Look Forward, Don't Stare

di Ohra_W
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Home is where the hurt is ***
Capitolo 2: *** Lazy Days ***
Capitolo 3: *** I'm contemplating, thinkin' about thinkin' ***
Capitolo 4: *** Today this could be, the greatest day of our lives ***
Capitolo 5: *** Send someone to love me, I need to rest in arms ***
Capitolo 6: *** Could this be the magic.. at last ***
Capitolo 7: *** Then comes the evening that makes life worth living ***
Capitolo 8: *** Wait! There’s something that I wanna say ***
Capitolo 9: *** Take That.. and Party! ***
Capitolo 10: *** Once you’ve tasted Love it is just the beginning of a new world ***
Capitolo 11: *** I'm not perfect, but you don't mind that, do you? ***
Capitolo 12: *** I don’t know which way we are going, doesn’t matter anyway... just as long as you will stay ***
Capitolo 13: *** It's just a matter of time before you leave me alone ***
Capitolo 14: *** My head speaks a language I don't understand ***
Capitolo 15: *** What a wonderful world this is, that makes me want to kiss ***
Capitolo 16: *** I didn't lose my mind, it was mine to give away ***
Capitolo 17: *** Why's life never easy, or do we make it hard for ourselves ***
Capitolo 18: *** You don't want the truth. Truth is boring ***
Capitolo 19: *** The Day The Work Is Done ***
Capitolo 20: *** Complicated... Fractious... Twisted ***
Capitolo 21: *** She took a moment just to recognise the man she'd known so well before ***
Capitolo 22: *** At Last, We Meet On No Man’s Land ***
Capitolo 23: *** And so she stayed on sunset strip, a heart so full I drown in it ***
Capitolo 24: *** Look at the time it’s taken me, to get away from what was said ***
Capitolo 25: *** Is it only me now who’s thinkin’ of what we had and what we were? ***
Capitolo 26: *** Not giving up or giving in... why are we so complicated? ***
Capitolo 27: *** Shall I come over, shall I wait a little more? How much longer till I walk you through that door? ***
Capitolo 28: *** All that I want is to pick you up and out of that dress ***
Capitolo 29: *** My heart is numb has no feeling, so while I’m still healing just try..and have a little patience ***
Capitolo 30: *** Take me by the hand, just don't try and understand ***
Capitolo 31: *** May this moment of surrender live in your heart forever ***
Capitolo 32: *** Do you feel what I feel? Everytime that you are near it's a beautiful world ***
Capitolo 33: *** So tell me what to say, to let you know I’ll always be there ***
Capitolo 34: *** No it’s not in my head, I can’t awaken the dead day after day ***
Capitolo 35: *** This time I’ll be different I promise you, this time I’ll be special you know it ***
Capitolo 36: *** You know it's time, we need to change how can we live with all these maybes ***
Capitolo 37: *** What’s the point in love when you have to give it up? ***
Capitolo 38: *** Words are hard to keep inside, even though I've tried, impossible to hide ***
Capitolo 39: *** Well it all seems out of reach, I will take the blame if it keeps the peace ***
Capitolo 40: *** You can look back but don’t stare, maybe I could love you out of there ***



Capitolo 1
*** Home is where the hurt is ***


Asia si ritrovò a impacchettare la sua valigia in men che non si dica, quasi in preda a un raptus di follia. Da quando la sua storia era andata in fumo, si era buttata nelle più svariate attività per non restare un solo secondo ferma a pensare, e il tempo era volato in un batter d’occhio fino a giugno, senza che se ne rendesse conto. In quel momento realizzò, forse per la prima volta dopo “la tragedia”, che nel suo imminente futuro non c’era niente che potesse somigliare a quelle storie d’amore che si leggono nelle favole, come aveva sognato nei 5 anni precedenti. Che tristezza! Tutto era svanito in un soffio di fumo, tutto era sparito improvvisamente come se si fosse trattato solo di un bel sogno, lasciandola col cuore vuoto e in mano un pugno di mosche.
Ma almeno una cosa la doveva a se stessa: negli ultimi anni aveva messo da parte un bel gruzzoletto, sperando forse di poter utilizzare quel denaro per organizzare un matrimonio che non ci sarebbe mai stato, e decise che avrebbe speso quei soldi in un viaggio all’avventura per le città europee che più le erano rimaste nel cuore, a zonzo e soprattutto senza certezze, quelle certezze di cui era vissuta fino a qualche mese prima, quelle stesse certezze che l’avevano abbandonata da un giorno all’altro, come se non fossero mai esistite.
Berlino, Birmingham, Londra.. non vedeva l’ora di rivedere quelle città che tanto le avevano regalato, per poi volare dritta dritta verso un giro di Scozia e Irlanda, che erano rimaste tra i paesi al mondo in cui ancora non aveva piantato la sua bandierina, ma che da sempre desiderava conoscere.
Guardò la sua cartina: la Scozia! Tutto quel verde, quell’aria di misterioso e di gotico, e tutta la storia antica che si respirava da quelle parti erano una vera e propria calamita per lei.
Chissà perché, nonostante i suoi numerosi viaggi, non ne aveva mai organizzato uno che la portasse nella terra dei kilt e dei Castelli medievali, pur avendoci pensato spesso; si rammaricò di come, l’anno della maturità, mentre tutte le sue amiche partirono per l’inter-rail in Europa, lei se ne andò a Rimini col suo fidanzato dell’epoca. Era sempre stata una che aveva anteposto l’amore al divertimento, e, chissà perché, l’aveva sempre pagata per questo.
Non avrebbe mai immaginato di incontrare davvero qualcuno che indossasse un kilt. Era convinta che si trattasse soltanto di una parte integrante del folklore locale, eppure tante persone che c’erano state le avevano assicurato che ne avrebbe incontrati parecchi!
Non vedeva l’ora di partire, di lasciarsi alle spalle tutta l’angoscia degli ultimi mesi e pensare ad altro. Allargare i suoi orizzonti, affrontare, forse per la prima volta nella sua vita, qualcosa da sola, senza la compagnia o l’aiuto di nessuno. Certo, l’idea un pochino la spaventava, non aveva mai affrontato un viaggio così lungo tutta da sola, ma allo stesso tempo la viveva come una sfida, una scommessa con se stessa per ripartire da lei. Se non altro sarebbe stata un’esperienza di vita non indifferente.
Ma che fatica preparare la valigia! Proprio non sapeva cosa metterci dentro, così preferì lasciarla mezza vuota, tanto sapeva che in giro per l’Europa avrebbe trovato sicuramente molto tempo per fare shopping e soprattutto moltissimi negozi che avrebbero incontrato il suo gusto “eclettico” per la moda.
All’improvviso, mentre era assorta nei suoi pensieri che andavano a ruota libera come un fiume in piena, degni del miglior libro di James Joyce, squillò il cellulare. Era Maya, la sua adorata cugina/sorella che da quando aveva saputo di questo suo folle progetto, si era convinta che stesse definitivamente perdendo il lume della ragione. “Secondo me stai andando fuori di testa. Ma non hai paura??” “Paura?? È sempre stato il mio sogno girovagare per l’Europa, perché dovrei avere paura?” “Per esempio perché vai sola??? Tesoro lo sai che se avessi potuto sarei venuta con te, ci saremmo divertite un mondo. Ma quello schiavista del mio capo non mi lascia un giorno libero nemmeno se sto per morire soffocata davanti a lui!” “Se avessi deciso di andare con qualcuno, tu saresti stata l’unica persona che avrei voluto con me. Ma ho deciso di trascorrere queste settimane da sola, per ritrovare me stessa e capirci di nuovo qualcosa della mia vita, di ciò che voglio e di ciò che è meglio per me. Lo so che suona da folli, ma lo sai..un pizzico di follia è sempre stato parte di me!!”.
“Ok, rispetto la tua decisione, ma sai bene che non la condivido. E ricordati che se non mi chiami ogni giorno, quando torni ti spezzo le gambine!” “Ok, MAMMA, va bene.. ti voglio bene, cugi*, grazie.” “Anch’io ti voglio bene.. ricordatelo!”. CLICK.
Di nuovo sola, con i suoi pensieri. Lei e la sua valigia semivuota che l’avrebbe accompagnata in questa folle eppure tanto entusiasmante avventura.
Aveva buttato giù una sorta di piano di viaggio, abbastanza approssimativo ma ben preciso su alcuni punti: aveva comprato i biglietti aerei e prenotato l’albergo soltanto per le destinazioni a cui non voleva assolutamente rinunciare. Ovviamente Londra era una di queste, anche se, ancora non sapeva spiegarsi il perché, non sarebbe stata la prima città verso la quale era diretta.


<<<< Ci tengo a specificare che i Titoli dei Capitoli non sono assolutamente opera mia, ma sono frasi tratte dalle MERAVIGLIOSE canzoni di Robbie Williams e dei Take That, e sono quindi di loro esclusiva proprietà. >>>>

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Capitolo 2
*** Lazy Days ***


“Air Berlin, Flight 8271 to Berlin, immediate boarding, gate C6”. Si avvicinava arrancando al suo gate di imbarco, trascinandosi dietro il suo bagaglio a mano come si trattasse di un carro di buoi con tutto il contadino al seguito, maledicendo quella dannata interminabile coda al bar, solo per un misero tramezzino.. schifoso, tra l’altro!
Quanti ricordi girovagando per questo aeroporto, ambienti così familiari da sentirli come “casa” molto di più di casa stessa. Sembravano passati secoli, da quei tempi in cui, più o meno spensierata, vagava per i cieli alla ricerca di qualcosa, o qualcuno, che la facesse sentire “a casa”.  Secoli in cui tutto era successo, in cui finalmente aveva attraversato il ponte ed era passata definitivamente dalla ragazza che era, allegra, stralunata, sempre con la testa tra le nuvole (in tutti i sensi!) alla donna che era diventata, con i piedi ben saldi a terra, e con tanti progetti per la sua vita che erano lontani anni luce da qualsiasi cosa avesse pensato anni prima. Progetti che erano andati in frantumi come un castello di sabbia, lasciandola sola con un vuoto da riempire, e una vita da ricostruire.
Col naso attaccato al finestrino, registrava nella sua mente uno spettacolo che aveva visto migliaia di volte prima, scorrendo una ad una le nuvole che passavano sotto di lei, cercando di immaginare una forma per ognuna di loro.. eppure quello stesso spettacolo in quel momento, dopo tutti quegli anni, le sembrò diverso da tutte le altre volte. O forse era lei a sentirsi diversa.
Aveva scelto Berlino come sua prima tappa. Perché Berlino? Non c’era un motivo preciso. Berlino rientrava in quella categoria di città che lei amava particolarmente, nonostante ci fosse stata solo un paio di volte. C’era un non so che di familiare per quelle strade, nonostante in verità le avesse percorse così poche volte e fossero completamente diverse da quelle a cui era abituata; allo stesso tempo, vi respirava un aria imperscrutabile, impenetrabile, che sapeva di storia e di mistero,  ma anche di speranza e aspettativa, forse dovuta alla presenza dei resti di quel muro che tanto aveva immaginato ripensando all’assurdità di quei tempi, ricordando quel giorno in cui, ancora bambina, guardava quelle immagini da film alla tv, dove persone di tutte le età scavalcavano frettolosamente e impavidamente quello stesso muro che di lì a poco sarebbe stato abbattuto.
L’atterraggio fu tutto fuorché “morbido”, e questo le fece temere di come potesse essere il meteo della giornata.. menomale che, come sempre, aveva con sé il suo inseparabile mini-ombrello da borsetta!!
La Unter den Linden era imponente come sempre.. con il suo vialone alberato e quei palazzoni immensi le aveva sempre dato un’impressione di maestosità che la faceva sentire come Davide davanti a Golia. Man mano che percorreva il viale ritrovava scenari che credeva dimenticati e che invece erano rimasti ben impressi nella sua mente, e quando arrivò davanti alla grandiosità del Westin Grand, riaffiorarono ricordi di tempi che sembravano lontani anni luce. Quella hall gigantesca e lo scalone regale che portava ai piani le ricordarono di quando, durante i mondiali di calcio, scese nella hall per andare a vedere la partita Italia-Usa al maxischermo della Porta di Brandeburgo, con indosso la sua magliettina della nazionale, sotto lo sguardo atterrito di tutti gli uomini d’affari e le donne ben vestite che soggiornavano nell’hotel…che ridere ripensando a quando, dopo il match, lei e le sue amiche si ritrovarono a bere birra e scherzare con i tifosi americani!
Appena entrò in camera, il lettone queen size le fece immediatamente venire voglia di farsi un pisolino, ma pensò che come primo giorno di vacanza non era esattamente questo ciò che aveva immaginato.
Perciò quel pomeriggio, dopo una lunga doccia rigenerante, decise di andare a fare una passeggiata, visto che il tempo era decisamente migliorato. Con le cuffie nelle orecchie, le mani in tasca e la sua cartella a tracolla, contenente la sua inseparabile reflex, il suo libro e un taccuino per gli appunti, si avviò.
Dopo aver preso un bel caffé, decise di fermarsi al parco Tiergarten per rilassarsi un po’ e leggere un libro. Si guardò intorno: 200 ettari di verde e tranquillità, tutto ciò che desiderava in quel momento. Si trovò un bel posticino isolato nei pressi di un laghetto in cui nuotavano placide delle piccole anatre, e si sistemò all’ombra di un albero non molto alto.
Assorta nel suo avvincente romanzo, non si rese conto che erano passate già un paio d’ore; alzò la testa soltanto quando sentì un gridolino tenero non molto distante da lei, e la scena bellissima che le si presentò davanti distolse la sua attenzione dal libro: un papà spingeva la sua piccola bambina sulla bicicletta, con lo sguardo più amorevole che si potesse desiderare di incontrare. Affondata nella nostalgia, decise che aveva letto abbastanza, e pensò di andare a mangiare qualcosa, visto che il suo stomaco iniziava a reclamare cibo.
Si alzò lentamente, e, infilando il libro nella morbida borsa a cartella che aveva comprato appositamente per questo viaggio, si diresse fiduciosa verso Potsdamer Platz. Arrivata nella piazza, si fermò a contemplarla: a guardarla bene, questa moderna esplosione di colori e architettura, nascondeva le tracce della Berlino anteguerra; la vecchia insegna della S-Bahn, vicino all’uscita della metropolitana, e le vestigia neobarocche del Grand Hotel Esplanade, rappresentavano alla perfezione la magica fusione di vecchio e nuovo che si respirava in questa città.
Dopo aver mangiato un wrap mozzarella e pomodoro e aver gustato un fantastico smoothie, si sentì decisamente meglio e fu pronta per un meraviglioso pomeriggio di shopping.

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Capitolo 3
*** I'm contemplating, thinkin' about thinkin' ***


Quei giorni a Berlino trascorsero abbastanza in fretta, molto più di quanto aveva immaginato. Dopotutto, non era così male passare un po’ di tempo sola con sé stessa! Era andata in palestra, cosa che difficilmente trovava il tempo di fare quando era a casa, ma soprattutto aveva riflettuto molto e si era anche molto rilassata, oltre ad aver avuto modo di dare un nuovo sguardo alla città che, senza ombra di dubbio, era davvero suggestiva.
Il suo viaggio continuava, all’insegna dei ricordi e della conoscenza. Le fugaci telefonate serali alla sua adorata Maya scandivano il suo tempo che aveva preso a scorrere tranquillo, lontano dai vincoli angoscianti dell’orologio, e soprattutto, dai brutti pensieri che a volte tornavano ad offuscare quelli positivi che l’avevano accompagnata sin dalla sua partenza da Roma.
Ora si preparava a tornare nella sua amata Inghilterra, perché si sa, il primo amore non si scorda mai, e per niente al mondo avrebbe perso l’occasione di toccare almeno due delle sue amate città inglesi in questo viaggio, per proseguire poi verso le terre sconosciute ma a  lungo  desiderate di Irlanda e Scozia.
La prossima tappa sarebbe stata una città che costituiva una pietra miliare nella sua storia personale: Birmingham. Da lì era partito il suo amore sviscerato per l’Inghilterra, dopo una favolosa esperienza di un mese nella storica University House. Nel corso degli anni, da quel lontano 1994 ad oggi, era tornata spesso in Inghilterra, per vacanze o lavoro, ma non aveva mai più avuto occasione di tornare lì, al luogo originario di partenza, che aveva dato i natali a frasi storiche e aneddoti esilaranti. La città non aveva nulla di particolarmente degno di essere visitato, ma nel suo cuore aveva un significato importantissimo: da lì era nato il suo legame profondo con la terra anglosassone. Un legame che era sopravvissuto fino ad allora, nonostante i numerosi viaggi verso mete ben più ambite, veri e propri paradisi terrestri, che però non occupavano nel suo cuore lo stesso posto che da tempo era riservato alla sua “beloved old England”.
Fu stranissimo rivedere quelle strade che le sembravano addirittura sconosciute, che in un primo momento le sembrò di percorrere per la prima volta.  Una cosa che le tornò subito familiare, era la sua caratteristica multietnica: la sua mitica Brummagem ospitava quasi più asiatici che britannici, e non ci voleva molto ad accorgersene. La temperatura era davvero piacevole: quella leggera brezza fresca che rendeva gradevoli le passeggiate, era tipica di questa città che d’estate difficilmente superava i 26 gradi. In effetti, quella felpetta che si era portata dietro si era rivelata davvero preziosa, per lei che anche in piena estate in Italia trovava il modo di sentire freddo!
Quel pomeriggio era inevitabilmente dedicato alla visita al suo “luogo di culto” in questa città: la “University House”. Il taxi la lasciò davanti al viale di ingresso, e quando lo vide dileguarsi in lontananza, si girò a guardare questa imponente struttura. Rimase in piedi ad ammirarla per qualche minuto. Tutto quel verde, che l’aveva impressionata sin dal primo sguardo al catalogo delle vacanze-studio, sembrava essere rimasto intatto in tutti quegli anni. L’edificio rossastro con le finestre bianche che era diventato il protagonista di quasi un centinaio di sue foto, era stato costruito nel 1912, come residenza per le studentesse dell’università. Nel 1964, divenne uno dei primi residence per studenti misti del Regno Unito, anche se ricordava con un sorriso la netta divisione tra maschi e femmine, e le sue “fughe” tra i corridoi per le festicciole organizzate la sera nelle stanze dei ragazzi!
Tirò fuori la sua reflex dalla cartella e scattò una foto, poi si fece coraggio e avanzò nel vialetto con la speranza di poter entrare anche solo per 10 minuti. Suonò al portone che vide stranamente chiuso, e le aprì una signora di mezza età che la guardò con aria interrogativa. “Buongiorno, ho soggiornato in questo College anni fa durante una vacanza studio.. mi chiedevo..beh, se fosse possibile entrare per ricordare i vecchi tempi” disse sfoderando il migliore sorriso del repertorio. La signora aveva un viso molto rilassato, e un’espressione cordiale stampata sul volto. “Veramente, la Univeristy House non è più residenza di studenti dal 2002”. “Oh beh.. se fosse possibile entrare, anche solo per 10 minuti, glie ne sarei davvero grata… sto facendo un giro nei luoghi che più di altri hanno lasciato un’impronta nella mia vita e nel mio cuore.. sono italiana” come se il lungo viaggio intrapreso per arrivare fin lì potesse in qualche modo colpire la sensibilità della signora. Questa corrucciò la fronte per un attimo, come assorta in una serie di velocissimi pensieri, quindi sorrise con aria complice, e le mostrò la strada “Non posso farla stare molto, ma mi sembra di capire che è una questione affettiva”, sorrise di nuovo, e la fece entrare. Asia si addentrò per i bui corridoi della residenza, mentre la signora le faceva strada.
All’improvviso fu tutto un susseguirsi di ricordi ed emozioni, e le sembrò di essere stata catapultata indietro nel tempo di diciassette anni. Entrò nel teatro e immediatamente le vennero in mente quelle performance strabilianti che avevano fatto morire dalle risate lei e i suoi compagni d’avventura, i mitici ragazzi de “Il gruppo è vivo”, e la sua performance molto rock di “It’s been a hard day’s night” che aveva fatto andare in delirio il pubblico urlante (anche se in effetti la più delirante era la sua migliore amica, ma poco importava!!!). Attraversò la dining room, quante crambled eggs aveva mangiato, quanta “yellow water” aveva bevuto a colazione in quella sala mensa!
Dopo aver fatto una capatina nella mitica Barling Room, testimone oculare di molte marachelle che aveva lei stessa organizzato a danno dei ragazzi cosiddetti “più tranquilli”, la signora le fece gentilmente capire che era giunta l’ora di andare.
Rientrata in albergo, giusto il tempo di darsi una bella rinfrescata, si mise alla ricerca di qualche pub spinta da un’irrefrenabile voglia di una bistecca e una jacket potato, inondate da una birretta come si deve. Girovagando senza una meta precisa, si trovò davanti ad un Pub chiamato The Actress and Bishop, e, visto che ormai si erano fatte le 8 passate, decise di fermarsi, onde evitare di trovare chiusa la cucina; il che, dato che in quel momento era talmente affamata da riuscire ad ingoiare un bue senza nemmeno masticarlo, fu una saggia decisione, poiché è una verità universalmente conosciuta che in Inghilterra dopo le 20,30 è molto difficile trovare un Pub che serva qualcosa da mangiare per accompagnare le fantastiche pinte di “Strong Ale”.
Leggendo il suo taccuino iniziò a viaggiare con la fantasia verso le meravigliose mete che stava per raggiungere. Dopo questa “fuga d’amore”, infatti, l’aspettava la sua città del cuore: Londra! Guardò il biglietto aereo custodito gelosamente nella cartellina che aveva nella borsa, sua adorata compagna d’avventure, e,Surprise Surprise!, aveva in tasca il suo meraviglioso biglietto per il concerto dei lads a Wembley, che la sua adorata Maya le aveva regalato come amuleto di buon auspicio per questa sua folle avventura.
Ricordava la sera in cui glie l’aveva dato come fosse ieri…
“Dai, dimmi che cavolo c’è in quella dannata busta, ti prego! Lo sai che sono curiosa come una scimmia!!”
“Non lo faccio perché so già che se te lo dico inizi a saltarmi come una pazza per tutta casa e non voglio che i vicini sottoscrivano una mozione per cacciarmi dal palazzo!!”… Senza nemmeno ascoltarla, Asia aveva aperto la busta con impazienza. Vi trovò un bigliettino con su scritto: “Tutto arriva a coloro che sanno aspettare”. Lo aprì, dentro c’era un’altra piccola busta e l’inconfondibile grafia della cugina a suggerire: “goditi il tuo primo concerto in Uk dei TT!!!”… con le mani tremanti, distrusse la busta tirando fuori quel biglietto che tanto aveva sognato… e abbracciò la cugina in lacrime. “Vorrei poterti portare con me, ma ho bisogno di stare sola con me stessa e capire dove voglio andare. Anche se, almeno per quel giorno, non avrò dubbi su dove andare: a Wembley!!! Grazie cugi!!”.

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Capitolo 4
*** Today this could be, the greatest day of our lives ***


Ladies and gentlemen, welcome to London Heathrow, the current time is 8.30 am and the outside temperature is 25 degrees Celsius. Thank you for choosing to fly British Airways, we hope to see you again on board of one of our flights”. La voce dell’assistente di volo la svegliò di soprassalto. Era più forte di lei, appena si appoggiava sul sedile di un aeroplano, cadeva in un sonno profondo.
Scese dall’aereo e respirò aria di casa. HEATHROW.
Per lei significava solo una cosa: HOME!
Era stata a Londra almeno una ventina di volte nella sua vita, e ormai aveva visto davvero tutto. Eppure, ogni volta riusciva a trovare un motivo per amarla ancora di più, se possibile, e qualche piccola chicca che le faceva pensare: “anche questa volta ne è valsa la pena!”.
Il taxi girava con dimestichezza per le strade appena baciate da un raggio di sole, ad una velocità abbastanza sostenuta. Londra era piuttosto tranquilla per essere una calda mattinata di fine giugno… c’era qualcuno che girava con la classica cup of coffee in mano, passeggiando frettolosamente dirigendosi chissà dove; il cielo era incredibilmente limpido, come si può vedere solo pochi mesi l’anno in Inghilterra, e un timido sole faceva capolino tra poche, piccolissime nuvole.
Arrivata in albergo, lasciò la valigia al fattorino che glie l’avrebbe sistemata in camera (ovviamente dietro lauta mancia!), e uscì immediatamente dopo aver fatto il check-in. Uscì per una passeggiata, direzione Piccadilly. Era una sorta di rito per lei: non appena metteva piede a Londra, la sua prima destinazione era la famosissima piazza simbolo della città. Uscita dalla metropolitana, si guardò intorno: l’Angelo della Carità Cristiana faceva bella mostra di sé nella piazza “dei colletti”, e riaffiorarono alla sua mente ricordi di anni e anni or sono. Si diresse verso Regent Street, non poteva mancare la sua solita puntatina da Whittard per comprare ogni tipo di tè e cioccolata da riportare in Italia: ogni volta che vi metteva piede faceva la scorta per un anno! Senza rendersene conto si trovò ad Oxford Circus, e la sua passeggiata proseguì per Oxford Street, una distesa interminabile di negozi fantastici, fonte inesauribile di tentazioni per lei che era una inguaribile shopping-addict! Ovviamente finì come al solito per svaligiare tutti i negozi che le capitarono a tiro, con conseguente portafogli vuoto e braccia piene zeppe di sacchetti. Avrebbe voluto continuare il suo giro di shopping, ma era stanchissima, e optò per un pranzo veloce e una puntatina a Hyde Park per leggersi il suo libro in santa pace. Il tempo di prendere un “cafè solo” a portar via da Starbucks, come da copione, e, romanzo alla mano, si diresse a piedi verso Hyde Park. Posò tutti i sacchetti a terra, e, sistematasi ai piedi di un albero altissimo,
aprì il suo libro e iniziò a leggere.
Il primo pomeriggio passò tranquillo, e il sonno si fece sentire, quando, giunta alle ultime righe del penultimo capitolo, le si inziarono a chiudere gli occhi.
Decise così di andare a fare un bel pisolino, visto che il tempo era un tantino peggiorato, il sole era andato via e iniziava a sentire un po’ di fresco; in effetti vestiva un po’ troppo leggero per essere in Gran Bretagna! La classica variabilità del meteo londinese: un attimo prima sei baciato dal sole (quelle rare volte in cui riesci a intravederlo tra le nuvole!) e l’attimo dopo il cielo torna ad essere grigio come nella migliore tradizione “very british”. Tra l’altro, perfettamente in linea col suo carattere da eterna metereopatica, il suo umore andava progressivamente e inspiegabilmente peggiorando, quindi tanto valeva rientrare in albergo e schiacciare un pisolino per riprendere energie.
Rientrando in hotel, notò uno strano fermento in giro: tutti nella hall erano molto indaffarati e la ragazza alla reception rispose con un distratto “NO” alla sua domanda se l’avesse cercata qualcuno. Strano: aveva cercato Maya un paio di volte quel giorno, ma non aveva risposto alle sue chiamate, le aveva perfino mandato due messaggi! Beh, l’avrebbe sentita in serata. Per adesso, aveva solo una gran voglia di riposare un po’.
Aveva voluto trattarsi davvero bene a Londra, proprio nella sua città del cuore non voleva farsi mancare nulla, e la sua stanza era davvero fantastica. Dopo una bella doccia rigenerante, in quello che sarebbe stato davvero il bagno dei suoi sogni, con una doccia che poteva ospitare almeno 4 persone, e il soffione gigantesco che le lasciava cadere in testa una cascata di piacevolissima acqua tiepida, si infilò un paio di shorts e una t-shirt, pronta per un sonno purificatore; il gigantesco lettone la accolse a braccia aperte, e in men che non si dica, nonostante una serie di brutti pensieri le affollassero prepotentemente la mente, cadde non troppo beatamente tra le braccia di Morfeo.
Si risvegliò all’improvviso, in preda al panico, dopo aver fatto un sogno sconvolgente, uno di quei sogni che ti lasciano l’amaro in bocca e la sensazione di angoscia per giorni a venire. Guardò fuori: era già buio, doveva aver dormito parecchio, accidenti, dovevano essere almeno le 2 di notte. Filtrava dalle finestre solo un piccolo bagliore di luce proveniente dal lampione della strada.
Si era svegliata pervasa da una bruttissima sensazione, e per la prima volta da quando era partita si sentì davvero sola. Provò a chiamare Maya, l’avrebbe sicuramente consolata un po’ e avrebbe fatto una battuta divertente per farla ridere. “Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile.” Ma che cavolo di fine aveva fatto tutto il giorno? Le lacrime iniziarono a scorrere senza che nemmeno se ne accorgesse, e iniziò a pensare che forse non era stata proprio una bella idea partire tutta sola.. ma cavolo, tutta questa tristezza doveva sorprenderla proprio ora che si trovava nella città dei suoi sogni? Decise di andare a fare un giro per schiarirsi le idee: le avrebbe sicuramente fatto bene. Si alzò di scatto alla ricerca dell’interruttore della corrente.. ma dove diavolo l’avevano messo, porca miseria? Quando era rientrata era giorno e non ci aveva nemmeno fatto caso, e ora andava a tastoni nella stanza rischiando di sbattere da qualche parte… nemmeno il tempo di pensarlo, che sentì un dolore lancinante al ginocchio destro… aveva colpito qualcosa! Nel buio, imprecando in continuazione, trovò finalmente un interruttore tastando il muro circostante, e quando accese la luce, si rese conto di aver sbattuto il ginocchio contro un cassetto aperto della cassettiera.
Il dolore era forte, e pensò che se non avesse messo subito del ghiaccio sul ginocchio, il giorno dopo sarebbe a malapena riuscita ad alzarsi dal letto. Aveva bisogno di una macchina per il ghiaccio… e non aveva la minima idea di dove trovarla. Chiamò la reception, e le rispose la voce di un ragazzo palesemente gay, che non prestò troppa attenzione alla sua richiesta: “la macchina per il ghiaccio la trova al V piano”  e attaccò. “Ma che maleducazione!”, pensò “domani dovrò lamentarmi per la mancanza di professionalità di questi receptionist!”.
Fifth floor, disse l’elegante voce di donna nell’ascensore, e appena si aprirono le porte, si buttò letteralmente contro la macchina per il ghiaccio che faceva bella mostra di sé nel corridoio.
Ovviamente, quello doveva essere il suo giorno fortunato, perché era fuori servizio!
Iniziò a sbattere i pugni contro di essa, imprecando in tutte le lingue che conosceva, e anche in quelle che non conosceva, gli occhi le si riempirono di lacrime, e iniziò di nuovo a singhiozzare. “Ma cazzo, tutte a me devono succedere!?”. Sbatteva sempre più insistentemente i pugni sulla macchina che non dava segni di vita, e alla fine si sedette a terra e iniziò a piangere, coprendosi il viso con le mani.  

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Capitolo 5
*** Send someone to love me, I need to rest in arms ***


In quel momento una voce dal marcato accento nord britannico dietro di lei spezzò il senso di solitudine in cui era piombata. “Deve essere davvero arrabbiata, signorina, per trattare in questo modo quella povera macchina per il ghiaccio!”.  Stava per voltarsi e mandarlo a quel paese, quando si rese conto che quella voce in realtà le sembrava molto familiare… in un secondo la sua mente ripercorse anni e anni di ricordi, per trovare, in uno spazio recondito, quella famosa voce. Voltandosi, si trovò di fronte l’ultima persona sulla faccia della terra che avrebbe immaginato di incontrare in quel momento, e soprattutto, in quelle condizioni. “Tu… tu…sei..” “Si, io sono!” Disse con un sorriso disarmante. Tutt’ad un tratto Asia pensò alle condizioni in cui si trovava: indossava un paio di calzoncini e una t-shirt, ai piedi un paio di infradito, i capelli probabilmente tutti arruffati e gli occhi gonfi dalle lacrime e rossi di rabbia. Insomma, non doveva essere un gran bel vedere! Aveva desiderato per anni che quel momento arrivasse, aveva sognato tantissime volte come sarebbe stato il suo incontro con la sua star del cuore, ma di certo non era così che lo aveva immaginato: in genere nei suoi sogni segreti lei era sempre una gnocca pazzesca, indossava il più bello dei suoi vestiti ed era incredibilmente attraente! Ora invece Rob aveva davanti una ragazza sciatta, semi-svestita e praticamente inguardabile..che sfiga!
“Sei sempre così inebetita quando incontri un cantante o sono io che ti faccio questo strano effetto??” La voce di Rob la riportò alla realtà. (Certo, mi capita tutti i giorni di incontrare il mio cantante preferito, no?) “No, è che.. questo ginocchio mi fa molto male, mannaggia a me! E questa dannata macchina non funziona!” Si asciugò le lacrime col dorso della mano, e abbozzò un sorriso: “Comunque io sono Asia, piacere” gli mostrò il ginocchio gonfio e rosso “ho sbattuto contro un cassetto aperto mentre ero al buio, e..” “Asia, come il continente? Nome insolito, ma bello” Ma questo non la ascolta la gente quando parla?? “Comunque dovresti metterci su del ghiaccio” disse lui, con l’aria di uno che aveva scoperto l’acqua calda. “Ah-Ah… e secondo te cosa ci facevo qui a insultare questa macchina, cercavo sigarette??”. “Beh, sarebbe un’idea.. ho una gran voglia di fumare, è per questo che stavo uscendo in terrazza. Mi hanno dato una stanza non-fumatori e se non fumo l’ultima sigaretta della sera, non riesco a prendere sonno, maledettissimo vizio!” “Oh, grazie monsieur, che cavaliere. Io ho un ginocchio fuori uso e lei pensa a fumare?” Ma chi ce l’ha mandato a questo?
Lui le rifilò uno di quei suoi sorrisi furbetti che lei conosceva bene: “Dai, vieni con me, ho del ghiaccio nel frigo bar”, disse, invitandola a seguirlo con un gesto della mano.
Saranno state le 2 del mattino, lei stava seguendo Robbie per andare a prendere del ghiaccio nella sua stanza in un lussuoso hotel a Londra. Quanto sembrava strana tutta questa situazione?? Non le importò molto in quel momento, sentiva un gran dolore ed era ancora incredula riguardo a ciò che stava succedendo, quindi decise di non pensarci troppo e seguì quel simpatico individuo che le camminava davanti, con un sorrisetto stupefatto dipinto in viso.
Salirono per le scale ma non si rese bene conto di quanti piani: era troppo stanca per contarli! Poi attraversarono un lungo corridoio, e giunti a una porta a vetri, incontrarono un omaccione di colore (doveva essere Paul.. o James.. o qualcuno delle loro guardie del corpo, insomma!) che fece un cenno col capo a Rob e si spostò per lasciarli passare. Dopo aver attraversato un altro breve corridoio (ma come li avevano blindati ‘sti poverini? Sembrava di stare in un labirinto!) finalmente Rob estrasse dalla tasca una carta magnetica e aprì la porta davanti alla quale si erano fermati.
Entrati nella stanza (una suite megagalattica in cui ogni cosa brillava di luce propria, incluso il proprietario!), lui la fece accomodare sul divano nel salottino e le porse un fazzolettino di carta con cui asciugarsi il viso. Tirò fuori dal frigo bar un contenitore di ghiaccio, e, con fare disinvolto, lo versò in un piccolo asciugamano prima di porgerlo alla ragazza con l’aria di chi ne sapeva qualcosa di contusioni. “’Fanculo, fumerò qui dentro” disse tirando fuori una sigaretta dal pacchetto “se apro le finestre l’odore si disperderà più in fretta”. Dopo essersi asciugata gli occhi con il fazzoletto, lei studiò i suoi movimenti come se si trattasse di un caso da laboratorio, e abbozzando un sorriso sogghignò: “Scommetto che questo è il tuo modo preferito per addescare le ragazze” e lui prontamente “Oh, sì, in genere entro nelle loro camere, apro tutti i cassetti e poi stacco la corrente, metto fuori uso la macchina per il ghiaccio e poi aspetto che si mettano a sbraitare nel corridoio per rimorchiarle” disse con la sua conosciutissima aria da furfante. Allora aveva ascoltato tutto prima, mentre lei parlava! Le rubò un altro sorriso. Poi si fece più serio. “Scherzi a parte.. cosa può esserti successo di tanto grave per ridurti in questo stato? Eri davvero fuori di te..non può essere soltanto per il ginocchio” le chiese, a mezza bocca e con la sigaretta appoggiata tra le labbra, adagiandole con cura l’asciugamano col ghiaccio sul ginocchio che nel frattempo era diventato un peperone di dimensioni esagerate. “Ahi, brucia da morire!” “Dai, non fare la bambina capricciosa! Piuttosto tienilo fermo sul ginocchio, sennò non si sgonfia un bel niente.” La guardò dritto negli occhi: si fecero nuovamente lucidi, era evidente che aveva toccato un tasto molto, molto dolente. “Scusami, non volevo farmi gli affari tuoi. Fa’ finta che non ti abbia chiesto niente. Vuoi del caffé?” le disse avvicinandosi al tavolino su cui si trovava la macchina del caffé, con un sorriso rassicurante stampato in faccia. Lei allungò la mano per prendere la tazza, ringraziandolo con un sorriso, e poi lo scrutò, tentando di capire se la sua preoccupazione fosse sincera. Aveva un’aria assolutamente innocente, nonostante questa parola fosse quasi totalmente estranea a quell’individuo! Sarà stata la nostalgia, sarà stato il fatto che girava da sola da più di qualche giorno, ma tutt’ad un tratto, si sentì libera di parlare, quasi ne sentì la necessità, e le parole iniziarono a uscire a ruota libera dalla sua bocca. Senza accorgersene si trovò a raccontargli quasi tutta la sua vita in meno di un’ora (tralasciando naturalmente tutta la parte relativa alle sue follie da thatter e le disperate fughe da casa per andare a vedere i suoi concerti!), ed ebbe l’assurda sensazione di conoscerlo da sempre (il che, in un certo senso, era vero). Parlò del suo passato, della sua vita, del suo lavoro. E infine di come la sua storia era finita, nella sua disperazione più totale. Anche se ormai si era un tantino ripresa, era sempre difficile tirare fuori l’argomento.
“Il fatto è che quando una storia finisce ti senti come svuotato, soprattutto se ci avevi investito molto e vi avevi riposto tutte le tue speranze”concluse. Mentre Asia parlava, qualcosa si risvegliava nel cuore di Rob, qualcosa che lui aveva cercato di tenere distante da parecchio tempo. “Si, credo di sapere come ci si sente” sussurrò lui con la voce spezzata e gli occhi semichiusi, la fronte corrucciata di chi sta cercando di allontanare un pensiero dalla sua testa. Asia cercò il suo sguardo, non lo incontrò. L’uomo che le sedeva di fronte aveva iniziato un viaggio tortuoso negli angusti spazi della sua mente, e sembrò allontanarsi anni luce da lei, da quella stanza, e da tutto quello che era avvenuto negli ultimi sessanta minuti.
“Perdonami, effettivamente negli ultimi tempi mi comporto come se fossi l’unica persona al mondo che soffre invece anche tu chissà come sarai ferito dentro. Come stai? Ho letto sui giornali, tutta la tua storia che è uscita fuori. I media ne hanno parlato fino allo sfinimento, e invece tu non hai mai voluto fare dichiarazioni a riguardo. Scommetto che più della metà delle cose che sono state dette erano frutto della fervida immaginazione di quegli sciacalli dei giornalisti. Non vedono l’ora che a qualcuno di voi succeda qualcosa di spiacevole, per spiattellare tutto sui giornali, a modo loro e con il loro punto di vista.” Lo sguardo di lui si era fatto di ghiaccio. Sospirò. “Che scema che sono, piombo qui all’improvviso, impicciandomi degli affari tuoi e ammorbandoti con i miei problemi senza nemmeno chiedermi se hai voglia di ascoltarli, o se te ne freghi qualcosa. Cosa mi fa pensare che tu abbia la fantasia di stare qui ad ascoltare le mie lamentele? Forse uno stupido ginocchio dolorante?” Ecco, come al solito sono logorroica. Ora mi caccerà dalla stanza a calci nel sedere. Lui si fermò a guardarla, in silenzio. Sembrava riflettere su qualcosa di molto profondo, che però le sfuggiva completamente. Poi all’improvviso ruppe il silenzio. “E’ strano, riflettevo su come nessuno in questi mesi mi abbia mai chiesto “come stai”. A parte la mia famiglia e i miei amici, intendo. Tutti i giornalisti in cui malauguratamente mi imbattevo mi chiedevano cosa fosse successo, di chi fosse la colpa, ma mai come mi sentivo. È chiaro che non glie ne potesse fregare di meno, ovviamente. Ma sai, almeno un abbozzo di finzione, una frase di circostanza, niente. Per la verità credo che ognuno avesse già in mente la propria verità, in fondo. E non che mi importasse se a qualcuno fregava qualcosa di come mi sentivo, ma almeno un po’ di tatto, cazzo!”. I suoi occhi verdi guardavano lontano, come a cercare di focalizzare una realtà remota che aveva voluto tenere distante per tutto questo tempo. Aveva la fronte corrucciata, e Asia avrebbe giurato che di lì a poco avrebbe pianto. “Sai, io sono giunta alla conclusione che ognuno crei nella propria mente la sua verità su ciò che lo circonda. Restano fermi sulle proprie convinzioni, fregandosene di sapere la verità, e ancorati a ciò che credono ne fanno una realtà fittizia che dà loro sicurezza. Ma poi, alla fine della fiera, la TUA verità non la saprà mai nessuno, non solo perché tu puoi essere più o meno riservato sulle tue cose, ma soprattutto perché, in fondo, non glie ne frega più di tanto, non vanno a scavare in profondità; vogliono soltanto un’altra cosa di cui parlare, e quando avranno esaurito questo argomento, ne andranno a cercare un altro, senza preoccuparsi troppo di quello che lasciano alle spalle.” Aveva a malapena preso fiato tra una parola e l’altra. Guardò Rob, seduto di fronte a lei, con le gambe appoggiate al tavolino e le braccia incrociate, la sigaretta tra le dita e un’aria assorta, buttare fuori il fumo dalle narici, sbattere gli occhi e guardarla, assorto. Poi si difese:“Non hai idea di quanto sembri strano stare qui a parlare di queste cose con te, che in fondo sei un perfetto sconosciuto”. Rob la guardò stupito, come risvegliato da un brutto sogno, poi incalzò: “Ma io non sono un perfetto sconosciuto” aveva lo sguardo più severo del mondo, e, tenendo la sigaretta tra le dita, alzò in aria le braccia in segno di vittoria e disse “Sono il fottutissimo Re del Pop!!” scoppiarono all’unisono in una fragorosa risata, che finalmente ruppe il ghiaccio cancellando in un momento la tristezza che aleggiava nella stanza, proprio come avrebbe fatto una gigantesca gomma da cancellare. Convennero tacitamente che nessuno dei due aveva bisogno di rivangare il passato, perché entrambi avevano scavato a sufficienza nelle loro coscienze, avevano versato troppe lacrime, e tutto ciò di cui avevano bisogno ora, era soltanto una sana risata.
“Posso farti una domanda?” gli chiese dopo un paio di minuti di silenzio. “Fai pure” rispose Rob quasi spaventato all’idea che quella sconosciuta potesse tempestarlo di domande un po’ troppo personali. “Ma tu non hai una casa a Londra? Come mai sei in albergo?”. Lui, quasi sollevato dalla semplicità della domanda, rispose di getto: “Per la verità la casa londinese la sto vendendo. E comunque con i ragazzi abbiamo deciso di avere questo hotel come punto di riferimento per questo tour, infatti abbiamo anche una sala convegni tutta per noi per fare il punto della situazione  e incontrarci prima dei concerti e delle prove. E tu come hai fatto a sapere in quale albergo stavamo? E’ stato assolutamente top-secret fino ad oggi!” Lui, piuttosto, come diavolo aveva fatto a capire che era una thatter? Le si leggeva così palesemente in faccia? “Per la verità io non lo sapevo affatto. Conosco questo hotel dai tempi in cui venivo a Londra per lavoro e ho prenotato qui, anche perché è un bel po’ che sono, ehm..diciamo.. fuori dal giro. Piuttosto, è così palese che sono una vostra fan?” Altro mega sorrisone dei suoi, uno di quelli che hanno il potere di stenderti seduta stante, ovunque ti trovi: “Diciamo che ho un buon sesto senso!”.
Rimasero a parlare del più e del meno per un po’, quando Asia alzò lo sguardo verso la grande radiosveglia sul comodino e si accorse erano quasi le quattro! Guardò la sua tazza di caffè vuota e poi il pover’uomo seduto di fronte a lei che aveva un’aria decisamente stanca, quindi si alzò dicendo: “ si è fatto un po’ tardi, sarà meglio che vada. In tarda mattinata vorrei fare un salto in palestra, non vorrei essere troppo stanca. E anche tu, non hai l’aria molto riposata! Grazie mille della chiacchierata, del ghiaccio, di questo piacevole e inaspettato incontro.. credo che lo ricorderò a lungo”.
“E’ stato piacevole anche per me, ed è davvero strano per me incontrare qualcuno con cui poter fare una sana e tranquilla chiacchierata senza rischiare di ritrovarmi con la maglietta strappata e le orecchie stordite” Sorrise. “spero che il ginocchio guarisca presto. E anche il tuo umore”. “se lo farà, sarà anche grazie al tuo miracoloso ghiaccio accalappia-donne!” gli strizzò l’occhio e si allontanò verso la sua stanza sorridendo di quell’incontro fortuito ma graditissimo, pensando alla sua amata cugina Maya: le sarebbe preso un infarto quando glie l’avrebbe raccontato!
 
Per dovere di cronaca, devo farvi una premessa: Ho iniziato a scrivere questo racconto anni fa, dopo la fine di una storia. Per tirarmi su il morale una mia amica mi disse "dai, adesso potrai andare a cercare Robbie Williams e metterti con lui".. così mi è venuta questa idea, ovviamente ciò che c'è scritto è frutto della mia immaginazione e della mia (sconfinata) fantasia, anche se in alcuni punti è abbastanza autobiografica. Quando ho iniziato a scrivere non sapevamo ancora dell'esistenza di Ayda, e tante cose non erano successe, quindi avendo ripreso il racconto dopo qualche anno, ho modificato un po' l'idea originale del racconto, adattando le situazioni reali con la storia iniziale. 

