Almost Alice - Maka in Wonderland

di aki_penn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Coniglio Rosa ***
Capitolo 2: *** Il tavolino a tre gambe ***
Capitolo 3: *** La casetta del coniglio rosa ***
Capitolo 4: *** Le Tre Regine ***
Capitolo 5: *** Il Fungo a Ruote ***
Capitolo 6: *** Caffé? ***



Capitolo 1
*** Il Coniglio Rosa ***


Se avete aperto questa pagina probabilmente avrete già una vaga idea dicosa potreste trovarvi, sappiate che sono consapevole di quello che faccio. Spero non lo considererete un insulto a una storia che personalmente trovo molto bella.

 

Non ho messo l’avviso OOC perché spero di riuscire a mantenere in riga tutti i personaggi, nel caso pensiate che non ce l’abbia fatta vi prego di farmelo notare e aggiungerò subito l’avvertimento. Per il resto spero davvero che possiate apprezzare quello che ho scritto e che scriverò, perché temo finirò all’inferno per questo. Che Carroll mi perdoni!

 

 

 

Capitolo Primo

Il Coniglio Rosa

 

 

Maka cominciva a non poterne più di vedere Soul allungare il collo cercando di sbirciare la soluzione del compito in classe dal suo foglio.  Si mosse scocciata sulla sedia e mise un braccio davanti al suo scritto, in modo da impedirgli la visuale. Non riusciva davvero a capire perché mai si ostinasse a voler copiare da lei tutte le verifiche, quando avrebbe potuto benissimo studiare da solo a casa.

Dopo un attimo di riflessione si alzò, facendo strisciare la sedia sul pavimento. Strizzò gli occhi, colpita alle orecchie dal rumore fastidioso prodotto delle gambe del suo sedile che facevano la conoscenza delle piastrelle di ceramica del pavimento.

Aveva finito di compilare gli esercizi da una mezz’ora abbondante e aveva riletto tutto ben tre volte, non c’era motivo di starsene ancora a poltrire seduta al banco dando la possibilità a Soul di copiare. Che  prendesse il voto che si meritava!

Il ragazzo la guardò andare via con un’espressione vagamente disperata dipinta in volto, come se la sua unica possibilità di essere promosso si frantumasse mentre lei scendeva le scale che portavano alla cattedra del Professor Stein.

Appoggiato il compito sulla cattedra, stava accarezzando l’idea di andare al bar a comprare un succo di frutta per ingannare la calura, quando la sua attenzione fu rapita dal passaggio di un bizzarro coniglietto rosa che correva a perdifiato attraversando la grande aula, per poi imboccare la porta.

Maka, senza pensarci due volte, cominciò a corrergli dietro. Non aveva mai visto un coniglio rosa e voleva acchiapparlo prima del professor Stein, il quale appena incrociava sulla sua strada un animale raro si affrettava a vivisezionarlo per paura che si estinguesse prima che lui potesse studiarlo, perciò la ragazza aveva pensato che fosse meglio salvaguardare qual povero animale finché era ancora in tempo.

Rincorrendolo ebbe modo di studiarlo, era un coniglio bizzarro, oltre a essere rosa come non ne aveva mai visti, portava i capelli acconciati in un caschetto sfilacciato e continuava a ripetere tra sé “Oh, povero me, sono in ritardo. Io non so come comportarmi con il ritardo!” con un tono piuttosto piagnucoloso. La cosa più singolare però accadeva quando il coniglio, nella disperazione, estraeva dal panciotto un grosso orologio d’ottone e vi avvicinava l’occhio per controllare l’orario. A quel punto le lancette del marchingegno sembravano prendere vita e picchiarlo di santa ragione in un turpiloquio che avrebbe fatto rizzare i capelli al più sboccato scaricatore di porto.

“Se non sai come comportarti con il ritardo, basta che lo ammazzi, non c’è niente di difficile!” diceva il maleducato orologio.

E fu così che tra un corridoio e l’altro, un livido e un morso a un orecchio, il coniglio rosa finì per infilarsi nel bagno delle ragazze e tuffarsi nel buco che aveva lasciato il water che Marie aveva frantumato in un momento di furia omicida.

Maka, che fino ad allora si era sgolata chiedendo al signor coniglio di fermarsi, si lanciò dentro al buco senza pensarci due volte.

 

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Capitolo 2
*** Il tavolino a tre gambe ***


Sono davvero felice che il primo capitolo sia stato apprezzato, avevo una gran paura che qualcuno gridasse al sacrilegio. Il fatto che non sia successo mi ha davvero sollevata.

D’ora in poi ho intenzione d’introdurre tutti i personaggi possibili, a parte quelli che non sono ancora apparsi nel manga edito in Italia, perché ovviamente non li conosco abbastanza da potermi permettere di scrivere di loro mantenendoli IC. Lettori di scansioni perdonatemi! Comunque sia spero davvero di non annoiarvi!

 

 

 

Capitolo Secondo

Il tavolino a tre gambe

 

 

Il water-tana doveva essere molto profondo, oppure la caduta di Maka molto lenta, perché ebbe tutto il tempo di rendersi conto di ciò che accadeva e pure di pensare che era piuttosto improbabile che una fogna si estendesse così tanto verso il centro della terra. Per un secondo temette di rispuntare in Cina, ma ben presto la caduta divenne quasi noiosa nonostante non riuscisse a capacitarsi di come quello stretto pozzo infrangesse varie leggi dello stato e della fisica.

Fu così che, continuando a cedere, incrociò le braccia e gonfiò le guance seccata, ma fu proprio quando allungò le gambe per sgranchirsele che si accorse di non indossare più la sua fedelissima gonna scozzese, ma un abitino vittoriano azzurro.

Sgranò gli occhi, assalita da un dubbio atroce. Alzò lentamente la gonna, preoccupata per quello che avrebbe potuto trovarci sotto. Appena si rese conto che le sue paure erano tristemente confermate lasciò andare il lembo di stoffa e si mise una mano sugli occhi.

Mutande a zucca. Le temibili mutande a zucca! Finite le elementari credeva di essersene liberata, e invece rispuntavano proprio nel momento in cui meno se l’aspettava.

Non ebbe però tempo per rammaricarsi oltre perché la sua attenzione fu presto accaparrata da quello che, si accorse, era appeso alle pareti.

Il pozzo era arredato con molte mensole sulle quali erano appoggiati vari barattoli in un ordine maniacale.

Maka ne prese uno per guardare di cosa si trattasse. Fu esattamente nel momento in cui l’afferrò che per tutta la tana rimbombò un urlo di disperazione disumano. Spaventata lo appoggiò sul primo ripiano che le capitò vicino rovinandone così l’ordine. Come se fosse una conseguenza ci fu un altro urlo disperato.

Maka si tappò le orecchie con le mani per non sentire, e chiuse gli occhi, quelle mensole tutte maledettamente uguali e ripetitive le facevano venire il mal di testa. Le ricordavano tanto quella volta che era stata male e in ospedale qualcuno aveva passato ore a sistemare i medicinali in modo che fossero simmetrici.

Stava quasi per addormentarsi quando atterrò con un tonfo sopra un mucchio di foglie. Si rialzò in un attimo, scrollandosi lo sporco dal vestito azzurro e con la coda dell’occhio vide il coniglio rosa correre via per il cunicolo in cui si era ritrovata.

“Signor coniglio, aspetti! Come si fa a uscire di qui?” urlò mettendosi a corrergli dietro. Adesso che era sicura che fosse al sicuro dalle perversioni di Stein voleva tornarsene a casa. Però era buffo come, quell’animaletto atipico che si faceva malmenare da un orologio, le ricordasse qualcuno, anche se non avrebbe saputo dire chi.

Fu costretta a fermarsi quando il coniglietto s’infilò in una porticina troppo piccola per lei. Si chinò appoggiando le ginocchia a terra per vedere dove stesse andando e lo vide continuare a correre come un pazzo sotto i colpi impietosi del suo orologio da taschino.

