Non un altro romanzetto rosa di Fairy Black (/viewuser.php?uid=9940)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Ok, come prima cosa
benvenuti e grazie per aver avuto la stupidissima idea di aver scelto proprio
questo libro tra tutti quelli che
c’erano nella libreria (o biblioteca, se preferite) dove vi siete recati.
Ad ogni modo ora è
un po’ tardi per tornare indietro, quindi, per favore, ora vi mettete comodi e
continuate a leggere il libro che avete fra le mani. Cosa vi costringe a farlo?
Beh, mettiamola così: se questo non vi piacerà, quando, forse, mi incontrerete
avrete davvero una buona ragione per odiarmi e contestare le mie capacità di
scrittrice.
Comunque, torniamo
al mio romanzo. E’ la storia di una ragazzina…ma tengo a precisarlo, non è uno
di quei tipici romanzetti tinti di rosa dove regnano sovrane ragazzine timide
con problemi di ragazzini, amicizie, segreti, piccole bugie e, soprattutto, una
super-mega-iper-migliore amica del cuore alla quale dire tutto, compreso il
codice fiscale.
E anche se forse
qualche componente fra quelle citate probabilmente non mancherà veniamo alla storia:
insomma, è la storia di una ragazzina, più o meno della stessa età dell’autrice
del libro, che è al di sopra di tutto ciò ed ha altri problemi a cui pensare:
come l’averle attribuito senza che lei facesse nulla di male un nome non
proprio convenzionale… oppure una famiglia adottiva che non si può proprio definire “famiglia vera e calorosa” ;
oppure ancora se vogliamo la cattiva reputazione da parte di tutto il vicinato
e, il brusco trasferimento in un’altra città che, come vedrete, le cambierà la
vita.
Tutte cose che
manderebbero in analisi per vent’anni consecutivi chiunque, ma lei no. Il
motivo?
La ragazza ha un
sogno, è s’impegnerà perché questo si realizzi.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Heineken! Heineken, come la birra!
Ogni
volta che era arrabbiata per qualcosa, a Heineken Anderson le veniva in mente
un’altra cosa che la faceva innervosire parecchio: il suo nome.
Non
avrebbe mai perdonato la madre naturale per averle dato questo nome assurdo e
tanto meno quella adottiva – che era la
sorella di quest’ultima, cioè sua zia-, per non averglielo cambiato.
Le
sarebbe andato bene tutto: Sue, Mary, Hannah… qualunque nome le sarebbe andato
a genio, bastava che fosse NORMALE! Ma quando mai si è vista
l’etichetta di una multinazionale messa per nome ad una
innocente ragazzina che non ha mai fatto male a nessuno?
Non
era in questo modo che la reputava la gente che la vedeva in giro, comunque.
Nel
quartiere non era famosa neanche per il suo bislacco nome, ma più che altro per
la sua apparenza da ragazzaccia che in realtà non era, ed era nota come “quella
delinquente che hanno preso gli Anderson 13 anni fa.”
La
ragazza aveva quindici anni. E nel buio della sua stanza stava a pensare alla
brutta giornata che aveva avuto sino a quel momento.
A
scuola non veniva trattata troppo bene né dai professori, che cercavano sempre
una buona scusa per metterle brutti voti perché non andava troppo a genio a
loro, né dai compagni, che facevano spesso di tutto per farla innervosire e
quel giorno erano stati particolarmente rompi balle…
Non
che non avere amici le pesasse, anzi, era ben contenta di starsene per gli
affari suoi, ma che diamine, che almeno ci potesse stare in pace! No, quel
giorno, tra le solite frecciatine acide delle compagne si era dovuta subire
anche tre compiti andati uno peggio dell’altro. E quell’insopportabile sorriso
da venditore di auto del professore di matematica.
Heineken
non poteva contare sull’appoggio di nessuno in questi casi. Se vi si pone la
domanda: “A che cosa serve una famiglia?” sono sicura che la maggior parte di
voi risponderebbe: “ A darti affetto, farti crescere, aiutarti nei momenti di
sconforto, prepararti alla vita…”
Beh,
la famiglia di Heineken era tutto l’opposto: se ne fregava totalmente. L’unica
cosa per la quale la ragazza li apprezzava era proprio perché veniva lasciata
stare, e non le si diceva niente se faceva vela a scuola o restava fuori tutta
la notte a bighellonare dove voleva. Ma questi non perdevano occasione per
rinfacciarle che se non fosse stato per loro lei sarebbe in uno schifosissimo
istituto, che aveva rovinato l’armonia di questa bellissima famiglia, che era
una disgraziata ecc…
Non
si poteva certo dire che tra la ragazza adottata e gli Anderson ci fosse un
buon rapporto; il sentimento di odio era reciproco. Anche perché all’interno
della famiglia di sua zia non veniva trattata troppo bene rispetto ai suoi due
cugini.
Quando
la ragazza era giù di corda pensava a tutto ciò.
Ma
i suoi pensieri furono bruscamente interrotti da una signora alta, bionda, con
seno rifatto e almeno tre chili di trucco sul viso che entrò nella stanza.
- porca…
Heineken, ti ho chiamato un milione di volte, sei sorda? La cena è pronta.
Scendi. Che qui non abbiamo tempo da perdere con ragazzine con problemi
d’udito…-
La ragazza non
disse niente, si passò una mano tra i capelli neri eseguì la zia.
I pasti in casa
erano il momento peggiore della giornata. Doveva trovarsi faccia a faccia con
tutti gli odiati membri della sua famiglia. A cominciare dai suoi due cugini:
Ben e Chelsea.
Ben era un
ragazzo grasso e piuttosto stupido, ma era abbastanza rispettato tra i compagni
perché era campione di pesi leggeri nel club di boxe della scuola. Chelsea
invece era una ragazzina frivola, bionda e con ancora l’apparecchio per i
denti; a scuola era una delle cheerleader e anche lei era circondata da un
branco di amiche tutte cretine come lei.
Non appena
Heineken prese posto a tavola Chelsea cominciò a strillare:- lo sai, papà che
sono stata nominata capo delle cheerleader e che adesso balliamo tutta una
nuova canzone con un balletto che abbiamo inventato noi che è davvero
bellissimo?- poi, rivolgendosi alla cugina:- oh, Hanny, scusa se te l’ ho
ricordato…, tu non potresti mai essere tra noi… - Quella ragazzina con poco
cervello si era convinta da circa due anni che a Heineken sarebbe piaciuto fare
la ragazza pom-pom. Ma ormai Heineken si era arresa è la faceva parlare a ruota
libera, senza darle ascolto.
- oh, tesoro,
siamo molto fieri di te!- disse la madre.
- e il mio
ragazzo, cosa ha fatto oggi?- disse lo zio, il signor Robert Anderson, un uomo grasso e alto, sempre
rosso in viso dando una grottesca e affettuosa pacca sulla schiena del figlio.
- io oggi ne ho
pestato due…- disse con aria assente Ben.
- E a te come è
andata, caro?- Disse la signora versandosi una seconda porzione di insalata.
-Ah, bene;
benissimo! Sono riuscito a far sputare sangue a quel cliente che non paga le
rate dell’auto che gli ho venduto sei mesi fa…-
Per lo zio di
Heineken l’espressione “sputare sangue” significava mandare qualcuno sul
lastrico.
La conversazione
proseguì con questo tono da persone con gravi handicap mentali, finché cadde su
una telenovela molto seguita dalla signora Anderson, che la definiva
“commovente e appassionante” ; mentre invece era la solita soap- opera per
gente poco intellettuale, con attori cani e trame strappalacrime e poco
credibili. La zia raccontava cosa era successo nelle ultime otto puntate che
criminalmente il resto della famiglia si era permessa di perdere.
- … quindi quella
brava ragazza di Grace scappa di casa e molla l’università per fuggire via
dalla vita da fondamentalisti cristiani che sono i genitori. Però, ritrovata
senza soldi e senza un tetto comincia a fare la prostituta… e insomma fa la
prostituta ventiquattro ore, cioè tutto il giorno e tutta la notte. Ma
logicamente non ce la fa a reggere e quindi comincia a bere e farsi…-
- Farsi di cosa?-
chiese Ben.
- Non so, caro… -
rispose Rose dando il colpo di grazia alla terza porzione di insalata rimasta
nel piatto.
- Una puttana
cocainomane… forte!…- commentò Ben, inventandosi di sana pianta l’esempio della
cocaina.
A quelle parole
Heineken smise di mangiare e serrò le labbra. Quando era più piccola era venuta
a scoprire in maniera poco ortodossa (anche se no ricordava bene come) che sua
madre era stata una prostituta tossicomane e che lei era nata da uno dei suoi
innumerevoli clienti. Le avevano anche detto che probabilmente sua madre era
morta. Di certo lo sapeva anche la zia, ma molto probabilmente non ci pensava.
Era arrabbiata
con sua madre, e ricordarsi anche questo in uno dei momenti “No” non le avrebbe
certo fatto bene.
Heineken aveva la
pericolosa sensazione di essere vicino alle lacrime. Si alzò e senza dire
niente si avviò verso la porta.
- Ehi, dove stai
andando?- chiese lo zio.
- Esco. - rispose
lei con aria assente.
Fuori era buio
pesto. E visto che suo zio Robert si era rifiutato di pagare la bellezza di 130
dollari per riparare il lampioncino che illuminava il giardino sul davanti, la
ragazza dovette cercare il cancelletto che andava sulla strada a tentoni.
Si avviò per la
strada verso i quartieri di periferia. Li stava bene, erano posti ideali per
passare una notte venuta dopo una giornate estenuante. I suoi posti preferiti.
C’era in
particolare un posto che le piaceva: la piscina comunale. Bastava forzare un
po’ la porta e ci si infiltrava con facilità.
Quella notte,
come tante altre precedenti, andò li. Si tolse i vestiti e si buttò in acqua. Sentii
l’acqua tiepida che si posava sul suo corpo nudo come una carezza; andò sotto
per assaporare fino in fondo quella sensazione magica che aveva dato un senso
alla sua giornata.
Certa gente
sostiene che andando sott’acqua si entra nell’inconscio perché quella
dimensione ricorda l’immersione nel liquido amniotico nell’utero materno. Ma in
molti casi da anche sensazioni di benessere ed è un po’ come estraniarsi dalla
realtà. (quest’ultima secondo l’autrice
del libro, non prendetelo come oro colato N.d.R.)
Questo era
proprio l’effetto che faceva ad Heineken; che non usciva almeno dopo una
nuotata di circa quarantacinque minuti.
Infatti dopo quel
tempo determinato uscì dall’acqua e si rivestì. Anche se ormai erano era un po’
tardi non aveva l’intenzione di tornare a casa. Quindi si mise a vagare per la
piscina vuota. Poi trovò un materassino e si addormentò su di esso.
Decise che il
giorno dopo non sarebbe andate a scuola: odiava quel posto e tutti gli idioti
che ci andavano.
Questi pensieri a poco a poco si sbiadirono,
lasciando spazio al buio dentro di lei e al sonno che le riempiva corpo e
mente.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Si svegliò
all’alba del giorno dopo, dovevano essere precisamente le sei o le sette di
mattina, ma neanche lei ne era sicura. Non perse tempo e uscì dalla piscina,
che fortunatamente era ancora vuota.
Si mise a
correre. Non sapeva neanche lei il motivo, ma voleva almeno provare l’emozione
del fresco vento mattutino sulla faccia prima di affrontare un’altra giornata
all’insegna della rabbia, noia e frustrazione. Ma poi si fermò. Aveva trovato
qualche dollaro per strada. Li usò per pagarsi una colazione veloce ad un bar,
poi, andò nel suo secondo posto preferito (che tra l’altro era il posto ideale
per non farsi beccare durante una vela): uno studio di registrazione in uno dei
quartieri del centro. Un giorno sperava di entrarci anche dentro e usufruire
dei macchinari, anzi che limitarsi a fissarlo da fuori con ammirazione.
In effetti
cantare era sempre stata la sua più grande vocazione e sogno. Non sapeva il
perché, le piaceva e basta. Forse un giorno sarebbe stata riconosciuta per
strada come, “la grande, fighissima, Heineken!”. No, a pensarci bene si sarebbe
cambiata nome, non voleva fare la figura della cretina di fronte a tutto il
mondo che un giorno forse l’avrebbe apprezzata per la sua voce.
Era talmente
assorta nei suoi pensieri che non si accorse che era già tarda mattinata, anzi,
forse era anche ora di tornare in quel posto dove vivevano gli Anderson che era
chiamata casa. Si mise a camminare velocemente. I suoi due cugini sarebbero
tornati da scuola alle tre e ogni ora senza di loro era tempo prezioso.
Ma
improvvisamente si ritrovò per terra. Aveva urtato contro qualcosa o qualcuno,
ma non aveva visto chi. Non fece in tempo a rialzarsi che una voce dall’alto le
disse:- Heineken, Heineken Anderson, sei proprio tu? Ma non dovresti essere a
scuola, ora, cara?-
Dopo qualche
secondo Heineken la riconobbe. Era quella signora di mezz’età che viveva due
isolati più avanti di lei. Probabilmente l’unica che non la guardava storto e
che non le parlava male alle spalle: la cinquantacinquenne signora Granger, che subito dopo averla riconosciuta
l’aveva invitata a prendersi un the.
- Quindi oggi hai
marinato la scuola, cara?- disse la donna mentre le versava una strana bevanda
in una tazza che era poco verosimile al the vero.
- lo faccio
spesso. - rispose la ragazza.
- E i tuoi zii?
Che dicono i tuoi zii?-
- oh, a loro non
importa… -
- come non…? Ma
in pratica hai detto che oggi saresti andata a scuola e sei andata da tutta
altra parte, non è così, vero, cara?-
- No… no, non è
proprio così-
- e allora
spiegamelo, che diamine!-
Heineken non
voleva rispondere. Magari quella vedova sola che non aveva mai niente da fare
sarebbe andata a parlare in maniera scandalizzata alla zia, che, pur di fare
bella figura coi vicini sarebbe stata disposta a non permetterle neanche lo
svago delle sue uscite notturne o delle vele a scuola.
Quindi tagliò
corto:-non lo sanno, per favore, non glielo dica-
La signora
Granger sfoderò l’istinto materno che sfoderava in passato con i figli che
ormai avevano lasciato casa e messo su famiglia da molto.
- Ti capisco,
tesoro, sai? Anche io sono stata fanciulla e ho avuto dei figli… ma pensa che
l’unica a perderci rifiutando un’istruzione sei tu. E poi la tua povera zia! Tu
non vuoi dare un dispiacere alla tua povera zia, vero?-
La ragazza
avrebbe voluto urlarle un “INVECE SI” secco e darle una testata, ma non fece in
tempo.
- per questa
volta, cara, non dirò niente alla tua cara zia, che ti vuole tanto bene; ma
devi promettermi che non lo farai mai più, capito? Ah, a proposito, piaciuto il
the, tesoro?-
- Si, buono…
molto buono- mentì spudoratamente Heineken.
Quando fu
“rilasciata” dalla signora tornò immediatamente a casa. Era già l’una e aveva
perso un mucchio di tempo tra le ramanzine educative della vedova Granger e delle centodiciasette foto con commento
dei suoi quattro figli di quando erano piccoli.
Come entrò in
salotto trovò sua zia che faceva ginnastica davanti alla tv.
- che cosa
dobbiamo aspettare noi, i tuoi comodi?- la rimproverò Rose senza smettere di
muoversi e di fissare lo schermo. – un’altra notte passata fuori e un’altra
mattina passata a bighellonare per le vie della città! Ma lo sai che a scuola
se ne accorgono? Ma lo sai che lo sanno che sei cugina di Chelsea e Ben e che
ci fai fare una figuraccia? Eh?! - Heineken rimase zitta e si lasciò cadere su
una poltrona. –noi eravamo una famiglia onorata prima che arrivassi tu…-
sentenziò la zia tra i denti.
A questo punto,
Heineken preferì starsene in camera sua e quindi si avviò verso le scale che
davano al piano di sopra.
-…e hai lasciato
tutta la tua camera in disordine!!- le urlò dietro la zia.
Arrivata, si
lasciò cadere sul letto e si buttò il cuscino davanti agli occhi. Perché?
Perché? Perché un'altra giornata di merda?! Perché proprio a lei? Era questo il
suo destino? Perché? Perché? Perché?!
Rimase sdraiata
sul letto finché non arrivò l’ora di cena. Momento, come detto in precedenza,
tanto odiato. Ma aveva fame e non si fece chiamare due volte.
Arrivati a metà
pasto lo zio sfoderò il sorriso delle grandi occasioni e, come un vero signore
batté il coltello sul bicchiere per richiamare l’attenzione dei commensali che
erano ben impegnati ad ingozzarsi con salsiccia e patate fritte; quindi, il
rispettabile signor Anderson dovette provarci più volte. Ma alla fine
cominciò:- Famiglia, ho una piacevole sorpresa per tutti voi, stasera. Quindi,
vi prego, ascoltatemi.- All’inizio tutti i membri della famiglia lo guardarono
incuriositi e un po’ shockati, ma poi la signora disse:- oh, si, dicci, caro. -
- si, si, papà,
dicci- disse Chelsea con la sua tenera vocina spaccatimpani.-
- dai, dicci,
papà…- fece eco Ben.
-Beh…- Il signor
Anderson si era alzato e aveva cercato di assumere una posizione e
un’espressione entusiasmante. – Tra una settimana, noi…- era piacevolmente
eccitato dall’avere tutta l’attenzione su di lui. –noi.. beh, noi…-
-su, caro,
diccelo, siamo curiosi- intervenne la moglie in salvo.
-ecco, si, noi…t-tra
una settimana… c -CI TRASFERIAMO A NEW YORK!-
la zia, Chelsea e
quel ritardato di Ben lo guardavano con gli occhi sbarrati, come se gli fosse
uscita di bocca una schifosa parolaccia.
- Come?- disse la
moglie.
- s- si è… è per
un motivo di lavoro, ho già preparato tutto, il volo è tra una settimana
esatta, da Boston venerdì prossimo. Guarda, tesoro, ho anche una foto della
nostra nuova casa, non sei contenta? Guarda, ho anche la descrizione…-
passò la foto
alla moglie che la guardò con diffidenza. Poi si mise a leggere a voce alta: -
“…su due livelli, in città, con salone, cucina spaziosa, più soffitta e
ampio scantinato, due camere, riscaldamento centralizzato… un momento Due
camere??!-
- Oh, cara Rose,
lo sapevo che l’avresti presa così, ma il tuo caro marito ha un piano…- disse
in tono di scusa Robert.
- ah, si e quale
sarebbe questo piano?!- disse la donna senza far finire di parlare l’uomo, che
sembrava sull’orlo di un collasso. –Quale sarebbe la tua geniale idea, razza di
pollo senza cervello,eh? La tua stupida casetta ha due camere e noi siamo in
quattr… eh, cioè in cinque, si!- finì guardando anche Heineken che ascoltava
interessata la conversazione e la prospettiva di un improvviso cambiamento di
realtà.
- e poi… poi
perché non ce ne hai parlato prima, stupido, ignorante, una settimana prima,
certo! E dove troveremo il tempo per fare tutto il trasloco, eh?! Ma poi…
perché accidenti partiamo da Boston se qui a Providence non siamo poi così
lontani?!!-
Prima che lo zio
potesse rispondere, o almeno asciugarsi il sudore freddo che gli grondava dalla
fronte; intervenne Chelsea: - e le mie amiche, papà? E le cheerleader? Oh, come
farò,io?- poi si mise a piangere.
– si papà, gli
amici…- le fece eco Ben, che però non si mise a piangere, ma si limitò a fissare
il padre con la bocca aperta. Questo, che sembrava appena uscito dal reparto di
neurochirurgia dell’ospedale locale, raccolse tutte le sue forze e rispose alla
moglie in maniera poco opportuna come faceva ogni qual volta che era nervoso:-
m- ma cara, io ci ho pensato: Chelsea ed Heineken dormiranno in una stanza, e
Ben dormirà con noi sino ai ventun anni; come ha fatto mio cugino Frank…-
- Tu non hai un
cugino Frank!- urlò la moglie. Nel mentre, al pensiero di dover lasciare le sue
care amichette e dividere una stanza con Heineken, Chelsea si mise a ululare
ancora più forte e Ben continuava a chiedere con insistenza al padre se nella
capitale ci fossero già i computer super attrezzati che aveva visto nei
telefilm di fantascienza tipo Star-trek o cose del genere.
In tutta questa
confusione Heineken riuscì a intravedere uno sguardo di supplichevole aiuto
lanciatole dallo zio circa un secondo prima che avvenisse l’eruzione. Tutto in
una volta Robert batté forte la mano sul tavolo e urlò:- BASTA! Ora basta,
maledizione! Allora, per quanto riguarda il trasloco ci ha già pensato il mio
capoufficio; arriveranno due tizi domani. E anche per le iscrizioni scolastiche
dei ragazzi è tutto sistemato. Per la questione delle camere divideremo la
soffitta in due dove dormiranno le ragazze e nell’altre due dormiremo noi e
Ben. E per quanto riguarda i computer super technologizzati, no, Ben,
maledizione, non sono ancora arrivati alla fantascienza quei maledetti
newyorkesi, accidenti!-
Tutta la famiglia
rimase zitta. Rose pareva essersi calmata, invece. –Ok, Robert, se la metti su
questo piano per noi va bene. E adesso tutti a letto, forza!- concluse
rivolgendosi ai figli e alla nipote. Heineken guardò l’orologio e disse: - a
letto? Ma sono le nov…-
-HAI SENTITO TUA
ZIA E ADESSO ANDATE SUBITO A LETTO, SUBITO!-
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
I sette giorni
che precedettero il trasferimento nella grande mela furono alquanto stressanti
per tutti. Il signor Anderson litigava continuamente con i dipendenti della
società “Traslochi economici se siete insoddisfatti del servizio chiamate la
ditta, per pietà non fateci causa” e,
del resto, con tutta la famiglia: la moglie non voleva rinunciare a tutto il
suo set di cosmetici ed elettrostimolatori che si voleva portare con lei
sull’aereo anzi che imbarcarli negli scatoloni, Ben continuava a chiedere se i
ragazzini di New York sarebbero stati disposti a far amicizia con uno di fuori come lui, (cosa alla quale
il padre rispondeva sempre – ma certo, figliolo, certo…-); e Chelsea restava tutto
il giorno attaccata al telefono per salutare con commozione tutte le sue 25 compagne-amiche con telefonate
interminabili. Quindi il signore dovette anche ricorrere a psico farmaci
tranquillanti quando si vide arrivare inaspettatamente l’ultima bolletta del
telefono.
Quanto a Heineken
aveva già messo negli scatoloni le sue cose e adesso passava il suo tempo fuori
casa. Anche lei, del resto, era rimasta un po’ sconcertata dall’improvvisa
notizia del cambiamento di città e dalla confusione che adesso regnava in casa
loro. Ma allo stesso tempo era eccitata: dalla loro piccola, periferica
cittadina di provincia alla capitale. Forse li avrebbe avuto qualche speranza
di un’audizione, non so, di un’occasione, ecco.
Si, ci sperava
molto.
Alla fine, tra
tranquillanti, scatoloni, litigi vari e tensione alle stelle, gli Anderson
erano riusciti ad arrivare tutti interi alla partenza. Ah,non proprio tutti:
mentre aveva la testa china sul game-boy, Ben aveva sbattuto la testa sul
camion della ditta dei traslochi e si era provocato un gran livido. Ma a parte
questo, tutto sommato, andava bene.
Prima di entrare
in macchina per recarsi all’aeroporto di Boston il signor Anderson si rivolse
alla famiglia:- allora, non è eccitante? Stiamo andando nella capitale! A New
York, ci pensate? Dai, voglio vedere dei sorrisi, vi prego, dovreste essere
contenti di tutto ciò!- In un primo momento nessuno disse niente: Chelsea
guardava il cellulare, Ben si massaggiava la testa. Ad Heineken sarebbe
piaciuto fargli un sorriso di solidarietà perché, pover’uomo, le faceva pena.
Ma prima che potesse farlo fu interrotta dalla voce della zia che disse in tono
piatto:- ma smettila, brutto imbecille, e dammi una mano con le valigie -
Il viaggio
sull’aereo fu piuttosto entusiasmante per Heineken, anche se non
particolarmente lungo: era il suo primo viaggio via aerea, tutti gli altri
viaggi con la famiglia adottiva erano stati perlopiù in macchina e la zia
diceva che era per colpa sua che non erano potuti partire in altro modo. Ma
questa era la sua prima volta in aereo e non se la voleva rovinare con stupidi
sensi di colpa inesistenti.
Gli zii invece
non parlavano: stavano seduti affiancati, ma ognuno si faceva gli affari suoi:
Robert guardava un giornale di motori e la moglie si faceva la manicure col
nails – set che era riuscita a salvare portandoselo in volo.
Arrivati a terra
per gli Anderson fu un mezzo shock. Cambiavano gli accenti, i modi di fare, le
persone e i erano tutte quelle cose che si possono trovare in una metropoli
multietnica. E per gente provinciale come loro questo non era poco. Decisero di
rimanere sempre tutti insieme e senza separarsi.
Poi presero un
taxi che li condusse alla loro nuova modesta casa. Era solo una villa
moderatamente grande lastricata in mattoncini all’inglese grigi che davano
un’aria vecchia. Sembrava stata usata per la scenografia di un film horror di
serie B.
-Aah, è tutta
arredata, avete visto? Come vi avevo detto! Avete visto che bella? Eh? Dai,
dai, ora andiamo a posare i bagagli e ci riposiamo. Chelsea, tesoro, tu e tua
cugina in soffitta, Ben al piano di sopra. Ed io e te, tesoro…-
- Era meglio se
affittavi un centro di prima accoglienza.- disse Rose in tono piatto.
Heineken lesse la
disperazione sul volto dello zio.
- Hanny,
andiamo?- disse la cugina tenendo in mano una delle sue valigette rosa e
celeste.
-Si, un momento,
ti raggiungo subito, Chelsea.- rispose. Poi si avvicinò allo zio, anche lui
rimasto da solo, perché la moglie era già andata a sistemare la stanza, e gli
disse:- sai, zio, questa casa non è male. Mi piace. E anche molto. È
accogliente, credo che mi ci ambienterò subito. – Il signor Anderson a quelle
parole si era tolto la testa dalle mani e aveva fatto un sorriso gonfio di
commozione alla nipote. Heineken sorrise a sua volta e corse in soffitta per sistemare i suoi bagagli e forse –ma
molto in lontananza- dare una mano alla cugina.
Come entrò dalla
porta della soffitta trovò Chelsea di spalle che fissava il muro, e tutti i
bagagli sparsi a terra.
- Chelsea, ma
cosa…-
Un urlo echeggiò
in tutto il vicinato, e un beauty case volò via dalla finestrella della
soffitta.
- Chelsea, ma sei
pazza?! Che cosa stai facendo?- gridò Heineken buttandosi sulla cugina, che
sembrava vittima di una crisi isterica in piena regola; cercando di calmarla. –
Chelsea, fermati! Chelsea che cosa stai facendo?! smettila di urlare! Che cos’
hai?! - La ragazzina aveva il viso
coperto di lacrime, si era gettata in terra, con la testa sopra la ginocchia
della cugina e stava urlando:- Hannie, ma ti sembra una camera questa?
Guardala, è tutta sporca, polverosa, buia e brutta! Oh, mi fa schifo, voglio
tornare a casaa!- Heineken si guardò in torno. Era una soffitta, quindi era
logico che era buia, ma forse questo Chelsea non l’aveva capito. Però i capi
del padre si potevano permettere di far dare una pulita in giro…
- Sarà meglio che
chiami Maggie e Giorgia per tirarmi un po’ su…- disse Chelsea tra le lacrime e
uscì dalla soffitta. La sua fragilità ad Heineken faceva un po’ pena. Ma circa
una frazione di secondo dopo considerò la possibilità dell’alibi della crisi
esistenziale per non svuotare i bagagli. Anche una stupida come Chelsea aveva i
suoi momenti di furbizia ogni tanto.
