonirlo per l’ennesima marachella. Non lo aveva mai veramente sgridato, eppure riusciva ogni volta a farlo sentire molto più in colpa di chiunque altro, con quel suo sorriso gentile. Restò a guardarlo in tralice per alcuni secondi: aveva addosso una leggera e morbida tunica verde chiaro, che lo faceva sembrare solo un altro germoglio in mezzo alla foresta, le maniche leggermente svasate, il collo aperto a v sul petto; anche i suoi piedi erano nudi, ma non sembravano aver riportato il benché minimo danno.

“Mi spieghi come diavolo fate, voi orecchie a punta, ad andare in giro a piedi nudi nei boschi?” domandò scontroso, finendo di estrarre la scheggia con una smorfia di dolore, e quindi iniziando a massaggiarsi il piede “Quella cosa ha praticamente tentato di uccidermi” sbuffò infine, con una certa dose di ironia e un mezzo sorrisetto già di nuovo sulle labbra.

“Pensavo che avessi imparato, finalmente, che Elfi e Uomini sono diversi” sospirò Castiel, staccandosi dal tronco per andare a sedere di fianco a lui “Le ossa degli Elfi sono elastiche e cave. Siamo molto più leggeri di un uomo, e sappiamo muoverci i modo molto più leggero” spiegò distrattamente, mentre puntava gli occhi blu sulla piccola ferita sotto il piede del ragazzo “Credo che sopravvivrai. Ma ovviamente, se vuoi, si può sempre amputare” commentò l’Elfo, e Dean lo guardò stranito, perché era terribilmente raro sentirlo usare del sarcasmo.

“Ehi, per una volta che fai una battuta, devi proprio farla a mio danno?” lo rimbeccò Dean, tirandogli un pugno amichevole sulla spalla e quindi alzandosi, per provare ad appoggiare, titubante, il piede a terra “Perché non usi la tua nuova padronanza dell’ironia con quei simpaticoni dei tuoi fratelli? A proposito, quando se ne vanno?” aggiunse storcendo il naso, ma senza permettere di dedurre se fosse per il dolore al piede o per aver nominato i due Elfi più antipatici della Terra di Mezzo.

“Sono i miei fratelli Dean, e sono fratelli maggiori. Gli dovresti almeno un po’ di rispetto, se non proprio di affetto” lo ammonì di nuovo Castiel, alzandosi a sua volta, ma senza mettere la minima enfasi nelle sue parole. Sapeva perfettamente che si trattava di una causa persa in partenza “In ogni modo, cosa ci facevi nel bosco senza scarpe e mezzo svestito?” continuò, corrugando la fronte ed inclinando appena la testa di lato mentre osservava i vestiti non proprio ordinati del ragazzo.

“Ti cercavo!” esclamò Dean, facendo comparire una gran sorriso mentre si appoggiava, più pesantemente del dovuto, alla spalla dell’amico e iniziava a camminare guardando attentamente dove metteva i piedi.

Castiel si limitò a increspare ancor più le sopracciglia, mentre gli passava un braccio intorno alla vita ed iniziava a camminare con lui, come se l’amico fosse veramente abbastanza ferito da aver bisogno di un supporto.

“Stanotte, o meglio… ieri sera… mi sono dichiarato a Dama Lisa!” annunciò il ragazzo raggiante, alzando finalmente gli occhi verdi dal terreno per incontrare quelli dell’Elfo. Rimase, però, spiazzato da quello che vi trovò.

Aveva creduto che l’amico avrebbe esultato insieme a lui, invece la sua espressione sembrava tanto sorpresa quanto preoccupata, tanto che dopo alcuni secondi di silenzio, Dean stava per ripetere la frase, temendo che l’Elfo non avesse capito bene quello che gli aveva appena detto.

“E lei cosa ha risposto?” domandò infine Castiel, fermandosi sulla cima di un pendio erboso, completamente sgombro di alberi o arbusti, che andava a terminare, solo alcuni metri più in basso, in un vivace torrentello acceso di mille riflessi dal sole mattutino.

Dean allargò ulteriormente il proprio sorriso, e il suo volto assunse un’espressione a metà tra il furbo e il malizioso. Quella era esattamente la domanda che stava aspettando. “Arrivo dalle sue stanze, proprio ora…” disse solamente, lasciando la frase in sospeso e guardando l’amico in attesa dell’ovvia reazione.

Ancora una volta, l’Elfo lo stupì, lasciandosi sfuggire un sospiro che non sembrava avere proprio nulla di felice “Spero che tu sappia quello che stai facendo, Dean” disse dopo altri, lunghi, momenti di silenzio, alzando i brillanti occhi blu per incontrare quelli dell’amico e tornando ad indossare quel sorriso condiscendente che lo faceva tanto sentire un bambino colto a rubare la marmellata.

“Che cosa vuoi dire?” chissà perché, tutta la sua euforia era andata a farsi friggere e un leggero velo di nervosismo stava cercando di impossessarsi dei suoi pensieri. Era sicuro di quello che aveva fatto? Ma certo! E allora perché, ora che lo aveva detto a Castiel, si sentiva come se avesse appena commesso un gigantesco errore.

“Dean…” iniziò Castiel, ma un sospiro interruppe di nuovo la sua voce pacata e dolce come sempre “Gli Elfi sono diversi in molti modi dagli uomini. Lisa non è del tutto un Eldar, e questo potrebbe cambiare le cose, io non posso saperlo, ma…” di nuovo un silenzio, Dean iniziava ad essere tanto esasperato quanto impaurito da quei silenzi “Gli Eldar amano una volta sola, Dean. Quando scelgono un compagno, è per la vita, e questo significa per l’eternità” concluse finalmente, voltandosi del tutto verso di lui per potergli appoggiare una mano sulla spalla.

Dean non gravava più con tutto il suo peso sull’amico: la preoccupazione per ciò che gli stava dicendo gli aveva fatto del tutto dimenticare il piccolo dolore al piede. Certo, lui sapeva queste cose, era cresciuto con gli Elfi e sapeva come funzionavano certe cose tra di loro. Lo aveva saputo anche la sera prima, quando era andato nelle stanze di dama Lisa, e si era sentito tanto sicuro di sé. “Io… la amo” rispose con una breve esitazione. E allora perché in quel momento, mentre fissava il blu profondo di quello sguardo, di fronte a lui, non si sentiva più sicuro di niente.

“E allora va tutto bene, Dean. Ed è una cosa splendida” cercò di rassicurarlo Castiel, stringendo appena la mano sulla spalla e allargando un po’ il proprio sorriso.

“Per i Valar, Cas! Perché non puoi essere un amico normale? Perché non puoi semplicemente rallegrarti, fare festa e saltellare di gioia quando un amico ti annuncia una buona notizia?” protestò Dean sbuffando e prendendo a calci un legnetto, che rotolo velocemente giù per il pendio.

“Vorresti davvero che fossi così?” chiese Castiel, piegando la testa in quel suo modo peculiare, ma senza che il sorriso scomparisse dal suo volto.

“No” rispose subito Dean, allungando una mano per scompigliargli i corti capelli castani, come se fosse lui l’adulto e l’Elfo un bambino “Però quando ero piccolo eri più divertente” aggiunse quindi, corrugando la fronte come se il pensiero lo disturbasse.

“Quando eri piccolo passavi il tempo a giocare con me, per forza ti sembrava tutto più divertente” replicò l’Elfo, togliendo la mano dalla sua spalla ed inarcando le sopracciglia, stupito e un po’ innervosito da quella strana constatazione. Conosceva il ragazzo da abbastanza tempo per riuscire a leggergli in faccia che stava escogitando qualche scherzetto.

“Dovremmo giocare di nuovo” ribatté immediatamente il ragazzo, come se quella fosse stata esattamente la risposta che voleva sentire “Vediamo se riesco a farti giocare, e ridere, di nuovo” esclamò, quindi senza dargli il tempo di ribattere o fare alcunché, afferrò la tunica dell’Elfo sul petto e lo tirò verso di sé mentre si gettava a terra, di lato, iniziando immediatamente a rotolare giù per il pendio.

Dean gli avvolse il busto con le braccia e lo tenne stretto, un po’ perché la sua costituzione magra continuava ad apparirgli fragile, nonostante sapesse bene che lui, come ogni altro Elfo, era molto più resistente di quanto non apparisse, e un po’ perché ricordava ancora quando questo Elfo lo teneva in braccio per farlo addormentare, e la sua vicinanza, per quanto fosse strano, lo faceva ancora sentire bene. Il ragazzo iniziò a ridere fragorosamente, intervallando le risa a piccoli urli di divertimento ogni volta che, nel rotolare, Dean si sentiva sbalzare per aria, e allo stesso tempo trattenere a terra dall’abbraccio di Castiel.

Non ci volle molto perché anche l’Elfo gettasse alle ortiche tutto il contegno nobile e distaccato che teneva di solito, iniziando a ridere tanto quanto l’umano che teneva a sua volta tra le braccia, godendosi il contatto insieme dell’erba soffice, e delle braccia del ragazzo, strette intorno a lui in un gesto protettivo.