La destinazione sembrava un giardino verde che le parve bellissimo. Ma che ci faceva un giardino del genere sotto la Shibusen?

Si rialzò scocciata, si era fatta prendere dalla foga e non si era nemmeno guardata in giro, e invece un Maister come si deve avrebbe dovuto tenere tutto sotto controllo.

Si trovava in un vestibolo lungo e basso, illuminato da una fila di lampade che pendevano dal soffitto. Incrociò le braccia e sbuffò. Come poteva fare per tornare indietro? Forse poteva arrampicarsi per il buco, dal quale era caduta, aggrappandosi alle mensole, ma se ci aveva messo così tanto per scendere precipitando, quanto ci avrebbe messo per risalire arrampicandosi?

Si grattò la testa e sospirò, non era da lei lasciarsi trascinare in una situazione del genere senza neanche pensarci, cosa le era venuto in mente quando si era buttata nel buco del water?

Stava ancora rimuginando sulla sua scarsa furbizia quando l’occhio le cadde su un tavolinetto a tre gambe che si trovava in mezzo all’ingresso. Sbarrò gli occhi, era passata poco prima da quel punto, mentre rincorreva il coniglio rosa, ma non l’aveva visto.

Si avvicinò curiosa e solo quando notò una bottiglietta di succo di frutta appoggiata sopra si rese conto di quanta sete avesse effettivamente in quel momento. La guardò con incredibile interesse prima di prenderla in mano, incerta.

Non poteva mettersi a bere da una boccetta trovata per strada. Era abbastanza certa che non fosse pericoloso, se Medusa avesse voluto attentare alla vita di qualcuno di certo non avrebbe iniziato da lei. Ciononostante non era sicura di poterla bere, magari apparteneva al coniglio rosa o al suo temibile compagno d’ottone e di certo non sarebbe stato contento di vedersela finita.

La fissò ancora un po’, prima di decidere che se ne avesse bevuto solo un goccino non se ne sarebbe accorto nessuno.

Se lo portò alla bocca assaggiandola, fece una smorfia, era buono ma… strano. Sapeva di more, crema, pollo, lampone e curry. Si fermò a guardare la bizzarra boccetta e si accorse che sembrava stesse ingrandendo sempre più velocemente. Rimase con la stessa espressione perplessa finché non si rese conto che non era la boccetta a ingrandirsi, ma lei a rimpicciolirsi. Esalò un urletto di stupore, mentre la bottiglia, ormai troppo grande per starle in mano, cadeva a terra rovesciando sul pavimento tutto il liquido che conteneva.

Non ci volle molto perché le sue dimensioni diventassero così ridotte da farla annaspare nel contenuto della boccetta come se si trovasse in un fiume in piena.

Tossicchiò e spuntò acqua ringraziando di saper nuotare. Affaticata fece qualche bracciata fino a rendersi conto di essere attorniata da strane creature alate che dopo un’occhiata più approfondita risultarono essere fate.

Maka si aggrappò a una bottiglia, grande più o meno come lei, che galleggiava lungo il fiume.

Guardò oltre l’etichetta, che citava il nome di qualche liquore che conosceva solo perché aveva sbirciato nella dispensa di suo padre, e vi scorse una fatina che sembrava dormire. Si chiese se per caso non si fosse scolata l’intero contenuto della bottiglia e non fosse stata male per questo.

Non ci volle molto perché il fiume si asciugasse, e ben presto Maka si trovò arenata in groppa alla bottiglia su una spiaggetta, insieme a un nugolo di fatine fradice.

Scese con un salto dalla sua improvvisata imbarcazione  per andare ad affacciarsi al collo della bottiglia.

“Signora fata? Signora fata? Si sente bene?” chiese a voce non troppo alta.

“Stai tranquilla, sta dormendo” la tranquillizzò una voce alle sue spalle. Maka si voltò a guardare chi le aveva parlato e scorse una fatina dai capelli celesti che si strizzava le ali “Più che altro sarebbe meglio asciugarsi il prima possibile se no saremo noi a non stare più tanto bene” fece notare, subito prima di starnutire.

Un’altra fatina sospirò tristemente indicando una tuba verde pastello abbandonata sulla spiaggia.

“Eh, no, quello no! Piuttosto mi prendo il raffreddore!”  ribatté la prima fatina. Maka rimase a guardare il dialogo tra le due con un filo di perplessità. Non capiva di cosa stessero parlando.

“E’ la cosa più seccante che conosca” ribatté la fata che aveva indicato per prima il cappello. Quella che aveva parlato con Maka emise un lungo sospiro, prima di annuire consenziente “Se non c’è altra scelta

Maka diede un’occhiata alle espressioni di tutte le altre fatine presenti e vi lesse un tremendo disgusto. Si voltò quando sentì che la creatura dentro la bottiglia di liquore si era svegliata e ne lesse la stessa espressione di chi sta aspettando la morte “Sta per succedere qualche cosa di orribile. Sarà meglio riaffondare i dispiaceri nell’alcol” concluse cercando qualche goccia infondo alla bottiglia.

“Ehi, no, non è il giusto modo di affrontare le cose! Mio padre…” cominciò Maka, ma quella non l’ascoltava più.

Indignata e fradicia sbatté il piede sulla sabbia e tornò a guardare la fatina che si apprestava ad alzare la tuba per rivelare al mondo cosa ci stesse sotto.

Con sua grande sorpresa  si dimostrò una specie di girino con una gorgiera e un bastone. Aveva un aria familiare, come se lo avesse già visto da qualche parte.

 

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In questo capitolo Maka si ritrova tra le mani la boccetta con su scritto Drink me, credo che lei come personaggio sia piuttosto stoico, ma credo anche che la mia visione di Maka sia un po’ distorta, mi sembra tanto una viziosa che si trattiene (ma perché poi?) quindi le ho fatto bere dalla bottiglia liquidandola con un po’ di litigio interiore, spero mi perdonerete!

In realtà l’Alice di Carrol rischia di annegare nelle sue lacrime e mangia i pasticcini che trova sotto al tavolo, ma fare piangere Maka solo perché è diventata troppo grande lo trovavo improponibile, così ho tagliato la scena.

In più, nel fiume, in teoria Maka avrebbe dovuto incontrare un topo, all’inizio avevo pensato di infilarci una delle Mizune, ma poi ho cambiato idea e l’ho fatta naufragare insieme alle fatine della grotta di Excalibur.

Fate caso al doppio senso della parola seccante. Non lo dico perché penso siate stupide, ma perché io quando l’ho letta nel libro originale l’ho capita a scoppio ritardato (eheh)

Le mutande a zucca sono un omaggio al Signor Spirit  e alla sua conversazione idiota con Sua Eccellenza in dio della morte XD

Bene non vi tedierò oltre, spero davvero che questo capitolo possa esservi piaciuto, grazie per essere arrivati fin qui! :3

Aki_Penn

 

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Capitolo 3
*** La casetta del coniglio rosa ***


Grazie mille per aver letto anche il secondo capitolo, spero davvero che il seguito non vi deluda. Grazie a chi ha commentato, a chi ha messo la storia tra le seguite, le preferite e anche a chi ha solamente letto! Mi ha fatto davvero piacere!

(Per ora i capitoli stanno venendo piuttosto corti, non so se continuerò a farne di così striminziti, anche perché così ad arrivare infondo ci metterei una vita, quindi credo che vedrò se aumentarne la mole andando avanti a scrivere)

 

 

 

Capitolo Terzo

La casetta del coniglio rosa

 

 

La sorpresa di Maka fu ancora maggiore di scoprire che sotto la tuba stava un girino, quando questo iniziò a puntarla insistentemente col bastone.

“Tu non sembri una fata!” esclamò. Maka trovò parecchio maleducato puntare così una persona mai vista, ma dato che, a differenza del girino, lei aveva ricevuto una buona educazione, si affrettò a rispondere “No, io sono u…” ma non fece in tempo a finire di presentarsi come artigiana che quello aveva già iniziato a parlare d’altro.

