Dopo la vittoria

di Astry_1971
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap 1: Il processo ***
Capitolo 2: *** Cap 2: Rabbia e dolore ***
Capitolo 3: *** Cap 3: Inseguendo la verità ***
Capitolo 4: *** Cap 4: Attesa ***
Capitolo 5: *** Cap 5: Il bacio del Dissennatore ***
Capitolo 6: *** Cap 6: La magia della fenice ***



Capitolo 1
*** Cap 1: Il processo ***


Nell’augurarvi buona lettura, vorrei ringraziare la mia beta-reader Niky, adorabile pignola, che mi ha spinta a rivedere la storia e, sopportando anche le mie crisi di panico, mi ha punzecchiata e incoraggiata instancabilmente: da lei ho imparato veramente tanto.
Un grazie anche a Ida le cui bastonate, sommate alle carote di Niky sono state un ottimo incentivo.


Dopo la vittoria



Un racconto di: Astry
Beta - reader: Niky (alias Nykyo).
Genere: Drammatico, introspettivo.
Personaggi: Severus Piton, Harry Potter, Hermione Granger, Minerva McGranit, Albus Silente, Remus Lupin, Draco Malfoy, Malocchio Moody, i Dissennatori.
Rating: PG 13.
Pairing: Nessuno.
Avvertimenti: Spoiler sul sesto libro.
Riassunto: Il racconto che vi apprestate a leggere è il seguito di “Traditore”. Gli avvenimenti narrati si svolgono dopo il sesto libro della saga di Harry Potter e prescindono, ovviamente, dal settimo libro, ancora inedito.
La vicenda comincia dopo la battaglia finale che ha visto la totale disfatta di Voldemort. Severus Piton è sotto processo, come Mangiamorte e assassino di Albus Silente.
Verrà condannato? E, se sì, dovrà subire la terribile sorte del bacio da parte dei Dissennatori?
Nota: I personaggi di questo racconto appartengono a J.K.Rowling, che li ha creati e a lei spetta ogni diritto sugli stessi. Le descrizioni di azioni e luoghi, creati dalla fantasia di Astry sono di sua esclusiva proprietà ed è necessario il suo consenso per riprodurli.
Questo racconto è stato scritto per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è dunque intesa.

CAP. 1: Il processo

Voldemort era morto e con lui molti dei suoi seguaci. L’ultima battaglia era stata tremenda, alcuni Mangiamorte erano riusciti a fuggire, ma molti erano stati catturati o uccisi dagli Auror.
Tra le vittime anche Bellatrix Lestrange che fino all’ultimo era rimasta fedele alla causa del suo Signore; era morta in un ultimo tentativo di salvarlo facendogli da scudo con il proprio corpo.
Anche gli Auror avevano avuto delle perdite, ma, fortunatamente, il vantaggio della sorpresa era stato dalla loro parte.
Draco e Piton, nascosti tra gli alberi, si fermarono ad osservare da lontano i vincitori che uscivano dal castello. Il volto del mago più anziano si fece scuro, guardò, con un’espressione di collera mista a disgusto, quegli uomini, mentre trascinavano cadaveri di altri uomini ammucchiandoli come fossero carcasse di animali.
Alcuni Auror, uscendo dalle mura, conducevano a forza i vinti incatenati, intonando canti di vittoria. Nello stesso tempo, altri piangevano gli amici caduti.
Gioia e lutto, speranza e disperazione, vittoria e morte, si mescolarono come in un macabro gioco.
Severus si appoggiò pesantemente alla spalla del ragazzo e non si accorse che la stretta della sua mano aveva strappato al giovane mago una smorfia di dolore.
Non avrebbe mai immaginato di poter vedere con i suoi occhi la fine di quella guerra, non credeva che sarebbe sopravvissuto dopo aver distrutto Nagini, l’ultimo Horcrux, e averlo fatto sotto gli occhi di Voldemort, rivelando apertamente il suo tradimento.
Ironicamente, Severus Piton il traditore doveva la vita proprio agli uomini del Ministero: se gli Auror avessero tardato solo un altro minuto, per lui non ci sarebbe stato scampo e, forse, l’avrebbe preferito.
Non aveva avuto paura: era pronto.
Nell’istante in cui il raggio verde era scaturito dalla sua bacchetta andando a colpire serpente, sapeva che, insieme a quell’Avada Kedavra, aveva pronunciato la propria condanna a morte.
Non aveva neppure tentato di difendersi dall’ira del suo Signore che era seguita.
Il dolore, quello sì, desiderava che finisse in fretta, ma non avrebbe lottato per una vita che non voleva più vivere.
Il suo compito era finito, l’unica ragione che gli aveva impedito di farla finita fino a quel momento non esisteva più, il futuro del mondo magico ormai era nelle mani del ragazzo sopravissuto.
Gli aveva spianato la strada, senza che lui lo sapesse. Per un intero anno aveva agito nell’ombra, facendo in modo che gli Horcrux finissero, uno alla volta, nelle sue mani. Fino all’ultimo, quello dal quale il suo Signore non si separava mai.
Aveva distrutto Nagini e poi, finalmente libero, aveva fissato le iridi di sangue del suo Signore e vi aveva visto tanto odio, quanto solo una creatura che abbia rinunciato alla sua umanità può provare. In quello sguardo aveva letto la sua fine e aveva provato solo sollievo.
Voldemort era furioso, ma non era riuscito a portare a termine la sua vendetta, gli Auror si erano appena materializzati, quando, in quel luogo, si era scatenato l’inferno.
Nessuno aveva notato l’uomo in terra ai piedi del suo padrone, Draco era riuscito, in quella confusione, a trascinarlo fuori.
Entrambi poi, avevano atteso che tutto fosse finito.
Quando finalmente vide uscire Harry Potter, l’uomo si rivolse a Draco, i suoi occhi neri brillavano di una strana luce.
“Ora non puoi seguirmi, i vincitori non sono disposti a perdonare, sarai più al sicuro lontano da me.”
Draco lo guardò spaventato.
“Vattene! Presto, prima che ti vedano.” sibilò e, afferrandolo per un braccio, lo spinse lontano.
Il ragazzo barcollò all’indietro e inciampando nei ciottoli per poco non cadde.
A qualche metro dal suo ex professore rimase impietrito a fissarlo, mentre, privo del suo sostegno, cercava faticosamente di raggiungere l’albero più vicino.
Il mago si aggrappò al tronco di una grossa quercia.
“Ti ho detto di andartene, Draco... obbedisci!” intimò senza voltarsi, mentre osservava cupo due Auror che si dirigevano verso di loro. La sua voce era affaticata ma non meno autorevole.
Il giovane mago non osò replicare, si voltò e corse via.

Quando gli Auror furono abbastanza vicini, il mago, abbandonò il suo appoggio e si palesò a loro. I due uomini reagirono immediatamente sfoderando le loro bacchette e puntandole contro di lui che, per tutta risposta, osservando quasi divertito le loro espressioni spaventate, afferrò la sua bacchetta e la gettò ai loro piedi.
I due lo fissarono confusi, avevano riconosciuto quell’uomo: il traditore.
Sapevano di avere di fronte un avversario da non sottovalutare: temevano di cadere in una trappola.
Piton fece una smorfia.
“Suppongo che abbiate ricevuto degli ordini, cosa aspettate ad eseguirli?” disse porgendo loro i polsi in segno di resa.
Il più giovane dei due Auror, allora, con un movimento del braccio, fece apparire delle catene che si strinsero sui polsi di Piton strisciando come serpenti e legandogli le mani. Nello stesso momento il suo compagno si rese conto che l’uomo che avevano di fronte si reggeva in piedi a fatica, si precipitò verso di lui e lo afferrò per un braccio sorreggendolo.


* * *



Solo una settimana dopo il processo si tenne in una grande aula rettangolare. Lungo le pareti si trovavano delle panche di legno per il pubblico, mentre sul lato corto una serie di sedili in pietra erano destinati, invece, alla giuria e al giudice.
L’imputato fu scortato all’interno in catene, tra gli sguardi misti di odio e di pietà di chi lo conosceva bene e quelli curiosi di gente giunta lì solo attirata dalla sua fama di assassino che era riuscito ad uccidere il più grande mago del mondo.
Era vestito di una tunica logora che mostrava impietosamente il fisico più magro che mai, il viso pallido portava ancora i segni degli artigli di Fierobecco, a perenne ricordo di quella maledetta notte in cui Silente era morto, mentre sui capelli, che ricadevano sulle spalle come sempre, la lunga latitanza aveva disegnato delle striature grigiastre.
Era trascorso solo un anno, ma sembrava un secolo. La tensione continua, il rimorso, le punizioni che Voldemort infliggeva abitualmente a tutti i suoi seguaci, non avevano di certo giovato al suo fisico.
Severus si avviò lentamente verso la sedia di legno posta al centro dell’aula, i suoi occhi non tradivano nessuna emozione, erano fissi su quella sedia e sulle catene che ricadevano ai lati dei suoi braccioli.
Il suo percorso però fu interrotto: una donna paludata in un pesante mantello nero si fece largo tra la folla e gli si parò davanti. Minerva McGranitt lo stava fissando senza dire una parola, ma i suoi occhi sembravano implorarlo di svegliarla da quell’incubo, come se non potesse accettare la realtà di ciò che quel mago, il suo amico e collega aveva commesso.
Gli Auror che lo scortavano sembravano indecisi sul da farsi, la McGranitt sapeva come incutere rispetto e nessuno osò intromettersi.
Per un momento, che sembrò interminabile, i due si guardarono, poi il mago si rivolse alla donna che aveva di fronte con un sussurro.
“Se in te c’è ancora un po’ di pietà…” abbassò lo sguardo. “Tu sai dov’è.”
Minerva rimase ancora a fissarlo mentre gli Auror lo spingevano verso il centro dell’aula, alle sue parole non aveva mosso un muscolo, come se fosse stata pietrificata, ma la sua mente era volata altrove.
Nello stesso momento in cui Severus veniva legato saldamente a quella sedia maledetta dove schiere di Mangiamorte si erano seduti ad ascoltare la loro condanna, di fronte ai suoi occhi, un ragazzo spaventato e deluso della sua esistenza, molti anni prima, chiedeva a Silente lo stesso terribile dono.
Perché lei sapeva benissimo cosa lui le aveva chiesto.
Per un attimo si augurò di non doverlo fare, ma entrambi sapevano che il processo era una mera formalità: il destino del mago era già segnato.


* * *



Severus si guardò attorno, l’aula era piena, uno alla volta, tutti i testimoni presero posto.
Conosceva solo alcuni di quei volti, quegli occhi che lo scrutavano, esaminando ogni suo movimento. Quegli sguardi lo ferivano come fossero lame affilate.
Cercò di fissare il vuoto davanti a sé, di ignorarli.
Credeva che sarebbe stato pronto ad affrontare il processo, ma si accorse che era più facile affrontare il dolore fisico piuttosto che quella umiliazione.
Aveva deciso di arrendersi, si era consegnato a loro di sua spontanea volontà. Era quello che aveva deciso di fare da tanto tempo, se fosse sopravvissuto.
Sapeva che, qualunque fosse stato l’esito di quella guerra, per lui non ci sarebbe stato futuro. Una volta terminata la sua missione e sconfitto Voldemort sarebbe stato inutile continuare a nascondersi.
E se invece Voldemort avesse vinto? Cosa avrebbe fatto? Il mago rabbrividì e scosse il capo, tutti quei morti, tutti quegli uomini sacrificati come Silente, perché lui non perdesse la sua copertura. Tutto sarebbe stato inutile. La sua stessa vita non avrebbe avuto alcun significato.
Severus scacciò questo pensiero dalla sua mente: ora era finita e a lui non restava che pagare il suo ultimo debito.
Finalmente era libero di farlo, non poteva riportare in vita i morti, ma, forse, avrebbe potuto dare consolazione ai vivi.
Era giusto, glielo doveva.
Tutti quelli che avevano perso persone care in quella maledetta guerra, avrebbero avuto un volto da odiare, un altro Mangiamorte sul quale sfogarsi. Poco importava se non era responsabile personalmente di molti delitti compiuti dai Mangiamorte, lui era stato uno di loro e come loro doveva essere punito.
Non conosceva nemmeno molte delle persone che aveva ucciso, alcune non le aveva mai viste: erano morte a causa delle sue pozioni. Di altre ricordava solo gli sguardi terrorizzati e quelli erano tutti uguali, tutti ugualmente strazianti, tutti impressi nella sua memoria come il Marchio che per anni aveva deturpato il suo braccio.
Ognuna di loro aveva un parente, un amico, una sposa che aveva pianto la sua morte, qualcuno che avrebbe chiesto, preteso, giustizia o, forse, vendetta, qualcuno che ora era lì, in quel tribunale, e che aspettava solo di vederlo condannare.


* * *



Improvvisamente calò il silenzio. Alcune guardie si fecero da parte per permettere ad un mago anziano di passare.
L’uomo lentamente e solennemente salì pochi gradini in pietra e senza fare il minimo rumore si accomodò al suo posto scrutando con aria severa i presenti.
Il giudice era conosciuto per aver presieduto tutti i più famosi processi ai Mangiamorte dopo la prima guerra. Un uomo giusto ma poco incline alla pietà: quasi tutte le sue sentenze si erano concluse con la condanna al Bacio del Dissennatore.
Le accuse furono lette quasi con noncuranza da un giovane mago. La sua voce atona risuonò nell’aula, mentre pronunciava la parola omicidio come se stesse parlando dei capricci del clima inglese.
Poi arrivò il momento terribile delle testimonianze.
Potter, il suo maggior accusatore era lì, in prima fila. Severus aveva lo sguardo fisso su di lui.
Il ragazzo cominciò a raccontare con dovizia di particolari quello che era successo sulla Torre quella notte.
Aveva visto e sentito tutto, nascosto sotto il mantello dell’invisibilità. L’aveva visto puntare la sua bacchetta contro il vecchio mago supplicante. Aveva visto il suo sguardo, mentre pronunciava quelle parole maledette: uno sguardo colmo di rabbia. Aveva visto le sue labbra muoversi appena, mentre formulava quelle poche, semplici sillabe, capaci tuttavia, di scatenare un incantesimo tanto potente da scaraventare Silente giù dalla Torre.
Lui aveva visto e aveva sentito tutto, era questo che continuava a ripetere, anzi a gridare alla giuria. Eppure lui non aveva visto tutto, non aveva sentito tutto, come avrebbe potuto?
Severus aveva continuato a fissarlo con un’espressione vuota, quasi assente, come se non volesse ascoltare.
Non voleva rivivere quella notte, quell’attimo in cui si era reso conto di non poter più tornare indietro. Quei pochi, miserevoli secondi in cui i suoi occhi avevano incrociato quelli del suo benefattore, l’uomo che aveva considerato un padre, e aveva compreso che lo avrebbe ucciso.
Entrambi lo sapevano, lui avrebbe fatto il suo dovere, perché la sua volontà era più forte del suo cuore, lo era sempre stata.
Eppure quella volta il suo cuore aveva gridato così forte “Non voglio, non farmelo fare!” che Silente aveva dovuto supplicarlo.
Era questo che aveva sentito Potter, Silente lo aveva supplicato, ma lui non poteva sapere che il vecchio mago lo implorava di ucciderlo.
Severus diede uno strattone alle catene ferendosi il polso.
Il racconto del ragazzo stava riportando alla luce quelle immagini che per oltre un anno aveva cercato, senza molto successo, di nascondere a se stesso.
Non voleva ricordare, avrebbe voluto gridargli di smetterla, ma le sue labbra rimasero serrate.
Impietosamente le parole di Potter lo riportarono indietro, sentì la sua voce, mentre pronunciava l’Avada Kedavra e vide il raggio verde scaturire dalla sua bacchetta con una potenza spropositata strappando via la vita del vecchio mago.
In quel momento anche quello che restava della sua anima moriva con lui.
Poi una mano rude gli afferrò il polso e Severus sussultò: aveva quasi dimenticato dove si trovava.
Alzò gli occhi e vide il Medimago di turno al tribunale che cercava di impedirgli di ferirsi ancora con le catene.
Anche Potter si era bloccato e ora lo guardava piuttosto confuso.
Incredibilmente, il giudice, dopo aver fatto cenno all’uomo che gli stringeva i polsi di allontanarsi, si rivolse al prigioniero.
“Signor Piton, se non si sente di assistere alla prossima testimonianza, possiamo farla scortare fuori.” la sua voce era quasi gentile, si sporse dal suo scanno scrutandolo con aria interrogativa.
“Allora, signor Piton?”
Severus si guardò attorno: il prossimo testimone sarebbe stato Remus Lupin. Lo fissò con rabbia
“Sto bene, grazie! Potete proseguire.” disse con voce strozzata.
“Bene... allora, signor Potter... ehm ... lei può accomodarsi. Venga avanti il prossimo testimone.”