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Capitolo 6
*** Could this be the magic.. at last ***


Le ci volle un bel po’ prima di addormentarsi, si girava e rigirava nel letto pensando a ciò che le era appena successo.  Aveva una sensazione di benessere tale, che aveva addirittura quasi dimenticato il dolore al ginocchio! L’indomani, però, avrebbe fatto bene a fare un salto da Boots per comprare una pomata!
Con questi bei pensieri, complice anche un po’ di stanchezza, si addormentò col cellulare in mano, pronto a comporre il numero di Maya, non appena si fosse svegliata.
Invece fu Maya a svegliare lei. “and through it all, she offers me protection, a lot of love and affection, whether I’m right or wrong..” la sua suoneria era inconfondibile, ma dopo I sogni che aveva fatto, le riuscì un tantino difficile capire addirittura chi fosse e dove si trovasse. “Hello?” ormai si era perfettamente calata nella parte di cittadina del mondo very british. “Mica dormivi??” la voce squillante di Maya la riportò alla realtà. “Ma che fine hai fatto? Sono giorni che ti cerco! Devo raccontarti una cosa incredibile!” “Ho avuto il cellulare fuori uso, non so che cavolo gli sia successo, maledetta tecnologia.. mi arrivavano le chiamate e si spegneva in automatico! Ora è in assistenza, sto usando il vecchio cellulare, anzi, siccome è un relitto pure questo, se cade la linea non preoccuparti.. comunque.. cos’è che mi devi raccontare?”. Asia la tenne un’ora incollata al telefono raccontandole per filo e per segno ciò che le era accaduto la notte precedente, incluso il piccolo incidente che le procurò quel magico incontro. “Lo vedi che ogni tanto il tuo essere completamente rimbambita porta buoni frutti?? Che cu**, non ci posso credere, sei nello stesso albergo dei Take? Ma come hai fatto a trovarlo? Hanno detto che è stato super segretissimo fino all’ultimo!” “Per la verità non ne sapevo nulla, ho semplicemente cercato un bell’albergo lussuoso non troppo lontano dal centro né dall’arena.. e mi sono ricordata di questo, ci venivo quando ero a Londra per lavoro! E poi lo sai che in questa vacanza ho voluto trattarmi bene! Sono arrivata qui e..” Maya la interruppe bruscamente “Ok, e quando lo rivedi??” “Come quando lo rivedo? Secondo te mi ha dato un appuntamento? Già è tanto che sono riuscita a beccarlo, per come sono blindatissimi! Hanno un corridoio tutto dedicato a loro, e non lasciano passare nemmeno una formica! A proposito, ho visto anche James, o Paul, o chi cavolo era..non li distinguo mai quei due!” restarono secoli al telefono per scambiarsi impressioni sull’accaduto, ma nonostante i tentativi di Maya di convincerla del contrario, ciò che sembrava evidente ad Asia era che il prossimo incontro (non troppo ravvicinato!) che avrebbe avuto con Rob sarebbe stato a Wembley, in mezzo a migliaia di altre fans.
Conclusa la telefonata (terminata con l’immancabile “Mi raccomando, appena succede qualcosa voglio sapere tutto, chiamami all’istante, anche a notte fonda!”) si infilò la sua tuta preferita e le scarpe da ginnastica ed era pronta per la palestra, così carica che avrebbe potuto fare due ore di corsa. Prima però fece una puntatina in farmacia per reperire qualche miracolosa pomata per le contusioni; la comprò  e tornò in albergo. Dopo averla massaggiata per bene sul ginocchio entrò nell’ immensa sala cardio-fitness dell’hotel, e inziò subito con una corsetta sul tapis-roulant.
In effetti già dopo la prima oretta scarsa era stanca morta, il ginoccho le faceva ancora un pochino male, e stava quasi pensando di abbandonare il campo per andarsi a sparare un bel panino al burger king, quando sentì un paio di occhi puntati su di lei. In effetti erano un bel paio di occhi verdi. Si girò e vide davanti a sé la faccia compiaciuta di Rob che, in tenuta ginnica e sempre con quel suo sorrisetto sornione, scandiva con movimenti della testa i passi veloci che faticosamente stava muovendo sul tappeto malefico. Inutile dire che smise di correre e in men che non si dica si ritrovò rovinosamente a terra.
“Insomma, tutta intera proprio non ci sai restare” disse mentre la aiutava a rialzarsi, e lei, ancora col fiatone “e perché mai, visto che ho un cavaliere sempre pronto a correre in mio aiuto?” “Si, ma stai attenta, il cavaliere fa pagare molto caro il suo servizio..” “Ma io sono abbastanza ricca.. di’ al cavaliere di non preoccuparsi! Piuttosto tu, invece di darti da fare importuni le donzelle sui tapis roulant?” “vengo dalla sala pesi… mentre tu facevi la femminuccia qui sul tapis roulant, io mi cimentavo con i pesi, da vero macho!” disse lui con una punta di orgoglio. “Solo che ora m’è venuta una fame!! Mi divorerei un bue intero con tutti gli zoccoli!” “A chi lo dici!” sbuffò Asia “diciamo che io non sono l’essere più atletico del pianeta, ecco.. e proprio cinque minuti fa stavo sognando un mega cheeseburger!”. Lui corrucciò la fronte e gli occhi gli si fecero piccoli piccoli. Sembrò riflettere sul significato della vita, tanto era concentrato, poi disse: “Ho un’idea migliore… tempo di una doccia e tra mezz’ora ci vediamo alla reception??” lei rimase come un’ebete a guardarlo, chiedendosi se aveva capito bene, quando lui la richiamò alla realtà: “Pronto? Houston, mi sentite?, rispondete! C’è qualcuno qui??” disse bussando sulla testa di Asia, che (più o meno) prontamente rispose: “Per la verità mi avevano momentaneamente rapito gli alieni, credo che nel frangente mi abbiano impiantato un microchip nel cervello così da potermi sempre rintracciare ovunque io sia”. Era serissima. Rob dapprima abbozzò un sorriso, poi si guardò intorno con fare circospetto, le si avvicinò all’orecchio e sussurrò con un filo di voce: “Ok, allora facciamo in fretta. Lo sai che gli alieni hanno un buco temporale di qualche ora prima che i loro chip inizino a funzionare bene?? Lo so perché li ho studiati a lungo! Abbiamo giusto il tempo di mangiare qualcosa”, le strizzò l’occhio e lei alzò gli occhi al cielo. Questo qui è proprio matto da legare!
 
Un’oretta più tardi..
Aspettava alla reception già da un po’, pensando che ormai Rob non sarebbe più arrivato, e che forse era il caso di andare a mangiare un boccone da sola e poi andare a fare un giretto. All’improvviso, sentì qualcuno strattonarla da dietro, e nel giro di qualche secondo si ritrovò alle spalle del bancone con gli occhiali da sole a terra e la camicetta semi aperta… voltandosi si trovò di fronte un tizio con una strana coppola grigia in testa e un paio di occhiali da sole davvero buffi. Lo riconobbe immediatamente: “Bel travestimento, ormai non ci casca più nessuno! Ma sei fuori? Poteva prendermi un infarto” urlò con tono di protesta, mentre raccoglieva gli occhiali da terra e si sistemava la camicia. “Scusa, ho dovuto aspettare che le acque si calmassero, c’era un’orda di gente lì fuori. Dobbiamo passare dal retro, o ci sarà l’assalto appena varcheremo l’ingresso dell’hotel, e poi non potrei garantire per la tua incolumità… sai come sono le fans, no??” “Ehm, beh… ne ho un’idea…” Rob ribadì il concetto: “Dobbiamo passare dal retro… vieni con me.. sto morendo di fame!!”. Asia lo seguì senza chiedere dove e come... anche se in verità la sua testa era piena di tutta una serie di domande a cui si chiedeva se avrebbe mai ricevuto risposta.
Passarono dall’uscita di servizio dell’hotel, e attraversarono una piccola stradina strettissima e quasi buia, prima di entrare in un improbabile kebab house, più buio ancora della stradina che avevano appena percorso. Era un po’ perplessa inizialmente, ma era talmente affamata che si sarebbe prestata a schifezze peggiori. In verità appena lo assaggiò si rese conto che era davvero buono!
“Spettacolare! Io adoro il kebab!” disse con la bocca piena dopo qualche boccone. “Questo posto è fantastico” la anticipò Rob “Lo vedi così, piccolo piccolo e non gli daresti un soldo… in verità fanno un kebab strepitoso e poi a nessuno verrebbe mai in mente di cercarmi qui”. Asia si guardò intorno; aveva tutta l’aria di uno di quei posti tristi e vuoti, in cui non andava quasi mai nessuno. I tavolini bianchi, con sopra una tovaglietta di carta e un portatovaglioli unto, le pareti grigie e i 4 quadretti attaccati alle pareti non davano un bel bigliettino da visita di questo posto, dove davvero non si sarebbe mai aspettata di trovarci Rob. Invece si mangiava un ottimo kebab, e il personale era cordiale ed educato. I due marocchini che stavano dietro al bancone sorridevano in silenzio, ma non si erano avvicinati per chiedere un autografo, o una foto, o chissà che, anche se era palese che lo avevano riconosciuto, eccome.
Mentre erano tutti intenti a divorare il loro panino arabo imbottito di carne e Dio solo sa cos’altro, Rob rimaneva fisso su una pagina del corano incorniciata che faceva bella mostra di sé su una delle scialbe pareti. Dopo qualche momento di silenzio, la guardò e le chiese, senza mezzi termini: “Tu credi in Dio?”.
Non ebbe bisogno di riflettere molto, e, come se avesse immaginato a cosa stesse pensando Rob durante quei minuti si silenzio, e si aspettasse una domanda di quel genere, ribatté quasi immediatamente “Si, moltissimo. Ho avuto dei momenti nella mia vita in cui tutto mi suggeriva di non farlo.” Rob guardava quella ragazza seduta accanto a lui giocare con le briciole del pane arabo sul tavolino. Gli occhi nocciola persi nel vuoto, i capelli lunghi di un nero corvino lucidissimo mossi dalla leggera brezza che si faceva avanti tra le porte a vetri socchiuse del locale, la testa leggermente inclinata da un lato.  “Quando ho perso mio padre, ancora ragazzina, mi chiesi se tutto questo aveva un senso. Quale Dio buono e onnipotente poteva permettere che un’adolescente crescesse senza il suo adorato papà? In verità non molto più tardi ebbi le risposte che cercavo. Non c’è stato un solo momento nella mia vita, quando mi trovavo in difficoltà, in cui non ho sentito quasi fisicamente la sua presenza, e non mi facesse capire che anche se non potevo vederlo, lui era sempre lì che mi proteggeva; ed è stato sempre così, credimi. Ogni volta che nella mia vita ho attraversato un momento davvero difficile e ho pensato di non farcela, come per magia, dal nulla spuntava fuori la soluzione a tutti i miei problemi. Era il mio angelo custode che mi stava proteggendo, da lassù. Anche ora che ho subito questa perdita, per me è apparentemente inspiegabile, ad oggi ancora non ne conosco il motivo. Ma so che, forse tra non molto, il Signore mi metterà di fronte alla risposta, e allora capirò che ho avuto ragione a fidarmi.” Alzò lo sguardo e lui era lì accanto a lei che la fissava, come se stesse cercando di penetrare i suoi pensieri. “Tu credi invece?”. Lui inarcò le sopracciglia e incrociò le braccia, prese un respiro profondo e rispose: “Per la verità non molto. Diciamo che credo che esista qualcosa o qualcuno, lassù. Sicuramente credo alla storia degli angeli custodi. Ma ho sempre avuto un rapporto abbastanza conflittuale con la fede, e in questo momento più che in altri, sono in continua contraddizione con me stesso. Ma credo anche che la fede debba venire da me, non da qualcuno che con chissà quali sforzi cerca di infonderla dentro di me. E credo anche che questo non sia il momento migliore di mettermi a cercare queste risposte, perché forse non vorrei neanche trovarle”. Lei replicò: “Io credo piuttosto che non esista un momento migliore o peggiore. Semplicemente accade, non perché lo vuoi tu, ma perché lo decide Lui. Ci sono persone che non incontrano mai la fede per una vita intera. Poi magari, si svegliano un giorno in punto di morte, e capiscono che hanno perso molto. Ma questa è solo la mia modestissima opinione.” Restarono in silenzio per un po’. Poi Rob accese una sigaretta. “Ma stai sempre a fumare?” lo apostrofò Asia. “Non so se e quando riuscirò a togliermi questo vizio, è l’unico che mi è rimasto... Lo so che fa male… ma che diamine… non riesco a rinunciarci” poi guardò l’orologio “Cazzo, è tardissimo, devo andare alle prove. I ragazzi mi uccideranno, sono perennemente in ritardo. Per quale data hai detto che hai il biglietto?” “Non l’ho detto… Comunque domani sera... non sto nella pelle!” “Ti piacerebbe venire a vedere le prove? Devo parlarne con gli altri ma si potrebbe fare... che ne dici? Ti andrebbe?” Asia non riuscì a parlare. Deglutì, cercò di aprire la bocca ma non ne uscì un solo fiato. “Devo dedurre che hai qualcosa di meglio da fare? Puoi dirmelo, non sei mica costretta!” “Io…io… mi piacerebbe? Ne sarei felicissima! Ma non è necessario… cioè... se non si può fare non fa niente...” “Se te l’ho proposto io vuol dire che credo si possa fare. Ripeto, dovrò chiedere il parere degli altri, ma non credo mi faranno problemi. Che ne pensi?” “E cosa posso pensarne?? Sarebbe fantastico”. “Ok, vado a prepararmi e faccio uno squillo a Gaz. Appena lo sento ti faccio sapere!” “Grandioso!” esclamò lei, cercando di contenere l’entusiasmo. GRANDIOSO?! Ma questo non era solo grandioso… era stratosferico!!! Stava per assistere alle prove del concerto che aveva tanto atteso negli ultimi mesi. Non stava nella pelle! 

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Capitolo 7
*** Then comes the evening that makes life worth living ***


Entrata in camera, si cambiò la maglietta e si appoggiò sul letto in attesa del responso. Il tempo non passava mai, e mentre aspettava, iniziò ad immaginare come potesse essere assistere alle prove dei Fab 5. Lo aveva sognato tutta la vita, eppure adesso non sapeva che dire e come comportarsi. Doveva essere sciolta? Oppure avrebbero preferito che non desse loro confidenza e restasse sulle sue, guardando le prove e basta? Decise di aspettare la loro reazione e soprattutto, di sapere se davvero era la benvenuta per assistere alle prove.
In quel momento squillò il telefono sul comodino. Lo guardò. Quasi aveva paura a rispondere.. sarebbe stata troppo grande la delusione di ricevere un rifiuto! In fondo però, ci poteva stare che i ragazzi non volessero gente tra i piedi durante le prove.  Driiiin. Driiin. Forse era meglio rispondere. “Hello?” “Hey, ma dov’eri? Pensavo ci avessi ripensato! Comunque, tutto deciso: siamo subito operativi, tra 20 minuti ci vediamo in conference lounge. Ci sei?” “Si, si… ci sono! E ci sarò. Grazie mille!!!!” “Di niente, cerca di essere puntuale, a Gary non piace aspettare!”.
Inutile dire che fu puntuale come non lo era stata mai: l’occasione richiedeva una puntualità eccezionale, che figura avrebbe fatto se si fosse presentata in ritardo?
Sentì delle voci provenienti dalla sala conferenze, erano sicuramente loro perché le riconobbe: le sembrò di sentirli discutere sulle modalità del trasferimento e del modo migliore per eludere le file di fans asserragliate fuori dall’albergo. Decise di aspettare fuori, ovviamente, e dopo una decina di minuti si aprirono le due grandi porte della sala e ne uscirono, più belli che mai, i suoi beniamini. In quel momento, indecisa se abbracciarli o meno, si chiese se tutto questo stesse succedendo davvero o se stesse sognando. Con le mani dietro la schiena, mentre i lads si avvicinavano a lei, con una mano si diede un pizzicotto sull’altra, tanto per essere sicura di essere sveglia.
Il primo a presentarsi fu Gaz. “Tu devi essere Asia, Rob ci ha parlato di te. Piacere, Gary”. “Il piacere è mio, non immagini quanto” rispose lei, entusiasta. Lui invece le sembrò un po’ troppo serio. Poi, nell’ordine, Mark (con quel suo inconfondibile sorriso da tenerone), Howard e Jason. Quest’ultimo si avvicinò a lei, con aria sospettosa, e prima ancora che lei potesse dire o fare qualsiasi cosa, la anticipò: “Non avrai mica una macchinetta fotografica, vero?? Devi sapere da subito che non ti sarà permesso fare foto, o video, dovremo farti perquisire prima di entrare nell’arena”. Lei restò a fissarlo attonita, e poi si voltò a scrutare tutti gli altri. Si guardò intorno, e vide davanti a lei, in cerchio come se le stessero facendo un interrogatorio, Gary, Mark, Howard, James, Paul e infine Jason, tutti con uno sguardo piuttosto severo. Di Rob nemmeno l’ombra. Si sentì improvvisamente a disagio, una sensazione che non aveva creduto nemmeno lontanamente di poter provare in loro presenza. Era un po’ irritata, e non riuscì a nasconderlo. “Ma che succede qui? Devo andare ad assistere alle prove di un concerto o mi state portando in carcere? Ho una macchinetta fotografica, porto sempre la mia reflex con me ovunque vado. Ma vi assicuro che non la userò nell’arena. Se vi fidate bene, altrimenti, potete tranquillamente andare via senza di me”. Disse queste parole senza nemmeno prendere fiato; per la verità era un tantino delusa dalla scarsa accoglienza che aveva ricevuto dai ragazzi. Possibile che Jay, quell’uomo tanto tranquillo e pacato, fosse in realtà un tipo così odioso? Tutti rimasero in silenzio. Improvvisamente spuntò fuori Rob, dal nulla: “Che succede qui? L’ostaggio non vuole parlare??”. Tutti scoppiarono in una sonora risata. Tutti tranne lei, che continuava a non capire. Jay si fece avanti, e con un’aria mesta e le mani alzate, sorridendo si scusò: “ Quel matto di Rob ha organizzato tutto. Ci ha detto di inventare una scusa per spaventarti, e vedere come reagivi. Credo che non abbia tutte le rotelle a posto, ma l’idea non ci dispiaceva, così abbiamo retto il gioco! Spero che ci scusera.i..” “Però hai risposto bene, devo dire” aggiunse Rob. Stava per avvicinarsi a lui e strozzarlo con le sue mani, per lo spavento che le aveva fatto prendere, ma quando lui sorrise piegando la testa su un lato e guardandola con quegli occhi verdi socchiusi a spicchio, non riuscì a fare altro che sorridere anche lei. “Pensavo aveste qualcosa di più importante a cui pensare, ma è bello sapere che scaricate la tensione in questo modo durante i tour!” Tutti risero. Avevano rotto il ghiaccio, e come al solito, Rob ne era l’artefice. Howard si avvicinò a lei, e con un sorriso da pubblicità di dentifricio esclamò: “Però…tosta la ragazza! Sei forte, lo sai? Mi piacciono le persone autoironiche!” lei gli sorrise, poi abbassò lo sguardo... i suoi occhi di ghiaccio la fissavano mentre le sorrideva: quell’uomo aveva il potere di farti sentire incredibilmente piccola solo guardandoti!
Salirono tutti insieme sul van parcheggiato nella famosa viuzza sul retro, cercando di non dare troppo nell’occhio. Tentò di accovacciarsi il più possibile per non farsi vedere da fuori. Non glie l’aveva detto nessuno di spalmarsi così a salamandra sul sedile, ma la storia della macchinetta fotografica proprio non le era andata giù, e, anche se era solo uno scherzo, non voleva rischiare di prendere qualche altra ramanzina, vera o falsa che fosse. E poi, si rendeva conto di essere una miracolata, non voleva farsi vedere dalle ragazze che stavano lì fuori, per poi magari essere tempestata di domande se l’avessero ribeccata in giro.
Arrivati all’arena la fecero sistemare nella platea. Si guardò intorno: non era mai stata dentro uno stadio vuoto, e faceva davvero uno strano effetto! Soprattutto quando i ragazzi iniziarono a provare: un’emozione indescrivibile, quei 5 uomini riuscivano a rendere unica l’atmosfera come pochi sapevano fare. Immediatamente l’atmosfera si riscaldò all’inverosimile, e fu come se quei 15 anni non fossero mai passati. Le prove furono un mini concerto in piena regola, con l’aggiunta delle battutine e degli scherzi che i lads si facevano l’un l’altro... in questo, pur essendo ormai tutti sulla quarantina, erano rimasti i ragazzini di vent’anni fa, che si punzecchiavano in continuazione e scherzavano su tutto: il sorriso era parte integrante di questa nuova unione a cinque, come se fosse uno dei punti saldi del contratto.
Finite le prove, i ragazzi erano pronti per avviarsi in hotel, per una doccia e un po’ di relax prima di cena. Asia corse loro incontro con l’entusiasmo di una bambina che aveva appena scartato il suo regalo di Natale.
“Ragazzi, non ho mai visto niente di così incredibilmente fantastico. Siete mitici!!! Credo che sarà davvero il concerto del secolo!”. “Grazie!” rispose prontamente Gary. “Volevamo che fosse uno spettacolo straordinario... ed effettivamente, senza false modestie, mi pare proprio che abbiamo tirato su uno show senza precedenti. Sono davvero soddisfatto di noi!” guardò gli altri 4 con un’aria compiaciuta come solo a lui riusciva, poi si voltò verso Rob: “A te ci penso più tardi... se ti dimentichi di nuovo le parole delle canzoni, ti picchio!”. Lui rispose prontamente: “Sono io che picchio te, Gaz, se domani con la scusa che sei stanco non ti presenti alla partita”. “Quale partita?” chiese Asia divertita. “Abbiamo organizzato una partitella di calcetto contro i ragazzi dello staff, domani verso le tre di pomeriggio. Vieni al campetto dell’hotel se ti vuoi fare due risate… con questo pappamolle qui c’è proprio da ridere!”. Gaz gli diede uno scappellotto sulla nuca, e Rob per tutta risposta mise il broncio come un bambinello di 8 anni. Iniziarono tutti a ridere a crepapelle, tranne ovviamente il diretto interessato, che continuava a massaggiarsi la testa con disappunto.
“Grazie ragazzi, non avrei potuto chiedere di meglio, siete stati carinissimi. Sono sicura che domani lo stadio tremerà!”.
Sul van girarono commenti sul tour e sulle performance, e fu tutto un susseguirsi di battute e risate. Il momento più esilarante fu quando How raccontò un aneddoto che riguardava Gary. “Stasera Jay voleva portarci a mangiare in un ristorante indiano che conosce, ma Gaz non ha approvato il piano della serata, memore dell’ultimo tentativo di accostarsi a quella cucina un po’ troppo speziata per i suoi gusti.” Gary iniziò a chiudere gli occhi sapendo già dove voleva andare a parare.  “Ma ve la ricordate quella volta in cui Jay lo convinse, e lui si chiuse in camera tutta la notte facendo la spola con il bagno??” tutti risero di gusto, tranne ovviamente Gaz che riprese l’amico: “Ma ti pare che devi sempre tirare fuori questa storia anche davanti a persone che non mi conoscono?”. Asia lo rassicurò: “Ah, se è per questo non preoccuparti, ho provato a mangiare cibo indiano per una vita, e devo dire che mi piace anche moltissimo, ma proprio non riesco a non sentirmi male dopo averlo mangiato... ogni mio viaggio in India è stato un incubo al rientro!” “Ecco, visto? Non sono il solo a non poterlo sopportare. Perciò, stasera, si va dove dico io!” esordì Gaz. “Certo, capo, sempre sull’attenti quando decidi tu” sghignazzò Mark, seguito da un’ondata di risatine che incontrarono nuovamente il disappunto del biondo. Jay colse al volo l’occasione per fare del sarcasmo: “Capo, stasera vorrei uscire con una ragazza, posso avere una ragazza??”. Asia scoppiò in una risata sonora che attirò l’attenzione del piccoletto seduto di fronte a lei, che, con l’aria più innocente del mondo, facile da immaginare dipinta sul viso di quell’uomo che invece nascondeva davvero bene i suoi lati più “oscuri”, le chiese: “A proposito... ma tu ce l’hai un ragazzo?? Non credo altrimenti non manderebbe in giro una ragazza carina come te in mezzo a questi 5 matti…”. Il viso della ragazza si fece improvvisamente cupo, e lei abbassò lo sguardo, in silenzio. Rob cercò di salvare la situazione, preoccupato: “Beh, ma si fanno queste domande private a una donzella?” Cercò di fargli di nascosto l’occhiolino sperando che capisse, ma lei lo vide, e lo interruppe: “Tranquillo, non è mica un segreto! Purtroppo esco fuori da una lunga storia terminata da poco... e non mi va molto di parlarne”. Mark si scusò immediatamente, mortificato: “Perdonami, non potevo immaginare. Mi dispiace, davvero, non volevo farmi gli affari tuoi… era così, per fare conversazione…” “Ma scherzi? Ci mancherebbe! Tranquillo, è tutto ok. In fondo io conosco le vostre vite per filo e per segno, avrete pure il diritto di sapere qualcosa della persona che vi siede di fronte! Solo che… questo proprio no… non avrei la forza per parlarne adesso”.
Mark la rassicurò: “Ci mancherebbe, non devi affatto! Scusami di nuovo!”. L’atmosfera si fece un po’ pesante sul pulmino, ma fortunatamente erano quasi arrivati a destinazione, e non dovettero sentirsi a disagio troppo a lungo.
Rientrati in albergo, si diressero tutti verso le rispettive camere, e prima di sparire in ascensore, Rob disse ad Asia: “Senti, mi dispiace per prima, Mark non poteva immaginare! Non vorrei che questa cosa ti abbia rovinato la serata”. Asia ribatté immediatamente: “Ma che dici? E’ stata un’esperienza fantastica, e devo ringraziarvi fino alla fine dei miei giorni per avermi permesso di assistere alle prove. Mark non poteva sapere... è tutto ok, davvero! Ora me ne vado in camera, mi faccio una doccia e chiedo il servizio in camera per la cena... sono un po’ stanca!”. “Ok, menomale, mi dispiacerebbe se ti fossi rattristata... in fondo... non ne varrebbe la pena! Buona serata!”. E sparì nel corridoio.
Mentre si avviava in camera, rifletteva su ciò che le stava accadendo da un paio di giorni, e non poté fare a meno di sorridere. Non riusciva a capacitarsi. Per la verità il suo fu un sorriso a 32 denti, e restò con quel sorriso ebete stampato sulla faccia per tutta la sera.
Si fece una bella doccia rilassante, poi si infilò un paio di shorts e una maglietta, e ordinò la cena. Mentre aspettava il servizio in camera, fece la consueta chiamata alla cugina, che, saltellando come una cavalletta per tutta casa (lo deduceva dal fatto che la voce si sentiva a singhiozzi e sentiva dei rumori simili ai passi di un canguro impazzito!) e strillava come una scimmia urlatrice quanto fosse felice per lei.
Chiuso il telefono, sentì bussare alla porta. “Sì?” “Servizio in camera” rispose una voce buffa dall’altro lato.

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Capitolo 8
*** Wait! There’s something that I wanna say ***


Aprendo la porta, però, si trovò di fronte un cameriere molto particolare.
“Hey, ma… che ci fai qui?” “Le ho portato il servizio in camera, signorina” squittì Rob, allegro. “Ma tu sei completamente folle!! Io ho ordinato davvero il servizio in camera!” “Lo so... solo che arriverà con una piccola variante! Sai, questi sono i privilegi dell’essere una Popstar… ti dicono di sì qualunque cosa chiedi!”. La fissò con aria interrogativa: “Hai voglia di pizza?” “Mamma mia... morirei per mangiarne una come si deve! Sono in viaggio da un po’ ormai, e se c’è una cosa che mi manca, è proprio la pizza!!! Solo che... non credo che qui a Londra la facciano proprio come quella che fanno in Italia. Insomma, la nostra pizza è… inimitabile!!”. Rob la guardò con disappunto. “Ah-ah! E’ qui che ti sbagli, donna di poca fede!!! Non stai tenendo in considerazione il fatto che io sono un uomo pieno di risorse! Conosco una pizzeria dove fanno una pizza fuori dal mondo. Il pizzaiolo è italiano, e la pizza è davvero da 10 e lode! Assaggiala e vedrai!” “Ok, scommessa accettata!”, sorrise Asia.
Non molto tempo dopo arrivò la pizza,  e Asia dovette ricredersi sulla sua poca fede: era squisita! Degna della migliore pizzeria di Mergellina!
I due erano seduti a terra davanti al tavolino di fronte al divano, e ingurgitando pizza senza sosta, chiacchieravano del più e del meno, mentre la musica di MTV in televisione faceva da sottofondo. “Come ti senti? Va un po’ meglio?” le chiese lui, e sembrava sinceramente preoccupato. “Ma sì, va molto meglio… dopo questa pizza, poi!” Lui le sorrise: “Qualcuno una volta mi ha detto: più in fretta riuscirai a perdonare il passato... prima potrai riprendere in mano la tua vita. E’ stato difficile ma l’ho fatta mia… e dovresti farlo anche tu.” Asia esitò, poi rispose, non troppo convinta: “Forse hai ragione” e la chiuse lì. Rob capì che non era aria, così cambiò discorso: “Che strana cosa” disse pensoso “non mi sarei mai aspettato di poter stare così tranquillo a chiacchierare con una fan. In genere mi rinchiudo in camera o mi camuffo sperando di non essere riconosciuto, invece…” “Invece in questo caso mi hai abbordato tu mentre imprecavo in calzoncini davanti ad una macchina per il ghiaccio!” sghignazzò lei. “Ma io non ti ho abbordato!” pronunciò quella parola come fosse la cosa più schifosa sulla faccia della terra. “Diciamo che ti ho salvata nel momento del bisogno” disse con l’aria di chi aveva salvato il mondo “pensa che se non fossi spuntato io dal nulla (benedette sigarette!) a quest’ora il tuo ginocchio sarebbe senza speranze!” “Sentitelo, lui… il salvatore della patria!”. Rob stava abbozzando una di quelle smorfie che solo lui sa fare, quando gli cadde dalla bocca un pezzo di mozzarella che andò a finire proprio sul “punto caldo” dei suoi jeans scoloriti. Si guardarono e scoppiarono a ridere entrambi nello stesso momento, una risata che si faceva via via sempre più sonora e incontrollabile. “Beh, questo” cercò di dire Asia non riuscendo a trattenere le risa “non fa esattamente “figo”, caro il mio Re del Pop”. Lui cercò di raccogliere la mozzarella, ma il risultato fu solo spalmarla ancora meglio sul pantalone, lasciando un improbabile (e assai fraintendibile!) alone bianco tutt’intorno al punto in cui era caduto il formaggio “maledetto”. “Oh, fottuta Mozzirella”. “Mozzirella, ahahahah…” Asia non riusciva a smettere di ridere, e si abbassò piegandosi sulla pancia come se volesse trattenere le risa. Rob la guardò con la faccia da punto interrogativo: “Perché cos’ho detto che non va? Mozzirella… non si dice così?” L’espressione di Asia lo fece riprendere a ridere. La scena era davvero buffa: Rob che cercava goffamente di eliminare la macchia con un tovagliolo, imprecando e tentando di riuscire nell’impresa di pronunciare la parola mozzarella, ovviamente invano. Ridendo, poi, scivolò più in basso, finendo con il viso proprio di fronte a quello di Asia. Di botto, smisero entrambi di ridere, e restarono a lungo a guardarsi, in silenzio. Asia aveva il cuore che le batteva a mille, in quella stanza tutto il resto era sparito; la pizza, le luci, la tv: c’erano solo loro due. Nel silenzio, riusciva a sentirlo respirare, ed era un respiro piuttosto affannato, ma non capiva se la causa fosse il suo ridere così di gusto fino ad un attimo prima, o la distanza ravvicinata di Asia. O forse tutti e due. Non ebbe il tempo di trovare le risposte, però, perché alla TV passò “Let me entertain you”, e le note iniziali della canzone li fecero sussultare entrambi. Asia colse l’occasione al volo per spazzare via quell’attimo di imbarazzo, e iniziò a intonare i primi versi della canzone, seguita da Rob, che aveva colto al volo la sua intenzione. Il risultato fu comico: due matti cantavano e ballavano scuotendo la testa per ironizzare il momento di tensione che si era venuto a creare.
 
Dopo un’oretta buona, Rob si rese conto di quanto fosse tardi, e alzandosi si diresse verso la porta. “Farò meglio ad andare, se non voglio che domani Gaz mi legga in faccia la mancanza di sonno come al solito. Grazie della serata...” bisbigliò  abbassando gli occhi. Asia gli poggiò una mano sulla guancia, e lui alzò lo sguardo, che incontrò quello di lei, inesorabilmente fisso sui suoi occhi verdi. “Sei davvero la persona speciale che ho sempre pensato che fossi, sai? E questo mi rende incredibilmente felice. Grazie a te per la pizza, hai vinto di nuovo!”. Gli fece l’occhiolino, e lui sorridendo le augurò la buona notte e disse: “Goditi il concerto domani!”, si chiuse dietro la porta, non aspettando la risposta della ragazza, che, davanti alla porta chiusa, appoggiandosi alla maniglia, bisbigliò: “puoi scommetterci”. Rimase lì davanti per buoni dieci minuti, quando si decise ad avviarsi al bagno. Mentre si lavava i denti, operazione che richiese una mezz’oretta buona e che ebbe come risultato dei denti così bianchi che sembravano candeggiati, rifletteva sulla serata appena trascorsa, e sull’assurdità di tutto quello che stava vivendo da qualche giorno a quella parte.
Non molto più tardi, sdraiata sul letto al buio, supina, guardava il soffitto e vedeva davanti a sé un’immagine che le era rimasta ben impressa nella mente: Rob che la guardava fisso negli occhi, in silenzio. Chissà cos’avrà voluto significare quel momento, si chiese tra sé e sé.
Non sapeva cosa significasse, ma sapeva bene che di sicuro significava qualcosa.

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Capitolo 9
*** Take That.. and Party! ***


A Wembley, quella sera, avrebbe incontrato la sua amica Marieke, che sarebbe arrivata apposta dall’Olanda, col fidanzato Adriaan. Erano rimaste d’accordo che si sarebbero viste davanti all’Arena e che avrebbero mangiato qualcosa insieme prima del concerto, così avrebbe conosciuto il nuovo fidanzato della sua storica amica di penna.
Marieke le aveva mandato un sms dicendole che sarebbe arrivata di lì a poco, e lei nel frattempo si concesse un meraviglioso muffin accompagnato da un bel cappuccino fumante. Non vedeva l’ora che iniziasse il concerto, quel piccolo assaggio di Paradiso le aveva fatto venire una voglia tremenda di urlare a squarciagola tutte le loro canzoni, proprio come faceva quando era ancora una ragazzina che correva dietro ai suoi idoli. Ma di tempo ne era passato, da quel lontano 1995, e lei non era più una ragazzina che piangeva disperata all’uscita dal palazzetto dello sport, per la paura di non rivedere mai più i suoi idoli. Quante cose erano successe in tutti quegli anni, quanta vita era scorsa nelle sue vene. Quanti altri pianti (più o meno seri), quanti sorrisi avevano rallegrato il suo viso. Ne aveva fatta di strada la ragazzina magra e piccina con l’apparecchio ai denti, e la sua vita, a guardarla a distanza di una quindicina d’anni, sembrava quella di una cinquantenne, per quanto era fitta fitta di eventi e di esperienze. Con il Progresso nelle orecchie se ne andava passeggiando e canticchiando le sue canzoni del cuore, quando sentì Angels suonare in sottofondo. Era il suo cellulare: Marieke era davanti l’arena, e l’aspettava.
Adriaan era proprio un bel ragazzo, e poi era davvero simpatico. Per non parlare poi del fatto che uno che accompagna la sua ragazza ad un concerto così… è proprio uno giusto! Mangiarono un gran panino super imbottito, e si avviarono al concerto. Raccontò alla sua amica dello strano incontro col loro amato cantante, e di come le aveva permesso di assistere alle prove il giorno precedente (premurandosi ovviamente di tralasciare la strana cena in camera della sera precedente). Marieke, che aveva avuto la fortuna di conoscerli e parlarci più di una volta, non si scompose più di tanto, e si rallegrò semplicemente per la bella esperienza vissuta dall’amica.
 Quella sera lo spettacolo andò ben oltre le sue aspettative. Quando i ragazzi entrarono in scena, lo stadio andò letteralmente in delirio. Londra, in fondo, era sempre Londra. Era stata a quasi tutti i loro concerti da solisti, negli ultimi anni, ma nessuno era stato all’altezza di questo. Un’emozione indescrivibile, un batticuore da record. E le performance, formidabili. Il concerto volò, nonostante le 3 ore e passa di spettacolo. Quando finì e si spensero le luci, rimase lì immobile come se qualcosa di magico fosse stato spezzato all’improvviso, come se fosse stata bruscamente svegliata da un sogno meraviglioso. Le rimase solo la sensazione di aver creato un bellissimo ricordo da custodire nel suo cuore gelosamente per gli anni a venire.
Usciti dall’arena, salutò Marieke e Adriaan che si avviarono in albergo, distrutti dal viaggio, e rimasero d’accordo che si sarebbero visti l’indomani per cena in un ristorante del centro per salutarsi, visto che loro sarebbero ripartiti il giorno dopo per l’Olanda.
 Rientrando in hotel in taxi, rivisse per tutto il tragitto quella serata indimenticabile, con nelle orecchie ancora i suoni del concerto, e le urla delle fans. Rimase stordita per un po’, ripensando a quel bizzarro pomeriggio in cui, contro ogni sua previsione più rosea, aveva assistito alle prove di quello che sarebbe stato davvero etichettato come lo show del secolo.
Prima di andare a dormire, ovviamente, chiamò Maya, per farle il resoconto della giornata, e darle la buonanotte. Iniziava a mancarle davvero molto, quella amabile rompiscatole!

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Capitolo 10
*** Once you’ve tasted Love it is just the beginning of a new world ***


L’indomani si svegliò di buon’ora e di buon umore. Prese la metropolitana e si diresse al centro, destinazione Piccadilly Circus. Voleva fare un po’ di shopping sportivo, entrò da LillyWhites e svaligiò letteralmente il negozio: in un paio d’ore aveva comprato l’impossibile. Quel magazzino era una vera e propria tentazione, aveva dei capi di abbigliamento sportivo fantastici, e a prezzi davvero convenienti!!! E poi, voleva andare in palestra e sfoggiare qualcosa di nuovo, visto anche che aveva portato con sé una sola tuta, ed era in lavanderia.
Rientrata in albergo con la carica di un caterpillar, rifocillata da un panino mangiato al volo prima di rientrare, si cambiò e andò in palestra. Lavorò davvero molto quel giorno, e dopo ben due ore di allenamento intensivo era esausta. Alle tre e mezza passate, si ricordò della partita di calcetto dei ragazzi, e decise di andare a dare una sbirciatina. Dopotutto, l’avevano invitata loro, no?
Arrivò al campetto e loro erano ancora lì, così impegnati nella loro partita, che non si accorsero di avere spettatori. “ E passala quella palla, Gaz!” lo apostrofò Mark con le guance rosse e i capelli arruffati.  Asia abbozzò un sorriso: erano davvero buffi, tutti sudati e accaldati, assorti com’erano nella partita che sembrava essere quella della vita. Si girò, accanto a lei c’era Emma, con i suoi due bambini. Asia sibilò un timido “buongiorno!” e lei le rispose con un sorriso distratto. Non era molto socievole quella donna. Si fermò a guardare il piccolo ometto, incredula di quanto somigliasse al padre in ogni sua più piccola smorfia. Era davvero un bel bambino, con quei meravigliosi capelli biondi, e quelle piccole fossette che aveva rubato al sorriso di suo papà. Immersa nelle sue riflessioni sui rapporti padre/figlio, si svegliò dai suoi sogni ad occhi aperti quando, all’improvviso, sentì una voce urlare: “Hey, attenta!”. Non fece in tempo però ad accorgersi del pericolo, e cadde in terra colpita in testa dal pallone che aveva preso proprio la sua traiettoria.
Si risvegliò con una celeste visione: gli occhi di Howard, azzurri come il cielo, la stavano fissando. “Mamma mia, sarà svenuta? Credete sia meglio portarla al pronto soccorso?”. Lei si alzò di scatto e li rassicurò: “No, no... sto bene… solo un gran colpo alla testa!” mugugnò massaggiandosi la fronte. “Eh eh… non si sfugge al mio tocco da campione!” si vantò Rob, che nel frattempo aveva raggiunto gli altri che si erano chiusi in cerchio attorno alla malcapitata, con gli occhi chiusi e le sopracciglia inarcate verso l’alto. Asia si girò verso di lui continuando a massaggiarsi la fronte, e gli lanciò un’occhiata severa: “Ah, sei stato tu, brutto assassino!? Ma insomma, vuoi guardare dove tiri?” “Cosa? Tu non ti reggi in piedi, e te la prendi con un campione come me? Che vuoi... l’estro non ha mira!”. Lei lo guardò con uno sguardo omicida, e accettò con un sorriso contrito il sacchetto pieno di ghiaccio che Gaz si era fatto portare dal bar. “Insomma, tu insisti proprio con sto ghiaccio… e la colpa sarebbe la mia??” si difese Rob “non ti reggi in piedi, ammettilo, sei uno sfascio!”. Asia lo fulminò con lo sguardo, poi si girò a rassicurare Mark che arrivava da lontano chiedendole come stava. Osservò il suo piccolo ometto seguirlo con lo sguardo, con gli occhi adoranti di bimbo innamorato del padre. Che scenetta tenera!
 Quando si riprese un attimo, i ragazzi tornarono alla loro partita, e lei si calò perfettamente nella parte della tifosa. Riuscì perfino a scambiare un paio di parole con Emma, fra un insulto alla squadra avversaria e un’incitazione ai ragazzi. Niente di che, solo un misero “Che bei bambini che hai”, a cui la bionda rispose con un secco “Grazie”. Era proprio ermetica quella donna!
La partita volgeva quasi al termine, quando Rob fece un numero dei suoi: Mark gli passò la palla, lui abbassò la schiena con la faccia rivolta verso l’alto, accolse la palla sulla schiena ricurva, e con uno scatto la fece volare in alto; poi la colpì di testa e infine con un calcio deciso la infilò in porta, tra lo stupore generale dei suoi compagni di squadra e degli avversari, e soprattutto di Asia. Tutti applaudirono rumorosamente, e lui aprì la sua coda da pavone continuando a vantarsi anche a partita conclusa. Mentre gli altri rientravano in hotel, Rob le si avvicinò esclamando, con l’entusiasmo di un adolescente: “Allora, hai visto che campione che sono? Sono proprio il re del calcio” “Ma non eri il re del Pop?” lo contraddisse lei, con un sorriso smaliziato. “Oh, beh... sono il re di tante cose!” “Guarda che non sei per niente convincente, caro mio… anzi, scommetto che se mi spieghi come si fa, nel giro di mezz’ora lo so fare anch’io!”.
 “AHAHAHAHAHAHAHAH, questa è bella. Cioè, tu, UNA DONNA… riusciresti a fare questo numero? Scommetto che non sai nemmeno prendere a calci una palla!”. “Mai sfidare una donna, caro RE DEL CALCIO… soprattutto se ignori il fatto che da ragazzina questa sia stata la punta della squadra di calcio femminile della sua scuola”. Rob rimase stupito per un attimo, poi incalzò: “Accetto la sfida, ma se non ci riesci entro mezz’ora mi paghi la cena!” “Ci sto, spiegami come si fa e vedrai”.
Iniziarono a riscaldarsi tirando quattro calci al pallone, dopo poco Rob esclamò: “Però, ci sa fare la signorinella!” “Te l’avevo detto di stare attento a te!!!” lo prese in giro lei. Si limitarono a piccoli scambi per un po’, poi entrarono nel vivo della questione. “Allora devi abbassare la schiena così... no, di più... guarda in alto, non devi mai perdere di vista il pallone!”. La scena era alquanto buffa: Asia era chinata col sedere per aria e il naso all’insù, e lui continuava a darle piccole pacche sulla schiena tentando di farle capire il movimento che doveva fare. Ci provava con tutta sé stessa, doveva riuscirci e far restare di stucco il sedicente Re del Calcio (del Pop e di quant’altro aveva asserito fino ad allora!). Si dimenò per un po’, la palla cadde per una decina di volte. Poi, mentre Rob alzava gli occhi al cielo e continuava a ripetere “Non ce la farai mai, mia cara, stasera cena di lusso!!!”, la ragazza, con grande stupore di entrambi, riuscì nell’impresa: il pallone si levò nell’aria, e, davanti agli occhi increduli del cantante, non appena toccò il collo del piede di lei, fu scaraventato con una forza incredibile proprio all’incrocio dei pali. Rob rimase impietrito come un blocco di marmo di Carrara, mentre lei continuava a saltellare per il campetto gridando “Sì… ce l’ho fatta! T’ho fregato, t’ho fregato!”. Poi andandogli incontro urlò: “Stavolta ho vinto io! Dimmi che sono stata brava, dai!”.
Rob non ebbe il tempo di congratularsi che lei gli saltò in braccio rapida come una saetta. Lui la guardò negli occhi stupito, e sussurrò, con un filo di voce: “Brava... sei stata davvero brava…” Rimasero a guardarsi per una manciata indefinita di secondi, in cui lei, perdendosi negli occhi verdi di lui, vi trovò mondi infiniti di cui fino ad allora aveva completamente ignorato l’esistenza. Improvvisamente, come presa da un raptus, lo baciò. In un primo momento, preso in contropiede, Rob rimase di sasso, e si lasciò semplicemente baciare, seguendo i movimenti indecisi e lenti della bocca di lei che lo cercava sopraffatta in egual misura da voglia e paura, ma poi schiuse le labbra e ricambiò il bacio, pervaso da un misto di piacere e stupore. Quel bacio dolce e al contempo salato, inaspettato, sembrò durare ore. A dispetto di quei pochissimi giorni di conoscenza, sembrò ad entrambi la cosa più naturale del mondo, e lentamente si fece sempre più carico di passione. Asia era completamente fuori dal mondo: se in quel momento avessero messo un amplificatore vicino al suo cuore, si sarebbe sentito un insieme di decibel che avrebbe fatto impallidire la più grande discoteca di Ibiza.
Poi, tutt’a un tratto, un indicibile senso di colpa s’impadronì di lei, e con la stessa velocità con cui aveva avvicinato le sue labbra a quelle di Rob, si staccò da lui, e immediatamente tornò in piedi con un salto. “Scusami… perdonami, io… non so cosa mi sia preso… non potevo prendere iniziativa più sbagliata... perdonami... mi dispiace... io... devo andare.” E si allontanò di corsa, lasciandolo in piedi in mezzo al campo,  mentre cercava di capire cosa fosse successo. 

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Capitolo 11
*** I'm not perfect, but you don't mind that, do you? ***


“Sei un’imbecille, Asia, una perfetta idiota! Ma brava! Adesso cosa penserà di te? Che sei una bambinetta ridicola, ecco cosa!”. Ma come le era saltato in mente di fare una cosa del genere? Ora lui l’avrebbe guardata con gli stessi occhi con cui guarda le fans esaltate che gli saltano addosso alla prima occasione.
Il cellulare squillò con l’avviso di sms. Era Marieke: “Ci vediamo alle 20,30 davanti al Cinema Empire in Leicester Square, ti portiamo in un ristorantino lì intorno che conosce Adriaan. Vestiti carina (ma tu lo sei sempre!) A dopo!”. Doveva prepararsi per andare a cena con la sua amica, se ne era completamente dimenticata!
Sotto la doccia, quasi le veniva da piangere per la rabbia. Sentiva l’acqua tiepida scivolarle addosso, ma era completamente assorta nei suoi pensieri.
Eppure quei pochi secondi erano sembrati ore, la sensazione di sentire il sapore di lui sulle sue labbra era stupenda. Per un attimo gli era stata così vicino che aveva potuto respirare il suo odore a pieni polmoni, guardandolo negli occhi da quella distanza così ravvicinata, i loro cuori avevano battuto l’uno accostato all’altro. Ma non c’era cosa più sbagliata che potesse fare, continuava a ripeterselo. Chissà se lui era tanto arrabbiato, forse non avrebbe più voluto vederla. Aveva approfittato della sua infinita disponibilità e gentilezza, e si era comportata come una stupida groupie.     
Decise però di provare a parlargli, una volta tornata dalla cena con Marieke e il fidanzato. Magari avrebbe accettato le sue scuse, in fondo un attimo di debolezza può capitare a chiunque… soprattutto se si ha davanti un pezzo d’uomo così, che ti fa sciogliere come neve al sole solo a guardarti con quegli occhioni verdi e il suo sorriso sornione da divoratore di donne!
Come al solito era leggermente in ritardo. Si asciugò in fretta, lasciando i capelli ancora umidi, e cercò qualcosa di carino da indossare… chissà in che ristorante l’avrebbero portata! Prese un giacchettino leggero da mettere su se avesse sentito freddo, la borsetta, e si chiuse la porta alle spalle.
 
