Il bacio della Libellula

di axellina87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - Premessa ***
Capitolo 2: *** - Il regno di Breza ***
Capitolo 3: *** - Il Piccolo Fiore (parte prima) ***
Capitolo 4: *** - Il Piccolo Fiore (parte seconda) - Il re Gunner ***
Capitolo 5: *** La Fortezza Inespugnabile ***
Capitolo 6: *** La Fortezza Inespugnabile - Robin ***
Capitolo 7: *** La Fortezza Inespugnabile - La gabbia nel cielo ***
Capitolo 8: *** Il mare Occidentale ***



Capitolo 1
*** - Premessa ***


Premessa.

 

La bellezza di questa terra era incomparabile. Niente avrebbe mai potuto essere paragonato ai colori meravigliosi che rivestivano i prati in primavera, o ai tronchi degli alberi splendenti e dorati dell’autunno, o alla purezza della neve che ricopriva ogni cosa d’inverno, né al luccichio del mare cristallino dalle acque così calde durante l’estate. Questo e altro era il regno di Breza, il luogo più incantevole del mondo conosciuto e agognata meta di chiunque fosse in cerca di pace e serenità. ma non era sempre stato così.

Un secolo addietro esistevano gli Stregoni, esseri dotati di poteri magici spaventosi, capaci di sterminare interi eserciti e smuovere perfino le montagne con la forza della mente. Si diceva che discendessero dagli antichi Demoni Devastatori che furono sconfitti nella Grande Battaglia avvenuta quando gli Uomini cominciavano a muovere i primi passi sulla Terra. I poteri dei Demoni, una volta sconfitti, vennero affidati alle Libellule, Custodi della magia, piccoli insetti fatati dal volto umano, che li usarono per portare equilibrio e serenità nel Mondo. I più anziani e saggi ricordavano ancora questa storia, sostenendo che gli Stregoni erano riusciti a catturare le Libellule riappropriandosi dei poteri appartenuti ai loro antenati e che dunque spettavano loro di diritto. Ciò che era certo è che gli Stregoni erano assetati di sangue e potere, erano senza scrupoli, intelligenti e terribilmente malvagi. Ne esistevano undici. Non lasciatevi ingannare dal numero, perché quando si aveva a che fare con uno Stregone nemmeno un esercito di diecimila Uomini avrebbe avuto qualche possibilità di vittoria. Interi popoli vennero assoggettati o, peggio ancora, sterminati.

L’unico vantaggio degli Uomini era la rivalità eterna che esisteva tra i loro grandi nemici. Gli Stregoni infatti erano in continua lotta fra di loro e oltre alla guerra contro gli Uomini, si sviluppò una battaglia fratricida senza precedenti. Ogni volta che uno Stregone uccideva un suo simile si impossessava di tutti i suoi poteri, diventando sempre più terribile.

Alla fine, ne era erano rimasti solo due: Rugh, vecchio furbo e astuto, il più spietato degli undici, e Willem, il più giovane fra gli Stregoni, ambizioso e intelligente. Lo scontro fu apocalittico: le aquile smisero di volare, le nuvole scomparvero dal cielo, perfino le acque degli oceani si fermarono. Rugh ne uscì vittorioso, seppure con immensa fatica.

Ne era così rimasto uno solo. Un solo essere contro l’umanità intera. L’ultima alleanza di Uomini riuniti da tutti i regni e contee partì da Breza. Lo Stregone li aspettava senza timore alcuno, deridendoli per la loro stoltezza. Aveva i poteri di tutti e undici, era una creatura superiore a qualsiasi altra, nulla vi era che non fosse in grado di fare. Gli Uomini erano consapevoli di ciò, ma non fu certo la prima, né l’ultima volta che gli Uomini combatterono fino alla fine per la libertà, i valori e la giustizia in cui credono, anche quando non sembra esserci più speranza.

Ma Rugh non aveva previsto una cosa. A capo dell’esercito, in mezzo ai generali e ai comandanti imponenti, c’era una ragazza. Giovane, dai lineamenti dolci, con un misto di paura e coraggio nei grandi occhi viola: Lyl, Guerriera di Shidal, deteneva la Spada di Alman, reliquia della Grande Battaglia nella quale furono sconfitti i Demoni Devastatori. Non è dato sapere (non ancora, almeno) come Lyl fosse in possesso di tale oggetto, fatto sta che Rugh tremò di fronte ad esso. Per la prima volta provò paura e non riuscì a difendersi da quella piccola donna. La spada si conficcò nel petto dello Stregone, il cui corpo svanì nel nulla. Dietro di lui lasciò solo una serie di polvere dalle sfumature diverse, che balenò nell’aria davanti agli occhi increduli dei Guerrieri, compresa Lyl. Subito dopo arrivarono le Libellule, che assorbirono quei minuscoli granelli colorati, fonte della magia che aveva creato tante guerre e sofferenze, e ripartirono verso gli angoli più remoti della Terra. Avrebbero usato ancora una volta quei poteri per donare serenità e equilibrio al mondo, desideroso ora più che mai di pace e armonia.

E così fu.

 

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Capitolo 2
*** - Il regno di Breza ***


Il bacio della Libellula

 

Il regno di Breza.

 

Il regno sorgeva su una grande isola circondata dai due oceani del Mondo, il mare Orientale e quello Occidentale. Era a detta di molti il luogo più bello fra le terre conosciute, diviso in piccoli villaggi molto ospitali e caratteristici, piacevoli da visitare. I Breziani vivevano nella più completa pace da almeno un secolo, ovvero dall’epoca degli Stregoni e dell’eroina Lyl, sereni e felici delle loro esistenze tranquille. Si dedicavano ai raccolti, all’allevamento, alla pesca, al commercio e a varie attività lontane da ogni genere di pericoli. L’esercito dei Guerrieri di Shidal naturalmente esisteva ancora, ma il grosso del lavoro da svolgere per i Guerrieri era presenziare alle varie festività e cerimonie tradizionali del regno. Era tutto molto diverso dal secolo scorso, ma i Breziani non chiedevano altro che continuare a condurre le loro vite in questo modo, un po’ monotono forse, ma in pace. Era stato insegnato loro ad apprezzare ogni attimo di questa calma, in memoria del passato burrascoso che i loro antenati avevano dovuto patire.

I guai però arrivano ovunque e questo bellissimo regno non fa di certo eccezione.

Una mattina accadde qualcosa di insolito al castello: venne dato l’allarme con il Sacro Corno.

I Breziani, che si stavano svegliando in quel momento dato che era l’alba, si spaventarono non poco. Il Sacro Corno era il segnale di un pericolo incombente o di una emergenza e nessuno di loro l’aveva mai udito prima, nemmeno i più anziani. Un po’ incerti sul da farsi, pian piano tutti si recarono al villaggio Neis, il villaggio centrale, al piccolo castello dove il re dava annunci al popolo di tanto in tanto. Si trattava di un edificio molto antico, di mattoni marroni consumati dal tempo, che affacciava direttamente nella grande piazza. Era stato utilizzato in passato come rifugio per i precedenti sovrani in caso di attacchi, ora la sua funzione era al massimo ospitare il re per informare i Breziani dell’arrivo di qualche festa. Il castello vero e proprio si trovava più lontano, alle pendici dei Monti Dermili.

Quando la piazza si riempì erano già passate diverse ore dal suono del Sacro Corno.

Il re Taddeus I si trovava sul balcone che dava sul popolo. Aveva una folta barba marrone, era abbastanza panciuto e indossava una pelliccia rossa che doveva far crepare dal caldo. Naturalmente prima dovette salire sul gradino che aveva fatto posizionare apposta, data la sua statura limitata. Una volta su, per poco non gli cadde la pesante corona, che sicuramente avrebbe ucciso qualcuno se non l’avesse afferrata in tempo, anche se in modo strambo, facendola rimbalzare ora in una mano ora in un’altra. Nel silenzio, tossì per schiarirsi la voce e poi gridò: « Popolo! La principessa è stata rapita! »

Un brusio di preoccupazione sconvolse la folla, non avrebbero mai potuto immaginare una simile disgrazia. La principessa Semi era la giovane più bella del regno, dolce come un fiore, gentile, aggraziata, un esempio per tutte le bambine e le adolescenti. Bionda, minuta e delicata, la principessa aveva solo vent’anni.

Cogliendo qualche commento dal gran parlare, il re disse, con lo stesso tono melodrammatico che aveva usato in precedenza: « Non sappiamo chi sia stato. Il malfattore si è intrufolato nel castello stanotte eludendo la sorveglianza delle guardie. E non ha lasciato tracce. »

Tacque, per dar modo alla massa di scambiarsi altre esclamazioni di paura e apprensione. Poi disse quello che esattamente il popolo non avrebbe mai voluto sentire: « Chiunque la ritroverà verrà ben ricompensato. Chi si offre per l’impresa? »

Silenzio.

Il brusio cessò di colpo, così com’era cominciato. L’unico suono che si udì in quel momento fu il fruscio d’ali di uno strano uccello variopinto che volava su quella scena imbarazzante.

Il re sbuffò impercettibilmente, facendo vibrare i grandi baffi. Senza troppe speranze nella voce aggiunse: « I volontari possono presentarsi al castello oggi prima del calare del sole, mi raccomando, non accalcatevi… » , e se ne andò, inciampando dapprima nello sgabello e poi nel lungo strascico del mantello, sorretto immediatamente da due guardie reali.

 

* * *

Lontano dal villaggio Neis, al limitare del bosco Querciasecca e in prossimità della Zona Arida che precedeva le Miniere Perdute, una ragazza si stava preparando a partire. Aveva folti capelli rossi che cadevano in ciocche disordinate sulla schiena esile. Era minuta, non molto alta, dimostrava ancor meno dei suoi diciassette anni. Poteva sembrare una giovane comune, non fosse stato per i suoi occhi: grandi, intensi, di un insolito colore rosso. Brillavano di una luce intensa e viva che faceva pensare alla lava più calda o a un fuoco scoppiettante, c’era un mondo intero dentro quegli occhi. In questo momento erano coperti da un velo di tristezza, ma ardevano comunque di determinazione e coraggio. Coraggio per affrontare il suo destino.

Sua madre era morta un mese prima, lasciando un vuoto incolmabile. Dyna non aveva mai conosciuto nessuno a parte lei, nemmeno suo padre, che era morto prima che lei nascesse. Aveva sempre vissuto in quella casetta dimenticata dal regno, avendo contatti solo con qualche animaletto selvatico. Non era mai stata in nessuno dei villaggi di Breza, nemmeno ai mercati o a qualche fiera popolare. Si può immaginare quindi il suo dolore e la profonda solitudine che l’aveva colpita dopo aver perso una madre che era anche l’unica persona che conosceva. Si era sentita sperduta all’inizio, non aveva mangiato per giorni, incapace di smettere di piangere. Poi quando le lacrime finirono si ricordò del suo destino: essere una Guerriera di Shidal, come sua madre. Era l’unica cosa che sapeva -che aveva sempre saputo- della sua vita.

Seppellì sua madre da sola, graffiandosi le piccole mani, stringendo i denti per non cedere alla disperazione, e giurò sulla sua tomba che non l’avrebbe delusa. Sentiva chiara dentro di sé la voglia crescente di avventura, uno spirito combattivo che non le dava pace e che non le permetteva più di vivere in quella casa abbandonata da tutti.

Così un giorno prese la vecchia divisa da Guerriera di sua madre. Indossò i calzoncini bianchi, che le stavano un po’ larghi, e la maglietta rossa, semplice, senza maniche. Poi infilò gli stivali, bianchi anch’essi. Infine il mantello, ancora candido come se fosse nuovo. Dyna lo appuntò al collo con il fermaglio a forma di fiore, simbolo del regno di Breza e si guardò allo specchio. Era pronta. Il suo destino si sarebbe compiuto. Sua madre sarebbe stata fiera di lei guardandola dall’alto, ma Dyna sapeva in fondo al cuore che non lo stava facendo solo in sua memoria. Lo stava facendo perché era il suo desiderio, perché era nata per essere una Guerriera di Shidal.

Prese la sacca in cui aveva riposto le poche cose necessarie per il breve viaggio e stava per uscire di casa, quando si ricordò di una cosa. Tornò al baule e iniziò a rovistare fra le varie cianfrusaglie, finché non estrasse uno strano paio di occhiali. Erano molto grandi, rivestiti di gomma e spessi parecchi centimetri. Erano anche dotati di un laccetto in modo da poterli legare dietro la nuca: un oggetto piuttosto bizzarro. Dyna non li aveva mai usati, ma sapeva che erano appartenuti a suo padre. Li ripose nella sacca. Così avrebbe avuto vicino entrambi i suoi genitori. Poi fece un sospiro profondo e finalmente uscì.

Si lasciò la sua casa alle spalle, insieme alla sua vita, e non si guardò indietro nemmeno una volta.

 

* * *

Il sole era ormai quasi tramontato del tutto e il re sedeva sul suo trono con la faccia appoggiata pigramente sul palmo dello mano. Non si era presentato nessuno. D’altronde lo aveva previsto. Troppi anni in pace, la gente non era più preparata all’avventura, né ne aveva voglia.

« Dovrò chiamare l’esercito » decise, sollevando il capo.

Il consigliere, un nano tutto vestito di nero fino al cappuccio, con le guance rosse e gli occhi perennemente spalancati in un’espressione timorosa, si azzardò ad esprimere la sua opinione. Che poi era il compito di un consigliere. « M-mi perdoni, Sua A-a-altezza… ma contro chi dovrà scontrarsi l’esercito…? Noi n-non conosciamo il nostro  nemico… »

Il sovrano lo guardò con disprezzo e sbraitò facendo vibrare i fitti baffoni: « Behhh e secondo te per quale motivo li chiamo, per andare a fare una gita, forse? Devono appunto scoprire chi è stato quel maledetto che ha rapito la mia amata figliola…! »

Dopo un minuto di silenzio, il consigliere di nuovo parlò: « M-ma… Sua Maestà… se bisogna mettersi sulle tracce di qualcuno… sarebbe più saggio non mettersi troppo in vista… per il bene della principessa… e un intero esercito non passa certo inosservato… oh! »

« Chiudi il becco, stolto impiccione! Non capisci nulla di strategie » sbottò il re, riassumendo la sua posizione di attesa, con il gomito sul bracciolo dorato del trono.

Nonostante il caratteraccio del vecchio reggente, il consigliere trovava quella decisione tanto sballata, che non ce la faceva a stare zitto, anche se aveva paura di una sua ulteriore reazione. « M-ma… mio sovrano… l’esercito non ha mai combattuto… non è pronto per una missione così delicata… finiranno per peggiorare la situazione… »

Stavolta il re perse completamente la pazienza. « Adesso basta, piccolo ficcanaso! Sei forse un Veggente, per caso? No, quindi non ti mettere a prevedere il futuro! Ora, prima che ti licenzi, vai a convocare l’esercito, anzi, portami qui il generale. E muoviti! Che fai ancora qui? Vai! »

Il consigliere corse verso l’ingresso principale, per quanto i  suoi minuscoli piedi gli consentissero di correre, ma mentre alzò la mano per girare la maniglia, il grande portone di quercia gli finì sul naso pronunciato, mandandolo a gambe all’aria.

« Sire! Sire! Aspettatemi, voglio partire anch’io! »

Un giovane dai capelli neri, leggermente lunghi e spettinati, entrò come un ciclone, calpestando inavvertitamente il nano.

Il re non si mosse dalla sua posizione, ma il suo sguardo era divenuto perplesso e teneva la bocca aperta, confuso di fronte a quella scena anomala. Intanto il ragazzo era arrivato davanti al trono e sembrava più preoccupato che mai. “ Oh no… non ditemi che sono già andati via. La prego, Mio Signore, mi lasci partire lo stesso, li raggiungerò sulla strada. »

« Ma di cosa stai parlando?... Chi sei tu? » chiese il re, scrutandolo come se fosse una strana creatura di terre lontane.

« Oh, mi perdoni… ». Il ragazzo si inginocchiò, lasciando che il mantello fluisse in aria. « Sono Oliver Galir, Guerriero Semplice di Shidal. » Detto questo il mantello gli cadde sulla testa, coprendolo tutto.

Il re si grattò la fronte, sentiva che stava arrivando un gran mal di testa.

« Signore, io voglio partire con gli altri a cercare la principessa, lo so che sono arrivato tardi, ma la prego di lasciarmi andare ugualmente » disse Oliver, una volta liberatosi del manto.

« Figliolo, non capisco perché ti scaldi tanto… puoi partire a cercare la principessa » concesse il re.

Oliver si rialzò di scatto. « Ah! Davvero?! Bene, allora vado subito… dove si sono diretti, perché io avrei un’idea di chi… »

« Figliolo, ho paura che dovrai partire da solo, perché vedi, sei il primo che si fa vedere oggi. E anche l’ultimo, ho ragione di pensare. »

L’entusiasmo negli occhi del cavaliere si spense. « C-come l’ultimo? Non capisco… nessuno ha risposto alla chiamata? »

« Nessuno » ripeté stancamente il sovrano, addossando stavolta tutto il corpo allo schienale della poltrona. Dopo un po’ aggiunse: « Se sei un Guerriero, allora torna con i tuoi compagni, perché stavo per mandarvi a chiamare. Partirete stanotte. »

Oliver si sfregò la testa, deluso. Stava per seguire il suggerimento del re, quando gli venne in mente qualcosa. “ Mio Signore, aspetti un attimo. Questo non è un compito adatto all’esercito… Dobbiamo prima scoprire il colpevole e se l’intera armata si mette sulle sue tracce lo saprà anche una formica delle Cime Innevate… E se il nemico decidesse di andare ancora più lontano di dov’è, impaurito? O peggio ancora, preso dal panico, potrebbe decidere di uccidere la principessa… Senza contare che l’esercito non è per niente preparato ad affrontare una simile impresa. Sono pochi quelli che si addestrano a dovere per ogni circostanza. Ma io sono uno di quelli! »

Il monarca registrava lentamente le parole del giovane. Andare più lontano… uccidere la principessa… uccidere…

« Oh, per tutti i Trippiti, hai ragione! Consigliere! Non si permetta di andare a chiamare il generale, altrimenti la licenzio in tronco! »

Il nano, riavutosi dalla botta, borbottò: « Ma Mio Signore, perché non avete dato ascolto a me, prima… ho detto le stesse cos… »

« Silenzio una buona volta! E ora dimmi, mio giovane amico… cosa credi che sia più opportuno fare? »

« Beh, io credo che potrei partire da solo, ma un aiuto mi farebbe comodo » rifletté Oliver.

Il sovrano rise e gli assicurò che gli avrebbe affiancato sicuramente qualcuno.

« Bene, allora io ho già un piano » disse Oliver, riacquistando l’entusiasmo di prima. « Credo che il colpevole sia il Mostro del Piccolo Fiore. Insomma, lo so che forse è una leggenda, però non sarà del tutto priva di fondamento visto che la gente da lì è scappata davvero qualche anno fa, non crede? Io credo che la principessa sia più vicina di quanto pensiamo. »

« Vuoi dire che potrebbe trovarsi al Piccolo Fiore? » domandò il sovrano, sfiorandosi il mento irsuto. « Beh, sì… Ma perché questo ipotetico mostro non si è mai fatto vedere in questi anni… Bah, la gente qui ha perso completamente la ragione e i mostri non sono da meno… Soprattutto quelli inesistenti. Però visto che è l’unica pista che abbiamo… Ma sarai capace di arrivare lassù? La strada è impervia. Dovrai passare per la foresta di Querciasecca, non sarà facile. »

« Maestà! » esclamò Oliver, ergendosi in tutta la sua altezza « Io sono un Guerriero di Shidal! »

« Sì, anche gli altri lo sono e non sono capaci nemmeno di allacciarsi le scarpe. La povera Shidal morirebbe di vergogna se fosse ancora viva » borbottò il re. « Va bene, ora devo solo trovare qualcuno che ti accompagni, magari uno con un po’ più di esperienza. Quanti anni hai, ragazzo? »

« Ventiquattro, Signore. »

« Ventiquattro… Sei solo un ragazzino. Va bene, ma sta’ sicuro che lo troverò un pelandrone disposto a partire, ah! Se lo troverò! »

In quel momento il portone di ingresso si aprì per la seconda volta, ma per fortuna il consigliere si trovava fuori portata. Entrò una ragazzina di circa quindici anni, con un’enorme chioma rossa che incorniciava il piccolo volto. Si avviò con passo spedito in direzione del trono, senza salutare nessuno, poi disse scandendo bene le parole: « Maestà, sono qui per diventare una Guerriera di Shidal. »

« Benedetta figliola! » esclamò il re, che non aveva mai passato un giorno peggiore di quello « Dovresti essere a casa con tua madre a bere il latte e poi correre a letto a quest’ora! »

« Mia madre è morta e il latte non mi è mai piaciuto, Sire! Io sono qui per diventare cavaliere » ribatté la giovane.

Il sovrano si portò una mano alla testa e si afflosciò di nuovo sulla poltrona. « Santa pazienza, ma coma ha fatto a entrare? »

Oliver alzò le spalle e il consigliere si guardò disperatamente intorno, convinto che la colpa andasse ancora una volta a lui.

« Non mi meraviglia che stanotte la principessa sia stata rapita! Se questa ragazzina è riuscita a eludere la sorveglianza, figuriamoci un malvivente esperto! » brontolò il re.

« La principessa è stata rapita? » domandò la ragazza.

« Lo sanno tutti » disse Oliver.

Dyna gli rivolse uno sguardo omicida, poi si presentò: « Maestà, io mi chiamo Dyna e sono qui per diventare cavaliere. »

« Sì, questo l’abbiamo capito » mormorò il sovrano.

« Perciò andrò a cercare la principessa, e poi vi riporterò sia vostra figlia che la testa di chi l’ha rapita » affermò Dyna.

Oliver deglutì, il re invece non sembrò particolarmente colpito e disse: « Ascolta, benedetta bambina, ho già trovato chi porterà a termine la missione, vale a dire questo giovanotto qui, Gliver Olir. »

« Ehm… Oliver Galir, Signore… »

« Sì, e io che ho detto? Ora troverò un altro Guerriero disposto ad accompagnarlo e partiranno solo loro due, tu torna qui fra una decina d’anni. »

Dyna strinse i pugni, offesa a morte. « Ma… posso accompagnarlo io! Se ne nessuno vuole andarci, andrò io con lui! So maneggiare la spada, so andare a cavallo, ma la cavo benissimo in ogni situazione, darò un prezioso aiuto e… »

« Figliola » la interruppe il re « Io temo per le sorti di mia figlia e sarei disposto a fare tutto per riaverla qui con me. Ma se c’è una cosa che non farò, sarà mettere a repentaglio la vita di una bambina smaniosa di crescere e farsi male. Ora torna a casa, Pyna. »

« Mi chiamo Dyna » borbottò la giovane, amareggiata. Uscì dalla stanza senza più proferire parola.

« Oh, Santa pazienza, che giornata » esclamò il re.

Non fu impresa facile trovare un cavaliere abbastanza giovane e capace disposto a partecipare all’impresa. Anzi, in verità non si trovò. Il re fu costretto a minacciare di portarlo nelle Miniere Perdute, solo così il povero Josh Norton acconsentì ad accompagnare Oliver.

« Forza, non perdete altro tempo, ormai è l’alba, sareste dovuti partire stanotte, se solo tu, maledetto codardo, non mi avessi fatto perdere tempo! » strepitò il sovrano, mentre i due Guerrieri montavano a cavallo.

Josh aveva trent’anni, era  un bel giovane dai capelli castani, e come tutti gli abitanti di Breza dell’epoca era irrimediabilmente pigro e un’avventura come quella che si stava preparando ad affrontare era proprio il genere di cosa che meno lo rendeva felice.