Heineken mise a
posto le sue cose e mise le lenzuola nel suo letto. Poi scese al piano
terra.
Trovò la zia in
bikini sdraiata sul divano con cosce, glutei e addome che vibravano per via
dell’elettrostimolatore che, alla fine, era riuscita a portarsi dietro e lo zio
che probabilmente cercava di ingraziarsela, facendosi perdonare per il
bruschissimo cambiamento di città, con un massaggio alle spalle.
- io esco, vado a
farmi un giro- disse la ragazza dirigendosi verso la porta d’ingresso. –No, no!
Rimani qui!- esclamò la zia. Suo marito si alzò in piedi di scatto e andò verso
la ragazza:- vedi, cara, (era la prima volta che usava un “cara” con lei) siamo
appena arrivati, tu non conosci ancora la città, bisogna stare insieme,
all’aeroporto ci siamo ripromessi tutti di stare l’uno vicino all’altro e di
non separarci…- Heineken stava per rispondere,ma fu interrotta dallo zio con un
soffocato: -ti prego…- . Allora la
nipote fece per tornarsene nella sua soffitta, ma la zia la richiamò:- Ah,
Heineken…-
-Si?-
- Stasera digiuno
assoluto per tutti, non ho avuto tempo per fare la spesa.-
Al sentir queste
parole lo zio assunse un espressione di sentito dolore. -…Mangeremo domani. Anzi, meglio che tu,
Chelsea e Ben ora andate a letto. Il viaggio è stato molto faticoso e siamo qui
da appena due ore.-
Erano le sette e
mezza scarse.
- Zia, la
settimana scorsa erano le nove ed era ancora ragionevole, ma adess…-
Il signor
Anderson era fuori di se per il mancato entusiasmo della famiglia e,
soprattutto, per la mancata cena. Quindi gridò:-HAI SENTITO TUA ZA, E ADESSO
FILA A LETTO, SUBITO!-
Heineken si avviò
verso la soffitta senza avvisare Chelsea. Se doveva condividere la stanza con
lei, che era già molto stressante, era meglio condividerla il più tardi
possibile. Arrivata, si buttò sul letto e cominciò a riflettere; ma in maniera
un po’ diversa di come lo faceva a casa. Le venne in mente che l’indomani
sarebbe andata in una scuola nuova, avrebbe conosciuto gente diversa, forse
avrebbe trovato persino degli amici… strano, però, tutto ciò non la esaltava.
Beh, sicuramente non avrebbe avuto reazioni di pianto isterico come la cugina,
ma prima credeva di essere più entusiasmata per quello. Invece non la toccava.
A dispiacerle un po’ era la mancanza della sua piscina e dei suoi quartieri
periferici ad alto rischio. La sua cara piscina… chissà se ne avrebbe trovato
un’altra qui, senza telecamere e senza il lucchetto all’ingresso.
Con questi
pensieri si addormentò con tranquillità e un po’ di malinconia sino
all’indomani mattina.
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Il giorno dopo
Heineken si svegliò con una strana sensazione ed un forte mal di testa; ma non
ci stesse a pensare troppo e lo attribuì al fatto che aveva dormito vestita (ma
questo lo faceva spesso) e in una strana posizione. Come scese dal letto andò
subito in cucina con una gran fame. Di sotto c’era tutta la famiglia, compreso
suo zio ancora in pigiama e ancora in collera per aver saltato il giorno prima
la tanto sperata cena.
La zia annunciò
pubblicamente: - ragazzi, ieri notte io e vostro padre abbiamo scoperto che
nello scantinato il tizio che abitava qui prima di noi qui ha lasciato un po’
di provviste di cereali, che useremo per la colaz… ma dove sono finiti quei
cereali?- concluse guardando la scatola di corn- flakes vuota. Poi guardò il
marito e intravide una macchia di latte e cereali sul pigiama e qualche avanzo
tra i baffi. Decise di stendere un velo pietoso e non disse niente, ma tagliò
corto:- beh.. io stamattina vado a fare la spesa… nel frattempo potete prendere
dei soldi e comprarvi qualcosa al bar… ehm, si, fermatevi ad un bar. Ora
andatevi a preparare, vi lascio i soldi sul tavolo.- Chelsea e Ben guardavano
la madre incuriositi e senza capire, mentre ad Heineken veniva da ridere; aveva
capito tutto; ma decise di non farlo per non rovinare ancora “la bellissima
armonia di questa famiglia”. Tornò in soffitta. Mise qualche quaderno nello
zainetto per scuola e decise di rimanere con gli stessi vestiti del giorno e la
notte prima: non era di quelle che ci badavano troppo all’estetica e poi i suoi
jeans non erano mica sporchi.
Scese in un lampo
e tornò al piano terra. Prese una parte dei soldi che la zia aveva lasciato sul
tavolo per la colazione e fece per uscire mormorando un “io vado”, ma fu, come
spesso capitava, fermata dalla signora Anderson:- ehi, tu ragazzina, dove stai
andando con quei soldi?- A volte Heineken aveva seri dubbi sulle capacità
logico- intuitive della donna.
- sto andando a
scuola e con i soldi che tu mi hai lasciato sul tavolo, strada facendo mi
pagherò la colazione che qualcuno si è inavvertitamente sgraffignato. –
disse la ragazza
scandendo le parole. Lo zio diventò più rosso del solito.
- beh,non puoi-
rispose la zia in tono severo.
- e per quale
motivo?-
- Perché quei
soldi sono per Ben. Lo sai quanto mangia per mantenersi in forma, povero
ragazzo…-
- già, si vede
com’è denutrito…-
- Non fare la
spiritosa con me, ragazzina! Quei soldi sono per Ben, fine della storia. E gli
altri per Chelsea. Ora vai a scuola e dopo le tre fatti uno di quei bei giri
lunghi che ti piace tanto fare, così non saremo costretti a sopportare una
ragazzina impertinente!-
- oh, con grande
piacere!- rispose Heineken sbattendosi la porta alle spalle.
Così quei
bifolchi non la sopportavano a tal punto di lasciarla senza mangiare e la
volevano fuori casa. Oh, beh, sul secondo punto erano d’accordo comunque…
Ora la testa le
pulsava e le doleva più forte. Ma che aveva fatto perché sua madre, già, sua
madre, la lasciasse con gente così, eh? Ma cosa le aveva fatto?
Arrivò a scuola
circa un quarto d’ora dopo. Era parecchio più grande di quella dove andava
prima. Da fuori sembrava bella. Si voltò un attimo e fece in tempo a vedere
Chelsea e Ben dentro la macchina della madre che, però, non si fermavano alla
scuola di Heineken, ma andavano più avanti. Ah, era così, non gli avevano
iscritti neanche nella sua stessa scuola, mitico come gli zii facevano vedere
che secondo loro Heineken non era più
prestigiosa dei figli, che, invece, erano due avanzi di uomini di Neanderthal
in realtà…
Non ci pensò più
di tanto ed entrò; andò nell’andito e, trovato un armadietto libero, cominciò a sistemare le sue cose
dentro. Ad un certo punto sentì una voce, anzi due:
- Ciao. -
- tu devi essere
quella nuova studentessa venuta da… boh, che ne so…-
- Come si chiama
la tua città, ragazza nuova?-
- e tu come ti
chiami?-
Heineken si girò.
Per un momento credette di vederci doppio a causa del mal di testa, poi capì:
due gemelle le avevano rivolto la parola. Erano molto carine: magre e alte,
avevano tutte e due i capelli castano chiaro liscissimi e una aveva gli occhi
verdi, l’altra castani. Strano, per essere due gemelle.
- oh, c- ciao-
rispose Heineken massaggiandosi la testa.
- tutto bene?-
disse una di loro.
- si, grazie.
Come fate a sapere che sono nuova?-
- oh, qui le voci
girano…- rispose l’altra. –a proposito; io mi chiamo Nicole, ma puoi chiamarmi
Nicky e lei è mia sorella Sarah. -
-Piacere. Sarà un
po’ difficile riconoscervi…- rispose Heineken accennando un sorriso.
Anche le due
sorrisero e Nicky disse:- non ti preoccupare, succede spesso. Ci somigliamo
anche se siamo eterozigote. Comunque noi portiamo sempre una collanina con
scritta la nostra iniziale, così è più facile per gli altri…-
- e poi io ho
anche i capelli più corti, se lo hai notato…- disse l’altra.
Heineken lo
notava solo adesso.
-mi sembra una
buona idea la storia delle collanine…- rispose Heineken.
- e tu come ti
chiami?- chiese Sarah.
- Oh, io…Hen..
cioè…-
-cosa?-
Heineken non
voleva dire il suo nome. Non voleva fare la figura della perfetta idiota di
fronte alle due ragazze. Quindi mentì.
- Ann, il mio
nome è Ann. -
- oh, molto
carino come nome .- replicò Sarah.
- vieni, Ann, ti
facciamo conoscere il resto della scuola…- disse l’altra.
La “conoscenza
del resto della scuola” fu piuttosto interessante. Le due gemelle la stavano
trascinando da una parte all’altra dell’istituto; sembrava la tortura dei
quattro cavalli che ti tiravano tutti in direzioni diverse…
- Questo è Jim,
uno dei nostri. - Le disse Sarah portandola da un ragazzo alto, magro, dai
capelli neri e la pelle chiara con un paio di occhiali scuri sul naso. – Jim,
questa è Ann; una nuova. -
- Piacere, Ann.-
rispose il ragazzo.
- piacere. –
disse Heineken, alias Ann.
- Ah, a
proposito, voi due, Nicky e Sarah, avete visto in giro Morgan Phirson?
CRASH!
All’improvviso, l’estintore affianco a loro cadde e si ruppe. Jim rise.
- ma allora sei
proprio un cretino, Jim!- esclamò Nicky. –ti abbiamo detto un milione di volte
che non devi nominare il nome di M.P. invano, altrimenti fai danno! Capito?
M.P.!- Jim rise ancora.
- chi è questa
Mor… cioè, M.P?- chiese Heineken.
- oh, una che
porta sfiga- rispose Sarah.
- Che porta
sfiga?- ripeté Heineken.
- Si, è una
nostra amica, solo che ogni volta che uno dice il suo nome per intero succede
qualcosa di catastrofico. A proposito, spostiamoci dall’estintore prima che
diano la colpa a noi. Vuoi vedere come porta sfiga quel nome?-
Senza aspettare
risposta la ragazza fece pochi passi più avanti, fermò un
ragazzo di passaggio è gli disse: - Morgan Phirson. – Il tipo stava per
prenderla per un’idiota ma non ne ebbe il tempo perché un grosso vaso di fiori,
messo sopra l’armadietto di una prof. per bellezza, gli cadde in testa
facendolo finire a terra. Sarah gli rivolse uno sguardo poi si rivolse ad
Heineken:- visto??-
La ragazza non
sapeva se ridere o cominciare ad avere paura… alla fine optò per la prima
ipotesi.
In quel momento
suonò la campana. – alla ricreazione ti facciamo conoscere altri… per il
momento hai conosciuto me, mia sorella, Jim e in un certo senso anche M.P. ora
preparati al peggio: conoscere i professori - disse Nicky sorridendo. Heineken
ricambiò. Sino a quel momento erano stati tutti molto gentili con lei, quasi
per costrizione. Non sapeva il motivo, ma non le importava. In quel momento era
contenta.
Fu arrivata in
classe che successe la catastrofe.
Una professoressa
faceva l’appello. Tutto bene finché…
- Anderson! Heineken Anderson! Cos’è assente? Heineken!-
- Spiacente,
prof, è rimasta solo la Becks !- esclamò Jim, seguito dalle risate della
classe.
-… ma insomma, la
nuova ragazza, Heineken Anderson, c’è si o no?!-
A quel punto la
“nuova ragazza” non poté più fare a meno di sollevare timidamente la mano a
testa bassa.
- OOH! È ci
voleva molto a rispondere, Anderson! Insomma, stai ancora dormendo?-
Tutti i ragazzi
nel frattempo erano ammutoliti. Qualcuno ridacchiava, altri, come le gemelle
Williams, Nicky e Sarah, la guardavano accigliate in una smorfia di
incomprensione.
Ma come aveva
fatto a non pensarci prima? L’appello, accidenti! Tutti avrebbero saputo il suo
nome! E per di più ora aveva fatto anche una memorabile figuraccia con delle
persone con cui poteva nascere un’amicizia. Tutta colpa del mal di testa… vabbè
si era giocata solo un’altra possibilità di avere amici. Pazienza…
Rimase in
silenzio, con il viso arrossato. A rompere questo silenzio fu una ragazzina che
disse: - Heineken? Come la birra?-
- beh, allora,
su, dicci qualcosa di te, Heineken. - ordinò la professoressa con un tono di voce falsamente materno.
All’improvviso ad Heineken venne l’illuminazione. – o- oh, si beh, il mio nome
è Heineken, esatto, ma tutti mi chiamano Ann. E in effetti preferisco essere
chiamata così…-
- ma perché? Il
tuo nome è così particolare… credo che Heineken fosse una divinità celtica
degli Unni… io insegno storia, sai?- Ad un certo punto l’attenzione della
classe si spostò sulla professoressa con ancora sguardi di incomprensione. Sarà
anche che quest’ultima insegnava storia, ma proprio non sapeva niente. Ma chi
gliel’aveva data la laurea, Attila? A proposito di Unni, infatti…
- sono sicura che
tua madre si è ispirata a lei, per darti questo affascinante nome. Cos’è tua
madre, nordeuropea, come erano gli Unni?-
“No, mia madre
era americana e mi ha dato questo nome orrendo perché quando mi stava
partorendo nel frattempo si stava facendo una cassa di Heineken” pensò la ragazza;
ma invece disse:- non so…-
- Ooh, cara, sono
sicura che tua madre è una donna molto colta per darti un nome così ricercato.- disse la
professoressa.
“questo non lo
so, ma più colta di te doveva esserlo sicuramente…” pensò. Ma disse: - non lo
so sinceramente…-
- ti pace la
storia?-
- si. –
- qual’era la tua
materia preferita nella scuola dove andavi prima?-
- non ne avevo
una in particolare…-
- ah, dinne una,
dai… -
- forse musica…-
- e per quale
motivo?- la prof. Era quasi indispettita per il fatto che Heineken non avesse
detto “storia”.
- era
interessante: stavo imparando a suonare uno strumento-
- e quale?-
- chitarra
elettrica, prof. -
Era vero solo a
metà. Si, a scuola le avrebbero potuto insegnare anche questo, ma le cose che
lei sapeva sullo strumento gliele aveva insegnate un punk con la sua band,
durante le sue uscite notturne.
- Ah… va bene,
però ora iniziamo con la lezione di storia, e non stiamo a parlare di chitarre
elettriche, che la cultura non ha tempo!- esclamò la professoressa alzandosi e
dirigendosi verso la lavagna. – con lei, però ne ha avuto di tempo…- bisbigliò una voce dal fondo aula.
Circa un’ora e
mezza dopo le gemelle “trasportarono” Heineken fuori in cortile per la
ricreazione. Intenzionate, chiaramente, a farle conoscere il resto della
scuola.
- ma perché non
ci hai detto subito il tuo vero nome?- chiese Sarah.
Nicky le diede
una gomitata. Quest’ultima aveva capito già tutto.
- non ti
preoccupare, noi continueremo a chiamarti Ann, se preferisci così. -
- io continuo a
ripetere: perché non ce lo hai detto prima? Noi non avremmo mica riso…- Questa
volta la sorella le tirò un colpo ancore più forte.
- Ahi!- urlò
Sarah.
- se ce una cosa
che non sopporto è di avere una sorella così simile a me, però cosi TONTA! Dai,
Ann, ti facciamo conoscere il resto del mondo…-
ad un certo punto
arrivò Jim da dietro correndo. Fermò le tre e disse: - oh, scusa Heineken, per
la battuta sulla Becks, ti giuro, credevo che la prof. Fosse vittima di un
altro dei suoi flash di ignoranza, come quando ha definito gli Unni tedeschi…
non credevo parlasse di te. Comunque il tuo nome mi piace, ma se vuoi essere
chiamata Ann…-
A quel punto
Heineken disse:- uff, vabbè chiamatemi
col mio nome!-
- e perché adesso
fai così?- chiese Sarah.
- Heineken va
bene lo stesso. -
Heineken non
voleva fare la patetica figura di usufruire
di un nome falso per vergogna. Quindi aveva cambiato idea radicalmente.
Nicky cambiò
argomento: - guarda, la c’è una persona che ti dovremo far conoscere: Michelle!
Ehi, Michelle!-
Una ragazza si
avvicinò ai quattro. Aveva un fisico longilineo e minuto, liscissimi capelli
castani tenuti in uno chignon con due ciuffi che cadevano su due occhi grandi e
celesti; da cerbiatta. Aveva un sorriso bianco e smagliante.
- Ciao!- disse.
- dobbiamo presentarti
una persona. - disse Nicky.
- Lei è Heineken
– continuò Sarah.
- Piacere, Heineken…
- disse la ragazza.
- piacere.–
- non farti
ingannare da quelli occhioni…- le disse tra i denti Jim da dietro.
- Heineken come
la birra?- chiese la ragazza.
- no, come la
divinità unno - germanica per la precisione…- disse Jim. Tutti risero tranne
Michelle.
-Perché scusa?-
- ah, tu non sei
nella nostra classe, non lo puoi sapere. -
- un’altra uscita
della signorina Smith? –
- esatto. –
- Ok, siamo stati
felici di averti fatto conoscere la nuova ragazza, Michelle, ora le facciamo conoscere i tre ragazzi e M.P… a
dopo…- disse Nicky
- Non farle
conoscere M.P!- esclamò Michelle.
- ok, ok, a
dopo…-
Non fecero pochi
metri che…
- Ciao Sean! Jesse,
John… - Nicky salutò tre ragazzi
- Ciao, ragazze…
e ragazzo- concluse uno di loro guardando Jim.
- Lei è Heineken.
–
- Ciao, Heineken
- dissero i tre. – scusate, dobbiamo andare; abbiamo il compito… -
- ok- disse Nicky.
- ... e se vedi
Michelle dille che non se la può svignare come l’altra volta!-
Le gemelle
accennarono un sorriso. Heineken invece era convinta di aver preso una
cantonata un’altra volta per via del suo mal di testa che ora era diventato più
forte. Michelle svignarsela? Sembrava la tipica studentessa modello…
- allora, visto
che quei tre deficienti si sono dileguati ti diciamo noi chi sono…-
disse Sarah: -
quello coi rasta è John, è nella classe di Michelle, M.P e gli altri due e
suona la batteria. Tu suoni chitarra elettrica, potreste…-
Heineken la
interruppe: - e gli altri due?-
- Quello coi
capelli castani è Sean e suona chitarra elettrica come te… ah a proposito
suonano tutti nella band di Jim. –
- Jim, tu hai una
band?- gli chiese Heineken con stupore.
- si…-
- che genere
fate?-
- rock -
- bello-
- grazie. –
- e Jesse è
quello coi capelli biondi e gli occhi verdi. - continuò Sarah.
- che strumento
suoni?- chiese Heineken a Jim.
- Basso. –
rispose l’altro.
In quel momento
suonò la campana. Fecero per dirigersi verso il portone quando, all’entrata,
una ragazza alta, con i capelli biondo cenere, lentiggini occhi celesti assenti li salutò flebilmente:
- ciao…-
- ciao, Morgan…-
disse Sarah.
- M.P, questa è
Heineken, una nuova dei nostri. -
Heineken ebbe una
specie di sussulto allo stomaco. Faceva già parte di un gruppo?
- ciao,
Heineken…-
- ciao, Morgan. –
- beh, io ora
devo andare; ho il compito. Ciao…-
- ciao- dissero
in coro i quattro.
- era lei Morgan
Phirs.. e cioè, quella che porta sfiga secondo voi?-
- si, proprio
lei…- disse Nicky indifferentemente.
- a me sembra…
cioè…- (Heineken non voleva usare il termine “Povera sfigata” per una persona
che aveva appena visto…)
- oh, non viene
trattata troppo bene. – rispose Sarah.
Passarono le ore
e venne quella dell’uscita da scuola. Heineken salutò gli altri e dopo
essersene andata un po’ in giro tornò a casa con il sorriso stampato sulle
labbra. Sentiva una stranissima sensazione dentro, non sapeva cos’era. Poi,
improvvisamente lo capì: era felicità.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Non passò una settimana
che tra Heineken e i ragazzi che aveva conosciuto a scuola si era formata una
confidenziale amicizia e avevano formato un bel gruppo: C’erano lei, le gemelle
Williams, Jim, Sean, Jesse e John, Morgan Phirs… (CRASH! Oh, no, si è rotto il
porta CD!), vabbè, M.P, e Michelle.
Era proprio con
quest’ultima che Heineken stava chiacchierando nei corridoi durante
l’intervallo:
- … quindi non
andavi spesso a scuola…?- disse Michelle senza smettere di fissare la pioggia
al di fuori della finestra.
- si, non mi
piaceva molto. –
- e ti sembra un
buon motivo per smettere di frequentarla?-
- non c’era molta
gente che si facesse i fatti miei, quindi passavo inosservata. -
- mh…- Michelle
accennò un sorriso a bocca chiusa e la guardò.
- a scuola si va…-
- lo so -
- Penso che noi
due andremo molto d’accordo, Heineken. –
- Anch’io. –
Michelle sembrava
una persona così dolce, così simpatica, così gentile… e anche il suo look era
il sogno di tutte le mamme: semplice e non aggressivo. Com’era possibile non
diventarle amica? Ti andava a genio anche se eravate due persone completamente
diverse. Michelle era quella che si definisce un angelo.
- …comunque anche
questa scuola non sarà il massimo per te. Fa schifo, compresa l’ignoranza dei
professori e la fessaggine degli studenti: una massa di poveri sfigati…-
- A proposito,
che mi dici di M.P? –
La compagna la
guardò con un’espressione interrogativa.
- No, perché non
l’ ho conosciuta bene, l’ ho vista poco…- disse Heineken quasi in tono di
scusa. Michelle tornò a fissare la pioggia. Spiegò:
- è sempre sola,
i compagni la evitano proprio perché è una che porta jella. Vive in una casa
mobile con solo la madre che serve gli hamburger al drive- in. Prima aveva
anche il padre, che lavorava in una fabbrica dove riciclavano canottiere usate.
Ora è ricercato da qualche parte nel Michigan per aver venduto false azioni su
una azienda siderurgica inesistente. E in più adesso credo che Morgan si faccia
di crack. –
- ma Nicole e
Sarah mi hanno detto che fa parte della cricca…-
- Oh, si… ma se
non c’era Jim ad avvicinarsela col cavolo che ce la prendevamo! In tutta
confidenza, credo che Jim abbia una cotta per lei-
Heineken sorrise
e Michelle fece lo stesso.
Suonò la campana.
Prima che tutte e due potessero tornare nelle proprie classi Heineken venne
fermata dall’altra.
- ah, Heineken…-
-Si? –
- stasera, dopo
la scuola, ti andrebbe di venire con me a casa mia? Così stiamo un po’
insieme…-
- Ah, ok, per me
va benissimo!-
- Ci vediamo
all’uscita. –
- va bene –
Alla settima ora
Heineken era al settimo cielo. E non solo perché la professoressa di inglese si
era assopita sulla cattedra e ora tutti facevano i comodi loro. Bensì perché
era la prima volta che una ragazza la invitava a casa sua. Quando suonò la
campana corse fuori dove si incontrò con Michelle.
- era ora! Ma
quanto ci hai messo?-
- oh, alcuni miei
compagni dovevano risvegliare la professoressa e hanno insistito perché vedessi
lo spettacolo. –
- scommetto che è
stato Jim…-
- esatto. –
- Guarda, la ci
sono Jesse, John e Sean! Facciamo la strada insieme a loro?-
Prima che
Heineken potesse rispondere, la ragazza si era già avventata sui tre e gli
aveva chiesto di accompagnarle da lei. I ragazzi accettarono.
- e allora vi
conoscete già, eh?- disse John strada facendo.
- non spaventarti
quando vedrai la casa di Michelle. – aggiunse Jesse scherzando.
- ah, perché,
cosa avrebbe di brutto la mia casa?- disse la ragazza.
- no, no, niente
di particolare, ma è enorme, c’è il rischio di perdersi. –
- non è ENORME, è
una villa normale!-
- Apparteneva
alla antica e nobile stirpe dei Volkova. – disse Sean.
- Volkova? – fece
eco Heineken.
- Michelle è
russa, non lo sapevi?-
- Solo mia madre-
disse Michelle rivolgendosi ad Heineken. Sembrava seccata per la rivelazione
delle sue origini.
- Michelle Ludmilla
Marja Anastasia Volkova, per la precisione. Questo è il suo nome per intero. –
Disse John guardando negli occhi Michelle, come per sfidarla.
Questa sbiancò.
- Il padre era
americano, ma i suoi hanno divorziato e ora lei ha preso il cognome della madre
e lei, la madre e i fratelli vivono nell’enorme caseggiato della nonna…-
- se vuoi
rivelare anche la mia taglia di mutandine fai con comodo, John! – rispose
Michelle stizzita. – ecco siamo arrivate. - disse ad Heineken indicando una
strada asfaltata che terminava con una
villa abbastanza imponente. – Abbiamo camminato un bel po’, eh?-
- abbastanza…-
rispose Heineken.
- ok, ragazzi,
voi potete andare, eh?- si rivolse Michelle ai tre.
- ma come, non ci
inviti ad entrare?- chiese Sean accigliato.
- magari un’altra
volta, eh? Ciaoo! – e corse nella strada trascinando Heineken per una mano.
Dopo un po’
smisero di correre. Arrivarono in un modesto giardino, con tanti alberi che
facevano una piacevole ombra. Michele le fece vedere anche il retro della casa.
Dietro questa vi era una specie di lago. (dovrei dire “laghetto artificiale”,
ma siccome era molto grande lo chiamo direttamente “lago”. N.d.R). Strano che a New York ci fosse un’abitazione
del genere, ma ad Heineken piacque parecchio.
- carino...-
disse Heineken sarcasticamente guardando il lago illuminato a tratti dalla luce
che filtrava da una fila di abeti.
- lo costruì mio
nonno, quand’era ancora vivo. Ora lo usiamo come piscina. Beh, questa è casa
mia. –
Michelle indicò
l’imponente villa. Per essere grande era grande: dovevano essere almeno tre
piani e, per quanto riguardava l’esterno, beh, si capiva subito che apparteneva
a gente ricca.
Michelle entrò
dall’ingresso sul retro seguita da Heineken. Salutò con un bacio sulla guancia
la nonna, che era seduta in cucina, e la madre che lavava i piatti.
Quest’ultima si girò. Era davvero una bella donna: alta, capelli biondi, lunghi
e lisci; due occhi blu che sembravano due laghi gemelli illuminati dalla luna,
labbra rosse e carnose; pelle bianca. La donna salutò con cortesia la figlia e
Heineken.
- Michelle, hai
portato un’amica? –
- Si… lei è
Heineken. –
- Piacere. –
disse Heineken.
- Piacere tutto
mio. – rispose la donna dall’alto del suo metro e ottanta.
Invece la nonna
disse qualcosa che doveva essere in russo.
- ha detto che
hai occhi molto belli, in russo. – spiegò la madre di Michelle.
- grazie. –
rispose Heineken guardando la nonna.
- Ok, ora noi
andiamo in camera mia. – disse Michelle alla madre.