“La mia leggenda è iniziata nel dodicesimo secolo, era un caldo giorno di piena estate? No, era un freddo autunno, e io a quel tempo ero cattivo. Anzi ora che ci penso era proprio inverno. Ero cattivissimo e perfino tra la gente del porto ero un cattivo famoso…

A quel punto, non vista dal girino che dava spettacolo dall’alto di un sasso, una fatina con una cuffietta si avvicinò furtiva a Maka e le domandò, sussurrandole in un orecchio “Va meglio?”

Maka, che non capiva come quel girino potesse asciugarli continuando a parlare a vanvera rispose in tono malinconico “A dire la verità io sono ancora piuttosto bagnata. Questa cosa non mi sta asciugando per nulla

La fatina con la cuffietta si grattò la testa “Mi sa, allora, che dovremo ricorrere alla corsa elettorale” disse più a sé stessa che a Maka.

“La che?” fece lei piuttosto perplessa.

“Oh, è più è facile da fare che da spiegare” fu la sintetica risposta.

La fatina, approfittando della distrazione del girino, che roteava fiero il suo bastone, disegnò per terra, attorno al sasso dove stava in piedi il chiacchierone, un cerchio con un bastone, ma – come disse – la forma non aveva davvero importanza.

Non ci fu un via, ma a un certo punto tutti iniziarono a correre e svolazzare seguendo il  segno lasciato sulla sabbia dal bastone. Ognuno si fermava e ripartiva quando ne aveva voglia, e quella corsa improbabile andò avanti per una mezz’ora buona finché il girino, accortosi che nessuna lo stava più ascoltando urlò “Fine della corsa!”

Calò un silenzio gelido e tutti gli sguardi andarono di nuovo a lui. Nel frattempo, Maka, fu felice di constatare di essersi perfettamente asciugata.

“Chi ha vinto?” chiese poi. Una fatina aveva aperto la bocca per dire che non era stata una gara e di conseguenza nessuno avrebbe potuto vincere ma, come sua abitudine, il girino in gorgiera non la lasciò parlare e si rispose da solo “Avete vinto tutte. E ora distribuisco i premi!” esclamò prima di colpire tutte sulla testa con il suo bastone da passeggio con una rapidità impressionante urlando “Baka!” ad ogni colpo.

Maka, con suo grande rammarico, si ritrovò a massaggiarsi la parte lesa. Non si era nemmeno accorta che quell’affare inamidato stava per colpirla, se fosse stato un nemico di Arachnophobia sarebbe stato un guaio. Comunque,  Arachnophobia o meno, non poteva sopportare che un tizio spuntato dal nulla la colpisse in quel modo, avrebbe assolutamente dovuto scusarsi, oppure l’avrebbe colpito con un poderoso Maka-chop. Così sì, che avrebbe imparato con chi aveva a che fare!

Ma quello le stava già dando le spalle e si era messo di nuovo a parlare del dodicesimo secolo e della banda del porto. Allungò la mano, con la ferma intenzione di battergli un dito sulla spalla per farlo girare, ma una fatina lo coprì nuovamente, a sorpresa, con la tuba. In un attimo tutte la creaturine alate, con cui aveva corso fino a un minuto prima, si erano dileguate e lei era rimasta nel bel mezzo di una spiaggia vuota senza altra compagnia che una tuba verde pastello.

Per un secondo meditò di alzarlo per vedere se il girino vi stava ancora sotto, ma desistette ripensando alla predica e al colpo di bastone, era sicuramente meglio essersene liberati.

Si guardò intorno sentendosi nuovamente sola. Il paesaggio era irrimediabilmente cambiato e anche se avesse voluto cercare di risalire la fogna dalla quale era precipitata non avrebbe saputo dove cercarla.

Si stava morsicando il labbro piuttosto abbattuta, quando un fruscio catturò la sua attenzione. Si voltò sperando si trattasse di una delle fatine tornata indietro per darle una mano a ritrovare la strada di casa, ma con sua grande sorpresa vide il coniglio rosa zampettare trafelato, come l’aveva già visto in precedenza. 

Ragnarok? Ragnarok? Oh, non può essere rimasto a casa! Sono in ritardo…il Re mi taglierà la testa… e io senza testa non saprei come comportarmi! Povero me!” piagnucolò correndo in qua e in là come impazzito.

Hero, ti prego vai a casa a cercare il mio Ragnarok!” urlò disperatamente a Maka. La ragazza avrebbe voluto dirgli che lei non si chiamava Hero, ma quello era già fuggito chissà dove.  Fu così che si diresse nella direzione indicata dal sofferentissimo coniglio, magari sarebbe anche riuscita ad aiutarlo, dato che questo Hero, di cui lui blaterava, pareva proprio non essersi fatto vivo.

Non ci volle molto perché si trovasse davanti a una casetta linda con una targhetta d’ottone su cui stava inciso C. Rosa.

A Maka sembrò un indizio sufficiente per decretare che quello fosse il posto giusto, entrò nella casetta senza bussare dato che la porta era aperta. Le avrebbe fatto piacere fare amicizia con quel coniglio rosa, e qual modo migliore se non aiutarlo a trovare il suo Ragnarok?

Fu solo quando ripensò coscientemente al suo piano per imbonirsi il coniglio che si rese conto della falla che aveva il suo piano : che diamine era un Ragnarok?  

Si mise a guardare in giro sperando di avere un’illuminazione. Quella parola le diceva qualche cosa, forse ne conosceva il significato ma non se lo ricordava, e vedendo l’oggetto sotto i propri occhi le sarebbe tornato in mente.

Era conscia che il suo piano facesse acqua da tutte le parti, ma dato che ormai era entrata in quella casetta tanto valeva dare uno sguardo intorno.

Fu così che l’occhio le cadde su una scatolina rosa con sopra scritto Le caramelle del Samurai. La scrutò curiosa chiedendosi cosa ci facesse un coniglio con qualche cosa che appartenesse a un Samurai, e soprattutto che razza di caramelle potesse mangiare un guerriero giapponese!

Rimase a guardare perplessa la scatolina, dimentica della sua ricerca del misterioso Ragnarok. La prese in mano e guardò con accuratezza le caramellino dai colori sgargianti che vi stavano dentro.

Un mucchio di pensieri si affollarono a quel punto nella sua mente, era divisa tra la voglia di assaggiarle e la sua solita educazione che le imponeva di lasciarle al suo posto. Per di più all’improvvisa voglia di dolci, dalla quale era stata colpita, si aggiungeva anche il sospetto, dopo l’esperienza della boccetta sul tavolino a tre gambe, che quelle leccornie potessero avere simili poteri, magari poteva addirittura tornare alla sua normale statura umana. Si era davvero scocciata di essere alta otto centimetri.

Fu così che alla fine ne scartò lentamente una per mettersela in bocca e gustarne il sapore dolce e poi, insospettabilmente, salato. Non ebbe il tempo di pensare oltre al sapore di ciò che aveva appena assaggiato, che si rese conto di aver iniziato a crescere a dismisura. Sul momento ne fu felice, ma questa sua euforia sì assopì in fretta quando si accorse che la sua crescita era decisamente fuori controllo.

Dovette piegare la testa che sbatteva contro il soffitto e ben presto fu costretta a mettersi in ginocchio sul pavimento. Come ultima risorsa dovette far uscire un braccio dalla finestra e infilare una gamba dentro al camino.

Sbuffò esasperata, era sempre più convinta che essersi buttata dentro la fogna all’inseguimento del coniglio rosa fosse davvero stata una fesseria!  

 

 

 

 

 

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In realtà a distribuire i premi sarebbe dovuta essere Alice, ma ho trovato molto più divertente pensare che queste vincite fossero assegnate a bastonate da Excalibur.