Dean non aveva voluto arrivare fino in fondo, e certo non aveva calcolato che il pendio fosse troppo ripido per riuscire a fermarsi prima di finire direttamente in mezzo al ruscello. Finì con il colpire direttamente un sasso, sul letto del piccolo torrente, con la testa, ma le mani di Castiel lo stavano ancora tenendo contro di lui, e gli impedirono di farsi troppo male. L’acqua, però, era assolutamente gelida e Dean urlò, sorpreso e deliziato al tempo stesso, mentre il loro slancio li faceva finire a rotolare in mezzo all’acqua, proprio in modo che lui fosse sdraiato a terra, immerso in pieno nelle acque cristalline provenienti direttamente dai ghiacciai, mentre Castiel era coricato sopra di lui, con solo braccia e gambe immerse nella corrente.

L’Elfo non aveva ancora smesso di ridere, ma lo fece più forte quando vide l’espressione boccheggiante di Dean mentre cercava di venire a patti con la temperatura del ruscello.

“Allora, ti piace ancora la tua idea geniale?” domandò tra le risa, ma fece a malapena in tempo a concludere la frase, prima che Dean desse un veloce colpo di reni, che portò la situazione a ribaltarsi e lui a boccheggiare, sommerso di acqua gelida.

Castiel e Dean si guardarono in faccia, seri, per qualche secondo - solo pochi centimetri a dividerli, eppure completamente a proprio agio – poi le risa ricominciarono, e il giovane uomo smise di tenersi puntellato sulle braccia, ma si sdraiò del tutto sul corpo dell’Elfo, poggiando la fronte alla sua spalla mentre i loro corpi ancora vibravano di divertimento, e lasciando che l’acqua gli lambisse ritmicamente la fronte. Poteva essere assurdo, ma nemmeno quella mattina, quando aveva aperto gli occhi su un letto di piume con le mani delicate di dama Lisa poggiate sul suo petto, si era sentito così tremendamente bene.

Erano passati parecchi secondi da quando entrambi avevano smesso di ridere, ma Dean non se n’era neppure accorto. Solo quando sentì la mano di Castiel muoversi verso l’alto sulla sua schiena, si rese conto che quella non era solo una posizione piuttosto scomoda, ma che avrebbe anche dovuto essere imbarazzante. Sollevò il capo e sorrise all’amico, cercando di mettere in quell’espressione le scuse per un disagio che non sentiva, ma Castiel non rispose al suo sorriso. Il suo viso era serio, i suoi occhi intenti come quando fissava il bersaglio di una delle sue frecce, ma molto più intensi, e Dean sentì un formicolio strano percorrergli la spina dorsale, su e giù, e un nodo quasi doloroso ma certamente non spiacevole chiudergli il petto, dalla gola fino al ventre.

Forse, qualcosa dentro di lui se lo aspettava, anzi, non stava aspettando altro, ma rimase comunque sorpreso quando Castiel gli posò una mano, delicatamente, sulla nuca, e sporse il viso verso di lui, fino a poggiare due labbra bagnate sulle sue. Le piccole gocce d’acqua erano gelide, ma sotto di esse, la sua bocca era morbida e tiepida. Non somigliava al bacio di Lisa, non era così delicato da sembrare l’ala di una farfalla, sebbene il suo tocco fosse gentile, quasi non volesse essere troppo invadente. Lisa sapeva di fiori di pesco e odori dolci e sommessi di donna, mentre questo… questo aveva il gusto morbido ma forte di un bosco alle prime ore del mattino, un gusto selvatico che sapeva di libertà e gli faceva venire voglia di assaporarlo di più, fino in fondo.

Il ragazzo ebbe giusto il tempo di formulare questo pensiero, che il contatto era svanito, veloce com’era arrivato, lasciandolo stupito di se stesso e allo stesso tempo terribilmente insoddisfatto. Dean rimase paralizzato, fermo con gli occhi inchiodati sul viso dell’Elfo: lineamenti che conosceva da una vita; espressioni gentili che erano state con lui sempre, senza chiedere nulla il cambio; il volto di un amico; il volto che aveva cercato sempre, ogni giorno della sua vita, che fosse un giorno speciale o una semplice mattina di sole. Il volto che amava.

Non lasciò che il suo cervello potesse formulare un pensiero razionale, un pensiero che gli avrebbe ricordato quello che doveva e non doveva fare, quello che era e non era permesso, l’unica cosa che gli interessava, in quel momento, era quel sapore. Il sapore che sentiva ancora sulle labbra ma che stava già svanendo, che non era riuscito a sentire davvero, sulla lingua, che voleva gustare davvero, con tutto se stesso.

Inclinò leggermente il capo verso il basso, le labbra appena socchiuse mentre un sospiro andava a perdersi sulle labbra del compagno, facendo scivolare su di esse una piccola gocciolina d’acqua. Dean la raccolse gentilmente dall’angolo della sua bocca con la punta delle dita, e Castiel spalancò per un secondo gli occhi, in un’espressione tanto incredula quanto felice, prima di incontrare di nuovo le sue labbra.

