Non un altro romanzetto rosa

di Fairy Black
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Ok, come prima cosa benvenuti e grazie per aver avuto la stupidissima idea di aver scelto proprio questo libro tra tutti quelli  che c’erano nella libreria (o biblioteca, se preferite) dove vi siete recati.

Ad ogni modo ora è un po’ tardi per tornare indietro, quindi, per favore, ora vi mettete comodi e continuate a leggere il libro che avete fra le mani. Cosa vi costringe a farlo? Beh, mettiamola così: se questo non vi piacerà, quando, forse, mi incontrerete avrete davvero una buona ragione per odiarmi e contestare le mie capacità di scrittrice.

Comunque, torniamo al mio romanzo. E’ la storia di una ragazzina…ma tengo a precisarlo, non è uno di quei tipici romanzetti tinti di rosa dove regnano sovrane ragazzine timide con problemi di ragazzini, amicizie, segreti, piccole bugie e, soprattutto, una super-mega-iper-migliore amica del cuore alla quale dire tutto, compreso il codice fiscale.

E anche se forse qualche componente fra quelle citate probabilmente non mancherà veniamo alla storia: insomma, è la storia di una ragazzina, più o meno della stessa età dell’autrice del libro, che è al di sopra di tutto ciò ed ha altri problemi a cui pensare: come l’averle attribuito senza che lei facesse nulla di male un nome non proprio convenzionale… oppure una famiglia adottiva  che non si può proprio definire “famiglia vera e calorosa” ; oppure ancora se vogliamo la cattiva reputazione da parte di tutto il vicinato e, il brusco trasferimento in un’altra città che, come vedrete, le cambierà la vita.

Tutte cose che manderebbero in analisi per vent’anni consecutivi chiunque, ma lei no. Il motivo?  

La ragazza ha un sogno, è s’impegnerà perché questo si realizzi.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Heineken! Heineken, come la birra!

Ogni volta che era arrabbiata per qualcosa, a Heineken Anderson le veniva in mente un’altra cosa che la faceva innervosire parecchio: il suo nome.

Non avrebbe mai perdonato la madre naturale per averle dato questo nome assurdo e tanto meno  quella adottiva – che era la sorella di quest’ultima, cioè sua zia-, per non averglielo cambiato.

Le sarebbe andato bene tutto: Sue, Mary, Hannah… qualunque nome le sarebbe andato a genio, bastava che fosse NORMALE! Ma quando mai si è vista

l’etichetta  di una multinazionale messa per nome ad una innocente ragazzina che non ha mai fatto male a nessuno?

Non era in questo modo che la reputava la gente che la vedeva in giro, comunque.

Nel quartiere non era famosa neanche per il suo bislacco nome, ma più che altro per la sua apparenza da ragazzaccia che in realtà non era, ed era nota come “quella delinquente che hanno preso gli Anderson 13 anni fa.”

La ragazza aveva quindici anni. E nel buio della sua stanza stava a pensare alla brutta giornata che aveva avuto sino a quel momento.

A scuola non veniva trattata troppo bene né dai professori, che cercavano sempre una buona scusa per metterle brutti voti perché non andava troppo a genio a loro, né dai compagni, che facevano spesso di tutto per farla innervosire e quel giorno erano stati particolarmente rompi balle…

Non che non avere amici le pesasse, anzi, era ben contenta di starsene per gli affari suoi, ma che diamine, che almeno ci potesse stare in pace! No, quel giorno, tra le solite frecciatine acide delle compagne si era dovuta subire anche tre compiti andati uno peggio dell’altro. E quell’insopportabile sorriso da venditore di auto del professore di matematica.

Heineken non poteva contare sull’appoggio di nessuno in questi casi. Se vi si pone la domanda: “A che cosa serve una famiglia?” sono sicura che la maggior parte di voi risponderebbe: “ A darti affetto, farti crescere, aiutarti nei momenti di sconforto, prepararti alla vita…”

Beh, la famiglia di Heineken era tutto l’opposto: se ne fregava totalmente. L’unica cosa per la quale la ragazza li apprezzava era proprio perché veniva lasciata stare, e non le si diceva niente se faceva vela a scuola o restava fuori tutta la notte a bighellonare dove voleva. Ma questi non perdevano occasione per rinfacciarle che se non fosse stato per loro lei sarebbe in uno schifosissimo istituto, che aveva rovinato l’armonia di questa bellissima famiglia, che era una disgraziata ecc…

Non si poteva certo dire che tra la ragazza adottata e gli Anderson ci fosse un buon rapporto; il sentimento di odio era reciproco. Anche perché all’interno della famiglia di sua zia non veniva trattata troppo bene rispetto ai suoi due cugini.

Quando la ragazza era giù di corda pensava a tutto ciò.

Ma i suoi pensieri furono bruscamente interrotti da una signora alta, bionda, con seno rifatto e almeno tre chili di trucco sul viso che entrò nella stanza.

- porca… Heineken, ti ho chiamato un milione di volte, sei sorda? La cena è pronta. Scendi. Che qui non abbiamo tempo da perdere con ragazzine con problemi d’udito…-

La ragazza non disse niente, si passò una mano tra i capelli neri eseguì la zia.

I pasti in casa erano il momento peggiore della giornata. Doveva trovarsi faccia a faccia con tutti gli odiati membri della sua famiglia. A cominciare dai suoi due cugini: Ben e Chelsea.

Ben era un ragazzo grasso e piuttosto stupido, ma era abbastanza rispettato tra i compagni perché era campione di pesi leggeri nel club di boxe della scuola. Chelsea invece era una ragazzina frivola, bionda e con ancora l’apparecchio per i denti; a scuola era una delle cheerleader e anche lei era circondata da un branco di amiche tutte cretine come lei.

Non appena Heineken prese posto a tavola Chelsea cominciò a strillare:- lo sai, papà che sono stata nominata capo delle cheerleader e che adesso balliamo tutta una nuova canzone con un balletto che abbiamo inventato noi che è davvero bellissimo?- poi, rivolgendosi alla cugina:- oh, Hanny, scusa se te l’ ho ricordato…, tu non potresti mai essere tra noi… - Quella ragazzina con poco cervello si era convinta da circa due anni che a Heineken sarebbe piaciuto fare la ragazza pom-pom. Ma ormai Heineken si era arresa è la faceva parlare a ruota libera, senza darle ascolto.

- oh, tesoro, siamo molto fieri di te!- disse la madre.

- e il mio ragazzo, cosa ha fatto oggi?- disse lo zio, il signor Robert  Anderson, un uomo grasso e alto, sempre rosso in viso dando una grottesca e affettuosa pacca sulla schiena del figlio.

- io oggi ne ho pestato due…- disse con aria assente Ben.

- E a te come è andata, caro?- Disse la signora versandosi una seconda porzione di insalata.

-Ah, bene; benissimo! Sono riuscito a far sputare sangue a quel cliente che non paga le rate dell’auto che gli ho venduto sei mesi fa…-

Per lo zio di Heineken l’espressione “sputare sangue” significava mandare qualcuno sul lastrico.

 

 

La conversazione proseguì con questo tono da persone con gravi handicap mentali, finché cadde su una telenovela molto seguita dalla signora Anderson, che la definiva “commovente e appassionante” ; mentre invece era la solita soap- opera per gente poco intellettuale, con attori cani e trame strappalacrime e poco credibili. La zia raccontava cosa era successo nelle ultime otto puntate che criminalmente il resto della famiglia si era permessa di perdere.

- … quindi quella brava ragazza di Grace scappa di casa e molla l’università per fuggire via dalla vita da fondamentalisti cristiani che sono i genitori. Però, ritrovata senza soldi e senza un tetto comincia a fare la prostituta… e insomma fa la prostituta ventiquattro ore, cioè tutto il giorno e tutta la notte. Ma logicamente non ce la fa a reggere e quindi comincia a bere e farsi…-

- Farsi di cosa?- chiese Ben.

- Non so, caro… - rispose Rose dando il colpo di grazia alla terza porzione di insalata rimasta nel piatto.

- Una puttana cocainomane… forte!…- commentò Ben, inventandosi di sana pianta l’esempio della cocaina.

A quelle parole Heineken smise di mangiare e serrò le labbra. Quando era più piccola era venuta a scoprire in maniera poco ortodossa (anche se no ricordava bene come) che sua madre era stata una prostituta tossicomane e che lei era nata da uno dei suoi innumerevoli clienti. Le avevano anche detto che probabilmente sua madre era morta. Di certo lo sapeva anche la zia, ma molto probabilmente non ci pensava.

Era arrabbiata con sua madre, e ricordarsi anche questo in uno dei momenti “No” non le avrebbe certo fatto bene.

Heineken aveva la pericolosa sensazione di essere vicino alle lacrime. Si alzò e senza dire niente si avviò verso la porta.

- Ehi, dove stai andando?- chiese lo zio.

- Esco. - rispose lei con aria assente.

Fuori era buio pesto. E visto che suo zio Robert si era rifiutato di pagare la bellezza di 130 dollari per riparare il lampioncino che illuminava il giardino sul davanti, la ragazza dovette cercare il cancelletto che andava sulla strada a tentoni.

Si avviò per la strada verso i quartieri di periferia. Li stava bene, erano posti ideali per passare una notte venuta dopo una giornate estenuante. I suoi posti preferiti.

C’era in particolare un posto che le piaceva: la piscina comunale. Bastava forzare un po’ la porta e ci si infiltrava con facilità.

Quella notte, come tante altre precedenti, andò li. Si tolse i vestiti e si buttò in acqua. Sentii l’acqua tiepida che si posava sul suo corpo nudo come una carezza; andò sotto per assaporare fino in fondo quella sensazione magica che aveva dato un senso alla sua giornata.

Certa gente sostiene che andando sott’acqua si entra nell’inconscio perché quella dimensione ricorda l’immersione nel liquido amniotico nell’utero materno. Ma in molti casi da anche sensazioni di benessere ed è un po’ come estraniarsi dalla realtà. (quest’ultima  secondo l’autrice del libro, non prendetelo come oro colato N.d.R.)

Questo era proprio l’effetto che faceva ad Heineken; che non usciva almeno dopo una nuotata di circa quarantacinque minuti.

Infatti dopo quel tempo determinato uscì dall’acqua e si rivestì. Anche se ormai erano era un po’ tardi non aveva l’intenzione di tornare a casa. Quindi si mise a vagare per la piscina vuota. Poi trovò un materassino e si addormentò su di esso.

Decise che il giorno dopo non sarebbe andate a scuola: odiava quel posto e tutti gli idioti che ci andavano.

 Questi pensieri a poco a poco si sbiadirono, lasciando spazio al buio dentro di lei e al sonno che le riempiva corpo e mente.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Si svegliò all’alba del giorno dopo, dovevano essere precisamente le sei o le sette di mattina, ma neanche lei ne era sicura. Non perse tempo e uscì dalla piscina, che fortunatamente era ancora vuota.

Si mise a correre. Non sapeva neanche lei il motivo, ma voleva almeno provare l’emozione del fresco vento mattutino sulla faccia prima di affrontare un’altra giornata all’insegna della rabbia, noia e frustrazione. Ma poi si fermò. Aveva trovato qualche dollaro per strada. Li usò per pagarsi una colazione veloce ad un bar, poi, andò nel suo secondo posto preferito (che tra l’altro era il posto ideale per non farsi beccare durante una vela): uno studio di registrazione in uno dei quartieri del centro. Un giorno sperava di entrarci anche dentro e usufruire dei macchinari, anzi che limitarsi a fissarlo da fuori con ammirazione.

In effetti cantare era sempre stata la sua più grande vocazione e sogno. Non sapeva il perché, le piaceva e basta. Forse un giorno sarebbe stata riconosciuta per strada come, “la grande, fighissima, Heineken!”. No, a pensarci bene si sarebbe cambiata nome, non voleva fare la figura della cretina di fronte a tutto il mondo che un giorno forse l’avrebbe apprezzata per la sua voce.

Era talmente assorta nei suoi pensieri che non si accorse che era già tarda mattinata, anzi, forse era anche ora di tornare in quel posto dove vivevano gli Anderson che era chiamata casa. Si mise a camminare velocemente. I suoi due cugini sarebbero tornati da scuola alle tre e ogni ora senza di loro era tempo prezioso.

Ma improvvisamente si ritrovò per terra. Aveva urtato contro qualcosa o qualcuno, ma non aveva visto chi. Non fece in tempo a rialzarsi che una voce dall’alto le disse:- Heineken, Heineken Anderson, sei proprio tu? Ma non dovresti essere a scuola, ora, cara?-

Dopo qualche secondo Heineken la riconobbe. Era quella signora di mezz’età che viveva due isolati più avanti di lei. Probabilmente l’unica che non la guardava storto e che non le parlava male alle spalle: la cinquantacinquenne signora  Granger, che subito dopo averla riconosciuta l’aveva invitata a prendersi un the.

- Quindi oggi hai marinato la scuola, cara?- disse la donna mentre le versava una strana bevanda in una tazza che era poco verosimile al the vero.

- lo faccio spesso. - rispose la ragazza.

- E i tuoi zii? Che dicono i tuoi zii?-

- oh, a loro non importa… -

- come non…? Ma in pratica hai detto che oggi saresti andata a scuola e sei andata da tutta altra parte, non è così, vero, cara?-

- No… no, non è proprio così-

- e allora spiegamelo, che diamine!-

Heineken non voleva rispondere. Magari quella vedova sola che non aveva mai niente da fare sarebbe andata a parlare in maniera scandalizzata alla zia, che, pur di fare bella figura coi vicini sarebbe stata disposta a non permetterle neanche lo svago delle sue uscite notturne o delle vele a scuola.

Quindi tagliò corto:-non lo sanno, per favore, non glielo dica-

La signora Granger sfoderò l’istinto materno che sfoderava in passato con i figli che ormai avevano lasciato casa e messo su famiglia da molto.

- Ti capisco, tesoro, sai? Anche io sono stata fanciulla e ho avuto dei figli… ma pensa che l’unica a perderci rifiutando un’istruzione sei tu. E poi la tua povera zia! Tu non vuoi dare un dispiacere alla tua povera zia, vero?-

La ragazza avrebbe voluto urlarle un “INVECE SI” secco e darle una testata, ma non fece in tempo.

- per questa volta, cara, non dirò niente alla tua cara zia, che ti vuole tanto bene; ma devi promettermi che non lo farai mai più, capito? Ah, a proposito, piaciuto il the, tesoro?-

- Si, buono… molto buono- mentì spudoratamente Heineken.

Quando fu “rilasciata” dalla signora tornò immediatamente a casa. Era già l’una e aveva perso un mucchio di tempo tra le ramanzine educative della vedova Granger  e delle centodiciasette foto con commento dei suoi quattro figli di quando erano piccoli.

Come entrò in salotto trovò sua zia che faceva ginnastica davanti alla tv.

- che cosa dobbiamo aspettare noi, i tuoi comodi?- la rimproverò Rose senza smettere di muoversi e di fissare lo schermo. – un’altra notte passata fuori e un’altra mattina passata a bighellonare per le vie della città! Ma lo sai che a scuola se ne accorgono? Ma lo sai che lo sanno che sei cugina di Chelsea e Ben e che ci fai fare una figuraccia? Eh?! - Heineken rimase zitta e si lasciò cadere su una poltrona. –noi eravamo una famiglia onorata prima che arrivassi tu…- sentenziò la zia tra i denti.

A questo punto, Heineken preferì starsene in camera sua e quindi si avviò verso le scale che davano al piano di sopra.

-…e hai lasciato tutta la tua camera in disordine!!- le urlò dietro la zia.

Arrivata, si lasciò cadere sul letto e si buttò il cuscino davanti agli occhi. Perché? Perché? Perché un'altra giornata di merda?! Perché proprio a lei? Era questo il suo destino? Perché? Perché? Perché?!

Rimase sdraiata sul letto finché non arrivò l’ora di cena. Momento, come detto in precedenza, tanto odiato. Ma aveva fame e non si fece chiamare due volte.

Arrivati a metà pasto lo zio sfoderò il sorriso delle grandi occasioni e, come un vero signore batté il coltello sul bicchiere per richiamare l’attenzione dei commensali che erano ben impegnati ad ingozzarsi con salsiccia e patate fritte; quindi, il rispettabile signor Anderson dovette provarci più volte. Ma alla fine cominciò:- Famiglia, ho una piacevole sorpresa per tutti voi, stasera. Quindi, vi prego, ascoltatemi.- All’inizio tutti i membri della famiglia lo guardarono incuriositi e un po’ shockati, ma poi la signora disse:- oh, si, dicci, caro. -

- si, si, papà, dicci- disse Chelsea con la sua tenera vocina spaccatimpani.-

- dai, dicci, papà…-  fece eco Ben.

-Beh…- Il signor Anderson si era alzato e aveva cercato di assumere una posizione e un’espressione entusiasmante. – Tra una settimana, noi…- era piacevolmente eccitato dall’avere tutta l’attenzione su di lui. –noi.. beh, noi…-

-su, caro, diccelo, siamo curiosi- intervenne la moglie in salvo.

-ecco, si, noi…t-tra una settimana… c -CI TRASFERIAMO A NEW YORK!-

la zia, Chelsea e quel ritardato di Ben lo guardavano con gli occhi sbarrati, come se gli fosse uscita di bocca una schifosa parolaccia.

- Come?- disse la moglie.

- s- si è… è per un motivo di lavoro, ho già preparato tutto, il volo è tra una settimana esatta, da Boston venerdì prossimo. Guarda, tesoro, ho anche una foto della nostra nuova casa, non sei contenta? Guarda, ho anche la descrizione…-

passò la foto alla moglie che la guardò con diffidenza. Poi si mise a leggere a voce alta: - “…su due livelli, in città, con salone, cucina spaziosa, più soffitta e ampio scantinato, due camere, riscaldamento centralizzato… un momento Due camere??!-

- Oh, cara Rose, lo sapevo che l’avresti presa così, ma il tuo caro marito ha un piano…- disse in tono di scusa Robert.

- ah, si e quale sarebbe questo piano?!- disse la donna senza far finire di parlare l’uomo, che sembrava sull’orlo di un collasso. –Quale sarebbe la tua geniale idea, razza di pollo senza cervello,eh? La tua stupida casetta ha due camere e noi siamo in quattr… eh, cioè in cinque, si!- finì guardando anche Heineken che ascoltava interessata la conversazione e la prospettiva di un improvviso cambiamento di realtà.

- e poi… poi perché non ce ne hai parlato prima, stupido, ignorante, una settimana prima, certo! E dove troveremo il tempo per fare tutto il trasloco, eh?! Ma poi… perché accidenti partiamo da Boston se qui a Providence non siamo poi così lontani?!!-

Prima che lo zio potesse rispondere, o almeno asciugarsi il sudore freddo che gli grondava dalla fronte; intervenne Chelsea: - e le mie amiche, papà? E le cheerleader? Oh, come farò,io?- poi si mise a piangere.

– si papà, gli amici…- le fece eco Ben, che però non si mise a piangere, ma si limitò a fissare il padre con la bocca aperta. Questo, che sembrava appena uscito dal reparto di neurochirurgia dell’ospedale locale, raccolse tutte le sue forze e rispose alla moglie in maniera poco opportuna come faceva ogni qual volta che era nervoso:- m- ma cara, io ci ho pensato: Chelsea ed Heineken dormiranno in una stanza, e Ben dormirà con noi sino ai ventun anni; come ha fatto mio cugino Frank…-

- Tu non hai un cugino Frank!- urlò la moglie. Nel mentre, al pensiero di dover lasciare le sue care amichette e dividere una stanza con Heineken, Chelsea si mise a ululare ancora più forte e Ben continuava a chiedere con insistenza al padre se nella capitale ci fossero già i computer super attrezzati che aveva visto nei telefilm di fantascienza tipo Star-trek o cose del genere.

In tutta questa confusione Heineken riuscì a intravedere uno sguardo di supplichevole aiuto lanciatole dallo zio circa un secondo prima che avvenisse l’eruzione. Tutto in una volta Robert batté forte la mano sul tavolo e urlò:- BASTA! Ora basta, maledizione! Allora, per quanto riguarda il trasloco ci ha già pensato il mio capoufficio; arriveranno due tizi domani. E anche per le iscrizioni scolastiche dei ragazzi è tutto sistemato. Per la questione delle camere divideremo la soffitta in due dove dormiranno le ragazze e nell’altre due dormiremo noi e Ben. E per quanto riguarda i computer super technologizzati, no, Ben, maledizione, non sono ancora arrivati alla fantascienza quei maledetti newyorkesi, accidenti!- 

Tutta la famiglia rimase zitta. Rose pareva essersi calmata, invece. –Ok, Robert, se la metti su questo piano per noi va bene. E adesso tutti a letto, forza!- concluse rivolgendosi ai figli e alla nipote. Heineken guardò l’orologio e disse: - a letto? Ma sono le nov…-

-HAI SENTITO TUA ZIA E ADESSO ANDATE SUBITO A LETTO, SUBITO!-

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


I sette giorni che precedettero il trasferimento nella grande mela furono alquanto stressanti per tutti. Il signor Anderson litigava continuamente con i dipendenti della società “Traslochi economici se siete insoddisfatti del servizio chiamate la ditta, per pietà  non fateci causa” e, del resto, con tutta la famiglia: la moglie non voleva rinunciare a tutto il suo set di cosmetici ed elettrostimolatori che si voleva portare con lei sull’aereo anzi che imbarcarli negli scatoloni, Ben continuava a chiedere se i ragazzini di New York sarebbero stati disposti a far amicizia  con uno di fuori come lui, (cosa alla quale il padre rispondeva sempre – ma certo, figliolo, certo…-); e Chelsea restava tutto il giorno attaccata al telefono per salutare con commozione tutte le sue  25 compagne-amiche con telefonate interminabili. Quindi il signore dovette anche ricorrere a psico farmaci tranquillanti quando si vide arrivare inaspettatamente l’ultima bolletta del telefono.

Quanto a Heineken aveva già messo negli scatoloni le sue cose e adesso passava il suo tempo fuori casa. Anche lei, del resto, era rimasta un po’ sconcertata dall’improvvisa notizia del cambiamento di città e dalla confusione che adesso regnava in casa loro. Ma allo stesso tempo era eccitata: dalla loro piccola, periferica cittadina di provincia alla capitale. Forse li avrebbe avuto qualche speranza di un’audizione, non so, di un’occasione, ecco.

Si, ci sperava molto.

Alla fine, tra tranquillanti, scatoloni, litigi vari e tensione alle stelle, gli Anderson erano riusciti ad arrivare tutti interi alla partenza. Ah,non proprio tutti: mentre aveva la testa china sul game-boy, Ben aveva sbattuto la testa sul camion della ditta dei traslochi e si era provocato un gran livido. Ma a parte questo, tutto sommato, andava bene.

Prima di entrare in macchina per recarsi all’aeroporto di Boston il signor Anderson si rivolse alla famiglia:- allora, non è eccitante? Stiamo andando nella capitale! A New York, ci pensate? Dai, voglio vedere dei sorrisi, vi prego, dovreste essere contenti di tutto ciò!- In un primo momento nessuno disse niente: Chelsea guardava il cellulare, Ben si massaggiava la testa. Ad Heineken sarebbe piaciuto fargli un sorriso di solidarietà perché, pover’uomo, le faceva pena. Ma prima che potesse farlo fu interrotta dalla voce della zia che disse in tono piatto:- ma smettila, brutto imbecille, e dammi una mano con le valigie -

Il viaggio sull’aereo fu piuttosto entusiasmante per Heineken, anche se non particolarmente lungo: era il suo primo viaggio via aerea, tutti gli altri viaggi con la famiglia adottiva erano stati perlopiù in macchina e la zia diceva che era per colpa sua che non erano potuti partire in altro modo. Ma questa era la sua prima volta in aereo e non se la voleva rovinare con stupidi sensi di colpa inesistenti.

Gli zii invece non parlavano: stavano seduti affiancati, ma ognuno si faceva gli affari suoi: Robert guardava un giornale di motori e la moglie si faceva la manicure col nails – set che era riuscita a salvare portandoselo in volo.

Arrivati a terra per gli Anderson fu un mezzo shock. Cambiavano gli accenti, i modi di fare, le persone e i erano tutte quelle cose che si possono trovare in una metropoli multietnica. E per gente provinciale come loro questo non era poco. Decisero di rimanere sempre tutti insieme e senza separarsi.

Poi presero un taxi che li condusse alla loro nuova modesta casa. Era solo una villa moderatamente grande lastricata in mattoncini all’inglese grigi che davano un’aria vecchia. Sembrava stata usata per la scenografia di un film horror di serie B.

-Aah, è tutta arredata, avete visto? Come vi avevo detto! Avete visto che bella? Eh? Dai, dai, ora andiamo a posare i bagagli e ci riposiamo. Chelsea, tesoro, tu e tua cugina in soffitta, Ben al piano di sopra. Ed io e te, tesoro…-

- Era meglio se affittavi un centro di prima accoglienza.- disse Rose in tono piatto.

Heineken lesse la disperazione sul volto dello zio.

- Hanny, andiamo?- disse la cugina tenendo in mano una delle sue valigette rosa e celeste.

-Si, un momento, ti raggiungo subito, Chelsea.- rispose. Poi si avvicinò allo zio, anche lui rimasto da solo, perché la moglie era già andata a sistemare la stanza, e gli disse:- sai, zio, questa casa non è male. Mi piace. E anche molto. È accogliente, credo che mi ci ambienterò subito. – Il signor Anderson a quelle parole si era tolto la testa dalle mani e aveva fatto un sorriso gonfio di commozione alla nipote. Heineken sorrise a sua volta e corse in soffitta  per sistemare i suoi bagagli e forse –ma molto in lontananza- dare una mano alla cugina.

Come entrò dalla porta della soffitta trovò Chelsea di spalle che fissava il muro, e tutti i bagagli sparsi a terra.

- Chelsea, ma cosa…-

Un urlo echeggiò in tutto il vicinato, e un beauty case volò via dalla finestrella della soffitta.

- Chelsea, ma sei pazza?! Che cosa stai facendo?- gridò Heineken buttandosi sulla cugina, che sembrava vittima di una crisi isterica in piena regola; cercando di calmarla. – Chelsea, fermati! Chelsea che cosa stai facendo?! smettila di urlare! Che cos’ hai?! -  La ragazzina aveva il viso coperto di lacrime, si era gettata in terra, con la testa sopra la ginocchia della cugina e stava urlando:- Hannie, ma ti sembra una camera questa? Guardala, è tutta sporca, polverosa, buia e brutta! Oh, mi fa schifo, voglio tornare a casaa!- Heineken si guardò in torno. Era una soffitta, quindi era logico che era buia, ma forse questo Chelsea non l’aveva capito. Però i capi del padre si potevano permettere di far dare una pulita in giro…

- Sarà meglio che chiami Maggie e Giorgia per tirarmi un po’ su…- disse Chelsea tra le lacrime e uscì dalla soffitta. La sua fragilità ad Heineken faceva un po’ pena. Ma circa una frazione di secondo dopo considerò la possibilità dell’alibi della crisi esistenziale per non svuotare i bagagli. Anche una stupida come Chelsea aveva i suoi momenti di furbizia ogni tanto.

Heineken mise a posto le sue cose e mise le lenzuola nel suo letto. Poi scese al piano terra.

