L'ultima erede

di Irine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Ero nella mia camera e cercavo di memorizzare quante più informazioni possibili sui più famosi poeti italiani, di cui naturalmente non riuscivo a ricordare nulla.
Era una bella giornata, i raggi del sole risplendevano nel cielo illuminando tutta la città.
No! Era contro le leggi umanitarie restare chiusi in casa in una così bella giornata di sole, contro la propria volontà. Sarebbe stato sequestro di persona. Inoltre domani ricominciava la scuola e non mi andava di sprecare il mio ultimo giorno di libertà in quel modo. Tanto quell’anno avrei avuto fin troppo tempo per studiare. Chiusi il libro e mi buttai giù dal letto rischiando una bella capocciata nel comodino che evitai per un soffio. Mi infilai le scarpe e scesi di corsa al piano terra.
- Torna a casa verso le otto. - mi ammonì mia madre.
- Tranquilla mamma spaccherò il secondo!
Uscii, chiudendomi la porta alle spalle, e venni investita dalla luce del sole, i raggi si riversarono nelle iridi dei miei occhi verdi, screziati nell’azzurro. Il lieve venticello mi scompigliava i capelli e il sole giocava con i miei riccioli dorati.
Il mio era un paese molto piccolo, tutti si conoscevano e si facevano gli affari degli altri, e quando avevi bisogno di una mano, avevano gli occhiali appannati. A volte avrei voluto uscire da quella città, tanto piccola che si vedevano i confini ad occhio nudo, sentivo che il mio posto non era qui ma da un’altra parte, come se fossi capitata lì per sbaglio. Non mi ero mai sentita a casa in quel paesino, nonostante ci fossi cresciuta. Forse erano solo paranoie, forse avevo solo voglia di conoscere il mondo, cosa normalissima che accade quando uno ha sedici anni.
- Ciao Grace - mi salutò gentilmente la mia vicina di casa, interrompendo il flusso dei miei pensieri. Le risposi con un sorriso e corsi dritta verso la casa di Laila. Laila è la mia migliore amica, la conoscevo da quando andavamo alle elementari insieme, siamo sempre state insieme, in un modo o nell’altro non avevo ricordi che non fossero legati a lei.
Suonai il citofono, mi rispose una voce allegra e vivace.
- Ciao Grace, sali pure ho una sorpresa per te!
Salii le scale e scoprii il motivo di tanto entusiasmo. Stava preparando le pizzette.  Aiuto! Cercai di dileguarmi ma inutilmente, mi afferrò per un braccio e mi spinse verso le pizzette, se così si potevano chiamare.
-Queste le devi assaggiare, le ho fatte personalmente, ci ho lavorato tutta la mattina!- trillò lei contenta.
Guardai le pizzette, sconfortata. Le pizzette di Laila, al primo posto tra i suoi terribili esperimenti culinari, no al secondo, al primo posto c’erano i biscotti. Ne assaggiai una ma solo per farla felice.
-Beh? Sono buone vero?- Non sapevo esattamente cosa risponderle, erano senz’altro la cosa più disgustosa che avessi mai mangiato in vita mia.
- Sono ottime! Magari un pochino troppo dolci . . . – risposi a denti stretti.
- Ah, forse non avrei dovuto metterci il cioccolato . . .
- Che hai detto?
- Ci ho messo il cioccolato volevo provare una nuova ricetta e così . . .
Il cioccolato? Il cioccolato nelle pizzette? Oddio stavo per vomitare. Le pizzette avevano decisamente guadagnato il primo posto distanziando tutti gli altri concorrenti, scommetto che se avesse lasciato quelle pizzette sul tavolo si sarebbero buttate nel cestino da sole per non rischiare di ammazzare qualcuno.
Dopo essermi ripresa, uscimmo di casa, ridendo e scherzando tutto il pomeriggio, ci sedemmo sul nostro muretto preferito e ci lasciammo cullare dal vento e accarezzare dai raggi del sole, ognuno perso nei propri pensieri. Non ci potevo credere domani si ricominciava, tutte le interrogazioni, le verifiche, le urla delle professoresse che ci assordavano, sembrava ieri che me le ero lasciate alle spalle e da domani me le sarei ritrovate davanti. Uff! Già pensare queste cose mi faceva venire la stanchezza. Guardai la mia migliore amica, non sembrava affatto più contenta di me all’idea di un nuovo anno scolastico. Ad un certo punto mi fissò e mi chiese:
- Che hai?
Era incredibile! Riusciva a capire tutti i miei pensieri senza che io aprissi bocca.
-Niente stavo solo pensando che non so se reggerò ad un altro anno scolastico.
-Già, mi ricordo che l’anno scorso ti ho dovuta portare in spalla da tanto che eri stanca.
-Non sto scherzando dico sul serio, come faremo a sopportare altri nove mesi di tortura?!
-Faremo come al solito, la professoressa ci dirà cosa fare e appena si gira faremo quello che ci pare!
Ridemmo spensieratamente finché non ci accorgemmo che anche l’ultimo raggio di sole stava per scomparire.
Guardai l’orologio . . .  Accidenti! Erano le otto e se non ero a casa entro un secondo mia madre stavolta mi uccideva sul serio.
-Ciao Laila devo scappare se voglio evitare la carneficina!
-Domani ti aspetto fuori casa e andiamo a scuola insieme, ok?
-Certo! C’è bisogno di chiederlo?
-Ciao!
Corsi lungo la strada per tornare a casa, oddio non ce l’avrei mai fatta a tornata in tempo.       
Stavolta mi sarei beccata proprio una bella strigliata. Arrivai davanti al portone, guardai l’orologio, le otto e un quarto. Entrai in casa, regnava un inquietante silenzio, che strano non c’era nessuno. Salii lo scalino davanti alla porta e con la mia incredibile destrezza riuscii a inciampare e a colpire la lampada di vetro. In un secondo mi trovai con le ginocchia a terra e i vetri della lampada vicino a me. Accidenti avevo rotto la lampada! E ora come lo avrei detto alla mamma?
Beh, dopotutto le avevo detto che avrei spaccato il secondo, e invece ho spaccato la lampada, potevo sempre sperare che per lei fosse la stessa cosa e che non se la prendesse troppo. Sentii la serratura della porta aperta da una chiave, la porta scricchiolò e mia madre entrò in casa.
- Ciao Grace, ero uscita un attimo per comprare il sale e . . . ma . . che è successo?!
- Ehm, . . . ciao mamma come va?
- Grace! - tuonò mia madre - Che hai combinato?!
-Beh, ecco, . . ho avuto un piccolo incidente e ho rotto la lampada. Però, non l’ho fatto apposta.
Mia madre mi guardò con i suoi occhi blu, ridotti a due fessure e disse impassibile:
- Rimetti a posto questo casino, poi andiamo a cena. - Meno male, l’avevo scampata! Era questo il bello di mia madre non è capace di arrabbiarsi troppo. Riusciva a tenere il broncio per un po’ ma poi mi perdonava e le tornava il sorriso. In quel momento mia sorella Jenny entrò e esclamò con un sobbalzo:
- Che è successo?! - ci risiamo, ora mi toccava rispiegare tutto.
- Sono scivolata e ho fatto cadere la lampada- risposi io un po’ scocciata.
Mia sorella si chinò e mi aiutò a raccogliere i cocci. Jenny aveva tre anni più di me, non mi assomigliava per niente, i suoi capelli erano di colore castano chiaro e i suoi occhi erano di un blu così scuro da sembrare quasi nero, il fisico snello e l’andatura così aggraziata, che non sembrava neanche che camminasse. Io invece penso di aver già dato prova della mia innata destrezza. Non andavo molto d’accordo con mia sorella, sentivo molto più vicino a me Laila più di quanto considerassi Jenny una sorella. Lei non aveva tempo per occuparsi di me, ogni volta che le chiedevo un aiuto, un consiglio, aveva sempre qualcosa da fare, evidentemente più importante della sua sorellina minore.
-A cenaaa!- urlò mia madre dalla cucina.
-Muovetevi!- strepitò mio padre, - L’ultima volta mi avete fatto aspettare un’ora! Il mio povero stomaco brontola, come potete essere tanto insensibili?! 
Buttai i cocci nel cestino, ed entrai in cucina, mio padre avrà avuto circa quarant’anni anche se a  volte sembrava più giovane, lavorava in banca ed era il direttore generale. Aveva gli occhi marrone chiaro da sembrare giallo e i capelli biondi, nonostante cominciasse a spuntare qualche capello bianco. Ormai avevo smesso di farglielo notare, chissà perché ma l’idea dei capelli bianchi lo infastidiva. Mia madre invece, aveva gli occhi blu, che al sole diventavano chiarissimi e i capelli neri come il petrolio. Nonostante i colori contrastanti, il suo viso sembrava una pittura rinascimentale. Lavorava come segretaria in un ufficio al centro della città.  Andammo a cena e parlammo del più e del meno. Come al solito io combinai qualche guaio, tipo rovesciare tutta l’insalata in testa a mio padre. Sembrava un mostro marino coperto di alghe! Passammo tutta la sera così; ridevamo allegri e contenti, mentre un pensiero mi attraversava la mente:
Domani ricominciava l’Inferno! 
 
 


Ho chiesto a mia madre cosa ne pensava della storia, ma le mamme non dicono mai la verità. Per favore rencesite, così mi dite cosa ne pensate!!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Il sole traspariva dalle persiane e si posava sul mio viso, soffermandosi sui miei occhi, costringendoli ad aprirsi. Mi misi sotto il cuscino, cercando di sfuggire alla luce del sole, ma in quel momento la sveglia cominciò a suonare e mi torturò i timpani con il suo rumore angosciante. Possibile che non avessi neanche un briciolo di febbre? Magari il morbillo, la varicella, macché, niente. Oggi ricominciava la scuola!
 Mi alzai, chiaramente contrariata e scalciai via le coperte. Spensi la sveglia rischiando con la mia solita grazia di romperla, e gironzolai per la stanza con l’aria assonnata e le palpebre ancora socchiuse. Tirai su le persiane della finestra e la luce del sole si tuffò nei miei occhi facendomi svegliare del tutto.
La città non si era ancora svegliata, era troppo presto, era ancora persa nei suoi sogni. Sugli alberi gli uccellini appena svegliati cinguettavano e pigolavano. Tutto intorno era tranquillo, non c’era un solo rumore che osava turbare la quiete di questo piccolo paradiso.  Per un attimo mi persi in questa quiete, poi ad un tratto mi venne in mente una cosa: LA SCUOLA!
Guardai la sveglia: cavolo, ero in ritardo! E di molto. Filai di corsa in bagno, mi lavai più in fretta che potevo, afferrai lo spazzolino e mi sciacquai i denti mentre correvo in camera a vestirmi.
Nella fretta lo spazzolino cadde per terra e io scivolai sul dentifricio, beccandomi una bella botta di prima mattina. Che dolore! Che dolce risveglio! Mi rialzai in piedi e rimisi lo spazzolino al suo posto prima chi ci inciampassi di nuovo. Mi vestii in fretta e furia e scesi di sotto. Le otto meno un quarto. Ok, non ero così in ritardo dopo tutto, finalmente mi sedetti, con il mio immancabile succo alla pera in mano e mi massaggiai la gamba indolenzita dalla caduta di prima. Mi riposai 5 minuti ed uscii di casa. Laila è già lì che mi aspettava, chiaro, lei era sempre puntuale.
- Finalmente, ma quanto ci hai messo? Mi hai fatto aspettare un’eternità! Credevo che avessi marinato la scuola!
- Esagerata! Sono in ritardo solo di qualche minuto! - dissi io, anche se sapevo che aveva perfettamente ragione.
- Qualche minuto? Ma lo sai che ore sono?
- Va bene, va bene sono in ritardo, e dai anch’io qualche volta ho dovuto aspettarti!
- A parte che non è mai successo, e poi una volta può capitare ma sempre . . . . secondo me lo fai apposta!
- Ma non è vero! – esclamai ridendo.
- E che mi dici di quella volta che ti ho dovuto aspettare 2 ore perché avevi sbagliato strada? - ribatté lei.
- Beh, se vai proprio a cercare il pelo nell’uovo . . . Sei solo gelosa perché tu non hai un talento ritardatario come il mio!
Scoppiammo a ridere. Il sole picchiava sopra la nostra testa, fino a diventare quasi insopportabile.
- Sarebbe una bella giornata per andare al mare e non a scuola. – sussurrò Laila, quasi sovrappensiero.
A quelle parole mi ritornò in mente il sogno che aveva fatto quella notte. Era strano, incomprensibile. Mi trovavo davanti a un lago, e qualcosa dentro di me si era mosso. Qualcosa di doloroso, come se una mia vecchia ferita, non ben rimarginata, si fosse riaperta dopo tanto tempo. Il mio cuore si era intristito di colpo, ma la mia mente non ne capiva il motivo. Mi ero sentita confusa, e per un momento avevo anche creduto che qualcuno mi stesse osservando; ma intorno a me non c’era nessuno. Ero sola.
- Dai andiamo, o faremo tardi- disse Laila, facendomi tornare con i piedi per terra. A dire il vero sembrava che arrivare in ritardo fosse la cosa che desiderava di più al mondo.
Arrivammo a scuola. Nell’atrio c’era un mare di gente che si riabbracciava, si lamentava e che aspettava che la propria classe fosse chiamata.
Riabbracciai tutte le mie amiche che non avevo più visto dalla fine della scuola. Sembrava di essere ad una rimpatriata, anche se un po’ più malinconica. Il bidello chiamò la nostra classe e noi ci avviammo verso i nostri nuovi luoghi di tortura. Prendemmo posto e il professore di storia entrò in classe, fece l’appello e ci salutò gentilmente. In fondo il professore era un tipo simpatico e comprensivo, ma allora perché mentre iniziava a parlare avevo una gran voglia di urlare e di buttarmi dalla finestra?!
Le ore si susseguirono molto, molto lentamente ma fortunatamente senza troppe sorprese, almeno finché non entrò il professore di italiano e ci annunciò che domani avrebbe fatto un test sui più famosi poeti italiani, per vedere cosa fossimo riusciti ad assimilare su quell’argomento, durante le vacanze estive.
Dai miei compagni provenne un mormorio di disapprovazione.
- Silenzio – ci ammonì il professore. – Il test non è difficile, e se quest’estate avete studiato come si deve non avete nulla da temere, no?- Fantastico! Io e Laila ci guardammo sconfortate, i poeti italiani? E chi se li ricorda? Il prof la faceva facile, se avevamo studiato . . . . . però se qualcuno non aveva studiato? O anche se avesse studiato non si ricordasse nulla? Come nel mio caso? E ora come avrei fatto?
Laila non era certo messa meglio di me, ma la prendeva con filosofia:
- Guarda il lato positivo, anche se prendiamo quattro al primo compito, in quelli altri potremo solo migliorare no?- Grazie tante! Il problema era che non era affatto facile recuperare un 4, soprattutto con il nostro prof di italiano. Era una persona che non ti regalava nulla, e che non ti aiutava molto. “O ti pieghi o ti spezzi!” Questo era il suo motto. Da noi studenti era stato cambiato ed era diventato: “O ti pieghi o ti spezzo”, e il professore di italiano era un tipo che non si faceva problemi a darti un due in pagella. Andavamo bene.
Tirai un sospiro, non c’era altro da fare, dovevo mettermi sotto per studiare tutto. Già a studiare il primo giorno di scuola, che strazio.
Anche l’ultima ora finì e uscimmo più tristi e demoralizzati di quando eravamo entrati.
Salutai Laila e tornai a casa, mia madre vide la mia aria sconfortata e disse:
- Direi dalla tua espressione che il primo giorno di scuola è andato a meraviglia!
- Già, proprio- risposi, accennando un sorriso.
- Muoviti che dobbiamo mangiare.
Poco dopo ci mettemmo a tavola, ma non avevo fame, il che era abbastanza strano, ma come faceva a mangiare sapendo che domani il prof. avrebbe fatto un test al quale avrei preso di sicuro 4? Quattro? Macché! Ci avrei preso 2 altroché!
C’erano solo tre soluzioni: o tiravo una bastonata al prof. costringendolo a non fare più il compito. No, troppo pericoloso, avrebbe potuto citarmi per danni fisici e morali. O resto a casa, ma non è un’opzione possibile visto che i miei mi mandavano a scuola a forza. E anche se mi avessero lasciato a casa il prof. mi avrebbe fatto rifare il test. No! Decisamente questa non era la soluzione migliore.
Restava l’idea geniale! Dovevo solo aspettare che mi venisse in mente.
- Non hai toccato cibo- osservò mio padre.
Come potevo fare?
-Ehi Grace!
-Eh?
- Non hai toccato cibo, non hai fame?
- Ehm, no, non ho tanta fame e poi non ho tempo per mangiare, devo andare a studiare - dissi scoraggiata. Mi alzai da tavola portando il mio piatto, ancora pieno di cibo, all’acquaio.
Salii le scale, andai in camera e mi buttai sul letto, aprii il libro e cominciai a studiare. Sottolineavo le cose  più importanti, ripetevo e memorizzavo i concetti, sì questo lo sapevo, questo pure. Però, che palle! Passò un’ora, due ore, tre ore . . .  Alla fine mi scoppiò la testa e non ce la feci più. Scesi e presi dal frigo un succo di frutta, per fare una pausa. Jenny intanto parlava e scherzava al telefono, mi infastidiva vederla così spensierata, possibile che non avesse mai niente da fare? Chiuse la telefonata e mi guardò:
- Hai già finito i compiti?- disse stupita. – Meno male! Credevo che ci saresti stata tutta la giornata - mia sorella che si preoccupava per me? Incredibile! – Preferisci lo studio piuttosto che il divertimento, io non ti capisco proprio. - aggiunse poi cercando di provocarmi. E mi pareva strano che si preoccupasse per me!
- Beh non tutti possono fare quello che vogliono quando vogliono, come fai tu!- risposi io, cogliendo al volo la provocazione.
- ah già certo, studia povera piccola, altrimenti mamma e papà si arrabbiano!- mi schernì. Ora la strozzavo!
- Stai zitta Jenny!- Lei mi guardò con aria di sfida. – Altrimenti che fai? Mi denunci a mamma e papà? Sto tremando di paura!
Sì, era definitivo! L’avrei strozzata. Purtroppo mia madre entrò in casa in quel momento e mi impedì di mettere in atto il mio proposito.
- Hai finito di studiare?- Domandò mia madre.
- No, non ancora ero scesa per fare una pausa e . . . .
- Come non hai finito? Sono le 5 e mezzo e stai qui a gingillarti? Fila subito a studiare! – urlò mia madre. Mia sorella fece un sorrisetto che avrei tanto avuto voglia di cancellare dal suo viso, ma adesso non potevo, ci avrei pensato più tardi. Salii le scale, ahimè i poeti italiani erano ancora in camera che mi aspettavano, uffa! Mi ributtai sul letto e ricominciai a studiare. Quando verso le otto rialzai gli occhi dal libro mi sentivo talmente fusa che non sapevo neanche chi ero e dove mi trovavo! Che stanchezza! Scesi giù e venni travolta dall’ondata di domande di mia madre. Domande? Quello era un interrogatorio.
- Hai finito i compiti?
- Sì mamma!
- Sei sicura?
- Sì mamma!
- Hai studiato bene?
- Sì mamma!
- Guarda che se prendi un brutto voto mi arrabbio! Hai avuto tutta l’estate per studiare e come al solito ti sei ridotta all’ultimo giorno!
- Sì mamma! – Uff! Che strazio.
- Allora? Continuerai a comportarti in questo modo?
- Sì mamma!
- Cosa? - urlò mia madre.
- Eh? Che hai detto?
- Ti ho chiesto se hai intenzione di continuare in questo modo - disse mia madre scandendo bene le parole.
- Ehm… no, no non ti preoccupare non succederà più!
Mia madre mi fissò come se mi fossi potuta tradire da un momento all’altro, o come se avessi potuto dire “ Ti ho fregato”, quando meno se lo fosse aspettato.
- Andiamo a cena, e che non riaccada più una cosa simile. - Appena riuscii a liberarmi dal terzo grado di mio madre, mi lavai le mani e andai a cena.
Cenammo tranquillamente, e subito dopo andai a letto.
Ero talmente stanca che mi addormentai subito senza neanche accorgermene, e mi lasciai trasportare nei sogni più profondi.
Di nuovo quegli alberi. Di nuovo quel prato. I contorni non erano ben definiti, sfumavano nel paesaggio. Di nuovo quel bellissimo lago, davanti a me. Le sue acque erano talmente limpide che si riusciva a scorgere il fondale pieno di pietre e pesci. Come la notte prima, un senso di solitudine affiorò nel mio cuore e si espanse, fino a diventare insopportabile. Non capivo il perché.  Non capivo da dove proveniva quel dolore acuto, c’erano dei ricordi nella mia mente, ma per quanto mi sforzassi, non riuscivo ad afferrarli.
Aguzzai la vista e notai un’ombra al di là del lago. L’ombra si ingrandì ancora di più, e prima che potessi morire di paura, prese la forma di un uomo.
- Stai attenta e reggiti forte, perché stiamo per venirti a prendere! – sentii dire nella mia mente.
Mi svegliai di soprassalto, ansimando e sudando. Che voleva dire? Chi e perché mi stava venendo a prendere e per portarmi dove poi?
Era irrazionale essere tanto spaventata da un sogno, ma non era quello la fonte della mia paura. Quella voce aveva risvegliato qualcosa in me; qualcosa di estraneo e di familiare al tempo stesso. Non appena avevo udito quella voce, il mio cuore aveva sussultato di gioia, e non capivo perché. Ma su una cosa non c’erano dubbi. Anche se non sapevo di chi era quella voce, conoscevo un dettaglio molto più importante: quella voce apparteneva al mio passato. Al mio passato scuro e nero, su cui non ero mai riuscita a far luce.
 
Ancora non lo sapevo ma da quel giorno la mia vita sarebbe stata sconvolta. Definitivamente. Niente sarebbe stato più uguale a prima, tutto sarebbe cambiato. Per sempre.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***



 
Mi misi a sedere sul letto con molta fatica. Continuavo a ripensare a quella voce e a come il mio cuore l’avesse riconosciuta, e a come la mia mente si rifiutava di accettare quel riconoscimento. Non ero certa di aver udito quella voce con le mie orecchie, mi sembrava di averla sentita solo con la mia mente. Rabbrividii.  Apparteneva al mio passato, e questo bastò a farmi tremare di paura. Non ricordavo nulla della vita che avevo avuto prima di compiere sei anni, i miei genitori mi avevano sempre detto che da piccola avevano fatto un incidente molto grave che mi aveva fatto perdere la memoria; ma ogni volta che chiedevo qualche informazione in più, loro sviavano il discorso innervositi, cambiando argomento e chiedendomi se avessi già finito i compiti. Non avevo mai fatto domande su cosa fosse successo di preciso in quell’incidente, ma sapevo che c’era di più. Sapevo bene che i miei genitori mi stavano nascondendo qualcosa, che forse tutt’ora nascondevano. Dovevo saperne di più, sì avrei parlato con loro, probabilmente il sogno non significava nulla.
Guardai la sveglia, le cinque e mezzo. Perfetto! Non solo era troppo presto per svegliarsi, ma ormai era anche troppo tardi per riaddormentarsi! E ora che ci pensavo, tra meno di tre ore sarebbe avvenuta la mia carneficina. Sapendo che non sarei riuscita comunque a riaddormentarmi girai per la casa in cerca di qualcosa d’interessante da fare, ed entrai nello studio di papà. Mio padre aveva una marea di libri che non leggeva mai, li conservava nello studio molto gelosamente. Guardai la montagna di libri che mio padre non aveva ancora letto e che probabilmente non avrebbe mai neanche aperto, erano tutti nuovi, davvero non capivo perché li comprasse se poi li lasciava lì a marcire. Secondo la sua filosofia i libri nuovi lo ispiravano. Mah.
Era proibito entrare nel suo studio, io c’ero stata al massimo quattro o cinque volte, perché mio padre diceva che dopo gli mettevamo a giro le cose, che succedeva un casino e che poi toccava sempre a lui mettere tutto a posto. Era un po’ paranoico, lo sapevo.
In fondo, ero sollevata di non avere il permesso di entrare nel suo studio; ogni volta che entravo in quella strana stanza un’ondata di tristezza si abbatteva su di me, e mi perseguitava senza darmi tregua. Anche se non ci fosse stato il divieto da parte di mio padre, avrei cercato di evitare quel luogo il più possibile. Infatti non so perché ci entrai quella volta; ma i miei piedi si muovevano da soli, e non ascoltavano più ciò che il cervello gridava. Non volevo entrare lì dentro, ogni volta che lo facevo me ne pentivo all’istante. Sapevo che me ne sarei pentita anche quella volta.
E infatti fu così. Ma quella volta fu diverso. Fu diverso perché avvertivo intorno a me un pericolo, che mi attendeva. Un pericolo che mi aveva atteso per tanto tempo.
Una sensazione di gelo pungente si riversò sulla mia pelle, mettendomi i brividi; sentii il freddo su tutto il corpo, finché non arrivò dritto al cuore, tramutandosi in un dolore acuto. Cominciai a tremare. Mi inginocchiai a terra, e mi presi la testa tra le ginocchia, nel tentativo di calmarmi.
Il dolore continuava a persistere, era talmente forte da farmi male, talmente forte da desiderare di non essere mai entrata nello studio; ma nonostante questo dolore acuto che mi trafiggeva, non riuscivo ad alzarmi e ad uscire da quella stanza. Sentivo una sorta di legame con quel luogo, che non avevo mai sentito prima, che non avevo mai provato. Non capivo da cosa fosse scaturito questo legame, né da cosa fosse provocato il dolore che ogni volta mi avvolgeva. Era più intenso delle altre volte, molto più intenso. Percepivo la mia stessa tristezza come una minaccia, la sentivo stringere il mio cuore in una morsa, e non sembrava essere intenzionata a liberarlo. Ma più il dolore cresceva, più il legame con quello strano studio aumentava.
Alla fine la morsa intorno al cuore mi liberò dalla sua presa, e mi lasciò andare; ma si lasciò dietro una scia di emozioni contrastanti. Tristezza e felicità. Gioia e dolore. Sollievo e rimpianto.
Cosa mi era successo? Non capivo. Come poteva una comune stanza farmi provare delle emozioni così contrastanti? Una stanza poi! Neanche fosse una persona.
In quel momento notai una scritta sul muro in fondo alla stanza, che non avevo mai visto prima. Mi avvicinai.
“ Torna indietro” – c’era scritto.Tornare indietro, dove?  E perché non l’avevo mai notata prima d’ora?
Non potevo sapere che non avevo mai notato quella scritta, per il semplice fatto che non c’era mai stata.
Avvicinai la mano per sfiorare quella scritta, che prese inaspettatamente a brillare. Bloccai la mano. La ragione mi gridava di scappare, ma il mio istinto era desideroso di sfiorare quella scritta. La guardavo brillare, ipnotizzata.
Alla fine vinse la ragione, ritrassi la mano e la scritta smise di brillare. Ero scioccata.
Cercai di trovare il lume della ragione, e di convincermi che avevo avuto un’allucinazione. Soltanto un’allucinazione.
Presi un libro a caso e cominciai a sfogliarlo. Adoravo i libri, mi mettevano a mio agio, e sentire il fruscio della pagina e il foglio sottile sotto le mie dita, mi dava sicurezza e calma. Guardai il libro che avevo preso: “Persuasione” di Jane Austen. Che ci faceva qui questo libro? Non era di mio padre, ma di mia madre. Lei adorava Jane Austen, aveva letto tutti i suoi libri. Peccato che aveva letto solo quelli, e nessun altro libro. Quando mia madre leggeva un qualsiasi libro, la cui autrice era Jane Austen, si concentrava al massimo su quel libro, e non staccava mai gli occhi. Era vietatissimo disturbarla mentre era immersa nella lettura, ma anche se l’avessi fatto, non si sarebbe neanche accorta che qualcuno le stava rivolgendo la parola. Peccato che per il resto non amasse leggere. Non aveva alcun minimo interesse per la lettura, la considerava un’inutile perdita di tempo, al contrario di me. Leggere un libro, per me era un’esperienza fantastica. Era l’unica cosa che riusciva ad allontanarmi dalla realtà, che mi trasportava in un nuovo mondo; mi rendeva felice, a prescindere dal fatto che il libro mi piacesse o no.  Questo era il principale motivo di attrito tra mia madre e me. Lei non mi capiva. E a dire il vero nessuno della mia famiglia riusciva a capirmi. Né mio padre, né mia sorella avevano mai avuto una passione particolare come la mia, per i libri; questa cosa spesso mi faceva sentire sola. Ultimamente la cosa succedeva abbastanza spesso. Da qualche mese cominciavo a sentire un sentimento di distacco verso le persone che mi circondavano. Talvolta anche un sentimento di avversione. Ma si trattava di un istante, poi quella strana sensazione spariva, veloce come era arrivata, tanto che ogni volta non riuscivo a capire da cosa era stata scaturita.
 Continuai a sfogliare il libro che avevo in mano, ma distrattamente mi tagliai un dito, da cui uscì una minuscola goccia di sangue. La goccia colò sul libro, sporcandolo di rosso.
Merda. Se mia madre l’avesse saputo mi avrebbe ucciso, e non stavo scherzando. Mi alzai in fretta, corsi in cucina e cercai in fretta e furia un fazzoletto o un qualsiasi altro pezzo di carta, per pulire la pagina del libro. Mi accontentai di un pezzo di scotex, strappato alla rinfusa, e volai verso lo studio. Dovevo asciugare il libro prima che il sangue impregnasse la pagina.
Mi precipitai verso il punto in cui avevo lasciato il libro di mia madre; ma quello che vidi non fu certo quello che mi aspettavo. Quello che vidi fu ben altro.
Vidi qualcosa che mi lasciò senza parole. Vidi quello che sarebbe stato il segno, che avrebbe dovuto avvisarmi.
L’inizio del ritorno al passato.
Mi chinai e presi ciò che restava del libro tra le mani, lo feci scorrere tra le dita, per essere sicura che non fosse un’allucinazione.
 