 

~~~

 

Erano alcuni giorni che non vedeva Castiel, e non lo vedeva perché lo evitava accuratamente, soffrendo addirittura la fame per potersi sedere a tavola quando fosse sicuro di non doverlo incontrare. Non più di tre, non potevano essere trascorsi più di tre giorni dall’ultima volta che aveva incrociato il suo sguardo, quella mattina, in un ruscello gelato, eppure a Dean sembrava di diventare matto: non si era mai sentito così solo in tutta la sua vita.

Non si era mai reso conto di quanto contasse sulla presenza dell’amico, di quanto la cercasse e ne avesse addirittura bisogno. Certo, non era la prima volta che non si vedevano per un certo periodo: Castiel era tornato a Bosco Atro con i suoi fratelli, in alcune occasioni, e allora erano trascorsi mesi prima che potesse rivederlo. Eppure allora, per quanto ne sentisse la mancanza, non aveva percepito la solitudine, perché sapeva che sarebbe tornato, e sarebbe stato sempre e comunque il suo migliore amico. Questa volta, invece, non c’era più niente di chiaro, non era più sicuro di niente.

Questa era la ragione per cui lo stava evitando come la peste, e sempre questa era la ragione per cui sapeva che non sarebbe riuscito ad andare avanti così molto a lungo. Non aveva idea di cosa fosse successo in quel ruscello, ma sapeva che qualunque cosa accadesse, non poteva perdere Castiel.

Dean sospirò e sedette sul parapetto di pietra del piccolo terrazzo, accarezzando distrattamente i boccioli, chiusi per la notte, dell’albero che in quel particolare punto del palazzo si intrecciava alle sue mura e alle sue colonne. Il sole non era tramontato da molto, e in fondo all’orizzonte, dove il suo sguardo verde era rivolto, si riuscivano ancora distinguere gli ultimi raggi infuocati del sole scomparso. Il cielo era blu, di un blu intenso che riportò immediatamente i pensieri del ragazzo agli occhi che aveva osservato tanto da vicino, quella mattina di tre giorni prima.

Scosse il capo e tirò un calcio all’aria, tornando a voltarsi verso la finestra della propria stanza, solo per trovarvi incorniciata una figura che non aveva sentito avvicinarsi. Il suo cuore perse almeno due battiti, prima che i suoi occhi potessero rendersi conto che quell’Elfo era decisamente troppo alto per essere Castiel.

“Sammy, che ci fai in giro?” chiese distrattamente Dean, senza alzarsi dalla sua postazione e senza più nemmeno guardarlo.

“Ti cercavo” replicò l’Elfo, avvicinandosi e poggiando gli avambracci al parapetto, proprio accanto all’uomo, per guardare l’orizzonte insieme a lui “Sei silenzioso e molto tranquillo in questi giorni” commentò, in tono casuale “Cosa è successo?” domandò quindi, tornando a guardarlo in viso e mettendo tutta la sua grave serietà nella propria voce.

Il ragazzo non riusciva a scorgere propriamente i lineamenti dell’Elfo, mentre sapeva bene che lui poteva vedere alla perfezione il suo viso. Tutto ciò gli era sempre sembrato molto ingiusto, e aveva sempre cercato di evitare di parlare al buio con chicchessia, a palazzo. Questa volta, però, non aveva voglia di alzarsi ed accendere una candela: forse sperava davvero che Sam capisse cosa non andava in lui, perché indubbiamente lui non ne aveva idea.

“Niente di particolare” replicò Dean, stringendosi nelle spalle e rifiutandosi di ricambiare lo sguardo dell’Elfo.

“Cambierò domanda. Cosa è successo fra te e Castiel?” insisté il giovane Elfo, continuando a piantargli in viso i suoi penetranti e inquisitori occhi verdi.

Il ragazzo, preso alla sprovvista, si voltò di scatto, molto prima che la sua mente arrivasse a capire che Sam aveva solamente osservato il suo comportamento, e dedotto che qualcosa non andava dal fatto che fosse passato dal girare costantemente insieme all’Elfo, all’evitare addirittura le ore dei pasti per non vederlo. Dean soppesò l’idea di negare nuovamente, ma sapeva che non sarebbe servito a niente. Conosceva abbastanza Sam da sapere che non avrebbe mollato fino a che non avesse saputo cosa non andava, e non fosse riuscito a fargli un bel discorsetto sui sentimenti. Se c’era una cosa che Dean non sopportava del suo gigantesco fratello adottivo, era proprio la sua mania dei sentimenti.

“Per i Valar, Sam! Perché voi Elfi dovete essere sempre così loquaci e sentimentali?!” sbottò infine, continuando vanamente a sperare di poter cambiare argomento.

“Gli Elfi non sono loquaci, sono saggi” protestò il giovane Eldar sospirando, e quando fu chiaro che Dean non avrebbe risposto altro aggiunse “Hai litigato con lui? Insomma cos’è successo? Passi le tue giornate con Castiel da quando è arrivato a Imladris”

Dean ricordava a malapena quel giorno, era stato fin troppo piccolo, però rammentava perfettamente la prima immagine che aveva avuto di lui. Era stato cresciuto dagli Elfi, ed era quindi abituato alla loro apparenza eterea ed elegante. Le creature che lo accudivano avevano sempre affascinato molto la sua mente di bambino, ma trascorreva così tanto tempo con Sam e perfino con John, da essersi abituato alla loro presenza.

Eppure Castiel… Castiel era stato un’altra cosa.

Ricordava benissimo quando Castiel era entrato nella grande sala comune, per salutare il sire che lo avrebbe ospitato per gli anni a venire, dietro richiesta di suo padre, il signore di Bosco Atro. La sua lunga tunica chiara sembrava cambiare ad ogni suo passo, catturando la luce e trasformandola in puro colore, bagliori liquidi che scorrevano sulla stoffa, avvolgendo il suo corpo fino a farlo sembrare esso stesso sinuoso come acqua corrente. Ma non era stato questo a far spalancare gli occhi al piccolo bambino umano, ad incidere quell’immagine nella sua giovane mente per tutti gli anni a venire: erano stati i suoi occhi. I suoi occhi gentili lo avevano guardato prima ancora di rivolgere il suo saluto a sire John, e avevano sorriso solo per lui.

Il ragazzo si riscosse da quel ricordo, rendendosi conto di avere lasciato che il silenzio si allungasse fin troppo tra di loro.

“Io… gli ho detto di Lisa, e lui mi ha parlato dei legami immortali degli Eldar…” fu la prima cosa che gli venne in mente, ed era anche abbastanza vicino alla verità da non farlo sentire in colpa per avere raccontato una bugia a Sam. Potevano non essere veramente imparentati, ma lui lo considerava a tutti gli effetti suo fratello e non avrebbe voluto nascondergli niente.

“E’ per questo che avete discusso?” esclamò Sam, sorpreso “Sei preoccupato per quello che Castiel ti ha detto?” Dean si limitò ad annuire cautamente. Forse, se l’avesse lasciato parlare, se la sarebbe cavata “Sicuramente quello che ti ha spiegato è vero, gli Elfi tendono a scegliere un compagno per la vita. Ma io e Lisa non siamo veri Elfi… questo cambia le cose. Per me le ha cambiate” spiegò Sam, poggiando una mano sul braccio del ragazzo, come per rassicurarlo.

Dean gli sorrise, annuendo di nuovo in quello che sperò sembrasse un silenzioso ringraziamento, e finalmente Sam annuì in risposta e fece per allontanarsi da lui, soddisfatto di lasciarlo a rimuginare sulle nuove informazioni che gli aveva fornito. Fu in quel momento che Dean si stupì di se stesso, afferrando il braccio dell’Elfo per trattenerlo.

Lui odiava parlare di sentimenti, ma questa volta era davvero troppo confuso e tutta questa faccenda era davvero troppo grossa per fare semplicemente finta di nulla, archiviando il caso sotto la voce ‘mai successo’. Sam era la sua unica speranza, l’unica speranza di ottenere un consiglio: non avrebbe osato parlare con nessun altro.

“Hai mai…” iniziò titubante, ma poi si interruppe. Voleva un consiglio, ma fino a che punto era disposto a spiegare la situazione a Sam? Forse lo considerava come un fratello, ma certamente era anche il fratello di Lisa “Hai mai sentito davvero il bisogno… un bisogno quasi doloroso di avere accanto una persona? A prescindere da come sia con te, semplicemente… averla?” continuò, soppesando ogni singola parola e cercando furiosamente dentro di sé quelle giuste per spiegare ciò che lo tormentava.

Ormai, anche gli ultimi raggi del sole erano scomparsi dal cielo, e Dean non poteva scorgere che un’ombra dei suoi lineamenti, ma fu quasi sicuro di vedere l’Elfo sorridere a quel punto, poco prima che gli prendesse una mano tra le sue. “Gerig baur ha manen vilya an thuio (Ne hai bisogno come l’aria che respiri) Lo so, può spaventare” replicò Sam, con voce accondiscendente “Ma quello è solo… meleth (amore). Non c’è un altro modo per dirlo. Quel bisogno che fa male, è amore, quello vero, ed è splendido se ti abbandoni ad esso” una sottile vena di entusiasmo e forse commozione si insinuò nelle sue parole, ed era molto più di quanto non esprimesse normalmente una qualsiasi Elfo “Ma dovresti parlarne con lei Dean. Ti aiuterà” detto ciò, gli diede una veloce pacca su una spalla, e si allontanò, lasciandolo davvero solo con i propri pensieri.

Aveva ottenuto quello che voleva: una definizione chiara, concisa e determinante, di quello che lo assillava. Sam era stato anche molto felice di dargliela. Chissà se lo sarebbe stato altrettanto se avesse saputo che lui non stava parlando di Lisa? Il ragazzo fece penzolare distrattamente un piede oltre il parapetto una paio di volte, prima di saltare giù e dirigersi a sua volta verso la porta della sua camera.

 

~~~

 

Dean arrivò davanti alla porta che tante volte aveva spalancato senza nemmeno pensarci un momento, senza neppure ricordare quel briciolo di educazione che avevano cercato di inculcargli senza risultato, e si fermò. Per la prima volta nella sua vita si fermò ad osservare quella porta, e la sua liscia superficie di legno gli sembrò un ostacolo insormontabile.

Dietro di lui, da una delle migliaia di finestre che costellavano le mura di Imladris, entrava solo un lieve accenno di luce lunare, giusto quel tanto che bastava per proiettare la sua ombra sul battente chiuso davanti a lui. Sembrava che la sua stessa sagoma scura lo stesse prendendo in giro, standosene lì, sulla porta che non riusciva ad aprire. Era lì per parlare, continuava a ripetersi, era lì perché non aveva intenzione di gettare alle ortiche un’amicizia del genere per un momento di… per un momento. Sollevò la mano, stretta a pugno, pronto a bussare. Poi si fermò, sentendosi incredibilmente stupido, fermo davanti ad una porta con un pugno alzato, pronto a bussare ma troppo sciocco per farlo. Ma di cosa diavolo aveva paura?!

Il ragazzo masticò un’imprecazione che avrebbe fatto sobbalzare qualsiasi Valar, quindi picchiò il pugno sul muro accanto alla porta, e si inclinò in avanti fino a che la sua fronte non impattò contro la superficie di legno davanti a lui con un suono sordo, quasi sicuramente troppo basso perché chiunque stesse dormendo in quella stanza potesse sentirlo. Come al solito, aveva dimenticato che gli Elfi erano molto diversi dagli uomini, che per la maggior parte del tempo non dormivano affatto e che avevano un udito molto più fine di quanto un uomo potesse immaginare.

Quando Castiel aprì la porta, Dean quasi cadde in avanti, riprendendosi solo all’ultimo secondo, e sentendo la pelle chiara del suo viso avvampare sotto le poche lentiggini sparse che si portava sul naso. Adesso che si sentiva stupido.

“Scusa. Non volevo svegliarti” balbettò il ragazzo passandosi una mano sul collo in un gesto imbarazzato.

“Non stavo dormendo” replicò l’Elfo, fermo sulla porta ad osservare con un sorriso parzialmente divertito l’atteggiamento dell’amico, “Mi cercavi?” aggiunse quindi, quando il silenzio si fu protratto troppo a lungo, corrugando le sopracciglia in quella sua peculiare espressione perplessa.

Finalmente Dean trovò il coraggio di alzare lo sguardo per guardare l’amico, e improvvisamente si sentì la bocca arida. Il giovane Elfo indossava una tunica lunga, di quelle che metteva di solito solo in occasioni speciale o particolarmente eleganti, del colore dei sempreverdi, ricamata con mille intarsi di foglie di un verde più chiaro ma i cui lacci era completamente slacciati. La poca, pallida luce che penetrava dalla finestra alle spalle dell’uomo, si contendeva con il tremulo bagliore rosso di una candela il possesso della pelle chiara e perfetta sul petto dell’Elfo, mentre il suo viso era reso irreale come un sogno dall’argento della luna, e vivo e cangiante dal caldo fremente della fiamma. Incastonati in quell’incredibile volto, quegli di un blu scuro che sembrava strappato al mare in tempesta lo fissavano placidi e confusi, e quando Dean li incrociò si rese conto che non sarebbe più stato capace di distogliere lo sguardo.

“Io…” iniziò a rispondere, perché si rendeva conto di fare la figura dell’idiota, li fermo imbambolato e muto, ma semplicemente le parole non volevano venire.

Cosa aveva avuto in mente di dirgli? Cosa era venuto a fare? E come aveva, in tutti quegli anni, a non vedere cosa aveva davanti? Come aveva fatto a stargli lontano per tre interi giorni? Dean sentì il cuore iniziare a martellargli in gola, invece che nel petto, mentre sentiva crescere in sé il desiderio di avvicinarsi e baciarlo di nuovo, come aveva fatto nell’acqua del ruscello, solo più profondamente e più a lungo di quanto un uomo fosse mai riuscito a fare.

Già, proprio un gran bel casino questo.

“Vieni, entra” lo invitò infine Castiel, che aveva inarcato le sopracciglia alla sua frase troncata ed al suo strano mutismo, e lo guardava ancora come se non capisse davvero che cosa stesse succedendo al suo amico di solito così loquace e spaccone.