Nel libro originale gli astanti erano tutti uccelli e Alice li faceva scappare raccontando ingenuamente loro che la sua gatta amava catturare gli uccelli. Avevo pensato che Maka avrebbe potuto raccontare che Blair amava acchiappare uccelli ma sarebbe stato di cattivo gusto e piuttosto insensato dato che le sue interlocutrici si erano trasformate in fatine. E anche modificando il tipo di preda sinceramente non vedo perché una stregatta dovrebbe dare la caccia a delle fatine, quindi ho deciso di glissare e farle sparire senza un vero motivo.

Altra nota: nel libro, sulla casetta del Coniglio Bianco sta scritto C. Bianco, che io ho ovviamente dovuto trasformare in C. Rosa, però mi piace pensare che possa stare anche per Crona  Rosa :p

 

Aki_Penn

 

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Capitolo 4
*** Le Tre Regine ***


Grazie mille per aver letto anche il secondo capitolo, spero davvero che il seguito non vi deluda

 

Eccomi col quarto capitolo! Mi scuso per il ritardo, di solito scrivo nel week-end la quello scorso è stato piuttosto impegnativo, quindi ho dovuto scrivere tutto la sera. Temo che lo stesso problema si presenterà anche la settimana prossima dato che andrò via nel fine settimana, ma cercvherò di fare del mio meglio. Comunque sia grazie davvero a tutti quelli che seguono questa storia spero davvero possa piacervi anche quello che ho scritto questa volta!

 

 

 

Capitolo Quarto

Le Tre Regine

 

 

“Hero!” strillò timidamente quello che Maka immaginò essere il Coniglio Rosa “Cos’è questa cosa che esce dalla finestra?” domandò mesto.

“Secondo me è un braccio” rispose pensosa una voce che doveva probabilmente appartenere al più volte citato Hero.

“Un…un braccio dici? Mi sembra un po’ grande. Non so come ci si comporta con un braccio di queste dimensioni” Continuò dolente il Coniglio Rosa.

“E’ evidentemente il braccio di un mostro, uccidilo!”  sbottò a quel punto una voce nota.

“Oh, Illustrissimo Ragnarok, allora si nascondeva nella tasca!” esclamò Hero. “E tu cosa stai facendo? Vai ad ammazzare il mostro!” ribatté quello e seguirono una serie di rumori dall’aria poco delicata.

“Non mettermi le lancette nel naso!” si lamentò il coniglio.

“E allora non state qui a far niente, Hero prendi la scala e entra dal camino!” ordinò l’orologio bullo. Maka, che non poteva vederli, s’accigliò. Com’era possibile che due persone si facessero comandare a bacchetta da un orologio? Era come se lei, tornata a casa, si fosse fatta dare ordini dalla caffettiera! Sentì una stretta al cuore pensando a casa sua e si chiese se sarebbe mai riuscita a tornarci. Prima di tutto doveva riuscire a uscire da quella casetta minuscola.

La voce dell’orologio destò Maka dai suoi pensieri “Adesso buttati giù dal camino”

“Ma io… a dire il vero…” provò a protestare Hero dall’alto di una scala a pioli.

Maka non lo vedeva, ma sentiva la sua voce arrivare da dentro alla canna fumaria dove, nella disperazione, aveva infilato la gamba.

“Vai o non sai dove t’infilo le lancette!” minacciarono dal basso. Non ci volle molto perché Maka sentisse Hero atterrare sulla sua suola.

Il ragazzino fece giusto in tempo a dire “Ehi, qui c’è qualche cosa” che lei lo ricacciò per aria con un calcio.

Seguirono una serie di imprecazioni, urli, gemiti sommessi, probabilmente emessi da Hero piuttosto malconcio dopo il calcio, e di minacce indirizzate a tutti i presenti, mostro compreso.  

“Cretino! Invece di stare lì sdraiato vai a prendere l’anfora!” ordinò l’orologio.

“Dovremo andare a prendere l’acqua anziché l’anfora… è l’acqua che è magica” commentò il Coniglio Rosa con voce flebile. A giudicare dal rumore Maka intuì che il poveretto fosse stato colpito brutalmente dall’orologio per l’ennesima volta.

“E l’acqua dove la mettiamo se non prendi anche l’anfora? Vai a uccidere il mostro!” e di nuovo botte. Sta di fatto che, dopo poco, da una delle finestre che il suo braccio non stava occupando entrò in volo un’anfora che le andò a sbattere sul naso.

“Ma che cav…” sbottò Maka dolorante prima di cercare con lo sguardo l’oggetto che l’aveva colpita. Strizzò gli occhi per vederla meglio. Non pareva pericolosa. Forse era più pericoloso il suo contenuto, dato che le era stata lanciata addosso.

Rimase per qualche secondo a chiedersi se fosse il caso di toccarla o meno. Sembrava un’anfora. E le anfore di solito contenevano liquidi, magari era qualche cosa da bere, qualche cosa che le avrebbe restituito una dimensione normale per stare in quella casetta. Alzò gli occhi al cielo, e si sarebbe sbattuta una mano sulla fronte se la posizione glielo avesse consentito. Dopo qualche complicata manovra  afferrò, non senza fatica, l’anfora e la stappò col pollice.

“Speriamo bene!” esclamò prima di berla tutta d’un fiato.

Deglutì faticosamente, quella bevanda dal sapore improponibile sembrava volerle rubare tutte le forze, tutta la sua energia. Per un secondo le parve di perdere i sensi, ma quando riprese coscienza di sé si trovava nel bel mezzo del salotto di una casa di bambole dove fosse appena passato un gatto a scompigliare tutti i piccoli mobili.

Si accigliò dispiacendosi di aver combinato tanto casino, e cercò alla meglio di mettere tutto al proprio posto. Alla fine il risultato non era così pessimo, se non si considerava che nella sua crescita sconsiderata aveva rovesciato un vaso di fiori e nonostante tutti gli sforzi non aveva trovato nulla dove mettere i fiori che vi stavano dentro se non l’anfora dalla quale aveva bevuto.

Un po’ insoddisfatta si decise ad aprire la porta della casa intenzionata ad uscire e a scusarsi col povero Coniglio Rosa, che si era ritrovato un mostro tra capo e collo.

La scena che le si presentò una volta all’esterno non poteva essere definita in nessun altro modo se non  bizzarra. Un ragazzino biondo piuttosto smunto se ne stava per terra esanime, mentre il Coniglio Rosa correva in circolo malmenato dall’orologio che gli si era appollaiato sulla testa.

Stava per venirle un capogiro solo a guardarlo, quando finalmente il coniglio frenò di colpo dato che l’orologio gli aveva tirato i capelli come se fossero state redini all’urlo di “E’ uscito il mostro!”

“Ehi!” sbottò Maka piuttosto contrariata nel sentirsi definire mostro anche possedendo la loro stessa dimensione.

“Io sono una ragazza!” sbottò adirata.

“Impossibile, le ragazze hanno le tette! Come lo stregatto!” esclamò l’orologio sporgendosi verso di lei come se volesse guardarla, e Maka notò due occhi messi al posto del numero tre e del numero nove, subito prima di sferrargli un pugno rabbioso. Un pugno rabbioso che colpì in pieno il povero coniglio, che l’orologio Ragnarok aveva usato come scudo.

Maka sussultò  rendendosi conto di aver scagliato decisamente il suo obbiettivo, pessima mossa per un’artigiana come lei! Il coniglio era finito per terra come un sacco di patate piuttosto infelice.

“Signor Coniglio! Le ho fatto male?” chiese un po’ preoccupata  scrollando il poveretto riverso per terra.

“Vedo le steeeellee” biascicò con un sorrisetto ebete stampato in faccia. Maka non era sicura che avesse una bella cera.

“Senta signor Coniglio, so che questo non è il momento migliore per dirglielo, ma ho rotto il suo vaso di fiori e allora li ho travasati nell’anfora che mi avete tirato dalla finestra” spiegò colpevole.