Adesso, al posto del libro c’era soltanto un mucchio di cenere.
 
Rimasi scioccata. Se non avessi visto con i miei occhi la cenere che avevo tra le mani, non ci avrei mai creduto, e anche ora che la vedevo non ci credevo lo stesso. Come? Cosa? Era impossibile. Forse stavo sognando. Mi pizzicai il braccio. Ahia, no decisamente non stavo sognando. Oppure forse stavo davvero avendo una serie di allucinazioni. In quel mentre mi accorsi di una cosa: la ferita sul mio dito si era rimarginata, adesso era visibile solo un taglio rosa che stava svanendo a sua volta. Non potevo crederci. Stavo diventando matta! Dovevo farmi curare. Le mie ferite, anche le più piccole, ci mettevano settimane per guarire. Questa cosa non aveva senso. Sentii un rumore, mio padre e mia madre si erano svegliati. Non sapevo chi di loro due fosse peggio da affrontare: mio padre, arrabbiato perché non avevo rispettato il divieto, o mia madre, che mi avrebbe trovato con un mucchio di cenere in mano, che rappresentavano i resti del suo libro preferito. Forse era peggio mia madre . . . come gli avrei spiegato quello che era successo? Non potevo. Come avrei potuto, se neanche io sapevo quello che era successo? Non riflettei molto sulla cosa, l’importante adesso era uscire dallo studio il più in fretta possibile. Accostai leggermente la porta della stanza, cercando di non fare rumore e corsi velocemente in camera. Erano le sei. Ed io ero ancora più spaventata di prima.
Ma che stava succedendo? Era stata davvero tutta un’allucinazione? Eppure sembrava così reale! Perché il libro si era bruciato? Perché? Non riuscivo a trovare una spiegazione, nonostante desiderassi averla al più presto.
Poi mi venne in mente un dettaglio, che finora non avevo considerato, o almeno non lo avevo considerato rilevante.
Il mio sangue.
Prima che il libro bruciasse, il mio sangue c’era colato sopra . .
.  
 
 
 
 
 
 
 
Ringrazio Serew, Nedynadietta, Francesca_90 e Lady Greece per aver recensito e per aver messo la storia tra le seguite o le preferite. Ringrazio anche tutti quelli che hanno visitato la storia senza recensire. Per favore recensite, così mi dite cosa ne pensate!!!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Ma che pensieri mi venivano in mente? Era ovvio che non fosse stato il mio sangue. Era impossibile.
Sì, sicuramente era stato qualcos’altro, io non centravo nulla.
Quasi sicuramente.
Non volevo pensare a quel che era successo, andai a fare una doccia e cercai di rilassarmi. Erano le sette. Iniziai a prepararmi e per la prima volta in tutta la mia vita ero in orario. Le sette e mezzo. Eppure quello che era appena successo ritornava alla mia mente, e forse c’era un nesso con quel sogno che avevo fatto poco prima. No, ora basta. Non volevo più pensarci, le cose erano a posto così. Ma una voce nella mia testa continuava a gridarmi che le cose non erano affatto a posto così.
Uscii di casa e Laila, stupita di vedermi arrivare in orario, mi venne incontro e disse:
- Non ci credo, sei in orario, credo che sia la prima volta in vita tua che non arrivi in ritardo. probabilmente in un’altra occasione mi sarei messa a ridere e avrei ribattuto, ma ero nervosa, angosciata. Avevo paura. Cosa che non sfuggì a Laila.
- Che hai Grace?
- No, non ho niente mi sono solo alzata col piede sbagliato. Non ti preoccupare - Mi scrutò con gli occhi, ed ebbi la sensazione che non avesse creduto ad una sola parola.
- Grace, guardami. Sono la tua migliore amica. Puoi inventare balle ai tuoi genitori ma non a me, che ti succede?
Sospirai. Mi conosceva davvero bene.
- Stanotte ho fatto un sogno strano e inquietante. - Le raccontai quello che mi era successo, tralasciandole tutta quanta la parte del libro, per evitare di farle pensare che fossi pazza. Anche se cominciavo a pensarlo anch’io. Mentre le descrivevo il sogno, e quella voce inquietante e familiare al tempo stesso, un brivido mi percorreva la schiena e la paura tornava ad avvolgermi, ma mi feci forza e andai avanti a parlare. Laila mi ascoltava attentamente.
- Credo . . . credo che tutto questo abbia a che fare con l’incidente che ho avuto da piccola.
Appena pronunciate queste parole il suo sguardo si indurì e cercò di chiudere la conversazione.
- Sei sicura di quello che dici? Magari era solo un sogno.
- Laila ti devo chiedere una cosa ma per favore, sii sincera.
- Sì, tranquilla dimmi. – rispose leggermente nervosa.
Feci un lungo sospiro, alla fine mi feci coraggio e dissi:
- Ho avuto davvero un incidente quando ero piccola? - Lei esitò un attimo prima di rispondere. Si mordicchiò il labbro inferiore, un gesto che conoscevo benissimo; era a disagio e nervosa. Si capiva che stava combattendo contro se stessa, tra il desiderio di dirmi la verità e tra quello di non farlo.
- Perché mi fai una domanda simile?- disse alla fine.
- Perché ci sono troppe cose che non mi tornano e perché penso che tu possa rispondermi.
- Sì sì, hai avuto davvero un incidente, ti prego non chiedermi altro. - Disse senza guardarmi negli occhi, tenendo lo sguardo fisso a terra. Sembrava volesse escludermi dalla conversazione che io stessa avevo iniziato.
- Ma . . – provai a dire.
- Basta! Ti prego! Ti prego, io non posso dirti nulla, per favore non chiedermi altro. - Non le feci altre domande. Sembrava sul punto di piangere. Ma sapevo che mi nascondeva qualcosa, qualcosa di molto brutto, si vedeva. I suoi occhi erano lucidi e dal modo in cui cercava di non guardarmi capii che stava soffrendo. Una sofferenza che non voleva farmi vedere, che non voleva mostrare. Mi stava proteggendo da qualcosa o da qualcuno.
- Scusa, scusa non ti chiederò più nulla, non parleremo mai più di questo argomento ok? Probabilmente hai ragione tu, era solo un sogno. Uno stupido sogno. - Cercai di rassicurarla ma inutilmente, quelle parole non convincevano neanche me.
Passò ancora qualche minuto prima che Laila si riprendesse, infine con una voce flebile quanto un sussurro disse:
- Andiamo a scuola - Il suo sguardo era perso nel vuoto, i suoi occhi erano vitrei incapaci di provare emozioni, in quel momento non era con me, ma con se stessa. Conoscevo quello sguardo; era lo stesso che avevo visto quando suo zio era morto.  Stava succedendo qualcosa, qualcosa che Laila mi teneva nascosto e non mi aveva voluto rivelare. Qualcosa che molto presto mi sarebbe venuta a prendere.
Arrivammo a scuola. Incontrai Christine che mi venne incontro allegramente e mi abbracciò. Christine, io e Laila eravamo amiche del cuore alle medie, poi alle superiori io e Laila
l’abbiamo persa di vista perché è finita in un’altra classe. Ma ci siamo volute bene, e un’amicizia come la nostra, così sincera e pura, nonostante gli anni, è resistita fino ad adesso, anche se si è un po’ allentata. Inoltre ci assomigliavamo, sia negli occhi sia nei capelli. Qualche volta infatti ci scambiavano per sorelle. Da piccole ci divertivamo a far finta di essere gemelle. Mi parlò del più e del meno e riuscì persino a strapparmi un sorriso. Era questo il bello di Christine, potevi essere triste quanto ti pareva ma non si riusciva a resistere alla sua comicità. Inoltre parlava talmente di tante cose che ti liberava la mente dai pensieri e dalle preoccupazioni, che era ciò di cui avevo più bisogno ora.
- Ehi Grace!
- Cosa? - dovevo essermi persa una domanda.
- Ti ho chiesto come mai stamattina sei così silenziosa. - Sospirai, anche lei mi conosceva bene.
- Probabilmente è perché stamattina abbiamo il test di italiano e ieri ho studiato tutto il giorno quindi sono un po’ stanca.
- Avete il test di italiano? Il secondo giorno di scuola? - Domandò stupefatta.
- Eh sì. - risposi io. Avrei voluto parlarle del sogno, ma lei non poteva rispondere alle mie domande; infatti la sua famiglia si era trasferita in questa città molto tempo dopo il mio incidente. Se le avessi raccontato del sogno l’avrei fatta solo preoccupare e non volevo darle altre preoccupazioni, volevo vederla leggera.
Entrammo in classe, Laila era ancora un po’ scossa ma stava meglio.
Il prof. di italiano entrò in classe e ci diede i nostri compiti. Avevo ancora quella sensazione di gridare e di buttarmi dalla finestra ma riuscii a contenermi. La prova non era difficile, riuscii a rispondere a tutte le domande correttamente, ma avevo la testa da un’altra parte.
Il prof segnalò la fine dell’ora e tutti consegnarono il proprio compito.
- Com’è andata?- mi chiese Laila.
- Bene, abbastanza. Sinceramente mi aspettavo di peggio. Ieri riuscire a fare questo test sembrava una prova impossibile.
- Già- rispose lei, accennando un sorriso.
- E a te com’è andata?
- Bene, o almeno credo.- rispose pensierosa.
Suonò la campanella e tutti uscirono di classe.
- Laila, io non torno a casa oggi.
- Perché no?
- Devo ricomprare un libro a mia madre. – le risposi.
- Che hai combinato?
- Uhm, diciamo che l’ho rovinato. – una mezza verità. D’altronde non potevo davvero dirle che l’avevo bruciato.
- Come vuoi, allora a più tardi.
- Ciao. – le dissi, quando già mi ero avviata verso la biblioteca. Per fortuna che era vicino casa, altrimenti sarei stata davvero in un bel guaio.
Il libro c’era. Meno male che mia madre legge solo libri famosi, pensai. Tornai a casa con il libro dentro lo zaino, per timore che mia madre lo vedesse e mi chiedesse spiegazioni.
Appena mia madre mi vide arrivare in cucina, mi sorrise:
-Come è andato il compito?
- Bene, almeno credo. Non era difficile. – guardai le sue mani mentre tagliavano attentamente i pomodori. Io odiavo i pomodori, e a dire il vero, odiavo ogni tipo di verdura. Dovevo aver fatto una faccia disgustata perché mia madre disse:
- Grace, le verdure fanno bene. – me lo ripeteva ogni volta, come se fossi sempre una bambina. In circostanze come quella mi sarei arrabbiata, ma quello non era proprio il momento adatto per mettersi a litigare.
- Mamma devo chiederti una cosa importante. - Lei mi guardò enigmatica e si fece attenta.
- Esattamente cos’è successo dieci anni fa?
- A cosa ti riferisci? – avevo l’impressione che lei avesse capito alla perfezione quello a cui mi riferivo, ma se era così, non lo diede a vedere.
- Mi riferisco all’incidente. – com’era prevedibile, mia madre sviò lo sguardo e si mise a tagliare le verdure con molta più frenesia di prima.
- Grace, adesso non è un buon momento, come vedi sono impegnata e . . .
- Adesso non è un buon momento? Non sarà mai un buon momento per te! – urlai. – Quante volte. . Quante volte ti ho fatto la stessa domanda e tu non mi hai mai risposto!  
- Perché tu e papà non mi volete spiegare cosa è successo?
- Hai avuto un incidente! – esclamò mia madre. – Cosa c’è da spiegare?
- Bugiarda! – urlai. Mi pentii immediatamente di averlo detto. Non che non lo pensassi. Lo avevo sempre pensato. Lo avevo sempre saputo che i miei genitori non mi stavano dicendo la verità, ogni volta che parlavamo dell’incidente; ma non glielo avevo mai detto ad alta voce.
- Stamattina . . . - cominciai, cercando di addolcire il tono. – stamattina quando sono entrata nello studio di papà . . .
- SEI ENTRATA NELLO STUDIO DI TUO PADRE? - urlò mia madre con la voce a due ottave più alta. Era questo quello di cui si preoccupava? Che io fossi entrata nello studio di papà?
- Non farlo mai più! Non ti rendi conto che saresti potuta . . . - La sua voce s’incrinò e si ridusse ad un sussurro, rendendosi conto che non sapevo niente di ciò di cui stava parlando.
- Sarei potuta . . . sarei potuta, cosa?
- Niente, niente hai sentito male.
- Cosa mi stai nascondendo? Cosa mi stanno nascondendo tutti? – gridai, ripensando anche all’espressione combattuta di Laila.  
- Per favore dimmi la verità. – dissi, con un’inaspettata calma. – Qualcuno mi sta cercando?
- Zitta, zitta non provare neanche a ripeterlo. Smettila non devo dire queste cose.
- Mamma, che succede?- urlai io, perdendo la pazienza.
- Non urlare!- urlò ancora più forte mia madre. - Tu non ti rendi conto, è pericoloso, promettimi che non parlerai con nessuno che non conosci!
- Mamma ho sedici anni, non sei. - ribattei io.
- PROMETTILO!
- Ok, ok te lo prometto - dissi. Ero furiosa. Furiosa con mia madre, ma anche con me stessa, per non essere capace di scoprire cosa era successo veramente in quell’incidente. Ero sicura che se avessi continuato a chiedere spiegazioni, alla fine mia madre avrebbe ceduto, perché in quel momento era fragile, e avrei potuto farmi raccontare tutto; ma l’affetto che nutrivo per lei era più forte del mio desiderio di sapere. Mi maledii in silenzio. Cercai di convincermi che, se né mia madre, né mio padre avevano deciso di non dirmi nulla, voleva dire che lo facevano solo per il mio bene. Lasciai che la conversazione si chiudesse con il silenzio da parte di entrambe, ma dentro di me sapevo che stavo commettendo uno sbaglio enorme. Uno sbaglio per il quale avrei dovuto pagare le conseguenze. Alzai lo sguardo su mia madre. Sembrava molto più spaventata di me, la sua voce si ruppe in singhiozzi che non riuscì a nascondere. In quel momento era stanca, vulnerabile.
Il suo viso così bello era appesantito dalle angosce e dalla paura.
I suoi occhi limpidi come l’acqua nascondevano cose nascoste e proibite. 
Le sue parole cercavano di raggiungermi ma erano troppo deboli.
Le sue labbra mormoravano un segreto impronunciabile. 

 
 
Ringrazio tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite o le seguite, e ringrazio anche coloro che seguono la storia in silenzio.
Ma soprattutto un grazie speciale per le ragazze che recensiscono!!!

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Non sapevo definire esattamente il mio stato d’animo: ero sconvolta? No, non ancora, ma ci mancava poco. Ero arrabbiata? Sì, abbastanza. In realtà mi sentivo soprattutto delusa. Perché? Perché nessuno mi diceva nulla? Che cosa stava succedendo e perché nessuno me ne parlava? Persino la mia migliore amica non aveva voluto dirmi nulla, ma perché? Cosa mi nascondeva di tanto grave da non poter essere rivelato? E questo in che modo poteva avere a che fare con me? Mistero.
In quel momento tornò anche mia sorella e andammo a tavola. Mia madre era silenziosa e teneva gli occhi fissi a terra, i suoi pensieri erano chiusi in un cassetto di cui avrei tanto voluto avere la chiave. Iniziai a mangiare, nonostante non avessi molta fame, e nonostante il piatto colmo di verdure non mi attirasse per niente. Mia madre agitava nervosamente la gamba e la mano sinistra. La cosa che mi spaventava di più era che nella mano sinistra brandiva un coltello. Mia madre seguì il mo sguardo, e quando si accorse che guardavo il coltello, lo poggiò delicatamente sulla tavola, ma le sue mani continuavano a tremare. Mia sorella iniziò a raccontare allegramente la sua giornata, almeno finché non si accorse che nessuno la stava ascoltando; infatti io e mia madre restavamo in silenzio, mio padre era tutto preso da un interessantissimo articolo sportivo sul giornale.
- Che succede? Ho detto qualcosa di sbagliato? - domandò Jenny un po’ delusa di non essere sempre al centro dell’attenzione. Mia madre la fulminò con lo sguardo rivolgendole degli occhi duri come ghiaccio come segno di ammonimento, intimandola a stare zitta. Probabilmente Jenny non se ne accorse o fece finta di non averci fatto caso, perché continuò a domandare:
- Beh, mi volete spiegare?
- Niente, non è successo nulla. - risposi, ma la mia voce sembrava provenire da un’altra stanza.
 Mia madre si alzò da tavola e mio padre fece lo stesso, lasciandomi da sola con mia sorella.
- Mi vuoi spiegare?- disse lei.
- Non c’è nulla da spiegare. - risposi con freddezza.
- Sì, come no? Sembravate appena uscite da una tomba.
- Non è successo niente. - ripetei più a me stessa che a lei, quanto desideravo che non fosse successo niente; ma soprattutto quanto avrei desiderato tornare indietro nel tempo, e impedire ai miei piedi di entrare in quel maledetto studio! Non avevo alcuna voglia di parlare a mia sorella dei miei problemi, né lei era disposta ad ascoltarmi, quindi mi inventai una scusa qualunque.
- Nulla, solo che stamattina avevo il compito di italiano e non sono sicura di averlo fatto bene.
- Capisco. - rispose semplicemente. Non gliene importava nulla ovviamente!
- E brava stupida, hai sedici anni e continui a litigare con i nostri genitori per certe cavolate?
Basta Jenny, stai zitta, non farmi arrabbiare!
- E poi, - continuò lei incurante del fatto che non mi interessava quello che diceva, - dovresti smettere di fare la bambina piccola e andare dalla mamma a piangere ogni volta che hai un problema.
Basta! Non la sopporto più!
- Sei proprio una stupida. - aggiunse infine.
- Zitta! Zitta! Non pronunciare una sola parola o giuro che ti strozzo davvero! - urlai in preda alle lacrime. Mia sorella mi guardò spaventata, era la prima volta che alzavo la voce con lei.
- Grace, Grace ma che ti succede? - mi disse preoccupata.
- Che mi succede? Che mi succede? Succede che sta accadendo un casino e tu non fai altro che peggiorare le cose! - urlai. Mia sorella mi mise una mano sulla spalla, ma la scrollai con violenza.
- Grace ma che hai?
- Cosa ti importa di che cosa ho? Cosa ti importa di me? Per tutto questo tempo non sono stata neanche un’ombra nella tua vita perfetta, te ne sei sempre fregata di come stavo, se avevo bisogno di qualcosa o di qualcuno, quindi perché adesso ti importa di come cavolo sto? Non ci sei mai stata! Ogni volta che chiedevo il tuo aiuto non c’eri. DOV’ERI TUTTO LE VOLTE CHE HO AVUTO BISOGNO DI TE? DOV’ERI? - La mia voce risuonò di tre ottave più alta,  si ruppe in pianto e venni scossa da violenti singhiozzi. Mia sorella mi guardò con un’espressione ferita e addolorata.
Non le diedi neanche il tempo di rispondermi, sapeva bene che avevo ragione. Salii le scale e corsi in camera. A nessuno importava come stavo io, questa era la verità.
Mi misi sul letto e tirai su le ginocchia, ci affondai la testa. Volevo nascondere il mio viso, avrei voluto non dover rialzare più la testa e restare così. Lacrime calde e lente scendevano sul mio viso, mi bruciavano e mi infiammavano il volto, mi scuotevano il petto, mi facevano male come il sangue che pulsa sotto le ferite. Forse mia sorella non meritava quella sfuriata, non che non avessi ragione ma non era stato giusto sfogarmi su di lei. Guardai fuori dalla finestra, due bambini giocavano allegri, si rincorrevano, si buttavano per terra, si rialzavano e poi giocavano di nuovo, avrei voluto essere come loro, libera da ogni paura e da ogni dovere, sincera. I bambini dicono sempre la verità anche nei momenti sbagliati perché non si rendono conto della situazione e vedono il pericolo come una sfida che non va affrontata con le bugie, ma con la sincerità del cuore, una sfida che passa presto. Godetevi questo momento, perché più crescerete e più le sfide saranno difficili, e forse non avrete la forza per affrontarli e comincerete a mentire. Io stavo mentendo a me stessa, stavo cercando di ignorare quel dubbio che si stava facendo spazio nella mia testa, un dubbio che non avevo la forza di affrontare.
Rimasi chiusa in camera tutto il giorno, non avevo niente da fare. Quasi non uscivo per evitare di incontrare mia madre o mia sorella, quanto riguardo a mio padre lui il giorno lavorava quindi . . . La sera durante la cena sentii serpeggiare nell’aria una specie di tensione. Guardai Jenny, il suo viso, sempre perfetto e impeccabile, sembrava sciupato, stanco. Sembrava che avesse pianto a lungo. I suoi occhi blu erano spenti e arrossati. Sentii che qualcosa si era spezzato tra di noi.
Quella sera quando mi coricai nel letto, sentii una stretta allo stomaco, sì, qualcosa si era spezzato, e qualcosa si spezzò dentro di me.
Ero di nuovo nel bosco, lo sentivo, gli alberi erano gli stessi che avevo sognato le prime volte, l’erba era verde come lo smeraldo e piccole gocce di rugiada si posavano dolcemente su di essa. C’era anche il lago bello e limpido come la prima volta che l’avevo visto. Ma dall’altra parte del lago non c’era quell’uomo che mi parlava e mi guardava. Non sapevo se essere sollevata o meno. Quella persona mi metteva inquietudine certo, ma forse avrebbe potuto aiutarmi. Mentre venivo avvolta da questi pensieri una mano si poggiò sulla mia spalla. Cacciai un urlo che non riuscii proprio a contenere e mi voltai con le ginocchia che tremavano. E rimasi esterrefatta! Da lontano non ero riuscita a vederlo bene ma adesso che era qui vicino, riuscivo a guardarlo con chiarezza. Per la precisione era a meno di un metro da me, ma poi fece un passo indietro per educazione, continuando a guardarmi. Non era un uomo, ma un ragazzo, avrà avuto sì e no la mia età. I suoi capelli neri e corti catturavano la luce del sole, che si rifletteva in essi.
Le iridi erano di un colore impressionante: blu elettrico. Non un blu normale, ma un blu così lucente e profondo, che ti catturava e ti faceva perdere in esso. Alla luce del sole il blu dei suoi occhi sfumava nell’azzurro. Non avevo mai visto degli occhi così belli. Quando il mio sguardo scivolò nel suo, i suoi occhi si allacciarono ai miei, inchiodandomi e il mio cuore sussultò. Di gioia. Ma anche di paura. Che strano avere paura. Come se mi trovassi di fronte ad un pericolo e non al più bel ragazzo che avessi mai visto. Avvertivo una strana sensazione, mi sembrava di averlo già visto, ma non ricordavo dove. Nel mio cuore si accesero emozioni contrastanti, anche se la felicità prevaleva su tutte; non capivo come un ragazzo che non avevo mai visto prima riuscisse a scatenare dentro di me delle emozioni così forti e contrastanti.
Ma ero davvero sicura di non averlo mai visto prima?
Non riuscivo a smettere di fissarlo, ma soprattutto non riuscivo a distogliere lo sguardo dai suoi occhi così belli. – Smettila! – urlava una voce nella mia testa. –Smettila di fissarlo. – ma non ci riuscivo; per quanto lo desiderassi non riuscivo a distogliere lo sguardo da quegli occhi ammaliatori.
Intanto quello strano ragazzo continuava a squadrarmi, impedendomi di slacciarmi dai suoi occhi. Mi guardava con grande intensità e mi metteva a disagio, perché mi guardava così? Mi stava facendo una radiografia, per caso?
Alla fine, con un grande sforzo di volontà, abbassai gli occhi e resistetti contro il desiderio di perdermi ancora nel suo sguardo.
- Chi mi sta venendo a prendere? E perché? Cos’ho fatto? - chiesi con la voce ridotta ad un sussurro.
- Stai tranquilla, tutto ti sarà presto chiaro. - rispose con fermezza. Se ne stava andando, vedevo la sua immagine che spariva.
- Aspetta non andartene, perché mi stanno venendo a prendere? E chi poi?
- Perché tu sei come me. - e questa volta se ne andò davvero, la sua immagine si affievolì fino a scomparire del tutto, lasciandomi sola.
E in quel momento mi svegliai, ma non avevo più paura adesso.
Mi alzai e ripensai a ciò che avevo sentito. -presto tutto ti sarà chiaro - aveva detto quel ragazzo. Presto tutto mi sarebbe stato chiaro, presto avrei scoperto la verità su chi ero veramente. – tu sei come me - aveva anche detto. Ma che voleva dire? Come poteva essere come me?
La sveglia suonò in quel preciso istante, facendomi sobbalzare. Il suo bi-bip fastidioso e penetrante, mi rimbombava nelle orecchie, e mi faceva venire il mal di testa. Spensi la sveglia con un colpo secco e questa volta ero quasi sicura di averla rotta; ma non ci badai più di tanto.
Mi alzai, mi preparai e andai a scuola con Laila. La mattinata scorse velocemente, anche se alla terza ora eravamo già distrutti, quando arrivò la notizia più bella del mondo; la professoressa di matematica era assente e avevamo il permesso 2 ore prima.
I miei compagni esultarono, contenti di essere scampati all’interrogazione di matematica.
- Evvai! Ben gli sta a quella racchia. - esclamò Laila. Lei odiava molto più di me la professoressa di matematica. Anzi in effetti avrei potuto dire che ne era terrorizzata, forse perché aveva una voce sibilante che ricordava un serpente o forse perché era talmente brutta che ricordava la nonna orrenda di Dracula. Qualunque motivo avesse la capivo, io la pensavo esattamente allo stesso modo. Laila si girò verso di me e disse:
- Almeno abbiamo due ore per rilassarci no?
- Già, meno male, mi ci voleva proprio.
- Te che fai? Voglio dire resti qui in giro o torni a casa?
- Ah no, credo che andrò a casa. Sono un po’ stanca.
- Ok, allora andiamo. - mi disse.
Percorremmo la strada insieme, mi salutò davanti al portone ed entrai in casa cercando di fare il meno rumore possibile, mi piaceva spaventare mia madre gridando alle sue spalle e facendole prendere un colpo. Ogni volta si arrabbiava, mi sgridava e mi intimava a non rifarlo mai più, ma mi divertivo un mondo.
Stavo per andare in cucina quando sentii delle voci in salotto che parlavano. Erano i miei genitori, ma che ci faceva mio padre a casa a quell’ora?
- Sono preoccupata . . . io non so cosa pensare. - era la voce di mia madre.
- Dobbiamo dirglielo, non abbiamo altra scelta. - replicò mio padre.
- No! Non possiamo dirglielo, non possiamo.
Ma di cosa diamine stavano parlando?
- Sii ragionevole, hai detto che sta facendo dei sogni no? Stanno arrivando, non possiamo metterla in pericolo tenendola all’oscuro. - disse mio padre.
- Se gli dicessimo qualcosa la perderemmo di sicuro, e io non voglio.
- Non puoi essere tanto egoista, Grace ha il diritto di sapere la verità, e deve saperla subito. Non sarà per questo che la perderemo, continuerà a volerci bene.
- No! Sei tu che non capisci, adesso ci vuole bene, ma appena saprà tutto ci odierà.
- Credi che per me non sia facile? Anch’io le voglio molto bene cosa credi? Ma non posso mettere in pericolo la sua incolumità solo per un mio capriccio, sarebbe la cosa più orribile che potrei fare e non potrei mai perdonarmelo se le accadesse qualcosa. - sentenziò mio padre. A quel punto urtai con lo zaino un vaso che cadde a terra e si ruppe in frantumi. I miei genitori sentirono il rumore e si accorsero della mia presenza. Tutti e due mi guardavano e probabilmente si stavano entrambi chiedendo da quanto tempo fossi lì e quanto fossi riuscita a capire dalla loro conversazione.
Non dissi niente, assolutamente niente. Tutti i miei dubbi, tutte le mie paure che avevo nascosto tornarono a regnare nella mia mente, prendendone il possesso, con violenza. Ero spaventata da quello che avevo appena sentito.
- Tesoro, da quanto . . .
- Abbastanza. – risposi con freddezza e distacco. Il tono della mia voce poteva sembrare gelido e pungente, ma stavo solo cercando di trattenere le lacrime.
- Noi, . . . . noi non stavamo parlando di te. – mentì mia madre.
- Hai pronunciato il mio nome, ti ho sentito e a meno che in questa cosa non abiti un’altra persona con il mio stesso nome, beh allora sì, penso che voi stesse parlando di me.
 - D’accordo. - disse mio padre, mia madre cercò di opporsi ma mio padre le poggiò una mano sulla spalla e scosse la testa. Lei si arrese e si decise finalmente a parlare.
- Va bene, ok, ok, va bene. - continuava a ripetere mia madre.
- Tesoro, la verità è che . . . che . . .  – provò a dire.
- Cosa? - la incitai io.
- Ecco, il fatto è che . . .
- Il fatto è che dobbiamo dirti una cosa molto importante. - disse mio padre finendo la frase al posto di mia madre.
- Ecco, vediamo da dove posso cominciare . . . - balbettò mia madre.
A quel punto persi la pazienza.
- Basta! Per favore! Per favore ditemi cosa sta succedendo! – urlai.
I suoi occhi incrociarono i miei e vi notai il segno della sconfitta.
- Tu non sei nostra figlia. – disse mescolando le sue parole con lacrime di dolore e di anni di attesa.
Una voragine dentro di me si espanse e mi squarciò il petto.