Possibile che una creatura del genere non si rendesse conto di quanto splendida potesse apparire? Possibile che la sua innocenza riuscisse solo a farlo apparire ancora più splendido?

Dean distolse lo sguardo da lui ed entrò in quella stanza che conosceva bene quanto il viso del suo amico, eppure quella sera anche la camera gli appariva diversa. L’aria che entrava dalla finestra spalancata sembrava portare profumi esotici, odori di piante che il ragazzo non aveva mai visto e di cui non conosceva il nome; i libri e le carte sparpagliate disordinatamente sulla scrivanie, tra due candele già parzialmente consumate non gli sembravano più solo noiosi pezzi di carta; ma era il letto, quel letto dalle coperte intonse dove da bambino si era spesso rifugiato per dormire rannicchiato sul petto del suo amico, quel letto sembrava canzonarlo da lontano.

Man tellig an pedi nin? (Cosa sei venuto a dirmi?)” chiese Castiel d’improvviso, con il tono basso e suadente che assumeva sempre la sua voce quando parlava nella propria lingua e una nota di malinconia a pervadere le sue parole nonostante il sorriso che permaneva sul suo volto.

Dean si voltò velocemente verso di lui, trovandolo alla propria sinistra, ed aprì la bocca per replicare con il discorso che si era tanto accuratamente preparato prima di lasciare la propria stanza, ma il suo cuore non la voleva smettere di pulsare nel posto sbagliato, e il suo ritmo serrato proprio sul fondo della gola semplicemente gli impediva di trovare la voce. O forse era quella vocina nella sua mente, che sussurrava che le parole che aveva scritto mentalmente nella sua camera non erano state preparate per questo momento, per questa persona. Quella vocina che insinuava che se avesse pronunciato ora quelle parole, invece di fare quello che realmente voleva fare, lo avrebbe rimpianto per il resto della sua vita.

Hiriel Lisa dartha galu an geri meleth cîn (Dama Lisa è fortunata ad avere il tuo amore)” aggiunse l’Elfo, sorridendo all’amico con più convinzione, come cercando di scacciare quella persistente nota grama nella propria voce, mentre andava a sedere sul bordo del letto “Ecco cosa sei venuto a dirmi” continuò, con un sospiro, guardando negli occhi verdi del ragazzo da sotto in su.

Forse furono le sue parole, forse il fatto che fosse andato a sedere proprio quel letto, come quando, bambino, correva nella sua stanza spaventato dalle ombre della notte, forse solo il sorriso che continuava a mantenere sul proprio viso, per rendere a lui il compito più facile. Forse furono tutte queste cose insieme, e forse nessuna, forse aveva solo avuto bisogno del tempo necessario per ascoltare davvero quella vocina che, più che nella mente, gli sussurrava nell’anima. Il suo cuore impazzito continuò a correre come un cavallo selvaggio, ma tornò a farlo nella sua giusta sede, e Dean sentì improvvisamente la voce tornare, insieme alla certezza di quello che voleva. Finalmente.

Si avvicinò a sua volta al letto e rimase in piedi di fronte all’Elfo seduto. Portò una mano ad accarezzare la stoffa leggera e morbida di seta della lunga tunica verde scuro, dal petto fin sulla spalla, per poi sfiorargli distrattamente con la punta delle dita la pelle del collo; mentre l’altra mano giocava leggermente con i morbidi capelli castani che gli ricadevano in un disordine perfetto sulla fronte. Dean seguiva i movimenti delle proprie stesse dita sulla pelle del compagno, come ipnotizzato, solo quando finalmente si decise a rispondere, tornò ad incrociare i profondi abissi blu di Castiel, che apparivano finalmente ricolmi di una speranza a cui non voleva credere.

Avo (No)” disse con decisione, scuotendo lentamente il capo mentre sollevava una gamba, per poggiare il ginocchio sul letto, di fianco a Castiel “Avo Lisa dartha galu (Non Lisa è fortunata)” continuò, sentendo la propria voce raschiargli la gola in modo strano, mentre si sforzava di pronunciare quella lingua conosciuta da sempre e da sempre estranea alla sua voce mortale “Anìron le (Desidero te)” gli sussurrò all’orecchio, dopo che ebbe poggiato anche l’altra gamba sul letto, dall’altra parte del corpo dell’Elfo, e sorrise quando lo sentì rilasciare lentamente un lungo sospiro.

Dean scostò il viso dal suo per poterlo guardare, per poter fissare le sue perfette ciglia socchiuse, le sue guance lisce dove la barba non poteva crescere, i suoi occhi blu resi scuri dal desiderio e brillanti da una felicità incredula, le sue labbra piene ed appena aperte per lasciare fuggire sospiri troppo profondi. No, non poteva rinunciare ad avere tutto questo. Voleva bene a Lisa, era una donna splendida nella sua bellezza passionale ed altera al tempo stesso, ma era distante, come se non l’avesse mai conosciuta davvero. Era stato un gioco il loro, perché non poteva credere davvero che lei potesse provare più una pur forte ammirazione ed un profondo affetto fraterno, per un ragazzo che aveva, certo, visto crescere, ma da lontano.

Questo era diverso, questo era quel sentimento, quella morsa al petto che non ti lasciava respirare per la felicità quando ti stringeva tra le braccia, e per l’abbandono della solitudine quando quelle stesse braccia erano negate. Questo era quel bisogno dolce come la pazzia di cui John gli aveva parlato una volta, raccontandogli dei suoi genitori. Quel giorno di tanto tempo fa non aveva creduto alle parole di sire John, perché non aveva creduto possibile che una persona potesse sentirsi spaccare dall’interno per un’emozione, ed esserne perfino felice. Ma ora sapeva…

Il ragazzo tornò ad avvicinare il viso a quello dell’Elfo, stringendo le dita sulla sua nuca e fra i suoi capelli castani.

Im melin le Castiel, ernil ardh ennorath” bisbigliò, muovendo le proprie labbra contro quelle dell’Elfo come se le sue parole fossero una carezza sussurrata, “Ti amo Castiel, principe del reame boscoso” ripeté nell’idioma comune, per poter gustare sulla propria lingua il sapore di quelle parole, prima di sprofondare nella bocca del compagno con il gemito di chi, assetato, affonda infine il proprio disperato bisogno in uno specchio d’acqua cristallina.

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Capitolo 2
*** Mornië en Amarth (L'Ombra del Futuro) ***


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Mornië en Amarth (L’Ombra del Futuro)

 

Dean conficcò la punta della spada nel terreno e si deterse il sudore dalla fronte con un braccio, mentre l’altro si puntellava sull’elsa semplice ma elegante della sua nuova arma. Sollevò lo sguardo e sorrise a Sam, che lo aveva appena disarmato, ponendo fine all’allenamento. Erano entrambi a petto nudo ed entrambi respiravano affannosamente, eppure Sam sembrava quasi non aver versato una sola stilla di sudore, mentre lui sentiva gocce calde scorrergli dalla nuca attraverso la schiena, solo per essere asciugate in rigagnoli gelidi dall’aria frizzante della primavera appena iniziata.

Si raddrizzò e staccò la lama dal terreno per riporla nel suo fodero, prima di andare a tendere la mano a Sam. L’Elfo gli afferrò brevemente il braccio, dopo avere riposto anche la propria lunga e leggera daga elfica, quindi si voltò alla propria sinistra, dove candidi gradini scolpiti nella pietra viva conducevano alla porta che dava sulle armerie di Imladris. Attorno a loro, anche se un poco discosti, giovani Elfi si allenavano, come loro, muovendosi sull’erba o tra gli alberi con una leggerezza che li faceva quasi apparire come danzatori. I loro corpi erano sottili, flessuosi e scattanti, velocissimi nei movimenti seppure non forti come poteva esserlo un uomo. Dean sapeva di poter sconfiggere la gran parte di quei giovani guerrieri in un corpo a corpo, avendo imparato negli anni come battere la loro velocità con la propria forza, ma sapeva anche che uno qualsiasi di loro avrebbe potuto ucciderlo con una freccia a cento piedi di distanza, in una notte senza luna.

Sam allontanò la mano dal braccio di Dean e la guardò con un’espressione strana, quasi perplessa, mentre sfregava tra loro tre dita.

“Sei appiccicoso” commentò, in un tono vagamente schifato e indubbiamente ironico.

“Sono sudato” sbuffò Dean, fingendo indignazione “Non tutti possono uscire da un combattimento come appena lavati e stirati” aggiunse, squadrando l’Elfo da capo a piedi, con ironia.

“Il problema è che sei lento e goffo con quella spada, Dean” lo canzonò allegramente Sam, mentre si avviava lentamente verso i gradini “E’ troppo pesante per te?” continuò con un sorriso giocoso, soppesando distrattamente la propria lama tra le dita.

“Ti ho solo lasciato vincere, lo sai Sammy” all’Elfo non piaceva quando lo chiamava Sammy, lo aveva sempre irritato, per questo Dean non aveva mai smesso di usare quel nomignolo “Avrei potuto disarmarti subito, ma dove sarebbe stato il divertimento?” fare lo spaccone era divertente, ma Dean doveva ammettere che non era abituato ad usare spade forgiate per gli uomini: erano più pesanti, larghe e molto diverse da maneggiare.