Era stata una serata fantastica, in un ristorante davvero niente male proprio al centro di Londra. Marieke era stata una delle prime amiche di penna ai tempi del liceo, e la loro amicizia si era mantenuta integra per tutti questi anni, passando dalle lettere condite da migliaia di fan-book, alle mail, e infine a facebook, senza che questi cambiamenti telematici avessero minimamente intaccato il bel rapporto che si era creato tra loro; anzi, la velocità delle comunicazioni aveva fatto sì che la loro corrispondenza si facesse via via sempre più fitta e intensa. Si erano incontrate svariate volte, nell’arco di questi 15 anni, e avevano raggiunto una conoscenza piuttosto approfondita. Ecco perché Marieke si accorse subito che qualcosa non andava. “Che hai stasera? Ti vedo un po’ pensierosa!”. Non se la sentì di dirle la verità, doveva proteggere la privacy di Rob. Non che la sua amica fosse una di quelle che subito andavano a raccontare in giro un segreto, ma sentì che fosse proprio una mancanza di rispetto nei suoi confronti spifferare in giro questo tipo di cose. In fondo, poi, era stata una situazione che aveva creato lei, e si vergognava anche un po’ di farci la figura della stupida: la classica fan assatanata che assale il suo idolo… no, non suonava per niente bene. Perciò decise di omettere questo particolare, e si limitò a giustificarsi: “Beh, è già una settimana che me ne vado in giro da sola… che vuoi, a volte sono un po’ malinconica. Ma stasera mi state facendo passare proprio una bella serata!”.
L’amica sembrò berla, o per lo meno mangiò la foglia.
La serata trascorse serena, e quando i due ragazzi la salutarono per rientrare in albergo, Asia fu assalita nuovamente dall’ansia, e tutta la spensieratezza che i due olandesi le avevano regalato per una manciata d’ore era svanita; doveva assolutamente scusarsi con Rob, o non se lo sarebbe mai perdonato. Che ricordo gli avrebbe lasciato di sé?
Rientrata in hotel, decise di andare dritta al sodo, perché se fosse rientrata in camera le sarebbe tornata la paura e avrebbe rinunciato a tutto. Non poteva permettere che Rob la ricordasse come la solita fan italiana matta e spregiudicata… anche perché in fondo lei non era così, e voleva che lui lo sapesse.
L’ascensore era come al solito occupato, i mega ascensori in questi alberghi da mille e una notte ci mettono secoli ad arrivare. Decise di salire per le scale, sperando di ricordare quale fosse il piano, visto che la prima volta che ci era stata, non era esattamente nelle condizioni di poterlo memorizzare.
Salì le scale a due a due, e finalmente vide il lungo corridoio percorso due sere prima. Lo attraversò fino ad arrivare alla famosa porta a vetri dove trovò, imperturbabile, James. “Ehm, ciao James… ho bisogno di parlare con Rob, è una cosa piuttosto urgente… posso passare un secondo?”. L’omaccione esitò, non sembrava tanto convinto. Stava per mettersi in ginocchio a supplicarlo, quando dal nulla vide spuntare Howard (quell’uomo sembrava essere il suo salvatore ultimamente!), che col suo solito sorriso smagliante, la salutò. “Asia, buonasera! Che ci fai qui?” “Ehm… cercavo Rob…”. Lui rispose senza batter ciglio “Ah, si… è in stanza, l’ho sentito due secondi fa. Che fai dopo? Ti va di venire al Jalouse con noi? E’ una discoteca in Mayfair… siamo io e Jay, con alcuni amici... “ “Guarda, sono appena rientrata da una cena... sono un po’ stanca. Devo riportare una cosa a Rob e poi me ne vado a letto”.  Certo che era dura rifiutare l’invito di quell’uomo, soprattutto guardandolo dritto in quegli occhi azzurri come il cielo!  Lui la studiò come se non l'avesse bevuta, e lei cercò goffamente di cambiare discorso. "A proposito, com’è andato lo show stasera?” “Alla grande” replicò lui. “Ma il concerto di ieri sera non ha eguali. Siamo stra-carichi, Londra è sempre una gran soddisfazione per noi". Poi la guardò dritta negli occhi. "Sicura che non vuoi venire?" le chiese, con la sua aria da macho che sapeva renderlo davvero convincente "il posto è davvero carino!" "Ti ringrazio molto, ma davvero... sono molto stanca" rifiutò lei, cercando di sembrare più naturale possibile. "Buona notte allora, adesso vado!” “Beh, divertitevi! Vado anch’io, ciao!”. Cercò lo sguardo di James per ottenere il suo consenso... lui la anticipò, con un sorriso malizioso: “Ok, passa pure… se è urgente!”, e le strizzò l’occhio. Ma che cavolo aveva capito questo?!
Quel piccolo corridoio le sembrò infinito. Aveva il cuore che le batteva a mille all’ora, e continuava a ripetere nella sua testa le parole che avrebbe dovuto dirgli. Arrivata davanti alla porta, indugiò: e se lui l’avesse cacciata via? Fanculo, non l’avrebbe mai saputo se non avesse bussato. Bussò. Non rispondeva nessuno. Forse non c’era. Passarono attimi interminabili da quel momento a quando vide la porta aprirsi. La scena che si trovò davanti le fece dimenticare completamente tutto quello che aveva ripetuto mentalmente a raffica fino a due secondi prima: Rob le aprì con solo un asciugamano legato in vita, ancora qualche goccia d’acqua sul viso. Perfetto, una figura di merda dietro l’altra, oggi. “Oh, scusami... magari torno più tardi…” lui non la fece neanche finire di parlare “Wow, sei uno schianto. Dove te ne vai così elegante?” Ma non era arrabbiato nemmeno un po’? “Veramente… io… sono stata fuori a cena”. “Ah. Lui è inglese??”. Lei sorrise: “No, LEI è Olandese” anche Rob sorrise accarezzandosi la testa con la mano. “È l’amica con cui ho visto il concerto ieri. Stavo andando a dormire ma volevo dirti due parole prima”. Lo guardò. Per la verità gli fece i raggi x. “Ognuno ha il suo gusto”, spadroneggiava sul suo petto. Il fisico robusto, i muscoli al posto giusto. Quel leone sulla spalla che svelava il suo lato più tenero dietro la maschera da duro. La punta delle ali delle due rondini mirava verso l’alto, ma sembravano venir fuori da una zona molto, molto più interessante. Ma dove cavolo stai guardando? Benissimo! Così ti prenderà proprio per una pervertita!
Alzò lo sguardo. Lui la fissava sbattendo di tanto in tanto le lunghe ciglia nere, che, ancora bagnate, mettevano il risalto il verde profondo dei suoi bellissimi occhi, leggermente socchiusi. “Ti ascolto.” Disse lui, tranquillo, risvegliandola dai suoi fiumi di pensieri. “Ah sì… senti… riguardo a prima…” “E’ tutto ok” la interruppe lui. “No, senti, ci tenevo a dirti che... insomma, ho fatto proprio una cazzata, non so cosa mi sia saltato in mente, ma… non potevo prendere iniziativa più sbagliata”. “Sbagliata?” chiese lui, alzando leggermente il mento. “Si, sbagliatissima. In questi giorni sei stato carinissimo con me, e mi hai dato piena fiducia, e io, per tutta risposta, mi sono comportata come una stupidissima groupie. Non so, sarà stato l’entusiasmo del momento, io... non lo so davvero. So solo che ho sbagliato, e ti chiedo scusa.” Lui restò in silenzio per un po’, guardandola così intensamente che la ragazza  si sentì quasi a disagio.  Poi, improvvisamente, la baciò. Un bacio leggero, che durò un secondo. Un secondo che a lei sembrò una vita. “Ti sembra sbagliato anche questo?” le chiese col tono più tranquillo del mondo. Asia rimase di stucco. Ma cosa voleva dimostrare??? “Io... veramente... intendevo dire che ho sbagliato a partire così, e prendere quest’iniziativa, senza sapere cosa potessi pensarne tu, ecco”. Lui la baciò di nuovo. Questa volta fu un bacio più lungo, ma molto, molto lento. Le sue labbra avevano un sapore dolcissimo, e lui le teneva il viso fra le mani, come per non farselo sfuggire, ma con un tocco così leggero, che sembrava accarezzarlo delicatamente, per paura di poterlo rompere. “E’ ancora così sbagliato? Ti sembra tanto sbagliato questo?”. Non lo diceva con tono alterato, anzi, aveva un sorriso indecifrabile stampato sul viso, come se già sapesse come sarebbe andata a finire. Asia non aveva parole. Cercava di far uscire un suono, uno qualsiasi, dalla sua bocca ma non riusciva a proferire parola. Sapeva solo che le girava la testa, e si sentiva come se tutto il mondo intorno girasse insieme a lei. Poi le uscì un fiato, labile, appena percettibile: “In realtà… in questo momento questa mi sembra la cosa più giusta che io abbia fatto in tutta la mia vita”. 
Prendimi adesso, in questa stanza, in questo momento, con questo stato d’animo. 
Si lasciò baciare sulle labbra, poi su tutto il viso. Quando scese al collo, i suoi neuroni erano ormai definitivamente partiti tutti per una lunga vacanza, e in quel momento, nel suo cuore, si stava svolgendo il rave più rumoroso della storia.
Tutto quello che accadde dopo fu un groviglio di sensazioni ed emozioni a cui non sapeva nemmeno dare un nome. Ogni sua piccola carezza era un brivido che le attraversava il corpo come un fulmine. Pensò che fosse sicuramente frutto della sua immaginazione, ma volle viverlo fino in fondo, senza farsi domande o porsi interrogativi. Era talmente bello e talmente perfetto, che andava ben al di là di tutto quello che aveva potuto anche lontanamente immaginare in tutti quegli anni.

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Capitolo 12
*** I don’t know which way we are going, doesn’t matter anyway... just as long as you will stay ***


Quando aprì gli occhi, dopo qualche ora, si guardò intorno. Una stanza enorme semi buia, incredibilmente disordinata. I suoi vestiti e la sua borsa erano a terra, si girò.  Oh mio Dio. È proprio lui quello che mi dorme accanto?? Non poteva credere a ciò che vedeva. Rob dormiva supino, abbracciando il cuscino, aveva una leggera smorfia dipinta sul viso, ma sembrava incredibilmente sereno. Per la verità, a guardarlo dormire così, sembrava un bambino. Anche se era difficile associare l’immagine che aveva di fronte adesso con quella di un paio d’ore prima… mentre con le sue sapienti mani la accarezzava lungo tutto il corpo, tutto sembrava fuorché un bambino! Se solo ripensava a ciò che era successo, la sua testa riprendeva a girare come un tagadà.
E ora che faccio? Preferirebbe non trovarmi qui quando si sveglia? 
Pensò di alzarsi e fuggire via nel buio; in quel momento sognò di avere poteri magici per evaporare da quella stanza come per incanto. Mentre pensava a come sgattaiolare via da quella situazione, muovendosi di un millimetro al minuto e coprendosi col suo vestito recuperato dal disordine del pavimento, nel silenzio della stanza, si diffusero le note di una canzone. “And through it all, she offers me protection, a lot of love and affection, whether I’m right or wrong...”
 Era completamente impazzita o iniziava anche a sentire gli angeli cantare? Gli... angeli? Cavolo! Era il suo telefono! Meglio spegnerlo prima che si svegli. 
Troppo tardi. Si voltò, col telefonino in mano e con la faccia da ebete, e lui era lì che la guardava, con gli occhi ancora mezzi addormentati e un abbozzo di sorriso. “Non rispondi? Gli angeli ti chiamano!” Comincia anche a leggere nel pensiero? 
Era Maya, l’amabile rompiscatole dal tempismo perfetto! E ora cosa le dico? Che scusa invento? Rispose. “Pronto? Maya? Tesoro, perdonami! Lo so che ti dovevo chiamare, ma mi sono addormentata... ti posso richiamare tra un po’? Sono appena uscita dalla doccia. Come? Si, si... sto bene. È che... sono uscita dalla doccia di corsa e ora ho il fiatone.” Il suo cuore batteva all’impazzata, sentiva gli occhi di Rob puntati su di lei. “Ok, vai pure a dormire, ci sentiamo domani allora, buonanotte tesoro!”. Attaccò. Un minuto di silenzio interminabile. “Che sexy sentirti parlare in italiano… buonna notte tesorro, sono bravo?”. Asia lo guardò con aria smarrita. Abbozzò un sorriso, ma prima che potesse parlare lui interruppe il silenzio. Batté con la mano sul letto: “Perché non torni qui?”. Glie lo chiese con un tono di voce che avrebbe fatto sciogliere la regina dei ghiacci, figurarsi lei, che era facile preda delle emozioni in questo momento come non mai. Timidamente si avvicinò a lui, con movimenti così lenti che sembrò metterci un secolo. Stava cercando nella sua testa le parole giuste da dire, ma, come al solito, lui la anticipò: “Hai una suoneria davvero bella, lo sai? Quel cantante ha una voce fantastica”. Era il mago del rompere il ghiaccio, quell’individuo! Lei prese la palla al balzo: “Beh, sì… carino, ma niente di che. Non trovavo di meglio, così ho lasciato questa. Che dici, la cambio???” Lui si imbronciò, e le strinse i fianchi, minacciandola: “Ah, è così? Lei mi ha profondamente offeso, signorina. Lei non sa che quello che ha davanti...” “Si, lo so... è il Re del Pop!” lo interruppe lei cantilenando una lagna. “Perseveri?? Devo punirti in qualche modo... ma mentre studio una giusta punizione per i tuoi reati... c’è una cosa che devo fare”. Guardandola la baciò, tenendo gli occhi spalancati a fissarla per tutto il tempo.

 
Un raggio di sole si infiltrò nello spazio tra le due tendine che coprivano la finestra, svegliandola. Ci mise un po’ a capire chi fosse e cosa ci facesse lì in quella stanza. Ma all’improvviso si ricordò. Le tornò in mente tutto ciò che era successo quella notte, e si girò nel panico: il posto accanto a lei era vuoto. Le cose erano due: o aveva sognato tutto (cosa pericolosamente probabile), oppure Rob si era svegliato rendendosi conto dell’accaduto ed era scappato a gambe levate. Diede un rapido sguardo alla camera nella quale si trovava: era decisamente la camera di Rob! Gigante, lussuosa; vestiti appoggiati ovunque, e almeno una decina di pacchetti di  Silk Cult  lasciati in ogni dove.
Girandosi nel letto, riuscì a sentire il suo profumo: non aveva sognato! Il che però, la riportava alla seconda probabilità, cioè che il signorino se l’era svignata. Decise di restare ancora un po’ a crogiolarsi nel suo dolore (e nell’odore di lui), quando trovò un piccolo post-it appiccicato alla testiera del letto. «Ho vinto di nuovo! Bacio! R.» . Era ufficiale: non aveva sognato! Era successo tutto veramente, ed era il sogno reale più bello che avesse mai vissuto.  Non aveva il coraggio di alzarsi dal letto o rivestirsi, per la paura di perdere anche soltanto i ricordi olfattivi e sensoriali. Eppure non poteva restare ancora lì. Se Rob era andato via, aveva di sicuro i suoi motivi, e sicuramente non poteva farsi trovare lì al suo rientro. Immersa com’era nei suoi pensieri, non si era accorta che in bagno c’era qualche rubinetto aperto. Si accorse dell’acqua che scorreva solo quando la sentì smettere. Oh mamma. Allora è ancora qui. Si stava alzando lentamente dal letto, quando lo vide uscire dal bagno, in tutto il suo splendore. Indossava un paio di jeans larghi e una T-shirt blu dell’adidas. La vide sveglia, e le si avvicinò con lo sguardo serio, ma con gli occhi sorridenti. “Buongiorno. Spero di non aver fatto rumore, non volevo svegliarti.” Le diede un dolce bacio leggero, prima di allontanarsi di nuovo. Sapeva di dentifricio, e di buono. Aveva lo sguardo rilassato e profumava di pulito. Il profumo del dopobarba era appena percettibile, ma le sarebbe rimasto nel naso per tutto il giorno. Oddio, chissà che aspetto orribile doveva avere invece lei! Come abbia fatto a non spaventarsi e fuggire, restava un mistero. “Devo scappare ora, fai con comodo. La colazione è sul tavolo”. Se ne andò chiudendo la porta così piano che a malapena si accorse che era uscito. Si alzò dal letto, lentamente si avviò verso il salottino guardandosi intorno. Era bellissimo vedere tutte le sue cose in giro per la camera, ogni cosa parlava di lui, perfino il pacchetto di sigarette abbandonato sul divano. Nel salotto, sul tavolino facevano bella mostra di sé una tazza vuota e due bricchi, uno di caffé e uno di latte, e sotto un tovagliolino con le iniziali dell’albergo, scoprì un piccolo cestino di brioches. Ma, nonostante tutte quelle cose buone, non aveva affatto fame: non riusciva a mandar giù nemmeno un sorso di caffé, tanto era il senso di disagio e di ansia. Avrebbe voluto girovagare per la stanza alla ricerca di qualsiasi cosa le parlasse di lui o che avesse il suo odore, ma aveva paura persino di camminare su quel pavimento e lasciare tracce di sé. Non poteva restare tutto il giorno seduta sul pavimento a guardarsi intorno, e soprattutto, forse Rob avrebbe preferito non trovarla ancora lì al suo rientro, quindi decise di andarsene in camera a farsi una bella doccia, per poi dedicarsi allo shopping selvaggio, l’unica cosa che avrebbe potuto distrarla dal suo mondo incantato in quel momento.
Rientrata in stanza, tutto le sembrò così surreale, così lontano, che non ebbe la forza nemmeno di chiamare Maya per raccontarle tutto, anche se sentiva un bisogno disperato di parlare con lei di ciò che era successo. Ma la paura che il ritorno alla realtà potesse cancellare come un colpo di spugna ogni cosa, la fece desistere dal comporre il numero. D’impulso, spense il cellulare. Non voleva parlare con nessuno, né ricevere messaggi da qualcuno che potesse riportarla alla sua realtà. Voleva continuare ancora per un po’ a dondolarsi in quel dolcissimo senso di leggerezza che le aveva lasciato la notte appena trascorsa, e continuare a fluttuare nell’aria. Continuava a rivedere gli occhi di lui puntati come fari sui suoi, e a sentire il profumo di Rob nelle sue narici. Si avvicinò alla doccia. Non poteva lavare via così una notte così importante! Oh, fanculo, Asia, sembri una ragazzina. Si infilò sotto la doccia, e vi rimase per un periodo di tempo indefinito, seduta a terra lasciandosi scivolare addosso l’acqua bollente, pensando e ripensando a ogni singolo gesto che le aveva portato via la ragione e che le aveva fatto vivere un sogno. Dopo parecchio tempo, si rese conto del colore rosso aragosta che aveva assunto la sua pelle, e decise che forse era il momento di uscire dalla doccia e darsi una scossa, se non voleva passare il resto dei suoi giorni a riflettere e ricordare ciò che era successo, per quanto incredibile e straordinario potesse essere. 

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Capitolo 13
*** It's just a matter of time before you leave me alone ***


Camden Town era gremita di gente, quella mattina. Si diresse subito verso il suo negozio di scarpe preferito, alla ricerca di qualche chicca tipicamente british. Come sa tirare su un bel paio di scarpe nuove di zecca, non ci riesce niente e nessuno! In verità, non era giù di morale, ma felice all’inverosimile. Era talmente felice che il fatto di poter dimenticare anche solo un secondo degli attimi stupendi che quell’uomo le aveva fatto vivere quella notte, la rendeva incredibilmente triste. Ma il suo bel paio di scarpe nuove di pacca la fece sentire molto meglio. Erano un paio di decolletè a punta tonda, con la bandiera dell’Inghilterra ricamata sopra. Belle da far invidia al mondo!
Attraversava il mercato passando accanto alle persone come se in realtà fosse sola nel raggio di chilometri, a malapena si accorgeva della gente che le passava accanto. Nel giro di un’ora aveva comprato una quantità indefinita di cose, e senza nemmeno rendersene conto, aveva le braccia piene di sacchetti.
Verso le due il suo stomaco iniziò a brontolare, e si accorse che era ora di pranzo. Il tempo era volato senza che se ne accorgesse, e nonostante i bellissimi pensieri che le affollavano la mente, si disse che era pur sempre fatta di carne, e doveva mettere qualcosa nello stomaco prima di svenire dalla fame e cadere a terra come una pera cotta.
Stables Market offriva le più svariate e profumate specialità possibili. Attraversare quell’improbabile meltin’ Pot tutto concentrato nel giro di pochi chilometri era sempre incredibilmente suggestivo. Senza dover girare a lungo, si fermò al chioschetto cinese, si fece riempire un contenitore di fumante chicken rice e se lo gustò tranquillamente seduta sul sedile di una delle tante vespe in fila con vista sul Tamigi.
Tutto ad un tratto, però, la necessità di sentire una voce amica si fece impellente. Sentì il bisogno di parlare con qualcuno che la capisse fino in fondo, e soprattutto che non la prendesse in giro per come si sentiva. Accese il telefono e squillò subito un sms. Maya. “Tesoro, non ti sei fatta più sentire, cosa ti succede? Sento che sta succedendo qualcosa ma non capisco perché non vuoi parlarmene. Ti voglio bene.” Maya sapeva sempre quando stava succedendo qualcosa. Si capivano senza bisogno di parole, c'era un'alchimia tra le due cugine che andava ben oltre il semplice legame di parentela che le univa. Compose il numero senza pensarci due volte. Lei, la sua 'gemella siamese', avrebbe subito capito come si sentiva. “Hey, ma che fine hai fatto?” “Lo so, sono stata imperdonabile. Ma tu perdonami lo stesso, capirai dopo che ti avrò spiegato.” Le raccontò ogni cosa, ogni attimo, ogni sua piccola sensazione, e Maya ovviamente ne fu strafelice. “So come ti senti, posso capirti solo io! E ciò che ti dico è: viviti ogni istante così com'è, perché la vita ti sta facendo un regalo bellissimo. Ma tieni sempre i piedi ben saldi per terra. Lo sai che tutto questo finirà, quando tornerai, vero?”. Lo sapeva, lo temeva. Ne era consapevole come non lo era mai stata in vita sua. “Ma è già finita! E io lo so che devo farmene una ragione, solo che già oggi tutto questo mi è mancato da morire! Appena sveglia ho avuto una paura folle di perdere quel momento, che tutto scivolasse via senza lasciare traccia.” “Ma ha lasciato traccia, tesoro! Nel tuo cuore e nella tua mente, una traccia indelebile che non svanirà mai. Hai vissuto un'esperienza incredibile, ed è in questo modo che la devi considerare: un'esperienza! Se anche dovessi rivederlo, se anche dovesse succedere di nuovo qualcosa tra voi, se tu resti sempre ben ancorata alla convinzione che si tratta solo di una meravigliosa parentesi, avrai vissuto la favola più bella che si possa desiderare! Ma non devi mai, MAI, credere che sia tutto vero, altrimenti non riuscirai più a staccartene.” “Lo so. Sapevo che avresti capito come mi sentivo, sapevo che avrei trovato il giusto conforto in te che mi capisci sempre. Ti voglio bene.” “Te ne voglio anch’io” concluse la cugina saggia “non dimenticarlo. E tienimi aggiornata”.
La telefonata si concluse così, e lei si sentiva davvero sollevata. In fondo, aveva avuto l’occasione di vivere la favola che aveva sempre sognato. Sapeva sin dall’inizio che non poteva durare, che si trattava comunque di una bellissima parentesi.
Col cuore più leggero proseguì la sua passeggiata, sperando di avere almeno l’occasione di incontrarlo per poterlo ringraziare di ciò che inconsapevolmente le aveva regalato.
Più tardi, si diresse verso Prince Albert Road, e iniziò una lunga passeggiata a Regent’s Park. Aveva davanti agli occhi uno spettacolo unico: un parco pittoresco incredibilmente suggestivo, disseminato di ville con gruppi irregolari di "terraces" nascoste tra gli alberi. Attraversando l’Outer Circle, arrivò al Boating Lake passando tra le meraviglie dell’Inner Circle:  spettacolari giardini di rose in fiore e una particolarissima fontana che rinfrescava solo a guardarla. La sua passeggiata durò un’infinità di tempo, e quando si sentì stanca si sedette su una panchina e restò ad ammirare il paesaggio intorno a lei: alberi e fiori di ogni genere, laghetti, fontane; mamme con le carrozzine, ciclisti e joggers... un relax e una pace senza eguali. Passeggiando, si rese conto che, pur avendo girato il mondo per una buona parte della sua vita, Londra rimaneva sempre la sua città preferita. C’erano posti al mondo mille volte più spettacolari della capitale inglese, eppure l’atmosfera che respirava quando era lì le faceva venire le farfalle nello stomaco ogni volta.  Ricordava come fosse ieri la prima volta che vi aveva messo piede. Aveva sedici anni, in vacanza studio con i suoi amici del college, e la sua prima volta a Piccadilly Circus fu indimenticabile. Era luglio, la temperatura era davvero piacevole, e l’entusiasmo del suo primo viaggio all’estero aveva reso quel momento ancora più speciale. Da allora era tornata nella sua amata City altre volte, ed ogni volta aveva scoperto qualcosa di incredibile da vedere e conoscere, un piccolo angolo della città che le aveva lasciato qualcosa nel cuore e che l’aveva fatta sognare.
Rientrò in hotel, un tantino stanca. Davanti alla maestosa entrata, esitò un momento: vide la solita calca di fans accatastata là fuori, e improvvisamente le tornò tutto in mente. Quei giorni surreali, la notte con Rob, ogni gesto, ogni sorriso, ogni bacio. Il cuore iniziò a batterle forte in petto, ma cercò di restare calma. Devi rassegnarti, Asia. È stata solo una bella avventura, un sogno che custodirai nel tuo cuore per la vita, ma finisce qui. Si fece coraggio. Entrò mostrando la card all’usciere, e si diresse verso l’ascensore con fare deciso, anche se dentro di sé continuava a tentennare, come se tutte quelle ragazze là fuori le ricordassero che ciò che era successo era REALE.
Si spogliò, e accese la televisione. Solito canale, la musica la aiutava a distrarsi dai suoi pensieri. Aprì il frigo bar, prese una schweppes, e iniziò a sorseggiarne un po’, poi si sdraiò sul letto, in reggiseno e slip. Rimase così, a guardare il soffitto, per un po’, intenta com’era a ripercorrere almeno con la mente gli ultimi due giorni. Cercava di reperire uno sguardo, un sorriso, un profumo, qualsiasi cosa potesse imprimersi nella sua mente e restarvi quanto più a lungo possibile, quando qualcuno bussò insistentemente alla porta. “Maria, Maria, aprimi. Lo so che ci sei” una voce maschile dall’accento sicuramente non britannico e inequivocabilmente impastata di alcool interruppe il suo flusso di coscienza.
“Avrà sbagliato” pensò, attendendo che smettesse. La voce tornò insistente a ripetere la frase, e il tizio continuava a bussare. “Non c’è nessuna Maria, ha sbagliato stanza!” Urlò con tutto il fiato che le uscì dai polmoni. La cosa si faceva inquietante, perché l’uomo non smetteva di bussare alla sua porta, quasi volesse buttarla giù. “Maria, aprimi!” continuò la voce, al che Asia si alzò parecchio scocciata e si diresse verso il bagno per indossare l’accappatoio, con l’intenzione di uscire e dirgli che era inutile continuare a bussare, perché in quella stanza non c’era alcuna Maria. All’improvviso l’uomo smise di bussare, e per un po’ non si sentì più nessuna voce. “Finalmente l’ha capito!”, sospirò la ragazza, mentre si slacciava la cinta dell’accappatoio, intenzionata a sdraiarsi nuovamente sul letto. Ma tutt’a un tratto, di nuovo, qualcuno bussò alla porta. Seccatissima, tornò in direzione della porta, e, sospirando, la aprì, intonando una cantilenante “Lo vuole capire che non c’è nessuna Maria qui?”.
Ma aperta la porta, si trovò davanti uno stupefatto Rob, che riuscì soltanto a biascicare un confuso: “Ave Maria!”. Sorrise come solo lui sapeva fare, e Asia rimase ferma a guardarlo, come se avesse visto un fantasma. Non riusciva ad emettere un suono. D’istinto, alzò una mano per sistemare un lembo dell’accappatoio che si era abbassato scoprendole una parte di spalla, e lasciando intravedere il push-up. Prima che la mano raggiungesse la spalla, Rob la bloccò: “Ferma… mi piace ciò che vedo... posso entrare?”. Aveva uno sguardo serio ma al contempo incredibilmente languido, e lei si perse per l’ennesima volta nei suoi profondi occhi verdi, attraverso mondi che credeva di aver perso per sempre. “Se ti disturbo me ne vado”, insistette Rob. “Oh, no, ma figurati... certo che puoi entrare!"  Ma ti pare che disturbava?! "C’era un tizio probabilmente ubriaco che continuava a bussare cercando una certa Maria. Iniziavo a preoccuparmi.” “In effetti mi sono meravigliato quando ho visto quello strano individuo, pensavo fosse uscito dalla tua stanza! Certo che se davvero era ubriaco, forse non era proprio l’ideale uscire fuori in queste condizioni. Avesse avuto una reazione anche lontanamente simile alla mia, come minimo gli sarebbe venuta voglia di saltarti addosso!” lei lo fissò per un po’, poi, a voce bassa, gli disse: “Perché, hai avuto voglia di saltarmi addosso?”. Lui le si avvicinò lentamente, le scostò un ciuffo di capelli dalla fronte e le sussurrò all’orecchio: “Veramente ne ho ancora una voglia matta”. Senza dire altro, la baciò, e lei si lasciò baciare, e poi accarezzare sul viso, sulle spalle, e si lasciò andare a lui completamente, senza riserve. Il suo tocco era quello sapiente di un uomo maturo, che sapeva il fatto suo. E i suoi baci erano di quelli che ti fanno perdere la testa come una quindicenne, anche quando hai abbondantemente superato i trenta.

Un’oretta più tardi Rob era sdraiato accanto a lei, e fumava in silenzio la sua sigaretta. In un altro momento avrebbe detestato il fatto che l’uomo col quale aveva appena fatto l'amore le fumasse accanto mentre cercava ancora di respirare il suo odore a pieni polmoni. Ma in quel momento, con lo stato d'animo in cui si trovava, gli avrebbe concesso perfino di rubarle l'aria che respirava. Lo osservò attentamente mentre fumava, e dovette ammettere che era davvero un gran bel vedere. Il suo viso era rilassato, le sue palpebre semichiuse. Quando buttava fuori il fumo della sigaretta, la piccola ruga d'espressione tra le sopracciglia gli si accentuava un po', mettendo ancora più in risalto il colore intenso dei suoi occhi. Le rughette che aveva in viso erano tutti segni delle numerose esperienze vissute, troppo intense per essere un uomo di nemmeno quarant’anni. Quei piccoli segni ai lati della bocca, poi, che si accentuavano quando rideva, erano la settima meraviglia del mondo! Quando si accorse che Asia lo stava osservando da un bel po’, si girò verso di lei e le sorrise: “Cos’hai da guardare?”. Lei rifletté per un po’ se dirgli la verità o meno. Poi confessò: “Le tue meravigliose fossette. Mi piace restare a guardarti. Mi trasmetti serenità e pace”. Oddio, l’aveva detto, si era lasciata andare a questo tipo di dichiarazioni! Non poteva permettergli di scavare dentro di lei così a fondo!
Rob si fece serio. La guardò, sdraiata su un fianco, con la testa appoggiata sul palmo della mano: era nuda, coperta solo dal bacino in giù con il lenzuolo che  lasciava intravedere ogni centimetro delle sue curve. I suoi capelli neri, lisci e incredibilmente lucidi, erano appoggiati delicatamente sul cuscino, e una ciocca le cadeva sul viso, quasi a volerlo incorniciare. Improvvisamente ruppe il silenzio. “Domani avremo un giorno di stacco dal tour, e pensavo di starmene un po’ per conto mio. Ho deciso di andare a Camber Sands, nell’Est Sussex, per una giornata di mare in tranquillità”. Asia si sentì avvampare di calore. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato, ma non ora, non era pronta. Non dopo quell’idillio che li aveva appena uniti. “Oh, si, beh... capisco. Hai chiaramente bisogno di ricaricarti un po’, e stare un po’ da solo. Sempre in mezzo ad altre persone, sempre di corsa…” cercò di sembrare più tranquilla possibile, ma era troppo difficile. Le rimanevano ancora pochi giorni da spendere a Londra, dopo di ché sarebbe partita per la Scozia prima di rientrare a casa, e la sensazione di non rivederlo mai più le faceva troppo male. Ovviamente era consapevole del fatto che questa per lei era solamente una brevissima e meravigliosa parentesi, e che avrebbe dovuto rinunciare a lui quanto prima, ma quelle parole le bruciarono dentro come un fuoco inarrestabile. “Dopo tutto lo stress, fai bene a startene una giornata per conto tuo, lontano da tutto, te lo meriti. Parti domattina?”. Rob la bloccò con un ghigno: “forse non hai capito... Ho voglia di stare lontano dai riflettori, dal palco, dalle fans... non da te. Ti sto chiedendo di venire con me.” Asia sentì un brivido correrle lungo la schiena. Cioé, le stava chiedendo di andare con lui? Il gelo si impossessò di lei, e l'unica cosa che le riuscì di farfugliare fu un tremolante “ma io SONO una fan!”, cercando di suonare più ironica possibile e di camuffare il suono del suo cuore che, ne era sicura, in quel momento si sentiva fino al polo Nord. Lui prontamente le rispose: “In realtà pensavo che fossi una groupie” “Beh, non proprio! una groupie una volta che si è portata a letto il proprio idolo si ritiene soddisfatta, io...” abbozzò un sorriso malizioso “ci ho preso gusto…”. Rob le si avvicinò di soppiatto, e le bisbigliò nell'orecchio: “mmmhhh... anch'io ci ho preso particolarmente gusto, sai?” non finì nemmeno la frase che già aveva appoggiato le labbra sulle sue, per assaporarle con passione. Lei iniziò a baciargli il petto, e si rese conto che stava prendendo confidenza con quel corpo possente che la faceva vibrare solo con la sua vicinanza. Stava imparando piano piano a conoscerne ogni centimetro, e a gustarne ogni piccolo angolo, e aveva trovato i suoi punti preferiti che si dilettava ad esplorare come fossero il più affascinante dei mondi. Erano appena all'inizio di quel nuovo viaggio entusiasmante, quando lui si fermò, e guardandola negli occhi le chiese: “Devo prenderlo come un si?”. Asia lo guardò soddisfatta, e con un sorriso malizioso dipinto in viso rispose: “Beh, direi di si. Non sono mai stata a Camber Sands, e mi piacerebbe molto andarci.” Lui indispettito replicò: “Ah! Questo è l'unico motivo... vuoi dire che non vieni per stare con me?”. La ragazza inarcò le sopracciglia con presunzione, cercando (inutilmente) di apparire quanto più sciolta possibile: “Cosa ti fa credere che io ti dia tutta questa importanza? Ovvio che vengo soprattutto per vedere il posto!” cercò il suo sguardo per capire se l'avesse bevuta. No. Era impossibile per lei mentire a quell'uomo, soprattutto perché in quel momento era nuda di fronte a lui, e non solo fisicamente.

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Capitolo 14
*** My head speaks a language I don't understand ***


La mattina seguente partirono all’alba, per evitare assalti e inseguimenti vari. Asia aveva delle occhiaie tremende che non era riuscita a coprire nemmeno con un chilo di correttore, e due borse sotto agli occhi che non avevano nulla da invidiare alle migliori valigie Samsonite. Dopotutto, avevano dormito si e no un paio d’ore, impegnati com’erano a fare ben altro. Per la verità la nottata era stata molto produttiva, e non solo per quello che avvenne sotto le lenzuola. Parlarono molto delle loro vite, di ciò che piaceva loro e ciò che li disgustava, dell’amore, dell’amicizia e anche della teoria della relatività, se possibile. Disquisirono su tanti argomenti che non riusciva a ricordarli tutti, ed ebbe la sensazione di conoscerlo da sempre. Forse perché, in qualche modo, lo conosceva da sempre.
Si misero in auto di buona lena (che poi chiamare automobile quella meraviglia della tecnologia, che poteva costare ad occhio e croce una trentina di suoi stipendi e aveva le dimensioni del suo salotto di casa, suonava tremendamente riduttivo), e, dopo aver guardato l’autista caricare le loro borse nel bagagliaio, partirono senza ripensamenti alla volta di Camber Sands.
Sulla M20, alle prime luci dell’alba, non si vedeva un granché: chilometri  e chilometri di campagna verde, attraversando qualche paesino qua e là. Rob fu un vero gentleman e le permise di appoggiare la testa sulla sua spalla, accarezzandole di tanto in tanto I capelli. Dopo un’ora circa si fermarono alla stazione di servizio di Maidstone per sgranchirsi le gambe e prendere un caffé. Scese dall’auto, e si voltò alla ricerca di Rob, di cui però non vedeva traccia. Tutt’ad un tratto, lo vide spuntare dietro di lei con fare sospetto; indossava un berretto scuro e dei grandi occhialoni da sole neri che gli prendevano tutta la parte superiore del viso. “Ahahah, ma come ti sei combinato? Ti riconoscerebbe anche mia madre!” scoppiò in una fragorosa risata. “Ridi pure tu, ma cosa ne sai? devo camuffarmi anche per andare a fare la spesa, o rischio di rimanere sommerso dalle orde di fans che mi acclamano”. Lei lo guardò con aria interrogativa: “Certo, perché tu… vai a fare la spesa!” “A volte si, perché che c'è, non ci credi?” “Eh, si, certo. E quanto costa un chilo di pane?”.  Silenzio. Lei gli sorrise amorevolmente, gli accarezzò la guancia e gli diede un bacio rumoroso. “Andiamo, ho bisogno di caffé endovena!”. Il caffé fu breve e nemmeno tanto gratificante (si chiese perché continuava a cercare un espresso in Inghilterra) e ben presto si rimisero in viaggio.
Poco più di un’altra oretta e giunsero a destinazione. Se ne accorse perché vide l’autista rallentare, per poi arrestarsi completamente di fronte ad una villa dalle dimensioni spropositate. Il grande cancello si aprì, e i due scesero dall’auto in men che non si dica. Il tempo di recuperare le proprie borse e l’autista si era dissolto nel nulla. Ora erano loro due. In una bellissima villa al mare. Da non credere quanto le sembrasse surreale tutto questo. Si guardò intorno. La scena che si trovò di fronte era incredibile: un giardino immenso meticolosamente curato, con piante e fiori di ogni tipo, e una fontana al centro del viale che sembrava degna delle migliori opere d'arte della Città Eterna. Il rumore dell'acqua che usciva dalla fontana e il cinguettio degli uccelli erano gli unici suoni che si sentivano. La sensazione di serenità e appagamento che le diede tutta quella situazione le fece temere di potersi abituare alla cosa. Stordita guardò Rob che le sorrise: "Una giornata intera solo per noi. Ho proprio bisogno di un po' di relax." Relax? Forse il tipo non aveva capito che tutto le ispirava quel luogo fuorché relax. Aveva in mente il piano diabolico di tenerlo segregato dentro quel Paradiso per l'eternità, al diavolo tutti i buoni propositi! Già si immaginava la scena: loro due, in costume da bagno dalla mattina alla sera, alternando un rilassante bagno al mare ad una sessione infinita di baci, per poi finire col fare l’amore al tramonto sulla battigia. Suonava davvero niente male!
Il suono del suo cellulare la svegliò dai suoi sogni di gloria, riportandola bruscamente alla realtà. Era Maya, il suo angioletto sulla spalla. Sembrava le leggesse nel pensiero, quella donna! “Ciao! Come procede? Dove sei di bello?” “Maya! Ehm… sono a Camber Sands, al mare.” Attimi di pausa. “Con Rob”. Si sentì un sospiro dall'altra parte del telefono. Poi il nulla. “Maya... ci sei?” “Si, sono qui... Il fatto è che... Tesoro, la cosa si fa più seria di quanto pensassi. Almeno per te, ti conosco, lo so. Sarò ripetitiva, ma... ci tengo a dirtelo: goditi questo momento, ma ricordati di tenere sempre i piedi per terra!” “Tranquilla, Maya... Lo farò. Ci proverò.” “Chiamami! Un bacio!” “Un bacio a te, tesoro!”.
Chiuse il telefono e restò a guardarlo come se potesse rivelarle la verità più grande del mondo. Rifletté sulle parole di Maya: i piedi per terra! Ma come si fa a tenere i piedi per terra quando hai davanti un uomo così! Improvvisamente si ricordò che Rob era con lei. Si voltò e lo vide poco distante da lei, appoggiato alla fontana mentre fumava una sigaretta. Si era allontanato con discrezione per lasciarla libera di parlare al telefono. Come se potesse capire cosa stessero dicendo! Le sorrise e ruppe il silenzio: "Tesorro... Mi piace questa parola, ha un bel suono!" disse, buttando fuori il fumo. "Lo avrebbe ancora di più se solo la pronunciassi bene!" rispose lei, sollevata. Non aveva capito di cosa stessero parlando. O forse sì. E questo era l'unico modo che lui conosceva per sdrammatizzare la situazione. O meglio, uno dei modi. Buttò la sigaretta per terra, spegnendola col piede. La cinse per la vita e le sussurrò piano nell'orecchio: "Vogliamo stare qui tutto il giorno, tesorro?". Asia sussultò leggermente; quella erre "arrotolata" le piaceva da impazzire. Chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalla mano ferma di lui, che la condusse all’interno della casa. E attraverso mondi fantastici, mai conosciuti prima.

Sussultò svegliata dallo stridio insistente di un gabbiano. Si voltò: lui non era accanto a lei. Si alzò dal letto completamente disfatto e cercò il bagno per lavarsi il viso. Una cascata di acqua fresca e si ricordò di dove si trovava. Era sempre molto difficile per lei connettere appena sveglia... ci metteva sempre un po' a ricordarsi chi era e dove si trovava. Girovagò per qualche manciata di minuti alla scoperta della casa. CASA... quella sembrava una reggia, a dirla tutta! Nel salotto immenso, una porta a vetri spalancata le presentò uno scenario che fino ad allora aveva visto solo nei film. O nei suoi sogni. Una distesa di spiaggia semideserta, solo poche persone e il mare infinito in cui le onde, instancabili, giocavano a rincorrersi, e LUI, disteso sulla sabbia con le mani incrociate sotto la testa e col viso rivolto verso il sole, che sembrava averlo ancora di più nelle sue grazie, in quel momento. Aveva l'aria davvero distesa, come se non avesse altri pensieri al di fuori del rumore delle onde e del calore del sole. In verità c'era una brezza appena pungente, ma lui sembrava non curarsene in quel momento, preso com'era a fruire di ogni singolo raggio di sole come fosse l'ultimo. Si avvicinò in silenzio, e si sedette poco distante da lui per osservarlo. Aveva la pelle del viso appena arrossata dal sole, e la rughetta d'espressione in mezzo alle sopracciglia un po' accentuata per via della luce troppo forte che disturbava i suoi occhi che pure erano chiusi. Era una scena incredibilmente emozionante. Chiuse gli occhi e respirò a lungo l’aria di mare che iniziò a propagarsi nei polmoni con la forza di un uragano. Quando espirò, rimase ancora con gli occhi chiusi; nell’aria, misto al profumo della salsedine, si propagava l’odore piacevole di lui. Improvvisamente ebbe una gran paura di perdere tutto questo.
“Un penny per i tuoi pensieri”. La voce di Rob ruppe il silenzio, irrompendo prepotentemente nelle sue riflessioni. Asia lo guardò per un attimo. Le venne un groppo in gola e sentì crescere la paura che se solo avesse aperto la bocca per parlare, sarebbe scoppiata in un mare di lacrime. Lui non glie ne diede tempo però: aveva capito tutto. Come al solito. Si alzò e si mise seduto restando accanto a lei, e la guardò dritto negli occhi. “Sei molto bella, Asia. Quella sera, quando ti ho vista piangere davanti a quella macchina per il ghiaccio, l’ho pensato subito.” L’ha pensato subito?? Forse non l’aveva vista bene, con i capelli arruffati in testa, gli occhi gonfi e rossi e quegli insulsi calzoncini addosso!
 “Non so dove ci porterà questa cosa, e onestamente non lo voglio sapere. Dopo tutto quello che ho passato –che ABBIAMO passato- ora stiamo vivendo questa cosa in gran serenità. E, personalmente, non mi serve altro”.
Asia rifletté sulle sue parole e si rese improvvisamente conto che era vero: da quando l’aveva incontrato non aveva mai pensato ai motivi che l’avevano spinta ad intraprendere questo viaggio. MAI UNA VOLTA. Questo era già un buon inizio, e se continuava a stare male pensando a quando si sarebbe allontanata da lui, non sarebbe riuscita a godersi quel momento fantastico. “Sto così bene con te” finalmente disse “e lo ammetto, sto talmente bene che ho paura di quando finirà. Ma tu parti avvantaggiato. Tu non hai alle spalle vent’anni passati a sospirare davanti a un poster, o ascoltando una canzone”. L’aveva detto. Gli aveva confessato quello che era stato il suo passatempo preferito negli ultimi vent’anni. Ma tanto lo aveva già capito da sé, perspicace com’era. Lui riusciva a leggerle dentro come se davvero fosse stato parte della sua vita in tutti quegli anni. “Capisco cosa provi, o almeno lo posso immaginare” la rassicurò “ma c’è una cosa che tutti dimenticano. Oltre al cantante, all’intrattenitore, al buffone... c’è un uomo qui dentro” si batté la mano sul petto guardandola dritta negli occhi “con i suoi sentimenti, la sua sensibilità, la sua fragilità estrema. E so che tu lo hai capito. E ti assicuro che ci ho messo moltissimo ad imparare ad aprirmi completamente ad una persona in passato, e ci sto mettendo altrettanto, se non di più, per riuscire ad aprirmi di nuovo nonostante tutto. Questo per me è già un grosso passo, ma sono sicuro che tu già lo sai, perché mi conosci molto più di quanto immaginassi” tirò un sospiro di sollievo dopo aver detto queste parole, quasi a volersi liberare da un macigno che lo opprimeva. Asia lo fissava con ammirazione. Era così strano vederlo così serio, ed era così abituata a vederlo scherzare su tutto, che quasi non lo riconosceva quando faceva discorsi così profondi. “So bene quanto ti sia costato tutto questo, perché so che in un altro momento, anni fa, ti saresti chiuso in te stesso e nascosto al mondo. Invece ti sei rimesso in gioco, in tutto. Mi hai permesso di entrare in questo tuo meraviglioso piccolo mondo lontano dai riflettori, dai lustrini e dal gossip. Lo so bene e ti ringrazio per questo, mi sento una privilegiata”. Si fermò per un istante, poi riprese: “ E hai ragione, non ha senso precludersi delle cose belle per la paura di perdere tutto. Soprattutto se sono COSÌ belle”. Gli sfiorò le labbra con un dito, per poi allontanare il dito e posarvi le sue.