Trovò la zia in bikini sdraiata sul divano con cosce, glutei e addome che vibravano per via dell’elettrostimolatore che, alla fine, era riuscita a portarsi dietro e lo zio che probabilmente cercava di ingraziarsela, facendosi perdonare per il bruschissimo cambiamento di città, con un massaggio alle spalle.

- io esco, vado a farmi un giro- disse la ragazza dirigendosi verso la porta d’ingresso. –No, no! Rimani qui!- esclamò la zia. Suo marito si alzò in piedi di scatto e andò verso la ragazza:- vedi, cara, (era la prima volta che usava un “cara” con lei) siamo appena arrivati, tu non conosci ancora la città, bisogna stare insieme, all’aeroporto ci siamo ripromessi tutti di stare l’uno vicino all’altro e di non separarci…- Heineken stava per rispondere,ma fu interrotta dallo zio con un soffocato: -ti  prego…- . Allora la nipote fece per tornarsene nella sua soffitta, ma la zia la richiamò:- Ah, Heineken…-

-Si?-

- Stasera digiuno assoluto per tutti, non ho avuto tempo per fare la spesa.-

Al sentir queste parole lo zio assunse un espressione di sentito dolore.  -…Mangeremo domani. Anzi, meglio che tu, Chelsea e Ben ora andate a letto. Il viaggio è stato molto faticoso e siamo qui da appena due ore.-

Erano le sette e mezza scarse.

- Zia, la settimana scorsa erano le nove ed era ancora ragionevole, ma adess…-

Il signor Anderson era fuori di se per il mancato entusiasmo della famiglia e, soprattutto, per la mancata cena. Quindi gridò:-HAI SENTITO TUA ZA, E ADESSO FILA A LETTO, SUBITO!-

Heineken si avviò verso la soffitta senza avvisare Chelsea. Se doveva condividere la stanza con lei, che era già molto stressante, era meglio condividerla il più tardi possibile. Arrivata, si buttò sul letto e cominciò a riflettere; ma in maniera un po’ diversa di come lo faceva a casa. Le venne in mente che l’indomani sarebbe andata in una scuola nuova, avrebbe conosciuto gente diversa, forse avrebbe trovato persino degli amici… strano, però, tutto ciò non la esaltava. Beh, sicuramente non avrebbe avuto reazioni di pianto isterico come la cugina, ma prima credeva di essere più entusiasmata per quello. Invece non la toccava. A dispiacerle un po’ era la mancanza della sua piscina e dei suoi quartieri periferici ad alto rischio. La sua cara piscina… chissà se ne avrebbe trovato un’altra qui, senza telecamere e senza il lucchetto all’ingresso.

Con questi pensieri si addormentò con tranquillità e un po’ di malinconia sino all’indomani mattina.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 

 

Il giorno dopo Heineken si svegliò con una strana sensazione ed un forte mal di testa; ma non ci stesse a pensare troppo e lo attribuì al fatto che aveva dormito vestita (ma questo lo faceva spesso) e in una strana posizione. Come scese dal letto andò subito in cucina con una gran fame. Di sotto c’era tutta la famiglia, compreso suo zio ancora in pigiama e ancora in collera per aver saltato il giorno prima la tanto sperata cena.

La zia annunciò pubblicamente: - ragazzi, ieri notte io e vostro padre abbiamo scoperto che nello scantinato il tizio che abitava qui prima di noi qui ha lasciato un po’ di provviste di cereali, che useremo per la colaz… ma dove sono finiti quei cereali?- concluse guardando la scatola di corn- flakes vuota. Poi guardò il marito e intravide una macchia di latte e cereali sul pigiama e qualche avanzo tra i baffi. Decise di stendere un velo pietoso e non disse niente, ma tagliò corto:- beh.. io stamattina vado a fare la spesa… nel frattempo potete prendere dei soldi e comprarvi qualcosa al bar… ehm, si, fermatevi ad un bar. Ora andatevi a preparare, vi lascio i soldi sul tavolo.- Chelsea e Ben guardavano la madre incuriositi e senza capire, mentre ad Heineken veniva da ridere; aveva capito tutto; ma decise di non farlo per non rovinare ancora “la bellissima armonia di questa famiglia”. Tornò in soffitta. Mise qualche quaderno nello zainetto per scuola e decise di rimanere con gli stessi vestiti del giorno e la notte prima: non era di quelle che ci badavano troppo all’estetica e poi i suoi jeans non erano mica sporchi.

Scese in un lampo e tornò al piano terra. Prese una parte dei soldi che la zia aveva lasciato sul tavolo per la colazione e fece per uscire mormorando un “io vado”, ma fu, come spesso capitava, fermata dalla signora Anderson:- ehi, tu ragazzina, dove stai andando con quei soldi?- A volte Heineken aveva seri dubbi sulle capacità logico- intuitive della donna.

- sto andando a scuola e con i soldi che tu mi hai lasciato sul tavolo, strada facendo mi pagherò la colazione che qualcuno si è inavvertitamente sgraffignato. –

disse la ragazza scandendo le parole. Lo zio diventò più rosso del solito.

- beh,non puoi- rispose la zia in tono severo.

- e per quale motivo?-

- Perché quei soldi sono per Ben. Lo sai quanto mangia per mantenersi in forma, povero ragazzo…-

- già, si vede com’è denutrito…-

- Non fare la spiritosa con me, ragazzina! Quei soldi sono per Ben, fine della storia. E gli altri per Chelsea. Ora vai a scuola e dopo le tre fatti uno di quei bei giri lunghi che ti piace tanto fare, così non saremo costretti a sopportare una ragazzina impertinente!-

- oh, con grande piacere!- rispose Heineken sbattendosi la porta alle spalle.

Così quei bifolchi non la sopportavano a tal punto di lasciarla senza mangiare e la volevano fuori casa. Oh, beh, sul secondo punto erano d’accordo comunque…

Ora la testa le pulsava e le doleva più forte. Ma che aveva fatto perché sua madre, già, sua madre, la lasciasse con gente così, eh? Ma cosa le aveva fatto?

 

 

Arrivò a scuola circa un quarto d’ora dopo. Era parecchio più grande di quella dove andava prima. Da fuori sembrava bella. Si voltò un attimo e fece in tempo a vedere Chelsea e Ben dentro la macchina della madre che, però, non si fermavano alla scuola di Heineken, ma andavano più avanti. Ah, era così, non gli avevano iscritti neanche nella sua stessa scuola, mitico come gli zii facevano vedere che secondo loro Heineken  non era più prestigiosa dei figli, che, invece, erano due avanzi di uomini di Neanderthal in realtà…

Non ci pensò più di tanto ed entrò; andò nell’andito e, trovato un armadietto  libero, cominciò a sistemare le sue cose dentro. Ad un certo punto sentì una voce, anzi due:

- Ciao. -

- tu devi essere quella nuova studentessa venuta da… boh, che ne so…-

- Come si chiama la tua città, ragazza nuova?-

- e tu come ti chiami?-

Heineken si girò. Per un momento credette di vederci doppio a causa del mal di testa, poi capì: due gemelle le avevano rivolto la parola. Erano molto carine: magre e alte, avevano tutte e due i capelli castano chiaro liscissimi e una aveva gli occhi verdi, l’altra castani. Strano, per essere due gemelle.

- oh, c- ciao- rispose Heineken massaggiandosi la testa.

- tutto bene?- disse una di loro.

- si, grazie. Come fate a sapere che sono nuova?-

- oh, qui le voci girano…- rispose l’altra. –a proposito; io mi chiamo Nicole, ma puoi chiamarmi Nicky e lei è mia sorella Sarah. -

-Piacere. Sarà un po’ difficile riconoscervi…- rispose Heineken accennando un sorriso.

Anche le due sorrisero e Nicky disse:- non ti preoccupare, succede spesso. Ci somigliamo anche se siamo eterozigote. Comunque noi portiamo sempre una collanina con scritta la nostra iniziale, così è più facile per gli altri…-

- e poi io ho anche i capelli più corti, se lo hai notato…- disse l’altra.

Heineken lo notava solo adesso.

-mi sembra una buona idea la storia delle collanine…- rispose Heineken.

- e tu come ti chiami?- chiese Sarah.

- Oh, io…Hen.. cioè…-

-cosa?-

Heineken non voleva dire il suo nome. Non voleva fare la figura della perfetta idiota di fronte alle due ragazze. Quindi mentì.

- Ann, il mio nome è  Ann. -

- oh, molto carino come nome .- replicò Sarah.

- vieni, Ann, ti facciamo conoscere il resto della scuola…- disse l’altra.

La “conoscenza del resto della scuola” fu piuttosto interessante. Le due gemelle la stavano trascinando da una parte all’altra dell’istituto; sembrava la tortura dei quattro cavalli che ti tiravano tutti in direzioni diverse…

- Questo è Jim, uno dei nostri. - Le disse Sarah portandola da un ragazzo alto, magro, dai capelli neri e la pelle chiara con un paio di occhiali scuri sul naso. – Jim, questa è Ann; una nuova. -

- Piacere, Ann.- rispose il ragazzo.

- piacere. – disse Heineken, alias Ann.

- Ah, a proposito, voi due, Nicky e Sarah, avete visto in giro Morgan Phirson?

CRASH! All’improvviso, l’estintore affianco a loro cadde e si ruppe. Jim rise.

- ma allora sei proprio un cretino, Jim!- esclamò Nicky. –ti abbiamo detto un milione di volte che non devi nominare il nome di M.P. invano, altrimenti fai danno! Capito? M.P.!- Jim rise ancora.

- chi è questa Mor… cioè, M.P?- chiese Heineken.

- oh, una che porta sfiga- rispose Sarah.

- Che porta sfiga?- ripeté Heineken.

- Si, è una nostra amica, solo che ogni volta che uno dice il suo nome per intero succede qualcosa di catastrofico. A proposito, spostiamoci dall’estintore prima che diano la colpa a noi. Vuoi vedere come porta sfiga quel nome?-

Senza aspettare risposta  la ragazza  fece pochi passi più avanti, fermò un ragazzo di passaggio è gli disse: - Morgan Phirson. – Il tipo stava per prenderla per un’idiota ma non ne ebbe il tempo perché un grosso vaso di fiori, messo sopra l’armadietto di una prof. per bellezza, gli cadde in testa facendolo finire a terra. Sarah gli rivolse uno sguardo poi si rivolse ad Heineken:- visto??-

La ragazza non sapeva se ridere o cominciare ad avere paura… alla fine optò per la prima ipotesi.

In quel momento suonò la campana. – alla ricreazione ti facciamo conoscere altri… per il momento hai conosciuto me, mia sorella, Jim e in un certo senso anche M.P. ora preparati al peggio: conoscere i professori - disse Nicky sorridendo. Heineken ricambiò. Sino a quel momento erano stati tutti molto gentili con lei, quasi per costrizione. Non sapeva il motivo, ma non le importava. In quel momento era contenta.

Fu arrivata in classe che successe la catastrofe.

Una professoressa faceva l’appello. Tutto bene finché…

- Anderson! Heineken Anderson! Cos’è assente? Heineken!-

- Spiacente, prof, è rimasta solo la Becks !- esclamò Jim, seguito dalle risate della classe.

-… ma insomma, la nuova ragazza, Heineken Anderson, c’è si o no?!-

A quel punto la “nuova ragazza” non poté più fare a meno di sollevare timidamente la mano a testa bassa.

- OOH! È ci voleva molto a rispondere, Anderson! Insomma, stai ancora dormendo?-

Tutti i ragazzi nel frattempo erano ammutoliti. Qualcuno ridacchiava, altri, come le gemelle Williams, Nicky e Sarah, la guardavano accigliate in una smorfia di incomprensione.

Ma come aveva fatto a non pensarci prima? L’appello, accidenti! Tutti avrebbero saputo il suo nome! E per di più ora aveva fatto anche una memorabile figuraccia con delle persone con cui poteva nascere un’amicizia. Tutta colpa del mal di testa… vabbè si era giocata solo un’altra possibilità di avere amici. Pazienza…

Rimase in silenzio, con il viso arrossato. A rompere questo silenzio fu una ragazzina che disse: - Heineken? Come la birra?-

- beh, allora, su, dicci qualcosa di te, Heineken. - ordinò la professoressa  con un tono di voce falsamente materno. All’improvviso ad Heineken venne l’illuminazione. – o- oh, si beh, il mio nome è Heineken, esatto, ma tutti mi chiamano Ann. E in effetti preferisco essere chiamata così…-

- ma perché? Il tuo nome è così particolare… credo che Heineken fosse una divinità celtica degli Unni… io insegno storia, sai?- Ad un certo punto l’attenzione della classe si spostò sulla professoressa con ancora sguardi di incomprensione. Sarà anche che quest’ultima insegnava storia, ma proprio non sapeva niente. Ma chi gliel’aveva data la laurea, Attila? A proposito di Unni, infatti…

- sono sicura che tua madre si è ispirata a lei, per darti questo affascinante nome. Cos’è tua madre, nordeuropea, come erano gli Unni?-

“No, mia madre era americana e mi ha dato questo nome orrendo perché quando mi stava partorendo nel frattempo si stava facendo una cassa di Heineken” pensò la ragazza; ma invece disse:- non so…-

- Ooh, cara, sono sicura che tua madre è una donna molto colta per darti un  nome così ricercato.- disse la professoressa.

“questo non lo so, ma più colta di te doveva esserlo sicuramente…” pensò. Ma disse: - non lo so sinceramente…-

- ti pace la storia?-

- si. –

- qual’era la tua materia preferita nella scuola dove andavi prima?-

- non ne avevo una in particolare…-

- ah, dinne una, dai… -

- forse musica…-

- e per quale motivo?- la prof. Era quasi indispettita per il fatto che Heineken non avesse detto “storia”.

- era interessante: stavo imparando a suonare uno strumento-

- e quale?-

- chitarra elettrica, prof. -

Era vero solo a metà. Si, a scuola le avrebbero potuto insegnare anche questo, ma le cose che lei sapeva sullo strumento gliele aveva insegnate un punk con la sua band, durante le sue uscite notturne.

- Ah… va bene, però ora iniziamo con la lezione di storia, e non stiamo a parlare di chitarre elettriche, che la cultura non ha tempo!- esclamò la professoressa alzandosi e dirigendosi verso la lavagna. – con lei, però ne ha avuto di tempo…-  bisbigliò una voce dal fondo aula.

Circa un’ora e mezza dopo le gemelle “trasportarono” Heineken fuori in cortile per la ricreazione. Intenzionate, chiaramente, a farle conoscere il resto della scuola.

- ma perché non ci hai detto subito il tuo vero nome?- chiese Sarah.

Nicky le diede una gomitata. Quest’ultima aveva capito già tutto.

- non ti preoccupare, noi continueremo a chiamarti Ann, se preferisci così. -

- io continuo a ripetere: perché non ce lo hai detto prima? Noi non avremmo mica riso…- Questa volta la sorella le tirò un colpo ancore più forte.

- Ahi!- urlò Sarah.

- se ce una cosa che non sopporto è di avere una sorella così simile a me, però cosi TONTA! Dai, Ann, ti facciamo conoscere il resto del mondo…-

ad un certo punto arrivò Jim da dietro correndo. Fermò le tre e disse: - oh, scusa Heineken, per la battuta sulla Becks, ti giuro, credevo che la prof. Fosse vittima di un altro dei suoi flash di ignoranza, come quando ha definito gli Unni tedeschi… non credevo parlasse di te. Comunque il tuo nome mi piace, ma se vuoi essere chiamata Ann…-

A quel punto Heineken disse:- uff, vabbè  chiamatemi col mio nome!-

- e perché adesso fai così?- chiese Sarah.

- Heineken va bene lo stesso. -

Heineken non voleva fare la patetica figura di usufruire  di un nome falso per vergogna. Quindi aveva cambiato idea radicalmente.

Nicky cambiò argomento: - guarda, la c’è una persona che ti dovremo far conoscere: Michelle! Ehi, Michelle!-

Una ragazza si avvicinò ai quattro. Aveva un fisico longilineo e minuto, liscissimi capelli castani tenuti in uno chignon con due ciuffi che cadevano su due occhi grandi e celesti; da cerbiatta. Aveva un sorriso bianco e smagliante.

- Ciao!- disse.

- dobbiamo presentarti una persona. - disse Nicky.

- Lei è Heineken – continuò Sarah.

- Piacere, Heineken… - disse la ragazza.

- piacere.– 

- non farti ingannare da quelli occhioni…- le disse tra i denti Jim da dietro.

- Heineken come la birra?- chiese la ragazza.

- no, come la divinità unno - germanica per la precisione…- disse Jim. Tutti risero tranne Michelle.

-Perché scusa?-

- ah, tu non sei nella nostra classe, non lo puoi sapere. -

- un’altra uscita della signorina  Smith? –

- esatto. –

- Ok, siamo stati felici di averti fatto conoscere la nuova ragazza, Michelle, ora  le facciamo conoscere i tre ragazzi e M.P… a dopo…- disse Nicky

- Non farle conoscere M.P!- esclamò Michelle.

- ok, ok, a dopo…-

Non fecero pochi metri che…

- Ciao Sean! Jesse, John… - Nicky salutò tre ragazzi

- Ciao, ragazze… e ragazzo- concluse uno di loro guardando Jim.

- Lei è Heineken. –

- Ciao, Heineken - dissero i tre. – scusate, dobbiamo andare; abbiamo il compito… -

- ok- disse Nicky.

- ... e se vedi Michelle dille che non se la può svignare come l’altra volta!-

Le gemelle accennarono un sorriso. Heineken invece era convinta di aver preso una cantonata un’altra volta per via del suo mal di testa che ora era diventato più forte. Michelle svignarsela? Sembrava la tipica studentessa modello…

- allora, visto che quei tre deficienti si sono dileguati ti diciamo noi chi sono…-

disse Sarah: - quello coi rasta è John, è nella classe di Michelle, M.P e gli altri due e suona la batteria. Tu suoni chitarra elettrica, potreste…-

Heineken la interruppe: - e gli altri due?-

- Quello coi capelli castani è Sean e suona chitarra elettrica come te… ah a proposito suonano tutti nella band di Jim. –

- Jim, tu hai una band?- gli chiese Heineken con stupore.

- si…-

- che genere fate?-

- rock -

- bello-

- grazie. –

- e Jesse è quello coi capelli biondi e gli occhi verdi. - continuò Sarah.

- che strumento suoni?- chiese Heineken a Jim.

- Basso. – rispose l’altro.

In quel momento suonò la campana. Fecero per dirigersi verso il portone quando, all’entrata, una ragazza alta, con i capelli biondo cenere, lentiggini  occhi celesti assenti li salutò flebilmente: - ciao…-

- ciao, Morgan…- disse Sarah.

- M.P, questa è Heineken, una nuova dei nostri. -

Heineken ebbe una specie di sussulto allo stomaco. Faceva già parte di un gruppo?

- ciao, Heineken…-

- ciao, Morgan. –

- beh, io ora devo andare; ho il compito. Ciao…-

- ciao- dissero in coro i quattro.

 

 

- era lei Morgan Phirs.. e cioè, quella che porta sfiga secondo voi?-

- si, proprio lei…- disse Nicky indifferentemente.

- a me sembra… cioè…- (Heineken non voleva usare il termine “Povera sfigata” per una persona che aveva appena visto…)

- oh, non viene trattata troppo bene. – rispose Sarah.

 

Passarono le ore e venne quella dell’uscita da scuola. Heineken salutò gli altri e dopo essersene andata un po’ in giro tornò a casa con il sorriso stampato sulle labbra. Sentiva una stranissima sensazione dentro, non sapeva cos’era. Poi, improvvisamente lo capì: era felicità.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


 

 

Non passò una settimana che tra Heineken e i ragazzi che aveva conosciuto a scuola si era formata una confidenziale amicizia e avevano formato un bel gruppo: C’erano lei, le gemelle Williams, Jim, Sean, Jesse e John, Morgan Phirs… (CRASH! Oh, no, si è rotto il porta CD!), vabbè, M.P, e Michelle.

Era proprio con quest’ultima che Heineken stava chiacchierando nei corridoi durante l’intervallo:

- … quindi non andavi spesso a scuola…?- disse Michelle senza smettere di fissare la pioggia al di fuori della finestra.

- si, non mi piaceva molto. –

- e ti sembra un buon motivo per smettere di frequentarla?-

- non c’era molta gente che si facesse i fatti miei, quindi passavo inosservata. -

- mh…- Michelle accennò un sorriso a bocca chiusa e la guardò.

-  a scuola si va…-

- lo so -

- Penso che noi due andremo molto d’accordo, Heineken. –

- Anch’io. –

Michelle sembrava una persona così dolce, così simpatica, così gentile… e anche il suo look era il sogno di tutte le mamme: semplice e non aggressivo. Com’era possibile non diventarle amica? Ti andava a genio anche se eravate due persone completamente diverse. Michelle era quella che si definisce un angelo.

- …comunque anche questa scuola non sarà il massimo per te. Fa schifo, compresa l’ignoranza dei professori e la fessaggine degli studenti: una massa di poveri sfigati…-

- A proposito, che mi dici di M.P? –

La compagna la guardò con un’espressione interrogativa.

- No, perché non l’ ho conosciuta bene, l’ ho vista poco…- disse Heineken quasi in tono di scusa. Michelle tornò a fissare la pioggia. Spiegò:

- è sempre sola, i compagni la evitano proprio perché è una che porta jella. Vive in una casa mobile con solo la madre che serve gli hamburger al drive- in. Prima aveva anche il padre, che lavorava in una fabbrica dove riciclavano canottiere usate. Ora è ricercato da qualche parte nel Michigan per aver venduto false azioni su una azienda siderurgica inesistente. E in più adesso credo che Morgan si faccia di crack. 

- ma Nicole e Sarah mi hanno detto che fa parte della cricca…-

- Oh, si… ma se non c’era Jim ad avvicinarsela col cavolo che ce la prendevamo! In tutta confidenza, credo che Jim abbia una cotta per lei-

Heineken sorrise e Michelle fece lo stesso.

Suonò la campana. Prima che tutte e due potessero tornare nelle proprie classi Heineken venne fermata dall’altra.

- ah, Heineken…-

-Si? –

- stasera, dopo la scuola, ti andrebbe di venire con me a casa mia? Così stiamo un po’ insieme…-

- Ah, ok, per me va benissimo!-

- Ci vediamo all’uscita. –

- va bene –

 

Alla settima ora Heineken era al settimo cielo. E non solo perché la professoressa di inglese si era assopita sulla cattedra e ora tutti facevano i comodi loro. Bensì perché era la prima volta che una ragazza la invitava a casa sua. Quando suonò la campana corse fuori dove si incontrò con Michelle.

- era ora! Ma quanto ci hai messo?-

- oh, alcuni miei compagni dovevano risvegliare la professoressa e hanno insistito perché vedessi lo spettacolo. –

- scommetto che è stato Jim…-

- esatto. –

- Guarda, la ci sono Jesse, John e Sean! Facciamo la strada insieme a loro?-

Prima che Heineken potesse rispondere, la ragazza si era già avventata sui tre e gli aveva chiesto di accompagnarle da lei. I ragazzi accettarono.

- e allora vi conoscete già, eh?- disse John strada facendo.

- non spaventarti quando vedrai la casa di Michelle. – aggiunse Jesse scherzando.

- ah, perché, cosa avrebbe di brutto la mia casa?- disse la ragazza.

- no, no, niente di particolare, ma è enorme, c’è il rischio di perdersi. –

- non è ENORME, è una villa normale!-

- Apparteneva alla antica e nobile stirpe dei Volkova. – disse Sean.

- Volkova? – fece eco Heineken.

- Michelle è russa, non lo sapevi?-

- Solo mia madre- disse Michelle rivolgendosi ad Heineken. Sembrava seccata per la rivelazione delle sue origini.

- Michelle Ludmilla Marja Anastasia Volkova, per la precisione. Questo è il suo nome per intero. – Disse John guardando negli occhi Michelle, come per sfidarla.

Questa sbiancò.

- Il padre era americano, ma i suoi hanno divorziato e ora lei ha preso il cognome della madre e lei, la madre e i fratelli vivono nell’enorme caseggiato della nonna…-

- se vuoi rivelare anche la mia taglia di mutandine fai con comodo, John! – rispose Michelle stizzita. – ecco siamo arrivate. - disse ad Heineken indicando una strada  asfaltata che terminava con una villa abbastanza imponente. – Abbiamo camminato un bel po’, eh?-

- abbastanza…- rispose Heineken.

- ok, ragazzi, voi potete andare, eh?- si rivolse Michelle ai tre.

- ma come, non ci inviti ad entrare?- chiese Sean accigliato.

- magari un’altra volta, eh? Ciaoo! – e corse nella strada trascinando Heineken per una mano.

Dopo un po’ smisero di correre. Arrivarono in un modesto giardino, con tanti alberi che facevano una piacevole ombra. Michele le fece vedere anche il retro della casa. Dietro questa vi era una specie di lago. (dovrei dire “laghetto artificiale”, ma siccome era molto grande lo chiamo direttamente “lago”. N.d.R). Strano che a New York ci fosse un’abitazione del genere, ma ad Heineken piacque parecchio.

- carino...- disse Heineken sarcasticamente guardando il lago illuminato a tratti dalla luce che filtrava da una fila di abeti.

- lo costruì mio nonno, quand’era ancora vivo. Ora lo usiamo come piscina. Beh, questa è casa mia. –

Michelle indicò l’imponente villa. Per essere grande era grande: dovevano essere almeno tre piani e, per quanto riguardava l’esterno, beh, si capiva subito che apparteneva a gente ricca.

Michelle entrò dall’ingresso sul retro seguita da Heineken. Salutò con un bacio sulla guancia la nonna, che era seduta in cucina, e la madre che lavava i piatti. Quest’ultima si girò. Era davvero una bella donna: alta, capelli biondi, lunghi e lisci; due occhi blu che sembravano due laghi gemelli illuminati dalla luna, labbra rosse e carnose; pelle bianca. La donna salutò con cortesia la figlia e Heineken.

- Michelle, hai portato un’amica? –

- Si… lei è Heineken. –

- Piacere. – disse Heineken.

- Piacere tutto mio. – rispose la donna dall’alto del suo metro e ottanta.

Invece la nonna disse qualcosa che doveva essere in russo.

- ha detto che hai occhi molto belli, in russo. – spiegò la madre di Michelle.

- grazie. – rispose Heineken guardando la nonna.

- Ok, ora noi andiamo in camera mia. – disse Michelle alla madre.

Mentre salirono le scale, Michelle disse all’amica:- che palle mia madre. È sempre in mezzo tra me e le mie amiche, non sai quanto la odio. Comunque è vero: i tuoi occhi non sono male. –

- grazie. – rispose Heineken guardando l’altra.

- ooh, e non dire “grazie” per ogni complimento che ti si fa…! -

Entrarono nella camera di Michelle. Era grandissima, fornita di cabina armadio e bagno in camera. Il balcone forniva di una vista panoramica sul giardino davanti. Il pavimento era in legno, come le pareti. Aveva un letto enorme e pieno di peluche. Una libreria chilometrica e uno stereo che assomigliava di più a un computer della NASA, pieno di manopole, pulsanti e  tasti.

- Carina, la tua camera…- disse Heineken sedendosi sul letto.

- Si, è più o meno come la definisce mia madre. –

- perché ce l’ hai tanto con tua madre? – chiese Heineken pigramente, facendosi cadere di schiena sul letto.