 
 
 
 
 
Grazie a tutti coloro che hanno messo la storia tra le preferite o le seguito.
E soprattutto ringrazio le ragazze che recensiscono e che mi incoraggiano ad andare avanti a scrivere la storia!!!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Fu come se la terra mi cascasse da sotto i piedi, tutto ciò in cui credevo, tutte le mie convinzioni, tutti i miei sogni sprofondarono nella voragine più buia del mio dolore. Sarei voluta sprofondare anch’io, avrei voluto non dover più ascoltare ciò che i miei genitori mi stavano dicendo, anzi quasi genitori; non ero loro figlia. Al solo pensiero mi girò la testa, non riuscivo a guardarli negli occhi, non riuscivo a credere a quello che avevano fatto. Come avevano potuto? Anzi dove avevano trovato la forza di mentirmi, di tenermi nascosta una cosa simile per tutti quegli anni? Dove avevano trovato la forza per rispondermi ogni volta che li chiamavo “mamma” o “papà”? Non ero mai stata sicura di nulla nella mia vita, né convinta di qualcosa. C’era solo una cosa che mi dava sicurezza: la mia famiglia. Avevo sempre creduto che mi sarei potuta fidare di loro, che non mi avrebbero mai tradito, che mi sarebbero stati accanto in ogni momento. Ma mi sbagliavo, ora che la verità mi si poneva davanti, ogni tessera del puzzle tornava al suo posto, tutto mi era chiaro. Alcuni comportamenti dei miei genitori che fino ad allora mi erano sembrati normali adesso mi erano chiari come l’acqua del mare. Una volta mio padre si fece male ad una gamba e dovettero portarlo in ospedale per ingessarla, avrò avuto 12 anni. Chiesi a mia madre se potevo fare il giro dell’ospedale e chiedere ai dottori a che ora ero nata di preciso, per gioco. Ma mia madre mi rispose che non c’era tempo e che dovevamo andarcene. Avrei potuto scoprire la verità.
 Oppure un’altra volta, molto tempo prima, quando ero ancora piccola. Avevo circa sei anni e mezzo. Passeggiavo lungo la strada, con la mano saldamente stretta a quella di mia madre, per paura che mi lasciasse andare. Mia madre si era fermata davanti ad un’edicola a leggere il giornale. Odiavo quando lo faceva, mi annoiavo sempre. Quindi avevo lasciato la sua mano e avevo cominciato a girare intorno all’edicola, per muovere i piedi. Stavo per cominciare il terzo giro, quando davanti a me si era parata una figura; ancora oggi non saprei dire se era un uomo o una donna. Una cosa era certa: quella persona, chiunque fosse, era ubriaca. Non avevo fatto in tempo a scansarla e ci avevo sbattuto addosso.
- Scusi. – avevo mormorato frastornata.
- Hei, stai attenta. – aveva esclamato, incespicando con le parole. Non c’era dubbio, era ubriaco.
- Aspetta. – aveva detto. – Ma io ti conosco, tu sei quella bambina che hanno adottato. – quelle parole mi avevano ferito, e avevo trattenuto a stento le lacrime.
- Cosa? – avevo domandato tremolante, sperando di aver sentito male.
- Ma sì, sei tu.
- Grace. Grace, dove sei? – sentivo mia madre chiamare.
- Credo che si stia sbagliando. –  Avevo risposto gentilmente. Avrei voluto andarmene, avrei voluto allontanarmi da quella persona ubriaca.
- No, no sono sicuro. Tu sei quella dell’incidente, vero? – quelle parole erano arrivate nella mia mente, stravolgendola. Non volevo crederci, ma cosa diceva?
- Grace! Vieni subito qui! – continuava a urlare mia madre.
- Devo andare da mia madre. – avevo sussurrato debolmente.
- Certo, come se fosse tua madre. – a quelle parole ero scoppiata a piangere, nello stesso momento in cui mia madre mi afferrava per un braccio, e mi trascinava via.
- Ti ho detto un mucchio di volte che non devi allontanarti! – mi brontolò. – E soprattutto non devi parlare con gli sconosciuti! Quante volte devo ripetertelo?
Appena si accorse delle mie lacrime, si fermò e mi accarezzò i capelli.
- Grace che hai?
Le raccontai le parole della persona ubriaca, sempre piangendo, e mia madre mi aveva ascoltata attentamente, aspettando che mi calmassi.
- Stai calma, non è successo nulla.
- Ma perché ha detto quelle cose? – chiesi io, dando per scontato che fossero false.
- Quella persona era ubriaca. Non devi dargli ascolto, mai. Le persone quando sono sotto l’effetto dell’alcool dicono cose senza senso, ma non devi darci peso. – concluse mia madre. Mia madre mi fece promettere di non avvicinarmi più a una persona di tal genere. In fondo non era una promessa difficile da mantenere, anzi, ero sollevata.
Però avevo sempre creduto che mia madre mi avesse vietato di rincontrarlo perché si preoccupava per me, e invece no. Non si preoccupava per me, si preoccupava di non far scoprire il suo segreto.
Alzai il viso sui miei genitori, avevano un volto supplichevole e angosciato, i loro occhi erano maschere di dolore ma riuscii anche a scorgere una punta di sollievo e di liberazione di non dover più nascondere un segreto tanto grande.
- Tesoro ci dispiace tanto, noi volevamo dirtelo ma ci è mancato il coraggio. - disse mia madre piangendo.
- Vi dispiace? Vi dispiace? Dopo quello che avete fatto è tutto ciò che avete da dire?- urlai in preda alla rabbia. – Non avete avuto il coraggio? Mi sembra che invece ne avete avuto fin troppo! Dove avete trovato il coraggio di fare una cosa simile? Dove avete trovato il coraggio per credere che io non scoprissi la verità? DOVE AVETE TROVATO IL CORAGGIO PER GUARDARMI NEGLI OCCHI IN TUTTO QUESTO TEMPO E NON PROVARE NEANCHE UN BRICIOLO DI VERGOGNA? - urlai con tutto il fiato che avevo in gola. I miei genitori non si meritavano quelle parole tanto crudeli, ma la rabbia aveva preso il sopravvento.
- Ci dispiace.
- Quando avevate intenzione di dirmelo? Probabilmente se non vi avessi sentiti non mi avreste detto nulla!
- Più tardi l’avresti saputo, più al sicuro saresti stata. - disse mio padre.
- Al sicuro da cosa? Da cosa?
- Non lo sappiamo.
- Come sarebbe a dire che non lo sapete?
- Ora ti farò vedere una cosa, ma non è nulla di buono.
Mio padre scomparve dietro la porta e rimasi sola con mia madre.
- Non devi prendertela con tuo padre, sono io che non ti ho mai voluto dire nulla, lui avrebbe voluto dirti tutto fin dal primo giorno. - sentenziò mia madre.
La guardai con occhi di ghiaccio, del tutto inespressivi e risposi acidamente:
- Credi che faccia qualche differenza?
- Lo so che sei sconvolta e ti senti delusa ma. . .
- Delusa? Tu credi che io sia delusa? Anche, ma non è quella la parte più importante. Il punto è che mi avete mentito per metà della vostra vita, io mi fidavo di voi e invece . . - la mia voce mi morì in gola, non riuscivo a continuare, le parole mi strozzavano e mi facevano mancare l’aria e un solo pensiero era presente nella mia mente; erano tutte bugie. Mi avevano sempre raccontato solo bugie.
– Perché non me l’avete detto subito? - provai a dire, anche se la mia voce era poco più di un sussurro.
- Lui ci ha fatto giurare di non dirti niente!
- Lui? Lui chi?- Iniziavo a comprendere che molte persone erano coinvolte in questa faccenda, forse troppe.
- Colui che ti ha lasciato sotto la nostra protezione, ha lasciato una lettera, dove diceva espressamente di non dirti nulla di questa storia, non sappiamo perché.
In quel momento mio padre tornò con una busta in mano.
- Leggi questa Grace, è tutto ciò che possiamo fornirti, non abbiamo nient’altro.
Afferrai la busta e me la rigirai tra le mani, non ero sicura di volerla leggere, avrei potuto trovare cose peggiori di quelle che avevo appena sentito. Guardai entrambi i miei genitori; mia madre mi guardava cercando di prevedere le mie reazioni, mio padre cercava di restare indifferente senza riuscirci. Sbaglio o anche i suoi occhi erano lucidi? Incredibile! Non avevo mai visto l’ombra di una lacrima sul suo viso, neanche quando era morta la nonna in un tragico incidente. Forse darmi questa lettera gli era costato più di quanto volesse far vedere. Alla fine aprii la busta e lessi:
 
 
Non vi conosco ma vi ho osservato e so che siete persone sincere e gentili e spero che vi occuperete di questa bambina, vi assicuro che non vi causerà alcun problema.
È una bambina speciale, diversa dagli altri, ma di questo vi accorgerete nel corso degli anni.
Spero che cresca nell’innocenza e nell’ignoranza del pericolo almeno per qualche tempo.
Se non vorrete tenerla vi prego di affidarla ad un'altra famiglia e di non lasciarla sola, se deciderete di tenerla con voi, vi chiedo per favore di non rivelarle per alcun motivo che non siete i suoi veri genitori.  Se solo lo scoprisse sarebbe in un grande pericolo, è importante che nessuno venga a sapere del mio legame con lei, tantomeno la bambina che potrebbe essere uccisa da un momento all’altro. Arriverà un giorno in cui scoprirà da sola la sua esistenza, ma dovrà farlo da sola e senza l’aiuto di nessuno. 
Non rivelate a nessun altro l’esistenza di questa lettera.
 
P.S:Mi raccomando fate attenzione!
 
 
Rilessi la lettera due volte, tre volte, quattro volte, tutte le volte che mi servivano per assorbire quelle parole scritte di fretta su un pezzo di carta spiegazzato. Quelle parole mandavano un chiaro messaggio: pericolo, un grosso pericolo, un pericolo sempre più vicino che presto mi avrebbe trovato, un pericolo che non conoscevo ed era questa la cosa che più mi spaventava. L’ignoranza del pericolo, l’ignoranza di un ignoto destino che mi stava soffocando, l’incapacità di scoprire il pericolo che era presente, avevo paura di qualcosa che non potevo controllare, qualcosa più grande di me, qualcosa che forse mi avrebbe ucciso.
Chiusi la lettera e me la infilai in tasca, avevo bisogno di risposte.
- Qualcun altro sa di questa lettera? - domandai.
- No, nessuno, solo noi.
- Non ho mai avuto un incidente vero?
- No, quando ti abbiamo trovato non ricordavi nulla, probabilmente avevi perso la memoria. Abbiamo deciso di dirti che avevi fatto un incidente per farti credere di essere nostra figlia, ma la verità è che neanche noi sappiamo a cosa è dovuta la tua amnesia.
- Siete sicuri? Non mi state mentendo, vero? – chiesi quasi supplicando.
- No, tranquilla, questa è la verità, te lo assicuriamo.
- Perché nella lettera dice che per me potrebbe essere pericoloso sapere chi sono davvero?
I miei genitori si guardarono di sfuggita, e nei loro sguardi riuscii a cogliere un segno di sconfitta, molto vecchio.
- Non lo sappiamo. Credici, abbiamo passato intere giornate a riflettere sul significato di quelle parole, e non siamo mai riusciti a dar loro un senso.
- Io . . . io non riesco a capire. Voi non sapete davvero chi sono i miei genitori? – chi potevano essere?
- No non lo sappiamo, tutto ciò che potevamo dirti te l’abbiamo già detto. - rispose mia madre.
- Anche se . . . anche se non sei nostra figlia noi ti continueremo a voler bene come te ne abbiamo sempre voluto, e ti aiuteremo quando avrai bisogno di aiuto. - Mia madre parlava a tentoni come se le mancasse l’aria, quell’espressione: - Anche se non sei nostra figlia . . . - capii che quelle parole le erano costate care. Forse in un altro momento avrei apprezzato ciò che mi aveva detto, sarei stata contenta di averli accanto. Ma stavolta no, le parole di mia madre mi infastidivano, mi irritavano, come poteva pensare di cavarsela così?
Non dissi niente, mi limitai a guardarli. Sembravano reduci di una tortura, talmente sfiniti che se non ce l’avessi avuta con loro, mi sarei preoccupata se stessero bene.
Me ne andai in camera in silenzio, non avevo più voglia di ascoltare nulla, ero arrivata al limite e non avrei sopportato un’altra rivelazione. Guardai la camera, non era cambiata di una virgola, era sempre disordinata e incasinata come sempre, ma c’era qualcosa di diverso, avevo una strana sensazione: questo non era il mio posto.
Non era possibile, due giorni fa avevo una vita normale e adesso era successo questo disastro. Quante cose possono cambiare in un solo giorno, in un minuto, in un attimo. Il tempo mi stava giocando un brutto scherzo dal quale non riuscivo più a uscire e nel quale sprofondavo sempre più. Perché il tempo mi aveva tradito? Perché lo vedevo sempre più lontano e inafferrabile?
In un momento era riuscito a spazzare via tutto, tutto quello in cui avevo creduto finora, tutto quello per cui avevo riso e pianto. Mi aveva portato via la vita, e la paura mi stava opprimendo, schiacciandomi i pensieri. Mi raggomitolai nel letto e iniziai a piangere sperando che le lacrime mi aiutassero a buttare fuori il dolore che in quel momento era dentro me, sperando che riuscissero a prosciugarmi la sofferenza che si espandeva nel mio corpo. Ma le mie lacrime erano troppo deboli per aiutarmi.



Lo so: questo capitolo non è un granché, ma non ho avuto il tempo di riguardarlo.
Ringrazio sempre tutti quelli che seguono la mia storia e un grazie speciale a Nedynadietta che ha recensito tutti i miei capitoli. Grazie mille!!!!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Ero al buio e da sola, mi alzai e girai per la casa in cerca di qualcosa da fare. Mi buttai sul divano e mentre sfogliavo distrattamente una rivista mi accorsi che i miei genitori erano davanti a me, e ripetevano: “tu non sei nostra figlia”.
Mi svegliai di soprassalto e cercai di calmarmi. Quella frase, quella maledetta e stupida frase, continuava a risuonare nella mie orecchie; ”tu non sei nostra figlia”, no, non ce la facevo, non riuscivo a dimenticarla. Avevo sempre creduto che la sofferenza psicologica fosse molto meno dolorosa di quella fisica, ma non c’erano paragoni. Il dolore psicologico era molto peggio. Se ti fai male fisicamente ti ci metti un cerotto e passa, prima o poi. Se si sta male dentro, non esiste nessuna cura, non si può prendere un antibiotico, e sperare che il dolore passi, perché non passa. Non si può pulire la ferita con un po’ d’acqua, perché più cerchi di chiuderla e più sanguina. Non si può sperare di guarire quando senti che non c’è più niente per cui vale la pena di lottare, perché è più facile lasciarsi andare.
I miei genitori mi chiedevano di perdonarli, io avrei tanto voluto farlo, ma non ci riuscivo. Avrei tanto voluto avere la forza di guardarli e dire: “vi perdono” ma non sapevo dove trovarla. Mi sentivo prosciugata dal rancore e dalla delusione.
Guardai fuori dalla finestra, c’erano ancora i bambini di ieri. Stavolta litigavano, non in maniera seria ovviamente, ma abbastanza per non giocare più insieme. Come li capisco, è così bello litigare solo per fare pace subito dopo e capire di aver fatto una sciocchezza. Ma presto vi accorgerete che non avrete tempo per queste cose perché il tempo è ingannatore, vi tradirà come ha fatto con me, presto capirete che le cose non si aggiustano in base alle vostre esigenze. Il mondo vi sembrerà così oscuro e minaccioso, tanto da aver paura di rimanerci catturati. E voi non potrete fare nulla per cambiarlo perché siete solo piccole macchie sulla terra, come me. Piccole macchie che pian piano si dissolvono e non lasciano traccia.
Sentii uno scricchiolio e la porta si aprì. Mia sorella entrò e si sedette accanto a me.
Seguì un minuto di imbarazzatissimo silenzio, che sembrava durare un’eternità.
- Mi dispiace tanto, io . . . io non . . .avrei dovuto arrabbiarmi con te in quel modo – provai a dire. – è solo che . . . che – non riuscivo a continuare, il fiato mi moriva in gola.
- Non ti preoccupare, avevi ragione. Hai fatto bene a dirmi quelle cose. – guardai mia sorella, teneva gli occhi fissi a terra, sembrava assente.
- No Jenny, è colpa mia, sono stata ingiusta e  . . .
- Basta! Ti prego smettila – singhiozzò. – tu lo sai che le cose che mi hai detto erano vere, hai fatto bene a dirmelo, non ti devi scusare. - Non avrei . . . io non credevo che . . . che tu . . . io non ho mai pensato che tu potessi avere bisogno di me. - mi sussurrò. – lo so ho sbagliato, tu mi chiedevi aiuto e io non te l’ho mai dato.
- Il fatto è che – continuò lei – il fatto è che ti vedevo sempre così contenta e felice che . . . che
- Jenny che cosa mi vuoi dire?
- Io ti invidiavo. - Cosa? Lei che invidiava me? Cosa aveva da invidiarmi, lei che è sempre così perfetta, sempre circondata da amici, sempre così sicura di se stessa. L’unica cosa che poteva invidiarmi era il mio non innato senso dell’equilibrio, e un incredibile capacità di cadere ogni 2 secondi. Cosa aveva da invidiarmi?
- Jenny, ma che dici? Tu non puoi essere invidiosa di me, non esiste. La tua vita è perfetta e hai un mucchio di amici e . . .
- No, Grace non è come credi. Io non sono piena di amici, io ho solo un sacco di persone che mi stanno intorno ed è una cosa molto diversa.
- Non capisco.
- Ascolta, puoi essere circondata da migliaia di persone ma è difficilissimo trovare qualcuno che ti voglia bene sul serio, e che sai che ti potrai sempre fidare di lui. È talmente raro che io non l’ho mai trovato. Tu  . . .tu invece hai tanti amici che ti vogliono bene e che ci tengono a te perché è impossibile non volerti bene. Io lo so che non è giusto ma . . . questa cosa mi infastidiva e parecchio e . . .e me la sono presa con te, tenendoti più alla larga possibile dalla mia vita. Mi dispiace tanto Grace, ti prego perdonami.
- È davvero questo il motivo per cui sei stata sempre distante per tutti questi anni? - le chiesi.
- Sì, e avrei continuato a farlo, ma quando mi hai detto quelle cose ho capito quanto ti avessi fatto soffrire. Grace ti prego perdonami.
- Non hai niente da farti perdonare Jenny.
- E invece, sì. Ho tanto da farmi perdonare, ti prometto che d’ora in poi cercherò di rimediare.
- D’accordo. – mormorai, commossa.
- Comunque anch’io non avrei dovuto urlarti in quel modo. Jenny ti posso fare una domanda?
- Sì certo.
- Hai parlato con . . . con . . .- perché non riuscivo a finire la frase? Non era complicato avrei dovuto solo dire: “hai parlato con mamma e papà?”. Non ci riuscivo, non riuscivo a trovare le parole.
- Sì, ci ho parlato.
- E ti hanno detto . . . del . . .del . . .
- Sì, me l’hanno detto. Credo sia giusto che ti dica tutta la verità, ascoltami bene perché sarà la prima e l’ultima volta che racconterò questa storia a qualcuno.
Mia sorella prese un bel respiro e cominciò:
- Circa dieci anni fa abbiamo ricevuto una telefonata strana dal medico principale dell’ospedale che diceva di raggiungerlo subito. Siamo andati di corsa e l’infermiera ci ha detto che un uomo aveva lasciato qualcosa per noi e aveva detto di chiamarci. Eravamo stupefatti, non capivamo perché ci avesse cercato, né perché ci avesse portato qualcosa. Ci ha fatto parlare con il medico che ci ha condotto in una stanza e ha dato una busta a mamma e papà. Tu eri in quella stanza, quando ti hanno guardato per la prima volta eri la cosa più bella che avessero mai visto. Hanno letto la busta e i loro volti si sono oscurati e angosciati, ma vedendoti, il loro sorriso è diventato più morbido. Si sono avvicinati al letto, mentre te ancora dormivi, sembravi così tranquilla, e non ci hanno messo neanche mezzo minuto per decidere che ti avrebbero portato con loro. Hanno chiesto informazioni al medico, su chi ti avesse portato o sul perché tu fossi lì, ma ci ha detto solo che avevi subito un grosso trauma. Le tue ferite erano piuttosto estese, avevi perso moltissimo sangue, e probabilmente avevi anche qualche costola rotta. Disse che era un miracolo se eri ancora viva. Quanto a colui che ti aveva portato il medico non ha saputo riconoscerlo, aveva degli occhiali neri e un cappuccio che gli nascondevano gli occhi. Quando ti sei svegliata eri molto confusa e impaurita, non ricordavi nulla, ma quando ti abbiamo chiesto come ti sentissi, ci hai risposto con un sorriso che ci ha illuminato la vita. Era il sorriso più bello che avessi mai visto, sembrava quasi che ti avessimo fatto un regalo con quella domanda.
E da allora hai sempre vissuto con noi. – concluse Jenny.
Impiegai qualche secondo ad assimilare quelle parole. In un ospedale! Mi avevano trovata in un ospedale mentre combattevo tra la vita e la morte, ma cosa mi era successo? Come potevo essermi ridotta così? Che cosa era successo in quei sei anni che non riuscivo a ricordare? Come avevano potuto i miei genitori abbandonarmi così? Ero praticamente quasi morta, come avevano potuto lasciarmi da sola in un momento simile? Guardai mia sorella negli occhi, identici a quelli della mamma. Quanto le somigliava, nell’aspetto, nel colore degli occhi, in tutto. Somigliava anche a papà nei lineamenti e nel colore dei capelli. Non l’avevo mai considerata una sorella, e ora che avevo scoperto che non lo era mai stata, la sentivo molto più vicina di quanto non fosse mai stata.
- Ti voglio bene – le dissi. Mia sorella mi guardò stupita, il suo sguardo si addolcì in un attimo e mi abbracciò forte.
- Ti voglio bene anch’io – mi sussurrò. – D’ora in poi ci sarò in qualsiasi momento per te, ricordatelo sempre. – aggiunse poi.
E in quel momento in cui ero così debole e impaurita, sentii per la prima volta che mia sorella era accanto a me e che lo sarebbe stata per sempre.
Fu a quel punto che mi accorsi che stava piangendo, finalmente l’avevo ritrovata.
Quella sera, la stretta che avevo allo stomaco scomparve e quando stavo per addormentarmi capii di non essere sola, e mi lasciai tranquillamente scivolare nel sonno più profondo.
Ancora quel bosco, ancora quel lago, ancora quello strano senso di inquietudine. Tutte queste sensazioni mi avvolsero e mi intorpidirono. Mi guardai intorno, stavolta non c’era davvero nessuno che potesse comparire all’improvviso e spaventarmi a morte.
E in quel momento tantissime domande mi risuonarono nella mente: chi erano i miei genitori? E chi ero io?  E soprattutto chi mi stava venendo a prendere e perché? E cosa mi era successo, prima di essere trovata dai miei genitori in ospedale, viste le mie gravi condizioni? Così tante domande e nessuna risposta, mi sentivo sempre più confusa. Mi sedetti sul ciglio del lago e lo osservai da vicino. Dire che il lago era bello era stata un’eresia, adesso che lo guardavo da vicino non sapevo neanche come definirlo, era . . .era stupendo, bellissimo. No, quelle parole probabilmente erano un insulto alla sua bellezza ma non me ne venivano in mente altre. La luce si riversava nello specchio del lago facendolo luccicare come i diamanti, l’acqua sembrava assorbire l’intensa luce del sole che la schiariva sempre più, non avevo mai visto uno spettacolo tanto bello in vita mia.
- Bello, vero?- disse una voce alle mie spalle. Urlai un’altra volta per la sorpresa e lo spavento. Quando mi girai, c’era di nuovo quel ragazzo che si massaggiava l’orecchio.
- Ti prego non farlo mai più, è la seconda volta che mi assordi. - mi disse. Poi si sedette accanto a me. Le stesse emozioni che mi avevano travolto la prima volta che l’avevo visto, infuriarono di nuovo dentro di me.
- Mi hai spaventata. - sussurrai. Mi ripromisi di non spaventare più mia madre sorprendendola alle spalle, avevo capito cosa si provava. Impercettibilmente mi allontanai un po’ da lui.
- Hai paura? - mi chiese.
- No – mentii. Anche se avvertivo un senso di familiarità con quel ragazzo, rimaneva sempre uno sconosciuto. Avrebbe potuto farmi del male.
- Stai tranquilla, non ti farò del male – disse, come se avesse udito i miei pensieri.
- Chi sei? - domandai infine. Prima di rispondere fece una breve pausa.
- Sono come te.
- E cioè? – a quel punto iniziavo ad arrabbiarmi.
- Non posso dirtelo, ma presto scoprirai tutto, non preoccuparti. - disse tranquillamente, come se fosse la cosa più naturale del mondo. E a quel punto esplosi.
- Non preoccuparti? Non preoccuparti? È tutto quello che hai da dirmi? Secondo te dovrei stare tranquilla dopo tutto quello che è successo? Dopo che ho scoperto di essere stata adottata e di non ricordare niente di quello che è accaduto quando ero piccola? Ah no, certo ma questo non è un problema vero? Non per te, a te che importa?
- Stai calma.
- Mi dici come dovrei fare a restare calma? Non capisci che . . . – a quel punto lui si avvicinò. Perché si avvicinava? Non poteva restare dov’era? Mi guardò con i suoi bellissimi occhi blu, e qualsiasi cosa avessi in mente di dire me la dimenticai.
- Voglio la verità, solo quella. - dissi infine con la voce tremolante.
- Sarebbe meglio che tu non sapessi nulla di questa storia.
- E perché sarebbe meglio che stessi fuori da questa storia? Ma ormai è troppo tardi, giusto?
- La verità, a volte non è meglio della finzione, le bugie ti offuscano la mente e ti confondono e a volte, come nel tuo caso, ti salvano la vita. 
- Che cosa stai cercando di dirmi?
- Perché credi che i tuoi genitori ti abbiano mentito? L’hanno fatto per proteggerti dal pericolo e sono stati molto coraggiosi ad assumersi questa responsabilità, sono brave persone.
Provai una fitta di dolore, pensando ai miei genitori, l’ultima volta avevamo litigato in modo molto brusco. Ripensando alle parole che avevo detto ora mi vergognavo, volevano solo proteggermi, è vero, ciò non toglieva il fatto che mi avessero mentito, ma se davvero l’hanno fatto solo per tenermi al sicuro, potevo anche prendere in considerazione l’idea di perdonarli.
- So cosa sono i miei genitori. - replicai. - Come fai a conoscermi e perché interagisci con i miei sogni, come fai?
- Io non . . . - iniziò a dire.
- Ah già, dimenticavo, non puoi dirmi neanche questo vero? - dissi stizzita. Non era nel mio carattere essere così sgarbata, meno che mai con uno sconosciuto, ma quel ragazzo mi stava facendo innervosire con la sua calma, mi veniva voglia di strozzarlo.
- È molto facile interagire con i sogni di altre persone, soprattutto con i sogni delle persone che si conoscono bene. - rispose con la sua solita e molto irritante calma.
- Aspetta . . . che hai detto? Tu mi conosci?
- Sì, ti conosco molto bene. – A quella affermazione seguì uno strano silenzio. Come faceva a conoscermi? Che avesse avuto a che fare con ciò che era successo prima dell’incidente?
- E perché io non ti conosco?- chiesi esitante.
- Tu mi conosci, solo che non te ne ricordi.
- Quando scoprirò quello che succede davvero?
- Beh, non dipende da me.
- Cosa?
- Dipende da te.
- Cosa vuol dire che dipende da me?
- Sta a te ricordare quello che è successo. Ora devo andare, non posso restare qui a lungo. - Si alzò, era veramente alto, nonostante io non fossi poi così bassa per la mia età, lui mi sovrastava di parecchio. Mi alzai anch’io di scatto.
- Non puoi andare via, io . . . io devo chiederti un mucchio di cose e . . . e poi in che senso, sta a me ricordare quello che è successo? Ho perso la memoria! Come faccio a ricordare? - chiesi spaventata.
- Devi tornare indietro.
- Indietro? Indietro dove? – stavo per avere un attacco di panico, o più probabilmente lo stavo già avendo. Faticavo a respirare e la testa mi girava.
- Non preoccuparti, tutto quello che devi fare è tornare indietro, nient’altro.
- Ma cosa significa? – esclamai. Il suo volto non fece una piega, in seguito al mio quasi urlo. Se non avessi sentito il mal di testa per lo sforzo, non sarei stata neanche sicura di aver alzato la voce.
Mi guardò con un sorriso pigro in faccia e accostò il suo volto al mio. Sentivo il suo respiro sempre più vicino al mio, mi faceva girare la testa.
- Stai tranquilla. - disse sfiorandomi la guancia con la punta delle dita. Il contatto della sua pelle sulla mia mi provocò una scarica elettrica lungo tutto il corpo.
Se ne andò dissolvendosi mentre piccoli brividi continuavano a percorrere la mia pelle.
La guancia bruciava, laddove la mano di quel ragazzo l’aveva sfiorata.