* * *



Lupin, non aveva assistito personalmente all’omicidio, la sua testimonianza fu richiesta in quanto vecchia conoscenza di Piton.
Il mago incatenato lo seguì con lo sguardo, mentre quello prendeva posto di fronte alla giuria.
Dalle labbra di Lupin, le parole sgorgarono immediatamente come un fiume, come se l’odio covato per tanto tempo da quell’uomo, apparentemente mite, fosse improvvisamente venuto a galla.
Piton assistette muto al racconto della sua vita, le sue amicizie di gioventù, le sue scelte sbagliate, perfino la sua bravura in Pozioni, che lo rendeva l’unico mago in grado di preparare una Pozione Antilupo efficace, fu usata come prova della sua pericolosità di Mago Oscuro.
Ad un certo punto Lupin si voltò verso Harry Potter.
“Mi dispiace,” disse. “Hai cercato di avvertirmi, tu l’avevi capito fin dall’inizio. Non volevo credere che quest’uomo potesse ingannarci tutti così come ha fatto. Se non fossi stato così cieco, probabilmente anche Sirius sarebbe ancora vivo.”
Harry fissò Piton che sollevò la testa di scatto.
“Di cosa mi stai accusando, Remus, di aver ucciso Silente o Sirius Black?” ringhiò.
“Se avessi insegnato Occlumanzia a Harry come Silente ti aveva chiesto, non sarebbe successo niente, ma tu lavoravi per lui, non è vero?”
Potter, ormai non riusciva a trattenere le lacrime, era stato già abbastanza doloroso parlare della morte di Silente, l’uccisione del suo padrino era una ferita ancora aperta. Avrebbe preferito che Lupin non avesse riportato alla luce quell’episodio, tuttavia era giusto così: Piton doveva pagare anche per quello, lo doveva a Sirius.
Lupin si era alzato e ora si sporgeva minaccioso verso l’altro.
“Tu, sporco Mangiamorte, tu ci hai ingannati tutti. Quanti sono morti a causa tua?”
“Ordine!” urlò il giudice. “Signor Lupin, si sieda o la faccio uscire dall’aula.”
L’anziano mago cercò di riprendere in mano la situazione, ma tra i due uomini sembrava stesse per scatenarsi una battaglia, solo le catene impedirono a Piton di avventarsi sul suo accusatore che sembrava intenzionato a fare altrettanto.
“Signor Lupin, si sieda immediatamente!”
Alcune guardie si mossero verso di lui, ma Lupin sembrava proprio non voler sentire, aveva lo sguardo fisso negli occhi di Piton, uno sguardo pieno d’odio.
“Tu li hai uccisi tutti, sono morti per colpa tua.”
“Black è morto perché era uno sciocco avventato e io non... aaah...” Le catene magiche reagirono ai bruschi movimenti di Piton e presero a stringersi attorno a lui soffocandolo. Il mago si bloccò cercando di trattenere il respiro, permettendo alle catene di allentarsi nuovamente. Ansimante sollevò lo sguardo sul suo interlocutore.
“Credi pure quello che vuoi, Mannaro,” poi, quasi sottovoce. “Purché finisca presto.”


* * *



Il processo invece durò ancora a lungo. I testimoni si susseguirono come in una processione e tutti giurarono di aver sempre dubitato di quell’uomo freddo e scostante. “Dovevamo aspettarcelo da lui.” affermarono alcuni, mentre altri puntarono il dito addirittura sull’ingenuità del vecchio preside.
Il mago ormai era deciso a non ascoltare più.
Non si era mai fidato di quelle persone: i suoi colleghi. Sentiva la loro diffidenza e anche la loro paura in sua presenza, in fondo era un Legilimante eccezionale. Sapeva di essere tollerato a Hogwarts solo perché Silente aveva garantito per lui.
Poi il suo sguardo cadde su Minerva McGranitt, le sue labbra si piegarono appena in un sorriso, quella donna forse era stata l’unica ad accettarlo per quello che era, l’unica, insieme a Silente a credere al suo pentimento e ora era lì che lo guardava come una madre tremendamente delusa.
Severus sospirò. La tensione di quegli ultimi mesi di guerra e, soprattutto, la settimana che aveva preceduto il processo, trascorsa tra le mura di Azkaban, lo avevano sfinito.
Si accasciò sulla sedia lasciando che fossero solo le catene a sorreggerlo.
Vinto dalla debolezza e dallo sconforto, alla fine era crollato. Se ne stava col capo chino, i capelli sporchi davanti al viso, apparentemente assente, ma, per quanto si sforzasse di ignorare le voci dei suoi accusatori, queste continuavano a tuonare nella sua testa.
Le sue dita sottili presero a stringere con forza i braccioli della sedia. Se solo avesse potuto non sentirle, se avesse potuto scivolare nell’incoscienza!
Il mago chiuse gli occhi, avrebbe voluto poter affrontare la morte a testa alta, invece non c’era onore in quello che aveva fatto, provava solo vergogna, perché loro avevano ragione, quella gente aveva ragione.
Quello che lo faceva soffrire era sapere di meritare ogni parola che usciva dalla loro bocca, “assassino”, “Mangiamorte”, “traditore”, sì era tutto vero, tutto dolorosamente vero.
Quelle parole bruciavano come sale sulle ferite della sua anima: lui era questo, un assassino, un uomo spregevole. I suoi colleghi avevano avuto ragione ad aver paura di lui e forse non immaginavano neppure fino a che punto poteva essere oscuro il suo passato.
Molti di loro avevano solo una vaga idea di ciò che era stato capace di fare, pochi sapevano di quali atrocità poteva macchiarsi un Mangiamorte, quelli che l’avevano visto non erano vissuti abbastanza per raccontarlo.
Severus rimase così, piegato su se stesso, immobile, per il resto del processo.
Non mosse un muscolo, neppure quando fu letta la sentenza, terribile, definitiva: il Bacio.
Era quello che si aspettava, si sentì quasi sollevato nell’udire le parole del giudice. In fondo, se Silente non lo avesse difeso, tutto sarebbe finito molti anni prima. Era come se l’intervento del vecchio mago avesse bloccato la sua vita o, piuttosto, la sua morte fino a quel momento.
Sentì la stretta delle catene allentarsi e liberarlo.
La lettura della sentenza era stata accolta da urla e schiamazzi e nell’aula ormai regnava una gran confusione.
Minerva McGranitt si alzò frettolosamente e rovesciò alcune panche, mentre cercava di farsi strada tra la folla e raggiungere l’uomo prima che venisse trascinato via.
Si fermò a qualche metro da lui.
“Severus!” la sua voce era soffocata, appena un sussurro impossibile da sentire in quel frastuono, eppure il mago si voltò.
I suoi occhi erano due abissi d’oscurità. Non disse niente, ma la donna, che ormai tratteneva a fatica le lacrime, rispose alla sua muta richiesta con un cenno di assenso.
Piton sorrise, mimando un grazie con le labbra prima di sparire dietro una porta.


Continua…






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Capitolo 2
*** Cap 2: Rabbia e dolore ***


Ciao chiara T questo capitolo chiarirà la posizione di alcune persone, Draco per esempio, ma per soddisfare pienamente la tua curiosità temo che dovrai soffrire fino alla fine della ff.
Ciao mavi sono contenta che tu abbia deciso di commentare, è sempre un piacere sapere cosa pensano gli altri. Non preoccuparti se non hai recensito prima, l’hai fatto ora e va benissimo lo stesso, ne sono felicissima. Riguardo alla tua domanda, come ho gia detto a Chiara, la risposta la saprai solo alla fine, in realtà questa ff è aperta a varie soluzioni, Piton potrebbe restare in prigione, potrebbe essere dissennato, potrebbe… be’ lo vedrai. Io so come va a finire perché il finale l’ho già scritto, ma la decisione l’ho presa solo alla fine e sarò muta come un pesce fino all’ultimo capitolo.;-)

Buona lettura!


CAP. 2: Rabbia e dolore

Mentre la folla si accalcava verso l’uscita, Hermione costrinse il suo amico verso un angolo del corridoio.
“Ti senti bene, Harry?”
Il ragazzo aveva un’aria stanca, la guardò, ma non disse niente. In realtà non sapeva cosa dire, non sapeva come si sentiva.
Avrebbe dovuto sentirsi felice per la sentenza? Non lo era: niente avrebbe potuto riportare in vita i morti, Piton non avrebbe pagato mai abbastanza.
D’un tratto si sentì afferrare per un braccio e sbattere contro la parete, Draco Malfoy era di fronte a lui, livido in volto.
Lo fissava con odio e, ignorando completamente Hermione, gli rivolse la parola con la voce soffocata dalla rabbia.
“Ti diverti, Potter? Ti diverte giocare con la vita delle persone, non è vero?”
Harry fece per afferrare la bacchetta, ma si ricordò di averla dovuta consegnare all’ingresso.
“Lasciami in pace, Malfoy.”
“Lasciarti in pace? Credi davvero di poter vivere in pace con la vita di un uomo sulla coscienza?” disse Draco, scoppiando in una risata forzata.
“Di un assassino vorrai dire, io non vado in giro ad uccidere la gente col volto coperto da una maschera.” rispose aspro Harry.
“No, Potter tu lo fai dal banco di un tribunale.” ringhiò il ragazzo biondo, prendendolo per il colletto della camicia.
“Draco smettila, sei sconvolto.” Hermione lo aveva afferrato per un braccio e cercava di separare i due giovani.
“Nessuno ha chiesto il tuo parere, Mezzosangue!” urlò con disprezzo, allontanandola con uno spintone poi, rivolto nuovamente a Potter: “Ora, voglio sapere un’altra cosa, voglio sapere perché non hai fatto il mio nome? Perché non gli hai detto che c’ero anch’io sulla torre quella notte?”
“Ora basta!” Harry lo spinse con forza facendogli perdere l’equilibrio, ma non riuscì a fare pochi passi che Draco lo afferrò nuovamente per il colletto.
“Non sei tanto svelto senza la tua bacchetta, vero Potter?” lo schernì. “Non hai ancora risposto alla mia domanda: perché non hai fatto il mio nome?” Continuò, scandendo ogni sillaba.
“E va bene! Ho sentito quello che hai detto a Silente, insomma, il discorso su tua madre e Voldemort che aveva minacciato la tua famiglia.”
Questa risposta sembrò irritare ulteriormente Draco. Le sue mani presero a stringere nervosamente il colletto della camicia dell’altro, che, inutilmente, provò a fargli mollare la presa.
“Non voglio la tua pietà.” Soffiò a pochi centimetri da viso di Harry.
“Lascialo, non sai quello che dici.” Hermione aveva aggiunto le sue mani a quelle di Harry e, come lui, cercava di strappare alla stretta di Draco la camicia dell’amico, ormai ridotta ad uno cencio spiegazzato.
“Smettila! Andiamo, lascialo!”
Con un gesto di stizza, Draco mollò il colletto di Harry, ma non distolse lo sguardo dal viso dell’altro.
I due giovani maghi rimasero a fissarsi per diverso tempo, nessuno dei due voleva cedere e abbassare lo sguardo, ma furono i nervi di Draco a cedere per primi.
“Ti odio!” mormorò fra i denti, mentre i suoi occhi stavano diventando lucidi.
Si voltò di scatto: Potter non lo avrebbe visto piangere per la seconda volta. L’ultima cosa che voleva era mostrarsi debole di fronte alla Granger e, soprattutto, di fronte a Harry Potter.
Ormai stava per esplodere: i suoi genitori erano ad Azkaban, sua zia Bellatrix era morta nell’ultima battaglia e ora Piton.
Il giovane mago si rese improvvisamente conto di essere rimasto solo.
Si era messo contro suo padre, contro Voldemort, aveva rischiato la vita per la sua scelta, ma aveva avuto sempre il sostegno del suo professore. Adesso Potter gli stava portando via anche quello. Sapeva che non c’era speranza, ma aveva bisogno di sfogare la sua rabbia, aveva bisogno di reagire in qualche modo, avrebbe urlato, se fosse servito, si sarebbe aggrappato al suo insegnante pur di impedire a quegli esseri immondi di rubare la sua anima.
Intanto le lacrime, ormai incontrollabili, cominciarono a scivolare sulle sue guance pallide.
Fece ancora un ultimo tentativo di rendere ferma la sua voce.
“Tu non sai niente di me, Potter, e non sai niente di Severus Piton.” disse senza voltarsi e poi si allontanò velocemente.