Finalmente partirono, lasciandosi il sicuro castello alle spalle, e si avviarono verso il villaggio. Certo, anche quello era un luogo sicuro, ma ciò che preoccupava Josh era la foresta di Querciasecca. Aveva sentito dire che nessuno vi entrava da anni, perché era un posto tetro e irto di rischi. Potevano abitarci animali feroci, o potevano esserci piante velenose. Il Guerriero rabbrividì. E la sua paura aumentò al pensiero del famigerato mostro, ammesso che esistesse davvero. Chissà com’era fatto un mostro? Suo padre gli aveva raccontato qualche storia che a sua volta gli aveva narrato suo nonno, e così via fino a  ripercorrere le più antiche generazioni. Qualche suo antenato aveva sicuramente affrontato dei mostri, ma quelli erano altri tempi… Tempi bui e pericolosi. Ringraziava il Fato tutti i giorni per averlo fatto nascere in quel periodo di pace, e ora si trovava in quella assurda situazione. Si voltò verso il suo compagno di viaggio, che conosceva solo di vista. « Allora… Anche tu sei stato costretto dal re a imbarcarti in questa avventura? »

Oliver sobbalzò, perché era soprappensiero. Gli capitava spesse volte di perdersi a meditare e sognare ad occhi aperti. « Eh? Come? Ah, no, io mi sono offerto volontario. »

« Volontario? Però… O sei estremamente coraggioso o estremamente stupido » commentò Josh. « Che cosa ti ha spinto, scusa? Non potevi stare per i fatti tuoi, senza problemi? In fondo a te cosa importa? »

« Come sarebbe? » esclamò Oliver « E’ la principessa del nostro regno, certo che mi importa! Noi siamo i Guerrieri, è nostro dovere salvarla! »

Per tutta risposta, Josh scrollò le spalle. « Se lo dici tu. »

Il viaggio proseguì in silenzio, ma abbastanza velocemente, tanto che alla sera erano già giunti alla Foresta. Si accamparono prima di addentrarsi all’interno, rimanendo nella zona più esterna e mangiarono qualcosa. Poi decisero di fare dei turni di guardia perché non conoscevano  la foresta e non volevano correre rischi inutili. Il primo a vegliare fu Josh. Oliver, stanco per la cavalcata, si addormentò quasi subito.

Non erano nel fitto del bosco, ma già gli alberi oscuravano la maggior parte del cielo senza stelle. Non si vedeva neanche la luna quella sera. Josh si appoggiò al tronco di un faggio, con le mani dietro la nuca e una foglia tra le labbra, sperando che le due ore passassero in fretta, così avrebbe potuto fare un bel sonno ristoratore. Mentre pensava a quest’ idea confortante, non si accorse che qualcuno, dai cespugli selvatici, stava avvicinandosi. E come avrebbe potuto? Chiunque fosse era più silenzioso di un serpente su un pavimento di vetro. Ormai era vicinissimo, prese un bastone e colpì con forza la fronte di Oliver. Solo allora Josh si accorse della sua presenza, afferrò velocemente la torcia per vedere che fosse, ma non fece in tempo a urlare: « Chi è là? » che la figura nera gli fu addosso, gli mollò un calcio negli stinchi e poi un pugno sul viso. Infine usò di nuovo il bastone e Josh prese a russare rumorosamente.

 

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Capitolo 3
*** - Il Piccolo Fiore (parte prima) ***


Il Piccolo Fiore.

 

Quando Oliver aprì gli occhi la prima cosa che gli venne in mente fu un gran mal di testa, così si portò una mano alla tempia per cercare di riuscire a mettere almeno a fuoco qualcosa. Il sole filtrava attraverso i fitti rami degli alberi più alti che avesse mai visto e le chiome formavano quasi una specie di tetto con le loro foglie. Si accorse di essere chino sulla groppa del suo cavallo, doveva aver dormito per ore, visto che sembravano nel pieno della Foresta. Lentamente si alzò, ricordando vagamente la sera prima, ma quando vide la persona che cavalcava di fronte a lui, rammentò improvvisamente tutto. Ma non era finita: perché la persona avanti gli dava le spalle, ma si capiva benissimo che era una donna. Oliver indugiò. Non poteva aggredire una femmina, andava contro ogni suo principio, però era stata sicuramente lei a colpirlo facendogli perdere i sensi quella notte. Un dubbio gli attraversò il cervello. Ma dove diamine era finito Josh? Finalmente se ne era ricordato… Decise di parlare con quella donna in modo civile, stando però in guardia. In fondo era una fanciulla e prima era riuscita a metterlo a tappeto solo perché era già addormentato. Cautamente si avvicinò al suo cavallo, rendendosi conto di quanto fosse assurda quella situazione. «  Ehm… M-mi perdoni, Milady, ma lei, cioè, lei è… cosa? Sei tu! »

Dyna si voltò verso di lui e sfoderò un sorriso smagliante. « Eccomi qua! Ti ricordi di me allora! Mi chiamo Dyna, nel caso te ne fossi dimenticato. E tu sei Oliver… Oh, il cognome non mi entra in testa, scusami... »

« Galir » disse Oliver con un filo di voce. Probabilmente stava ancora sognando, sì, era l’unica spiegazione. Si era addormentato ad occhi aperti, come al solito.

Dyna si accorse della sua esitazione, così cercò di riportarlo alla realtà, spiegandogli cosa avesse combinato la notte scorsa. « Ecco, vedi, non so se te lo ricordi, ma stanotte vi ho… aggredito, diciamo così. Te e il tuo amico. Poi ti ho caricato sul cavallo (e ce ne è voluto un po’, a dire il vero) e sono ripartita. Sei diretto al Piccolo Fiore, vero? »

Oliver si sforzava di trovare un senso logico a tutta quella confusione, poi chiese, dato che forse era la cosa più importante: «  Josh… che fine ha fatto? »

« Oh, non preoccuparti per lui » lo rassicurò la ragazza « Ho messo anche lui sul suo cavallo. Sono sicuramente tornati a casa sani e salvi. »

Per niente sollevato, Oliver stava cominciando a arrabbiarsi. « Ma tu, posso sapere che ci fai qui? Non dovevi tornare a casa e tornare tra una decina d’anni? »

« Io voglio diventare una Guerriera di Shidal » affermò Dyna. « E lo voglio adesso, non posso aspettare dieci anni. »

« Torniamo indietro » disse Oliver, sicuro come lo era poche volte.

Dyna fermò il cavallo, che emise un lungo nitrito. « Cosa? Perché? »

« Perché non ho tempo di badare a te! » sbottò Oliver « Non posso fare da balia a una ragazzina alle prime armi, che sogna di compiere grandi imprese per diventare un’eroina. Io devo salvare Semi ,lo capisci, non sto andando a divertirmi! »

« Anch’io voglio salvare la principessa! » ribatté Dyna, con gli occhi in fiamme. « Se proprio la vogliamo dire tutta, stanotte potevo ammazzare due Guerrieri da sola, nessuno poteva impedirmelo, sai? »

Oliver arrossì lievemente. Beh, Josh non era sicuramente un cavaliere eccelso, però non tutte le ragazzine piccole come quella erano in grado di mettere fuori combattimento un Guerriero. « Va bene, sarai stata fortunata, ma adesso torniamo indietro, non vorrei avere il cadavere di una quindicenne sulla coscienza. »

« Guarda che io ho diciassette anni! E non torno indietro! » Detto questo, Dyna scrollò il cavallo e partì come un fulmine seguendo l’intricato sentiero che gli alberi gentilmente offrivano.

« Oh! Ehi! Torna qui! Ragazzina! » Oliver non poté fare altro che mettersi all’inseguimento. Non c’è che dire, cavalcava proprio bene, non aveva mentito. In breve però la raggiunse e riuscì a sbarrarle la strada. Il cavallo impennò pericolosamente, e Dyna venne disarcionata, cadendo sul terreno umido. Il cavaliere scese subito per controllare se fosse ferita, allarmato. « Ragazzina, stai bene? »

Dyna non rispose, cercando di pulire alla meglio il mantello rovinato. « Forza, vieni » disse Oliver, una volta accertate le sue condizioni. Le tese la mano. Dyna esitò un attimo, poi la afferrò saldamente… e tirò anche lui a terra, affondando i denti nel polso. Oliver gridò per il dolore e inginocchiato tentava di farle lasciare la presa. Alla fine ci riuscì e la ragazza subito scattò per rimontare a cavallo, ma il Guerriero la prese per la caviglia, costringendola di nuovo a terra. I due si guardavano in cagnesco. Oliver non sapeva cos’era a trattenerlo, ma avrebbe tanto voluto riempire quella faccia insolente di schiaffi, e sicuramente avrebbe imparato la lezione. Dal canto suo, Dyna si pentì di non aver spedito a casa anche lui, come aveva fatto con l’altro, anzi, si pentì di non averlo fatto fuori del tutto quando ne aveva avuto l’occasione. Essendo adulto, Oliver sentiva di avere un certo peso in quella stramba circostanza, così assunse il tono più autoritario che gli riuscì e un’aria severa. « Allora. Adesso torniamo al villaggio, ti porto a casa e ti chiudi dentro fin quando non avrai l’età per decidere da sola della tua vita. Quando quel momento arriverà, potrai fare tutto ciò che ti pare e piace. Ma ora no, non davanti a me, se ti capitasse qualcosa la responsabilità sarebbe mia, e non voglio che succeda niente di male, a nessuno. Chiaro? Perciò muoviti, mi hai fatto perdere già troppo tempo. »

Tuttavia Dyna rimase dov’era. « Bel discorso. Possiamo proseguire? »

Oliver ruggì di rabbia, con le mani nei capelli.

« Oh, non strapparteli, ti stanno bene. Non saresti così carino calvo, sai? » lo schernì avvicinandosi a lui. « Stammi a sentire tu adesso: mancano un paio di chilometri al massimo per la fine della Foresta. Gli alberi si stanno facendo più radi, come vedi, quindi siamo quasi al Piccolo Fiore. Lì potremmo fare scorta di cibo, visto che in questo bosco niente è commestibile e metterci sulle tracce di questo mostro, ammesso che esista, certo. Ti prometto che se il pericolo sarà troppo alto, allora mi farò da parte. Sarò buonissima, te lo giuro! »

Che occhi… Occhi così non ne aveva mai visti. Non sembravano neanche umani. Oliver sapeva bene che ormai aveva vinto lei. Come poteva dire di no a una bambina così dolce, sì, quando voleva sapeva esserlo. Dimenticando completamente che l’aveva colpito con un bastone, che aveva tramortito Josh, che l’aveva costretto a rincorrerla per il bosco, che l’aveva morso… « E va bene. Ma se non mi ubbidisci saranno guai! » disse alla fine.

Dyna sorrise raggiante e gli gettò le braccia al collo, al settimo cielo.

« Su, andiamo! Che stiamo aspettando? » esclamò felice. Si rimise in sella al destriero e si avviò avanti.

 

*  *  *

 

Dyna aveva ragione, il bosco stava per finire, ormai mancava veramente poco. A quanto pareva, la Foresta Querciasecca non era esattamente il luogo adatto per costruirci la casa, però non era abitato da nessuna bestia feroce. Dopo un bel po’ di silenzio, Oliver disse: « Quel mantello a chi l’hai rubato? »

« Prego? »

« Quello è un mantello da Guerriero, proprio identico al mio. A chi l’hai preso? » chiese il cavaliere.

Dyna si indignò a quella accusa e rispose in modo sprezzante: « Io non ho mai rubato in vita mia! Questo era di mia madre! »

« Oh… » fece Oliver. Niente da fare, in quanto a gentilezza era stato delicato quanto un cinghiale. Per togliersi dall’imbarazzo continuò a parlare. « Quindi anche lei era una Guerriera… Per questo vuoi diventarlo? »

« No. Voglio diventarlo e basta. Per me. E poi voglio diventare la migliore per lei. Perché lei era la migliore » disse Dyna.

Oliver rimase un attimo zitto, colpito dalla serietà con cui quella ragazza che era poco più di una bambina aveva pronunciato quelle parole. In esse si leggeva un dolore per la perdita della madre, avvenuta  forse troppo presto, che lei cercava di soffocare con rabbia, vivendo quanto più poteva. « Beh, ti posso assicurare che tramortire un uomo addormentato non è un gesto da Guerriero, sai? » disse, ma nella sua voce c’era un tono divertito, voleva prenderla in giro. Dyna abbassò il capo, e non riuscì a trattenere un sorriso.

« Guarda, ci siamo » la avvertì Oliver.

La Foresta si era infatti ormai diramata del tutto e di fronte ai due giovani si stagliava ora il Piccolo Fiore, troppo piccolo per essere una montagna, ma anche un po’ troppo grande per essere una semplice collina. La struttura centrale era circondata da un sentiero verde, che sembrava creato artificialmente, ma il difficile era salirci, dato che la liscia parete di roccia non forniva nessun genere di appiglio. Tutto intorno, una immensa distesa di prati fioriti, su più livelli di roccia, a volte intervallati da ponticelli in legno dall’aria sicura. Sparsi sporadicamente qua e là alcuni abeti piccoli e qualche animaletto selvatico innocuo. « Però… non è niente male questo posto! » commentò Dyna, respirando a pieni polmoni l’aria satura e pulita, dopo quella rarefatta del bosco.

« Fino a pochi anni fa era abitata dai Breziani, sai? In effetti, fa ancora parte della regno » osservò Oliver scendendo da cavallo.

Anche Dyna scese e chiese, interessata: « E come mai ora non c’è nessuno? »

« Beh, per il mostro » spiegò Oliver « Anni fa le persone fuggirono da qui e si rifugiarono al villaggio, sostenendo che un mostro si era insediato sul colle. Veramente solo un vecchio diceva di averlo visto, ma tutti ebbero paura e non tornarono mai più. E naturalmente nessuno si preoccupò di andare a verificare di persona. »

Dyna scosse il capo, rassegnata. « Certo che la gente di qui è veramente senza speranza. Beh, diamoci da fare, a quanto pare il mostro dovrebbe vivere sulla cima della montagna, vero? »

Oliver annuì, soprappensiero, poi registrò le parole appena ascoltate. « Ehi, ti ricordi della promessa, vero, ragazzina? »

Dyna finse di non capire. « Cosa? Quale? »

« Non fare la finta tonta! Hai detto che una volta che il gioco si fosse fatto troppo pericoloso, ti saresti fatta da parte » le ricordò il cavaliere.

« Davvero? Ho detto questo? Non ne ho memoria. » Si allontanò quel tanto che bastava per darle un certo margine di vantaggio,poi si girò e gli fece una linguaccia.

« Aspetta che ti prendo, poi facciamo i conti! » Oliver partì all’inseguimento, ma per quante avesse le gambe più lunghe faticò parecchio per raggiungerla. Si divertirono da pazzi a rincorrersi per i prati, nascondersi dietro i massi o sugli alberi, fino a quando Oliver la prese e rotolarono sull’erba, ridendo a crepapelle, come due bambini. In quella atmosfera di rilasso, Oliver non aveva dimenticato la sua missione, però non riuscì a fare a meno di pensare qual era il vero motivo che l’aveva spinto a partire con tanto desiderio. Non perché si sentisse legato al popolo, per attaccamento alla patria, perché era suo dovere di Guerriero salvare la principessa indifesa. No, anche se non fosse stato un Guerriero sarebbe andato comunque. Osservò una nuvola dalla forma strana passare sopra di lui, che gli ricordò il viso più dolce e tenero che avesse mai visto in vita sua. « Come vorrei che il suo primo sorriso fosse per me… »

Dyna si alzò sui gomiti, scrutandolo attentamente. Era così assorto che probabilmente aveva dimenticato di non essere solo. Certo che era un ragazzo proprio strano. « Di che stai parlando? »

Oliver sussultò, scendendo dalle nuvole. « Di… di nessuno! » Si alzò in fretta e disse: « Forza, ci siamo riposati anche troppo. E’ ora di mettersi a lavoro. »

 

Lasciarono i cavalli legati vicino a un laghetto e proseguirono a piedi. Il Piccolo Fiore non era lontano e vi arrivarono in breve tempo. Come purtroppo avevano già intuito, la roccia era liscia e priva di rientranze o sporgenze, quindi era praticamente impossibile salirci. « Ma se lui ci è salito vuol dire che un modo c’è! » disse Dyna, che cominciava a perdere la pazienza.

« Magari ha le ali, che ne sai com’è fatto? » mormorò Oliver, ispezionando a fondo la montagna, scervellandosi su come arrampicarsi. Quando era arrivato ormai alla triste conclusione che si dovesse per forza saper volare per salire in cima, sentì un rumore di catene proveniente da dietro la montagna. I due ragazzi si scambiarono uno sguardo ansioso. Ma allora qualcuno era rimasto al Piccolo Fiore...

« Andiamo a vedere » propose Dyna e Oliver assentì, prima di prenderle il braccio e dire in un tono che non ammetteva repliche:

« Vado avanti io. »

Dyna si fece da parte con aria seccata per essere trattata perennemente come una bambina incapace e lo seguì.

Camminando lungo il fianco della montagna, anzi per essere più precisi, strisciando lungo il fianco della montagna, ad un certo punto furono investiti da un odore fetido e pestilenziale come non ne avevano mai sentiti prima. Tutti e due si otturarono le narici con le dita, assumendo un’espressione disgustata, ma andarono avanti lo stesso. Oliver si fermò dopo pochi passi, tendendo il braccio per fermare anche Dyna, e si sporsero quel tanto che bastava per vedere chi sferragliava a quel modo.

« Ma quello è un Orco » disse Dyna a voce bassa.

L’essere che brandiva la catena era alto almeno due metri e aveva la pelle di un arancione sbiadito, con macchie marroni sparse ovunque. I capelli neri cadevano sulla testa coprendo parte del viso e avevano l’aria di non aver mai visto un goccio d’acqua pulita. Le braccia erano pelose e probabilmente lo era anche il resto del corpo, ma non si vedeva perché coperto da un abito lercio e strappato in più punti. Aveva i piedi lunghissimi, tanto che faceva fatica a camminare e una grossa pancia gli pendeva sul davanti, floscia e rotonda.

« Allora è lui il mostro che terrorizzava il villaggio » disse Oliver, sempre coprendosi il naso. Il puzzo di quella creatura era insopportabile.

« Ma non doveva stare sul colle? » chiese Dyna.

Oliver non rispose, stava valutando un modo per attaccarlo. Era molto grosso e aveva una pesante catena in mano, ma lui aveva la sua spada. Avrebbe potuto attaccarlo da dietro, anche se non era una bella azione, ma in fondo non era quello il momento di pensare alle regole di un leale duello, doveva solo pensare a salvare la principessa. Sì, lo avrebbe attaccato da dietro. « Va bene… » disse senza distogliere gli occhi dal mostro « Ora Dyna, apri bene le orecchie: io vado a sistemare quel coso puzzolente, mentre tu te ne stai buona buona qui senza dare fastidio, anzi forse è meglio se torni indietro, non vorrei che tu vedessi una scena del gene… Dyna mi ascolti?... Dy… Ma dove sei? » Oliver si guardò intorno, poi si girò di nuovo in direzione dell’Orco e scoprì con orrore che la ragazza si stava dirigendo da sola senza farsi vedere nei pressi della creatura. In quel momento stava risalendo una piccola collina di roccia, dalla parte opposta, in modo che il mostro non la scoprisse. Oliver emise un grido soffocato, mentre imprecava con frasi sconnesse e senza senso, poi si tappò la bocca con il pugno, mordendosi la mano tremante. Cercò di chiamarla, ma era troppo lontana perché la sentisse, dovette per forza gridare, anche se fu un urlo strozzato: « Dyna…! » Subito dopo si appiattì contro la parete di roccia, mentre l’orco girava lentamente il pesante testone in direzione del suono che aveva udito. Per fortuna decise di non approfondire la questione, così Oliver prese a sbracciarsi come un forsennato boccheggiando il nome di Dyna, ma senza emettere una sillaba. Finalmente la ragazza si girò e gli fece segno di tacere, con l’ indice premuto sulle labbra. « Cosa…?! » fece Oliver, con una crisi di nervi sempre più vicina. « Devo stare anche zitto..!? Sto sudando sette camice per colpa della sua testa vuota e devo anche stare zit…!! » Si morse di nuovo la mano, maledicendo se stesso per aver permesso a una bambina di accompagnarlo in quella missione rischiosa, già la vedeva morta stecchita schiacciata da quel gigante arancione…. L’avrebbe avuta per sempre sulla coscienza… Ma… che aveva in mente? « Ma quella è completamente pazza! » esclamò Oliver, senza più preoccuparsi di tenere la voce bassa.

Dyna si era lanciata dalla collinetta sul mostro, e si era attaccata a lui, impedendogli di muovere le braccia. O almeno quella era la sua intenzione. Aveva pensato di bloccargli gli arti con le gambe e colpirlo alla testa con quel bastone che era la sua unica arma, ma non aveva calcolato che le sue gambe erano troppo esili per trattenere le braccia possenti dell’Orco, così dopo un vertiginoso barcollare il mostro la scaraventò al suolo.

« Ooooooohhhhhhhhh! » gridò, con una voce gutturale e atona. Brandì la catena per usarla contro di lei, ma giusto in tempo arrivò Oliver, che la afferrò con decisione arrotolandosela sul braccio. Con uno strattone, trascinò la creatura a terra, con un tonfo che fece alzare un gran polverone. Senza perdere tempo, Oliver estrasse la spada e la puntò sulla gola del mostro. Anzi, per meglio dire sul doppio mento, visto che quell’essere era talmente grasso che il collo era quasi invisibile.

« Liberala subito! Hai capito, sudicio bestione? » ordinò il Guerriero a denti stretti. « Libera la principessa! »

L’Orco annuì, spaventato a morte, con le mani in segno di resa. Oliver lo fece alzare, e lo seguì, sempre puntandogli la spada contro la schiena. Passandogli accanto lanciò un’occhiataccia a Dyna, che ancora era inginocchiata sul terreno.

Nella collinetta che Dyna aveva scalato un attimo prima era scavata una vera e propria gabbia. Un grande cancello di ferro chiudeva l’entrata a una piccola e buia caverna. L’Orco fece capire a Oliver di voler prendere la chiave con i suoi gesti goffi e selvaggi e infatti prese da una tasca dei pantaloni marroni una piccola chiave d’argento, che sembrava addirittura minuscola nelle sue manone. Con uno scatto la serratura si aprì e il cancello si spalancò. « Principessa Semi! State bene? » gridò Oliver, con il cuore che pulsava come un tamburo.  Si addentrò nella caverna cautamente, ma dopo qualche minuto di silenzio ne uscì correndo a ritroso, pallido come un Fantasma. L’Orco cominciò a fare strani versi (« Ghu, Uh, gnu, MuuMuu »), ma Oliver pensò che volesse chiedere cosa fosse accaduto. « Ma che diavolo c’è la dentro? » esclamò il cavaliere per tutta risposta.

Dyna si avvicinò lentamente alla grotta, come se aspettasse il permesso di Oliver per entrare. Lui si alzò, ancora scosso e la accompagnò dentro. C’era una strana luce nell’ombra, una specie di riflesso argentato. Dyna però non ebbe paura neanche per un attimo, e toccò la sagoma luminosa (« No, non lo fare... » bisbigliò Oliver febbrilmente) come se l’attirasse in qualche modo e sentì un calore accogliente e confortante, un tepore che le diede uno strano senso di sollievo. Accarezzò la misteriosa creatura per quello che doveva essere il  suo collo e poi il muso, sembrava un cavallo. Ad un certo punto forse l’animale aveva percepito la natura amichevole di Dyna, perché il pallido riflesso si tramutò in luce abbagliante, tanto da inondare l’intera caverna. Per un attimo i due giovani non videro nulla, ma quando il bagliore si attenuò, rimasero a bocca aperta. Davanti ai loro occhi colmi di meraviglia, si trovava un Besil.

 

» L’ho diviso in due perché era lungo! Fatemi sapere un po’ che ve ne pare (:

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Capitolo 4
*** - Il Piccolo Fiore (parte seconda) - Il re Gunner ***


 

Il Piccolo Fiore (seconda parte) – Il re Gunner

 

Il mitico cavallo alato, dal candore puro e immacolato, ricambiava i loro sguardi con i suoi occhi rossi. Era un animale maestoso, ma in quel momento giaceva in terra e sembrava stanco e affannato.

« E’ ferito! » gridò Dyna, riavutasi dallo stupore. Oliver invece non dava ancora segni di essere cosciente e non si muoveva da dov’era. La ragazza si inginocchiò accanto al cavallo e lo guardò implorante, come se volesse sapere cosa fare per salvarlo. Il Besil tuttavia non disse niente, respirava a fatica e da uno dei suoi occhi scese una lacrima d’argento, stranamente solida. Anche Dyna sentì l’impulso di piangere, ma si riscosse. « Vado a cercare qualcosa per salvarti! » affermò decisa e uscì dalla prigione, senza una meta precisa. Cosa poteva fare? Al Piccolo Fiore non c’era nessuno, figuriamoci se avrebbe trovato un medico. Girovagò disperatamente, arrivando fino al fiume. Il fragore della cascata era forte, ma lei non lo sentiva, preoccupata e ansiosa per la sorte del Besil ferito. Doveva salvarlo, sentiva che doveva farlo, ma come? Abbassò la testa, seduta sull’erba, pensando intensamente a una soluzione, lottando contro lo sconforto totale, quando all’improvviso, sentì un grido. Proveniva dalla cascata. Qualcosa, o meglio, qualcuno, visto che aveva urlato, era precipitato nel fiume. Dyna corse nella sua direzione, afferrò un rametto abbastanza robusto e lo tese verso lo strano individuo. Questi riuscì a risalire, e si stese sull’erba, bagnato fradicio e ansimante. Strano era la parola adatta per definirlo. Sembrava a prima vista una tartaruga, per il guscio verde e rugoso che aveva sulla schiena, ma aveva il becco simile a quello di un pellicano. La piccola testa di piume bianche era sorretta da un esile collo che affondava nel guscio e aveva due occhi molto grandi. Intorno alle pupille nere come la pece, un vago colorito roseo. Alle mani aveva guanti gialli e i piedi erano palmati. Anche il resto del corpo sembrava quello di un uccello. Dyna lo osservò attentamente, molto perplessa, poi chiese, un po’ incerta: « Tutto bene? »

Lo strano essere tossì per sputare qualche goccia d’acqua, poi rispose: « Sì, credo di sì. » Aveva una voce nasale e bassa. « Ma dove sono? »

« Come sarebbe? » disse Dyna « Sei al Piccolo Fiore, nel regno di Breza. Non lo sapevi? »

La tartaruga-uccello si mise in piedi, d’un tratto completamente allarmata. « Regno di Breza?! Ma com’è possibile? Si trova a miglia di distanza da casa mia! »

« Da dove vieni tu? Chi sei? » domandò Dyna, confusa quanto lui.