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Capitolo 15
*** What a wonderful world this is, that makes me want to kiss ***


Fu una giornata splendida, all’insegna del relax e del sogno. Non tornarono più sull’argomento, anche perché dopo quella chiacchierata Asia si era davvero rasserenata. In fondo, già quello che aveva vissuto fino a quel momento era un vero e proprio dono dal cielo, quindi perché chiedere di più?
Al tramonto, dopo una nuotata pazzesca da togliere il fiato, se ne stavano sdraiati sulla battigia, quasi senza parlare. Guardavano il sole nascondersi nel cielo rossastro in silenzio, mentre lui disegnava col dito dei piccoli cerchi sui suoi fianchi, canticchiando “Pretty Things”, e scuotendo la testa lentamente mentre cantava.
 “God, I Love those Hips… ci vorrebbero decine di giornate come questa, eh? Peccato che sta volgendo al termine, e stasera si deve rientrare”. “Già, ma meglio rientrare ora che domattina... un’altra sveglia come quella di oggi dopo queste nottate insonni e on stage ci vai con la flebo! Dovessero decidere di darmi la colpa anche della tua mancanza di sonno!” “Ahahah” scoppiò a ridere lui “la storia della macchinetta fotografica non ti è andata giù, eh?”. Asia lo guardò cercando di capire dove nascondesse il chip che gli permetteva di leggerle nella mente. Ma questo come cavolo faceva a capire sempre quali pensieri si nascondevano dietro ogni frase che pronunciava??? “Ma dai, ancora non hai capito che ho architettato tutto io… quel poverino di Jason non c’entrava nulla... che poi se ti sente dice che lo metto sempre nei casini! Piuttosto...” e qui la voce si fece più languida e sensuale “Ti osservavo mentre difendevi decisa le tue ragioni, e devo ammettere che in quel momento ti ho trovato davvero sexy... eri così risoluta, così energica! E poi, mi piace quella fossetta che ti si forma qui quando hai quell’espressione corrucciata in viso” mise il dito al centro della sua fronte facendo dei piccoli segni leggeri che presto si trasformarono in delicate carezze su tutto il viso. Un brivido le scese prepotente lungo la schiena e di nuovo fu incapace di parlare. Quell’uomo riusciva sempre a metterla KO, lei che era la maga della parlantina senza sosta! I suoi amici le dicevano che era così chiacchierona da far sanguinare le orecchie, e avevano ragione: per dire una frase che ad una persona normale avrebbe richiesto tre parole, a lei era necessario un intero monologo! Ma davanti a lui, soprattutto in certi momenti, non era così. Quando si trovava quell’uomo di fronte diventava una perfetta ameba! Tutto ciò che riusciva a fare era perdersi nei suoi occhi infiniti e incontrare mondi e sensazioni sconosciute che la portavano il più lontano possibile dalla realtà, lasciandola in quel limbo di dolcissimo dolore molto, ma molto a lungo.
Rob restò a fissarla per un tempo indefinito, senza parlare. Poteva trattarsi di due ore, o pochi secondi, cosa importava? Lei vedeva il mare in quegli occhi seri ma infinitamente dolci che in quel momento le stavano mostrando l’anima della persona che aveva davanti. Una persona che, nonostante la facciata, costantemente scherzosa, esilarante, a volte anche dura se la situazione lo richiedeva, riusciva a nascondere bene il lato fragile di sé. Una persona che indubbiamente aveva conosciuto il dolore nella sua vita, quel dolore che  in quel momento aveva lasciato in un angolo recondito del suo cuore per vivere quello che il destino gli aveva regalato, senza farsi troppe domande, senza troppi perché. Decise che era proprio questo che voleva fare. Vivere questa favola incredibile senza chiedersi cosa le riservasse il futuro.
La verità è che il susseguirsi di eventi che si verificarono immediatamente dopo, non le diede il tempo nemmeno di porsele, certe domande.
Tutto all’improvviso iniziò a piovere a dirotto, e si resero conto che era ora di andare. Quella giornata magnifica e surreale volgeva al termine, anche se ciò che ancora non sapevano, era che in verità la giornata non era affatto finita.
Asia si diresse verso la doccia, seguita da Rob che col suo fare ammiccante vi si introdusse insieme a lei: “Sono il benvenuto anch’io, vero?”. Si trattava ovviamente di una domanda retorica, e gongolò fiero di conoscere già la risposta.
Tra il fruscio dell’acqua che scorreva, e i gemiti invitanti di Asia, che aumentavano di intensità bacio dopo bacio, carezza dopo carezza, Rob riuscì a sentire il suono insistente del suo cellulare che squillava. “Al diavolo” pensò “Ho cose più importanti da fare, ora”. Il cellulare smise di squillare, per riprendere incalzante dopo un paio di minuti, e andò avanti così per due o tre volte, finché Asia, spazientita, lo rimproverò: “Ti prego, rispondi a questo cellulare. È evidente che c’è qualcuno che ha urgente bisogno di parlarti”.
Rassegnato, lui uscì dalla doccia, si avvolse un’asciugamano in vita, e si diresse verso la camera da letto. Il cellulare era lì, sul tavolino, che lampeggiava e vibrava incessantemente. “GAZ??? Adesso lo ammazzo” pensò. “Gaz? Avevo detto che oggi non volevo essere disturbato per nessun motivo che non fosse di importanza nazionale, quindi mi auguro che si tratti di qualcosa di serio, altrimenti...” “MARK.” Gary lo interruppe. Rob rimase di sasso. “Cosa? Cos’è successo a Mark?”. Non riusciva a parlare, le parole gli si spezzavano in bocca prima di uscire. Gary fu frettoloso: “Credo che sarebbe meglio se tu tornassi in albergo quanto prima. Qui abbiamo bisogno di te”.
Rob sentì il cuore balzargli via dal petto. Era troppo affezionato a quel piccoletto, per poter accettare che gli fosse successo qualcosa. In due secondi ricordò il momento in cui si erano conosciuti, parecchi anni prima, all’audizione per i Take That, quando entrambi si vergognavano di essere stati accompagnati dalle loro mamme, in quello che divenne il giorno che avrebbe cambiato le loro vite. Da allora, con alti e bassi, erano diventati inseparabili. Anche in quegli anni in cui la vita di Rob sembrava aver preso un’altra direzione, l’amico gli era stato vicino molto più di quanto lui avesse mai potuto immaginare. E aveva sviluppato un senso di protezione per lui che andava ben oltre il fatto di cantare insieme in una band.
No. Proprio non poteva accettare che gli succedesse qualcosa, non senza che lui, il suo grande amico, avesse provato ad aiutarlo. 

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Capitolo 16
*** I didn't lose my mind, it was mine to give away ***


“Cazzo, Gary, dimmi almeno cos’è successo!” “Rob, devi stare tranquillo, Mark sta bene. O almeno così sembra. È solo che... ne ha combinata un’altra delle sue. È fuori di testa, solo tu puoi calmarlo. Siamo da Howard.” “Sto arrivando”. Riattaccò. Non una parola di più. Aveva già capito. Rimase silenzioso e serio, e tutto ciò che fu in grado di dire fu: “Dobbiamo tornare immediatamente a Londra”. Asia, che nel frattempo era uscita dalla doccia, preoccupata dal tono della telefonata, lo guardò con aria interrogativa; si rese conto che non era il caso di mettersi a fare domande, ma era preoccupata. “Dimmi almeno che sta bene”. “Fisicamente sì, ma psicologicamente… stavolta mi sente”. Asia preferì non ribattere, forse aveva capito di cosa si trattava, ma si sentiva troppo fuori luogo per dire qualsiasi cosa, perciò si limitò ad annuire e si preparò alla velocità della luce. Uscirono, e l’autista era già lì che li aspettava, silenzioso ed ossequioso. Rob non disse una sola parola per tutto il tragitto. Era una situazione davvero imbarazzante, lui fu nervoso per tutto il viaggio, che non fu affatto piacevole data la pioggia incessante, e lei non poteva fare altro che restare in silenzio per paura di dire o fare qualcosa di sbagliato.
Rientrarono in hotel in fretta e furia, e si diressero immediatamente verso la camera di Howard. Mentre erano in ascensore, Asia guardò Rob negli occhi e disse, titubante: “Forse è il caso che io me ne vada in camera mia”. Stava premendo il pulsante corrispondente al piano in cui si trovava la sua stanza, ma lui le bloccò la mano. “No, tu vieni con me. Deve capire quanto le sue azioni continuano ad interferire con la vita delle persone che gli stanno intorno”. Asia si sentì piccola e impotente, era davvero molto a disagio. Cosa avrebbero pensato gli altri nel vederla spuntare così? Sicuramente avrebbero pensato che era un’impicciona che non vedeva l’ora di avere qualche scoop per le mani.
Quando entrarono, erano tutti in piedi intorno a Mark, che se ne stava immobile, seduto sul pavimento, con lo sguardo perso nel vuoto. La guardarono, facendole un abbozzo di saluto, e poi guardarono Rob con sguardo interrogativo, quasi a volergli chiedere cosa ci facesse lei lì. Rob fu impassibile. Non appena lo vide, Gary fece cenno agli altri di scansarsi, e come dei piccoli soldatini di piombo, al suo gesto si allontanarono tutti e si misero a sedere. Jason e Howard si appoggiarono sul letto, mentre Gary, che non riusciva a rilassarsi nemmeno un po’, si sedette su una sedia non molto distante dal centro della stanza, dove si trovavano Mark e Rob. Quest’ultimo guardò il biondino seduto a terra in un primo momento con aria di rimprovero, ma ben presto il suo si trasformò in uno sguardo amorevole e comprensivo. Proprio non riusciva ad essere duro con quel piccoletto. “Che succede?” gli intimò senza troppa convinzione. “E che succede? Non ha ancora capito cosa vuole fare da grande!” bofonchiò Gary. “Voglio sapere da lui cosa è successo. MARK?” si inginocchiò davanti a lui “Sono qui. Che c’è?” lo guardava con uno sguardo così carico d’affetto e comprensione che Asia stava per mettersi a piangere dalla commozione. Lo doveva amare davvero molto, quel piccolo combina guai! Mark alzò lo sguardo sugli occhi dell’amico, e nel giro di un secondo si sentì tranquillo. Tranquillo che qualsiasi cosa fosse successa, ci sarebbe stato Rob accanto a lui, e lo avrebbe aiutato. Poi scoppiò. “Ha detto che sparisce dalla circolazione e mi porta via i bambini. Ha detto che sono un fallito testa di cazzo, e che senza di voi non sono nessuno. E ha ragione. Fallisco miseramente in ogni cosa che faccio, e l’ho delusa di nuovo! Io...” Rob lo interruppe mettendogli una mano sulla spalla: “Non dire stronzate, queste cose non voglio più nemmeno sentirtele pensare. Tu sei un bravo cantante e anche un bravo papà. Solo che forse devi renderti conto che quella… non è la donna per te. Tu non la ami, non l’hai mai amata, e questa storia continua solo a farti del male. Chi è la malcapitata stavolta, e soprattutto, lei cos’ha visto?”. Asia guardava la scena da lontano. Era seduta in un angolo, lontana da tutti, quasi a voler sottolineare la sua estraneità a tutta quella situazione. Gli altri sembravano non essersi nemmeno accorti della sua presenza, e lei li scrutava da lontano cercando di capire cosa pensassero di tutta questa storia. In verità provava un gran disappunto a riguardo, non aveva mai voluto giustificare Mark per tutte quelle scappatelle, anche se si rendeva conto del fatto che lei conosceva ben poco di tutta la faccenda, e che come al solito, la colpa poteva stare da entrambe le parti, magari in misura differente. Ma lei era una che non aveva mai accettato il concetto del tradimento, proprio non riusciva a giustificarlo, e non aveva mai capito quale meccanismo spingesse il biondino a tornare ogni volta sui suoi passi, pur essendo convinta che lui fosse consapevole del fatto che quel rapporto avrebbe continuato a procurargli soltanto dolori.
Mark sospirò. “Rob... mi ha seguito. Non mi ha fatto seguire, capisci, era proprio lei dietro di me. E ha visto tutto: stavolta non ho nessuna giustificazione.” Stava per mettersi a piangere, poi tirò su col naso e continuò: “Si è messa a strillare come una pazza, urlava che stavolta l’avevo fatta grossa, che lei non avrebbe dovuto fidarsi di nuovo di me, e che i miei figli non meritano un padre così. Era fuori di sé. E a ragione”.
Improvvisamente una voce si levò dall’altro lato della stanza, come si trattasse di un qualche commentatore esterno che aveva taciuto fino a quel momento. “Beh, se avessi in testa più corna di un cesto di lumache sarei un attimino inviperita anch’io, mi sembra umano”. Asia si rese conto troppo tardi che quelle parole erano uscite dalla sua bocca. Si portò la mano alla testa e riuscì solo a scusarsi: “Perdonatemi, io… ho pensato ad alta voce. Forse è meglio che mi tolga di mezzo, vado a bere qualcosa.” Tutti la guardarono attoniti, poi Howard si alzò e disse “Ti accompagno, mica vorrai andare sola, a quest’ora?” poi si girò verso Rob cercando la sua approvazione “… se per te va bene”. “Certo che va bene.” Disse lui laconico, poi si girò verso Mark mentre i due lasciavano la stanza, che era improvvisamente diventata troppo piccola per tutte quelle persone.
 
Fuori dalla stanza, Howard guardò Asia: era evidentemente in imbarazzo. “Io... non so come mi siano uscite di bocca quelle parole, non mi dovevo permettere, lo so.” “Tranquilla, credo sia quello che pensiamo tutti. Sappiamo che ha sbagliato, e che continua a farlo, ma è nostro amico. Non possiamo abbandonarlo solo per questo. Tutto ciò che possiamo fare è dirgli è che sta sbagliando e stargli vicino”. Si avvicinarono all’ascensore, poi lui la esortò: “Andiamo a prendere un caffé?”. Lei si fermò, rifletté un attimo e poi si girò: “Ho bisogno di bere qualcosa di un po’ più forte, se capisci cosa intendo. Questa cosa mi ha scosso un po’ la giornata”. Howard le sorrise: “Credo di aver capito, si. Andiamo, speriamo solo che Rob non me ne voglia per questo”.
Scesero al piano interrato, ai garage. Era notte inoltrata, e lei si sentì un po’ a disagio. Non le erano mai piaciuti i garage di notte. Ma con quell’omaccione accanto, si sentì inspiegabilmente protetta, e improvvisamente sopraffatta da un’incomprensibile sensazione di rilassatezza. L’uomo dagli occhi di ghiaccio avanzava a passo sostenuto tra le auto, tutto intorno il nulla, soltanto una sirena in lontananza spezzava il silenzio che li avvolgeva. Lo vide rallentare nei pressi di un’auto scura molto bella.  Si trattava di un’Aston Martin coupé, blu scuro metallizzato, un vero gioiellino. La guardò ammirare l’auto con sguardo estasiato, e, con tono ammiccante, la invitò: “Andiamo, signorina, la porto a fare un giro col mio bolide!”. Sorrisero entrambi e si avviarono nel buio della città, alla velocità della luce.

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Capitolo 17
*** Why's life never easy, or do we make it hard for ourselves ***


Ancora prima di giungere a destinazione, Asia aveva I capelli dritti dalla paura. Il signorino correva come un pazzo sulle strade semideserte di Londra, e lei non riusciva neppure a distinguere i lampioni dai semafori. Menomale che almeno aveva smesso di piovere! Fermi al rosso, riuscì ad emettere una voce. “Corriamo parecchio, Mr. Donald!” disse con un’espressione a dir poco terrificata. Howard la guardò sorreggersi con le mani al sedile, i capelli un po’ spettinati davanti al viso; gli venne da ridere. “Signore e signori benvenuti a bordo. Sappiate che non decelererò finché non avrò visto il terrore serpeggiare nei vostri occhi! AHAHAH!" poi si fece più serio, e la guardò con lo sguardo comprensivo: "Dai, non devi spaventarti, ho tutto sotto controllo! E comunque siamo quasi arrivati”. Nemmeno il tempo di finire questa frase, che il semaforo era tornato verde, e lui sfrecciò di nuovo.
Dopo una decina di minuti di folle corsa (che a lei sembrarono un’eternità) arrivarono davanti a un locale poco illuminato e poco affollato. Lui scese dall’auto in men che non si dica, e, con grande nonchalance, lasciò le chiavi ad un tizio che sembrava aspettare solo lui. “ 'Sera Dougie, ti aspettavamo… carina la tua amica!” il tizio gli diede una botta di gomito sul braccio e gli strizzò l’occhio. Asia diventò paonazza, e abbassò la testa, e Howard prontamente rettificò: “In verità è un’amica di Rob...” la guardò, le fece l’occhiolino e facendo un cenno con la testa verso l’ingresso, le chiese: “Entriamo?”. “Assolutamente, ho sempre più bisogno di bere qualcosa!” rispose lei, inspirando ed espirando velocemente.
Incredibile come siano sempre ben accette ovunque le popstar. Dougie sembrava una specie di dio in quel posto, man mano che si faceva strada attraverso il locale, riceveva abbracci, strette di mano e pacche sulla spalla da chiunque; per non parlare poi degli ammiccamenti vari dalle ragazze più belle e seducenti che lei avesse mai visto. Sembravano cadere tutti ai suoi piedi. Lo osservò attentamente. Il motivo era ovvio. Bello, in tutta la sua possenza, indossava un paio di jeans maledettamente attillati in vita che avrebbero distratto anche una suora, e una magliettina di cotone leggerissima che lasciava intravedere tutti i suoi muscoli al punto giusto… i suoi occhi erano due lastre di ghiaccio che emanavano fuoco a volontà, facevano squagliare al solo contatto visivo chiunque incontrassero; quando ti guardava ti dava la sensazione di spogliarti con gli occhi, e ti lasciava giusto il tempo di capire che ti stavi lentamente sciogliendo come neve al sole, prima di lobotomizzare il tuo cervello e mandarlo in un paese lontano sconosciuto ai più. Insomma, sì… era davvero difficile resistergli!
Da perfetto gentleman la fece accomodare al tavolino che gli avevano riservato, e le chiese cosa volesse da bere. Lei senza esitazione rispose: “Un Long Island Ice Tea, grazie!”. Howie la guardò stupefatto: “Ci va leggera la signorina, eh?” “Oh, beh... ho bisogno di qualcosa di forte, te l’ho detto!” si rese conto che stava facendo la figura dell’ubriacona, ma le serviva una stonatina dopo tutto il trambusto di quella sera. “Ok, due Long Island, allora, grazie” lasciò una lauta mancia alla cameriera e si avvicinò lentamente a lei sul divanetto. Oh, no, non ci provare sai? Non mi guardare con quegli oc… Ecco fatto! How si mise comodo comodo accanto a lei e poi, fissandola con il suo sguardo magnetico e ammaliatore le chiese piano: “Allora, cos’è che sta succedendo tra Rob e te??”. Lei deglutì. La temperatura si stava facendo insopportabile. Le sembrò di avere un tappetino di peluche in bocca al posto della lingua, aveva la salivazione azzerata. Prima ancora che lei riuscisse a proferire verbo, lui incalzò: “Ho capito che ti piace parecchio… d’altro canto, come potrebbe essere altrimenti? Lui è uno che ci sa fare con le donne!” Certo, invece tu no, eh?? Poi continuò: “E comunque sembra che anche lui sia abbastanza preso, sai? Ne parlavamo l’altra sera con Gaz… di come gli stai facendo davvero un bell’effetto... alle prove è carico da morire, e poi... la sera ai concerti si scatena proprio!” Asia lo interruppe, le aveva dato pane per i suoi denti: “Se è per questo, lui è sempre stato un animale da palcoscenico. Quando è lì sopra dà il meglio di sé, è come se tutti i suoi dubbi e tutte le sue paure sparissero per lasciar posto a quella specie di Mr. Hyde che si nasconde dentro di lui. E allora escono fuori la sua incredibile verve e il suo innato talento di far spettacolo, come se stessero lì in agguato, pronti ad esplodere per far andare tutti in delirio!”. Era stata un fulmine. Aveva detto quelle parole dimenticando di tutti i sintomi tipici della “donaldite acuta”, e tutti gli strani effetti collaterali di cui sopra. “Caspita, signorina, ma lei ci sta veramente sotto!” Asia si sentì avvampare. Maccheccazzo, brutta idiota, non riesci proprio ad evitare di fare la figura dell’imbecille quando si tratta di quello là? Era un demone, ne era sicura. Aveva capito lo strano effetto che le faceva Dougie ed era tornato ad impossessarsi del suo corpo come faceva sempre!
 “Oh, beh... lo ammiro molto, lo ammetto”. Howie scoppiò in una fragorosa risata: “AHAHAH… lo... AMMIRI?? Mia cara, questa è molto più che ammirazione… è adorazione allo stato puro!”.  Ok. La figura di merda della giornata era andata. “Tranquilla, non lo riferirò al diretto interessato  – Come se già non lo avesse capito da quel dì! -  e comunque devo ammettere che hai ragione in tutto ciò che hai detto. Anch’io lo stimo molto, mi è costato fatica ammetterlo anche a me stesso, tempo fa, ma questo è ciò che è: un intrattenitore nato. E soprattutto” e qui si fece molto più serio “è davvero una gran bella persona. Ammiro tutto il lavoro che sta facendo con Mark. La sua è devozione pura, credimi!” “Ha fatto un certo effetto anche a me, guardare con quanto amore gli rivolgeva quelle parole, seppure dure in alcuni momenti. Da fan ho sempre immaginato questo rapporto idilliaco tra quei due, ma poi mi sono sempre chiesta se in fondo fosse così sincero come facevano vedere al mondo. E credo che lo sia, non tanto per il fatto che siamo dovuti rientrare di corsa da Camber Sands, quanto per quello che è stato il suo stato d’animo per tutta la durata del viaggio!”. Sospirò. “Spero davvero che Markie risolva i suoi problemi, quanto mi dispiace vederlo così! Lui che ha sempre quel meraviglioso e tenero sorriso sulle labbra, che ha sempre avuto una parola buona con tutti... ora vederlo in questo stato mi fa stare male. E mi dispiace aver detto quelle cose prima, ma mi chiedo perché non capisce che accanendosi così fa solo del male a sé stesso, alla moglie e ai suoi figli”. Howard sorseggiava il suo cocktail tenendo sempre lo sguardo fisso su di lei, e ascoltandola attentamente. Poi rispose: “A volte ci sono dei meccanismi che nessuno può capire. Lui ha un problema, e deve cercare di risolverlo quanto prima, per non rovinare la sua vita e quella delle persone che gli stanno accanto. Ma noi non possiamo giudicare, perché non viviamo questa situazione dall’interno, e non possiamo sapere che cosa succeda veramente tra quei due.” In quel momento si avvicinò una biondona con un seno così prosperoso che sembrava scoppiarle in petto, e con tutta la sensualità del mondo si sporse su di lui sbattendogli letteralmente il seno in faccia. “Howieeee… perché non mi offri da bere? Sono al bancone da sola…” Asia stava per alzarsi per lasciarle il suo posto - parlare di Rob le aveva fatto venire una voglia matta di abbracciarlo! – ma Howard la prese per un braccio e la bloccò. Poi si rivolse alla tettona, e con tono scocciato le disse: “Non vedi che sono impegnato? Sto conversando con questa ragazza”. Asia sentì il suo viso cambiare repentinamente colore dal salmone al rosso al porpora in men che non si dica. “Senti, se ti sto rovinando la piazza, io prendo un taxi e vado in albergo...” “Tranquilla, io sto benissimo. E avevo voglia di fare questa conversazione con te, mi fa davvero piacere. Ma la gente per chi mi ha preso, per una macchina del sesso??” ti prego Asia, no... non arrossire di nuovo... non ora! Abbassò lo sguardo per non farsi scoprire, ma era esattamente quello che lei aveva pensato in questi vent’anni!
Howard inclinò la testa su un lato, e poi socchiuse gli occhi, malcelando un certo imbarazzo anche lui: “Ah, benissimo. Bell’effetto che ho sulle persone!”. Sorrise a mezza bocca. Asia si sentiva leggermente brilla, il Long Island aveva fatto velocemente il suo dovere, considerando anche che il suo stomaco era vuoto dall’ora di pranzo, visto che per la fretta di rientrare in hotel  avevano perfino dimenticato di cenare. Non riusciva a capire dove finisse l’effetto dell’acool e dove iniziasse quello del Donald, così, per tagliare la testa al toro, si limitò a dire: “Credo sia ora di rientrare in albergo. Rob si starà chiedendo che fine abbiamo fatto, e poi vorrei tanto sapere come sta Mark!”. Lui si alzò di scatto, come risvegliato da un breve sonno, e le allungò la mano: “Hai ragione, non vorrei mai dover fare a pugni con Rob per te… non so se l’hai visto bene, ma è bello grosso il tipo!”.
“Non so se l’hai visto bene”?! Menomale, almeno non aveva capito che aveva studiato il suo corpo in ogni suo piccolo dettaglio manco fosse la cartina della Gran Bretagna!
In poco tempo furono fuori, e raggiunta l’auto, si diressero a rombo di motori verso l’albergo dove li aspettava un insonne Rob. 

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Capitolo 18
*** You don't want the truth. Truth is boring ***


Rientrati in albergo, a notte fonda, Howard la salutò con un bel bacio rumoroso sulla guancia: “Buona notte bellezza!”  Ci risiamo... quest’uomo mi vuole morta! “Notte a te, latin lover!” gli strizzò l’occhio e si dileguò nel corridoio. Salva!
Dirigendosi a passi lenti verso la camera di Rob, si rese conto che aveva quasi paura di bussare. Era brilla, ed era tardissimo... chissà cosa avrebbe pensato!
Ma stiamo scherzando? Mica siamo sposati, sarò pure libera di andare a bere qualcosa con un amico! Ok, quello non era il SUO amico, ma l’amico di Rob, ma che differenza faceva? Incastrandosi in questi pensieri assurdi, si trovò davanti alla porta. Aveva troppa voglia di vederlo, di respirare ancora il suo odore, e di sentirsi stringere tra le sue braccia, e quindi, senza pensarci oltre, bussò. Rob aprì immediatamente, come se stesse aspettando dietro la porta che lei rientrasse. Aveva una sigaretta in mano, e una faccia piuttosto stanca. “Alla buon’ora. Pensavo che avresti passato la notte fuori”. “Ma che dici, e dove avrei dovuto passarla se non qui con te?” si avvicinò facendo per abbracciarlo, ma lui si scostò leggermente: “Non saprei… con Howard? Vi siete divertiti almeno mentre io ero qui che cercavo di aiutare il mio amico?” “Ma sei matto? Ora ti metti a fare il geloso? Dougie mi ha offerto qualcosa da bere e abbiamo chiacchierato un po’, tutto qui”. “Ora lo chiami anche col nomignolo?” si allontanò ulteriormente “E comunque si sente che ti ha offerto qualcosa da bere, sai di alcool fino al collo. Sei ubriaca?” “Ma no che non sono ubriaca! Ora ti metti a farmi la paternale? Mica sono tua figlia, ho 34 anni... e soprattutto... non sono tua moglie!” Oops! 
Rob si irrigidì. Lei cercò di riprendersi subito: “Oddio, scusa. Mi sono sentita aggredita, e ho reagito così. Io avevo una gran voglia di rivederti e tu mi hai assalita con quelle parole… scusa”.
Lui spense la sigaretta e si accarezzò la fronte. “Scusami tu, è stata una serata pesante. Con che diritto ti vengo a dire queste cose… perdonami!” “Non fa niente. Comunque se lo vuoi sapere abbiamo passato gran parte del tempo a parlare di te. Anche se non saprai mai cosa ci siamo detti!” sfoderò il miglior sorriso da furbetta che aveva, poi continuò: “Mark come sta?”. Rob si sedette sul letto e la guardò con aria preoccupata. “Sembrava che stesse un po’ meglio quando sono andati via, ma la situazione non è facile. Ha detto che ha perso la testa per una receptionist italiana, e che stavolta è davvero innamorato. Ma la moglie l’ha scoperto e gli sta facendo la guerra. Non sa come uscirne.” Asia trattenne a stento un sorriso. “Hai detto italiana? Beh, in effetti noi italiane abbiamo quel certo non so che.. non ci resiste nessuno” gli strizzò l’occhio e l’abbracciò stretto, facendosi più seria. “Sei un angelo lo sai? La cura e l’impegno che metti nello stare accanto alle persone che ami è ammirevole!”.
Si erano finalmente un po’ rilassati, Rob non poté fare a meno di abbracciarla e stringerla a sé. I suoi occhi sorrisero di nuovo: “E dimmi: cosa avreste di tanto speciale voi italiane??” “Beh, si sa... siamo calienti... conosci il detto Gli Italiani lo fanno meglio?” rise di gusto. “Ah, sì? Lo fanno meglio? Vieni qua che ti faccio vedere come lo fanno gli inglesi... poi ne riparliamo!” La cinse a sé con le braccia, quelle braccia forti, rassicuranti, che la facevano sentire in Paradiso. Il mondo intorno riprese a girare, e si sentì leggera come se fluttuasse nell’aria. L’ebbrezza dell’alcool non era niente in confronto a come le faceva girare la testa la vicinanza di quell’uomo, si sentiva più ubriaca in quel momento che nella peggiore sbornia della sua vita.
All’improvviso realizzò che, in effetti, non c’era Mr. Donald che tenesse... QUELLO era il corpo che voleva, QUELLO era l’uomo che le faceva girare la testa più di qualsiasi altro. E si rese conto, nello sgomento totale, che tra le sue braccia si sentiva a casa. Come avrebbe fatto una volta tornata alla vita reale? Non era un problema che voleva affrontare in quel momento, non mentre era intenta a godersi ogni suo bacio come se fosse l’ultimo.
 
Nel bel mezzo della notte, Rob si svegliò di soprassalto. Non riusciva a capire cosa gli avesse fatto aprire gli occhi così di botto. Si voltò e guardò Asia: era molto bella, aveva un’espressione serena in viso e dormiva tranquillamente con il braccio sotto la testa; si mise su un fianco appoggiando la testa sulla mano e continuò a guardarla per un po’. Provava delle sensazioni stranissime,  non riusciva a distogliere lo sguardo da quella ragazza, e si chiese cosa l’avesse fatto reagire in quel modo nel saperla fuori a bere con un altro. Ad un tratto si ricordò di aver sentito da qualche parte che quando si riesce a passare delle ore a guardare una persona dormire... allora ci si sta innamorando di lei. Cosa cazzo fai, idiota, ti stai innamorando di lei? Non poteva. Non in quel momento.
Si alzò e decise di andare a fare due passi e fumare una, o forse dieci sigarette.
 
Si sentì bussare insistentemente alla porta nel silenzio della notte. Asia si svegliò e guardò l’orologio: le tre e mezza. Si voltò e si accorse che Rob non c’era, e si chiese dove fosse andato e come mai non aveva portato la chiave con sé sapendo che lei stava dormendo.
Si alzò e indossò la prima cosa che trovò sul pavimento: la camicia dell’uomo che l’aveva portata in un’altra dimensione fino a poco prima. Prima di indossarla, ne respirò il buon odore a pieni polmoni. Ormai sembrava essere diventato il suo passatempo preferito, quello di sniffare ogni cosa appartenesse a lui! Abbozzò un sorriso, e andò ad aprire. Ma la persona che si trovò di fronte quando aprì la porta non era Rob.
“Mark! Cosa ci fai qui nel cuore della notte??” cercò di coprirsi per quanto poteva, visto che indossava solo la camicia di Robbie sopra la lingerie.
Mark divenne rosso in viso, poi cambiò tutti i colori dell’arcobaleno, e quando si fu ripreso, abbassando lo sguardo, sibilò: “Scusami. Cerco Rob, ho bisogno di parlargli” “Rob non c’è, non so dove sia. Mi sono svegliata e di lui nemmeno l’ombra”. Mark sospirò: “Non ho pensato che avrei potuto trovarti qui, perdonami. Sono un po’ agitato”. “Lo vedo” rispose preoccupata lei “e hai anche una bella ferita sulla fronte. Come te la sei procurata?” gli toccò la ferita con la punta dell’indice, e lui sussultò. “AHI! Mia moglie mi ha tirato una spazzola per capelli colpendomi... mentre litigavamo”. Abbassò lo sguardo, imbarazzatissimo. Asia corrucciò la fronte ed esclamò: “caspita... mi dispiace!” Poi lo guardò meglio: “Questa dovrebbe essere disinfettata... vieni qui” lo trascinò dentro la stanza, e lui si accomodò sul divano mentre lei andava in bagno a prendere del disinfettante e del cotone nella cassetta del pronto soccorso.
Quando tornò in stanza, lo trovò con la testa fra le mani, che singhiozzava. Gli mise una mano sui capelli, accarezzandoli leggermente. “Hey!” Lui alzò la testa, guardandola: “Non posso pensarci, chissà che figura ci sto facendo con te... chissà cosa penserai di me!” “Non dovresti proprio preoccuparti di questo, Mark. In questo momento i tuoi problemi sono ben altri” disse disinfettandogli la ferita. Attimi di silenzio. “Immagino che tu non abbia proprio una bella opinione di me” le chiese lui impacciato. Asia abbassò lo sguardo dalla sua fronte ai suoi occhi, e lo fissò. “Senti, mi dispiace per quello che ho detto prima nella stanza di Howard. Non ho nessun diritto di intromettermi nella tua vita privata e sparare sentenze, nemmeno ti conosco! Solo che in genere sono una che non sa mentire, e mentirei se ti dicessi che ti stimo per quello che hai fatto. So che ci si sente da schifo quando si è traditi, soprattutto se la cosa si ripete nel tempo. Detto questo, credo che anche un cieco vedrebbe che tu e tua moglie non siete felici insieme, e che lei non è la donna per te… o forse tu non sei l’uomo per lei. Allora perché continuate a fare del male a voi stessi e alle persone che vi amano? Volete questo per i vostri figli? Un clima di guerra continua in cui la tensione si taglia col coltello? Ti conosco appena, lo ripeto, ma ricordo che anni fa te ne andavi in giro con quel bel sorriso sereno stampato in viso, ed eri la persona più tenera e disponibile del mondo. Ora sembri la persona più triste sulla faccia della terra!”.
Mark restò in silenzio a guardarla, poi appoggiando la schiena sulla spalliera del divano, le disse, attonito: “Certo che sei una che non usa mezzi termini, tu! Se pensi una cosa la devi dire così com’è, senza girarci intorno!” lei annuì, e lui continuò: “Però hai ragione, sai? Purtroppo me ne sono reso conto troppo tardi, ed ho ferito le persone che amavo, prima fra tutte lei. Non avrei mai voluto farle questo, non avrei mai potuto se fossi stato lucido. Il problema è che, una volta entrato nel vortice, non sono riuscito più a uscirne, ed è diventata una cosa più forte di me. Ma adesso è diverso, adesso... l’ho capito! E non voglio più continuare a vivere in un mondo di finzione come ho fatto finora! Solo che non so come fare perché lei ormai è troppo accecata dalla rabbia per capire le mie ragioni. Ho troppa paura che mi impedisca di passare del tempo con i miei figli! Io senza di loro... sono un uomo finito!” aveva detto queste parole quasi senza prendere fiato. E si sentì come se si fosse liberato da un macigno che gli opprimeva lo stomaco. Scoppiò in un pianto liberatorio e Asia non poté fare a meno di abbracciarlo, tenero com’era, con quell’aria da cane bastonato che lo aveva fatto tornare a sembrare il cucciolo più dolce e bisognoso d’affetto che avesse mai visto in vita sua.

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Capitolo 19
*** The Day The Work Is Done ***


“Emma, non credo che Mark sia qui, io sto rientrando ora, come vedi…” la voce di Rob arrivava dall’ingresso. La scena che si trovarono di fronte quando entrarono nel salottino della stanza era quantomeno equivocabile: Mark e Asia abbracciati sul divano, e lei, vestita solo con la camicia di Rob, gli accarezzava i capelli. “Ma che...” Rob strabuzzò gli occhi. “Cosa sta succedendo qui?” Mark scattò in piedi come un soldatino, mentre la moglie gli andava incontro urlando parole indistinte intervallate da almeno un migliaio di insulti. “Non ci posso credere, già te ne sei trovata un’altra? Ma chi sei, Rodolfo Valentino? Questa me la paghi, Owen, me la paghi davvero cara!” Asia si avvicinò a Rob, che ancora non sapeva cosa pensare. Aveva l’aria più candida del mondo. “Ma dov’eri? Mark aveva bisogno di te”. “Mi sembra che ve la siate cavata benissimo anche senza di me, a quanto vedo.” Asia alzò gli occhi al cielo e si mise la mano sui fianchi: “Ci risiamo? Ma secondo te, nello stato d’animo in cui si trova avrebbe potuto... avremmo potuto… ROB! Guardalo!”. Si girò verso l’amico. Aveva gli occhi rossi e lucidi, incredibilmente gonfi.  Emma continuava ad insultarlo e a parlargli sopra mentre lui cercava di spiegare la situazione. Iniziò a respirare velocemente come se stesse montando una rabbia che era stata repressa per anni. Tutt’ad un tratto la sua espressione cambiò completamente. Il Mark sottomesso e mesto sparì improvvisamente per lasciare il posto ad un uomo arrabbiato e risoluto. “MA INSOMMA!” strillò a gran voce. Tutti e tre rimasero pietrificati di fronte a questa sua reazione. “Adesso mi hai stancato! Mi vuoi stare ad ascoltare una volta nella vita? E lasciami parlare, cazzo!” Emma iniziò a piangere. “Asia non c’entra nulla, sono venuto qui a cercare Rob e lui non c’era. E lei mi ha medicato la ferita e mi ha lasciato sfogare un po’ ” riprese fiato, continuando a fissare la moglie negli occhi, poi continuò: “Mi dispiace di averti fatto del male, ho sbagliato, e sono stato uno stronzo. Mi dispiace per i miei figli, che non possono vantarsi di avere un papà leale e fedele alla loro mamma. Ma solo ora ho capito che voglio riprendermi la mia vita, e smetterla di continuare a fare del male a voi e a me stesso. Noi non possiamo andare da nessuna parte insieme, lo capisci? E se impedirai ai nostri figli di vedermi farai del male anche a loro!”. Lei si lasciò cadere sul divano, e continuando a piangere, disse: “Tu non puoi lasciarmi così, capito? Non puoi!” Mark le si avvicinò e delicatamente le scostò i capelli dal viso. “Con me stai avendo solo sofferenze, perché vuoi continuare a vivere così? Perché vuoi costringere i nostri figli a vivere con due genitori che si sopportano a malapena e passano le loro giornate a litigare?”.
Asia prese Rob per una mano, e sussurrò piano: “Lasciamoli soli!”. Andò al bagno, si infilò i suoi jeans e uscirono chiudendosi dietro la porta.

“Allora cosa sono tutte queste scenate stasera? Cos’è, Il “Tango della Gelosia”?”* sorrise. Rob invece era serio. “Insomma, prima torni mezza brilla da un locale con Howard, poi ti ritrovo mezza nuda tra le braccia di Mark, tutto nella stessa sera... io... sono un po’ confuso onestamente!”. “Ma senti cosa stai dicendo? Prima di tutto non ci vedo niente di male se sono andata a bere una cosa con Howard, e poi... Mark era venuto a cercare te... e io ero mezza nuda perché quando lui è arrivato stavo dormendo! Come potevo immaginare che il tuo amico venisse a bussare nel bel mezzo della notte? Cos’è tutta questa gelosia, Rob? Prima mi dici che vuoi vivere questa cosa in serenità senza farti troppe domande e poi mi aggredisci con le scenate di gelosia! C’è qualcosa che non mi torna!”.
Rob si accese una sigaretta. Era visibilmente nervoso, ma Asia non capiva perché. “Il punto è che… ecco… io non sono pronto per affrontare tutto questo, non ancora.” “Ma tutto questo cosa? Cosa devi affrontare?? Stiamo vivendo dei giorni bellissimi insieme, e mi sembra di vivere un sogno... cos’è che non vuoi affrontare?” “La gelosia, il fatto che mi piaci molto e non riesco a pensarti tra le braccia di un altro. Quando eri fuori con Howard, e non ti ho vista tornare, ho pensato a mille cose e ho fumato un pacchetto di sigarette. Mi dava alla testa la sola idea che potesse sfiorarti anche solo con un dito.” “Rob” lo interruppe lei “Howard è la persona più corretta di questo mondo, puoi scommetterci la testa. E anche se è un gran conquistatore e un gran bell’uomo... io stavo contando i secondi che mi separavano da te. Pensavo lo avessi capito che sono completamente presa da te.” Asia che rassicurava lui, questa era davvero bella! Socchiuse gli occhi respirando lentamente. Poi si appoggiò con la guancia al petto di lui che nel frattempo si stava rilassando un po’.
Ecco, adesso era davvero irrecuperabilmente fottuta.
Videro Emma uscire dalla stanza asciugandosi gli occhi. Passò davanti a loro senza nemmeno alzare lo sguardo, e sparì nel corridoio. “Ci vogliamo occupare di Mark adesso? Credo che il tuo amico abbia bisogno di te”. Rob annuì abbracciandola, le diede un bacio a fior di labbra e rientrarono in stanza.
 
Mark era seduto sul divano. Aveva l'aria pensierosa ma serena. Quando li vide entrare, alzò lo sguardo e sorrise a entrambi con uno di quei suoi storici sorrisoni che gli mettevano in evidenza le fossette laterali. Quell’uomo era incredibile: quando sorrideva, tutto il viso sorrideva insieme alla bocca; le piccole rughette che aveva ai lati degli occhi si accentuavano, ma lo rendevano ancora più affascinante e gli occhi diventavano così piccoli che Asia si chiese se riusciva a vedere qualcosa attraverso quelle due piccole fessure. “Siete belli insieme” disse chinando la testa da un lato. Asia e Rob assunsero contemporaneamente lo stesso colore paonazzo, poi Rob si andò a sedere accanto a lui.
“Mark” disse con tono paterno e assolutamente rassicurante “Stasera siamo on stage, te la senti?”. Seguirono attimi interminabili di silenzio. Poi un nuovo dolcissimo sorriso. “Non c’è niente al mondo che può darmi più energia di salire su quel palco, amico mio. Sono frastornato e stanco, ma la carica che mi dà stare con voi quattro là sopra mi fa dimenticare per due ore di tutti i miei problemi”. Rob lo abbracciò stretto, e poi, scostandosi e guardandolo negli occhi, gli sorrise: “Allora andiamo a dormire, e stasera andiamo a fare il nostro dovere”. Mark sorrise, poi, facendosi più serio, sospirò: “Spero che Emma si tranquillizzi un po’ e capisca che lasciarsi è la cosa più giusta da fare. Noi non siamo fatti per stare insieme, l’ho capito tardi, ma l’ho capito. E poi… sai, credo di essere davvero innamorato. In questi anni ho avuto tante donne, e della maggior parte di esse non ricordavo neppure il nome il giorno dopo. Ma lei... lei è diversa. Quando stiamo insieme il mondo intorno non esiste. Non esistono problemi, non esistono preoccupazioni, mi sento libero di essere me stesso. E dimentico di essere Mark Owen, il cantante di una band al massimo del successo. Sono solo io, Mark. Secondo te questo è amore?”. Rob guardò Asia, abbassò lo sguardo e si rese conto di essere diventato tutto rosso. Poi sospirò: “Beh, da qui a parlare d’amore, la strada è lunga. Ma credo che potresti esserci abbastanza vicino...” guardò Asia di nuovo, poi si toccò il naso con nervosismo. Lei si girò dall’altra parte, facendo finta di giocare col bottone della camicia, imbarazzatissima. Poi Rob deviò abilmente il discorso: “Ma dimmi, come si chiama questa bella ragazza? La conosceremo mai?”. “Si chiama Marta. Te l’ho detto che è italiana?” si rivolse ad Asia, che gli rispose con un sorriso un po’ tirato. “Solo che per ora non me la sento di presentarla a nessuno. Devo risolvere tutti i miei problemi e cercare di non metterla in mezzo ai miei casini. Lei non c’entra nulla. E per una volta voglio fare le cose per bene”. Restò in silenzio qualche secondo, poi si alzò in piedi, e frettoloso disse: “Ma io vi sto facendo perdere un sacco di tempo, perdonatemi. È tardissimo, e voi sarete stanchi morti. Scusatemi se vi ho creato tutto questo trambusto oggi, davvero non era mia intenzione” guardò Rob negli occhi, e con lo sguardo più adorante del mondo disse: “Rob, grazie davvero. Perché ogni volta che ho bisogno di te, corri sempre indipendentemente da dove sei e cosa stai facendo”. Rob gli diede una pacca sulla spalla “Sai... si chiama amicizia. E io ci credo davvero. Ricordi quando io avevo bisogno e tu sei corso da me? Ecco, diciamo che ti dovevo un favore!” gli strizzò l’occhio e si abbracciarono sotto gli occhi commossi di Asia che per l’ennesima volta si sentì di troppo.