Mentre salirono
le scale, Michelle disse all’amica:- che palle mia madre. È sempre in mezzo tra
me e le mie amiche, non sai quanto la odio. Comunque è vero: i tuoi occhi non
sono male. –
- grazie. –
rispose Heineken guardando l’altra.
- ooh, e non dire
“grazie” per ogni complimento che ti si fa…! -
Entrarono nella
camera di Michelle. Era grandissima, fornita di cabina armadio e bagno in
camera. Il balcone forniva di una vista panoramica sul giardino davanti. Il
pavimento era in legno, come le pareti. Aveva un letto enorme e pieno di
peluche. Una libreria chilometrica e uno stereo che assomigliava di più a un
computer della NASA, pieno di manopole, pulsanti e tasti.
- Carina, la tua
camera…- disse Heineken sedendosi sul letto.
- Si, è più o
meno come la definisce mia madre. –
- perché ce l’
hai tanto con tua madre? – chiese Heineken pigramente, facendosi cadere di
schiena sul letto.
- Da come ti
comporti sembra che la odi anche tu…-
- Ma chi, tua
madre? –
- Ma no, idiota,
la tua!-
- Io? Forse, ma
ho ben altri motivi…-
- E quali
sarebbero? –
- Non importa… -
- ah, no, ho
fatto una domanda stupida, scusami. –
- Perché?- Chiese
Heineken.
- Tu vivi coi
tuoi zii. –
Ma come diavolo
faceva a saperlo?
- E tu questo
come lo sai?-
- Prima che
arrivassi tu la professoressa di biologia, che condividiamo, ha detto che
sarebbe arrivata una nuova studentessa e ci ha fatto la tua descrizione.
- E cos’altro vi
ha detto? Come faceva a sapere queste cose su di me?-
- vorrei dirti
che è pettegola, ma non credo che sia il motivo giusto alla tua domanda.
Comunque ci ha detto che vivevi coi tuoi zii, che avevi quindici anni, che
venivi da fuori New York…-
- ah, ok. –
- Heineken, tu mi
sembri una tipa tosta, sai? –
Heineken la
guardò con incomprensione. Tipa tosta?
-… forse è un
altro motivo per cui mi sei piaciuta e ho pensato che saremmo state ottime
amiche. –
- ah, per me è
ok, se pensi così… - disse Heineken ridendo.
- Che puttana!-
disse l’altra ridendo lo stesso. Cominciò a prenderla a cuscinate.
Passarono il
pomeriggio a chiacchierare, fare a cuscinate, dire scemenze e ridere, come di
solito si fa tra amiche.
Ad un certo punto
la madre di Michelle entrò in camera con un telefono in mano
- Heineken, per te. –
- per te? E chi
ti cerca? – chiese Michelle. Heineken prese il telefono. Riconobbe subito la
voce isterica e profonda dello zio: - Heineken, porca sozza! Ho telefonato a
tutti i tuoi caz… pita di compagni del tuo istituto prima di trovarti! Vieni
subito qui! Tua zia è isterica!-
Heineken era
stupita di ricevere una telefonata dello zio, che, normalmente non si curava di
lei, come del resto, faceva il resto della famiglia.
- veramente il
più isterico mi sembri tu…- rispose.
- Non fare la
cretina con me, ragazzina! Ho il nervoso a novanta!-
- Si, l’avevo
vagamente intuito…-
- TORNA SUBITO
A CASA! Anzi, no, ti vengo a prendere io con la macchina! Dimmi dove abitano
quei Vikova, Vlakova, Verrukova o come accidenti si chiamano quei bifolchi!-
Heineken diede
l’indirizzo e chiuse la comunicazione. - Mio zio sta venendo a prendermi. –
disse rivolgendosi a Michelle.
- Oh, no, che
rottura! Sono appena le sei! E per di più sta per tornare mia sorella…-
- perché, dov’è?-
- da mio padre,
all’ambasciata russa. Si sta trovando un lavoretto sfruttando le conoscenze di
mio padre. Quando finisce di lavorare torna qui. –
- ok, ora
parliamo di te. Tuo padre lavora all’ambasciata davvero?-
- ma no, per
scherzo! Certo che lavora li davvero…-
- Prima John ha
detto che non hai solo una sorella…-
- quel cretino ha
ragione: ho anche un fratello in Russia da mia zia, perché non sopportava
l’idea di vivere con i genitori divorziati e ho anche un fratello di solo un
anno più grande di me che oggi è uscito e torna stasera. –
- Ok, nomi?-
- Mia sorella
Olga, mio fratello che sta in Russia Vladimir
e l’altro Aidan. –
- quest’ ultimo
nome inglese…-
- già, come me. –
- E tua madre e
tua nonna?-
- nonna Alla e
mamma Nadja. –
Ci fu un momento
di silenzio. Heineken rifletteva su un particolare curioso su Michelle…
- Già, quelle
mentecatte di mia madre e mia nonna!… pensa che… -
- Ferma un
attimo…- disse Heineken.
Michelle la
guardò con un espressione interrogativa dipinta in viso.
- sei un po’
diversa da come ti vedo a scuola… sei… differente, ecco. - continuò Heineken.
Michelle fece un
sorriso malizioso: - sei proprio una tipa tosta, Heineken…-
In quel momento
arrivò lo zio, il signor Anderson per prenderla. Heineken poté vederlo dalla
finestra della camera della amica mentre tutto agitato, sbraitava contro la
signora Volkova. Quest’ultima rispondeva con imbarazzo e faceva espressioni di
evidente sconcerto.
- ehm, io vado…
ci vediamo domani a scuola, allora? – disse Heineken.
- Un attimo.
Senti, domani se vuoi puoi tornare. Che ne so, rimani a dormire. Così…-
- Mi piacerebbe.
Dipende da cosa è successo a casa mia. –
- Così, andiamo a
scuola insieme…- sorrise l’altra. Poi fece una risatina sguaiata.
- Ok. –
- Alle sei a
casa, allora. –
- Ti do risposta
domani a scuola. –
- Ciao -
- ciao –
Heineken scese
giù. Trovò lo zio più rosso del solito e con gli occhi spalancati.
- Finalmente, era
ora! Ma cosa ci stavi a fare tutto questo tempo su, eh? E poi qui che ci fai?!! –
- Ma si può
sapere che è successo? –
- Sali in
macchina! SCHNELL! –
- Arrivederci,
signora. – disse Heineken rivolgendosi alla madre di Michelle.
- A-
arrivederci…- rispose questa, evidente espressione shockata in viso.
- Hai
parcheggiato fin qui? Dentro il giardino?!- disse Heineken allo zio appena
salita nella macchina parcheggiata sul prato.
- EH; non è mica
colpa mia se questi incivili abitano vicino al circolo polare artico!- abbaiò
lo zio, riferendosi ala lontananza della casa di Michelle dalla loro.
Dopo circa cinque
minuti di macchina Heineken chiese nella maniera più pacata possibile allo zio
: - Allora, perché tutta questa agitazione? –
- Non lo so. –
rispose il signor Anderson. Poi aggiunse a voce bassa: - Tua zia ha ricevuto
una telefonata sospetta e ora… è nervosa!-
- Tutto questo
solo perché tua moglie è nervosa?- disse Heineken.
- Si! Si è messa
a buttare fuori dalla finestra piatti e stoviglie, a gridare, imprecare e…
urlare il tuo nome. –
- il mio nome? –
fece eco Heineken, stupita.
- Si. Ma non
chiedermi altro, non so proprio niente. Ho sentito che strillava il tuo nome e…
sono venuto a prenderti. Ma prima di trovarti ce ne è voluto… !-
Ci fu qualche
attimo di silenzio, poi Heineken disse sarcasticamente : - magari era il
comitato di adozione di Providence…-
Il signor
Anderson andò fuori strada.
- Non nominare
più quello che hai nominato, ragazzina! Mi vuoi rovinare?! - urlò lo zio.
Heineken girò la
testa verso il finestrino e sorrise.
- Quei
succhiasangue non li devi neanche citare, Heineken! Se si accorgono… cioè, no,
insomma… eh, basta! NON LI NOMINARE PIU!- Disse il signor Anderson rimettendo
in moto.
Proseguirono in
silenzio finché non arrivarono a casa. Arrivati, Heineken trovò la zia in
piedi, poggiata alla credenza, fumando una sigaretta; con tutti i piatti rotti
sparsi per terra e Chelsea e Ben dall’altra parte della stanza, guardando la
madre con orrore. ( o forse era solo stupore?)
- Ah, sei
tornata…- disse la zia a bassa voce.
- Si… Ok, zia,
ora si può sapere cosa è successo? Chi ha telefonato?-
- Non lo puoi
sapere, Heineken. – disse la zia, immobile come una salma.
- So che mi
riguarda. Cos’è successo?-
La zia rimase
ferma senza parlare.
- Dimmelo, zia. –
- No. –
- Lo devo sapere!
-
- Vai a letto,
Heineken. –
- No, ho il
diritto di saperlo. Non mi puoi dire di andare a letto ogni volta che…-
- HAI SENTITO TUA
ZIA E ORA FILA A LETTO, SUBITO!-
PER INFORMARVI SCHNELL è UNA MARCA DI BIRRA!!
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Il giorno dopo la
famiglia si ritrovò a colazione. Era tutto come se il giorno prima non fosse
successo niente. Ma Heineken sentiva uno strano clima teso nell’aria.
Probabilmente gli
Anderson sapevano tutto, ma non glielo volevano riferire. Eppure lei lo sapeva
che la riguardava! A quanto le aveva detto lo zio, almeno. Quindi aveva il
diritto di saperlo!
Ma nessuno le
diceva niente.
- io oggi vado a
dormire da Michelle. – disse Heineken, rompendo il silenzio.
- E chi è questa
Michelle? – chiese lo zio.
- Una mia amica.
Quella da cui sei andato a prendermi ieri. –
- E da quando
Hanny ha amici? – chiese Chelsea.
La zia tornò a
testa bassa a fissare la sua colazione ultra – dietetica. Disse solo:- Ok,
Heineken.
Anche il signor
Anderson guardava da un’altra parte.
- Vado da lei
alle sei. –
- Va bene - disse
la zia.
La ragazza la
fissò, come se le volesse strappare una risposta, una spiegazione del giorno
prima, ora che si erano calmate le acque…
Ma niente.
Dopo un po’ uscì
di casa. Arrivata a scuola, trovò Michelle vicino al cancello che la aspettava.
- Ciao, Heineken!
– disse dandole un bacio sulla guancia.
- Ciao…- rispose.
Quello forse era il primo bacio a stampo della sua vita.
- Allora, per
stasera?-
- Tutto ok, mi
lasciano andare. –
- Benissimo…-
rispose l’amica sfoderando un sorriso che andava da un’orecchia all’altra.
Quel giorno
Michelle sembrava una bambola: era vestita con un vestitino a fiori sbracciato
sopra un paio di jeans celesti e sandali bassi. Sempre a fiori.
- Carino quel
vestitino…- commentò Heineken.
- Si, lo so, fa
schifo…- disse l’altra.
- No, no, io
dicevo davvero! – rispose.
- E’ mia nonna
che vuole che io lo metta. Io lo odio. E visto che è troppo corto (sempre
secondo mia nonna) e che poi farei la figura dell’imbecille lo metto sopra i
jeans. Sembro un’idiota, vero?-
- No, ti sta
bene. –
- Ah, mia
nonna,come te ne sei andata ha detto un’altra cosa su di te…-
- Cosa?-
- Oh, niente, è
che non approvava per come ti vesti. –
Heineken
confrontò il suo abbigliamento con quello dell’amica, che era proprio un look
acqua e sapone.
Abbigliamento di
Michelle: già detto in precedenza.
Abbigliamento di
Heineken: Gonna lunga e nera svasata. Maglietta nera a ¾ con sopra una
sbracciata rossa con disegnata sopra la stella a sei punte. Vecchie scarpe
Converse nere, un polsino nero trovato nella “sua” piscina, probabilmente perso
da qualcuno, collarino nero gentilmente offertole da un tizio ubriaco in un pub
di periferia. Ma non era nemmeno colpa sua. Era ciò che aveva trovato che
costasse di meno coi pochi soldi che la zia le aveva dato per il vestiario.
Per non parlare
del make up…
Trucco di
Michelle: ombretto arancione acceso, matita marrone leggera e lucidalabbra…
Trucco di
Heineken: matita nera “sparata” a tutta manetta negli occhi. Risaltava il loro
blu intenso.
(non se l’era
comprata lei: un uomo l’aveva appena rubata e visto che lei era la prima
persona che aveva trovato in giro a l’una di notte, le aveva consegnato la
refurtiva per non farsi beccare con questa dai poliziotti).
La differenza era
evidente.
- Oh…-
- Ma fregatene!
Anzi, no… forse ti conviene di più apparire “brava bambina” per non dare
sospetti. E non farti rompere da mia nonna. –
Prima che
Heineken potesse risponderle suonò la campana.
- Allora stasera
alle sei?- disse Michelle allontanandosi.
- Ok…- rispose
Heineken.
Alle tre corse
subito a casa, non salutò nessuno dei familiari e si precipitò in soffitta.
Voleva cambiare il suo stile almeno per quella
sera.
Di solito non le
importava niente di come la giudicavano gli altri per com’era o per il suo modo
di vestire. Ma, non sapeva perché, voleva essere diversa. Almeno per quel
giorno. Poi le giravano in testa le parole dell’amica : “apparire da brava
bambina per non dare sospetti”.
Ma per che cosa
doveva essere sospettata?
Mise nello
zainetto il materiale per la scuola del giorno dopo e una maglietta lunga che
usava per dormire.
Alle cinque e
mezza era sull’ingresso. Vestita con: jeans celesti – bianchi (un po’
scoloriti, ma pazienza), canotta bianca con strappo davanti e cappuccio,
golfino celeste legato in vita per non far vedere i cucisivi coi teschi sulle
maniche.
- Dove stai
andando, Heineken? – chiese Ben che evidentemente non aveva ascoltato la
conversazione di quella mattina perché era troppo impegnato a riempirsi la
bocca di merendine.
- Vado a dormire
da una mia amica. Ciao. - rispose
Heineken. E chiudendo la porta si diresse verso la lontanissima casa di
Michelle.
Ci mise un ora
camminando velocemente ad arrivare. Arrivò alle sei e trentatre alla strada che
conduceva al giardino e alla casa. Tirò un sospiro di sollievo quando
all’inizio del vialetto lesse sulla cassetta delle lettere “Volkova”. Quando
arrivò davanti all’ingresso era tutta sudata. Arrivò Michelle ad aprirle.
- ciao, Heineken.
Ma quanto hai sudato?! Non ti sei fatta accompagnare?- Heineken boccheggiò un
“no” poi entrò. Salutò madre e nonna di Michelle, poi salì al piano di sopra
con lei.
- ACCIDENTI,
quanto hai sudato davvero!- esclamò Michelle quando furono sulle scale.
- Si, me la sono
fatta tutta a piedi…-
- Ma come hai
fatto? Io non ci riuscirei mai…-
- neanche io… -
- Ah, Aidan ti
vorrebbe conoscere…-
- Ok. –
Entrarono nella
stanza del fratello di Michelle. Era un po’ più stile ribelle di quella di
Michelle. C’erano poster con segni della pace dappertutto, e dei suoi gruppi
preferiti. E una puzza di sigaretta immonda. Come entrarono Aidan si spostò
dalla finestra. Era un ragazzo carino: capelli biondi folti, occhi dello stesso
colore della sorella. Corpo alto e magro.
- Mamma non sono
stato io!- urlò girandosi come sentì la porta aprirsi. Poi vedendo che era solo
Michelle con una sua amica disse: - mi hai fatto prendere un colpo, Michelle…-
- Stavi di nuovo
fumando in camera, Aidan?-
- Non provare a
dirlo a mamma! –
- oh, tanto se ne
accorgerà da sola visto che la puzza si sente sino a giù…-
- Lei chi è? –
chiese Aidan spostando l’attenzione su Heineken.
- una mia amica,
Heineken. –
- Heineken? –
- Si, Heineken. Perché?
– rispose acida la sorella.
- Ciao. – disse Aidan a Heineken.
- Ciao. – rispose
lei.
- Vuoi fumare? –
- No, sicuramente
non vuole! – disse Michelle.
- Eh, ma un
tiro…-
- Aidan, non
voglio che incolpino anche me per le tue sozzerie, capito?Vieni Heineken,
andiamo in camera mia. –
E se la trascinò
dietro chiudendosi la porta alle spalle.
- vuoi mangiare
qualcosa? – le chiese Michelle appena entrate in camera sua.
- No grazie,
mangerò a cena… -
- Sempre che
riuscirai a ingurgitarla la cena! Mia nonna ha voluto…-
- Ma perché ce l’
hai tanto con tua nonna?! -
-Vuoi saperlo?
Perché è una vecchia rincretinita, ecco perché!-
- Non ti seguo…tu
sembri l’orgoglio di tua nonna-
Michelle fece
ancora una volta il suo sorrisetto malizioso: - probabilmente te ne accorgerai
a cena. –
Qualche minuto
dopo sentirono la voce della madre che le chiamava per la cena.
La cena Heineken
riuscì a “ingurgitarla” come diceva Michelle. Fu la nonna che apparentemente
sembrava non riuscire ad ingurgitare lei.
- oggi stai molto
meglio, ragazzina. – Disse Alla guardando Heineken.
- g- grazie…-
rispose la ragazza.
- ieri tu era vestita
come delinquente… menomale che Michelle non fa cosi…-
Heineken sorrise
nervosamente.
Alla guardò sua
figlia e disse: - Nadja, Michelle è proprio il mio orgoglio, sai?-
La donna non
rispondeva, ma si limitava a guardare sua madre, che dava un pizzicotto alla
nipote.
- Forse anche
suoi compagni dovrebbero prendere esempio da lei. –
aggiunse la
nonna, mentre Michelle sorrideva.
- e anche tu,
cara…-
Heineken continuò
a sorridere nervosamente. Poco dopo Michelle se la portò con se in camera sua.
- ora hai capito
perché la odio? – disse ad Heineken.
-
sì…perfettamente. –
- scommetto che
la figura più patetica in tutto ciò è mia madre. –
Heineken
approvava. Ma in un primo momento non disse niente.
- Non dice mai
niente, è sempre al servizio di mia nonna, perché è lei che mantiene tutto. Mia
madre non lavora. I nostri soldi dipendono dagli scarsi alimenti che paga mio
padre e gran parte dall’enorme quantità di ricchezza di mia nonna. Senza di lei
saremmo perdute. –
Heineken non disse niente.
- menomale che in
camera mia non mi controlla nessuno… - continuò Michelle. Fece cenno all’amica
di sedersi sul letto. Poi da dietro di questo tirò fuori una bottiglia di vino.
- Che ci fa del
vino in camera tua? –
- Shh! – la zittì
l’altra. - Vuoi che mia madre se ne accorga?-
Stappò la
bottiglia con un morso e poi continuò: - non è granché, ma… sempre meglio di
bere acqua. –
- Ah, ecco. – disse Heineken.
- Ecco cosa?-
- quando
intendevi “fare la brava bambina per non dare sospetti…”-
- Eh, già…! –
esclamò l’altra. – Tocca proprio farlo per mettere a tacere quelle due fesse
laggiù…- e fece un lungo sorso di quel vino.
- 12 gradi,
invecchiato 11 anni! – poi rise. – ce lo ha inviato mio padre per natale, ma sa
benissimo che mia madre è astemia. Quindi ho tirato fuori la scusa che l’avevo
dato in beneficenza e me lo sono nascosto qui. Aspettavo un’occasione del
genere per stapparlo! – detto questo, abbracciò Heineken.
- Bevine anche tu
–
Heineken non
disse niente e inghiottì il vino. All’ inizio non le piacque, ma non si fermò.
Man mano che ne beveva sempre di più le sembrava ancora più dolce. Non riusciva
a smettere di bere. Ma dopo un po’ venne fermata da Michelle che disse : Ehi,
non scolartelo tutto tu, brutta cretina! –
Heineken si
poggiò alla testiera del letto con gli occhi a mezz’asta. Nauseata e
ipnotizzata dalla bontà dell’alcol.
- Buono, eh? –
disse Michelle prima di fare un altro sorso.
- ne voglio
ancora… -
- Prego. – disse
la finta brava bambina passandolo ad Heineken.
Per un momento
Heineken sentì quella bevanda alcolica ribollirle nel sangue, come tante
scariche elettriche di adrenalina che le davano un senso di estremo piacere.
Poi una sensazione strana, come se fosse all’estremo delle forze.
- non è vino
semplice, è una cosa strana… - disse con gli occhi socchiusi che roteavano per
tutta la stanza dando una visione distorta delle cose che vi erano all’interno.
- ma che ci hai
messo? –
- Aaah, sapevo
che te ne saresti accorta! – strillò Michelle, sguaiatamente eccitata.
Heineken la
guardò -Un po’ di questo… per farlo più buono…- e le mostrò un piccolo
sacchetto contenente una strana sostanza bianca sbriciolata e una cannuccia.
Poi rise. Heineken la imitò.
- che troia…-
- si! –
risero tutte e
due per un periodo indefinito di tempo. Michelle più sguaiata, Heineken
completamente fatta, incapace neanche di alzarsi.
- ne voglio
ancora…-
- ce l’avremmo se
non te lo fossi scolata tutto tu!-
Finirono per
addormentarsi tutte e due.
Heineken fu la
prima a svegliarsi il giorno dopo.
- oh… -
- ti sei conciata
proprio male ieri notte, eh? – disse Michelle alzandosi.
- Ho un mal di
testa feroce. Come fai ad alzarti, tu? –
- Si vede che non
bevi spesso. Era la tua prima volta? –
Heineken annuì ad
occhi chiusi. Anche se aveva frequentato posti con una pessima fama non era mai
venuta a ingerire alcolici o droga.
- Non ce la farò
ad andare a scuola… -
- E chi ha detto
che andiamo a scuola? – disse Michelle facendole l’occhiolino. Poi proseguì :-
ora tu preparati e prendi la tua roba. Fai finta di stare bene e vieni di sotto.
–
Michelle era già
pronta. Sembrava appena uscita dall’oratorio: t - shirt bianca e semplici jeans chiari con un
cuoricino cucito su un fianco. All star blu.
Heineken invece
si rivestì a fatica con la stessa roba del giorno prima e cercò a tentoni le
sue cose. Ma arrivò Michelle in soccorso porgendole una pastiglia bianca.
- e questa cos’è,
ecstasy? – chiese Heineken.
- No, pastiglie
per il mal di testa. Inghiottila e ti farà subito effetto. –
Senza dire
niente, Heineken la prese e se la mise in bocca.
Dopo circa venti
minuti stava un po’ meglio. Scese giù dove trovò l’amica che conversava tutta
sorridente con la nonna, mentre la madre serviva la colazione. Come Michelle
vide Heineken si alzò e disse: - scusate, ora noi dobbiamo andare a scuola, altrimenti
facciamo tardi. Ciao nonna, ciao mamma! – diede un bacio sulla guancia a tutte
e due poi uscì con Heineken. Non appena oltrepassarono la porta d’ingresso
Michelle disse: - bleah, le ho baciate tutte e due! – e sputò per terra. Poi
continuò rivolgendosi all’amica: - dove vuoi andare? –
- non lo so. –
- Central Park? –
- Ma è
lontanissimo! –
- No…qualche
chilometro siamo li. Poi non è vicino a casa tua? –
- Non so se ce la
farò…-
- Ma dai! Vuoi
ancora un po’ di questa? – poi rise sguaiatamente mostrando il sacchetto della
notte prima.
- che stupida… -
sorrise Heineken ancora un po’ intontita dal mal di testa.
Camminarono per
circa due ore e un quarto. Arrivate, si lasciarono cadere su una panchina e
ripresero fiato.
- Ma come fai a
non essere ancora stanca? – ansimò Heineken a Michelle.
- Eh, abitudine…-
- Questo non mi
sembra il posto ideale per non farci scoprire, comunque. –
- lo so, lo so,
ma tu non ti preoccupare. –
Ci fu qualche
attimo di silenzio, poi Michelle continuò: - la verità è che qui ho un
appuntamento…-
- con chi? –
- uff, dovevano
essere qui da molto tempo… -
Michelle si era
alzata e si guardava intorno.
- Ma si può
sapere chi… -
- Ah, eccoli! –
strillò Michelle. E corse in contro a due ragazzi: uno nero, vestito in stile
rasta, l’altro alto, con capelli e occhi castani.
Heineken la
raggiunse camminando.
- Allora? –
chiese uno dei due.
- cinque dollari
al pezzo. – disse Michelle, tirando fuori un sacchetto di pasticche. (e state
certi che non erano per il mal di testa… )
- Eh, stai
diventando caruccia, bambola…- disse quello nero, dandole una pacca sul sedere.
- il prezzo è
questo, prendere o lasciare. – rispose lei senza scomporsi.
I due si
guardarono, poi sganciarono i soldi.
Michelle gli
prese, poi disse : -alla prossima… -
I ragazzi
salutarono e poi se ne andarono.
- tu…spacci
droga? – Chiese Heineken quando i due erano ormai lontani.
- Non
esattamente…- rispose Michelle sorridendo.
Rimasero in
silenzio e continuarono a camminare. Camminarono senza una meta per molto
tempo. Era una giornata fresca e soleggiata, ogni tanto una folata di vento
scompigliava i capelli delle due. E ognuna era assorta nei suoi pensieri
cullati dolcemente dalla giornata tiepida. A rompere questo idilliaco silenzio
fu Michelle:
- quand’è il tuo
compleanno? –
- Il trentuno di
questo mese. –
- Ah, il giorno
di Halloween… -
- Credo di si.
Almeno è quello che mi hanno detto tutti… -
- E cosa ti
piacerebbe fare? –
- non lo so. Non
ho mai fatto niente di particolare… -
- Neanche un’
uscita fra amici? –
Heineken non
rispose.
- …magari a bere
qualcosa … -
- Oh, non
parlarmi di bere, per pietà… mi è tornata la nausea. Non berrò più i tuoi
stupidi mix
- ma se di quella
roba non ne ho messo neanche un grammo! – esclamò Michelle sorridendo.
- Non dire idioz…
- Heineken non fece in tempo a finire la frase che si trovò a vomitare per
terra.
Michelle la
guardava e rideva. E a tutti i curiosi che guardavano metà stupiti e metà
inorriditi Heineken, gridava: - Oh, non
vi preoccupate, per la mia amica! Vomita per hobby, è fatta così! E
un’eccentrica! –
Heineken era
violacea in viso. Sembrava suo zio dopo lo scorso pranzo di Natale.
Michelle si
rivolse all’amica intossicata: - dai, sediamoci su quella panchina. Tu continua
a darci dentro in quel cestino… tanto prima o poi ti passa, ci sono passata
anch’io… -
Heineken non
disse niente e si diresse verso uno dei tanti cestini dei rifiuti sparsi in
giro continuando a dare di stomaco. Nel frattempo Michelle si era accomodata su
quella panchina con i suoi grandi occhi che guardavano davanti a se, racchiusi
in un espressione seria.
Dopo un po’
Heineken esalò un respiro profondo e si lasciò cadere sull’erba.
- Finito? –
chiese Michelle.
- Spero di si… -
Si alzò
barcollando e si accasciò sulla panchina dove era seduta comodamente Michelle.
- Almeno ti sei
liberata, ora… - disse questa. -…dopo tutto il vino che hai preso ieri -
Heineken non disse niente.
- Vabbè, ridendo
e scherzando si è fatta già l’una, comunque. – disse Michelle. – tu abiti qui
vicino, ma io per tornare mi devo fare due ore e mezza di cammino. A proposito
i tuoi zii sono a casa? –
Heineken fece
gesto di no con una mano. Poi sospirò che non abitava poi così vicino a Central
Park. Ma poi, anche se ci fossero stati, che differenza faceva?