* * *



“Ventiquattro ore, ventiquattro interminabili ore.” pensò, mentre aspettava di vedere dalla minuscola grata della sua cella il primo raggio di sole che avrebbe annunciato il suo ultimo giorno. Ventiquattro ore, era quello il tempo che gli era stato concesso dal giudice.
Sospirò: per quale stupido motivo le sentenze non venivano eseguite immediatamente?
Quanto tempo era passato dal processo? Forse dieci ore? Forse meno?
Fuori era ancora buio. Se solo avesse potuto, avrebbe chiesto al sole di sorgere più in fretta.
Prese a torcersi nervosamente le mani, quando un rumore di chiavi e di passi lo distolse dai suoi pensieri.
Allorché la porta della sua cella si aprì, non si voltò per vedere chi fosse. Data la sua abilità di legilimante, infatti, riconobbe immediatamente quel torrente in piena che erano le emozioni di odio di Harry Potter. Lo assalirono quasi fossero corporee.
Il mago continuò a fissare lo sguardo sulla inferriata, anche quando il ragazzo gli rivolse la parola con voce carica di disprezzo.
“Volevo vederla, volevo vedere per l’ultima volta la sua faccia, per potermela ricordare, quando non sarà che un guscio vuoto.” disse, poi, avvicinandosi di più:
“Il bacio in fondo è una fine fin troppo pietosa per lei, ma mi accontenterò… come disse al mio padrino? Ah sì! Dicono che sia quasi insopportabile da vedere… ma io farò del mio meglio!”
Pose l’accento su quest’ultima frase quasi a voler imitare la voce del suo odiato professore, ma Severus non si voltò finchè la mano di Harry lo afferrò per un braccio e lo costrinse a girarsi e guardarlo in faccia.
“Assassino maledetto!” gridò. “Perché, perché?”
In quel momento Severus si accorse che un'altra persona si trovava in quella cella con Potter.
Il mago alzò lo sguardo oltre la testa del ragazzo e riconobbe, appoggiata alle sbarre, un’insolita Hermione.
Cosa ci faceva lì la Granger? I Grifondoro si erano forse dati appuntamento nella sua cella per una festa di addio? Pensò con crescente disgusto.
Scansò rozzamente Potter e si diresse verso di lei.
“Un bello spettacolo vero Granger?” sibilò. Tuttavia, senza il suo mantello nero, non sembrava più tanto spaventoso e Hermione si sorprese a contemplarlo come se non fosse reale, lo guardava come avrebbe guardato il molliccio di Neville.
Improvvisamente tutta la crudele realtà di quella situazione le balenò davanti agli occhi, il viso del suo ex professore era lì, a pochi centimetri dal suo, e lo riconobbe per quello che era: l’uomo più severo, freddo e intrattabile che avesse mai incontrato, ma anche un uomo disperato.
Nel frattempo, Potter si era precipitato verso l’uscita della cella, richiamando l’attenzione del mago di guardia, perché lo tirasse fuori di lì al più presto.
Ad un cenno di Hermione di voler restare ancora, fece un gesto di stizza e s’infilò attraverso la porta aperta.


* * *



L’uomo di guardia richiuse la cella alle spalle di Harry e, mentre lo accompagnava fuori, urlò rivolto alla Granger.
“Non più di cinque minuti, signorina!”
Piton era ancora a pochi centimetri da lei, ma sembrava che la rabbia avesse ceduto il posto alla rassegnazione.
“Cosa vuole da me, Granger?” disse con voce atona.
“Anche lei è qui per pregustare lo spettacolo?”
Il mago si diresse curvo verso il muro e appoggiò le mani e la fronte alla parete umida.
Hermione sembrò riprendersi da uno stato di trance e poi…
“La professoressa McGranitt mi ha pregata di fargliela avere.” esclamò, tutto d’un fiato, come se volesse al più presto togliersi un peso dallo stomaco, mentre mostrava al mago l’ampolla che stringeva in mano.
A quelle parole Piton ebbe un sussulto, si girò di scatto verso la Grifondoro e allungò una mano tremante verso la boccetta, esitando, come chi ha paura di afferrare un sogno perché quest’ultimo non svanisca tra le dita.
“Dammela!” mormorò, come se la voce gli si fosse fermata in gola.
“Ti prego…dammela!”
Gli occhi del mago erano due tizzoni ardenti.
Istintivamente Hermione si tirò indietro, ma lui fu più veloce e afferrò l’oggetto che agognava, strappandoglielo dalle mani.
“So cosa pensa di fare.” Disse la ragazza, aspettandosi una reazione che, però non arrivò.
Piton si era allontanato da lei e ora stava cercando di valutare la qualità del liquido contenuto nell’ampolla alla fioca luce proveniente da una candela.
Hermione non fu comunque scoraggiata da quel comportamento: era abituata ad essere ignorata da Piton.
“Forse… Forse c’è un altro modo.” continuò, ma lui non la degnò di uno sguardo.
“Mi ha sentito? Non può volere che finisca così.” gridò.
A quel punto il mago si voltò lentamente scrutando la sua interlocutrice con aria di sfida.
“Ho forse una scelta, Granger?” ruggì.
Poi, avvicinandosi fino a sovrastare la minuta Grifondoro con tutta la sua imponenza, continuò con un tono di falsa cortesia.
“Ora… sarebbe una vera gentilezza da parte sua non importunarmi ulteriormente.”
Hermione lo fissò ancora per qualche istante, dopo di che, apparentemente rassegnata, si voltò e fece un cenno alla guardia perché le aprisse la porta della cella. Fece qualche passo, ma si bloccò di nuovo e, senza voltarsi, ribadì:
“C’è un altro modo… ma sta a lei decidere.”
La porta della cella si richiuse dietro di lei.


Continua…


E dueeee! Be’, vi state preoccupando? Fate bene. Intanto io vi do appuntamento al prossimo capitolo dal titolo “Inseguendo la verità”, nel frattempo mi raccomando recensiteeee!
Ciao a presto!




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Capitolo 3
*** Cap 3: Inseguendo la verità ***


Ciao mavi Se ti può consolare, anch’io sono molto preoccupata. Non ti consola? Eheheh! Allora soffriremo insieme, ma tu incrocia le dita.
Ciao Morgan_Snape un nome conosciuto, ho letto alcune delle tue storie, ma anche tu mi stai facendo soffrire, quando aggiorni “Niente sarà più come prima”? Sto morendo dalla curiosità. Comunque grazie, per il tuo commento, sono contenta che ti piaccia la mia storia e immagino, dal tuo nome, che condividi il mio amore per il personaggio di Piton
Ah, gli esami sono andati bene ;-)

Buona lettura!




CAP. 3: Inseguendo la verità



“Sei impazzita?” urlò Harry gettando a terra il libro che, per tutta la mattina, aveva cercato di leggere, senza successo. “Tu non c’eri, non sai niente, niente!”
“Forse io non so quello che è successo sulla Torre quella notte, ma, probabilmente, vedo le cose più chiaramente di te.”
“Non voglio neanche ascoltarti, solo il pensiero di quell’uomo mi disgusta.”
Harry fece per andarsene, ma Hermione s’interpose fra lui e l’uscita.
“Tu invece mi starai a sentire e se dopo vorrai avere un innocente sulla coscienza, affari tuoi!”
“Innocente? INNOCENTE? Silente è morto… MORTO! L’hai forse dimenticato?”
“Non l’ho dimenticato affatto, ma… ragiona, non ti sei mai chiesto come mai tu, invece, sei qui vivo e vegeto a parlare con me? E non raccontarmi la favola che Voldemort voleva ucciderti personalmente, perché Piton avrebbe potuto schiantarti e portarti da lui quando voleva.”
. Harry aprì la bocca per ribattere, ma era difficile trovare argomenti all’altezza dei ragionamenti di Hermione.
Si voltò e si accomodò sulla sedia più vicina.
“Avanti, spiegami dove vuoi arrivare.”
Come rispondendo ad un sottinteso invito, lei posizionò una sedia di fronte a Harry e vi si lasciò cadere.
“Credo che Piton abbia agito su ordine di Silente.” disse, poi, con un lungo sospiro, cercò di riordinare nella sua mente gli argomenti migliori a difesa della sua tesi, dato che Harry sembrava interessato solo a coglierla in fallo.
Il giovane mago era, infatti, convinto che niente di quello che avrebbe sentito sarebbe servito a fargli cambiare idea.
“Mi sono chiesta come mai, Silente, a dispetto di tutti, abbia sempre creduto in lui, forse… sì, forse può essersi sbagliato, ma io non riesco a credere che uno come lui si sia fatto ingannare così facilmente e poi c’e la questione degli Horcrux.”
“Cosa c’entrano gli Horcrux?”
“Sì… insomma … voglio dire che non hai dovuto bere pozioni o superare trabocchetti per ottenerli”.
Quest’ultima affermazione sembrò destare l’interesse di Harry che si sporse dalla sedia.
“Spiegati!”
“Da quello che mi hai raccontato, tutti gli Horcrux dovevano essere protetti da incantesimi, ma, quando sei arrivato al loro nascondiglio, è stato come se qualcuno ti avesse spianato la strada.”
Harry chiuse gli occhi; nella sua mente apparve la grotta dove aveva trovato il quarto Horcrux, il cadavere di un drago era disteso a terra vicino all’oggetto. Da quello che lui aveva potuto capire era stato ucciso da poco, ma l’Horcrux non era stato toccato.
La stessa cosa era successa, quando aveva tentato di prendere il quinto: il muro di fiamme che impediva l’accesso alla cripta si era improvvisamente spento, senza che lui avesse pronunciato alcun incantesimo.
Si alzò di scatto e le voltò le spalle, dirigendosi alla finestra e guardando, senza vederlo realmente, il bosco fitto di fronte a lui.
“Tu, insomma, credi che c’entri Piton in qualche modo?”
“Sì, credo di sì; perché qualcuno altro avrebbe voluto aiutarti rimanendo nascosto? E poi, lui, essendo vicino a Voldemort, poteva aver scoperto il nascondiglio degli Horcrux e cercato di facilitarti le cose.”
“Ma lui ha ucciso Silente.”
“Può darsi che non abbia avuto altra scelta… non so, comunque tu puoi scoprire la verità, sei l’unico che può avvicinarsi al pensatoio di Silente.”
“Non troveremo niente lì, quello che è successo nella Torre non si trova certo nel pensatoio.”
“No, ma potrebbe esserci qualcosa di utile a capire gli avvenimenti successivi.”
Harry annuì, anche se, in realtà, sperava che la sua amica avesse torto.
Non avrebbe mai ammesso di dover qualcosa a Piton; in effetti, aveva già cancellato dalla sua memoria gli eventi del primo anno e tutti i successivi interventi del professore in sua difesa.


* * *



“Ancora dodici ore.”
Piton era seduto su una panca di legno marcio e contemplava incantato il luccichio sinistro di quel liquido opalescente.
Si chiese cosa lo trattenesse ancora dall’inghiottirlo, sperava forse in una soluzione dell’ultimo minuto?
Questo pensiero lo disgustò. Come poteva desiderare ancora di vivere? Come poteva la sua mente concepire un simile pensiero? Si detestò per questo.
Chiuse gli occhi tenendosi la testa fra le mani.
“Dicevi di essere come un padre per me.” Sussurrò. “Le mie mani non erano già abbastanza sporche di sangue? Dovevi aggiungere anche questa macchia sulla mia anima?”
Il Sole era sorto da poco nei cieli di Azkaban, tuttavia i Dissennatori avevano cominciato ad avvicinarsi pericolosamente alla grata della sua cella, sembravano ansiosi di avere il loro pasto. Dopo la sconfitta di Voldemort, avevano ripreso il loro ruolo di guardiani di Azkaban, nonostante il parere contrario di gran parte della comunità magica.
Il gran numero di prigionieri, dopo la guerra, aveva reso la loro presenza praticamente indispensabile.
Si muovevano nell'aria attorno alle mura della prigione come pipistrelli neri, senza mai penetrare all’interno, se non per le esecuzioni, tuttavia il loro malefico influsso raggiungeva le celle, rendendo ancora più gelido e triste il soggiorno agli ospiti.


* * *



Intanto, Harry ed Hermione avevano ottenuto il permesso di visitare l’ufficio di Silente che, dal triste giorno della sua morte, era rimasto chiuso a tutti. La nuova preside, Minerva McGranitt, aveva preferito rimanere nelle sue vecchie stanze e lasciare quel luogo ai ricordi.
Nel rivedere quella stanza Harry fu sopraffatto dalle emozioni, e non riuscì a trattenere una lacrima. Hermione lo notò, ma non glielo fece pesare.
Andò dritta verso lo scaffale dove si trovava il pensatoio, lo prese e lo posizionò sulla grande scrivania al centro dell’ufficio e attese.
Harry si avvicinò lentamente a quell’oggetto, con un atteggiamento di rispetto e timore reverenziale. Prese la bacchetta e fece il gesto che ormai conosceva bene per risvegliare il turbinio di ricordi del vecchio preside. All’interno del bacile un mulinello di luci lo risucchiò.
“Allora non voglio più farlo!”
Harry riconobbe immediatamente quella voce: il professor Piton stava discutendo animatamente con qualcuno, ma un albero gli impediva di vedere chi fosse.
Poi gli tornarono in mente le parole di Hagrid: Piton stava litigando con Silente. Si spostò per vedere meglio anche l'altra persona e constatò che effettivamente si trattava di Silente. Il preside tuttavia non sembrava arrabbiato, piuttosto stava quasi supplicando Piton.
“Se non lo farai troppe persone perderanno la vita, se non vuoi farlo per te stesso fallo per Draco, è giovane ha ancora la possibilità di scegliere una vita diversa.”
“Non può chiedermi anche questo, ho fatto tutto quello che mi ha domandato, ho dannato la mia anima per lei, ma questo no!”
Il volto di Piton era una maschera irriconoscibile i pugni stretti fino a fermare la circolazione del sangue.
“Io non voglio più uccidere!” pronunciò queste parole a denti stretti.
Harry che aveva assistito alla scena a bocca aperta avrebbe voluto fuggire pur di non sentire il seguito.
Cosa voleva Silente da Piton? Chi doveva uccidere?
“ Lei pretende troppo da me.” continuò Piton con voce strozzata.
Il vecchio preside si avvicinò all’altro mago e lo afferrò per le braccia.
“Promettimelo Severus, tu devi promettermi che, se sarà necessario, farai ciò che devi. Non dovrai esitare o sarà la fine del nostro mondo. E’ tutto pronto, il piano deve procedere, i ragazzi della tua Casa agiranno presto, non dobbiamo farci sorprendere.”
“Io non la ucciderò!” Piton si divincolò dalla stretta di Silente e si inoltrò nella foresta.
“Allora ci hai condannati tutti.” mormorò il vecchio mago, mentre lo guardava svanire fra gli alberi, per poi rimanere a fissare per molto tempo il punto dove era sparito.
Harry si ritrovò di nuovo nell’ufficio del preside, era tremante e fradicio di sudore, Hermione lo scuoteva gridando qualcosa che lui non riusciva a sentire, infine l’amica lo spinse lontano dal pensatoio.
“Harry, Harry, cos’hai visto? Rispondimi, che c’era lì dentro?”
Harry la guardò con le lacrime agli occhi.
“Lui glielo ha chiesto, lo ha voluto Silente. Perché? Hermione io… io non capisco.”
Si asciugò gli occhi e la fissò, mentre la sua voce tornava calma e del consueto tono baritonale.
“Silente ha chiesto a Piton di ucciderlo.”
La giovane strega non perse tempo, afferrò Harry per una manica della tunica e lo trascinò verso l’uscita.
“Dobbiamo fermare l’esecuzione e dobbiamo fermare Piton.”
“Piton? Che significa dobbiamo fermare Piton?”
“Quando sono andata a trovarlo gli ho portato un omaggio della McGranitt.”
Harry continuava a guardarla a bocca aperta, mentre correvano per i corridoi di Hogwarts.
“Ma non capisci?” lei lo aggredì con la sua solita aria da prima della classe. “C’era del veleno in quella fiala.”
E infilò il gran portale di legno che conduceva all’esterno, trascinandosi dietro Harry come una bambola di pezza.