 
 
 
Ringrazio tutti quelli che hanno messo la storia tra le seguite o le preferite, ma soprattutto ringrazio tanto coloro che recensiscono!!
E grazie anche a chi continua a leggere la storia in silenzio. Però potreste pure lasciarla una piccola recensione, che vi costa??

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Il mattino dopo andai a scuola con Laila senza proferire parola, non avevo il coraggio di dirle che sapevo tutto.
Neanche la mia migliore amica aveva avuto il coraggio di dirmi la verità, neanche Laila era stata capace di dirmi ciò che a lungo mi era stato nascosto.  Avrei dovuto sentirmi tradita da lei, ma mentre la guardavo non provavo nè rabbia, nè avversione contro di lei, ma solo lo stesso affetto che ci aveva unite per tutte quegli anni.
- Grace, tutto bene? – mi chiese preoccupata.
- Certo tutto bene, perché non dovrebbe andare tutto bene? – Il fatto che non fossi arrabbiata con lei non significava che avevo voglia di parlarle, non ero ancora pronta ad affrontarla.
- Sei agitata. – concluse lei.
- No, non è vero.
- è vero, è vero. Hai litigato con i tuoi genitori?
- No, non è successo nulla, tranquilla. – Probabilmente lei capì che non avevo voglia di conversare, perché non mi disse nulla per tutto il tragitto.
A scuola, all’ultima ora di scienze non riuscivo proprio a concentrarmi, ripensavo a quel sogno e a ciò che mi aveva detto quel ragazzo. Non sapevo neppure come si chiamava, non sapevo nulla di lui, mentre a quanto pare lui sapeva tutto di me, forse troppo. Di sicuro sapeva come farmi innervosire.
- Allora Grace? – la figura del prof si parò davanti a me minacciosa.
- Ehm, . . . beh . . . ecco, mi può rifare la domanda? – chiesi più imbarazzata che mai.
Di conseguenza tutta la classe scoppiò a ridere. Attendevo che il professore parlasse mentre le guance del mio viso si colorava di rosso.
- Ti ho chiesto di espormi le teorie di Mendel. – disse il professore con il suo sguardo minaccioso.
- Ah, ehm, sì allora, vediamo, intanto le teorie di Mendel sono molto, molto famose e . . . e sono tre e . . .e poi . . . uhm . . . dunque . . .
- Scusi professore, ma non siamo ancora arrivati alle teorie di Mendel, abbiamo appena iniziato il DNA. - disse Laila correndo in mio aiuto.
Il professore la fulminò con lo sguardo e disse:
- Io sono sicuro di averle spiegate.
- Sì ma ci ha spiegato solo quelle, non la parte prima e poi non le ho capite, vorrei che me le rispiegasse. – ribatté Laila.
Il professore sembrava sul punto di scannarla, i suoi occhi passavano da me a Laila, continuamente finché non distolse lo sguardo e si diresse verso la lavagna.
- Grazie – le sussurrai.
- Non c’è di che - mi rispose con un sorriso.
 Tornai a casa e nel pomeriggio, mentre facevo i compiti, presi una decisione. Dovevo affrontarli, dovevo parlare con i miei genitori, in fondo mi avevano cresciuta loro.
Scesi le scale e li trovai intenti a sfogliare le riviste distrattamente, appena mi videro si alzarono dal divano sul quale erano seduti e mi fissarono.
- Noi . . . noi – provarono a dire.
Avrei voluto dire loro un mucchio di cose, tristi e belle, ma guardandoli negli occhi riuscii solo a dire questo e nient’altro:
- Vi voglio bene - sono solo tre parole, semplici brevi, ma se sono dette col cuore riescono ad accendere degli sguardi duri come ghiaccio. Tre piccole parole che se dette con sincerità ti portano via la tristezza e le angosce che ti hanno oppresso per tanto tempo. Bastano solo tre parole e una persona torna a vivere come se si fosse risvegliata da un lungo sonno, da cui non riusciva ad uscire.
I loro occhi si fecero lucidi e mi abbracciarono con una stretta talmente forte da farmi soffocare.
- Ci dispiace tanto, per favore perdonaci. – Non c’era bisogno di rispondere, li avevo già perdonati.
- Anche se non siete i miei veri genitori, mi avete cresciuta voi e avete fatto enormi sacrifici per me, quindi non m’importa che siate i miei genitori naturali o meno, vi vorrò sempre bene.-  Rovesciai quelle parole tutte d’un fiato, senza neanche il tempo di rifletterci, perché le avevo dette col cuore e qualsiasi cosa avessi detto non sarebbe mai stata sbagliata o falsa.
Mi strinsero ancora di più, e in quel momento capii che era anche più facile voler bene che odiare.
- Ti vogliamo bene anche noi - mi dissero.
- Mamma, papà io . . . devo tornare indietro. – dissi, anche se non avevo la minima idea di come fare.
- Cosa? - domandarono all’unisono.
Raccontai loro l’ultimo sogno che avevo fatto e le poche cose che ero riuscita a comprendere in seguito a quella strana conversazione.
Appena finito di raccontare il loro volto si rattristò, ma si ripresero subito tornando a sorridere.
- Devi fare ciò che è stato prescritto nel tuo destino – disse mio padre. – Quando ti troverai in momenti difficili, cerca di agire col cuore e non con la ragione. Non pentirti mai di una scelta che hai fatto col cuore, perché non può sbagliare e non ti tradirà mai. – aggiunse poi.
- Grazie – riuscii solo a dire questo, ma non servivano altre parole.
Quel pomeriggio andai a trovare Laila, per chiarire, per dirle che sapevo, non aveva senso buttare via tanti anni di amicizia.
Fu la madre ad aprirmi la porta.
- Oh, ciao Grace, sali pure, Laila è in camera sua che fa i compiti. – Certo, come no. Laila che faceva i compiti? Mmm . . . ne dubitavo fortemente, anche se evitai di dirlo a sua madre.
Andai nella sua camera e chiaramente stava facendo di tutto, ma i compiti no. La sua stanza era disordinata quanto la mia, forse di più. Tutti i vestiti erano all’aria, i cassetti aperti e tanti fogli sparsi dappertutto; sembrava essere passato un ciclone.
- Ciao Grace, sto facendo le pulizie di primavera.
- Vorrai dire d’inverno.
- No, no sono proprio le pulizie di primavera che stanno durando un po’ più del previsto . . . – disse lei scherzosamente.
- Di cosa volevi parlarmi? – mi chiese.
- Che ne sai che ti dovevo chiedere qualcosa?
- Allora, intanto sei venuta appositamente a trovarmi e lo fai solo quando sei nervosa, altrimenti mi avresti detto di incontrarci al muretto. Inoltre se mi avessi dovuto dire una cosa non molto importante, me l’avresti detta domattina a scuola, se fosse stata importante me l’avresti detta già stamattina, quindi deduco che è qualcosa di importante che ti gira per la testa da un bel po’, e di cui non hai il coraggio di parlarne. – concluse lei. Incredibile! Dopo tutti quegli anni riusciva ancora a stupirmi, era così brava a capire le mie emozioni. Ogni volta che le chiedevo come faceva mi rispondeva: “ Per me sei come un libro aperto”. Eppure io non mi sentivo così, anzi mi sentivo un libro chiuso.
- So tutto. – le dissi.
Lei smise di cercare di risistemare il letto e mi guardò attentamente.
- Di che parli? – mi chiese circospetta.
- Parlo di me, della verità che tutti quanti mi avete nascosto per tanto tempo, della verità che neanche tu hai avuto il coraggio di dirmi.
Spalancò gli occhi e le sue mani presero a tremare.
- Cosa? Di. . . Di che parli?
- Credo che tu lo sappia benissimo. – sibilai acida.
- Io . . . io non so di cosa tu stia parlando, non ti capisco. – disse senza guardarmi negli occhi.
- Laila guardami! Perché non mi hai detto nulla?
- Grace, ti prego smettila io . . . io – provò a dire.
- Laila basta! So tutto, so tutto, ho parlato con i miei genitori, mi hanno detto la verità.
- Hai parlato con i tuoi genitori?
- Sì!
- Grace io . . . avrei voluto dirtelo ma . . .ma non potevo.
- Lo so! Non devi spiegarmi nulla, so come sono andate le cose.
- Grace, io ti devo dire una cosa molto importante. E devi ascoltarmi bene. Se hai parlato con i tuoi genitori, ti avranno detto che ti hanno trovato in ospedale, no?
- Sì, me l’hanno detto.
- Sei rimasta lì qualche giorno e siamo diventate subito amiche. Appena ti ho visto ho capito che per me saresti stata speciale, come una sorella. Una notte ho dormito insieme a te in ospedale e ho visto un’ombra dalla finestra della tua stanza, volevo vedere chi era ma è subito scomparsa. Ho aperto la finestra e ho sentito delle voci, che parlavano tra loro. Non so di cosa ma credo che l’argomento della questione fossi proprio tu. Dicevano che sarebbe dovuto passare un po’ di tempo e che poi sarebbero tornati.
- E poi che hanno detto?
- Niente, ho sentito solo questo. Insomma era buio e avevo sei anni, avevo paura e mi sono rinchiusa dentro la stanza con te, tremando.
- Sei sicura che non abbiano detto altro?
- No, sicura.
- Anch’io devo dirti una cosa importante.
- Grace lo so che sei arrabbiata, ma . . .
- No, non si tratta di questo, io non sono arrabbiata con te, io . . .
- Non sei arrabbiata con me? – mi sussurro tra le lacrime che controllava a stento.
- No, tu non hai colpa, e non sono arrabbiata con i miei genitori, almeno non più, solo che devo dirti una cosa.
- Allora, stanotte ho fatto un sogno, e . . . e . . .c’era un ragazzo che mi ha detto che devo . . . devo fare una cosa. – dissi evitando di spiegarlo ciò che neanche io avevo capito.
- Non ti ha detto altro?
- No, che mi ricordi no.
- Senti Grace, io non so cosa sta succedendo, ma so che se avrai bisogno di qualcosa puoi contare su di me, capito? Anche se non ho idea di come questa storia andrà a finire, io so che ci sarò sempre per te, ricordalo.
- Sì capito – dissi commossa dalle sue parole.
L’abbracciai velocemente, per nascondere le lacrime, che alla fine nessuna delle due riuscì a trattenere.
Mentre tornavo a casa, mi sentii finalmente rilassata, per la prima volta dopo giorni.
Immersa  nei miei pensieri, mi scontrai contro Christine. Ero felice di vederla, lei riusciva sempre a tirarmi su il morale e a farmi tornare il sorriso, anche quando sembrava impossibile.
- Che piacevole incontro. – dissi.
- Vorrai dire che piacevole scontro. – Sorrisi.
- Come stai?
- Io? Io sto una meraviglia! Non sono mica io quella con la faccia da zombie. – rispose.
- Sono tanto terribile?
- Sì, decisamente sì. – sorrisi di nuovo.
- Non ti ho detto una cosa importantissima! – esclamò eccitata.
Feci finta di spaventarmi.
- Cioè?
- Sai che ultimamente mi stanno succedendo cose strane?
- Strane?
- Sì strane, cioè più che strane . . . irreali. – mi irrigidii. E se le fossero capitate le stesse cose che le erano successe a me? Scartai immediatamente quell’ipotesi, ritenendola impossibile.
- Cioè? Che tipo di cose? – chiesi.
- Beh, ad esempio l’altro giorno era nella mia camera, e facevo finta di studiare. E ad un certo punto . . . . Insomma, ho avvertito una sensazione di gelo intorno a me e mi sentivo . . .  strana. Era come se non fossi sola, ma che ci fosse qualcuno con me. – si interruppe un attimo.
- E poi che è successo?
- Mi sono spaventata, anche perché la porta di camera era chiusa a chiave e la finestra era ferrata, quindi, anche se fosse entrato qualcuno non capisco come possa aver fatto.
- Christine che è successo? – chiesi angosciata.
- Ho sentito un sibilo, e una presenza estranea intorno a me, e mi sono spaventata ancora di più, perché guardandomi intorno non vedevo nessuno e poi  . .
- E poi?
- Poi ho visto come una massa d’aria che pian piano si riuniva, fino a formare qualcosa o . . . qualcuno.
- E poi?
- E poi niente.
- Come niente?
- Niente, ho sentito i passi di mia madre che si avvicinavano alla porta, e nello stesso momento in cui lei ha bussato alla porta di camera, la presenza è svanita.
- Ne hai parlato con i tuoi genitori?
- Grace, andiamo. Cosa dovrei dire? Che ho sentito che con me c’era qualcuno, ma al tempo stesso non c’era nessuno, perché non l’ho visto? Insomma, dai, così mi guadagno un biglietto di sola andata per il manicomio. – non sapevo cosa rispondere. Da una parte aveva ragione, dall’altra aveva torto. Anche tutto quello che mi era capitato credevo che non fosse reale, poi parlando con i miei genitori avevo scoperto cose che non avrei mai immaginato.
- Sì, hai ragione. – le dissi. – Ma continuo a credere che faresti bene a parlarne con i tuoi.
- Forse hai ragione, ma non credo che lo farò. Hanno tanto di cui occuparsi, non importa che mi ci metta anche io con le mie allucinazioni.
- Christine! Ma potrebbe non essere stata un’allucinazione.
- E cosa avrebbe dovuto essere Grace? Andiamo su. Era un’allucinazione. Per forza!
- Io . . . non ne sono sicura.
- Grace, non devi preoccuparti per me.
- E invece sì. Quello che ti è successo non è normale. Io non so come fai a non preoccuparti.
- Preoccuparmi? E perché dovrei essere preoccupata?
- Per quello che ti è successo? Mi sembra una preoccupazione abbastanza grande.
- Ma io sono contenta che sia successo.
La guardai in modo strano, sperando di non aver udito quello che avevo appena sentito, davvero non gliene importava niente?
- Beh, all’inizio anch’io mi sono preoccupata come te; ma la mia preoccupazione è durata circa cinque minuti, poi è passata. Anzi se ora ripenso a quell’episodio, mi viene quasi da ridere.
- Sei impazzita?
- Cerca di immaginare le cose dal mio punto di vista, ok? Quello che mi è successo, potrebbe essere un buon allenamento per quando mi scrittureranno per i film horror. Grazie a quell’episodio, adesso riesco a spaventarmi a comando. Geniale, no?
- Fammi capire, la paura che hai avuto per circa cinque minuti, la consideri un buon allenamento per quando farai i film horror? – chiesi allibita, massaggiandomi le tempie.
- Certo che sì! Lo sai, molto presto diventerò una star del cinema. All’inizio avevo pensato di recitare nelle commedie, ma con quello che è successo ieri ho capito che la mia vocazione è un'altra: gli horror. – sorrisi. Christine era sempre Christine. A quanto pare non c’era verso per farla ragionare, sapevo che il mio era solo fiato sprecato. Quando si metteva in testa una cosa nessuno riusciva a dissuaderla dal suo intento.
- Ma se fosse successo qualcosa di grave . . . .
- Hei, Grace non gufare.
- Ok, volevo dire, se ti fosse successo qualcosa di grave, ma speriamo di no, non sarebbe meglio parlarne con qualcun altro oltre a me?
- Va bene, ok ci penserò. – rispose semplicemente. Sapevo che mi aveva dato ragione solo perché io la smettessi di agitarmi e preoccuparmi per lei. E lei sapeva che io lo sapevo.
Forse aveva ragione. Non dovevo preoccuparmi troppo, ma dopo che tutte quelle cose, che io credevo che fossero allucinazioni, si erano rivelate vere, non sapevo cosa pensare.
- Ti ho detto che non devi preoccuparti per me.
- Sì, ma io mi preoccupo lo stesso, e questo non puoi impedirmelo. – Christine sospirò.
- Grace ma tu . . .
- Cosa?
- Cioè insomma . . . ti ho successo qualcosa di grave ultimamente?
- Perché me lo chiedi?
- Perché non è da te preoccuparti così tanto, e se adesso ti comporti così forse è perché a te è successo qualcosa di brutto. – ero davvero un libro così aperto? Ero io che avevo qualche problema, oppure erano Laila e Christine ad essere tanto brave a leggermi dentro?
- Niente, ho scoperto delle cose, . . .  che non mi ha fatto molto piacere scoprire. – Christine rimase a fissarmi in silenzio, aspettando che le dicessi di più.
Tirai un lungo sospiro.
- I miei genitori mi hanno adottata. – la sua reazione fu un concentrato di stupore, sorpresa, sconcerto e angoscia.
Si avvicinò e mi abbracciò.
- Oddio, Grace mi dispiace, io non avrei mai immaginato che . . . . cioè sapevo che qualcosa ti era successo, ma non pensavo fosse una cosa così brutta. – disse tirandosi indietro.
- Mi dispiace tanto, sono una stupida avrei dovuto immaginarlo che se eri così strana doveva esserci una buona ragione.
- Non importa.
- Sì che importa! Chissà come ci sei rimasta quando te l’hanno detto!
- Ho avuto la stessa reazione che hai avuto tu. Solo che ero anche arrabbiata con i miei genitori.
- Allora stai bene? – mi richiese. - Cioè hai superato il trauma?
- Forse non l’ho ancora superato del tutto, ma ho perdonato i miei genitori.
- Ci è voluto molto coraggio da parte tua. – disse a voce bassa.
- Però adesso sei tu che non devi preoccuparti per me. – scherzai.
- Ma quello che è capitato a me è molto diverso da quello che è successo a te. A me non è successo nulla, per questo la tua preoccupazione era irrazionale, ma quello che è capitato a te, è una cosa molto più grave, quindi la mia è una preoccupazione normalissima. – ribatté.
- Ok, hai ragione.
- Scusa, ma devo andare, se faccio tardi come al solito, mia madre mi ha giurato che non mi farà più uscire di casa. – disse ad un tratto.
- Sì, anch’io devo andare.
- Tu . . . sei sicura di star bene? – mi chiese per la terza volta.
- Christine, ti ho detto di sì!
- Beh, tanto per esserne sicuri.
La abbracciai, poi ognuno andò nella direzione opposta dell’altra.
Avevo fatto appena cinque passi, quando Christine mi chiamò. Mi voltai.
- Ti voglio bene. – disse.
- Anch’io. – risposi.
Io e Christine eravamo così, nessuna delle due riusciva mai a dire quanto era legata all’altra.
Christine sollevò gli angoli della bocca, facendo un sorriso bellissimo. Poi se ne andò.
Né io, né lei sapevamo che quello sarebbe stato uno dei suoi ultimi sorrisi.

 


 Angolo Autrice
Questo capitolo mi è venuto bello lungo, sono fiera di me!!
Non succede granché a dir la verità, diciamo che è una specie di capitolo di “passaggio”, chiamiamolo così…
Allora ringrazio tantissimo
elepina, Francesca_90, nene_cullen, Nikkina Cullen, PinkPrincess, prettyvitto, RoryPotter e anda per aver messo la mia storia tra le seguite. E ringrazio tantissimo anche Lady_Crystal, Nedy_Nadietta e Serew per aver messo la mia storia tra le preferite. E ringrazio moltissimo Annabeth_Chase e sempre Lady_Crystal per avermi messo tra gli autori preferiti. Ringrazio soprattutto Nedy_Nadietta, Lady Crystal, Serew, Francesca_90 e Nikkina Cullen perché hanno recensito almeno una volta uno dei miei capitoli.
E infine ringrazio anche coloro che continuano a seguire la mia storia in silenzio.
Grazie mille a tutti!! Spero che il capitolo vi piaccia!!!
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Quando tornai a casa, mia madre stava già preparando la cena. Mi sedetti sul divano e dopo circa mezz’ora andammo a tavola. Fu una cena tranquilla, finalmente avevamo ritrovato quell’atmosfera priva di tensione e rilassante.
Dopo la cena, mio padre prese il giornale e si buttò sul divano col rischio di sfondarlo. Si tolse le scarpe e rimase con i piedi all’aria, mia madre si sedette vicino a lui, stando ben lontana dai suoi piedi, e mia sorella prese a parlare allegramente al telefono.
Sembrava tutto così normale, come se non fosse successo nulla. Sembrava che gli avvenimenti degli ultimi giorni non avessero scalfito la tranquillità della nostra famiglia, e la cosa mi piaceva, perché era solo questo che volevo; una vita semplice e normale. Purtroppo sapevo che la mia vita non sarebbe mai potuta essere così, magari lo era stata fino a quel momento, ma adesso stava per cambiare, forse per sempre. Avevo sempre affrontato i problemi, ma questo era più grave e questa volta sarei dovuta andare avanti da sola, senza l’aiuto di nessuno. Non avrei permesso a nessuno di aiutarmi, non volevo coinvolgere la mia famiglia. Non sopportavo neanche l’idea che avrei potuto mettere in pericolo le persone a cui tenevo di più, non volevo che succedesse loro qualcosa, volevo vederli felici e al sicuro.
Iniziai a sfogliare il giornale molto distrattamente, per far passare il tempo.
Quando furono le dieci andai in camera.
- Io vado a letto, domani devo andare a scuola e sono stanca. – Era una mezza bugia, non sapevo neanche se domattina sarei andata a scuola, ma dovevo allontanarmi da loro il prima possibile, prima che non trovassi più la forza per farlo.
- Buonanotte Grace. - disse mia madre mentre scompariva dietro la porta.
- Buonanotte mamma – il volto di mia madre si addolcì e sparì in salotto. L’avevo detto con naturalezza, senza problemi o bugie. “mamma”, la parola più dolce del mondo.
Buonanotte” aveva detto. Come no! Non sapevo neanche se sarei riuscita a dormire quella notte, anzi avevo addirittura paura ad addormentarmi. Così prima di mettermi a letto, guardai tutte le fotografie che avevo nella mia stanza. Erano tutte foto che ritraevano un momento particolare della mia vita, in modo da non dimenticarmene mai.
Mi soffermai soprattutto su una in cui ero vestita da pinguino per il carnevale, in una mano tenevo tanti coriandoli di mille colori, mentre nell’altra avevo la mano di mia madre. La tenevo stretta, con forza, quasi avessi paura che volasse via. Era una delle foto più vecchie che avevo, ero molto piccola. In quel momento notai un particolare al quale non avevo fatto caso in tutti quegli anni. Era possibile scorgere il mio polso destro in quella fotografia, e rimasi sconvolta. Si vedeva un grosso sfregio che partiva dal pollice e scendeva fino al polso, il taglio sembrava molto profondo e il suo colore rosso-violaceo mi fece capire che me lo ero procurato da poco. Avrò avuto sei o al massimo sette anni. Quella fotografia probabilmente era stata scattata che ero da poco uscita dall’ospedale. Cosa mi era successo? La ferita avrebbe potuto essere letale, il taglio infatti passava sopra le vene, che probabilmente erano state tagliate. Di sicuro quella ferita non me la ero procurata da sola. Sì, a volte ero molto distratta, ma non fino a quel punto. Quella ferita era stata fatta intenzionalmente; qualcuno aveva cercato di ferirmi, forse di uccidermi.
Mentre questo pensiero prendeva spazio e si cementificava nella mia mente, sentii una stretta allo stomaco. Quando ero piccola, qualcuno aveva cercato di uccidermi! Perché? Chi era stato? Più mi sforzavo di ricordare il mio passato, più i miei ricordi si confondevano tra loro, aumentando i miei dubbi e le mie incertezze.
Guardai un’altra foto, per cercare di calmarmi. Ero con Laila, ci tenevamo per mano e facevamo delle facce buffe. Sorridevamo allegramente, tutte e due. Forse eravamo al luna Park o forse eravamo al parco, oppure stavamo giocando alle belle statuine, ovunque fossimo ci stavamo divertendo da matte a giudicare dal modo in cui sorridevamo nella foto.
Una lacrima percorse velocissima il mio viso prima che riuscissi a fermarla. Non potevo, non volevo lasciarmi tutto alle spalle, non volevo andarmene per sempre. Al pensiero che forse non avrei mai più rivisto la mia migliore amica, mi sentii male.
Accanto alla foto con Laila ce ne era un’altra che mi ritraeva con Christine quando eravamo piccole. Mi assomigliava, più di quanto mi assomigliasse ora. I suoi capelli erano chiari come i miei, poi si erano leggermente scuriti col tempo, ma comunque continuava ad assomigliarmi e se qualcuno non ci avesse conosciuto, sarebbe stato molto facile scambiarci.
Guardai infine un’ultima foto, eravamo io e mia sorella. Io abbracciavo un orsacchiotto, e lei un cuscino. Mi ricordavo di quel giorno, avevamo appena fatto la battaglia di cuscini, e io avevo appena salvato il mio orso Bubu dallo scontro. Quando mia madre tornò a casa e vide tutte le piume per terra, si arrabbiò moltissimo, al contrario di mio padre che si unì alla lotta, iniziando a colpirci col cuscino. Praticamente quella foto era stata scattata in mezzo ad un totale sfacelo dei cuscini e dei divani, tutto accompagnato da una generosa e abbondante spruzzata di piume.
Mia madre riuscì a restare arrabbiata per ben nove minuti e qualche secondo, ma poi si mise a ridere e a giocare con noi.
Riguardando quella foto a distanza di tanti anni, non mi sembrava neanche più di averlo vissuto un momento tanto bello. Studiai meglio la foto.
Anche ad occhio nudo era plausibile la differenza tra me e mia sorella, adesso che sapevo quasi tutto, vedevo ancora più chiaramente le differenze che c’erano tra me e lei. Questa cosa mi fece sentire terribilmente sola.
Mi sedetti sul letto, abbracciandomi le ginocchia. Era la mia posizione preferita per pensare.
Torna indietro, devi tornare indietro” – cosa significavano quelle parole? Dove dovevo tornare? E anche se l’avessi saputo, come avrei mai potuto fare? Volevo saperlo con tutte le mie forze, e avrei anche tanto voluto sapere chi erano i miei genitori. Che razza di persone potevano essere se mi avevano abbandonata in un ospedale mentre ero gravemente ferita? Ma la domanda che più mi premeva era un’altra: Io chi ero? Chi ero veramente? Non lo sapevo, e solo allora realizzai che non lo avevo mai saputo, non fino in fondo. La cosa che più mi preoccupava era anche un’altra: io ero come gli altri? Nella lettera c’era scritto che ero speciale. Di solito tutti i genitori lo dicono dei propri figli, ma nella lettera sembrava intendere che fossi “speciale” nel senso di “diversa”. Era vero? Ero diversa? Avevo sempre vissuto normalmente, e l’unica cosa che mi aveva distinto dagli altri bambini era il fatto che a sette anni ero già capace di leggere e scrivere perfettamente, e preferivo leggere libri lunghi e complessi piuttosto che le favole. Ma non c’era nient’altro.
Era meglio non pensarci.
Mi misi nel letto, affondai il viso nel cuscino e tirai su le coperte, come se tutte le mie angosce non potessero penetrare il tessuto. Come se tutte le cose orribili che stavo vivendo non potessero raggiungermi, come se restassero fuori dalla mia vita, almeno per quella notte. Sperai con tutto il cuore che fosse così.
 