Il bizzarro animale era a quanto pareva molto educato, perché anche in quella situazione assurda, non dimenticò di fare un inchino alla fanciulla che aveva di fronte, prima di presentarsi. « Sono Kimenu Ortoga, medico di Silfia. »

Dyna non  gli fece aggiungere altro. « Sei un medico? Presto vieni con me! »

Gli afferrò il braccio e prese a correre in direzione della caverna dell’Orco. « Signorina, si fermi, ma cosa succede? » sbraitava Kimenu.  « Si fermi! »

Con uno strattone finalmente costrinse Dyna a frenare la sua corsa, facendola quasi cadere. « Mi dica cosa succede? »

« C’è… un… cavallo ferito… » rispose la ragazza, con la fronte imperlata di sudore freddo. In quel breve istante aveva pensato che non sarebbe stata creduta, raccontando del Besil.

Il medico assunse un’espressione seria e chiese solo: « Dove? »

Dyna indicò la collinetta che si stagliava all’orizzonte contro i raggi del sole. « Dietro quell’altura… »

Più veloce di un fulmine, Kimenu fece uno scatto incredibile e si mise a correre a una velocità pazzesca, lasciando dietro di sé un gran polverone. Dyna non riusciva a credere ai suoi occhi. E dire che l’aveva scambiato per una tartaruga! Si mise all’inseguimento, ma non riuscì a raggiungerlo, se non quando lui era già arrivato alla grotta e mirava il cavallo alato in estasi. « Un Besil… » mormorava strabiliato. Ma durò pochi secondi. Subito si mise all’opera, tirò fuori dal guscio una valigetta marrone e ne estrasse un paio di occhialetti a mezzaluna, cominciando a ispezionare il corpo dell’animale.

Dyna, accanto a Oliver, osservava in ansia la scena, mentre il cavaliere ormai non si raccapezzava più. Un Orco, un Besil e una tartaruga-dottore… Se non era un sogno quello…

Alla fine, Kimenu alzò il capo per dichiarare la diagnosi. « Ha un’ala ferita. Ho bisogno assoluto di Mitrecas. » Poi, visto che nessuno faceva nulla, aggiunse: « E’ un fiore molto comune, a forma di elica. E’ celeste e viola, con le foglie spinose, andate a cercarlo! »

I due giovani si divisero per i prati in cerca di questo fiore, quando Dyna lo trovò finalmente giù per un pendio, in mezzo a sassi e pietre. « Forse è comune dalle sue parti, siamo fortunati ad averne uno qui » si disse, cogliendolo.

« Uno solo? » esclamò il medico.

Dyna scosse la testa. « Da queste parti mi sa che è piuttosto raro » e glielo pose. « Non ce la farai? »

« Non ho mai perso nessun paziente » affermò la tartaruga, intento a pulire i petali e selezionarli con cura, secondo un metodo ben preciso. Dyna si inginocchiò vicino al cavallo alato, carezzandogli il muso dolcemente. A lui sembrava facesse piacere e si acquietò un poco. Ma il dolore doveva essere veramente forte, perché per un attimo, Dyna credette che non sarebbe sopravvissuto. Dopo circa un’ora, finalmente Kimenu si asciugò la fronte e dichiarò di avere finito. « Ora deve riposare. »

Oliver si avvicinò a Dyna, mettendole una mano sulla spalla. « Dai, esci un po’. »

Ma la ragazza gli fece cenno di voler restare ancora. Così il Guerriero uscì, lasciandola sola con il Besil addormentato. 

Passarono almeno un paio d’ore, prima del risveglio. Anche Dyna si era assopita nel frattempo e fu ridestata dal tocco soffice e liscio dell’animale. « Ti sei ripreso » disse la ragazza sorridendo, sfiorandolo a sua volta.

Quando uscirono tutti quanti si erano addormentati. Oliver contro un alberello, l’Orco per terra a pancia in su, con un rivolo di saliva sulla faccia e la tartaruga si era rannicchiata nel suo guscio. « Ragazzi, siamo qui. »

Oliver emise degli strani versi, poi si alzò sfoderando la spada, ancora mezzo insonnolito. A poco a poco, la testa di Kimenu fece capolino dall’ involucro verde, mentre l’Orco non dava alcun segno e rimase lì dov’era a ronfare. Il Besil mosse qualche passo in avanti, osservando gli ultimi raggi del sole, che di lì a poco sarebbe tramontato. « Volevo ringraziare ognuno di voi per avermi aiutato. E soprattutto te, piccola amica mia. »

« Mi… mi chiamo Dyna » disse lei, arrossendo un pochino.

Il Besil tornò a guardare il sole. « Il mio nome è Sembion e sono un Besil dei Cieli Bianchi. » Fece un passo verso di loro, ma sia Oliver che Dyna istintivamente indietreggiarono. Quell’animale incuteva una certa soggezione.

« Non abbiate paura » disse Sembion, con la sua voce profonda.

Dyna mollò una gomitata a Oliver. « Ahhu!... Ma… Oh… Ehm, io sono Oliver Galir, un Guerriero di Shidal… Beh… Molto piacere… cioè… »

« Io sono Kimenu Ortoga, medico » si presentò anche la tartaruga. « Mi permetta di porle una domanda. Io sono laureato, oltre che in medicina e altre materie attinenti, in studio delle creature fantastiche. Ora ho la prova inconfutabile che i Pagasi esistono, ma a quanto mi risulta, lei possiede una grande forza e un’incredibile capacità di resistenza. Perché non si è ribellato? »

Sembion ci mise un po’ per rispondere. « Sì, noi Besil abbiamo poteri straordinari, ma non adoperiamo mai la violenza, anche se siamo in fin di vita. L’Orco mi ha torturato per molti anni con quella catena, per questo a lungo andare neanche con i miei poteri sono riuscito a evitare che il dolore prendesse il sopravvento. Ma non serbo rancore nei confronti dell’Orco, perché lui non ha colpa. Non è intelligente, obbediva ciecamente a qualcuno più in alto di lui. Era lui che gli ordinava di trattarmi male. »

All’improvviso si sentì un singhiozzo. L’Orco si era svegliato e piangeva. Era molto buffo così. Aveva le sopracciglia folte e unite e gli occhi grigi e molto piccoli, che gli davano un’aria ancora più ottusa. Oliver lo fissò per un attimo perplesso, poi gli venne in mente una cosa. « Ehi, hai detto qualcuno più in alto di lui? Ma allora non era lui il mostro del Piccolo Fiore. Deve esserci davvero qualcuno in cima al monte ed è probabile che sia lui ad aver rapito Semi. »

L’Orco a questo punto si fece avanti saltellando come uno scimmione, agitando le braccia su e giù. Oliver si ritraeva per il cattivo odore, ma lui si avvicinava sempre più.

« Vuole dirti qualcosa » suggerì Dyna.

« Ah sì, anch’io vorrei dirgli qualcosa. Per esempio di andare a lavarsi… No, non mi toccare! » L’Orco gli prese la testa e la girò verso la montagna. « Eh? Ho capito, vuoi dirmi che il mostro si trova lassù, ma questo lo sapevo già. Solo che non so come arrivarci. »

« Io posso volare lassù » disse Sembion.

« Ma è vero! I Besil volano, se no a che servono le ali! Oh, ma perché non ci  ho pensato subito! » esclamò Oliver, dandosi una botta in testa. Dyna già si stava preparando ad andare, quando Kimenu fece crollare tutto il loro entusiasmo.

« Sembion non può volare. Almeno per le prossime due settimane. Ho usato una pomata speciale fatta con i petali di Mitrecas che permette di rimarginare completamente la ferita senza dolore, ma gli impedisce di muovere le ali, finché non avrà fatto effetto. »

Oliver divenne di nuovo pallido. Dyna guardò il cavallo, che a sua volta era profondamente amareggiato. « Ma forse non è tutto perduto. Andiamo vicino al colle » disse Kimenu.

Non del tutto convinti e con ben poche speranze, tutta la comitiva si accostò al fianco della montagna. La tartaruga esaminò la roccia liscia e priva di appigli mormorando: « Sì… Sì. E’ proprio l’ideale. »

« Scusi, ma potrebbe dire anche a noi, sempre se non le dispiace? » disse Oliver, irritato.

Il medico tuttavia non parlò, ma tirò fuori dal guscio altri due gusci verdi, leggermente più piccoli del suo. « Questi vi permetteranno di salire fino in cima, senza pericoli. » Li pose ai due ragazzi e gli ordinò di salirci in piedi. Oliver non sembrava particolarmente ansioso di usare quello strano aggeggio, ma lo fece, seguito a ruota da Dyna. I due per un attimo stavano per perdere l’equilibrio, e ondeggiarono un po’, ma non caddero. « Il Guscio vi permette di scalare le pareti verticali senza pericolo di precipitare. Questa roccia liscia è proprio l’ideale visto che è praticamente impossibile sbattere contro qualcosa e perdere il controllo del mezzo. Non abbiate paura, non cadrete mai, ve lo assicuro. »

« Questo è pazzo » bisbigliava Oliver « Questo è completamente pazzo e io non ho altra scelta che fidarmi di lui se voglio trovare Semi, ho paura, sento che sto per morire… »

« Oliver, ti senti bene? » chiese Dyna, avvicinandosi un po’ a lui.

« Sì, sto bene » mentì Oliver, poi di colpo cambiò tono di voce. « Tu scendi da là, subito! »

Dyna non ubbidì, ma nemmeno rispose come faceva di solito.

« Non voglio che venga anche tu, chiaro? Prima stavi per rimetterci la pelle, te ne sei resa conto oppure no? Non farmi mai più uno scherzo simile, mi sono spiegato? »

La ragazza teneva lo sguardo a terra, incapace di controbattere. Aveva ragione lui, avrebbe potuto morire per la sua incoscienza ed era stato solo per merito del Guerriero che questo non era accaduto. « Mi dispiace, Oliver… Scusami… »

A questo punto, il cavaliere chiuse la bocca, spiazzato da quella reazione. Si era aspettato strepiti e lamenti e invece si era addirittura scusata. « Sì… Non c’è bisogno di… » borbottò, cercando di mantenere la sua aria severa. « Comunque, non voglio assolutamente che tu rischi di nuovo la vita. Non so a cosa andiamo incontro, quindi scendi da quel coso. »

Stranamente, Dyna ubbidì. Un attimo dopo, però alzò lo sguardo implorante verso Oliver. Il Guerriero avrebbe potuto vincere contro un Orco, contro un mostro, anche contro un Drago forse, ma contro quegli occhi così dolci, tristi e mesti, avrebbe dato tutto ciò che possedeva per vederla sorridere di nuovo e far sì che quegli occhi brillassero ancora di limpida allegria. “Piccola strega” pensò Oliver. Distolse a fatica lo sguardo, stavolta non poteva lasciarsi abbindolare, ne andava della sua giovane vita,e si accorse di tenere al bene di quella ragazzina più di quanto realmente immaginasse. « Finiscila, ragazzina, quando dico no è no! »

« Ugh, muk, ngu! »

L’Orco di nuovo aveva ripreso a parlare nel suo linguaggio incomprensibile. « Oh, ma che vuole questo da me? » esclamò il Guerriero.

« Ti sta dando dei consigli » spiegò Kimenu « Sono laureato in Orcologia e conosco centoventidue lingue (compresi i dialetti), quindi praticamente tutte le lingue del Mondo. Sta dicendo che il punto debole del mostro sono gli occhi. E’ li che devi colpire. »

« Che cosa? Ma è fantastico! Sei grande, grazie, scimmione! » disse Oliver.

« Man-bay » grugnì l’Orco.

« Deve essere il suo nome » chiarì Kimenu.

« Beh, allora grazie, Man-bay! » ripeté Oliver, che aveva decisamente cambiato opinione sulla fetida creatura. « Allora io vado. Ehm, come si fa a partire..? »

Kimenu alzò le spalle e rispose semplicemente: « Si governa con il pensiero, non ci sono meccanismi. »

Oliver non fu particolarmente felice di quest’ultima notizia, visto che lui si distraeva in continuazione, temeva che ne avrebbe perso il controllo. « Va bene » mormorò e cominciò a concentrarsi. All’improvviso però, si sentì afferrare da dietro e per poco non caddero entrambi, lui e Dyna. Oliver non fece in tempo ad arrabbiarsi e inveire che il guscio era partito diretto contro la parete rocciosa. Il Guerriero chiuse gli occhi, gridando come un matto, ma quando li riaprì era ancora vivo e stavano schizzando in verticale sul Piccolo Fiore. Per poco non guardò giù, ma si fermò perché gli venne un capogiro.

« Tutto bene, Oliver? » gridò Dyna, dietro di lui. Si era aggrappata alle sue spalle ed era in punta di piedi, dato che il guscio era troppo piccolo per due persone. Oliver stava per rispondere con una parola poco gentile, che non si sarebbe mai sognato di dire a una ragazza, quando si rese conto che era lei a guidare il trabiccolo. Chissà perché questo lo fece sentire ancora peggio.

« Aiuto, ti prego fermati, non mi sento per niente sicuro, forse è meglio che… Aaaaaahhhhh! »

La parete rocciosa era terminata e il guscio era volato via in aria,ma i piedi dei due ragazzi non si staccarono, erano come incollati. Come per miracolo, atterrarono sull’erba, sulla terra sicura e stabile. Anche Dyna aveva avuto un po’ di paura, ma riaprì gli occhi, staccandosi da Oliver. Il Guerriero non aspettò un altro secondo per scendere da quel mezzo assassino e provò un piacere immenso quando la suola dei suoi stivali toccò il terreno leggermente umido. Si inginocchiò con una mano contro la roccia e una sul cuore, cerando di non vomitare, ma aveva gli occhi fuori dalle orbite e il suo cuore sarebbe esploso di lì a poco, con ogni probabilità. « Oliver… »

Il cavaliere si alzò, ancora pallido, si fermò davanti a lei, sovrastandola di tutta la testa e per poco, ci mancò veramente poco, che non le mollasse un ceffone. Fermò la mano a metà strada, stringendo il pugno con forza. Fece un profondo respiro, poi la guardò. Aveva la faccia colpevole, di chi aspetta il sicuro e meritato castigo per una marachella combinata, e spera solo di cavarsela con uno schiaffo invece di due. Ma Oliver non era il tipo da colpire una donna, e se questa era una bambina non l’avrebbe fatto davvero mai. Però il suo sguardo serio fu peggio di una sberla, Dyna si sentì mortificata e arrossì come un peperone. Si stava comportando esattamente come aveva detto lui: era un peso, provocava solo guai, forse avrebbe fatto meglio a tornare a casa. Questo pensò in quel momento, ma la frase di Oliver la lasciò a dir poco stupefatta. « Grazie. Non sarei mai stato capace di far muovere quel coso, né di arrivare quassù tutto intero. Se non fosse stato per te, non saremmo qui adesso. »

Dyna aprì e chiuse la bocca più volte, senza articolare alcun suono. Oliver aveva preso il sentiero, ma si fermò per aspettarla. Così ripose il guscio nello zaino e lo seguì, verso la cima del monte. Era così strano Oliver. Strano, ma simpatico. Strano, ma… “grande”.

Oliver si voltò indietro e disse, tendendo l’orecchio: « Non senti un rumore? »

Dyna si mise in ascolto. Sì, era una specie di rombo, ma diventava sempre più forte. Si stava avvicinando…

« Oliver! »

Una gigantesca sfera di colore nero stava rotolando giù per lo stretto sentiero, rombando e rimbalzando. « Oliver!!! » ripeté Dyna, in preda al panico. Oliver però non era meno spaventato di lei. Si sentiva tirare il mantello dalla ragazzina terrorizzata, la sfera era sempre più vicina, aveva ormai svoltato e si trovava proprio di fronte a loro. La strada era troppo stretta, non potevano buttarsi da nessuna parte: da una parte c’era la roccia, dall’altra il vuoto. C’era un’unica cosa da fare. 

« Scappa... Scappa scappa scappascappaaaaaaaaaaa! » urlò Oliver trascinando con sé Dyna. Stavano tornando indietro, non aveva idea di come avrebbero fatto una volta che il sentiero fosse giunto al termine. Di certo  non avrebbero avuto il tempo di prendere il guscio e scendere giù per il fianco della montagna indisturbati. Ma in quel momento Oliver aveva una sola scelta, quella di continuare a correre. E correvano come matti, il sentiero era in discesa e ormai le gambe andavano da sole, sembrava che avessero le ali ai piedi, ma la sfera si avvicinava inesorabile, guadagnava terreno su di loro. Dyna non si arrischiava a guardare indietro, aveva una paura terribile. Se solo ci fosse stato un luogo dove ripararsi, una… « Oliver! » Tirò l’amico per il mantello, non sapeva neanche lei come aveva fatto a fermarsi, né come aveva avuto il coraggio di fermarsi, ma riuscirono a rifugiarsi in una apertura scavata nella roccia. Appena vi entrarono, la gigantesca sfera passò davanti a loro con un boato assordante. Per qualche  minuto i due ragazzi non dissero niente, pallidi e ancora sotto choc, poi Oliver bisbigliò: « L-l’abbiamo scampata per un pelo… »

Dyna assentì con il capo. « Quando siamo passati prima non l’avevo vista questa rientranza. »

« Neanche io » disse Oliver « Beh, ciò che conta è che ci ha salvato la vita. Grazie, buco nella montagna, ti siamo debitori! »

Dyna ridacchiò insieme a lui per un po’, scaricando la tensione e la paura di poco prima. Ma ora c’era un altro problema da risolvere.

« Oliver, come facciamo se ne vengono altre? »

Il cavaliere si sporse fuori, sembrava tutto tranquillo, ma non se la sentiva di risalire per lo stretto sentiero, era troppo rischioso. Dyna si avvicinò a lui. « Oliver, e se usassimo di nuovo il guscio? » propose, già conoscendo la risposta.

« Potremmo anche usarlo, ma il problema è che non c’è spazio per evitare quel coso, la strada è troppo stretta, cadremmo di sotto. »

« Dimentichi che il guscio funziona anche in verticale » gli ricordò Dyna « Andiamo Oliver. E’ la nostra unica speranza, fidati di me, ormai ho imparato a guidarlo, non ci sono problemi! »

Il Guerriero si mordicchiò il labbro inferiore, in preda a un conflitto interno. Alla fine decise. « E va bene… Oh, accidenti, quel coso è tremendo per chi come me soffre di vertigini, lo sai? »

« Soffri di vertigini? » Dyna stava per ridere, ma dissimulò in colpo di tosse, dato che Oliver già la guardava male. « Ok, facciamo in fretta » disse Dyna. Tirò fuori il guscio e ci salì sopra, stavolta ben ferma sui piedi. Oliver salì dietro di lei, già cominciava a sudare freddo. « Si parte. »

Dyna partì piano, il vento le soffiava leggermente in faccia, scompigliandole un poco i capelli, che finivano in faccia a Oliver. Svoltarono la prima curva del sentiero che saliva come un imbuto, circondando il colle a spirale, e proprio quando Oliver stava pensando che viaggiare sul quell’aggeggio sul terreno stabile e sicuro non era poi così male, ecco che udirono di nuovo il rombo in lontananza. « Ci siamo » disse Dyna, cercando di non far tremare la voce. Oliver sentiva il rumore farsi sempre più vicino, fino a quando la vide. La sfera correva verso di loro… e loro le correvano incontro. Dyna aveva accelerato, ormai la cascata di capelli rossi gli finiva davanti alla faccia impedendogli la visuale. Ma forse fu meglio così. Un attimo prima di schiantarsi contro la sfera, Dyna aveva sterzato a destra, evitandola per un soffio. Purtroppo però, aveva virato con troppa forza, perché si erano allontanati dalla montagna e adesso volteggiavano nell’aria, ma sarebbe durato poco, perché il guscio non era fatto per volare.

« Che succede…? » chiese Oliver, che oltre ad avere i capelli di Dyna sulla faccia, teneva gli occhi serrati.

« Ehm… forse c’è un piccolo problema… »

Oliver si decise a guardare e quello che vide fu il cielo rosso tramonto davanti a lui. Ma quando volse lo sguardo giù, allora temette di morire prima ancora che precipitassero.  Un urlo strozzato gli uscì dalla gola e echeggiò per tutto il Piccolo Fiore. Dyna intanto stringeva i denti e tentava un’ultima virata. Il guscio però non rispondeva, evidentemente nell’aria non funzionava. Ma non si arrese e si concentrò con tutte le sue forze sulla montagna. Stavano cominciando a scendere, quando Dyna gridò con quanto fiato aveva in corpo: « Saliiiiii! »

Incredibilmente, il guscio si sollevò di nuovo e girò a sinistra per andare a posarsi sul sentiero, tutto questo a una velocità supersonica. I due ragazzi non se ne resero neanche conto. Dyna non credette ai suoi occhi quando si accorse di quanto era successo. Oliver invece stava con la testa china e stava aspettando la fine. Dyna lo chiamò per tranquillizzarlo. « Si-siamo vivi? » balbettò Oliver, ma mentre si stava riprendendo ecco che il guscio ripartì come un missile. « Dyna! Che diavolo fai!? »

« Credo di aver perso il controllo! » gridò Dyna, terrea in volto. Un’altra sfera si stava avvicinando a tutta velocità, il rombo era assordante. « Fa qualcosa per l’amor del Cielo ragazzina! » urlò Oliver. Ad un certo punto, il guscio si librò di nuovo nell’aria, sorvolando la sfera di almeno due metri; se Dyna e Oliver avessero avuto gli occhi aperti avrebbero potuto vedere la cima pianeggiante del colle e qualcos’altro anche… ma tutto quello che loro videro fu il buio, fino a quando il guscio atterrò, per fermarsi del tutto. I due giovani caddero, sporcandosi nel terreno polveroso.

« Oliver, stai bene? » chiese Dyna, strisciando vicino a lui. Il cavaliere non si mosse. « Oliver! »

« E’ la giornata più brutta della mia vita » si lamentò Oliver,con la testa ancora sul terreno. Dyna rise e lo aiutò a rialzarsi. « Un altro volo come quello e non sopravvivrò, sei avvisata. »

« Credo che non ne faremo più » lo rassicurò la ragazza « Adesso abbiamo altro a cui pensare. »

Si scrollarono di dosso tutta la polvere che potevano, tra gli starnuti di Oliver (« Sono allergico alla polvere! ») e continuarono  a piedi il resto del sentiero, visto che era rimasto davvero poco da percorrere. Finalmente giunsero sulla cima del colle. Era uno spiazzo abbastanza ampio, i ciuffi d’erba frusciavano, mossi dal vento. Nel punto più lontano, qualcosa, o qualcuno, dava loro le spalle. I due ragazzi si guardarono un momento, indecisi su cosa fare, anche perché non avevano la minima idea di che cosa fosse quell’essere. Restarono così per alcuni minuti, senza che nessuno facesse alcuna mossa, poi Oliver si decise a prendere la parola. « Ehi! Tu! Girati! »

Niente. Silenzio.

« Sto parlando con te! Ehi! » Oliver si bloccò, dato che quella strana creatura si stava girando, proprio  come lui aveva ordinato. Era rotondo, assomigliava moltissimo alle sfere che prima avevano dovuto affrontare sul sentiero, nero come la pece, con la differenza che era munito di arti. Le braccia, sottili e blu, sbucavano dai lati della sfera. Anche le gambe erano troppo snelle e corte per reggere il peso del corpo. Quando si voltò completamente, si poterono notare anche gli occhi, grandi e senza pupille, grigio perla, dall’espressione minacciosa. Sulla testa, se testa si poteva chiamare, portava una corona, molto simile a quella del sovrano di Breza. Ci mancò davvero poco che Oliver e Dyna non scoppiassero a ridere. Quello era il mostro che aveva terrorizzato il popolo del Piccolo Fiore? Certo che definirlo buffo era un eufemismo… « Ma… chi sei? » domandò Oliver, abbandonando ogni proposito di ingaggiare una lotta furiosa.