Continua…


E tre! Riusciranno Harry ed Hermione a salvare Piton? Uhm… e chi lo sa? Io comunque vi do appuntamento al prossimo capitolo dal titolo “Attesa”, un capitolo un po’ triste; dedicato interamente al povero Severus, solo con i suoi pensieri e i suoi ricordi in quella piccola e fredda celletta di Azkaban. Ihihihi! Sì, sì sono proprio cattiva.
Mi raccomando recensiteeee
Ciao a presto!


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Capitolo 4
*** Cap 4: Attesa ***


Ciao aliceisola La ff è scritta completamente, quindi se non ci saranno altri incidenti di percorso saprai presto come va a finire.
Ciao mavi Mi dispiace che tu debba soffrire fino alla fine, sono quasi tentata di dirti di più ma non lo farò
Ciao Chiara T E’ veramente un bel complimento, sono contenta di sapere che ti piace come scrivo
Ciao illyria93 E sì ho messo Piton in un bel guaio chissà se riuscirà a cavarsela questa volta?
Buona lettura!


CAP. 4: Attesa



Una folata di vento fece oscillare la fiamma della candela: si stava avvicinando un temporale.
Dalla piccola grata, si udiva il fragore del mare. Era poco più di un foro nella parete, posizionato molto in alto, appena sotto al soffitto di quella che assomigliava più ad un pozzo stretto e profondo che ad una vera e propria stanza.
Severus si rannicchiò in un angolo della panca, appoggiandosi al muro annerito dall’umidità. Guardò le pareti della cella: sembravano sciogliersi in miriadi di rivoli melmosi che si raccoglievano in piccole pozze negli avvallamenti del pavimento. Era come se le pietre piangessero e, forse, era proprio così.
Sospirò. Quanto dolore avevano visto? Quanti uomini avevano varcato la soglia di Azkaban e non avevano più rivisto il sole?
Già, il sole, Piton fissò la grata, ma dov’era finito?
Sentiva freddo. Nonostante fossero le prime ore del pomeriggio, il cielo si era fatto scuro e minaccioso e le nuvole gonfie di pioggia avevano ingoiato l’unica cosa bella che si poteva ancora vedere da Azkaban: quei pochi raggi di sole che, malgrado la perenne cappa di umidità che avvolgeva la fortezza, riuscivano faticosamente a penetrare nelle celle, portando un po’ di tepore e un po’ di speranza.
Un ultimo bagliore si aprì caparbiamente un varco tra quelle nere cortine, scintillando e specchiandosi sull’ampolla di veleno, prima di sparire del tutto.
Il mago allungò una mano afferrando la piccola boccetta.
Un sorriso amaro si dipinse sul suo viso: era quella la fine più adatta a lui. Il destino a volte sapeva essere ironicamente crudele.
Quanti uomini aveva ucciso con i suoi veleni? Era bravo in questo, il miglior Pozionista, il miglior distillatore di morte.
Anche quello che stringeva in mano l’aveva preparato lui, era perfetto come tutte le sue Pozioni. Minerva l’aveva preso nel suo studio, era rimasto lì da quando aveva lasciato Hogwarts.
Il mago rigirò l’ampolla fra le dita. Era ben conservato, evidentemente nessuno si era preso la briga di vuotare il suo armadio dopo la sua fuga.


* * *



Ricordava perfettamente il giorno in cui l’aveva preparato: Voldemort era appena tornato e Silente gli aveva fatto la sua richiesta, qualcosa che si aspettava, qualcosa che temeva, poche parole che, però, non avrebbe mai voluto sentire e poi aveva aggiunto: “se sei pronto?”
Pronto? Pronto ad uccidere ancora? Pronto a morire? Come poteva essere pronto? No, non lo era affatto, eppure aveva semplicemente obbedito.
“Lo sono!” quelle poche sillabe gli erano scivolate dalle labbra. Aveva pronunciato la propria condanna, freddo, distaccato, come se gli fosse indifferente.
Aveva risposto alla chiamata del Signore Oscuro e l’aveva convinto della sua fedeltà.
Aveva recitato la sua parte alla perfezione, nessun cedimento, neppure di fronte alla tortura. Ogni sua parola, ogni suo pensiero era stato una menzogna, ma il suo Signore non aveva avuto modo di dubitarne.
Era entrato prepotentemente nella sua mente e aveva visto solo un servo fedele, un Mangiamorte pronto a servirlo, aveva visto quello che lui voleva che vedesse.
Severus si era sentito nauseato dalle sue stesse parole, aveva ascoltato la sua voce, mentre forniva spiegazioni credibili al suo ritardo, ma a tuonargli nelle orecchie era stato il suo cuore che urlava la verità: lui non era un Mangiamorte, non più.
Una parte di lui sperava che Voldemort lo sentisse, avrebbe voluto morire pur di non affrontare quello che certamente sarebbe venuto.
Quella notte stessa, tornato a Hogwarts, si era trascinato faticosamente fino allo studio di Silente e aveva fatto rapporto.
Il vecchio mago lo aveva ascoltato in silenzio. Non gli aveva fatto domande sulle sue condizioni fisiche, anche se i segni delle torture subite erano evidenti e il tremore che scuoteva il suo corpo magro era inequivocabilmente causato da una cruciatus prolungata.
Silente sapeva che il suo interessamento lo avrebbe umiliato ulteriormente. Si era semplicemente congratulato con lui: ancora una volta, la sua spia era riuscita ad ingannare il più potente legilimante vivente, e non lo aveva trattenuto oltre.
Piton gliene era stato grato: desiderava solo tornarsene al suo sotterraneo, la sua casa, e restare solo.
Giunto lì, era rimasto sulla soglia fissando la sua scrivania: il calamaio, una pila di compiti da correggere, i suoi libri. Tutto ordinato e catalogato.
Tutto, tranne la sua vita.
Sentiva che ogni cosa gli stava sfuggendo dalle mani, anche il suo corpo martoriato non rispondeva più alla sua volontà. Aveva fatto qualche passo barcollando verso il suo tavolo, guardando quegli oggetti, testimoni di una facciata rispettabile, con crescente disgusto.
Professore? Insegnante alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts? Solo un’illusione, una dolorosa illusione.
Aveva creduto di poter dimenticare il suo passato, quel passato che ora gli era ripiombato dolorosamente addosso.
Era stato uno stupido: il suo maledetto passato non l’avrebbe mai abbandonato.
Aveva cercato la redenzione, ma come poteva pensare di lavare le sue mani sporche di sangue lordandole con altro sangue?
Aveva urlato la sua rabbia, mentre con furia scaraventava per terra ogni cosa. Un grido colmo di disperazione e di odio per se stesso, per quello che era diventato e per quello che sarebbe stato ancora una volta: un assassino.
Sentiva la nausea salirgli in gola ricordando la gioia che aveva visto negli occhi di Voldemort, mentre assaporava la piacevole sensazione di avere di nuovo un corpo, e sentiva ancora la sua disgustosa presenza nella testa: per troppe ore la sua mente aveva scandagliato i suoi più intimi pensieri, lasciandolo svuotato e umiliato.
Aveva afferrato la maniglia dell’armadio spalancandolo e, dopo aver gettato a terra tutto quello che non serviva al suo scopo, aveva iniziato ad ammucchiare disordinatamente sul tavolo erbe e ampolle.
Era furioso, era disgustato. Con uno scatto rabbioso della mano, aveva acceso il fuoco sotto il calderone. Ogni gesto gli procurava dolore, la testa pulsava, e le sue mani tremavano così tanto che più di una volta aveva rovesciato le piccole ampolle, spargendone il contenuto sulla scrivania immacolata, tuttavia, aveva continuato febbrilmente a sminuzzare e mescolare gli ingredienti.
Doveva riprendere il controllo della sua vita: quella Pozione era l’unica soluzione, l’unica possibilità di fuggire per sempre da quell’incubo.
Dopo alcune ore, il liquido si era fatto così denso che mescolarlo era diventato un vero tormento. Severus aveva stretto i denti mordendosi il labbro: doveva ignorare il dolore.
Non poteva smettere: la Pozione sarebbe divenuta inservibile.
Aveva proseguito quel supplizio, soffocando anche il più piccolo lamento.
I muscoli erano divenuti così rigidi che gli sembrava di non riuscire più a controllarli, i continui spasmi stavano rischiando di vanificare il suo lavoro, la Pozione si addensava troppo in fretta.
“No! Non adesso!”
I movimenti della sua mano si erano fatti più rapidi, poi un sospiro di sollievo: la sostanza stava diventando del colore giusto.
“…ecco, così.” il mago era fradicio di sudore, aveva smesso di mescolare e fissava ansante il calderone.
La pozione era quasi pronta, mancava solo un ingrediente e avrebbe avuto ciò che più desiderava.
Aveva dato via la sua anima, ma voleva ancora essere padrone del suo corpo, aveva bisogno di sapere che aveva ancora una scelta: poteva scegliere di morire.
Una morte facile, sarebbero bastate poche gocce. O, forse, una morte da vigliacco?
Era quello che sarebbe stato? Un vigliacco?
A questo pensiero la sua mano aveva esitato, si era bloccata a mezz’aria, mentre si accingeva ad aggiungere l’ultimo ingrediente.
Era rimasto immobile per qualche istante, fissando la pozione che gorgogliava.
Sì, doveva fermare la sua mano assassina, quello era l’unico modo.
“Io non sono un vigliacco!” aveva poi mormorato fra i denti, mentre la sua mano si apriva lentamente lasciando scivolare il suo mortale contenuto dentro il calderone.
Una nuvola di vapore violaceo si era sollevata dalla Pozione, il viso del mago era stato investito dal calore sprigionatosi, un calore quasi piacevole, aveva chiuso gli occhi, assaporando quel momento, un breve, meraviglioso istante, che si era immediatamente dissolto con il vapore, insieme al suo sogno.
“No! Non posso… non devo.” era stata la sua mente a gridare, mentre le parole erano sgorgate dalla sua bocca come un roco lamento.
La Pozione era pronta. Il mago aveva respirato i suoi vapori gustandone il profumo, forte e dolce insieme, il profumo della libertà, una libertà che non avrebbe mai potuto avere, almeno finché non fosse riuscito a pagare il suo debito. Lo sapeva, ma era bello vederla vorticare dentro quel calderone.
Era sfinito, la vista si annebbiava, poi un dolore alla mano ed il buio.
Era scivolato a terra e, in un vano tentativo di frenare la caduta, si era aggrappato al paiolo rovente che, fortunatamente, non si era rovesciato.
Era stato Silente a trovarlo parecchie ore dopo, ancora svenuto sul pavimento, mentre la Pozione, ormai fredda, riposava nel calderone.
Anche quella volta il preside non aveva fatto domande. Lui si fidava di Severus, conosceva il suo passato e gli aveva creduto, conosceva i suoi pensieri, i suoi dubbi e i suoi rimorsi anche senza ricorrere alla Legilimanzia; li conosceva come solo un padre avrebbe potuto conoscerli.
Aveva visto la Pozione, sapeva di cosa si trattava, ma forse sapeva anche che lui non l’avrebbe usata.

* * *



Severus abbassò lo sguardo, fissando il suo riflesso deformato sul vetro dell’ampolla. Quell’oggetto era il simbolo di ciò che era diventato: un dispensatore di morte, ma era anche il dono più grande che avesse mai ricevuto, il dono della libertà. Un dono che solo una vera amica aveva avuto il coraggio di offrirgli, anzi, era molto di più, era l’ultimo dono di una madre; Minerva McGranitt era stata questo per lui.
“Perdonami, Minerva, se ti ho deluso.” sussurrò, rivolgendosi a quell’oggetto inanimato, come se vedesse impresso in quel vetro il volto della donna che gliel’aveva dato, ma la superficie lucida dell’ampolla gli restituì solo il suo sguardo e il mago si perse nei suoi stessi occhi: un baratro tenebroso, un’oscurità senza fine, un infinito dolore.
A quegli occhi, Minerva non aveva saputo negare il suo aiuto.
Anche lei sapeva del veleno, l’aveva scoperto per caso.
Era una sera come tante, da quando Voldemort era tornato, una sera nella quale si era versato sangue innocente.
Piton non aveva rivolto la parola a nessuno al ritorno dalla sua missione. Si era chiuso nel suo sotterraneo ed era rimasto lì per ore, immobile, fissando il vuoto e stringendo la piccola boccetta di vetro tra le dita.
Lei l’aveva trovato così, seduto alla sua scrivania, con l’ampolla in mano. Aveva sempre avuto un grande intuito quella donna, era stato sufficiente uno sguardo per capire che Piton non stava esaminando l’ultimo miscuglio fatto dai suoi allievi.
“Severus!” aveva balbettato, rimanendo impietrita sulla porta.
Il mago aveva sollevato stancamente il viso, rivolgendo alla donna uno sguardo colmo di tristezza. Lei aveva fatto qualche passo verso di lui, continuando a fissare il buio dei suoi occhi.
Minerva li conosceva bene, avevano perso la loro luce da quando avevano visto il primo sangue macchiare le sue mani di ragazzo, ma ogni volta ne restava turbata.
Per un po’ il mago non aveva detto niente poi, alzatosi dalla sua poltrona, si era avvicinato all’armadio, riponendo con cura il suo tesoro.
“Non la userò… non ora.” aveva mormorato senza voltarsi.
Lei non aveva smesso di fissarlo, c’era un’ombra di terrore nel suo sguardo, tremava e una lacrima era scivolata ad imperlarle la guancia.
Severus si era voltato lentamente, contemplando quegli occhi spaventati. Non voleva che soffrisse per lui. Si era obbligato a sorridere e si era avvicinato.
Nel cuore di quella donna austera c’era sempre stato un posto per tutti, anche per lui. Lei e Silente erano diventati la sua famiglia.
Il mago aveva sollevato la mano, sfiorando con la punta delle dita quel viso scolpito dagli anni e dalla saggezza.
“Non preoccuparti.” aveva sussurrato dolcemente.
Per tre lunghi anni, quell’ampolla sarebbe rimasta solo un desiderio, il suo sogno e il suo incubo.
L’ultima volta che aveva preso la Pozione dal suo armadio era stato il giorno della discussione con Silente, il giorno di quel suo ultimo terribile ordine.
Quella volta non avrebbe avuto neppure bisogno del suo veleno, sarebbe stato sufficiente non agire e sarebbe morto a causa del giuramento. Quella volta, più che mai, avrebbe voluto mettere fine all’inferno che era diventata la sua vita. Quella volta, meno che mai, avrebbe potuto tirarsi indietro: era in gioco futuro del mondo magico.
Se solo ci fosse stato un altro modo!
Non poteva, non voleva eseguire quell’ordine.
Si era ribellato, aveva gridato e aveva persino supplicato Silente, ma la sua vita non gli apparteneva da quando l’aveva donata al vecchio mago per riscattarsi dalle sue colpe.
Silente gli aveva ordinato di vivere e lui, alla fine, avrebbe obbedito, ancora una volta.
Non aveva il diritto di fuggire, non si sarebbe rifugiato in una dolce, pietosa morte.
Aveva un dovere da compiere e lo avrebbe portato a termine, avrebbe dato fino all’ultima goccia del suo sangue, pur di distruggere l’uomo che aveva portato nel mondo tanto dolore e per proteggere un ragazzo nel quale aveva rivisto se stesso. Per lui avrebbe lacerato nuovamente la sua anima e questa volta l’avrebbe persa per sempre, uccidendo la persona che gli era più cara. Doveva farlo, doveva obbedire.