- Allora è meglio
che tutte e due torniamo a casa. – disse Michelle alzandosi. – Ce la fai a
tornare da sola? –
- lo spero…-
mormorò Heineken.
- No, ho capito
che non ce la fai. Ti accompagno io. –
Le prese la mano
e si avviarono lentamente verso casa di Heineken.
- Sai cosa devi
fare ora per smaltire la sbronza? – disse Michelle.
Heineken scosse
la testa che già teneva a penzoloni.
- Tre opzioni. –
spiegò Michelle: - o continui a bere che forse ti passa (o muori), o ti metti a
letto e non ricevi nessuno fino a l’indomani mattina, o, terza opzione, fai un
viaggio nel meraviglioso mondo degli psicofarmaci. – concluse con un sorriso di
sdrammatizzazione.
- Oh, credo che
sceglierò la seconda… - rispose Heineken sorridendo ad occhi chiusi.
Come furono di
fronte alla porta d’ingresso Heineken salutò l’amica e corse a letto. Non c’era
nessuno in casa. O almeno lei non si era accorta di nessuno. Si buttò sul letto
tirandosi su le coperte. Non si risvegliò sino al giorno dopo.
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Il giorno dopo fu
svegliata verso le undici e venti dalla sublime e catramosa voce della zia:
- Heineken! Dormi da ieri mattina! Ma cosa è
successo?? Svegliati! –
- eh…? Che ore
sono? – chiese la ragazza assonnata.
- Le undici e
ventidue…-
- Dell’undici
ottobre? –
- No, Heineken,
del dodici. –
Heineken si mise
a sedere sul letto: - vuoi dire che ho dormito più o meno ventitre ore?-
- Si,
pressappoco. – disse Rose appestando l’aria di sigaretta.
- Sarei dovuta
essere a scuola…-
- ma non mi
sembri nelle condizioni adatte, e poi è sabato, Heineken… -
Heineken non
rispose.
- Cos’è successo?
– continuò la zia.
Ma da quando gli
Anderson si curavano di lei? Prima lo zio ed era ancora plausibile, ma la
signora che si era accorta della sua assenza di ventitré ore…
- oh, non stavo
troppo bene… ma ora mi sento meglio. –
Rose fece
un'altra tirata e rimase zitta. Heineken la guardò. Poi si ricordò: - zia… -
- si, dimmi. –
- la telefonata
dell’altro giorno. –
Rose serrò le
labbra, come convinta che se avesse avuto l’intenzione di aprirla le fosse
uscita di bocca la risposta che non aveva intenzione di dare. Heineken capì che
i suoi tentativi erano vani.
- Alzati, ti ho
preparato la colazione. – cambiò argomento la zia. – dai, alzati, non stare lì
impietrita! –
Detto questo uscì
dalla soffitta. La ragazza si vestì e seguì la zia in cucina. Si accomodò a
tavola e cominciò a mangiare. Come la vide seduta, la zia si sedette di fronte
a lei. Heineken la guardò, poi questa cominciò a parlare: - vedi … -
- si?
- vedi, Heineken
la telefonata… -
- si, vai avanti
–
- Ecco, sì,
c’entri anche tu in questa storia…-
- Va bene, parla.
–
-Ecco, sì, ha
telefonato una persona di nostra conoscenza… e in un certo senso riguardava
anche te…-
Heineken
intravide gli occhi lucidi della zia. Stava per piangere. La donna si mise una
mano sugli occhi e singhiozzò.
- Oh, no… no, non
posso… -
Heineken si stava
spazientendo. Prese la mano libera della zia e disse: - ma si, zia, che puoi!
Me lo devi dire! La storia riguarda anche me! Dai, zia, parla, ti prego! Ti
prometto che non te ne pentirai!… -
- n - no… -
singhiozzò la donna.
- Su, coraggio,
zia, dimmelo. –
- Va bene… vedi,
Heineken, l’altro giorno… -
Le parole fragili
della zia furono rumorosamente interrotte dalla pesante e rumorosa intrusione
in casa del signor Anderson e dei figli.
- Aah, finalmente
a casa! Ciao, amore! – ruggì rivolgendosi alla moglie.
Questa aveva
dipinta in viso un espressione di evidente stupore: -m – ma caro tu e i bambini
non dovreste tornare verso le tre? Perché così prest… -
- Tesoro, non te
lo ricordi? Oggi sono uscito prima perché ieri ho promesso a tutti voi di
portarvi… -
Momento di
“accesa” suspance.
- … AL PARCO
AQUATICO “ NEPTUNE ’S KINGDOM! Sai, quello che gestisce la moglie del mio
collega… -
Chelsea e Ben saltavano
di gioia. Rose emise un gemito. Robert la vide e non capiva il motivo di questa
reazione. Heineken avrebbe strangolato lo zio.
Proprio ora che
stava per scoprire qualcosa…
Salirono tutti in
macchina. Dopo aver fatto tre ore di viaggio ed essersi subiti un ingorgo di
mezzora sull’autostrada, finalmente arrivarono alla piscina.
Vedere gli
Anderson in piscina avrebbe ammazzato dalle risate chiunque: lo zio, armato di
costume stile pancera, occhialini, e pinne assomigliava più ad un tricheco che
a un essere appartenente al genere umano. Sua moglie non riusciva ad andare
sott’acqua perché quei due palloncini abilmente elaborati da un chirurgo plastico, che si ritrovava al posto del
seno, la tenevano a galla. Chelsea sembrava una Barbie, fasciata in quel
costume intero rosa a fiori, e dimostrava di essere molto più piccola per i
suoi quindici anni e mezzo; e, per quanto riguarda Ben, beh… tuffandosi creò
una specie di tsunami artificiale.
In quanto a
Heineken, non aveva mai posseduto un costume e, in ogni caso, anche se lo
avesse avuto non sarebbe entrata in acqua lo stesso. Quindi si sedette su una
sedia in plastica a guardare il grottesco spettacolo.
Tutto normale
finché…
- Ciao Heineken!
Ti chiami Heineken, vero? – Heineken si girò. Vide Aidan, il fratello di
Michelle, che l’aveva appena salutata.
- Ah, ciao,
Aidan. – rispose alzandosi. – che ci fai qui? –
- quello che fai
tu… - disse il ragazzo.
- Quindi anche tu
sei qui con tutta la tua famiglia trascinato a forza? –
- oh, no, sono
venuto qui da solo. Vedi, sono ospite di un mio amico che ha la casa qui
vicino, ti ho visto e allora ho pensato di venire da te. –
- Ben fatto, mi
stavo proprio annoiando a morte. –
- Annoiarsi?! E’
l’ultima cosa che ti può capitare! Basta vedere certa gente in piscina per
ammazzarsi dalle risate…! Guarda quella matta lì, ad esempio…- disse indicando
la signora Anderson mentre aggrediva uno dello staff perché non riusciva a fare
una telefonata dal telefono pubblico.
Heineken sorrise
nervosamente.
- Ti va di andare
a fare un giro? – chiese Aidan ad un certo punto.
- Ok. –
- tu ti lamenti
della tua famiglia… - disse il ragazzo mentre camminavano. -… ma ognuno di noi
ha i propri scheletri nell’armadio. Tutti indistintamente. Da vicino nessuno è
normale. –
- Questo lo so,
ma almeno se i miei zii se le tenessero per loro… no, ogni volta che vanno da
qualche parte si fanno riconoscere. –
- Via, c’è un po’
di “zii Anderson” in tutti noi…-
Heineken rise. Aidan
cominciava a starle simpatico.
- Sei proprio
sicura che non provi neanche un po’ di simpatia verso loro? In fondo sono loro
che ti hanno cresciuto,educato, nutrito…-
- Hai ragione
solo per l’ultima cosa. Effettivamente mi hanno dato solo vitto e alloggio. Se
ne sono fregati e se ne fregano tutt’ora di quello che faccio. –
- No,
impossibile, fammi un esempio. –
- Nella città
dove vivevo sino a qualche settimana fa, ero sempre in vela. Non andavo mai a
scuola. E loro non mi dicevano niente. Solo che in questo modo a scuola se ne
accorgevano e così disonoravo i miei due cugini. E poi non hanno mai perso occasione per rinfacciarmi quanto sono
un peso per loro. –
- Ma no!… -
- Si, è proprio
così, invece. –
- Ah… -
- ma ci ho fatto
l’abitudine, ormai non li ascolto neanche più… - concluse sorridendo.
Aidan ricambiò.
- Ascolta, sabato
pross… -
Non fece in tempo
a finire la frase che arrivò Chelsea correndo alle spalle di Heineken.
- Hanny, oh,
Hanny, ti ho cercata dappertutto! Dobbiamo andare. Vieni alla macchina. –
- Andare? Ma è
prestissimo! – esclamò Aidan guardando l’orologio.
- Papà è stato
cacciato dal suo collega perché ha dato un cazzotto al ragazzo degli
asciugamani, quindi dobbiamo andare… oh, ciaooo! – concluse guardando Aidan.
- Ciao…- rispose
lui.
- Hanny, è il tuo
rag… -
- Chelsea, vai
alla macchina, ti raggiungo adesso.
Ciao, Aidan. Come vedi la discussione sulle stranezze comuni era a mio
favore…- disse alzando gli occhi al
cielo.
- Non ti
preoccupare. Ti volevo dire una cosa, ma ti chiamo stasera. Qual è il tuo numero di cellulare? –
- Io non ho un cellulare.
Ciao! – disse correndo via.
- Va bene, te lo
dice Michelle domani a scuola! Ciao! –
Heineken sentì da
lontano il clacson dello zio che la chiamava. Salì in macchina in silenzio.
- Sempre
l’ultima, tu, eh?! – disse isterico lo zio.
- Hanny era con
un ragazzo…- disse sorridendo Chelsea.
- Oh, oh! Allora
non mi stupisco che abbia fatto tardi!- ghignò lo zio.
Heineken guardò
insofferentemente fuori dal finestrino, alzando gli occhi al cielo mentre il
resto della famiglia rideva per la stupida battuta del signor Anderson.
Questo la
innervosiva parecchio.
- per vostra
informazione, era solo il fratello di una mia amica… -
- Già, già… -
disse la zia. – non avremmo allevato mica un’aspirante lucciola, Robert? –
Di nuovo giù
risate. Heineken non ce la faceva più. Sarà stato per il caldo, o per
particolari reazioni allergiche all’argomento, fatto sta che disse: - oh, no,
zia, quello è già toccato a te… -
Silenzio
imbarazzato. Una frazione di secondo dopo la zia si girò e cacciando un grido
isterico, le diede uno schiaffo.
- Come ti
permetti?!!!! COME OSI, brutta impertinente?!! Guarda che ora tu la finisci
male, stupida ragazzina viziata! Ferma la macchina, Robert! Ferma la macchina!
–
- Non posso,
tesoro, siamo in autostrada… - disse piano e timidamente lo zio.
- AAARGH! Come
non puoi?! Ferma subito la macchina ho detto! Ah, ma tu scendi qui, ora, eh?!!-
finì rivolgendosi ad Heineken.
- No, tesoro, no,
pensa cosa ci fanno quelli del comitato di adozioni… noi siamo già nei guai! –
- ME NE FREGO! MA NE FREGO! FERMA LA MACCHINA!
FERMA QUESTA FOTTUTA MACCHINA!!! -
- Non posso,
amore! –
La zia si
accasciò sul finestrino e si mise a piangere. Anche Heineken si poggiò al
finestrino, ma lei aveva un sorriso di soddisfazione scolpito in viso.
“ così impari a
farmi arrabbiare…” pensava. “mi sono solo difesa. E anche se mi hai trattato
con cortesia stamattina questo è per fartela pagare per come mi hai trattato
tutti questi anni”
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Il lunedì
seguente la zia non le rivolse la parola come aveva fatto di domenica.
Effettivamente era la prima volta che era lontanamente volgare con lei, e forse
questo l’aveva turbata. Lo stato emotivo di Rose probabilmente avrebbe potuto
dispiacere anche Heineken…
Ma
chissenefregava!
Heineken si avviò
verso scuola abbastanza presto. Anziché Michelle, come si era verificato
ultimamente, ad aspettarla, trovò Nicole.
- ciao. – disse
questa in tono serio.
- ciao, Nicky. –
- Ho saputo da
Jesse che frequenti Michelle. –
- Si, siamo
diventate amiche. –
- Allora te lo
dico da subito: devi smettere di frequentarla. È pericolosa. Soprattutto per
te. –
- Cosa? –
- Sul serio.
Nessuno di noi la calcola più. E dovresti anche tu. All’inizio sembra diversa,
ma poi scopri che criminale è. So che sembra una brava ragazza, ma…-
- Ho già avuto
l’onore di scoprire la vera identità di Michelle. – ribatté Heineken un po’
seccata.
- Allora smetti
di esserle amica. Scommetto che venerdì non c’eravate tutte e due perché ti ha
traviato in qualche postaccio per spacciare. E così o no? –
- Comunque sei
stata proprio tu a presentarmela, dicendo che era una vostra amica. –
- L’ ho fatto
solo per fare fessa Michelle. Aspettavo questo momento per dirtelo. Anzi, a
dire il vero speravo di fare prima. Ora sei caduta anche tu nella sua trappola.
Ma io ti aiuterò ad uscirne. –
- Non dire
idiozie, Nicole. Se c’è una cosa che odio è che più gente si coalizzi contro
una persona. –
- Ma l’ hai vista
anche tu! Spaccia droga, fa vela a scuola, è falsa…! Heineken, ti sto salvando
da te stessa. Se la frequenterai ancora, morirai! E tu sarai così debole da non
poter farci nulla. Io ti sto salvando da te stessa. –
- Oh, ma vattene!
– replicò Heineken facendo per andarsene. Ma Nicole la afferrò per un braccio.
- Heineken.
Michelle è come una vedova nera. E tu sei caduta nella sua trappola! Non
capisci che fa solo finta di essere amica tua! –
- Tu non potresti
mai salvarmi da me stessa, perché non sono ancora diventata una mentecatta
arteriosclerotica! In secondo luogo, Michelle sarà tutto quello che vuoi, ma di
certo non fa finta di essere mia amica, ed ha anche una situazione difficile in
famiglia –
- No, questo è
quello che ti vuol far credere lei! In realtà i soldi le escono dal deretano
per via dell’immenso patrimonio della nonna! –
- Vorrei dirti a
fondo la sua situazione, ma credo che non abbiamo tempo e che soprattutto non
la capiresti. E i componenti della sua famiglia sono ottime persone. -
- Oh no… -
- Cosa, vuoi
mettere in dubbio anche questo? Ma tu almeno sei mai stata a casa sua? –
- Heineken, io
sono in questa scuola da oltre tre anni!! Non fare discorsi penosi! Scommetto
che ti sei innamorata di Aidan, per questo parli così. –
- Di tutte le
schifose cavolate che ti sono uscite di bocca questa e la peggiore! –
- Ciao!- disse una
voce alle loro spalle. Era Michelle. La ragazza arrivò da dietro e si avvicinò
alle due.
- di che stavate
parlando? –
- Ciao, Michelle.
Niente di importante, chiacchieravamo del più e del meno. – disse Heineken.
In quel preciso
istante suonò la campana.
- Uffa, ma perché
quel dannato aggeggio suona sempre quando arrivo io? Vabbè, allora ragazze, ci
vediamo alla ricreazione. Ciaoo! – e si allontanò.
Nicole guardò
Heineken negli occhi e si avviò. Anche Heineken andò in classe.
Dopo essersi
sorbite circa quattro ore di lezione, Heineken si ritrovò in sala mensa assieme
a Michelle. Mentre Nicky si era rintanata con la gemella in un tavolo
seminascosto.
- Dopo scuola ti
andrebbe di farti un giro con me? – chiese Michelle all’amica una volta sedute
a mangiare qualcosa che in teoria dovevano essere bastoncini di pesce, ma che
in realtà non li assomigliavano per nulla.
- Si, non c’è
problema. – rispose Heineken decisa. Poi continuò: - ma tu, con Jim, le sorelle
Williams e gli altri ti stai vedendo? –
- In questo
periodo sono sempre incollata a te, quindi con meno frequenza. Ma prima che
arrivassi tu eravamo appiccicati. Ma questo non vuol dire che tu sei la rompi
di turno che mi impedisce di vedermi coi miei amici! – concluse con una risata.
- Hai molte
amiche a scuola? –
- Oh, vedi, io
attiro soprattutto i ragazzi. – disse, scimmiottando una vera vamp.
Heineken accennò
un sorriso.
- perché tutto
questo interrogatorio? – chiese Michelle.
- niente di
importante… -
- di cosa stavi
parlando stamattina con Nicole? – chiese facendosi tutta seria. Poi continuò:
- vedi, sarò
tutto quello che vuoi, ma non di certo una stupida. Quindi se menti me ne
accorgerò. –
- prometti che
farai finta di non saperlo. –
- potessi morire.
–
- vedi… -
cominciò a dire Heineken.
- parla. –
- ha cominciato a
dire cavolate sul tuo conto, che sei pericolosa, che loro hanno già smesso di
frequentarti, che sono caduta nelle “tua” trappola e che lei mi vuole proteggere
da me stessa aiutandomi a uscirne. Questo è tutto ciò che mi ha detto in parole
povere. –
- Cosa? –
Michelle aveva un’espressione incredula in viso. Sembrava stesse per piangere.
Forse non era così forte. Ma più che pianti di dispiacere, quelli sarebbero
stati pianti di rabbia.
- quella… quella…
tutto questo tempo sono state mie amiche… -
- Ha detto che ti
stava mollando ultimamente. Lei e gli altri. –
- Non è vero…
cioè… Jim e gli altri hanno continuato a essermi amici… e perché se le sto così
sulle scatole ti ha presentata a me? –
- questo è quello
che vorrei sapere anch’io. –
Un momento di
silenzio. Michelle guardava in giù, Heineken rivolse uno sguardo alle gemelle
Williams, che la guardavano torve. Poi riprese a guardare Michelle e disse: -
Michelle, ascoltami: a me non importa niente di quello che loro dicono. E se
c’è una cosa che odio e che più gente si allei contro una sola persona. Noi due
restiamo amiche. – detto questo le prese le mani. Michelle la guardò con un
sorriso e si asciugò una lacrima.
- grazie. –
- adesso
fregatene. Ah, cambiando argomento, ieri ho incontrato Aidan e mi ha detto che
tu oggi mi avresti detto una cosa…-
- Ah, si… sabato
prossimo ti va di uscire con noi? –
- Te ed Aidan? –
- Si, ma in
teoria ci sono anche quelle grandissime ***** di Nicky e Sarah, più tutta il
gruppo, compresa M.P. Ti andrebbe? –
- Per me è ok.
Dove dovrebbe essere? –
- All’ Underground, un pub come tanti. Il clima non è veramente Underground, è
tutta pubblicità. Ci stai?-
- dov’è questo
posto? –
- da qualche
parte vicino al centro. Ci troviamo lì verso le dieci di sera. –
- Ok. –
In quel momento
si avvicinò Sarah al loro tavolo: - Heineken, puoi venire un secondo, per
favore? –
- se è quello che
mi immagino, allora no. –
- No, stai
tranquilla. Vieni. –
Heineken si alzò
e seguì Sarah fuori dalla sala mensa.
- sei capace a
tenere un segreto? –
- Si. –
- sabato prossimo
avevamo in mente di uscire all’ Underground…-
- si, sono già
stata informata. –
- e allora? –
- Vengo. –
- Ok, ora torno
da Nicky. –
E si allontanò.
Allora Heineken fece per tornare da Michelle ma non la trovò seduta al tavolo.
Al suo posto trovò un biglietto:
Ci vediamo più
tardi. Non ti preoccupare,
non sono
andata a picchiare Nicky, la
vendetta è un
piatto che si gusta freddo.
A dopo,
Michelle
Heineken lesse il
biglietto in fretta, poi lo buttò via. Aveva una domanda che le correva per la
mente: ma se le gemelle odiavano tanto Michelle perché volevano uscire anche
con lei? Tutte e due le avevano fatto lo stesso invito…
Ma non ci pensò
troppo e tornò in classe. E di pomeriggio a casa di Michelle.
E dopo anche a
casa sua, con pensieri leggeri.
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
I tre giorni che
seguirono furono insolitamente tranquilli. Tra Michelle e le gemelle c’era
calma, ma nell’aria si percepiva uno strano clima di tensione. Fortunatamente
Heineken riusciva ad equilibrarsi e tenere la situazione sotto controllo:
trascorreva parecchio tempo con Michelle, ma riusciva anche a stare con gli
altri, senza alterarsi per le continue coalizioni nei confronti dell’amica Questa adesso, si rifiutava di frequentare
il gruppo; stava sempre con Heineken e con qualche altro ragazzo di passaggio,
interessato particolarmente alle sostanze che lei spacciava e, nella maggior
parte dei casi, anche alla “mercanzia”.
Heineken sapeva
benissimo delle trasgressioni dell’amica, che la facevano sembrare una poco di
buono, e forse lo era, ma in quel momento Michelle le sembrava di più una
persona bisognosa dell’aiuto di un amica. E su questo Heineken non lesinava.
Per Heineken
quello non poteva definirsi proprio un “periodo d’oro”, ma stava abbastanza
bene. Si godeva il clima fresco dell’autunno, gli amici, e le chiacchierate con
Michelle che, comunque, non si era abbattuta più di tanto per l’isolamento da
parte degli altri.
Il giovedì
seguente, Heineken, alla fine della settima ora (ora di Educazione Fisica), si
fermò a chiacchierare del più e del meno negli spogliatoi della palestra con
Michelle.
- quindi ti vanti
di aver avuto molti ragazzi nella tua vita…- disse Heineken.
- si, in effetti
è così, ma non è che mi vanto –
- dai, dimmi il
numero, allora. –
- eeh, ciao…! – e
poi rise.
- hai mai pensato
che se lo dici in giro ti prendono per una facile? – disse Heineken sorridendo
alla battuta dell’amica.
- no, no, perché
io sono la brava e angelica figlia di buona famiglia- disse Michelle imitando
la voce di una brava bambina.
- comunque io
credo che tu sia una facile. –
- e per quale
motivo? Io al momento sono single… -
- A me balle non
ne devi dire. –
- uff, ma perché
questo terzo grado?! Sembri mia nonna! –
- No, appunto
perché non lo sono, me lo dovresti dire…-
- va bene, a te
non ti si può nascondere niente… -
- Allora? –
- Tom Hilton,
quarto anno. Sei soddisfatta, ora?-
- Ma è vero? –
- Non so… - e
prese a ridere.
- perché ridi ,
ora? –
- ci siamo
strafatti di coca l’altro giorno, poi penso che si sia interessato…-
- dove? –
- eeh, ti devo
anche dire a cosa è interessato? Heineken, afferra al volo e taglia corto,
siamo tra gentilgirls… -
- no, intendo
dove avete tirato di coca. –
- boh, doveva
essere da qualche parte nei pressi del parco qui vicino, non ricordo niente,
ero completamente fatta…-
- ti ricordi
almeno cosa è successo dopo che vi siete strafatti? –
- ehm… veramente
no…- disse guardando in alto, con
l’aria di una falsa innocente. Heineken invece sorrise e poi fece finta di
scandalizzarsi: - signorina, lei mi delude! Ha oltrepassato ogni limite…! È
scandaloso!-
- Ma no, ma no!
Non è vero! – rispose Michelle sempre facendo l’innocentina.
- Dì la
verità…sei ancora vergine? –
Michelle serrò le
labbra in un sorriso a bocca chiusa e guardo in alto.
- Non sei più
vergine!? –
- Forse. Ora io
devo andare, ho fretta! Ciao, ciao! Baci baci! – e corse via.
- guarda che non
te la cavi così! – gridò Heineken sporgendosi dalla porta dello spogliatoio.
Poi, una volta vista l’amica andarsene rientrò dentro. Era rimasta l’unica
alunna presente, di conseguenza sola. Mentre si rivestiva, visto che non c’era
nessuno nei paraggi, cominciò a cantare a voce bassa.
Era così assorta
nei suoi pensieri, e talmente sicura di essere rimasta completamente sola, che
non chiuse neanche la porta dello spogliatoio.
Alzò anche la
voce.
Ma ad un certo
punto sentì dei passi: prima lenti, poi nessun rumore e successivamente in
corsa.
Poi quella
persona in corsa si affacciò alla porta dello spogliatoio. Era Jim. Prima che
questo potesse parlare; Heineken cacciò un urlo e si mise una maglietta davanti
al petto.
Anche Jim urlò.
Poi, in uno stato che presentava i seguenti sintomi: mani come due spugne,
salivazione azzerata, manie di persecuzione, miraggi; balbettò più o meno
queste parole: - he- he- Heineken, sc- scusami nn- non sapevo che fossi t-tu… c
– ci vediamo fuori, eh?!- e poi corse via come se gli avessero infilato un
razzo su per il sedere.
Heineken rimase a
fissarlo mentre correva via imbarazzato. Allora si rivestì in fretta, rimise le
sue cose nella borsa. Poi andò in cortile dove trovò Jim in piedi appoggiato a
un palo.
- Ciao… - disse Heineken.
- ciao... –
rispose lui coprendosi il volto con una mano. – scusami per prima –
- vabbè, tanto
adesso è acqua passata. –
- devi tornare
subito a casa? –
- no. –
- allora ti
andrebbe ti venire a fare un giro con
me? –
- si, va bene. –
- Ho notato la
tua voce. – disse Jim mentre camminavano sotto il cielo nuvoloso. – è molto
bella… -
- grazie –
- tu sei proprio
la voce che cerco. –
- non ti seguo… -
- non hai notato
tutti i volantini sparsi per la scuola con raffigurati me e la mia band? –
- forse. Io non
do molta attenzione ai volantini… -
- Non ti puoi
sbagliare: è quello dove Sean è uscito col dito nel naso. –
- Allora l’ ho
visto. –
- Bene. E sai
anche quello che c’è scritto?-
- Non mi sono
fermata a leggerlo…-
- C’è scritto che
la nostra band cerca una vocalist, femmina, che sappia cantare e poi… bè
l’ultima cosa è una stupidaggine aggiunta da John… -
- tipo? –
- “possibilmente
misure da 90/60/90”. A lui piace sempre fare l’idiota. –
- e in quante
hanno risposto all’annuncio? –
- Nessuna. –
- E non è
difficile immaginare il motivo. –
- no, non è
difficile. Allora ti andrebbe? –
- non lo so… -
- dai, non farti
pregare! Hai tutti i requisiti adatti! Bella voce, bella tu… e anche il tuo
modo di vestire. –
- Il mio modo di
vestire? –
- Si… in
precedenza ti avevo detto che noi facciamo una specie di Rock Gothic. E per il
tuo modo di vestire… sei adatta. –
- Dove state? –
- Nel mio garage.
–
Heineken ci stava
pensando su. Ma proprio nel momento in cui stava per rispondere vide una sagoma
di fronte a loro. C’era un po’ di nebbia quindi non lo distingue subito. Poi lo
vide. Aidan. Che veniva di fronte a loro sfrecciando con la bicicletta. Ma poi
si fermò quando li vide. Heineken non sapeva il motivo, ma… si sentiva come
imprigionata tra due maschi. E la sensazione non le piaceva.
- ciao… - disse
Aidan. Nella prima sillaba ci mise più entusiasmo, perché aveva avvistato solo
Heineken. Poi ebbe un suono decisamente decadente quando si accorse anche di
Jim. – Heineken, l’uscita di sabato l’abbiamo spostata al trentuno… che se non
sbaglio è il tuo compleanno…-
- Si… -
- glielo stavo
per dire io, Aidan. Non dovevi
disturbarti. – disse Jim freddamente.