“I fiori della regina rossa! I fiori della regina rossa!” urlò l’orologio dimenando le lancette “ E siamo pure in ritardo per la partita di croquet!”aggiunse ricominciando a tirare i capelli al povero animaletto rosa, il quale si ridestò con un aria disperata in volto.

La Regina di Cuori si arrabbierà! Dov’è finita la mia tromba, Hero?” chiese disperato voltandosi verso il ragazzo biondo sdraiato per terra poco più in là. Maka, quasi stupita di constatare che non fosse morto, lo vide alzarsi a sedere per poi scuotere la testa sconsolato.

“Vai a cercarla!” ordinò allora con voce secca Ragnarok mentre Hero si alzava e correva alla ricerca dello strumento, impaurito.

“Perché ti sei trovato uno sguattero così? Se ci fosse qui la Regina Bianca ci avrebbe preparato un sacco di cose buone da mangiare!” sbottò adirato voltandosi di nuovo verso il suo padrone.

“Ma la Regina Bianca è una regina, non può mica fare la sguattera!” osservò il coniglio sgranando gli occhi.

“Stai zitto stupido!” ribatté l’orologio, che dato che non sapeva come ribattere si mise a tirargli nuovamente i capelli.

“Basta!” urlò il coniglio staccandosi l’orologio di dosso e lanciandolo via.

“Ma quante regine ci sono in questo posto?” esclamò Maka non riuscendo a trattenersi, appena il prepotente marchingegno fu rotolato per qualche metro.

Il suo interlocutore la guardò vagamente preoccupato, ma poi rispose “Ci sono la Regina Bianca e la Regina Rossa… ma loro abitano del paese dello specchio. E poi c’è la Regina di Cuori. La Regina di Cuori e la Regina Rossa si litigano il Re Rosso. Io non capisco perché… lo trovo davvero spaventoso…non so come comportarmi con lui, anche perché dorme sempre…” spiegò mesto.

Maka annuì e fu tentata di appoggiargli una mano sulla spalla per consolarlo, sembrava così indifeso, ma questo si ritrasse e la guardò piegando la testa da una parte.

“Non so come comportarmi con un mostro…” scandì lentamente.

Io non sono un mostro stava per dire per l’ennesima volta Maka, ma l’orologio, spuntato dal nulla, fu più veloce a urlare “Se non sai come fare allora ammazzalo, Crona, non c’è niente di più facile!”

Maka fece giusto in tempo a vedere il coniglio Crona che afferrava l’orologio da taschino per la catena, che questo calò su di lei con una forza eccezionale. La ragazza riuscì a spostarsi, con un salto, un attimo prima che l’orologio colpisse il terreno formando un piccolo cratere.

“Io sono una ragazza! Sono una ragazza, diamine!” urlò esasperata e decisamente preoccupata. Il coniglio fino a un secondo prima le era sembrato un tipo pacifico ma in quel momento le faceva davvero paura, soprattutto perché con lei non aveva alcuna arma.

“Non ascoltarla, Crona, i mostri sanno travestirsi! Pensa cosa succederebbe se entrasse nel giardino dello specchio e strappasse tutti i fiori! La Regina Rossa ti punirebbe e finiresti chiuso nella casa della Duchessa!” esclamò l’orologio per aizzarlo, subito prima di finire su una serra mandandola in pezzi.

“Quella casa è piena di caffè, a me non piace il caffè” piagnucolò mentre sferrava l’ennesimo colpo, che Maka scansò per un puro colpo di fortuna.

L’artigiana, interrogata sulla questione non avrebbe saputo spiegare come fosse accaduto, ma a quel punto era spuntato Hero brandendo una fisarmonica e chiedendo se potesse andare bene anche quella dato che la tromba proprio non si trovava. Fu colpito quindi da un colpo casuale di orologio, che fece partire le lancette per aria come se fossero frecce. Una delle quali si conficcò per terra a pochi centimetri da Maka.

Nel parapiglia generale la ragazza pensò fosse meglio filarsela,  lasciando il coniglio Crona e il suo povero sguattero alla mercé dell’orologio bullo s’infilò nell’erba alta. Sembrava che nessuno si ricordasse più di lei, e in un certo qual modo era meglio così.

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Ohibò… siamo arrivati infine al momento in cui Alice rimane chiusa nella casa del Bianconiglio. Nel libro il coniglio dava ordini a un certo Bill (una lucertola) di tirare Alice fuori dal camino e dato che il personaggio più bistrattato di Soul Eater è Hero ho deciso di dare a lui questa parte. Poi, dato che Crona è un tipo tranquillo, ho lasciato tutto nelle mani di Ragnarok.

Sempre nel libro, per rimpicciolirla le vengono lanciati dalla finestra dei sassi che poi diventano pasticcini, qui ho infilato l’anfora con l’acqua magica che Black*Star usa per allenarsi a usare la katana demoniaca.

La parte finale è più o meno farina del mio sacco. Dopo qualche riflessione ho pensato che non ha senso copiare del tutto la trama di Alice senza far succedere nulla di diverso, quindi volevo provare, andando avanti, a sviluppare qualche cosa all’interno della trama principale. In questo capitolo Maka parla con Crona, cosa che tra il coniglio ed Alice non succede, e lui le racconta delle regine. Ce ne sono tre perché ho deciso di fare riferimento anche ad Attraverso lo specchio che non è Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie, ma ha sempre lei come protagonista. Varie scene di Attraverso lo specchio vengono usate sia nel cartone Disney che nei vari film quindi ho deciso di farlo anche io, anche perché altrimenti non sarei riuscita ad inserire tutti i personaggi di Soul Eater (Ce ne sono una marea!!)

 

Aki_Penn

 

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Capitolo 5
*** Il Fungo a Ruote ***


Grazie mille per aver letto anche il secondo capitolo, spero davvero che il seguito non vi deluda

Chiedo umilmente perdono, so di essermi assentata per un sacco di tempo, ma ero stata colta dalla frenesia di scrivere un’altra long e quindi ho dovuto iniziare anche quella e non sono riuscita a trovare tempo per Almost Alice fino ad adesso, non lo farò più, promesso!!*.*

Comunque grazie mille a Miku che recensisce sempre ed è carinissima e a tutti quelli che seguono la storia, grazie davvero ^.^

 

 

 

Capitolo Quinto

Il Fungo a Ruote

 

Corse per un po’ senza fermarsi ne voltarsi indietro, voleva essere sicura che lo spaventoso coniglio armato di orologio non la stette rincorrendo, ma a giudicare dal fatto che l’unico rumore che sentiva era quello dei suoi passi che battevano per terra, era sola.

Si inginocchiò per terra col fiatone. Tossicchiò preoccupata, era una Maister non avrebbe dovuto avere il fiatone per così poco. La sua arma l’avrebbe presa in giro…la sua arma… la sua arma come si chiamava? Rimase impietrita a pensarci, com’era possibile che non si ricordasse il nome della sua arma? Poteva scordarsi il nome di chiunque, ma non della sua arma!

Scorse nella memoria alla ricerca di altri ricordi, se ne rendeva conto solo ad allora…sapeva di avere un padre e una madre ma tutte le memorie che aveva erano immerse in una nebbia fitta e asfissiante. Si portò una mano alla tempia come sperando che con quel tocco tutto sarebbe tornato a funzionare. Le tremavano le labbra, com’era possibile? Deglutì faticosamente sentendo la saliva che scendeva per la gola e gli occhi pizzicare. Tirò su col naso prima di iniziare a piangere, non poteva piangere, non sarebbe servito a nulla. E proprio mentre pensava ciò alzò la testa accorgendosi che davanti a lei stava quello che poteva sembrare un pupazzo di roccia. Una bambola. Un golem.