La sua immagine mi si parò davanti facendomi sobbalzare. Aveva qualcosa di diverso dall’ultima volta che l’avevo visto, qualcosa nel suo sguardo era cambiato. Riuscivo a intravederne la rabbia.
- Cosa stai aspettando? – chiese bruscamente.
- A fare che?
- Devi tornare indietro, e subito. – gli occhi più belli che avessi mai visto mi trafissero, mi catturarono e impedirono ai miei di slacciarsi.
- Non ho idea di quello che dici, non potresti essere più chiaro?
- Devi muoverti, non hai più tempo.
- Cosa dovrei fare? Non capisco! – esclamai frustata.
- Devi tornare qui. Devi tornare a casa tua.
- Questa è casa mia. – dissi arrabbiata. Vidi il suo sguardo rabbuiarsi, e per un attimo la tristezza gli velò gli occhi. Quasi mi dispiacque delle mie parole. Non capivo come potevo dispiacermi di un ragazzo che neanche conoscevo.
- Tu sei qui solo per caso. Ora basta. – il suo corpo si irrigidì. – Il tuo tempo è scaduto. – Quelle parole mi ferirono. Io ero lì solo per caso. Il mio tempo era scaduto. Mi stava dicendo la verità? E cosa avrei dovuto fare?
- Che devo fare?
- Devi tornare indietro, adesso.
- Non so come fare.
- Non ci hai neanche provato. Devi farlo il più presto possibile.
- E se non volessi? E se non volessi tornare indietro? E se volessi restare qui?
- Più resterai qui, più metterai in pericolo le persone che ti stanno intorno. È davvero questo che vuoi? Mettere in pericolo coloro che ami?
- Io . . . io non . . . – mi paralizzai di colpo. Un pensiero era fisso nella mia mente. Una persona. Christine. - Mi sono successe delle cose irreali. Insomma . . . ho sentito una sensazione di gelo intorno a me. – le sue parole si pararono davanti all’evidenza che continuavo a negare.
- Se non verrai tu, verranno loro a prenderti.
- Loro chi? – ma accanto a me non c’era più nessuno.
 
Mi svegliai di soprassalto, il cuore mi batteva nel petto, riuscivo addirittura a sentirlo rimbombare tra i miei pensieri.
Mi presi il volto tra le mani. - È davvero questo che vuoi? Mettere in pericolo coloro che ami? – mi aveva urlato quel ragazzo.
No. Non era ciò che volevo, non lo avrei mai permesso. – Se non verrai tu verranno loro a prenderti. – chi stava venendo a prendermi? Ma il mio pensiero fisso era un altro. Lo sapevo, anche se cercavo di celare ciò che avevo capito; loro erano già qui. Per venirmi a prendere. – Mi sono successe delle cose irreali. Insomma . . . ho sentito una sensazione di gelo intorno a me. – le parole di Christine nuovamente si infransero contro i miei pensieri. E se fossero stati loro quelli che la sera prima erano entrati nella casa di Christine? Ma lei cosa centrava con loro? E io cosa centravo? Afferrai il cellulare, le mie mani tremavano. Digitai il numero che conoscevo ormai a memoria; ma dovetti cancellare e riscrivere più volte i numeri perché le mie mani erano talmente nervose, che non riuscivano a smettere di tremare. Accostai il cellulare all’orecchio e attesi, ansimando nervosamente. Era quasi mezzanotte. Sperai tanto che non stesse dormendo e che non si arrabbiasse troppo, per la mia chiamata notturna. Ti prego, ti prego, rispondi. Per favore rispondi, per favore! Volevo solo sentire la sua voce. La sua voce sempre allegra e vivace, che mi metteva ogni volta di buon umore. Volevo solo accertarmi che Christine stesse bene, e che i miei pensieri fossero infondati.
Dopo otto squilli scattò la segreteria. Strinsi il cellulare tra le mani, con una tale violenza da rischiare di romperlo.
Non importava quanto fosse grave o futile il motivo; non importava se lei era impegnata in qualcosa che le stava a cuore. Non importava che ora fosse. Christine mi aveva sempre risposto. Sempre.

 
 
Angolo Autrice
Ciao a tutti!! Scusate il ritardo, ma questo capitolo non voleva saperne di uscir fuori, e infatti è venuto una schifezza……
Ringrazio tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le preferite e le seguite, e anche coloro che leggono la mia storia in silenzio!! Ma un grazie speciale alle ragazze che recensiscono!! Grazie mille a tutti =)
Al prossimo capitolo!!!
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Lo sentivo. Lo percepivo dentro di me. Le era successo qualcosa. Lacrime involontarie caddero dal mio volto, non riuscivo più a controllare i miei gesti. Per quasi un minuto smisi di respirare. Calma. Stai calma. Può succedere a tutti di non rispondere per una volta nella loro vita. Anche se avessi voluto correre ad aiutarla a quest’ora i miei genitori non mi avrebbero mai fatto uscire. Cercai di riprendere a dormire, ma il volto di Christine continuava a comparire tra i miei pensieri, torturandomi. Dopo varie ore di sonno travagliato, costrinsi i miei occhi a chiudersi.
Fu il più grande errore della mia vita.
 
Ero da sola in uno scantinato, o almeno così mi sembrava. Era completamente buio e faceva molto freddo, mentre respiravo, aria condensata usciva dalla mia bocca. Non riuscivo a vedere nulla, non c’era abbastanza luce. Mi affacciai ad una piccola finestra lì vicino e finalmente vidi qualcosa grazie alla luce della luna. Il vento bussava violentemente contro le finestre di vetro, gli alberi ondeggiavano e milioni di foglie venivano portate lontano.
Pioveva molto forte, forse grandinava. In alcuni punti l’acqua veniva giù come una cascata. Sembrava che fuori si stesse scatenando una tempesta.
Non sapevo dove fossi, ne cosa ci facessi lì, sentivo che era sbagliato, era molto pericoloso per me restare in quel luogo. Non dovevo essere lì, dovevo andarmene al più presto possibile, perché in quel posto c’era qualcosa che non tornava. Il mio sesto senso, per quanto fosse sottosviluppato, mi urlava di fuggire, subito, altrimenti sarebbe successo qualcosa di orribile. Intanto milioni di domande mi occupavano la mente.
Dov’ero? E perché ero lì? Come c’ero finita? Che mi era successo? Cercai di alzarmi, ma le gambe mi dolevano e non mi sentivo più le braccia, anzi non sentivo più i muscoli di alcuna parte del corpo. Mi guardai le mani. Un liquido rosso le ricopriva interamente. Per un attimo pensai che potesse essere vernice, poi mi resi conto di ciò che avevo davanti. Sangue! Le mie mani erano completamente coperte di sangue che colava sul pavimento. Il cuore prese a battermi all’impazzata, e cominciai a sudare freddo, il fiato mi morì in gola e per un attimo smisi di respirare. Stavo sanguinando! In quel mentre mi abituai al buio e finalmente misi a fuoco il luogo in cui mi trovavo, per quel poco che il buio permetteva. Ero in una piccola stanza, le pareti erano di legno, e non sembravano per niente solide, c’erano delle travi appoggiate alla parete, un armadio mezzo sfasciato e per il resto regnava un disordine totale. Probabilmente era una vecchia capanna abbandonata, non sembrava esserci nessuno lì con me, e questo mi portò a chiedermi di nuovo, come ci fossi finita in un quel luogo così tetro. Ero sicura di non esserci arrivata da sola.
 Poi vidi qualcosa che mi lasciò senza fiato. Grosse macchie rosso scuro erano per tutta la stanza, e si interrompevano solo sotto di me. Non potevo credere che tutto quel sangue fosse mio! Cosa mi era successo? Mi provai ad alzare una seconda volta. Niente. La gamba destra era completamente andata, e non riuscivo neanche a sollevarmi con le braccia anch’esse fuori uso. La gamba mi faceva male così tanto che mi stava quasi uccidendo, il dolore era talmente forte da desiderare di non avercela neanche mai avuta una gamba, mi sembrava che bruciasse, sì, bruciava, tanto da farmi urlare e gemere di dolore. Il fuoco infuriava, mi sembrava di scoppiare dalla mia stessa pelle.
Strinsi i pugni, così forte che mi diventarono le nocche bianche. Cercai di controllare il dolore, ma senza riuscirci, urlai di nuovo. Il mio fiato si fece corto e i respiri si ridussero ad uno spiraglio di aria. Poi udii una risata, una risata aspra e crudele. Una risata che godeva del mio dolore, che si nutriva di esso. La paura e il dolore si impossessarono di me.
Mi guardai le gambe. Probabilmente i miei pantaloni inizialmente erano blu, ma adesso erano impregnati di rosso. Sangue. Di nuovo. Tutto quel sangue era mio, com’era possibile? Sentivo che ogni secondo che passava le forze mi abbandonavano ed io diventavo sempre più debole. Tossii violentemente, e uscì del sangue dalla bocca. Faticavo a respirare e a tenere gli occhi aperti. I miei polmoni cercavano disperatamente di prendere aria, ma inutilmente, qualcosa mi bloccava la gola. Sputai altro sangue. Stavo morendo, stavo perdendo troppo sangue, non riuscivo più a muovere un solo muscolo. Era incredibile quanto fossi lucida nel momento in cui ero più vicina alla morte, ma riuscivo ancora a percepire i sensi, nonostante i contorni iniziassero a sfumare. Probabilmente era il dolore a tenermi sveglia e lucida. Chiusi gli occhi, e cercai di comprendere la situazione in cui ero finita. Forse era un sogno, no, impossibile, un sogno non faceva così male, anche se fosse stato un incubo. Forse qualcuno mi aveva rapita e mi aveva portato qui di notte. No. Anche quell’ipotesi era impossibile, mi sarei accorta che mi stavano portando da qualche altra parte. E soprattutto mi sarei accorta quando mi avevano ferito in quel modo, chiunque fosse stato. Qualunque cosa fosse, mi stava uccidendo e io dovevo capire ancora troppe cose, per lasciarmi andare.
- Scappa – disse una voce nella mia testa.
Come se fosse facile!
- Scappa – ripeté. – Subito, o sarà troppo tardi – aggiunse.
Come avrei voluto poter scappare, come avrei voluto fare ciò che il mio istinto urlava, ma non ci riuscivo, ero troppo debole.
- Non lasciarti sopraffare, vuota la mente, concentrati, non sempre ciò che si vede corrisponde alla realtà – mi disse la voce. Stavolta suonava come un ordine, ma non sembrava il mio istinto che mi suggeriva di scappare, sembrava quasi che quella voce venisse dall’esterno, che qualcuno mi stesse osservando e cercasse di aiutarmi. Questo bastò per spaventarmi a morte.
Di nuovo mi avvolse la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato in quel luogo, che non mi fossi resa conto di qualcosa di molto importante a cui non avevo fatto caso fino ad ora, ma ero troppo spaventata per accorgermene. Il mio cuore prese a battere ancora più velocemente se possibile, sembrava volesse trafiggermi il petto da tanto che correva veloce. I suoi battiti rimbombavano nel silenzio frustante di quella stanza, sovrastando qualsiasi altro rumore, sempre che ce ne fossero.
Poi mi accorsi di una cosa. Davanti a me c’era uno specchio gigantesco, molto più grande di me e soprattutto molto impolverato, probabilmente era vecchio anni luce. Cercai di strusciare sul pavimento, in modo da riuscire a vedermi allo specchio, con la luce della luna che penetrava dalla finestra. Dopo vari tentativi riuscii ad avvicinarmi a malapena, ma sempre meglio di niente. Almeno avrei scoperto in che condizioni ero.
- Non guardare – urlò la voce nella mia mente. Stavolta ero sicura che fosse un ordine e che probabilmente avrei fatto meglio a seguirlo. Ovviamente, qualcuno più intelligente di me, avrebbe dato ascolto a quella voce, ma ero stanca di segreti, volevo la verità, non volevo più nascondermi da tutto ciò che avevo intorno.
- Non farlo, ti prego non farlo. – disse la voce quasi come una supplica.
- è pericoloso, non farlo- aggiunse.
“ E non è ancora più pericoloso che io rimanga all’oscuro della verità, ignorando i pericoli che mi circondano?” – pensai istintivamente.
Fu come se la voce avesse udito i miei pensieri, perché si zittì del tutto e non disse più nulla.
Quindi raccolsi tutte le poche forze che mi erano rimaste, mi avvicinai ancora di più e alzai gli occhi su quello specchio.
Non so spiegare ciò che vidi in quel momento, non so descriverlo, non sapevo neanche se se me lo stavo immaginando. Potrei solo dire che quell’immagine mi ha perseguitato per sempre, negli incubi più oscuri e nei pensieri più bui, che quel riflesso era senz’altro la cosa più orrenda che avessi mai visto, e infatti, non me la sono mai dimenticata.
 
Non riuscivo a crederci, non potevo crederci, era impossibile. Come poteva essere?
Nello specchio vedevo riflesso il volto di una bambina, avrà avuto al massimo sei anni, non di più. Sembrava reduce da una tortura, e faticava a tenere gli occhi aperti, ma nonostante il suo viso fosse stravolto e insanguinato, era angelico e induceva tranquillità. Il corpo era sanguinante e afflosciato a terra, il volto contratto e circospetto, lo sguardo rigido e sofferente.
Fu come vedere due persone completamente diverse, da una parte una bambina dolce e tenera, con le guance paffute e gli occhi grandi, i lineamenti sottili e ciocche di capelli dorati che le incorniciavano il viso, dall’altra vidi una bambina che aveva combattuto e aveva perso, una bambina che continuava a lottare tra la vita e la morte, e probabilmente la morte stava prendendo il soppravvento.
Ma non fu quello che mi colpì, non fu quello che finalmente avrebbe dato un senso a tutto.
La bambina alzò lo sguardo verso di me e mi guardò dritta negli occhi, trafiggendomi con il suo sguardo oppresso dai dolori lancinanti. Uno sguardo che non avrei più dimenticato, neanche se avessi voluto. E quegli occhi. Di un colore così unico e raro, che era impossibile sbagliarsi. I suoi occhi. I miei occhi. Occhi verdi screziati nell’azzurro.
Quella bambina ero io. 

 
 
Angolo Autrice
 
Ciao a tutti!!
Spero che il capitolo vi piaccia, e che lascerete una piccola recensione, anche negativa.
Voglio ringraziare davvero tanto tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le preferite, le seguite e le ricordate, e ringrazio anche chi continua a seguire le mie storia in silenzio.
Ma un GRAZIE speciale alle ragazze che recensiscono.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Ero io. Quella bambina ero io. I suoi occhi saettarono nei miei e mi trapassarono con il suo sguardo. Erano i miei occhi. Mi toccai il volto con la mano dolorante, per poi subito riabbassarla, non riuscendo a sostenerne il peso. La bambina nello specchio fece lo stesso, imitando il mio movimento maldestro. Ero io, non c’erano dubbi. Mi guardai nuovamente le mani, erano piene di sangue, ma adesso feci caso anche ad un altro particolare, erano piccole. Molto più piccole delle mie, si vedevano che erano le mani di un bambino. Mi guardai i piedi, erano circa la metà della mia attuale misura. La sconvolgente sorpresa mi paralizzò del tutto, facendo passare in secondo piano il dolore della gamba. Ma cosa significava? Perché ero in quello stato? E soprattutto perché ero tornata bambina? Ero proprio sicura di non stare sognando? Era stupido pensarlo, ma era l’ipotesi più plausibile. Cercai di riordinare le idee.
Mi guardai di nuovo in quello specchio, avevo sei anni. Forse era questo ciò che mi era successo prima che i miei genitori mi trovassero, forse era per questo che ero finita in ospedale, e forse era per questo che avevo perso la memoria in seguito a questo episodio. Sembrava che le cose cominciassero a tornare, c’era solo un piccolo problema; come mai ero tornata bambina? E come ero arrivata lì? E soprattutto chi era stato a ridurmi così? E perché poi? Forse ero riuscita a capire qualcosa, ma adesso avevo ancora più dubbi di prima.
Mi avvicinai allo specchio e poggiai la mano su di esso. Le due mani combaciavano. La mia mano scivolò a terra lasciando una scia di sangue sullo specchio.
Ma che mi stava succedendo? Non ne potevo più di non capire nulla. Ero stanca di non sapere la verità.
I miei occhi cominciarono a chiudersi, ero anche stanca di lottare per niente. Lasciai che le forze mi scivolassero via e che il sonno mi avvolgesse.
E in quel momento un fascio di luce mi accecò.
Chiusi gli occhi e non sentii più nulla. Percepii solo che il mio corpo veniva sollevato da terra, staccandosi dal suolo, e che veniva trasportato chissà dove.
Passarono minuti interminabili, che sembravano ore e forse lo erano davvero, mi lasciai travolgere dall’oscurità e tutto si fece buio.
E a quel punto mi svegliai.
Sollevai la testa confusa e agitata. Faticai a capire dov’ero, finché non mi accorsi che mi trovavo nella mia camera. La prima cosa che feci fu guardarmi le mani e le gambe. Erano bianche come sempre, nessuna traccia di sangue, ma soprattutto erano grandi. Erano le mie mani. Il dolore alla gamba era sparito, e anche i dolori che fino ad un attimo fa mi avevano avvolta. Mi alzai dal letto tremolante e andai in bagno, mi guardai allo specchio e vidi il mio volto, il mio volto normalissimo e non quello di quando ero bambina. Non capivo, davvero era stato tutto un sogno? Davvero avevo solo immaginato tutto?
Tornai nella mia stanza, non c’era niente di diverso dal solito, ma in realtà tutto era cambiato.
Mi sedetti sul letto più confusa e spaventata che mai, era solo un sogno quindi, eppure sembrava così reale . . .
Guardai la sveglia, erano le undici e mezzo. Probabilmente i miei genitori erano andati via la mattina presto e non mi avevano svegliato, e comunque non ero dell’umore adatto per andare a scuola.
Poi sentii dei colpi. Dei colpi forti ed energici alla porta. Chi poteva essere a quest’ora? Corsi, per uscire dalla stanza, ma nella fretta inciampai nel mio zaino, cascando a terra. Imprecai a bassa voce, liberai il mio piede e presi la cartella gettandola in un angolo della stanza. Probabilmente ci avevo messo un po’ troppa energia perché dallo zaino, che era aperto, uscirono fuori tutti i libri. Sospirai e cominciai a raccoglierli, con molta calma, cercando di non sfogarmi sui miei libri. Anche se, dopo quello che era successo, non sarebbe stata una reazione così spropositata. Chiunque fosse alla porta avrebbe dovuto aspettare un po’. Mentre risistemavo i libri, in mezzo agli altri vi trovai “Persuasione” di Jane Austen. Me ne ero completamente dimenticata. Lo avevo messo in cartella, ma poi avevo completamente rimosso il libro dai miei pensieri. Se ripensavo a quello che era successo in così pochi giorni mi sentivo male. Presi il libro e scesi giù di corsa. Intanto dai colpi alla porta, la persona misteriosa era passata al campanello. Sorrisi. Dietro a quella scampanellata poteva esserci solo una persona. Ingoiai la paura, per cercare di celarla, ma non fu facile. Aprii la porta e vi trovai Laila. Appena mi vide mi abbracciò.
- Grace, sei viva. – mormorò, sempre abbracciandomi.
- In che senso sono viva?
- Perché non sei venuta a scuola? – domandò furiosa. – Credevo ti fosse successo qualcosa, sono venuta qui, ho suonato per mezz’ora, e tu non aprivi, insomma mi hai fatto prendere un infarto! – a quel punto fu costretta a interrompere la sua sfuriata per riprendere fiato.
- Laila, calmati.
- No, io non mi calmo. – poi chiuse gli occhi e fece un gran respiro. – Grace, scusa, non sarei dovuta piombare così a casa tua come un tornado, ma ero così preoccupata . . .
- Tranquilla. – la rassicurai. – Mi piacciono i tornadi. – dissi con un’inaspettata calma.
- Beh, visto che ormai sei qui, entra no?
Lila sgusciò dentro casa, richiudendosi la porta alle spalle.
- Beh, allora come va?
- Bene. – risposi.
- Toglimi una curiosità, Laila, ma tu non dovresti essere a scuola?
- Oh beh, non è difficile fingere di stare male, perciò . . . – Scoppiai a ridere. Ma la mia risata si spense ben presto ripensando alla notte prima.
- Laila, a scuola hai visto Christine? – dissi quasi urlando.
- Christine? Umh . . . no non mi pare.
- Vuoi dire che non era a scuola? – stavolta urlai davvero.
- Non lo so, se c’era non l’ho vista. Ma che hai?
- Niente. – ero preoccupata e nervosa, ma se volevo che Laila restasse fuori da questa storia dovevo riuscire a rasserenarmi, o perlomeno fingere di essere serena.
- Che stavi facendo? – chiese Laila per spezzare il silenzio.
- Intendi dire prima che tu arrivassi e mi fondessi il campanello?
- Spiritosa. – solo allora mi ricordai di avere ancora tra le mani il libro che avevo preso per mia madre.
- Devo portare questo nello studio di mio padre. – dissi, mostrandole il libro.
Ci incamminammo verso lo studio, ma poi mi bloccai. Ricordavo bene quello che era successo l’ultima volta. E non volevo che si ripetesse, specialmente davanti a Laila; lei era talmente brava a capirmi che appena avesse visto che non stavo bene, mi avrebbe fatto l’interrogatorio.
- Beh? – domandò Laila, davanti alla porta dello studio, vedendo che non la seguivo. Mi feci coraggio e sperai tanto che non succedesse niente.
- Arrivo. – mormorai.
Rientrare nello studio mi fece uno strano effetto. Non so dire se negativo o positivo, so solo che sarebbe stato meglio se non ci fossi entrata.
Appena varcata la soglia della stanza alcune parole rimbombarono nella mia testa:
 
Torna indietro” “È la tua ultima possibilità, torna indietro”.  
 
Mi guardai intorno inquieta, ma a parte me e Laila non vidi nessun altro. Rabbrividii. Non capivo se era il mio istinto che mi suggeriva cosa fare o se era quella voce esterna, che avevo già sentito la notte prima. In entrambi i casi quelle parole non presagivano nulla di buono.
Poggiai il libri su uno scaffale della libreria, con molta delicatezza, temendo che tutta la libreria potesse cascarmi addosso, tanti erano i libri che vi erano sopra.
E fu a quel punto che la avvertii.
Una forza, stranamente potente mi controllava e guidava i miei gesti, senza che io me ne rendessi conto. Sentivo che dovevo seguirla, che non potevo fare altrimenti. La forza mi spingeva verso un unico punto, contro la parete del muro; strinsi con forza lo scaffale della libreria, per riuscire a controllarmi. Sapevo di avere lo sguardo preoccupato di Laila puntato addosso, sentivo i suoi occhi che mi scrutavano e cercavano di capire cosa stava succedendo, senza trovare una soluzione.  Corse verso di me.
- Grace, come stai? – la sua mano mi sfiorò la spalla, ma non ci badai. Fissai il punto del muro verso la quale quella forza mi spingeva.
Torna indietro. – c’era scritto. In quel momento realizzai.
- Torna indietro. – mormorai ricollegando tutti i pezzi del puzzle. Ecco cosa significavano quelle parole.
- Cosa? – domandò Laila.
- Devo tornare indietro. – sussurrai. – Laila io . . . io devo andare.
- Grace ma che dici? – era sull’orlo delle lacrime.
E a quel punto crollai. Le raccontai tutto. Tutto quanto. Dello studio, della voce, dei sogni inquietanti e del libro.
- Da quanto tempo?
- Un paio di settimane. – risposi, cercando di ricordare la data esatta in cui avevo cominciato a fare sogni strani.
Vedevo la sua mente stranita e allibita delle cose che le avevo appena rivelato.
- Laila, sono stata io. Ne sono sicura. Sono stata io a bruciare quel libro, non so come, ma so che la colpa è mia.
- Non è possibile.
- Io . . . non sono come te. – dissi cercando di convincerla. - Sono diversa e devo . . . devo capire il perché. Laila guardami. – alzò i suoi grandi occhi nocciola, che finora aveva tenuto fissi a terra, verso i miei.
- Devo scoprire il mio passato. E c’è un solo modo per farlo.
- E cioè? – senza rispondere camminai verso il muro, dove l’attrazione verso quella scritta, cresceva ogni secondo.
La scritta prese a brillare, esattamente come la prima volta. Lo sguardo di Laila passava da me al muro, incessantemente. Alzai una mano. La scritta scomparve e un fascio di luce inondò la stanza, formando un varco. Ero io a farlo? Ero io a provocare tutto questo? C’era solo un modo per scoprirlo.
- Grace . . . – sussurrò Laila con voce flebile. – ti prego. – mi voltai.
- Grace, ti prego, non te ne andare. – i suoi occhi erano inondati di lacrime.
- Laila . . . – mormorai, cercando di non piangere, ma non ci riuscii. – io . . . io devo scoprire chi sono, lo capisci vero?
- Sì, ma è pericoloso, non sai cosa succederà e poi . . .
Guardai Laila fissa negli occhi.
- Laila, se tu un giorno potessi incontrare tuo padre, non correresti il rischio e lasceresti tutto per incontrarlo? – domandai. Vidi Laila irrigidirsi. Merda. Avrei voluto mordermi la lingua, e rimangiarmi quello che avevo appena detto. Non aveva mai conosciuto suo padre, se ne era andato poco prima che lei nascesse. Per tutta la vita lei aveva desiderato incontrarlo almeno una volta, e io lo sapevo. Mi aveva sempre reso partecipe dei suoi sentimenti. Sapevo di averla ferita con le mie parole, e di essere stata molto sleale a tirare in ballo suo padre, ma non avevo scelta. Era l’unico modo perché lei capisse. Se c’era una cosa che desideravo, era la sua comprensione.
- Sì. – boccheggiò Laila.
- Laila, per favore dì ai miei genitori di non cercarmi.
Laila annuì, incapace di parlare. Anch’io non credevo alle mie stesse parole e alla mia stessa calma. Non sapevo dove mi avrebbe portata quel varco di luce, ma sapevo che mi avrebbe allontanata dalla mia casa, dalla mia vita. Ma questa non era la mia vita. La mia storia era un’altra, e io dovevo scoprirla. A qualunque prezzo. Anche se il prezzo fosse stato altissimo, almeno dovevo tentare. Ma ero davvero pronta ad abbandonare tutto? I miei genitori? Mia sorella? Tutti i miei amici? Ce l’avrei fatta a sopravvivere? In fondo non sapevo neanche dove stavo andando; ma quello che era successo negli ultimi giorni era troppo importante. E quello che era accaduto stanotte era la conferma. Sentivo, che stanotte, una specie di barriera si era rotta, ma non capivo altro. E non era solo per un motivo personale che me ne stavo andando. C’era anche Christine. Qualunque cosa le fosse successo, speravo che avrei trovato le mie risposte al di là del varco di luce. Per lei. Anche se non sarebbe servito a nulla andarmene, se ciò bastava a ritrovare Christine, andava bene. Glielo dovevo, per tanti anni mi aveva aiutato nei momenti più difficili. Ora chiedeva soltanto che io aiutassi lei. E lo avrei fatto.
Abbracciai Laila e lei ricambiò l’abbraccio. Ci stringemmo forte, fortissimo. Potevamo mentire a tutti, potevamo evitare di guardare in faccia la realtà, ma non potevamo a mentire a noi stesse.
Lo sapevamo entrambe; probabilmente non sarei più tornata.
- Ti voglio bene. – sussurrai, mischiando le mie parole con le lacrime.
- Anch’io te ne voglio. – mormorò Laila, che non riuscendo a trattenersi, piangeva  a dirotto.
Prima che fosse impossibile mi voltai verso il muro, e raccogliendo tutte le forze che avevo, mi costrinsi a non guardare Laila, perché sapevo che se lo avessi fatto non sarei più stata in grado di andarmene, e avanzai verso il varco di luce, che non aveva smesso un attimo di brillare.
Avrei voluto poter salutare anche la mia famiglia, e le persone alle quali volevo più bene; ma in forse era meglio così. In fondo era meglio che oltre a Laila non ci fosse nessuno. Non sarei stata in grado di affrontare i loro sguardi angosciati e preoccupati, e li avrei fatti solo soffrire di più. Un secondo prima di entrare nel varco, ripensai al viso di mia madre. La cosa più bella e più perfetta che avessi mai visto, ripensai a tutti i suoi abbracci e a tutte le sue carezze. Ripensai a mio padre, che tornava la sera e si sedeva sul divano, con il giornale sportivo in mano. Ripensai a tutto l’affetto che mi aveva dato, e a come insieme a mia madre, mi avesse accolta nella sua vita. I miei genitori non erano stati costretti a tenermi con loro. Non era stato loro imposto. Io ero piombata nella loro vita, da un giorno all’altro, e per quanto li riguardava potevano anche lasciarmi in ospedale; invece mi aveva portato con loro. Mi avevano sempre fatto sentire parte della famiglia, mi avevano fatto sentire amata. Non l’avrei più dimenticato.
Ripensai a mio sorella, a quante volte avevo litigato con lei, e a quante volte avevo creduto di odiarla, rendendomi poi conto che le volevo bene, come a nessun altro. Mi voltai. Guardai il volto di Laila per l’ultima volta, era devastato dal pianto, e il mio non doveva essere tanto diverso. Lasciai che la luce mi avvolgesse, nella sua luminosità.
Dapprima feci resistenza, poi sentii il mio corpo leggero, come se si smaterializzasse. La luce era calda come i raggi del sole. Portava calore e serenità. Lasciai che il calore mi avvolgesse, lo sentii filtrare attraverso la pelle; non avevo mai provato una sensazione di pace e di serenità come quella. Poi tutto si fece buio.
Mi lasciai andare e ritornai nel luogo dal quale ero arrivata dieci anni fa.