- Da come ti comporti sembra che la odi anche tu…-

- Ma chi, tua madre? –

- Ma no, idiota, la tua!-

- Io? Forse, ma ho ben altri motivi…-

- E quali sarebbero? –

- Non importa… -

- ah, no, ho fatto una domanda stupida, scusami. –

- Perché?- Chiese Heineken.

- Tu vivi coi tuoi zii. –

Ma come diavolo faceva a saperlo?

- E tu questo come lo sai?-

- Prima che arrivassi tu la professoressa di biologia, che condividiamo, ha detto che sarebbe arrivata una nuova studentessa e ci ha fatto la tua descrizione.

- E cos’altro vi ha detto? Come faceva a sapere queste cose su di me?-

- vorrei dirti che è pettegola, ma non credo che sia il motivo giusto alla tua domanda. Comunque ci ha detto che vivevi coi tuoi zii, che avevi quindici anni, che venivi da fuori New York…-

- ah, ok. –

- Heineken, tu mi sembri una tipa tosta, sai? –

Heineken la guardò con incomprensione. Tipa tosta?

-… forse è un altro motivo per cui mi sei piaciuta e ho pensato che saremmo state ottime amiche. –

- ah, per me è ok, se pensi così… - disse Heineken ridendo.

- Che puttana!- disse l’altra ridendo lo stesso. Cominciò a prenderla a cuscinate.

Passarono il pomeriggio a chiacchierare, fare a cuscinate, dire scemenze e ridere, come di solito si fa tra amiche.

Ad un certo punto la madre di Michelle entrò in camera con un telefono in mano

- Heineken, per te. –

- per te? E chi ti cerca? – chiese Michelle. Heineken prese il telefono. Riconobbe subito la voce isterica e profonda dello zio: - Heineken, porca sozza! Ho telefonato a tutti i tuoi caz… pita di compagni del tuo istituto prima di trovarti! Vieni subito qui! Tua zia è isterica!-

Heineken era stupita di ricevere una telefonata dello zio, che, normalmente non si curava di lei, come del resto, faceva il resto della famiglia.

- veramente il più isterico mi sembri tu…- rispose.

- Non fare la cretina con me, ragazzina! Ho il nervoso a novanta!-

- Si, l’avevo vagamente intuito…-

- TORNA SUBITO A CASA! Anzi, no, ti vengo a prendere io con la macchina! Dimmi dove abitano quei Vikova, Vlakova, Verrukova o come accidenti si chiamano quei bifolchi!-

Heineken diede l’indirizzo e chiuse la comunicazione. - Mio zio sta venendo a prendermi. – disse rivolgendosi a Michelle.

- Oh, no, che rottura! Sono appena le sei! E per di più sta per tornare mia sorella…-

- perché, dov’è?-

- da mio padre, all’ambasciata russa. Si sta trovando un lavoretto sfruttando le conoscenze di mio padre. Quando finisce di lavorare torna qui. –

- ok, ora parliamo di te. Tuo padre lavora all’ambasciata davvero?-

- ma no, per scherzo! Certo che lavora li davvero…-

- Prima John ha detto che non hai solo una sorella…-

- quel cretino ha ragione: ho anche un fratello in Russia da mia zia, perché non sopportava l’idea di vivere con i genitori divorziati e ho anche un fratello di solo un anno più grande di me che oggi è uscito e torna stasera. –

- Ok, nomi?-

- Mia sorella Olga, mio fratello che sta in Russia Vladimir  e l’altro Aidan. –

- quest’ ultimo nome inglese…-

- già, come me. –

- E tua madre e tua nonna?-

- nonna Alla e mamma Nadja. –

Ci fu un momento di silenzio. Heineken rifletteva su un particolare curioso su Michelle…

- Già, quelle mentecatte di mia madre e mia nonna!… pensa che… -

- Ferma un attimo…-  disse Heineken.

Michelle la guardò con un espressione interrogativa dipinta in viso.

- sei un po’ diversa da come ti vedo a scuola… sei… differente, ecco. - continuò Heineken.

Michelle fece un sorriso malizioso: - sei proprio una tipa tosta, Heineken…-

In quel momento arrivò lo zio, il signor Anderson per prenderla. Heineken poté vederlo dalla finestra della camera della amica mentre tutto agitato, sbraitava contro la signora Volkova. Quest’ultima rispondeva con imbarazzo e faceva espressioni di evidente sconcerto.

- ehm, io vado… ci vediamo domani a scuola, allora? – disse Heineken.

- Un attimo. Senti, domani se vuoi puoi tornare. Che ne so, rimani a dormire. Così…-

- Mi piacerebbe. Dipende da cosa è successo a casa mia. –

- Così, andiamo a scuola insieme…- sorrise l’altra. Poi fece una risatina sguaiata.

- Ok. –

- Alle sei a casa, allora. –

- Ti do risposta domani a scuola. –

-  Ciao -

- ciao –

Heineken scese giù. Trovò lo zio più rosso del solito e con gli occhi spalancati.

- Finalmente, era ora! Ma cosa ci stavi a fare tutto questo tempo su, eh?  E poi qui che ci fai?!! –

- Ma si può sapere che è successo? –

- Sali in macchina! SCHNELL! –

- Arrivederci, signora. – disse Heineken rivolgendosi alla madre di Michelle.

- A- arrivederci…- rispose questa, evidente espressione shockata in viso.

- Hai parcheggiato fin qui? Dentro il giardino?!- disse Heineken allo zio appena salita nella macchina parcheggiata sul prato.

- EH; non è mica colpa mia se questi incivili abitano vicino al circolo polare artico!- abbaiò lo zio, riferendosi ala lontananza della casa di Michelle dalla loro.

Dopo circa cinque minuti di macchina Heineken chiese nella maniera più pacata possibile allo zio : - Allora, perché tutta questa agitazione? –

- Non lo so. – rispose il signor Anderson. Poi aggiunse a voce bassa: - Tua zia ha ricevuto una telefonata sospetta e ora… è nervosa!-

- Tutto questo solo perché tua moglie è nervosa?- disse Heineken.

- Si! Si è messa a buttare fuori dalla finestra piatti e stoviglie, a gridare, imprecare e… urlare il tuo nome. –

- il mio nome? – fece eco Heineken, stupita.

- Si. Ma non chiedermi altro, non so proprio niente. Ho sentito che strillava il tuo nome e… sono venuto a prenderti. Ma prima di trovarti ce ne è voluto… !-

Ci fu qualche attimo di silenzio, poi Heineken disse sarcasticamente : - magari era il comitato di adozione di Providence…-

Il signor Anderson andò fuori strada.

- Non nominare più quello che hai nominato, ragazzina! Mi vuoi rovinare?! - urlò lo zio.

Heineken girò la testa verso il finestrino e sorrise.

- Quei succhiasangue non li devi neanche citare, Heineken! Se si accorgono… cioè, no, insomma… eh, basta! NON LI NOMINARE PIU!- Disse il signor Anderson rimettendo in moto.

Proseguirono in silenzio finché non arrivarono a casa. Arrivati, Heineken trovò la zia in piedi, poggiata alla credenza, fumando una sigaretta; con tutti i piatti rotti sparsi per terra e Chelsea e Ben dall’altra parte della stanza, guardando la madre con orrore. ( o forse era solo stupore?)

- Ah, sei tornata…- disse la zia a bassa voce.

- Si… Ok, zia, ora si può sapere cosa è successo? Chi ha telefonato?-

- Non lo puoi sapere, Heineken. – disse la zia, immobile come una salma.

- So che mi riguarda. Cos’è  successo?-

La zia rimase ferma senza parlare.

- Dimmelo, zia. –

- No. –

- Lo devo sapere! -

- Vai a letto, Heineken. –

- No, ho il diritto di saperlo. Non mi puoi dire di andare a letto ogni volta che…-

- HAI SENTITO TUA ZIA E ORA FILA A LETTO, SUBITO!-

PER INFORMARVI SCHNELL è UNA MARCA DI BIRRA!!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


 

 

Il giorno dopo la famiglia si ritrovò a colazione. Era tutto come se il giorno prima non fosse successo niente. Ma Heineken sentiva uno strano clima teso nell’aria.

Probabilmente gli Anderson sapevano tutto, ma non glielo volevano riferire. Eppure lei lo sapeva che la riguardava! A quanto le aveva detto lo zio, almeno. Quindi aveva il diritto di saperlo!

Ma nessuno le diceva niente.

- io oggi vado a dormire da Michelle. – disse Heineken, rompendo il silenzio.

- E chi è questa Michelle? – chiese lo zio.

- Una mia amica. Quella da cui sei andato a prendermi ieri. –

- E da quando Hanny ha amici? – chiese Chelsea.

La zia tornò a testa bassa a fissare la sua colazione ultra – dietetica. Disse solo:- Ok, Heineken.

Anche il signor Anderson guardava da un’altra parte.

- Vado da lei alle sei. –

- Va bene - disse la zia.

La ragazza la fissò, come se le volesse strappare una risposta, una spiegazione del giorno prima, ora che si erano calmate le acque…

Ma niente.

Dopo un po’ uscì di casa. Arrivata a scuola, trovò Michelle vicino al cancello che la aspettava.

- Ciao, Heineken! – disse dandole un bacio sulla guancia.

- Ciao…- rispose. Quello forse era il primo bacio a stampo della sua vita.

- Allora, per stasera?-

- Tutto ok, mi lasciano andare. –

- Benissimo…- rispose l’amica sfoderando un sorriso che andava da un’orecchia all’altra.

Quel giorno Michelle sembrava una bambola: era vestita con un vestitino a fiori sbracciato sopra un paio di jeans celesti e sandali bassi. Sempre a fiori.

- Carino quel vestitino…- commentò Heineken.

- Si, lo so, fa schifo…- disse l’altra.

- No, no, io dicevo davvero! – rispose.

- E’ mia nonna che vuole che io lo metta. Io lo odio. E visto che è troppo corto (sempre secondo mia nonna) e che poi farei la figura dell’imbecille lo metto sopra i jeans. Sembro un’idiota, vero?-

- No, ti sta bene. –

- Ah, mia nonna,come te ne sei andata ha detto un’altra cosa su di te…-

- Cosa?-

- Oh, niente, è che non approvava per come ti vesti. –

Heineken confrontò il suo abbigliamento con quello dell’amica, che era proprio un look acqua e sapone.

Abbigliamento di Michelle: già detto in precedenza.

Abbigliamento di Heineken: Gonna lunga e nera svasata. Maglietta nera a ¾ con sopra una sbracciata rossa con disegnata sopra la stella a sei punte. Vecchie scarpe Converse nere, un polsino nero trovato nella “sua” piscina, probabilmente perso da qualcuno, collarino nero gentilmente offertole da un tizio ubriaco in un pub di periferia. Ma non era nemmeno colpa sua. Era ciò che aveva trovato che costasse di meno coi pochi soldi che la zia le aveva dato per il vestiario.

Per non parlare del make up…

Trucco di Michelle: ombretto arancione acceso, matita marrone leggera e lucidalabbra…

Trucco di Heineken: matita nera “sparata” a tutta manetta negli occhi. Risaltava il loro blu intenso.

(non se l’era comprata lei: un uomo l’aveva appena rubata e visto che lei era la prima persona che aveva trovato in giro a l’una di notte, le aveva consegnato la refurtiva per non farsi beccare con questa dai poliziotti).

La differenza era evidente.

- Oh…-

- Ma fregatene! Anzi, no… forse ti conviene di più apparire “brava bambina” per non dare sospetti. E non farti rompere da mia nonna. –

Prima che Heineken potesse risponderle suonò la campana.

- Allora stasera alle sei?- disse Michelle allontanandosi.

- Ok…- rispose Heineken.

 

Alle tre corse subito a casa, non salutò nessuno dei familiari e si precipitò in soffitta. Voleva cambiare il suo stile almeno per quella  sera.

Di solito non le importava niente di come la giudicavano gli altri per com’era o per il suo modo di vestire. Ma, non sapeva perché, voleva essere diversa. Almeno per quel giorno. Poi le giravano in testa le parole dell’amica : “apparire da brava bambina per non dare sospetti”.

Ma per che cosa doveva essere sospettata?

Mise nello zainetto il materiale per la scuola del giorno dopo e una maglietta lunga che usava per dormire.

Alle cinque e mezza era sull’ingresso. Vestita con: jeans celesti – bianchi (un po’ scoloriti, ma pazienza), canotta bianca con strappo davanti e cappuccio, golfino celeste legato in vita per non far vedere i cucisivi coi teschi sulle maniche.

- Dove stai andando, Heineken? – chiese Ben che evidentemente non aveva ascoltato la conversazione di quella mattina perché era troppo impegnato a riempirsi la bocca di merendine.

- Vado a dormire da una mia amica. Ciao. -  rispose Heineken. E chiudendo la porta si diresse verso la lontanissima casa di Michelle.

Ci mise un ora camminando velocemente ad arrivare. Arrivò alle sei e trentatre alla strada che conduceva al giardino e alla casa. Tirò un sospiro di sollievo quando all’inizio del vialetto lesse sulla cassetta delle lettere “Volkova”. Quando arrivò davanti all’ingresso era tutta sudata. Arrivò Michelle ad aprirle.

- ciao, Heineken. Ma quanto hai sudato?! Non ti sei fatta accompagnare?- Heineken boccheggiò un “no” poi entrò. Salutò madre e nonna di Michelle, poi salì al piano di sopra con lei.

- ACCIDENTI, quanto hai sudato davvero!- esclamò Michelle quando furono sulle scale.

- Si, me la sono fatta tutta a piedi…-

- Ma come hai fatto? Io non ci riuscirei mai…-

- neanche io… -

- Ah, Aidan ti vorrebbe conoscere…-

- Ok. –

Entrarono nella stanza del fratello di Michelle. Era un po’ più stile ribelle di quella di Michelle. C’erano poster con segni della pace dappertutto, e dei suoi gruppi preferiti. E una puzza di sigaretta immonda. Come entrarono Aidan si spostò dalla finestra. Era un ragazzo carino: capelli biondi folti, occhi dello stesso colore della sorella. Corpo alto e magro.

- Mamma non sono stato io!- urlò girandosi come sentì la porta aprirsi. Poi vedendo che era solo Michelle con una sua amica disse: - mi hai fatto prendere un colpo, Michelle…-

- Stavi di nuovo fumando in camera, Aidan?-

- Non provare a dirlo a mamma! –

- oh, tanto se ne accorgerà da sola visto che la puzza si sente sino a giù…-

- Lei chi è? – chiese Aidan spostando l’attenzione su Heineken.

- una mia amica, Heineken. –

- Heineken? –

- Si, Heineken. Perché? –  rispose acida la sorella.

- Ciao. – disse Aidan a Heineken.

- Ciao. – rispose lei.

- Vuoi fumare? –

- No, sicuramente non vuole! – disse Michelle.

- Eh, ma un tiro…-

- Aidan, non voglio che incolpino anche me per le tue sozzerie, capito?Vieni Heineken, andiamo in camera mia. –

E se la trascinò dietro chiudendosi la porta alle spalle.

- vuoi mangiare qualcosa? – le chiese Michelle appena entrate in camera sua.

- No grazie, mangerò a cena… -

- Sempre che riuscirai a ingurgitarla la cena! Mia nonna ha voluto…-

- Ma perché ce l’ hai tanto con tua nonna?! -

-Vuoi saperlo? Perché è una vecchia rincretinita, ecco perché!-

- Non ti seguo…tu sembri l’orgoglio di tua nonna-

Michelle fece ancora una volta il suo sorrisetto malizioso: - probabilmente te ne accorgerai a cena. –

Qualche minuto dopo sentirono la voce della madre che le chiamava per la cena.

La cena Heineken riuscì a “ingurgitarla” come diceva Michelle. Fu la nonna che apparentemente sembrava non riuscire ad ingurgitare lei.

- oggi stai molto meglio, ragazzina. – Disse Alla guardando Heineken.

- g- grazie…- rispose la ragazza.

- ieri tu era vestita come delinquente… menomale che Michelle non fa cosi…-

Heineken sorrise nervosamente.

Alla guardò sua figlia e disse: - Nadja, Michelle è proprio il mio orgoglio, sai?-

La donna non rispondeva, ma si limitava a guardare sua madre, che dava un pizzicotto alla nipote.

- Forse anche suoi compagni dovrebbero prendere esempio da lei. –

aggiunse la nonna, mentre Michelle sorrideva.

- e anche tu, cara…-

Heineken continuò a sorridere nervosamente. Poco dopo Michelle se la portò con se in camera sua.

- ora hai capito perché la odio? – disse ad Heineken.

- sì…perfettamente. –

- scommetto che la figura più patetica in tutto ciò è mia madre. –

Heineken approvava. Ma in un primo momento non disse niente.

- Non dice mai niente, è sempre al servizio di mia nonna, perché è lei che mantiene tutto. Mia madre non lavora. I nostri soldi dipendono dagli scarsi alimenti che paga mio padre e gran parte dall’enorme quantità di ricchezza di mia nonna. Senza di lei saremmo perdute. –

Heineken non disse niente.

- menomale che in camera mia non mi controlla nessuno… - continuò Michelle. Fece cenno all’amica di sedersi sul letto. Poi da dietro di questo tirò fuori una bottiglia di vino.

- Che ci fa del vino in camera tua? –

- Shh! – la zittì l’altra. - Vuoi che mia madre se ne accorga?-

Stappò la bottiglia con un morso e poi continuò: - non è granché, ma… sempre meglio di bere acqua. –

-  Ah, ecco. – disse Heineken.

- Ecco cosa?-

- quando intendevi “fare la brava bambina per non dare sospetti…”-

- Eh, già…! – esclamò l’altra. – Tocca proprio farlo per mettere a tacere quelle due fesse laggiù…- e fece un lungo sorso di quel vino.

- 12 gradi, invecchiato 11 anni! – poi rise. – ce lo ha inviato mio padre per natale, ma sa benissimo che mia madre è astemia. Quindi ho tirato fuori la scusa che l’avevo dato in beneficenza e me lo sono nascosto qui. Aspettavo un’occasione del genere per stapparlo! – detto questo, abbracciò Heineken.

- Bevine anche tu –

Heineken non disse niente e inghiottì il vino. All’ inizio non le piacque, ma non si fermò. Man mano che ne beveva sempre di più le sembrava ancora più dolce. Non riusciva a smettere di bere. Ma dopo un po’ venne fermata da Michelle che disse : Ehi, non scolartelo tutto tu, brutta cretina! –

Heineken si poggiò alla testiera del letto con gli occhi a mezz’asta. Nauseata e ipnotizzata dalla bontà dell’alcol.

- Buono, eh? – disse Michelle prima di fare un altro sorso.

- ne voglio ancora… -

- Prego. – disse la finta brava bambina passandolo ad Heineken.

Per un momento Heineken sentì quella bevanda alcolica ribollirle nel sangue, come tante scariche elettriche di adrenalina che le davano un senso di estremo piacere. Poi una sensazione strana, come se fosse all’estremo delle forze.

- non è vino semplice, è una cosa strana… - disse con gli occhi socchiusi che roteavano per tutta la stanza dando una visione distorta delle cose che vi erano all’interno.

- ma che ci hai messo? –

- Aaah, sapevo che te ne saresti accorta! – strillò Michelle, sguaiatamente eccitata.

Heineken la guardò -Un po’ di questo… per farlo più buono…- e le mostrò un piccolo sacchetto contenente una strana sostanza bianca sbriciolata e una cannuccia. Poi rise. Heineken la imitò.

- che troia…-

- si! –

risero tutte e due per un periodo indefinito di tempo. Michelle più sguaiata, Heineken completamente fatta, incapace neanche di alzarsi.

- ne voglio ancora…-

- ce l’avremmo se non te lo fossi scolata tutto tu!-

Finirono per addormentarsi tutte e due.

 

Heineken fu la prima a svegliarsi il giorno dopo.

- oh… -

- ti sei conciata proprio male ieri notte, eh? – disse Michelle alzandosi.

- Ho un mal di testa feroce. Come fai ad alzarti, tu? –

- Si vede che non bevi spesso. Era la tua prima volta? –

Heineken annuì ad occhi chiusi. Anche se aveva frequentato posti con una pessima fama non era mai venuta a ingerire alcolici o droga.

- Non ce la farò ad andare a scuola… -

- E chi ha detto che andiamo a scuola? – disse Michelle facendole l’occhiolino. Poi proseguì :- ora tu preparati e prendi la tua roba. Fai finta di stare bene e vieni di sotto. –

Michelle era già pronta. Sembrava appena uscita dall’oratorio: t - shirt  bianca e semplici jeans chiari con un cuoricino cucito su un fianco. All star blu.

Heineken invece si rivestì a fatica con la stessa roba del giorno prima e cercò a tentoni le sue cose. Ma arrivò Michelle in soccorso porgendole una pastiglia bianca.

- e questa cos’è, ecstasy? – chiese Heineken.

- No, pastiglie per il mal di testa. Inghiottila e ti farà subito effetto. –

Senza dire niente, Heineken la prese e se la mise in bocca.

Dopo circa venti minuti stava un po’ meglio. Scese giù dove trovò l’amica che conversava tutta sorridente con la nonna, mentre la madre serviva la colazione. Come Michelle vide Heineken si alzò e disse: - scusate, ora noi dobbiamo andare a scuola, altrimenti facciamo tardi. Ciao nonna, ciao mamma! – diede un bacio sulla guancia a tutte e due poi uscì con Heineken. Non appena oltrepassarono la porta d’ingresso Michelle disse: - bleah, le ho baciate tutte e due! – e sputò per terra. Poi continuò rivolgendosi all’amica: - dove vuoi andare? –

- non lo so. –

- Central Park? –

- Ma è lontanissimo! –

- No…qualche chilometro siamo li. Poi non è vicino a casa tua? –

- Non so se ce la farò…-

- Ma dai! Vuoi ancora un po’ di questa? – poi rise sguaiatamente mostrando il sacchetto della notte prima.

- che stupida… - sorrise Heineken ancora un po’ intontita dal mal di testa.

Camminarono per circa due ore e un quarto. Arrivate, si lasciarono cadere su una panchina e ripresero fiato.

- Ma come fai a non essere ancora stanca? – ansimò Heineken a Michelle.

- Eh, abitudine…-

- Questo non mi sembra il posto ideale per non farci scoprire, comunque. –

- lo so, lo so, ma tu non ti preoccupare. –

Ci fu qualche attimo di silenzio, poi Michelle continuò: - la verità è che qui ho un appuntamento…-

- con chi? –

- uff, dovevano essere qui da molto tempo… -

Michelle si era alzata e si guardava intorno.

- Ma si può sapere chi… -

- Ah, eccoli! – strillò Michelle. E corse in contro a due ragazzi: uno nero, vestito in stile rasta, l’altro alto, con capelli e occhi castani.

Heineken la raggiunse camminando.

- Allora? – chiese uno dei due.

- cinque dollari al pezzo. – disse Michelle, tirando fuori un sacchetto di pasticche. (e state certi che non erano per il mal di testa… )

- Eh, stai diventando caruccia, bambola…- disse quello nero, dandole una pacca sul sedere.

- il prezzo è questo, prendere o lasciare. – rispose lei senza scomporsi.

I due si guardarono, poi sganciarono i soldi.

Michelle gli prese, poi disse : -alla prossima… -

I ragazzi salutarono e poi se ne andarono.

- tu…spacci droga? – Chiese Heineken quando i due erano ormai lontani.

- Non esattamente…- rispose Michelle sorridendo.

Rimasero in silenzio e continuarono a camminare. Camminarono senza una meta per molto tempo. Era una giornata fresca e soleggiata, ogni tanto una folata di vento scompigliava i capelli delle due. E ognuna era assorta nei suoi pensieri cullati dolcemente dalla giornata tiepida. A rompere questo idilliaco silenzio fu Michelle:

- quand’è il tuo compleanno? –

- Il trentuno di questo mese. –

- Ah, il giorno di Halloween… -

- Credo di si. Almeno è quello che mi hanno detto tutti… -

- E cosa ti piacerebbe fare? –

- non lo so. Non ho mai fatto niente di particolare… -

- Neanche un’ uscita fra amici? –

Heineken non rispose.

- …magari a bere qualcosa … -

- Oh, non parlarmi di bere, per pietà… mi è tornata la nausea. Non berrò più i tuoi stupidi mix

- ma se di quella roba non ne ho messo neanche un grammo! – esclamò Michelle sorridendo.

- Non dire idioz… - Heineken non fece in tempo a finire la frase che si trovò a vomitare per terra.

Michelle la guardava e rideva. E a tutti i curiosi che guardavano metà stupiti e metà inorriditi Heineken,  gridava: - Oh, non vi preoccupate, per la mia amica! Vomita per hobby, è fatta così! E un’eccentrica! –

Heineken era violacea in viso. Sembrava suo zio dopo lo scorso pranzo di Natale.

Michelle si rivolse all’amica intossicata: - dai, sediamoci su quella panchina. Tu continua a darci dentro in quel cestino… tanto prima o poi ti passa, ci sono passata anch’io… -

Heineken non disse niente e si diresse verso uno dei tanti cestini dei rifiuti sparsi in giro continuando a dare di stomaco. Nel frattempo Michelle si era accomodata su quella panchina con i suoi grandi occhi che guardavano davanti a se, racchiusi in un espressione seria.

Dopo un po’ Heineken esalò un respiro profondo e si lasciò cadere sull’erba.

- Finito? – chiese Michelle.

- Spero di si… -

Si alzò barcollando e si accasciò sulla panchina dove era seduta comodamente Michelle.

- Almeno ti sei liberata, ora… - disse questa. -…dopo tutto il vino che hai preso ieri -

Heineken non disse niente.

- Vabbè, ridendo e scherzando si è fatta già l’una, comunque. – disse Michelle. – tu abiti qui vicino, ma io per tornare mi devo fare due ore e mezza di cammino. A proposito i tuoi zii sono a casa? –

Heineken fece gesto di no con una mano. Poi sospirò che non abitava poi così vicino a Central Park. Ma poi, anche se ci fossero stati, che differenza faceva?

- Allora è meglio che tutte e due torniamo a casa. – disse Michelle alzandosi. – Ce la fai a tornare da sola? –

- lo spero…- mormorò Heineken.

- No, ho capito che non ce la fai. Ti accompagno io. –

Le prese la mano e si avviarono lentamente verso casa di Heineken.

- Sai cosa devi fare ora per smaltire la sbronza? – disse Michelle.

Heineken scosse la testa che già teneva a penzoloni.

- Tre opzioni. – spiegò Michelle: - o continui a bere che forse ti passa (o muori), o ti metti a letto e non ricevi nessuno fino a l’indomani mattina, o, terza opzione, fai un viaggio nel meraviglioso mondo degli psicofarmaci. – concluse con un sorriso di sdrammatizzazione.

- Oh, credo che sceglierò la seconda… - rispose Heineken sorridendo ad occhi chiusi.

Come furono di fronte alla porta d’ingresso Heineken salutò l’amica e corse a letto. Non c’era nessuno in casa. O almeno lei non si era accorta di nessuno. Si buttò sul letto tirandosi su le coperte. Non si risvegliò sino al giorno dopo.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


 

 

Il giorno dopo fu svegliata verso le undici e venti dalla sublime e catramosa voce della zia:

 - Heineken! Dormi da ieri mattina! Ma cosa è successo?? Svegliati! –

- eh…? Che ore sono? – chiese la ragazza assonnata.