* * *



Le dita del mago presero a stringere spasmodicamente l’ampolla fino quasi a spaccare il vetro.
“Perché?” mormorò. “Non dovevi chiedermelo, non dovevi.”
La cella era diventata sempre più fredda, da quando il sole e l’ultima speranza l’avevano abbandonata. I Dissennatori si facevano più vicini e bramosi. Piton era scosso da continui brividi, sentiva l’angoscia togliergli il respiro.
Guardò le sue mani: stavano tremando.
Aveva paura? Sì, forse Potter aveva ragione: lui era un vigliacco.
Dov’era finito Severus Piton? In quella cella, ora c’era solo un uomo che non aveva più orgoglio, era arrivato a supplicare una ragazzina, si sarebbe buttato in ginocchio davanti a Hermione. Non aveva mai temuto la morte, anzi l’aveva desiderata, quello che temeva era l’orrore della sua vita, vederla attraverso gli occhi del Dissennatore.
Un incubo ripetuto all’infinito, i volti delle persone che aveva ucciso, i loro occhi, le loro grida disperate e poi il silenzio, ugualmente assordante, quando l’ultimo alito di vita le abbandonava.
Aveva visto tra le esili dita di Hermione l’unica via d’uscita, aveva visto una possibilità di pace, la possibilità di evitare quella fine orrenda.
Voleva solo che tutto finisse, voleva chiudere gli occhi e non vedere quelle immagini strazianti che non lo lasciavano mai, voleva il sogno che aveva inseguito per tre lunghi anni, voleva finalmente morire.
Così aveva afferrato la fiala strappandogliela dalle mani, aveva afferrato quel sogno.
Si raggomitolò su quello scomodo giaciglio, stringendo ancora l’ampolla come in un abbraccio.
Sospirò, forse avrebbe dovuto affrontare la condanna. Era una pena giusta, lui era un assassino, non avrebbe pagato mai abbastanza per i suoi crimini.
Come aveva potuto pensare di meritare quella misericordia che non aveva saputo concedere alle sue vittime?
Eppure quella misericordia gli era stata accordata ed era lì nella sua mano.
Il cielo era stato clemente, gli aveva concesso la possibilità di scegliere.
In fondo era quello che aveva sempre desiderato: poter scegliere.
Ma cosa avrebbe scelto? La morte o l’incubo? Doveva concludere la sua vita come un vigliacco, caricandosi di quest’ultima ignominia o doveva affrontare l’umiliazione del bacio, continuando a vivere come un vegetale precipitato nell’orrore del suo passato?
Dubbi, rimorsi, paure affollavano la sua mente.
Si portò una mano ad afferrare i capelli sudici e scompigliati. Gli sembrava di impazzire.
Scosse il capo, forse stava veramente perdendo il senno, doveva essere l’effetto dei Dissennatori, erano troppo vicini.
Lasciò scivolare la fiala a terra afferrandosi la testa con entrambe le mani.
“Dannati mostri, andate via… andate via…” gemette e si rannicchiò ulteriormente, portandosi le ginocchia al petto, mentre con le mani si turava con forza le orecchie in un vano tentativo di allontanare quelle presenze dalla sua mente.
“Lasciatemi in pace!” la sua voce diventava sempre più debole, quasi un soffio.
“Vi prego… lasciatemi in pace!” chiuse gli occhi.
“Albus… aiutami!” mormorò.
Poi la stanchezza lo vinse e il mago sprofondò in un sonno agitato.



Continua…


Posterò il prossimo capitolo fra circa una settimana s’intitola, ahimè, “ll bacio del Dissennatore”.Uhm! Sarà il caso di preoccuparsi?
Mi raccomando recensite
Ciao a presto!


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Capitolo 5
*** Cap 5: Il bacio del Dissennatore ***


Ciao Lukk Wow, così mi fai davvero arrossire, di terrore però, non vorrei deludere le tue aspettative, comunque grazie dei complimenti. Riguardo alle somiglianze fra Harry e Draco sì quei due hanno molto in comune, Voldemort gli ha tolto la possibilità di vivere serenamente la loro giovane età. Dopo il sesto libro ho provato una gran pena per il povero Draco coinvolto in qualcosa più grande di lui, costretto a diventare un’assassino solo perché è un Malfoy. In fondo non è diverso dall’essere il “Prescelto”. Ti posso dire che il futuro di entrambi dipenderà dal finale di questa storia, le cose che hanno in comune sono legate fra loro tanto che da una dipende l’altra. Sono stata abbastanza criptica? No? Hai capito tutto? Comunque visto che manca solo un’altro capitolo non ti dirò di più, spero che continuerai a recensire, così mi dirai se non ti ho deluso
Ciao mavi Oddio, questo capitolo sarà duro da digerire per te, ma ti prego resisti. Sì in effetti sono cattiva e ti accorgerai fino a che punto ma…
Ciao starliam Eheheheh! Sette vite come i gatti, io adoro i gatti sai?
Grazie Morgan Snape sono felice di sapere che continuerai la tua fic, anche il mio pc fa spesso i capricci, ma per colpa mia che sono proprio allergica alla tecnologia. Per quanto riguarda la mia storia, in realtà io non vorrei fare alcun male al povero Severus, sul mio buon cuore puoi contare, ma non so quanto si possa contare sulla mia capacità di salvarlo dopo averlo messo in un tale guaio. Parlando di trattenere il fiato forse sarà meglio fare qualche esercizio di apnea prima di immergersi in questo cap. Alla salute dei miei lettori ci tengo eheheh!
Ah, in bocca al lupo per gli esami ;-)

Buona lettura!




CAP. 5: Il bacio del Dissennatore



La maga sentiva la rabbia crescere dentro di lei, diventando incontrollabile. Afferrò con entrambe le mani l’anta della sua finestra sbattendola con forza. La vetrata decorata vibrò rumorosamente.
Turbata dalla sua stessa reazione, Minerva si tirò indietro con uno scatto. Sembrava molto più vecchia. Si sentiva più vecchia.
Fissò il cielo plumbeo attraverso quei vetri colorati. Le braccia lungo i fianchi e le mani strette a pugno. Si sentiva quasi un’estranea in quella che era stata per tanti anni la sua casa, non era mai stata così in disaccordo con quel luogo. Troppi ricordi, troppe cose erano successe, e ogni pietra di quel castello ne serbava la memoria.
L’ufficio di Silente, che lei aveva voluto restasse chiuso da quel triste giorno e anche l’ufficio di Piton nel sotterraneo: il suo successore aveva preferito trasferirsi in un ambiente più luminoso. Tutto era rimasto intatto, come il dolore.
Non aveva chiuso occhio quella notte e i suoi capelli, solitamente raccolti in un impeccabile chignon, ora erano sparsi disordinatamente sulle spalle. Si portò una mano al petto, cercando di regolare il respiro, si sentiva soffocare.
In quel momento più che mai avrebbe voluto avere al suo fianco la presenza rassicurante di Silente, aveva disperatamente bisogno della sua saggezza e della sua bontà.
Anche nei momenti peggiori il suo amico le era stato vicino, ma ora era sola: dal giorno della sua morte la responsabilità della scuola e degli studenti era ricaduta sulle sue spalle.
Durante un lungo anno di guerra che aveva lasciato non poche cicatrici, centinaia di ragazzi avevano affidato a lei la loro vita, ma mai nessuno le aveva affidato la sua morte.
L’anziana maga si appoggiò con entrambe le mani al vetro e si lasciò scivolare in ginocchio.
“Cosa ho fatto?” gemette, rannicchiandosi sotto il davanzale.


* * *



Era tornata a Hogwarts subito dopo il processo e aveva chiesto a Hermione di raggiungerla. Sapeva che Harry aveva ottenuto il permesso di vedere Piton in cella e la sua amica lo avrebbe seguito.
Aveva aspettato la ragazza nel sotterraneo, in piedi davanti all’armadio delle Pozioni di Piton.
Hermione non si era fatta attendere. Appena ricevuto il messaggio della sua insegnante si era precipitata a Hogwarts. Aveva trovato strano che la McGranitt avesse scelto l’ex ufficio di Piton per incontrarla, ma, vista la situazione, non aveva fatto domande.
L’anziana maga era lì, in piedi, vestita di nero come faceva ormai da un anno, dal giorno della morte di Silente. Quella sera però i suoi abiti sembravano ancora più scuri come se la donna fosse circondata da un’ombra cupa, un’ombra di morte.
“Professoressa?” la voce di Hermione era incerta e preoccupata.
Minerva aveva richiamato tutto il suo autocontrollo, cercando di dare alla sua voce il solito tono autoritario.
“Signorina Granger, ho bisogno di chiederti un favore. So che Potter ha ottenuto il permesso di vedere…” la voce si era rotta in un singulto, mentre lo sguardo si posava sulla scrivania di Piton. “… di… di vederlo.” No, non riusciva a pronunciare il suo nome, sentiva che, se lo avesse fatto, sarebbe scoppiata in lacrime.
Hermione aveva annuito, continuando a fissare la sua insegnante. La donna sembrava non trovare fiato sufficiente per parlare.
Poi, dopo una lunga pausa, aveva proseguito: “Io… io vorrei che gli portassi una cosa da parte mia.”
La giovane maga l’aveva guardata incredula.
“Ma, professoressa, non è permes…” si era bloccata, gli occhi della sua insegnante stavano diventando lucidi, Hermione si era accorta che tremava, certo, qualunque cosa le stesse chiedendo di portare a Piton doveva essere veramente importante e non sarebbe stato il regolamento della prigione ad impedirglielo.
Aveva abbassato lo sguardo, notando quello che la donna stringeva nervosamente tra le dita. La ragazza si era avvicinata allungando una mano verso quell’oggetto.
“Glielo darò, si fidi di me, riuscirò a farglielo avere.”
Minerva aveva semplicemente annuito, Hermione era stata sempre una ragazza intelligente, aveva intuito certamente di cosa si trattava.
La maga più anziana l’aveva sentita rabbrividire, mentre afferrava la fiala con entrambe le mani, sapeva cosa aveva provato Hermione in quell’istante, nel momento in cui aveva avuto la consapevolezza di cosa avrebbe dovuto portare a Piton, era ciò che aveva provato lei stessa, quando aveva preso l’ampolla dall’armadio: la terribile sensazione di stringere la morte tra le dita.
Dopo un lungo silenzio Hermione aveva sollevato lo sguardo cercando gli occhi della sua insegnante.
“Lui le sarà grato per questo.”
“Lo so!” aveva sussurrato l’altra, voltandosi per non vedere la ragazza che si allontanava con l’ampolla in mano.


* * *



La maga scosse il capo, doveva prepararsi per andare ad Azkaban, ma non aveva la forza di alzarsi. Avrebbe voluto rimanere lì per sempre, avrebbe voluto che tutto si fermasse.
Se solo avesse avuto il potere di arrestare il tempo, se avesse potuto far sì che quel momento, il momento nel quale la conseguenza del suo gesto si sarebbe presentata davanti ai suoi occhi, non giungesse mai.
Probabilmente, appena giunta ad Azkaban, l’avrebbero informata, attraverso un freddo messaggio, che il prigioniero era stato trovato morto nella sua cella, così, semplicemente. Per loro sarebbe stato solo un Mangiamorte in meno.
Minerva prese a stropicciare nervosamente la stoffa della sua tunica, non avrebbe sopportato anche questo, era stanca. Stanca di vedere i giovani andarsene, stanca di tutte quelle morti. Non riusciva a togliersi dalla mente gli occhi di Severus, quell’ultimo sguardo che le aveva rivolto, dopo il processo.
Perché non riusciva ad odiarlo? Quell’uomo le aveva portato via la persona che le era più cara al mondo, ma non riusciva a detestarlo; in quegli occhi non aveva visto l’assassino del suo amico, aveva visto solo tanto dolore.
A quell’ora Piton doveva aver già avuto l’ampolla. L’avrebbe usata? Oh, sì, l’avrebbe fatto, la fine che lo attendeva al tramonto sarebbe stata di gran lunga peggiore.
Lei lo conosceva bene, lo aveva ammirato per la sua genialità e ne aveva avuto compassione per la sua infanzia difficile. Lo aveva visto perdere la sua anima e lottare per ritrovarla. Lei lo conosceva e proprio per questo non riusciva a comprendere come quell’uomo avesse potuto compiere un gesto tanto efferato. Non il suo Severus, non il ragazzo che aveva visto crescere come uomo e come mago, l’amico che aveva visto consumarsi, giorno per giorno, nel rimorso; non lui.
Si aggrappò al pesante drappo di velluto rosso che adornava la finestra e cercò di sollevarsi da terra, doveva andare, ormai restava poco tempo. Guardò ancora attraverso la vetrata, sorrise, un sorriso triste.
No, non ci sarebbe stata nessuna esecuzione ad Azkaban quella sera, Severus Piton se ne sarebbe andato a modo suo.
Lei lo conosceva, lo conosceva bene.