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Capitolo 20
*** Complicated... Fractious... Twisted ***


Le note della solita, inconfondibile suoneria la svegliarono da un sonno molto profondo. Il nome “Maya” lampeggiava insistente sul display, ma prima che riuscisse a rispondere, intenta com’era nel chiedersi come si chiamava e da dove veniva, il telefono smise di squillare. Guardò il lato del letto di Rob, che, come al solito, era vuoto. Era diventato mattutino, adesso?
D’istinto, premette il tasto verde per richiamare. Negli ultimi due giorni era stata talmente presa dagli eventi che non aveva avuto il tempo nemmeno di chiamarla, e le mancava da morire! E poi, aveva proprio una gran voglia di sentirla, e di parlare con qualcuno delle cose incredibili che le erano successe; in fondo era sicura che la cugina adorata sarebbe stata molto discreta riguardo alle numerose piccanti novità di cui era stata spettatrice (e attrice) recentemente!
La cugina rispose al primo squillo: “Tesoro, ma che fine hai fatto? Ogni tanto mi sparisci, così mi fai preoccupare! Tutto bene?”. “Lo so, perdonami. È che… sono successe un po’ di cose ultimamente… mi sono sentita un pesce fuor d’acqua in certi momenti, avrei avuto davvero bisogno che tu fossi qui…” le raccontò nei dettagli tutto ciò che le era successo, e la cugina quasi cadde dalla sedia nel sentire della pseudo dichiarazione d’amore di Rob. “Questa proprio non me l’aspettavo. Tu, poi… come hai fatto a non svenirgli tra le braccia mentre ti diceva quelle parole?” Asia la interruppe: “Per favore, non lo so nemmeno io! Sono addirittura stata capace di dirgli che era stato lui a sottolineare il fatto che voleva vivere questa storia in tranquillità, e che mi andava bene così.”
 Le andava bene così? Ma quando mai! Tremava solo al pensiero del giorno in cui sarebbe partita… che, tra l’altro, non era nemmeno troppo lontano!
“Asia! Cugina… ci sei? Ma com’è che ogni volta che mi parli di lui mi tocca stare un’ora a sentirti sospirare per telefono?” Maya la riportò bruscamente alla realtà. “Io...” “Lo so a cosa stavi pensando, cosa credi? Che tra due giorni partirai per la Scozia e dovrai dirgli addio” Bene! Si divertivano tutti a leggerle nel pensiero! Ma com’è che lei ‘sto potere non l’aveva invece? Sarebbe stato tutto molto più semplice! “Fai bene a prepararti psicologicamente a quel momento, tesoro mio. So che sarà dura, ma… cerca di non piangere. Ti rimarrà un bellissimo ricordo nel cuore e anche lui ne avrà uno splendido di te!”. “Pensi... credi che lui mi vorrà davvero dire addio?” piagnucolò Asia. “Tesoro” le disse amorevolmente la cugina “con ogni probabilità sarà così. E tu devi essere pronta ad affrontare anche e soprattutto questa eventualità. Se poi non dovesse essere così, tanto di guadagnato. Potrai gioire della storia più bella che tu abbia mai vissuto. Ma potrai farlo comunque, anche se vi direte addio per sempre, e devi essere pronta a questo.” “Lo so. È solo che più passa il tempo...  più tempo passo insieme a lui… e più mi sembra difficile l’idea di dovermene separare. Ma ci proverò, tenterò di farmene una ragione quanto prima, promesso”. Restò un po’ in attesa, come se stesse riflettendo su qualcosa, e Maya rispettò questo suo silenzio. Poi continuò: “In ogni caso, ci ho pensato bene e ho deciso di rientrare prima in Italia. Salterò la Scozia e l’Irlanda, ci andrò in futuro, magari ci andremo insieme, che ne dici? Per ora ho troppa voglia di tornare a casa e stare in mezzo alle persone che amo”. Silenzio dall’altra parte. Poi un urlo: “EVVIVA!!! Non vedo l’ora tesoro... mi manchi tanto anche tu! Allora sbrigati a tornare... e nel frattempo, non dimenticare ciò che ti ho detto!”. Asia si sentì sollevata nel sapere che ci fosse qualcuno che non vedeva l’ora di riabbracciarla. “Comunque ti prometto che nel frattempo non tarderò a renderti partecipe di ciò che accade”  “Mi raccomando, non te ne dimenticare! Ora scappo, ho un miliardo di commissioni da sbrigare! Un bacio!” “A te, tesoro... Grazie!”. 
Sua cugina sembrava l’angioletto custode che spuntava sulla sua spalla nei momenti di difficoltà.
 
Si girò dall’altra parte, abbracciando il cuscino di Rob, e respirandone ancora una volta l’odore. Doveva fare la scorta nei suoi polmoni per quando non l’avrebbe avuto più accanto; respirò così profondamente che le iniziò a girare la testa. D’improvviso si accorse che accanto al cuscino era adagiato un piccolo cartoncino plastificato legato ad un laccio rosso. Lo prese tra le mani e quasi le venne un colpo: un pass per il backstage per il concerto di quella sera! Lo girò e dietro c’era attaccato uno dei soliti bigliettini dell’hotel, scribacchiato con la sua inconfondibile grafia: “Ormai manca poco alla tua partenza, e ho voluto farti un regalo speciale: hai la possibilità di vedere lo show del secolo da un punto di vista assolutamente d’eccezione! Goditelo tutto! Ci vediamo dopo, R. xxx”.
Non poteva credere a ciò che leggeva! Tutti i suoi sogni si stavano avverando ad uno ad uno, e il merito era di quello strano tizio con gli occhi verdi  sul quale aveva fantasticato per una vita, e col quale, guarda caso, aveva appena passato la notte… e quella prima… e quella prima ancora.
Quest’uomo la stava facendo andare completamente nel pallone! Non poteva essere un pochino meno fantastico, così da renderle meno straziante il momento in cui avrebbe dovuto separarsi da lui?
Guardò la sveglia sul comodino, erano le tre del pomeriggio. Già le tre del pomeriggio? Ma quanto aveva dormito?  In quel momento squillò il telefono che si trovava sul comodino proprio accanto alla sveglia. Non sapeva se rispondere o meno, in fondo non era nella sua stanza, ma il telefono continuava a squillare. Si chiese cosa avrebbe pensato Rob se avesse saputo che aveva risposto al suo telefono, con quale faccia tosta avrebbe potuto rispondere? Cosa avrebbe detto alla persona che era dall’altra parte, “Buongiorno, Rob non c’è, io sono la sua… ehm… usciamo insieme e non so che fine faremo domani”? Scosse la testa con disappunto, ma intanto il telefono continuava a squillare. Alla fine, esausta, decise di rispondere, dopo essersi schiarita la voce. “Hello?”
“Ce l’hai fatta! Pensavo ti avessero rapito gli alieni!” la voce di Rob la fece sussultare. “Ehm... in un certo senso sì... non sapevo se rispondere o meno, cioè, si, insomma… sono nella tua stanza, in fondo…”  Idiota!  Continuava a balbettare come una scema “ma dove sei?”. “Sono allo stadio, stiamo facendo le prove ma abbiamo quasi finito. Hai dormito come un ghiro, come al solito! Hai trovato il mio... regalino sul letto?”. Asia sorrise come una bambina che aveva ricevuto il regalo tanto desiderato per Natale “Fantastico... grazie! Non vedo l’ora... in effetti stavo proprio pensando che mi sarebbe piaciuto vedere un altro show prima di... partire...” le ultime parole uscirono lentissime dalla sua bocca, e il suo tono si fece un tantino triste.  “Visto che ti leggo nel pensiero allora?” esclamò lui con quella sua incredibile capacità di spezzare i momenti tristi, rubandole un timido sorriso. O forse gli riusciva così semplice perché effettivamente non era poi tanto dispiaciuto che quei giorni volgessero al termine? Non ebbe il tempo di cercare delle risposte perché lui la interruppe di nuovo: “Ora devo tornare dai ragazzi, prima finiamo e prima ci riposiamo un po'. Fatti trovare pronta tra un’oretta, mando una macchina a prenderti! Ti condurrà fino a dentro lo stadio dove troverai Josie ad accoglierti... lei ti porterà nel backstage. Non preoccuparti, passerò da te per strapparti un bacio prima di iniziare… e non dimenticare di indossare sempre il pass! Vado, a dopo!”.
Rimase come un’ebete seduta sul letto per cinque minuti, quando decise che forse era il caso di andarsi a fare una doccia e mangiare qualcosa prima di andare a vedere la sua seconda data dello show del secolo! In effetti le era venuto in mente, in quei giorni, di andare a vedere una seconda data... aveva anche pensato di chiedere a Rob il favore di un pass, ma poi si era vergognata troppo e aveva desistito per paura di sembrare troppo invadente, e comunque tutti gli eventi che si erano succeduti l’avevano un po’ distratta dal tour.
 
Tutta bella pronta e carica da morire, uscì dalla stanza ricordandosi di appendere alla maniglia il cartello “please, make up my room”, e si diresse verso l’ascensore, quando vide la porta della stanza di Mark aprirsi lentamente, e una donna uscire di soppiatto richiudendola altrettanto lentamente.
Tentò di nascondersi dietro una pianta, decisa a farsi gli affari suoi, visto che aveva capito benissimo di chi si trattava, ma lei si accorse subito della sua presenza, e affrettò il passo. Alla fine, non sapeva nemmeno lei perché, decise di affrontarla: “Marta?”. La donna si girò di scatto, come se fosse stata sorpresa a rubare un barattolo di cioccolata, e timidamente si avvicinò a lei: “Si?”. Piacere, sono Asia… un’amica di Mark, diciamo così.” “So chi sei... sei la ragazza di Rob, Mark mi ha parlato di te”. Asia sentì il suo cuore fermarsi all’istante, e si schiarì la voce… “Beh, non sono proprio la sua ragazza… diciamo che... usciamo insieme… sì, insomma…” “Come ti pare, ad ogni modo... so chi sei” la interruppe bruscamente lei “volevi dirmi qualcosa?”. Era piuttosto distaccata e molto imbarazzata; era evidente che aveva fretta di andarsene e liberarsi da quella situazione scomoda. “Senti” Asia la prese delicatamente per un braccio “conosco bene la situazione, Mark me ne ha parlato. Volevo solo dirti che... ecco, se ne hai voglia, possiamo parlare un po’, magari hai bisogno di sfogarti con qualcuno, e si sa… tra connazionali ci capiamo meglio, no?” le fece un simpatico occhiolino che spezzò il ghiaccio. “Scusami, so di non essere stata molto amichevole… è solo che… è una situazione così imbarazzante e delicata… a volte vorrei essere invisibile... ti va un caffé?” “Volentieri!” sorrise Asia, e scesero al bar al piano terra, dove la “fuggiasca” si sentì improvvisamente molto più a suo agio. 

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Capitolo 21
*** She took a moment just to recognise the man she'd known so well before ***


“Scusami per prima, in genere sono molto più simpatica e disponibile di così!” sorrise timidamente la giovane donna sorseggiando il suo caffè.
Erano sedute al tavolino del bar dell’hotel, e Asia la scrutava cercando di capirla meglio; aveva i capelli lisci e castani, raccolti in una minuscola codina, e i suoi occhi scuri nascondevano chissà quali realtà sconosciute, ma lasciavano trasparire la sua malcelata fragilità. Era evidente, guardandola negli occhi, che doveva essere una persona estremamente sensibile ed estremamente dolce. “Io invece posso essere anche molto più invadente e rompiscatole di così” ghignò Asia, scoppiando in una rumorosa risata. Marta sorrise timidamente, e non sorrise soltanto la sua bocca: contemporaneamente sorrisero anche i suoi occhi. Era molto più simile a quel dolcissimo nanetto di quanto avesse potuto dedurre dal suo fugace racconto della sera precedente!
Marta le raccontò di quando, cinque anni prima, lo aveva conosciuto nell’Hotel extralusso in cui lavorava come receptionist da quasi dieci anni, e di come le loro vite si erano indissolubilmente legate da quel momento in poi, avvicinandoli e allontanandoli in una storia fatta di tira e molla, lacrime e dolori, ma anche tantissimi momenti speciali passati assieme.
Mentre la ascoltava, Asia non poté fare a meno di farle una domanda piuttosto indiscreta: “Perdona l’invadenza, ma... come hai fatto a sopportare questa situazione per tutto questo tempo? Vivere nell’ombra, accettare di dividere l’uomo che ami con qualcun altro… essere continuamente messa da parte e nonostante ciò continuare ad amarlo con devozione come hai fatto finora?”. La ragazza si fece molto seria, e, abbassando lo sguardo per nascondere gli occhi che nel frattempo si erano fatti lucidi, confessò: “Il punto è che, quando ami una persona con tutta te stessa, riesci ad annullarti in modi che non avresti mai pensato potessero far parte di te; gli ho concesso dei lussi che mai nella mia vita ho concesso a nessun uomo, e sono stata tanto paziente perché… semplicemente non avrei mai potuto immaginare la mia vita senza di lui. I momenti in cui eravamo separati mi uccidevano, ma quelli che passavamo insieme erano talmente belli, che anche per uno solo di essi avrei affrontato le fiamme dell’inferno per l’eternità”. Asia era a bocca aperta, non credeva a ciò che sentiva, e non riusciva ad interrompere quel fiume in piena.  “Ma poi è arrivato il momento in cui mi sono resa conto che in questo modo insieme non andavamo da nessuna parte - IO non andavo da nessuna parte… e con non poche sofferenze ho deciso di dirgli addio. Quello è stato il momento in cui è tornato sui suoi passi. Sembrava impazzito! Mi chiamava mille volte, a tutte le ore del giorno e della notte, dicendomi che senza di me non ce la faceva, che la sua vita aveva senso solo da quando stava con me… che senza di me non riusciva più a sorridere… cose che a me lì per lì sembrarono assurde, ma quando si è presentato da me dicendomi che era risoluto a lasciare la moglie sono rimasta di sasso. Ed è stato allora che lei ci ha visti insieme.” Prese fiato, e si mise una mano sulla testa. “È una situazione surreale e assurda, ma non riesco ad uscirne, soprattutto adesso che lui è davvero deciso a viversi questa nostra storia fino in fondo!” aveva tutta l’aria di una che stava per scoppiare a piangere, ma, abituata com’era a trattenere le lacrime, non se ne lasciò sfuggire nemmeno una.
“Beh, dev’essere sicuramente una situazione molto difficile… ma ho visto Mark molto determinato... un po’ meno determinata era lei ad accettare la situazione, ma credo che alla fine se ne farà una ragione... non ha alternative, in fondo.” Sentenziò Asia, non completamente convinta di quest’ultima parte della frase.
“E tu? Come mai ti trovi da queste parti? Vivi qui in Inghilterra?” Le chiese la nuova amica, con tono del tutto innocente.
Ok. Marta si era aperta con lei che in fondo era una perfetta sconosciuta. Ora toccava ad Asia raccontarle la sua storia. E in men che non si dica si trovò a raccontarle il motivo che l’aveva spinta ad intraprendere quel viaggio e di come era nata la sua storia con Rob. Di qualsiasi natura essa fosse.
“Caspita, anche tu ne hai di cose da raccontare, eh?” esclamò Marta con grande stupore. “Se posso dirti la mia” – e Asia non era sicura di volerla davvero sentire! –   “vivitela senza troppi pensieri e senza farti troppe domande. Quel che verrà fuori si vedrà. Ma intanto ti sarai goduta questi momenti bellissimi con lui!”.
Perfetto! Ognuno aveva da dire la sua su questa storia, e la cosa più curiosa era che ognuno aveva le idee perfettamente chiare sulla SUA storia con Rob. OGNUNO tranne lei.
“Senti, ora devo scappare.. mi ha fatto piacere chiacchierare con te, finalmente ho potuto parlare italiano con qualcuno dopo tanto tempo! Spero di rincontrarti prima di partire. In ogni caso… in bocca al lupo!”.
Si accomiatò da lei in men che non si dica, e Marta rimase a sorseggiare il suo caffè in tranquillità.
Incredibile il tempo che gli inglesi dedicano al loro caffé. In Italia quando bevi un espresso, nel giro di due minuti la tua tazza è vuota, e a volte quasi non sai come giustificare la tua presenza al tavolo di un bar, quando i camerieri continuano a passarti davanti nella speranza di vederti alzare in piedi e lasciare il tavolo libero. Ma in Inghilterra… in Inghilterra il caffé dura un’eternità… e come può essere altrimenti? Quell’indefinita quantità di liquido contenuto in quei bicchieroni enormi può raggiungere temperature fuori dal mondo! Come lo si potrebbe bere in un sorso senza ustionarsi la lingua?
Con questo futile pensiero nella mente si avviò vero l’uscita, dove trovò la solita auto scura ad aspettarla, puntuale come non mai.
Seduto al sedile del guidatore, lo stesso autista discreto e silenzioso di qualche giorno prima.
 
Arrivò allo stadio, e tutto funzionò alla perfezione: col suo bel Pass appeso al collo, scese dall’auto e trovò tempestiva e precisa come sempre la taciturna Josie, che senza dire una parola la accompagnò lungo un corridoio buio e lunghissimo, alla fine del quale, dietro una porta di ferro spuntò il viso familiare e bello come il sole di Rob. Le sembrò di tornare a casa dopo un lungo viaggio, il che la preoccupò ulteriormente (come se fosse possibile farla sentire più confusa di come era stata nelle ultime quarantotto ore!).
“Hey, eccoti qui! Caspita, sei stata davvero puntuale!”  stridette Rob appena la vide. “Non ho molto tempo, ma ci tenevo a darti una cosa prima che lo spettacolo inizi”. Detto questo la strinse a sé e la baciò con passione, sotto gli occhi indifferenti di Josie che non sembrò stupirsi troppo del suo essere, diciamo così, esplicito in tutto ciò che faceva.
“E, mi raccomando, Goditi Lo Show!” le fece un occhiolino da far sciogliere come burro una lastra di ghiaccio da 30 chili, e si dileguò dietro alla stessa porta dietro la quale era spuntato.
Lo show fu come al solito a dir poco entusiasmante. Non poté fare a meno di cantare tutte le loro canzoni a squarciagola, e si sentì di nuovo come una diciassettenne al suo primo concerto. Non riusciva a spiegarsi come quei cinque cantanti, ormai divenuti uomini un bel po’ cresciutelli, potessero ancora farle provare la sensazione di farla letteralmente vibrare ad ogni singola nota. Rivederli tutti insieme di nuovo sul palco la riportò indietro di sedici anni; provò un tuffo al cuore e non poté bloccare una lacrima dallo scenderle sul viso, quando li sentì cantare insieme, per la prima volta dal vivo, “Never Forget”. Alle parole di Rob “HEY, we’re not invincibile” il suo cuore le era ormai da un pezzo uscito dal petto. 

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Capitolo 22
*** At Last, We Meet On No Man’s Land ***


Aveva ancora nelle orecchie le ultime note di “Eight Letters”, e continuava a cullarsi nelle meravigliose sensazioni che l’avevano portata su un altro mondo nelle ultime due ore, quando sentì qualcuno cingerla da dietro e baciarle il collo. Si girò: era l’uomo più sudato del mondo, ma sembrò non preoccuparsene perché lo strinse a sé più forte che poteva. Gli avvicinò le labbra alle orecchie e cantò con la voce più dolce che lui avesse mai sentito: “And when I went away, what I forgot To Say, Was All I Had To Say, Eight Letters, Three Words, One Meaning!”. Rob sorrise, piegando un po’ la testa su un lato, come era solito fare lui quando era colto di sorpresa: “Ma allora… sai anche cantare!” Lei ignorò la sua domanda. “Siete stati grandi!” urlò con tutta la voce che aveva, facendolo sobbalzare appena un po’. “Davvero ti è piaciuto così tanto?” “Scherzi? Questo sarà lo show del secolo… siete tornati ai vostri antichi splendori, con la differenza che oggi... è tutto vero!”. Stava per continuare in un panegirico senza precedenti, quando lui la interruppe: “Senti, perché non ce ne andiamo a goderci il nostro meritato riposo? In hotel potrai adularmi quanto vuoi ed io potrò crogiolarmi nel tuo mare di complimenti finché il mio ego non diventa ancora più grande di quanto già non sia..." Sorrise maliziosamente, e improvvisamente Asia la trovò un’idea fantastica.
 
Sdraiata sul letto a pancia in su, guardava il soffitto canticchiando mentalmente la sua canzone preferita, mentre dal bagno arrivava il rumore dell’acqua che scorreva sotto la doccia e il profumo del bagnoschiuma che si disperdeva nell’aria.
Ad un tratto sentì Rob chiudere il rubinetto e dopo pochi minuti lo vide uscire dal bagno. Si presentò davanti a lei con il solo asciugamano legato in vita, ancora grondante di acqua e con uno sguardo incredibilmente allusivo. Lei si alzò in piedi davanti a lui, e rimase a fissarlo pregando che non potesse sentire il suo cuore che batteva all’impazzata. Improvvisamente ebbe un tremendo dejà-vu: loro due in piedi l’uno di fronte all’altra, lei vestita e lui seminudo, bagnato e silenzioso. Era iniziato tutto così. Leggendole nel pensiero, come al solito, Rob spezzò il silenzio: “Sbaglio o è iniziato tutto così?” lei arrossì, lui le rispose con quel suo sorriso disarmante che le aveva fatto perdere la testa. “Se ripenso a quando in quel campo di calcio mi hai baciato, così all’improvviso, non posso fare a meno di sorridere. Mi piacevi, mi sei piaciuta subito, ma non riuscivo a muovere il primo passo. Credevo non fosse il caso, vista la situazione di entrambi. E poi, come per magia, hai pensato a tutto tu!”. Lo disse col sorriso sulle labbra tipico di un bambino che aveva ricevuto il suo inaspettato regalo di Natale.
Lo sguardo di lei invece, improvvisamente si incupì. “E adesso cos’hai? Pensavo di aver detto una cosa carina. Perché sei improvvisamente diventata così triste?”.
Lei tirò un profondo respiro, sperando che quel fiume di lacrime che stava per uscire impetuoso dai suoi occhi potesse tornare magicamente indietro. Si allontanò quanto basta per non permettere a Rob di sentirla quasi tremare, e allargò le braccia in segno di sconfitta.
''Sono triste perché in questi giorni che abbiamo trascorso insieme sono stata troppo bene, e mi rendo conto che tutto sta per finire. Perché vorrei portarti con me, e continuare a vivere questa favola. E perché quando sarò a casa dovrò iniziare a rimettere insieme i pezzi della mia vita e questo mi fa paura. Ma al tempo stesso sono incredibilmente felice perché anche se breve, questa favola mi ha insegnato che si può davvero sognare, anche quando sai che devi tenere i piedi ben saldi a terra''. Riprese fiato, e si lasciò cadere su una poltrona. Rob chiuse gli occhi per un secondo, poi, con l’aria affranta le si avvicinò lentamente. La guardò in silenzio e si sedette sul bracciolo della poltrona guardandola dritto negli occhi.
“Spesso le cose più belle accadono semplicemente nei momenti sbagliati. Sarei un bugiardo se ti dicessi che non ho provato anch’io delle sensazioni bellissime e che non mi hai preso così tanto da farmi quasi innamorare di te. Credimi se ti dico che in un altro momento della mia vita avrei fatto i bagagli e ti avrei seguito in Italia, anche in Cina se fosse stato necessario, e sai che l’avrei fatto. Ma in questo momento non riesco a trovare altra soluzione che lasciarti andare, perché non ho la forza né la voglia di impegnare tutto me stesso in qualcosa di anche solo lontanamente complicato. Sono sincero, non ho le palle di farlo in questo momento, e questo non significa che non mi importi abbastanza di te… ci sei quasi riuscita a farmi cadere, ma in questo caso la mia razionalità ha DOVUTO prendere il sopravvento perché devo proteggere me stesso da quello che potrebbe succedere... da una qualsiasi eventuale sofferenza... o non riuscirei più a rialzarmi. Mi capisci?” Asia abbozzò una sorta di sorriso: “Se non ti capisco io, chi potrebbe farlo in questo momento? So bene come ci si sente, io stessa mi sono sentita sopraffatta in alcuni momenti, ma quello che abbiamo vissuto è stato così forte che tutte le paure ad un tratto sono crollate…  sono stata la sola a provare certe cose?” “Ti assicuro di no, mentirei a te ma soprattutto a me stesso. Ma questo adesso è tutto ciò che posso offrire: tutto me senza riserve purché non si superi quel punto di non ritorno in cui tutto si fa reale. Posso accettare di vivere solo realtà fittizie adesso. E spero che tu lo accetterai perché davvero... è tutto ciò che posso offrirti”. Asia si alzò, sorrise e gli prese le mani. “Lo so, l’ho sempre saputo... ne abbiamo parlato e siamo stati entrambi d’accordo. Quindi suppongo che dovrò farmela andare bene così... del resto, lo dico sempre: nella vita bisogna sempre guardare avanti, non restare a fissare il passato***” gli strizzò l’occhio e gli si avvicinò socchiudendo gli occhi. Non ne era poi così convinta nel profondo, ma non aveva alternative. Godersi gli ultimi meravigliosi momenti insieme era tutto ciò che poteva fare.
Rob si alzò, la strinse tra le braccia e la baciò, soddisfatto.
 
Dei gatti che si azzuffavano la svegliarono nel cuore della notte. Guardò la radiosveglia sul comodino: le 3. Tra poche ore avrebbe preso l’aereo che l’avrebbe riportata a casa, vicino ai suoi cari ma lontano anni luce da quella meravigliosa favola. Sentì la necessità di andare a fare quattro passi e prendere una boccata d’aria. Aprì il mini bar alla ricerca di qualcosa da bere, ma ovviamente tutto ciò che vi trovò furono dei succhi di frutta e dell’acqua tonica. Afferrò una bottiglietta di soda e si diresse verso quel terrazzo in cui Rob passava delle ore a fumare e pensare.
 
Passarono una manciata di minuti, ma potevano essere ore, quando una faccia amica le si presentò davanti con un sorriso smagliante: “Che dici, queste sono meglio?”. Era Howard, che in quel momento, sorridente e con due birre fresche in mano, le sembrò il suo personalissimo Deus ex machina. “Ti ho vista seduta qui con quella soda in mano e ho pensato che forse questa ti avrebbe fatto sentire un po’ meglio” le disse porgendole la bottiglia di birra aperta. “Decisamente sì” sorrise lei afferrandola e tirando un bel sorso tutto d’un fiato.
 “Allora domani partirai... te ne torni a casa.” Asia annuì girando lo sguardo dall’altra parte. “Come ti senti?” Lei rimase in silenzio. “Che domande stupide che faccio! Come puoi sentirti, come una che sta per lasciare una delle cose più belle che le siano capitate per tornare alla sua vita incasinata e cercare di mettere a posto le cose”. La ragazza si rese conto che Howard sapeva molte più cose di lei di quanto aveva immaginato. Lui si accorse di questo suo stupore e la anticipò: “So che può sembrare strano, ma abbiamo parlato io e Rob. E credimi, lui è dispiaciuto quanto te. E credo di non dire una cazzata se ti dico che lui è coinvolto quanto te. Ma dopo tutto quello che ha passato, ha giurato a se stesso di mettere maggiore razionalità in tutto ciò che faceva, ed è difficile per un tipo istintivo come lui, ma questo è ciò che fino ad oggi l’ha salvato dal crollo. È una sorta di protezione, stupida se vogliamo, ma è una sua decisione.  Io non avrei fatto lo stesso, ma io non sono lui. E se proprio vuoi saperlo” esitò “se fossi stato al posto suo, non ti avrei lasciata scappare per nulla al mondo.” Abbassò lo sguardo e Asia arrossì un pochino. Poi rialzò lo sguardo e lo posò su di lei, facendosi serio: “Ma ripeto, io non sono lui e non abbiamo vissuto gli ultimi anni delle nostre vite allo stesso modo. Devi cercare di capirlo, per quanto difficile possa sembrare, e accettarlo per quello che è, apprezzarlo per ciò che di bello ti ha donato in questi giorni, e io so che ti ha dato tanto... altrimenti non saresti così… rapita da lui”. “È vero, mi ha dato tantissimo, ma forse lui nemmeno lo sa. Mi ha dato la forza di sognare di nuovo e forse di ricominciare tutto da capo... anche se sarà dura, e lunga. “ rifletté un attimo, poi sorrise: “Credo sia ora di andare a dormire, ho un aereo che mi aspetta domani, e devo ancora finire di mettere le ultime cose in valigia”. Howard annuì, poi le tese la mano: “Se ti va posso accompagnarti in aeroporto... sempre se non preferisci farti accompagnare da Rob. Ma conoscendolo, visto che non ama gli addii… non credo lo farebbe”. “Mi farebbe molto piacere se venissi con me. Non credo che resisterei alla scena strappalacrime di me che mi allontano verso il gate e lui che mi saluta con la manina da lontano. Meglio salutarlo qui, sarebbe sicuramente meno doloroso. Grazie”.
Si avvicinarono alla porta della camera di Rob e si diedero la buona notte.
Quando si accinse a mettersi a letto, Rob dormiva come un bambino, e riuscì a strapparle un ultimo sorriso.
Improvvisamente cambiò idea. Si rivestì, prese un foglietto dal block notes di Rob e una penna e gli scrisse un messaggio: “So che gli addii non ti sono mai piaciuti, e nemmeno a me, a dire la verità. Questi giorni con te sono stati fantastici e preferisco ricordarli così piuttosto che piangere come una scema nel salutarci...  perché so che è questo che farei!! Quindi tutto ciò che mi resta da fare è dirti… semplicemente grazie! Per le bellissime emozioni, per questi momenti passati insieme... per essere come sei! Un abbraccio immenso… e un bacio da portare sempre con te! A.”
 
Ebbe giusto il tempo di lasciargli il biglietto sul comodino, dargli un bacio a fior di labbra e sgattaiolare via come una ladra, con l’impressione, dolorosissima, che questo sarebbe stato il loro ultimo contatto.

 
*** La traduzione inglese di questa frase sarebbe (come se ci fosse bisogno di tradurla!) “...you always need to Look Forward, Don’t Stare” ***

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Capitolo 23
*** And so she stayed on sunset strip, a heart so full I drown in it ***


Howard la aspettava puntuale come un orologio svizzero fuori dalla sua stanza; se ne stava appoggiato al muro con le braccia conserte e quando la vide aprire la porta la salutò con un ghigno sornione che le strappò un timido sorriso fra le lacrime, nemmeno troppo nascoste. “Allora, sei pronta?”. Lei lo guardò con un’espressione mesta. Non aveva la forza di replicare. Lui le cinse la vita con il braccio e la avvicinò a sé in una stretta leggera ma decisa. “Immagino che sia davvero difficile per te, ma vedrai che andrà tutto bene. Tornerai alla tua vita e di questi giorni ti rimarrà un bellissimo ricordo.” Si fermò, la allontanò un po’ e la guardò: “Spero che ricorderai anche me con affetto!” disse facendole l’occhiolino e asciugandole il viso col dorso della mano. Lei scoppiò in una risatina sommessa, e replicò, prontamente: “Oh, certo.. ricorderò soprattutto la tua guida sportiva!” poi si fece più seria: “Scherzi a parte… non potrei mai dimenticarti, dimenticare tutti voi… siete stati la conferma che tutto ciò in cui ho sempre creduto era vero… è realtà. Siete proprio come vi ho sempre immaginato, belli anche dal vivo... dentro e fuori!”. Howard pensò che forse avrebbe voluto una risposta diversa, ma in fondo andava bene così. Ricambiò il sorriso, sfoderandone uno dei suoi... di quelli che ti stendono all’istante: “Bene, con questi ricordi bellissimi, ora puoi tornare alle persone che ami. Andiamo!”. “Aspetta” disse lei “C’è ancora una cosa che devo fare”.
Al piano terra, di fronte all’ascensore, lei la aspettava per salutarla.
Howard si avviò verso la macchina che li avrebbe condotti all’aeroporto, per farsi notare il meno possibile, mentre lei si avvicinava a Marta.
Le loro vite si erano incrociate solo per un istante, eppure tra loro si era creata una bella alchimia, che sarebbe stato un peccato sprecare così. “Ti ho lasciato i miei recapiti segnati su questo foglietto, fatti sentire, mi raccomando! E salutami la mia amata Italia, sono mesi che non torno in terra nostra!” sorrise, e le fossette ai lati della bocca si fecero più evidenti.  Era sempre più uguale a Mark quella ragazza!  “È stato bello incontrarti, spero ci terremo in contatto. Voglio sapere come va a finire, e ricorda che faccio il tifo per te... per voi! Ora devo andare però, altrimenti perdo il volo!” la abbracciò con vigore, e, come un fulmine, volò verso la macchina scura parcheggiata fuori che la aspettava. Fortunatamente non avrebbe guidato Howard, e questo la fece sentire un po’ più tranquilla.
 
Il paesaggio di Londra le scorreva veloce davanti agli occhi, ma lei rivide in tutto ciò che le passava davanti ogni singolo, bellissimo attimo passato con Rob.
Howard se ne stava seduto in silenzio accanto a lei, rispettando questo suo momento di introspezione profonda, anche se in fondo avrebbe voluto dirle un milione di cose. Improvvisamente ebbe la sensazione che forse non era stata proprio una gran bella idea accompagnarla. Non ebbe il tempo di finire questo pensiero, che come per magia l’aeroporto di Heathrow si materializzò di fronte a loro.
“Eccoci. Siamo arrivati... sei pronta? Direi che non è il caso che io scenda ad accompagnarti. Rischierei di essere assalito e proprio non mi va.”
“Non preoccuparti, posso andare tranquillamente da sola. Ci metteresti più tempo tu a liberarti dall’assedio che io a fare tutta la trafila. Grazie per il sostegno, mi rendo conto di non essere stata molto di compagnia per tutto il tragitto... ma capirai che il mio umore in questo momento non è dei migliori…” “Stai tranquilla, spero di averti dato almeno un supporto morale… era quella la mia intenzione!” “Scherzi?” rispose lei di getto “Grazie davvero. Mi sei stato vicino come nemmeno una persona di famiglia avrebbe fatto, e a malapena mi conosci. Sei stato indispensabile! È stato tutto davvero bellissimo e surreale, e voi… non smettete mai di fare ciò che fate, perché siete sempre grandiosi! Grazie per tutto ciò che inconsapevolmente ci regalate! Salutami gli altri… e a presto, spero!”. Si abbracciarono, e lei si dileguò tra la folla, trascinandosi dietro la sua valigia e le numerose borse che in questo viaggio si erano aggiunte al bagaglio col quale era partita.
Il volo sembrò non finire mai. Non riuscì nemmeno a dormire, strano a dirlo, un po’ per l’agitazione di rientrare alla sua vita di sempre mista all’entusiasmo di ritrovare luoghi e persone a lei familiari, un po’ per la nostalgia che già provava per i giorni meravigliosi e indimenticabili che aveva appena vissuto.
Il viso sereno e furbetto di Rob le era rimasto davanti agli occhi per tutto il tempo. Cercò di immaginarsi il suo odore, ancora ne aveva le narici piene. Le sembrava ancora incredibile tutto ciò che aveva vissuto, e al contempo non riusciva a rassegnarsi all’idea che fosse tutto finito per sempre.
 
Quando atterrò, era ancora tutta scombussolata dal viaggio e dai mille pensieri che le affollavano la mente. Rivedere l’Aeroporto di Fiumicino le fece uno strano effetto… quei corridoi tanto familiari la fecero tornare definitivamente coi piedi per terra. Era tornata a casa, quella vera. E adesso doveva ricominciare. Sì, ma da dove? Dove avrebbe trovato la forza?
L’attesa del bagaglio richiese come al solito dei secoli: era proprio tornata in Italia! Superato questo ostacolo, e sollevata per aver visto la sua valigia giungere sana e salva a destinazione, si avviò a passi veloci verso l'uscita, dove la sua adorabile cugina la aspettava impaziente. La trovò in attesa davanti alla sua auto che si mordicchiava le unghie… “AMOOOREEE!!!!” le urlò appena la vide andandole incontro. Si abbracciarono forte, a lungo. Fu un abbraccio dolcissimo, che aveva il sapore di casa. Eh sì. La sua casa era lì, non v’era dubbio.
“Allora, raccontami tutto! Non sto nella pelle!!!” “Entriamo in macchina e ti racconterò tutto quello… che sai già!” le strizzò l’occhio mentre apriva la portiera. “Voglio andare a casa a farmi una bella doccia e mettermi una tuta in cui devo restare per almeno due giorni!”. “Esagerata!” ribatté la cugina “In realtà ci sarebbero un paio di persone che vorrebbero vederti… quindi stasera e per le prossime dieci sere a venire sarai impegnata per cena!”.
L’auto partì a razzo sull’Autostrada, mentre le due cugine a bordo chiacchieravano e ridevano come matte, felici di essersi ritrovate.

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Capitolo 24
*** Look at the time it’s taken me, to get away from what was said ***


Dopo un paio di serate massacranti stile tour de force, di pranzi e cene varie per salutare parenti e amici (manco fosse partita per la Grande Guerra!), trovò il tempo per farsi una bella giornatina di mare insieme alla onnipresente cugina. Del resto le era rimasto ancora qualche altro giorno di ferie visto che aveva deciso di rientrare dal suo viaggio prima del previsto.
Il meteo era dalla loro parte: il tempo era bellissimo, non faceva nemmeno troppo caldo, e una piacevolissima brezzolina fresca accarezzava il loro viso mentre si godevano il loro meritato bagno di sole in riva al mare.
Avevano fatto delle belle nuotate, lunghe passeggiate e un buon pranzo a base di pesce come non ne facevano da parecchio. Si erano perfino unite ad un gruppo di ragazzi che giocavano a beach volley, e Asia aveva fatto una delle sue solite figure beccandosi una pallonata dritta in faccia, proprio nel suo stile.
Avevano parlato di tutto, tuttavia, strano a dirsi, la conversazione non aveva mai toccato l’argomento Rob, o Londra. Era stata semplicemente una di quelle giornate come ne avevano trascorse tante in passato, spensierata e rilassante, e verso l’ora del tramonto, nel momento più bello, in cui la spiaggia si svuota e diventa più tranquilla, si gustarono un meraviglioso aperitivo con un gradevole sottofondo musicale. Un mojito in una mano, il suo immancabile libro nell’altra, e il rumore delle onde rendevano tutto davvero speciale. Il momento non avrebbe potuto essere più perfetto.  O sì?
Improvvisamente tutta quella perfezione le fece tornare in mente la meravigliosa giornata passata a Camber Sands con Rob. Le tornò tutto in mente in un solo istante; in quei due giorni, chissà come (in realtà era tutto merito della sua impareggiabile cugina, che aveva fatto di tutto per farla distrarre in compagnia delle persone giuste!), era riuscita a non pensare a lui più di tanto. Il sapore di quei momenti speciali le era tornato in mente solo al momento di mettersi a letto la sera, quando restava sola con se stessa, e Il suo ricordo riaffiorava, nitido come se tutto fosse accaduto soltanto il giorno prima.
Maya era sdraiata sul lettino accanto a lei, e la vide con la coda dell’occhio abbassare il libro che stava leggendo e fissare il vuoto con lo sguardo verso il mare. Capì che qualche flusso di coscienza nella sua mente l’aveva riportata a ricordi dolorosi, ma aveva una domanda da farle, e non poteva aspettare oltre per ricevere la risposta.
“Sai a cosa stavo pensando?” le chiese cercando di sembrare il più distesa possibile. Asia le lanciò un’occhiata distratta con aria interrogativa, e Maya prese coraggio: “Tra qualche giorno abbiamo un appuntamento a San Siro... non l’avrai mica dimenticato?”. La cugina si girò verso di lei, come risvegliata da un lungo sonno. “E invece sì... diciamo che forse avevo rimosso. Ma sai, comincio a pensare che forse dovrei vendere il biglietto. Io... non so se me la sento...” “Ma sei impazzita?” la interruppe la cugina furiosa “Abbiamo aspettato secoli per vedere questo concerto insieme e adesso ti tiri indietro?”. Asia la guardò implorante: “Cosa dovrei fare secondo te? Solo il pensiero di rivederlo mi fa male!” “Non ci posso credere, ti senti ancora così? Non ti passerà mai se non guardi avanti! Questo vuol dire che in futuro non vedrai più un loro o un suo concerto per paura di stare male? Mi stai dicendo che questa bellissima storia ha rovinato quella che era la tua stupenda passione?”. Non ci fu risposta. Maya continuò il suo crescendo di rimproveri nei confronti della cugina: “A me sembra solo che tu continui a ficcarti in delle storie dalle quali sai fin dal principio che uscirai a pezzi! Ma come fai? Perché non riesci mai a capire qual è il punto di non ritorno e a fermarti prima di raggiungerlo? Mi sembri quasi masochista!”. Asia rimase in silenzio a riflettere per qualche secondo. Poi sbottò: “Ma cosa ti aspetti da me, eh? Hai la più pallida idea di come io mi sia sentita volare in quei giorni? Non so nemmeno di quanti cieli ho superato il settimo, non ho avuto nemmeno il tempo di rendermene conto, per come sono stata travolta da questa cosa, come fossi stata risucchiata da un vortice. Come credi ti saresti sentita tu al posto mio? Se avessi avuto una qualche storia con Gaz, quanto velocemente ti saresti ripresa? Solo tu puoi capire il mio stato d’animo, solo tu puoi comprendere cosa tutto questo abbia significato per me. Sapevo che si trattava solo di un sogno mentre lo stavo vivendo, ma non ho avuto il tempo di realizzare che ci stavo cascando con tutte le scarpe, e mentre mi facevo mille seghe mentali per la paura di perdere tutto, vivevo nella speranza di rimanere coi piedi per terra. Ma come si fa a restare coi piedi per terra in una situazione del genere? Se tu lo sai dimmelo, perché io proprio non ne ho idea!”. Finì questa frase con un lungo sospiro, e riprese fiato solo dopo aver pronunciato l’ultima parola.
Maya si rese improvvisamente conto di essere stata un po’ troppo dura con la cugina; lo era stata perché era davvero preoccupata per il tempo che le stava servendo per uscire da quel tunnel, ma anche perché ci teneva davvero ad andare a quel concerto insieme... avevano aspettato sedici anni che il gruppo si riunisse per vederli di nuovo tutti e cinque dal vivo, e ciò che significava vivere questa esperienza insieme lo sapevano solo loro due.
La guardò con l’aria più tenera che aveva e le mise una mano sulla spalla: “Senti, pensaci un po’ su. Io voglio solo che tu sia serena, ma so che se non venissi potresti pentirtene. E soprattutto vorrei che riuscissi a superare quest’impasse e che di quei giorni ti restasse solo un bellissimo ricordo, com’è giusto che sia. Hai la tua vita da riprendere in mano e devi andare avanti. È questo il momento, e lo sai anche tu. Ti sei crogiolata fin troppo in questo limbo di dolore e felicità, ed è ora di guardare al futuro. Promettimi che ci penserai.”
La cugina la abbracciò: “Te lo prometto. E lo so che vuoi soltanto il mio bene. Come sempre!”.
Non fece in tempo a finire la frase che squillò un sms al suo cellulare. “Deve essere la mia amica Fra, deve dirmi a che ora ci vediamo stasera per cena”.
Si alzò, prese il cellulare dalla borsa, e guardò il display: all’improvviso il suo viso cambiò colore, e si lasciò cadere in ginocchio sulla sabbia.
Maya si alzò di corsa, spaventata. “Che succede?”, si diresse verso la cugina che nel frattempo aveva chiuso gli occhi, cercando di trattenere le lacrime che, lo sentiva, stavano per inondarle il viso. Prese il cellulare dalle sue mani e a sua volta  guardò il display. Il gelo.
“Ti penso. E mi manchi. R.”.
Secco, tagliente come la lama di un coltello. Restarono entrambe pietrificate e rimasero per un po’ a contemplarlo senza parlare.

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Capitolo 25
*** Is it only me now who’s thinkin’ of what we had and what we were? ***


“Sai che faccio? Non rispondo”. “Cosa?” Maya la guardò come se avesse visto un asino volare. “Come non rispondi? Lui ti manda un sms così e tu non rispondi?”.
“Non so proprio cosa rispondere! Secondo te posso scrivere: ‘Ciao, anche io ti penso, ogni singolo minuto di ogni singola ora di ogni mia singola fottutissima giornata. E anche tu mi manchi, mi manchi come se non avessi più aria per respirare e mi sento come se mi mancasse la terra sotto i piedi’ !?!??! No che non posso!!”.
La cugina scoppiò in una risata: “Scrivere semplicemente ‘ti penso anch’io o mi manchi anche tu’ sarebbe troppo poco??” “No, no. Ho deciso. Non gli risponderò. So che mi farei solo del male. Perché poi? Per continuare a mandarsi messaggini stupidi e smielati? Cosa che magari a lui può sembrare innocua, ma a me farebbe stare solo peggio. Magari non aveva niente da fare, mi pensava e mi ha scritto. Perché allora non mi ha scritto subito dopo che sono partita? Gli ho lasciato un biglietto quando me ne sono andata e lui nemmeno un messaggio, un segnale di fumo, niente.”
“Magari gli manchi davvero”, buttò lì Maya. “Ma che fai, l’avvocato del diavolo, adesso? Sei stata fino a poco fa a ricordarmi di quanto fossi stupida a non riuscire a dimenticarlo, e adesso mi dici di rispondergli?” “Non ho detto che sei stupida. È normale. Accade a tutti di perdere la testa per qualcuno e non riuscire a toglierselo dalla testa. Sai cosa intendevo dire. E comunque il punto è un altro, prova almeno a vedere dove vuole arrivare. Provaci, no?”
“No, non gli risponderò. Devo riuscire ad essere ferma almeno su questo, altrimenti poi davvero non mi rialzo più.”
Maya guardò la cugina. Sembrava davvero risoluta. Forse aveva ragione. Forse era l’unico modo per guardare davvero avanti, una volta per tutte.
 
La serata era stata a dir poco esilarante, i suoi amici sapevano sempre come tirarle su il morale. Era stata a cena a casa di un amico di amici, anche piuttosto carino, e la serata era trascorsa in modo davvero piacevole. La sua amica Fra insisteva addirittura nel dirle che secondo lei il padrone di casa aveva un debole per lei… ma ovviamente l’interessata non aveva notato nessun comportamento particolare che le facesse pensare una cosa del genere.
Ogni tanto guardava il display del cellulare, chiedendosi se avesse fatto la cosa giusta non rispondendo a Rob. Ma sì, in fondo era meglio così. Lei avrebbe guardato al futuro e sarebbe andata avanti con la sua vita. E magari quel bel moretto con gli occhi verdi avrebbe anche potuto interessarle, chissà... non si sa mai cosa riserva la vita. E Rob sarebbe andato avanti con la sua, e sicuramente non l’avrebbe più cercata. Sì, sarebbe andata proprio così.
Rientrata a casa, stanca morta, verso le due del mattino, si fece una bella doccia fresca e si mise a letto. Continuava a guardare il soffitto, non riusciva a prendere sonno. Nella sua testa continuavano a girare a vuoto quelle parole: “Ti penso. E mi manchi.” Ma cosa frullava nella sua testa bacata per mandarle un messaggio così? Non aveva pensato che forse quelle parole potevano farla stare solo male? Pensò che Rob era proprio un egoista. Sapeva cosa avrebbero significato quelle parole per Asia, ma in quel momento aveva voglia di scriverle e l’aveva fatto. Come un ragazzino viziato, che sapeva benissimo di potersi permettere di fare quello che voleva quando voleva, tanto tutto gli era concesso.
Mentre si arrovellava il cervello alla ricerca di una plausibile spiegazione, le squillò il cellulare. Guardò l’orologio sul comodino, erano le tre del mattino. Chi cavolo mi cerca alle 3 del mattino? Il numero era privato, ma chi poteva essere? Restò qualche secondo in attesa indecisa sul da farsi, poi finì per rispondere al telefono. “Pronto?” Strani rumori di sottofondo dall’altra parte, poi una voce: “Hey…”
QUELLA VOCE. LA SUA VOCE. L’avrebbe riconosciuta tra mille, se anche ci fosse stato un sottofondo di treni in ferrovia, lei l’avrebbe riconosciuta. Un brivido gelido le scorse su tutta la schiena, e fu improvvisamente incapace di parlare.
“Pronto? Asia?” Il modo innaturale in cui pronunciava il suo nome era di un sexy che la faceva andare in visibilio. “Sì...” sussurrò lei. “Finalmente! Credevo di avere il numero sbagliato! Ti ho mandato un sms oggi, ma forse...” “Si, l’ho letto” rispose secca lei. “Ah. L’hai… l’hai letto?” “Si”. Attimi di silenzio. “Sarebbe stato carino se avessi risposto…” Asia si irrigidì. “Sarebbe stato carino se ti fossi fatto vivo un po’ prima”. “Beh, almeno io non sono sparito nel nulla lasciando solo un biglietto con su scritto Grazie e arrivederci”. “Non c’era scritto proprio così nel biglietto!” protestò lei. “Ho semplicemente pensato che tu, come me, non ami gli addii, e che fosse meglio così”. “Hai deciso per me” disse lui, aspro. “No, ho deciso PER ME.” ribatté lei.   
“Senti, questa telefonata è carica di tensione, e non era proprio così che me l’ero immaginata” Perché, l’aveva anche immaginata?? “Ricominciamo da capo” disse lui, tranquillo. “Quando sei andata via, la mattina mi sono svegliato e non trovarti nel letto accanto a me mi ha fatto un effetto stranissimo. La sensazione è stata di tristezza, di vuoto… ma poi ho trovato il bigliettino, e, sebbene debba ammettere che inizialmente ho anche abbozzato un sorriso, in un secondo momento mi sono molto arrabbiato: tu sei partita senza dirmi niente, senza salutarmi, senza darmi neanche un bacio! Lo so, ammetto che non mi piacciono gli addii e non sono affatto bravo in queste cose, ma cavolo, avresti anche potuto lasciar decidere me se salutarti o meno! Howard mi ha detto che ti ha accompagnato in aeroporto... insomma, mi sono sentito escluso.” Lei prese fiato, aspettò un attimo e poi rispose: “L’ho fatto solo perché ti conosco, e so che non ti sarebbe piaciuto. E per proteggere me, che avrei potuto piangere come una scema nel salutarti”. Ecco, l’aveva detto.
 “Perché non la smettiamo di discutere e parliamo di cose più serie?” la voce di lui improvvisamente si abbassò di un tono e si fece suadente, e dolcissima. “In questi giorni ti ho pensato tanto” E perché, io no???? “e l’unica conclusione a questo fondermi il cervello è che… ho bisogno di vederti di nuovo.”
Fu un mattone gigante che le cadde tra capo e collo, la doccia più gelida che avesse mai fatto, il tonfo più pesante che avesse mai sentito. Aveva le labbra incollate tra loro, e non riusciva a schiuderle, non fu in grado di replicare, nemmeno una sillaba. Lui incalzò: “Tra qualche giorno saremo a San Siro. Ci sarai?”.
La domanda del secolo. Quella a cui tutto il mondo sembrava aspettare risposta. Una risposta che lei, in quel momento, non era in grado di dare.