« Io? » disse il mostro con una voce metallica. « Io fono Gunner, il re delle palle di cannone. »

I due ragazzi si scambiarono un ulteriore sguardo, per accertarsi di non stare sognando. Questa volta fu Dyna a parlare. « Sei stato tu a lanciarci quelle sfere prima? »

« Natuvalmente » rispose lui « Io ho il poteve fu di loro, poffo favle appavive dal nulla e guidavle nella divezione che pvefevifco; efattamente cofì. »

« Ma che diamine ha detto? » disse Oliver, ma proprio in quel momento un’altra sfera, ancora più grande delle precedenti, apparì nel cielo rosso tramonto e precipitò nella loro direzione con la velocità di un proiettile. Appena in tempo, Oliver si scaraventò su Dyna, e rotolarono quasi fino alla fine del prato, rischiando di finire giù, ma evitarono di essere spiaccicati.

« Che vifleffi! Bvavo! » esclamò Gunner, falsamente compiaciuto. « Vediamo fe fei altvettanto in gamba adeffo! »

Questa volta tre palle di cannone si materializzarono in aria. Oliver e Dyna rimasero dov’erano e si scansarono all’ultimo secondo per far sì che cadessero di sotto, ma non accadde così. Le sfere virarono lungo il bordo del colle e si diressero ancora verso i due ragazzi, proprio come se fossero telecomandate.

« Oh, accidenti… » mormorò Oliver, mentre riprendeva a correre, seguito dall’amica. Le sfere non gli davano tregua e si muovevano a destra e a sinistra avvicinandosi lentamente al bersaglio.

« Non si possono fermare, Oliver » disse Dyna, appena un passo dietro al cavaliere. « E’ lui che le controlla. »

A quelle parole la mente di Oliver si illuminò. « Dyna, prendi la spada. E cerca di resistere più che puoi. » Detto questo lasciò la spada alla ragazza e si gettò in mezzo alle sfere rotolanti, che all’improvviso aumentarono la velocità e presero a giragli vorticosamente intorno. Oliver era al centro, aspettando il momento giusto. Forse aveva fatto una stupidaggine, ma era l’unica cosa da fare.

Dyna raccolse la spada, ma a stento ce la faceva a reggerla per quanto era pesante. Quando vide le sfere saltare in aria, pronte a buttarsi sull’amico, strinse le mani intorno all’elsa, pensando a qualcosa, qualsiasi cosa potesse fare per aiutarlo. Ma non ebbe alcuna idea brillante, come invece sicuramente Oliver ne avrebbe avute per salvare la vita a lei. Ma le preghiere di Dyna servirono davvero a qualcosa, perché per un attimo, un istante, le sfere si fermarono. Probabilmente Gunner si era distratto a guardare la ragazzina dai capelli rossi con una spada in mano, forse per attaccare anche lei con un’altra sfera. Ma quel breve istante fu sufficiente a Oliver per scattare in direzione del mostro. Gunner vedendolo arrivare così di corsa, si spaventò e non riuscì a difendersi. Le sfere caddero al suolo, prive di controllo, fortunatamente lontano da Dyna. Il Guerriero preparò il pugno mentre correva e colpì con forza il mostro al fianco, o almeno nella zona dove si trovava il braccio sinistro. Ma la superficie liscia e fredda del mostro era anche incredibilmente dura, tanto che per Oliver fu come colpire con tutta la forza un muro di cemento armato. Rimase immobile per alcuni secondi, con il pugno ancora poggiato sul corpo del mostro, mentre la faccia gli diventava rossa e cominciava a sudare freddo, tentando di contenersi, ma avrebbe tanto voluto urlare a squarciagola per il dolore. Ritirò la mano che già cominciava inesorabilmente a gonfiarsi a vista d’occhio, mormorando un « Ahia ahia ahia » sommesso. Gunner rise di gusto a quella scena.

« Ah! Ah! Ah! Piccolo uomo! Cofa cvedevi di fave contvo di me? Ah! Ah! Ah! Io fono imbattibile! » Le sfere ricominciarono a muoversi e rotolare sull’erba e le loro ombre agli ultimissimi raggi di sole si riflettano su Dyna, sola con una spada che non riusciva nemmeno a tenere in mano. « Guavda adeffo, piccolo uomo! Guavda come schiaccio la tua amichetta! »

Dyna si lanciò sul terreno di lato, brandendo sempre la spada. Se l’avesse lasciata, sarebbe stata indubbiamente calpestata ed era l’unica arma che avevano. Di nuovo corse nella direzione opposta, seguita dalle palle di cannone. Era veloce e agile Dyna, ma non avrebbe resistito ancora a lungo. Oliver la vide schivare tutte e tre le sfere con un abile gioco di gambe, ma la spada era pesante per lei, doveva fare qualcosa. Strinse i denti, e fece l’unica cosa che gli venne in mente di fare in quel momento. Si mise a fare il solletico sotto il braccio di Gunner. All’inizio, il mostro lo guardò sconcertato, ma subito dopo cominciò a ridacchiare. Poi rise forte, fino a diventare sguaiato. Allora Oliver continuò, sfregandolo anche sotto la bocca. Alla fine il mostro cadde a terra, con un tonfo, senza smettere di ridere. Le sfere si erano finalmente fermate. « Dyna! » gridò Oliver « Gli occhi! » Il ragazzo si posizionò alle spalle di Gunner e continuò a fargli il solletico dietro la schiena. Dyna corse verso di loro, sollevò la spada, ondeggiando un po’ per mantenerla, e la conficcò con forza nell’occhio destro del mostro, provocando così un forte bagliore. Gunner cadde a terra del tutto, proprio sul povero Oliver, che gemette. Dyna lo aiutò a uscire, mentre lui continuava a brontolare: « E’ la giornata più brutta della mia vita, lo giuro, la più brutta in assoluto! »

Gunner emise un debole guaito. L’occhio destro era completamente sparito. Al suo posto spiccava una croce indistinta rosso sangue. « Allora » disse Oliver, con il tono di chi vuole concludere al più presto. « Dacci la principessa e non ti verrà fatto più alcun male. Altrimenti proverai ancora dolore… E non provare a usare ancora i tuoi poteri perché dubito che ci riusciresti nelle tue condizioni. »

Gunner sollevò lentamente un braccio e nel palmo della sua mano a poco a poco si materializzò una piccola fatina. O almeno era quello che sembrava. Era circondata da una specie di polverina stellata e luccicante, di vari colori chiari e brillanti. Quando fu ben visibile si notarono le ali trasparenti e il corpicino esile e verde. Sembrava una libellula, ma il volto era quello di una fanciulla, sebbene in miniatura e molto pallido. Aprì i grandi occhi, verdi anch’essi, sembravano due pietre preziose, due enormi smeraldi.

« Incredibile » disse Oliver con un filo di voce. Era la seconda volta nello stesso giorno che gli capitava di incontrare una creatura fantastica e straordinaria come Besil e Fate.

La luce della libellula si rifletteva negli occhi fiammeggianti di Dyna. Non seppe descrivere la sensazione che provò vedendola, ma fu un’emozione forte, intensa, nuova e conosciuta allo stesso tempo.

La libellula la fissò intensamente, nel suo sguardo c’era una traccia di paura, anzi, terrore puro. Fece per volare via, ma Dyna disse: « No, non andare, ti prego… »

La fatina si fermò e la fissò intensamente. Non sapeva perché, ma a Dyna venne voglia di piangere. « Tu... sei… » la libellula lasciò la frase incompleta e si avvicinò a Dyna.

« Ma chi sei, tu? » chiese Oliver, sempre con lo stesso tono estatico.

« Io sono Misty, una delle Libellule Custodi. E vi ringrazio per avermi liberato » disse la piccola Libellula con una vocina sottile e angelica, il suono più dolce mai sentito su questa Terra.

« Liberato? » ripeté Dyna. « Il re Gunner ti teneva prigioniera? »

La Libellula scosse mestamente il capo e l’ espressione di paura ritornò sul suo viso. « No, lui doveva solo custodirmi. Per conto di qualcun altro. Ma ora sono libera, grazie a voi. Vi prego, liberate anche le mie compagne dall’incantesimo, vi supplico. Lo farete? »

« Sì, lo faremo » rispose Dyna prontamente. Non aveva mai sentito parlare di queste Libellule Custodi, non sapeva niente sul loro conto, non sapeva chi le aveva catturate, dove fossero, quante fossero, come le avrebbe trovate, né sapeva perché si sentiva così vicina a loro e così in ansia per la loro sorte, ma non poté fare a meno di confermare quanto aveva appena detto con una promessa. « Te lo prometto… Misty. Farò di tutto per liberarvi. Tutte quante. »

La fatina le scoccò un piccolo bacio sulla guancia e disse: « Con questo sarà più facile per te » e volò via, lasciandosi alle spalle una scia luminosa che dopo un po’ scomparve. Oliver era assolutamente interdetto. Non riusciva a capacitarsi che quanto aveva visto poco prima, o meglio, quanto aveva visto durante quella assurda giornata, fosse reale. Scosse la testa, era meglio non pensarci, o si rischiava di restarci matti. « Dyna, ti senti bene? »

« Sì » rispose lei distrattamente. Aveva ancora lo sguardo perso nel punto in cui la libellula era sparita. « Sì, sto bene » ripeté poi, come se si fosse svegliata all’improvviso.

« Dyna. »

« Che c’è? »

« Sei stata brava » disse Oliver, in un tono calmo e dolce.

Dyna arrossì fino alla punta delle orecchie. « Ma che dici… quando? »

« Prima, con il mostro » disse il cavaliere « E anche ad usare il guscio sul sentiero. Sei stata brava davvero, ragazzina. » Si avvicinò e le scompigliò affettuosamente i capelli. « Ora però occupiamoci di questo furfante! » esclamò alzando la voce. « Allora, hai liberato una fatina che non ho capito cosa ha detto a proposito delle libellule, ma io ti avevo chiesto della principessa se non mi sbaglio! »

Gunner stava ancora supino, e l’occhio buono la diceva lunga sulla paura che aveva in quel momento. « Io non fo niente di neffuna pvincipeffa… te lo giuvo… non fo di chi ftai pavlando… io avevo il compito di cuftodive la Libellula… folo quefto… lo giuvo… »

Oliver si arrese: non stava mentendo. « Beh, a quanto pare abbiamo fatto un buco nell’acqua » ammise deluso, riponendo la spada nel fodero.

« Però pensa! Abbiamo incontrato un Besil, una tartaruga-uccello che fa il medico e un Orco, abbiamo sconfitto il Re delle palle di cannone e salvato una delle Libellule Custodi... anche se non ho ancora capito bene che cosa siano » disse Dyna.

« Sì, non sai bene cosa siano però hai promesso di salvarle tutte » le fece notare Oliver. « Comunque… sì, hai ragione. Non è stato un viaggio a vuoto. Ora scendiamo che si sta facendo buio. Tu vieni con noi! » ringhiò rivolgendosi a Gunner.

Stavolta fu cosa ben facile riscendere il sentiero, senza intoppi, né sfere rotolanti. Arrivati alla fine però sorse un problema. « Oliver, non possiamo portare anche lo sgorbio sul guscio. Non ci andiamo tutti quanti, come facciamo? » domandò Dyna, ma il cavaliere non era particolarmente preoccupato da questo punto di vista. Diede una leggera spinta al mostro e questo rotolò giù per il pendio, fra urla e lamenti.

« Vedi, si risolve subito » disse Oliver e Dyna scoppiò a ridere. Insieme ridiscesero a bordo del guscio lentamente, come voleva Oliver, e atterrarono accanto a Gunner, che gemeva a terra, coperto di lividi e ammaccature. Poco dopo Kimenu, Sembion e Man-bay vennero loro incontro. L’Orco strepitò qualcosa nel suo lessico incomprensibile, ma sembrava stupito e felice allo stesso tempo. Kimenu si complimentò stringendo la mano a entrambi, soprattutto per come avevano guidato il guscio, senza mai abbandonare il suo tono professionale, che lo rendeva ancora più buffo. Anche Sembion lodò i due giovani, in particolare Dyna.  Legarono Gunner con la catena di Man-bay per essere sicuri, ma ridotto com’era non sarebbe andato lontano. L’Orco li invitò a cena, o almeno questo tradusse Kimenu, ma una volta a tavola nessuno aveva più molta voglia di mangiare, visto che la maggior parte delle portate era ammuffita e nauseante e passarono la sera a guardare l’Orco mangiare con gusto e molto voracemente. Per sua sfortuna, Oliver era seduto proprio accanto a lui, e dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non dare di stomaco. Decisero di ripartire il mattino dopo, perché avevano bisogno di riposarsi e anche perché era preferibile viaggiare di giorno nella foresta di Querciasecca. Ma nessuno volle dormire a casa di Man-bay a causa del cattivo odore e alla fine si appisolarono fuori, sull’erba. Per fortuna non era una notte fredda. Dyna si appoggiò al Besil, Kimenu si ritirò nel suo guscio e Oliver si stese vicino a un grosso masso, ma Man-Bay insisteva per stare vicino a lui, così il giorno dopo se lo ritrovò proprio di faccia e diede un urlo che li fece svegliare tutti. Tutta la comitiva si mise in viaggio verso il castello di Breza, dato che nessuno aveva niente da fare al Piccolo Fiore, così il viaggio sembrò durare meno del previsto, fra il brontolare di Oliver e i tentativi di Man-bay di camminare appiccicato a lui. Finalmente furono in vista del villaggio, il castello si stagliava contro il sole luminoso in tutta la sua bellezza. « Ahh! Finalmente ci siamo! Non vedo l’ora di farmi un bel pisolino! » esclamò Oliver, stiracchiandosi per bene, ma senza lasciare mai la catena con cui trascinava Gunner.

« Niente male il castello di Breza, davvero niente male » commentò Kimenu.

Dyna si avviò avanti. « Ti rendi conto, Oliver? Siamo degli eroi, abbiamo sconfitto il terribile mostro che ha terrorizzato gli abitanti del Piccolo Fiore! Siamo grandi!... Chissà come reagirà il re? »

 

 

~Gunner è ispirato a uno dei personaggi di un vecchio “Super Mario” a cui giocavo da piccola :D

~Spero che vi sia piaciuto! Fatemelo sapere :) Baci e alla prossima! :3

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Capitolo 5
*** La Fortezza Inespugnabile ***


Se Dyna si era aspettata un cordiale benvenuto, un’entrata trionfale nel palazzo reale, magari accolti dalla banda delle grandi occasioni, con suoni di tromba e tutto il resto e che il re li avrebbe eletti eroi del Paese ricoprendoli di gloria e onori… Beh, si sbagliava di grosso.

Quella mattina il consigliere si era nascosto sulla grande veranda del castello, per rifugiarsi dalle continue lamentele del sovrano, il quale addossava ogni colpa su di lui, anche le più insensate. Da lontano però vide arrivare una bizzarra comitiva. Davanti c’era una bambina che spiccava per il colore acceso dei suoi capelli e aveva un’aria vagamente familiare. Tirava due cavalli. Accanto a lei invece c’era un terzo cavallo, ma era tutto bianco e rifletteva la luce del sole per quanto era luminoso. Poi c’era una specie di uccello dalle dimensioni umane, che camminava su due zampe. Una uomo orrendo dalla pelle arancione, altissimo. Un altro uomo invece trascinava un essere dalla forma sferica e dal colore nero, ma era animato, perché camminava con le sue gambe. Poi il suo sguardo ritornò sul ragazzo. Ma sì, era lui, era proprio Oliver Galir, il Guerriero partito a cercare la principessa. Corse dentro per informare il re. « Maestà! Maestà! »

Il re stava camminando per il  grande corridoio con i pugni serrati e le sopracciglia aggrottate. Si fermò di colpo. « Ah, sei qui! Nano della malora! Dove ti era nascosto, eh? Lo sai che è reato non correre quando il re ti chiama?! » e lo prese per il bavero.

« S-sì, lo s-so, s-sire… ma vede… il Guerriero sta tornando esattamente in questo momento. L’ho visto. »

Nel gesto di chinarsi sempre più vicino alla faccia del terrorizzato consigliere, la corona scivolò dalla testa del re, e gli oscurò la vista. « Ne sei sicuro? Era lui? » disse, senza preoccuparsi di sistemare il diadema. Lasciò andare il nano, che cadde con un tonfo e gli fece una linguaccia, mentre il vecchio correva in direzione del portone. Per la foga, Taddeus si dimenticò degli scalini, così percorse la lunghissima rampa di scale rimbalzando come una palla e finì seduto per terra, girando un paio di volte su se stesso, con la corona che gli era ormai arrivata al collo e sembrava adesso un collare di pietre preziose. I sudditi che si trovarono lì in quel momento ebbero il loro daffare per trattenere le risate, ma il sovrano non li degnò di uno sguardo e si precipitò al portone, scansando malamente una guardia in armatura. Come spalancò la porta, vide ciò che il consigliere aveva già mirato dall’alto della veranda. Dyna gli venne incontro radiosa. «Maestà! Ha visto, siamo riusciti nell’impresa! » ed entrò dentro seguita da Sembion, che fece un cenno di saluto con il capo.

Il re annuì, notando a uno a uno gli strani individui che stavano entrando nel suo palazzo. « I miei omaggi, Sua Maestà Taddeus I di Breza » disse Kimenu, inchinandosi il tanto che gli permetteva il suo guscio. Ma il vecchio reggente si spaventò alla vista di quello strano animale dal becco pronunciato, e si appiattì contro la porta di legno scuro, mentre questi gli passava davanti.

Subito dopo l’Orco si fece annunciare come sempre prima dall’odore che emanava, e lo salutò abbassandosi tanto da stare faccia a faccia con lui: « Mbe! Goilàààà. » Ci mancò davvero poco che il re non svenisse, per il fetore e per la paura. Alla fine arrivò Oliver, del tutto tranquillo, come se niente di strano fosse accaduto e nessun essere fuori dall’ordinario avesse appena varcato le soglie del castello. Stava per infuriarsi con lui, quando si accorse della creatura mostruosa, con le mani legate da una robusta catena d’acciaio, di cui Oliver deteneva l’altra estremità.

« Buongiorno a lei, mio Sovrano! » lo salutò il cavaliere allegramente.

« Ma che… Ma che… » balbettò il vecchio.

« Oh, si riferisce a lui? E’ nientemeno che il mostro del Piccolo Fiore, Sire: Gunner, il re delle palle di cannone! E noi l’abbiamo steso! No, non si disturbi con i ringraziamenti, Mio Signore, non ce n’è alcun bisogno… Gradirei però un bel bagno caldo, una cena sontuosa e un letto comodo, se non chiedo troppo, sa, il viaggio è stato… »

« Dov’è mia figlia? »

Le parole del re furono come una doccia gelata per il giovane Guerriero. Nell’euforia aveva dimenticato il vero motivo per cui gli era stata affidata quella missione. E soprattutto, per un’inspiegabile motivo, aveva dimenticato che la fanciulla da salvare era proprio la figlia dell’uomo basso, grassottello e barbuto che aveva di fronte. « Mia figlia » ripeté il re, sorridendo nervosamente.

« Ehm… » E Oliver non fu in grado di emettere più alcun suono.

 

*  *  *

 

Poco più tardi, tutto il gruppetto venuto dal Piccolo Fiore, meno Oliver, stava in attesa dietro alla grande porta di quercia che dava nella sala del trono e tutti insieme sussultarono quando un urlo disumano esplose con la potenza di una bomba.

Il malcapitato Oliver era intento a fissarsi gli stivali, con le braccia dietro la schiena e il volto sudato. Il re si era alzato in piedi sul trono e gridava come un ossesso, sputando saliva da tutte le parti. « Come sarebbe a dire che la principessa non era lì!? Io ti..! » Si gettò su Oliver che, spaventato, andò a ripararsi dietro una delle grandi colonne.

« Ma-maestà… Io non avevo assicurato con certezza che l’avremmo trovata subito! Era solo un’ipotesi quella del Piccolo Fiore... » mormorò Oliver, sporgendo la testa fuori dal pilastro. Il sovrano brandiva il suo scettro e aveva tutta l’aria di volerglielo suonare in testa. « N-no, Maestà, non lo faccia…! » Il cavaliere si spostò appena in tempo e scappò via, verso la finestra, coprendosi stupidamente il corpo con la tenda di seta rosso porpora. « P-pensi che abbiamo trovato un Besil! Un vero Besil qui a Breza, ma ci pensa? Attirerà i turisti! » Ma il re si era di nuovo avventato su di lui e adesso tutti e due si stavano arrotolando nel telo. Per fortuna di Oliver il re non poteva muovere le mani. « E… Abbiamo messo un orco al tappeto… Un orco di due metri, non è roba di tutti i giorni, sa? » Il vecchio ringhiò e si liberò le braccia, pronto a scagliare il bastone, ma Oliver fu più veloce e fuggì via di nuovo. « Abbiamo catturato il mostro del Piccolo Fiore, adesso i cittadini saranno liberi di andarci, non è una cosa buona? »

« Adesso ti farò assaggiare un’altra cosa ancora più buona, vuoi? Il mio scettro! » sbraitò il re, mentre usciva dalla tenda goffamente. Oliver evitò il bastone per un pelo, abbassando la testa, e si acquattò dietro il trono reale.

« No, la prego, Mio Signore, non faccia così… » si lamentava, quasi con le lacrime agli occhi. Il vecchio salì sulla poltrona, lo guardò dall’alto con lo sguardo omicida e sollevò lo scettro in alto. Oliver stava già pronto a scattare e ce l’avrebbe fatta se in quel momento non si fosse aperto il portone. Si distrasse per un istante che gli fu fatale, perché il bastone arrivò preciso sul cranio con una forza inaudita e Oliver scivolò per terra, non più certo di chi fosse, né su che pianeta si trovasse.

Dyna intanto correva per la sala del trono, come già aveva fatto la prima volta che vi era entrata, solo che stavolta aveva un’aria molto preoccupata. « Mio Signore, la prego, non se la prenda con Oliver, non è stata colpa sua. Cioè, non solo, perché c’ero anch’io e sono pronta a prendermi le mie responsabilità, io… Ma che è successo? » chiese poi, vedendo Oliver sul pavimento, con la mano in testa e un sorriso ebete stampato in faccia.

Il re la squadrò attentamente e la riconobbe. « Ah! Tu sei la ragazzina dell’altro giorno! Si può sapere che ci fai di nuovo qui? E poi, che c’entri tu con questa storia?! »

« Beh, ecco, vede, Mio Sovrano… Io sono partita con Oliver e l’ho aiutato a… »

« Come sarebbe? » la interruppe il re « Io avevo mandato un altro Guerriero. Un certo Bosh. »

« Veramente era Josh » lo corresse Dyna « Sì, il fatto è che… Ma non è ancora tornato? »

Il vecchio la fissò perplesso, sicuramente non stava capendo nulla di quanto era accaduto. L’unica cosa che gli venne da dire fu: « Olir! »

Oliver si rialzò, svegliandosi all’improvviso, anche se non del tutto, e mormorò: « G-Galir, sire… »

« Spiegami cosa diamine è successo. E che sia un racconto esauriente, altrimenti te la farò saltare quella testa di vetro che ti ritrovi! »

Oliver non se lo fece ripetere due volte e cominciò a narrare i fatti esattamente come si svolsero da quando lui e Josh erano partiti per il Piccolo Fiore. Il re temette di svenire quando seppe che due Guerrieri di Shidal erano stati messi a terra da una ragazzina di quindici anni. Poi, giunto alla fine del racconto, il cavaliere venne interrotto dagli strepiti del re e omise senza volerlo il particolare della Libellula, anche se comunque non lo riteneva così importante. Dopo aver sfogato la sua rabbia, il vecchio reggente si calmò e sembrò più stanco che mai. « Manderò un messaggio alla Fortezza, perché vengano a prendere il mostro che avete catturato. Ora, se non vi dispiace, preferirei restare solo. » Parlò in modo calmo, così lontano dal suo abituale tono aggressivo e impaziente, che i due ragazzi uscirono in silenzio, senza dire neanche una parola.

 

*  *  *

 

Alla sera erano ormai arrivati al porto del Nord, per accompagnare Kimenu. La tartaruga avrebbe preso la nave che l’avrebbe riportato a Silfia, la sua terra d’origine. Per la verità, non si era reso conto di essere partito, sosteneva di avere un vuoto di memoria.

« Però è stata una fortuna, visto che hai salvato Sembion » disse Dyna, rivolgendogli un largo sorriso.

Kimenu annuì e colse l’occasione per raccomandare di nuovo al Besil di stare a riposo per almeno due settimane. « Riposo assoluto » scandì chiaramente « Niente passeggiate per la campagna o cavalcate all’aria aperta. Stattene buono al calduccio! »

Sembion asserì con il capo. « Non mi permetterei mai di contraddire il medico più abile del Mondo, amico mio. »

Kimenu si rivolse poi a Oliver e Dyna. « Allora arrivederci, amici miei. Forse era destino che ci incontrassimo, ma è stata un’esperienza piacevole, ve lo assicuro. »

« Lo è stata anche per noi » disse Oliver.