* * *



Era quasi il tramonto, Hermione era seduta su una panchina nell’atrio del Ministero, quando il tipico rumore della materializzazione la distolse dai suoi pensieri: Harry era apparso a qualche metro da lei. Appena lo vide la giovane si precipito verso di lui, ma la sua aria afflitta non prometteva niente di buono.
“Dimmi che non è successo ti prego, dimmi che non l’ha fatto.”
Harry abbassò lo sguardo fissando un punto imprecisato del pavimento.
“Non lo so, non mi hanno fatto entrare, e tu, hai parlato con il Ministro?”
Hermione si voltò con uno scatto di rabbia e cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro gesticolando.
“Quello sciocco burocrate, sai cosa mi ha risposto? Mi ha risposto che una revisione del processo a questo punto è impossibile, che avremmo dovuto inoltrare una richiesta ufficiale all’ufficio competente dieci giorni prima dell’esecuzione, insomma una cosa pazzesca!”
“Dovevamo aspettarcelo in fondo, be’… meglio per Piton se deciderà di avvelenarsi.”
Harry scrollò le spalle.
“Non vorrai arrenderti così?” “Cosa vuoi che faccia? Non vorrai mica farlo evadere?”
“No… ma mi opporrò all’esecuzione con ogni mezzo.”
“Andiamo Hermione, un omicidio è un omicidio, che differenza fa se è stato Silente a volerlo?”
“Per me fa differenza, Silente era il capo dell’Ordine e Piton un suo subordinato, questo significa che gli doveva obbedienza.”
In quel momento il signor Weasley uscì precipitosamente da una porta laterale.
“Ah! Sei qui Harry. Dobbiamo andare, come testimone principale, hai il diritto di assistere all’esecuzione, ma dobbiamo sbrigarci.”
Poi, guardando Hermione: “Ho ottenuto un permesso speciale per te, se te la senti.” posò una mano sulla spalla della ragazza “Non sarà un bello spettacolo ma credo che Harry avrà bisogno di te”.



* * *



La passaporta del signor Weasley li trasportò direttamente ad Azkaban, in quello che sembrava una passaggio sotterraneo. La mancanza di finestre e il fumo delle torce alle pareti rendevano l’aria quasi irrespirabile.
L’uomo che li guidava si bloccò improvvisamente.
“Ho saputo cosa avete cercato di fare, le voci corrono in fretta al Ministero.”
Harry ed Hermione si guardarono meravigliati.
“Devo avvisarvi che qui non vedono di buon occhio quelli che difendono i Mangiamorte.”
Harry avrebbe voluto rispondere, ma un’occhiata di Hermione lo dissuase.
Continuarono a camminare in silenzio, seguendo a poca distanza il signor Weasley, fino ad una porta di ferro, rinforzata da grossi chiodi che si aprì cigolando ad un cenno del mago.
Lo spettacolo che si presentò ai loro occhi era impressionante: una grande aula circolare con gradinate lungo le pareti simile all’arena di un circo, al centro una cupola luminosa, senza dubbio formata da Patronus, separava gli spettatori dal luogo dell’esecuzione, tenendoli al sicuro dall’effetto dei Dissennatori.
La luce prodotta dalla barriera, tuttavia, non impediva la visione di ciò che avveniva al suo interno. Alcuni uomini stavano sistemando un grosso palo di legno al centro dell’arena. Sembrava che considerassero questa operazione una sorta di rito così da doverla ripetere ad ogni nuova esecuzione. Harry immaginò che i pali ai quali erano stati legati condannati famosi dovessero essere venduti all’asta a pezzetti, come un macabro souvenir.
I due ragazzi furono accompagnati in quello che doveva essere il posto d’onore, mentre intorno a loro la sala si faceva sempre più affollata.
In mezzo a decine di maghi urlanti, Harry riconobbe la professoressa McGranitt. Era seduta abbastanza lontano dall’arena, dietro di lei un nervosissimo Hagrid non aveva ancora preso posto; camminava avanti e indietro torcendosi le dita. Non vide il suo amico Ron, ma non si stupì: immaginava che suo padre avrebbe fatto di tutto per tenerlo lontano da quel luogo, per lui era ancora il suo piccolo Ronny.
Nella Sala erano presenti molti Auror e altri membri dell’Ordine della Fenice, tra loro, in prima fila, Remus Lupin.
Il mago era immobile, sembrava del tutto disinteressato a quello che avveniva intorno a lui, non si scompose più di tanto, neppure quando un vecchio grasso rischiò di farlo cadere dalla sedia, mentre cercava di prendere posto.
D’un tratto i rumori cessarono, tutti rimasero bloccati quasi trattenendo il respiro, evidentemente, pensò Harry, qualcosa doveva aver attirato la loro attenzione. Aguzzò la vista, ma non sapeva esattamente dove guardare, finché la mano di Hermione non afferrò la sua.
Harry notò che la sua amica era impallidita, mentre fissava una botola sul pavimento dell’arena che Harry non aveva neppure notato.
Da quel buco quadrato provenivano delle luci tremolanti che lasciavano intuire un movimento di fiaccole. Difatti, pochi istanti dopo, una testa spuntò dalla botola seguita dal resto del corpo di un mago alto in tunica bianca che teneva una torcia in mano, dietro di lui un altro mago e poi un altro ancora, sembravano fuoriuscire dal pavimento come arbusti. Concludeva questa insolita processione un uomo magro anche lui avvolto in un’insolita tunica bianca scortato da due maghi robusti.
“Piton!” sussurrò Hermione.
Alla luce della barriera magica la sua pelle appariva ancora più pallida. Il mago fu legato con poco garbo al palo, le sue labbra erano serrate, non parlò neppure quando il vecchio Moody si alzò dal suo posto e si avvicinò a lui scrutandolo con il suo occhio buono, mentre gli mostrava la bacchetta che stringeva in mano.
Harry capì che si trattava della bacchetta di Piton, quando l’Auror si rivolse agli astanti, tenendo l’oggetto sollevato al di sopra della sua testa.
“Per volontà di questa corte, questa bacchetta, appartenente a Piton Severus, dichiarato colpevole di omicidio volontario dalla stessa, sarà ora distrutta di fronte a voi testimoni.
Che questo mio gesto sia di monito a quelli che pensano di usare il potere per fini malvagi.”
Senza abbassare le braccia la spezzò con un colpo secco che fece sussultare Piton.
Severus abbassò lo sguardo contemplando il contenuto della sua bacchetta liquefarsi nel pavimento.
Poi, mentre gli Auror e le guardie, Moody compreso, si allontanavano, la sua attenzione si concentrò su quello che stringeva fra i denti: un piccolo boccone di pane appallottolato, residuo del suo ultimo pasto, nel quale Piton aveva versato qualche goccia del veleno dell’ampolla.
Provò un sottile senso di piacere al pensiero di quello che sarebbe accaduto di lì a poco al Dissennatore che avesse tentato di somministrargli il Bacio.
Dato che era impossibile, infatti, risucchiare l’anima di un uomo già morto, quell’orrida creatura sarebbe stata inghiottita nel suo stesso inferno, e quegli sciocchi maghi avrebbero impiegato parecchio tempo a capire cosa fosse accaduto.
Se doveva suicidarsi, almeno lo avrebbe fatto con stile, ma per uccidere il Dissennatore avrebbe dovuto aspettare fino all’ultimo istante.


* * *



Nel frattempo, su una spiaggia lontana, un giovane mago biondo se ne stava immobile, incurante della pioggia gelida che aveva cominciato a cadere ormai da alcune ore.
Draco fissava quelle mura che svettavano in mezzo al mare burrascoso come un unico blocco di roccia nera.
La prigione di Azkaban, vista da lì, assomigliava più ad un enorme scoglio perennemente avvolto dalla nebbia. Nessuna apertura, nessuna luce, sono un’ombra scura che s’innalzava da un abisso altrettanto tenebroso, come se non fosse stata costruita da mani d’uomo, ma un cataclisma naturale l’avesse fatta emergere dal fondo del mare in tutta la sua imponenza.
Al di là di quelle pietre era stato rinchiuso il suo mondo, tutto ciò che amava, i suoi genitori, il suo mentore.
Parte del suo cuore era lì dentro e, infatti, si sentiva come se qualcuno gliel’avesse strappato dal petto e portato al di là delle onde.
Ormai era lì da ore, in attesa, mentre la pioggia continuava ad inzuppare i suoi vestiti, stava tremando, si strinse nel mantello cercando un inutile riparo a quel gelo, ma non erano il vento e la pioggia a farlo tremare.
Era quasi il tramonto e lui non era stato ammesso ad assistere all’esecuzione: come figlio di un Mangiamorte era considerato persona sgradita e potenzialmente pericolosa.
Lucius ormai aveva perso la sua influenza e il suo prestigio. Quello dei Malfoy era diventato un cognome di cui vergognarsi. Anche se condannarlo si stava rivelando un’impresa ardua, il suo processo si era dimostrato più complicato di quello di Piton ed era ancora in corso.
In effetti, suo padre era stato sempre molto abile nel non lasciare in vita scomodi testimoni.
Era perfino riuscito a fuggire dopo la morte di Voldemort, ma era stato catturato insieme a sua moglie nel loro rifugio in Romania, quasi certamente era stata la stessa Narcissa a consegnare sé e suo marito agli Auror, era stanca di nascondersi, non sarebbe mai voluta diventare una Mangiamorte, lei non era come sua sorella, ma da quando quel marchio era stato impresso anche sul suo braccio era stata costretta ad obbedire per il bene di suo figlio.
Solo quello le importava, proteggere il suo ragazzo ed evitare che Voldemort rubasse anche la sua innocenza o, addirittura, la sua vita.
A Draco, rimasto solo e respinto da tutti, non era rimasto altro da fare che attendere su quella spiaggia deserta che tutto fosse finito.
Eppure, anche da lontano gli sembrava di sentire la presenza dei Dissennatori, li sentiva respirare, sentiva il frusciare del loro sudario, sentiva il tintinnare delle catene dei prigionieri o, forse, credeva di sentirli.
Se ne stava in silenzio, impotente, i pugni stretti e le labbra serrate odiandosi per non essere stato capace di evitare tutto quello che era successo; per essere stato tanto sciocco da finire agli ordini di Voldemort, tanto sciocco da credere di non aver bisogno d’aiuto.
Piton aveva ragione si era comportato come un bambino e come un bambino aveva lasciato che qualcun altro sacrificasse il suo futuro e la sua vita per lui.
Guardò il sole, ormai era quasi sparito dietro l’orizzonte, le nuvole si stavano diradando e il cielo aveva assunto un macabro colore rosso e si rispecchiava sul mare facendolo sembrare un’orrida distesa di sangue. Sentì il freddo attanagliargli le viscere, mentre al fragore delle onde si sommò il rumore assordante dei battiti del suo cuore, che sembrava stesse per esplodergli nel petto.
Era ora, forse era già successo.
Sentì il sapore salato delle lacrime, si mescolavano alla pioggia che continuava a scivolare sul suo viso.
Cadde in ginocchio gridando e si lasciò scivolare sulla sabbia continuando a mormorare ossessivamente un’unica parola tra i singhiozzi.
“Perché?”


* * *



L’arena ora era completamente sgombra, tutti i maghi si erano ritirati in luoghi sicuri dietro la barriera. Con uno stridio acuto e sinistro il grande portone che metteva in comunicazione la sala delle esecuzioni con l’esterno si aprì.
L’ingresso dei Dissennatori fu preceduto da una nebbia gelida che scivolò sul pavimento di pietra consumata e nonostante i Patronus riuscì ad infilarsi fin sulle prime file della gradinata causando svenimenti e seminando scompiglio fra i maghi che vi si trovavano.
A quella vista anche Minerva McGranitt, che fino ad allora sembrava aver mantenuto il sangue freddo, si alzò di scatto per poi barcollare pericolosamente in avanti, solo l’intervento di Hagrid le impedì di ruzzolare dalla scala. Il gigante la afferrò senza tanti complimenti e la portò in braccio fuori dalla sala.
Harry si voltò verso Hermione che ormai non tratteneva più le lacrime.
“Fermali, Harry! Qualcuno deve fermarli!” mormorava tra i singhiozzi, mentre le dita stringevano nervosamente la stoffa della sua tunica.
Harry si guardò intorno, cosa poteva fare contro uno stuolo di Auror votati alla vendetta? Guardò prima Lupin poi Moody, entrambi sembravano gustare a pieno la scena.
I Dissennatori scivolavano a mezz’aria lungo il perimetro della barriera, senza avvicinarsi troppo al condannato, sembrava che volessero sfinire la vittima prima di somministrarle il Bacio.
Potter si chiese cosa dovesse provare un uomo con il passato di Piton alla presenza dei dissennatori. Rabbrividì.
Il mago aveva gli occhi chiusi ed era sempre più pallido, il ragazzo capì che sarebbe crollato di lì a poco.
Si sentì vicino a quell’uomo in un modo che non avrebbe mai creduto possibile.
Avevano combattuto dalla stessa parte, ora lo sapeva, e anche se alla fine lui era stato applaudito come un eroe, non aveva dimenticato la rabbia e la delusione che aveva provato dopo gli avvenimenti del quarto anno, quando il Ministero aveva fatto di tutto per screditarlo e quelle stesse persone che era destinato a salvare da Voldemort lo additavano chiamandolo “bugiardo”.
Piton aveva portato per tutta la vita quel marchio d’infamia; macchie che non si cancellano le aveva definite il falso Moody. Sentì un nodo alla gola pensando al loro ultimo incontro, quanto odio nelle sue parole, quanto male gli aveva sempre augurato.
Strinse i pugni fissando l’uomo legato di fronte a lui, odiandosi. Conosceva Piton da sette anni e non aveva mai capito chi era realmente, adesso era troppo tardi.