 
 
 Angolo Autrice
 
Ciao a tutti!!
Spero che il capitolo vi piaccia e che lascerete una piccola recensione, anche negativa.
Ringrazio tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le seguite, le preferite e le ricordate, e tutti coloro che leggono la storia in silenzio.
Ma un GRAZIE speciale alle ragazze che recensiscono!

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Per un momento non avvertii altro che la mia schiena contro il terriccio fresco. Il sole illuminava il mio volto, anche se avevo gli occhi chiusi, ne percepivo il calore e il senso di serenità che mi aveva sempre dato. Sembrava quasi che i raggi del sole mi stessero accarezzando. Desiderai perdermi in essi, desiderai scomparire e non dover affrontare il tutto quando avrei riaperto gli occhi.
Le mie mani affondarono nel terriccio morbido e fresco e provarono sollievo nel sentire la freschezza del suolo e la sua fragilità. Fili d’erba si intrecciarono tra le mie dita, mentre con calma mi tiravo su a sedere.
Per un momento evitai di alzare gli occhi e di guardarmi intorno, non volevo sapere dove ero finita. Poi mi costrinsi ad alzare lo sguardo.
Ero in un bosco, in un bosco vero e proprio. L’erba verde come lo smeraldo sembrava addirittura più lucente del normale. Tutto intorno era circondato da alberi, verdi e pieni di foglie nonostante il clima freddo. Non sembrava di essere in autunno, sembrava di essere in primavera, se non in estate. Davanti a me i rami di due alberi giganteschi si erano intrecciati gli uni con gli altri fino a formare una specie di varco. I rami si percorrevano l’un l’altro e il loro intreccio sembrava talmente robusto, da essere in grado di sostenere il peso di molte persone contemporaneamente. Non avevo mai visto niente di tanto bello e naturale.
Poi d’un tratto rabbrividii.
La calma che fino a quel momento mi aveva dominato scomparve in un attimo, in un secondo e una sensazione del tutto nuova mi avvolse. Terrore. Terrore puro e terribile. Ero da sola. Da sola. In un luogo che non avevo mai visto, ma perché diavolo ero venuta? Che mi era venuto in mente? Avevo voglia di urlare.
- Finalmente, ce ne hai messo di tempo. – disse una voce alle mie spalle. Riuscii a trattenere un urlo che mi morì in gola, in compenso non riuscii più a muovermi, le mie gambe non mi ubbidivano. Quella voce l’avrei riconosciuta ovunque.
- Ciao – disse, il ragazzo che avevo visto tante volte in sogno.
- C-ciao. – balbettai, mentre arrossivo. Perché stavo balbettando? Ma soprattutto perché ero arrossita?
- Che ci faccio qui? Un minuto fa ero a casa mia e ora . . . – la mia voce si spezzò, ripensando a Laila che mi guardava piangendo. Non riuscendo a impedirlo le mie lacrime cominciarono a scendere lentamente.
- Non è compito mio dirtelo. - disse quasi con dolcezza.
- Stanotte….ho fatto un sogno…..un incubo anzi…..io…
- Io glielo avevo detto che non era una buona idea. – disse, sovrappensiero.
- Quale idea?
- Quella di farti ricorda……. – si interruppe. – Cioè, niente di cui tu ti debba preoccupare.
- Che cosa? Vuoi dire che l’incubo che ho fatto stanotte, l’ho fatto per colpa di qualcuno?
- Non so di che parli. – disse, tornando rigido.
- Bugiardo.
- Senti, adesso dobbiamo andare. – concluse. Ma io non avevo alcuna intenzione di dargliela vinta.
- No.
Il suo volto si oscurò e si fece ostile. Era arrabbiato.
Mi fece paura.
- Per te non è sicuro stare qui. Quindi adesso, muoviti.
- Ok. – sussurrai spaventata.
- Dove dovrei andare? E adesso dove sono? – chiesi, stanca di quelle domande senza risposta.
Ignorò le mie domande, si limitò a prendermi per mano e a condurmi attraverso il varco creatosi dall’intreccio dei due alberi. Quel contatto e le emozioni che furono scaturite da esso mi spaventarono. Mi sentii infuocare, e immediatamente arrossii. Lo vidi sorridere di sfuggita, evidentemente si era accorto della mia reazione. Che figura, cavolo!
D’un tratto il ragazzo si fermò e mi lasciò la mano.
- Prego, prima tu.
- Cosa? – dissi io. Cosa voleva che facessi?
- Attraversa il varco. – disse, come se stesse spiegando ad un bambino che uno più uno fa due.
- E perché dovrei fidarmi di te? – ribattei.
- Se preferisci restare qui . . .
- E come dovrei fare a oltrepassare il varco? – chiesi, prima che mi rendessi conto di quanto fosse stupida la mia domanda.
- Allora sollevi una gamba, la metti un passo avanti rispetto a dov’era prima, poi prendi l’altra e fai la stessa cosa, e continui alternando le due gambe, fino ad arrivare al varco, cioè cammini. – rispose con uno sguardo divertito.
Mi stava prendendo in giro e io non sopportavo chi mi prendeva in giro. Avanzai con passo incerto. Perché mai dovevo attraversare il varco? A che mi serviva?
Un’ondata di luce fortissima fu la risposta. M’incendiò gli occhi, costringendoli a chiudersi.
- Dopo un po’ ci si fa l’abitudine. – disse, vedendo che mi stropicciavo gli occhi.
Una gran vociare fu la prima cosa che notai, prima ancora di aprire gli occhi. Era un paese. Più o meno. Tantissime persone erano in mezzo alla via e discutevano animatamente.
Nel paese molte persone di tutte le età si aggiravano nei dintorni, i bambini si divertivano rincorrendosi, gli anziani osservavano i bambini e invidiando la loro voglia di vivere, e gli adulti parlavano tra loro.
- Dove dobbiamo andare? – chiesi. Nonostante fosse un paese come un altro, avevo una strana sensazione, mi sentivo a disagio, spaesata. Impercettibilmente mi avvicinai al ragazzo. Lui si accorse della mia agitazione e mi strinse la mano, quasi per rassicurarmi che non c’era nulla da temere. Ecco, ora si che ero letteralmente paonazza.
- Dobbiamo andare da Kevin. – Sorvolando sul fatto di chi fosse Kevin, domandai:
- Perchè? Cosa devi dirgli?
- Che sei tornata. Che finalmente dopo tanto tempo sei tornata a casa. – lo disse con una tale felicità e purezza, che rimasi a fissarlo per un bel po’.
Al nostro passaggio tutto il vociare scomparve. Tutti si girarono verso di noi. Panico. Ero letteralmente nel panico.
Mi immobilizzai. Il ragazzo dovette darmi uno strattone per convincere i miei piedi a staccarsi dal suolo. Non mi piacevano gli sguardi e le occhiate che tutti mi lanciavano. Mi guardavano come…..come una cosa rara…..come, non lo so. Non mi piaceva. Per niente. Detestavo essere al centro dell’attenzione e soprattutto detestavo non sapere il motivo dei loro sguardi.
Strinsi la mano del ragazzo con più forza, intimorita. Era stato un movimento involontario e sperai tanto che lui non se ne fosse accorto, ma dalla sua espressione divertita che gli si dipinse sul volto, sapevo che se ne era accorto.
- Chi è Kevin?
- Colui che dirige il paese, non è il capo, diciamo è più una guida.
I brusii attorno a noi aumentarono. Il mio respiro accelerò e le mie guance si colorarono. Tutta quella gente. Tutta quella gente che guardavame. I miei respiri si fecero sempre più rapidi e brevi. Non respiravo, dovevo uscire da lì. Faceva caldo. Troppo caldo.
- Stai bene? – mi chiese il ragazzo.
- Perché me lo chiedi?
- Guardati le mani. – Le strinsi in un pugno cercando di calmarle. Era sempre stato così. La gente mi metteva a disagio. Essere al centro dell’attenzione mi metteva a disagio; essere in mezzo a persone che non conoscevo mi faceva stare male. Era quasi un dolore fisico.
Chissà perché la mano del ragazzo stretta nella mia mi dava sollievo e sicurezza. Ma in fondo anche lui era uno sconosciuto. Perché in sua compagnia mi sentivo sempre così protetta?
Ero lontano dalla mia famiglia, lontana dal mondo che conoscevo, lontana dalla mia vita normale. E accanto a me c’era uno sconosciuto di cui non sapevo neanche il nome.
- Come ti chiami?
Per un attimo mi guardò con uno sguardo interrogativo, poi rispose:
- Alex.
Lo osservai meglio. Indossava una maglietta nera molto aderente che lasciava intravedere tutto. Sperai tanto di non essere rimasta a bocca aperta, mentre guardavo le sue spalle larghe e forti e il suo fisico asciutto e perfetto.
- Ti diverti così tanto a guardarmi? – oddio. Se prima ero paonazza, beh di sicuro ora ero messa molto peggio.
- Uhm, beh……ecco….io…
- Sto scherzando, non volevo metterti in imbarazzo. – disse ridendo. Com’era bello mentre rideva.
Ma che pensieri mi venivano in mente? Scossi la testa, quasi a voler cancellare quello che avevo appena pensato.
Ma perché sentivo quella sensazione allo stomaco? Perché mi sentivo…..così….così….bene?
- Forse è meglio che ti anticipi qualcosa, non vorrei che ti venisse un collasso….
- Cosa intendi di…. – mi interruppe prima che potessi finire la frase.
- Prima mi hai chiesto perché sei qui. Tu sei qui, perché questa è casa tua. Quelli come te e come me abitano qui.
- E cioè?
- Noi….non siamo come gli umani……abbiamo dei poteri speciali, mettiamola così.
- Co-cosa?
- Ognuno ha un potere diverso. Ce ne sono di tantissimi tipi, dai più forti ai più deboli.
- Mi prendi in giro?
- Non scherzerei mai su una cosa simile. – disse, guardandomi serio. – Io e te non siamo umani, come tutti quelli che abitano qui del resto.
- Che cosa? – urlai. Io non ero umana?
- No, tu sei speciale. 
- Ma…..
- Ok, era meglio se non ti dicevo nulla. Ora sei più confusa di prima.
- Ma io…..
- E pensare che sei una dei quattro elementi……. – sussurrò. Appena si rese conto di averlo detto ad alta voce, mi guardò allarmato.
- Mi hai sentito?
- No. – mentii. Non sembrò credermi, ma non replicò.
 - Siamo arrivati. – esordì.
Eravamo saliti su una collina, dalla quale si vedevano tutte le altre case. Chissà perché mi spaventava.
- Ho paura. – pensai ad alta voce. Alex mi fissò e mi sfiorò una guancia con il dorso della mano. Rabbrividii, letteralmente. Sentivo il calore e il gelo risalire lentamente lungo tutto il mio corpo, come scosse elettriche.
Un anziano signore intanto ci stava guardando; me ne accorsi soltanto quando distogliendo lo sguardo, mi voltai dall’altra parte. Ci venne incontro con il sorriso sulle labbra. I suoi occhi marrone scuro mi scrutavano molto attentamente. Erano così grandi. Così profondi. Così pieni di un’esperienza che io non avevo ancora conosciuto. I suoi occhi erano incorniciati dalle rughe, il suo sguardo sembrava stanco, ma al tempo stesso vivace e felice.
Si fermò ad un metro da noi. Il suo sguardo passava tra me e Alex con curiosità.
- Ottimo lavoro Alex. Sei stato bravo.
- Vieni con me Grace. – disse, senza troppe cerimonie.
Mi portò in cima alla piccola collina. Feci l’errore di guardare intorno a me. Tutta la gente ci guardava e da quella posizione riuscivano anche a vedermi benissimo. Merda.
Alex si avvicinò a me.
- Ascoltami bene. Qualsiasi cosa Kevin dirà adesso, qualsiasi cosa la gente farà, qualsiasi cosa succeda tu stai calma, ok? – Stare calma? Stare calma? Ma come facevo a stare calma? Con tutta quella gente che mi guardava…..
- Guardami. – mi voltai verso Alex. Il suo sguardo era pieno di dolcezza e rassicurazione.
- Guarda me. Concentrati solo su di me. – il suo volto era a pochi centimetri dal mio. Sentivo il suo respiro vicinissimo al mio, e per poco quella vicinanza non mi fece svenire. Ma non si accorgeva dell’effetto che aveva su di me? Non si accorgeva che così, mi agitavo più di prima?
Feci l’errore di guardarlo negli occhi.
Credetti di morire. Quegli occhi, così vicini ai miei, così profondi e bellissimi….
Concentrati Grace!
Ma che mi succedeva?
Alex passò un braccio intorno alla mia vita e mi attirò a sé. Beh, almeno non c’erano più i suoi occhi che mi guardavano; ma sentire il suo corpo contro il mio, e le sue mani su di me, mi fece letteralmente impazzire.
- Ricordati. Qualsiasi cosa Kevin dica, tu resta calma. – sussurrò al mio orecchio. Era troppotroppo vicino.
Calma, calma, calma. Stai calma!
 Kevin cominciò a parlare, rivolgendosi al paese.
- Paese di Olbion, ascoltate. Abbiamo attraversato anni difficile, e ci sono state numerose perdite, ma presto tutto questo sarà finito. Perché finalmente è tornata. – poi si rivolse a me.
- Bentornata Grace, ultima erede del potere del fuoco.

 
 
 Angolo Autrice
 
Ciao a tutti!!
Vi chiedo scusa per il ritardo, ma ho avuto dei problemi con il computer.
In questo capitolo finalmente si scopre che è Grace! Spero che vi piaccia e che lascerete una piccola recensione, anche negativa.
Ringrazio tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le seguite, le preferite e le ricordate, e anche coloro che leggono la mia storia in silenzio.
Ma un GRAZIE speciale alle ragazze che recensiscono!!

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Se non ci fossero state le mani di Alex a sorreggermi, probabilmente sarei svenuta.
Davanti a me, tutti acclamarono, poi Kevin fece un gesto con la mano, e tutti tacquero immediatamente.
- State scherzando? – chiesi.
Kevin mi guardò in un modo indecifrabile.
- Secondo te possiamo scherzare su una cosa simile? – deglutii rumorosamente. No. Decisamente non mi sembrava che stessero scherzando.
- Nelle tue vene scorre il fuoco, lo si anche tu, per questo il libro si è bruciato quando il tuo sangue è venuto a contatto con qualcosa di infiammabile, lo ha bruciato. – mi spiegò Kevin.
- E come fai a sapere  che ho bruciato un libro?
- Io so tutto. – rispose. – Soprattutto di te. Sono dieci anni che ti teniamo d’occhio.
- Che cosa?
- Non potevamo mica lasciarti nel mondo umano senza protezione!
- Io…..io non capisco nulla. – ammisi. Era vero. Non riuscivo a capire quelle parole, non solo perché erano indecifrabili, ma anche perché ero troppo concentrata sulla mano di Alex, che ancora mi cingeva la vita. Mi sentivo scottare proprio nel punto in cui la sua mano era a contatto con la mia pelle. Ma che mi prendeva? Non avevo mai provato delle sensazioni tanto intense.
Kevin continuava a parlare, ma non riuscivo ad ascoltarlo.
 
Concentrati Grace, concentrati!
 
Come se fosse facile.
Poi fortunatamente Alex ritirò la sua mano dalla mia vita, e si allontanò, quel tanto che bastava per lasciarmi respirare e riprendere il controllo.
- Non sei la sola..... – stava spiegando Kevin. – …tutti sono come te in questo paese. Ognuno ha un proprio potere, dal più forte al più debole, dal più raro al più comune.
- E io che potere ho? – chiesi.
- Tu hai un potere rarissimo, sei una dei quattro elementi.
Una dei quattro elementi? Dicevano sul serio o mi stavano prendendo in giro?
- Cosa significa? – chiesi.
- I poteri degli elementi sono quattro. Aria, acqua, terra e fuoco. Il potere dell’acqua e del fuoco sono i più potenti e più rari, ma anche terra e aria sono poteri molto forti.
- Quindi mi state dicendo che io ho uno dei poteri più rari e potenti di tutti, e che non sono un semplice essere umano, come ho sempre creduto? – accentuai il tono sull’ultima parola, come in tono di accusa.
- Esatto. – affermò Kevin.
Alex, che fino a quel momento non aveva fiatato, mi guardò;
-  So che per te è difficile accettarlo, ma è così.
- Ma allora perché ho sempre vissuto tra gli umani, e non qui, con tutti voi?
- È una lunga storia. – mormorò. 
- Voglio ascoltarla.
- Non hai sempre vissuto tra gli umani. Per i primi sei anni sei vissuta qui, come era giusto, ma poi….loro….ti rintracciarono. Anzi, ci,rintracciarono.
- Loro chi? – chiesi, più curiosa che mai.
- Abbiamo dei nemici. Molti nemici. Secoli fa si formò un’associazione contro di noi. All’inizio erano solo quattro o cinque membri, ma poi con gli anni il loro numero è aumentato a dismisura, e sono aumentati sempre di più. Il loro obbiettivo è quello di eliminarci, e in particolare cercano di catturare coloro che hanno i poteri dei quattro elementi.
- Ma…..perchè? Perché sono contro di noi?
- Siamo sempre stato un popolo pacifico. Non abbiamo mai sfruttato i nostri poteri per sovrastare gli altri popoli, ma……non tutti erano d’accordo. Alcuni volevano avere la supremazia sugli altri, perciò si sono staccati da noi e si sono uniti all’associazione.
- E quali sono gli altri popoli che vogliono sovrastare?
Alex tentennò un po’ prima di rispondere.
- Beh…..un popolo che vogliono soppiantare sono…..gli umani.
- Che cosa? – urlai. - Ma….la mia famiglia, i miei amici, sono in pericolo!
- Abbiamo sempre combattuto contro di loro e non sono mai riusciti a far del male agli umani. – si interruppe un secondo. – Fino ad ora, almeno.
- Che vuoi dire? – ero terrorizzata. Avevo paura per la mia famiglia. E se fosse accaduto loro qualcosa?
- Beh, qualche notte fa sono riusciti ad infiltrarsi tra gli umani e……ne hanno prelevato uno. Non sappiamo chi sia, ne perché lo abbiamo catturato, ma forse serviva ai loro scopi.
- Hanno preso un umano?
- Sì.
Un pensiero mi attraversò la mente: Christine.
- Christine…. – sussurrai spaventata.
- Cosa?
- Christine, forse……forse hanno preso lei, forse…… - gli occhi mi pizzicavano, da lì a poco sarei scoppiata a piangere.
- Aspetta, è una ragazza?
- E questo che centra?
- Centra eccome. Non devi preoccuparti. Non andrebbero mai nel mondo umano, per prelevare una ragazza senza poteri. Se proprio dovessero prendere qualcuno catturerebbero un ragazzo.
Dovevo aver fatto una faccia confusa, perché Alex scoppiò a ridere.
- Le ragazze sono più deboli. Senza offesa, ovviamente.
- Quindi non c’è pericolo per lei, vero? – chiesi.
- No, puoi stare tranquilla.
C’era una domanda che mi ronzava in testa da parecchio, ma non avevo mai avuto il coraggio di porla. Presi un bel respiro.
- Alex…… - cominciai. - …..cosa mi è successo in passato? E quello che ho sognato l’altra notte cosa significava?
Alex si passò una mano tra i capelli e sbuffò.
- Io l’avevo detto che non era una buona idea. Ti hanno fatto soffrire e basta. – Quanto era adorabile quando si preoccupava per me.
Ma che cosa stavo pensando?
Alex proseguì:
- L’altra notte ti hanno fatto rivivere quello che ti era successo quando avevi sei anni.
- Cosa?
- Ti ho detto che per i primi sei anni sei vissuta con noi. – Alex prese un bel respiro. – Ed è così. Però poi alcuni membri dell’associazione ti catturarono, e…..ti portarono via. Ti torturarono e ti lasciarono in un capanno in fin di vita, in attesa che tu morissi. Volevano farti morire lentamente, così avresti sofferto di più.
Spalancai gli occhi.
 
Volevano farti morire lentamente, così avresti sofferto di più.
 
Alex proseguì:
- Ti abbiamo trovato appena in tempo. Ma….se tu fossi rimasta qui, saresti sempre stata in pericolo. L’associazione non tollera errori e se decidono di uccidere qualcuno…….lo fanno. Il fatto di non essere riusciti ad ucciderti li logorava. Per questo i tuoi genitori hanno deciso di mandarti nel mondo umano, finché non fossi grande abbastanza per cavartela da sola. Eri solo una bambina e loro non potevano costantemente proteggerti, erano sicuri che prima o poi ti avrebbero trovato, perciò……hanno deciso di mandarti nel mondo umano. Volevano che tu avessi una vita normale, almeno fino a sedici anni.
- I miei genitori? – sussurrai tra le lacrime. – E dove sono?
Alex distolse lo sguardo.
- Non è facile andare nel mondo umano. Per niente. Questo è uno dei motivi per cui l’associazione non ha ancora attaccato quel mondo.
- Cosa significa che non è facile? E dove sono i miei genitori?
- Per andare nel mondo umano dobbiamo compiere un rito. Che……funziona solo nel 50% dei casi. Il rito prevede il sacrificio di almeno due persone. Una volta sacrificate si ha la possibilità di mandare qualcuno nel mondo umano. – mormorò Alex. Perché mi diceva queste cose? E cosa centrava con i miei genitori?
- I tuoi genitori sono morti per mandarti nel mondo umano. Hanno compiuto il rito.
Cominciai a tremare.
- Eri la cosa più importante per loro, e hanno deciso di sacrificare la loro vita, per salvare la tua. Mi dispiace.
- I miei genitori hanno fatto tutto questo per me? – le lacrime cominciarono a scendere, e bruciavano come fiamme. Sentivo il mio cuore che si lacerava in tantissime ferite.
- No. – sussurrai. – No. Non è vero.
- Grace, mi dispiace, davvero.
- Lo sai perché piango Alex? – gli chiesi.
Lui scosse la testa.
- Perché i miei genitori sono morti per me, e io non mi ricordo niente! Perché non potrò più vederli, non potrò mai più abbracciarli, e non ho nessun ricordo di loro!
- Non è colpa tua.
- Sì invece! Sono morti per colpa mia. È solo colpa mia. – continuai a singhiozzare.
- Mi dispiace per i tuoi genitori. – sobbalzai. Non avevo sentito Kevin avvicinarsi. Mi asciugai in fretta le lacrime, non volevo che mi vedesse piangere. Ma il dolore rimaneva, e continuava a tormentarmi.
- Forse questo non è un buon momento per te, ma c’è qualcuno che ti deve parlare. – mi disse Kevin.
Voltai lo sguardo e notai una figura esile alle sue spalle. Una donna avanzò verso di me con una grazia indescrivibile. Rimasi ipnotizzata a guardarla.
La reazione che ebbe Alex mi sorprese.
I muscoli si irrigidirono, e strinse le mani in un pugno, fremendo di rabbia.
- E tu che ci fai qui? – la aggredì.
- Alex, calmati, l’ho chiamata io. – intervenne Kevin.
- Non mi interessa se l’hai chiamata tu, non si deve avvicinare.
La donna guardò Alex con sguardo triste, e parlò:
- Lascia stare Kevin, non mi perdonerà mai. – vedere la sua espressione delusa e sofferente mi fece star male.
- Esatto. Non ti perdonerò mai. – esclamò Alex.
- Io sono Katie. – disse la donna, porgendomi la mano.
Stavo per stringergliela, ma Alex mi afferrò il polso, prima che riuscissi anche solo a sfiorare la mano di Katie.
- Non ti azzardare a toccarla! – gridò, rivolto a Katie. Non capivo. Perché si comportava così?
La sua mano stringeva con forza la mia, la stretta era fortissima. Mi stava facendo male.
- Alex mi……mi fai male. – mormorai. Alex sembrò calmarsi di botto, e lasciò immediatamente il mio polso, con uno sguardo dispiaciuto.
- Scusa. – sussurrò. Katie mi stava ancora porgendo la mano.
- È un piacere conoscerti. – disse Katie, a voce bassissima. Mi guardò in modo indecifrabile. Sembrava che avesse bisogno di guardarmi, di sapere che io ero lì.
Fece per sfiorarmi la guancia con un dito, ma Alex mi allontanò, mettendomi dietro di lui.
- Non ti avvicinare. – ringhiò minaccioso. – Prova anche solo a sfiorarla e ti faccio a pezzi, hai capito? – il suo tono era talmente crudele e spaventoso che mi vennero i brividi.
- Alex, non mi sembra pericolosa….. – cercai di calmarlo.
Gli poggiai una mano sulla spalla, la sentivo fremere sotto le mie dita.
- Alex per favore. Non mi farà del male, ne sono sicura. – era vero. Sentivo che potevo fidarmi di Katie. Non so cosa me lo fece credere, ma qualcosa nello sguardo di quella donna, sciolse le mie difese e mi fece abbassare la guardia.
- Possiamo fidarci di lei, Alex. – lo sorpassai, e guardai Katie negli occhi. No. Non mi avrebbe mai fatto del male. Ne ero sicura.
Alex mi afferrò i polsi e me li strinse dietro la schiena, spingendomi contro il suo corpo. Mi tenne ferma, tra le sue braccia in modo che non mi potessi avvicinare.
- Non mi fido di lei. – sussurrò al mio orecchio. Sentivo il suo fiato sul mio collo, e il suo profumo riempiva l’aria. Percepivo il rossore che si stava espandendo sulle mie guance, probabilmente assomigliavo ad un pomodoro maturo.
- Non ti farò del male. – mi assicurò Katie. – Te lo prometto. Io…..io non potrei mai farti del male. – sembrava sul punto di piangere. Vedere il suo volto così triste fu come ricevere uno schiaffo. Volevo avvicinarmi, e abbracciarla, e assicurarla che le credevo. Provai a farlo.
Ma la stretta di Alex era troppo forte, e quando provai ad allontanarmi dal suo abbraccio, lui mi strinse ancora di più, facendo aderire completamente la mia schiena contro il suo petto.
Le sue mani erano avvolte intorno al mio corpo. La sua pelle toccava la mia, infuocandola.
Restiamo calmi!
Solo quando Katie fece un passo indietro, Alex allentò la presa.
Per fortuna, perché ancora un secondo tra le sue braccia e sarei impazzita.
- Beh, quando ti potrò parlare, vieni da me Grace. Ti devo dire una cosa importante. – disse Katie.
- Ok. – sussurrai.
- Tu non andrai proprio da nessuna parte con lei! Non da sola almeno. – Alex sembrava più furioso che mai.
- Alex ora basta! – la voce autoritaria di Kevin fece trasalire tutti quanti. - Katie ha commesso un errore, tutti commettono un errore no? Argomento chiuso.
- Kevin ma come puoi….
- Argomento. Chiuso. – Kevin scandì bene le parole, e Alex non ribatté.
- Vai a casa Alex, e cerca di calmarti. Katie non è pericolosa. - ordinò Kevin.
- Certo. Come no. – mormorò a voce bassissima.
Alex si allontanò da noi, ma quando passò di fianco a Katie si fermò.
- Prova a farle del male, anche solo a torcerle un capello e me la pagherai cara.

 
 
Angolo Autrice
 
Ciao a tutti!! Mi scuso per l’immenso ritardo, ma questo capitolo proprio non veniva fuori =)
Spero che questo capitolo vi piaccia e che lascerete una piccola recensione, anche negativa..
Grazie a tutti coloro che hanno inserito la mia storia tra le preferite, le seguite e le ricordate, e anche grazie a coloro che leggono la mia storia in silenzio.
Ma un GRAZIE speciale alle ragazze che hanno recensito, e che continuano a recensire!!!

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


- Vieni pure avanti Grace. – Kevin mi invitò ad entrare.
La sua casa era grandissima.
- Dormirai qui. Almeno per un po’. – decisi di porgli la domanda che più mi premeva.
- Tornerò mai dalla mia famiglia?
Kevin rifletté prima di rispondere.
- Credo…..credo di no. Sarebbe pericoloso per te e……no non credo.
- Capisco. – mormorai. Mi voltai in modo che non potesse guardarmi negli occhi. Non volevo che vedesse che stavo piangendo. Quanto può piangere una persona prima di morire? Avevo pianto più in quei giorni che in tutta la mia vita.
 
La giornata passò in fretta. Io non smettevo mai di far domande e Kevin non smetteva mai di rispondermi. Scoprii di poter utilizzare il fuoco a mio piacimento.
- Certo che puoi esercitarti. – rispose Kevin. – Però……fallo mentre non sono a casa. Non voglio rischiare di morire. – riuscì a strapparmi un sorriso. Mi piaceva la sua compagnia.
Verso sera Kevin andò, dicendo che aveva alcune cose da sbrigare, e mi lasciò sola.
Andai in cucina e accesi il fornello del gas. Misi a bollire un po’ di tè, magari mi sarei calmata. Stavano succedendo troppe cose. Tutte troppo in fretta.
Il fischio del thè mi distrasse dai miei pensieri. Stavo per alzarmi e spegnere il fuoco, quando poi pensai:
 
Perché non provare subito?
 