Dyna prese il guscio dallo zaino e glielo porse. Quel famoso guscio con cui avevano potuto scalare la montagna e salvarsi dalle palle di cannone di Gunner. Sì, era stato un prezioso alleato. « Questo è tuo. »

Kimenu però non lo prese. « Tenetelo voi. Come ricordo di quest’avventura. Senza contare che potrebbe esservi utile. » Lo respinse con la sua innata gentilezza, facendo l’occhiolino a Dyna. « Non ho mai visto nessuno imparare tanto in fretta. E’ stata la migliore corsa che abbia mai visto in vita mia. »

La ragazza arrossì, assumendo un colore simile a quello dei capelli, in quel momento sembrava che stesse per prendere fuoco.

« Allora si parte! » esclamò la tartaruga.

L’orco stava per seguirlo sulla nave, ma Oliver lo trattenne.

« Buono, Man-bay. Non da quella parte. »

« No, veramente lui viene con me » disse Kimenu, già a metà del ponte di imbarco. « Ho pensato che potrei insegnargli a parlare, a ragionare, a sviluppare il suo cervello. So con certezza che gli orchi hanno un cervello, anche se molto piccolo. Perciò ho pensato di portarlo a casa mia. Sempre che a voi non dispiaccia. »

« No, no » disse Oliver « A patto che gli insegni anche a lavarsi. »

L’orco abbracciò il cavaliere in una morsa micidiale, che quasi gli spezzò le costole. Poi strinse le mani a Dyna, ma più gentilmente. Mentre saliva sul ponte, gli venne da piangere e li salutò dalla nave. « Urtilingaaaa… Hhhhhooliverrrrr. »

Oliver sorrise agitando la mano. « A presto, vecchio mio! Fai il bravo! »

La nave ormai stava lasciando gli ormeggi. Kimenu sventolava un fazzoletto a pallini rossi. « Credo che un giorno ci rivedremo! » gridò.

« Anch’io! » rispose Dyna, e non sapeva spiegarsi perché, ma lo sentiva con certezza.

 

 

La fortezza inespugnabile.

 

Nei due giorni seguenti, Oliver e Dyna appresero che Josh, il Guerriero disperso, era stato visto aggirarsi per il villaggio con il suo cavallo. Con ogni probabilità non avrebbe mai fatto ritorno al castello, per paura che il  re gli avesse affidato un’altra missione rischiosa. « E questo sarebbe un Guerriero di Shidal? » borbottò Oliver, ma sapeva benissimo che Josh era solo uno dei tanti. Non c’era rimasto un solo cavaliere veramente pronto a difendere il castello, il villaggio, salvare le persone in difficoltà. Nessun Guerriero aveva intrapreso questa strada pensando all’amore per la patria e il desiderio di diventare un eroe, ma esclusivamente perché era un posto di rilievo che permetteva una vita benestante, senza rompersi la schiena nei campi o nei boschi a spaccare la legna. In fondo non si parlava di guerre da un secolo. E lo stesso Oliver doveva ammettere che neanche lui aveva dentro di sé questo amore per il suo popolo e la sua terra. Non era divenuto cavaliere per questo, e quando ci pensava se ne vergognava.

Dyna aveva passato le giornate quasi sempre da Sembion. Gli era stata affidata un’intera stanza tutta per lui al castello, ma soffriva di solitudine. Avrebbe tanto voluto tornare a volare insieme ai suoi simili, ma la compagnia di Dyna era più  che gradevole.

Proprio mentre usciva dalla stanza del Besil, due giorni dopo la partenza di Kimenu Ortoga e Man-bay, Dyna si accorse che era successo qualcosa al palazzo. Le guardie parlottavano concitatamente fra loro e tutti sembravano molto preoccupati. Senza perdere tempo andò a cercare Oliver. Lo trovò in uno dei grandi corridoi del castello, diretto alla sala del trono. « Oliver! Finalmente! »

« Ehi, ragazzina! Non ho molto tempo, devo vedere il re » disse Oliver, e anche se aveva fretta, non mancò di essere gentile e sorridente come lo era sempre con lei.

« E’ successo qualcosa? Hanno notizie della principessa? » chiese Dyna, facendosi seria.

Oliver non rispose subito. « Può darsi. Il fatto è che due giorni fa è stato mandato un piccione viaggiatore con un messaggio per gli addetti alla Fortezza. Diceva che avremmo mandato una nave con il criminale Gunner, che doveva essere imprigionato, in attesa della sua sentenza. Non abbiamo ricevuto notizie, e questo è già  molto strano, ma stamattina… Il piccione è tornato. »

« Con quale messaggio? »

« Nessun messaggio » rispose Oliver lentamente, come se fosse incerto se raccontare o no questa cosa a Dyna. Poi si decise. « Beh... In effetti era lui il messaggio. Era morto. L’ha portato fin qui un volatile marrone, che siamo riusciti solo a intravedere. »

Dyna impallidì di colpo. « Morto? Morto come? »

« Schiacciato, si direbbe. Anzi, stritolato da qualc… Forse è meglio non approfondire la questione » disse alla fine e per una volta, Dyna non fu infastidita dal fatto di essere trattata come una bambina fragile e indifesa. Tuttavia, seguì Oliver nella sala del trono. Il re era accerchiato da varie persone, guardie, individui con una  tonaca chiara indosso e il consigliere. Come vide Oliver si alzò in piedi e ordinò a tutti di uscire all’istante, cosa che il nano fece con molto piacere. Sembrò non notare nemmeno che ci fosse anche Dyna.

« Olir, voglio che tu vada alla Fortezza e scopra che diamine sta succedendo laggiù! » disse il re, senza preamboli.

« Sì, Signore » rispose Oliver di riflesso, poi capì quanto gli era stato comandato. « Eh? Adesso? »

« Beh, quando vuoi, quando sei pronto, magari prenditi una settimana di vacanza e poi parti. »

« Ah, va bene, grazie, ma credo che un paio di giorni saranno sufficienti » disse ingenuamente Oliver e Dyna non fece in tempo a spiegargli che era stata solo una battuta sarcastica, che il re gli urlò in faccia, o almeno alzò la testa verso il suo viso facendogli volare tutti i capelli all’indietro. « Adeeeeeesso, stupido fanfarone! »

Oliver annuì mestamente e accettò l’incarico. « Va bene, Maestà. Partirò fra un’ora… Il tempo di arrivare lì! » aggiunse, vedendo lo sguardo del re. Se fosse stato per il vecchio, sarebbe dovuto già essere alla Fortezza, come se ci si potesse arrivare in un secondo, magicamente.

« Io vengo con te » annunciò Dyna, con la sua voce sottile, ma limpida. Oliver non rispose, e guardò istintivamente il re, mentre il piede si muoveva in una contrazione nervosa.

Il vecchio la guardò come se la vedesse per la prima volta, poi esclamò: « Ancora tu, ma com’è possibile? Ascolta, benedetta figliola, ti ho dato il permesso di restare al castello, dato che sei sola, ma per diventare una Guerriera è ancora presto, mettitelo bene in testa! Spero di essere stato chiaro stavolta, Tyna! »

« Mi chiamo Dyna » disse la ragazza a denti stretti. « Io ho dato il mio contributo per catturare Gunner, perciò ho tutto il diritto di assicurarmi che vada in prigione, non trova? » Ma il re guardava altrove, perciò si girò implorante verso Oliver.

Lui ricambiò lo sguardo, serio e pensieroso. Dopo un po’ disse, senza staccare gli occhi da lei: « Mio Signore, chiedo il permesso di portare con me Dyna. »

Il re sussultò, completamente allibito. « Olir, sei forse impazzito? Questa è una bambina! E se troverai qualcosa di pericoloso alla Fortezza? Eh? »

« E’ per questo che la porto con me » ribatté Oliver e questo rese Dyna la ragazza più felice del mondo.

 

*  *  *

 

Circa un’ora più tardi, Dyna e Oliver stavano salpando dal ponte dell’Ovest, diretti alla Fortezza Inespugnabile di Breza. Si trovava su un’isola poco distante. Era una costruzione interamente di pietra, tutta grigia, massiccia e imponente. Oliver l’aveva vista molte volte. In cima c’era una torre di dimensioni enormi, altissima, con una scala a chiocciola interna che permetteva l’accesso al punto più alto della costruzione; da lì si poteva mirare un panorama fantastico, vedere persino il castello e le case più alte del villaggio. Ai piedi della roccaforte c’era un piccolo laghetto, circondato sempre dal pavimento di pietra, e davanti ad ogni cosa una fila di cannoni neri dall’aria molto antica. Oliver si voltò verso Gunner. « Non tentare scherzi, mi raccomando, ne va della tua salute. »

Il mostro per tutta risposta rise. « Ah! Ah! Ah! Potvei beniffimo cavicave uno di quei bei cannoni e affondave la nave! Anzi, pevche’ usave i cannoni? Potvei fav appavive una sfeva pvopvio in questo momento! Ah! Ah! Ah! »

Ma le espressioni poco convinte di Oliver e Dyna gli gelarono il sorriso sulle labbra. « Che patetico » mormorò Dyna.

« Secondo te non abbiamo capito che non sei più in grado di usare i tuoi poteri dopo quello che è successo? » disse Oliver. « Si vede che ne hai prese così tante che ancora non ti sei ripreso e credo proprio che non ti riprenderai mai più. » Detto questo il cavaliere si sdraiò per terra con la testa appoggiata su un groviglio di corda spessa e si assopì.

« Gvvvv… Un giovno me la paghevete, piccoli essevi umani! »

Il viaggio fu molto breve, quasi immediatamente Dyna scorse la roccaforte e in poco tempo ci arrivarono. Ma da subito Oliver notò i primi segni di qualcosa di storto. Un fatto inspiegabile si parava davanti ai suoi occhi: la torre della Fortezza non c’era più. « Ehi, ma non c’è nessuno qui? Oliver, ma che cos’hai? » disse Dyna.

« La… la torre… è… scomparsa » mormorò Oliver con gli occhi fissi in alto.

« La torre? Quale torre? »

« Appunto. E’ scomparsa » ripeté Oliver. « Ma com’è possibile? »

Guardandosi intorno, Oliver notò che non c’era nemmeno un’anima in giro. Eppure quel posto era sempre pieno zeppo di guardie e soldati. Dove diamine erano finiti tutti? « Va bene, facciamo così. Leghiamo la palla di lardo a qualcosa e diamo un’occhiata in giro. » Presero la corda che avevano sulla barca e lo avvolsero vicino a un salice, in modo che non si potesse muovere. Poi, insieme si addentrarono nella Fortezza Inespugnabile. All’interno delle mura il silenzio era quasi assordante. Non c’era praticamente nessuno. « Ma dove sono tutti quanti? » bisbigliò Oliver. Non sapeva perché parlava a bassa voce, forse a  causa di quell’innaturale silenzio.

« Guarda! » disse Dyna. Poco lontano da loro vi era un giardinetto. Anzi, per meglio dire era una piccola aiuola, molto ben curata e colorata. All’improvviso una melodia arcana si diffuse nell’aria. Era una musica molto dolce, lenta, assomigliava al suono di un’arpa e sembrava proprio una ninna nanna. Attratti irresistibilmente da questa melodia, Dyna e Oliver raggiunsero il giardinetto, scavalcando la bassa recinzione che arrivava fino alle loro ginocchia. Si addentrarono fra tulipani e viole, gigli profumati e rose appena sbocciate fino a raggiungere il punto più lontano. Qui videro la “cosa” che produceva il suono. Era un bellissimo fiore molto grande, più grande delle testa di un uomo. Aveva una forma circolare ed era di colore rosso vivo, con macchioline gialle e una striscia viola orizzontale. Si posava su un letto di foglie grandi e verdi, non sapevano come facesse a suonare, ma era lei sicuramente. Il fiore li lasciò avvicinare ancora, incantandoli con la dolce musica, poi quando furono abbastanza vicini e assopiti nel suo sortilegio, dalle foglie si sollevarono fili verdastri lunghi e affusolati come serpenti. Si avvinghiarono a Dyna, che era più vicina e le legarono le gambe insieme. Ancora sotto l’effetto dell’incantesimo, la ragazza non disse neanche un parola, ma come il taglio viola del fiore si aprì, rivelando una bocca immensa che avrebbe potuto divorarla in un paio di bocconi,  riprese conoscenza e lanciò un urlo da rompere i timpani. Perfino la spaventosa pianta carnivora sussultò, ma fu questione di un attimo. Sfoderò i suoi dentini piccoli e aguzzi e sporchi di sangue, pronta per divorarla. Ma l’urlo di Dyna aveva svegliato anche Oliver  che, una volta tagliati quei fili fastidiosi con la sua spada, si era avventato sul fiore e l’aveva pugnalato più volte all’interno della bocca, tanto che la lama aveva raggiunto la gola… cioè lo stelo. « Ma che diavolo era? » domandò Oliver asciugandosi la fronte di sudore. La pianta si stava dissolvendo velocemente in un liquido denso e scuro, che faceva bollicine che scoppiavano di continuo. Era uno spettacolo disgustoso vedere le foglie e i fili non più verdi agitarsi in quella melma e poi sciogliersi per sempre.

« Era una Purpurea Spinosa » spiegò Dyna. « Mia madre me ne aveva parlato una volta, ma dovrebbero essere estinte. »

« Beh, questa c’è ancora. Ma se lo sapevi, perché non me lo hai detto? »

Dyna gli lanciò uno sguardo impaziente. « Quando la musica è cominciata non avevamo ancora notato il fiore, e contro quella melodia non si può fare niente. Per fortuna eravamo in due, perché ti svegli solo quando stai per entrare nella sua bocca. »

Tutti e due fecero una smorfia di disgusto, Oliver ripose la spada e ripresero il cammino.

« Un bell’inizio, non c’è che dire… Niente male davvero » commentò Oliver sarcastico. « Di sicuro è stata quella… “mangiona” a uccidere tutti qui! Prima li ha attirati con quella sciocca ninna nanna e poi li ha divorati! Maledetta… »

« Sta’ zitto, Oliver! »

« Eh? Ehi, ragazzina, un po’ di rispetto per chi è più vecchio di te… »

« Stai zitto! » esclamò Dyna con un gesto nervoso della mano. Tesero l’orecchio e in lontananza sentirono dei tonfi. Era come se qualcosa di molto pesante fosse precipitato dall’alto, ma i tonfi erano continui.

« Andiamo a vedere » disse Oliver. Affrettarono il passo nella direzione da cui proveniva il rumore. La porta della fortezza non c’era più perciò dovettero scavalcare il muro di pietra e poi salire delle scale. I tonfi si facevano più vicini. Stavano percorrendo il muro di cinta, sotto i loro occhi si stendeva il lago, che era più che altro una pozza d’acqua poco profonda. Oliver cominciava già ad avere le prime avvisaglie delle vertigini quando finalmente arrivarono al piano superiore della roccaforte e posarono i piedi sul pavimento sicuro. « Uhh… Meno male… Ancora un po’ e sarei caduto di sotto… »

« O-Oliver… Che diavolo è quello? »

« Cosa? » Oliver si girò e all’inizio non vide nulla. Poi, da un livello inferiore a cui si accedeva tramite dei gradini, vide sbucare un gigantesco macigno di colore celeste. Stette in aria giusto pochi secondi e poi ricadde a terra con il tonfo ormai familiare. I due ragazzi si guardarono allibiti.

« Forse… Direi che potremmo continuare il nostro giro dall’altro lato della fortezza… Visto che… » biascicò Oliver e Dyna assentì.

« Sì… Dopotutto pare che quella cosa sia impegnata a fare altro… Quindi… »

Girarono i tacchi per andarsene a tutta fretta e più in silenzio possibile, quando sentirono un altro suono, attutito dai rimbombi: un urlo. Immediatamente si fermarono. « Accidenti, c’è qualcuno! » disse Dyna « Oliver... » Il Guerriero non disse nulla, ma si incamminò velocemente verso il macigno, che si intravedeva solo quando saltava in alto. Dyna lo seguì. Scesero i gradini senza far rumore, anche se difficilmente qualcuno li avrebbe sentiti con quel baccano.

« Aiutoooooooooo! »

Di nuovo il grido terrorizzato. Ma stavolta potevano vedere da dove veniva. Qualcuno era rinchiuso in una cella, con le mani strette sulle sbarre di ferro e vedeva la fine avvicinarsi a saltelli. Il macigno sarebbe balzato sulla cella, schiacciando tutto sotto il suo peso. Non c’era via di scampo.

« Dyna… Devi andare ad aprire quella cella. Io nel frattempo cerco di distrarlo in qualche modo… » disse Oliver.

Dyna acconsentì e si nascose dietro un  muro in rovina un po’ più lontano. Subito dopo Oliver urlò a pieni polmoni. « Oooooooooooohhhhhhh! »

Il masso gigante si bloccò di colpo con un ultimo tonfo. Poi ruotò su se stesso per guardare Oliver. Guardare? Ma le pietre non hanno gli occhi, pensò Oliver. Ma le pietre non saltellano neanche però… La pietra fece un giro completo di 360 gradi e a quel punto Oliver li vide: occhi incavati e neri come il vuoto, senza pupille, ma pieni di malvagità. A quel punto il grido gli si strozzò in gola. Un istante dopo la pietra aveva ripreso a saltare, stavolta però nella direzione di Oliver. Era molto più veloce adesso, sembrava maggiormente eccitata e sollevava polvere in quantità ogni volta che ripiombava al suolo. Oliver rimase fermo come un baccalà, poi finalmente cominciò a correre senza una meta precisa, ma allontanando il mostro dalla cella.

Dyna intanto uscì dal nascondiglio e si avvicinò furtivamente alla prigione. Il ragazzo era alle prese con la serratura, ma non avendo alcuno strumento naturalmente gli era impossibile aprirla. All’improvviso perse la pazienza e diede un calcio sulle sbarre, ma subito dopo si accucciò per terra con il piede dolorante fra le mani e le lacrime agli occhi. Alzò la testa per vedere se stesse tornando il masso, ma vide invece una ragazza. Dyna lo fissava a sua volta, dopo aver assistito a quella scena imbarazzante, ma poi disse: « Ehm… Ciao… Io devo liberarti… Non sai per caso dov’è la chiave? »

Il ragazzo non si mosse dalla sua posizione, chiedendosi da dove mai fosse spuntata una ragazzina in un posto come quello e perché mai volesse liberarlo. Poi si alzò di scatto, e indicò un punto freneticamente, non era proprio il momento per mettersi a fare congetture. « Lì… Il soldato l’ha fatta cadere laggiù prima di essere… schiacciato. »

Dyna notò con orrore che in quel punto Oliver cercava di intrattenere il macigno, correndo come un pazzo a destra e a sinistra. « Maledizione… Torno subito » mormorò, poi si avvicinò a Oliver camminando carponi dietro i cumuli di pietre sparsi ovunque. La vide immediatamente. Una piccola chiave di ferro tutta arrugginita e il cavaliere ci era appena passato vicino senza notarla.  Cercò di chiamarlo quanto più silenziosamente possibile: « Oliver… Oliver…! »

Il Guerriero si girò verso di lei senza fermarsi.

« Oliver, la chiave… Lanciami la chiave » disse Dyna, indicando freneticamente il pavimento. Finalmente Oliver la vide, ma il gigantesco macigno stava venendo verso di lui ed era sulla traiettoria giusta per appiattire la chiave sotto la sua mole. « …Oliver… »

Oliver in seguito si chiese molte volte dove avesse trovato il coraggio per fare una cosa così avventata e pericolosa, ma si mise a correre incontro alla pietra. Il masso parve animarsi ancora di più e se avesse avuto la bocca di certo avrebbe riso, così spiccò un balzo di almeno quattro metri. Cadendo, sarebbe sicuramente atterrata sulla chiave, ma Oliver la prese. Per un attimo rimase lì fermo, con l’ombra enorme del macigno sopra di lui, poi scattò in avanti. Il tonfo stavolta somigliò allo scoppio di una bomba, tanto che Oliver venne catapultato fino al nascondiglio di Dyna. Gli tese la chiave, tutto sporco di terra e polvere e disse soltanto: « Fai in fretta! »

Dyna annuì e corse via. Per la foga però si dimenticò di acquattarsi dietro le rovine, così il macigno notò anche lei e ancora una volta decise di cambiare bersaglio. Dyna accortasi di avere il masso blu alle costole, accelerò l’andatura e cominciò a urlare, presa dal panico. Oliver tentò inutilmente di richiamare l’attenzione, ma invano. Arrivò a mettersi davanti al masso, ma ormai gli occhi maligni erano puntati su Dyna. « Dyna, muoviti! » urlò Oliver, a sua volta nel panico più totale.

« Ehi! » chiamò il  ragazzo dalla cella. Dyna era così spaventata che aveva addirittura dimenticato dove andare. Quasi inciampò frenando la sua corsa e cominciò ad armeggiare vicino alla serratura. Ma il macigno si faceva sempre più vicino e le mani le tremavano vistosamente. « Dammi qua! » disse il ragazzo. Fece passare un braccio fuori attraverso le sbarre e trovò la serratura. La chiave era molto arrugginita e il mostro era quasi arrivato. Avrebbe distrutto tutto: la prigione, il ragazzo, Dyna. Oliver già la vedeva sotto le macerie. « Dynaaaaa! » Cominciò a correre anche lui in quella direzione senza sapere bene cosa fare, quando finalmente la chiave girò, il ragazzo uscì e si buttò a terra allontanandosi dalla prigione trascinando Dyna con sé.

Un istante dopo, il macigno spiccò l’ultimo salto e demolì completamente la prigione. Pezzi di ferro e mattoni volarono da tutte le parti. Oliver si gettò dietro un muretto mezzo abbattuto, coprendosi il capo con le mani. Dyna e l’altro ragazzo stavano distesi a faccia in giù poco lontano. Quando il rumore cessò, Dyna alzò lentamente la testa tossendo. Aveva il volto tutto sporco e presentava non pochi graffi. « Ehi, sta giù, ci farai scoprire! » disse in un sussurro ansioso il ragazzo.

Ma Dyna non vedeva più Oliver e questo la gettò nel panico ancora peggio di prima, quando stava per essere schiacciata. « Oliver! »

« Zitta, per l’amor del cielo! » imprecò il ragazzo, ancora steso a terra, con il dito sulla bocca.

Dyna uscì allo scoperto per cercare l’amico, rendendosi conto vagamente che la pietra l’aveva intercettata di nuovo. Ma non le importava, doveva solo ritrovare Oliver. Continuò a chiamarlo, quando finalmente sbucò da dietro un muretto la sua testa. I capelli gli erano diventati grigi per tutta la polvere che ci era finita sopra. Anche lui si alzò in piedi offrendo un altro bersaglio al macigno. « Oliver, andiamo via! » disse Dyna raggiungendolo. Lui la cinse con un braccio trattenendola.

« Aspetta. Mi è venuta un’idea. » Corsero insieme verso le macerie della prigione. Ora davanti a loro c’era solo un precipizio.

« Oliver… Che fai…? » chiese Dyna, temendo di conoscere già la risposta. Il cavaliere non rispose e aspettò che il masso gigante si avvicinasse. Era sempre più veloce. « Oliver… » ripeté Dyna, pallida per la paura, ma Oliver, sebbene stesse sudando sette camicie, rimase fermo dov’era. Ormai il macigno era sopra di loro, spiccò l’ultimo salto. Dyna serrò gli occhi e si sentì trascinare da Oliver in avanti: stavano passando sotto il masso, mentre questo era sospeso in aria. Alla fine, quando si fermarono, sollevò le palpebre e vide il macigno cadere a precipizio giù per il burrone. Rise, anche se fu un riso dettato dalla paura e si accorse di stare abbracciata a Oliver un po’ troppo stretta, ma non le importava. Si sentiva al sicuro insieme a lui. Dopo qualche minuto, Oliver la allontanò dolcemente, accarezzandole la testa. Sorrideva anche lui.