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Capitolo 26
*** Not giving up or giving in... why are we so complicated? ***


“Io non lo so. Ho il biglietto, ma ultimamente ho pensato di venderlo.” “Oh, fanculo il biglietto. Voglio sapere se sarai lì per me... per noi.” “Rob, io non lo so. Non so se me la sento. Da una parte mi piacerebbe tantissimo, poi lo devo a mia cugina, lei mi ha regalato la possibilità di vedervi a Wembley, e questo è l’unico concerto a cui può andare quest’anno... però.. credimi, ce la sto mettendo tutta per guardare avanti e dimenticare tutto... ma tu non mi stai rendendo le cose facili!” “Forse perché non voglio che guardi avanti e dimentichi tutto?”.
In quel momento il mondo si fermò. Cosa aveva appena detto?
“E per quale motivo non lo vorresti, scusa?” “Semplicemente per il motivo che ti ho detto prima, ho voglia di vederti ancora. Questa è la verità. Nuda e cruda. Vuoi che ti dica che quei giorni con te sono stati bellissimi e mi sono sentito bene? Vuoi che ti dica che ho voglia di passare altri giorni come quelli, con te? Ecco, te lo sto dicendo. Semplicemente, tutto qui.” TUTTO QUI!?!? Tutto qui!
“Non farti supplicare, dai, non è nel mio stile. Noi alloggeremo al Principe di Savoia, arriveremo il giorno prima… che dici ti aspetto?” “E come faccio a raggiungerti? L’hotel sarà blindato e non mi farebbero mai passare… né tantomeno tu puoi uscire in mezzo alla folla per venirmi a prendere.” Rob la interruppe subito: “Ma tu... hai prenotato una stanza, signora Chamonix, lo hai dimenticato?!?”. “Io… cosa???” Incredibile! Aveva già programmato tutto! Aveva dato per scontato che lei ci sarebbe andata! Ma con quale diritto prendeva tali decisioni per lei?
“Cioè, fammi capire... tu hai già deciso tutto? E quando me lo volevi dire, il giorno prima? Chi ti dà la certezza che io ci sarò?” era davvero arrabbiata, ma le passò in fretta, perché lui aveva il tono di voce più dolce che le sue orecchie avessero mai ascoltato. “Per la verità, nessuno. È che ci spero davvero... secondo te andrei in giro a dare questo tipo di informazioni a chiunque? Col rischio che tu possa andare a spifferarle a chissà chi, così ci ritroveremmo l’hotel assediato?” “Sai benissimo che da questa bocca non uscirà una sola parola. Ormai almeno su questo dovresti conoscermi abbastanza bene.” “Lo so. E non solo su questo, mia cara… se chiudo gli occhi mi rivedo davanti il tuo bellissimo corpo sinuoso e potrei ripercorrerne ogni centimetro ad occhi chiusi... solo al pensiero mi gira la testa!” Asia rimase di sasso. Non credeva alle parole che Rob le aveva appena detto.  Rimase in silenzio ascoltando il suo cuore che batteva fortissimo, terrorizzata all’idea che potesse sentirlo anche lui. “Quante volte te lo devo ripetere che ho una voglia matta di vederti? Non starò qui a pregarti... voglio lasciarti il tempo di riflettere. Hai le tue paure, e io lo capisco. Ci sta. Ma pensa soltanto ai momenti che abbiamo trascorso insieme, non ti viene voglia di riviverli tutti? Io vorrei poterne aggiungere degli altri. Al diavolo le paranoie. Che dici, ci penserai? Il mio numero ce l’hai, e io ti aspetto. Adesso devo andare, è tardissimo e domattina devo svegliarmi molto presto…”  “Ok, prometto che ci penserò. Adesso andiamo a dormire però, sono molto stanca anch’io. Buonanotte!” “Un bacio dove vuoi tu!” fu tutto ciò che disse lui, prima di riagganciare.
Inutile dire che Asia non chiuse occhio tutta la notte. Pensò e ripensò alle parole di Rob, al modo in cui si era aperto con lei... doveva avere davvero una gran voglia di vederla se si era preso la briga di chiamarla, e addirittura di prenotare una stanza per lei in hotel… sentì la necessità impellente di chiamare la cugina, ma alle tre passate le avrebbe fatto prendere un colpo, perciò si ripropose di farlo il giorno seguente e si girò nel letto sperando almeno di riposare un po’ gli occhi.
 
Alle 9 puntuali squillò il suo cellulare. Era Maya, che la chiamava dal lavoro. “Buongiorno! Ma come, sei ancora a letto? Io sono già a lavoro da quel dì!”. Ovviamente anche lei era sveglia da quel dì. “Mi ha chiamato Rob. Alle tre del mattino.” disse, laconica.
“Cosa? E che ti ha detto?”. Asia le raccontò della telefonata, e Maya per poco non cadde dalla sedia nel sentire l’assurdità di quanto era accaduto.
“Adesso che faccio? Una si fa tanti buoni propositi e poi arriva lui che ti spazza via tutto in un secondo! Credimi se ti dico che ieri mentre parlavamo ero davvero decisa a mettere un punto a questa storia! Finché si trattava di un sms, sono riuscita anche, tra mille tentennamenti, a rimanere ferma sulla mia decisione. Ma sentire la sua voce ha risvegliato in me il ricordo di tutto quello che abbiamo vissuto. Come se fosse possibile dimenticarlo!”
“Senti, non ti dico che mi rimangio tutto ciò che ti ho detto… vacci sempre coi piedi di piombo... ma vacci! Togliti almeno il dubbio di sapere fino a dove vuole arrivare!” la esortò Maya. “Cioè, secondo te dovrei presentarmi in hotel? E come faccio? E se vado lì e non mi fanno passare? Farei la figura della groupie che tenta di intrufolarsi nella stanza del suo idolo!” Maya scoppiò in una risata: “Ahahahahah... sei tremenda! Ma secondo te lui non ha già pianificato tutto per bene? Ha prenotato una stanza per te, per non rischiare che non ti facessero passare! Sai che fai? Quella sera ti vesti carina, prendi un bel taxi, e ti fai portare in hotel. Ovviamente farai la brava e mi chiamerai la mattina appena ti svegli, sennò mi fai preoccupare!” guardò il cellulare e sfoderò un sorriso a trentadue denti. “E la rimpatriata con le altre?” obiettò Asia “non posso mancare!”. “Stai tranquilla, diremo alle altre che non ti senti bene e che per non rischiare di dover saltare il concerto il giorno dopo sei rimasta a casa a riposare!”. Asia rifletté per un po’, poi allargò le braccia: “Ok, ci penserò”. Ancora non era del tutto convinta, ma alla cugina si illuminarono gli occhi. “Questo vuol dire che andremo a Milano???” “Sì, andremo a Milano. Ma ancora non ho deciso se andrò da Rob”.
Maya non ascoltò nemmeno queste ultime sue parole, già stava saltellando per tutto l’ufficio come una ranocchietta impazzita.

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Capitolo 27
*** Shall I come over, shall I wait a little more? How much longer till I walk you through that door? ***


Il cielo era sereno su Milano, e la temperatura era calda ma piacevole.
Rob guardava fuori dal finestrino del van con aria distratta, aveva uno strano magone allo stomaco che non riusciva a riconoscere, e una voglia matta di arrivare subito in hotel.
Erano arrivati la mattina di buon’ora, e dopo un riposino veloce e una lauta colazione, erano pronti a far tremare lo stadio di San Siro.
Avevano fatto delle prove coi fiocchi, quel giorno, e si era sentito talmente carico che i suoi colleghi lo avevano guardato tutto il tempo come si guarda uno che ha qualcosa da nascondere. “Ma perché mi guardi così?” disse a Gaz che rideva sotto i baffi, continuando a dare gomitate a Mark, che alla fine aveva l’avambraccio pieno di lividi. “Milano mi dà delle vibrazioni positive, e allora?”. Silenzio. I ragazzi si guardarono l’un l’altro con aria interrogativa e seria, poi una risata generale. Rob si rese conto che non l’aveva bevuta nessuno. Possibile che non fosse riuscito a nascondere agli altri il suo interesse per quella ragazza? Eppure nascondere i suoi sentimenti era una cosa che gli era sempre riuscita piuttosto bene.
Cercò conforto nello sguardo di Howard, che era l’unico che aveva davvero capito cosa bolliva in pentola.
Appena finite le prove, Rob si allontanò dagli altri per fumare una sigaretta, e How lo raggiunse. “Senti, riguardo a prima... è come penso io? Aspetti Asia stasera?” Rob lo guardò un po’ stupito, poi sorrise: “Sono io che non so nascondere le cose o sei tu che sei un po’ troppo perspicace?”. Howard si fece serio e, eludendo la sua domanda, che in ogni caso era palesemente retorica, lo guardò dritto negli occhi: “Questa cosa si sta facendo più intensa del previsto… hai idea di dove state andando, Rob? Non vorrei che la ragazza ne uscisse con le ossa rotte…” Rob lo interruppe bruscamente: “Perché devono sempre essere gli altri le vittime? Tutto questo calcolare e riflettere e pensare mi sta facendo venire un gran mal di testa… perché non posso semplicemente vivermi una cosa che mi fa stare bene senza farmi mille seghe mentali?”. Howard abbozzò un sorriso: “Deduco che ne avete parlato, allora. Dicevo questo perché lei mi è sembrata abbastanza presa, e so che tu sei una persona sensibile e non vorresti mai che soffra a causa tua.” Sembrava stesse cercando di inculcare una lezione ad un bambino dalla testa un po’ troppo dura. Rob fu pronto a controbattere, contrariato: “Dici? A me non sembra poi così presa. Se fosse davvero così presa, sarebbe corsa qui. Invece ancora non si è vista, e nemmeno si è presa la briga di chiamarmi! Eppure ho fatto in modo che non avesse difficoltà nel raggiungermi, ho organizzato tutto: ho prenotato la stanza, ho lasciato un appunto alla reception, ho avvertito gli uomini della sicurezza che sono fuori. Inizio a pensare che forse non è poi così coinvolta come credi tu”. Howard fece spallucce, ma tra sé e sé pensò che Rob non aveva proprio capito niente. Preferì non intromettersi, però, anche perché lo aveva visto parecchio suscettibile sull’argomento, e si allontanò in silenzio.
 
Quando arrivarono in hotel, le fans asserragliate all’esterno erano raddoppiate rispetto a quando lo avevano lasciato per andare a fare le prove.
Nella hall c’era una piccola folla di ragazze, vestite come se dovessero andare a una serata di gala, che aspettavano impazienti, e appena i ragazzi entrarono iniziarono a chiamarli e sorridere ammiccanti.
Rob riconobbe e salutò qualcuna di loro: erano sempre le stesse che a quanto pare, pensò, non avevano di meglio su cui spendere i loro soldi, e continuavano a prenotare stanze in hotel lussuosi sperando di cavar fuori qualche incontro più o meno piccante con uno di loro.
Lui non riusciva a pensare ad altro che ad Asia, chiedendosi se mai sarebbe arrivata, e perché aveva deciso di non farsi vedere.
Howard e Jason si fermarono a chiacchierare con le ragazze, mentre Mark e Gary si avviarono verso le loro stanze con le facce di chi stava andando a godersi il meritato relax e non aveva nessuna intenzione di farsi rompere le scatole.
Incurante di ciò che stava succedendo intorno a lui, si diresse verso la reception a passi veloci, e si avvicinò con aria furtiva al receptionist che dovette impegnarsi parecchio per riuscire a sentire cosa gli stesse dicendo, tanto bassa era la sua voce. “Mi scusi… sa per caso se la signorina Chamonix è già arrivata? Ho lasciato un appunto al suo collega prima…” Il receptionist aprì la schermata del computer che aveva di fronte, e si mise a digitare qualcosa sulla tastiera, concentrato. “Mhmm... no... non mi risulta”. Rob incalzò: “Ha per caso chiamato? Ci sono chiamate per me?” “No signore, mi dispiace. Sarà mia cura avvertirla subito se la persona in questione dovesse arrivare o chiamare”. Rob aveva lo sguardo deluso, ma sorrise a quell’uomo gentile, lo ringraziò mestamente e si girò per andarsene a riposare un po’.
 
Fu in quel momento che la vide, in fondo alla hall, vicino all’entrata. Era bellissima, e ignara di esserlo: sentì il cuore smettere di battere per un attimo.
I suoi capelli corvini e lucidi le cadevano disordinati sulle spalle, e le incorniciavano il viso dai lineamenti delicati e leggeri. Indossava un vestitino sottile e colorato, che le scendeva morbido sui fianchi lasciando immaginare tutto.
Improvvisamente se li rivide davanti agli occhi, quei fianchi che tanto a lungo e con tanta voglia aveva toccato, accarezzato, stretto a sé. Riuscì a rivivere in un attimo quei momenti di estasi, di sguardi complici, di abbracci caldi... quasi riusciva a sentire di nuovo il sapore dei suoi baci sulle labbra, e sentì il desiderio salire mentre inebetito la guardava in mezzo alla gente.
La hall era piena di persone, ma in quel momento, in quel luogo affollato, c’erano solo loro due, e la loro voglia di tornare l’uno nelle braccia dell’altra.
Lei se ne stava lì, in piedi, e lo guardava in silenzio, indecisa se salutarlo o meno.
Aveva un’espressione confusa, un’aria persa, e lo sguardo innocente di chi non sapeva come comportarsi in una situazione di fastidioso disagio, e questo la rendeva ancora più bella. Continuava a fissarla, ma non riusciva a muovere un muscolo. Avrebbe voluto alzare la mano per salutarla, farle un cenno per suggerirle di andare verso l’ascensore, ma si sentiva come pietrificato, non riusciva a fare nulla.
Poi, d’improvviso, lei gli sorrise da lontano. Fu un attimo: un sorriso veloce, quasi impercettibile, ma incredibilmente dolce, e lui sentì una voglia irrefrenabile di baciarla.
Alzò la mano e indicò in direzione dell’ascensore, speranzoso. Lei lo capì al volo e si allontanò dalla folla per andare verso quella che in quel momento le sembrò la strada per il Paradiso. Lui si mosse quasi simultaneamente.
Si incontrarono lì davanti, e il mondo, ancora una volta, si fermò. Uno sguardo, un “ciao” detto quasi in contemporanea, e l’ascensore, neanche a farlo apposta, era già lì che li attendeva a porte spalancate.
Appena si chiusero le porte, ebbero appena il tempo di sospirare, e caddero, di nuovo, l’una nelle braccia dell’altro.

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Capitolo 28
*** All that I want is to pick you up and out of that dress ***


Quei cinque piani furono il viaggio più lungo mai intrapreso, l’attesa più dolce e al contempo amara che avevano mai vissuto.
Non si erano detti una parola, ma, abbracciati stretti come se avessero paura di perdersi di nuovo, avevano continuato a gustare l’uno il sapore delle labbra dell’altra, nel perfetto stile del più avvincente dei romanzi rosa.
Asia era appoggiata alla parete dell’ascensore, in stato di abbandono totale, in balia della bocca morbida e succosa di lui che bramava di esplorare ogni più recondito angolo del suo corpo. La testa le girava come se avesse in circolo la più tremenda delle droghe, e il bello era che ne voleva sempre di più.
Rob non riusciva a smettere di toccarla, la accarezzò prima sul viso, poi su tutto il corpo. Passava delicatamente ma con tocco deciso la sua mano sulle gambe affusolate e lisce di lei, avviluppate sui suoi fianchi, cercando di intrufolarsi sotto al vestito, che non vedeva l’ora di toglierle di dosso, e provocandole dei brividi che le attraversarono la schiena in un secondo lasciandola irrimediabilmente incapace di reagire.
Quando le porte dell’ascensore si aprirono, erano ancora immersi in un caldissimo bacio profondo.
Allo spalancarsi delle porte, Rob la prese per mano, e guardandola intensamente, in silenzio, la condusse a passi veloci verso un ampio corridoio dalle pareti azzurrine, illuminato da piccole lampade dalle luci soffuse. Non un quadro, non un accenno di colore: i grossi stipiti di legno delle porte erano l’unico dettaglio che spezzasse un po’ la monotonia di quei muri sinistri, che ricordavano vagamente l’ambientazione di un film dell’orrore di serie b.
Ma i due sembrarono non accorgersi granché dell’ambiente che li circondava, tanto erano presi a lanciarsi sguardi languidi e carichi d’attesa.
Continuarono a non dirsi una parola, solo baci e sospiri tra loro.
Arrivarono davanti alla porta della suite di Rob, e si fermarono. Non riuscivano a parlare. Si guardarono intensamente, poi si baciarono di nuovo, mentre Rob tirava fuori dalla tasca dei suoi jeans la chiave magnetica e apriva la porta della stanza. In un attimo la prese in braccio, chiuse frettolosamente la porta, e continuando a baciarla con passione, attraversò il lussuoso salottino all’ingresso per arrivare in camera; la adagiò delicatamente sul letto e si fermò a guardarla.
“Rob…” la voce di Asia spezzò il silenzio. “Shh”, la interruppe lui, poggiandole un dito sulle labbra per poi toglierlo e posarvi le sue.
Continuarono a baciarsi e ad accarezzarsi per un tempo indefinito che oscillava tra il per sempre e l’eternità, e nel frattempo, lentamente quanto veementemente, si tolsero i vestiti di dosso, ormai pervasi da un’inarrestabile voglia di oltrepassare insieme ogni confine.
Asia gli tolse la t-shirt, poi si fermò un attimo e lo guardò: il suo petto, quel petto forte e imponente che tante volte l’aveva accolta; i suoi tatuaggi, marchio indelebile e inconfondibile dell’uomo che l’aveva rapita al mondo reale per catapultarla in una realtà parallela in cui i sogni possono davvero avverarsi. Tutto era lì al suo posto, dove l’aveva lasciato, e sembrava aspettare proprio lei.
Iniziò ad accarezzarlo, quel petto possente che tanto le piaceva, per poi baciarlo in ogni suo centimetro con tutta la dolcezza e la sensualità che conosceva.  Rob, completamente rapito e ormai quasi del tutto fuori dalla ragione umana, a sua volta sfiorava, ora delicatamente, ora con più ardore, quel corpo morbido e sinuoso che aveva tanto anelato negli ultimi giorni.
Da lì fu un crescendo di baci, carezze e sospiri che li travolsero completamente portandoli, attimo dopo attimo, ad essere due corpi in uno, in un groviglio di sensazioni ed emozioni che credevano perse per sempre.
 
“Dio mio”, esclamò Rob, respirando ancora affannosamente: “quanto mi era mancato tutto questo!”. Asia non riuscì a trattenere una fragorosa risata, e alzò il sopracciglio, guardandolo con l’aria di chi non l’aveva proprio bevuta. “Oh, certo…” Rob strabuzzò gli occhi: “Cosa? Non mi dirai che credi che sia stato con qualcun’altra in questi giorni?”. Asia continuava a guardarlo con la stessa espressione divertita, ma non rispose.
“Non ci posso credere. Secondo te avevo l’aria di uno che ha fatto sesso con qualcun’altra nei giorni passati?”. Asia scoppiò a ridere di nuovo. “Oh, beh... in effetti... no.” lo guardò con aria imbarazzata, e lui diventò di tutti I colori. Si avvicinò ulteriormente a lei cingendola ai fianchi, con aria minacciosa: “Stai forse insinuando che non hai apprezzato la mia prestazione??? Vuoi che ricominci tutto da capo?”. Lei sorrise a trentadue denti: “Si, signore... ho apprezzato moltissimo la tua prestazione, e sì… voglio ricominciare tutto da capo!” girandosi, si mise a cavalcioni su di lui e poi si chinò per baciarlo dolcemente. “Sei stato fantastico, Mr. Wee, come al solito”.  Il suo ego aveva sempre bisogno di essere adulato.
E ricominciarono davvero tutto da capo.
Rimasero avvinghiati per tutta la notte, e si dimenticarono perfino di cenare, tanto erano impegnati a recuperare il tempo perduto.
 
La mattina seguente Asia fu svegliata da due voci che conosceva molto bene, che discutevano animatamente. Una era ovviamente quella di Rob, che avrebbe potuto riconoscere tra mille, anche nel bel mezzo di un concerto rock; l’altra era senza dubbio quella di Howard, con quella sua meravigliosa “s” sibilante, che lo rendeva, se possibile, ancora più sexy.
“Rob, non è mia abitudine impicciarmi delle questioni sentimentali degli altri, è che sono seriamente preoccupato”. Asia si avvicinò alla porta della camera, senza farsi vedere. Per cosa avrebbe dovuto preoccuparsi?
“Doug, cosa ti devo dire? Non mi va di fare programmi di alcun tipo, lei lo sa. Di cos’altro dobbiamo parlare? Io sto bene, lei sta bene. Ci godiamo il momento e poi vediamo come va. Mi sembra di vivere una di quelle storie di adolescenti idioti, in cui si sta sempre lì a domandarsi se si starà insieme per sempre o per un giorno. Non ho voglia di pensare a una stupida, stupidissima relazione. Tutto questo ragionare lo trovo davvero incredibilmente stupido”.
Asia non poteva credere alle sue orecchie. Sentì improvvisamente il viso andarle a fuoco, si sentì tradita. Fu un improvviso crescendo di sensazioni bruttissime che la pervase all’istante. Idiota?Stupido? Allora lei era solo una stupida per Rob! Una stupida storia di letto che non aveva alcun futuro.
Si rivestì in fretta, raccolse le sue cose e come una furia uscì dalla stanza, davanti agli occhi increduli dei due, che la guardarono allibiti. “Ma… Asia… dove vai? Che succede?” chiese stupito Rob. Howard alzò gli occhi al cielo, aveva senza dubbio sentito tutto.
“Cosa succede? Niente, la stupida se ne va. Non ho tempo né voglia di farmi trattare come un’idiota da te. Grazie e arrivederci!”.
Con la forza di un uragano chiuse la porta sbattendola violentemente dietro di sé, tra gli sguardi attoniti di Rob e Howard, che non ebbero nemmeno il tempo di fiatare.

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Capitolo 29
*** My heart is numb has no feeling, so while I’m still healing just try..and have a little patience ***


Lo vedi che continui a farle del male?” Howard indicava con la mano la porta appena chiusa, come se potesse vedervi attraverso la ragazza ferita che ne era appena uscita. “Ma perché vuoi farla soffrire?".
"Mio Dio, Howard... Non voglio farla soffrire!! Porca miseria, sembri un padre che cerca di proteggere la figlia da un cattivo ragazzo! Ma perché continuo a fare questi discorsi con te?” Rob si stava alterando, questa inquisizione proprio non gli piaceva.
"Perché riconosci che ho ragione. Lei è molto coinvolta, e tu non lo sei quanto lei, lo sai bene. Finirai solo per farle del male”. Howard aveva un’espressione serissima, e continuava a scuotere la testa.
“Io non ho nessuna intenzione di farle del male! Ma non posso forzare ciò che provo… e non ho intenzione di continuare questa conversazione con te.” Si fermò, riprese fiato, poi continuò, deciso: “Ma qual è il tuo problema? Perché continui a insistere su questa storia e soprattutto perché ti preoccupi così tanto di una persona che conosci appena?”. Si mise le mani sui fianchi e rimase immobile a scrutarlo, quasi a volerlo studiare. Poi assunse l’aria stupita di chi ha appena fatto una scoperta eclatante, e agitando il dito indice in aria lo aggredì: “Ma certo! Ho capito! LEI TI PIACE!” disse alzando non poco la voce. Howard fece un salto indietro, e lui incalzò: “Ecco cosa succede, lei ti piace! Le chiacchierate sul terrazzo, la sera in cui mentre io consolavo Mark l’hai portata in discoteca a bere… l’hai perfino accompagnata in aeroporto! Tutto fila: ci stavi provando! Ma c’è una novità caro il mio playboy… questa donna non farà parte della tua lunga collezione… lei NON È per te, capito? Stalle lontano… o andrà a finire male… molto male!”.
Howard non credeva alle sue orecchie: ma cosa stava dicendo? Lui, Asia… ma che strane storie si stava inventando?
“Rob, stai prendendo un granchio enorme. Io non sono affatto interessato a lei. Ti voglio bene e vedo che potresti fare del male a lei e a te stesso, dopo quello che entrambi avete passato. E voglio solo che tu rifletta bene su ciò che stai facendo. Mi sono affezionato ad Asia, è vero: perché è una ragazza alla quale ci si affeziona facilmente, perché era in una terra straniera da sola e mi faceva una tenerezza incredibile… ma soprattutto perché, in un modo o in un altro, era… È… la tua donna! E proprio per questo non potrei mai pensare a lei in modo diverso. Adesso va’ a parlarle, prima che vada via. So che non vuoi che se ne vada, e che non vuoi perderla”. Gli mise una mano sulla spalla e si diresse verso la porta. Rob non fiatò, lo guardò uscire dalla sua stanza e rimase lì immobile, con l’aria ancora imbronciata di un bambino arrabbiato.
Asia era ancora nel corridoio, appoggiata alla parete con gli occhi gonfi dalle lacrime. Passando, Howard le mise una mano sulla guancia, e le sorrise: “È un cretino, ma ci tiene a te. Dagli la possibilità di scusarsi.”    
Asia non rispose ma si limitò ad accennare un sorriso, e strinse la mano di Howard tra la sua guancia e la spalla, per prendersi tutto il conforto che quell’uomo dallo sguardo di ghiaccio le stava offrendo.
Si allontanò, e mentre si dirigeva a passi veloci verso la sua stanza, rifletté sulla conversazione che aveva appena sostenuto col suo amico: quanto c’era di vero in ciò di cui l’aveva accusato Rob?  Scrollò le spalle come per liberarsi di un pensiero negativo, e si dileguò nella penombra del corridoio.   
 
Rob uscì finalmente dalla sua suite, acciaccato come se avesse combattuto in un incontro di boxe piuttosto faticoso. 
Si avvicinò alla ragazza appoggiata al muro, che nel frattempo si era asciugata le lacrime e si stava rendendo decente per poter uscire dall’hotel in condizioni accettabili, e indossò l’espressione più dolce e dispiaciuta che conoscesse.
Asia schiuse la bocca per parlare, ma lui la anticipò: “Lo so, sono stato uno scemo. Sai bene come stanno le cose, ne abbiamo parlato spesso, ma non dovevo usare quelle espressioni. So che ti sei sentita ferita e mi dispiace”.
“No, sono io che ho esagerato. Tu stavi dicendo ad Howard qualcosa che io so già, e di cui abbiamo ampiamente discusso. Solo che mi sono svegliata e tu non c’eri, ti ho sentito parlare con lui e usare quei termini… il fatto di essere stata svegliata così bruscamente dopo una nottata così incredibile ha amplificato il tutto. Perdonami, mi sento un’imbecille!” “Allora siamo in due” rispose sorridendo lui, e la abbracciò. “Ti va di rientrare, e fare colazione? Mi è venuta una fame, e a parte un caffé e una sigaretta, non ho messo nulla nello stomaco da ieri pomeriggio!”. Lei annuì ed entrarono nella stanza ancora abbracciati.
 
Dopo aver ordinato il servizio in camera, se ne stavano seduti sul pavimento a sgranocchiare pezzi di brioche e bere caffé, ancora un po’ imbarazzati per ciò che era appena successo.
Nell’aria c’era ancora un po’ di tensione, così Rob riprese il discorso per mettere le cose in chiaro una volta per tutte.
“A volte mi sembra che questa storia sia fatta più di parole che altro. Non è che non mi piaccia parlarne, è che trovo molto più semplice, per come sono io, dimostrarti a fatti quanto vali per me e quanto ci tengo. Lo sai, non esco da una situazione semplice, e neanche tu, e tutto ciò che chiedo è un po’ di pazienza, perché non è facile ripartire da zero e buttarsi il passato alle spalle. So che non è facile stare al mio passo, ho un brutto carattere e a volte tendo ad essere egoista, ma ci sei tu, che sei altruista per entrambi, e quando esco dalla carreggiata puoi sempre farmelo notare. Non so molte cose, l’unica cosa che ora so per certo è che con te sto bene, e quando stiamo insieme mi dimentico del resto. Se questo per ora ti basta, fammi un favore: smettiamo di parlarne, tra noi e con le altre persone, perché questo davvero non ci porterebbe da nessuna parte. Che ne dici?” Lei era rimasta a contemplarlo assorta mentre parlava, senza interromperlo: era così bello quando faceva discorsi seri! Era stanca anche lei di tutte quelle paranoie, perciò, senza batter ciglio annuì: “Sono assolutamente d’accordo con te, soprattutto sul fatto che non devono entrare altre persone in questa storia. Howard è un tesoro, è sempre stato carino con me, e in alcuni momenti mi ha fatto bene parlare con qualcuno: ero sola in viaggio, e a volte non sapevo proprio con chi parlare. Ma adesso credo sia giunto il momento di viverci questa cosa solo io e te, senza mettere in mezzo nessun altro. Trovo che stiamo perdendo un sacco di tempo in chiacchiere inutili, mentre potremmo impiegarlo meglio per fare un sacco di altre cose molto più interessanti…” lentamente gli stava già sbottonando la camicia, quando lui la bloccò: “Prima di dimenticarmi anche come mi chiamo volevo farti una proposta: ti va stasera di vedere il concerto dall’area vip?” “Ma Rob, sono con mia cugina e le mie amiche, lo sai… non posso lasciarle sole!” “E chi ha detto che devi lasciarle sole? L’invito è esteso anche a loro…” la guardò attendendo una risposta che non vi fu bisogno di esprimere a parole. Lei lo guardò adorante e gli rifilò un rumoroso bacio a fior di labbra che tolse ogni dubbio.

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Capitolo 30
*** Take me by the hand, just don't try and understand ***


San Siro era gremito di gente.
Lo stadio così pieno l’aveva visto solo nel 2006, quando Rob, durante un concerto assolutamente epocale, in onore della vittoria italiana dei mondiali, si esibì in una improbabile versione del tormentone italiano dell’estate: sulle note di “Seven Nation Army” dei White Stripes, sfoggiò il suo tentennante italiano in un mal pronunciato “Championi del Mondo”.   Fu un concerto memorabile.
Ma questo, per svariati motivi, lo sarebbe stato ancora di più.
L’area vip era un piccolo rettangolo di parterre chiuso da un grande pannello di plexiglass, dal quale si poteva vedere il resto dello stadio, ma non essere visti. Per Asia era l’ideale, perché proprio non sopportava l’idea che le altre fans le vedessero lì, chiedendosi chi fossero e per quale motivo erano così privilegiate da godersi il concerto dall’area vip.
Quando arrivarono si sistemarono sulle loro belle poltroncine che, già lo sapevano, sarebbero rimaste vuote per tutta la durata dello show.
Le sue amiche continuavano a chiederle come avesse fatto per rimediare una visuale così d’eccezione, ma lei glissava sapientemente per non dover dare spiegazioni. In quel momento proprio non si sentiva di dire loro la verità, perciò, quando la sua amica Laura le chiese spiegazioni per l’ennesima volta, tutto ciò che le uscì dalla bocca fu: “Sai che mio cugino conosce un tizio che si occupa della sicurezza a San Siro... ecco, dopo mesi di preghiere, alla fine mi ha accontentata!”. Così la storia finì lì. O almeno era quello che lei credeva in quel momento.
Mentre continuavano entusiaste a meravigliarsi per la vicinanza dal palco, una ragazza si avvicinò a loro, chiamandola. Asia non poteva crederci: era Marta, che strano effetto rivederla in un contesto così diverso! “Ciao! Come stai?” le andò incontro e l’abbracciò come si fa con un’amica di vecchia data. “Ma cosa ci fai qui? Non sapevo che saresti venuta!”. “Lo so” rispose lei “in realtà non era in programma. Ma poi Mark ha insistito tanto e come al solito ho ceduto ai suoi occhioni dolci!”. Asia si rese conto che le sue amiche iniziarono a  guardarla con aria interrogativa, ma fece finta di niente. “Quindi le cose vanno bene... ne sono contenta! Avrei voluto chiamarti in questi giorni, ma sono stata tanto impegnata... e poi, sai, non ero dell’umore giusto per sentire nessuno…” si avvicinò di più a lei e abbassando la voce continuò “soprattutto qualcuno che mi ricordasse cosa è successo a Londra. Spero che capirai…”. Marta le sorrise con un’espressione dolcissima, e mettendole una mano sulla spalla replicò, a voce bassa: “Lo so. Mark mi ha detto che c’è stata un po’ di burrasca tra te e Rob. Magari domani ci andiamo a prendere un caffè e mi racconti, se ti va. E sì, le cose vanno molto bene.  Mark proseguirà da solo con gli altri mentre io resterò qualche altro giorno qui; sono mesi che non vado a trovare i miei e ho approfittato dell’occasione, altrimenti rischio che mi disconoscano come figlia!”. Asia annuì con l’aria di chi sa bene cosa vuol dire, poi cambiò discorso: “Ma adesso godiamoci lo show, non vedo l’ora che inizi!”. Presero posto l’una accanto all’altra e aspettarono che uscissero i mitici Pet Shop Boys, che aprivano lo show, mentre le amiche di Asia continuavano a chiedersi (e a chiedere a Maya) chi fosse quella ragazza che Mark aveva insistito per portarsi dietro, e soprattutto come facesse Asia a conoscerla.
 
Quando il gruppo spalla uscì dalla scena, lo stadio era caldo a puntino, e l’arrivo dei ‘lads’ on stage fu accolto da un calorosissimo benvenuto all’italiana.
Mark, Gary, Howard e Jason aprirono il live con i loro più grandi successi in quattro, e poi Rob deliziò il pubblico con alcuni dei suoi capolavori da solista.
‘Angels’ fu come al solito un’esibizione strappalacrime, e vederli tutti e cinque di nuovo insieme fu un’emozione unica. Si sentì davvero una privilegiata ad aver avuto la fortuna di vedere lo show del secolo per la terza volta in un mese.
Il top della serata fu Mark che chiese al pubblico di cantare l’inno nazionale per registrarlo col suo telefono cellulare. Fu un coro di note stonatissime al suono del quale il cantante annuiva facendo su e giù con la testa col suo solito sorrisino compiaciuto stampato in faccia. Marta si mise una mano in fronte e si lagnò: “Mio Dio, sapevo che lo avrebbe fatto! Me lo chiede in continuazione e poi pretende di registrarmi col cellulare mentre canto. Che adorabile idiota!”. Quella donna era davvero irrimediabilmente pazza di lui. Ma Asia realizzò improvvisamente che la situazione non era poi tanto diversa da quella sua e di Rob. Lui che tirava il sasso e poi nascondeva la mano, e lei che si negava a lui per poi cadere senza via d’uscita ancora una volta tra le sue braccia.
Assorta in questi pensieri contorti, non si accorse che i ragazzi erano scesi dal palco, mentre intonavano le note della canzone di chiusura. Al ritmo lento e romantico di "Eight Letters", camminavano accanto alle fans in transenna, stringendo mani e racimolando gadget di tutti i tipi, dai cappelli alle bandiere, al classico e intramontabile reggiseno taglia extra large.
All’improvviso sentì un coro di urla scatenate e si girò, proprio nel momento in cui Rob si fermò davanti ad una ragazza molto bella, dai capelli cortissimi e il corpo pieno di tatuaggi. Si scambiarono qualche parola incomprensibile al resto della folla, quando lui le si avvicinò e la baciò sulle labbra nello sbigottimento generale. La ragazza, prontamente, lo afferrò da dietro la nuca e lo travolse in un bacio appassionato sotto gli sguardi attoniti del pubblico.
Asia si sentì avvampare. Non poteva credere che un’altra donna stava baciando il SUO Rob. Ebbe l’impulso di correre da lui, camminando a passi veloci sulla testa di tutti i presenti, per strapparlo dalle grinfie di quella donna e urlarle “Giù le mani dal MIO uomo!”. Ma si rese conto ben presto che forse non era appropriato.
Si ritrovò senza quasi rendersene conto a chiedersi perché aveva perso la testa proprio per il più esuberante del gruppo, invece di scegliere un tipo più tranquillo e riservato, e si sorprese a guardare Howard che, neanche a farlo apposta, a sua volta la stava fissando. Rimasero a guardarsi per un bel po’, finché i ragazzi non sparirono nel backstage mentre il pubblico era ancora in delirio.
“Stai bene?” le chiese Maya avvicinandosi con la bocca al suo orecchio. “Eh? Cosa? Io… sì… credo di si. Sono solo un po’ confusa”. “Dai, queste sono le sue classiche bravate da palcoscenico, non puoi prendertela per una cosa così. Sono anni che lo fa, ormai dovresti conoscerlo!” Si, è vero. Sono anni che lo fa. Ma prima Asia non poteva avere pretese! Beh, nemmeno adesso, per la verità. Ma quanto bruciava vedere che qualcuno godesse di quelle sue tanto amate labbra senza che lei potesse dire niente!
Sì, lo so” si limitò a dire “è che a caldo fa un certo effetto”. Sorrise a mezza bocca, e, rendendosi conto di non credere nemmeno lei alle sue stesse parole, si girò dall’altra parte.
In quel momento dal backstage spuntò furtivamente Rob, che si materializzò in un attimo davanti a lei. La baciò, la cinse per la vita e la trascinò con sé, sparendo con lei lì dietro, sotto gli occhi increduli di sua cugina e delle sue amiche, che iniziarono a chiedersi seriamente che cavolo stesse succedendo.

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Capitolo 31
*** May this moment of surrender live in your heart forever ***


“È incredibile, ti guardavo da là sopra, ed eri così bella!” le sussurrò Rob nell’orecchio mentre continuava a baciarle il viso “Ero lì sul palco che cantavo, ti guardavo e avevo una voglia matta di baciarti!”.
È per questo che hai baciato un’altra??? Avrebbe avuto voglia di rispondere, ma ovviamente non lo fece. Preferì godersi i suoi mille baci e i caldi abbracci che le stava regalando. Lo guardò intensamente, fece un sospiro profondo e si lasciò baciare. Cavolo, forse ci riesco… forse posso godermi ogni attimo con lui senza farmi un milione di paranoie!
“È stato uno show epico, di nuovo! Siete stati grandi!” si limitò ad esclamare, abbracciandolo a sua volta. Rob le sorrise, si sistemò sul sedile dell’auto e poi allargando le braccia le disse, a voce bassa: “Vieni qua, lasciati abbracciare... ti voglio stringere un po’ a me” e lei lo lasciò fare.
Aveva il suo solito sorrisino sornione stampato in viso, e un’aria davvero rilassata. Per la verità, si sentì sollevato del fatto che lei non aveva nemmeno accennato alla sua performance un po’ ‘esuberante’, e soprattutto era felice che avesse capito lo spirito con cui lo aveva fatto.
Forse erano davvero sulla stessa lunghezza d’onda, adesso.
Rimasero abbracciati per tutto il tragitto dallo stadio all’hotel, e una volta entrati in stanza ricominciarono a baciarsi senza sosta, come se non riuscissero a staccarsi l’uno dall’altra.
Verso le due del mattino, erano sdraiati nel letto l’uno accanto all’altra; Rob stava giocherellando con i capelli di Asia mentre lei, con lo sguardo perso nel vuoto, guardava il soffitto. Poi, all’improvviso, lui spezzò il silenzio: “Abbiamo un paio di giorni prima della prossima serata…” si mise su un fianco appoggiandosi sul gomito, continuando a giocare coi suoi capelli e guardandola negli occhi. “..vorrei passarli con te”. Lo aveva detto di getto, come uno studente che stava ripetendo la lezione in un’interrogazione e aveva paura di sbagliare. Era come se avesse questo pensiero in testa già da un po’, e in quei lunghi minuti di silenzio avesse pensato a come dirglielo. Asia sentì il battito del suo cuore accelerare, ma riuscì a mantenere la calma. “Sai a cosa pensavo?” gli disse mettendosi seduta nel mezzo del letto, con le gambe incrociate e le mani sui fianchi, come se non aspettasse altro che lui le facesse una proposta del genere “La mia famiglia ha una casa sul lago di Como, potremmo passare un paio di giorni lì in santa pace e poi tornare a Milano. Tu raggiungi gli altri a Copenhagen e io me ne torno a Roma, visto che la prossima settimana devo rientrare a lavoro. Che ne dici?”.
Il viso di Rob si illuminò: “Dico che mi sembra un’idea fantastica!”, la strinse a sé e la baciò con passione. Lei si allontanò leggermente, abbozzando una piccola smorfia di dispiacere “Domattina però ho un appuntamento con Marta per fare colazione insieme. Abbiamo un bel po’ di cose da raccontarci, visto che lei poi andrà a Monza a trovare i suoi genitori. Va bene se partiamo dopo colazione?” Rob annuì e la trascinò accanto a sé con una mossa decisa. La tenne stretta senza parlare finché non caddero addormentati – il che avvenne nel giro di pochi minuti - stanchi ma felici.
 
Rob fu svegliato dal suono del telefono. Guardò l’orologio: erano le 7,30 del mattino. Con la voce ancora impastata di sonno bofonchiò un incomprensibile “Pronto?”.  Dall’altra parte uno squillante Howard aveva la voce di chi invece era sveglio già da un bel po’: “Hey, Rob, ma allora? Ti stiamo aspettando da mezz’ora! Che fai, resti a Milano?”. “Cosa? Come?” si stropicciò gli occhi e si sedette con la schiena appoggiata al cuscino, realizzando che non li aveva avvertiti del cambio di programma. “No, non parto con voi. Vado fuori per un paio di giorni… con Asia” per un attimo fu indeciso se dirglielo o meno, ma alla fine pensò che in fondo non c’era niente di male nel tenerli al corrente di ciò che faceva, visto che non si sarebbe mosso con loro. “Scusate se non vi ho avvertito prima, ci vediamo direttamente a Copenhagen tra due giorni”.
Dall’altra parte un attimo di esitazione, poi la risposta, confusa: “Si… ok.. va bene, sono contento. Fate bene a prendervi un paio di giorni per voi.” Un sospiro, poi un affrettato “Stammi bene amico. A venerdì!”. E riattaccò.
Ancora assonnato si girò dalla parte del letto di Asia, ma lei non c’era. Sul suo cuscino, uno dei soliti bigliettini: “Scendo a colazione con Marta, ci vediamo tra un paio d’ore. Fatti bello! A.” Si ricordò della colazione con Marta, e si rese conto di avere ancora qualche ora per buttare qualche vestito in una borsa da portare a Como.
 
Asia scese di corsa le scale, rendendosi conto di essere leggermente in ritardo. Gli ascensori sono sempre tutti occupati quando se ne ha bisogno. Ma dove dovevano andare tutti alle 7,30 del mattino?
L’amica la aspettava seduta al tavolo del lussuoso bar dell’hotel, ‘Il Salotto’. Lussuosi pavimenti in marmo antico, giganti lampadari di cristallo sul soffitto e maestosi quadri alle pareti rendevano quel posto in perfetta sintonia con il resto dell’hotel. Severo e incredibilmente impostato.
Marta sembrava assolutamente a suo agio in mezzo a tutto quello sfarzo, forse per il fatto di lavorare da tanto tempo in un hotel di lusso, lei invece, nonostante per anni ne avesse girati parecchi per lavoro, ancora non riusciva a muoversi con dimestichezza in quei luoghi così sofisticati da essere quasi finti.
Le fece cenno con la mano, e si avvicinò con passi lenti e indecisi, per poi prendere posto di fronte a lei, al tavolo già imbandito con tutto il meglio che si potesse desiderare per una colazione da veri signori. “Non sapevo di cosa avessi voglia, perciò ho ordinato un po’ di tutto!” Marta le strizzò l’occhio, col suo immancabile sorriso tenerissimo stampato sulle labbra.
Si raccontarono di come erano andate le cose ad entrambe negli ultimi giorni, scendendo perfino nei dettagli più intimi e più piccanti, sghignazzando e giocherellando come due quindicenni. “Allora? Le cose con Mark vanno bene, a quanto vedo” Asia si fece un tantino più seria. “Si. Da quando ci siamo salutate, le cose pian piano si sono messe a posto da sole. Ho capito che dovevo solo avere pazienza e rispettare i suoi tempi, ed è quello che sto facendo. Lui è sempre tenerissimo e mi fa sempre sentire che tiene molto a me, ha insistito tanto per farmi venire in Italia. Sua moglie si sta lentamente facendo da parte e credo stia accettando la situazione, suo malgrado. A quanto ne so stanno preparando tutte le carte per il divorzio, ma voglio restare fuori da questa storia, quindi non faccio domande se non è lui a dirmi come vanno le cose.”
“Beh, dai… la tua pazienza ha dato i suoi frutti! Non so come hai fatto, ma... brava!”. Marta sorrise imbarazzata: “Beh, non ho fatto granché... ho solo seguito il mio cuore... e dovresti farlo anche tu”. Asia abbassò lo sguardo. “Sto davvero cercando di vivere questa storia con tutta la naturalezza possibile, senza farmi grosse paranoie. A volte ci riesco, altre un po’ meno. Però io e Rob abbiamo parlato, e questo mi ha fatto stare molto meglio”.
Marta la guardò dritto negli occhi: “Rob ha un carattere esuberante, e spesso si comporta come se non avesse limiti o legami. Lui è fatto così. Non lo fa per egoismo, né per mancanza di rispetto. Dovresti solo cercare di capirlo.” “Il problema è che io non sono paziente come te, Marta. Io sono irrequieta, gelosa, ho un continuo bisogno di conferme. Se una donna si avvicina al mio uomo la sensazione che ho è che la strozzerei seduta stante con le mie stesse mani, e lui non è il tipo di uomo che sta alla larga dalle situazioni potenzialmente pericolose. È vero che ci frequentiamo da pochissimo, ma è anche vero che ci vuole tempo per smussare dei lati del tuo carattere che sono parte di te da sempre. Però ci sto lavorando, e forse potrei anche riuscirci...”
“La verità è che quando ami una persona, non importa come sei fatto o qual è il tuo carattere. Non puoi vivere senza di lui, e lo aspetteresti anche in eterno, se servisse. Ora c’è da chiedersi una cosa: tu lo ami!?”.
Lo ami? Asia si rese conto che non si era ancora mai posta questa domanda.
“Oddio, non saprei... credo sia un po’ presto per dirlo... so solo che quando sono con lui il resto del mondo non esiste, e quando mi guarda il mio cuore smette di battere. So che quando mi abbraccia il mio corpo inizia a vibrare come non ha mai fatto, e che ogni suo bacio è una scossa elettrica che mi attraversa da parte a parte lasciandomi inerme e incapace di reagire” si fermò e fece un respiro profondo, poi la guardò: “C’è bisogno di chiedermi se lo amo?”. Marta non riuscì a trattenere una risata sommessa: “No, cara... non c’è assolutamente bisogno di rispondere a questa domanda... perché trova risposta in quello che hai appena detto!”.
Poi guardò l’orologio e si rese conto che era tardissimo. “Adesso devo scappare, ho promesso ai miei che sarei arrivata per pranzo, e voglio prendermela comoda. Vediamoci presto, e comunque teniamoci in contatto... voglio sapere come va a finire!” le fece l’occhiolino e Asia la abbracciò: “Grazie di tutto, sei davvero un tesoro. Ci conosciamo da poco ma ho subito sentito un feeling particolare con te, e mi sembra di conoscerti da sempre!” “È lo stesso per me, ed è bello che la cosa sia reciproca!”.
Si allontanarono ognuna in direzione opposta all’altra, e Asia non poté fare a meno di riflettere sulla domanda che l’amica le aveva appena posto.
Ma lei, quell’ineguagliabile buffone dal cuore tenero, lo amava??
In quel momento si rese conto che non le interessava conoscere la risposta a quella domanda, perché stava talmente bene che qualsiasi nome avesse dato a quella relazione, per lei sarebbe stato il più bello del mondo.