Aprii il palmo della mano, in direzione del fuoco, e cercai di seguire le istruzioni di Kevin.
 
Libera la mente. Concentrati solo su ciò che senti e nient’altro.
 
Scacciai tutti i pensieri dalla mente, nonostante fossero davvero tanti.
 
Cerca il tuo potere. È dentro di te, devi solo trovarlo.
 
Ispezionai ogni parte della mia mente, per trovare qualcosa, ma niente.
Mi concentrai ancora di più.
Spegniti” – pensai mentalmente. Ma il fuoco non accennava alcun movimento.
- Che stai facendo? – chiese una voce alle mie spalle.
Sobbalzai, non solo perché pensavo di essere sola, ma anche perché avevo riconosciuto la sua voce.
- Mi hai spaventata a morte! –esclamai voltandomi.
Grosso errore.
I suoi occhi blu si allacciarono ai miei.
Dentro di me una miriade di emozioni si accesero contemporaneamente.
Il gas prese fuoco. Letteralmente.
Le fiamme erano altissime, e solo in quel momento mi accorsi che il palmo della mia mano era ancora rivolto verso il gas.
Oddio. Ero stata io a provocare quell’incendio?
- Ma cosa….. - mormorò.
Alex si riprese prima di me. Aprì il palmo della mano, come avevo fatto io poco prima, e un getto d’acqua spense l’incendio.
 Lo guardai ad occhi spalancati.
- Tu hai il potere dell’acqua?
- Sì.
- E perché non me lo hai detto?
- Non me lo hai chiesto.
Il volto di Alex cambiò espressione. Sembrava quasi arrabbiato.
- Ma che ti è saltato in mente? Volevi bruciare la casa?
- Sono stata io a farlo? – chiesi, ancora un po’ sconvolta.
- Se togli il punto interrogativo in fondo, la tua frase è giusta. – mi schernì. Ora si metteva anche a fare dello spirito?
- Allora? Volevi bruciare la casa?
No. A dire il vero stavo cercando di spegnere il gas, senza riuscirci, poi sei arrivato tu, e non so perché ho dato fuoco al gas.”
- Io……volevo…..volevo solo provare….Kevin mi ha detto che posso fare tutto con il fuoco, e volevo vedere se era così.
- Dovresti fare più attenzione. – disse Alex.
- È colpa tua se ho dato fuoco al gas. Mi hai spaventato! – mentii. In realtà sapevo benissimo che non era stata la paura ad attivare il mio potere. Era stato lui.
Alex scrollò le spalle.
- Ti consiglio di non attivare il tuo potere in una casa. A meno che tu non abbia intenzione di bruciarla. – se voleva farmi innervosire ci stava riuscendo. E alla grande.
- Stai zitto! – non capivo perché ero così nervosa, ma sentivo la mia pelle surriscaldarsi. Le mie mani bruciavano insieme al mio corpo, e la mia mente era sempre più annebbiata da quel calore….era come….come se il fuoco stesse avendo il sopravvento su di me.
il calore si espanse sempre di più finché…….
Finché non mi arrivò un getto d’acqua addosso.
Cominciai a tossire, per l’acqua che mi era entrata in bocca. Ero completamente bagnata da cima a fondo. Il calore che prima avevo sentito era completamente scomparso.
- Ma sei impazzito? – imprecai contro Alex. Ma che gli era preso?
Alzai gli occhi per vederlo in faccia. Aveva un’espressione tesa……preoccupata.
- Non farlo mai più capito? – ordinò. Non fare cosa?
- Alex, io non ho fatto niente!
- È pericoloso, più di quanto tu immagini. Il tuo potere ti stava dominando e questo non deve succedere. Chiaro? – i suoi occhi erano di ghiaccio, fermi e impassibili. Lasciavano trasparire la rabbia e la preoccupazione.
- Io…..mi dispiace, n-non volevo…..io…. – balbettai, spaventata dalla sua reazione.
Alex sbuffò.
- No…..scusa, non dovevo aggredirti così, è che…..il tuo potere è pericoloso, sia per te stessa, che per gli latri. Devi stare attenta.
- Non ti preoccupare. – mormorai.
Alex mi osservò attentamente, poi le sue labbra si piegarono in un sorriso.
- Certo, che……ti ho proprio bagnata per bene. – dalla sua espressione capii che stava cercando di non ridere. Solo in quel momento mi resi conto di essere ancora completamente bagnata.
- Già, chissà per colpa di chi! – esclamai.
- D’accordo, non ti arrabbiare, scusa. Però……..sembri un pulcino bagnato. – Alex scoppiò a ridere. L’avrei fatto smettere volentieri se la sua risata non fosse stata tanto pura e sincera.
- Aspetta ora ti aiuto…. – disse Alex tra le risate. Prese un asciugamano e prima che potessi capire le sue intenzioni, cominciò a tamponarmi il viso.
- Sei proprio buffa….. – continuò, senza smettere di ridere. Se la rideva, eh? Prima o poi me l’avrebbe pagata!
La sua mano mi asciugava ogni parte del mio viso, e sentivo un formicolio lungo tutto il corpo.
Alex tolse l’asciugamano dal mio viso e mi ritrovai i suoi occhi ad un centimetro dai miei.
Però non poteva comportarsi così! Già era difficile mantenere la concentrazione, con lui così vicino, se poi mi guardava in quel modo……
Non aveva ancora tolto la sua mano dal mio viso, e mi accarezzò la guancia con il pollice.
Deglutii, mentre sentivo il mio respiro farsi più corto.
Il mio cuore batteva impazzito, e non sembrava voler rallentare.
 
Calma, calma, calma…..
 
Alex sembrava volermi dire qualcosa, ma in quel momento lo sbattere della porta ci fece trasalire.
Kevin era tornato.
Io e Alex ci staccammo, e io ripresi a respirare.
Senza che Alex mi vedesse, mi poggiai una mano sul cuore. Batteva, così forte da voler schizzare via dal petto. Da una parte ringraziai Kevin per essere tornato, altrimenti la mia mente avrebbe smesso di funzionare per colpa di Alex. Dall’altra il mio cuore protestava. Desideravo sentire di nuovo la mano di Alex sul mio volto, e volevo che mi guardasse come aveva fatto poco prima.
Repressi quel desiderio irrazionale.
- Ciao Alex. – Kevin ci raggiunse in cucina. – Ciao Grace, non hai dato fuoco alla casa? – chiese, sorpreso.
Spalancai gli occhi.
- Non fare quella faccia. – disse, sorridendo. - Stavo solo scherzando. Pensavo che dopo le mie informazioni avresti provato a sviluppare il tuo potere e che ti fosse sfuggito il controllo, incendiando la casa; ma evidentemente mi sbagliavo. Meglio così, comunque.
- Diciamo che qualcosa l’ho bruciato. – ammisi, lanciando un’occhiata al gas, mezzo bruciacchiato.
Kevin esaminò il danno.
- Mi aspettavo molto di peggio, non preoccuparti. Alex ha fatto peggio di te, all’inizio.
- Ah sì? - chiesi incuriosita. Chissà perché questa cosa Alex non me l’aveva detta.
- Sì, ha praticamente allagato tutto il paese. – Kevin ridacchiò, mentre Alex lo trucidava con lo sguardo.
- È stato un incidente. – sentenziò Alex. – E non era tutta colpa mia.
- Certo. Come no.  – rispose Kevin.
Sorrisi a quello scambio di battute. Sembravano padre e figlio.
In quel momento sbadigliai.
Non mi ero resa conto di quanto fossi stanca. Sentivo tutta la giornata pesarmi addosso.
- Fagli vedere la sua stanza Alex. Io devo risolvere molte questioni.
Alex annuì.
- Posso farti una domanda? – chiesi ad Alex, quando fummo da soli.
- Una sola. – rispose, sorridendo.
- Kevin è tuo padre?
Alex si voltò verso di me, sorpreso.
- Perché mi fai una domanda simile?
- Non lo so. È vero, non vi assomigliate, però…..si vede che vi volete bene.
- Non è mio padre, ma è come se lo fosse.
- E i tuoi genitori? – desiderai non aver aperto bocca. Sul suo viso si dipinse una maschera di tristezza, e i suoi occhi diventarono freddi.
- Sono stati uccisi.
- Mi dispiace. – mormorai.
Alex scrollò le spalle.
- È passato tanto tempo.
Capii che per lui non era facile parlarne, così cercai di cambiare discorso.
- Perché sei così arrabbiato con Katie?
- Avevi detto una sola domanda, siamo già a due…E poi devi andare a dormire.
- Non sono una bambina. – replicai. – E voglio sapere perché la odi così tanto.
- Non mi va di parlarne. – mormorò. La sua voce era così tormentata che lasciai cadere il discorso.
Alex mi accompagnò alla mia camera senza più dire niente.
- Per qualunque cosa….io sono qui accanto, ok? – disse.
- Che cosa? Tu dormi qui?
- Certo. Altrimenti chi ti controlla?
- Ma….
- Buonanotte.
Alex si allontanò, senza darmi il tempo di replicare.
- Buonanotte, Alex…. – sussurrai, quando lui era già sparito.
Mi chiusi la porta alle spalle, e osservai meglio la stanza. Per terra era steso un grosso tappeto blu, con qualche sfumatura bianca ai bordi. Mi tolsi le scarpe e ci camminai sopra a piedi nudi. Era soffice, morbido e soprattutto riscaldava. I miei piedi provarono immediatamente sollievo da quel contatto.
C’erano due finestre, tutte e due attrezzate di tende. Erano più o meno dello stesso colore del tappeto, blu con sfumature azzurro chiaro. Ondeggiavano lievemente, scosse dai deboli soffi del vento. Un fremito mi percorse il corpo. Chiusi immediatamente la finestra, intanto con lo sguardo continuai a scrutare la stanza.
Gli armadi e i cassettoni invece erano totalmente bianchi, mentre la libreria era sempre blu e sfumava nel bianco al centro. Appena la vidi, capii che era la cosa più preziosa della stanza, adoravo i libri e il fatto di avere un’intera libreria a disposizione mi rendeva davvero felice.
Adoravo quella stanza. Non solo perché era grande e bellissima, ma perché mi ricordava Alex. L’azzurro e il blu mi ricordavano i suoi occhi.
Un momento. Che avevo pensato?
Mi piaceva la stanza perché mi ricordava gli occhi di Alex?
Che cosa……sdolcinata!
Era colpa della stanchezza. Sicuramente.
Mi buttai sul letto, stanca morta e mi misi sotto le coperte, senza neanche pensare a cambiarmi, tanto ero più che sicura che nel giro di un minuto sarei crollata.
Spensi la luce dall’interruttore lì accanto e venni avvolta nell’oscurità.
In quel momento una sensazione nuova mi invase, fino a colmare tutto il vuoto che provavo, una sensazione che non ricordavo di aver mai provato prima; una sensazione di conforto e di consolazione.
Nonostante il mio passato sconosciuto, le mie paure, i miei dubbi, e i segreti in mezzo ai quali vivevo, per la prima volta nella mia vita sentii che quello era il mio posto.
Sentivo di appartenere a quel luogo, e prima di addormentarmi un pensiero era fisso nella mia mente: ero a casa.
 
 
Mi risvegliai in mezzo al nulla, non vedevo niente, non sentivo niente neanche sotto di me. Era come se fossi sospesa nel vuoto. Ad un tratto udii una voce molto forte e acuta.
Mi avvicinai, seguendo quella voce.
- Allora David? Come procede?
- Mmm . . .
- Che c’è? Sei diventata una mucca?
- No, è che . . . - prese un lungo respiro. - Le missioni procedono bene, ma credo che . . .
- Cosa credi?
- Che c’è qualcosa di strano.
- Spiegati meglio! – urlò la voce esasperata.
- Abbiamo un problema. Un problema molto serio.
- SPIEGATI MEGLIO!
- Guarda qui. – ci fu un attimo di silenzio, in cui nessuno osò fiatare.
- Non è possibile. – disse la voce.
- Già.
- Tu, . . . credi che . . . credi che possa aver . . .
- Sì, credo proprio di sì.
- Non è possibile! Ha fallito.
- Già. Come ha fatto a non portare a termine il suo compito?
- Non lo so come ha fatto; ma giuro che appena torna lo riduco in briciole.
- Magari avrà una giustificazione.
- Non mi interessano le sue giustificazioni David, mi interessa il modo in cui lo ucciderò.
- Il capo si arrabbierà.
- Per ora è meglio non dirgli niente, ci penserò io a sistemare quell’imbecille, prima che il capo ne sappia nulla.
- David.  – tuonò una voce esterna due ottave più alta. Una voce che non apparteneva a nessuna delle due che avevo ascoltato finora.
- Mi . . . mio signore, cosa . . .
- Che sta succedendo qui?
- Niente. – risposero le due voci all’unisono. Sembravano spaventate dall’arrivo dell’ultima voce.
- C’è qualche problema?
- Ehm . . . no no, tutto a posto.
- Il nostro membro ha portato a termine il suo compito?
- Ma certo mio signore, almeno credo.
- Sarà meglio per lui. – sentivo tre voci diverse, ma non riuscivo a distinguere chi stava parlando; però l’ultimo arrivato sembrava essere il capo degli altri due.
- Ehm . . . veramente signore, un problemino ci sarebbe.
- E cioè?
- Beh, ecco . . . a-allora . . .
- Non balbettare!
- Abbiamo un problema molto serio.
- Non ora!
- Ma . . . è importante . . .
- Non è né il momento, né il luogo per parlarne. E adesso zitto! C’è qualcosa di strano. C’è qualcosa di molto strano.
- Mio signore cosa intende fare con . . .  – iniziò a chiedere la voce, che apparteneva all’uomo che si chiamava David.
- Zitto!
- Ma . . . ma mio signore, io volevo solo chiederle se . . .
- NON FIATARE! – gridò. Tutti si paralizzarono, me compresa.
- Che succede? – chiese David, dopo qualche secondo.
- Lei è qui. – mi si gelò il sangue nelle vene, smisi di respirare e mi paralizzai.
- Cosa?
- Lei è qui, la sento.
- Non . . . non è possibile . . .
- STAI DICENDO CHE NON HO RAGIONE?
- Oh no, non lo direi mai, solo che se lei fosse qui, beh . . . ce ne saremmo accorti, insomma . . . .
- Tu non la conosci, non sai di cosa è capace.
- Ma qui con noi non c’è nessuno. Ci saremmo accorti, se in qualche modo fosse entrata.
- Tu non sai di cosa è capace, inoltre il potere del fuoco, non ha limiti!
Dovevo fuggire da quel posto, ma non avevo idea di come fare. Tremavo di paura, stentavo a stare in piedi, i brividi mi percorrevano la schiena e faticavo a respirare.
- Sono sicuro che lei è qui. Proprio là. – non potevo vedere i volti, ma sentivo qualcosa, che strisciava verso di me. Qualcosa, o più probabilmente qualcuno.
- È vicina.
Sentii la voce ancora più vicina a me e mi bloccai: ero in  trappola non riuscivo a muovermi, per quanto lo desiderassi. E comunque non avrei saputo dove rifugiarmi. Sentii una figura stanziarsi davanti a me, fui presa dal panico.
Cercai di urlare, ma non avevo fiato, e probabilmente nessuno mi avrebbe potuto sentire, o aiutarmi.
Mi svegliai di soprassalto.  Mi tirai su a sedere sul letto ansimando e sudando. Erano solo un incubo, mi dissi. Era solo uno stupido incubo, continuai a ripetermi. Chi erano quelle persone? E come avevano fatto ad accorgersi di me?
Sentii qualcuno bussare alla porta della mia stanza.
- Avanti. – dissi tremolante.
Alex entrò cautamente e si avvicinò a me.
- Stai bene? – domandò. Vedendo che non rispondevo, ripeté la domanda:
- Stai bene?
- Sì, perché?
- Ti ho sentita urlare. – abbassai gli occhi. Alex si sedette accanto a me, aspettando che gli dessi spiegazioni.
- Ho fatto un sogno, anzi un incubo.
- Che tipo di incubo?
- Non lo so, io . . . c’erano delle voci, e poi si sono accorte che c’ero anch’io, e poi erano strane, io. . . io . . . – dissi agitata.
Alex mi guardò con dolcezza.
- Grace, non capisco niente. – disse.
- Non capisco niente neanche io. – urlai angosciata, girando la testa di scatto e guardandolo dritto negli occhi.
Lacrime involontarie cominciarono a scendere.
Inaspettatamente Alex mi attirò a sé e io poggiai la testa sul suo petto, chiudendo gli occhi, e bagnando tutta la sua maglia. Mi tenne stretta finché le lacrime non smisero di scendere, e finché i miei fremiti non si attenuarono del tutto, fino a scomparire.
- Stai calma. – sussurrò Alex. – Era solo un incubo. Adesso sei al sicuro. – aveva ragione. Nonostante la confusione, nonostante la paura e il dolore mi sentivo finalmente al sicuro tra le sue braccia. Alex mi stringeva forte, ma non mi faceva male.
Mi sentivo protetta.
- Grazie. – sussurrai.
- Per cosa? – chiese confuso. Per essere qui con me, per il fatto che anche solo con un tuo sorriso riesci ad aiutarmi, per il semplice fatto di esistere. – pensai. Non avrei mai avuto il coraggio di dire quelle cose ad alta voce.
- Perché mi fai sentire al sicuro. – risposi.
Alex mi strinse ancora di più e gli fui grata per questo.
Lasciai che la paura mi scivolasse di dosso e mi addormentai tra le sue braccia.
Ancora non mi ero resa conto, che lentamente, mi stavo innamorando di lui.

 


Angolo Autrice
 
Ciao a tutti!!
Scusate il ritardo, ma ritornare dalle vacanze è stato traumatico, soprattutto perché ho trovato tutti i compiti ad aspettarmi…XD!
Spero che il capitolo vi piaccia e che lascerete una piccola recensione, anche negativa.
Ringrazio tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le seguite, le preferite e le ricordate, e grazie anche a tutti coloro che leggono la mia storia in silenzio.
Ma un GRAZIE speciale alle ragazze che recensiscono :D

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Mi stiracchiai lentamente, sgranchendo i muscoli.
Mi sentivo tutta intorpidita.
Scesi dal letto in fretta.
Forse troppo in fretta.
Avevo pestato qualcosa.
Qualcuno.
Gridai.
Ma che ci faceva lì?
- Ma sei impazzito? – urlai. – Che ci fai qui?
Sdraiato a terra, accanto al mio letto, c’era Alex.
Alex si tirò su a sedere, con aria assonnata. Era completamente intontito. Io invece ero paonazza!
- Che ci fai qui? – ripetei per la terza volta.
- Ma ti sembra questo il modo di svegliarmi? – chiese, puntando i suoi occhi nei miei. Deglutii rumorosamente. Appena svegliato era ancora più bello. I capelli neri erano tutti arruffati, le guance leggermente rosse, e gli occhi erano più luminosi del solito, leggermente lucidi.
 
Smettila si guardarlo come se volessi mangiarlo!
 
- Che mal di orecchie. – disse, ridestandomi dai miei pensieri.
- Adesso mi spieghi, cosa ci fai qui nella mia camera? – esclamai. L’unica cosa che ricordavo era che era venuto a consolarmi e poi…..mi ero addormentata tra le se braccia. Avvampai.
- Ti prego non urlare. Abbi pietà, mi sono appena svegliato.  – mi chiese con un tono supplicante.
Per un po’ non fui più capace di dire niente.
Alla fine Alex si alzò, e mi guardò in modo strano. Forse gli si era acceso qualche neurone.
- Mi hai chiesto tu di restare qui. – disse.
Io, ho fatto cosa?
- Che cosa? – oddio, che figuraccia!
- Sì, forse eri sveglia, o forse stavi dormendo. Fatto sta, che ti sei afferrata al mio braccio e sussurravi il mio nome, e mi hai supplicato di non lasciarti sola. Probabilmente sognavi. – Ad ogni sua parola diventavo sempre più rossa. Merda! Perché avevo lo stupidissimo vizio di parlare nel sonno?
- Scusa io…… - mormorai imbarazzata. – Mi dispiace, non ero molto cosciente……credo. – al pensiero che aveva dormito per terra, solo per un mio capriccio, mi sentii in colpa.
- Non volevi farti dormire per terra. Scusa……
Alex mi interruppe.
- Tranquilla, ne ho passate di peggiori. – disse sorridendo.
Uscimmo entrambi dalla stanza nello stesso momento.
Sfortuna volle che in quell’istante passasse Kevin.
Ci guardò incuriosito, con un sopracciglio alzato.
- Forse è meglio che non vi chieda cosa avete fatto…… - arrossii ancora di più se possibile.
- No, no…..non è come credi. – dissi, per cercare di rimediare la situazione.
- Tranquilla Grace, non è un problema, sai? – Tranquilla un corno!
- No, no davvero non è successo nulla. – esclamai. Ma perché Alex non diceva nulla? Perché stava sempre zitto nei momenti meno opportuni?
- Ormai siete grandi. Potete fare quello che volete.
- Ma….. – cercai di replicare.
- Avete la mia benedizione. – mi interruppe Kevin, sorridendo.
- Grazie. – rispose Alex, passandomi un braccio intorno alle spalle.
Ma era impazzito?
Gli avevano dato una botta in testa quella mattina?
- Alex, se la fai soffrire te la vedi con me, chiaro?
- Ma certo. – Rispose facendo un sorrisone a trentadue denti.
Io lo ammazzo!
Appena Kevin si fu allontanato, mi ripresi dallo shock, e mi voltai verso Alex, furiosa.
- Ma che ti è venuto in mente? Non solo non hai fatto niente per aiutarmi, ma hai anche fatto credere a Kevin che noi……che noi…..
Alex inarcò un sopracciglio.
- Che noi? – chiese, trafiggendomi con lo sguardo.
Mi dimenticai immediatamente quello che dovevo dire.
- Niente. – mormorai, certa ormai che, sarei svenuta entro tre secondi per la sua vicinanza.
- È divertente farti arrabbiare. – disse sornione.
- Sbruffone. – dissi, spingendolo con il braccio.
Ovviamente non riuscii neanche a spostarlo di un millimetro, ma Alex mi afferrò il braccio e mi spinse vicino a sé.
Occhi negli occhi.
I nostri visi vicini.
Alex passò una mano dietro la mia nuca e avvicinò ancora di più il suo viso al mio.
I nostri nasi quasi si sfioravano.
I nostri respiri si rubavano l’aria a vicenda.
- Ehm…….Scusate. – qualcuno si schiarì la voce.
Maledizione!
Mi voltai verso la voce, trucidando chiunque fosse accanto a noi, con lo sguardo.
Spalancai gli occhi quando vidi che era Katie.
Alex si irrigidì, ma non disse niente.
- Vi ho disturbati? – chiese Katie, a disagio.
- Assolutamente no. – rispose io, nello stesso istante, in cui Alex rispose: - Assolutamente sì!
- Mi dispiace. – sussurrò Katie. Cercava di non guardarci. Il suo sguardo si posava su qualunque oggetto della stanza tranne che su di noi.
- Volevo solo sapere come……come stavi. – mormorò Katie rivolgendosi a me.
- Sta benissimo, ora ti sarei grato se tu te ne andassi. – sibilò Alex.
- Alex! – esclamai. Non sapevo quale fosse il problema tra loro, ma io non avevo nessun problema con Katie. Non poteva trattarla così.
- No….. – disse Katie. – Non fa niente……me ne vado.
- Ecco, brava. Vai via. – guardai Alex, furiosa. Perché si comportava così?
- No! – esclamai. – Resta qui, per favore. Avevi detto che dovevi parlarmi, no? – Alex mi afferrò per un braccio.
- Tu non ci parli con lei! – mi guardò minaccioso, dritto negli occhi. Presa da un impeto di rabbia gridai:
- Alex smettila! Tu non sei nessuno per dirmi quello che posso o non posso fare! – I suoi occhi si fecero vuoti. L’avevo ferito.
Più di quanto potessi immaginare.
Desiderai mordermi la lingua. Ma ormai era fatta.
Alex lasciò il mio braccio e se ne andò in un’altra stanza.
- Io……io non volevo farvi litigare……mi dispiace, io….
- Non fa niente. – la interruppi. – Stavolta ha esagerato. Non può trattarti così. – il tono della mia voce era leggermente incrinato. Mi sentivo in colpa. Da morire.
- Voi due….state insieme, vero? – chiese.
- No! – Esclamai, rossa come un peperone.
- Oh…..scusa è che…..mi sembrava……beh, niente. Forse mi sono sbagliata. – concluse alzando le spalle.
- Cosa ti sembrava?
- No è che…..beh, si vede che……insomma che siete innamorati……anche se non state insieme. – disse, mordicchiandosi il labbro.
- Ma io non…. – non riuscivo a finire la frase. Eppure era facile: Io non sono innamorata di lui.
Ma allora perché quelle parole risultavano false, persino nella mia mente?
- Grace…… - mi chiamò dolcemente Katie.
- Sì?
- Tu lo ami, vero? – non sapevo cosa rispondere. Era amore quello che provavo? Quelle scariche elettriche che avvertivo, ogni volta che lui mi era vicino, quel rossore che mi imporporava le guance ogni volta che mi stregava con i suoi occhi. Quel senso di sicurezza e conforto che trovavo sempre in sua compagnia…….era amore?
- Io….non lo so. – risposi sinceramente.
- Grace, ho visto come lo guardi. E ho visto come ti guarda lui. – Disse sicura, Katie. Il suo sguardo era dolce e materno. Rassicurante.
- Grazie. – mormorai.
- Grace?
- Sì?
- Posso…….. – si interruppe un secondo. – Posso abbracciarti per favore? – gli occhi erano supplicanti e pieni di lacrime.
- Certo.
Katie mi abbracciò, come si abbraccia qualcosa di prezioso, che eri sicura di aver perso. La sua pelle era fredda a contatto con la mia, e impercettibilmente, rabbrividii.
- Ti voglio bene. – disse, ad un tratto. – Ti voglio bene, Grace.
- Anche io ti voglio bene. – risposi. Non so perché dissi quelle parole. Non la conoscevo neanche da un giorno. Ma era vero.
Le volevo bene.
Katie si staccò da me.
Il suo abbraccio mi aveva dato un po’ di quel calore che cercavo.
Adesso senza di lei, mi sentivo vuota.
Fredda.
 
La giornata passò più velocemente di quella prima.
Katie dopo avermi abbracciata, era corsa via, con gli occhi pieni di lacrime. Non capivo perché. E forse, era meglio così.
Alex se ne era andato, senza salutarmi. Non potevo biasimarlo d’altronde.
Lo avevo ferito.
Gli avevo detto che per me lui non contava nulla. Mentivo.
Lui era importante per me.
Io lo…….io cosa? Era vero quello che aveva detto Katie?
Lo amavo?
Quando quella sera mi addormentai, avevo ancora quella domanda fissa in mente.
 