Maka deglutì spaventata, non sapendo come comportarsi. Si ricordava di un golem. Erano inanimati per quanto ne sapesse, ma quello la stava guardando. La stava proprio guardando. Fu così che scappò di nuovo come aveva fatto col coniglio rosa. Il gigante si lanciò al suo inseguimento ma Maka era fortunatamente molto più agile e veloce di lui. Mentre correva cercava di scavare nel cervello alla ricerca di qualche dettaglio che l’aiutasse. Era sicura di essere stata in Repubblica Ceca insieme a…a… alla sua arma e a qualcun altro che non si ricordava, e aveva visto un golem. Come funzionava un golem?

Se gli infili in bocca un foglietto con sopra scritto quello che vuoi che faccia lui esegue si ricordò d’un tratto. Doveva solo scrivere qualche cosa su un foglio e cercare di fare canestro nella sua bocca. Non è che nel basket fosse bravissima, ma in quel momento ringraziava…ringraziava… beh ringraziava chi l’aveva costretta a giocare controvoglia. S’infilò le mani nelle tasche alla ricerca di qualche cosa di cartaceo.

Alzò gli occhi al cielo arresa quando si rese conto che nelle tasche del vestitino vittoriano non c’era proprio niente. Sbuffò. Lei nelle tasche della sua gonnellina scozzese si teneva sempre, per precauzione, qualche foglio, ma quel vestitino vittoriano invece non ne conteneva nessuno. Sbatté i piedi stizzita pensando a dove avrebbe potuto trovare della carta.

Si era nascosta dietro una foglia gigantesca e il golem, che non era dotato di grande intelletto, girava intorno alla pianta senza vederla, nonostante le si vedessero palesemente i piedi.

Maka continuando a sfuggire all’occhio fesso del suo inseguitore era giunta alla conclusione che non si poteva trovare certo un foglio di carta nel bel mezzo di un giardino gigantesco.

L’unica cosa che rimaneva da fare era trovare un materiale alternativo, fu così che staccò una foglia non troppo grande e abbastanza morbida da lasciarsi incidere con la punta delle unghie.

Ci mise un po’ a scrivere il suo ordine anche perché nel contempo doveva continuare a nascondersi dietro alle foglie, il golem era scemo, ma non così tanto da smettere di cercarla.

Terminato il suo lavoro agì velocemente, era l’unico modo che aveva per sopraffare il suo nemico, era più lento di lei, ma doveva essere sicura di non sbagliare mira.

Lanciò la foglia accartocciata sperando vivamente di riuscire a centrare la bocca del golem e quando finalmente lo vide masticare esultò “Canestro!”

Vide a quel punto il golem inchinarsi davanti a lei e Maka gli si avvicinò circospetta. Aveva funzionato veramente? Anche se era una foglia e non carta? Pareva di sì.

Ci si arrampicò sopra fino a sistemarsi a cavalcioni sul suo collo, si guardò i giro e poi ordinò indicando in una direzione a caso “Vai!” e il golem partì.

Non aveva la più pallida idea di quale fosse la cosa giusta da fare ma era abbastanza sicura che andare in giro in sella a un golem fosse più comodo che andare a piedi.

Si ricredette in fretta rendendosi conto che continuava a sobbalzare e a rischiare di cadere in ogni momento. E infatti alla fine cadde, mentre la sua cavalcatura continuava a correre nella direzione indicata dalla sua padrona. “Ehi, fermati!” urlò Maka inascoltata. Si alzò stizzita togliendosi la polvere dal vestitino vittoriano. Ormai il golem era andato.

Si sarebbe incamminata di nuovo se non avesse visto davanti a sé allargarsi un’ombra che lentamente inglobava la sua. Si voltò di scatto per vedere cosa la proiettava.

Sbatté gli occhi stupita. Davanti ai suoi occhi c’era un grande fungo dall’aria poco naturale che si spostava su quattro ruotine verde fosforescente.

Maka sbatté le palpebre e deglutì quando si rese conto che il fungo aveva l’aria di essere stato tagliato e ricucito più volte, la stessa impressione la dava l’individuo che ci stava appollaiato sopra fumando narghilè.

“Chi sei tu?” chiese allegro fumando.

“Mi chiamo Maka” si presentò un po’ incerta torturando un lembo di stoffa nella mano destra, quel tipo le metteva soggezione.

“Non ti ho chiesto come ti chiami, ti ho chiesto chi sei” continuò lui.

Maka si morse il labbro, quel tipo non le piaceva per niente, e poi faceva domande strane.

“Sono… sono una Maister e la mia arma… e ho un’arma” concluse sentendo ancora una volta dolore fisico nel rendersi conto che non riusciva a ricordarsi in nessun modo né il nome né il volto della sua falce.

“Già meglio” commentò il suo interlocutore, sbuffando fumo, contento della risposta.

“Mi ricordi un po’ la mia pianta, sai?” fece l’individuo e Maka notò solo in quel momento una cosa metallica che poteva sembrare una vite trapassargli la testa. Quel tipo non doveva essere per niente normale, ma aveva la strana sensazione di averlo già visto da qualche parte.

“Credo sia impossibile che io somigli a una pianta signor… signor…” disse incerta rendendosi conto del fatto di non avere idea di come si chiamasse lo strano individuo.

“Stein, mi chiamo Stein. Comunque ti assicuro che sei proprio simile alla mia pianta. Purtroppo non la porto con me perché la Regina Rossa me l’ha sottratta per trapiantarla nel suo giardino. Però se accettassi di farti invertire gli alluci potrei dimostrartelo!” si offrì gentile.

“No guardi, non ce n’è bisogno… grazie” si affrettò a dire, sembrava piuttosto disponibile, ma diceva cose senza senso.

“Comunque ora dovrei andare signor Stein” cercò di liquidarlo gratificandolo con un sorriso un po’ tirato.

Ma l’uomo sul fungo non era uno sprovveduto come sarebbe potuto sembrare. Magari era un serial killer, ma di sicuro non uno sprovveduto. Maka ci rimase, così, davvero male quando l’acchiappò al lazo con il filo del narghilè e la trascinò per un paio di metri fino a che non si ritrovò nuovamente sotto il cappello del fungo rattoppato.

La ragazza deglutì spaventata, cosa avrebbe fatto? Stava per dirle che avrebbe sostituito la sua pelle con della carta vetrata? Non avrebbe saputo dire perché le fosse venuta in mente una cosa tanto disgustosa, ma per qualche motivo era il tipo di cosa che avrebbe potuto dire quel tipo col narghilè.

La Regina rossa mi piace. La vivisezionerei volentieri.” Aggiunse pacato senza dare tanto importanza alla sua preda che si divincolava nella presa del tubo.

“Cosa desideri in questo momento Maka?” domandò poi. Lei lo guardò stupita.

“Direi niente” fu la risposta frettolosa. Stein fece una smorfia poco convinta. “Pensaci, sono sicuro che hai un desiderio. Io ad esempio vorrei vedermi restituito il mio giglio tigrato rosso…” spiegò.

“Vorrei tornare ad essere di una statura normale” pregò poi Maka abbastanza convinta che l’uomo non  potesse fare niente per lei.

“Beh in questo caso sappi che un lato del fungo ti farà crescere e l’altro ti farà rimpicciolire” disse slegandola dalla presa del tubo e riaccendendo il narghilè che aveva finito per esaurirsi.

Maka aggrottò le sopracciglia e alzò le spalle “Ma che parte?” domandò. Fu a quel punto il turno di Stein di alzare le spalle “Non lo so, l’ho tagliato e ricucito così tante volte che non me lo ricordo più!” esclamò.

Maka sbuffò, staccò un pezzo da una parte del fungo e un altro dalla parte diametralmente opposta poi rivolse di nuovo lo sguardo a Stein appollaiato sul fungo che, per tutta risposta, si mise a girarle intorno volando sulle rotelline come un avvoltoio fumante.

“Credo che dovresti provare ad assaggiarli…” consigliò con voce un po’ melliflua.

Maka annuì, non era tipo che avrebbe accettato da mangiare da degli sconosciuti ma ormai la situazione era così delirante che non avrebbe potuto fare altrimenti.