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Capitolo 32
*** Do you feel what I feel? Everytime that you are near it's a beautiful world ***


Si dirigeva a passi veloci verso l’ascensore, con un sorriso soddisfatto stampato in faccia, quando vide con la coda dell’occhio la receptionist avvicinarsi titubante. “Signorina Chamonix?” Si guardò intorno, cercando di ricordare dove aveva già sentito quel nome, tentando di riconoscere un volto da associarvi. Poi l’illuminazione. Ma certo! Chamonix era il nome che Rob le aveva affibbiato per prenotarle la stanza nell’hotel! Una stanza che lei non aveva nemmeno mai visto, ovviamente!
La guardò con aria interrogativa, poi le sorrise: “Sì?”. La receptionist era una bella ragazza, alta, bionda, e con uno spiccato accento milanese. La guardò con un’aria incredibilmente cordiale ma anche molto formale, sembrava quasi intimidita. “Signorina, LUI la sta aspettando in macchina, qua fuori.” Lei strabuzzò gli occhi. “In... macchina? Quale macchina?” “La macchina che avete noleggiato. È una Mercedes Classe A blu scura. È parcheggiata qui fuori. Il signore ci tiene a precisare che la sua borsa è già in auto.” Asia sorrise a denti stretti. Che tipo, aveva addirittura noleggiato un’auto e fatto sistemare le sue cose nel portabagagli! Riusciva sempre a strapparle un sorriso, ovunque fosse.
La ringraziò sorridendo, ma la ragazza rimase a fissarla aspettando di ricevere una mancia. Prese al volo una banconota dal portafogli che aveva nella borsa, la posò delicatamente ma distrattamente sul palmo della sua mano aperta, e corse fuori cercando l’auto in questione.
La vide, si avvicinò e cercò di captare attraverso i vetri scuri l’immagine di Rob. Sembrava una ladra che si aggirava furtivamente tra potenziali auto da rubare, e si sentì un tantino a disagio. Dopo pochi secondi il finestrino del lato passeggero si abbassò appena, lasciando una piccolissima fessura dalla quale spuntò l’inconfondibile dito medio di Rob, mostrando la lettera V del tatuaggio “LOVE” che aveva sulle falangi della mano destra.
Asia sbuffò con disappunto, e si accorse guardando nella fessura che Rob se la stava ridendo di gusto. Si spostò dal lato del guidatore, aprì la portiera e si sedette in macchina. Lui era seduto lì, come un signore di alto rango, che aspettava di essere scarrozzato chissà dove dal suo chauffeur.
Asia assunse l’aria più altolocata e servizievole che aveva, e cercando di intonare un biascicante accento francese cantilenò: “Dove vuole che la porti, signore?” mettendo le mani sul volante. “In Paradiso, mia cara” mormorò lui stampandole un delicato bacio sulla guancia, lasciandola come sempre incapace di rispondere.
Partirono alla volta dell’autostrada, e mentre lei guidava, Rob le teneva una mano sulla gamba accarezzandola di tanto in tanto, mentre col sedile reclinato e l’altra mano dietro la nuca, guardava il paesaggio fuori dal finestrino.
Era una scena a dir poco da favola. Asia sentì che avrebbe potuto davvero guidare fino al Paradiso, in quelle condizioni.
Arrivati a destinazione, la macchina si fermò. Lei prese un telecomando dalla borsa, col quale aprì un cancello in ferro battuto in stile antico, ed entrarono nel grande cortile, dove parcheggiò l’auto, tra alberi da frutta e piante verdi e rigogliose, piene di fiori colorati.  Tirò il freno a mano e si girò, sentendosi osservata. Aveva i due occhioni verdi di Rob puntati su di lei, come fari nel buio. “Sei incredibilmente sexy quando guidi, lo sai?” le disse.
Asia indossò lo sguardo più malizioso che conoscesse, si mise a cavalcioni su di lui e gli sussurrò nell’orecchio: “Allora dimostrami quanto sono sexy...” iniziando a baciarlo sul collo e ad accarezzargli la nuca con entrambe le mani. “Così non vale, non mi fai capire più niente!” “È proprio quello che voglio!” sibilò lei, prendendogli la mano e conducendolo fuori dall’auto continuando a fissarlo e a sorridere. Tirò fuori le chiavi di casa dalla borsa e aprì il portone. “Che dici, rimandiamo a dopo il tour della reggia?” gli chiese ammiccante, tenendolo sempre per mano. “Potremmo trovarci in una caverna nel bel mezzo di un bosco, e non me ne fregherebbe niente” furono le ultime parole di lui, prima di prenderla in braccio e adagiarla su un grande divano angolare che faceva bella mostra di sé nel grande salone ancora in penombra.
 
Dopo un’oretta, erano ancora lì che si accarezzavano e giocherellavano l’uno con le mani dell’altra, quando Asia si alzò. “Mi è venuta una fame… a te no? Dovrebbero esserci dei generi di conforto in frigo, ho chiesto a mia zia che è partita ieri di lasciarmi qualcosa.” Rob si alzò dietro di lei, speranzoso di mettere qualcosa nello stomaco, che era vuoto dalla sera prima. “Magari! Se mettessi l’orecchio vicino al mio stomaco riusciresti a sentire l’eco! Cosa c’è?”. Asia aprì il frigo sghignazzando. “Una bella porzione formato famiglia di lasagna fatta in casa! Adoro mia zia!” mostrò la teglia all’uomo affamato che le stava dietro come un gufo sul trespolo, e gli si illuminarono gli occhi. “Cavolo… lasagna! Adoro la cucina italiana! Quel mix perfetto di pasta, pomodoro e…” si girò verso di lei che lo stava fissando con un ghigno stampato in faccia. “No, non riuscirai a farmelo dire di nuovo!” e lei, prontamente, scandendo bene le sillabe: “MOZ-ZA-REL-LA!!!!” Scoppiò in una fragorosa risata, e lo implorò: “Oh, ti prego... sei incredibilmente sexy quando parli italiano!”. Lui assaggiò una forchettata di lasagna e poi, con la bocca piena, iniziò a ripetere: “Mozzirella, mozzirella…”. Poi si avvicinò e cercò di baciarla con la bocca ancora sporca di sugo. Lei si lasciò baciare, poi prese un’altra forchettata di lasagna e lo imboccò. “Dove la trovi un’altra lasagna così? Dove lo trovi un cibo così buono? Voi inglesi mangiate…” si fermò e fece una terribile smorfia storcendo il muso “...fagioli col ketchup!”.
 “In effetti, per una cosa così potrei morire. Questo sarebbe un valido motivo per…” fece una pausa e socchiuse gli occhi “… sposare una donna italiana”.
Asia fece finta di non aver sentito, e riuscì sapientemente a sgattaiolare fuori.
Aveva sempre voglia di scherzare, il tipo, ma purtroppo non azzeccava mai l’argomento su cui farlo.
Rob, un po’ infastidito, la seguì, ma non fece in tempo a proferire verbo perché restò ammaliato dallo scenario che gli si presentò davanti: una terrazza enorme piena di piante e fiori che si affacciava imponente sul lago. Lo spettacolo era da togliere il fiato: una distesa di acqua calma e limpida, contornata da piante rigogliose e ville maestose, e dominata dalla grandiosità delle Alpi, che facevano da padrone alla scena.
E poi c’era lei, Asia. Bella in modo sconvolgente, nella sua semplicità. Due occhi castani attenti e curiosi, ma infinitamente dolci; un viso dalla pelle vellutata e appena abbronzata, i lineamenti delicati e armoniosi; una cascata di capelli corvini morbidi e lucidi, che lui adorava accarezzare e annusare, per respirarne il profumo di cui riempirsi le narici; il corpo sinuoso, snello ma curvilineo, morbido, sensuale, invitante. Realizzò improvvisamente che avrebbe potuto passare ore a fissarla, studiarla, contemplarla, in quello scenario fantastico. O anche in qualunque altro scenario più o meno fantastico: il contorno faceva poca differenza. Sentì un tuffo al cuore e si rese conto che quella ragazza stava diventando molto più importante per lui di quanto avesse mai immaginato e voluto.
 
Dopo pranzo, se ne stavano distesi sulle sdraio in terrazza, ascoltavano musica e  sorridevano senza parlare. Rob la guardava pensieroso ma sereno e lei continuava a giocherellare con la sua catenina, un po’ imbarazzata. Per la verità, pensò Asia, era fin troppo tempo che Rob non emetteva un fiato, e si chiese a cosa stesse pensando. Leggendole nel pensiero come sempre, lui ruppe il silenzio: “Stavo pensando… ma tu….” Tentennava, come se dovesse chiederle qualcosa che gli faceva paura. Poi seguitò, sparando la frase tutta d’un fiato: “ci pensi mai ad avere dei figli?”. PANICO.
No, Rob non poteva averle fatto una domanda simile.
Si schiarì la voce come per accertarsi che ciò che aveva appena sentito era uscito dalla bocca di Rob. “Figli??” “Si, figli. Quei marmocchi mocciolosi che la fanno nel pannolino e piangono in continuazione” lei si scostò leggermente e tentò di captare il sarcasmo in queste sue parole, ma lui non le permise di replicare, continuando: “Ma che ti aprono il cuore e la mente e rendono la tua vita completa”.
Asia rimase di stucco. Perché lui, il re del cazzeggio, adesso le stava parlando di figli?? La stava forse prendendo in giro? O la stava mettendo alla prova?
Dopo un’attenta e accurata riflessione sulla risposta giusta da dare, riuscì a formulare una frase di senso compiuto, per dare un riscontro a quello strano interrogativo che lui le aveva posto. “Beh... sì, in effetti ci penso. Credo che sia una delle massime ambizioni nella vita di una donna, credo che mi sentirei davvero completa. Ma per fare dei figli presuppongo di avere un marito, o comunque un compagno stabile col quale avere una relazione talmente consolidata da poter creare le giuste condizioni per metterli al mondo.” Si girò verso di lui allargando le braccia “e al momento non ce l’ho” concluse, sintetica.
Lui rimase in silenzio a guardarla per un po’, meditabondo, e poi si avvicinò a lei abbracciandola, disse a bassa voce: “Beh, ma a questo ci si può lavorare” lasciandola nello sgomento più totale.

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Capitolo 33
*** So tell me what to say, to let you know I’ll always be there ***


Iniziò a baciarla con passione, e lei si lasciò baciare per un po’. Ogni suo bacio, soprattutto dopo quella frase, aveva su di lei lo stesso effetto di una scossa elettrica da 240V.
Riuscì però a raccogliere le idee e ad affrontare la situazione, superando quel momento di incredibile disagio. “Ad essere sinceri” divagò “abbiamo molte cose su cui lavorare, ma preferirei concentrarmi su quelle più piacevoli”. Lo baciò dolcemente, poi si alzò dal lettino e, togliendosi il vestito, si buttò nella grande e accogliente piscina. Lo guardò ammiccante dall’azzurro dell’acqua limpida e tiepida, e lui non esitò a seguirla, buttandosi a sua volta.
Si allungò in un paio di bracciate e poi si fermò; si tirò indietro i capelli bagnati con le mani, e si distese, appoggiandosi con le braccia sul ciglio della piscina. Asia lo osservò estasiata: aveva la testa buttata all’indietro e gli occhi chiusi. Le ciglia lunghe e bagnate facevano sembrare i suoi occhi ancora più espressivi. Le sopracciglia aggrottate, pur essendo conseguenza del suo essere pensieroso, lo rendevano, se possibile, ancora più attraente. Sul naso e sulle guance aveva una costellazione di minuscole lentiggini che il sole aveva accentuato, e delle fossette ai lati della bocca che la attiravano come una calamita. Le labbra sottili e delineate erano per lei come miele per gli orsi. Solo guardarle le faceva venire una gran voglia di baciarle, mordicchiarle, assaporarle.
Si spostò con lo sguardo più in basso. Le sue braccia forti, con i suoi inconfondibili tatuaggi, e i muscoli in tensione, mettevano in risalto la sua forza: quanto le piaceva sentirsi stringere da quelle braccia! Il suo petto, vigoroso e robusto, era il suo porto sicuro che la faceva sentire protetta.
Era assorto, sereno, rilassato. Bello, in tutto il suo splendore. Asia pensò che quella fosse decisamente la cosa più bella che avesse mai visto.
D’improvviso, lui interruppe il flusso dei suoi pensieri: “Sai? Inizio a pensare che potrei abituarmi a tutto questo…” Lei si avvicinò, come per ascoltarlo meglio. “Tutto questo cosa?” “Averti intorno, condividere momenti con te, vederti in giro per casa nella mia quotidianità… mi piace, mi rilassa. Mi fa stare bene”.
Asia si sentì spaesata. Ma cosa gli stava succedendo? Prima sottolineava il fatto che non voleva fare programmi o buttarsi a capofitto in una storia e poi le faceva questo tipo di dichiarazioni! Era come se la discussione del giorno precedente avesse sbloccato in lui qualcosa che gli impediva di godersi davvero la loro storia.
Non sapeva cosa rispondere. Era interdetta, come se il milione di parole che le giravano per la testa si fermassero giusto un attimo prima di uscirle dalla bocca.
Lui continuò, quasi non accorgendosi della sua titubanza. Le si avvicinò e la cinse tra le braccia, stringendola così forte da toglierle il respiro. “Potrei stare per giorni chiuso in una casa con te, dedicandomi alle cose che mi piacciono di più, lontano da quel mondo di riflettori e di gente che si aspetta sempre qualcosa da me”. Lei riuscì finalmente a proferire parola. “Ma tu appartieni a quel mondo, ne sei parte integrante! È la tua dimensione, il tuo habitat naturale!”.
“Sai cosa è il mio habitat naturale?” la contraddisse lui, sfilandole il reggiseno. Iniziò a baciarle il collo e poi il decolletè, assaporando quel misto di cloro e di buon odore che lo mandava in estasi. Poi si fermò, la guardò dritta negli occhi e confessò: “Questo è il mio habitat naturale. Il tuo corpo, le tue labbra, le tue braccia”. Lei non aveva più parole. Sentì la testa girare e il cuore battere all’impazzata. Provava solo una fortissima sensazione di ebbrezza e sentiva il desiderio crescere mentre lui continuava a guardarla con quella sua espressione rapita.
La spinse sul bordo della piscina e le prese la testa con le mani, con delicatezza e veemenza allo stesso tempo, e le riempì il viso di baci dolcissimi e leggeri. Le sue mani sul suo corpo sapevano esattamente come muoversi, dove toccare con più energia e dove accarezzare con delicatezza.
Sapeva perfettamente quali erano le chiavi che aprivano le porte del suo piacere: fu ben felice di farlo ancora una volta, e avrebbe continuato a farlo all’infinito.
 
Più tardi, Asia si stava truccando davanti allo specchio dopo aver fatto una doccia fredda. Era incantevole, mentre si passava il mascara sulle ciglia con la bocca aperta, piegata in avanti verso lo specchio per vedere meglio.
Rob la guardò dalla soglia della porta e abbozzò un sorriso, che si trasformò però quasi subito in uno sguardo adombrato. Le si avvicinò silenziosamente, e accarezzandole i capelli le disse: “Mi mancherai, lo sai? Questi giorni lontano da te mi sembreranno anni. Non vedo l’ora di rivederti!”. Sembrava un bambino lasciato a scuola dalla mamma, che frignava perché non voleva restare solo.
“Anche a me mancherai moltissimo” sussurrò Asia girandosi verso di lui e accarezzandogli la guancia con una mano “ma devo rientrare a lavoro. Sono settimane che sono via, e forse i miei colleghi e il mio capo non mi riconosceranno nemmeno più! Chissà, magari arrivo in ufficio e mi rendo conto che nemmeno ricordo cosa devo fare!” gli fece l’occhiolino, poi si fece più seria: “Sbrighiamoci adesso, dobbiamo fermarci a lasciare l’auto alla società di noleggio, prima di partire. Tu devi prendere il tuo volo per Copenaghen e io quello per Roma. Magari ti lascio lì e vado io a riconsegnare l’auto, tanto il mio volo parte più tardi”. Sentì un colpo al cuore mentre pronunciava queste parole. Sapeva già che sarebbe stato difficilissimo separarsi da lui, fu come un dolorosissimo dejà-vu. “No, no. Andiamo insieme a lasciare l’auto” ribatté lui “e poi mi lasci al gate d’imbarco per Copenaghen. Voglio poterti salutare, stavolta. Voglio guardare i tuoi occhi mentre mi allontano pensando che li rivedrò presto”. Asia già sapeva che sarebbe stato un massacro. Sentiva già le lacrime che salivano, e che sarebbero inevitabilmente e inesorabilmente sgorgate dai suoi occhi a fiumi una volta arrivati lì. Rob continuò: “Tanto nessuno mi aspetta in aeroporto, nessuno sa che non sono andato con gli altri e comunque non sanno dove sono andato. Ci saluteremo per bene poco prima del gate e poi ci seguiremo con lo sguardo. Suona smielato e triste, ma ti dico che non lo sarà. Perché sappiamo che questo non è un addio, ma un arrivederci”.
Asia era spiazzata. In un solo giorno tutte queste esternazioni, non era per niente da lui. Fece un respiro profondo e decise che sarebbe stata più calma e tranquilla che poteva. “Ok. Se questo è ciò che vuoi, va bene.” Fu tutto ciò che le riuscì di dire. “e cosa vuoi TU?” le chiese curioso Rob. Voglio portarti via con me, rapirti dal tuo mondo e non lasciarti più. Ecco cosa voglio.
“Voglio salutarti, aspettando di rivederti di nuovo. Presto”.
Rob la guardò soddisfatto: “Perfetto! Andiamo”.
 
Dopo aver riconsegnato l’auto, in aeroporto, superarono i controlli di sicurezza, separati, e poi si avviarono all’uscita d’imbarco per Copenaghen.
Poco prima del gate, Rob afferrò Asia per un braccio, la condusse in uno stanzino di servizio, e chiuse la porta. Era buio, e loro due erano l’uno avvinghiato all’altra, faccia a faccia. Nell’oscurità di quel locale angusto, lei poteva sentire il respiro di lui sul suo viso, e il suo profumo nelle sue narici. Lo strinse a sé più forte che poté, cercando di trattenere il suo buon odore in modo da poterne portare un po’ con sé una volta partita. Lui la baciò una volta, poi due, poi altre cento. “Già mi manchi…” le sussurrò all’orecchio. Il suo fiato sul collo fece partire un brivido che le attraversò la schiena come un fulmine. “Ci sentiamo stasera”.
Incredibile. Era la prima volta che le diceva una cosa del genere.
Seppure di lievissima entità, era una sorta di programma ciò che lui stava facendo, una novità assoluta per come aveva voluto impostare la loro storia fino a quel momento.
Uscirono dallo stanzino, e si diressero separatamente al gate.
Tutto ad un tratto lui si irrigidì, e si fermò. Inizialmente lei non riuscì a capire cosa stesse succedendo, poi il colpo al cuore.
Lei era lì, in piedi davanti a lui, che lo guardava con aria mesta e colpevole. L’ex fidanzata di Rob, una modella bionda, altissima e bellissima, era lì in piedi davanti a lui. Era quella che l'aveva abbandonato ad un passo dalle nozze, di cui i giornali avevano parlato tanto a lungo. E stava tornando sui suoi passi, con lo sguardo di chi era pronto a chiedere scusa e perfino a farsi fustigare, se necessario. “Rob… possiamo parlare?” lo implorò con un filo di voce.
Asia la studiò dalla testa ai piedi. Non aveva nulla a che vedere con quello schianto di donna, era milioni di anni luce da tutto ciò che lei rappresentava. Perfetta, impeccabile, un fisico da copertina. Si sentì morire. Non avrebbe mai potuto competere con la sua perfezione.

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Capitolo 34
*** No it’s not in my head, I can’t awaken the dead day after day ***


“Cosa ci fai qui?” chiese lui, secco. “Rob… ho bisogno di parlarti, io…” “Non abbiamo niente da dirci” tuonò lui, categorico. “Ma lasciami spiegare! Lascia che almeno ti chiarisca i motivi del mio essere sparita così.” “Non ho voglia di sentire un bel niente, e adesso scusami, ma ho un volo da prendere” la interruppe bruscamente, eludendola e dirigendosi verso la sala d’aspetto. Poi tornò sui suoi passi, si avvicinò ad Asia e le disse a bassa voce: “Ci sentiamo stasera. Adesso vai. E stai tranquilla, io e lei non abbiamo niente da chiarire”.
“Io invece penso che tu abbia bisogno dei suoi chiarimenti! Prova a vedere cosa ha da dirti!” Ma brava Asia, scavati la fossa da sola! Che cavolo le veniva in mente?
“Non ho voglia di stare a sentire cosa ha da dirmi. E tu comunque vai, altrimenti perdi il volo”. Fu secco, laconico, sfuggente. E lei sentì le sue gambe cedere. Ma senza dire un fiato, si allontanò da lui, con la sensazione che da quel momento in poi sarebbe cambiato tutto.
Ma perché gli idilli con quell’uomo dovevano durare così poco? Perché ogni volta che le cose sembravano andare per il verso giusto doveva succedere qualcosa che sconvolgeva completamente gli equilibri che si erano creati?
Sola e sconvolta, una volta al gate prese il cellulare per chiamare la cugina. Aveva bisogno di sentire una voce amica.
“Tesoro, come va? Com’è andata la mini vacanza? Suppongo benone visto che non ti sento da tre giorni!” Maya aveva una voce allegra e squillante. Lei, invece, si sentiva morire. “Maya, vorrei buttarmi dall’ultimo piano di un grattacielo, ecco come va. Ma con la sfiga che ho, so che al massimo mi romperei una gamba e farei la figura dell’idiota!”. Le raccontò tutto, dalle illusorie dichiarazioni di Rob all’incontro finale con la sua ex. Maya restò di stucco. “Ma che cavolo vuole questa adesso?? Da dove spunta fuori?”. Asia piagnucolò disperata: “Non hai idea di quanto sia bella, Maya! È una stangona biondissima dagli occhi di ghiaccio, e ha delle gambe che sono lunghe più di me e te messe insieme. Non ho speranze, sento che non lo rivedrò più, sento che sta per finire tutto”. Maya cercò di rincuorarla per quanto poteva dall’altro capo del telefono, ma era abbastanza scettica anche lei. “Ma cosa ti ha detto Rob? Avete avuto modo di parlare?” “Lui ha detto di stare tranquilla, che non ha niente da chiarire con lei, e io come una scema gli ho anche detto di provare ad ascoltare cosa avesse da dire!!!”. Maya scosse la testa. “Certo che tu sei proprio brava a darti la zappa sui piedi da sola!!” la rimproverò la cugina. “E cosa dovevo fare? Iniziare a sbraitare come una pazza in aeroporto davanti a tutta la gente che guardava? Già la loro è stata una scena pietosa: lei che lo implorava e lui che cercava di ignorarla. Se avessi dovuto seguire il mio istinto sarei andata lì per sotterrarla nel punto più profondo della terra, per farla sparire”. “Però lui ti ha detto di stare tranquilla. E ha detto che ti avrebbe chiamata stasera. Ha fatto dei programmi, questo è un grosso passo avanti” “Si, ma questo è stato prima che spuntasse dal nulla Miss "Claudia Schiffer"! Adesso… chissà che succederà” frignò lei. “E cosa deve succedere? Stai tranquilla e aspetta stasera! Noi ci vediamo tra un’oretta in aeroporto, ti aspetto fuori in macchina!” “ok… ci proverò. Vado, stanno chiamando il mio volo. A dopo!”.
Asia salì sull’aereo con un gran magone allo stomaco. Chissà cosa stava facendo adesso Rob, e soprattutto, a chi stava pensando sul suo volo per Copenaghen!
Di una cosa era certa: da quell’incontro maledetto qualcosa sarebbe cambiato, se lo sentiva.
 
Intanto, a Monza, Marta si stava rilassando dopo pranzo a casa dei suoi genitori. Pensava e ripensava a Mark, mentre sdraiata sul letto ascoltava la sua musica. E pensare che lei, prima di incontrarlo in quell’hotel a Londra qualche anno prima, non aveva mai nemmeno ascoltato una sua canzone! Adesso anche soltanto ascoltare la sua voce in un cd la faceva sentire più vicina all’uomo che le aveva rubato il cuore, il corpo e l’anima.
Ripensò alla prima volta che si erano incontrati. Lei stava lavorando, e lui arrivò alla reception tutto trafelato alla disperata ricerca di un taxi per raggiungere i ragazzi alle prove. Per l’ennesima volta era in ritardo, e non era proprio da lui.
Quando i suoi occhi incontrarono quelli del biondino sexy che aveva di fronte, sentì immediatamente un colpo al cuore. Era bello come il sole, aveva le guance arrossate ed era sbarbato di fresco. Da dietro al bancone poteva sentire il suo buon odore di pulito e di uomo. Lui la fissò a lungo prima di rispondere alla sua domanda “Come posso aiutarla, signore?”. Restarono per un’indefinita manciata di secondi a fissarsi e a sorridersi in silenzio, poi lui sussultò come se si fosse svegliato da uno stato di trance: “Per favore… PER FAVORE… ho bisogno di un taxi per Wembley quanto prima, sono in tremendo ritardo”. Lei fu incapace di parlare. I suoi occhi erano pezzi di cielo infinito in cui poteva specchiarsi, tanto erano limpidi, e avevano ai lati delle rughette di espressione che gli davano un’aria vissuta, da uomo maturo.   
Tuttavia aveva il viso di un bambino smarrito, bisognoso di protezione e di cure, veniva voglia di abbracciarlo solo guardandolo. La sua bocca rossa e grande era aperta in un dolcissimo sorriso, mostrando denti bianchissimi e perfetti. “È bellissimo” pensò lei, poi alzò la cornetta del telefono componendo il numero della società di taxi, mentre farfugliava un imbarazzatissimo “Controllo subito, signore”.
Da quella volta Mark era tornato quasi ogni giorno al bancone per fare le richieste più insulse ed assurde, tanto che lei pensò che fosse la classica popstar viziata che, annoiandosi, si divertiva a rendere la vita difficile alle persone che lavoravano per lui, tanto per passare il tempo.
La verità è che lui, dopo quell’incontro, continuava ad avere il viso di Marta stampato in faccia notte e giorno, e non sapeva come farle capire che gli piaceva da morire, finché una notte, durante l’ennesimo soggiorno del cantante in quell’hotel, chiamò il servizio di housekeeping per farsi portare un termometro per misurare la febbre, poiché stava talmente male da non riuscire a dormire.
Il collega dell’ Housekeeping chiamò Marta che aveva appena iniziato il suo turno: “Marta, porta un termometro alla stanza 520, il tizio dice che ha la febbre e qui sono solo, non mi posso muovere”. Lei eseguì l’ordine senza chiedere spiegazioni, in fondo era una nottata abbastanza tranquilla e l’hotel non era nemmeno tanto pieno. Salì lentamente le scale, non era abituata a prendere l’ascensore, e una volta giunta davanti alla stanza, bussò senza esitare. “Housekeeping!” disse a bassa voce, avvicinando la bocca alla porta chiusa.
Ciò che vide quando la porta si aprì per poco non le fece cadere il termometro dalle mani: un Mark a petto nudo, con indosso solo i calzoncini e i capelli bagnati di sudore. “Oh… signorina… è lei! Mi perdoni, non volevo disturbarla, è solo che credo di avere la febbre alta e ho bisogno di misurarla. Sto sudando parecchio da una mezz’ora. Mi scusi, sono in condizioni pietose…”. Marta lo osservò attentamente: a lei sembrava bellissimo. E incredibilmente sexy, con quei capelli umidi che gli scendevano sul viso e il suo fisico perfetto e asciutto. Restò a guardarlo col termometro in mano, e lui guardava lei. Poi, all’improvviso, lui riuscì a rompere il ghiaccio: “È bellissima, lo sa?” Marta fece un’espressione di stupore ma non riuscì a replicare, e lui continuò: “Per la verità, sono mesi che tornando in quest’albergo la osservo e non ho mai avuto il coraggio di parlarle. Ma la trovo davvero incredibilmente bella.” Poi si riprese, spaventato: “Oddio, mi scusi, io… ho parlato di getto senza sapere se lei ha un fidanzato, un marito… mi perdoni, davvero…”. Marta non lo stava più ascoltando. Più lo guardava e più sentiva che aveva voglia di baciarlo, toccarlo, spogliarlo. Improvvisamente, come presa da un raptus, gli si avvicinò e afferrandogli la nuca con le mani, lo baciò, lasciando cadere il termometro a terra. Lui rimase rigido per un paio di secondi, giusto il tempo di realizzare cosa stava succedendo, poi si lasciò andare e ricambiò il bacio, pervaso da una voglia irrefrenabile di toglierle i vestiti di dosso. La prese in braccio, e la adagiò sul pavimento. Lì c’era molto più spazio per dimostrarle quanto l’aveva desiderata, in silenzio, negli ultimi mesi.
 
Sospirando con in testa questi pensieri a luci rosse, Marta tornò alla vita reale risvegliata bruscamente dal suono del campanello.
Dopo qualche minuto, sentì la voce di sua madre che la chiamava: “Marta, Marta! C’è un tuo amico che ti è venuto a trovare! Scendi per favore? Non capisco cosa dice perché non parla italiano!”. Il cuore le uscì dal petto. Scese le scale a due a due e in un batter d’occhio fu in salotto. Suo padre e suo fratello erano seduti sul divano, e avevano abbandonato la visione della partita di calcio, troppo presi a domandarsi chi fosse l'inglesotto in questione. Lui era lì, in piedi accanto a sua madre, col suo tipico sorriso da orsacchiotto stampato in faccia. Gli si avvicinò, imbarazzatissima: “Cosa ci fai qui? Non eri a Copenaghen?”. Lui le accostò la bocca all’orecchio: “Avevo un disperato bisogno di vederti, di toccarti, di…” Lei lo bloccò, prendendolo per mano, e sibilò, con un filo di voce: “Mamma, andiamo di sopra, ci vediamo tra un po’ ”, lasciando allibiti tutti i presenti, che continuavano a guardarsi l'un l'altro con aria interrogativa.
In men che non si dica sgattaiolarono fuori dal salotto, e poi salirono le scale mentre lui, ridacchiando come un ragazzino, le metteva le mani dappertutto. Non fecero in tempo ad entrare nella camera di Marta, che lui già la stava baciando con trasporto. Lei lo fermò e gli sorrise: “Hey, vacci piano, straniero! I miei non sono abituati a vedere questo tipo di scene… per la verità non sanno nemmeno della tua esistenza, anzi, sono sicura che in questo momento in salotto siano nel pieno del toto scommesse per vedere chi indovina più informazioni possibile!”. Mark non fiatò; la guardò con fervore, e mentre chiudeva a chiave la porta della stanza, riuscì a dirle uno strozzato “Ho una voglia matta di te”, prima di spingerla sul letto e toglierle i vesiti di dosso, pronto a portarla in un’altra dimensione.

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Capitolo 35
*** This time I’ll be different I promise you, this time I’ll be special you know it ***


Asia girovagava per casa alla disperata ricerca di qualcosa da fare. Doveva trovare una qualsiasi attività per occupare il tempo, perché di dormire proprio non se ne parlava.
Era l’una di notte, e dopo aver cucinato, cenato, rassettato la cucina e pulito il resto della casa, quell’appartamento era talmente lindo che ci si poteva specchiare, ma di un cenno di vita da parte di Rob nemmeno l’ombra.
La cugina le aveva mandato un sms all’ora per sapere se si fosse fatto vivo, e lei era sempre più disperata e disillusa.
Ad un tratto, il suo cellulare trillò l’ennesimo sms. Col solito batticuore, lo lesse. Era di nuovo Maya: “Tesoro… ancora nulla?”. Lei rispose, delusa: “No. Ormai sto perdendo le speranze. Vado a buttarmi a letto, sperando di riuscire a farmi qualche ora di sonno. Notte!”.
Si sdraiò sul letto, e prese in mano il cellulare. Scorse tra le foto della Galleria, e andò a ripescare l’unica foto che aveva con Rob. L’avevano fatta in quei due giorni al Lago di Como. Erano sdraiati sull’erba uno accanto all’altra, e Rob la baciava sulla guancia mentre con la mano in alto teneva il cellulare per scattare la foto.
Era l’immagine della felicità, forse il momento più bello e sereno che avevano trascorso insieme. E probabilmente tutto stava per finire, se non era già irrimediabilmente finito.
Mentre guardava quella foto, una lacrima si fece strada sul suo viso. La asciugò e posò il cellulare sul comodino, girandosi dall’altra parte e pregando Morfeo di venirla a prendere quanto prima. Neanche dieci secondi dopo, il cellulare squillò. Un altro sms. Pensò che forse Maya non avesse letto la sua risposta, e, alquanto scocciata, aprì il messaggio.
“So che è tardi. Dormi? Posso chiamarti? Ho bisogno di sentirti. R.”. Senza nemmeno rendersene conto, aveva già premuto il tasto per richiamare. “Hey! Pensavo dormissi. Come va?”. No che non dormo, cazzo. Sono ore che aspetto che tu ti faccia vivo, il cuore l’ho perso strada facendo. Dov’eri finito?
Beh, ho avuto delle cose da fare, domani si ricomincia a lavorare a tempo pieno, e mi sono dedicata un po’ alla casa” … L’ho lustrata così a fondo che l’ho consumata, grazie a te!
“Brava! Io sono rientrato ora. Sono distrutto.” “Rientrato ora da dove?” chiese lei, col batticuore. “Dopo il concerto siamo stati un po’ in camera di Gaz a parlare di come sta andando questo tour, per fare un bilancio di come vanno le cose. E siamo rientrati adesso”. Asia era incredibilmente delusa. Avrebbe potuto farle una telefonata, sapendo come stava in ansia dopo gli ultimi eventi, prima di andare da Gaz. Lo sentì distante, freddo. Ci furono momenti di silenzio, poi Rob carpì il senso di disagio e sospirò. La sua voce si fece più rilassata, e dolce. “So come ti senti. Sto ancora cercando di riordinare le idee, dopo stamattina.” Asia non rispose. “Sarei un bugiardo se ti dicessi che non mi ha fatto effetto rivederla, sederle accanto dopo tutto questo tempo…” “Sederle accanto?” lo interruppe lei, sorpresa. “Si, ha preso il mio stesso volo per Copenaghen. Non posso certo impedirle di viaggiare come vuole!” Il mondo le crollò intorno. Lui continuò, ignaro di quello che stava succedendo nel cuore di lei: “Quindi ci siamo seduti vicini, e abbiamo parlato un bel po’. Ho seguito il tuo consiglio, ho ascoltato cosa aveva da dirmi. E anch’io le ho detto tutto. Le ho detto quanto male mi ha fatto, che sono stato mesi a sospirare su una sua foto, chiedendomi dove avessi sbagliato. Che mi ci è voluto tanto tempo e tanta forza per riprendermi, e sono stato davvero male per lei. Ma le cose sono cambiate, io sono cambiato. E ho voltato pagina. Adesso sono un’altra persona, e non c’è più spazio per lei nella mia vita” si fermò, si schiarì la voce, e poi continuò: “E soprattutto, le ho detto che adesso nella mia vita ci sei tu. Se tu lo vuoi ancora”. Restò in silenzio, aspettando una sua risposta. Asia non era sicura di aver capito bene.
“Io? Me?” iniziò a  balbettare qualcosa di incomprensibile a entrambi. Poi si fermò, fece un respiro profondo, e riuscì a formulare una frase di senso compiuto: “Si… si che lo voglio ancora, che domande! Mi hai fatto prendere un bell’infarto, sai? Perché non mi hai chiamato prima? Perché mi hai fatto aspettare una giornata intera per farti vivo, mentre sapevi benissimo che mi sentivo morire dentro?”.
Rob sorrise, anche se lei non poteva vederlo. “Mi dispiace, onestamente non ho pensato a come ti sentissi tu, perché stavo ancora cercando di capire come mi sentivo IO. E ho riflettuto a lungo, prima di decidere di chiamarti e farti sapere cosa sento. Perché volevo esserne sicuro. Ma MI MANCHI” lo disse scandendo bene le parole “e vorrei che fossi qui”.
Asia sentì un tuffo al cuore. Questa era di gran lunga la dichiarazione più strana e al contempo gradita di tutta la sua vita! “Anche tu mi manchi!” replicò lei “Tantissimo”.
“Vedi” continuò lui “io sono fatto così, sono egoista. Non ho pensato a come ti sentissi tu, perché ero troppo concentrato su come mi sentivo io. Lo so, è uno schifo, ma questo sono io: un egocentrico patentato, troppo concentrato su me stesso per pensare alle conseguenze delle mie azioni sulla vita degli altri. Ma cercherò di migliorare, in futuro. Col tuo aiuto, se vorrai darmelo”. Asia riuscì finalmente a sorridere, anche se fu un sorriso a denti stretti: “Ci si può lavorare su. Intanto devo capire come posso sopravvivere fino alla prossima volta che ci vedremo…”.
Rob rimase pensieroso per qualche secondo, poi esclamò, col tono di chi aveva avuto l’idea del secolo: “Domattina prendi il primo volo e vieni da me!” “Certo” rispose lei contrariata “così posso definitivamente dire addio al mio lavoro! Un altro giorno di permesso e mi licenzierebbero in tronco! Sono stata via più di un mese! Anche se non ti nascondo che l’idea non mi dispiacerebbe…” Rob sbuffò come un bambino a cui era stato negato un giocattolo, e concluse sbrigativo: “Spero di vederti presto. Il mio letto inizia ad essere troppo vuoto senza di te... e anche il mio cuore…” Asia non riuscì a replicare. Non capiva se fosse più lusingata o spaventata da quelle parole. Poi lui continuò: “Adesso vado a dormire, sono davvero stanco. A domani, dolce notte…” e attaccò, senza aspettare la risposta di Asia, che nel frattempo, era sprofondata con la testa nel cuscino.
 
Quella settimana in ufficio fu estenuante. Fu durissima rientrare a lavoro dopo quel mese speciale e fuori dall’ordinario, e Rob le mancava incredibilmente. Dovette lavorare fino a tardi per recuperare il tempo perso, ed era davvero molto stanca.
In compenso, però, lui la chiamava tutti i giorni, aggiornandola su ciò che gli capitava e ripetendole in continuazione quanto gli mancasse, e questo le fece vivere meglio quei giorni di fuoco.
Una sera, mentre era in ufficio, le squillò il cellulare. Era Marta, e lei fu felicissima di sentirla. “Ciao tesoro, come te la cavi?” “Bella! Insomma, un po’ stanca, ma tutto ok. Tu?” “Mah, diciamo bene. Sono rientrata a lavoro e c’è tantissimo da fare. Mi manca molto Mark, anche se ci sentiamo ogni giorno. E tu? Com’è stato il rientro in ufficio? Traumatico, eh?” “Non dirmelo… diciamo che siamo sulla stessa barca… solo che quando il tour finirà Mark rientrerà in Inghilterra, da te... mentre noi... chissà che fine faremo…” “Io non ci penserei troppo, fossi in te” la contraddisse lei “Goditi il momento, vedrai che poi le cose si aggiusteranno da sole, guarda me!”. Asia sospirò. “Lo spero. Nel frattempo però sento troppo la sua mancanza e non so come fare”. Marta sbuffò. “Come ti capisco! Solo che io sono bloccata a lavoro senza giorni di riposo… tu hai il weekend… perché non gli fai una sorpresa e lo vai a trovare? Scommetto che ne sarebbe felicissimo!”. Asia rifletté per un istante, poi replicò: “Sai che forse hai ragione? Quasi quasi gli faccio un’improvvisata... domani saranno ad Amburgo, alla fine ci separano soltanto poche ore di volo. Adesso guardo su internet la disponibilità dei voli! Grazie per il suggerimento!” “Figurati! Fatti sentire! Un bacio!”.
Si mise immediatamente alla ricerca di un volo per Amburgo, sognando di stringere il suo uomo nuovamente tra le sue braccia.