 

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Capitolo 6
*** La Fortezza Inespugnabile - Robin ***


A spezzare quella bella atmosfera, un rumore poco lontano. Il ragazzo si stava alzando scrollandosi di dosso la polvere e poi andò verso di loro. Era poco più alto di  Dyna, magro magro, con i capelli neri corti, tutti arruffati sulla testa. La prima cosa che Dyna notò furono le enormi orecchie a sventola, che non riusciva a nascondere sotto i capelli. Aveva gli occhi grandi, marrone chiaro, molto vispi e indossava dei calzoni logori che gli arrivavano poco più sopra dei polpacci e una maglietta stinta troppo grande per lui. Infine un gilè giallo semplice e sandali piuttosto rovinati. Tuttavia, a dispetto dell’aria malconcia, sfoggiava un sorriso largo, che sembrava arrivare da un orecchio all’altro. « Ehi! » li salutò allegramente con la mano fin quando non arrivò vicino a loro. « Salute, amici! E grazie per l’aiuto. Senza di voi adesso sarei poco più di una sogliola, grazie mille! » Fece un inchino, sotto gli occhi attoniti dei due giovani. « Ragazza, sei stata molto gentile a prendere la chiave, anche se, diciamocelo: ti è venuta un po’ di tremarella… Un po’! Diamine, ragazza! Sembrava che ti stesse per volare via quella mano! Ma a chi non sarebbe venuta, vedendomi!? Modestamente faccio girare la testa a tutte, non per vantarmi! » Si esibì in un goffo baciamano e Dyna fece un mezzo sorriso divertito.

« Ehi, ma dico… » disse Oliver, quindi il ragazzo si ritrasse e salutò anche lui.

« Oh! Salve, signore, immagino che lei sia il padre! Ah, se lo lasci dire, lei è veramente grande, ha avuto fegato, altroché! »

« Ma io non sono il padre! » esclamò Oliver, ma il ragazzo non lo sentì.

« Non ho mai visto nessuno sfidare la sorte in quel modo! Veramente grande, bravo! Eh, del resto cosa non farebbe un padre per la propria figlia! »

« Ho detto che non sono il padre! » ripeté Oliver alzando la voce, tanto che il ragazzo trasalì.

« Oh. Beh, sa com’è. È anziano, pensavo che… »

« Io non sono anziano! Ho ventiquattro anni! » disse Oliver, altero.

Il ragazzo strabuzzò gli occhi. « Ventiquattro! Ragazzo mio, dovresti fare qualcosa per quei capelli, a quest’età già tutti grigi… Va bene che l’uomo brizzolato fa colpo, ma qui si esagera. »

« Non ho i capelli grigi! Sono solo coperti di polvere, dannazione! » sbraitò Oliver, mentre Dyna se la rideva di gusto. Il cavaliere si passò le mani sulla testa, scompigliandosi i capelli e scrollandosi un po’ di polvere. Guardava il ragazzo con molta attenzione, alla fine disse: « Mi sembra di conoscerti. Chi sei? Ci siamo già visti per caso? »

Il ragazzo allora si inchinò di nuovo. « Perdonatemi, gentili amici! Io sono Robert Wilson, ma tutti mi chiamano Roby. O Robby se volete, ma la maggior parte della gente mi conosce anche come Lingualesta. O Manoveloce. O Prediescappa. O anche… Ma voi chiamatemi semplicemente Robin! »

Dopo un attimo di smarrimento, Oliver chiese: « E… Che ci facevi in prigione… Robert? » Si stava avvicinando sempre di più senza staccargli gli occhi di dosso.

« Oh… Io in realtà mi ero chiuso lì dentro per sfuggire a quel mostro, ma la chiave mi è caduta fuori, così… »

« Aspetta » lo interruppe Dyna « Tu avevi detto che un soldato l’aveva fatta cadere mentre stava scappando. »

« Sì, infatti. Praticamente… » ma in quel momento si accorse del mantello che portava Oliver, l’inconfondibile mantello dei Guerrieri. « Ehm... sì. Io… Devo proprio scappare adesso! È  stato un vero piacere! » E fece per fuggire via, ma Oliver era troppo vicino, perciò gli mise un braccio intorno al collo e lo bloccò, sollevandolo di qualche centimetro da terra.

« Buono, ragazzino! Ti ho riconosciuto. Fra i Guerrieri ti chiamiamo Robin il Topo, sai? » disse Oliver.

« Interessante! Perché sono agile e veloce? »

« Perché sei piccolo come un ratto. »

« Ahahaha… Che divertente… Non sapevo che i Guerrieri avessero il senso dell’umorismo così sviluppato » commentò Robin, cercando inutilmente di allentare la presa.

« Sei il figlio di Wilson la Volpe, il ladro che nessuno mai riuscì a prendere. Hai sbagliato a seguire le orme paterne, ragazzino, si vede che non sei in gamba come il defunto paparino, che ne dici? »

Robin rimase in silenzio, per una volta nella sua vita non aveva la risposta pronta. « Sai, Dyna, questo è il ladruncolo più giovane di tutti i tempi. »

« Ah! Non è vero! Conosco un bambino di appena cinque anni che ogni giorno ruba le mele alla bottega di Halman e… Ahia! »

Oliver lo strattonò un attimo per farlo stare zitto e poi continuò: « Ha solo diciotto anni ma gli diamo la caccia da almeno sei anni. Poi finalmente ti abbiamo preso, vero, Topolino? »

Robin fece una smorfia.

« Ed eri in prigione solo perché non hai ancora raggiunto la maggiore età. Fra due anni verrai giustiziato, come ti meriti per aver rubato agli onesti cittadini! » Gli diede un altro strattone.

« Ahi! » si lamentò Robin « Guarda che la gente mi voleva bene, giù al villaggio! Cioè… Non proprio bene, ma sicuramente nessuno laggiù vuole che io sia impiccato! »

« Peccato che non decidano loro la tua sorte. »

Dyna si avvicinò al cavaliere. « Oliver, ma adesso non puoi rimetterlo di nuovo in prigione. »

« Benedetta ragazza! » esclamò Robin « Sei un angelo! Grazie, grazie! Diglielo, sono solo un povero straccione… E sono ancora giovane, non posso morire adesso! E tu sei carina, lo sai? »

Oliver lo strinse così forte che Robin divenne tutto rosso.

« No, io intendevo dire che la prigione non c’è più. E a quanto pare era l’ultima rimasta » disse Dyna.

Oliver guardò le rovine e poi guardò Robin, severo.

« Hai visto… Sono fortunato » disse lui con una vocina piccola piccola, mentre quasi soffocava per la presa del Guerriero. Alla fine Oliver si decise ad allentare la morsa. Robin subito tentò di scappare, ma ancora una volta, Oliver lo trattenne con un solo braccio. « Su, lasciami andare » piagnucolò Robin « Che ti ho fatto? Puoi dire che non hai trovato nessuno vivo. Io mi dileguerò senza lasciare traccia, nessuno saprà mai che mi hai visto. Ti prego…! »

« E chiudi quella bocca! » sbraitò Oliver.

Il ragazzo sbuffò. Poi decise di cambiare argomento, magari per farlo distrarre. « Come mai siete venuti solo voi due? » Ma Oliver non rispondeva. Stava pensando a un modo per mettere il ladruncolo in un luogo sicuro, ma dove non si potesse muovere. Allora Robin si rivolse a Dyna. « Ehi… Com’è che siete venuti solo voi due? Tanto più che tu sembri così piccola, sei già una Guerriera? »

« Mi chiamo Dyna e non sono ancora una Guerriera. Non effettivamente almeno. Ma lo diventerò presto. »

« Ah, quindi siamo destinati a essere nemici… Oh, perché questo triste fato per due innamorati come noi?! »

Oliver storse la bocca, ma Dyna rise. « Siamo venuti per controllare la situazione alla Fortezza visto che non arrivavano notizie. Tu non sai che cos’è successo? »

« Oh, ma certo che lo so. Ero qui quando è successo » rispose Robin.

« Cosa? Cosa è successo? » disse Oliver, ma il ladro lo guardava con occhi furbetti.

« Na-na-na. Tu lasciami andare e io ti dico tutto. »

Il Guerriero abbassò la testa verso di lui e scandì: « Te lo puoi scordare, piccola carogna. »

« Ma Oliver, potremmo scoprire chi c’è dietro » disse Dyna.

« Tua sorella è molto più saggia di te, caro il mio intrepido Guerriero! »

« Non è mia sorella! » esclamò Oliver.

Robin allora apparve piuttosto confuso. « E ma allora perché sei così protettivo… Ohhh! Non dirmi che è la tua fidanzata! Ma sei troppo vecchio per lei! »

A questo punto Oliver gli mollò un pugno sul naso, non molto forte, ma abbastanza per insegnargli a parlare solo se interrogato. « Adesso dimmi tutto quello che sai! » ordinò il Guerriero. Robin però scosse la testa, con il naso in mano.

« Nossignore, se non molli la presa io non parlo! »

« Magari stessi zitto una volta per sempre! »

« D’accordo, allora arrangiatevi! »

Ancora una volta, Dyna dovette intervenire. « Oliver, andiamo. Non può scappare da nessuna parte. »

« Oliver, andiamo! » ripeté Robin, imitando la voce di Dyna.

Il Guerriero si decise così a lasciare libero il ladro, non prima di avergli sussurrato all’orecchio: « Se provi qualche scherzo ti ammazzo, te lo giuro! »

Il tono fu talmente minaccioso e serio, che Robin deglutì impaurito. « Oh… Ok... »

Oliver lo spinse contro il muro e si posizionò proprio di fronte a lui accarezzando l’elsa della spada. Questo movimento piacque poco a Robin, che si appiattì ancora di più contro la parete e affermò: « No, no… Devi stare più lontano se no non dico nien… » ma prima che potesse finire la frase, Oliver gli puntò la lama alla gola. Robin alzò le mani in segno di resa, mentre scivolava a terra con gli occhi terrorizzati puntati sulla spada.

« Se non parli adesso ti assicuro che non potrai farlo mai più » lo minacciò Oliver. A questo punto Robin si arrese.

« Ehm… D’accordo… Non c’è bisogno di arrivare alla violenza… Stavo giusto per cominciare a raccontare… Ecco… » Si schiarì la voce, ancora fissando la spada e cominciò: « Dunque… Da dove comincio… Ehm… Allora, vediamo… Ehm… Qualche giorno fa ero in prigione… Eh certo, io sono sempre in prigione! Non mi posso muovere di lì, faccio quello tutto il giorno… Ehm… Vado avanti » disse poi notando lo sguardo impaziente di Oliver. « Sì… Che stavo dicendo…? Ah, sì, dunque. Ero in prigione, no? Quando all’improvviso si sente qualcosa,  una… Una voce. Cioè no, non era proprio una voce… Era qui, però era lontana… Era una specie di… Come si chiama… Un… Un… Un’eco! Già, già… Un eco… »

« Balbetti parecchio per uno che si fa chiamare Lingualesta » lo schernì Oliver.

« Beh, sai com’è. Di solito quando parlo non ho una lama puntata alla gola… E questo mi rende un tantino nervoso, non so tu… » rispose Robin.

Oliver non disse niente e questo era un brutto segno, perciò Dyna gli si avvicinò con cautela e mormorò: « Oliver, magari la allontani solo un pochino. » Il Guerriero ritirò la spada ma non la ripose nel fodero.

« Grazie, angelo » disse Robin a Dyna, ma subito dopo tossì, cercando di non guardare il cavaliere. « Sì, proseguo… Allora. Dicevo… Un’eco. Ma non ho idea di cosa dicesse perché non avevo mai sentito una sola di quelle parole, solo che all’improvviso… La torre della Fortezza si sgretola sotto gli occhi di tutti. Cioè, per farvi capire… La torre si solleva nell’aria e si scompone. Tutte le pietre si disperdono nel cielo e poi si riuniscono per formare però una specie di… di muro gigantesco! Sì, un muro! E ritorna sul tetto. O almeno questo è quello che ho visto, da quaggiù non è che godevo di un bel panorama. Comunque, le guardie salgono sul tetto, ma ne ho viste parecchie ricadere giù, come se lanciate via da qualcosa. Gli altri non sono più ritornati. Credo proprio che siano morti. Gli altri soldati allora si sono impauriti e volevano battersela, ma inspiegabilmente, le barche erano tutte sparite. Non ce ne era rimasta neppure una. Raggiungere il villaggio a nuoto è un’impresa impossibile a causa della corrente e dei mulinelli, così non avevano scelta che restare qui. Naturalmente nessuno pensava di avvicinarsi al tetto, e la cosa lassù, qualunque cosa sia, non sembrava intenzionata a venire giù. Forse pensava che non ci fosse nessuno. I soldati non ci pensarono nemmeno ad aprire le celle, neanche in  quella situazione d’emergenza. »

« Ci credo » intervenne Oliver « C’era già tutto quel caos, figuriamoci se avessero aperto le celle. »

Robin annuì con un sorriso falso. « Tutti uguali voi Guerrieri. Comunque, dopo due giorni così, i soldati decisero di usare il rum per fare segnali di fumo e far arrivare qualcuno dal villaggio, ma a quanto pare nessuno l’ha notato. Purtroppo con tutto quel fumo, la cosa lassù si è accorta di noi e ed apparso nel cielo quel macigno enorme che ha schiacciato tutto… E avrebbe schiacciato anche me se non fosse stato per voi! »

« Che fortuna » borbottò Oliver « Quindi tu mi stai dicendo che dovremmo andare sul tetto e abbattere questo… Muro gigantesco che poi sarebbe la torre? »

Robin annuì vigorosamente.

« Oh, certo… E’ così ovvio… » mormorò Oliver fingendosi interessato,  ma in un secondo riprese la spada e la puntò per la seconda volta alla gola del ladro, che diede un urlo isterico.

« Ahhhhhhh! Ma che ti prende?! Ti ho raccontato come sono andate le cose, che cosa vuoi adesso?! »

« Eppure ti avevo avvisato che se avessi tentato qualche scherzo te la saresti vista brutta! » ringhiò Oliver.

« Mamamamama io nonnon ho tentato ne-ne-nessuno scherzo… Ti ho detto la verità! Te lo giuro! »

Il Guerriero spinse la punta della spada contro il collo del ragazzo, in modo che questi urlasse ancora più forte. « Oliver, lascialo stare, poverino… » disse Dyna.

« Dyna, questo piccolo furfante sta cercando di prenderci in giro! Ma avresti dovuto inventare qualcos’altro! Il Muro gigante, figuriamoci se credo a una storia del genere! »

« Perché scusa? » disse Dyna « Non sarebbe la prima volta che ci troviamo di fronte a qualcosa di straordinario. Guarda Gunner. Ti sembra una persona normale? A me sembra proprio una palla di cannone con arti e faccia… Allora spiegami per quale motivo non potrebbe esistere un Muro gigante animato! »

« Dyna, andiamo! » sbraitò Oliver, ma la ragazza pareva decisa.

« E poi non credi che avrebbe inventato una  storia meno improbabile se non fosse la verità? Non mi sembra che abbia problemi a raccontare bugie. »

Alla fine il cavaliere si diede per vinto. Rinfoderò la spada e dichiarò: « E sia. Andremo a verificare di persona. Se avrai detto la verità ti prometto che non  ti consegnerò alle guardie reali. Ma se scopro che era una balla colossale, come penso che sia, beh… Neanche in quel caso ti consegnerò alle guardie reali. Ti ucciderò con le mie mani! »

Robin rise nervosamente aggiustandosi il collo della maglietta. « D’accordo… Allora vai, ti aspetterò qui, non mi muoverò di un passo! »

« No no, mio caro. » Oliver lo prese per il bavero e ordinò: « Tu vieni con noi. »

« Cosa? No, non ci siamo capiti bene. Io non vengo là sopra. »

« E invece ci vieni, te lo assicuro » disse il Guerriero « E se per caso ti venisse in mente di svignartela… Ti informo che per far partire la nostra barca ci vogliono almeno due persone, quindi… Ma che dico? A te non verrà di certo in mente di scappare? Vero? Tu farai il bravo e non darai fastidio, vero? »

« Certo, certo…  Farò il bravo… »

« Molto bene. Andiamo! »

Si misero così in marcia tra i commenti di Robin: « In fin dei conti avevo proprio voglia di sgranchirmi in po’ le gambe… Proprio voglia di fare quattro passi… La Fortezza è immensa, è l’ideale per fare un po’ di moto. »

« Robert… »

« D’accordo, resto zitto. »

Ma il silenzio di Robin non durò a lungo. Appena ebbero risalito i gradini chiese: « Ehi, Oliver, lo sai dov’è che i soldati tengono gli effetti personali dei prigionieri? »

Oliver fece un attimo mente locale e poi rispose: « Laggiù. In quello stanzino. O almeno quello che una volta era uno stanzino. »

Il luogo indicato da Oliver era infatti quello che restava di una stanza, ma la parete frontale era praticamente distrutta. Tuttavia all’interno c’erano ancora dei cassetti in piedi, anche se ridotti piuttosto male. Robin corse ad aprirli tutti. « Ehi! Ma che fai? Vuoi rubare le cose delle persone che sono morte qui? Sei proprio un bel… »

« Evviva! » esclamò Robin, ripescando una vecchia fionda in legno grezzo da un cassettone. « E ci  sono anche i miei proiettili! Che fortuna! » Si assicurò la fionda sulla tasca posteriore dei pantaloni, che poi era anche l’unica, e ritornò dagli altri. « Guarda che questa è mia! » precisò, vedendo l’espressione severa di Oliver.

Si rimisero in marcia. I due ragazzi camminavano dietro a Oliver. « Ehi, ragazza, sei proprio sicura di voler diventare una Guerriera? » domandò Robin, malizioso.

« Certo, è il mio obiettivo » rispose Dyna. Quel ragazzo le era stranamente simpatico. Robin però agitò la mano in segno di scarsa considerazione.

« Secondo me dovresti diventare una ladra invece! Pensa, sarebbe fantastico! A me piace da morire! Puoi fare tutto quello che ti pare, quando ti pare, noi ladri non abbiamo padroni, siamo completamente liberi, siamo… »

« Siete la feccia del Mondo » finì Oliver, senza voltarsi « Lascia in pace Dyna, lo dico per il tuo bene. »

« Ok, afferrato, capo… Ma è sempre così gentile? » bisbigliò Robin, in modo che Oliver non lo sentisse.

« No, all’inizio è un  po’ burbero, ma poi ti accorgerai che una bellissima persona » lo rassicurò Dyna.

« Sì, in fondo è simpatico… » ammise Robin con un sorriso. Alzò le spalle ed esclamò: « Ah! Se c’è un protettore dei ladri, che mi aiuti in questo momento! Mi sto andando a ficcare direttamente nella bocca del lupo cattivo! »

« Ma non avevi parlato di un Muro di pietra? » lo derise Oliver.

« Sì, sì… ridi pure tu. Tanto voi cavalieri avete la beneamata dea Shidal che vi protegge da lassù! Non hai niente da temere. »

Passarono davanti a un cumulo di rottami, pezzi di legno bruciati e ricoperti di cenere. « Qui è dove hanno fatto il falò » osservò Robin.

Oliver annuì pensieroso. « Già. E’ sorprendente che una simile quantità di legno unita al rum non abbia generato un fuoco abbastanza grande da poterlo scorgere al villaggio, non trovi, Robert? »

« Sì, infatti… Ehi, stai ancora sospettando che ti abbia mentito? Il rogo l’hanno fatto davvero, come puoi vedere. E se voi al villaggio non avete visto niente non è colpa mia » disse Robin sulla difensiva. Oliver lo fissava torvo, ma Dyna li spinse tutti e due a proseguire.

Salirono altre scale. La Fortezza era veramente immensa e purtroppo ovunque volgessero lo sguardo c’erano cadaveri. Avevano tutti la stessa espressione di terrore sul volto esanime. Nemmeno Robin se la sentiva di parlare di fronte a quello scenario. All’improvviso, Oliver si fermò tendendo il braccio per fermare anche i ragazzi dietro di lui. « Che succede? » chiese Dyna.

« La Purpurea Spinosa » mormorò Oliver.

« Di nuovo? Non è possibile! »

« Che cos’è la Purpurea Spinosa? » domandò Robin, che cercava di sbirciare da sotto il braccio teso di Oliver, ma era impedito dal mantello.

« E’ un fiore » rispose Oliver.

« Ah… E perché ne avete paura? »

« La Purpurea è una pianta carnivora » spiegò Dyna « Si nutre di esseri umani. »

Robin deglutì. « Oh, santa pace… Ma noi abbiamo Oliver! Dai, fratello, uccidila con la tua bella spada affilata! »

Oliver si voltò verso di lui. « Primo: non chiamarmi fratello. Secondo: quel fiorellino se ci vede inizia a cantare ed è impossibile sottrarsi al suo incantesimo. »

Robin sembrava confuso allora Dyna chiarì: « Ti fa avvicinare a lei e ti risvegli solo quando stai per entrare nella sua bocca. »

« Uff… e pensare che i fiori mi erano sempre piaciuti » disse Robin, nascondendosi involontariamente dietro a Oliver.

« Non possiamo passare di là, è troppo pericoloso » affermò il cavaliere. « Ma forse possiamo prendere un’altra strada. » Si avviò per la via opposta a quella della Purpurea, seguito a ruota dagli altri. Dyna si accorse che era una stradina circolare e che sotto di loro c’era il laghetto. « Ecco , dovrebbe essere da queste parti » disse Oliver, e azionò una piccola leva. Ci fu un rumore che fece sobbalzare Robin e subito dopo arrivò un’asse di legno che metteva in collegamento la strada dove si trovavano loro al resto della fortezza dall’altra parte. La trave era fissata a un’asta che finiva su uno scoglio in mezzo al laghetto, ma era piuttosto sottile e dall’aria tutt’altro che rassicurante.

« Mi spieghi perché hanno costruito questa… cosa… Invece che una vera strada!? » chiese Robin, allibito.

« Beh, la vera strada è quella, dov’è la Purpurea. Questo è un percorso di allenamento, i soldati lo usano per esercitarsi » rispose Oliver.

Robin sbuffò. « E poi non mi venite a chiedere perché sono un  ladro… Ma si può essere così idioti? Va bene… Vai tu per primo Oliver. »

« Ah, sì? E perché? »

« Per controllare se è sicura. O vuoi mettere in pericolo la vita di due bambini come noi? » disse Robin con un ghigno. Il Guerriero decise di non dar retta all’istinto di far andare il ladruncolo, così si cimentò nell’impresa.

« Va bene, vado prima io. » Con passo insicuro cominciò la traversata, ma le vertigini presto si fecero sentire. Barcollò pericolosamente, mentre gocce di sudore gli imperlavano la fronte. « Nonguardaregiùnonguardaregiùnonguarda… »

« Oh no, Oliver! » gemette Dyna.

« Vai, Oliver! Puoi farcela, sei grande, vai, ancora qualche passo! » gridava Robin a pieni polmoni. Dyna gli mise le mani sulla bocca per impedirgli di parlare ancora.

« Oliver soffre di vertigini, se fai così lo distrai e lo farai cadere! »

« Soffre di vertigini? » ripeté Robin « Santa pace, Oliver! Avevi parlato di una strada più sicura! Va bene, lo dobbiamo incoraggiare! » Prese fiato e ricominciò a urlare: « Oliver! Facci vedere il tuo coraggio, forza! Non fare il rammollito, avanti! Ci riuscirebbe anche un bambino, Oliv… »

« Piccolo bastardo, quando ti metto le mani addosso ti faccio pentire di essere nato » ringhiò Oliver, mentre terminava il percorso carponi, stremato. Aveva rischiato di cadere un’infinità di volte e aveva dovuto continuare ad occhi chiusi per non guardare di sotto. « Forza, venite… Sbrigatevi… » disse con la voce roca.

« Vai prima tu » disse Dyna.

« Oh, non mi sognerei mai di andare prima di una fanciulla bella come te » esclamò Robin con un inchino.

« Sì, ma vedi, la Purpurea comincia a svegliarsi e non vorrei che… »

Robin diede uno sguardo alla pianta che si muoveva lentamente. Ad un certo punto schioccò i denti e questo bastò al giovane ladro.

« Sì… Dopotutto credo che andrò prima io… »

Dopo l’iniziale incertezza, Robin si sentì a proprio agio sull’asse. Era molto agile, ma finì con esagerare e Oliver rischiò di nuovo l’infarto. « Guarda qua, Oliver! Con una gamba sola! »

« Nooo… idiota! Finiscila di fare il pagliaccio, muoviti, per carità! » lo supplicava Oliver.

« Oh, non preoccuparti, sono subito da te! Per chiudere in bellezza eseguirò un salto perfetto, esattamente così! » Fece per saltare, ma incespicò con i piedi, cadendo dalla trave. Per fortuna era vicinissimo a Oliver, che poté afferrarlo appena in tempo. Una volta in salvo, lo colpì dietro la nuca con violenza. « Ahia! » piagnucolò Robin, con le lacrime agli occhi.

« Incosciente che non sei altro, ti potevi rompere l’osso del collo, lo sai? » lo rimproverò il Guerriero. Robin singhiozzò di nuovo, borbottando tra sé che per poco non glielo aveva rotto lui l’osso del collo con quello scapaccione.

« Dyna, tocca a te. Mi raccomando, fai attenzione! » disse Oliver, ma si accorse che Dyna non c’era più sull’altro lato della Fortezza. « Dyna! Dyna, dove sei finita? Oh, no! È stata presa da quella pianta schifosa! Oh, Dyna, perché non ti ho fatto passare per prima? Che io sia maledetto! Dyna! Perché... »

« Scusa, Oliver… »

« Che vuoi? »

« Era davvero una scena commovente, ma guarda che Dyna è qui » disse Robin. Poco più lontano la ragazza lo guardava perplessa. Oliver si alzò di scatto per raggiungerla.