- Le undici e ventidue…-

- Dell’undici ottobre? –

- No, Heineken, del dodici. –

Heineken si mise a sedere sul letto: - vuoi dire che ho dormito più o meno ventitre ore?-

- Si, pressappoco. – disse Rose appestando l’aria di sigaretta.

- Sarei dovuta essere a scuola…-

- ma non mi sembri nelle condizioni adatte, e poi è sabato, Heineken… -

Heineken non rispose.

- Cos’è successo? – continuò la zia.

Ma da quando gli Anderson si curavano di lei? Prima lo zio ed era ancora plausibile, ma la signora che si era accorta della sua assenza di ventitré ore…

- oh, non stavo troppo bene… ma ora mi sento meglio. –

Rose fece un'altra tirata e rimase zitta. Heineken la guardò. Poi si ricordò: - zia… -

- si, dimmi. –

- la telefonata dell’altro giorno. –

Rose serrò le labbra, come convinta che se avesse avuto l’intenzione di aprirla le fosse uscita di bocca la risposta che non aveva intenzione di dare. Heineken capì che i suoi tentativi erano vani.

- Alzati, ti ho preparato la colazione. – cambiò argomento la zia. – dai, alzati, non stare lì impietrita! –

Detto questo uscì dalla soffitta. La ragazza si vestì e seguì la zia in cucina. Si accomodò a tavola e cominciò a mangiare. Come la vide seduta, la zia si sedette di fronte a lei. Heineken la guardò, poi questa cominciò a parlare: - vedi … -

- si?

- vedi, Heineken la telefonata… -

- si, vai avanti –

- Ecco, sì, c’entri anche tu in questa storia…-

- Va bene, parla. –

-Ecco, sì, ha telefonato una persona di nostra conoscenza… e in un certo senso riguardava anche te…-

Heineken intravide gli occhi lucidi della zia. Stava per piangere. La donna si mise una mano sugli occhi e singhiozzò.

- Oh, no… no, non posso… -

Heineken si stava spazientendo. Prese la mano libera della zia e disse: - ma si, zia, che puoi! Me lo devi dire! La storia riguarda anche me! Dai, zia, parla, ti prego! Ti prometto che non te ne pentirai!… -

- n - no… - singhiozzò la donna.

- Su, coraggio, zia, dimmelo. –

- Va bene… vedi, Heineken, l’altro giorno… -

Le parole fragili della zia furono rumorosamente interrotte dalla pesante e rumorosa intrusione in casa del signor Anderson e dei figli.

- Aah, finalmente a casa! Ciao, amore! – ruggì rivolgendosi alla moglie.

Questa aveva dipinta in viso un espressione di evidente stupore: -m – ma caro tu e i bambini non dovreste tornare verso le tre? Perché così prest… -

- Tesoro, non te lo ricordi? Oggi sono uscito prima perché ieri ho promesso a tutti voi di portarvi… -

Momento di “accesa” suspance.

- … AL PARCO AQUATICO “ NEPTUNE ’S KINGDOM! Sai, quello che gestisce la moglie del mio collega… -

Chelsea e Ben saltavano di gioia. Rose emise un gemito. Robert la vide e non capiva il motivo di questa reazione. Heineken avrebbe strangolato lo zio.

Proprio ora che stava per scoprire qualcosa…

Salirono tutti in macchina. Dopo aver fatto tre ore di viaggio ed essersi subiti un ingorgo di mezzora sull’autostrada, finalmente arrivarono alla piscina.

Vedere gli Anderson in piscina avrebbe ammazzato dalle risate chiunque: lo zio, armato di costume stile pancera, occhialini, e pinne assomigliava più ad un tricheco che a un essere appartenente al genere umano. Sua moglie non riusciva ad andare sott’acqua perché quei due palloncini abilmente  elaborati da un chirurgo plastico, che si ritrovava al posto del seno, la tenevano a galla. Chelsea sembrava una Barbie, fasciata in quel costume intero rosa a fiori, e dimostrava di essere molto più piccola per i suoi quindici anni e mezzo; e, per quanto riguarda Ben, beh… tuffandosi creò una specie di tsunami artificiale. 

In quanto a Heineken, non aveva mai posseduto un costume e, in ogni caso, anche se lo avesse avuto non sarebbe entrata in acqua lo stesso. Quindi si sedette su una sedia in plastica a guardare il grottesco spettacolo.

Tutto normale finché…

- Ciao Heineken! Ti chiami Heineken, vero? – Heineken si girò. Vide Aidan, il fratello di Michelle, che l’aveva appena salutata.

- Ah, ciao, Aidan. – rispose alzandosi. – che ci fai qui? –

- quello che fai tu… - disse il ragazzo.

- Quindi anche tu sei qui con tutta la tua famiglia trascinato a forza? –

- oh, no, sono venuto qui da solo. Vedi, sono ospite di un mio amico che ha la casa qui vicino, ti ho visto e allora ho pensato di venire da te. –

- Ben fatto, mi stavo proprio annoiando a morte. –

- Annoiarsi?! E’ l’ultima cosa che ti può capitare! Basta vedere certa gente in piscina per ammazzarsi dalle risate…! Guarda quella matta lì, ad esempio…- disse indicando la signora Anderson mentre aggrediva uno dello staff perché non riusciva a fare una telefonata dal telefono pubblico.

Heineken sorrise nervosamente.

- Ti va di andare a fare un giro? – chiese Aidan ad un certo punto.

- Ok. –

 

 

- tu ti lamenti della tua famiglia… - disse il ragazzo mentre camminavano. -… ma ognuno di noi ha i propri scheletri nell’armadio. Tutti indistintamente. Da vicino nessuno è normale. –

- Questo lo so, ma almeno se i miei zii se le tenessero per loro… no, ogni volta che vanno da qualche parte si fanno riconoscere. –

- Via, c’è un po’ di “zii Anderson” in tutti noi…-

Heineken rise. Aidan cominciava a starle simpatico.

- Sei proprio sicura che non provi neanche un po’ di simpatia verso loro? In fondo sono loro che ti hanno cresciuto,educato, nutrito…-

- Hai ragione solo per l’ultima cosa. Effettivamente mi hanno dato solo vitto e alloggio. Se ne sono fregati e se ne fregano tutt’ora di quello che faccio. –

- No, impossibile, fammi un esempio. –

- Nella città dove vivevo sino a qualche settimana fa, ero sempre in vela. Non andavo mai a scuola. E loro non mi dicevano niente. Solo che in questo modo a scuola se ne accorgevano e così disonoravo i miei due cugini.  E poi non hanno mai perso occasione per rinfacciarmi quanto sono un peso per loro. –

- Ma no!… -

- Si, è proprio così, invece. –

- Ah… -

- ma ci ho fatto l’abitudine, ormai non li ascolto neanche più… - concluse sorridendo.

Aidan ricambiò.

- Ascolta, sabato pross… -

Non fece in tempo a finire la frase che arrivò Chelsea correndo alle spalle di Heineken.

- Hanny, oh, Hanny, ti ho cercata dappertutto! Dobbiamo andare. Vieni alla macchina. –

- Andare? Ma è prestissimo! – esclamò Aidan guardando l’orologio.

- Papà è stato cacciato dal suo collega perché ha dato un cazzotto al ragazzo degli asciugamani, quindi dobbiamo andare… oh, ciaooo! – concluse guardando Aidan.

- Ciao…- rispose lui.

- Hanny, è il tuo rag… -

- Chelsea, vai alla macchina, ti  raggiungo adesso. Ciao, Aidan. Come vedi la discussione sulle stranezze comuni era a mio favore…-  disse alzando gli occhi al cielo.

- Non ti preoccupare. Ti volevo dire una cosa, ma ti chiamo stasera. Qual è  il tuo numero di cellulare? –

- Io non ho un cellulare. Ciao! – disse correndo via.

- Va bene, te lo dice Michelle domani a scuola! Ciao! –

 

 

Heineken sentì da lontano il clacson dello zio che la chiamava. Salì in macchina in silenzio.

- Sempre l’ultima, tu, eh?! – disse isterico lo zio.

- Hanny era con un ragazzo…- disse sorridendo Chelsea.

- Oh, oh! Allora non mi stupisco che abbia fatto tardi!- ghignò lo zio.

Heineken guardò insofferentemente fuori dal finestrino, alzando gli occhi al cielo mentre il resto della famiglia rideva per la stupida battuta del signor Anderson.

Questo la innervosiva parecchio.

- per vostra informazione, era solo il fratello di una mia amica… -

- Già, già… - disse la zia. – non avremmo allevato mica un’aspirante lucciola, Robert? –

Di nuovo giù risate. Heineken non ce la faceva più. Sarà stato per il caldo, o per particolari reazioni allergiche all’argomento, fatto sta che disse: - oh, no, zia, quello è già toccato a te… -

Silenzio imbarazzato. Una frazione di secondo dopo la zia si girò e cacciando un grido isterico, le diede uno schiaffo.

- Come ti permetti?!!!! COME OSI, brutta impertinente?!! Guarda che ora tu la finisci male, stupida ragazzina viziata! Ferma la macchina, Robert! Ferma la macchina! –

- Non posso, tesoro, siamo in autostrada… - disse piano e timidamente lo zio.

- AAARGH! Come non puoi?! Ferma subito la macchina ho detto! Ah, ma tu scendi qui, ora, eh?!!- finì rivolgendosi ad Heineken.

- No, tesoro, no, pensa cosa ci fanno quelli del comitato di adozioni… noi siamo già nei guai! –

- ME  NE FREGO! MA NE FREGO! FERMA LA MACCHINA! FERMA QUESTA FOTTUTA MACCHINA!!! -

- Non posso, amore! –

La zia si accasciò sul finestrino e si mise a piangere. Anche Heineken si poggiò al finestrino, ma lei aveva un sorriso di soddisfazione scolpito in viso.

“ così impari a farmi arrabbiare…” pensava. “mi sono solo difesa. E anche se mi hai trattato con cortesia stamattina questo è per fartela pagare per come mi hai trattato tutti questi anni”

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 

 

Il lunedì seguente la zia non le rivolse la parola come aveva fatto di domenica. Effettivamente era la prima volta che era lontanamente volgare con lei, e forse questo l’aveva turbata. Lo stato emotivo di Rose probabilmente avrebbe potuto dispiacere anche Heineken…

Ma chissenefregava!

Heineken si avviò verso scuola abbastanza presto. Anziché Michelle, come si era verificato ultimamente, ad aspettarla, trovò Nicole.

- ciao. – disse questa in tono serio.

- ciao, Nicky. –

- Ho saputo da Jesse che frequenti Michelle. –

- Si, siamo diventate amiche. –

- Allora te lo dico da subito: devi smettere di frequentarla. È pericolosa. Soprattutto per te. –

- Cosa? –

- Sul serio. Nessuno di noi la calcola più. E dovresti anche tu. All’inizio sembra diversa, ma poi scopri che criminale è. So che sembra una brava ragazza, ma…-

- Ho già avuto l’onore di scoprire la vera identità di Michelle. – ribatté Heineken un po’ seccata.

- Allora smetti di esserle amica. Scommetto che venerdì non c’eravate tutte e due perché ti ha traviato in qualche postaccio per spacciare. E così o no? –

- Comunque sei stata proprio tu a presentarmela, dicendo che era una vostra amica. –

- L’ ho fatto solo per fare fessa Michelle. Aspettavo questo momento per dirtelo. Anzi, a dire il vero speravo di fare prima. Ora sei caduta anche tu nella sua trappola. Ma io ti aiuterò ad uscirne. –

- Non dire idiozie, Nicole. Se c’è una cosa che odio è che più gente si coalizzi contro una persona. –

- Ma l’ hai vista anche tu! Spaccia droga, fa vela a scuola, è falsa…! Heineken, ti sto salvando da te stessa. Se la frequenterai ancora, morirai! E tu sarai così debole da non poter farci nulla. Io ti sto salvando da te stessa. –

- Oh, ma vattene! – replicò Heineken facendo per andarsene. Ma Nicole la afferrò per un braccio.

- Heineken. Michelle è come una vedova nera. E tu sei caduta nella sua trappola! Non capisci che fa solo finta di essere amica tua! –

- Tu non potresti mai salvarmi da me stessa, perché non sono ancora diventata una mentecatta arteriosclerotica! In secondo luogo, Michelle sarà tutto quello che vuoi, ma di certo non fa finta di essere mia amica, ed ha anche una situazione difficile in famiglia –

- No, questo è quello che ti vuol far credere lei! In realtà i soldi le escono dal deretano per via dell’immenso patrimonio della nonna! –

- Vorrei dirti a fondo la sua situazione, ma credo che non abbiamo tempo e che soprattutto non la capiresti. E i componenti della sua famiglia sono ottime persone. - 

- Oh no… -

- Cosa, vuoi mettere in dubbio anche questo? Ma tu almeno sei mai stata a casa sua? –

- Heineken, io sono in questa scuola da oltre tre anni!! Non fare discorsi penosi! Scommetto che ti sei innamorata di Aidan, per questo parli così. –

- Di tutte le schifose cavolate che ti sono uscite di bocca questa e la peggiore! –

- Ciao!- disse una voce alle loro spalle. Era Michelle. La ragazza arrivò da dietro e si avvicinò alle due.

- di che stavate parlando? –

- Ciao, Michelle. Niente di importante, chiacchieravamo del più e del meno. – disse Heineken.

In quel preciso istante suonò la campana.

- Uffa, ma perché quel dannato aggeggio suona sempre quando arrivo io? Vabbè, allora ragazze, ci vediamo alla ricreazione. Ciaoo! – e si allontanò.

Nicole guardò Heineken negli occhi e si avviò. Anche Heineken andò in classe.

Dopo essersi sorbite circa quattro ore di lezione, Heineken si ritrovò in sala mensa assieme a Michelle. Mentre Nicky si era rintanata con la gemella in un tavolo seminascosto.

- Dopo scuola ti andrebbe di farti un giro con me? – chiese Michelle all’amica una volta sedute a mangiare qualcosa che in teoria dovevano essere bastoncini di pesce, ma che in realtà non li assomigliavano per nulla.

- Si, non c’è problema. – rispose Heineken decisa. Poi continuò: - ma tu, con Jim, le sorelle Williams e gli altri ti stai vedendo? –

- In questo periodo sono sempre incollata a te, quindi con meno frequenza. Ma prima che arrivassi tu eravamo appiccicati. Ma questo non vuol dire che tu sei la rompi di turno che mi impedisce di vedermi coi miei amici! – concluse con una risata.

- Hai molte amiche a scuola? –

- Oh, vedi, io attiro soprattutto i ragazzi. – disse, scimmiottando una vera vamp.

Heineken accennò un sorriso.

- perché tutto questo interrogatorio? – chiese Michelle.

- niente di importante… -

- di cosa stavi parlando stamattina con Nicole? – chiese facendosi tutta seria. Poi continuò:

- vedi, sarò tutto quello che vuoi, ma non di certo una stupida. Quindi se menti me ne accorgerò. –

- prometti che farai finta di non saperlo. –

- potessi morire. –

- vedi… - cominciò a dire Heineken.

- parla. –

- ha cominciato a dire cavolate sul tuo conto, che sei pericolosa, che loro hanno già smesso di frequentarti, che sono caduta nelle “tua” trappola e che lei mi vuole proteggere da me stessa aiutandomi a uscirne. Questo è tutto ciò che mi ha detto in parole povere. –

- Cosa? – Michelle aveva un’espressione incredula in viso. Sembrava stesse per piangere. Forse non era così forte. Ma più che pianti di dispiacere, quelli sarebbero stati pianti di rabbia.

- quella… quella… tutto questo tempo sono state mie amiche… -

- Ha detto che ti stava mollando ultimamente. Lei e gli altri. –

- Non è vero… cioè… Jim e gli altri hanno continuato a essermi amici… e perché se le sto così sulle scatole ti ha presentata a me? –

- questo è quello che vorrei sapere anch’io. –

Un momento di silenzio. Michelle guardava in giù, Heineken rivolse uno sguardo alle gemelle Williams, che la guardavano torve. Poi riprese a guardare Michelle e disse: - Michelle, ascoltami: a me non importa niente di quello che loro dicono. E se c’è una cosa che odio e che più gente si allei contro una sola persona. Noi due restiamo amiche. – detto questo le prese le mani. Michelle la guardò con un sorriso e si asciugò una lacrima.

- grazie. –

- adesso fregatene. Ah, cambiando argomento, ieri ho incontrato Aidan e mi ha detto che tu oggi mi avresti detto una cosa…-

- Ah, si… sabato prossimo ti va di uscire con noi? –

- Te ed Aidan? –

- Si, ma in teoria ci sono anche quelle grandissime ***** di Nicky e Sarah, più tutta il gruppo, compresa M.P. Ti andrebbe? –

- Per me è ok. Dove dovrebbe essere? –

- All’ Underground, un pub come tanti. Il clima non è veramente Underground, è tutta pubblicità. Ci stai?-

- dov’è questo posto? –

- da qualche parte vicino al centro. Ci troviamo lì verso le dieci di sera. –

- Ok. –

In quel momento si avvicinò Sarah al loro tavolo: - Heineken, puoi venire un secondo, per favore? –

- se è quello che mi immagino, allora no. –

- No, stai tranquilla. Vieni. –

Heineken si alzò e seguì Sarah fuori dalla sala mensa.

- sei capace a tenere un segreto? –

- Si. –

- sabato prossimo avevamo in mente di uscire all’ Underground…-

- si, sono già stata informata. –

- e allora? –

- Vengo. –

- Ok, ora torno da Nicky. –

E si allontanò. Allora Heineken fece per tornare da Michelle ma non la trovò seduta al tavolo. Al suo posto trovò un biglietto:

 

 

Ci vediamo più tardi. Non ti preoccupare,

non sono andata a picchiare Nicky, la

vendetta è un piatto che si gusta freddo.

A dopo,

Michelle

 

 

Heineken lesse il biglietto in fretta, poi lo buttò via. Aveva una domanda che le correva per la mente: ma se le gemelle odiavano tanto Michelle perché volevano uscire anche con lei? Tutte e due le avevano fatto lo stesso invito…

Ma non ci pensò troppo e tornò in classe. E di pomeriggio a casa di Michelle.

E dopo anche a casa sua, con pensieri leggeri.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


 

 

I tre giorni che seguirono furono insolitamente tranquilli. Tra Michelle e le gemelle c’era calma, ma nell’aria si percepiva uno strano clima di tensione. Fortunatamente Heineken riusciva ad equilibrarsi e tenere la situazione sotto controllo: trascorreva parecchio tempo con Michelle, ma riusciva anche a stare con gli altri, senza alterarsi per le continue coalizioni nei confronti dell’amica  Questa adesso, si rifiutava di frequentare il gruppo; stava sempre con Heineken e con qualche altro ragazzo di passaggio, interessato particolarmente alle sostanze che lei spacciava e, nella maggior parte dei casi, anche alla “mercanzia”.

Heineken sapeva benissimo delle trasgressioni dell’amica, che la facevano sembrare una poco di buono, e forse lo era, ma in quel momento Michelle le sembrava di più una persona bisognosa dell’aiuto di un amica. E su questo Heineken non lesinava.

Per Heineken quello non poteva definirsi proprio un “periodo d’oro”, ma stava abbastanza bene. Si godeva il clima fresco dell’autunno, gli amici, e le chiacchierate con Michelle che, comunque, non si era abbattuta più di tanto per l’isolamento da parte degli altri.

Il giovedì seguente, Heineken, alla fine della settima ora (ora di Educazione Fisica), si fermò a chiacchierare del più e del meno negli spogliatoi della palestra con Michelle.

- quindi ti vanti di aver avuto molti ragazzi nella tua vita…- disse Heineken.

- si, in effetti è così, ma non è che mi vanto –

- dai, dimmi il numero, allora. –

- eeh, ciao…! – e poi rise.

- hai mai pensato che se lo dici in giro ti prendono per una facile? – disse Heineken sorridendo alla battuta dell’amica.

- no, no, perché io sono la brava e angelica figlia di buona famiglia- disse Michelle imitando la voce di una brava bambina.

- comunque io credo che tu sia una facile. –

- e per quale motivo? Io al momento sono single… -

- A me balle non ne devi dire. –

- uff, ma perché questo terzo grado?! Sembri mia nonna! –

- No, appunto perché non lo sono, me lo dovresti dire…-

- va bene, a te non ti si può nascondere niente… -

- Allora? –

- Tom Hilton, quarto anno. Sei soddisfatta, ora?-

- Ma è vero? –

- Non so… - e prese a ridere.

- perché ridi , ora? –

- ci siamo strafatti di coca l’altro giorno, poi penso che si sia interessato…-

- dove? –

- eeh, ti devo anche dire a cosa è interessato? Heineken, afferra al volo e taglia corto, siamo tra gentilgirls… -

- no, intendo dove avete tirato di coca. –

- boh, doveva essere da qualche parte nei pressi del parco qui vicino, non ricordo niente, ero completamente fatta…-

- ti ricordi almeno cosa è successo dopo che vi siete strafatti? –

- ehm… veramente no…-  disse guardando in alto, con l’aria di una falsa innocente. Heineken invece sorrise e poi fece finta di scandalizzarsi: - signorina, lei mi delude! Ha oltrepassato ogni limite…! È scandaloso!-

- Ma no, ma no! Non è vero! – rispose Michelle sempre facendo l’innocentina.

- Dì la verità…sei ancora vergine? –

Michelle serrò le labbra in un sorriso a bocca chiusa e guardo in alto.

- Non sei più vergine!? –

- Forse. Ora io devo andare, ho fretta! Ciao, ciao! Baci baci! – e corse via.

- guarda che non te la cavi così! – gridò Heineken sporgendosi dalla porta dello spogliatoio. Poi, una volta vista l’amica andarsene rientrò dentro. Era rimasta l’unica alunna presente, di conseguenza sola. Mentre si rivestiva, visto che non c’era nessuno nei paraggi, cominciò a cantare a voce bassa.

Era così assorta nei suoi pensieri, e talmente sicura di essere rimasta completamente sola, che non chiuse neanche la porta dello spogliatoio.

Alzò anche la voce.

Ma ad un certo punto sentì dei passi: prima lenti, poi nessun rumore e successivamente in corsa.

Poi quella persona in corsa si affacciò alla porta dello spogliatoio. Era Jim. Prima che questo potesse parlare; Heineken cacciò un urlo e si mise una maglietta davanti al petto.

Anche Jim urlò. Poi, in uno stato che presentava i seguenti sintomi: mani come due spugne, salivazione azzerata, manie di persecuzione, miraggi; balbettò più o meno queste parole: - he- he- Heineken, sc- scusami nn- non sapevo che fossi t-tu… c – ci vediamo fuori, eh?!- e poi corse via come se gli avessero infilato un razzo su per il sedere.

Heineken rimase a fissarlo mentre correva via imbarazzato. Allora si rivestì in fretta, rimise le sue cose nella borsa. Poi andò in cortile dove trovò Jim in piedi appoggiato a un palo.

- Ciao… - disse Heineken.

- ciao... – rispose lui coprendosi il volto con una mano. – scusami per prima –

- vabbè, tanto adesso è acqua passata. –

- devi tornare subito a casa? –

- no. –

- allora ti andrebbe ti venire a fare un giro  con me? –

- si, va bene. –

 

- Ho notato la tua voce. – disse Jim mentre camminavano sotto il cielo nuvoloso. – è molto bella… -

- grazie –

- tu sei proprio la voce che cerco. –

- non ti seguo… -

- non hai notato tutti i volantini sparsi per la scuola con raffigurati me e la mia band? –

- forse. Io non do molta attenzione ai volantini… -

- Non ti puoi sbagliare: è quello dove Sean è uscito col dito nel naso. –

- Allora l’ ho visto. –

- Bene. E sai anche quello che c’è scritto?-

- Non mi sono fermata a leggerlo…-

- C’è scritto che la nostra band cerca una vocalist, femmina, che sappia cantare e poi… bè l’ultima cosa è una stupidaggine aggiunta da John… -

- tipo? –

- “possibilmente misure da 90/60/90”. A lui piace sempre fare l’idiota. –

- e in quante hanno risposto all’annuncio? –

- Nessuna. –

- E non è difficile immaginare il motivo. –

- no, non è difficile. Allora ti andrebbe? –

- non lo so… -

- dai, non farti pregare! Hai tutti i requisiti adatti! Bella voce, bella tu… e anche il tuo modo di vestire. –

- Il mio modo di vestire? –

- Si… in precedenza ti avevo detto che noi facciamo una specie di Rock Gothic. E per il tuo modo di vestire… sei adatta. –

- Dove state? –

- Nel mio garage. –

Heineken ci stava pensando su. Ma proprio nel momento in cui stava per rispondere vide una sagoma di fronte a loro. C’era un po’ di nebbia quindi non lo distingue subito. Poi lo vide. Aidan. Che veniva di fronte a loro sfrecciando con la bicicletta. Ma poi si fermò quando li vide. Heineken non sapeva il motivo, ma… si sentiva come imprigionata tra due maschi. E la sensazione non le piaceva.

- ciao… - disse Aidan. Nella prima sillaba ci mise più entusiasmo, perché aveva avvistato solo Heineken. Poi ebbe un suono decisamente decadente quando si accorse anche di Jim. – Heineken, l’uscita di sabato l’abbiamo spostata al trentuno… che se non sbaglio è il tuo compleanno…-

- Si… -

- glielo stavo per dire io, Aidan.  Non dovevi disturbarti. – disse Jim freddamente.

- Non vedo che differenza faccia, Jim. – rispose l’altro con lo stesso tono.

- Grazie per l’informazione, allora. –

- io non ho fretta…- disse scendendo dalla bicicletta - … o stavate parlando  di cose intime? –

- non rispondo perché non voglio essere volgare in presenza di Heineken. –

- Oh, oh! Allora tra voi due c’è del tenero! Dai, James, ammettilo!– disse alzando la voce, sperando di essere sarcastico. Ma il suo volto esprimeva una velatura di rabbia. Jim non rispose, ma guardava Aden fisso negli occhi. I suoi occhi castani contro quelli blu dell’altro. Heineken si sentiva in imbarazzo.

- E va bene… - cominciò Aidan risalendo sulla bici. – io vado. Ci vediamo sabato trentuno. – concluse fissando negli occhi Heineken. I suoi occhi verde bottiglia lo videro sparire inghiottito dalla nebbia che cominciava a scendere.

- Tornando al nostro discorso: accetti o no? – chiese Jim, serio.

- Si, accetto. –

- grazie! Ora ti faccio vedere dove stiamo. Ti vorrò sempre bene per questo. – e la abbracciò stringendola a se.

Heineken si sentì arrossire, rimase come pietrificata. Cominciò a riprendersi solo dopo che Jim l’ebbe lasciata.

- Casa mia è qui vicino. Vieni, ti faccio strada. - 

Camminarono per un po’ di tempo finché  si trovarono di fronte al garage di Jim.

 

 

 

Più che avvistandolo si fecero strada seguendo il casino che proveniva dall’interno: urla, musica dallo stereo, qualche accordo di chitarra elettrica suonato per modo di dire. Entrò prima Jim, forse impaurito dall’idea che poteva farsi Heineken di quel covo dove intraprendenti e turbolenti maschi si riunivano due volte alla settimana per fracassare le orecchie a tutto il vicinato.

- fate meno casino, cretini, abbiamo una ospite! – urlò Jim prima che Heineken potesse entrare.