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Capitolo 36
*** You know it's time, we need to change how can we live with all these maybes ***


Trovò un volo comodissimo che partiva da Roma alle tre di pomeriggio, così, prendendo qualche ora di permesso, avrebbe avuto tutto il tempo di prendere un taxi dall’ufficio e farsi lasciare in aeroporto.
Prima di partire, il venerdì pomeriggio, decise di chiamare Howard per farsi aiutare nell’impresa di fare una sorpresa a Rob. “Hey, bambolina! Come va? Qual buon vento?” esultò Howard nel rispondere alla sua chiamata.
“Ciao, playboy! Tutto ok. Sono in aeroporto, in partenza…” “E dove te ne vai di bello?” le chiese curioso lui. “Indovina? Ho pensato di fare una sorpresa a Rob e venirlo a trovare ad Amburgo” “Ma dai, fantastico! Che dolce che sei…” esclamò entusiasta lui. “Ecco” proseguì lei, tentennante “Mi servirebbe un favore. Dovresti dirmi il numero della sua stanza, così posso andare direttamente lì senza doverlo chiamare dalla reception…”. Howard rispose senza esitare: “Dunque, è la stanza accanto alla mia, quindi… 4520! Siamo al solito hotel… però cerca di venire a salutarmi prima di partire! Non fate come al vostro solito, che ve ne restate tutto il tempo in camera ad amoreggiare e non vi fate vedere!!!” “Certo!” esclamò lei “anche se resterò solo per il weekend… lunedì mi tocca rientrare in ufficio. Ma verrò a farti un saluto, tranquillo! Grazie mille, un bacio!” “A te, dolcezza, a presto…” e attaccò.
Prese quel volo, col cuore che le batteva forte dall’emozione, e non vedeva l’ora di arrivare, come una liceale che parte per la sua prima vacanza all’estero. Mentre l’aereo fluttuava tra le nuvole, guardava fuori dal finestrino, pensando a quanti aerei aveva preso nell’ultimo mese, e a quante cose erano successe. Con le miglia che aveva accumulato, avrebbe potuto fare il giro del mondo e tornare. Ma per ora le interessava soltanto arrivare in Paradiso, ovvero tra le braccia dell’unico uomo che sapeva come farle uscire il cuore dal petto. Iniziò ad immaginare la faccia che avrebbe fatto Rob nel vederla lì, e le venne da sorridere. Pensò a quei “Mi manchi”, “Ti penso” e “Ho voglia di vederti” che lui le aveva detto e scritto. Le sue parole le risuonavano nelle orecchie, come un disco inceppato; non vedeva l’ora di stringerlo per fargli sentire quanto lui era mancato a lei.
Atterrata ad Amburgo, riuscì a prendere un taxi al volo e farsi portare in Hotel. Non stava più nella pelle, tra non molto lo avrebbe rivisto. Le brillavano gli occhi, e le batteva forte il cuore: tra pochissimo lo avrebbe avuto di nuovo tra le sue braccia!
Il taxi la lasciò davanti all’hotel, e Asia si meravigliò del fatto che ci fossero pochissime fans in attesa lì fuori. È vero che le tedesche sono in genere meno invadenti delle italiane, ma di solito c’era comunque molta più gente, e questo le sembrò alquanto strano. In un attimo era davanti all’ascensore. Per un istante rivisse la scena di loro due davanti a quell’ascensore a Milano, quando il suo sguardo incrociò quello di Rob dopo tanto tempo, e ricordò quanto forte il suo cuore battesse in quel momento, e come le sue labbra ardessero dal desiderio di incontrare quelle di lui.
Avevano vissuto dei momenti di puro batticuore, di desiderio, di voglia di stare insieme, di baciarsi, di stringersi l’una tra le braccia dell’altro. E lei aveva decisamente intenzione di aggiungere altri meravigliosi momenti come quelli alla lista delle sensazioni da ricordare per la vita.
L’ascensore sembrava non arrivare mai al piano, e quando le porte si aprirono, la scena che si trovò di fronte era alquanto inusuale. Era tutto molto buio e silenzioso, e non c’erano né Paul né James a sorvegliare l’ingresso alle stanze nel corridoio. Per la verità non c’era proprio nessuno, sembrava di essere in un maniero abbandonato.  Il deserto del Sahara sarebbe stato più popolato a confronto.
Con uno strano senso di disagio, iniziò a scorrere velocemente i numeri delle stanze alla ricerca della fantomatica 4520.
La trovò, e restò lì davanti per un po’, sopraffatta dall'emozione, finché non si accorse che la porta era socchiusa. Si avvicinò lentamente, ed altrettanto lentamente entrò. Percorse il breve corridoio, in silenzio e a passi felpati, sperando di non farsi sentire da lui, e immaginando la faccia che avrebbe fatto nel vederla lì.
Tutt’a un tratto, il colpo al cuore. La scena che vide le diede l’impressione di ricevere mille pugnalate alla schiena nello stesso momento: Rob era in piedi davanti al letto, e una ragazzona alta e bionda davanti a lui lo stava baciando e gli stava sbottonando la camicia. Il mondo le crollò addosso in un secondo. Improvvisamente sentì i muscoli di tutto il corpo come atrofizzati, non riusciva a muoversi. Le lacrime iniziarono a solcarle il viso senza che nemmeno se ne rendesse conto, e il cuore iniziò a batterle all’impazzata.
Poi, invece, riuscì a reagire. Senza proferire parola, si girò ed uscì dalla stanza, in lacrime. E in silenzio, così come era entrata.
Afferrò il manico del piccolo trolley che aveva con sé, e bussò alla porta accanto.
Howard aprì la porta, e nel vederla lì davanti, in lacrime, restò di sasso. “Asia! Ma… che succede?” Asia non riusciva a parlare, continuava a piangere in silenzio.
“Vieni, entra… così mi spieghi tutto”. “C’è ben poco da spiegare” riuscì a pronunciare lei, smettendo di piangere di colpo “L’idea della sorpresa è stata una bella cazzata”. Howard capì al volo cosa intendesse dire, e mentre sbatteva la porta con la forza di un uragano, esclamò furibondo: “Ma è impazzito? Adesso mi sente, lo stronzo!”. “Fermo, lascia perdere, vieni qua!” Asia tentò di fermarlo tenendolo per un braccio, ma lui si scrollò la ragazza di dosso e se ne andò.
Appena uscì dalla sua stanza, vide nel corridoio una donna che si allontanava correndo. Entrò incuriosito nella stanza di Rob: lo trovò davanti alla porta con la camicia sbottonata per metà e una faccia da funerale. Stava per dargli un pugno in faccia, ma poi si bloccò. “Rob, che cazzo succede?”. “Cosa? Che hai visto?” gli chiese intimidito lui, preso alla sprovvista. “Io non ho visto niente… piuttosto mi chiederei cosa ha visto Asia!” gli vomitò in faccia lui, con aria di disprezzo. “Asia? Come? Dov’è?” “È in camera mia, ed è distrutta. Era venuta per farti una sorpresa invece la sorpresa l’hai fatta tu a lei! Ma che ti salta in mente, eh? Te lo avevo detto che l’avresti fatta soffrire! Prima le dici un mucchio di cazzate e poi ti porti a letto la prima puttana che ti viene a bussare in camera?” “Hey, hey… fermo! Io non mi sono portato a letto nessuno” lo interruppe lui risentito “Prova a capire cosa è successo prima di trarre conclusioni affrettate!”. “Certo! Vallo a dire ad Asia! È a pezzi!”. Rob sospirò, poi si abbottonò la camicia. “Questa tipa è venuta a cercarmi in camera, non so nemmeno come abbia fatto a passare. Mi ha bussato, ed io ho aperto. Si è presentata, le ho chiesto cosa ci faceva qui, e come era riuscita a passare, e in men che non si dica mi sono ritrovato in camera da letto con le sue labbra sulle mie e le sue mani dappertutto. L’ho fermata e le ho fatto capire che non ero interessato e che doveva andarsene. E questo è tutto”.
Howard lo guardò sospettoso. In effetti dal momento in cui Asia aveva visto la scena a quando lui era entrato in camera di Rob erano passati solo pochi minuti, e aveva appena visto la ragazza scappare via. Forse Rob diceva la verità. Aveva una gran voglia di piantargli un bel pugno in mezzo alla faccia, ma respirò profondamente e poi disse: “Vai a parlarle. È di là in camera mia, e pensa che tu sia stato a letto con qualcun’altra, quindi credo sia molto arrabbiata”. 
Rob assunse l’aria di un cane bastonato e senza dire nulla annuì, uscendo dalla stanza e dirigendosi verso quella di Howard.
La trovò lì, seduta sul grande letto disfatto, con lo sguardo perso nel vuoto, e col viso solcato dalle righe nere del mascara colato.
Le si avvicinò a passi lenti, ma lei sembrò non accorgersi nemmeno della sua presenza. Quando si sedette sul letto accanto a lei, però, fece per abbracciarla, e lei alzò una mano per bloccarlo, come per creare un muro tra di loro.
“Ascolta, Asia… non è come pensi” lei abbozzò un sorriso sarcastico, e lui continuò: “Lascia che ti spieghi come sono andate realmente le cose, ti prego…”. Lei allargò le braccia, con aria rassegnata. Lo lasciò parlare, ma continuava ad avere quella stessa espressione disillusa e assorta, e rimase in silenzio. 
Quando Rob ebbe finito di darle le sue spiegazioni, le prese il viso tra le mani, e avvicinandosi a lei le sussurrò: “Le cose sono andate così, devi credermi. Mi credi?” la guardò implorante, e lei continuò a fissarlo in silenzio.
D’improvviso, delicatamente, gli tolse le mani dal viso guardandolo dritto negli occhi. “Si, ti credo, davvero. Ma non è questo il punto. Il punto è che mi sono resa conto che io e te apparteniamo a due mondi troppo distanti tra loro, che non potranno mai incontrarsi. E siamo troppo diversi, Rob, lontani anni luce l’uno dall’altra”. Rob la ascoltò con attenzione, poi incalzò: “Ma possiamo farli incontrare, questi mondi, se solo lo vogliamo! Possiamo far funzionare le cose!”. Lei scosse la testa. “Io già mi vedo, Rob. Tu che giri per il mondo e io che ti rincorro senza sosta. E ci saranno migliaia di ragazze come questa, e come la tua ex, che proveranno ad infilarsi nel tuo letto, e  tu… tu sei fatto di carne e prima o poi cederai. O forse no, ma non ha importanza. Io non credo di riuscire a convivere con questo tipo di paure. Io devo poter avere il mio uomo accanto a me ogni volta che ne ho bisogno. Ho bisogno di sentirlo vicino, di vederlo ogni volta che voglio. Non è per me passare le mie giornate pensandoti e sognandoti, e impazzendo perché non ti posso vedere, o aspettare il weekend per raggiungerti. Mi sembrerebbe di essere sempre all’inseguimento di qualcosa che non posso afferrare, e mi farebbe vivere male. È vero, abbiamo deciso di non fare programmi, ma mi rendo conto che le cose si stanno facendo sempre più serie, ed io sono sempre più coinvolta. E tu… tu sei la cosa in assoluto più fantastica e speciale che mi sia mai capitata, e mi è sembrato un sogno poterti avere accanto, anche se solo per un breve periodo” “Ma PUOI continuare ad avermi accanto, io VOGLIO averti accanto!” la interruppe lui. “So che lo vuoi, ma non sempre volere è potere. Tu sei una popstar internazionale, giri il mondo, vivi a Los Angeles, per la miseria! E io sono solo una traduttrice che lavora per un’azienda a chilometri di distanza da te! Ho il mio lavoro, la mia famiglia, i miei amici… è tutto lì. E non posso e non voglio rinunciarci, che futuro abbiamo? Non posso continuare a sperare che un giorno, magicamente, le cose si aggiusteranno, che cambieranno, perché questa è la nostra realtà. E so che soffrirei troppo. E non me lo posso permettere!”. Si lasciò andare in un sospiro profondo e disperato, di chi cerca soluzioni ma non vede via d’uscita.

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Capitolo 37
*** What’s the point in love when you have to give it up? ***


Rob restò a guardarla per un po’, pensando a cosa dire. Non riusciva a trovare le parole, quello che aveva appena detto Asia era la pura verità. Le cose stavano così e non potevano farci niente. Si rese conto anche lui, nello sgomento più totale, di non essere in potere di cambiarle in nessun modo.
O meglio, un modo ci sarebbe stato, ovvero chiederle di mollare tutto e tutti e seguirlo a Los Angeles. Ma lei aveva detto chiaramente che non era disposta a mollare in tronco la sua vita per seguirlo ovunque, e comunque era un salto nel buio, e lui stesso non sapeva se in quel momento era pronto a farlo. Come poteva chiederle di cambiare radicalmente la sua vita per seguirlo quando non sapeva bene nemmeno lui cosa provava?
Restarono in questo imbarazzante silenzio per un bel po’, poi lui finalmente parlò: “Forse hai ragione. Non avevo mai pensato a tutto questo, perché nel mio egoismo volevo vivermi questa bella storia senza pensare al futuro, senza farmi paranoie. E sono ancora convinto che questo sia giusto, ma forse non lo è nella nostra situazione. Non posso pretendere che tu stravolga la tua vita per seguirmi, quando sono il primo a non sapere cosa voglio e come mi sentirò domani. Io sto bene insieme a te, e Dio sa quanto vorrei chiederti di mollare tutto e venire con me. Ma per una volta nella mia vita devo anteporre la serenità di qualcun altro alla mia, e non pensare solo a me stesso, perché non voglio che tu soffra, per nessuna ragione al mondo. E sapere che sono io la ragione della tua sofferenza mi devasterebbe, perché tengo troppo a te. Tu sei incredibile, sei stata l’unica in tutto questo tempo che è riuscita a farmi sognare di nuovo, a farmi fidare ancora una volta di qualcuno, e di questo ti ringrazio. Sei tutto ciò che un uomo possa desiderare: sei bella, sexy, ironica, decisa, sicura di te. Ma adesso devo lasciarti andare. Forse è giusto così.” Asia sentì che stava per piangere di nuovo. Rob la abbracciò così forte che sembrava stesse per stritolarla. Era serio, corrucciato, pensieroso. E avrebbe giurato di aver visto i suoi occhi verdi lucidi e pronti a piangere.
Le prese di nuovo il viso tra le mani, questa volta per baciarla. Fu un bacio diverso da tutti gli altri: un bacio profondo e lunghissimo, che sapeva di addio. E di nostalgia.
Sapeva che doveva gustarsi questo ultimo bacio fino in fondo, perché sarebbe stato l’ultimo. E così fece: si lasciò andare, si abbandonò a lui come forse non aveva ancora mai fatto. Si lasciò cullare dalle sue braccia forti, che la stringevano a sé come per non farla scappare, e respirò il suo buon odore a piene narici, per poterlo portare con sé una volta che si fossero separati definitivamente.
Quando ebbero finito, Rob la guardò negli occhi con lo sguardo triste, e le sussurrò: “Mi mancherai, davvero tantissimo. Buona fortuna. Come mi dicesti tempo fa? Bisogna sempre guardare avanti, e non fermarsi a fissare il passato.” Le diede un ultimo bacio a fior di labbra e sparì dietro la porta. Per sempre.
 
Asia rimase ferma sul letto. Non riusciva nemmeno a respirare. Aveva un senso di pesantezza al cuore che non aveva mai provato, un nodo alla gola e un senso di vuoto che la lasciarono incapace di reagire. Se ne stava semplicemente lì, immobile, con la testa sgombra da ogni pensiero.
Dopo una decina di minuti entrò Howard, in punta di piedi. La guardò, e lei scoppiò in un pianto disperato. Le si avvicinò e la abbracciò più forte che poté. Restò in silenzio ad ascoltare i suoi singhiozzi col cuore in pezzi dal dispiacere, e si sentì impotente di fronte a ciò che era appena successo. Riusciva solo a stringerla a sé, e ogni volta che i suoi singhiozzi si facevano più forti, lui intensificava la stretta per farle sentire l’unico conforto che era in grado di darle.
Mentre piangeva, Asia si accorse che la maglietta bianca di Howard era completamente imbrattata dal suo make up, e cercò di scusarsi: “Oddio, perdonami. Ti ho sporcato tutta la maglietta…” cercò di pulire con la mano, ma ovviamente peggiorò la situazione. Howard le prese la mano: “Tranquilla! Non preoccuparti… mi dispiace solo che non posso essere di grande aiuto. Mi sento impotente, davvero… se c’è qualcosa che posso fare…” Asia riuscì ad abbozzare un sorriso: “Scherzi? Stai facendo moltissimo! A quest’ora sarei sola come un cane e non saprei dove andare! Grazie davvero, e scusami se ti sto rovinando la giornata…” “Non dirlo neanche per scherzo” disse prontamente lui “oggi non ho niente da fare. Piuttosto, perché non passiamo la serata insieme? Pizza e birra, ti va?”. Asia lo guardò con tenerezza. “Sei un angelo! Sì che mi va… solo… non ho una gran voglia di uscire. Se la ordinassimo e ce la facessimo portare qui? Che ne dici?” Howard annuì. “Qualsiasi cosa pur di vederti stare meglio. Ora rilassati un po’, fai come se fossi a casa tua… vai a farti una doccia, se ti va. Io devo andare da Gaz per portargli delle cose, ci starò per un po’, così tu avrai il tempo per sistemarti in tranquillità. Ci vediamo dopo!”. “Sei un vero tesoro! Grazie!” Asia lo guardò ridacchiando, poi aggiunse: “Ehm… magari cambiati la maglietta, questa è un po’ sporca…” e gli fece l’occhiolino. Howard sorrise, poi, senza batter ciglio, si tolse la maglietta e aprì l’armadio per prenderne una pulita. Asia lo guardò, non senza un pizzico di imbarazzo: era bello come il sole, aveva un fisico perfetto, sembrava un adone. Arrossì leggermente e si girò dall’altra parte, un po’ a disagio.
 
Mentre si faceva la doccia, rifletté su quanto era appena accaduto. Davvero era tutto finito? Non avrebbe più rivisto Rob, goduto dei suo baci, dei suoi meravigliosi abbracci, accarezzato il suo corpo. Non lo avrebbe più guardato dritto nei suoi incredibili occhi verdi, non avrebbe più respirato il profumo della sua pelle.
Improvvisamente fu pervasa da un’indescrivibile sensazione di panico. Si sedette a terra  nella enorme doccia, si lasciò cadere addosso l’acqua tiepida e rimase così per un tempo indefinito, ascoltando i mille pensieri che le attraversavano la mente, veloci come treni in corsa.
 
Dopo un paio d’ore, Howard rientrò.
Lei era seduta sul divano e guardava distrattamente la televisione. Lui le si avvicinò con l’aria stanca. “Cavolo, col capitano si finisce sempre per lavorare, anche quando si è in pausa! Ero andato per portargli due cose e lui mi ha placcato per due ore parlandomi di lavoro. Non si ferma mai quell’uomo!” sbuffò, poi la guardò negli occhi: “E tu? Come ti senti? Va un po’ meglio?”. La studiò con attenzione: era bellissima. Si era infilata un paio di jeans chiari e stretti, e una semplicissima maglietta azzurra, ma le stavano d’incanto. Scosse la testa, come per allontanare dei cattivi pensieri dalla sua mente, e si rese conto che lei stava parlando già da un po’. “…poi finalmente ho trovato un asciugamano pulito nell’armadio, mi dispiace di aver frugato tra le tue cose, ma non sapevo come asciugarmi! How! Mi ascolti?” “Si, si… scusami… ero sovrappensiero… tranquilla, non ho scheletri nell’armadio, puoi frugare liberamente!” le strizzò l’occhio, poi si sfregò le mani l’una contro l’altra: “Allora… tra non molto dovrebbe arrivare la pizza… ho una fame! Chissà perché quando passo del tempo con Gaz mi viene un buco allo stomaco che mi mangerei un bue con tutti gli zoccoli!”. Asia si mise una mano sulla pancia, e si alzò in piedi: “Anch’io ho una gran fame, ma che ne dici se nel frattempo ci beviamo una birra? Dove sono? Nel frigo?”. Howard annuì, sorridendo. Erano sulla stessa lunghezza d’onda, e questo lo fece gongolare per un po’. Lei prese le birre nel frigo bar, le stappò e si avvicinò a lui che nel frattempo si era seduto per terra davanti al divano, sintonizzando il televisore sul suo canale musicale preferito. “Hey, è roba forte questa!” esclamò Asia, che nel frattempo aveva dato qualche sorso alla sua bottiglia. “Dovrei venire a sentirti suonare, qualche volta. Mi dicono che te la cavi bene!”. Avvicinò la sua bottiglia a quella di Howard facendole tintinnare appena, e bevve un altro sorso, e lui allargò le braccia: “Quando vuoi, bambolina, avresti sicuramente il posto d’onore!”. Proprio mentre pronunciava questa parole, bussarono alla porta. “Questa dev’essere la nostra pizza, finalmente!” disse lui alzandosi per andare ad aprire.
Le pizze erano davvero buone, e la serata passò piacevolmente tra piccole confidenze e qualche risata, e tra i due si creò una bella alchimia.
Un paio d’ore e quattro bottiglie di birra dopo, Asia si alzò per prenderne un’altra nel frigo. “Ragazza, sei peggio di un uomo quando bevi!” la schernì Howard mentre scolava l’ultimo goccio di birra dalla sua bottiglia. Asia aprì il frigo, e strabuzzò gli occhi: “Hai finito la birra! E adesso?”. Lui la guardò con aria di sfida: “Scusa… HO finito la birra? Bevi più tu di un branco di camionisti assetati, e IO ho finito la birra?” sorrise e piegò la testa da un lato in attesa di una replica. “Ok, vorrà dire che ci consoleremo con questa” ghignò Asia, agitando in aria una bottiglia di Vodka. Prese due bicchierini dalla mensola del mini bar e tornò a sedersi accanto ad Howard, che intanto scuoteva la testa rassegnato.
Dopo aver dimezzato la bottiglia, i due sedevano ancora ai piedi del divano prendendosi in giro e stuzzicandosi a vicenda, brilli abbastanza da essere insolitamente allegri, quando Howard, non riuscendo a trattenere una risata, l’apostrofò: “Sei proprio un’ubriacona, mia cara, lasciatelo dire!”. Lei fece una smorfia di disappunto, e gli diede una piccola spinta, facendolo arretrare un po’. Lui provò a fare lo stesso, ma nella foga la sua mano andò a finire sul seno di lei, causando un notevole imbarazzo tra i due e uno sgradevole silenzio.
Improvvisamente Howard fu come preso da un raptus, le mise una mano dietro la nuca, avvicinandola a sé, e la baciò. Lei, presa alla sprovvista, inizialmente si irrigidì, ma poi si lasciò andare e rispose a quel bacio che si fece via via più sensuale e insistente.
Howard le cinse la vita con le braccia, e delicatamente la adagiò sul pavimento, ormai incapace di arrestare il desiderio che prepotentemente si faceva strada dentro di lui. Lei si lasciò trasportare, rispondendo ai movimenti incalzanti e impetuosi della lingua di lui, pervasa da una destabilizzante sensazione di ebbrezza, che non riusciva a comprendere se derivasse dall’alcool o dalla maestria di quell’uomo, che sapeva senza dubbio dove mettere le mani sul corpo di una donna.
Con le sue mani sotto la sua maglietta, le provocava dei brividi di piacere che la facevano sussultare ad ogni tocco, e con la sua bocca esplorava ogni centimetro del suo viso e del suo collo, pronto a portarla in un’altra dimensione, incurante del mondo che li circondava e di tutto ciò che era successo solo fino a poche ore prima.

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Capitolo 38
*** Words are hard to keep inside, even though I've tried, impossible to hide ***


“Dougie… Doug… ma che stiamo facendo?” Asia cercò di interrompere la foga di Howard, ma con scarsi risultati. “Non lo so, ma mi piace tantissimo…” bisbigliò lui ansimando.
“Howie.. Howard… fermati! Ti prego…” gli mise entrambe le mani sul petto, bloccandolo, e lui fu come risvegliato bruscamente da un sogno. La guardò per un po’ con l’aria frastornata, poi si alzò in piedi, sistemandosi la maglietta. “Ma che cazzo sto facendo? Scusami, ti prego… non so cosa mi è preso… tu avevi bisogno di me e io ne ho approfittato! Che coglione!”. Asia si alzò a sua volta e gli si avvicinò, mettendogli una mano sulla spalla. “Semmai siamo due coglioni, eravamo in due su quel pavimento. È stato un momento di distrazione, può capitare…”. Howard scosse la testa, agitato. “Può capitare? Se Rob lo viene a sapere mi fa a pezzi! Sono uno stronzo!”. Asia si fece seria: “Punto primo, Rob non deve necessariamente venirlo a sapere, e se non glie lo diremo noi non può farlo nessun’altro. In secondo luogo, io non sono più la sua donna” sentì una fitta al cuore pronunciando queste parole, ma fece finta di nulla e andò avanti “quindi quello che faccio o con chi lo faccio non è affar suo. Non più”.
Howard si sedette sul letto, e prendendola delicatamente per un braccio, fece sedere anche lei. “La verità è che io e lui abbiamo avuto una discussione molto animata in merito…” “Intendi quella mattina a Milano?” chiese conferma lei. “Sì, proprio quella mattina. Lui mi accusò di qualcosa di cui non mi ero reso conto, ancora”. “E cioè?” lo interrogò curiosa.
Howard esitò, poi si schiarì la voce e si convinse ad andare avanti. “Io mi sono affezionato subito molto a te, e lo rimproveravo di farti soffrire, e lui quella mattina mi chiese perché ci tenessi così tanto, accusandomi di provarci con te”. Asia scoppiò in una risata, ma vedendo l’espressione compunta di lui tornò immediatamente seria. Lui sembrò non essersene nemmeno accorto, tanto era assorto nel pensiero che stava formulando nella sua testa. “Ecco, io alla fine ci ho riflettuto e ho capito che… la verità è che mi sono invaghito di te” la guardò dritta negli occhi, poi abbassò lo sguardo, imbarazzato. Asia non sapeva cosa pensare, e soprattutto cosa rispondere. “Oddio Howard, io non lo avevo capito, accecata com’ero da lui. Non so che dire…” “Non c’è molto da dire” la interruppe dolcemente lui “ho messo da parte questo interesse per rispetto al mio amico e soprattutto per rispetto a te, che eri totalmente e irrecuperabilmente persa per lui. Fino a stasera. Stasera, averti qui con me in questa stanza, e avere l’impressione di essere sulla tua stessa lunghezza d’onda, ha fatto tornare a galla quelle sensazioni, e non ho resistito a baciarti… da lì è stato tutto un crescendo di emozioni che non ho saputo controllare”. “Se è per questo, neanche io sono riuscita a controllarmi molto… il punto è che… con quello sguardo riusciresti a sciogliere i ghiacci della Groenlandia!”. Lui sorrise, imbarazzato e nervoso. Asia gli prese le mani, e lo guardò dritto negli occhi: “Credo sia inutile dirti che è difficile resisterti, perché questo lo sai bene. Sei incredibilmente attraente e hai dei modi di fare che ipnotizzano. E con me sei sempre stato fantastico, sin dal primo giorno. Ho scoperto in te un uomo delicato e dolcissimo, oltre al tuo lato sexy che conoscono tutti. In alcuni momenti se non ci fossi stato tu non so cosa avrei fatto, e non ti nascondo che potrei innamorarmi perdutamente di te, se non fossi…” “Così irrimediabilmente innamorata di Rob?”. Lei non rispose, ma abbassò lo sguardo, sospirando. Innamorata di Rob? Iniziò a convincersi di esserlo sul serio.
“È buffo, sai?” cercò di spezzare il ghiaccio lui “Come ognuno di noi si innamori di qualcuno per cui però non è mai ‘abbastanza’, mentre c’è qualcuno innamorato di noi che per noi non è mai ‘abbastanza’… che peccato…è un gran dispendio di sentimenti ed energie” “È la storia della mia vita, mio caro” sentenziò lei, sbuffando.
“Senti, facciamo una cosa: usciamo. Ho bisogno di distrarmi un po’, che ne dici se andiamo in un locale qui vicino a bere qualcosa?” “Ancora?” chiese Asia, sorridendo. “No, guarda, stavolta passo. Non ho proprio voglia di uscire, nello stato d’animo in cui mi trovo. Vai tu, se ti va…”. Howard annuì con la testa: “Ma sì, ho bisogno di un po’ d’aria fresca. Adesso chiamo Jay e sento cosa fa”.
Mentre Howard era al telefono con Jason, Asia andò in bagno. Appoggiò entrambe le mani ai lati del lavandino e si guardò allo specchio. Si sentiva uno schifo. Aveva la sensazione che il suo cuore fosse oppresso da un macigno pesantissimo, e sentì un nodo bloccarle la gola impedendole di respirare. Nel giro di pochi secondi il suo viso era solcato dalle lacrime. Si sedette su un piccolo sgabello coprendosi il volto con le mani, e iniziò a piangere in silenzio, sperando che nell’altra stanza non si sentissero i suoi singhiozzi.
Dopo qualche minuto di pianto liberatorio, si sciacquò il viso e uscì dal bagno. Howard si stava infilando una camicia. “Esco con Jason, tu fai come se fossi a casa tua. Non preoccuparti per me, non so quando tornerò, se vuoi puoi dormire nel mio letto”. “Grazie. Domattina comunque andrò in aeroporto per vedere se posso anticipare il volo di rientro di un giorno, mi sembra inutile restare qui ormai”.
Lui la guardò triste. Si era accorto che lei aveva gli occhi gonfi dal pianto e le mise una mano sulla guancia. “Inutile dirti che mi mancherai. Vorrei restare qui per farti compagnia e per non lasciarti sola in questo momento difficile. Vedo che stai davvero molto male. Ma a questo punto credo che non sia il caso…” le si avvicinò ad un palmo dal naso e respirò il suo profumo. Asia sentì un brivido scorrerle lungo la schiena. “Mi farei soltanto del male. Perché adesso che ho assaporato le tue labbra, sento che non riuscirei più a farne a meno. Anche adesso che sono qui davanti a te ho una voglia matta di stringerti a me e…” chiuse gli occhi.
Asia indietreggiò appena, come per sfuggire ad una tentazione alla quale non voleva e non poteva cedere, e prima che Howard riaprisse gli occhi, si sentì bussare alla porta. Era Jason, che li guardò come se avesse visto un’intera carovana di alieni ballare la lapdance.
Uscirono in silenzio, mentre Jason manteneva la stessa espressione inebetita e guardava Howard con aria interrogativa, e Asia rimase da sola. Sola con sé stessa, con i suoi pensieri, col suo dolore.
Si lasciò cadere sul divano, e iniziò a fare zapping, senza guardare veramente cosa passava in tv. Sentì il bisogno di parlare con Maya di tutto ciò che era successo, ma non aveva voglia di ricominciare a piangere di nuovo, così si limitò a mandarle un sms: “È andato tutto storto. È finito tutto. Domani rientro in Italia. Ti voglio bene”.
Howard era uscito solo da pochi minuti, quando qualcuno bussò alla porta. Asia si alzò meccanicamente dal divano, si trascinò alla porta e aprì. “Cosa hai dimenticato? La chiave?”, esclamò con un sorriso aspettandosi di trovarsi davanti Howard.
Invece chi si trovò davanti non era Howard. Era Rob. E aveva un’espressione da cane bastonato. “Sapevo che ti avrei trovato ancora qui” la apostrofò contrariato. “Howard mi ha detto che posso restare fino a domani”. “Siete stati a letto insieme?” fu un fulmine. Ma si pentì subito di aver pronunciato quelle parole. “Ma sei matto?” urlò Asia, col cuore in gola “Howie mi sta soltando ospitando. Cosa vuoi Rob?”. Lui la guardò in silenzio. Poi la sua espressione si fece più dolce. “Non sono venuto per farti cambiare idea, se è questo ciò di cui hai paura. È solo che… credo che non ci siamo salutati a dovere…” lei non fece in tempo a chiedergli cosa intendesse dire che Rob le si avvicinò e le mise un braccio intorno alla vita. Poi le accarezzò i capelli e ne annusò il profumo. Iniziò a darle dei piccoli baci sulle guance, e poi prese a baciarle il viso, la bocca, il collo. Oh Rob, ti prego. Non farmi questo… non possiamo ricominciare da capo…
Asia si sentì svenire. Il cuore le batteva così forte che le sembrò che stesse per uscirle dal petto. Lui iniziò a mordicchiarle le labbra e a baciarle delicatamente  per poi farsi sempre più insistente e provocante. Asia si sentiva totalmente impotente. Non riusciva ad alzare un braccio, si sentiva ebbra e paralizzata. Si lasciò andare completamente a lui, che la prese in braccio. Poi uscì dalla stanza di Howard ed entrò nella sua in un attimo, continuando a tenerla in braccio e baciarla.
Una volta nella sua stanza, la sdraiò sul suo letto, e guardandola intensamente bisbigliò: “Voglio farti toccare il cielo con un dito” Asia pensò che già da un pezzo lui le aveva fatto toccare il cielo con un dito, ma non glie lo disse. Preferì godersi quell’ultima notte insieme spegnendo il cervello. E lasciando accesa soltanto l’emozione.
Quella notte fecero l’amore come se non ci fosse un domani. E in effetti, per loro non c’era davvero un domani. Ma in quel momento questo era l’ultimo dei loro pensieri.

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Capitolo 39
*** Well it all seems out of reach, I will take the blame if it keeps the peace ***


La mattina seguente, si risvegliarono l’una tra le braccia dell’altro. Avevano dormito abbracciati così stretti che l’immenso lettone King size di Rob sembrava vuoto; sarebbe bastato anche un letto ad una piazza soltanto.
Asia aprì gli occhi e vide gli stupendi fanali verdi di Rob puntati su di lei. “Buongiorno. Spero sia un bel risveglio”. E come poteva essere altrimenti, dopo la nottata che avevano appena trascorso? Era stato puro idillio. “Assolutamente sì” Asia abbozzò un sorriso. Prima di realizzare che quella era stata la loro ultima notte insieme.
“Voglio che questo sia il ricordo che conserverai di me. Che quando penserai a me, quando sentirai il mio nome, possano riaffiorare in te le sensazioni e le emozioni che abbiamo provato stanotte. È stato bellissimo.” La baciò a fior di labbra e la strinse forte a sé. “E oggi ti accompagno io in aeroporto. Non voglio sentire ragioni.” Asia guardò allibita l’uomo che era sdraiato accanto a lei. Perché non poteva rimanere tutto così com’era? Perché le cose devono sempre essere così difficili e complicate?
Si girò su un fianco, e con la voce strozzata in gola da una lacrima che stava tentando in ogni modo di uscire, esclamò: “Ho dei ricordi fantastici con te, sono uno più bello dell’altro. E non potrebbe essere altrimenti: sei la cosa più incredibile che mi sia mai capitata, grazie a te ho vissuto un sogno”.
Rob la osservò pensieroso. Appoggiò la testa sulla mano e sospirò. Gli stava scivolando via dalle mani. Ciò che aveva desiderato tanto a lungo e che aveva invidiato alle coppie felici che conosceva, finalmente era capitato a lui. Era una cosa così bella e preziosa, e lui se la stava lasciando sfuggire. Perché era un codardo, perché non aveva il coraggio di osare, di buttarsi.
Non fece in tempo a finire di formulare questo pensiero, che lei interruppe il suo flusso di coscienza. “Ma nella vita non si può vivere di ricordi. Bisogna darsi da fare, agire. Bisogna sempre guardare avanti, ed è quello che farò. Ed è quello che farai anche tu.” Poi si alzò, vestendosi. “Adesso però devo andare in aeroporto. C’è un volo che parte alle 13, se mi sbrigo forse riesco a prenderlo. Ma prima devo andare a recuperare la mia valigia… da Howard”.
Lui si mise a sedere sul letto, stizzito: “Possiamo mandare qualcuno a prenderla, così noi nel frattempo ci prepariamo…” Asia mise una mano avanti come per bloccarlo: “No, andrò a prenderla di persona. Devo scusarmi con lui, glie lo devo. Lui mi è stato vicino e si è offerto di ospitarmi e io sono sparita così. Non è carino”.
“Ok. Sarò sincero: non mi va che tu ci vada. Preferirei che non lo andassi a salutare…”. Asia si girò di scatto, mentre si infilava le scarpe. “Non è il momento di mettersi a fare il geloso, Rob. Ho detto che andrò a salutarlo ed è quello che farò. Non rendiamo tutto più complicato di quanto già non sia”. Detto questo, si avviò verso la porta e ne varcò la soglia.
Rob rimase a sedere sul letto ancora per un po’. Si rese conto, forse per la prima volta, che era davvero tutto finito.
Asia uscì dalla stanza, e si trovò davanti la sua valigia. Era appoggiata al muro tra le due stanze, non un biglietto, non una frase, niente. Con un gran senso di colpa che la opprimeva, bussò alla porta di Howard, convinta di trovarlo arrabbiato, o quantomeno ferito. Invece lo trovò addirittura indifferente, e questo le fece più male di qualsiasi altra cosa.
Howard aprì dopo parecchio tempo. Aveva indosso solo un paio di calzoncini, ed era palesemente assonnato. “Ciao… scusami se ti ho svegliato, ma… volevo salutarti… ieri sera io…” “Hai passato la notte da Rob, giusto?” la interruppe bruscamente lui, laconico. Asia annuì. “Se sei venuta per scusarti non c’è bisogno. Ho sempre saputo quanto tenessi a lui, non potevo sperare di fartelo dimenticare in una sera”. “Sono venuta per salutarti, How… sto andando in aeroporto. Me ne vado, te lo avevo detto, no?” Howard la guardò stupito: “Ma come? Io credevo…” “I problemi non spariscono in una notte, Doug. Sono lì e ti aspettano al risveglio, e prima o dopo, li dobbiamo affrontare. È quello che sto facendo. O almeno ci sto provando. Volevo salutarti, e ringraziarti… perché sai che senza di te non ce l’avrei fatta. Perché mi sei stato vicino anche se ti faceva soffrire, e hai messo da parte i tuoi sentimenti per proteggermi” gli mise una mano sulla guancia “so che può sembrare fuori luogo, o addirittura banale, ma… ti voglio bene, amico”. Howard esitò, poi si lasciò andare e la abbracciò forte. “Mi mancherai, bambolina. Buona fortuna!” “Anche a te” gli sussurrò lei nell’orecchio. Restarono così, stretti l’uno all’altra per un po’.
Rob uscì dalla sua stanza e li trovò così, abbracciati e in silenzio. Si schiarì la voce per far notare la sua presenza, e i due si separarono all’istante, imbarazzati. “’Giorno Howard” disse distratto, poi guardò Asia: “Andiamo? La macchina ci aspetta qui sotto”. Aveva un morso allo stomaco incredibile. Quel legame così stretto tra quei due proprio non gli andava giù. Ma in fondo, che diritto aveva di esprimere la sua opinione, ormai?
Lei sorrise ad Howard e lo raggiunse, trascinando dietro di sé la sua piccola valigia. “Rob!” Howard lo bloccò all’improvviso. Rob si rivolse ad Asia indicando la porta a vetri del corridoio: “Avviati all’ascensore, sto arrivando” e si avvicinò all’amico/rivale che lo guardò con aria severa. “La stai facendo scappare via, sei un coglione” scosse la testa e rimase a fissarlo. Rob sbuffò e poi, mettendogli una mano sulla spalla, concordò: “Si, hai ragione. Sono proprio un coglione. Un coglione e un codardo”. Si allontanò e in pochi secondi sparì nel corridoio, mentre Howard si chiuse di nuovo nella sua stanza.
Il viaggio in macchina sembrò il più lungo e doloroso che entrambi avessero mai affrontato. Restarono in silenzio per tutto il tragitto, seduti distanti l’uno dall’altra su quell’enorme sedile di alcantara grigio scuro, la mano di Rob sopra quella di Asia. Arrivati in aeroporto, ci fu un attimo di esitazione. Poi Rob la strinse forte a sé, affondando il viso tra i capelli di lei. Rimasero stretti in quell’abbraccio per cinque minuti, forse dieci, forse un’eternità. Poi Asia lo baciò dolcemente a fior di labbra ed uscì dalla macchina. L’autista le porse la valigia che aveva già diligentemente tirato fuori dal portabagagli e lei si allontanò, senza voltarsi indietro.
 
Un mese. Era passato all’incirca un mese da quando le era capitato l’avvenimento in assoluto più incredibile e più entusiasmante di tutta la sua vita. In un mese una storia d’amore era nata e finita, e non si trattava di una storia d’amore qualunque: era la favola che aveva sempre sognato di vivere, con l’uomo che aveva sempre sognato di avere al suo fianco. È vero, era finita. Ma aveva riempito il suo cuore di mille sensazioni bellissime che non aveva mai provato, lasciandole un ricordo che l’avrebbe accompagnata per tutta la vita.

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Capitolo 40
*** You can look back but don’t stare, maybe I could love you out of there ***


Quei mesi di ripresa furono durissimi per Asia.
Fu incredibilmente difficile tornare alla vita di tutti i giorni dopo l’avventura straordinaria che aveva vissuto. Le sembrò di aver vissuto un sogno lunghissimo, ma alla fine dovette tornare alla realtà e non sapeva da dove cominciare.
Si buttò a capofitto nel lavoro, e si dedicò ai suoi amici e alla sua famiglia.
Fortunatamente aveva il supporto costante della sua adorata cugina, che non la lasciava un attimo sola e la coinvolgeva nelle attività più disparate per non lasciarle il tempo di pensare e rattristarsi.
Aveva sentito Marta un paio di volte. Le cose tra lei e Mark andavano alla grande: erano andati a vivere insieme ed erano praticamente inseparabili. Fu talmente contenta di questa notizia che pianse di felicità. Avevano passato dei momenti molto difficili entrambi, e saperli sereni e finalmente insieme la riempiva di gioia.
Ogni tanto Rob le tornava in mente, e le veniva una voglia matta di chiamarlo e sapere come stava. Ma non lo fece. Non lo aveva più sentito dopo quel giorno in aeroporto, e spesso si chiedeva se anche lui pensasse a lei qualche volta, o se continuasse la sua vita come se nulla fosse successo.
 
In un soleggiato pomeriggio di fine novembre, uscì dal lavoro prima del solito, e decise di concedersi una passeggiata tranquilla al centro di Roma. Dopo aver gironzolato a vuoto per un po’, prese una bella cioccolata calda e si mise a sedere su una panchina sotto al suo posto di lavoro, pensierosa. La temperatura era piuttosto rigida, ma il sole scaldava il suo viso intorpidito dal freddo.
Intenta a guardare un gruppo di bambini che si lanciavano schizzi d’acqua davanti a una fontana, non si accorse di una presenza dietro di lei, finché qualcuno non le mise una mano su una spalla.
Si girò di soprassalto, e lo vide, in tutto il suo splendore, avvolto in un cappottone di lana e una sciarpa gigante che lasciava scoperto solo il naso e gli occhi, con l’espressione di chi non è più abituato al freddo ed è costretto a sopportarlo, suo malgrado.
“Speravo di vederti qui…”. Attimi di incredulità, poi, finalmente, una reazione. “Rob! Ma… come hai fatto a trovarmi?” chiese lei, col cuore che le batteva a mille all’ora e lo sguardo attonito di chi ha visto un fantasma. “Sembro uno che non ascolta, ma in realtà ricordo ogni singola parola che ci siamo scambiati durante quel bellissimo mese insieme… e mi sono ricordato che una volta mi hai detto dove lavoravi. Ho preso un taxi e mi sono fatto portare qui. In realtà sono andato un po’ a caso, ma sai, la mia classica fortuna…”. Asia rimase di stucco. Aveva pensato a lei in tutti questi mesi? Cosa lo aveva spinto a volare oltremare per raggiungerla?
“Rob, cosa… come…” balbettò frastornata. “Avevo bisogno di parlarti, e certe cose non si possono dire per telefono. Mi sono reso conto che mi manchi troppo, e che sono stato uno stupido a lasciarti andar via così. La verità è che… non posso vivere senza di te” la prese per un braccio e la baciò, sotto lo sguardo esterrefatto dei passanti che ormai avevano iniziato a riconoscerlo, fermandosi a guardare la scena da film che stava avendo luogo nella piazza. Asia restò ammutolita. Non poteva credere a ciò che era appena successo. Rob sembrò non accorgersi nemmeno del suo disagio, e continuò: “Mi è bastato un mese per capire che voglio averti accanto per una vita, ma fino a qualche tempo fa non riuscivo ad ammetterlo a me stesso. Tu eri lì e non avevo bisogno di venirti a cercare, perché eri tu che venivi da me. La lontananza mi ha dato la forza di venirti a prendere… stavo male, sentivo che mi mancava sempre qualcosa, e alla fine mi sono reso conto che ciò che mi mancava eri tu…”. Smise di parlare e la guardò, carico d’attesa e di paura. Lei non si muoveva, non batteva ciglio. E soprattutto non parlava. Lui incalzò: “Possiamo andare via di qua e parlare in un posto più tranquillo? La gente inizia a riconoscermi, e l’ultima cosa che voglio adesso è essere assalito da un’orda di gente urlante”. “Sì, sì” balbettò lei, ancora incredula.
Presero un taxi che li portò a casa di lei, lontano dal centro e dal caos cittadino. Per tutto il tragitto restarono in religioso silenzio, tutto ciò che riuscirono a fare fu scambiarsi sguardi d’intesa e di complicità.
Arrivati a casa, dopo i classici convenevoli che durarono appena pochi minuti, lui prese di nuovo il discorso. “Lo so che è strano, sono piombato qui dal nulla dopo mesi di silenzio pretendendo di avere un qualche riscontro da te, ma sono settimane che ci penso, e alla fine non ho resistito. DOVEVO venirti a cercare. DEVO provare a riprenderti con me”. Aveva acceso una sigaretta, le mani gli tremavano dal nervosismo. Asia era seduta sul divano accanto a lui, ma non riusciva a rilassarsi. “Rob, cos’è che mi stai chiedendo, esattamente?”. Lui buttò fuori il fumo dal naso, poi spense la sigaretta appena iniziata nel gigantesco posacenere con la bandiera inglese che faceva bella mostra di sé sul tavolino. Le prese le mani e la guardò dritto negli occhi, con lo stesso sguardo di un bambino in un negozio di giocattoli, speranzoso che la mamma glie ne compri qualcuno. “Ti sto chiedendo di seguirmi, di venire a Los Angeles con me. È vero, non sappiamo come andrà a finire, o quanto durerà, ma non lo sapremo mai se non proviamo. Lo so, ti sto chiedendo molto, per te è dura abbandonare la tua vita. Qui hai il tuo lavoro, gli amici, la famiglia. Ma lì avrai me, tutto me stesso. Per ora questo è tutto ciò che posso prometterti. È abbastanza per te? Te la senti di rischiare?” Asia trasalì. Non ebbe nemmeno bisogno di riflettere, che le parole le uscirono dalla bocca di getto: “Sì, Sì… certo che sono pronta a rischiare! Ho aspettato tanto che tu me lo chiedessi, ma sembravi non deciderti mai, e così non ho voluto buttarmi io per te. Pensavo che non fossi pronto ad affrontare questo tipo di sfida, e non ho voluto forzarti. A dirla tutta… non aspettavo altro!” lui la guardò emozionato, poi la baciò. Fu come tornare a casa dopo un lungo viaggio. Caddero nuovamente l’una nelle braccia dell’altro, e riaffiorarono sensazioni che avevano entrambi lasciato in un cantuccio del loro cuore ma che non avevano mai dimenticato.
Mentre affondavano uno nell’anima dell’altra, Rob all’improvviso si fermò a fissarla, pensieroso. Aveva l’aria di chi cercava le parole giuste per dire qualcosa, ma non riusciva a trovarle. Per la verità, non c’erano molte parole per esprimere ciò che gli girava in testa da un po’. Infatti ne bastavano due: “Ti amo..” le disse, con la voce rotta dall’emozione. Per un istante il mondo si fermò. Asia non sapeva che dire, si limitò a guardarlo col cuore in gola e le lacrime agli occhi.
“Asia, hey, Asia!” una voce la scosse bruscamente, come se fosse svegliata da un sonno profondo. Si guardò intorno: era nella stessa identica piazza da diverso tempo. I bambini che giocavano, la fontana, persino la tazza di cioccolata nella sua mano era rimasta esattamente dove l’aveva lasciata. Aveva immaginato tutto. Si trattava solo di un bellissimo sogno ad occhi aperti. Non c’era nessun Rob, nessuna dichiarazione, nessun ti amo sussurrato a labbra strette. Alzò lo sguardo e vide il suo collega che si sbracciava per attirare la sua attenzione.
“Hey, ma stavi dormendo ad occhi aperti? Volevo invitarti fuori a bere qualcosa insieme, ti va?”. Lei rimase a fissarlo come se non fosse di questo mondo.
Si rese conto che in tutti quei mesi, lei aveva vissuto la sua vita nell’attesa che Rob tornasse, che le chiedesse di tornare indietro e di seguirlo in capo al mondo. Non era andata avanti, come aveva detto a lui, ma era rimasta in una posizione di stallo che la teneva ancorata a lui come se avesse le catene. Realizzò, forse per la prima volta seriamente, che aveva davvero bisogno di farlo. Di andare avanti, di ricominciare la sua vita che già da troppo tempo si trovava ad un’impasse e non la portava da nessuna parte. Decise di accettare quell’invito, per cominciare, poi chissà. Il destino avrebbe fatto il suo corso.
 
UN PAIO DI ANNI DOPO, A CASA DI ASIA
Asia se ne stava sdraiata sul divano col telecomando in mano, guardando una fiction in cui due improbabili poliziotti cercavano di risolvere un caso oltremodo ingarbugliato, quando il suo cellulare squillò.
La sua suoneria era rimasta Angels, era quella ormai da tempo immemore, e ogni volta che il suo cellulare squillava provava una piccola fitta al cuore che la riportava indietro nel tempo a momenti indimenticabili, ma non aveva mai avuto il coraggio, né la voglia, di cambiarla.
Era Maya, che con un tono trafelato le intimò: “Tesoro, sei davanti alla tv? Cambia subito canale, metti sul 145! Non fare obiezioni, ti richiamo dopo!” e attaccò.
Asia prese il telecomando, e meccanicamente cambiò canale.
Il suo cuore sussultò. I suoi cinque beniamini di un tempo, ancora belli come il sole nonostante l’età che avanza, erano ad una premiazione internazionale per ritirare un premio di prestigio.
Gary era con la sua bella moglie sempre al suo fianco, splendente come al solito; Jason era solo, con la sua classica espressione da furbetto in viso; Howard, bello come un adone, teneva per mano una bellissima ragazza mora alta e snella; Mark era accanto alla sua dolcissima Marta, che aveva uno sguardo radioso e un vestito mozzafiato;  e poi c’era lui, Rob. Lui era sempre lui. Era abbracciato stretto alla sua nuova compagna, una bellissima attrice americana che aveva conosciuto di recente. Dopo che l’avvenente presentatrice ebbe consegnato il premio al Capitano, si girò verso Rob e gli chiese, con aria maliziosa: “Allora, Robbie, abbiamo saputo che presto ci saranno novità. Ce ne vuoi parlare?” Rob sembrava non aspettare altro, e prese immediatamente in mano il microfono. “Io e Ayda ci sposeremo presto. Finalmente ho conosciuto l’amore nella mia vita, e devo tutto ad una persona che sicuramente mi starà guardando. Lei mi ha dato lo stimolo a buttarmi e rischiare tutto, mi ha fatto capire che se viviamo la nostra vita in una condizione di inerzia ci lasciamo sfuggire delle occasioni troppo importanti. Una volta mi disse che bisogna sempre guardare avanti, e non restare a fissare il passato, e così ho fatto. Adesso sono davvero felice. Grazie Asia!”.
Asia sentì batterle il cuore all’inverosimile. Anche Rob non l’aveva mai dimenticata. Anche lui ricordava la loro storia con affetto.
Le venne un pizzico di nostalgia, ma così com’era arrivata se ne andò.
Accarezzò il suo pancione, e guardò l’uomo che le dormiva accanto, e si sentì la persona più felice del mondo.
Perché in fondo, ciò che aveva sempre desiderato, era tutto lì, in quella stanza.
 
THE END!

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