“Smettila di fare lo spaccone, o farai una pessima figura con chi è venuto ad ammirarti” lo ammonì Sam, facendo un cenno del capo in direzione dei gradini, che ora si ergevano proprio di fronte a loro.

L’Elfo si scostò dal fratello adottivo con la scusa di recuperare la maglia che aveva ordinatamente ripiegato a poggiato sull’erba, proprio accanto a dove stava ammonticchiata, in una specie di grumo scomposto quella di Dean, ma non smise un secondo di osservare i movimenti del ragazzo.

Dean sentì il consueto nodo alla gola e fastidiosa stretta di colpa al petto, quando vide dama Lisa, avvolta in un lungo e vaporoso vestito color madre perla, scendere con grazia la scala per fermarsi proprio davanti a lui. In quella posizione, ferma sul primo gradino, Lisa poteva puntare il proprio sguardo scuro negli occhi verdi del ragazzo dalla sua stessa altezza. Sorrise dolcemente, alzando una mano per accarezzare il volto sudato del giovane uomo, prima di parlare.

“Sei diventato un grande guerriero Dean. E del resto sei sempre stato un tenace combattente…”

“Mia signora” replicò Dean, chinando il capo in un gesto di educato saluto “Non dovresti avvicinarti, non sono presentabile” aggiunse, con voce vagamente malferma, abbassando per un secondo lo sguardo sul proprio petto nudo ed accaldato.

Era passato del tempo, avrebbe dovuto essere un esperto, ormai, a giocare a quel gioco di sguardi e complimenti, ma continuava a sentirsi terribilmente in colpa e tuttavia non riusciva in alcun modo a risolversi a mettere in chiaro le cose, né con Lisa, né con nessuno che abitasse nella casa della sua infanzia. Portare quel segreto lo stava uccidendo lentamente, e allo stesso tempo era l’unica cosa che lo teneva in vita. La sua vita era davvero un bel casino.

“Non essere sciocco” ribatté immediatamente Lisa, seguendo senza ritegno, con gli occhi, lo stesso percorso che aveva fatto lo sguardo di Dean sul suo corpo “Tu sei sempre molto più che presentabile”

“E tu sei sempre troppo gentile, e troppo splendente perché i miei occhi possano reggere la tua vista” così andava meglio, i complimenti gli erano sempre fluiti naturali dalle labbra, come fosse nato appositamente per lusingare le signore. Era per questo, probabilmente, che aveva subito avuto un discreto successo nelle escursioni che aveva iniziato ad intraprendere, quando era solo un ragazzo, insieme a Sam, oltre i confini di Imladris. Quando lasciare i domini e la protezione del potere di sire John era ancora abbastanza sicuro per un ragazzo di sedici anni.

Dean si riscosse da quei ricordi, che avevano fatto comparire sul suo volto un sorriso non proprio adatto al corteggiamento di una dama di lignaggio come Lisa, ma quando si trovò ad incrociare il marrone scuro dei suoi occhi sentì di nuovo quel senso di colpa privarlo della voce. Per quanto tempo sarebbe potuto andare avanti così?

Lisa gli scostò, con la punta delle dita, alcuni capelli umidi dalla tempia, e quindi si avvicinò ulteriormente a lui come se volesse sussurrargli all’orecchio un segreto fondamentale. Dean seguì il suo viso che si avvicinava e percepì il suo profumo di fiori e pesche mature. Aveva lo stesso odore dolce di un frutteto in estate, ma per quanto piacevole ed inebriante potesse essere la sua pelle, non era quella che amava e che desiderava, non era il profumo che lo faceva sentire sicuro, completo, a casa. Il ragazzo allontanò gli occhi dal viso della splendida Elfa e, malgrado non avesse la vista acuta di un Eldar, scorse l’inconfondibile figura di sire John osservarli da un terrazzo al piano superiore, solo alcuni metri sopra di loro.

“C’è tuo padre” bisbigliò, in un soffio, mentre ancora sentiva Lisa avvicinarsi lentamente a lui, percependo un certo sollievo quando pensò che quella frase l’avrebbe probabilmente indotta ad allontanarsi.

Ma contro ogni suo pronostico, Lisa si limitò ad allargare il proprio sorriso. Spostò la mano che gli aveva accarezzato la guancia sul suo petto, appena sotto il collo, e posò una bacio rapido ma inequivocabile sulle sua labbra socchiuse di stupore. Solo un secondo, poi si allontanò, superandolo per continuare a camminare distrattamente fra gli Elfi che si allenavano, portando con sé il suo profumo di estate.

Dean era ancora immobile, troppo sorpreso per capire davvero cosa fosse successo, quando riuscì a riscuotersi fece scattare gli occhi verso l’alto, per controllare la reazione che aveva avuto l’Elfo che aveva sempre chiamato padre, ma sire John era già scomparso. Il ragazzo si morse un labbro, su cui sembrava essere rimasto impigliato un leggero sapore di pesche, e strinse una mano sull’elsa della propria spada bastarda, come se potesse trarne un qualche tipo di forza.

“Presto nostro padre vorrà parlarti” la voce di Sam, e la sua mano poggiata sulla spalla, lo riscossero dalle sue preoccupazioni, e Dean si voltò velocemente verso di lui per guardarlo in faccia, ancora più sorpreso di prima.

“Per… questo?” domandò, fra il perplesso e il preoccupato.

Sam si era sempre comportato come fossero veramente fratelli: diceva ‘nostro’ padre, giocava, rideva e scherzava con lui mandando al diavolo il rigido contegno e l’etichetta che manteneva diligentemente con tutti gli altri, perfino Elfi che conosceva da sempre. Eppure, in quel momento Dean non poteva fallire nel ricordare che sire John di Imladris non era veramente suo padre, solo un gentile signore degli Elfi che aveva deciso di raccoglierlo e crescerlo sotto il suo tetto. Lui non era suo figlio, non era un principe, e non era neppure un Elfo.

“La festa di Yestarë non ha celebrato solo l’inizio del nuovo anno, questa volta. Questo è stato un compleanno importante: sei un adulto ora, Dean, anche agli occhi degli Elfi. È tempo che tu assuma le tue responsabilità” spiegò Sam con una certa soddisfazione, spostando gli occhi tanto velocemente verso la figura ormai distante di Lisa, che quasi il su interlocutore non riuscì a coglierne il movimento.

Dean sentì la bocca improvvisamente arida, e il peso che gli aveva gravato il petto davanti all’Elfa, divenne tanto opprimente da impedirgli di respirare. Un anno, era passato quasi un anno ormai, e non l’avevano detto a nessuno… ma ora sarebbe stato costretto. Avrebbe dovuto parlare con John, spiegare a Lisa, e perfino a Sam. Il ragazzo fissò con inquietudine il viso chiaro e sorridente dell’Elfo, mentre si trovava a chiedersi se almeno lui, quello che considerava esattamente come un fratello, avrebbe capito. E se anche tutti avessero capito, poi cosa sarebbe successo? Cosa avrebbe fatto?

Non aveva pensato a quello che poteva o non poteva accadere, quando aveva iniziato tutto ciò? Non gli era sembrato importante, comparato a quello che provava quando era con lui, ma ora? Ora il futuro era qui. Responsabilità voleva dire iniziare ad avere a che fare con il mondo e con le sue leggi. Il tempo dei giochi era finito, e nel mondo reale lui era solo un orfano, un uomo mortale, uno fra i tanti. Le fiabe non facevano parte della realtà, il sangue reale, sangue immortale per giunta, non si mischiava al suo comune sangue mortale: queste erano le regole del gioco. Ma lui non era mai stato bravo a giocare secondo le regole, vero?

“Su, non fare quella faccia! Andrà tutto bene. Nostro padre ti vuole bene e ha molta stima di te, Dean” cercò di rassicurarlo Sam, dandogli due veloci pacche sulla schiena prima di staccare la mano e tornare a guardarla con la medesima occhiata perplessa di poco prima “Ora vai a lavarti però, sei ancora appiccicoso”

“Sono ancora sudato!” lo rimbeccò immediatamente Dean, sospirando nel notare quanto potesse essere schizzinoso quel suo fratello adottivo e quindi avviandosi velocemente su per le scale, dopo aver agguantato quello straccio appallottolato che era la sua maglia.

Sì, quell’Elfo schizzinoso e gioviale avrebbe capito, e in ogni caso sarebbe sempre stato dalla sua parte. Non solo lo credeva, ne era certo. Non solo Sam lo considerava come un fratello, per lui era a tutti gli effetti suo fratello, niente gli avrebbe fatto cambiare idea. Era sicuro di questo perché era sicuro che niente avrebbe potuto fare cambiare idea a lui stesso.

Questa idea gli scaldò il cuore abbastanza per trovare il coraggio di mandare mentalmente al diavolo le leggi del mondo degli adulti. Non si sarebbe arreso, avrebbe lottato per la propria felicità. Le regole potevano essere cambiate, se erano ingiuste.