« Dyna! Non farlo mai più! Sono stato chiaro!? » urlò, tutto rosso in faccia.

« Ma fare che cosa? Sono passata mentre stavate discutendo, ci ho messo un attimo così non mi hai vista, tutto qui » disse lei.

« Mi sono spaventato a morte! » poi si girò verso Robin, che si era appena rialzato e gridò: « E’ tutta colpa tua, maledetto impiccione! »

Robin si grattò il mento, un po’ dubbioso, ma pensò che fosse meglio non contraddirlo, perciò rimase zitto.

Proseguirono senza particolari ostacoli per parecchi piani. Ormai erano ad un livello molto alto rispetto al mare, e Oliver cercava disperatamente di non pensarci. All’improvviso però, ci fu un rombo e la terra cominciò a tremare. Robin urlò: « Aiuto! Il terremoto! » E si acquattò sul pavimento di pietra con le mani sulla testa. Dyna e Oliver riuscirono a stento a tenersi in piedi.

Finalmente la scossa cessò. « Ho paura che qualcosa lassù ci abbia notato » disse Oliver con gli occhi al cielo.

« Ah, mi credi adesso, eh?! » esclamò Robin, rialzandosi con cautela.

Oliver lo ignorò e si mise a ispezionare la parete di pietra nella speranza di trovare una porta, ma tutti i varchi erano stati chiusi: l’unico modo per salire sopra era scalare il muro. Erano presenti numerosi appigli, non doveva essere complicato. Tuttavia si rivolse ai due ragazzi: « Bisogna cercare una corda robusta, qualcosa che ci permetta di salire in cima. Qui intorno dovremmo trovarne, se ci dividiamo. Voi dirigetevi da quella parte, io cercherò da quest’altra. Ci vediamo fra poco. »

Dyna annuì e fece come le era stato detto. Insieme a Robin si allontanò dalla torre. Oliver finse di proseguire dietro l’angolo, ma rimase nascosto finché non furono abbastanza lontani, dopodiché cominciò a scalare la ripida parete di pietra. Riuscì a raggiungere la sommità in un tempo relativamente breve, ma una volta in cima, non c’era niente ad attenderlo. Davanti ai suoi occhi avrebbe dovuto innalzarsi la grande torre vedetta, invece non c’era, come aveva già notato da quando era arrivato all’isola, ma non c’era nemmeno l’ombra di un nemico, umano o di pietra. Ciononostante sentiva qualcosa di strano nell’aria, strano e minaccioso… All’improvviso la terra si mosse di nuovo, ma stavolta la scossa fu molto più incisiva. Oliver cadde sul pavimento, ma questo si sgretolò sotto di lui. Le pietre si alzarono nell’aria, volteggiarono in cielo sopra i suoi occhi spaventati e infine si disposero insieme. Attaccandosi formarono un muro di dimensioni gigantesche, che piombò su quel che era rimasto del pavimento sbattendo i grandi piedi. Sì, come Oliver osservò erano proprio dei piedi di pietra che reggevano il colosso. Inoltre possedeva degli occhi enormi, con piccole pupille celesti cerchiate di rosso, e una bocca larga con denti gialli che ringhiava minacciosamente. All’improvviso il gigantesco muro si mosse e poi si mise a correre a una velocità pazzesca, facendo tremare tutto. Oliver si rialzò e si gettò su un lato appena in tempo per evitarlo. Il mostro frenò la sua corsa,  lo guardò e si preparò a ridurlo in mille pezzi.

 

Intanto Dyna e Robin non avevano trovato nulla che potesse servire in nessun modo a scalare la parete di pietra, così cercavano di tornare da Oliver, interrotti dai terremoti continui. Ad un certo punto, mentre erano entrambi a terra con le mani sulla testa, a Dyna parve di udire una voce nel rombo della scossa, un grido provenire da lontano. « Oliver? »

Si alzò, con il dubbio crescente che la divorava. « Dov’è Oliver? » disse, affrettando il passo. Robin la seguì preoccupato.

« Dyna, ma che ti prende? »

« Oliver è lassù! » esclamò la ragazza « Ci ha allontanati con una scusa per salire da solo! Perché non l’ho capito subito!? »

Robin alzò lo sguardo verso l’alto, e anche a lui sembrò di sentire una voce. « Che cosa fai? » chiese, vedendo la ragazza che tentava di arrampicarsi.

« Devo salire! Se ce l’ha fatta Oliver, ce la posso fare anch’io! »

Cominciò la scalata, ma per quanto fosse agile, scivolava giù tutte le volte, provocandosi numerosi graffi sulle braccia. Dopo essere caduta per la terza volta, batté il pugno contro la roccia, disperata.

« Dyna, non fare così » tentò di consolarla Robin « Non devi arrabbiarti con te stessa perché non riesci a salire quassù. Oliver è un Guerriero, è stato addestrato a questo genere di cose, quindi è naturale che lui ci sia riuscito. »

Ma Dyna non gli prestava ascolto. Lo guardò con gli occhi spalancati, facendolo quasi intimorire. « Il guscio! Certo, come ho fatto a non pensarci! »

Si sfilò lo zaino dalle spalle e estrasse il guscio verde di tartaruga. Robin lo guardò con un certo interesse. « Caspita, che roba è? »

« Non lo toccare » disse Dyna « E’ molto prezioso. »

« E’ prezioso, dici? »

La ragazza salì sul mezzo e si diresse dritta verso il muro di pietra. « Dyna, ma sei impazzita?! »

Sfidando tutte le leggi di gravità, il guscio seguì la parete verticale e Dyna non staccò i piedi, ma non durò molto. Siccome la roccia non era né liscia né priva di appigli, il guscio interruppe la sua corsa e Dyna ruzzolò sul pavimento. Robin corse a soccorrerla. « Tu devi essere tutta suonata, ragazza, ma guarda che giochi pericolosi che fai… »

« Come faccio allora, maledizione? » imprecò Dyna.

« Non devi fare niente. Oliver è salito da solo perché non vuole farci… Ehm... farti correre rischi, perciò rimarremo qui. »

« Ma io devo aiutarlo, non capisci? » esclamò la ragazza, al culmine dello sconforto. « Se solo ci fosse un modo per arrivare lassù… »

In quel momento si udì un fischio in lontananza. I due ragazzi si guardarono perplessi, poi si diressero sull’orlo del precipizio da dove proveniva il suono. Erano davvero in alto, potevano scorgere le onde del mare che si infrangevano sugli scogli, ma non riuscivano a percepirne il fragore. Il fischio aumentava, eppure non c’era molto vento. « Che cosa… » Ma Robin non finì la frase, perché una folata gigantesca venuta dal basso li travolse come pezzi di carta, sollevandoli in aria. Il grido di paura si perse nel vento, mentre i due ragazzi volavano fin sopra il tetto. Atterrarono bruscamente sul terreno polveroso, sotto gli occhi attoniti di Oliver, che aveva l’affanno per quanto aveva corso e solo per poco non si scontrarono.

« Che diavolo ci fate qui voi? » chiese con voce stridula.

Dyna si alzò sulle ginocchia, poi si rese conto di quanto successo. « Ma allora ce l’abbiamo fatta! Grande! »

Anche Robin si era alzato. « Sì, per essere grande è grande. »

« Robin! Ma non dicevi di non voler venire? » disse Dyna.

« Infatti mi riferivo a quello. » Indicò con l’indice tremante un punto alle spalle di Dyna, che si voltò prima di emettere un grido penetrante. Il mostro ringhiò ancora più forte dopo aver visto altre due persone da uccidere e in un attimo prese a correre verso di loro, prima piano, con tonfi pesanti, poi sempre più veloce, sempre più veloce…

« Muovetevi! » urlò Oliver. Strillando come pazzi, i tre riuscirono a spostarsi dalla traiettoria del muro di pietra, che frenò bruscamente e si preparò a schiacciarli di nuovo.

« No... No... » si lamentava Robin « Perché mi trovo qui… Perché mi trovo qui… »

« Perché ti abbiamo salvato la pelle » disse Oliver cercando disperatamente di farsi venire un’idea.

« Ah, gran bel modo di salvare una persona! Mi hai messo in pericolo di vita non so quante volte da quando mi hai salvato! Aiuto, vi prego… Non voglio morire così giovane… Prometto che farò il bravo, non dirò più parolacce, se esco da questa storia non darò più fastidio a nessuno… »

« Perché non cominci da ora? » sbraitò Oliver, afferrandolo e portandolo via in fretta. Robin guardò il mostro di pietra con gli occhi sgranati e il volto sempre più pallido. Era veramente spaventoso, enorme, non avevano alcuna speranza contro di lui, loro che erano così piccoli. Poi Oliver si mise alle sue spalle, non si stava scervellando su come uccidere il mostro, stava solo cercando un modo per scendere tutti e tre senza essere visti, ma ora che c’erano anche i due ragazzi, non sapeva proprio che pesci prendere. All’improvviso, nonostante il terrore che si era impadronito di lui, Robin notò qualcosa.

« Ehi, guardate la-la schiena. »

Il gigantesco muro stava per girarsi, ma poterono lo stesso vedere le crepe che aveva sul dorso. C’era un piccolo buco, circondato da fenditure. « Potremmo attaccarlo lì… Forse è vulnerabile » pensò Oliver ad alta voce.

« Ma è troppo alto, come ci arriviamo? » domandò Dyna, mentre il mostro li fissava minaccioso. Si stava infuriando ancora di più perché non riusciva a colpirli.

Oliver rifletté rapidamente, senza rendersi conto di tenere ancora Robin per il braccio. « Va bene… State a sentire il mio piano. »

Il mostro si caricò per bene e cominciò a correre, sbattendo i pesanti piedi di pietra, sollevando la polvere al proprio passaggio, digrignando i denti e sbarrando gli spaventosi occhi. « Che cosa?! Ma tu sei completamente pazzo, vuoi farci morire tutti! » strepitò Robin, una volta ascoltato il piano di Oliver.

« E’ l’unico modo che abbiamo, non c’è altra scelta. Dyna, sei pronta? »

Dyna annuì coraggiosamente anche se era diventata bianca come un cencio. « Bene, perfetto » borbottò Robin, con gli occhi al cielo « Spero solo che all’altro mondo si mangi bene… »

Il mostro era sempre più vicino, ma i ragazzi non si mossero da dove erano. « Mi raccomando, Robin, fai quello che facciamo noi » disse Oliver, mantenendo la voce ferma.

Robin alzò le spalle, irritato. « Vuoi dire farsi ammazzare? Non sarà difficile. »

Il mostro era ormai su di loro, incredibilmente sembrava essere diventato ancora più grande, il rombo della sua corsa era assordante. Fece per lanciarsi su di loro con tutta la sua tremenda mole, ma vincendo il panico, Oliver gridò: « Adesso! » Prese le mani dei due amici e passò sotto le gambe del mostro, veloce come un razzo. Nello stesso istante, per vedere i suoi nemici, il muro gigantesco incespicò e cadde a faccia in giù. Il tonfo fu talmente potente che la terra tremò per diversi minuti. Si alzò un polverone immenso che investì i tre ragazzi in pieno e temettero di soffocare. Finalmente, quando tutto si fu calmato poterono rialzarsi, ancora tutti interi. « Stai bene? » chiese Oliver a Dyna, mentre la aiutava a rimettersi in piedi.

« Oh, non ti preoccupare per me, me la cavo benissimo da solo » disse Robin, ironico, mentre stremato più dalla paura che dalla fatica, si rialzava, malfermo sulle gambe.

Senza perdere minuti preziosi, Oliver si diresse verso il mostro. Avrebbe potuto rialzarsi da un momento all’altro, bisognava fare in fretta. Si arrampicò sul corpo del mostro steso a terra e camminò sulla pietra fino al punto dove c’erano le crepe. Un muggito lo avvertì che stava per risvegliarsi. Estrasse la spada e si mise in posizione, con le braccia tese sopra la testa. Un attimo dopo sferrò il colpo, con tutta la forza che aveva, o meglio tutta quella che gli era rimasta, e ci fu un clangore rintronante. Oliver tremò per l’urto, poi guardò la spada e con orrore si accorse che si era spezzata di netto. « Ah… La mia… spa… » gemette, fissando la lama troncata. Il pezzo staccato giaceva sul dorso del mostro.

« Oliver, ha funzionato? » chiese Dyna.

Il ragazzo non rispose, ma all’improvviso la terra tremò per l’ennesima volta. Il mostro si stava rialzando. Oliver barcollò, poi scivolò fino a raggiungere gli altri. « Ma che è successo?! » strillò Dyna, vedendo la spada rotta.

« Non ha funzionato… »

Il mostro era di nuovo in piedi, proprio accanto a loro, non ce l’avrebbero mai fatta a fuggire. « Dyna » disse Oliver, ma non sapeva assolutamente cosa fare. Il muro gigantesco ringhiò forte e stava per gettarsi su di loro, quando si fermò tutto d’un tratto.

« Che succede? » disse Dyna « Ma dov’è finito Robin? »

Il mostro si voltò dall’altra parte e fu allora che lo videro: il ladro tendeva la sua fionda e contemporaneamente i proiettili in un sacchetto tutto rattoppato. Li salutò con la mano, trionfante, ma subito dopo urlò e scappò via, per sfuggire alla spaventosa creatura. Di nuovo passò sotto di lui, e prima che il mostro si girasse ancora, tese di nuovo la fionda e lo colpì esattamente nel buco pieno di crepe. « Sì! »

Il muro gigantesco oscillò, ma non cadde. « Robin, insisti! » Robin non se lo fece ripetere due volte. Velocemente prese altri due proiettili e li lanciò insieme con abile maestria. Di nuovo un centro perfetto. Stavolta il mostro cadde al tappeto, sollevando di nuovo la polvere, ma gli altri erano già preparati. Robin salì sul dorso del mostro come aveva fatto prima Oliver e raggiunse la zona fracassata.

« Vediamo se resisti anche a questo! » Estrasse un proiettile diverso. Era ugualmente piccolo e di forma sferica, ma a differenza degli altri era completamente rosso. « Allontanatevi! »

Oliver non aveva idea di cosa stesse per fare, ma trascinò Dyna a distanza di sicurezza. Robin tese la corda della fionda allo spasimo, concentratissimo, e poi la lasciò andare.

Uno scoppio, seguito immediatamente da un’esplosione di fumo nero, che coprì tutto in pochi istanti. « Dobbiamo fare qualcosa! » esclamò Dyna, ma Oliver la trattenne. Non si vedeva assolutamente niente e si rischiava di soffocare là in mezzo.

Come il fumo si  fu un po’ diradato i due ragazzi corsero a vedere cosa era successo. Piccoli fuochi scoppiettavano ovunque e pietre piccole come ciottoli erano sparse dappertutto. Il corpo del mostro presentava molte parti mancanti e giaceva in terra, fumante. Poco più lontano, Robin era steso a faccia in giù e non si muoveva. « Oh no! » esalò Dyna. Oliver si inginocchiò accanto a lui e lo girò. Aveva il viso tutto nero e gli occhi chiusi.

« Robin… Robin! Su, su, ragazzino, sveglia… Forza… » lo incitava Oliver febbrilmente. Dyna osservava la scena ansiosa, mentre il Guerriero gli scrollava leggermente la testa. « Dai, Robin, non mi puoi fare questo, coraggio… Oh, ti prego… Se ti svegli… Se ti svegli ti prometto che non andrai mai più in prigione, te lo giuro! Farò di tutto per salvarti, ma tu devi svegliarti, Robin, per favore… »

« Prometti che mi difenderai da eventuali condanne future? »

« Sì, sì, te lo prometto, ma ti prego, sveglia… Cosa? »

Robin aprì un occhio e fece un ghigno furbo. Poi si alzò in piedi, anche se faticosamente. Si dovette tenere la spalla con una smorfia di dolore.

« Tu… tu stai bene!? » esclamò Oliver.

« Sì, sto bene… Ma non volevo perdermi la scena drammatica di poco fa. È stato troppo divertente! »

« Razza di… » Oliver si lanciò su Robin, che a sua volta si nascose dietro a Dyna.

« Ehi! Ehi! Avevi promesso che mi avresti difeso! Non mi puoi picchiare adesso! » strepitò.

« Aspetta che ti abbia fra le mani, piccola canaglia e ti faccio pentire di… » Ma Robin non seppe mai di cosa doveva pentirsi perché il corpo del mostro proprio in quell’istante si rialzò. I tre ragazzi impallidirono.

 

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Capitolo 7
*** La Fortezza Inespugnabile - La gabbia nel cielo ***


« Ehi… Io ho finito i proiettili esplosivi… » li avvertì Robin senza staccare gli occhi da quello spettacolo terrificante. Proprio quando sembrava ormai finita, ecco che il muro gigante si sollevò in aria e come per magia, si scompose in tante pietre distinte. Dyna guardava la scena con il collo all’insù, i massi vorticarono per qualche secondo nel cielo, poi si ricongiunsero e si misero una attaccata all’altra, in un ordine preciso. Alla fine ritornarono a terra, esattamente al centro dello spiazzo: la torre era tornata al suo posto. « Santa pace » mormorò Robin senza fiato.

« Ma allora era davvero la torre vedetta! » esclamò il cavaliere.

Robin annuì, ancora estasiato, ma poi ritornò in sé. « Ah! Adesso credi al mio stupido racconto? Eh? Eh? Eh? » Oliver non gli diede retta per evitare di dargli ragione, ed esaminò la porta.

« Bene, è aperta, adesso possiamo scendere! »

« Sì! Ottima idea! Non vedo l’ora di andarmene da questo posto! » concordò il ladro.

« Dyna, tu non vieni? » chiese Oliver. Dyna stava immobile, di spalle, a fissare un punto nel cielo. Oliver gli si avvicinò. « Dyna, ti senti bene? »

La ragazza indicò il punto. « Guarda laggiù, Oliver. »

Il Guerriero fece come aveva detto, ma non vide altro che il cielo azzurro e sconfinato, senza l’ombra di una nuvola. « Non c’è niente laggiù. »

Ma Dyna non lo ascoltò. Aprì la porta e invece di scendere cominciò a salire la scala a chiocciola. « No, non da quella parte! Dobbiamo andarcene da questo posto infernale! » urlò Robin, e la seguì insieme a Oliver. Una volta in cima, per poco il cavaliere non svenne. Non si era mai trovato più in alto, anche il Piccolo Fiore probabilmente era meno elevato. Robin lo prese appena in tempo, con una certa difficoltà, ma gli impedì di cadere. « Dyna, andiamo via, ho l’impressione che il ragazzone qui non si senta molto a suo agio qua sopra! »

« Guarda, Robin! » disse Dyna per tutta risposta. « Guarda laggiù! »

Robin si avvicinò, anche se con una certa riluttanza, al basso parapetto di mattoni. Non soffriva di vertigini, ma a quell’altezza si sarebbe spaventato chiunque. All’inizio non vide niente, poi sgranò gli occhi, strabiliato. « Oh, santa pace! Ma quella… E’ una gabbia sospesa nel cielo! »

« Devo andarci » affermò Dyna.

« Sicuro, io ti aspetto qui… Cosa? Cosacosacosa?! Ma sei impazzita all’improvviso!? » gridò Robin. Oliver, che fino a quel momento era rimasto seduto per terra appoggiato al muretto, lottando contro i conati di vomito, si voltò verso di loro.

« Dyna, che diamine ti prende… Su, andiamo via… »

Ma Dyna non fece caso a ciò che dissero i suoi amici e dopo essersi guardata intorno, notò una lunga trave di legno addossata al muro vicino alla porta. La prese facendo molta attenzione, perché era talmente alta che avrebbe facilmente potuto sbilanciarsi. Robin nel frattempo aveva continuato a sbraitare senza sosta sul fatto di andarsene al  più presto. « Che poi, dico io, ma i guai non vi bastano mai a voi due? Già ci siamo salvati per miracolo, ci mettiamo anche a cimentarci nelle imprese impossibili. Senza contare che… Ehi, ma dove hai preso quell’asse? Non c’era prima! »

Dyna arrivò al parapetto e fece scivolare la trave nel tentativo di farla arrivare alla gabbia in cielo. « Dyna, non ce la farai, è troppo corta, non ci arriva fin laggiù » disse Robin, nel tono in cui si parla a un malato di mente. La ragazza non gli diede peso e continuò nella sua opera con la massima attenzione.

Oliver intanto era diventato verde e ansimò: « Fermala… Io non riesco a alzarmi… »

Robin gli si avvicinò e bisbigliò con fare da sapientone: « Non ti preoccupare, tanto la trave è troppo corta, non ce la farà mai. »

« Ce l’ho fatta. Io vado » li avvertì Dyna. Oliver spalancò gli occhi, diventando ancora più verde e tentò di alzarsi aggrappandosi al davanzale, ma così facendo guardò giù e vomitò sul pavimento. Robin fece un verso di disgusto, poi si catapultò sulla ragazza per impedirle di andare.

« Ma dico, sei davvero impazzita? Vuoi camminare su quest’asse traballante a quest’altezza per raggiungere una gabbia vuota? Ma a che scopo? »

« Non è vuota! » Dyna si liberò della presa e si arrampicò sul parapetto. Poi cominciò la sua traversata.

« Dyna… Per l’amor del cielo, torna indietro! » ansimò Oliver, avvicinandosi carponi. Afferrò Robin e lo trascinò a terra. « Perché non l’hai fermata, stupido! Se le succede qualcosa darò la colpa a te, hai capito! »

Dyna camminava lentamente, ritta sulla trave, con il batticuore. All’improvviso una folata di vento più forte per poco non la fece cadere di sotto. Per un attimo perse l’ equilibrio, ma si rialzò subito. Qualcosa la attirava in una maniera incredibile, doveva raggiungere immediatamente la gabbia. « Do-dov’è? » chiese Oliver, che non ce la faceva a guardare.

« E’ quasi arrivata » rispose Robin, anche lui molto teso. Dyna infatti era quasi giunta al termine del suo percorso, ma proprio quando sembrava fatta, la trave cedette. Si spezzò a metà ed entrambe le parti precipitarono nel vuoto. « Dynaaaaaaaaaaaa! Nooooo! »

« Che sta succedendo? » disse Oliver, girandosi per guardare. « No… Dynaaaaa! »

Dyna era riuscita ad aggrapparsi alla gabbia e adesso penzolava giù, poteva cadere da un momento all’altro. Oliver si arrampicò  sul davanzale, ignorando le vertigini. « Devo fare qualcosa! » Ma Robin lo trattenne.

« Certo, come volare fin lì e riportarla in salvo, vero? Non sapevo fossi un uccello, Oliver, quando lo sei diventato?! »

« Non posso lasciarla lì! »

« Non puoi fare niente! »

Dyna si sforzava di non guardare in basso, strizzò gli occhi. Era tutta sudata, la fine era vicina, per quanto ancora avrebbe potuto resistere? Vi prego… Mamma… Papà… Aiutatemi…!

E all’improvviso la vide: tra le sbarre della gabbia, una piccola statuetta di pietra. Era lei  che l’aveva chiamata, aveva bisogno del suo aiuto, non poteva morire adesso!