* * *



Severus era immobile, aspettava.
Serrò i denti fino a farsi male, doveva resistere ancora, il Dissennatore doveva avvicinarsi di più.
Aprì gli occhi; una di quelle orrende creature era a qualche metro da lui, poteva sentire l’odore nauseabondo di quella carne putrefatta. Era una visione terrificante, si muoveva lentamente, senza peso, come se fosse immersa nell’acqua, il sudario lurido nel quale era avvolta fluttuava leggero intorno a quel corpo in disfacimento e all’apparenza fragile, gli arti scheletrici, rigidi e anneriti protesi verso di lui.
Severus distolse lo sguardo: non voleva fosse quella l’ultima immagine che i suoi occhi avrebbero visto.
Cercò la severa figura di Minerva tra i presenti, ma non la trovò. Il suo sguardo, invece, incontrò quello di Potter.
Il mago rimase a fissarlo per qualche istante, era pietà quella che vedeva in quegli occhi? Potter l’aveva perdonato? Senza che se ne accorgesse, le sue labbra si piegarono impercettibilmente in un sorriso che, però, non sfuggì a Harry.
Il ragazzo si ricordò che Piton poteva vedere nella sua mente. Voleva che vedesse, avrebbe voluto dirgli che lui sapeva la verità, avrebbe voluto supplicarlo perché lo perdonasse.
Si sforzò di ricambiare sorridendo a sua volta, ma immediatamente si bloccò, il suo sorriso si mutò in una smorfia di terrore. Vide il mago strabuzzare gli occhi, e gettare la testa all’indietro urtando violentemente contro il palo di legno.
Il Dissennatore ora era di fronte a lui, l’orrendo orifizio che doveva essere la sua la bocca era spalancato a pochi centimetri dal suo viso. Era un’apertura informe, come una ferita infetta e maleodorante, una cavità oscura e mostruosa, la bocca dell’inferno.
Era cominciata.
“No!” urlò Harry, saltando in piedi. “No, no, NOOOOO!”
Severus tremava vistosamente, si sentiva soffocare, come se i suoi polmoni si fossero improvvisamente gelati, poi una tremenda sensazione di vertigini. Il mago afferrò con entrambe le mani la catena che gli legava i polsi al di sopra della testa, stava precipitando nel vuoto.
Un rantolo sfuggì dalle sue labbra serrate, mentre le sue mani si contorcevano cercando furiosamente un appiglio e riaprendo dolorosamente la ferita al polso.
Si aggrappò con le unghie al palo, incurante delle schegge di legno che si conficcavano nei polpastrelli.
Era ora, era la fine.
Sentì il respiro nauseante del Dissennatore farsi sempre più vicino. Un urlo esplose nella sua testa, erano le grida disperate delle sue vittime.
Sentì la loro paura, l’angoscia dell’ultimo istante di vita. Quell’attimo terribile nel quale la morte le coglieva, un istante lungo un’eternità, nel quale dolore, disperazione, paura diventavano un tutt’uno.
Ora erano parte di lui e lo sarebbero state per sempre. Un supplizio ripetuto all’infinito. Un’agonia bloccata nel suo momento peggiore, come se il tempo si fosse fermato.
Poteva sentirle morire, mentre era sua la mano che, stringendo il pugnale da Mangiamorte, spezzava quelle vite, una, cento volte. Sentiva la lama affondare nella carne e il sangue caldo scorrere e imbrattare i suoi vestiti e la sua anima, ancora e ancora.
Era questa la sua condanna: provare nello stesso tempo la disperazione delle vittime e la colpa dell’assassino.
“BASTA!” le grida di Potter tuonarono nella sala. Il ragazzo ansimava e tremava, era tremendo non poter far niente, sentì qualcuno afferrarlo per un braccio e cercare di rimetterlo seduto, senza neanche voltarsi, si liberò con uno strattone di quella mano, mentre fissava agghiacciato la scena di fronte a sé, pregando che finisse tutto in fretta.
No, stava pregando che Piton morisse.
Non avrebbe creduto di dover desiderare la morte di un uomo, non così. Si detestò, ma come poteva un essere umano sopravvivere a questo? La pazzia o la morte erano l’unica salvezza. Perchè Piton non aveva bevuto il veleno? Perché aveva scelto questo? Perché?
Severus aveva gli occhi spalancati e fissi, persi nell’orrore dei suoi ricordi.
Non aveva più la forza di lottare. Abbandonò il suo inutile appiglio, e si lasciò cadere nel baratro delle sue peggiori paure. Il suo corpo magro si accasciò pesantemente strattonando le catene che lo trattenevano per i polsi.
Poi, l’urlo di Potter risuonò nella sua mente dapprima come una voce indistinta, poi sempre più forte, fino a sovrapporsi alle altre voci che rimbombavano nella sua testa: “Basta!”
Sì, quell’orrore poteva finire, voleva che finisse, voleva fermare quella mano, la sua mano, voleva smettere di uccidere, e voleva smettere di morire.
“Basta!” Lui poteva mettere fine a quello strazio, poteva fermare quell’assassino, poteva uccidere quel mostro, doveva solo ingoiare il suo boccone.
Doveva farlo… ora.


Continua…


Ehm, ehm, non mi picchiate, vi lascerò soffrire solo per un’altra settimana, il prossimo capitolo sarà l’ultimo, abbiate ancora un po’ di pazienza e recensiteeeeee.
Un bacio a presto!


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Capitolo 6
*** Cap 6: La magia della fenice ***


Ciao Lukk sì siamo proprio all’ultimo, dispiace anche a me lasciavi così presto, ma per questa fic ho maltrattato anche troppo il povero Severus. Grazie ancora per i complimenti
Ciao mavi no, pietà non uccidermi, aiuto. Spero che ti piaccia quest’ultimo capitolo e che mi perdonerai per averti fatta soffrire un po’
Ciao starliam su, su che la paura poi passa. Però sono contenta di averti spaventata un po’ vuol dire che sono riuscita nel mio intento, volevo che quella scena fosse terribile, doveva esserlo per spingere un uomo come Piton a preferire il suicidio.
Ciao Sevvy , wow il professor Piton in persona? Be’ caro prof se leggerò la tua recenzione dopo questo capitolo vorrà dire che sarai ancora vivo, spero tanto di sì, auguri ;-D

Buona lettura!




CAP. 6: la magia della fenice



La sala era immersa in un silenzio irreale, gli occhi di tutti erano fissi sulla cupola luminosa e sulla scena raccapricciante che si stava consumando al suo interno.
Improvvisamente qualcosa attirò l’attenzione di Harry.
Gli sembrò di aver visto un’ombra muoversi dietro di una delle piccole feritoie situate nella parte alta della sala.
Senza distogliere lo sguardo da quel punto, agguantò Hermione per i capelli sollevandole di scatto la testa e, prima ancora di riuscire a pronunciare una sola parola, l’aveva già costretta a guardare nella direzione indicata dal suo dito.
“Fanny?” sussurrò lei.
Harry continuava a guardare la creatura che svolazzava fuori dalle mura. Effettivamente, si trattava di una Fenice, ma perché Fanny avrebbe dovuto trovarsi ad Azkaban? Forse anche lei voleva vedere vendicato il suo padrone?
Improvvisamente il grosso uccello si tuffò in picchiata dentro la sala. “Quella non è Fanny,”gridò Harry. “E’ un'altra Fenice.” e, impugnando la sua bacchetta, si lanciò al centro dell’arena, lasciando indietro un’Hermione sconcertata.
Intanto, i Dissennatori avevano circondato Piton che stava per ingoiare il suo boccone, ma il trambusto sembrò trattenere sia vittima che carnefici dal loro intento.
Severus che aveva sentito le urla di Potter, sollevò faticosamente la testa e si guardò attorno, cercando di capire cosa stava succedendo.
La sensazione di vertigine non lo aveva abbandonato, ma respirava meglio: il Dissennatore lo aveva lasciato andare.
Il mago lasciò che l’aria tornasse a riempire piacevolmente i suoi polmoni, era una sensazione stupenda. Tentò di mettere a fuoco quelle immagini che si muovevano di fronte a lui, e distinguerle da quelle che ancora si agitavano nella sua mente, quando Harry Potter gli balzò davanti interponendosi tra lui e un Dissennatore.
Nello stesso momento la Fenice sembrava voler trattenere gli Auror che si erano mossi per intervenire.
Harry scagliò il suo Patronus e i Dissennatori che continuavano ostinatamente a reclamare il loro pasto furono costretti ad arretrare. Purtroppo, il cervo luminoso di Harry ebbe anche l’effetto di disorientare gli altri Patronus; la barriera si sgretolò in una miriade di corpuscoli luminosi e il panico si sparse per la sala.
“Fuori! Tutti fuori! Uscite di qui!” Le grida di Malocchio sovrastarono tutte le altre, mentre gli Auror si schierarono per dirigere la folla urlante verso le uscite laterali.
Hermione, appena si rese conto delle intenzioni di Harry, lo seguì precipitosamente e, dopo aver schiantato due maghi che cercavano di trattenerla con la destrezza di un vecchio Auror, si lanciò verso Piton gridando: “Catena evanesco!”
Il mago fu di nuovo libero, sputò il suo scomodo boccone massaggiandosi i polsi poi, improvvisamente, sbarrò gli occhi, afferrò la ragazza e la trascinò a terra gettandosi sopra di lei.
Un Dissennatore era riuscito a superare il Patronus di Harry e si era lanciato su di loro.
Piton sentì il suo putrido sudario sfiorargli la schiena, mentre l’immonda creatura li oltrepassava, si sollevò sulle braccia e guardò Hermione.
“Tutto bene Granger?”
“S…sì… credo di sì.” balbettò, poi Piton allungò una mano e l’aiutò ad alzarsi.
Finalmente, gli Auror sembravano aver ripreso in mano la situazione e, una volta messe al sicuro tutte quelle persone, scatenarono i loro Patronus contro i Dissennatori.
Creature luminose di varie specie si affiancarono al cervo di Harry. Anche Moody appariva molto occupato e Piton ne approfittò per raggiungere l’uscita trascinando con sé la giovane Grifondoro.
Non capiva cosa stava succedendo, probabilmente tutto quel trambusto avrebbe solo ritardato l’inevitabile. Due ragazzini, un uccello e un mago disarmato contro un esercito di Auror e di Dissennatori, la situazione era talmente assurda che preferì non farsi domande e affidarsi all’istinto e, in quel momento, il suo istinto gli diceva di correre.
Qualcuno stava combattendo per lui, non sapeva perché, non sapeva se era giusto così, ma continuò a correre. Doveva procurarsi una bacchetta.
Dovette far appello ad ogni briciolo di energia rimastagli per raggiungere la gradinata trascinandosi dietro Hermione. Ma qualcuno li raggiunse.
“Fermati!”
Remus Lupin si parò davanti a loro puntando la bacchetta al petto di Piton.
Il mago spinse istintivamente Hermione da una parte e poi sollevò le braccia in segno di resa fissando ansante gli occhi del suo avversario.
Remus aveva uno sguardo di trionfo, fece un cenno al mago che teneva sotto tiro che indietreggiò spostandosi verso il centro dell’arena.
Intorno a loro infuriava ancora la battaglia. Moody stava rincorrendo un Dissennatore sulla gradinata, Harry era riuscito a respingerne due verso l’esterno, mentre la Fenice continuava a volteggiare sopra le loro teste.
Davanti ad un’Hermione terrorizzata, i due maghi si scambiarono uno sguardo di puro odio, Remus era irriconoscibile, abbassò lo sguardo sul pavimento e notò il boccone che Piton aveva sputato poco prima,
“Vedo che avevi optato per una morte rapida.” ghignò beffardamente. “Posso accontentarti”.
Piton s’irrigidì.
“Avad…”
“Expelliarmus!”
Harry, che si era sbarazzato dei due Dissennatori, ora puntava la bacchetta contro il suo ex professore.
Remus fu scaraventato a terra lontano dalla sua bacchetta.
“Harry, sei impazzito?” gridò, ma Piton non perse tempo e si lanciò addosso all’ex Malandrino con tutta la forza che gli era rimasta, cercando di metterlo fuori combattimento con sistemi molto babbani.
Harry ed Hermione assistettero alla scena con la bocca spalancata e non si accorsero di Moody che nel frattempo si era avvicinato ai due con la bacchetta in pugno e un’espressione furiosa.
“Impedimenta!” gridò e Piton si ritrovò supino ed immobilizzato da corde invisibili.
“Expelliarmus!” aggiunse l’Auror e, prima che potessero reagire, i due giovani furono disarmati.
“Bel tentativo, ragazzi! Credo che questa bravata vi costerà molto cara.”
Hermione si strinse al suo amico che le posò una mano sulla spalla, mentre i suoi occhi erano fissi sull’uomo che si dibatteva sul pavimento come un pesce fuor d’acqua.
Remus, intanto, si era rialzato barcollando, Piton doveva avergli rotto il naso perché la sua faccia era coperta di sangue.
“Tu, sporco Mangiamorte! Io ti…”
Si scagliò verso il mago a terra, ma fu bloccato da Malocchio che lo trattenne per un braccio. Poi Moody, rivolgendosi ai Guardiamaghi, ordinò: “Qualcuno catturi quell’uccello.” indicando la Fenice che continuava a volteggiare sopra di loro.
Decine di maghi puntarono in alto le loro bacchette, quando, tra lo stupore dei presenti, il grosso volatile, come richiamato dalle parole del vecchio Auror, planò elegantemente e si posò ai suoi piedi.
“Che dia…”
Moody non riuscì neppure a finire la frase che Hermione cominciò a gridare rivolta a Piton:
“La tocchi, presto! La deve toccare!” e, schivando Malocchio che si era voltato per fermarla, s’inginocchiò vicino a Piton, incitandolo.
Severus non era sicuro di aver capito le intenzioni della ragazza come, del resto, neppure Harry che continuava a guardare l’amica, come se si fosse trasformata improvvisamente nella nonna di Neville.
Tuttavia, l’ex Mangiamorte, mago oscuro e burbero professore capo della Casa dei Serpeverde, decise che, per una volta nella sua vita, avrebbe potuto seguire i consigli di una secchiona Grifondoro; tentò di muovere la mano destra per toccare la Fenice, ma le sue dita riuscirono appena a sfiorare le sue penne rosso fuoco.
L’incantesimo di Malocchio era ancora attivo e, nonostante l’impegno, la sua mano restò saldamente legata a terra, e fu allora che la bellissima bestia, tra gli sguardi attoniti dei presenti zampettò verso di lui e si accoccolò, posando la testa sulla sua mano.
Un lampo di luce accecante si sprigionò dal suo corpo. La luminosità fu tale che l’occhio magico di Moody schizzò in alto come impazzito, mentre tutti si portarono istintivamente le mani sul viso per proteggersi.
Quando riaprirono gli occhi, ciò che gli si presentò davanti aveva dell’incredibile.