- Ciao, Jim, anche noi siamo contenti di vederti. – disse uno, sarcastico.

- una ospite? Wow, hai trovato una che risponde ai requisiti dell’annunc… Heineken? – concluse sorpreso come la vide entrare dalla porta del garage.

La ragazza notò che era abbastanza grande come posto, almeno il quadruplo di un garage normale. Doveva fungere anche da scantinato.

Al centro, c’erano gli strumenti della band, allestiti assieme ad alcuni amplificatori  in maniera da formare una specie di piccolo palco. A destra c’era una grande area dove vi erano parcheggiate le macchine dei genitori di Jim e lì vicino ammassati un bel po’ di scatoloni. Vicino alle macchine c’era un’altra uscita. Poi, a sinistra, una porta che probabilmente andava alla casa, e, in un angolo, un tavolino dov’erano seduti Sean, Jesse e John con gli occhi sgranati per la sorpresa di vedere Heineken.

- è la nostra nuova vocalist, l’unica che ha accettato. Ho già sentito la sua voce. È perfetta. –

Jesse sorrideva insieme a Sean, invece John era ancora sorpreso: - ma non risponde a l’ultimo requisit… - 

Prima che finisse di parlare, Jesse gli tirò una forte gomitata nello stomaco, mentre Sean si impegnava a nascondere l’ultimo numero di Playboy che prima si stavano gustando tutti e tre. Sempre con il sorriso stampato in faccia.

- ti faccio vedere i nostri testi. – disse Jim rivolgendosi ad Heineken. – vado a prenderli in camera mia. E si avviò per la porta che dava alla casa.

Heineken si sedette con gli altri.

- allora tra poco ci farai sentire la tua splendida voce… - disse Sean un po’ scettico.

Heineken non rispose.

- Ma come ha fatto Jim a sentirti cantare? – chiese Jesse aggrottando le sopraciglia.

Si sentì avvampare. – oh, ehm…non ha importanza. –

- Come non ha importanza? – continuò l’altro con una punta di sospetto. – dai, come ha fatto a sentirti? –

- non penso di avere una bella voce. – tagliò corto Heineken. – non lo so proprio come Jim lo pensi. –

Colpo di genio trovare questa scusa per non dire che Jim le aveva visto le tette. Vero casino capire che avrebbe dovuto cantare davanti a quei quattro. Sentì la timidezza che la imprigionava a poco a poco fino a stritolarla. Fu sfiga che in quel momento tornò nel garage Jim con un quaderno ad anelli in mano.

- Ora ti facciamo sentire un po’ come fanno, poi provi a cantarle tu… - disse lui.

Heineken saltò in piedi con la paura di essere rossa in viso. Prese il quaderno e disse: - no, mi sono ricordata giusto ora che devo tornare a casa e che sono già in ritardo. Mia zia mi ammazza, altrimenti. Queste vedrò di studiarmele a casa. –

- Come? Un attimo fa eri qui, tranquilla e ora… -

- Me ne sono ricordata adesso. – rispose in fretta Heineken accennando un sorriso nervoso mentre cercava di trovare una scusa.

- e che… abbiamo ospiti stasera a cena. – disse in fine.

Tutti e quattro i ragazzi avevano un’espressione scioccata in faccia.

- ok. – disse Jim. – Vuoi che ti accompagni a casa? –

- no, no, grazie. Faccio da sola, non è lontano. –

- Ok, allora grazie per aver accettato. Ciao – si avvicinò per tentare di darle un bacio sulla guancia, ma non ci riuscì.

Heineken si allontanò camminando velocemente con il quaderno stretto tra le mani. Arrivata sulla porta salutò i ragazzi e riprese a camminare, quasi correndo. Quando fu abbastanza lontana rallentò il passo, sentendosi molto stupida. Ma non voleva cantare di fronte a quei quattro. Lo sapeva, avrebbero riso. Sarebbero crepati dalle risate. E l’avrebbero buttata fuori. E lei sarebbe tornata al punto di partenza.

Poco dopo arrivò a casa sua. Come aprì la porta vide la zia avvolta in un abito da cocktail rosa salmone pieno di fiocchetti e volant, che apparecchiava usando il servizio buono e la tovaglia bianca con il pizzo che le aveva regalato la sua anziana zia per il matrimonio.

Notò che la signora Anderson aveva usato più spuma del solito per fissare i suoi ricci capelli biondi artificiali.

Sembrava piuttosto nervosa.

- Ah, eccoti! – disse vedendola entrare. – stasera quel mentecatto tuo zio ha invitato a cena il suo capo con sua moglie! Gente importante, mica morti di fame! E io l’ ho saputo solo mezz’ora fa! –

Heineken guardò la zia, trovando sollievo nel pensare di non aver detto una bugia a Jim per cercare di evadere da quella situazione.

- Allora, cerchi di comportarti da persona civile o te ne stai in soffitta facendo come se non esistessi?! – esclamò la zia. – anzi, no, ritirati in camera tua e basta. Non voglio che quei due milionari sappiano di te! –

Heineken era un po’ shockata per quell’affermazione, ma tanto era la scelta che voleva lei, quindi fece per salire le scale senza dire una parola. A metà del tragitto trovò suo cugino Ben che avvolto in quello smoking sembrava una mortadella mascherata a festa. Poi sentì la zia che con la sua voce intrisa di catrame accumulato in tanti anni di dipendenza dal fumo, le urlava che tra poco le avrebbe portato su la cena.

Arrivò in soffitta e vide la cugina che indossava un abito da grandi occasioni di fronte allo specchio mentre si truccava. Heineken si sdraiò sul suo letto. Aprì il quaderno ad anelli che teneva ancora in mano. Vide rilegate varie buste contenenti ognuna un testo di una canzone e delle note. Erano nove.

Ma come? Solo nove? Forse Jim aveva scelto il loro meglio da farle imparare. Forse la band si era formata da poco.

Lesse i titoli  e i testi. Roba tosta, a quanto sembrava, mica canzonette. Ma nelle parole avevano un non-so-che di stile e in un certo senso delicatezza.

- Che cosa sono, Hanny? –chiese Chelsea sbucandole davanti.

- Niente, Chelsea, torna a giocare con le bambole… -

- Fammi leggere, dai! –

Chelsea era fatta così: ogni volta che qualcosa era off – limits per lei diventava curiosa come una scimmia.

- No. –

- Dai! –

- Chelsea, sei sorda? Ho detto di no! Mi hai sentito?! –

- guarda che ti faccio passare guai! -

Heineken la guardò con un sorrisetto di superiorità, cosa che fece infastidire parecchio la cugina.

- MAMMA!!! – strillò Chelsea. – Hannie sta fumando roba strana!!! –

La signora Anderson era fuori dalla porta, che portava su a fatica un vassoio blu in plastica che doveva contenere la cena di Heineken. Come entrò fu assalita dalla figlia che aveva un disgustoso sorriso in faccia: - mamma, ti ricordi quando hai detto che in questa famiglia siamo tutti amici e che tra di noi non ci devono essere segreti? –

- questo l’ ha detto quell’imbecille di tuo padre dopo essersi scolato mezza bottiglia di Jack Daniel ’s il giorno del ringraziamento! E ora fila di sotto, Chelsea, che quei due cretini ai quali tuo padre sta leccando i piedi sono già qui! – rispose brusca e nervosa la donna. Chelsea andò di sotto, quasi con le lacrime; lasciando sole Heineken con la zia.

Heineken era impaziente di divorare la sua cena. Che con suo grande disappunto si rivelò pane e formaggio in scatola.

La zia invece rimase lì, seduta sul letto di Heineken, a fissare il vuoto. Heineken si chiedeva perché in quel momento non stava fumando.

- e questo che ti rende nervosa? – chiese Heineken dopo aver addentato un morso di quell’improbabile panino.

- Cosa dovrebbe essere? –

- il fatto che non stai fumando… -

la donna non rispose.

- o sarà per zio…che invita quella gente e non ti dice nulla…- continuò Heineken.

La zia si mise una mano sul volto e scosse la testa.

- oppure perché stai male… - continuò Heineken con tono ipnotico. Sapeva dove voleva arrivare.

Anche la zia lo sapeva, quindi non rispose, ma serrò le labbra.

-… oppure per la telefonata. – concluse Heineken, cercando di trarla in inganno.

A quell’ultima frase, la zia sembrava disperarsi. Dopo aver esitato qualche attimo, infine disse: - Heineken?-

- si? – rispose aspettando che la zia desse la risposta che aspettava con ansia da tempo.

- Non. Tornare. Più. Su. Questo. Argomento. È chiaro? E ora finisci la cena e dormi. –

- Dimmelo!!! – urlò Heineken, disperata anche lei. Sbottò tutta insieme, come se la sua rabbia si fosse riaccesa in lei di colpo.

La zia gemette, si alzò e fece per andarsene, ma Heineken la afferrò per un braccio, con la faccia rossa, quasi in fiamme. E i nervi che le mandavano delle scariche di adrenalina in tutto il corpo. Era esplosa di colpo, senza saperselo spiegare.

- Dimmelo, cretina! Dimmelo, dimmelo!! Riguarda anche me! Dimmelo! – urlò disperatamente Heineken, sorprendendosi di quell’attacco di autentica pazzia, avendo paura di essere vicina alle lacrime. Rose cercò di liberarsi dalla presa di Heineken, ma in un primo momento non ci riuscì: era molto spaventata dall’improvviso cambio di personalità della nipote, glielo si leggeva in viso. Guardava Heineken come se fosse posseduta, con lo sguardo di chi ha paura. Rimasero paralizzate tutte e due per un attimo, poi la zia si guardò il braccio e vide delle gocce di sangue scenderle dal braccio, dovute alla forte presa della nipote, che le aveva infilato le unghie nella carne. Non urlò finché non ne vide una colare e finire sul parquet di legno della soffitta.

In un grido di orrore, con la mano libera diede un forte pugno in faccia ad Heineken e corse via, lasciandola sola.

La ragazza emise un gemito e si buttò sul letto, cuscino premuto sugli occhi, per trattenere le lacrime. Passata la crisi, si addormentò.

Non sapeva perché le era arrivata l’ossessione maniacale per quella stupida telefonata. Ma voleva saperlo. Non le importava né come, né perché. Avrebbe ucciso per saperla.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Passarono i giorni. E finalmente arrivò la mattina del 31 ottobre, giorno del compleanno di Heineken. Non aveva più parlato con la zia dello sbotto di pazzia di quella sera, e non era andata ancora da Jim per cantare. Pensiero che di tanto in tanto la angosciava. Ma non quel giorno perché non si voleva rovinare la vigilia del suo sedicesimo anno di vita.

La ragazza uscì di casa dopo essersi sentita bofonchiare un “auguri” da parte degli zii, e, una volta fuori, si avviò per uno dei bar delle vie del centro dove la stava aspettando Michelle.

- ciaoo!!! E auguri! -  urlò questa non appena la vide, abbracciandola e baciandola forte.

- grazie…! – rispose Heineken un po’ sorpresa da tutto quell’entusiasmo.

- Quanti sono? Sedici? –

- Esattamente. –

- benissimo, allora vediamo di trascorrere al meglio questa giornata… shopping a tutto spiano? – suggerì Michelle.

- vorrei ma non ho soldi… - sorrise l’altra.

- pazienza, ne ho io. Li ho fregati da mia nonna. È il tuo compleanno, dopotutto…è giusto che li spenda io per te. Come regalo. –

- no, no, non devi… -

- come, non devo? Il regalo te lo devo fare, no? –

- Allora grazie. –

- figurati. –

 

- è un peccato che non festeggi… - disse Michelle mentre camminavano e guardavano le vetrine.

Ma come “che non festeggi”? Non dovevano uscire stasera tutti insieme in quel pub per festeggiare? Heineken era curiosa su questo particolare, ma non glielo chiese. Magari avrebbero voluto farle una sorpresa…

- In tutti questi anni non l’ ho mai festeggiato, è vero. – dissuase Heineken.

- perché? –

- scambia due parole con i miei zii e lo capisci da sola… -

- oh… - sospirò Michelle. – dai tuoi racconti ti descrivi come una che ha avuto un’infanzia difficile… -

- mmh… - Heineken non disse nulla per un attimo, poi disse: - non lo so, ma rispetto a te, qualcun altro e Nicky e Sarah probabilmente sì. –

- No, per pietà, non parlarmi di quelle due fanatiche, per carità… - disse l’amica facendo una smorfia.

- questa guerra fredda deve finire. – ribatté l’amica.

-  dillo a loro, sono state loro a cominciare. -

- Ma almeno… se tu provassi a parlarci… -

- e a che servirebbe? Stupide sono e stupide restano. -

Capendo che i suoi sforzi per combattere la testardaggine dell’amica, erano vani, Heineken decise di lasciar perdere.

Dopo che ebbero finito di “razziare” le boutique del centro, sotto la bellicosa guida di Michelle “carrarmato” Volkova, le due amiche si salutarono. Heineken corse a casa con circa quattro o cinque buste nelle braccia, con il marchio delle varie compagnie che erano andate a visitare. (anche se quello di Michelle più che voglia di spendere si poteva chiamare un raptus omicida…)

Quando passò dall’ingresso, ad accoglierla ci furono le note di una popolare trasmissione radiofonica molto seguita dalla signora Anderson, intitolata  “Ci Facciamo I Fatti Vostri”, che Rose amava definire “programma di varietà”, o, nei giorni in cui era a corto di amor proprio, “programma culturale”.

E invece era il solito, tipico, scontato,  programma radiofonico dell’ora di pranzo dove due Dj ignoranti e sgrammaticati facevano lavare i panni sporchi degli ascoltatori in diretta, affinché  coloro che ascoltavano rimanessero stupiti e a bocca aperta di fronte alla radio a bersi le idiozie che venivano trasmesse.

- ah sei qui… - le disse la zia tra una tirata di fumo e l’altra.  – ma cosa tutto accidenti hai comprato?!- concluse energicamente guardando le cinque buste che cadevano dalle braccia di Heineken.

- oh, ehm, regali di Michelle. Siamo andate a fare shopping. -

- mi sembra piuttosto generosa, questa Michelle… - rispose la zia poco convinta.

- e mi sembra, visto che nessuna teenager ha tanti soldi, che…oh, a questa maglietta è un amore! – concluse guardando una maglietta nera a strass viola compratole con insistenza da Michelle.

- oh, ehm, si. Ora vado su a mettere a posto questa roba, perché stasera devo usc… - ribatté Heineken con un po’ di riluttanza nell’essere trattata come veniva trattata abitualmente Chelsea.

- ma no! Ma no! Aspetta! Voglio vedere che altro ti sei presa! -

E continuarono di questo passo per un paio di jeans con le sfumature, una mini gonna nera col pizzo rosso, una felpa nera leggera semplice col cappuccio, una t-shirt con una scritta gotica e un disegno che raffigurava un angelo sempre gotico, due magliette a maniche lunghe con varie scritte, e infine una gonna verde militare che arrivava sin sotto il ginocchio.

- Oh, si, carine… - disse Rose alla fine, dal suo sguardo si capiva che non le piacevano, anzi, che le facevano orrore, ma diceva il contrario. Per farle piacere? Perché quel giorno era il suo compleanno? O perché celava un terribile segreto alle sue spalle…?

Ad ogni modo Heineken tentava di pensare il meno possibile all’ultima ipotesi. Più ci pensava, più le veniva l’ansia. Riprese le sue cose e andò di sopra.

Non fece in tempo a formulare un pensiero, che irruppe la cugina nella soffitta.

- Ciao, Hanny! – strillò questa. – non immaginerai mai dove ci porta stasera papà…! -

- dove VI porta stasera papà… - la corresse Heineken sprezzante. - io devo uscire.

- uscire? E dove vai? -

- a festeggiare il mio compleanno, con i miei amici. – rispose Heineken scandendo le parole e parlando come se avesse a che fare con una bambina dell’asilo.

- m-ma Hanny…-

- Cosa c’è, ti sembra molto strano che io festeggi il mio compleanno come tutte le persone normali?! – disse bruscamente.

- no, m-ma Hanny… -

- Cosa? Ti sembra ridicolo o insolito quello che sto dicendo? -

- No, però, ma… -

- Cosa? -

- Ma Hanny, oggi non è mica il tuo compleanno! -

Heineken guardò in alto con gli occhi a mezza asta.

- a volte mi chiedo se ci sei o ci fai, Chelsea… -

- Eh? -

Prima che Heineken potesse sbottare e dire ciò che pensava a Chelsea, entrò il signor Anderson.

- Allora, amorino di papà, sei contenta? -

- Sì! – rispose Chelsea facendo un sorriso da un’orecchia all’altra facendo vedere l’apparecchio luccicante.

Poi lo zio, si rivolse ad Heineken.

- L’ hai saputo, dove andiamo stasera, Heineken? -

- No, grazie, e non ci tengo. – ribatté facendo un sorriso falso.

- stasera, noi andiamo tutti…- cominciò cerimonioso.

- Stasera, andate tutti… - lo interruppe Heineken.

- Eh?-

- è quello che stavo dicendo a Chelsea, zio. Io stasera esco. -

- Eh? Cosa? E dove vai? – chiese sorpreso.

- A festeggiare il MIO compleanno, con i MIEI amici. – rispose scandendo molto lentamente le parole.

- m-ma… e dove?! – chiese con il viso che cominciava ad arrossarsi.

- In un locale qui in centro. -

- C-che locale?! -

- un pub. L’underground se ti interessa saperlo. -

- m-ma no! Noi, non… -

Da rosso lo zio stava diventando violaceo.

- andate pure dove dovete andare. – concluse Heineken con la stessa flemma con cui aveva iniziato il discorso.

- M-ma no! No! Questo non lo posso tollerare, signorina! È un giorno molto importante per me e tua zia e anche se per il momento non sai dove si andrà, tu ci sarai! Capito?! Oggi ci deve essere tutta la famiglia! Oggi…-

- Robert, porca miseria, lasciala stare… - disse la zia, che nel frattempo era apparsa sulla porta.

- Eh?! -

- Oggi è il compleanno di Heineken. Credo che per lei sia più emozionante passarlo con i suoi amici che alla fiera degli specchi a pioli, dove organizzano una serata in nostro onore e ti danno un premio perché sei riuscito a progettarne uno e venderlo con l’aiuto di tuo cugino Amilcare. -

- m-ma, tesoro, quella serata è importante per tutti no…-

- Io non costringerei mai uno dei miei figli a passare la sua festa a gironzolare tra specchi a pioli e buffet rumorosi e insani dove servono solo caprino con olive e ettolitri di vinaccio della casa. -

Cadde il silenzio. Heineken era rimasta alquanto shockata per ciò che aveva appena detto la zia. L’aveva paragonata ai suoi figli.

Mentre invece probabilmente lo zio pensava a qualche buon motivo per far venire anche la nipote con lui, ma, evidentemente non ci riuscì. Quindi alla fine disse:- e va bene, puoi andare con i tuoi amici al pub. Ma sia ben chiaro… - il signor Anderson voleva cercare di creare un momento di suspance per incutere la sua figura con terrore. (tentativo assai vano).

- … non voglio guai. -  concluse con l’ultima speranza di avere un tono autoritario. Chelsea lo guardava dal basso con la bocca semi aperta; la zia ed Heineken con le sopraciglia alzate e gli occhi a mezza asta.

- Beh, comunque… - proseguì lo zio. – dov’è Ben?-

- è di sotto che fa merenda e guarda la Tv, Robert. -

- Ah, bene. Allora digli di prepararsi che andiamo. -

- Ben è già pronto, Robert. Siamo tutti pronti, se l’ hai notato. E anche tu, a vederti. Forza, andiamo che sono già le sette e venti. -

- bof…, uff, si, cara… e tu a che ora devi essere lì, tu? – chiese rudemente ad   Heineken il signor Anderson.

- non ti preoccupare, zio, sarò lì a l’ora giusta. Ora fuori da camera mia e vai a goderti il tuo premio. Vai. – disse duramente e con freddezza  Heineken.

Lo zio uscì seguito da Chelsea. La zia le rivolse un occhiata e poi uscì anche lei.

Heineken lì poté sentire che staccavano Ben dalle merendine e dalla tv e che sfrecciavano via dal vialetto con la macchina. Finalmente era sola.

Cominciò a scegliere gli abiti per quella sera. Poi si lavò i capelli, si truccò e alle nove e mezza era pronta.

Uscì camminando per le vie di New York. Alle dieci meno cinque era già all’Underground pub.

Là la attendevano tutte le persone che l’avevano conosciuto da settembre. Le gemelle Williams, Sean, Jesse e John, Jim (che la baciò sulla guancia quando la vide arrivare), Aidan (che fulminò Jim con lo sguardo), e Morgan Phir… (CRASH! Oh, no, il porta penne!), vabbè, M.P.

La salutarono in coro quando la videro arrivare. E tra un vortice di “ciao” e “auguri”, Heineken provava contentezza. Ordinarono subito qualche birra e bacardi, e per le gemelle una semplice coca con un po’ di rum schizzato sopra. Verso le dieci e un quarto Heineken chiacchierava con Jim quando le venne in mente una cosa.

- ehi… ascoltate una attimo, ragazzi… - cominciò rivolta al gruppo.

- Cosa? – risposero tutti in coro.

- Dov’è Michelle? -

Gli altri rimasero in silenzio. Nicole e Sarah affondarono lo sguardo nei cellulari. I tre della band di Jim si guardarono fra loro. M.P. guardava fuori dalla finestra (aveva incominciato a piovere). Aidan non si scompose e guardò Heineken con aria da figo. Jim pareva l’unico ad avere un’aria colpevole. Heineken aveva la strana sensazione di sapere che succedeva, ma non voleva neanche ipotizzarla. Quindi sollecitò nuovamente.

- Allora? Qualcuno mi risponde?! Che fine ha fatto Michelle? -

- forse sta male…-  disse piano Sarah.

- Sciocchezze, eravamo insieme stamattina. – disse Heineken.

Di nuovo silenzio. Si sentivano Solo il rumore degli altri tavolini e quello dell’accendino di Aidan.

Ad un certo punto, fu proprio Aidan, a rompere questo silenzio, sempre col fare da figaccione che cominciava ad irritare Heineken.

- lo vuoi sapere…? Dimmi, lo vuoi proprio sapere? -

- certo. – disse Heineken bruscamente.

- Vedi, dolcezza, mia sorella sta sulle scatole a tutti, in questa lurida combriccola…- fece un tiro: - quindi, su richiesta della maggioranza, l’ ho indotta io a credere che oggi non se ne faceva niente. Lasciando noi relativamente qui a sbronzarci di birra e divertirci. Quindi, amore, non ti preoccupare per lei e goditi la tua festa… -

- No! – esclamò Heineken che era scattata in piedi senza neanche accorgersene.

- Non me la godo senza Michelle! Voi avete detto una bugia alla mia migliore amica, nel giorno del mio compleanno solo per le vostre stupide e infantili coalizioni!Questo non lo accetto! – Heineken stava urlando, suscitando l’attenzione delle cameriere e degli altri clienti e pareva non accorgersene.

-         Voi, voi… - aveva paura di essere arrivata alle lacrime

- tesoro, non ti preoccupare e goditi la festa… - disse Aidan, anche lui si era alzato per abbracciarla. Heineken rimase ferma, finché non scoprì la mano morta di Aidan. Anche Jim l’aveva notata.

- lasciami! – urlò Heineken, cercando di liberarsi. Prima che finisse la frase, notò che anche Jim era alzato e stava urlando contro Aidan.

- Lasciala! Lasciala in pace, Aidan. – Ma Aidan la tenne stretta a sé e si limitò a guardare Jim con un sorrisetto di superiorità che faceva venire voglia di prenderlo a schiaffi. Ed era proprio quello che fece Heineken, riuscendo a liberarsi dalle sue braccia. Passò a fianco a Jim.

Adesso era Aidan che cominciava a incavolarsi.

- Heineken, non fare la stupida e vieni qua. Non stare vicino a quell’idiota! -

- lasciala in pace, Aidan. – sibilò Jim tra i denti.

- Senti chi parla di essere idiota. – disse aggressivamente Heineken.

- Heineken, prima che perda la pazienza, e faccia qualcosa di brutto a te, e a quell’idiota che ti sosta accanto, vieni qui dove sono io. -

- Non lo farai! – esclamò Jim mettendosi di fronte ad Heineken.

- oh, insomma! – gridò Heineken mettendosi a sua volta di fronte a Jim, senza accorgersi che ora tutto il secondo piano dell’Underground pub guardava lei, Jim, e Aidan. Come se ora la disputa fosse solo tra loro tre, e non per Michelle.

- Prima vi comportate tutti schifosamente con Michelle, soprattutto tu, Aidan, che poi osi fare lo stronzo con me! Come ti permetti?!-

Aidan non rispose, non ne ebbe il tempo.

Sua sorella era sbucata alle sue spalle, tutta bagnata di pioggia.

- Aidan! Jim, voi sei! Ma non dovevate... Heineken?! – esclamò Michelle.

- Michelle... – cominciò Heineken. Ma non finì la frase.

- Oh,no… - Michelle si portò le mani alla bocca, con gli occhi che stavano diventando rossi di pianto.

- Heineken, anche tu?! Capivo loro, ma… -

Prima di risponderle, Heineken poté sentire una coppia di signori anziani che li additava e chiedeva alla cameriera: “mi scusi, è incominciata da molto?” e questa rispondeva: “mi spiace, siete un po’ in ritardo…”

Ad ogni modo disse: - Michelle, io non c’entro niente! L’ ho saputo anch’io adesso! Michelle… Michelle, aspetta! –

Michelle era corsa via piangendo. Heineken non aveva aspettato un secondo e le si era precipitata dietro; seguita da tutti gli altri.

Uscirono dal pub, ignorando una cameriera che gridava “ehi, ragazzi, il conto!!” e corsero sino a una piazzetta malridotta sotto il diluvio. Heineken prese il braccio di Michelle tentando di fermarla. Erano loro due al centro della piazza, con gli altri otto a qualche metro dietro Heineken.

Michelle piangeva e provava a gridare cose che, soffocate nel pianto, erano difficile da capire. Gli otto restavano muti. Heineken si sentiva sull’orlo di scoppiare.

Ad un certo punto parlò Nicole: - Heineken, noi ti abbiamo detto, come la pensavamo riguardo Michelle. E anche lei lo sa. Ora non c’è alcun motivo di… -

Michelle si lamentava di più, mettendosi una mano sul volto. Heineken ormai non sentiva più niente. Solo la pioggia, che li aveva inzuppati tutti. Ed esplosione fu.

-  Basta, per favore! Basta! Basta! BASTA!-

Nicole e gli altri rimasero zitti. Michelle smise di piangere. Heineken invece, si sfogò.

- Non ne posso più di voi e delle vostre ridicole vendette da prima media! Se voi aveste parlato anzi che farvi i dispettucci alle spalle, probabilmente ora, non saremmo alle undici meno un quarto sotto la pioggia a litigare! E io non sarei qui a gridare passando un compleanno del cavolo per colpa vostra!! -

Aidan provò ad aprir bocca, ma da quella non fece in tempo ad uscirne nessun suono.

- Parli tu, Aidan? Tu, sei il peggiore di tutti! Non solo hai preso in giro tua sorella alle sue spalle, ma ci hai provato con me, facendomi la mano morta! -

 quest’ultima frase, Michelle singhiozzò, poi guardò il fratello con un’espressione a metà tra la depressa, incredula e disperata. Poi Heineken urlò la sua ultima frase ad alta voce di quella notte.