 

~~~

 

Dean tuffò le mani nella piccola bacinella ricolma di acqua fredda e se la gettò sul viso, lasciando che gli scorresse fra i capelli e sul collo, scacciando un po’ del calore dovuto all’allenamento. Aveva gettato la maglia appallottolata in un angolo e, dopo essersi rinfrescato quanto bastava, soppesò gli indumenti presenti nel suo baule per alcuni secondi, prima di prendere tra le dita una leggera tunica di seta blu scuro. Sentiva ancora le pelle vagamente appiccicosa per l’allenamento, ma Castiel gli aveva detto che lo avrebbe aspettato al laghetto poco prima del tramonto, e l’acqua fresca del piccolo specchio d’acqua sarebbe stata perfetta per fare un bagno. Senza considerare che aveva ottime probabilità di convincere l’Elfo ad immergersi con lui.

Si infilò la tunica sulle spalle, ripose accuratamente la lama bastarda nel baule, e stava per prendere velocemente la porta, quando tre colpi al battente lo fecero sobbalzare. Dean osservò la porta chiusa con un sopracciglio inarcato ed un’espressione perplessa per alcuni secondi, prima di andare ad aprire. In 25 anni non era capitato spesso che qualcuno bussasse alla sua camera: normalmente la gente entrava e basta.

Quando si ritrovò davanti all’autoritaria figura di sire John in persona, Dean sentì una specie di blocco di granito piantarsi nella sua gola, rischiando di strozzarlo e senza la minima intenzione di spostarsi. Aveva preso seriamente le parole di Sam, ma non avrebbe mai pensato che il momento della fatidica chiacchierata sarebbe giunto così presto. Paralizzato da mille pensieri diversi, il ragazzo rimase sulla porta, senza parlare, e senza invitare il padrone di casa ad entrare, il che era probabilmente la cosa peggiore che potesse fare.

“Padr…” Dean si morse la lingua prima di finire di pronunciare la parola: ora era adulto, non poteva continuare a chiamare ‘padre’ quello che in effetti era il suo signore protettore “Mio signore” si corresse, scostandosi dallo specchio della porta per lasciargli l’accesso.

John rimase evidentemente sorpreso dal suo comportamento, e sorrise sollevando le sopracciglia, mentre entrava finalmente nella stanza. “Non è necessario che usi le parole del cerimoniale, quando siamo soli, figliolo” replicò bonariamente, poggiandogli una mano sulla spalla mentre lo superava, dirigendosi verso il grande letto al centro della camera “Mi sembri nervoso, Dean. Perché?”

Il ragazzo seguì attentamente i movimenti dell’Elfo, e alla sua domanda soppesò almeno dieci risposte diverse, prima di decidere che probabilmente la verità sarebbe stata la strada migliore. Non era certo nuovo a piccole bugie e sotterfugi: non era mai stato un bambino tranquillo, e rifilare qualche menzogna per salvarsi dalle punizioni non gli era mai sembrato grave. Ma qui c’era già in ballo un bugia, o meglio una verità non-detta, enorme, non gli sembrava proprio il caso di peggiorare la situazione.

“Perché penso di sapere perché sei venuto”

John gli sorrise di nuovo, un sorriso che gli apparve triste e pieno di orgoglio al tempo stesso, la qual cosa apparve perlomeno strana al giovane uomo. L’Elfo poggiò una mano sul letto, accanto a sé, invitandolo a sedere insieme a lui, e non parlò finché non furono entrambi comodi, uno di fianco all’altro.

“Certo che lo sai, sei un ragazzo intelligente” esordì l’Elfo, sospirando “Eppure sei solo un ragazzo…”

Dean corrugò la fronte mentre osservava gli occhi verdi dell’Elfo abbassarsi sul pavimento, come se quel discorso fosse molto più difficile per lui di quanto potesse esserlo per il suo stesso figlioccio. Il giovane avrebbe voluto dire qualcosa, forse esortare l’Elfo a parlare, forse rassicurarlo, ma rimase in silenzio, in prudente attesa.

“Vedo cosa ti lega a mia figlia, Dean” ricominciò John, ma di nuovo si interruppe subito, come non fosse soddisfatto di ciò che aveva appena detto “Ciò che lega lei a te” si corresse, tornando finalmente a puntare i propri antichi e profondi occhi del colore dei prati in primavera sul volto del ragazzo che aveva cresciuto come un figlio “Ma ci sono molte cose che non capisci. Che sei troppo giovane per poter considerare”

“No… padre” iniziò a replicare Dean, perché malgrado tutta la paura che potesse avere di perdere ogni cosa, non voleva più nascondersi. Ma John gli impedì di proseguire, poggiandogli una mano sulla guancia in una carezza pesante e forte come le sue grandi mani.

“Tu sei… meglio di qualsiasi cosa potessi sperare nella mia vita. Hai superato ogni aspettativa che io o i tuoi genitori potessimo avere, e ancora hai tanta strada davanti a te, che ti porterà fare cose grandiose, cose che nemmeno puoi immaginare” la voce di John di Imladris non era più profonda e pacata come soleva essere, ma spezzata e carica di emozione e d’orgoglio e Dean si sentì invadere il petto di un affetto di cui non aveva mai realizzato la vera forza “Ma non puoi chiedermi di darti mia figlia, perché non puoi chiedermi di condannarla a morte” concluse, mentre il suo tono sembrava farsi pesante come il martello che forgia le spade migliori, per la tristezza.

Dean spalancò gli occhi, senza capire, semplicemente fissando a bocca socchiusa il volto ancora sorridente eppure addolorato dell’Elfo che lo aveva appena fatto sentire più forte ed importante di quanto avesse mai sperimentato, semplicemente pronunciando poche parole.

“Io… non capisco, padre” replicò infine, perché c’era una paura, il sussurro di una comprensione che non voleva accettare, che aveva iniziato ad insinuarsi in lui. Voleva ancora spiegare a John come stavano realmente le cose, chi e quale strada avesse scelto ormai un anno prima, ma prima voleva sapere. Voleva conoscere quello che il signore di Imladris aveva da dirgli, perché comprendeva che non riguardava solo Lisa.

“Lisa è mia figlia. Non è completamente un Eldar e c’è una scelta che può fare, riguardo alla sua vita. Io so che lei sceglierebbe di buon gado la breve vita degli uomini, per te…” iniziò a spiegare l’Elfo, fermandosi finché non vide la comprensione scendere sul viso di Dean “Ma se pure potessi convincerla a non rinunciare alla vita degli Eldar, non potrei sopportare di vederla vagare senza forza e senza più sorriso per l’eternità, consumando la propria anima nel dolore, per la tua morte”

Dean sentì come se qualcuno avesse preso tutte le promesse di felicità che di cui si era riempito il cuore, e vi avesse messo invece solo la certezza di un cupo destino di dolore e morte. Non si era mai sentito inferiore agli Elfi che lo avevano allevato, non li aveva mai invidiati e non aveva mai desiderato avere la loro vita eterna, perché gli piaceva essere come era e godere a pieno di ogni giorno, ma ora… ora gli sembrava che ogni giorno di sole, di cui gli era sembrato di godere di più proprio perché il numero dei suoi giorni era contato, non valesse più niente. Ora il suo sangue, il suo corpo tanto caduco, la sua nascita gli sembrava solo disgraziata. E la morte un maledizione, e non un dono dei Valar.

Perché i Valar avevano messo nel suo cuore felicità e amore, se le loro uniche conseguenze avrebbero potuto essere morte e dolore? Sentì i propri occhi inumidirsi all’improvviso, e contrasse le labbra per non mostrare le proprie debolezze a colui che chiamava padre, a colui che voleva rendere orgoglioso.

“Io so che ami Lisa, Dean. Per questo ti chiedo di non legarla a te, di non condannarla alla morte o al dolore eterno” Dean non riuscì a fare altro che annuire, quando sentì le ultime parole del suo signore, quindi distolse lo sguardo da lui, per riuscire ad asciugare il dolore che voleva colargli sulle guance, e strinse le mani in pugni di rabbia impotente quando sentì le braccia di John di Imladris circondargli le spalle e accarezzargli amorevolmente la testa.

“Mi dispiace, Dean. Mi dispiace così tanto, figliolo”

 

~~~

 

Ora capiva. Ora finalmente comprendeva tutta l’inimicizia che Gabriel e Balthazar avevano continuato a riversare su di lui per anni, ora capiva anche le parole velenose e brutali che Gabriel gli aveva rivolto prima che lui e suo fratello partissero, l’ultima volta, per fare ritorno alla corte del loro padre, il signore di Bosco Atro.

Allora, era stato infastidito dalla sua violenza, quando lo aveva sbattuto malamente contro una colonna, per nasconderlo alla vista di tutti e sibilargli la sua minaccia, ed era stato forse spaventato dal fatto che i due Elfi sembravano avere capito perfettamente quale fosse la situazione, ma soprattutto lo aveva considerato pazzo e malvagio, quando gli aveva detto chiaro e tondo che lo avrebbero ucciso, piuttosto che permettergli di portare via Castiel dalla sua famiglia.

Ora capiva: la rabbia, le minacce, perfino la violenza. Gabriel aveva ragione, naturalmente, aveva sempre avuto ragione, era semplicemente stato troppo arrabbiato per spiegargli le sue motivazioni.

Dean deviò dal sentiero che conduceva direttamente al laghetto, dove lui e Castiel erano soliti incontrarsi, al riparo da sguardi indiscreti, e si diresse invece più a monte, verso la zona dove stava il declivio erboso ed il torrente dove l’aveva baciato per la prima volta. Il sole stava tramontando, ma il ragazzo sentiva il bisogno di pensare, di mettere ordine nella propria testa e nel proprio cuore, ma soprattutto di raccogliere la forza per fare ciò che andava fatto.