* * *



Albus Silente, inginocchiato vicino ad un Piton incredulo e pallido come un cencio, sorrideva sornione paludato in uno strano mantello fatto di piume. Dato che ai presenti sembrava essere caduta la lingua, il vecchio preside si rivolse all’uomo a terra. “Scusa il ritardo amico mio.” e poi, alzando semplicemente una mano, enunciò:
“Finite incantatem!” e Piton fu libero di muoversi. Harry, appena fu in grado di richiudere la bocca e di riconnettere il cervello al resto del suo corpo, si precipitò verso Silente aiutandolo ad alzarsi. I suoi occhi erano puntati su Hermione che sembrava l’unica ad aver intuito quello che sarebbe successo.
Anche Moody si mosse, ma verso Piton e, porgendogli una mano, lo sollevò da terra.
Il gruppetto ora si era riunito in cerchio intorno al vecchio mago, mendicando una spiegazione. Anche gli altri Auror e le guardie presenti nella sala si erano avvicinati, pronti ad ascoltare una storia certamente incredibile.
Con loro erano sopraggiunti Hagrid e la professoressa McGranitt che, appena riavutasi dallo svenimento, era stata informata di quello che era avvenuto nella sala.
Quando scorse la figura di Silente da lontano, si affrettò a raggiungerlo, anche se fu anticipata dal goffo gigante. Hagrid si precipitò ad abbracciare l’anziano mago e per poco non lo stritolò con le sue manone, mentre singhiozzava rumorosamente.
“Va bene, va bene Hagrid! Anch’io sono felice di vederti.” disse Silente, mentre tentava di divincolarsi dalla stretta dell’uomo.
Poi rivolgendosi alla donna: “Minerva cara, potrai mai perdonarmi?”
Lei lo abbracciò piangendo.
Silente allora si lisciò la barba e si rivolse prima a Moody con aria solenne e un po’ divertita.
“Dato che non sono più… morto…” fece una lunga pausa gustando le espressioni dei suoi ascoltatori. “Credo che le accuse contro il nostro amico debbano essere… ehm … rivedute.”
Alla parola amico la faccia di Piton si contrasse in una smorfia, tuttavia dai suoi occhi neri le lacrime premevano per uscire.
Improvvisamente la consapevolezza si fece strada nella mente di Severus.
“Un Horcrux!”
Tutti si voltarono verso di lui, Silente sorrise, mentre Hermione assumeva un’espressione soddisfatta.
“Io sono stato il suo Horcrux per tutto questo tempo?” disse non nascondendo una certa irritazione.
“Sì… e no!” Rispose l’altro, continuando a lisciarsi la lunga barba. “Sei stato qualcosa di molto simile ad un’Horcrux, una magia molto antica, una magia possibile solo fra due persone legate da grande amicizia e lealtà.”
Gli occhi del mago dai capelli bianchi divennero lucidi.
“Nel momento in cui l’incantesimo si è realizzato ho capito veramente chi era l’uomo che era stato al mio fianco per tanti anni, non potevo scegliere amico migliore.
“Perché non me lo ha detto?” lo incalzò Piton.
“Probabilmente perché temevo che non avresti compiuto il tuo dovere fino in fondo sapendo di avere la mia anima dentro di te, inoltre sarebbe stata una cosa troppo difficile da nascondere a Voldemort nonostante il tuo talento in Occlumanzia.”
“Ma la Fenice? Cosa c’entra la Fenice?” s’intromise Lupin che fino a quel momento era rimasto un po’ in disparte.
Silente lo guardò con un’espressione di falsa colpevolezza.
“Vedi caro Remus, i tuoi amici non erano gli unici Animagus non registrati… Ahimè!” sospirò.
“Birichinate di gioventù!” Poi, posando una mano sulla spalla di Piton:
“Inoltre, a difesa del mio collega, nonché stimato membro dell’ordine della Fenice, devo dirvi che sono stato io a costringere Piton a fare quello che ha fatto. Era necessario in quel momento che Voldemort mi credesse morto, ma, soprattutto, che la sua fiducia in Severus fosse piena, solo così è stato possibile minare dall’interno il suo potere malvagio. Poi scoppiò in una risata colpendo sulla schiena un Piton non ancora del tutto saldo sulle gambe.
“Purtroppo, dopo essere rinato come Fenice dalle mie ceneri, per riavere i miei pieni poteri e quindi il mio vecchio corpo, dovevo recuperare la parte della mia anima che avevo trasferito in te, quando mi hai lanciato quell’Avada Kedavra.” disse rivolto al mago bruno.
“Ma è stato impossibile trovarti finora.”
Piton ghignò.
“Era naturale che mi nascondessi.” poi, lanciando un’occhiata sbieca all’Auror più anziano:
“Questo vecchio pazzo mi ha sguinzagliato contro l’intero Ordine della Fenice.”
Tutti risero.
Ciò nonostante non c’era gioia negli occhi di Piton, Malocchio lo squadrò per qualche istante con l’occhio magico, mentre l’altro era perso nel voto inseguendo chissà quali pensieri, infine, passandosi un dito sul mento considerò:
“Beh, penso che la questione di Severus possa essere riesaminata, certo bisognerà sbrigare qualche faccenda burocratica, in fondo non vi sono casi precedenti. Parlerò io al giudice…” Il suo sguardo cercò l’approvazione dei presenti, il loro silenzio lo invitò a proseguire.
“Nel frattempo… mi dispiace Severus,” disse rivolto al Mago. “Ma, dovrai usufruire ancora dell’ospitalità della nostra prigione.”
Hermione aprì la bocca come per rispondere, ma non pronunciò alcun suono, i suoi occhi tuttavia si erano posati speranzosi su Silente che, rispondendo alla sua muta richiesta, disse ostentando sicurezza:
“Sono certo che sarà per poco tempo.” Poi rivolto a Moody: “Non sei d’accordo, Alastor?”
L’Auror annuì.
Nel frattempo, Severus aveva assistito alla discussione a testa bassa come se il peso di quell’ultimo anno gli fosse improvvisamente piombato sulle spalle. Aveva fatto qualche passo indietro in modo da potersi appoggiare al palo dove poco prima era stato legato.
Silente lo notò e, con un lieve cenno del capo, comunicò ai suoi interlocutori la sua intenzione di voler restare solo con Piton. Infatti, come se avessero ricevuto un ordine telepatico, i maghi si spostarono continuando la loro conversazione qualche metro più in là.
“Stai bene Severus?” lo interrogò Silente.
Piton alzò lo sguardo carico di dolore.
“Per un istante, ho creduto che il suo ritorno avrebbe potuto in qualche modo cancellare quello che ho fatto, ma non è così.”
Silente lo fissò comprensivo.
“Severus, io…” protese una mano verso l’uomo più giovane, ma questo si allontano di scatto.
“Io ho ucciso, l’ho fatto volontariamente.” strinse i pugni fino a farsi sanguinare i palmi con le unghie.
“Io non sapevo della Fenice e dell’Horcrux… No! Io resto sempre un assassino, checché ne dirà questa corte.”
Silente abbassò lo sguardo.
“Non lo siamo stati tutti, Severus? C’era una guerra: un soldato in guerra uccide. So di averti chiesto un grosso sacrificio, non me lo perdonerò mai, ma se mi ritrovassi nella stessa situazione agirei nello stesso modo. Entrambi sappiamo come potevano andare le cose se ti fossi rifiutato di obbedirmi.”
Si voltò e chiuse gli occhi riportando alla mente gli avvenimenti di quel giorno.
“Draco probabilmente avrebbe fallito la sua missione e Voldemort avrebbe ucciso lui e la sua famiglia per vendicarsi. Tu saresti morto a causa del giuramento, quindi non avresti potuto aiutare Harry che sarebbe stato ucciso da quel Mangiamorte e, senza di lui, non avremmo vinto questa guerra.”
Poi con un luccichio negli occhi si rivolse nuovamente a Severus.
“Ed io … sarei morto in ogni caso.”
Fece un cenno a Moody di avvicinarsi e poi continuò.
“Siamo stati entrambi delle pedine in mano al destino.” Sorrise. “Ci vedremo presto amico mio, credo che a Hogwarts abbiano bisogno di un professore per la cattedra di Difesa.”
Anche Severus abbozzò un sorriso.
Silente fece per andarsene poi tornò sui suoi passi e bisbigliò.
“Ah… Dimenticavo… visto che i Malfoy saranno ospitati qui ancora per molto tempo credo che Draco avrà bisogno di un tutore, tu che ne pensi?”
Il volto di Piton s’illuminò e lo guardò, mentre si allontanava. Due guardie gli si avvicinarono per accompagnarlo in cella. Severus sperò di essere trasferito in un ambiente più confortevole, ma poi ne esistevano ad Azkaban? Seguì la sua scorta senza farsi pregare, quando Harry Potter li bloccò, i due si squadrarono per qualche istante poi il ragazzo disse con la voce rotta dall’emozione:
“Mi …. mi dispiace!”
Lupin gli si avvicinò posandogli la mano sulla spalla.
“Credo che Severus dovrà perdonarci entrambi.” disse, rivolgendosi prima a Potter poi a Piton. “Non deve essere stato facile per te essere considerato da tutti un traditore.”
“Infatti, non lo è stato.” rispose brusco poi, osservando soddisfatto il naso rotto di Lupin, aggiunse:
“Comunque, ora è finita, Mannaro, spero che avrai un comportamento più professionale in futuro.” Lupin e Harry si scambiarono uno sguardo stupito, e lui continuò con un ghigno dipinto sul volto magro. “Sai, credo che accetterò la cattedra di Difesa e poiché, non credo che Minerva abbia mai trovato un sostituto valido in Pozioni… pensavo…”
Indugiò volutamente. “…di proporre te.”
Gli Occhi di Lupin si spalancarono.
“Cosi finalmente potrai insegnare ai tuoi allievi a prepararti quel tuo intruglio, chissà che non si dimostrino più capaci dell’insegnante!” concluse, acido, Piton, mentre si allontanava.
“Severus!” Lupin lo fermò afferrandolo per un braccio, poi cominciò a frugarsi nelle tasche sotto lo sguardo incuriosito di Piton. Felice come un bambino tirò fuori un pezzetto di cioccolato.
“Sapevo di averne ancora.” disse porgendolo all’altro che rimase a fissare quel dolcetto come se non avesse mai visto qualcosa di così bello. “Credo proprio che tu ne abbia bisogno dopo questa giornataccia.” sorrise.
Piton lo guardò arricciando le labbra.
“Grazie!” borbottò, appropriandosi di quel piccolo tesoro, con qualche esitazione.
I due maghi lo seguirono con lo sguardo, mentre veniva portato via.


* * *



Improvvisamente, però, un forte rumore li fece voltare di scatto verso il portale di legno dal quale, poco prima, avevano fatto il loro ingresso i Dissennatori.
La porta era divelta. Nonostante fosse rinforzata con la magia, era stata scardinata con estrema facilità e quella che somigliava ad una fiammata rossa abbagliò la loro vista.
Anche Piton e le guardie che lo scortavano si bloccarono e fissarono stupiti ciò che era appena piombato nella stanza, volando attraverso il varco che si era creato: un magnifico uccello.
Riconobbero la bellissima Fenice di Silente, le sue ali sembrarono lasciare una scia di fuoco, un turbinio di polvere e fumo li avvolse.
Lupin, che era più vicino alla porta, dovette abbassarsi di scatto per non essere travolto da Fanny. Tuttavia, l’attenzione di tutti si rivolse immediatamente alla persona che seguiva a poca distanza la Fenice: Draco Malfoy, trafelato e bagnato fradicio era lì in piedi sulla soglia.
Sembrava più sorpreso degli altri per quella situazione, si guardò attorno, e il suo sguardo si posò su Silente, il preside ricambiò con un sorriso. Fanny ora era appollaiata sulla sua spalla e il mago le accarezzava il morbido piumaggio.
“Ottimo lavoro, mia cara Fanny, un tempismo perfetto.” sussurrò alla Fenice che mostrò di gradire le coccole del vecchio mago.
Silente, intanto, continuava a fissare Draco con un’espressione divertita. Intorno a loro un assoluto silenzio, nessuno osò intromettersi, neppure le guardie si mossero per intervenire.
Il ragazzo sembrava spaventato, non riusciva a capire; Fanny lo aveva afferrato per il mantello e trascinato lì senza troppo garbo e senza il suo consenso.
Continuò a fissare Silente, e il suo cuore prese a battere all’impazzata.
Il preside era vivo e, se lui era vivo allora…
Improvvisamente si rese conto di quello che poteva essere successo. Guardò ancora il vecchio mago, come per accertarsi che fosse tutto vero, e poi i suoi occhi incrociarono quelli di Severus Piton.
Era lì che lo guardava, i suoi occhi neri erano quelli di sempre, il suo sguardo era quello di sempre, no, forse era uno sguardo più sereno.
Non era stato dissennato, il suo professore era ancora lì, la sua anima era ancora lì.
Draco si precipitò verso di lui gettandogli le braccia al collo, lasciando i presenti a bocca aperta. Il mago bruno s’irrigidì: non era abituato a simili dimostrazioni d’affetto. Trattenne il respiro, e non si mosse, ma il giovane Malfoy si era praticamente aggrappato alla sua tunica e affondava il volto rigato dalle lacrime nella stoffa logora.
“E’ stata tutta colpa mia, mi perdoni, la prego mi perdoni.” gemette.
Severus abbassò lo sguardo, il ragazzo era così pallido e i capelli bagnati erano scomposti in piccole ciocche gocciolanti.
Alzò una mano e, con fare un po’ incerto, scansò dalla fronte del giovane un ciuffo di capelli e gli sollevò il viso. Lo guardò negli occhi. Gli voleva bene, non aveva mai voluto ammetterlo, ma gli voleva bene: Draco era il figlio che non aveva mai avuto, il figlio del suo miglior amico e, nello stesso tempo, figlio del suo peggior nemico. Un ragazzino che, come lui, si era trovato dalla parte sbagliata di una guerra, non per colpa sua, ma a causa di un nome, il suo nome, “Malfoy”. Un destino già segnato fin dalla sua nascita, al quale però era riuscito ad opporsi con coraggio e determinazione.
Gli occhi di Severus divennero lucidi e una lacrima scivolò pigra sulle sue guance. Era la prima dopo tanto tempo, non aveva più pianto, forse da quando era ancora un bambino. Troppo il dolore, l’orrore che aveva visto in quegli anni. Le lacrime non sarebbero bastate a lavare il sangue dalle sue mani. Le aveva relegate nella parte più nascosta del suo animo ed era semplicemente andato avanti.
Ora quel giovane uomo, stava riportando alla luce il suo cuore. Sì c’era ancora il suo cuore, Severus Piton era ancora un uomo, con dei sentimenti e tanto amore e affetto da offrire e lo avrebbe fatto, si sarebbe preso cura del ragazzo come se fosse stato suo figlio e insieme avrebbero dimenticato il dolore. Lo strinse a sé e si lasciò andare in un tenero abbraccio.
Intorno a loro si era formato un cerchio, la professoressa McGranitt singhiozzava affondando il naso in un fazzoletto di pizzo, mentre Silente gustava soddisfatto la scena come un pittore che ammira la sua opera. Nessuno voleva interrompere quell’abbraccio, nessuno se lo sarebbe aspettato dal burbero professore.
Harry più di tutti guardava i due maghi con un pizzico di malinconia, avrebbe voluto essere Malfoy in quel momento, avrebbe voluto che Sirius fosse lì e lo stringesse ancora fra le sue braccia. Avrebbe voluto un padre. Ma ora che Silente era tornato non si sentiva più così solo. Ora poteva finalmente vivere una vita normale.
Remus si avvicinò ad Harry, posandogli con affetto la mano sulla spalla.
Silente e Minerva si scambiarono uno sguardo complice, anche ad Hermione non era sfuggito il significato di quel gesto: ora tutto sarebbe andato a posto, anche per Harry.
Lupin, l’ultimo dei malandrini, era quello che più si avvicinava ad un padre per il ragazzo, dopo Sirius. Sorrise: sì, ora tutto sarebbe andato bene, Harry e Draco avrebbero avuto finalmente quella vita serena che gli era stata negata per troppo tempo.
Alle sue spalle la voce di Silente sembrò confermare i suoi pensieri.
“Ora la guerra è finita davvero.” sussurrò.


FINE


E con questo saluto tutti, spero che mia soluzione finale, certo un po’ bizzarra, non vi abbia scioccato troppo. In realtà non credo affatto che Silente non sia morto, ma il mio Severus andava salvato in qualche modo. Dopo tutto quello che gli ho fatto passare, mi sarei sentita davvero in colpa se l’avessi pure dissennato.
Non so se scriverò ancora, non si può mai dire, probabilmente riprenderò in mano “Traditore” che va sistemato e forse, visto che i vostri commenti mi hanno incoraggiata tenterò di scrivere una nuova ff, ovviamente il protagonista sarà sempre lui, il misterioso, affascinante e sempre più iellato, Severus Piton
Un abbraccio

Astry

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