- E ora, se non vi dispiace io me ne vado! -

tutti la guardarono allontanarsi. Ma quando ebbe svoltato l’angolo Jim le corse dietro.

- Heineken…! -

- cosa c’è? -

- ehm.. vieni, andiamo lì sotto a ripararci. – disse, indicando una fermata dell’autobus, di quelle coi sedili e la pensilina.

Si sedettero lì, senza bagnarsi per un po’, anche se erano entrambi fradici.

Dopo qualche attimo di silenzio, Jim parlò: - eh.. ecco, tieni, hai dimenticato la borsa. – disse, porgendole la sua piccola tracolla verde pasticciata con un pennarello nero.

Ci fu un lungo istante di silenzio. Heineken si accorse che erano molto vicini.

Jim sorrise. Anche Heineken lo fece. Jim si avvicinò ancora. Ormai avrebbe potuto contare le sue ciglia.

- sei molto carina, Heineken… - disse piano Jim.

Heineken ricambiava. Ma quando erano ormai ad un centimetro di distanza…

- Scusa, Jim; io devo andare. – disse tutt’ad un tratto Heineken alzandosi.

-   oh, ehm, si, certo…-  rispose Jim un po’ imbarazzato. – v- vuoi che ti accompagni?-

- no, no, non ti preoccupare, faccio la strada da sola… Ci vediamo dopo domani a scuola, eh? -

- ok. Ciao… -

- ciao -

E camminò velocemente via, insozzandosi la gonna e gli anfibi e dandosi della stupida per tutta la strada.

Tornò a casa che ancora gli Anderson non erano tornati. Si asciugò tutta e si mise a letto.

Giurò che anche se quella sera non era stato, prima o poi sarebbe accaduto. Lo sapeva. Se lo sentiva dentro.                                                                                                                                                         

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Incredibile, ma vero, a volte le grida funzionano.

Non erano passati pochi giorni che Heineken si ritrovò di nuovo nel gruppo unito e complice (o quasi) che c’era sempre stato. E, anche se alle gemelle Michelle non andava proprio a genio, anche loro avevano imparato il nobile uso della diplomazia.

Il giovedì seguente, Heineken, tornata da scuola, amava New York e le persone che vi stavano. E non riusciva ancora a credere che la sfuriata del trentuno ottobre aveva dato notevoli risultati.

Poi una cosa la esaltava particolarmente: gli scambi di sguardi con Jim, frequenti e appassionanti. E anche se tra loro non c’era stato ancora alcun contatto fisico, si sentiva già sua. Poi, non si sentiva impaurita o infastidita per il fatto che quella sera doveva andare a provare nel garage di Jim per la prima volta. Solo un po’ emozionata, ma molto entusiasta. E vedeva anche una stagione buia e intrisa di compiti in classe come l’autunno, la vedeva perfetta.

Tutto questo perché…

- perché sei un CRETINO, ecco perché!- urlò la signora Anderson rinchiusa in un’ ascensore interno alla casa, sospeso a mezz’aria che il marito aveva tanto insistito a impiantare per quali loschi e grotteschi motivi che gli avevano suggerito i meandri più cupi della sua mente.

- Robert! Sei appollaiato su quella scala alta quattro metri! Hai speso un sacco di soldi per il sistema anti bloccaggio di questo ascensore e ti sei fatto pure spiegare come si fa e ora, io sono qui, sospesa a mezz’aria e non sei capace di farmi scendere?! E se questo aggeggio infernale cade e io mi sfracello?! Voglio uscire! Aaargh! Fammi uscire, incapace! Fammi scendere! Eeeek! -

e il signor Anderson, che cercava di ignorare gli occhi infami dei vicini che guardavano attraverso le finestre, rispondeva gridando a sua volta: - e per forza che non ce la faccio! Strepiti come un gibbone! Non ce la fai a fare un gridolino isterico?!

- Aaargh! Fammi uscire, pezzo di idiota! -

 

 

All’ora di pranzo si ritrovarono lo zio, Heineken, e i suoi due cugini.

- Dov’è la mamma? – chiese Chelsea.

- Oh, eh… uhm… la mamma adesso è in ascensore. In attesa che arrivi il tecnico.

- e lei non mangia? – chiese invece Ben, tra un boccone e l’altro.

- eh, uhm… no…-

Heineken provò a scappare da quella patetica situazione, mettendo il suo piatto in lavastoviglie.

- Ehi, gnam, Heineken, slurp… - le disse lo zio mentre mangiava.

- si? – rispose la ragazza con disgusto.

- Questa sera devi uscire? -

- e a te cosa te ne importa? -

- fono tuo vvio eowwio he hi freoffufo fi hè! -

- cosa?! -

- sono tuo zio, è ovvio che mi preoccupo di te! – disse lo zio dopo aver inghiottito un boccone.

- Sono sempre uscita, non ce n’è alcun bisogno. -

- dimmi almeno dove vai. -

- oggi a casa di un mio amico. -

- Un amico?! -

- un ragazzoo… - disse Chelsea mielosamente. -

Dopo averci pensato un attimo lo zio disse: - oh, oh! Un ragazzo! –

In quel preciso istante la stanza si riempì di “oh, o”, “eh, eh”, “uh, uh” e molti “ah, ah” che sembrava stare allo zoo, nella gabbia delle scimmie urlatrici.

Heineken non perse tempo, prese i testi della band e uscì di casa.

L’odore di autunno s sentiva nell’aria. Tra foglie secche e pioggia si potevano quasi sentire i loro suoni. Ah, no, è la zia che urlava per il voler uscire dall’ascensore.

Comunque, a tutto ciò, Heineken, nella sua città di provincia non ci aveva mai pensato. Prima aspettava trepidamente solo che arrivasse la notte, per imboscarsi nei suoi posti preferiti.

Non le restò molto tempo, però, per fare queste poetiche considerazioni, perché era già arrivata alla porta del garage di Jim.

Entrò subito. Fu ben accolta da Sean, Jesse e John, (che fecero del loro meglio per nascondere il più presto possibile l’ultimo numero di “Penthouse” che stavano guardando avidamente).

- ciao, ragazzi -

- ciao! – dissero in coro i tre, dal loro tavolino dov’erano fossilizzati.

- dov’è Jim? -

- è andato un attimo di sopra. Sta tornando. -

Jim arrivò poco dopo. Salutò Heineken con il solito bacio affettuoso sulla guancia (cosa che gli altri tre trovarono particolarmente ironica…), poi parlò con Heineken.

- hai studiato i testi? – le chiese mentre sistemava l’apparecchiatura.

- si. Mi piacciono. -

- ne sono contento. -

- c’è una cosa che ho dimenticato di chiederti: come si chiama la band? -

- oh, fino a l’altro ieri non avevamo un nome. Poi mi è venuta un’idea: “FallenAngel”. Ti va bene? -

- lo trovo fantastico. -

- bene…sai, mi è venuto pensando a te. – finì a voce bassa.

Heineken non riuscì  nemmeno a immaginare la somiglianza di se stessa con un angelo caduto, ma decise di non farlo sapere Jim.

Dopo qualche istante Jim fece segno a quei tre di alzarsi e disse: - ora ti facciamo sentire come fa la prima canzone… -

- ok. E come si intitola? -

- te lo dico io… - disse Sean arrivando da dietro. – Jim non ha voluto scriverli nei testi per non farti spaventare… -

- Non è quello! – esclamò Jim, che stava diventando a poco a poco rosso. – è il contenuto che ha importanza, non il titolo. E lei doveva dire se le piacevano dopo averle lette tutte. Non i titoli. -

- ok, tigre, glieli dico io titoli… - disse John con tono di sufficienza.

John parlava così in fretta e con così tanto tono annoiato che per Heineken fu un’impresa capire ciò che diceva. Tra tutti i suoni che uscirono dalla sua bocca,  Heineken capì solo due titoli: “Take me out” e “How does it feel” . Per non fare una figuraccia fece finta di capire tutto e poi ascoltò la musica.

Si sentì trascinare. Sarà perché non aveva mai posseduto un CD, sarà stato per la bravura di Jim e gli altri, fatto sta che tutt’ad un tratto si sentì orgogliosa nonché felice di diventare la prossima voce dei FallenAngel.  

- ecco, questa era “Take me Away”. – disse Jim quando ebbero finito di suonare. – ora la proviamo con la tua voce. -

Heineken si sentì avvampare. Ma non aveva paura. Ecco la voce d Jim… ( “uno, due, tre, quattro”) e la base che partiva. Heineken afferrò con la mano sinistra i testi, con la destra l’asta del microfono e poi cominciò.

In poco tempo si sentì stranamente disinvolta, come se l’avesse sempre fatto. E perfettamente a suo agio. In breve l’adrenalina le attraversò il corpo dandole una sensazione come mai aveva sentito prima. Ma solo lei l’avrebbe potuta definire. Da qui io riassumo tutto con una parola: fantastico.

Erano passati tre minuti e ventidue secondi quando la canzone finì. Ad Heineken sembrava passato un attimo.

- Bravissima! Whoo! – urlò Jesse applaudendo con le mani sopra la testa.

- Ve lo dicevo che aveva una voce stupenda! – sentenziò Jim agli altri.

- Hai il rock nel sangue! – concordò Sean.

- cacchio, è vero… - concluse, benevolmente, ma in maniera assai poco fine John.

Heineken sorrise senza volerlo. Non aveva mai ricevuto tanti complimenti in vita sua. Non riuscì a ringraziare; mostrò solo un ampio sorriso.

- Bene, ora proviamo anche le altre. – Disse Jim. E gli altri partirono con la musica.

Fu una serata particolarmente entusiasmante per tutti. Per Heineken, certo, ma anche per gli altri che avevano trovato una vocalist. La più “bella e coinvolgente voce che avevano mai sentito”, le dissero, quando ebbero finito.

- Ok, ragazzi. – disse Jim agli altri. – Ci sentiamo dopo, io accompagno a casa Heineken. – Mentre Sean, Jesse e John facevano casino per salutare l’amico, Heineken si chiese perché Jim affermava di accompagnarla, quando neppure glielo aveva chiesto.

Ma non le dava fastidio di certo, quindi non disse niente e uscì dal garage con lui. Camminarono per qualche metro avvolti in un silenzio imbarazzato, ma, dopo un po’, fu Heineken a parlare.

- Ah, Jim… -

- si? -

- ho scordato di dirtelo, mi dispiace per la serata di sabato scorso. Avrei dovuto contenermi… -

- No,no, ti chiedo scusa io. Pur essendo contrario alla comitiva contro Michelle per la tua festa, non ho detto nulla e non mi sono opposto. Mi dispiace… -

- figurati. -

Ci fu un altro attimo di silenzio. Poi Heineken parlò di nuovo.

- Credevo che Aidan fosse diverso… -

- Cosa? -

- Aidan. Si tratta di lui. Mi sembrava un ragazzo diverso, invece ho capito che razza di idiota maniaco è. Ora in parte mi sento anche colpevole per quello che è successo sabato per aver creduto che fosse un ragazzo intelligente e sensibile. -

- Non pensarlo nemmeno! – esclamò Jim fermandosi di fronte a lei. - tu non hai colpa se quello è un idiota. Non c’entri niente. -

Calò il silenzio tra i due. Heineken si rese conto che erano ancora l’uno vicino a l’altra. Nessuno di loro disse niente. Si avvicinarono sempre di più. Jim fu il primo a chiudere gli occhi. Heineken lo imitò. Ora Heineken poteva sentire il suo respiro e viceversa…

- ma guarda se quei due non sono proprio… Jim! Heineken! -

Michelle era spuntata da una strada all’incrocio a fianco a loro.

I due ebbero reazioni diverse, prima di salutarla. Heineken emise una lieve risata di quelle della serie “ridiamoci su perché altrimenti c’è da suicidarsi”, invece Jim fece un leggerissimo sbuffo della serie “che rottura di BIP…”, poi fece un moderato sorriso.

- Ciao! – disse Michelle arrivando correndo, mettendo le braccia attorno alle spalle dei due.

- Ciao, Michelle – dissero insieme Jim ed Heineken.

- come và? – disse lei.

- oh, bene… stavo accompagnando Heineken a casa. – rispose.

- e scommetto che eri troppo occupato  a scortare la signorina, per dimenticarti di darle questo. – ribatté Michelle tirando fuori dalla sua borsa un pacco regalo con le firme di tutto il gruppo.

- Buon compleanno, Heineken. – concluse rivolgendosi a Heineken.

- oh, si è vero, che stupido… - soggiunse Jim. – auguri, Heineken. -

- grazie. -

- Forza, aprilo- incitò Michelle.

- Qui? -

- si, qui. Aprilo, forza! -

Heineken scartò in fretta la carta e aprì la scatola. Rimase meravigliata e piacevolmente stupita.

- oh, u- un cellulare… -

- è stata Michelle a dirci che eri l’unica al mondo a non possederne uno. – disse Jim sorridendo.

Anche Heineken sorrise. Era quasi commossa. Ma si guardò bene a far fuoriuscire le lacrime per non fare la figura della stupida.

- e dentro troverai un’agendina con tutti i nostri numeri e una ricarica gratuita. – disse Michelle.

- oh, grazie… non dovevate…-

- e non dire idiozie! – esclamò bruscamente Michelle. – beh, ora io vado, perché sicuramente ho interrotto qualcosa… -

gli altri due sorrisero in maniera nervosa e fecero qualche risata falsa. Ora Heineken avrebbe spaccato in testa la scatola del telefonino a Michelle. Ma non lo fece perché era troppo contenta del regalo.

Si salutarono e Michelle saltellò aggraziatamente via. Heineken e Jim ripresero a camminare; ma lentamente, come se istintivamente volessero entrambi che quel momento durasse all’infinito.

Ad un certo punto Heineken si accorse che si erano istintivamente presi per mano…

- oh… -

- cosa c’è? – chiese amorevolmente Jim.

- io abito qui dietro. Ci salutiamo qui? -

A Heineken venne in mente solo ora. Dovevano per forza salutarsi dietro la strada. Non avrebbe mai permesso a Jim di vedere gli Anderson. Ne sarebbe rimasto sconvolto.

- ok.-

- ciao. – fece per andarsene, ma non fece in tempo a evadere da quella situazione. (…“e baciatevi, cretini!”urlano solitamente i lettori arrivati a questa parte del libro.)

- Heineken… -

- si? -  si riavvicino a lui.

- domani… ecco, io… io faccio una festa a casa mia. I miei domani mattina partono per due giorni a Boston per un convegno. Ti… ti andrebbe di… -

- …starci?- concluse Heineken. Poi si morse la lingua.

- oh, cioè volevo dire… andarci.. cioè… insomma, che io venga… no, cioè, che vada al tuo party?-

- si. Ne sarei felice. -

Jim le mise le braccia attorno alle spalle e la strinse a se. Si stava per ripetere la scena precedente. Cosa mai avrebbe potuto fermarli ora?

- AAARGH! Pezzo di cretino! Sono appesa qui da stamattina e il fabbro non è ancora arrivato?!! Voglio scendereeee!! -

A volte mi chiedo se porto sfiga io o se c’è M.P. nascosta qui da qualche parte.

- Cosa è successo? – chiese Jim staccandosi. Heineken cominciava a spazientirsi.

- oh, niente. È… è… è mia zia che ha finito il valium, ecco. – disse in fretta e nervosamente Heineken.

Poi fu un attimo. In fretta e istintivamente si avvicinò  e poggiò le labbra su quelle di Jim. Questo gemette in silenzio per il colpo ricevuto, ma non disse niente. Continuò quello che Heineken aveva iniziato, affettuosamente; avvolti nell’intimità del tramonto.

Finirono dopo qualche lungo e appassionante attimo. Ma prima che potessero dirsi qualcosa, arrivò una persona in macchina a interromperli.

- scusate ragazzi… - dal finestrino spuntò un uomo basso e corpulento, con pochi capelli sale e pepe in testa e una salopette azzurro scolorita con un etichetta sbiadita e illeggibile.

- si?- risposero in coro i due.

- sapete dov’è casa Anderson – Miller? Hanno chiamato circa quattro ore fa per un tecnico perché dicono si sia bloccata l’ascensore… -

- oh, si. Io abito lì. È proprio li dietro la strada. Cominci ad andare, la raggiungo subito. – disse Heineken. Il tipo ingranò la marcia e partì.

- beh, allora a domani? – chiese timidamente Jim.

- Si… -

si diedero un’ ultimo bacio breve e poi Heineken corse a casa. Indescrivibile ciò che provava in quel momento.

Vide che il tecnico era già arrivato sul posto del bloccaggio dell’ascensore. Ma per il momento cincischiava. Fortunatamente dopo riuscì a liberare Rose senza danni particolari. (?)

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


p class=MsoBodyText>Come si svegliò il giorno successivo Heineken ebbe un sussulto allo stomaco al ricordo del bacio di Jim e del fatto che stasera doveva andare al party a casa sua.

Toccò il suo cellulare. L’aveva messo in carica la sera prima, quindi avrebbe dovuto essere pronto. Aveva già preso in mano in precedenza i cellulari di Michelle e le gemelle, quindi non le fu troppo difficile fare cose tipo impostare la suoneria, o inserire i numeri in rubrica.

Dopo che ebbe fatto tutto questo genere di operazioni si preparò in fretta e corse a scuola, dove, tanto per cambiare, la aspettava la sua migliore amica, Michelle; che non esitò a salutarla con il solito euforismo.

- ciaaaaaaaaoooooo!!!!! Jim mi ha mandato un sms ieri. Ci sarai alla festa stasera? -

- Ciao… si, ci sarò. Oltre noi dieci chi viene? -

- noi nove, Heineken. Non ti aspetterai che venga anche quel disgraziato di mio fratello, vero?

- Spero di no . -

- Ad ogni modo la rabbia si è spostata da me ad Aidan; nessuno del gruppo ha apprezzato il suo modo di comportarsi con te. (forse Jesse, Sean e John gli sono ancora amici, ma non lo so). Comunque era praticamente quello che mi ha tenuto lontana alla tua festa. E invece ora non c'è più nessuno arrabbiato con me e la fregatura per la festa di stasera per Aidan la sto organizzando io. Paradossale, eh?

- se lo dici tu… -

- Comunque oltre noi NOVE, ci sarà anche un po’ di gente di scuola e un mucchio di persone che non conosciamo. -

In quel momento suonò la campanella. Le due amiche si avviarono verso la classe.

- comunque… dimmi una cosa… - proseguì Michelle in tono malizioso. – cos’è successo con Jim? -

- eh? -

- devi raccontarmi tutto, tesoro. Non hai scelta. -

- oh, io dico che ce l’ ho eccome. – rispose bruscamente Heineken dando un’aggressività alla frase che avrebbe voluto non dare.

- è obbligatorio.  

Heineken esitò. Ma prima che potesse dare la risposta che aveva deciso di dare, si fece avanti Michelle:

- vi siete baciati? -

Heineken annuì. Invece l’amica spiccò un salto esultando, suscitando gli sguardi indiscreti e spaventati dei compagni.

- Lo sapevo! Lo sapevo! Lo sapevo dal primo momento che eravate fatti l’uno per l’altra!-

- Michelle? -

- si, tesoro? -

- piantala di dire cretinate. -

Michelle continuò a sorridere spensierata, forse felice per l’amica, forse semplicemente entusiasta che era successo qualcosa di elettrizzante all’interno del gruppo che contrastava con la vita quotidianamente pallosa. Ad ogni modo, sempre col suo sorriso contagioso disse all’amica: - senti, piccola, io ora vado a  lezione, ci vediamo stasera a casa di Jim. –

- ciao-

 

 

La giornata sino alle tre proseguì normalmente, tranne per il fatto che non vide Jim per tutto il giorno e che le professoresse la richiamarono all’attenzione per quattro o cinque volte in tutte le sette ore. Ma Heineken non ci poteva far niente. Non riusciva a interessarsi delle espressioni algebriche o di George Washington (che la signorina Smith aveva definito “un gran pezzo di maschio”, oltre che aver sparato una miriade di idiozie sulla guerra di secessione). Ma come poteva essere lontanamente incuriosita a questi fenomeni scolastici quanto quella sera probabilmente sarebbe di nuovo finita tra le braccia del ragazzo di cui era già innamorata?

Si, esattamente così. Jim era il suo primo amore, e, anche solo dopo quel bacio, ne era già innamorata. Lo desiderava, voleva essere sua. Lui era così dolce, così simpatico, così perfetto, così…

- così carino… -

- Prego, Anderson? – chiese la professoressa di matematica.

- oh, ehm, si, volevo dire x =… -

E ripeteva quello che la prof. Aveva detto un attimo prima, senza pensarci. L’unico sentimento che sentì quella mattinata fu un balzo di eccitazione allo stomaco quando suonò la campanella delle tre.

Avrebbe voluto correre a casa senza guardare in faccia  nessuno, ma, per sua sfortuna, fu fermata dalle gemelle che la “costrinsero” a fare la strada insieme.

- come pensi che sarà la festa, stasera? – chiese Sarah a Heineken prendendola sottobraccio.

- beh, visto che non ho la palla di cristallo… -

- non puoi prevedere niente, abbiamo capito. – concluse Nicky tenendola a braccetto dall’altra parte.

- bella giornata, vero? – continuò l’altra.

- si… - disse Nicky senza neanche far parlare Heineken. – perché non…? -

- vieni a prendere un the a casa nostra? – conclusero in coro le due gemelle trascinando Heineken svoltando la strada a destra.

- oh, no… no grazie. – disse in fretta Heineken cercando di liberarsi dalle due. Invano. – no, no, guardate… ho altro da fare. Grazie lo stesso. -

- Vieni con noi – insistette Sarah trascinando tutta la sua parte sinistra verso la strada dove risiedevano le sorelle.

Heineken notò che  stavano camminando sempre più veloce, quasi freneticamente.

- ma… cos’è successo?! -

- te ne parliamo una volta arrivate – disse Nicky.

- a casa. – concluse Sarah.

Quando erano ormai a pochi metri dalla villa dei Williams, situata in mezzo a un giardino curato in mezzo a tante altre case di un quartiere medio – alto borghese benpensante, Heineken riuscì a liberarsi dalle braccia delle due con sforzo sovraumano.

- si può sapere che avete voi due?! – esclamò fermandosi dietro di loro.

- dobbiamo parlarti. – disse Nicole dopo un attimo di esitazione.

- ma pensiamo che forse è meglio… -

- parlartene a casa. -

- Riguardo cosa? - 

Attimo di esitazione. Heineken aveva paura di sapere di cosa le due avrebbero voluto parlarle. Ma sperava tanto di sbagliarsi. Giurò che se Nicky e Sarah avessero toccato ancora quell’argomento le avrebbe uccise.

- vedi… - cominciò Nicky; ma i suoi discorsi furono interrotti da un auto che parcheggiava elegantemente nel vialetto di casa Williams. Da essa ne scendeva un uomo alto, vestito in giacca e cravatta, da lavoro. Doveva avere una quarantina d’anni, ma, sorprendentemente, aveva ancora i capelli. Una soffice capigliatura bionda.

Come questo scese dall’auto, dalla casa uscì una signora altrettanto alta, magra, con capelli castano – rossi corti, vestita in maniera austera ed elegante: completo di gonna e maglioncino aperto color panna, con una collana di perle bianche al collo e scarpe analoghe con i tacchi a spillo.

La donna baciò quello che doveva essere il marito sull’uscio di casa, come se fosse ANCORA felice di vederlo e di mostrarsi innamorata dopo anni e anni di matrimonio e di giornate di lavoro simili a quella. Sembrava la scena di un telefilm. Heineken pensò che i Williams erano proprio la famiglia modello americana. Ma se era così, allora gli Anderson erano la presa in giro della parodia di una famiglia.

- ciao, ragazze! – disse l’uomo a Nicky e Sarah dopo aver baciato appassionatamente la moglie.

- ciao papà! – risposero in coro le gemelle. Poi tornarono a Heineken.

- allora, entri un attimo? -

Heineken in un primo momento non rispose. Poi fu Sarah a fare l’errore.

- si tratta di Michelle. -

Heineken aveva sentito ciò che non voleva udire; non si sarebbe sorbita un’altra volta il sermone su quanto Michelle fosse pericolosa, cattiva, e pessima come amica.

E non voleva riascoltare ciò che aveva già sentito.

Fece per andarsene, girandosi. Ma non fece in tempo; Sarah la afferrò per un braccio.

- aspetta…! Non è per disprezzarla, ma per aiutarla. - - ti prego, entra un momento. – continuò Nicole.

 

 

Le tre si ritrovarono sedute intorno al tavolino del salotto. Heineken notò che tutta la casa sembrava costata un mucchio di soldi. Ed era piena di scaffali, lampade e tantissime foto di famiglia: la signora, Nicky e Sarah vestite uguali da bambine, Nicky e Sarah il primo giorno di scuola, il signor Williams, Nicky e Sarah al loro quinto compleanno, e, immancabile, la tipica foto di famiglia. Ma di certo non era quello il momento per pensare a queste cose, quindi si mise composta in posizione d’ascolto rifiutando gentilmente una tazza di the offertole dalla signora che aveva visto prima: la dolce, cara, bellissima, perfetta signora Petunia Williams.

- allora, cos’è successo con Michelle? – chiese Heineken alle due quando furono  sole, con una punta di preoccupazione.

- io se fossi in te direi “cosa è successo A Michelle”. – ribatté Nicole.

- o meglio cosa le sta succedendo. – precisò la sorella.

- Droghe. Parliamo di questo, Heineken. -

- oh… - cominciò Heineken con leggerezza. – no, guarda, non penso proprio che Michelle faccia troppo sul serio con quella roba. Io credo che lo dica in giro solo per mettersi in mostra, ma… non credo che ci vada pesante… poi è sempre fresca come una rosa. Non è da una cocainomane. -

- Hai torto, Heineken. – rispose Nicky. – soprattutto sull’ultima cosa. -

- l’abbiamo vista l’altro giorno, assieme al suo nuovo fidanzato. – proseguì Sarah. – Tom Hilton, quarto anno, se ti interessa saperlo. Frequentano entrambi uno di quei postacci dove circola quella roba. Coca, eroina, anfetamine… di tutto e di più. Non ti dico in che stato era. -

- scommetto che era insieme ad M.P.… - disse Heineken con una velatura di sarcasmo.

- Non fare la sciocca, Heineken, M.P. sarà anche una sfigata depressa, ma più avanti di sigarette e qualche spinello non è mai andata. Qui parliamo di roba grossa! – rimbeccò Nicole. Poi continuò: - dove va di solito lei… è un appartamento dei quartieri popolari abbandonato, occupato da ragazzi. In quel covo di degenerati è lei a fare la differenza per la sua apparenza. Ma quando l’ecstasy sale è uguale agli altri. E un paio di cuoricini ricamati non fanno la differenza. -

- certo… - rispose Heineken. – ma voi come l’avete saputo dell’ appartamento occupato dove va? -

- l’abbiamo vista. – risposero prontamente in coro le due.

- capisco… ma voi due nei quartieri popolari dove circola coca, ecstasy ecc. che ci facevate? – disse con tranquillità.

Le due si guardarono con un’espressione  che si fondeva tra indignazione e smarrimento, come se fossero state scoperte in qualcosa che non dovevano fare.