- Non vedo che
differenza faccia, Jim. – rispose l’altro con lo stesso tono.
- Grazie per
l’informazione, allora. –
- io non ho
fretta…- disse scendendo dalla bicicletta - … o stavate parlando di cose intime? –
- non rispondo
perché non voglio essere volgare in presenza di Heineken. –
- Oh, oh! Allora
tra voi due c’è del tenero! Dai, James, ammettilo!– disse alzando la voce,
sperando di essere sarcastico. Ma il suo volto esprimeva una velatura di
rabbia. Jim non rispose, ma guardava Aden fisso negli occhi. I suoi occhi
castani contro quelli blu dell’altro. Heineken si sentiva in imbarazzo.
- E va bene… -
cominciò Aidan risalendo sulla bici. – io vado. Ci vediamo sabato trentuno. –
concluse fissando negli occhi Heineken. I suoi occhi verde bottiglia lo videro
sparire inghiottito dalla nebbia che cominciava a scendere.
- Tornando al
nostro discorso: accetti o no? – chiese Jim, serio.
- Si, accetto. –
- grazie! Ora ti
faccio vedere dove stiamo. Ti vorrò sempre bene per questo. – e la abbracciò
stringendola a se.
Heineken si sentì
arrossire, rimase come pietrificata. Cominciò a riprendersi solo dopo che Jim
l’ebbe lasciata.
- Casa mia è qui
vicino. Vieni, ti faccio strada. -
Camminarono per
un po’ di tempo finché si trovarono di
fronte al garage di Jim.
Più che
avvistandolo si fecero strada seguendo il casino che proveniva dall’interno:
urla, musica dallo stereo, qualche accordo di chitarra elettrica suonato per
modo di dire. Entrò prima Jim, forse impaurito dall’idea che poteva farsi Heineken
di quel covo dove intraprendenti e turbolenti maschi si riunivano due volte
alla settimana per fracassare le orecchie a tutto il vicinato.
- fate meno
casino, cretini, abbiamo una ospite! – urlò Jim prima che Heineken potesse
entrare.
- Ciao, Jim,
anche noi siamo contenti di vederti. – disse uno, sarcastico.
- una ospite?
Wow, hai trovato una che risponde ai requisiti dell’annunc… Heineken? –
concluse sorpreso come la vide entrare dalla porta del garage.
La ragazza notò
che era abbastanza grande come posto, almeno il quadruplo di un garage normale.
Doveva fungere anche da scantinato.
Al centro,
c’erano gli strumenti della band, allestiti assieme ad alcuni
amplificatori in maniera da formare una
specie di piccolo palco. A destra c’era una grande area dove vi erano
parcheggiate le macchine dei genitori di Jim e lì vicino ammassati un bel po’
di scatoloni. Vicino alle macchine c’era un’altra uscita. Poi, a sinistra, una
porta che probabilmente andava alla casa, e, in un angolo, un tavolino
dov’erano seduti Sean, Jesse e John con gli occhi sgranati per la sorpresa di
vedere Heineken.
- è la nostra
nuova vocalist, l’unica che ha accettato. Ho già sentito la sua voce. È
perfetta. –
Jesse sorrideva
insieme a Sean, invece John era ancora sorpreso: - ma non risponde a l’ultimo
requisit… -
Prima che finisse
di parlare, Jesse gli tirò una forte gomitata nello stomaco, mentre Sean si
impegnava a nascondere l’ultimo numero di Playboy che prima si stavano gustando
tutti e tre. Sempre con il sorriso stampato in faccia.
- ti faccio
vedere i nostri testi. – disse Jim rivolgendosi ad Heineken. – vado a prenderli
in camera mia. E si avviò per la porta che dava alla casa.
Heineken si
sedette con gli altri.
- allora tra poco
ci farai sentire la tua splendida voce… - disse Sean un po’ scettico.
Heineken non
rispose.
- Ma come ha
fatto Jim a sentirti cantare? – chiese Jesse aggrottando le sopraciglia.
Si sentì
avvampare. – oh, ehm…non ha importanza. –
- Come non ha
importanza? – continuò l’altro con una punta di sospetto. – dai, come ha fatto
a sentirti? –
- non penso di
avere una bella voce. – tagliò corto Heineken. – non lo so proprio come Jim lo
pensi. –
Colpo di genio
trovare questa scusa per non dire che Jim le aveva visto le tette. Vero casino
capire che avrebbe dovuto cantare davanti a quei quattro. Sentì la timidezza
che la imprigionava a poco a poco fino a stritolarla. Fu sfiga che in quel
momento tornò nel garage Jim con un quaderno ad anelli in mano.
- Ora ti facciamo
sentire un po’ come fanno, poi provi a cantarle tu… - disse lui.
Heineken saltò in
piedi con la paura di essere rossa in viso. Prese il quaderno e disse: - no, mi
sono ricordata giusto ora che devo tornare a casa e che sono già in ritardo.
Mia zia mi ammazza, altrimenti. Queste vedrò di studiarmele a casa. –
- Come? Un attimo
fa eri qui, tranquilla e ora… -
- Me ne sono
ricordata adesso. – rispose in fretta Heineken accennando un sorriso nervoso
mentre cercava di trovare una scusa.
- e che… abbiamo
ospiti stasera a cena. – disse in fine.
Tutti e quattro i
ragazzi avevano un’espressione scioccata in faccia.
- ok. – disse
Jim. – Vuoi che ti accompagni a casa? –
- no, no, grazie.
Faccio da sola, non è lontano. –
- Ok, allora
grazie per aver accettato. Ciao – si avvicinò per tentare di darle un bacio
sulla guancia, ma non ci riuscì.
Heineken si
allontanò camminando velocemente con il quaderno stretto tra le mani. Arrivata
sulla porta salutò i ragazzi e riprese a camminare, quasi correndo. Quando fu
abbastanza lontana rallentò il passo, sentendosi molto stupida. Ma non voleva
cantare di fronte a quei quattro. Lo sapeva, avrebbero riso. Sarebbero crepati
dalle risate. E l’avrebbero buttata fuori. E lei sarebbe tornata al punto di
partenza.
Poco dopo arrivò
a casa sua. Come aprì la porta vide la zia avvolta in un abito da cocktail rosa
salmone pieno di fiocchetti e volant, che apparecchiava usando il servizio
buono e la tovaglia bianca con il pizzo che le aveva regalato la sua anziana
zia per il matrimonio.
Notò che la
signora Anderson aveva usato più spuma del solito per fissare i suoi ricci
capelli biondi artificiali.
Sembrava
piuttosto nervosa.
- Ah, eccoti! –
disse vedendola entrare. – stasera quel mentecatto tuo zio ha invitato a cena
il suo capo con sua moglie! Gente importante, mica morti di fame! E io l’ ho
saputo solo mezz’ora fa! –
Heineken guardò
la zia, trovando sollievo nel pensare di non aver detto una bugia a Jim per
cercare di evadere da quella situazione.
- Allora, cerchi
di comportarti da persona civile o te ne stai in soffitta facendo come se non
esistessi?! – esclamò la zia. – anzi, no, ritirati in camera tua e basta. Non
voglio che quei due milionari sappiano di te! –
Heineken era un
po’ shockata per quell’affermazione, ma tanto era la scelta che voleva lei,
quindi fece per salire le scale senza dire una parola. A metà del tragitto
trovò suo cugino Ben che avvolto in quello smoking sembrava una mortadella
mascherata a festa. Poi sentì la zia che con la sua voce intrisa di catrame
accumulato in tanti anni di dipendenza dal fumo, le urlava che tra poco le
avrebbe portato su la cena.
Arrivò in
soffitta e vide la cugina che indossava un abito da grandi occasioni di fronte
allo specchio mentre si truccava. Heineken si sdraiò sul suo letto. Aprì il
quaderno ad anelli che teneva ancora in mano. Vide rilegate varie buste
contenenti ognuna un testo di una canzone e delle note. Erano nove.
Ma come? Solo
nove? Forse Jim aveva scelto il loro meglio da farle imparare. Forse la band si
era formata da poco.
Lesse i
titoli e i testi. Roba tosta, a quanto
sembrava, mica canzonette. Ma nelle parole avevano un non-so-che di stile e in
un certo senso delicatezza.
- Che cosa sono,
Hanny? –chiese Chelsea sbucandole davanti.
- Niente,
Chelsea, torna a giocare con le bambole… -
- Fammi leggere,
dai! –
Chelsea era fatta
così: ogni volta che qualcosa era off – limits per lei diventava curiosa come
una scimmia.
- No. –
- Dai! –
- Chelsea, sei
sorda? Ho detto di no! Mi hai sentito?! –
- guarda che ti
faccio passare guai! -
Heineken la
guardò con un sorrisetto di superiorità, cosa che fece infastidire parecchio la
cugina.
- MAMMA!!! –
strillò Chelsea. – Hannie sta fumando roba strana!!! –
La signora
Anderson era fuori dalla porta, che portava su a fatica un vassoio blu in
plastica che doveva contenere la cena di Heineken. Come entrò fu assalita dalla
figlia che aveva un disgustoso sorriso in faccia: - mamma, ti ricordi quando
hai detto che in questa famiglia siamo tutti amici e che tra di noi non ci
devono essere segreti? –
- questo l’ ha
detto quell’imbecille di tuo padre dopo essersi scolato mezza bottiglia di Jack
Daniel ’s il giorno del ringraziamento! E ora fila di sotto, Chelsea, che quei
due cretini ai quali tuo padre sta leccando i piedi sono già qui! – rispose
brusca e nervosa la donna. Chelsea andò di sotto, quasi con le lacrime;
lasciando sole Heineken con la zia.
Heineken era
impaziente di divorare la sua cena. Che con suo grande disappunto si rivelò
pane e formaggio in scatola.
La zia invece
rimase lì, seduta sul letto di Heineken, a fissare il vuoto. Heineken si
chiedeva perché in quel momento non stava fumando.
- e questo che ti
rende nervosa? – chiese Heineken dopo aver addentato un morso di
quell’improbabile panino.
- Cosa dovrebbe
essere? –
- il fatto che
non stai fumando… -
la donna non rispose.
- o sarà per
zio…che invita quella gente e non ti dice nulla…- continuò Heineken.
La zia si mise
una mano sul volto e scosse la testa.
- oppure perché
stai male… - continuò Heineken con tono ipnotico. Sapeva dove voleva arrivare.
Anche la zia lo
sapeva, quindi non rispose, ma serrò le labbra.
-… oppure per la
telefonata. – concluse Heineken, cercando di trarla in inganno.
A quell’ultima
frase, la zia sembrava disperarsi. Dopo aver esitato qualche attimo, infine
disse: - Heineken?-
- si? – rispose aspettando
che la zia desse la risposta che aspettava con ansia da tempo.
- Non. Tornare.
Più. Su. Questo. Argomento. È chiaro? E ora finisci la cena e dormi. –
- Dimmelo!!! –
urlò Heineken, disperata anche lei. Sbottò tutta insieme, come se la sua rabbia
si fosse riaccesa in lei di colpo.
La zia gemette,
si alzò e fece per andarsene, ma Heineken la afferrò per un braccio, con la
faccia rossa, quasi in fiamme. E i nervi che le mandavano delle scariche di
adrenalina in tutto il corpo. Era esplosa di colpo, senza saperselo spiegare.
- Dimmelo,
cretina! Dimmelo, dimmelo!! Riguarda anche me! Dimmelo! – urlò disperatamente
Heineken, sorprendendosi di quell’attacco di autentica pazzia, avendo paura di
essere vicina alle lacrime. Rose cercò di liberarsi dalla presa di Heineken, ma
in un primo momento non ci riuscì: era molto spaventata dall’improvviso cambio
di personalità della nipote, glielo si leggeva in viso. Guardava Heineken come
se fosse posseduta, con lo sguardo di chi ha paura. Rimasero paralizzate tutte
e due per un attimo, poi la zia si guardò il braccio e vide delle gocce di
sangue scenderle dal braccio, dovute alla forte presa della nipote, che le
aveva infilato le unghie nella carne. Non urlò finché non ne vide una colare e
finire sul parquet di legno della soffitta.
In un grido di
orrore, con la mano libera diede un forte pugno in faccia ad Heineken e corse
via, lasciandola sola.
La ragazza emise
un gemito e si buttò sul letto, cuscino premuto sugli occhi, per trattenere le
lacrime. Passata la crisi, si addormentò.
Non sapeva perché
le era arrivata l’ossessione maniacale per quella stupida telefonata. Ma voleva
saperlo. Non le importava né come, né perché. Avrebbe ucciso per saperla.
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
Passarono i
giorni. E finalmente arrivò la mattina del 31 ottobre, giorno del compleanno di
Heineken. Non aveva più parlato con la zia dello sbotto di pazzia di quella
sera, e non era andata ancora da Jim per cantare. Pensiero che di tanto in tanto
la angosciava. Ma non quel giorno perché non si voleva rovinare la vigilia del
suo sedicesimo anno di vita.
La ragazza uscì
di casa dopo essersi sentita bofonchiare un “auguri” da parte degli zii, e, una
volta fuori, si avviò per uno dei bar delle vie del centro dove la stava
aspettando Michelle.
- ciaoo!!! E
auguri! - urlò questa non appena la
vide, abbracciandola e baciandola forte.
- grazie…! –
rispose Heineken un po’ sorpresa da tutto quell’entusiasmo.
- Quanti sono?
Sedici? –
- Esattamente. –
- benissimo,
allora vediamo di trascorrere al meglio questa giornata… shopping a tutto
spiano? – suggerì Michelle.
- vorrei ma non
ho soldi… - sorrise l’altra.
- pazienza, ne ho
io. Li ho fregati da mia nonna. È il tuo compleanno, dopotutto…è giusto che li spenda
io per te. Come regalo. –
- no, no, non
devi… -
- come, non devo?
Il regalo te lo devo fare, no? –
- Allora grazie.
–
- figurati. –
- è un peccato
che non festeggi… - disse Michelle mentre camminavano e guardavano le vetrine.
Ma come “che non
festeggi”? Non dovevano uscire stasera tutti insieme in quel pub per
festeggiare? Heineken era curiosa su questo particolare, ma non glielo chiese.
Magari avrebbero voluto farle una sorpresa…
- In tutti questi
anni non l’ ho mai festeggiato, è vero. – dissuase Heineken.
- perché? –
- scambia due
parole con i miei zii e lo capisci da sola… -
- oh… - sospirò
Michelle. – dai tuoi racconti ti descrivi come una che ha avuto un’infanzia
difficile… -
- mmh… - Heineken
non disse nulla per un attimo, poi disse: - non lo so, ma rispetto a te,
qualcun altro e Nicky e Sarah probabilmente sì. –
- No, per pietà,
non parlarmi di quelle due fanatiche, per carità… - disse l’amica facendo una
smorfia.
- questa guerra
fredda deve finire. – ribatté l’amica.
- dillo a loro, sono state loro a cominciare.
-
- Ma almeno… se tu
provassi a parlarci… -
- e a che
servirebbe? Stupide sono e stupide restano. -
Capendo che i suoi
sforzi per combattere la testardaggine dell’amica, erano vani, Heineken decise
di lasciar perdere.
Dopo che ebbero
finito di “razziare” le boutique del centro, sotto la bellicosa guida di
Michelle “carrarmato” Volkova, le due amiche si salutarono. Heineken corse a
casa con circa quattro o cinque buste nelle braccia, con il marchio delle varie
compagnie che erano andate a visitare. (anche se quello di Michelle più che
voglia di spendere si poteva chiamare un raptus omicida…)
Quando passò
dall’ingresso, ad accoglierla ci furono le note di una popolare trasmissione
radiofonica molto seguita dalla signora Anderson, intitolata “Ci Facciamo I Fatti Vostri”, che Rose amava
definire “programma di varietà”, o, nei giorni in cui era a corto di amor
proprio, “programma culturale”.
E invece era il
solito, tipico, scontato, programma
radiofonico dell’ora di pranzo dove due Dj ignoranti e sgrammaticati facevano
lavare i panni sporchi degli ascoltatori in diretta, affinché coloro che ascoltavano rimanessero stupiti e
a bocca aperta di fronte alla radio a bersi le idiozie che venivano trasmesse.
- ah sei qui… - le
disse la zia tra una tirata di fumo e l’altra.
– ma cosa tutto accidenti hai comprato?!- concluse energicamente
guardando le cinque buste che cadevano dalle braccia di Heineken.
- oh, ehm, regali
di Michelle. Siamo andate a fare shopping. -
- mi sembra
piuttosto generosa, questa Michelle… - rispose la zia poco convinta.
- e mi sembra,
visto che nessuna teenager ha tanti soldi, che…oh, a questa maglietta è un
amore! – concluse guardando una maglietta nera a strass viola compratole con
insistenza da Michelle.
- oh, ehm, si. Ora vado su
a mettere a posto questa roba, perché stasera devo usc… - ribatté Heineken con
un po’ di riluttanza nell’essere trattata come veniva trattata abitualmente
Chelsea.
- ma no! Ma no!
Aspetta! Voglio vedere che altro ti sei presa! -
E continuarono di
questo passo per un paio di jeans con le sfumature, una mini gonna nera col
pizzo rosso, una felpa nera leggera semplice col cappuccio, una t-shirt con una
scritta gotica e un disegno che raffigurava un angelo sempre gotico, due
magliette a maniche lunghe con varie scritte, e infine una gonna verde militare
che arrivava sin sotto il ginocchio.
- Oh, si, carine… -
disse Rose alla fine, dal suo sguardo si capiva che non le piacevano, anzi, che
le facevano orrore, ma diceva il contrario. Per farle piacere? Perché quel
giorno era il suo compleanno? O perché celava un terribile segreto alle sue
spalle…?
Ad ogni modo
Heineken tentava di pensare il meno possibile all’ultima ipotesi. Più ci
pensava, più le veniva l’ansia. Riprese le sue cose e andò di sopra.
Non fece in tempo a
formulare un pensiero, che irruppe la cugina nella soffitta.
- Ciao, Hanny! –
strillò questa. – non immaginerai mai dove ci porta stasera papà…! -
- dove VI porta
stasera papà… - la corresse Heineken sprezzante. - io devo uscire.
- uscire? E dove
vai? -
- a festeggiare il
mio compleanno, con i miei amici. – rispose Heineken scandendo le parole e
parlando come se avesse a che fare con una bambina dell’asilo.
- m-ma Hanny…-
- Cosa c’è, ti
sembra molto strano che io festeggi il mio compleanno come tutte le persone
normali?! – disse bruscamente.
- no, m-ma Hanny… -
- Cosa? Ti sembra
ridicolo o insolito quello che sto dicendo? -
- No, però, ma… -
- Cosa? -
- Ma Hanny, oggi
non è mica il tuo compleanno! -
Heineken guardò in
alto con gli occhi a mezza asta.
- a volte mi chiedo
se ci sei o ci fai, Chelsea… -
- Eh? -
Prima che
Heineken potesse sbottare e dire ciò che pensava a Chelsea, entrò il signor
Anderson.
- Allora, amorino
di papà, sei contenta? -
- Sì! – rispose
Chelsea facendo un sorriso da un’orecchia all’altra facendo vedere
l’apparecchio luccicante.
Poi lo zio, si
rivolse ad Heineken.
- L’ hai saputo,
dove andiamo stasera, Heineken? -
- No, grazie, e
non ci tengo. – ribatté facendo un sorriso falso.
- stasera, noi
andiamo tutti…- cominciò cerimonioso.
- Stasera, andate
tutti… - lo interruppe Heineken.
- Eh?-
- è quello che
stavo dicendo a Chelsea, zio. Io stasera esco. -
- Eh? Cosa? E
dove vai? – chiese sorpreso.
- A festeggiare
il MIO compleanno, con i MIEI amici. – rispose scandendo molto lentamente le
parole.
- m-ma… e dove?!
– chiese con il viso che cominciava ad arrossarsi.
- In un locale
qui in centro. -
- C-che locale?!
-
- un pub.
L’underground se ti interessa saperlo. -
- m-ma no! Noi,
non… -
Da rosso lo zio
stava diventando violaceo.
- andate pure
dove dovete andare. – concluse Heineken con la stessa flemma con cui aveva
iniziato il discorso.
- M-ma no! No!
Questo non lo posso tollerare, signorina! È un giorno molto importante per me e
tua zia e anche se per il momento non sai dove si andrà, tu ci sarai! Capito?!
Oggi ci deve essere tutta la famiglia! Oggi…-
- Robert, porca
miseria, lasciala stare… - disse la zia, che nel frattempo era apparsa sulla
porta.
- Eh?! -
- Oggi è il
compleanno di Heineken. Credo che per lei sia più emozionante passarlo con i
suoi amici che alla fiera degli specchi a pioli, dove organizzano una serata in
nostro onore e ti danno un premio perché sei riuscito a progettarne uno e
venderlo con l’aiuto di tuo cugino Amilcare. -
- m-ma, tesoro, quella
serata è importante per tutti no…-
- Io non
costringerei mai uno dei miei figli a passare la sua festa a gironzolare tra
specchi a pioli e buffet rumorosi e insani dove servono solo caprino con olive
e ettolitri di vinaccio della casa. -
Cadde il silenzio.
Heineken era rimasta alquanto shockata per ciò che aveva appena detto la zia.
L’aveva paragonata ai suoi figli.
Mentre invece
probabilmente lo zio pensava a qualche buon motivo per far venire anche la
nipote con lui, ma, evidentemente non ci riuscì. Quindi alla fine disse:- e va
bene, puoi andare con i tuoi amici al pub. Ma sia ben chiaro… - il signor
Anderson voleva cercare di creare un momento di suspance per incutere la sua
figura con terrore. (tentativo assai vano).
- … non voglio
guai. - concluse con l’ultima speranza
di avere un tono autoritario. Chelsea lo guardava dal basso con la bocca semi
aperta; la zia ed Heineken con le sopraciglia alzate e gli occhi a mezza asta.
- Beh, comunque…
- proseguì lo zio. – dov’è Ben?-
- è di sotto che
fa merenda e guarda la Tv, Robert. -
- Ah, bene.
Allora digli di prepararsi che andiamo. -
- Ben è già
pronto, Robert. Siamo tutti pronti, se l’ hai notato. E anche tu, a vederti.
Forza, andiamo che sono già le sette e venti. -
- bof…, uff, si,
cara… e tu a che ora devi essere lì, tu? – chiese rudemente ad Heineken il signor Anderson.
- non ti
preoccupare, zio, sarò lì a l’ora giusta. Ora fuori da camera mia e vai a
goderti il tuo premio. Vai. – disse duramente e con freddezza Heineken.
Lo zio uscì
seguito da Chelsea. La zia le rivolse un occhiata e poi uscì anche lei.
Heineken lì poté
sentire che staccavano Ben dalle merendine e dalla tv e che sfrecciavano via
dal vialetto con la macchina. Finalmente era sola.
Cominciò a
scegliere gli abiti per quella sera. Poi si lavò i capelli, si truccò e alle
nove e mezza era pronta.
Uscì camminando
per le vie di New York. Alle dieci meno cinque era già all’Underground pub.
Là la attendevano
tutte le persone che l’avevano conosciuto da settembre. Le gemelle Williams,
Sean, Jesse e John, Jim (che la baciò sulla guancia quando la vide arrivare),
Aidan (che fulminò Jim con lo sguardo), e Morgan Phir… (CRASH! Oh, no, il porta
penne!), vabbè, M.P.
La salutarono in
coro quando la videro arrivare. E tra un vortice di “ciao” e “auguri”, Heineken
provava contentezza. Ordinarono subito qualche birra e bacardi, e per le
gemelle una semplice coca con un po’ di rum schizzato sopra. Verso le dieci e
un quarto Heineken chiacchierava con Jim quando le venne in mente una cosa.
- ehi… ascoltate
una attimo, ragazzi… - cominciò rivolta al gruppo.
- Cosa? –
risposero tutti in coro.
- Dov’è Michelle?
-
Gli altri
rimasero in silenzio. Nicole e Sarah affondarono lo sguardo nei cellulari. I
tre della band di Jim si guardarono fra loro. M.P. guardava fuori dalla
finestra (aveva incominciato a piovere). Aidan non si scompose e guardò
Heineken con aria da figo. Jim pareva l’unico ad avere un’aria colpevole.
Heineken aveva la strana sensazione di sapere che succedeva, ma non voleva
neanche ipotizzarla. Quindi sollecitò nuovamente.
- Allora?
Qualcuno mi risponde?! Che fine ha fatto Michelle? -
- forse sta
male…- disse piano Sarah.
- Sciocchezze,
eravamo insieme stamattina. – disse Heineken.
Di nuovo
silenzio. Si sentivano Solo il rumore degli altri tavolini e quello
dell’accendino di Aidan.
Ad un certo
punto, fu proprio Aidan, a rompere questo silenzio, sempre col fare da
figaccione che cominciava ad irritare Heineken.
- lo vuoi
sapere…? Dimmi, lo vuoi proprio sapere? -
- certo. – disse
Heineken bruscamente.
- Vedi, dolcezza,
mia sorella sta sulle scatole a tutti, in questa lurida combriccola…- fece un
tiro: - quindi, su richiesta della maggioranza, l’ ho indotta io a credere che
oggi non se ne faceva niente. Lasciando noi relativamente qui a sbronzarci di
birra e divertirci. Quindi, amore, non ti preoccupare per lei e goditi la tua
festa… -
- No! – esclamò
Heineken che era scattata in piedi senza neanche accorgersene.
- Non me la godo
senza Michelle! Voi avete detto una bugia alla mia migliore amica, nel giorno
del mio compleanno solo per le vostre stupide e infantili coalizioni!Questo non
lo accetto! – Heineken stava urlando, suscitando l’attenzione delle cameriere e
degli altri clienti e pareva non accorgersene.
-
Voi, voi… -
aveva paura di essere arrivata alle lacrime
-
tesoro, non ti preoccupare e goditi la festa… - disse Aidan, anche lui si era
alzato per abbracciarla. Heineken rimase ferma, finché non scoprì la mano morta
di Aidan. Anche Jim l’aveva notata.
-
lasciami! – urlò Heineken, cercando di liberarsi. Prima che finisse la frase,
notò che anche Jim era alzato e stava urlando contro Aidan.
-
Lasciala! Lasciala in pace, Aidan. – Ma Aidan la tenne stretta a sé e si limitò
a guardare Jim con un sorrisetto di superiorità che faceva venire voglia di
prenderlo a schiaffi. Ed era proprio quello che fece Heineken, riuscendo a
liberarsi dalle sue braccia. Passò a fianco a Jim.
Adesso
era Aidan che cominciava a incavolarsi.
-
Heineken, non fare la stupida e vieni qua. Non stare vicino a quell’idiota! -
-
lasciala in pace, Aidan. – sibilò Jim tra i denti.
-
Senti chi parla di essere idiota. – disse aggressivamente Heineken.
-
Heineken, prima che perda la pazienza, e faccia qualcosa di brutto a te, e a
quell’idiota che ti sosta accanto, vieni qui dove sono io. -
-
Non lo farai! – esclamò Jim mettendosi di fronte ad Heineken.
-
oh, insomma! – gridò Heineken mettendosi a sua volta di fronte a Jim, senza
accorgersi che ora tutto il secondo piano dell’Underground pub guardava lei,
Jim, e Aidan. Come se ora la disputa fosse solo tra loro tre, e non per
Michelle.
-
Prima vi comportate tutti schifosamente con Michelle, soprattutto tu, Aidan,
che poi osi fare lo stronzo con me! Come ti permetti?!-
Aidan
non rispose, non ne ebbe il tempo.
Sua
sorella era sbucata alle sue spalle, tutta bagnata di pioggia.