Quando era riuscito ad asciugare le lacrime e a rendere salda la propria voce, aveva comunicato la propria ferma decisione a sire John, e per quanto il suo protettore fosse stato tanto stupito quanto addolorato da una decisione così drastica, aveva acconsentito alla sua richiesta di libertà e lo aveva abbracciato forte prima di lasciare la sua camera. Se ripensava alla sfumatura chiara dei suoi occhi quando lo aveva guardato, pieno di orgoglio, per l’ultima volta, Dean capiva che avrebbe sentito la mancanza di quello sguardo per il resto della sua vita. Tanto quanto avrebbe sentito la mancanza del blu profondo di quelli di Castiel, gli stessi occhi di cui ora stava rifuggendo lo sguardo.

Il ragazzo costeggiò con passo lento il ruscello finché non trovò le rocce bianche che generavano la piccola cascata che andava a gettarsi nel laghetto dove lui e l’Elfo avevano trascorso così tanti pomeriggi e serate. Si fermò, sopra di esse, ad osservare la piccola radura sottostante, la superficie dell’acqua resa rossa come rame dalla luce morente del sole e le ombre che si allungavano, nere e sfumate, tra gli alberi, e non gli riuscì di scorgere in alcun modo la figura dell’Elfo che avrebbe dovuto aspettarlo. Forse, alla fine aveva fatto troppo tardi, e Castiel era tornato solo al palazzo.

Appoggiò una mano dove la sottile cascatella si divideva in mille rivoli, a formare un cristallino velo d’acqua in movimento, sopra il sottile strato di morbido muschio che nascondeva l’accecante candore delle rocce del piccolo declivio. Solo qualche metro più in là, l’erba vinceva di nuovo sulle rocce, e scompariva tra i fusti sottili delle betulle e dei salici, declinando dolcemente verso la conca che ospitava il laghetto. Le foglie e le fronde rigogliose degli alberi nascondevano, splendide sentinelle dai corpi flessuosi come ragazze appena sbocciate, la piccola radura da ogni lato, tranne dal punto sopraelevato dove il ruscello si gettava per quelle rocce, giù per poco più di un metro e mezzo. Il punto dove lui si trovava, e l’unico dal quale un osservatore avrebbe potuto spiare lì dentro, ed era praticamente impossibile spiare senza essere visti. Per questo, oltre che per la bellezza discreta e spontanea di quel luogo, lo avevano eletto a loro rifugio.

Dean soppesò la strada più semplice, tra gli alberi, poi scese cautamente tra le rocce, lasciando che l’acqua fresca gli schizzasse sul viso e inumidisse la stoffa leggera della sua tunica scura. Si ancorava, con le mani, alle rocce rese sdrucciolevoli dal torrente, e sceglieva accuratamente dove mettere i piedi, per non rischiare di scivolare sul muschio bagnato. Infine, raggiunse la grossa roccia piatta dove solevano sdraiarsi durante i pomeriggi più caldi, per godere della vicinanza fresca dell’acqua, e sedette, togliendo rapidamente i bassi stivali e lasciando penzolare le gambe fino a sfiorare la superficie del lago con le dita dei piedi.

Spostò indietro le mani e vi si puntellò, alzando gli occhi al cielo che si colorava di blu cobalto, scivolando in un viola pallido e infine nel rosso più intenso, verso ovest. Un tordo lanciò il suo grido, da qualche parte lassù tra gli alberi, e mille voci di fringuelli e rondini risposero, attraversando il cielo in voli incrociati. Sembravano cantare alla primavera, sembravano prendere in giro al sua malinconia con i loro gridi felici, schernire la libertà appena conquistata con quei voli spensierati.

Non lo sentì avvicinarsi, non lo sentì nemmeno emergere gocciolante dall’acqua, assorto com’era ad ascoltare i richiami degli animaletti della foresta, mischiarsi con il ritmico sciabordio del torrente che si fondeva con le acque placide del laghetto. Non ebbe il benché minimo sentore che lui fosse lì, finché non gli poggiò le mani bagnate sulle cosce, un bacio umido alla base del collo.

Sobbalzò e quasi scivolò in acqua, quando sentì le sue labbra succhiargli appena la pelle sopra la clavicola.

“Cas!” esclamò, indeciso se ridere o suonare arrabbiato, ma non ebbe il tempo di decidere, perché le mani dell’Elfo strinsero le sue gambe all’altezza delle ginocchia, e Dean perse la presa sulla roccia, cadendo in acqua, infine, con un tonfo sonoro.

Emerse immediatamente, passandosi una mano sulla faccia e tra i capelli, mentre prendeva una grossa boccata d’aria e soffiava via acqua da labbra e naso, cercando di non annegare.

“Ma cosa…?” iniziò a domandare, non appena inquadrò il viso sorridente e completamente innocente di Castiel.

“Puzzavi” rispose con semplicità, all’improvviso decisamente serio e forse anche vagamente schifato “Avevi bisogno di un bagno”

Dean aprì la bocca per replicare ma si bloccò. Non poteva resistere, non poteva tenere la sua espressione seria e corrucciata, nemmeno la tristezza invincibile che ancora sentiva dentro di sé poteva impedirgli di ridere, di fronte a quel sorriso candido. Era stupefacente come Castiel potesse fare qualcosa di terribilmente buffo o dire qualcosa di assolutamente ironico, senza neppure rendersene conto.

“Potevi almeno farmi togliere i vestiti”

“Posso farlo ora” o incredibilmente sensuale… Castiel si avvicinò velocemente a lui, muovendosi nell’acqua come non avesse fatto altro nella vita, senza apparire goffo o impacciato, ma sempre elegante e sicuro di sé come un ballerino alla prima dello spettacolo.

Come aveva potuto lui attirare l’attenzione di una creatura del genere? Come aveva fatto ad essere così terribilmente fortunato e sfortunato al tempo stesso?

L’Elfo afferrò il bordo della sua tunica e gliela sfilò con un unico gesto dalla testa, quindi gli poggiò una mano sul collo, proprio dove poco prima aveva posato il bacio che lo aveva fatto sobbalzare, e avvicinò le labbra alle sue: calde, gocciolanti d’acqua e leggermente dischiuse.

Dean si rendeva conto che avrebbe dovuto allontanarlo, essere inflessibile, ma la parola ‘no’ sfiorò solo vagamente la superficie della sua mente, mentre si sporgeva verso di lui, catturando il suo labbro inferiore fra le proprie per suggerne tutte le piccole stille che vi si erano fermate, incastrate come diamanti liquidi fra le pieghe della sua bocca. Quando sentì la lingua di Castiel sporgere per potergli accarezzare la pelle, infilò le dita fra i suoi capelli fradici e si spinse contro il corpo nudo del compagno.

Aniron le (Ti voglio)” gli  sussurrò l’Elfo sulle labbra, mentre le sue mani gli scorrevano sul ventre, fino ad arrivare al bordo dei suoi pantaloni gonfi d’acqua.

Il giovane uomo sospirò e strinse il pugno tra la capigliatura castana dell’Elfo: ora capiva cosa aveva voluto dire, quando quella mattina gli aveva bisbigliato che lo avrebbe aspettato al laghetto, per dargli il suo regalo di compleanno. In quel lungo anno, si erano baciati ed accarezzati in molti modi, ma non avevano fatto nulla di più, perché questa era la maniera degli Elfi, e non poteva credere che ora, propria ora…

Premere le mani sul petto del compagno, per costringerlo ad allontanarsi da lui, fu la cosa più difficile che avesse mai fatto. E non faceva male solo nel petto, ma anche in tutto il resto del suo corpo, che già non desiderava altro che stringersi a quello di Castiel, e ricevere le attenzioni delle sue mani e delle sue labbra. Ma non poteva permettergli di farlo, non poteva permettergli di darsi completamente, o non ci sarebbe stato più ritorno da quell’oscuro futuro di dolore che continuava a vedere di fronte a loro.

“No, Castiel… no” sospirò, senza sapere bene cosa aggiungere, camminando piano e goffamente nell’acqua bassa, per riavvicinarsi alla grossa roccia piatta dove era stato seduto fino a poco prima. Vi appoggiò le mani e attese che il freddo del lago quietasse del tutto il suo corpo, prima di tornare, con un balzo, a sedere sul bordo.

Castiel era rimasto dov’era, e lo guardava la fronte corrugata ed un’espressione preoccupata negli occhi blu. Emergeva con tutto il busto dall’acqua, ed era terribilmente difficile, per Dean, guardarlo e resistere alla tentazione di rituffarsi e tornare da lui, per prenderlo e stringerlo in ogni modo che poteva. E ancora più difficile era incrociare il suo sguardo: non c’era mai stato nessuno che sapesse leggere sul suo volto quello che gli passava per la testa come Castiel, e lui non voleva che l’Elfo capisse tutto prima che fosse lui a dirglielo.

Man dâr, Dean? (Cosa c’è, Dean?)” domandò l’Elfo piano, avvicinandosi con lentezza a lui e tornando a poggiare le sue mani bagnate sulle gambe ancor più fradice del ragazzo.

“Non va bene, Cas. Questo… non va bene” replicò il ragazzo, tenendo lo sguardo basso per non dover incrociare quello del compagno.

“Perché? Cosa succede?” chiese con più frenesia, e il suo tornare ad usare la lingua comune fece sembrare la sua voce meno dolce, più aspra e concitata.

“Non è mai stato giusto ma… non potevo vederlo. Sono stato uno sciocco, Castiel” voleva andarsene, allontanarsi. Non poteva sopportare di restare lì, davanti a lui, quasi tra le sue braccia, a spiegargli perché doveva lasciarlo.