- Ora te lo spieghiamo – disse Nicole dopo un attimo, come se fosse riuscita a inghiottire l’affronto di Heineken solo ora. – prendiamo lezioni di piano. - -da una vecchia zia di mamma - , continuò Sarah. – ma visto che quel giorno papà non ci poteva accompagnare siamo dovute andare a piedi e fare quella strada. -

 - dove abbiamo visto Michelle. -

- in uno stato a dir poco pietoso. -

- Cosa intendete dire, con “stato pietoso”? – chiese Heineken.

- beh, per farla breve… -

- gridava, diceva frasi sconnesse e incoerenti, andava a peso morto sul primo che le capitava (nonostante Tom fosse lì), barcollava e dopo un po’ si è tolta la maglietta facendo cose improbabili con gli altri fattoni e il suo ragazzo. – concluse con agghiacciante semplicità Sarah, come se stesse rileggendo da capo la lista della spesa. Le sue parole paralizzarono Heineken.

- cosa? -

- bisogna fare qualcosa, e subito. – disse Nicky con aria autoritaria. – Heineken, tu sei la sua migliore amica. Devi provarci tu. -

- oh… - disse Heineken con una punta di sospirata disperazione. – non penso proprio di esserne capace. -

-  a noi ci considera due tu – sai – cosa e ci manda a quel paese. Con te non lo farà. – continuò Sarah con determinazione.

- sarà anche lei alla festa stasera… -

- sì, con Tom, e sarà un’ottima occasione per parlarle. – concordò Nicky.

- stasera non è il momento giusto. -

- perché no? -

- Nicky, io sono interessata alla salute di Michelle più di voi due messe insieme. Ma stasera, con il suo ragazzo e tutti gli altri… beh, non va bene. -

- non c’è un momento giusto per aprire gli occhi sulla realtà. – continuò Sarah.

- invece c’è. -

- Heineken, so che ti sembriamo disumane a fare certi discorsi, ma se li facciamo è soprattutto per il bene di Michelle. E tu sei l’unica che può dirglielo. Almeno prometti che ci proverai? – chiese Nicole.

- ci proverò. – disse Heineken. Poi salutò le due e uscì dalla “casa perfetta”.  Sapeva perfettamente di aver detto una grossa bugia a Nicky e Sarah, ma quella sera no. Non avrebbe stressato Michelle; lei non era brava in quel tipo di discorsi. Voleva solo rivedere Jim. E poi non sarebbe cambiato nulla, giorno più, giorno meno.Dirglielo quella sera le avrebbe solo rovinato la festa e lei ce l’avrebbe avuta contro per l’eternità. Ma questo le gemelle non lo capivano. Poi Heineken si chiedeva: ma era tutto vero ciò che aveva sentito dalle due?

Tormentata da questi pensieri, tornò a casa, dove non perse tempo e si lasciò tranquillamente assillare da un’altra incombenza: come si sarebbe preparata per quella sera?

 

 

Dopo un intero pomeriggio di prove ed estenuanti ricerche nel fantastico mondo dell’armadio, optò per: gonna nera col pizzo rosso comprata insieme a Michelle, felpa analoga col cappuccio con sotto una tshirt, e anfibi al ginocchio per completare il look total black. Poi il solito make up: matita nera sfumata per far risaltare il blu scuro degli occhi.

Fatto sta  che la festa cominciava alle nove e lei era pronta verso le dieci e un quarto. Ma tanto non valeva la pena essere pronte in tempo. Ignorando i “dove accidenti vai” degli zii, Heineken uscì e si avviò verso casa di Jim.

Ma perché gli Anderson si interessavano così tanto a dove andava? Si  chiese d’improvviso mentre attraversava il vialetto della casa di Jim. Ma non perse tempo e suonò il campanello. Visto che all’interno c’era abbastanza casino dovette suonare più volte. Alla terza, arrivò Jim ad aprirle, che, alla sua vista sfoderò in fretta un sorriso solare, e le diede un bacio sulla guancia.

- ciao, ti aspettavo-  le disse.

- lo so, scusami per il ritardo. -

- no, no figurati, tanto sono arrivati tutti adesso. – le disse scortandola dentro la casa . Era affollatissima. Tra gente conosciuta e sconosciuta, Heineken intravide in torno a una poltrona Jesse, Sean e John (quest’ultimo comodamente seduto all’interno della poltrona con gli altri due ai lati), che la salutarono.

- ciao, Heineken! – disse Jesse.

- ciao...! – continuò Sean.

- he he he… è, - hips! – arrivata… l-la spogliarelista…sìì?…he he he he… ciao … - disse John. Gli altri due risero, invece Jim pareva trovarsi a disagio. – ehm, ragazzi…

- si? –dissero Jesse e Sean in coro.

- forse è meglio farlo passare all’acqua. –

- Non preoccuparti, Jim… -

Jim accennò un sorriso e poi portò via Heineken per un po’ per farle conoscere il resto degli invitati ( anche se erano così tanti che fu impossibile conoscerli tutti)

- questa è Janice, una mia carissima amica. – disse facendole vedere una ragazza alta e magra coi capelli corti e biondi tagliati sfilati. –ciao –

 - piacere -

- e quei quattro di là sono dei miei vecchi compagni di musica. Sono in contatto con loro tutt’ora. Poi… vabbè, noi sette ci conosci già, ah vieni… - le portò da un gruppo di cinque teen agers ben sviluppate che stavano attorno al tavolo della cucina. Heineken le aveva già viste; erano le cheerleader della scuola. Potevano anche assomigliare a Chelsea, se non fosse stavo che queste erano più grandi, più sexy, amiche di Jim e, senza dubbio, più intelligenti.

- ragazze, questa è Heineken, ma l’avrete senz’altro già vista. – disse Jim.

Le ragazze, in un groviglio di voci incomprensibili, dissero di conoscerla. Heineken sorrise e le salutò.

Poi il giro di conoscenze andò avanti per qualche minuto così per: sei amici e amiche di vecchia data di Jim, tre cugini, gente di scuola che Heineken conosceva già, una comitiva di rappers, una ragazza straniera figlia di certi amici spagnoli dei genitori di Jim, e, infine, un gruppo di giocatori di football che giocavano a chi sputava più lontano in giardino.

Poi Jim ed Heineken si presero qualcosa da bere  e si sistemarono su due sedie in una parte della parete.

- beh, allora che mi racconti? – disse Jim.

- oh, niente di speciale… tutto scorre come al solito. Ah, grazie per il cellulare, mi piace moltissimo. -

- anche a me… - disse piano Jim.

- cosa, il cellulare? -

- no… tu. – Poi chiuse gli occhi e la baciò teneramente.

- bella festa -

- grazie. Ma se i miei scoprono che ho organizzato un party mi ammazzano. -

- “non ti curar di loro”…  - disse sorridendo Heineken. Poi fu lei a baciarlo.

Ma a un certo punto scoprirono entrambi nella maniera più indecorosa che dovevano spostarsi. Michelle e Tom erano proprio affianco a loro, che si scambiavano effusioni molto spinte e frenetiche. Jim si alzò lanciandole uno sguardo imbarazzato. Heineken fece lo stesso e si trasferì in un punto libero di un divano con Jim, provando ad ignorare gli sguardi di rimprovero delle gemelle che stavano lì da quelle parti.

Poi poterono passare una bella serata, in fondo; facendo conversazioni costellate di baci.

A metà serata, Michelle e Tom, probabilmente fatti di qualcosa, giocavano a fare “aPORCalixe now” sul tappeto d’ingresso, suscitando lo sguardo severo di Nicky e Sarah e quello incuriosito e forse divertito di altri invitati; M.P. leggeva i tarocchi ad alcuni ragazzi, sostenendo di saperlo fare; la ragazza spagnola aveva stretto conoscenza con un cugino di Jim e ora si scambiavano tenerezze in un angolo (ma molto meno vistosamente degli altri due); e John, cantava canzonacce improbabili e faceva goffi tentativi di apparire figo con le ragazze, assecondato da Jesse e Sean, che, però, a suo contrario, erano perfettamente sobri, ma volevano divertirsi.

Sì, una bella serata in fondo, e comunque non disturbava Jim e Heineken, che non venivano toccati dalla voce di John che si sentiva in tutta la stanza.

Bacio tra i due.

- sei la ragazza più carina e simpatica che abbia mai conosciuto fin ora, sai? -

-Rosamunda, tu shei la vita per meee! – (risate degli altri)

Heineken si sentì arrossire.

- e Shilvanaaaa, bionda pantera della savana….! -

- mi fa piacere -

Bacio.

-sho di non eshere bello da baciaaar, cosa mai andate a cercaaar…. –

- ti amo, Heineken. Ti amo tanto. -

- anch’io, Jim…-

Bacio.

- …e Claudiaaa… tu mi scateni un brividooo….-

Un altro bacio.

-… dall’ombelico in giuuu… e Ginevra shei il mio amoreee…. –

Silenzio tra i due. Poi un altro bacio ancora.

-… di te mi piace più l’odoreeeeeeee… anche senza deodorante, tu per me non shei ashfissianteeee…..-

Jim ed Heineken si guardarono per un lungo istante. Non era stato per le canzoni da osteria di John, non era stato per la vocazione da porno diva di Michelle a fermarli… non poteva esserci niente a disturbarli, ora.

Ma un attimo dopo sentirono un grido. Guardarono entrambi di fronte a loro per vedere che succedeva; poi videro M.P. correre verso di loro urlando.

- Fermi! Fermi!!! -

- cosa succede, Morgan?- chiese Jim.

- Aidan! Sta arrivando! State attenti, Aidan sta arrivando, lo so!! me lo sento!!! -

-  l’ hai letto nei tarocchi? – chiese Heineken un po’ sorpresa.

- no, l’ ho visto dalla finestra che imboccava il vialetto, perché? -

All’improvviso guardarono tutti e tre verso il corridoio dell’ingresso. Sentirono un forte rumore di porta sbattuta e dei passi in corsa. Poi videro Aidan comparire dinanzi a loro. M.P. si fece da parte, mentre Jim si alzò.

- che diavolo ci fai qui? – chiese aggressivamente fissando Aidan negli occhi.

Aidan provò ad avvicinarsi di più ad Heineken, ma non ci riuscì; Jim faceva da scudo.

- Vai via. -

- io dico di no – ribatté Aidan senza scomporsi.  – Heineken, vieni con me. Ho la macchina parcheggiata qui fuori. -

- NO. -

- ti faccio passare una serata migliore di questa, garantito. -

- lusingata, ma non ti toccherei neanche con un bastone lungo due metri. – disse freddamente Heineken.

- non me ne andrò senza di te. -

- Aidan. Questo è il MIO party e dal momento che tu non sei stato invitato, sparisci, vai via. Capito? – disse Jim aggressivo, avvicinandosi ancora di più a Aden.

- Ah! Ma sentitelo! Heineken, ma sei proprio sicura di preferire questo ragazzino qui a me?! -

- sì, Aidan. E ora fai come ti ha ordinato Jim, dirigiti verso l’ ingresso ed esci di qui. -

Aidan divenne livido di rabbia. Si avventò verso Heineken prendendola per un braccio, cercando di prenderla con sé.

- non me ne vado senza di te, capito, sgualdrina?! Capito?! -

- Ora basta!!! – gridò Jim, scatenando la curiosità di molti invitati, che guardavano Aidan, Jim ed Heineken.

- Ora basta! Fuori di qui, Aden! Fuori, ho detto!! – urlò sempre di più Jim, dando uno strattone ad Aidan.

Heineken si trovava malissimo. Ma in mezzo alle grida di Jim e di Aidan, che si dimenavano per lei riuscì a sentire una voce, anzi due:

Jesse si era avvicinato a Nicole e, in tutta tranquillità, le diceva:

- può sembrar strano, ma sarà John a salvare la situazione. -

- Come? E come ci riuscirebbe fra quei due cani rabbiosi? -

- vedi, a inizio settembre la sua ragazza, Jennifer, lo ha scaricato. -

- e allora? -

- tu non conosci i miracoli della birra, tesoro… -

Heineken passò lo sguardo da Jesse e Nicole a John, che era sempre nella poltrona insieme a John e le cheerleader. Notò che era anche a petto nudo. Poi guardò Aidan e Jim, che stavano per menarsi. In un attimo Heineken chiuse gli occhi e sperò che davvero QUALCOSA salvasse la situazione. Infatti di lì a poco…

- …hips! J-Jennifer! – vide che John si era alzato e guardava verso la loro direzione. Poi si alzò barcollando; - Jennifer shei tu… -

John cominciò a correre verso Aidan.

- oh, hips! Jennifer! Jennifer ti prego torna da me! Shono stato –hips!- cattivo, non lo farò maaiii più! Lo giuro, -hips!- Jennifer, credimii!! -

- AAARGH! Levatemelo di dosso! Levatemi di dosso questo idiota sbronzo! -

John si era tuffato sopra Aidan e ora erano entrambi per terra, con John sopra dell’altro, che scambiava per la sua ex fidanzata, pregandolo di tornare da lui.

Logicamente seguiti dalle risate di tutti gli invitati compresi Jim ed Heineken.

Aidan, rosso in viso e imbarazzato, provava ad alzarsi, ma John lo ributtava a terra senza smettere di vaneggiare frasi con il nome di una certa Jennifer sempre in mezzo. Andarono avanti così per un paio di minuti; poi Aidan riuscì a liberarsi e, senza dire niente, si avviò a passi svelti verso la porta, solo rivolgendo un occhiata tra il disgustato e l’imbarazzato alla sorella.

Poi la festa tornò alla normalità. Erano quasi le due del mattino e la casa cominciava a svuotarsi a poco a poco.

Jim ed Heineken erano ancora sul divano a scambiarsi tenerezze.  Ma Jim era sommerso dai saluti degli amici; non potevano continuare a darsi un bacio e salutare qualcuno in continuazione: erano entrambi desiderosi di stare l’uno con l’altra.

Ad un certo punto Jim si alzò e prese per mano Heineken, lei provò a chiedere che cosa stesse facendo, ma lui le fece segno di seguirlo, sempre tenendola per mano. Camminarono sino ad arrivare alle scale, poi salirono al piano di sopra. Sempre tenuti l’uno a l’altra arrivarono in camera di Jim, illuminata da solo un’abat jour vicino al letto.

Cominciò a baciarla vicino al muro. Poi, senza smettere, si tolse la maglietta, e fece lo stesso con quella della compagna. Le mise una mano fra i capelli, finirono entrambi sul letto…

 

 

CENSURA

 

(mi dispiace, non posso descrivere approfonditamente questa parte del romanzo: Il libro è per tutti. Ma se volete sapere la versione integrale, potete contattarmi. N.d.R )

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Heineken si svegliò il giorno dopo tra le braccia di Jim; ancora più innamorata e bisognosa di lui e di tutto l’amore che le poteva offrire. Dopo quella notte si sentiva praticamente sua parte integrante.

Anche lui dopo si svegliò, e la salutò con un grande sorriso dipinto in faccia. Probabilmente sentivano tutti e due la stessa cosa.

Poco dopo scesero giù in cucina.

- cosa vorresti per colazione? – chiese Jim.

- che i tuoi non ti ammazzassero per il casino che hanno lasciato tutti gli altri ieri sera alla festa… -

- oh, non lo faranno -  replicò con un sorriso Jim.

- strano che se ne siano andati tutti così spontaneamente dopo che non ti hanno più visto…-

- dici che se ne sono andati tutti? Vieni un attimo con me in salotto. -

Heineken lo seguì. Come entrarono nell’altra stanza sentirono uno strano ronzio nell’aria, come se qualche insetto si fosse imboscato in quella grande casa e ora cercassero di trovarlo per buttarlo fuori.

Ma dopo un po’ lo videro. Ma non era un insetto; era John, ubriaco come un porco, addormentato sul divano, che russava a bocca aperta, con la saliva che gli cadeva.

- oh… - disse Heineken con un tono tra il disgustato e il divertito.

- mi sa che i miei mi ammazzano di più per questo cassonetto svenuto sul divano che per il resto della casa incasinata. – sorrise Jim. Anche Heineken sorrise.

 

 

Mezz’ora dopo tornò a casa. Come entrò trovò gli zii in piedi in salotto.

Lo zio indossava il classico pigiama a righe, (che io definisco da carcerato, N.d.R.)che con l’allargamento del giro vita si era ristretto a tal punto da farlo assomigliare ad un insaccato. Invece la zia indossava una camicia da notte rosa stile “baby doll”, che nonostante qualche strato di pelle moscia, le andava ancora bene perché comunque era alta e magra. Heineken rimase alquanto sorpresa nel vederli in questo stato, ma prima che potesse dir qualcosa, furono loro a parlare.

- beh, dove sei stata tutta la notte?! Eravamo preoccupati!- esclamò la zia, avvicinandosi a lei come la vide arrivare.

- ma… -

- siamo stati qui in salotto tutta la notte! Dove sei stata?! – La zia parlava più con preoccupazione che con rabbia. Ma perché faceva così? Non era di certo la prima volta che tornava tardi, e non era la prima volta che stava tutta la notte fuori. Due mesi prima era addirittura tornata all’una del giorno dopo. Ma che cosa prendeva agli Anderson in quel periodo?

Heineken guardò suo zio: aveva gli occhi rossi e la pelle del viso tra il rosso e il violaceo, specie sotto gli occhi, dove aveva le borse.

- perché fate così? Ero soltanto ad una festa… - ma non finì di parlare.

- festa?? Dove? Quale festa?! Heineken, tu sola di notte non ci devi stare! Ma lo sai le facce che ci sono? E se ti rapiscono? E se finisci nelle mani di qualche svergognata?!

- svergognata? -

- No! No, No! Intendevo dire di qualche bruto, ecco! Oh, ci hai fatto preoccupare…

- potevate sempre chiamarmi al cellulare… -

- cellulare? -

- sì. Me l’ hanno regalato i miei amici per il mio compleanno. È questo qui, guarda…  e mostrò il cellulare alla zia. Questa guardò l’oggetto con un’espressione metà incredula e metà sollevata; poi disse: - va bene, Heineken dammi il tuo numero. -

La ragazza glielo diede e salì in camera sua, dove trovò Chelsea seduta sul suo letto.

- ciao… - disse distrattamente Heineken, posando il suo cellulare sul comodino.

- stai facendo diventare mamma pazza. -

- prego? -

- stanotte. -

- stanotte cosa? -

- stanotte mamma ha costretto papà a stare in salotto. Lui ha ubbidito ed ha passato la notte senza dormire con il fucile sotto braccio. -

- Eh?! Il fucile? Chelsea, non dire stupidaggini. -

- mamma gli ha fatto una scenata per tenerlo nel caso arrivasse… -

- arrivasse…? -

- niente. Niente, Hanny. -

- ma chi dovrebbe arrivare?? -

- nessuno, tesoro, ho solo detto una bufala. -

Heineken lasciò perdere. In un altro tempo forse avrebbe insistito e si sarebbe lambiccata il cervello per cercare di risolvere il mistero che circondava gli Anderson in quei giorni. E, soprattutto, non si sarebbe arresa per scoprire chi aveva telefonato quella sera. Ma non ora. Ora era impegnata a ripensare alla notte prima…

Ma circa dieci minuti dopo le squillò il cellulare. Guardò. C’era un messaggio da parte di Michelle:

 

Ciao stasera super uscita alla Red

Sky discoteca. Ci siamo tutti ti

Passo a prendere alle otto e mezza.

Ok?

 

Heineken rispose con un “ok, a dopo”, poi fu inondata di contentezza all’idea di  rivedere Jim.

Scese di sotto, dove trovò la zia sola in cucina che ascoltava la radio in attesa che incominciasse la sua trasmissione preferita mentre preparava il pranzo. Ora era vestita, non più nella camicia da notte sexy che indossava prima, ed aveva un’aria pensierosa.

-…zia? – cominciò Heineken prima di avvicinarsi a lei.

- eh?! Chi è?!? – disse spaventata la zia di soprassalto.

- io, zia. Sono Heineken. -

- oh…mi hai spaventato… cosa vuoi? – replicò poggiandosi una mano sul petto.

- io stasera esco di nuovo. -

Rose rimase come cadaverizzata, diventando grigiastra in volto e ferma come se l’avessero pugnalata e ora il sangue le stesse sgorgando fuori. Poi si riprese, cercando di tenere a freno gli istinti e rispondendo pacatamente.

- oh… Heineken perché? Perché decidi di fare questo a me e a tuo zio quando stanotte eravamo tanto preoccupati? -

- zia, io non capisco. – ribatté sedendosi. – sono sempre uscita, non vi siete mai preoccupati di quello che facevo… che cosa sta succedendo? -

- New York è una città più grande di quella dove vivevamo prima. Quindi, più pericolosa. È logico che siamo tutti preoccupati. Specie per te che… che… che rimani tutta la notte fuori, ecco! E non mi hai ancora detto dove sei stata stanotte. -

- a casa di un mio amico, c’era un festa. -

-… e non mi hai ancora detto chi sono i tuoi amici! Che gente è?! –

-  beh, se ti può consolare stasera passa a prendermi una mia amica, Michelle. Poi ci avviamo insieme. -

- Michelle? -

-sì. È la mia migliore amica. Quella che mi ha comprato tutta quella roba. –

- ok. Ma dove diavolo eri stasera? -

- te l’ ho detto, zia, ad una festa. A casa di un mio amico. -

- perché ci sei rimasta tutta la notte? -

- mi sono addormentata lì. Abbiamo fatto tardi. -

Heineken si rese conto che stava arrossendo. Non avrebbe detto mai e poi mai alla zia quello che aveva fatto con Jim quella notte. E soprattutto mai le avrebbe detto che aveva un ragazzo.

- va bene… - disse Rose dopo aver esitato un momento. – dove dovreste andare stasera? -

- al Red Sky. È una discoteca. –

Rose deglutì. Poi disse: - va bene. Ma ti rivoglio a casa alle undici e mezza. –

- cosa?! Io torno verso l’una e mezza le due minimo! -

- mezzanotte. -

- l’una e mezza. -

- l’una, ultima offerta. -

ci fu un momento di silenzio. Poi Heineken acconsentì: - va bene, ci sto. –

Poi tornò in camera sua. Ad ogni modo quel pomeriggio si passò in un’atmosfera particolare. Heineken poté sentire la zia che diceva al signor Anderson della sua uscita. A dire il vero non sentiva le parole; percepiva le emozioni. La zia era preoccupata, era evidente: fumava una sigaretta dopo l’altra e si metteva a urlare non appena sentiva una voce nel silenzio. Ma tutta la famiglia la guardava in modo strano, ed Heineken non riusciva a capire il perché. Questo la irritava. Cercava di incrociare il meno possibile gli sguardi dei cugini, dai quali risultava con più evidenza il clima di tensione che li spingeva a guardarla come un’aliena. E intanto Heineken pensava cosa sarebbe successo quando gli Anderson avrebbero conosciuto Michelle.

E alle otto e mezza, puntuale come la morte, Heineken lo scoprì.

Sentirono suonare il campanello. Dopo che ebbe emesso un grido di soprassalto, fu la zia ad aprire. Heineken in quel momento stava scendendo le scale, e poté sentire Michelle che diceva: - ciao…! Heineken Anderson abita qui? –

- ciao Michelle – disse Heineken andandole incontro. Notò che la zia studiava Michelle squadrandola con aria apprensiva.

- beh, allora andiamo? Gli altri sono già lì vicino. -

Le due amiche fecero per uscire, ma la zia le fermò. – eh, ragazze, scusate, scusate… -

- cosa? – fecero in coro.

- oh… niente, andate pure. – poi si chiuse la porta alle spalle e le due cominciarono ad andare.

- quella era tua zia?  - fece Michelle. 

- sì, ma non ricordarmelo in ogni momento… - rispose sorridendo Heineken.

- a me non sembra poi così male… -

Heineken rimase zitta. Non parlò finché non incontrarono, a metà strada, gli altri sette. Allora lasciò la mano di Michelle e prese il braccio di Jim, baciandolo. E riuscì a sentire Sean che diceva: “attenti a non strapparvi le tonsille l’un l’altra voi due…” poi si avviarono in gruppo verso la Red Sky. Vide che c’era anche John, ma barcollava lentamente e sosteneva di avere mal di testa. ( “beh, non c’è da stupirsi!” aveva detto Jesse. “Jim ci ha chiamato verso mezzogiorno per portarlo via, visto che non riusciva né a svegliarlo né a trasportarlo da un’altra parte…”) ma, ciò nonostante era voluto venire in mezzo al fracasso della discoteca…

Per circa mezz’ora, arrivati sul posto, Heineken si scatenava sotto le luci psichedeliche e non della discoteca (“ e anche nella bocca di Jim” come direbbero i maligni…) si sentì trascinare all’indietro da qualcuno sino a fuori. Si girò. Vide che erano Nicky e Sarah.

- Cosa c’è? -

- ricordati della promessa che ci hai fatto ieri pomeriggio, Heineken. Parla a Michelle, per favore. – disse Nicky.

Heineken ebbe un tuffo al cuore. Ma sapeva che doveva farlo; e non solo perché altrimenti avrebbe avuto addosso le gemelle per l’eternità.

Così annuì e tornò dentro. Chiamò l’amica, che ballava come in preda alle convulsioni, e se la portò un attimo fuori.

- che c’è? – disse sorridendo Michelle ancora ballando.

- vedi, ti devo parlare… -

- parla. -

- ecco…vedi non so come dirtelo… penso che… insomma, sono a conoscenza del fatto che fai uso di droghe.

- mh, sì? -

- Michelle ascoltami: io sono venuta a sapere che frequenti un locale occupato da tossici e che ti droghi. Dovresti smettere. Dico davvero. -

- scommetto che sono state le Williams a dirtelo… -

-…sì. – sospirò.

-…in un quartiere disgraziato…-

- sì. –

- … dove ho perso i freni inibitori…-

- sì, Michelle. Più o meno è così.

- beh, mi dispiace per te ma sei arrivata in ritardo. -

Heineken la guardò sconcertata: - cosa? –

- come prima cosa di quella roba ne ho preso un paio di volte in dosi minime. Per di più non era nemmeno mia! Se quella volta a Central Park mi ha visto dare ecstasy a quei due era perché un tizio a scuola mi aveva pagato per farlo. E dei soldi mi avrebbero fatto comodo. Lo ammetto, molte volte ho raccontato storie, ma niente di vero. In secondo luogo quella dove mi hanno visto è la casa di un amico di Tom, che è un autentico salutista e se vive lì non è colpa sua. E terzo, ho incitato tutta la compagnia a giocare a fare i fatti perché avevo visto avvicinarsi Sarah e Nicole, e volevo spaventare le due signorine come vendetta di ciò che mi hanno fatto in precedenza. Come vedi, non c’è nulla di cui preoccuparsi. - 

Heineken la guardò con occhi spalancati per qualche secondo; le sembrava incredibile la storia di Michelle, ma sapeva che non le avrebbe mai detto bugie, dal momento che non assomigliava per niente a sua madre e sua nonna e non parlava russo.

In automatico le venne da sorridere. Poi abbracciò l’amica.

- ehi, ma che stai fac… -

- vieni, torniamo dentro. -

E le due si ributtarono nella mischia, divertendosi come pazze, per ore. Ad un certo punto Heineken si ritrovò a parlare con Sean, che le disse: - Heineken, tu dici di pensare che il nazionalismo è una cosa stupida… -

- sì… -

- e allora dimmi: perché dal tuo cellulare esce la marsigliese? -

Heineken prese il telefono che teneva nella tasca posteriore dei jeans e vide che sua zia la stava chiamando. Non perse tempo e uscì fuori,  lontano dalla musica sparata a tutta manetta.