- Aidan! Jim, voi sei! Ma non dovevate... Heineken?! – esclamò
Michelle.
-
Michelle... – cominciò Heineken. Ma non finì la frase.
-
Oh,no… - Michelle si portò le mani alla bocca, con gli occhi che stavano
diventando rossi di pianto.
-
Heineken, anche tu?! Capivo loro, ma… -
Prima
di risponderle, Heineken poté sentire una coppia di signori anziani che li
additava e chiedeva alla cameriera: “mi scusi, è incominciata da molto?” e
questa rispondeva: “mi spiace, siete un po’ in ritardo…”
Ad
ogni modo disse: - Michelle, io non c’entro niente! L’ ho saputo anch’io
adesso! Michelle… Michelle, aspetta! –
Michelle
era corsa via piangendo. Heineken non aveva aspettato un secondo e le si era
precipitata dietro; seguita da tutti gli altri.
Uscirono
dal pub, ignorando una cameriera che gridava “ehi, ragazzi, il conto!!” e
corsero sino a una piazzetta malridotta sotto il diluvio. Heineken prese il
braccio di Michelle tentando di fermarla. Erano loro due al centro della
piazza, con gli altri otto a qualche metro dietro Heineken.
Michelle
piangeva e provava a gridare cose che, soffocate nel pianto, erano difficile da
capire. Gli otto restavano muti. Heineken si sentiva sull’orlo di scoppiare.
Ad
un certo punto parlò Nicole: - Heineken, noi ti abbiamo detto, come la
pensavamo riguardo Michelle. E anche lei lo sa. Ora non c’è alcun motivo di… -
Michelle
si lamentava di più, mettendosi una mano sul volto. Heineken ormai non sentiva
più niente. Solo la pioggia, che li aveva inzuppati tutti. Ed esplosione fu.
- Basta, per favore! Basta! Basta! BASTA!-
Nicole
e gli altri rimasero zitti. Michelle smise di piangere. Heineken invece, si
sfogò.
-
Non ne posso più di voi e delle vostre ridicole vendette da prima media! Se voi
aveste parlato anzi che farvi i dispettucci alle spalle, probabilmente ora, non
saremmo alle undici meno un quarto sotto la pioggia a litigare! E io non sarei
qui a gridare passando un compleanno del cavolo per colpa vostra!! -
Aidan
provò ad aprir bocca, ma da quella non fece in tempo ad uscirne nessun suono.
-
Parli tu, Aidan? Tu, sei il peggiore di tutti! Non solo hai preso in giro tua
sorella alle sue spalle, ma ci hai provato con me, facendomi la mano morta! -
quest’ultima frase, Michelle singhiozzò, poi
guardò il fratello con un’espressione a metà tra la depressa, incredula e
disperata. Poi Heineken urlò la sua ultima frase ad alta voce di quella notte.
-
E ora, se non vi dispiace io me ne vado! -
tutti
la guardarono allontanarsi. Ma quando ebbe svoltato l’angolo Jim le corse
dietro.
- Heineken…! -
- cosa c’è? -
-
ehm.. vieni, andiamo lì sotto a ripararci. – disse, indicando una fermata
dell’autobus, di quelle coi sedili e la pensilina.
Si
sedettero lì, senza bagnarsi per un po’, anche se erano entrambi fradici.
Dopo
qualche attimo di silenzio, Jim parlò: - eh.. ecco, tieni, hai dimenticato la
borsa. – disse, porgendole la sua piccola tracolla verde pasticciata con un
pennarello nero.
Ci
fu un lungo istante di silenzio. Heineken si accorse che erano molto vicini.
Jim
sorrise. Anche Heineken lo fece. Jim si avvicinò ancora. Ormai avrebbe potuto
contare le sue ciglia.
-
sei molto carina, Heineken… - disse piano Jim.
Heineken
ricambiava. Ma quando erano ormai ad un centimetro di distanza…
- Scusa, Jim; io
devo andare. – disse tutt’ad un tratto Heineken alzandosi.
- oh, ehm, si, certo…- rispose Jim un po’ imbarazzato. – v- vuoi
che ti accompagni?-
- no, no, non ti
preoccupare, faccio la strada da sola… Ci vediamo dopo domani a scuola, eh? -
- ok. Ciao… -
- ciao -
E camminò
velocemente via, insozzandosi la gonna e gli anfibi e dandosi della stupida per
tutta la strada.
Tornò a casa che
ancora gli Anderson non erano tornati. Si asciugò tutta e si mise a letto.
Giurò che anche
se quella sera non era stato, prima o poi sarebbe accaduto. Lo sapeva. Se lo
sentiva dentro.
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
Incredibile, ma
vero, a volte le grida funzionano.
Non erano passati
pochi giorni che Heineken si ritrovò di nuovo nel gruppo unito e complice (o
quasi) che c’era sempre stato. E, anche se alle gemelle Michelle non andava
proprio a genio, anche loro avevano imparato il nobile uso della diplomazia.
Il giovedì
seguente, Heineken, tornata da scuola, amava New York e le persone che vi
stavano. E non riusciva ancora a credere che la sfuriata del trentuno ottobre
aveva dato notevoli risultati.
Poi una cosa la
esaltava particolarmente: gli scambi di sguardi con Jim, frequenti e
appassionanti. E anche se tra loro non c’era stato ancora alcun contatto
fisico, si sentiva già sua. Poi, non si sentiva impaurita o infastidita per il
fatto che quella sera doveva andare a provare nel garage di Jim per la prima
volta. Solo un po’ emozionata, ma molto entusiasta. E vedeva anche una stagione
buia e intrisa di compiti in classe come l’autunno, la vedeva perfetta.
Tutto questo
perché…
- perché sei un
CRETINO, ecco perché!- urlò la signora Anderson rinchiusa in un’ ascensore
interno alla casa, sospeso a mezz’aria che il marito aveva tanto insistito a
impiantare per quali loschi e grotteschi motivi che gli avevano suggerito i
meandri più cupi della sua mente.
- Robert! Sei
appollaiato su quella scala alta quattro metri! Hai speso un sacco di soldi per
il sistema anti bloccaggio di questo ascensore e ti sei fatto pure spiegare
come si fa e ora, io sono qui, sospesa a mezz’aria e non sei capace di farmi
scendere?! E se questo aggeggio infernale cade e io mi sfracello?! Voglio
uscire! Aaargh! Fammi uscire, incapace! Fammi scendere! Eeeek! -
e il signor
Anderson, che cercava di ignorare gli occhi infami dei vicini che guardavano
attraverso le finestre, rispondeva gridando a sua volta: - e per forza che non
ce la faccio! Strepiti come un gibbone! Non ce la fai a fare un gridolino
isterico?!
- Aaargh! Fammi
uscire, pezzo di idiota! -
All’ora di pranzo
si ritrovarono lo zio, Heineken, e i suoi due cugini.
- Dov’è la mamma?
– chiese Chelsea.
- Oh, eh… uhm… la
mamma adesso è in ascensore. In attesa che arrivi il tecnico.
- e lei non
mangia? – chiese invece Ben, tra un boccone e l’altro.
- eh, uhm… no…-
Heineken provò a
scappare da quella patetica situazione, mettendo il suo piatto in
lavastoviglie.
- Ehi, gnam,
Heineken, slurp… - le disse lo zio mentre mangiava.
- si? – rispose
la ragazza con disgusto.
- Questa sera
devi uscire? -
- e a te cosa te
ne importa? -
- fono tuo vvio
eowwio he hi freoffufo fi hè! -
- cosa?! -
- sono tuo zio, è
ovvio che mi preoccupo di te! – disse lo zio dopo aver inghiottito un boccone.
- Sono sempre
uscita, non ce n’è alcun bisogno. -
- dimmi almeno
dove vai. -
- oggi a casa di
un mio amico. -
- Un amico?! -
- un ragazzoo… -
disse Chelsea mielosamente. -
Dopo averci
pensato un attimo lo zio disse: - oh, oh! Un ragazzo! –
In quel preciso
istante la stanza si riempì di “oh, o”, “eh, eh”, “uh, uh” e molti “ah, ah” che
sembrava stare allo zoo, nella gabbia delle scimmie urlatrici.
Heineken non
perse tempo, prese i testi della band e uscì di casa.
L’odore di
autunno s sentiva nell’aria. Tra foglie secche e pioggia si potevano quasi
sentire i loro suoni. Ah, no, è la zia che urlava per il voler uscire
dall’ascensore.
Comunque, a tutto
ciò, Heineken, nella sua città di provincia non ci aveva mai pensato. Prima
aspettava trepidamente solo che arrivasse la notte, per imboscarsi nei suoi
posti preferiti.
Non le restò
molto tempo, però, per fare queste poetiche considerazioni, perché era già
arrivata alla porta del garage di Jim.
Entrò subito. Fu
ben accolta da Sean, Jesse e John, (che fecero del loro meglio per nascondere
il più presto possibile l’ultimo numero di “Penthouse” che stavano guardando
avidamente).
- ciao, ragazzi -
- ciao! – dissero
in coro i tre, dal loro tavolino dov’erano fossilizzati.
- dov’è Jim? -
- è andato un
attimo di sopra. Sta tornando. -
Jim arrivò poco
dopo. Salutò Heineken con il solito bacio affettuoso sulla guancia (cosa che
gli altri tre trovarono particolarmente ironica…), poi parlò con Heineken.
- hai studiato i
testi? – le chiese mentre sistemava l’apparecchiatura.
- si. Mi
piacciono. -
- ne sono
contento. -
- c’è una cosa
che ho dimenticato di chiederti: come si chiama la band? -
- oh, fino a
l’altro ieri non avevamo un nome. Poi mi è venuta un’idea: “FallenAngel”. Ti va
bene? -
- lo trovo
fantastico. -
- bene…sai, mi è
venuto pensando a te. – finì a voce bassa.
Heineken non
riuscì nemmeno a immaginare la
somiglianza di se stessa con un angelo caduto, ma decise di non farlo sapere
Jim.
Dopo qualche
istante Jim fece segno a quei tre di alzarsi e disse: - ora ti facciamo sentire
come fa la prima canzone… -
- ok. E come si
intitola? -
- te lo dico io…
- disse Sean arrivando da dietro. – Jim non ha voluto scriverli nei testi per
non farti spaventare… -
- Non è quello! –
esclamò Jim, che stava diventando a poco a poco rosso. – è il contenuto che ha
importanza, non il titolo. E lei doveva dire se le piacevano dopo averle lette
tutte. Non i titoli. -
- ok, tigre,
glieli dico io titoli… - disse John con tono di sufficienza.
John parlava così
in fretta e con così tanto tono annoiato che per Heineken fu un’impresa capire
ciò che diceva. Tra tutti i suoni che uscirono dalla sua bocca, Heineken capì solo due titoli: “Take me
out” e “How does it feel” . Per non fare una figuraccia fece finta
di capire tutto e poi ascoltò la musica.
Si sentì
trascinare. Sarà perché non aveva mai posseduto un CD, sarà stato per la
bravura di Jim e gli altri, fatto sta che tutt’ad un tratto si sentì orgogliosa
nonché felice di diventare la prossima voce dei FallenAngel.
- ecco, questa
era “Take me Away”. – disse Jim quando ebbero finito di suonare. – ora
la proviamo con la tua voce. -
Heineken si sentì
avvampare. Ma non aveva paura. Ecco la voce d Jim… ( “uno, due, tre, quattro”)
e la base che partiva. Heineken afferrò con la mano sinistra i testi, con la
destra l’asta del microfono e poi cominciò.
In poco tempo si
sentì stranamente disinvolta, come se l’avesse sempre fatto. E perfettamente a
suo agio. In breve l’adrenalina le attraversò il corpo dandole una sensazione
come mai aveva sentito prima. Ma solo lei l’avrebbe potuta definire. Da qui io
riassumo tutto con una parola: fantastico.
Erano passati tre
minuti e ventidue secondi quando la canzone finì. Ad Heineken sembrava passato
un attimo.
- Bravissima!
Whoo! – urlò Jesse applaudendo con le mani sopra la testa.
- Ve lo dicevo
che aveva una voce stupenda! – sentenziò Jim agli altri.
- Hai il rock nel
sangue! – concordò Sean.
- cacchio, è
vero… - concluse, benevolmente, ma in maniera assai poco fine John.
Heineken sorrise
senza volerlo. Non aveva mai ricevuto tanti complimenti in vita sua. Non riuscì
a ringraziare; mostrò solo un ampio sorriso.
- Bene, ora
proviamo anche le altre. – Disse Jim. E gli altri partirono con la musica.
Fu una serata particolarmente
entusiasmante per tutti. Per Heineken, certo, ma anche per gli altri che
avevano trovato una vocalist. La più “bella e coinvolgente voce che avevano mai
sentito”, le dissero, quando ebbero finito.
- Ok, ragazzi. –
disse Jim agli altri. – Ci sentiamo dopo, io accompagno a casa Heineken. –
Mentre Sean, Jesse e John facevano casino per salutare l’amico, Heineken si
chiese perché Jim affermava di accompagnarla, quando neppure glielo aveva
chiesto.
Ma non le dava
fastidio di certo, quindi non disse niente e uscì dal garage con lui.
Camminarono per qualche metro avvolti in un silenzio imbarazzato, ma, dopo un
po’, fu Heineken a parlare.
- Ah, Jim… -
- si? -
- ho scordato di
dirtelo, mi dispiace per la serata di sabato scorso. Avrei dovuto contenermi… -
- No,no, ti
chiedo scusa io. Pur essendo contrario alla comitiva contro Michelle per la tua
festa, non ho detto nulla e non mi sono opposto. Mi dispiace… -
- figurati. -
Ci fu un altro
attimo di silenzio. Poi Heineken parlò di nuovo.
- Credevo che Aidan
fosse diverso… -
- Cosa? -
- Aidan. Si
tratta di lui. Mi sembrava un ragazzo diverso, invece ho capito che razza di
idiota maniaco è. Ora in parte mi sento anche colpevole per quello che è
successo sabato per aver creduto che fosse un ragazzo intelligente e sensibile.
-
- Non pensarlo
nemmeno! – esclamò Jim fermandosi di fronte a lei. - tu non hai colpa se quello
è un idiota. Non c’entri niente. -
Calò il silenzio
tra i due. Heineken si rese conto che erano ancora l’uno vicino a l’altra.
Nessuno di loro disse niente. Si avvicinarono sempre di più. Jim fu il primo a
chiudere gli occhi. Heineken lo imitò. Ora Heineken poteva sentire il suo
respiro e viceversa…
- ma guarda se
quei due non sono proprio… Jim! Heineken! -
Michelle era
spuntata da una strada all’incrocio a fianco a loro.
I due ebbero
reazioni diverse, prima di salutarla. Heineken emise una lieve risata di quelle
della serie “ridiamoci su perché altrimenti c’è da suicidarsi”, invece Jim fece
un leggerissimo sbuffo della serie “che rottura di BIP…”, poi fece un
moderato sorriso.
- Ciao! – disse
Michelle arrivando correndo, mettendo le braccia attorno alle spalle dei due.
- Ciao, Michelle
– dissero insieme Jim ed Heineken.
- come và? –
disse lei.
- oh, bene… stavo
accompagnando Heineken a casa. – rispose.
- e scommetto che
eri troppo occupato a scortare la signorina,
per dimenticarti di darle questo. – ribatté Michelle tirando fuori dalla sua
borsa un pacco regalo con le firme di tutto il gruppo.
- Buon
compleanno, Heineken. – concluse rivolgendosi a Heineken.
- oh, si è vero,
che stupido… - soggiunse Jim. – auguri, Heineken. -
- grazie. -
- Forza, aprilo-
incitò Michelle.
- Qui? -
- si, qui.
Aprilo, forza! -
Heineken scartò
in fretta la carta e aprì la scatola. Rimase meravigliata e piacevolmente
stupita.
- oh, u- un
cellulare… -
- è stata
Michelle a dirci che eri l’unica al mondo a non possederne uno. – disse Jim
sorridendo.
Anche Heineken
sorrise. Era quasi commossa. Ma si guardò bene a far fuoriuscire le lacrime per
non fare la figura della stupida.
- e dentro
troverai un’agendina con tutti i nostri numeri e una ricarica gratuita. – disse
Michelle.
- oh, grazie… non
dovevate…-
- e non dire
idiozie! – esclamò bruscamente Michelle. – beh, ora io vado, perché sicuramente
ho interrotto qualcosa… -
gli altri due
sorrisero in maniera nervosa e fecero qualche risata falsa. Ora Heineken
avrebbe spaccato in testa la scatola del telefonino a Michelle. Ma non lo fece
perché era troppo contenta del regalo.
Si salutarono e
Michelle saltellò aggraziatamente via. Heineken e Jim ripresero a camminare; ma
lentamente, come se istintivamente volessero entrambi che quel momento durasse
all’infinito.
Ad un certo punto
Heineken si accorse che si erano istintivamente presi per mano…
- oh… -
- cosa c’è? –
chiese amorevolmente Jim.
- io abito qui
dietro. Ci salutiamo qui? -
A Heineken venne
in mente solo ora. Dovevano per forza salutarsi dietro la strada. Non avrebbe
mai permesso a Jim di vedere gli Anderson. Ne sarebbe rimasto sconvolto.
- ok.-
- ciao. – fece
per andarsene, ma non fece in tempo a evadere da quella situazione. (…“e
baciatevi, cretini!”urlano solitamente i lettori arrivati a questa parte del
libro.)
- Heineken… -
- si? - si riavvicino a lui.
- domani… ecco,
io… io faccio una festa a casa mia. I miei domani mattina partono per due
giorni a Boston per un convegno. Ti… ti andrebbe di… -
- …starci?-
concluse Heineken. Poi si morse la lingua.
- oh, cioè volevo
dire… andarci.. cioè… insomma, che io venga… no, cioè, che vada al tuo party?-
- si. Ne sarei felice.
-
Jim le mise le
braccia attorno alle spalle e la strinse a se. Si stava per ripetere la scena
precedente. Cosa mai avrebbe potuto fermarli ora?
- AAARGH! Pezzo
di cretino! Sono appesa qui da stamattina e il fabbro non è ancora arrivato?!!
Voglio scendereeee!! -
A volte mi chiedo
se porto sfiga io o se c’è M.P. nascosta qui da qualche parte.
- Cosa è
successo? – chiese Jim staccandosi. Heineken cominciava a spazientirsi.
- oh, niente. È…
è… è mia zia che ha finito il valium, ecco. – disse in fretta e nervosamente
Heineken.
Poi fu un attimo.
In fretta e istintivamente si avvicinò
e poggiò le labbra su quelle di Jim. Questo gemette in silenzio per il
colpo ricevuto, ma non disse niente. Continuò quello che Heineken aveva
iniziato, affettuosamente; avvolti nell’intimità del tramonto.
Finirono dopo
qualche lungo e appassionante attimo. Ma prima che potessero dirsi qualcosa,
arrivò una persona in macchina a interromperli.
- scusate
ragazzi… - dal finestrino spuntò un uomo basso e corpulento, con pochi capelli
sale e pepe in testa e una salopette azzurro scolorita con un etichetta
sbiadita e illeggibile.
- si?- risposero
in coro i due.
- sapete dov’è
casa Anderson – Miller? Hanno chiamato circa quattro ore fa per un tecnico
perché dicono si sia bloccata l’ascensore… -
- oh, si. Io
abito lì. È proprio li dietro la strada. Cominci ad andare, la raggiungo
subito. – disse Heineken. Il tipo ingranò la marcia e partì.
- beh, allora a
domani? – chiese timidamente Jim.
- Si… -
si diedero un’
ultimo bacio breve e poi Heineken corse a casa. Indescrivibile ciò che provava
in quel momento.
Vide che il
tecnico era già arrivato sul posto del bloccaggio dell’ascensore. Ma per il
momento cincischiava. Fortunatamente dopo riuscì a liberare Rose senza danni
particolari. (?)
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
p class=MsoBodyText>Come si svegliò
il giorno successivo Heineken ebbe un sussulto allo stomaco al ricordo del
bacio di Jim e del fatto che stasera doveva andare al party a casa sua.
Toccò il suo
cellulare. L’aveva messo in carica la sera prima, quindi avrebbe dovuto essere
pronto. Aveva già preso in mano in precedenza i cellulari di Michelle e le
gemelle, quindi non le fu troppo difficile fare cose tipo impostare la
suoneria, o inserire i numeri in rubrica.
Dopo che ebbe
fatto tutto questo genere di operazioni si preparò in fretta e corse a scuola,
dove, tanto per cambiare, la aspettava la sua migliore amica, Michelle; che non
esitò a salutarla con il solito euforismo.
-
ciaaaaaaaaoooooo!!!!! Jim mi ha mandato un sms ieri. Ci sarai alla festa
stasera? -
- Ciao… si, ci
sarò. Oltre noi dieci chi viene? -
- noi nove,
Heineken. Non ti aspetterai che venga anche quel disgraziato di mio fratello,
vero?
- Spero di no . -
- Ad ogni modo la
rabbia si è spostata da me ad Aidan; nessuno del gruppo ha apprezzato il suo
modo di comportarsi con te. (forse Jesse, Sean e John gli sono ancora amici, ma
non lo so). Comunque era praticamente quello che mi ha tenuto lontana alla tua
festa. E invece ora non c'è più nessuno arrabbiato con me e la fregatura per la
festa di stasera per Aidan la sto organizzando io. Paradossale, eh?
- se lo dici tu…
-
- Comunque oltre
noi NOVE, ci sarà anche un po’ di gente di scuola e un mucchio di persone che
non conosciamo. -
In quel momento
suonò la campanella. Le due amiche si avviarono verso la classe.
- comunque… dimmi
una cosa… - proseguì Michelle in tono malizioso. – cos’è successo con Jim? -
- eh? -
- devi raccontarmi
tutto, tesoro. Non hai scelta. -
- oh, io dico che
ce l’ ho eccome. – rispose bruscamente Heineken dando un’aggressività alla
frase che avrebbe voluto non dare.
- è obbligatorio.
Heineken esitò. Ma
prima che potesse dare la risposta che aveva deciso di dare, si fece avanti
Michelle:
- vi siete baciati?
-
Heineken annuì.
Invece l’amica spiccò un salto esultando, suscitando gli sguardi indiscreti e
spaventati dei compagni.
- Lo sapevo! Lo
sapevo! Lo sapevo dal primo momento che eravate fatti l’uno per l’altra!-
- Michelle? -
- si, tesoro? -
- piantala di dire
cretinate. -
Michelle continuò a
sorridere spensierata, forse felice per l’amica, forse semplicemente entusiasta
che era successo qualcosa di elettrizzante all’interno del gruppo che
contrastava con la vita quotidianamente pallosa. Ad ogni modo, sempre col suo
sorriso contagioso disse all’amica: - senti, piccola, io ora vado a lezione, ci vediamo stasera a casa di Jim. –
- ciao-
La giornata sino
alle tre proseguì normalmente, tranne per il fatto che non vide Jim per tutto
il giorno e che le professoresse la richiamarono all’attenzione per quattro o
cinque volte in tutte le sette ore. Ma Heineken non ci poteva far niente. Non
riusciva a interessarsi delle espressioni algebriche o di George Washington
(che la signorina Smith aveva definito “un gran pezzo di maschio”, oltre che
aver sparato una miriade di idiozie sulla guerra di secessione). Ma come poteva
essere lontanamente incuriosita a questi fenomeni scolastici quanto quella sera
probabilmente sarebbe di nuovo finita tra le braccia del ragazzo di cui era già
innamorata?
Si, esattamente
così. Jim era il suo primo amore, e, anche solo dopo quel bacio, ne era già
innamorata. Lo desiderava, voleva essere sua. Lui era così dolce, così
simpatico, così perfetto, così…
- così carino… -
- Prego, Anderson?
– chiese la professoressa di matematica.
- oh, ehm, si,
volevo dire x =… -
E ripeteva quello
che la prof. Aveva detto un attimo prima, senza pensarci. L’unico sentimento
che sentì quella mattinata fu un balzo di eccitazione allo stomaco quando suonò
la campanella delle tre.
Avrebbe voluto
correre a casa senza guardare in faccia
nessuno, ma, per sua sfortuna, fu fermata dalle gemelle che la
“costrinsero” a fare la strada insieme.
- come pensi che
sarà la festa, stasera? – chiese Sarah a Heineken prendendola sottobraccio.
- beh, visto che
non ho la palla di cristallo… -
- non puoi
prevedere niente, abbiamo capito. – concluse Nicky tenendola a braccetto
dall’altra parte.
- bella giornata,
vero? – continuò l’altra.
- si… - disse Nicky
senza neanche far parlare Heineken. – perché non…? -
- vieni a prendere
un the a casa nostra? – conclusero in coro le due gemelle trascinando Heineken
svoltando la strada a destra.
- oh, no… no
grazie. – disse in fretta Heineken cercando di liberarsi dalle due. Invano. –
no, no, guardate… ho altro da fare. Grazie lo stesso. -
- Vieni con noi –
insistette Sarah trascinando tutta la sua parte sinistra verso la strada dove
risiedevano le sorelle.
Heineken notò
che stavano camminando sempre più
veloce, quasi freneticamente.
- ma… cos’è
successo?! -
- te ne parliamo
una volta arrivate – disse Nicky.
- a casa. –
concluse Sarah.
Quando erano ormai
a pochi metri dalla villa dei Williams, situata in mezzo a un giardino curato
in mezzo a tante altre case di un quartiere medio – alto borghese benpensante,
Heineken riuscì a liberarsi dalle braccia delle due con sforzo sovraumano.
- si può sapere che
avete voi due?! – esclamò fermandosi dietro di loro.
- dobbiamo
parlarti. – disse Nicole dopo un attimo di esitazione.
- ma pensiamo che
forse è meglio… -
- parlartene a
casa. -
- Riguardo cosa?
-
Attimo di
esitazione. Heineken aveva paura di sapere di cosa le due avrebbero voluto
parlarle. Ma sperava tanto di sbagliarsi. Giurò che se Nicky e Sarah avessero
toccato ancora quell’argomento le avrebbe uccise.
- vedi… - cominciò
Nicky; ma i suoi discorsi furono interrotti da un auto che parcheggiava
elegantemente nel vialetto di casa Williams. Da essa ne scendeva un uomo alto,
vestito in giacca e cravatta, da lavoro. Doveva avere una quarantina d’anni,
ma, sorprendentemente, aveva ancora i capelli. Una soffice capigliatura bionda.
Come questo scese
dall’auto, dalla casa uscì una signora altrettanto alta, magra, con capelli
castano – rossi corti, vestita in maniera austera ed elegante: completo di
gonna e maglioncino aperto color panna, con una collana di perle bianche al
collo e scarpe analoghe con i tacchi a spillo.
La donna baciò
quello che doveva essere il marito sull’uscio di casa, come se fosse ANCORA
felice di vederlo e di mostrarsi innamorata dopo anni e anni di matrimonio e di
giornate di lavoro simili a quella. Sembrava la scena di un telefilm. Heineken
pensò che i Williams erano proprio la famiglia modello americana. Ma se era
così, allora gli Anderson erano la presa in giro della parodia di una famiglia.
- ciao, ragazze! –
disse l’uomo a Nicky e Sarah dopo aver baciato appassionatamente la moglie.
- ciao papà! –
risposero in coro le gemelle. Poi tornarono a Heineken.
- allora, entri un
attimo? -
Heineken in un
primo momento non rispose. Poi fu Sarah a fare l’errore.
- si tratta di
Michelle. -
Heineken aveva
sentito ciò che non voleva udire; non si sarebbe sorbita un’altra volta il
sermone su quanto Michelle fosse pericolosa, cattiva, e pessima come amica.
E non voleva
riascoltare ciò che aveva già sentito.