« Guarda, Oliver! » esclamò Robin, tirando l’amico per il mantello. Il Guerriero scese la gamba dal parapetto e cominciò a gridare: « Vai, Dyna, ce la puoi fare! Io sono lì con te!! »

« Sì! Anch’io! » Ma Oliver lo guardò storto, perciò Robin si corresse: « Lui è lì con te! »

Con una forza che non sapeva neanche di avere, Dyna si tirò su e, pian piano, riuscì a salire sulla gabbia. Non c’era un tetto, così vi entrò dentro. Era molto piccola, tanto che ci stava a stento, seduta, con le gambe piegate ai due lati della statuetta. Prese un profondo respiro e poi la toccò leggermente. Non successe niente. Allora la prese in mano e una strana sensazione la attraversò. Esattamente come quando aveva incontrato la Libellula Custode. Se avesse potuto guardarsi in uno specchio, avrebbe potuto vedere che sulla guancia le brillava una specie di macchia dorata, come l’impronta di un bacio: il bacio che le aveva dato Misty. Spinta da uno strano impulso, anche lei si portò la statua vicino alle labbra e la sfiorò dolcemente. Nello stesso istante si sprigionò una luce immensa, un rosa lieve ma intenso e accecante. Anche Oliver e Robin lo videro dalla torre. Quando la luce si affievolì, Dyna si ritrovò tra le mani la piccola fatina. « Misty…? »

« No, io sono Clover. Anch’io sono una Libellula Custode. » Dyna la osservò estasiata, la differenza con l’altra libellula era solo il colore della pelle e degli occhi, poi erano del tutto identiche, anche nella voce soave e melodiosa. « Tu ci stai salvando? »

Dyna annuì con la testa, incapace di proferire parola, allora la fatina continuò: « Sei molto buona. Posso fare qualcosa per te? » La ragazza la fissò imbambolata, poi parve risvegliarsi e balbettò: « Io… Non so come tornare dai miei amici. »

La Libellula non perse tempo, si librò in aria e le toccò un dito con le sue mani minuscole. Ma quel lieve contatto servì per sollevare anche Dyna, che prese il volo insieme alla Libellula, lasciandosi dietro una scia di scintillante polvere rosa. Oliver e Robin osservavano la scena a bocca aperta e non dissero una sola parola neanche quando Dyna atterrò sana e salva sul pavimento di pietra accanto a loro. « Tu sei l’eroina che ci sta liberando, vero? »

Dyna non seppe cosa dire, ma a quanto pareva, la fatina conosceva già la risposta. « Allora ti prego, dirigiti al Mare Occidentale. Lì troverai una delle nostre sorelle, ti prego, salvala! »

La ragazza era abbastanza confusa, ma dentro di sé sapeva che era la cosa giusta da fare. « Sì. Lo farò. Te lo prometto. »

« Grazie, Amica mia. E addio. » Detto questo la Libellula si allontanò nel cielo, diretta verso chissà quale meta. I ragazzi rimasero a fissarla per un po’, poi Oliver vomitò di nuovo e finalmente scesero per la scala a chiocciola, allontanandosi da quel posto orribile e sperando di non tornarci mai più.

« Qui sì che mi sento meglio! » esclamò Oliver, stiracchiandosi per bene. « E’ ora di tornare a casa, ragazzi, forza! Voglio dormire per un mese! »

« Oliver, no! » disse Dyna, allarmata « Hai dimenticato? Dobbiamo andare nel Mare Occidentale! »

Il Guerriero assunse un’espressione dubbiosa. « Dobbiamo? Noi? Se non sbaglio è la seconda volta che fai promesse che non puoi mantenere, Dyna, dovresti pensarci meglio prima di affermare certe cose. »

« Che vuoi dire? »

« Che io non c’entro » spiegò Oliver « Non ho nessuna intenzione di andare nel Mare Occidentale, né tanto meno adesso. Devo tornare subito al castello, io sono un cavaliere, ho degli obblighi. Senza contare che il re attende mie notizie, non posso farlo aspettare. »

Dyna era completamente sconcertata. « Stai insinuando che mi lascerai andare da sola?! »

« No, sto dicendo che non ci andrà nessuno nel Mare Occidentale, sono stato chiaro? Perché non abbiamo tempo e perché è un posto pericoloso! » la corresse Oliver, sempre mantenendo una certa calma. Dyna invece si stava arrabbiando moltissimo.

« Sei solo un idiota! E un grandissimo egoista! »

« Ah, bene, io sarei un egoista!? »

Nel frattempo, Robin stava valutando in pace qual era la cosa migliore da fare, non prestando attenzione ai due amici che discutevano animatamente. Per lui andare al castello non era certo una buona idea: lo conoscevano tutti e ci avrebbe messo poco a tornare in prigione. Invece aveva sentito parlare molto del Mare Occidentale, anche se non ci era mai stato. Suo padre gli aveva raccontato che esisteva un magnifico tesoro lasciato dai pirati, ma nessuno era mai riuscito a impossessarsene, pareva che morissero prima di vederlo. Ma Robin era un ladro e quando si parlava di tesori non ragionava in modo lucido. Con un sorriso soddisfatto si avvicinò ai due ragazzi che erano vicini a menarsi, così si mise in mezzo a loro. « Calma, ragazzi miei, calma! Non c’è alcun motivo di agitarsi tanto! Abbiamo la fortuna di essere in tre, perciò procederemo alla votazione. »

« Che votazione?! » chiese Oliver in modo non molto gentile.

Robin gli fece un ghigno e rispose: « Semplice, chi di noi vuole andare al Mare Occidentale alzi la mano. »

Dyna e Robin sollevarono il braccio, guardando Oliver. « La maggioranza vince! » esclamò Dyna.

Il Guerriero boccheggiò per qualche secondo, poi riprese in mano la situazione. « La maggioranza vince un corno! Qui sono io che prendo le decisioni, chiaro?! E io dico che si torna al castello, all’istante! Avete capito!? »

« Un bravo capo dovrebbe essere democratico » sentenziò Robin a mezza voce. Dyna teneva il broncio, ma pareva rassegnata all’idea di seguire Oliver, mentre il ladro non ne voleva sapere. Il cavaliere intanto si stava dirigendo alla barca. « Ehi, Oliver… Oliver! » disse Robin seguendolo. « Secondo te il re sarà contento quando tornerai? »

« Che vuoi dire? » domandò Oliver, senza fermarsi.

« Niente, solo che Dyna prima mi ha raccontato che la principessa è stata rapita. E scommetto che il re non sarà poi così entusiasta visto che non l’hai ritrovata, nonostante tutto il lavoro che hai fatto qui, no? »

Conoscendo il re, anche Oliver era della stessa opinione. Finché non gli avrebbe riportato sua figlia non sarebbe mai stato contento. « Dove vuoi arrivare, Robin? »

« Beh, da nessuna parte, vorrei solo farti notare che la proposta della fanciulla non è così sballata » disse Robin con fare persuasivo. « Io so che nel Mare Occidentale c’è un fantastico tesoro. Pensa se lo riportassi al re… »

« Non cambierebbe niente. E poi io so solo che in quel mare c’è una creatura mostruosa che si ciba di carne umana, perciò non mi sembra il caso di andarci » concluse Oliver, ma questo sembrò dare a Robin l’idea risolutiva.

« E che ti dice che non sia stata lei a rapire la principessa? »

Oliver si fermò con una gamba a mezz’aria. Robin poco più dietro si grattava la testa con fare indifferente, guardandosi le scarpe. « Tu… tu credi veramente che… » balbettò Oliver.

« E’ solo una supposizione. Non conosco poi tutti i mostri che esistono al mondo, ma da queste parti ce ne sono pochi, perciò… Vedi tu » detto questo Robin si incamminò per la costa, poi aggiunse: « E comunque non credo che farà grande differenza se torniamo ora o fra qualche giorno: il re si arrabbierà lo stesso, quindi… »

Il Guerriero non rispose. Forse Robin poteva avere ragione, forse il mostro del Mare Occidentale aveva davvero a che fare con il rapimento di Semi. Si immaginò ritornare dal re con la principessa tra le braccia e un fantastico tesoro. Il re lo ringraziava e lo nominava Capo dei Guerrieri di Shidal e la principessa… lo guardava con quei suoi splendidi occhi azzurri… Gli sorrideva… Quel suo sorriso dolce e luminoso... E poi, finalmente…

« Oliveeeeer! »

Oliver sobbalzò e si rese conto che stava quasi per baciare il tronco di un albero. « Che… Che succede? » Si mise a correre in direzione dell’urlo, ma a metà strada si scontrò con Robin, che sembrava terrorizzato. « Che è successo, Robin, parla! »

Ma il ragazzo era sconvolto e parlava a gesti. Anche Dyna accorse. « Oh, credo di aver capito » disse dopo qualche minuto, tranquillamente. Fece cenno ai due ragazzi di seguirla lungo il litorale. Oliver dovette trascinare il povero Robin, che non ne voleva sapere di tornare lì, infatti quando arrivarono, si mise di nuovo a gridare come un pazzo, cercando di scappare, ma Oliver lo tratteneva senza difficoltà. « Ah. Non devi preoccuparti, Robert. E’ solo Gunner. »

Questo non servì a tranquillizzarlo più di tanto e solo dopo che Dyna gli ebbe mostrato che era innocuo, colpendo il re con un remo sulla testa, allora parve calmarsi. « Me la paghevete un giovno, stupidi umani!! »

Robin, per sfogarsi, cominciò a colpirlo ripetutamente, mentre Oliver si avvicinò a Dyna. « Mi dispiace per quello che è successo prima. Insomma, non volevo fare il rompiscatole, è solo che… »

« Oliver, io devo salvare le Libellule. Non lo so perché, ma lo devo fare, lo sento. Ma capisco che tu non puoi accompagnarmi, tu devi pensare alla principessa. Perciò andrò da sola. Se Robin vuole accompagnarmi andremo… »

« Che cosa? » la interruppe Oliver « Pensi che io ti lasci andare da sola con quel birbante? No, non se ne parla nemmeno, verrò io con te. »

« Qualcuno mi ha chiamato? » chiese Robin distraendosi un attimo dalla sua attività.

Dyna però non lo sentì, era troppo felice. « Dici sul serio? »

« Certo che dico sul serio, figurati se vi lascio da soli! » disse Oliver deciso. « Forza, non perdiamo più tempo. Facciamo scorta di cibo e poi partiamo subito. »

« Allora dove andiamo, capo? » domandò Robin.

« E’ ovvio, no? Rotta per il Mare Occidentale, naturalmente » disse Oliver con un gran sorriso.

 

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Capitolo 8
*** Il mare Occidentale ***


Il mare Occidentale.

 

L’entusiasmo che aveva pervaso i nostri eroi al momento della partenza era durato ben poco. In breve erano sorti dei problemi perché “qualcuno” aveva dimenticato di legare Gunner.

« Ma dico, si può essere più beoti di te? No, io non credo proprio, non ho mai visto un essere tanto cretino e inutile! Ma perché sei qui con noi? Eh? Perché? Ma stavolta non la passi liscia, stavolta vedrai… »

Robin corse rapidamente fuori dalla portata di Oliver e si arrampicò sull’albero maestro con l’agilità di una scimmia. « Scendi, piccolo disgraziato, che ti do una bella lezione! » ringhiò Oliver, livido in volto. Dyna teneva ancora in mano la corda. L’avevano usata per qualche minuto sulla barca alla partenza, mentre Gunner era tenuto sotto la stretta sorveglianza di Robin, ma poi il ladro aveva dimenticato di legarlo di nuovo e aveva riportato la corda sull’imbarcazione, nel caso servisse. « Dai, Oliver, calmati. Tanto Gunner non può fare comunque niente nelle sue condizioni » lo blandì la ragazza.

« Oh, certo che no, ma non è questo il punto! » gridò Oliver esasperato e prese a scalare l’albero maestro. Robin a quel punto si allarmò ancora di più.

« No! Oliver, soffri di vertigini, non puoi venire fin quassù! No, Oliver, no! »

Ma il cavaliere arrabbiato com’era aveva dimenticato anche le sue vertigini, e lo raggiunse in poco tempo. Tutti e due stavano aggrappati al palo e Oliver tentava di afferrarlo per le orecchie, la parte più facile da prendere. Alla fine Robin si arrese e accettò di scendere a terra e subire la sua punizione. E se sperava di impietosire Oliver si sbagliò di grosso, perché come ebbe rimesso piede a terra, gli arrivò un pesante scapaccione fra capo e collo che lo fece cedere a faccia in giù.  Oliver parve soddisfatto, Dyna andò ad accertarsi che fosse ancora vivo.

Il viaggio proseguì con simili episodi che impedivano ai nostri amici di annoiarsi. Dal canto suo, Robin se le andava a cercare. Durante il terzo giorno di navigazione, approfittando del fatto che Oliver fosse al timone, andò a corteggiare Dyna nella stiva. Ma il cavaliere apparve sulla porta più minaccioso che mai e finì che Robin si ritrovò con una guancia bella rossa e tutta gonfia. « Oliver, perché sei sempre così cattivo con me? » piagnucolò il ladro.

« Se tu facessi il bravo bambino, io sarei più gentile con te » rispose Oliver con un finto sorriso.

Robin fece una smorfia. « Bella riconoscenza, dopo che ti ho salvato la vita… »

« Smettila di rinfacciare questa cosa! » sbraitò Oliver rimettendosi al timone « Un eroe non dovrebbe vantarsi delle sue imprese! »

« Ma io non sono un eroe » disse Robin « Tu lo sei. »

Oliver fece una faccia disgustata per il livello di ruffianeria che aveva raggiunto il ladro, ma dopo un po’ disse: « E comunque avresti potuto tirarli fuori prima, quei proiettili esplosivi! »

« Che vuoi farci, l’eroe si fa sempre attendere prima di sferrare l’attacco decisivo, fa più scena! »

« Già, però potevi muoverti prima che la mia spada si spezzasse! » esclamò Oliver « Adesso non abbiamo neanche un’ar... »

Seguì un momento di silenzio, Robin si accorse che Oliver lo guardava con gli occhi sbarrati. « Che… che c’è? »

« Non abbiamo un’arma » ripeté Oliver « Non abbiamo un’arma, mi dici tu come diamine facciamo a difenderci dal mostro del Mare Occidentale?! »

Robin sfiorò la sua fionda emettendo uno strano verso. « Questo sì che è un bel problema… Ma ti inventerai qualcosa, in fondo sei un Guerriero! Un grande Guerriero! »

« Robert, se non la smetti all’istante di adularmi potrei anche decidere di rimandarti in prigione. »

« Non puoi, hai promesso » gli ricordò il ladro.

« Mi vuoi mettere alla prova? »

« Ragazzi, ci siamo! » disse la voce di Dyna dall’alto della vedetta. I due si sporsero sul bordo della nave e mirarono la costa grigia e arida poco lontana da loro. Quello che era conosciuto come Lingua di Terra, altro non era che un lembo inospitale e naturalmente disabitato. Era quasi interamente formato da montagne, alte e brulle, come quelle del deserto, sebbene fosse circondata interamente dal mare. « Evviva, siamo arrivati! » esclamò Dyna una volta scesa dall’albero, saltellando per la barca.

« Ma che avrà da essere tanto felice, questo posto fa letteralmente schifo! » commentò Robin e Oliver annuì mestamente. Attraccarono la nave e scesero subito ad esplorare la zona, ma da esplorare c’era ben poco.

« Va bene, mi dite dove dovrebbe essere questo tesoro dei pirati? Io non vedo un accidente qui intorno, a parte sabbia e pietre »  disse Oliver, guardandosi intorno.

« Ehi, io ho sempre saputo che al mare faceva caldo. Qui invece sembra di essere sui ghiacci! » brontolò Robin, ignorandolo.

« Beh, se è un tesoro dei pirati, allora deve stare sul veliero » suggerì Dyna, anche se non sembrava particolarmente interessata.

Del veliero però neanche l’ombra. Oliver sbuffò, cominciando a rimpiangere di essere venuto in quel posto sperduto. Dyna invece esplorava con la massima attenzione ogni angolo della costa, nella speranza di trovare un segno della Libellula Custode. Robin, come al solito, dava fastidio a tutti. « Mamma mia, che freddo… Dyna, vediamo se il tuo mantello basta per due… »

« Robert! » urlò Oliver.

« Va bene, allora mi dai il tuo, prode cavaliere? » disse Robin, attaccandosi al braccio dell’amico e strofinando la testa contro la sua spalla. Oliver fece il gesto di mollargli un pugno, e lui si ritrasse subito, coprendosi il capo con le mani.

« Maledizione, non vedo l’ombra di niente qui! » strepitò Oliver.

Nonostante la situazione non proprio bella e il malumore del Guerriero, Robin non riusciva assolutamente a restare serio: « Come non vedi niente, mio audace combattente? Ci sono chilometri di sabbia, massi e pietre, un’immensa distesa d’acqua salata davanti a noi! Oh, mio spericolato Guerriero, vieni a salvarmi dal mio destino, sono una povera fanciulla indifesa! » Dicendo queste sciocchezze, Robin svolazzava sotto il naso di Oliver, girandogli intorno di continuo, finché ad un certo punto Oliver prese la pazienza e gli urlò in faccia, facendolo tremare di paura. « Dai, Oliver, rilassati! » esclamò il ladro, riavutasi dallo spavento « Guarda Dyna com’è felice di essere qua, chissà cosa spera di trovare… Ma tu hai capito che cosa sono quelle fatine luminose? Io no, non le ho mai viste prima. Ma saranno brave persone secondo te? »

« Robert, perché non vai a farti un giro lì, dove c’è quella pietra a forma di lapide? Può darsi che se sei fortunato trovi già pronta la fossa per te! » disse Oliver.

Robin mugolò annoiato e si diresse proprio nel punto indicatogli. Era davvero una pietra a forma di lapide, forse ci avevano seppellito qualcuno in quel posto. Si inginocchiò per vedere se ci fosse qualche scritta e il cuore gli balzò in petto quando si accorse che c’era sul serio un’iscrizione. Era incisa nella pietra e sembrava molto antica.

 

Se il tesoro vuoi trovare

Negli abissi ti dovrai tuffare

Ma bada bene: è custodito,

se lo vuoi dovrai essere ardito

e il guardiano dovrai incontrare

prima di poter nel veliero entrare.

 

Robin non credeva ai propri occhi, era esattamente ciò che stavano cercando! Corse da Oliver tutto entusiasta. « Oliver! Oliver! L’ho trovato! L’ho trovato! Ah! Adesso non puoi più dire che sono inutile! »

« Cosa? Cosa hai trovato? » chiese Oliver accigliato.

« Il tesoro! »

« Hai trovato il tesoro? » esclamò Oliver « E dov’è? »

« In fondo al mare! » spiegò Robin con semplicità.

« In fondo al mare? » ripeté Oliver.

« Sì, i pirati hanno lasciato un messaggio che dice che è in fondo al mare! Dai, vieni a vedere! »

Così Oliver andò a verificare di persona. Dopo aver letto la dicitura il suo umore cambiò radicalmente. « Ma certo, è così ovvio! Il veliero dei pirati deve essersi per forza inabissato, è naturale! Sei un piccolo genietto, Robin! » disse, scompigliandogli i capelli. Il ladro sorrise pieno d’orgoglio.

« Ora non ci resta che tuffarci » disse Oliver « Però vorrei che Dyna non venisse, insomma, il mare è pericoloso, e poi c’è questo guardiano, chissà chi è… Perciò diremo che qualcuno dovrà restare sopra per… per cosa? »

« Per fare la guardia » suggerì Robin.

« Sì, per fare la guardia! Mi piace come ragioni, Robin! » approvò Oliver, al colmo della felicità per aver scoperto di non aver fatto un viaggio inutile. Chiamò Dyna a gran voce, dato che la ragazza si era allontanata parecchio, ma era rimasta bene in vista ben sapendo che altrimenti Oliver avrebbe avuto una crisi di panico, temendo chissà quali tragedie. « Dyna! Noi ci dobbiamo tuffare, abbiamo scoperto che il tesoro si trova in fondo al mare, ma forse… Dei del cielo, adesso la senti… Tu dovresti… »

« Ti dispiace se resto qui, Oliver? Vorrei cercare la Libellula se non hai niente in contrario! » urlò la ragazza di rimando.

Oliver e Robin si scambiarono uno sguardo sorpreso, ma compiaciuto. « D’accordo, se insisti va bene, ci arrangeremo! »

« Se vuoi che venga con te, vengo! La cercherò  dopo! »

« No, no! » si affrettò a dire Oliver « Fai con comodo! Solo, non ti cacciare nei guai! »

Oliver e Robin fecero il giro della costa scegliendo quale fosse il punto migliore per buttarsi. « Sei tranquillo a lasciarla da sola? » domandò Robin, incuriosito. Era raro che Oliver lasciasse Dyna priva di protezione.

« Ma sì, figurati, qui non c’è nemmeno l’ombra di una formica, non c’è alcun pericolo » rispose Oliver spavaldo, ma un attimo dopo c’era una nota preoccupata nella sua voce: « E comunque… Questa sarà solo la prima immersione, diamo un’occhiata e se è troppo pericoloso torniamo a prenderla e ce ne andiamo. »

Robin annuì. Raggiunsero una piccola altura. Oliver si tolse il mantello e gli stivali, Robin le scarpe e il gilè. « Quanto resisti sotto? » si informò Oliver.

« Non ne ho idea. Tu? »

« Te lo farò sapere. Andiamo! »

E così i due ragazzi su tuffarono nelle acque stranamente calde del Mare Occidentale, proprio nel momento in cui Dyna precipitava in una fossa nel terreno di almeno tre metri, con un urlo tremendo.

Oliver e Robin risalirono subito in superficie. Il Guerriero sembrava turbato. « Hai sentito qualcosa? »

« Sì » rispose Robin « Ho sentito che l’acqua è calda, a dispetto del gelo che fa qui. »

« No, io dicevo… Lascia perdere. Forza, cominciamo l’esplorazione. » Così dicendo Oliver si immerse, seguito a ruota da Robin.

Il mare non era poi eccessivamente profondo e c’erano un’infinità di strane creature, soprattutto delle conchiglie giganti. Anzi, a guardarle bene sembravano proprio delle ostriche. Naturalmente Robin non resistette alla tentazione di guardare se dentro ci fossero delle perle e si avvicinò. Oliver scosse la testa severo, ma Robin faceva segno alla conchiglia con entusiasmo, così tese la mano per toccarla. Questa si aprì quasi all’istante e nelle pupille di Robin si riflesse la luce bianca e abbagliante della perla gigante all’interno, poggiata su un trono di alghe rosa. Il ladro non attese oltre e allungò la mano avida per prenderla, ma nello stesso istante il guscio dell’ostrica si richiuse di scatto e fu veramente fortunato a sottrarsi, altrimenti si sarebbe ritrovato con un bel moncherino. Oliver lo aveva raggiunto, gli fece uno sguardo da “te l’avevo detto” e continuarono l’immersione. Ormai erano sotto da diversi minuti, Robin tornò in superficie prima di soffocare, Oliver lo seguì poco dopo.

« Bel colpo, capo! Sembrava che tu avessi le branchie! » esclamò Robin. Con i capelli bagnati le orecchie a sventola erano ancora più visibili.

« Ho visto qualcosa » disse Oliver « Laggiù è più profondo, credo che ci siamo. »

Nuotarono per un po’  e poi si immersero nuovamente. Oliver aveva ragione, l’acqua si faceva sempre più profonda. Robin lanciò un’occhiataccia a un’ostrica particolarmente invitante e proseguì verso il fondo, dietro al Guerriero. Proprio quando stava pensando di risalire, Oliver gli fece cenno di guardare qualcosa. Davanti ai loro occhi, nella semioscurità degli abissi, si stagliava il relitto di quello che era stato sicuramente l’antico veliero dei pirati. Sembrava più che altro lo spettro di una nave, scura, con i resti delle vele che ondeggiavano e un aspetto sinistro. Robin puntò l’indice verso l’alto, per far capire a Oliver che aveva bisogno di aria prima di andare a scrutare all’interno della nave, così i due stavano per risalire, quando qualcosa vibrò nell’acqua alle loro spalle. Si voltarono di scatto, ma non videro niente, a parte i pesci che sguazzavano tranquilli. Fecero di nuovo per risalire, ma di nuovo sentirono qualcosa alle loro spalle. L’acqua si agitò di nuovo, era come se qualcosa di molto grosso la stesse attraversando molto velocemente. Oliver cominciava  a temere che il fantomatico guardiano gli stesse tendendo una bella trappola. Robin invece era molto più preoccupato per i suoi polmoni, che di lì a poco si sarebbero completamente riempiti d’acqua salata. Guardò Oliver impaziente e questi gli fece cenno di proseguire, anche lui non avrebbe resistito ancora per molto. Ma come cominciarono a risalire, un’ombra si pose davanti a loro. Robin per lo spavento aprì la bocca per cacciare un urlo, ma inghiottì solo un bel po’ d’acqua. Anche Oliver era rimasto paralizzato dal terrore, non aveva mai visto un’ anguilla grossa come quella prima di allora. Era di colore viola cupo, con la testa a forma di un brutto triangolo, gli occhietti neri e lucidi. Spalancò la bocca, simile in tutto e per tutto a quella di un serpente, con i denti piccoli e aguzzi e la lingua viscida, lunga e sottile. Robin e Oliver arretrarono, rendendosi conto che avrebbero invece dovuto andare avanti, per non annegare, ma il mostro sbarrava loro la strada. Come se gli avesse letto nel pensiero, l’anguilla scattò nella loro direzione con le fauci dilatate. I due ragazzi nuotarono con la forza della disperazione più veloce che potevano, ma non avrebbero mai potuto vincere. Non avevano nessuna arma, e anche se l’avessero avuta, sarebbero affogati prima di fare qualunque cosa. In quel momento però il pericolo più imminente rimaneva il mostro, perciò Oliver e Robin si intrufolarono in un buco nella nave affondata, troppo stretto per l’orrenda creatura. C’era un buio pesto lì dentro, Oliver agitò lentamente le braccia per cercare Robin, ma non toccò nulla. Sentiva che le forze lo stavano abbandonando, l’acqua entrava dentro di lui, non riusciva più a respirare. Chiuse gli occhi pensando unicamente alla piccola Dyna, a come avrebbe fatto senza di lui…

 

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