- pronto? -

- pronto, Heineken sono io! Sono le due meno dieci! Sei ancora lì dentro?! -

- sì, non mi sono accorta dell’orario, ora torno! -

Riattaccarono entrambe. Ed Heineken tornò dentro, dicendo a Jim che doveva andare. Lui, come al solito si offrì di accompagnarla e, salutati gli altri, uscirono, dirigendosi verso casa di Heineken. 

Di lì a poco sì ritrovò a casa sua, dove andò quasi subito a letto.

Forse riusciva a dormire bene veramente solo da quando era a New York, ora che ci pensava. E finalmente aveva raggiunto la contentezza, ancora non ci credeva! Usciva con i suoi amici, con Jim, andava bene a scuola… quasi si sentiva in dovere di ringraziare qualcuno perché stesse a New York!

E poi le prove della band, di nuovo Jim, tutta quella gente che l’aveva accettata per com’era, che le voleva bene, che quando aveva un problema (assai scarsi in quel periodo) era pronta ad aiutarla…

Sì, stava proprio passando un periodo d’oro. Ma Heineken in fondo lo sapeva: la felicità non dura per sempre.

Una sera i nove si erano ritrovati in un pub (non quello della volta precedente, perché non avevano pagato il conto…) ed Heineken tornando a casa rideva ancora per una cretinata detta da Sean. Quasi con le lacrime agli occhi, si era avvicinata alla porta di casa sua, tendendo la mano in avanti per aprirla, ma evidentemente, qualcuno la vide prima che avesse imboccato il vialetto, quindi la porta si aprì.

Heineken vide sua zia, irrigidita come una salma dinanzi a lei, con la pelle più bianca e con alcune rughe in più del solito. La sua espressione era racchiusa in una smorfia di tristezza nascoste sotto una maschera di sobria dignità che però nascondeva assai poco. E il suo trucco pesante o i riccioli biondi ossigenati che le incorniciavano il viso non erano d’aiuto.

Heineken smise di sorridere.

- ciao, zia. Cos’è successo…? -

La donna respirò esilmente aprendo la bocca con dolcezza. Poi parlò a voce bassa.

- Heineken, io non so come dirtelo… Vieni in salotto. -

Heineken la guardò un attimo con incomprensione, poi la seguì in salotto.

Trovò i suoi due cugini segregati in una poltrona, da un lato, con aria atterrita, guardavano il padre. Il signor Anderson stava portando una cassa di birre ad una volgarissima signora seduta a gambe aperte su un tavolo che pareva esserne scolate già tre.

La donna era vestita con un giubbotto corto e attillato di pelle sintetica che imitava lo stile anni ’50, una minigonna a balze bianca e grigia cortissima, resa ancora più evidente dalla posizione della donna. A coprire le lunghe e ossute gambe c’erano un paio di calze a rete larga, seguite da un paio di sandali con un tacco e una zeppa altissimi, trasparenti, che parevano fatti di silicone e con due pesciolini di plastica variopinti all’interno,. Poi la donna portava corti capelli biondi platinati, ma molto meno curati di quelli della zia, con la ricrescita nera. E le labbra già naturalmente carnose, rese ancora più gonfie da un rossetto rosso ciliegia sbavato.

Oltre questi dettagli, Heineken notò la somiglianza che avevano in comune lei e la donna, che pareva essersi accorta di lei ora.

Heineken spalancò gli occhi, senza staccarli dalla figura che aveva di fronte a se.

Si sentì come pietrificata, senza riuscire a spiccar parola. Poi, trovò, la forza, istintiva, senza che lei la comandasse, di dire solo una parola. Solo una:

- Mamma? -

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Cadde il silenzio nella stanza. Tutta la famiglia guardava lei. Anzi, non tutti: la donna pareva accorgersene solo ora. Poi questa sorrise facendo vedere i denti probabilmente sbiancati col bicarbonato e disse con la voce più da sgualdrina in falsetto che aveva: - Heineken! Oh, Heineken, non ci credo, sei tu! Come sei cresciuta! Beh, certo sono passati quattordici anni! Eh, eh… ti ricordi di me? No, certo che no… -

Heineken rimase impietrita. No, non era possibile. Stava sicuramente sognando.

- Heineken… - disse la zia dalla poltrona dov’era seduta rigidamente - Heineken, questa è… -

-… tua madre. – la interruppe il signor Anderson, dando una durezza veritiera e agghiacciante che Rose avrebbe senz’altro evitato.

La zia si irrigidì ancora di più, poi continuò piano: - Heineken, questa è mia sorella. Jane Miller. Ed è… ed è anche quello che ha detto tuo zio. –

Lo sguardo cadaverico sotto shock di Heineken passò dalla zia alla volgarissima donna scosciata sul tavolo del salotto illuminato da alcune abat-jour. Senza parlare. Non ci sarebbe riuscita.

- beh, tesoro, non dici niente? – le chiese quella.

Ancora nessuna risposta. Era sicura che se avesse aperto bocca avrebbe vomitato.

- Rose, ma… è muta? – chiese Jane rivolgendosi alla zia. Ora non aveva più il tono da sgualdrina, ma da donna quasi normale. Questa rispose un glaciale “No.”, senza neanche guardarla.

- beh, non dici niente? Che c’è, il gatto ti ha mangiato la lingua? -

Di nuovo niente. Solo i suoi occhi sgranati, la bocca serrata e la pelle più bianca del solito.

- beh, se tu non vuoi parlare allora parlo io. Allora… probabilmente ora ti starai chiedendo perché sono qui. Beh, ecco, sì, insomma… sono venuta a riprenderti. Ho la legge dalla mia parte per cui sono libera di riprenderti con me. Tra una settimana tu vieni via con me a Detroit. Giusto il tempo di sistemare un affarino qui a New York. Poi andiamo via.  -

Heineken fissò il vuoto qualche attimo prima di cadere a terra.

 Andare via da New York, con la sua vera madre che era arrivata solo ora tra capo e collo. Lasciare Jim, gli amici, la sua vita. E se le voci erano vere? Se quella che le si parava davanti sotto il nome di sua madre fosse stata davvero quella che le avevano detto?

Cadde a terra, priva di sensi. Nel sonno sentì delle voci, prima di vedere delle cose. Sentì la zia che scattava in piedi e gridava a Jane di lasciare immediatamente la casa; la donna che rispondeva con delle frasi urlate che Heineken non riuscì a capire. Poi immagini: Michelle con il corpo della madre che si drogava insieme a questa, che aveva il corpo di Michelle; Jim che piano piano si allontanava nell’oscurità più profonda tendendole una mano che lei non riusciva ad afferrare. Le gemelle che piangevano di fronte alla sua tomba, vestite in nero e con delle rose rosse in mano, che poi facevano un rituale strano insieme a M.P. per farla rivivere, ma ottenendo solo una sua grottesca trasfigurazione. Gli Anderson che si auto mutilavano di fronte alle risa sguaiate di Jane e un gruppo enorme di sordidi camionisti in canottiera. E lei stessa che provava a scappare in un bosco impervio e buio, ma senza riuscirci, provava ad urlare, ma non ci riusciva. Inseguita dalla madre, che si faceva sempre più vicina e con un volto demoniaco.

Poi buio assoluto.

Quando riuscì ad intravedere qualche cupo spiraglio di luce, era già l’indomani mattina, nel suo letto. Dopo qualche attimo aprì gli occhi, in un primo momento senza capire bene dove si trovasse. Poi i suoi occhi incrociarono lo sguardo della zia.

- dimmi che ho sognato tutto, zia… - disse debolmente Heineken. – dimmi che l’ ho solo sognata… dimmi che non è lei -

Rose guardò Heineken con occhi pieni di lacrime, che però tratteneva con energie sovraumane. Poi abbassò lo sguardo.

- parlami di lei, zia. -

Passarono qualche minuto in silenzio assoluto. Heineken rimaneva nel suo letto, incapace di alzarsi, Rose evitava il suo sguardo, cercando di rimanere calma e immobile; probabilmente cercando il punto da dove cominciare la storia di Jane.

- Bene, Heineken… - cominciò nel tono più controllato possibile – è ora di dirti tutte quelle cose che avresti dovuto sapere molto tempo fa. -

- vedi… la storia comincia quasi trentanove anni fa, a Providence, la città dove siamo nate io e Jane. Vivevamo in una casa benestante appartenente a mio padre, tuo nonno, che all’epoca comandava un azienda di dolci molto importanti: la “Miller ’s Sweetcakes” che esiste ancora oggi. In altre parole era un dirigente. Io… io ricordo di essere sempre stata molto gelosa di lei. All’interno della nostra famiglia Jane è sempre stata la favorita di tutti: parenti, amici di famiglia, colleghi di mio padre, amiche di mia madre, servitù e tutto il vicinato. Ricordo anche che le male lingue ci paragonavano l’una con l’altra e come sempre favorivano lei: portava sempre con grazia gli abitini che ci comprava mia madre, (non che io non lo facessi), cantava solista nel coro della chiesa locale (io ero nel coro), e conosceva a memoria tutto l’albero genealogico di famiglia, sin dagli antichi Miller, abitanti nella Providence di fine 700. (non che io non lo sapessi). Insomma: infine io cercavo di somigliarle, di sforzarmi di essere perfetta, di essere la migliore in tutto… Ma le cose cambiarono tragicamente quando Jane aveva diciassette anni. -

Rose fece una pausa. Heineken la ascoltava interessata, senza staccarle gli occhi di dosso. Poi riprese:

- Anzi, no, prima. Jane aveva un carattere molto ribelle e litigava con i miei genitori ad ogni occasione sin dalla prima adolescenza, da quando era cambiata. Comunque, vedi, la tradizione di famiglia vuole che la primogenita dei Miller sposi uno dei dipendenti più prestigiosi dell’azienda, al fin di mantenere salda questa. Sarei dovuta essere io a sposarmi, anche perché, oltre ad essere la primogenita avevo diciotto anni. Ma Jane riceveva molte più proposte di matrimonio di me, quindi, papà, stanco di aspettare, decise di maritare lei per prima; facendole conoscere un tale Steven Kilborne, uno dei dipendenti più giovani e prestigiosi della “Miller ’s Sweetcakes”, era capoufficio. In tutta confidenza… l’avrei voluto io. Comunque Jane rifiutò piuttosto energicamente lui e tutte le altre proposte di matrimonio e… quando la mia famiglia volle sposarla a forza… scappò di casa. Non ne seppimo più nulla e la mia famiglia non la volle più riconoscere come loro figlia. -

Fece un’altra pausa, le stavano venendo le lacrime. Forse avrebbe finalmente raccontato il grande segreto di Jane.

- poi… poi quando è scappata, io… io… io mi sono sposata c - con Robert e…-

Tirò su col naso. – e… e… e non era capoufficio, booow! Faceva l’impastatoreee! Poi trovò un nuovo stupido l-lavoro come venditore d’auto e… e mi ha anche fatto rifare il senooo!!!- strillò Rose tra le lacrime.

Heineken aveva appena scoperto un segreto agghiacciante riguardante sua zia: la sua frustrazione. Ma, nonostante fosse altrettanto importante, non le importava: voleva sapere su sua madre, non le lacune non risolte della zia.

- zia, siamo qui per parlare di Jane. Continua l’argomento, per favore. -

- si… poi non c’è molto da dire… quando ero alla fine della gravidanza di Chelsea e Ben era piccolo, un giorno, di mattina presto, mi ero alzata per andare a vedere se fuori c’era posta e… ti ho trovato addormentata sullo zerbino. Non sapevo come tenerti, anche perché a quei tempi eravamo già in difficoltà con un bambino e un’altra che stava arrivando, quindi… ho – ho guardato con rabbia il biglietto che c’era con te e… ti ho portato in orfanotrofio. Quindi… -

- aspetta un attimo. C’era un biglietto con me? -

- sì. -

- e che c’era scritto? -

La zia esitò, poi rispose: - “si chiama Heineken ed è tua nipote. Fanne buon uso.”

- fanne buon uso?!! – ripeté Heineken incredula.

- sì, Heineken, purtroppo è così. -

- Ma se mi hai portato in un orfanotrofio… perché sono qui? -

- ora te lo dico. Vedi, ti ho portato in un istituto perché non sapevo come tenerti e non volevo che tuo zio lo sapesse. Era già di cattivo umore perché stavamo per avere una femmina, lo strnz… - disse le ultime due parole tra i denti. – poi… vedi, mi sono molto sentita in colpa e ti riprendemmo due anni dopo. Non ti aveva preso nessuno con se. -

- quindi sono stata i primi due anni della mia vita in un istituto… -

- No, aspetta, non è proprio così.  Nel frattempo venni a sapere che Jane si era sposata con un tale Jack, e allora le suore dell’istituto ti affidarono a lei, che nel frattempo l’avevano rintracciata. Sei vissuta un po’ di tempo lì da loro, poi sei ritornata in istituto, dove sei mesi dopo ti abbiamo preso noi. Fine della storia. -

- ma… perché sono ritornata in istituto? -

- Heineken… - rispose la zia avvicinandosi, dandole una carezza sulla fronte: - …non è difficile immaginarlo. Poi… io so solo questo. Ti prego, non fare altre domande. -

E uscì dalla stanza, lasciando Heineken sola.

Si riaddormentò.

Poco prima di sprofondare nel sonno si chiese: “ma allora, era una prostituta o no? O lo è ancora? Chi è Jack? E mio padre era lui? Chi era mio padre? Cos’è successo quando ero molto piccola a Detroit? Perché mi hanno strappato alla mia famiglia e riportato in istituto?”

Poi ancora oscurità. Un lungo sonno senza sogni. Buio totale e assenza di suoni. Uno sgocciolo di morte.

 

 

 

 

 

Si risvegliò parecchio tempo dopo, non sapeva che ora fosse, ne se c’era qualcuno con lei o quanto tempo aveva passato a dormire. Solo che ora aveva le energie necessarie e si alzò barcollando sino alla cucina. Vide che c’era tutta la famiglia intorno al tavolo.

- ben svegliata… - grugnì lo zio.

Heineken non ci badò e si rivolse alla zia: - zia… credo di essermi riaddormentata… quanto ho dormito? –

- venticinque ore esatte, Heineken. – disse questa.

- Prego?!? -

- hai dormito più di un giorno. -

- ma se sei venuta in camera mia poco fa… -

- no, Heineken non ci entro da ieri… uhm… forse da qualche ora per controllare che non fossi morta. -

Heineken non rispose. La zia aveva ripreso il suo tono glaciale e altezzoso, o almeno così le sembrava. Ma sapeva che era solo perché c’erano marito e figli in circolazione. Rose era ansiosa. Lo era molto. Ma, senza che Heineken capisse il motivo, lo nascondeva.

Decise di tornare in soffitta, quella che fungeva da camera sua. Arrivata, si sedette sul letto, spinta a formulare un pensiero abbastanza deprimente adatto al caso. Quando era arrivata alla vaga idea del suicidio, le squillò il cellulare. Guardò. Un messaggio da Michelle.

Oh, no! Come avrebbe fatto a dire a Michelle e Jim, che erano le persone più importanti della sua vita che li stava per lasciare per sempre?

Guardò il messaggio: una proposta di uscita a un pub, quello della volta precedente, non l’Underground; per quella sera, alle nove e mezza o dieci meno un quarto.

Ecco. L’occasione era arrivata su un piatto d’argento. Quella sera sarebbe stata obbligata a parlare.

Le vennero le lacrime, e mentre le scorrevano lungo il viso afferrò il telefono per rispondere al sms.

Poi si ributtò sul letto aspettando la morte. Era l’unica cosa da fare.

Ma le ore passavano lente, e la zia aveva addirittura rindossato la sua maschera insensibile e artificiale, il che, in un raro momento di umanità, le avrebbe fatto ancora più venire il sentimento di depressiva frustrazione.

Poi, alle nove di quella sera si avviò verso l’uscita con aria mortifera. Non la vide nessuno, ma Heineken sapeva che se l’avesse vista, in cuor suo la zia l’avrebbe voluta fermare con tutte le sue forze. Improvvisamente le venne un pensiero: gli Anderson temevano Jane. Ma non ci stette a pensare troppo perché aveva altre preoccupazioni: era LEI STESSA che sarebbe stata con Jane per il resto del tempo; ed era lei che forse avrebbe dovuto temerla. Non sapeva niente di lei, e la zia non le aveva detto cosa faceva attualmente.

Ma ripensò ai vestiti che portava due giorni prima: davano tutti gli indizi che Heineken avrebbe preferito non dedurre. 

Le stavano ancora per scendere le lacrime. Ma prima che la prima potesse scendere lungo una guancia si sentì chiamare da dietro da Michelle. Oh no. Ecco. Ecco che arriva il dolore. La coltellata è arrivata prima e ora arriva il dolore.

Si asciugò rapidamente e si girò, sforzandosi di fare un sorriso e di salutare con cortesia.

- ciao. -

- Ciao! Beh, perché quella faccia da funerale? -

- quale faccia? – disse Heineken sorridendo forzatamente.

- boh, no, niente. Allora, che mi racconti? – la prese sotto braccio e cominciarono a camminare.

- oh, niente, ti direi solo banalità… -

- niente di nuovo, eh? Uffa la nostra vita non ha mai un colpo di scena… -

“puoi dirlo forte…” pensò sarcasticamente Heineken, facendosi del male da sola.

- comunque…questo pub è bellissimo, ci sono andata un giorno con mia cugina. I pavimenti sono tutti in parquet e le pareti tutte rosse fluo. I bagni non assomigliano ai cessi di un autogrill, ma sono puliti e lindi, e i camerieri sono tutti dei gran pezzi di ragazzi. Ci scateniamo stasera?!? Eh?! -

Heineken non rispose. Ogni tanto dava un cenno di assenso e/o diceva qualcosa, ma fu Michelle a parlare.

Poi arrivarono al pub. Beh, per essere chic lo era. Ma Heineken non disse niente.

- beh, che c’è, non parli?! Questo locale è una figata e tu rimani zitta?? -

Provò ad aprire bocca, ma poi videro Sarah Williams che andava verso di loro.

- Ciao! Venite su, siamo tutti lì! -

le due la seguirono al piano di sopra del locale.

Quando vide Jim, Heineken si sentì come se avesse saltato tre gradini insieme senza accorgersene. E si sentì letteralmente a pezzi quando lo baciò.

Poi i nove presero posto in un tavolino e cominciarono a chiacchierare. Si parlò di tutto: scuola, prof. Obbrobriosi, musica (dove John ebbe uno scontro con Nicole per la differenza di gusti), film, e quant’altro può passare nella mente di un teen ager. Ma Heineken rimase sempre muta.

Dopo che fu sollecitata parecchie volte in pubblico dagli altri, ad un certo punto Michelle la chiamò a voce bassa e le chiese: - ma che cos’ hai? Perché non apri bocca da tutta la sera? –

- vieni un attimo in bagno, ti devo parlare di una cosa. -

Heineken si alzò seguita da Michelle e dagli sguardi degli altri sette.

Una volta arrivate nella toilette delle donne, Heineken si accasciò su una parete. Michelle la guardava con una punta di preoccupazione.

- allora, che ti è successo, Heineken? -

- non so come dirtelo, è una cosa che dovrebbero sapere anche gli altri, ma non ho il coraggio di dirglielo in faccia… specie a Jim. Quindi o dico solo a te che sei la mia migliore amica. -

- spara. -

- si tratta di mia madre. -

- tua zia, vorrai dire…-

- no, Michelle, mia madre. Mia madre in persona. -

- tu non vivi con tua madre… -

- lo so, Michelle, questo lo so anch’io! -

Michelle stette un attimo zitta, poi disse: - allora? Cos’è successo con tua madre? Una volta mi hai pure detto che non sai nemmeno tu chi è… -

- esattamente. Ma… è tornata. È tornata a cercarmi l’altro giorno e mi ha trovato.

Michelle sgranò gli occhi, poi fece un mezzo sorriso e disse: - wow, mi immagino abbracci e lacrime, come nei film strappalacrime che si vedono ogni tanto alla tv…! Beh, non sei contenta? Ora hai la tua mamma, che sicuramente si vendicherà di te con i tuoi zii e vivrete felici e contente insieme. Non è così? Non è tornata a cercarti per prendere casa insieme a te? –

- sì… a Detroit. -

Michelle sgranò ancora di più gli occhi, divenne pallida e il suo sorriso divento una bocca che si spalancava sempre di più; piano piano, con l’abbassamento precoce della mandibola. Le sue pupille diventarono più piccole, restringendosi.

Poi disse confusamente una frase: - v-vuoi dire che… ci lascerai tutti? Noi, Jim, la scuola? È così? –

Heineken guardò per terra; invece Michelle la abbracciò con forza, poggiando gli occhi, che probabilmente piangevano, sulla sua spalla.

- oh, Heineken… e non puoi fare niente per impedirlo? Oddio, mi manchi di già!-

- l’ ho detto a te perché lo dicessi a gli altri e a Jim in separata sede;  non posso dirglielo io. Sento di non farcela. -

- oh, promettimi che mi scriverai tutti i giorni! E telefonami pure! Non so come farò a stare senza di te per sempre! -

Heineken sentì tristezza.  Poi rabbia. Poi odio verso la madre, che, con sadismo e con la sfacciataggine più tosta che un essere umano potesse avere in corpo, se la stava riportando verso una metropoli lontana e sconosciuta, strappandola alla sua vita, dopo che l’aveva abbandonata al suo destino sedici anni prima. Si morse un labbro; avrebbe voluto vederla morta.

- Come farò a dirlo a Jim e gli altri? -

Non rispose. Dopo un po’ disse solo: - vieni, torniamo dagli altri. –

Heineken e Michelle uscirono dalla toilette.

Come arrivarono al tavolo, Sean disse: - ma dov’eravate? Siete fuori da un quarto d’ora! –

- oh, ehm, niente di importante, stavamo parlando di una cosa… - rispose Michelle.

Jim guardava Heineken con un’espressione interrogativa, lei fece finta di non vederlo e lo ignorò. Il resto della serata si passò in tensione. Anche Michelle era diventata legnosa e dall’aria sconvolta. Heineken non sapeva che fare. Senza sapere neanche il motivo, ad un certo punto chiamò una cameriera e ordinò un Rum Bacardi doppio, sotto gli sguardi evidentemente sorpresi degli altri.

- ma sei pazza? – disse Nicole – sai che quella cosa è una bomba? Per chi non è abituato a bere è fatale! -

- questo lo dici tu perché oltre alla gazzosa e un bacardi alla frutta esotica non vai

disse scherzosamente Jesse prima che Heineken potesse rispondere qualcosa.

Jim la guardò, ma non disse niente.

Un paio di minuti dopo arrivò la cameriera con un vassoio con un grande bicchiere con dentro un liquido trasparente con ghiaccio e scorza di limone. Senza dire niente, Heineken cominciò a bere, e lo finì in poco tempo.

- wow, mitico come te lo sei scolato in fretta! – esclamò Sean incredulo. – sai, ho uno zio che lavora alle fiere campionarie sparse nel Texsas, organizza le gare tra chi si beve più velocemente i bicchieri di Whisky o a chi fa il sorso più lungo. Potremmo mandarti, vinceresti tutti i campionati! -

- non essere stupido, Sean – ribatté Jim guardando Heineken. Poi, quando l’attenzione fu spostata altrove, le chiese sottovoce: - stai bene? Ma è successo qualcosa? -

Heineken fece un cenno di “no” a testa bassa, poi chiamò di nuovo la cameriera e ordinò una sambuca col limone e il chicco di caffè.

Non disse più niente per la serata. Le uniche parole che diceva erano rivolte alla cameriera per: un Gin, un Whisky, un altro Rum Bacardi e, per finire un pesantissimo Irish Coffee. 

Dentro la sua mente non vedeva altro che Jane che parlava con lei, in quella fastidiosa posizione a gambe aperte sul tavolo del salotto. Diceva delle cose che Heineken non capiva, e le immagini a poco a poco si sbiadivano e distorcevano sempre di più, e i suoni si confondevano con le voci degli amici che probabilmente la stavano chiamando per chiedere se andasse tutto ok, con la voce di sua madre.

Ad ogni modo era totalmente incapace di rispondere, anche se avesse capito ciò che dicevano. Vedeva tutto sbiadito e in movimento, confondendo ciò che era all’interno della sua mente con quello che la circondava in quel momento.

Vide delle ombre nere alzarsi intorno a lei, forse lasciandola sola al mondo. Poi, una di loro, dalla sua destra, la sollevò.

Con la paura che le scorreva nel sangue, Heineken vide di nuovo il volto della madre, nel salotto vuoto e semibuio degli zii, che le diceva qualcosa tipo: “ dai, Heineken, non ti preoccupare, ci sono io…”

Guardò l’ombra nera che l’aveva sollevata dalla sua destra, e che ora se la stava portando via, verso non so dove. Mise a fuoco, l’immagine. Si aspettava di vedere Jane, ma poté distinguerla con un volto familiare. Un ragazzo dai capelli neri, vestito con un paio di jeans e una tshirt a maniche lunghe nera. Doveva essere Jim, ma questo lei non lo poteva sapere. Se la stava portando con sé, per quel locale riscaldato che le pareva infinito, come in un labirinto da dove non sarebbero mai usciti vivi.

Ma ad un certo punto, freddo e oscuro, e qualcuno che le infilava un giubbotto sulle spalle. Probabilmente intorno a lei le ombre dicevano qualcosa, ma lei non lo sentiva.

Poi in un attimo, ancora lo sguardo deformatamene demoniaco di sua madre. Oh, no! Era di nuovo nel bosco oscuro da dove non riusciva a scappare! No! Non di nuovo! Basta, lasciami stare! Lasciami in pace e vai via!

Voci confuse intorno a lei: “ma che ha?” “cosa sta succedendo?” poi una voce molto vicina a lei: “Heineken, Heineken, sono io guardami! Non mi riconosci?”

Heineken guardò la figura buia che la teneva stretta a sé. Improvvisamente vide di nuovo quello sguardo mostruoso, quegli occhi bianchi, quei denti aguzzi, quella voce diabolica!

- lasciami! Lasciami andare!Lasciami andare, vai via di qui! Sparisci, vai via da me! -

“Heineken, Heineken, ascoltami: non ti preoccupare, capito? Ci sono io qui, nessuno può farti niente di male! Sono qui vicino a te, nessuno ti toccherà”

Ma Heineken vedeva solo quel volto spaventoso, quegli occhi, solo malvagità e dolore poteva trarre da quella voce che le prometteva di proteggerla.

Con la assai minima forza che si ritrovava in corpo, riuscì a liberarsi dalla figura nera, che a tratti si trasformava nel mostro del bosco, che la reggeva stringendola a sé. Barcollò pochi passi più lontano, camminando all’indietro, vedendo solo quelle ombre che le si avvicinavano per prenderla con loro e portarla via nel bosco della sua mente.

Gemette confusa, con le lacrime che le scorrevano lungo le gote, allontanandosi sempre di più camminando all’indietro. Le ombre continuavano ad avanzare. Poi, all’improvviso, una luce, un lampo a illuminarle insieme all’ambiente circostante. Poi un rumore di frenata, un colpo doloroso e sordo, urla intorno a lei.

Poi di nuovo il buio.

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