Fece per andarsene,
girandosi. Ma non fece in tempo; Sarah la afferrò per un braccio.
- aspetta…! Non è
per disprezzarla, ma per aiutarla. - - ti prego, entra un momento. – continuò
Nicole.
Le tre si
ritrovarono sedute intorno al tavolino del salotto. Heineken notò che tutta la
casa sembrava costata un mucchio di soldi. Ed era piena di scaffali, lampade e
tantissime foto di famiglia: la signora, Nicky e Sarah vestite uguali da
bambine, Nicky e Sarah il primo giorno di scuola, il signor Williams, Nicky e
Sarah al loro quinto compleanno, e, immancabile, la tipica foto di famiglia. Ma
di certo non era quello il momento per pensare a queste cose, quindi si mise
composta in posizione d’ascolto rifiutando gentilmente una tazza di the
offertole dalla signora che aveva visto prima: la dolce, cara, bellissima,
perfetta signora Petunia Williams.
- allora, cos’è
successo con Michelle? – chiese Heineken alle due quando furono sole, con una punta di preoccupazione.
- io se fossi in te
direi “cosa è successo A Michelle”. – ribatté Nicole.
- o meglio cosa le
sta succedendo. – precisò la sorella.
- Droghe. Parliamo
di questo, Heineken. -
- oh… - cominciò
Heineken con leggerezza. – no, guarda, non penso proprio che Michelle faccia
troppo sul serio con quella roba. Io credo che lo dica in giro solo per
mettersi in mostra, ma… non credo che ci vada pesante… poi è sempre fresca come
una rosa. Non è da una cocainomane. -
- Hai torto,
Heineken. – rispose Nicky. – soprattutto sull’ultima cosa. -
- l’abbiamo vista
l’altro giorno, assieme al suo nuovo fidanzato. – proseguì Sarah. – Tom Hilton,
quarto anno, se ti interessa saperlo. Frequentano entrambi uno di quei postacci
dove circola quella roba. Coca, eroina, anfetamine… di tutto e di più. Non ti
dico in che stato era. -
- scommetto che era
insieme ad M.P.… - disse Heineken con una velatura di sarcasmo.
- Non fare la
sciocca, Heineken, M.P. sarà anche una sfigata depressa, ma più avanti di
sigarette e qualche spinello non è mai andata. Qui parliamo di roba grossa! – rimbeccò
Nicole. Poi continuò: - dove va di solito lei… è un appartamento dei quartieri
popolari abbandonato, occupato da ragazzi. In quel covo di degenerati è lei a
fare la differenza per la sua apparenza. Ma quando l’ecstasy sale è uguale agli
altri. E un paio di cuoricini ricamati non fanno la differenza. -
- certo… - rispose
Heineken. – ma voi come l’avete saputo dell’ appartamento occupato dove va? -
- l’abbiamo vista.
– risposero prontamente in coro le due.
- capisco… ma voi
due nei quartieri popolari dove circola coca, ecstasy ecc. che ci facevate? –
disse con tranquillità.
Le due si
guardarono con un’espressione che si
fondeva tra indignazione e smarrimento, come se fossero state scoperte in
qualcosa che non dovevano fare.
- Ora te lo
spieghiamo – disse Nicole dopo un attimo, come se fosse riuscita a inghiottire
l’affronto di Heineken solo ora. – prendiamo lezioni di piano. - -da una
vecchia zia di mamma - , continuò Sarah. – ma visto che quel giorno papà non ci
poteva accompagnare siamo dovute andare a piedi e fare quella strada. -
- dove abbiamo visto Michelle. -
- in uno stato a
dir poco pietoso. -
- Cosa intendete
dire, con “stato pietoso”? – chiese Heineken.
- beh, per farla
breve… -
- gridava, diceva
frasi sconnesse e incoerenti, andava a peso morto sul primo che le capitava
(nonostante Tom fosse lì), barcollava e dopo un po’ si è tolta la maglietta
facendo cose improbabili con gli altri fattoni e il suo ragazzo. – concluse con
agghiacciante semplicità Sarah, come se stesse rileggendo da capo la lista
della spesa. Le sue parole paralizzarono Heineken.
- cosa? -
- bisogna fare
qualcosa, e subito. – disse Nicky con aria autoritaria. – Heineken, tu sei la
sua migliore amica. Devi provarci tu. -
- oh… - disse
Heineken con una punta di sospirata disperazione. – non penso proprio di
esserne capace. -
- a noi ci considera due tu – sai – cosa e ci
manda a quel paese. Con te non lo farà. – continuò Sarah con determinazione.
- sarà anche lei
alla festa stasera… -
- sì, con Tom, e
sarà un’ottima occasione per parlarle. – concordò Nicky.
- stasera non è il
momento giusto. -
- perché no? -
- Nicky, io sono
interessata alla salute di Michelle più di voi due messe insieme. Ma stasera,
con il suo ragazzo e tutti gli altri… beh, non va bene. -
- non c’è un momento
giusto per aprire gli occhi sulla realtà. – continuò Sarah.
- invece c’è. -
- Heineken, so che
ti sembriamo disumane a fare certi discorsi, ma se li facciamo è soprattutto
per il bene di Michelle. E tu sei l’unica che può dirglielo. Almeno prometti che
ci proverai? – chiese Nicole.
- ci proverò. –
disse Heineken. Poi salutò le due e uscì dalla “casa perfetta”. Sapeva perfettamente di aver detto una
grossa bugia a Nicky e Sarah, ma quella sera no. Non avrebbe stressato
Michelle; lei non era brava in quel tipo di discorsi. Voleva solo rivedere Jim.
E poi non sarebbe cambiato nulla, giorno più, giorno meno.Dirglielo quella sera
le avrebbe solo rovinato la festa e lei ce l’avrebbe avuta contro per
l’eternità. Ma questo le gemelle non lo capivano. Poi Heineken si chiedeva: ma
era tutto vero ciò che aveva sentito dalle due?
Tormentata da
questi pensieri, tornò a casa, dove non perse tempo e si lasciò tranquillamente
assillare da un’altra incombenza: come si sarebbe preparata per quella sera?
Dopo un intero
pomeriggio di prove ed estenuanti ricerche nel fantastico mondo dell’armadio,
optò per: gonna nera col pizzo rosso comprata insieme a Michelle, felpa analoga
col cappuccio con sotto una tshirt, e anfibi al ginocchio per completare il
look total black. Poi il solito make up: matita nera sfumata per far risaltare
il blu scuro degli occhi.
Fatto sta che la festa cominciava alle nove e lei era
pronta verso le dieci e un quarto. Ma tanto non valeva la pena essere pronte in
tempo. Ignorando i “dove accidenti vai” degli zii, Heineken uscì e si avviò
verso casa di Jim.
Ma perché gli
Anderson si interessavano così tanto a dove andava? Si chiese d’improvviso mentre attraversava il
vialetto della casa di Jim. Ma non perse tempo e suonò il campanello. Visto che
all’interno c’era abbastanza casino dovette suonare più volte. Alla terza,
arrivò Jim ad aprirle, che, alla sua vista sfoderò in fretta un sorriso solare,
e le diede un bacio sulla guancia.
- ciao, ti
aspettavo- le disse.
- lo so, scusami
per il ritardo. -
- no, no figurati,
tanto sono arrivati tutti adesso. – le disse scortandola dentro la casa . Era
affollatissima. Tra gente conosciuta e sconosciuta, Heineken intravide in torno
a una poltrona Jesse, Sean e John (quest’ultimo comodamente seduto all’interno
della poltrona con gli altri due ai lati), che la salutarono.
- ciao, Heineken! – disse Jesse.
- ciao...! –
continuò Sean.
- he he he… è, - hips! – arrivata… l-la
spogliarelista…sìì?…he he he he… ciao … - disse John. Gli altri due risero, invece Jim pareva
trovarsi a disagio. – ehm, ragazzi…
- si? –dissero
Jesse e Sean in coro.
- forse è meglio
farlo passare all’acqua. –
- Non preoccuparti,
Jim… -
Jim accennò un
sorriso e poi portò via Heineken per un po’ per farle conoscere il resto degli
invitati ( anche se erano così tanti che fu impossibile conoscerli tutti)
- questa è Janice,
una mia carissima amica. – disse facendole vedere una ragazza alta e magra coi
capelli corti e biondi tagliati sfilati. –ciao –
- piacere -
- e quei quattro di
là sono dei miei vecchi compagni di musica. Sono in contatto con loro tutt’ora.
Poi… vabbè, noi sette ci conosci già, ah vieni… - le portò da un gruppo di
cinque teen agers ben sviluppate che stavano attorno al tavolo della cucina.
Heineken le aveva già viste; erano le cheerleader della scuola. Potevano anche
assomigliare a Chelsea, se non fosse stavo che queste erano più grandi, più
sexy, amiche di Jim e, senza dubbio, più intelligenti.
- ragazze, questa è
Heineken, ma l’avrete senz’altro già vista. – disse Jim.
Le ragazze, in un
groviglio di voci incomprensibili, dissero di conoscerla. Heineken sorrise e le
salutò.
Poi il giro di
conoscenze andò avanti per qualche minuto così per: sei amici e amiche di
vecchia data di Jim, tre cugini, gente di scuola che Heineken conosceva già,
una comitiva di rappers, una ragazza straniera figlia di certi amici spagnoli
dei genitori di Jim, e, infine, un gruppo di giocatori di football che
giocavano a chi sputava più lontano in giardino.
Poi Jim ed Heineken
si presero qualcosa da bere e si
sistemarono su due sedie in una parte della parete.
- beh, allora che
mi racconti? – disse Jim.
- oh, niente di
speciale… tutto scorre come al solito. Ah, grazie per il cellulare, mi piace
moltissimo. -
- anche a me… -
disse piano Jim.
- cosa, il
cellulare? -
- no… tu. – Poi
chiuse gli occhi e la baciò teneramente.
- bella festa -
- grazie. Ma se i
miei scoprono che ho organizzato un party mi ammazzano. -
- “non ti curar di
loro”… - disse sorridendo Heineken. Poi
fu lei a baciarlo.
Ma a un certo punto
scoprirono entrambi nella maniera più indecorosa che dovevano spostarsi.
Michelle e Tom erano proprio affianco a loro, che si scambiavano effusioni
molto spinte e frenetiche. Jim si alzò lanciandole uno sguardo imbarazzato.
Heineken fece lo stesso e si trasferì in un punto libero di un divano con Jim,
provando ad ignorare gli sguardi di rimprovero delle gemelle che stavano lì da
quelle parti.
Poi poterono
passare una bella serata, in fondo; facendo conversazioni costellate di baci.
A metà serata,
Michelle e Tom, probabilmente fatti di qualcosa, giocavano a fare “aPORCalixe
now” sul tappeto d’ingresso, suscitando lo sguardo severo di Nicky e Sarah e
quello incuriosito e forse divertito di altri invitati; M.P. leggeva i tarocchi
ad alcuni ragazzi, sostenendo di saperlo fare; la ragazza spagnola aveva
stretto conoscenza con un cugino di Jim e ora si scambiavano tenerezze in un
angolo (ma molto meno vistosamente degli altri due); e John, cantava canzonacce
improbabili e faceva goffi tentativi di apparire figo con le ragazze,
assecondato da Jesse e Sean, che, però, a suo contrario, erano perfettamente
sobri, ma volevano divertirsi.
Sì, una bella
serata in fondo, e comunque non disturbava Jim e Heineken, che non venivano
toccati dalla voce di John che si sentiva in tutta la stanza.
Bacio tra i due.
- sei la ragazza
più carina e simpatica che abbia mai conosciuto fin ora, sai? -
-Rosamunda, tu
shei la vita per meee! – (risate degli altri)
Heineken si sentì
arrossire.
- e Shilvanaaaa,
bionda pantera della savana….! -
Bacio.
-sho di non
eshere bello da baciaaar, cosa mai andate a cercaaar…. –
- ti amo, Heineken.
Ti amo tanto. -
- anch’io, Jim…-
Bacio.
- …e Claudiaaa…
tu mi scateni un brividooo….-
Un altro bacio.
-… dall’ombelico
in giuuu… e Ginevra shei il mio amoreee…. –
Silenzio tra i due.
Poi un altro bacio ancora.
-… di te mi
piace più l’odoreeeeeeee… anche senza deodorante, tu per me non shei
ashfissianteeee…..-
Jim ed Heineken si
guardarono per un lungo istante. Non era stato per le canzoni da osteria di
John, non era stato per la vocazione da porno diva di Michelle a fermarli… non
poteva esserci niente a disturbarli, ora.
Ma un attimo dopo
sentirono un grido. Guardarono entrambi di fronte a loro per vedere che
succedeva; poi videro M.P. correre verso di loro urlando.
- Fermi! Fermi!!! -
- cosa succede,
Morgan?- chiese Jim.
- Aidan! Sta
arrivando! State attenti, Aidan sta arrivando, lo so!! me lo sento!!! -
- l’ hai letto nei tarocchi? – chiese Heineken
un po’ sorpresa.
- no, l’ ho visto
dalla finestra che imboccava il vialetto, perché? -
All’improvviso
guardarono tutti e tre verso il corridoio dell’ingresso. Sentirono un forte
rumore di porta sbattuta e dei passi in corsa. Poi videro Aidan comparire
dinanzi a loro. M.P. si fece da parte, mentre Jim si alzò.
- che diavolo ci
fai qui? – chiese aggressivamente fissando Aidan negli occhi.
Aidan provò ad
avvicinarsi di più ad Heineken, ma non ci riuscì; Jim faceva da scudo.
- Vai via. -
- io dico di no –
ribatté Aidan senza scomporsi. – Heineken,
vieni con me. Ho la macchina parcheggiata qui fuori. -
- NO. -
- ti faccio passare
una serata migliore di questa, garantito. -
- lusingata, ma non
ti toccherei neanche con un bastone lungo due metri. – disse freddamente
Heineken.
- non me ne andrò senza
di te. -
- Aidan. Questo è
il MIO party e dal momento che tu non sei stato invitato, sparisci, vai via.
Capito? – disse Jim aggressivo, avvicinandosi ancora di più a Aden.
- Ah! Ma sentitelo!
Heineken, ma sei proprio sicura di preferire questo ragazzino qui a me?! -
- sì, Aidan. E ora
fai come ti ha ordinato Jim, dirigiti verso l’ ingresso ed esci di qui. -
Aidan divenne
livido di rabbia. Si avventò verso Heineken prendendola per un braccio,
cercando di prenderla con sé.
- non me ne vado
senza di te, capito, sgualdrina?! Capito?! -
- Ora basta!!! –
gridò Jim, scatenando la curiosità di molti invitati, che guardavano Aidan, Jim
ed Heineken.
- Ora basta! Fuori
di qui, Aden! Fuori, ho detto!! – urlò sempre di più Jim, dando uno strattone
ad Aidan.
Heineken si trovava
malissimo. Ma in mezzo alle grida di Jim e di Aidan, che si dimenavano per lei
riuscì a sentire una voce, anzi due:
Jesse si era
avvicinato a Nicole e, in tutta tranquillità, le diceva:
- può sembrar
strano, ma sarà John a salvare la situazione. -
- Come? E come ci
riuscirebbe fra quei due cani rabbiosi? -
- vedi, a inizio
settembre la sua ragazza, Jennifer, lo ha scaricato. -
- e allora? -
- tu non conosci i
miracoli della birra, tesoro… -
Heineken passò lo
sguardo da Jesse e Nicole a John, che era sempre nella poltrona insieme a John
e le cheerleader. Notò che era anche a petto nudo. Poi guardò Aidan e Jim, che
stavano per menarsi. In un attimo Heineken chiuse gli occhi e sperò che davvero
QUALCOSA salvasse la situazione. Infatti di lì a poco…
- …hips! J-Jennifer!
– vide che John si era alzato e guardava verso la loro direzione. Poi si alzò
barcollando; - Jennifer shei tu… -
John cominciò a
correre verso Aidan.
- oh, hips! Jennifer! Jennifer ti prego torna da me! Shono stato –hips!- cattivo, non
lo farò maaiii più! Lo giuro, -hips!- Jennifer, credimii!! -
- AAARGH!
Levatemelo di dosso! Levatemi di dosso questo idiota sbronzo! -
John si era tuffato
sopra Aidan e ora erano entrambi per terra, con John sopra dell’altro, che
scambiava per la sua ex fidanzata, pregandolo di tornare da lui.
Logicamente seguiti
dalle risate di tutti gli invitati compresi Jim ed Heineken.
Aidan, rosso in
viso e imbarazzato, provava ad alzarsi, ma John lo ributtava a terra senza
smettere di vaneggiare frasi con il nome di una certa Jennifer sempre in mezzo.
Andarono avanti così per un paio di minuti; poi Aidan riuscì a liberarsi e,
senza dire niente, si avviò a passi svelti verso la porta, solo rivolgendo un
occhiata tra il disgustato e l’imbarazzato alla sorella.
Poi la festa tornò
alla normalità. Erano quasi le due del mattino e la casa cominciava a svuotarsi
a poco a poco.
Jim ed Heineken
erano ancora sul divano a scambiarsi tenerezze. Ma Jim era sommerso dai saluti degli amici; non potevano
continuare a darsi un bacio e salutare qualcuno in continuazione: erano
entrambi desiderosi di stare l’uno con l’altra.
Ad un certo punto
Jim si alzò e prese per mano Heineken, lei provò a chiedere che cosa stesse
facendo, ma lui le fece segno di seguirlo, sempre tenendola per mano.
Camminarono sino ad arrivare alle scale, poi salirono al piano di sopra. Sempre
tenuti l’uno a l’altra arrivarono in camera di Jim, illuminata da solo un’abat
jour vicino al letto.
Cominciò a baciarla
vicino al muro. Poi, senza smettere, si tolse la maglietta, e fece lo stesso
con quella della compagna. Le mise una mano fra i capelli, finirono entrambi
sul letto…
CENSURA
(mi dispiace, non
posso descrivere approfonditamente questa parte del romanzo: Il libro è per
tutti. Ma se volete sapere la versione integrale, potete contattarmi. N.d.R )
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
Heineken si svegliò
il giorno dopo tra le braccia di Jim; ancora più innamorata e bisognosa di lui
e di tutto l’amore che le poteva offrire. Dopo quella notte si sentiva
praticamente sua parte integrante.
Anche lui dopo si
svegliò, e la salutò con un grande sorriso dipinto in faccia. Probabilmente
sentivano tutti e due la stessa cosa.
Poco dopo scesero
giù in cucina.
- cosa vorresti per
colazione? – chiese Jim.
- che i tuoi non ti
ammazzassero per il casino che hanno lasciato tutti gli altri ieri sera alla
festa… -
- oh, non lo
faranno - replicò con un sorriso Jim.
- strano che se ne
siano andati tutti così spontaneamente dopo che non ti hanno più visto…-
- dici che se ne
sono andati tutti? Vieni un attimo con me in salotto. -
Heineken lo seguì.
Come entrarono nell’altra stanza sentirono uno strano ronzio nell’aria, come se
qualche insetto si fosse imboscato in quella grande casa e ora cercassero di
trovarlo per buttarlo fuori.
Ma dopo un po’ lo
videro. Ma non era un insetto; era John, ubriaco come un porco, addormentato
sul divano, che russava a bocca aperta, con la saliva che gli cadeva.
- oh… - disse
Heineken con un tono tra il disgustato e il divertito.
- mi sa che i miei
mi ammazzano di più per questo cassonetto svenuto sul divano che per il resto
della casa incasinata. – sorrise Jim. Anche Heineken sorrise.
Mezz’ora dopo tornò
a casa. Come entrò trovò gli zii in piedi in salotto.
Lo zio indossava il
classico pigiama a righe, (che io definisco da carcerato, N.d.R.)che con
l’allargamento del giro vita si era ristretto a tal punto da farlo assomigliare
ad un insaccato. Invece la zia indossava una camicia da notte rosa stile “baby
doll”, che nonostante qualche strato di pelle moscia, le andava ancora bene
perché comunque era alta e magra. Heineken rimase alquanto sorpresa nel vederli
in questo stato, ma prima che potesse dir qualcosa, furono loro a parlare.
- beh, dove sei
stata tutta la notte?! Eravamo preoccupati!- esclamò la zia, avvicinandosi a
lei come la vide arrivare.
- ma… -
- siamo stati qui
in salotto tutta la notte! Dove sei stata?! – La zia parlava più con
preoccupazione che con rabbia. Ma perché faceva così? Non era di certo la prima
volta che tornava tardi, e non era la prima volta che stava tutta la notte
fuori. Due mesi prima era addirittura tornata all’una del giorno dopo. Ma che
cosa prendeva agli Anderson in quel periodo?
Heineken guardò suo
zio: aveva gli occhi rossi e la pelle del viso tra il rosso e il violaceo, specie
sotto gli occhi, dove aveva le borse.
- perché fate così?
Ero soltanto ad una festa… - ma non finì di parlare.
- festa?? Dove?
Quale festa?! Heineken, tu sola di notte non ci devi stare! Ma lo sai le facce
che ci sono? E se ti rapiscono? E se finisci nelle mani di qualche
svergognata?!
- svergognata? -
- No! No, No!
Intendevo dire di qualche bruto, ecco! Oh, ci hai fatto preoccupare…
- potevate sempre
chiamarmi al cellulare… -
- cellulare? -
- sì. Me l’ hanno
regalato i miei amici per il mio compleanno. È questo qui, guarda… e mostrò il cellulare alla zia. Questa
guardò l’oggetto con un’espressione metà incredula e metà sollevata; poi disse:
- va bene, Heineken dammi il tuo numero. -
La ragazza glielo
diede e salì in camera sua, dove trovò Chelsea seduta sul suo letto.
- ciao… - disse
distrattamente Heineken, posando il suo cellulare sul comodino.
- stai facendo
diventare mamma pazza. -
- prego? -
- stanotte. -
- stanotte cosa? -
- stanotte mamma ha
costretto papà a stare in salotto. Lui ha ubbidito ed ha passato la notte senza
dormire con il fucile sotto braccio. -
- Eh?! Il fucile?
Chelsea, non dire stupidaggini. -
- mamma gli ha
fatto una scenata per tenerlo nel caso arrivasse… -
- arrivasse…? -
- niente. Niente,
Hanny. -
- ma chi dovrebbe arrivare??
-
- nessuno, tesoro,
ho solo detto una bufala. -
Heineken lasciò perdere. In
un altro tempo forse avrebbe insistito e si sarebbe lambiccata il cervello per
cercare di risolvere il mistero che circondava gli Anderson in quei giorni. E,
soprattutto, non si sarebbe arresa per scoprire chi aveva telefonato quella
sera. Ma non ora. Ora era impegnata a ripensare alla notte prima…
Ma circa dieci
minuti dopo le squillò il cellulare. Guardò. C’era un messaggio da parte di
Michelle:
- l’una, ultima
offerta. -
ci fu un momento di
silenzio. Poi Heineken acconsentì: - va bene, ci sto. –
Poi tornò in camera
sua. Ad ogni modo quel pomeriggio si passò in un’atmosfera particolare.
Heineken poté sentire la zia che diceva al signor Anderson della sua uscita. A
dire il vero non sentiva le parole; percepiva le emozioni. La zia era
preoccupata, era evidente: fumava una sigaretta dopo l’altra e si metteva a
urlare non appena sentiva una voce nel silenzio. Ma tutta la famiglia la
guardava in modo strano, ed Heineken non riusciva a capire il perché. Questo la
irritava. Cercava di incrociare il meno possibile gli sguardi dei cugini, dai
quali risultava con più evidenza il clima di tensione che li spingeva a
guardarla come un’aliena. E intanto Heineken pensava cosa sarebbe successo
quando gli Anderson avrebbero conosciuto Michelle.
E alle otto e
mezza, puntuale come la morte, Heineken lo scoprì.
Sentirono suonare
il campanello. Dopo che ebbe emesso un grido di soprassalto, fu la zia ad
aprire. Heineken in quel momento stava scendendo le scale, e poté sentire
Michelle che diceva: - ciao…! Heineken Anderson abita qui? –
- ciao Michelle –
disse Heineken andandole incontro. Notò che la zia studiava Michelle
squadrandola con aria apprensiva.
- beh, allora
andiamo? Gli altri sono già lì vicino. -
Le due amiche
fecero per uscire, ma la zia le fermò. – eh, ragazze, scusate, scusate… -
- cosa? – fecero in
coro.
- oh… niente,
andate pure. – poi si chiuse la porta alle spalle e le due cominciarono ad
andare.
- quella era tua
zia? - fece Michelle.
- sì, ma non
ricordarmelo in ogni momento… - rispose sorridendo Heineken.
- a me non sembra
poi così male… -
Heineken rimase zitta. Non
parlò finché non incontrarono, a metà strada, gli altri sette. Allora lasciò la
mano di Michelle e prese il braccio di Jim, baciandolo. E riuscì a sentire Sean
che diceva: “attenti a non strapparvi le tonsille l’un l’altra voi due…” poi si
avviarono in gruppo verso la Red Sky. Vide che c’era anche John, ma barcollava
lentamente e sosteneva di avere mal di testa. ( “beh, non c’è da stupirsi!”
aveva detto Jesse. “Jim ci ha chiamato verso mezzogiorno per portarlo via,
visto che non riusciva né a svegliarlo né a trasportarlo da un’altra parte…”)
ma, ciò nonostante era voluto venire in mezzo al fracasso della discoteca…
Per circa mezz’ora,
arrivati sul posto, Heineken si scatenava sotto le luci psichedeliche e non
della discoteca (“ e anche nella bocca di Jim” come direbbero i maligni…) si
sentì trascinare all’indietro da qualcuno sino a fuori. Si girò. Vide che erano
Nicky e Sarah.
- Cosa c’è? -
- ricordati della
promessa che ci hai fatto ieri pomeriggio, Heineken. Parla a Michelle, per favore.
– disse Nicky.
Heineken ebbe un
tuffo al cuore. Ma sapeva che doveva farlo; e non solo perché altrimenti
avrebbe avuto addosso le gemelle per l’eternità.
Così annuì e tornò
dentro. Chiamò l’amica, che ballava come in preda alle convulsioni, e se la portò
un attimo fuori.
- che c’è? – disse
sorridendo Michelle ancora ballando.
- vedi, ti devo
parlare… -
- parla. -
- ecco…vedi non so
come dirtelo… penso che… insomma, sono a conoscenza del fatto che fai uso di
droghe.
- mh, sì? -
- Michelle
ascoltami: io sono venuta a sapere che frequenti un locale occupato da tossici
e che ti droghi. Dovresti smettere. Dico davvero. -
- scommetto che
sono state le Williams a dirtelo… -
-…sì. – sospirò.
-…in un quartiere
disgraziato…-
- sì. –
- … dove ho perso i
freni inibitori…-
- sì, Michelle. Più
o meno è così.
- beh, mi dispiace
per te ma sei arrivata in ritardo. -
Heineken la guardò
sconcertata: - cosa? –
- come prima cosa
di quella roba ne ho preso un paio di volte in dosi minime. Per di più non era
nemmeno mia! Se quella volta a Central Park mi ha visto dare ecstasy a quei due
era perché un tizio a scuola mi aveva pagato per farlo. E dei soldi mi
avrebbero fatto comodo. Lo ammetto, molte volte ho raccontato storie, ma niente
di vero. In secondo luogo quella dove mi hanno visto è la casa di un amico di
Tom, che è un autentico salutista e se vive lì non è colpa sua. E terzo, ho
incitato tutta la compagnia a giocare a fare i fatti perché avevo visto
avvicinarsi Sarah e Nicole, e volevo spaventare le due signorine come
vendetta di ciò che mi hanno fatto in precedenza. Come vedi, non c’è nulla di
cui preoccuparsi. -
Heineken la guardò
con occhi spalancati per qualche secondo; le sembrava incredibile la storia di
Michelle, ma sapeva che non le avrebbe mai detto bugie, dal momento che non
assomigliava per niente a sua madre e sua nonna e non parlava russo.