Una lettera, una lettera sarebbe andata bene. Poteva metterla nella sua stanza, e poi scivolare via nella notte, senza salutare nessuno, scomparendo come non fosse mai stato lì, come non avrebbe mai dovuto essere. Forse lo avrebbe odiato, ma in fondo sarebbe stato meglio così, no?

Dean sentì la mano di Castiel posarsi sulla sua guancia, costringendolo ad alzare il mento, a guardarlo finalmente negli occhi, e ancora una volta il ragazzo sentì l’impulso di rifuggire il suo tocco, il suo sguardo, la sua vicinanza che amava tanto da spezzargli l’anima.

“Che cosa stai dicendo? Chi ti ha messo in testa queste cose?” continuò a domandare Castiel, e le sue parole non uscirono più con la velocità dell’ansia: la sua voce si fece grave, roca, profonda e lenta, mentre pronunciava quelle domande che sembravano sospese fra la paura e la minaccia.

“Castiel tu… non posso restare. Non posso legarti a me!” sbottò Dean, come fosse arrabbiato con lui, afferrando il suo braccio forse per allontanarlo, forse per aggrapparsi a lui.

Castiel lo afferrò per fianchi e lo attirò verso il bordo della roccia, più vicino a lui, senza mai lasciare che la sua mano si allontanasse dal suo viso, senza mai distogliere gli occhi da quelli chiari e cupi al tempo stesso di Dean.

“Non sei tu che mi leghi a te. Sono io che scelgo, io ho scelto. Im thellin melethron nin an… (Ho scelto il mio compagno per…)” sussurrò Castiel, avvicinando lentamente il volto a quello del ragazzo, ma lui lo interruppe prima che potesse concludere la frase.

“Non te lo lascerò fare, Cas!” esclamò, scattando all’indietro con la schiena ed alzando gli occhi al cielo ormai sempre più nero, come per spezzare l’incantesimo che gli occhi dell’Elfo sembravano esercitare su di lui. Respirò profondamente, e solo dopo alcuni secondi tornò a cercare, tra le ombre sempre più fitte, il volto del compagno “Guardati Castiel. Sei splendido, forte e tanto antico quanto appari giovane. Hai tutto il mondo ai tuoi piedi. Sei un principe degli Eldar e la tua vita può essere lunga come quella delle montagne. Io non posso lasciare che tu faccia questo errore, e la getti via…” Dean allungò le mani per incorniciarvi il volto dell’Elfo, fingendo di ignorare la lacrima che pendeva dalle sue ciglia scure, fingendo di averla scambiata solo per un’altra goccia d’acqua.

Perché quegli occhi lo guardavano come se lo avesse sempre saputo? Come se in quell’anno di sorrisi spensierati, per lui ci fosse sempre stato il cupo sottofondo della paura che questo giorno sarebbe presto arrivato? Perché ora, mentre trovava il coraggio di fare a pezzi il proprio stesso cuore per salvare la sua vita, gli sembrava di fare a brani anche lui, pezzo per pezzo, uccidendolo fin d’ora di dolore?

“Con me, il tuo futuro sarebbe una sofferenza senza fine. Come posso condannarti a questo?” disse, serrando la mascella come se qualcosa lo avesse colpito, parlando più a se stesso che all’Elfo di fronte a lui, per convincere ancora una volta quel suo cuore testardo che questa era la cosa giusta da fare.

Castiel allungò una mano e lo afferrò per la nuca, velocemente, violentemente, impedendogli di allontanarsi ancora e posando le labbra sulle sue con tanta forza da fargli male.

“E’ una mia scelta! Non ti azzardare a fare le mie scelte per me!” gli sibilò sulle labbra, baciandolo di nuovo ed afferrandogli un braccio, stringendo fino a lasciare i segni della sua mano sulla carne.

Dean affondò in quel bacio senza poterselo impedire, senza neppure rendersi conto delle dita del compagno che affondavano nella sua carne nel tentativo disperato di trattenerlo. Non seppe quale dei Signori dell’Ovest gliene avesse dato la forza, ma infine, ansimante, al limite della sopportazione fisica e psicologica, guardò dritto in quello sguardo che ora, velato dalle ombre della notte, appariva nero come la pece. Lo guardò a lungo e intensamente, come volesse scolpire ogni segno ed ogni sfumatura dei suoi occhi nell’anima, poi si alzò di scatto.

“Non posso… avo iston avo nesto le, Castiel (non posso non salvarti, Castiel)” disse, una volta in piedi, guardando il suo corpo chiaro che emergeva dalle acque scure per un’ultima volta, prima di allontanarsi con passo veloce tra gli alberi, senza nemmeno rendersi conto di avere lasciato un pezzo d’anima, insieme alla sua tunica scura, tra le acque di quel laghetto.

 

~~~

 

Era notte, notte fonda, ma quello era un palazzo popolato di Elfi, e questo significava che non era mai completamente addormentato. Aveva salutato tutti, brevemente, con poche parole vaghe ed un abbraccio, tutti tranne Castiel, perché sapeva che non sarebbe stato in grado di dirgli addio di nuovo.

Si mosse il più silenziosamente che poteva, come gli avevano insegnato gli Elfi nel corso degli anni, e raggiunse le stalle senza problemi. Lì lo aspettava Impala, la sua giumenta nera. Non era molto che era con lui, John gliel’aveva portata personalmente il giorno del suo compleanno, ma non appena era montato in sella, gli era sembrato che quell’animale fosse stato, in realtà, sempre parte di lui. Impala capiva al volo quello che voleva, non aveva nemmeno bisogno di condurla con le briglie, e si muoveva come un tutt’uno con il suo corpo: non avrebbe potuto desiderare compagna migliore, per i suoi peregrinaggi. Le accarezzò il collo amorevolmente, le mise la sella e le infilò i finimenti, senza che lei protestasse o facesse un solo rumore. I suoi grandi occhi scuri lo guardavano, e sembravano capire il suo stesso dolore, quanto difficile fosse per lui partire e quanto fosse importante farlo in silenzio, senza clamore, senza che nessuno se ne accorgesse.

Non sarebbe uscito dalla strada principale: vicino alle stalle c’era un sentiero che spesso i cavalieri usavano per andare a caccia o per lunghe passeggiate. Si inoltrava subito in una fitta macchia di alberi, e lo avrebbe condotto, nascosto, fino alla strada che portava all’apice del passo oltre il quale avrebbe lasciato la valle di Imladris, giù verso il guado del Bruinen e poi a nord, nelle terre selvagge.

Impala cavalcava più veloce che poteva sul sentiero non troppo ampio, leggera come se nemmeno toccasse il terreno e silenziosa come il volo di una libellula. La luna non era ancora sorta, quando lanciò la giumenta al galoppo sulla strada principale, inspirando a fondo l’aria fresca della notte, mentre il suo lungo e grigio mantello elfico svolazzava, rendendolo solo un’altra macchia scura fra le ombre. Raggiunsero la sommità del passo, inseguiti da pochi raggi di luce lattiginosa, e Dean tirò le redini per fermare Impala proprio lì sopra, lì dove finivano i domini del signore di Imladris, quindi smontò di sella e guardò, nel cielo, la splendida dama d’argento - Ithil come la chiamavano gli Eldar - far risplendere il palazzo di Gran Burrone come una gemma intrecciata alla terra. Non era solo il suo cuore che lasciava lì, era un intero brano della propria esistenza. Se mai sarebbe tornato a vedere quel paesaggio, sarebbe stato una persona diversa, più vecchia, più dura, forse più saggia, sicuramente più sola.

Dean sospirò e si voltò per rimontare in sella e porre un muro di roccia fra lui e la tentazione di tornare alla propria casa, nascondendosi nelle sue stanze invece di affrontare ciò che andava fatto, ma una mano sulla spalla lo prese alla sprovvista. Il ragazzo estrasse velocemente il proprio corto pugnale elfico, la cui lama perfetta ed intonsa scintillò nella notte, saettando verso chiunque avesse osato assalirlo alle spalle nelle terre di sire John, ma il suo polso venne intercettato da una mano altrettanto salda, che lo bloccò ad un centimetro dal proprio cuore.

Il suo assalitore aveva il volto celato dall’ombra del suo cappuccio, ma nemmeno in un milione di anni Dean avrebbe potuto confondere le labbra che, illuminate dalle stelle nel cielo, sussurrarono vicino a lui.

“Pensavi di scivolare via senza salutare?” c’era ironia nella sua voce, ma il ragazzo pensava di sapere perché il suo cappuccio continuava a celargli gli occhi.

“Perché mi hai seguito? Perché sei venuto?” gli chiese lui con voce dura, rivestendosi di un freddezza che non credeva di avere, che gli faceva paura.

L’Elfo lo spinse contro il fianco della giumenta, che nitrì debolmente ma non si spostò, strinse in un pugno una manciata della stoffa che gli copriva il petto, e lo baciò con la forza della disperazione e la dolcezza dell’abbandono, assaporando più che poteva, finché poteva, il suo gusto caldo e pieno, che già iniziava a sapere di estraneo, prima di bisbigliare “Istag dregi, dan avo istag nuithag nin an meli le (Puoi fuggire, ma non puoi impedirmi di amarti)”

Castiel lasciò che le lacrime scorressero liberamente sul suo bel viso bagnato dalla luce candida della luna appena sorta, mentre lo guardava svanire al galoppo verso un futuro in cui non poteva seguirlo.

 

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