Addentò un pezzettino di una delle due fette che aveva preso e lo ingoiò. Sbatté le palpebre e guardò Stein che la fissava a sua volta. Stava per constatare che non stava succedendo nulla quando d’un tratto iniziò a sentirsi crescere e si accorse che il suo interlocutore stava diventando sempre più basso.

L’uomo le fece un segno di saluto e urlò “Vai da Marie, è un tipo piacevole e stai attenta ai topi, a loro non piacciono i serpenti!” e poi cadde all’indietro insieme a tutto il fungo rattoppato.

Maka stava per chiedere che cosa c’entrassero i topi e i serpenti, ma era ormai era diventata  troppo alta e superava anche le fronde degli alberi.

 

 

 

 

________________________________________________________________________________

 

Allora in questo capitolo Maka incontra il Golem che prende il posto di un cane nel mondo di Alice e Stein che prende il posto del Brucaliffo (ma va’, chi l’avrebbe mai detto! XD)

Nel libro Alice si limita semplicemente a lanciare un bastone al cane e questo corre a riprenderlo, ma ho pensato che in questo caso fosse carino farglielo usare come cavalcatura. Non mi pare di ricordare che nell’episodio dove Soul e Maka incontrano Giriko si parli della storia del golem, ma ho comunque voluto inserire il dettaglio del funzionamento.

Per quanto riguarda Stein non c’è molto da dire, la maggior parte delle cose che si dicono è inventata da me o ispirata a Soul Eater, l’unico pezzo che rimane di Alice è la discussione sui pezzi di fungo, che è simile. A parte questo ho voluto mettere un po’ di chiacchiere in modo da far capire chi fossero gli altri personaggi, non so se effettivamente ci sono riuscita, ma l’intenzione era quella e nel caso con lo scorrere dei capitoli questo parlare di botanica prenderà il suo senso.

Infine la perdita della memoria di Maka l’ho introdotta per due motivi, primo Alice quando finisce nella tana del coniglio non si ricorda più le filastrocche, secondo se Maka si ricordasse di tutti i suoi amici non avrebbe senso che una volta incontrati in questo mondo non li riconosca, e quindi ho preso questa decisione.

Se anche voi come me state aspettando Soul sappiate che conto di farlo apparire tra un paio di capitoli *.*

Aki_Penn

 

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Capitolo 6
*** Caffé? ***


Grazie mille per aver letto anche il secondo capitolo, spero davvero che il seguito non vi deluda

 

Capitolo Sesto

Caffè?

 

 

“Serpente!” urlò qualcuno, e qualche cosa, che sul momento le sembrò un moscone gigante, andò a sbattere contro il suo naso. Maka se lo coprì dolorante, cercando di capire cosa fosse successo.

“Ma che…”cercò di dire, per poi interrompersi stupita, rendendosi conto che il suo interlocutore era una specie di topo volante. Non un pipistrello, un topo volante rosa coi baffi al neon. 

“Io non sono un serpente!” strillò Maka presa alla sprovvista.

“Sì che lo sei! Ti ha mandato la Regina di Cuori? Ha ucciso nostra sorella, e adesso vuole uccidere anche noi!” squittirono in coro tre topine al neon.

“No, io…” cercò di nuovo di difendersi mentre queste le passavano accanto graffiandola con i lunghi baffi.

“Muori, muori, muori, non ti prenderai anche noi! La Regina Rossa è dalla nostra parte!”  strillò una delle topine mentre un filo di sangue le usciva da una ferita non troppo profonda che aveva sulla guancia. Maka chiuse gli occhi per non essere colpita anche lì, e si rese velocemente conto  che non c’era alcuna possibilità di ragionare con quelle rosee bestioline agguerritissime. L’unica speranza era il fungo. L’avrebbe fatta tornare piccola, e c’era solo da sperare che le topine non la seguissero in basso.

Cercò freneticamente un pezzetto del fungo e le lo cacciò in bocca con foga, pregando che funzionasse.

E funzionò, in pochi secondi era di nuovo alta otto centimetri come durante la sua conversazione di poco prima.

Guardò in alto circospetta. Le topine ronzavano ancora oltre le fronde degli alberi, ma non parevano essere intenzionate a seguirla, comunque era meglio svignarsela. Per quanto considerasse la fuga una cosa da vigliacchi non poteva certo competere contro di loro. Soprattutto senza la sua arma. Una fitta al cuore le fece strizzare gli occhi. Non riusciva ancora a ricordarsela. Inspirò profondamente e si mise a correre cercando di non pensarci. Non sarebbe stato piangendo che avrebbe risolto la situazione.

Si fermò solo quando tra la vegetazione non intravide una casetta. Scostò qualche ramo e si mise a guardarla. Forse in quel luogo c’era qualcuno di normale che l’aiutasse. L’aiutasse a fare cosa poi? Non sapeva più cosa voleva. Voleva tornare a casa? Voleva sapere chi erano queste Regine di cui aveva sentito parlare fin troppo? Forse voleva solo ricordarsi il nome della sua arma. Deglutì faticosamente.

Stava per uscire allo scoperto quando dal nulla spuntò un valletto in gorgiera. Sul colletto vi stava scritto Fisher King e teneva sotto il braccio una gigantesca busta. Bussò energicamente e la porta si aprì quasi subito

A rispondere fu una ragazza vestita nello stesso modo, anche lei con tanto di gorgiera e nome scritto sul colletto. Elka Frog.

“Un invito per la Duchessa Marie alla partita di croquet della Regina di Cuori” spiegò porgendole la lettera.

Lei sbuffò afferrandola ed entrambi si chinarono in segno di saluto, sfortuna volle che finirono incastrati per le capigliature, i capelli argentei della ragazza si attorcigliavano ovunque.

Maka si mise una mano davanti alla bocca per non farsi sentire mentre rideva a crepapelle. Ci misero un po’ per liberansi e alla fine la povera Elka aveva perso una ciocca di capelli che l’altro valletto le aveva strappato pensando fosse sua, nonostante non possedesse propriamente zazzera di alcun tipo.

Quando quest’ultimo se ne fu andato Elka si sedette pesantemente a terra davanti alla porta, con aria scocciata. Fu allora che Maka decise di venire fuori.

Quell’Elka non sembrava pericolosa. Almeno non pericolosa come i topi al neon. Avanzò nella radura che ospitava la casetta.

“Salve” salutò circospetta. Elka, seduta con il viso sorretto dalle mani a conca e i gomiti sulle ginocchia, alzò gli occhi per guardarla.

“E’ qui che abita Marie?” chiese. Non sapeva se poteva fidarsi di quello che aveva detto il tipo strambo del fungo, ma era stato gentile a donarle i pezzi del suo sedile in modo da farla crescere e rimpicciolire a suo piacimento. Aveva quindi deciso che peggio di così non poteva andare, se quello Stein l’aveva mandata da Marie, che a quanto pareva era pure Duchessa, forse ne avrebbe tratto qualche cosa di buono.

Elka annuì con aria disinteressata.

“Posso entrare?” chiese poi, dato che lei non pareva volerla invitare. La ragazza con la gorgiera alzò le spalle. Maka s’accigliò e stizzita entrò senza chiedere altro, mentre Elka cominciava a borbottare tra sé e sé “Ma guarda cosa mi tocca fare, a parte che questa gorgiera è scomodissima, poi ho dovuto ingannare le Mizune e dire che è stata la Regina di Cuori a uccidere loro sorella, mentre invece è stata la Regina Rossa. Già lo so che alla partita di croquet si scatenerà un pandemonio! Come vorrei poter scorazzare libera nel paese oltre lo specchio…”

Continuò a parlare, ma Maka non la sentì più perché la porta bianca, dalla quale era entrata, si chiuse dietro alle sue spalle con un botto.