In automatico le
venne da sorridere. Poi abbracciò l’amica.
- ehi, ma che stai
fac… -
- vieni, torniamo
dentro. -
E le due si
ributtarono nella mischia, divertendosi come pazze, per ore. Ad un certo punto
Heineken si ritrovò a parlare con Sean, che le disse: - Heineken, tu dici di
pensare che il nazionalismo è una cosa stupida… -
- sì… -
- e allora dimmi:
perché dal tuo cellulare esce la marsigliese? -
Heineken prese il
telefono che teneva nella tasca posteriore dei jeans e vide che sua zia la
stava chiamando. Non perse tempo e uscì fuori,
lontano dalla musica sparata a tutta manetta.
- pronto? -
- pronto,
Heineken sono io! Sono le due meno dieci! Sei ancora lì dentro?! -
Riattaccarono
entrambe. Ed Heineken tornò dentro, dicendo a Jim che doveva andare. Lui, come
al solito si offrì di accompagnarla e, salutati gli altri, uscirono,
dirigendosi verso casa di Heineken.
Di lì a poco sì
ritrovò a casa sua, dove andò quasi subito a letto.
Forse riusciva a
dormire bene veramente solo da quando era a New York, ora che ci pensava. E
finalmente aveva raggiunto la contentezza, ancora non ci credeva! Usciva con i
suoi amici, con Jim, andava bene a scuola… quasi si sentiva in dovere di
ringraziare qualcuno perché stesse a New York!
E poi le prove
della band, di nuovo Jim, tutta quella gente che l’aveva accettata per com’era,
che le voleva bene, che quando aveva un problema (assai scarsi in quel periodo)
era pronta ad aiutarla…
Sì, stava proprio
passando un periodo d’oro. Ma Heineken in fondo lo sapeva: la felicità non dura
per sempre.
Una sera i nove si
erano ritrovati in un pub (non quello della volta precedente, perché non avevano
pagato il conto…) ed Heineken tornando a casa rideva ancora per una cretinata
detta da Sean. Quasi con le lacrime agli occhi, si era avvicinata alla porta di
casa sua, tendendo la mano in avanti per aprirla, ma evidentemente, qualcuno la
vide prima che avesse imboccato il vialetto, quindi la porta si aprì.
Heineken vide sua
zia, irrigidita come una salma dinanzi a lei, con la pelle più bianca e con
alcune rughe in più del solito. La sua espressione era racchiusa in una smorfia
di tristezza nascoste sotto una maschera di sobria dignità che però nascondeva
assai poco. E il suo trucco pesante o i riccioli biondi ossigenati che le
incorniciavano il viso non erano d’aiuto.
Heineken smise di
sorridere.
- ciao, zia. Cos’è
successo…? -
La donna respirò
esilmente aprendo la bocca con dolcezza. Poi parlò a voce bassa.
- Heineken, io non
so come dirtelo… Vieni in salotto. -
Heineken la guardò
un attimo con incomprensione, poi la seguì in salotto.
Trovò i suoi due
cugini segregati in una poltrona, da un lato, con aria atterrita, guardavano il
padre. Il signor Anderson stava portando una cassa di birre ad una volgarissima
signora seduta a gambe aperte su un tavolo che pareva esserne scolate già tre.
La donna era
vestita con un giubbotto corto e attillato di pelle sintetica che imitava lo
stile anni ’50, una minigonna a balze bianca e grigia cortissima, resa ancora
più evidente dalla posizione della donna. A coprire le lunghe e ossute gambe
c’erano un paio di calze a rete larga, seguite da un paio di sandali con un tacco
e una zeppa altissimi, trasparenti, che parevano fatti di silicone e con due
pesciolini di plastica variopinti all’interno,. Poi la donna portava corti
capelli biondi platinati, ma molto meno curati di quelli della zia, con la
ricrescita nera. E le labbra già naturalmente carnose, rese ancora più gonfie
da un rossetto rosso ciliegia sbavato.
Oltre questi
dettagli, Heineken notò la somiglianza che avevano in comune lei e la donna,
che pareva essersi accorta di lei ora.
Heineken spalancò
gli occhi, senza staccarli dalla figura che aveva di fronte a se.
Si sentì come
pietrificata, senza riuscire a spiccar parola. Poi, trovò, la forza, istintiva,
senza che lei la comandasse, di dire solo una parola. Solo una:
- Mamma? -
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
Cadde il silenzio
nella stanza. Tutta la famiglia guardava lei. Anzi, non tutti: la donna pareva
accorgersene solo ora. Poi questa sorrise facendo vedere i denti probabilmente
sbiancati col bicarbonato e disse con la voce più da sgualdrina in falsetto che
aveva: - Heineken! Oh, Heineken, non ci credo, sei tu! Come sei cresciuta! Beh,
certo sono passati quattordici anni! Eh, eh… ti ricordi di me? No, certo che
no… -
- beh, non dici
niente? Che c’è, il gatto ti ha mangiato la lingua? -
Di nuovo niente.
Solo i suoi occhi sgranati, la bocca serrata e la pelle più bianca del solito.
- beh, se tu non
vuoi parlare allora parlo io. Allora… probabilmente ora ti starai chiedendo
perché sono qui. Beh, ecco, sì, insomma… sono venuta a riprenderti. Ho la legge
dalla mia parte per cui sono libera di riprenderti con me. Tra una settimana tu
vieni via con me a Detroit. Giusto il tempo di sistemare un affarino qui a New
York. Poi andiamo via. -
Heineken fissò il
vuoto qualche attimo prima di cadere a terra.
Andare via da New York, con la sua vera madre
che era arrivata solo ora tra capo e collo. Lasciare Jim, gli amici, la sua
vita. E se le voci erano vere? Se quella che le si parava davanti sotto il nome
di sua madre fosse stata davvero quella che le avevano detto?
Cadde a terra,
priva di sensi. Nel sonno sentì delle voci, prima di vedere delle cose. Sentì
la zia che scattava in piedi e gridava a Jane di lasciare immediatamente la
casa; la donna che rispondeva con delle frasi urlate che Heineken non riuscì a
capire. Poi immagini: Michelle con il corpo della madre che si drogava insieme
a questa, che aveva il corpo di Michelle; Jim che piano piano si allontanava
nell’oscurità più profonda tendendole una mano che lei non riusciva ad
afferrare. Le gemelle che piangevano di fronte alla sua tomba, vestite in nero
e con delle rose rosse in mano, che poi facevano un rituale strano insieme a
M.P. per farla rivivere, ma ottenendo solo una sua grottesca trasfigurazione.
Gli Anderson che si auto mutilavano di fronte alle risa sguaiate di Jane e un
gruppo enorme di sordidi camionisti in canottiera. E lei stessa che provava a
scappare in un bosco impervio e buio, ma senza riuscirci, provava ad urlare, ma
non ci riusciva. Inseguita dalla madre, che si faceva sempre più vicina e con
un volto demoniaco.
Poi buio assoluto.
Quando riuscì ad
intravedere qualche cupo spiraglio di luce, era già l’indomani mattina, nel suo
letto. Dopo qualche attimo aprì gli occhi, in un primo momento senza capire
bene dove si trovasse. Poi i suoi occhi incrociarono lo sguardo della zia.
- dimmi che ho sognato
tutto, zia… - disse debolmente Heineken. – dimmi che l’ ho solo sognata… dimmi
che non è lei -
Rose guardò
Heineken con occhi pieni di lacrime, che però tratteneva con energie
sovraumane. Poi abbassò lo sguardo.
- parlami di lei,
zia. -
Passarono qualche
minuto in silenzio assoluto. Heineken rimaneva nel suo letto, incapace di
alzarsi, Rose evitava il suo sguardo, cercando di rimanere calma e immobile;
probabilmente cercando il punto da dove cominciare la storia di Jane.
- Bene, Heineken… -
cominciò nel tono più controllato possibile – è ora di dirti tutte quelle cose
che avresti dovuto sapere molto tempo fa. -
- vedi… la storia
comincia quasi trentanove anni fa, a Providence, la città dove siamo nate io e
Jane. Vivevamo in una casa benestante appartenente a mio padre, tuo nonno, che
all’epoca comandava un azienda di dolci molto importanti: la “Miller ’s
Sweetcakes” che esiste ancora oggi. In altre parole era un dirigente. Io… io
ricordo di essere sempre stata molto gelosa di lei. All’interno della nostra
famiglia Jane è sempre stata la favorita di tutti: parenti, amici di famiglia,
colleghi di mio padre, amiche di mia madre, servitù e tutto il vicinato.
Ricordo anche che le male lingue ci paragonavano l’una con l’altra e come
sempre favorivano lei: portava sempre con grazia gli abitini che ci comprava
mia madre, (non che io non lo facessi), cantava solista nel coro della chiesa
locale (io ero nel coro), e conosceva a memoria tutto l’albero genealogico di
famiglia, sin dagli antichi Miller, abitanti nella Providence di fine 700. (non
che io non lo sapessi). Insomma: infine io cercavo di somigliarle, di sforzarmi
di essere perfetta, di essere la migliore in tutto… Ma le cose cambiarono
tragicamente quando Jane aveva diciassette anni. -
Rose fece una pausa.
Heineken la ascoltava interessata, senza staccarle gli occhi di dosso. Poi
riprese:
- Anzi, no, prima.
Jane aveva un carattere molto ribelle e litigava con i miei genitori ad ogni
occasione sin dalla prima adolescenza, da quando era cambiata. Comunque, vedi,
la tradizione di famiglia vuole che la primogenita dei Miller sposi uno dei
dipendenti più prestigiosi dell’azienda, al fin di mantenere salda questa.
Sarei dovuta essere io a sposarmi, anche perché, oltre ad essere la primogenita
avevo diciotto anni. Ma Jane riceveva molte più proposte di matrimonio di me,
quindi, papà, stanco di aspettare, decise di maritare lei per prima; facendole
conoscere un tale Steven Kilborne, uno dei dipendenti più giovani e prestigiosi
della “Miller ’s Sweetcakes”, era capoufficio. In tutta confidenza… l’avrei
voluto io. Comunque Jane rifiutò piuttosto energicamente lui e tutte le altre
proposte di matrimonio e… quando la mia famiglia volle sposarla a forza… scappò
di casa. Non ne seppimo più nulla e la mia famiglia non la volle più
riconoscere come loro figlia. -
Fece un’altra
pausa, le stavano venendo le lacrime. Forse avrebbe finalmente raccontato il
grande segreto di Jane.
- poi… poi quando è
scappata, io… io… io mi sono sposata c - con Robert e…-
Tirò su col naso. –
e… e… e non era capoufficio, booow! Faceva l’impastatoreee! Poi trovò un nuovo
stupido l-lavoro come venditore d’auto e… e mi ha anche fatto rifare il
senooo!!!- strillò Rose tra le lacrime.
Heineken aveva
appena scoperto un segreto agghiacciante riguardante sua zia: la sua
frustrazione. Ma, nonostante fosse altrettanto importante, non le importava:
voleva sapere su sua madre, non le lacune non risolte della zia.
- zia, siamo qui
per parlare di Jane. Continua l’argomento, per favore. -
- si… poi non c’è
molto da dire… quando ero alla fine della gravidanza di Chelsea e Ben era
piccolo, un giorno, di mattina presto, mi ero alzata per andare a vedere se
fuori c’era posta e… ti ho trovato addormentata sullo zerbino. Non sapevo come
tenerti, anche perché a quei tempi eravamo già in difficoltà con un bambino e
un’altra che stava arrivando, quindi… ho – ho guardato con rabbia il biglietto
che c’era con te e… ti ho portato in orfanotrofio. Quindi… -
- aspetta un
attimo. C’era un biglietto con me? -
- sì. -
- e che c’era
scritto? -
La zia esitò, poi
rispose: - “si chiama Heineken ed è tua nipote. Fanne buon uso.”
- fanne buon uso?!!
– ripeté Heineken incredula.
- sì, Heineken,
purtroppo è così. -
- Ma se mi hai
portato in un orfanotrofio… perché sono qui? -
- ora te lo dico.
Vedi, ti ho portato in un istituto perché non sapevo come tenerti e non volevo
che tuo zio lo sapesse. Era già di cattivo umore perché stavamo per avere una
femmina, lo strnz… - disse le ultime due parole tra i denti. – poi… vedi, mi
sono molto sentita in colpa e ti riprendemmo due anni dopo. Non ti aveva preso
nessuno con se. -
- quindi sono stata
i primi due anni della mia vita in un istituto… -
- No, aspetta, non
è proprio così. Nel frattempo venni a
sapere che Jane si era sposata con un tale Jack, e allora le suore
dell’istituto ti affidarono a lei, che nel frattempo l’avevano rintracciata.
Sei vissuta un po’ di tempo lì da loro, poi sei ritornata in istituto, dove sei
mesi dopo ti abbiamo preso noi. Fine della storia. -
- ma… perché sono
ritornata in istituto? -
- Heineken… -
rispose la zia avvicinandosi, dandole una carezza sulla fronte: - …non è
difficile immaginarlo. Poi… io so solo questo. Ti prego, non fare altre
domande. -
E uscì dalla
stanza, lasciando Heineken sola.
Si riaddormentò.
Poco prima di
sprofondare nel sonno si chiese: “ma allora, era una prostituta o no? O lo è
ancora? Chi è Jack? E mio padre era lui? Chi era mio padre? Cos’è successo
quando ero molto piccola a Detroit? Perché mi hanno strappato alla mia famiglia
e riportato in istituto?”
Poi ancora
oscurità. Un lungo sonno senza sogni. Buio totale e assenza di suoni. Uno
sgocciolo di morte.
Si risvegliò
parecchio tempo dopo, non sapeva che ora fosse, ne se c’era qualcuno con lei o
quanto tempo aveva passato a dormire. Solo che ora aveva le energie necessarie
e si alzò barcollando sino alla cucina. Vide che c’era tutta la famiglia
intorno al tavolo.
- ben svegliata… -
grugnì lo zio.
Heineken non ci
badò e si rivolse alla zia: - zia… credo di essermi riaddormentata… quanto ho
dormito? –
- venticinque ore
esatte, Heineken. – disse questa.
- Prego?!? -
- hai dormito più
di un giorno. -
- ma se sei venuta
in camera mia poco fa… -
- no, Heineken non
ci entro da ieri… uhm… forse da qualche ora per controllare che non fossi morta.
-
Heineken non
rispose. La zia aveva ripreso il suo tono glaciale e altezzoso, o almeno così
le sembrava. Ma sapeva che era solo perché c’erano marito e figli in
circolazione. Rose era ansiosa. Lo era molto. Ma, senza che Heineken capisse il
motivo, lo nascondeva.
Decise di tornare
in soffitta, quella che fungeva da camera sua. Arrivata, si sedette sul letto,
spinta a formulare un pensiero abbastanza deprimente adatto al caso. Quando era
arrivata alla vaga idea del suicidio, le squillò il cellulare. Guardò. Un
messaggio da Michelle.
Oh, no! Come
avrebbe fatto a dire a Michelle e Jim, che erano le persone più importanti
della sua vita che li stava per lasciare per sempre?
Guardò il
messaggio: una proposta di uscita a un pub, quello della volta precedente, non
l’Underground; per quella sera, alle nove e mezza o dieci meno un quarto.
Ecco. L’occasione
era arrivata su un piatto d’argento. Quella sera sarebbe stata obbligata a
parlare.
Le vennero le
lacrime, e mentre le scorrevano lungo il viso afferrò il telefono per
rispondere al sms.
Poi si ributtò sul
letto aspettando la morte. Era l’unica cosa da fare.
Ma le ore passavano
lente, e la zia aveva addirittura rindossato la sua maschera insensibile e
artificiale, il che, in un raro momento di umanità, le avrebbe fatto ancora più
venire il sentimento di depressiva frustrazione.
Poi, alle nove di
quella sera si avviò verso l’uscita con aria mortifera. Non la vide nessuno, ma
Heineken sapeva che se l’avesse vista, in cuor suo la zia l’avrebbe voluta
fermare con tutte le sue forze. Improvvisamente le venne un pensiero: gli
Anderson temevano Jane. Ma non ci stette a pensare troppo perché aveva altre
preoccupazioni: era LEI STESSA che sarebbe stata con Jane per il resto del
tempo; ed era lei che forse avrebbe dovuto temerla. Non sapeva niente di lei, e
la zia non le aveva detto cosa faceva attualmente.
Ma ripensò ai
vestiti che portava due giorni prima: davano tutti gli indizi che Heineken
avrebbe preferito non dedurre.
Le stavano ancora
per scendere le lacrime. Ma prima che la prima potesse scendere lungo una
guancia si sentì chiamare da dietro da Michelle. Oh no. Ecco. Ecco che arriva
il dolore. La coltellata è arrivata prima e ora arriva il dolore.
Si asciugò
rapidamente e si girò, sforzandosi di fare un sorriso e di salutare con
cortesia.
- ciao. -
- Ciao! Beh, perché
quella faccia da funerale? -
- quale faccia? –
disse Heineken sorridendo forzatamente.
- boh, no, niente.
Allora, che mi racconti? – la prese sotto braccio e cominciarono a camminare.
- oh, niente, ti
direi solo banalità… -
- niente di nuovo,
eh? Uffa la nostra vita non ha mai un colpo di scena… -
“puoi dirlo forte…”
pensò sarcasticamente Heineken, facendosi del male da sola.
- comunque…questo
pub è bellissimo, ci sono andata un giorno con mia cugina. I pavimenti sono
tutti in parquet e le pareti tutte rosse fluo. I bagni non assomigliano ai
cessi di un autogrill, ma sono puliti e lindi, e i camerieri sono tutti dei
gran pezzi di ragazzi. Ci scateniamo stasera?!? Eh?! -
Heineken non
rispose. Ogni tanto dava un cenno di assenso e/o diceva qualcosa, ma fu
Michelle a parlare.
Poi arrivarono al
pub. Beh, per essere chic lo era. Ma Heineken non disse niente.
- beh, che c’è, non
parli?! Questo locale è una figata e tu rimani zitta?? -
Provò ad aprire
bocca, ma poi videro Sarah Williams che andava verso di loro.
- Ciao! Venite su,
siamo tutti lì! -
le due la seguirono
al piano di sopra del locale.
Quando vide Jim,
Heineken si sentì come se avesse saltato tre gradini insieme senza
accorgersene. E si sentì letteralmente a pezzi quando lo baciò.
Poi i nove presero
posto in un tavolino e cominciarono a chiacchierare. Si parlò di tutto: scuola,
prof. Obbrobriosi, musica (dove John ebbe uno scontro con Nicole per la
differenza di gusti), film, e quant’altro può passare nella mente di un teen
ager. Ma Heineken rimase sempre muta.
Dopo che fu
sollecitata parecchie volte in pubblico dagli altri, ad un certo punto Michelle
la chiamò a voce bassa e le chiese: - ma che cos’ hai? Perché non apri bocca da
tutta la sera? –
- vieni un attimo
in bagno, ti devo parlare di una cosa. -
Heineken si alzò
seguita da Michelle e dagli sguardi degli altri sette.
Una volta arrivate
nella toilette delle donne, Heineken si accasciò su una parete. Michelle la
guardava con una punta di preoccupazione.
- allora, che ti è
successo, Heineken? -
- non so come
dirtelo, è una cosa che dovrebbero sapere anche gli altri, ma non ho il
coraggio di dirglielo in faccia… specie a Jim. Quindi o dico solo a te che sei
la mia migliore amica. -
- spara. -
- si tratta di mia
madre. -
- tua zia, vorrai
dire…-
- no, Michelle, mia
madre. Mia madre in persona. -
- tu non vivi con
tua madre… -
- lo so, Michelle,
questo lo so anch’io! -
Michelle stette un
attimo zitta, poi disse: - allora? Cos’è successo con tua madre? Una volta mi
hai pure detto che non sai nemmeno tu chi è… -
- esattamente. Ma…
è tornata. È tornata a cercarmi l’altro giorno e mi ha trovato.
Michelle sgranò gli
occhi, poi fece un mezzo sorriso e disse: - wow, mi immagino abbracci e
lacrime, come nei film strappalacrime che si vedono ogni tanto alla tv…! Beh,
non sei contenta? Ora hai la tua mamma, che sicuramente si vendicherà di te con
i tuoi zii e vivrete felici e contente insieme. Non è così? Non è tornata a
cercarti per prendere casa insieme a te? –
- sì… a Detroit. -
Michelle sgranò
ancora di più gli occhi, divenne pallida e il suo sorriso divento una bocca che
si spalancava sempre di più; piano piano, con l’abbassamento precoce della
mandibola. Le sue pupille diventarono più piccole, restringendosi.
Poi disse
confusamente una frase: - v-vuoi dire che… ci lascerai tutti? Noi, Jim, la
scuola? È così? –
Heineken guardò per
terra; invece Michelle la abbracciò con forza, poggiando gli occhi, che
probabilmente piangevano, sulla sua spalla.
- oh, Heineken… e
non puoi fare niente per impedirlo? Oddio, mi manchi di già!-
- l’ ho detto a te
perché lo dicessi a gli altri e a Jim in separata sede; non posso dirglielo io. Sento di non
farcela. -
- oh, promettimi
che mi scriverai tutti i giorni! E telefonami pure! Non so come farò a stare
senza di te per sempre! -
Heineken sentì tristezza. Poi rabbia. Poi odio verso la madre, che,
con sadismo e con la sfacciataggine più tosta che un essere umano potesse avere
in corpo, se la stava riportando verso una metropoli lontana e sconosciuta,
strappandola alla sua vita, dopo che l’aveva abbandonata al suo destino sedici
anni prima. Si morse un labbro; avrebbe voluto vederla morta.
- Come farò a dirlo
a Jim e gli altri? -
Non rispose. Dopo
un po’ disse solo: - vieni, torniamo dagli altri. –
Heineken e Michelle
uscirono dalla toilette.
Come arrivarono al
tavolo, Sean disse: - ma dov’eravate? Siete fuori da un quarto d’ora! –
- oh, ehm, niente
di importante, stavamo parlando di una cosa… - rispose Michelle.
Jim guardava
Heineken con un’espressione interrogativa, lei fece finta di non vederlo e lo
ignorò. Il resto della serata si passò in tensione. Anche Michelle era
diventata legnosa e dall’aria sconvolta. Heineken non sapeva che fare. Senza
sapere neanche il motivo, ad un certo punto chiamò una cameriera e ordinò un
Rum Bacardi doppio, sotto gli sguardi evidentemente sorpresi degli altri.
- ma sei pazza? –
disse Nicole – sai che quella cosa è una bomba? Per chi non è abituato a bere è
fatale! -
- questo lo dici tu
perché oltre alla gazzosa e un bacardi alla frutta esotica non vai
disse
scherzosamente Jesse prima che Heineken potesse rispondere qualcosa.
Jim la guardò, ma
non disse niente.
Un paio di minuti
dopo arrivò la cameriera con un vassoio con un grande bicchiere con dentro un
liquido trasparente con ghiaccio e scorza di limone. Senza dire niente,
Heineken cominciò a bere, e lo finì in poco tempo.
- wow, mitico come
te lo sei scolato in fretta! – esclamò Sean incredulo. – sai, ho uno zio che
lavora alle fiere campionarie sparse nel Texsas, organizza le gare tra chi si
beve più velocemente i bicchieri di Whisky o a chi fa il sorso più lungo.
Potremmo mandarti, vinceresti tutti i campionati! -
- non essere
stupido, Sean – ribatté Jim guardando Heineken. Poi, quando l’attenzione fu
spostata altrove, le chiese sottovoce: - stai bene? Ma è successo qualcosa? -
Heineken fece un
cenno di “no” a testa bassa, poi chiamò di nuovo la cameriera e ordinò una
sambuca col limone e il chicco di caffè.
Non disse più
niente per la serata. Le uniche parole che diceva erano rivolte alla cameriera
per: un Gin, un Whisky, un altro Rum Bacardi e, per finire un pesantissimo
Irish Coffee.
Dentro la sua mente
non vedeva altro che Jane che parlava con lei, in quella fastidiosa posizione a
gambe aperte sul tavolo del salotto. Diceva delle cose che Heineken non capiva,
e le immagini a poco a poco si sbiadivano e distorcevano sempre di più, e i
suoni si confondevano con le voci degli amici che probabilmente la stavano chiamando
per chiedere se andasse tutto ok, con la voce di sua madre.
Ad ogni modo era
totalmente incapace di rispondere, anche se avesse capito ciò che dicevano.
Vedeva tutto sbiadito e in movimento, confondendo ciò che era all’interno della
sua mente con quello che la circondava in quel momento.
Vide delle ombre
nere alzarsi intorno a lei, forse lasciandola sola al mondo. Poi, una di loro,
dalla sua destra, la sollevò.
Con la paura che le
scorreva nel sangue, Heineken vide di nuovo il volto della madre, nel salotto
vuoto e semibuio degli zii, che le diceva qualcosa tipo: “ dai, Heineken, non
ti preoccupare, ci sono io…”
Guardò l’ombra nera
che l’aveva sollevata dalla sua destra, e che ora se la stava portando via,
verso non so dove. Mise a fuoco, l’immagine. Si aspettava di vedere Jane, ma
poté distinguerla con un volto familiare. Un ragazzo dai capelli neri, vestito
con un paio di jeans e una tshirt a maniche lunghe nera. Doveva essere Jim, ma
questo lei non lo poteva sapere. Se la stava portando con sé, per quel locale
riscaldato che le pareva infinito, come in un labirinto da dove non sarebbero
mai usciti vivi.
Ma ad un certo
punto, freddo e oscuro, e qualcuno che le infilava un giubbotto sulle spalle.
Probabilmente intorno a lei le ombre dicevano qualcosa, ma lei non lo sentiva.
Poi in un attimo,
ancora lo sguardo deformatamene demoniaco di sua madre. Oh, no! Era di nuovo
nel bosco oscuro da dove non riusciva a scappare! No! Non di nuovo! Basta,
lasciami stare! Lasciami in pace e vai via!
Voci confuse
intorno a lei: “ma che ha?” “cosa sta succedendo?” poi una voce molto vicina a
lei: “Heineken, Heineken, sono io guardami! Non mi riconosci?”
Heineken guardò la
figura buia che la teneva stretta a sé. Improvvisamente vide di nuovo quello
sguardo mostruoso, quegli occhi bianchi, quei denti aguzzi, quella voce
diabolica!
- lasciami!
Lasciami andare!Lasciami andare, vai via di qui! Sparisci, vai via da me! -
“Heineken,
Heineken, ascoltami: non ti preoccupare, capito? Ci sono io qui, nessuno può
farti niente di male! Sono qui vicino a te, nessuno ti toccherà”
Ma Heineken vedeva
solo quel volto spaventoso, quegli occhi, solo malvagità e dolore poteva trarre
da quella voce che le prometteva di proteggerla.
Con la assai minima
forza che si ritrovava in corpo, riuscì a liberarsi dalla figura nera, che a
tratti si trasformava nel mostro del bosco, che la reggeva stringendola a sé.
Barcollò pochi passi più lontano, camminando all’indietro, vedendo solo quelle
ombre che le si avvicinavano per prenderla con loro e portarla via nel bosco
della sua mente.
Gemette confusa,
con le lacrime che le scorrevano lungo le gote, allontanandosi sempre di più
camminando all’indietro. Le ombre continuavano ad avanzare. Poi,
all’improvviso, una luce, un lampo a illuminarle insieme all’ambiente
circostante. Poi un rumore di frenata, un colpo doloroso e sordo, urla intorno
a lei.
Poi di nuovo il
buio.
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