Nella stanza dove si trovava c’era un forte odore di caffè, nel centro stava seduta una donna guercia, ma nonostante questo piuttosto piacente, che Maka immaginò essere la Duchessa Marie, che teneva in braccio un neonato piangente. Presso i fornelli, invece, stava un uomo con un grembiulino rosa che sembrava cercare urgentemente qualche cosa.

“Salve” salutò Maka titubante prima di incontrare il sorriso dolce della Duchessa.

“Buongiorno!” salutò distogliendo gli occhi dal neonato, che si affrettò a smettere di piangere per dare attenzione alla nuova arrivata. Anche l’uomo, in veste da cuoca, si voltò a guardarla per poi chiedere se desiderava un caffè.

“Oh, no, grazie, non bevo caffè” si affrettò a rispondere Maka il più gentilmente possibile.

“Meglio così, perché proprio non lo trovo!” rispose il cuoco cominciando a lanciare piatti e padelle per aria alla disperata ricerca del barattolo che conteneva il più volte citato caffè.

“Attenzione!” esclamò la ragazza notando che per poco le stoviglie non avevano colpito il neonato che aveva invece afferrato un mestolo e lo brandiva come una bacchetta magica. Marie si dondolava sulla sua sedia a dondolo e non pareva per nulla preoccupata per quella pioggia di pentole, doveva essere una cosa normale in quella casa.

Fu più o meno in quel momento che Maka si accorse che sopra una mensola piena di zucche, proprio vicino al cuoco, stava un gatto viola particolarmente sorridente. Si stropicciò gli occhi, da quando i gatti sorridevano?

“Signora Duchessa? Come mai il suo gatto ride?” domandò perplessa. C’erano tante cose che avrebbe potuto chiedere, ma alla fine non aveva potuto fare a meno che chiederle informazioni su quello strano felino.

“Oh, beh, quello è un gatto da zucca. Tutti i gatti da zucca ridono quando stanno vicini agli uomini…” spiegò tranquilla la Duchessa sorridendole. Maka guardò di nuovo il gatto e le parve, per un secondo, che le stesse anche facendo un occhiolino.

Decise di distogliere lo sguardo prima di pensare di essere definitivamente impazzita, e tornò a guardare Marie.

“Come mai qui? Se non per prendere un caffè insieme a me e B.J.?” e così dicendo indicò il cuoco, che doveva essere appunto B.J..

“Credo di essermi persa, seguivo un coniglio rosa e sono finita qui… vorrei tornare a casa…” spiegò un po’ malinconica.

Marie la gratificò con un sorriso dolce “Non ti preoccupare, mi perdo sempre anche io. Soprattutto quando vado nel paese oltre lo specchio. Fortuna che c’è Azusa. Magari potrebbe dare una mano anche a te, da dove vieni?”

Maka sentì che il cuore le si scaldava sentendo quelle parole rassicuranti, ma si sentì subito gelare appena si rese conto che non si ricordava da dove veniva.

Marie vide il sorriso sparire dal volto della ragazzina. “Non lo so” ammise infine, arresa.

La Duchessa si strinse le mani in grembo, con preoccupazione per poi dire “Forse allora dovresti rimanere ancora un po’ qui. Sono sicura che, anche se non ti piace il caffè, troverai qualcuno che può offrirti del tea, ti piace il tea?” chiese.

Maka annuì mentre B.J. diceva “Secondo me è meglio il caffè”.

A quel punto alla ragazza tornò in mente dell’invito che la Duchessa aveva ricevuto, ma del quale non era ancora stata informata. “Le è arrivata una lettera, ma la sua valletta è rimasta fuori con la busta della lettera. Forse non passava dalla parta” ragionò mentre lo diceva.

“Ah, sì?” domandò Marie assorta. Maka annuì “Un invito a una partita di croquet da parte della Regina di Cuori”

La Duchessa si incupì “Accidenti… immagino si terrà a Baba Yaga… mi perdo sempre quando provo ad andarci. Sarà meglio che parta subito. Tieni Angela, e stai attenta alle Regine, a questa partita probabilmente scoppierà un pandemonio!” esclamò sparendo.

In quel momento il cuoco ricominciò a lanciare piatti a destra e a manca, e Maka, presa alla sprovvista, si vide costretta a scappare con la neonata in braccio, fino a trovarsi fuori. Elka era ancora lì a borbottare ma Maka non ci fece caso e tirò dritto mentre B.J. usciva in giardino e strappava i fiori dai vasi urlando “Dov’è finito il caffè?”

L’ultima cosa che vide fu Elka Frog colpita da un’anfora decorativa.

Quando si fermò si rese conto di non avere più in braccio la neonata, che invece le stava in piedi davanti e la fissava. Era cresciuta di un bel po’ in quei pochi passi che avevano fatto dalla casa, ma Maka era convinta che fosse sempre Angela. Rimasero a guardarsi per qualche secondo poi la bambinetta staccò da terra una canna di bambù, ci si mise a cavalcioni e volò via.

La ragazza la guardò sparire nel cielo, perplessa. Forse la Duchessa si sarebbe arrabbiata, aveva perso la sua neonata, che si era letteralmente involata. Ma quel posto era così strano che si tranquillizzò subito, una bambina che vola via in sella a una canna di bambù doveva essere all’ordine del giorno.

Riprese a camminare verso una direzione casuale ma non ci volle molto perché qualche cosa la facesse nuovamente sobbalzare: una donna completamente nuda, se non per il cappello a punta, se ne stava appollaiata sopra a un ramo.

“Ciao, io sono il gatto da zucca. Mi chiamo Blair” si presentò melliflua la donna. Maka la guardò, ma ogni perplessità sparì in pochi secondi, anche quella Blair, come tutti gli strani personaggi che aveva incontrato prima di allora, le ricordava qualcuno.

“Oh, ciao gatto da zucca Blair, non è che tu sapresti dirmi come tornare a casa, anche se non so più qual è casa mia?” chiese.

La stregatta alzò le spalle “Questo non te lo posso dire, ma se vuoi ti posso indicare la strada per andare dalla Lepre Attaccabrighe” e indicò la sinistra “O dal Cappellaio Matto” e indicò la destra. 

Maka ci pensò un poco, stava per chiedere qualche cosa, dato che nessuna delle due proposte la allettava, un’attaccabrighe e un matto  - figurarsi -, ma Blair era già sparita.

Sbatté le palpebre e poi decise che sarebbe stato il caso a farle scegliere la strada. Mise un bastoncino in equilibrio sulla punta e aspettò per vedere se sarebbe caduto a destra o a sinistra.

 

 

 

 

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Nella storia originale Alice incontrava un solo uccello, preoccupato che un serpente non gli rubasse le uova, in questo caso metterci le Mizune era un’occasione troppo ghiotta ^.^

Per quanto riguarda i valletti in realtà sarebbero stati un pesce (Fisher King) e una rana (Elka Frog), ma mi pare che non si vedano mai nei vari film. Sono invece più famose la Duchessa e la sua Cuoca, che in questo caso è stata trasformata in un cuoco, ovvero B.J.. In casa ci sarebbe dovuto essere una grande quantità di pepe e un inspiegato lancio di stoviglie. Dato che B.J. è un appassionato di caffè l’ho sostituito al pepe, l’unico inconveniente sta nel fatto che nessuno ha una scusa per starnutire.

Il neonato della Duchessa si trasformava originariamente in un porco, ma dato che qui viene interpretato da Angela ho preferito farla volare via.

Infine Blair. Sì, sono banale, ma potevo darla a qualcun altro la parte dello stregatto? Certo che no! e quindi quello che da Carroll viene presentato come un gatto del Cheshire qui è un gatto da zucca.

Inoltre il discorso tra lo stregatto e Alice è molto più lungo e lui le propone di andare dal Cappellaio matto o dalla lepre marzolina. Alice sceglie la lepre, qui invece Maka tenta la sorte.

 

Grazie mille a tutti quelli che leggono questa storia, spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto e che le spiegazioni infondo siano state esaurienti, a presto!!!

Aki_Penn

 

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