Buio. Fu la prima cosa che notai, ci misi parecchi minuti prima di rendermi conto che ero in una stanza, avvolta dalla penombra. Non vedevo quasi niente. Poi i miei occhi si abituarono.
Ero al centro di un vero e proprio labirinto, tante stanze si diramavano in direzioni diverse dal punto in cui mi trovavo.
I corridoi sembravano tutti uguali, ne imboccai uno a caso, sperando di risvegliarmi al più presto.
I miei passi stranamente non rimbombavano nel silenzio di quel luogo, come se non toccassero terra. Il mio respiro era impercettibile, non ero neanche sicura di respirare. Se qualcuno non fosse stato lì accanto a me, non mi avrebbe mai potuto sentire. Non sapevo se la cosa era rassicurante oppure no.
Sentii delle voci rumorose provenire da una stanza accanto, specialmente c’era una voce che sovrastava le altre.
Due uomini discutevano. Il loro abbigliamento rassomigliava molto con il luogo in cui mi trovavo. I loro abiti erano completamente neri, e mi terrificavano.
- Ma come hai potuto? – urlò il primo. La sua voce rimbombò nei miei pensieri.
- Io . . . io non volevo.
- Come hai potuto? – ripeté l’uomo infuriato.
- Non l’ho fatto di proposito . . .
- Smettila di giustificarti!
- Mi . . . mi dispiace è stato un errore. . .
- UN ERRORE? HAI FATTO DI MOLTO PEGGIO! – lo sguardo del primo uomo era furioso, non riuscivo a vederlo in volto perché aveva un cappuccio, calato sul viso. Rabbrividii.
Che posto era quello?
L’uomo con il cappuccio gettò violentemente a terra il primo e lo trafisse con lo sguardo.
Il secondo uomo strisciava a terra per mettersi al riparo.
Cominciai a tremare.
Sentii un groppo salirmi in gola e il mio respiro si bloccò.
- Tu non ti rendi conto! – continuò l’uomo a gridare.
- Per favore mi perdoni, io . .
- TU COSA?
- Io non lo farò più, io . . .
- Ma certo che non lo farai più. Questa cosa è certa. – disse l’uomo arrabbiato con voce improvvisamente bassa, ma tagliente.
- Non lo farai mai più, perché ti ucciderò prima!
- No....….no la prego.
- Dammi una ragione per la quale non dovrei ucciderti, e che sia una buona ragione.
- Beh, è un errore che potevano fare tutti, io . . .
- Tu non dovevi commettere un simile errore!
- Lo so, non avrei dovuto, ma. . .
- Per poterti far andare nel mondo umano abbiamo dovuto compiere il rito, e milioni di persone sono morte, perché tu potessi attraversare la barriera, ed è così che le ripaghi?
UNA COSA DOVEVI FARE! E NON NE SEI STATO CAPACE!
- Ma io. . . ho solo sbagliato persona! – gridò l’uomo a terra in preda alla disperazione e alla paura.
- Non azzardarti ad alzare la voce con me! L’unica cosa che dovevi fare era portare qui quella mocciosa, e tu invece che hai fatto? Hai preso la persona sbagliata!
- Non è stata colpa mia.
- Ah no, ma certo e invece è colpa mia, vero?
- Io non l’ho mai vista e credevo fosse lei, come potevo sapere che non lo era? Si assomigliano!
- Anche se si assomigliassero, ma ti assicuro che non è vero, avresti dovuto percepire la sua aurea, COME HAI FATTO A NON RENDERTI CONTO DI AVER PRELEVATO UN INUTILE ESSERE UMANO?
- Io . . io  non lo so come ho fatto a sbagliare, ma . . .
- No, lo so io come hai fatto. Sei un incapace, una nullità, e per questo devi essere eliminato, saresti solo d’impiccio.
- No . . . no la prego.
- Tu meriti di morire!
- Ma mio . . . mio signore anche lei le avrebbe confuse . . .
- Che cosa stai insinuando? Pensi che io non la saprei riconoscere? Pensi che io potrei commettere i tuoi stessi errori? Non osare paragonarmi a un essere in’utile come te!
- La . . . la prego mi dia un’altra possibilità . . .
- Io non do mai una seconda possibilità, dovresti saperlo.
- Posso riuscire a trovarla, se potessi tornare nel mondo umano . . .
- Ma sei sordo oltre che idiota? Per attraversare la barriera abbiamo dovuto compiere un rito che riesce solo nel 50% dei casi. Durante questo rito milioni di persone sono morte, per permetterti di andare nel mondo umano. E tu hai fallito!
- Non . . . non c’è un altro modo per andare nel mondo umano? – chiese l’uomo a terra disperato. Non capivo perché continuava a rivolgere quelle domande all’uomo con la maschera, sapendo che in questo modo lo faceva solo arrabbiare di più. Forse voleva solo posticipare di qualche minuto la sua morte imminente.
- Credi che se ci fosse stato un altro modo, allora non avremo già provato a metterlo in pratica imbecille che non sei altro?
- Quindi non resta che toglierti di mezzo.
- No . . . la prego non mi uccida!
- Oh, ma non sarò io a farlo, credi che oserei insozzare le mie mani con il tuo sangue sporco? – ebbi un fremito.
Quelle parole così crudeli…..
Quel disprezzo nella voce…...
- Ordinerò ad una delle guardie di ucciderti.
- Nigel! – sentii gridare. Silenzio di tomba. Nessuno si mosse. L’uomo che prima era infuriato e crudele, adesso sembrava letteralmente terrorizzato.
Nella stanza entrò un altro uomo, indossava una maschera. Non riuscivo a vederlo bene, ma dai suoi lineamenti si capiva che era giovane, molto più giovane dell’uomo con la maschera. Non capivo come quest’ultimo potesse avere paura di una persona più giovane di lui.
- Che sta succedendo? – disse l’ultimo arrivato con voce gelida e priva di ogni emozione. Aveva una voce…..familiare, quasi. Ne ero ipnotizzata. Da una parte mi rafforzava, dall’altra mi indeboliva.
- Oh . . . mi-mio signore, voi non dovreste essere qui, v -voi . . .
- Non dirmi cosa dovrei fare! Ti ho fatto una domanda, ora rispondi, prima che perda la pazienza.
- Questo stupido individuo ha prelevato la persona sbagliata dal mondo umano, e un sacco di vite sono andate sprecate per colpa sua.
L’uomo con la maschera guardò quello in basso, come avrebbe potuto guardare un cestino della spazzatura.
- Capisco. – mormorò, semplicemente.
- Dobbiamo ucciderlo, ci sarà solo d’impiccio.
- No!
- Ma mio signore . . .
- Qui decido io! – l’uomo con il cappuccio si zittì all’istante. – Tu puoi andare. – disse poi rivolto all’uomo per terra.
- Ma, con tutto il rispetto, non può lasciarlo andare! – l’uomo con il cappuccio continuava ad insistere.
- NIGEL! SO COSA DEVO FARE!
- Ma . . . ma certo, come vuole lei.
L’uomo per terra, colmo di gratitudine si avvicinò:
- Grazie mio signore, grazie.
- Non mi ringraziare.Tu puoi andare, ma le tue mani restano qui.
Lessi la paura nel volto dell’uomo che prima era così felice.
- Non è forse con le tue sporche mani, che hai portato qui quell’umana?
- Sì . . .sì . . .ma . . .ma io . .
- Bene, siamo d’accordo. Saranno le tue mani ad essere punite, tutto il resto del tuo corpo resterà integro, dovresti ringraziarmi. – mi salì un groppo in gola. L’unico vero motivo che poteva spingerlo a tagliargli le mani era perché in questo modo avrebbe sofferto molto di più. Come poteva un persona essere tanto cattiva?
- Nigel, avanti muoviti. – l’uomo con il cappuccio avanzò ghignando, tirando fuori una spada lunga e affilata.
- No, no per favore!
- NO! – gridò l’uomo, disperato.
Non ebbi il coraggio di guardare, chiusi gli occhi. Sentii solo un grido acuto e dolorante, che mi penetrò la pelle, come se fossi stata io la persona alla quale avevano tagliato le mani.
Quando riaprii gli occhi, vidi grosse macchie di sangue riversate sul pavimento, il volto dell’uomo straziato e terrorizzato. Continuava a gridare. Feci del mio meglio per non piangere.
- Nigel.
- Sì, mio signore?
- Fai sparire queste tracce di sangue.
- Certo.
- Un’altra cosa. Trovala e portamela qui, al più presto. Tu sai a chi mi riferisco.
- Certo mio signore, sarà fatto.
- Sarà meglio per te. E ricordati, voglio che tu me la porti viva. Hai capito?
- Certo mio signore. – i due uomini si avviarono verso un’altra stanza, costrinsi i miei piedi a seguirli, tanto ero sicura che quello fosse tutto un incubo. Quasi sicura.
- Potrebbe non essere sola. – disse l’uomo con il cappuccio.
- Già. - affermò l’altro.
- Secondo lei, l’hanno già portata qui? Cioè in questo mondo? – chiese ancora l’uomo con la maschera.
- Cosa vorresti dire?
- E se non fosse più nel mondo umano? E se fosse nel nostro mondo?
- Sia che sia nel mondo umano o che sia in questo mondo, tu trovala.
- Quel ragazzo col potere dell’acqua potrebbe essere con lei, potrebbe causarci molti problemi.
- Non nominare quel ficcanaso! L’ultima volta ci ha causato un mucchio di problemi. Portami anche lui. Che sia vivo o morto non fa differenza.
- E dell’umana cosa ne facciamo?
- Non so.
- Io propongo di ucciderla.
- No, non è una buona idea.
- Ma, mio signore . . .
- HO DETTO DI NO! – rispose furiosamente.
- Mi . . . mi scusi, ma cosa vuole farne? Non ci porterà alcun vantaggio.
- Non ti preoccupare. – i due uomini continuarono ad avanzare per la sala fino ad arrivare davanti ad una sagoma riversata a terra. Non riuscivo a vederla perché c’era troppo buio.
- Credo che in fondo potrebbe tornarci utile per il nostro scopo. – disse l’uomo con la maschera. Quello che doveva essere il capo. Si piegò sulla figura, che cercò di arretrare spaventata, ma venne bloccata dal muro.
- Sì, penso proprio che mi sarai molto utile. – disse ghignando. Afferrò il mento della persona a terra, e la strattonò.
- Hai paura? Fai bene ad averne. – Poi si rivolse all’uomo che si chiamava Nigel.
- Se entro un mese non l’avrai trovata, allora uccidi anche lei. – disse riferendosi alla persona per terra.
Gli occhi cominciavano a bruciarmi, i contorni sfumavano, mi stavo svegliando.
L’uomo con la maschera spinse la persona in avanti in modo di portare il volto alla luce.
In modo che potessi finalmente vedere chi era.
Fu una cosa orrenda.
 Il mio respiro si bloccò, e dovetti aggrapparmi al muro per non cadere.
Cercai di non piangere, senza riuscirci, mentre dentro di me si espandeva un lago di dolore.
Davanti a me, accasciata a terra e sanguinante, c’era Christine.

 
 
Angolo Autrice
 
Ciao a tutti!!
Finalmente sono riuscita a completare questo capitolo!! :D
Spero che vi piaccia e che lascerete una piccola recensione, anche negativa.
Ringrazio tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le preferite, le seguite e le ricordate, e anche tutti coloro che leggono la mia storia in silenzio.
Ma un GRAZIE speciale a Nedynadietta e a Lilly 67 =D
Grazie per le vostre recensioni!! ;D

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


- Grace ti prego, calmati! – Kevin mi afferrò per le braccia. Io continuavo a dimenarmi.
- Grace, per favore! Non sei in pericolo! – gli occhi di Kevin era apprensivi e preoccupati, ma niente avrebbe potuto farmi stare meglio in quel momento.
- Devo andare da lei! – urlai. – Subito.
Le lacrime scendevano prepotenti e si impastavano con le mie parole.
Perché?
Perché proprio lei?
- Hanno preso Christine. L’hanno presa. – tremavo.
- Grace, che stai dicendo?
- È colpa mia. È tutta colpa mia. – mi presi la testa tra le mani. Kevin accanto a me, mi guardavo con uno sguardo pieno di frustrazione e incomprensione.
- Devo andare da lei. – esclamai, in preda alle lacrime. Mi liberai dalla presa di Kevin, ma lui mi riafferrò prontamente. Il dolore continuava a stringermi nella sua morsa e non mi faceva respirare.
- Grace, ora calmati. – disse, guardandomi negli occhi. – Calmati e dimmi cosa è successo.
Presi un bel respiro e raccontai tutto.
Ad ogni parola i singhiozzi mi scuotevano, ma gli occhi di Kevin mi davano la sicurezza di cui avevo bisogno in quel momento. Anche se sapevo che in realtà avrei voluto che ci fosse qualcun altro al posto di Kevin. Non avrei voluto vedere gli occhi di Kevin, marrone scuro, ma i suoi occhi blu. Ricacciai indietro quel pensiero. Ero sicura che non mi avrebbe più rivolto la parola, dopo quello che gli avevo detto.
Appena finii di parlare Kevin mi guardò perplesso.
- Che devo fare? È in pericolo, vero? – sussurrai con la voce strozzata.
- Sì. – Kevin non provò neanche a negare. Forse aveva compreso la gravità della situazione.
- Io devo andare da lei! – dissi, divincolandomi.
- No, Grace. È troppo pericoloso. Tu non vai da nessuna parte.
- Che cosa? – chiesi, completamente incredula. Come poteva anche solo pensare che me ne stessi lì, tranquilla con le mani in mano?
- Grace, è pericoloso per te. Non ti sei allenata abbastanza e poi…….
- È mia amica! Non posso lasciarla lì! – come osava anche solo pensare una cosa simile?
- La stanno usando come esca. – mi spiegò Kevin. – Sanno che con lei, possono arrivare a te.
- Non mi interessa! – urlai, sempre più arrabbiata. – Io non la lascerò lì!
- Tu non vai da nessuna parte! – e lui chi era per dirmi cosa fare?
- Io faccio quello che voglio! Non lascerò lì! Non puoi dirmi cosa fare! – Kevin si arrabbiò.
- Tu resti qui e basta! non te lo permetto!
- Tu non sei mio padre! – gridai. – Io vado da lei! – chi si credeva di essere? Come poteva anche solo pensare di avere qualche pretesa su di me?
- Grace, no. – Disse Kevin, strattonandomi un braccio. Nonostante fosse abbastanza vecchio, la sua presa era ferrea, e non riuscii a liberarmi. – Questo è un ordine Grace! – tuonò.
Lui. Osava. Darmi. Ordini.
Dopo tutto quello che era successo.
Dopo che mi avevano allontanato dal loro mondo e dopo che mi avevano spedito nel mondo umano.
Dopo che mi avevano brutalmente strappato dalla vita, che ero riuscita finalmente a ricostruire.
Dopo tutto questo, osava darmi ordini?
La mia mente si annebbiò.
I contorni cominciarono a sfumare.
Lo guardai con astio.
- E allora? Cosa dovrei fare? Dovrei lasciarla morire? – sputai. Strinsi i pugni per la rabbia.
Kevin alzò le spalle e guardò per terra.
- Non possiamo metterti in pericolo Grace. – sentenziò.
- Quindi dovrei lasciarla morire? – urlai.
La rabbia mi accecava.
La sentivo espandersi in tutto il corpo, si propagava all’interno della mia pelle, intingendo le ossa della sua forza letale e distruttiva.
- È solo un umana. Il suo sacrificio, servirà per proteggerti.
 
Il suo sacrificio servirà per proteggerti.
 
Quante persone dovevano ancora morire per me?
I miei genitori non erano abbastanza?
Ma non furono quelle le parole che fecero traboccare il vaso.
Non furono quelle le parole che mi fecero perdere letteralmente il controllo.
 
È solo un umana.
 
L’aveva detto con un disprezzo nella voce, molto evidente.
Era solo un umana?
E quindi poteva benissimo morire, come se fosse un animale? Come se fosse un oggetto?
Strinsi i pugni talmente forte che sentii le unghie penetrarmi nella carne. Il sangue cominciò a scorrere tra le mie mani, ma la ferità si rimarginò immediatamente.
- Che. Cosa. Hai detto? – Guardai Kevin. Il mio corpo tremava. I miei occhi erano pieni di odio e rabbia. Percepivo una forza dentro di me, che chiedeva solo di poter uscire.
La rabbia infuriava come fuoco, la vista si appannò e non riuscii più a distinguere la sagoma di Kevin.
La mia pelle bruciava, a tal punto che Kevin ritirò la mano. La guardò incredulo, quando si accorse di essersi bruciato la pelle.
Calore.
Tanto calore.
Sentivo solo questo.
Rabbia.
Resisterle era diventato quasi un dolore fisico.
Percepii la mia pelle lacerarsi sotto il calore che si espandeva sul mio corpo.
Cominciai a vedere rosso.
- Solo perché è umana, merita di morire? – gridai. – È questo che vuoi dire? – tremavo.
Non ce la facevo.
Non riuscivo più a controllare quella forza che mi premeva nel petto.
Quella forza che se avessi fatto uscire sarebbe stata distruttiva.
Lo sguardo di Kevin era terrorizzato.
Aveva capito l’inferno che si stava infuriando dentro di me?
- Grace, per favore, calmati. – Calmarmi? Calmarmi?
 
È solo un umana.
 
Come se fosse un oggetto. Come se si potesse buttare via, come se nulla fosse. Come se la sua vita non fosse importante, almeno quanto la mia.
 
Il suo sacrificio servirà per proteggerti.
 
Ero stanca di coloro che mi proteggevano.
Potevano andarsene tutti a quel paese.
 
Grace, è un ordine.
 
La furia aumentò sempre di più.
Un ordine. Un ordine. Un ordine.
Da quando ero arrivata lì non facevo altro che fare tutto quello che mi dicevano.
Le mie orecchie si aguzzarono.
Un sibilo.
Un ringhio spaventoso impregnò l’aria intorno a noi.
Pieno di crudeltà e odio.
Non avrei mai immaginato che quel suono proveniva da me.
Non avrei mai immaginato che la forza dentro di me, avrebbe potuto essere tanto distruttiva, se liberata.
Ma non lo sapevo.
Era questo il problema.
Liberai la forza che sentivo dentro di me, poi precipitai nel nero più profondo.
 
 
 
Alex
 
Una strana sensazione si attanagliò dentro di me.
Stava succedendo qualcosa di strano.
Era in pericolo. Il mio primo istinto fu quello di andare a casa di Kevin, per controllare che lei stesse bene.
Poi ci ripensai.
Cosa ero io per lei?
Niente, esattamente come mi aveva detto. Io non ero niente per lei. Non sarei mai stato niente. Non capii perché mi dispiacessi di una cosa del genere. Cosa mi importava di quello che lei mi diceva? Perché con quella frase, mi faceva stare tanto male?
Sentii la rabbia montarmi nel petto ripensando che avevamo litigato per colpa di Katie. Quella donna l’avrei uccisa un giorno o l’altro.
Eppure nonostante fossi arrabbiato, il mio istinto mi urlava di andare a casa di Kevin.
Tentennai un po’, non avevo voglia di rivederla, ma il mio istinto non si sbagliava mai.
Impiegai poco più di qualche minuto ad arrivare a casa di Kevin.
Ma quei pochi minuti furono letali.
Era in piedi davanti a me. Il suo sguardo furioso era rivolto a Kevin che la guardava terrorizzato.
I suoi capelli dorati avevano assunto una sfumatura rossiccia e sembravano elettrici.
Si voltò verso di me e puntò il suo sguardo nel mio.
Gli occhi iniettati di sangue. Rossi come il fuoco.
Pieni di rabbia e crudeltà.
Quello sguardo non era il suo.
Quegli occhi non erano quelli di lei.
Erano quelli della furia.
Merda.
Era troppo presto.
Non doveva succedere. Non ora.
I suoi occhi erano ancora fissi nei miei e dal suo sguardo, capii che non mi aveva riconosciuto.
Accecata dalla rabbia e dall’odio non avrebbe riconosciuto nessuno.
Sapevo cosa sarebbe successo da lì a poco.
E non potevo farci niente, stavolta.
Ormai era tardi.
Troppo tardi.
La forza si era risvegliata e sarebbe stato impossibile opprimerla e rinchiuderla nello stesso modo in cui era prima.
Era tardi.
Troppo tardi per poterla salvare.

 
 
 
Angolo Autrice
 
Ciao a tutti!!
Finalmente ce l’ho fatta a scrivere anche questo capitolo :D
So che è un po’ corto, ma prometto che il prossimo capitolo sarà più lungo :)
Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la mia storia tra le preferite, le seguite e le ricordate, e anche tutti coloro che leggono la mia storia in silenzio.
Ma un GRAZIE speciale a Nedynadietta e Lilly 67!! =D

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Un torpore mi avvolgeva. Lieve, ma allo stesso tempo intenso.
Strinsi gli occhi, prima di aprirli.
Cos’era questo odore?
Qualcosa stava bruciando?
Aprii lentamente gli occhi. Sentivo la testa e le palpebre pesanti.
Una mano fredda sfiorò la mia guancia.
Rabbrividii a quel contatto.
- Stai bene? – chiese Alex con dolcezza.
Appena udii la sua voce, mi tuffai nei suoi occhi, alzando la testa di scatto.
Lui era lì.
Con me.
Sentii una gioia improvvisa crescermi nel petto, mentre le mie labbra si aprivano in un sorriso.
Un sorriso che si spense subito, appena mi accorsi della sua espressione dura e fredda.
Probabilmente era ancora arrabbiato con me.
Per parecchi minuti non fui in grado di dire niente. Non potevo fare a meno di fissare quegli occhi blu che mi erano mancati così tanto quel giorno.
- Il fatto che tu non abbia ancora parlato, è una bella o una brutta cosa? – chiese Alex, facendo un sorriso tirato.
Arrossii.
Per un momento dimenticai tutto.
Eravamo solo noi. E nessun altro.
- Allora? - chiese di nuovo.
Quale era la domanda? Mmm……ah sì!
- Sì…..sto bene…..credo. – avevo ancora un vuoto di memoria e non ricordavo nulla di quello che avevo fatto in quelle ventiquattro ore.
- Cosa ricordi?
- In che senso? – chiesi confusa.
- Ti ricordi quello che è successo, prima di svegliarti?
Scavai nella mia mente, alla ricerca di un dettaglio, di qualunque cosa che mi facesse ricordare. Non trovai niente.
Mi sforzai ancora di più.
Dei piccoli flash mi apparvero nella mente.
Delle figure incappucciate…….sangue…..nero e buio…...poi Kevin…e rabbia, tanta tanta rabbia.
Eppure c’era un dettaglio che mi sfuggiva.
- Ricordo che……che c’era qualcuno incappucciato ed era tutto nero e….e…..Christine! – esclamai di scatto.
Ogni tassello del puzzle tornò al suo posto e ricordai gli eventi.
L’incubo….quell’orribile incubo in cui avevo visto lei……
Kevin che cercava di calmarmi, mentre urlavo spaventata…..
E poi quella rabbia…..
Distruttiva e pericolosa.
Ma la mia mente era fissa su qualcos’altro.
Christine.
Era in pericolo.
Per colpa mia.
- L’hanno presa! Devo salvarla!
Alex abbassò lo sguardo.
- Lo so. – mormorò.
Come faceva a saperlo?
- Non ricordi altro? – chiese di nuovo.
- No, perché?
- Sicura?
- Ti ho detto di……. – non terminai la frase, perché seguii lo sguardo di Alex e vidi il terreno intorno a noi.
Ero talmente concentrata su Alex che non mi ero accorta di niente.
Il terreno era pieno di macerie e cenere.
Sembrava esserci stato un vero e proprio incendio.
Il fumo aleggiava nell’aria, rendendola quasi irrespirabile.
- Alex cosa è successo? – chiesi sconvolta. Che qualche nemico ci avesse attaccato?
E perché non mi ricordavo nulla? Alex non rispose. Continuò a tenere lo sguardo fisso davanti a sé, senza dire una parola.
- Alex chi è stato? Dimmelo! – lo scrollai.
- Mi dispiace. – sussurrò.
- Cosa? Cosa ti dispiace?
- Io…..Io avrei……avrei dovuto proteggerti…..avrei dovuto controllarti e invece….
- Di che parli? – ero più agitata che mai.
- Non avrei dovuto permettere che questo accadesse, non avrei….. – mossi il braccio nella sua direzione, per cercare di calmarlo, ma un dolore lancinante mi bloccò.
Gemetti di dolore.
Il mio braccio destro era completamente bruciacchiato e riuscii a vedere che un sottile strato di pelle si stava riformando sotto i miei occhi.
- Ecco vedi? – disse Alex. – È colpa mia! Avrei dovuto…..avrei dovuto impedirlo.
Continuai a osservare il mio braccio, incredula.
Che mi era successo?
E che era successo agli altri?
- Alex chi è stato? – chiesi.
Mi guardò negli occhi esitante prima di rispondere.
Scosse la testa
Poggiai la mia mano sulla sua guancia, ignorando la fitta dolorosa.
- Chi è stato? – sussurrai.
Alex mi guardò negli occhi ancora una volta prima di rispondere:
- Tu.
 
 
 
Presi la testa tra le mani.
Gli occhi bruciavano.
Dentro di me giaceva l’orrore di quello che avevo appena fatto.
Mi avvicinai al letto, lentamente.
- Mi dispiace. – mormorai, con le lacrime agli occhi.
- Scusa.
Kevin davanti, steso su un letto era addormentato.
L’espressione contratta dal dolore, con il sudore che gli imperlava la fronte.
Il braccio e parte del petto completamente fasciati.
Una ferita quasi mortale.
E gliela avevo inflitta io.
- G-Grac….Grace….n-non….pi-piangere…. – balbettò a stento. Cercava di essere forte e non farmi vedere il suo dolore, anche se era impossibile.
Io avrei dovuto essere forte. Non lui.
Io avrei dovuto consolarlo. Non lui.
Un singhiozzò più forte mi provocò una ferita nel petto.
È tutta colpa mia.
Ripensai per un istante alle parole di Alex.
 
Il tuo potere è pericoloso, sia per te stessa, che per gli altri. Devi stare attenta.
 
In quel momento non avevo capito. Ora sì.
Il mio potere doveva essere dominato, e se non fossi riuscita a farlo ne avrei dovuto pagare le conseguenze.
 
Sia per me stessa che per gli altri.
 
Il potere aveva avuto il sopravvento su di me, mi aveva corroso da dentro, lacerandomi la pelle. Una volta sprigionato aveva fatto del male agli altri, mentre io ero caduta in un oblio.
Guardai le mie ferite.
Notai con disprezzo che si stavano rimarginando.
Non me lo meritavo.
Non meritavo che le mie ferite guarissero con così tanta facilità.
Quelle ferite, me le meritavo, e meritavo di soffrire ancora di più.
Per quello che avevo fatto.
Avevo distrutto la casa incendiandola e avevo ferito quasi mortalmente Kevin.
Ero un mostro.
Un mostro spietato.
- So cosa stai pensando. – sobbalzai. Non avevo sentito Alex entrare. – Non sei un mostro. – chiarì.
- Come puoi dire una cosa simile? – sibilai con disprezzo. Disprezzo per me stessa. – Hai visto quello che ho fatto?
- Non sei stata tu. Ma il potere che era dentro di te.
- Non importa! È stata tutta colpa mia!
- Devi solo imparare a controllarlo.
- Prima c’è un’altra cosa che devo fare. Devo andare da Christine. E non provare a fermarmi. – glielo dovevo. Dopo tutto quello che era successo dovevo almeno provare a salvarla. Non potevo permettere che qualcun altro morisse per me. Non avrei più fatto del male a nessuno.
- Non proverò a fermarti. – disse mesto Alex. – Visto come hai reagito, dopo che ci ha provato Kevin…. – mormorò.
Sentii le lacrime salirmi agli occhi.
- No, scusa, scusa non volevo dire quello, io…. – si corresse.
- Non importa. Ho capito.
- No, non hai capito. Io non ti ritengo responsabile di quello che è successo. Te l’ho detto non è stata colpa tua. – lo fissai. Perché si fidava così tanto di me? perché mi regalava la sua fiducia, senza alcuno sforzo?
- Perché ti fidi così tanto di me? – mormorai.
Alex distolse lo sguardo e non rispose.
In quel momento arrivò Katie.
Alex come al solito si irrigidì e mi bloccò.
- Alex lasciami subito. – dissi rabbiosa. Ero io il nemico non Katie. Io avevo quasi ammazzato Kevin, non Katie. Ma nonostante ciò Alex continuava a fidarsi di me, e a non fidarsi di lei.
Alex mi lasciò, ma i muscoli erano ancora contratti.
Appena fui libera dalla presa, corsi verso Katie.
Non so perché lo feci.
Ma avevo bisogno di lei.
Sapevo che lei sarebbe riuscita a capirmi. Più la guardavo e più mi sembrava familiare. Ma non riuscivo proprio a ricordarla.
Le sue braccia mi accolsero e mi strinsero.
La abbracciai, cercando quella pace di cui avevo bisogno.
Fu un attimo.
Mi ritrovai tra le braccia di Alex, e udii un colpo.
Per un istante non percepii altro che la presenza di Alex accanto a me.
Poi vidi del sangue colare sul pavimento, e Katie che aveva una mano davanti alla bocca, mentre dal naso fuoriusciva sangue a fiotti.
No. Non poteva averlo fatto.
Non poteva averlo davvero fatto.
Ma la mano di Alex, chiusa in un pugno mi fece cambiare idea.
- Tu non devi toccarla! Hai capito? – gridò.
- Alex mai sei impazzito? – urlai, a voce più alta di lui e avanzando verso Katie.
- Non ti avvicinare. – disse, tenendomi stretto per un braccio.
La sua presa era talmente forte che mi fece male.
Le ferite appena rimarginate si riaprirono e il mio braccio ricominciò a sanguinare.
Alex non se ne accorse.
Sembrava accecato dalla rabbia.
- Perché? – esclamai, anche se il dolore era insostenibile. – Perché ce l’hai tanto con lei? Che ti ha fatto? – volevo delle risposte. E le volevo subito.
Alex mi guardò e i suoi occhi incrociarono i miei.
Non li avevo mai visti.
Quelli non erano i suoi occhi.
I suoi occhi blu, che amavo tanto non c’erano più. Ora erano diventati azzurri con una leggera sfumatura rossa ed erano intrisi di rabbia.
Paura.
Mi faceva paura.
- Alex lasciami andare. – mormorai.
- Vuoi davvero sapere perché ce l’ho tanto con lei? – chiese con il tono più crudele che avessi mai sentito. Non si era mai rivolto così a me.
- Katie è una di loro. - concluse, pieno di rabbia e disprezzo.


Angolo Autrice 
Ciao a tutti!!
Mi scuso tantissimo per il ritardo, ma la scuola mi porta via un sacco di tempo e non ho mai un momento libero per scrivere.
Ho scritto qualche frase al giorno e alla fine l’ho completato, anche se è venuta fuori una schifezza….:(
Comunque spero che lascerete qualche recensione, anche negativa.
Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la mia storia tra le preferite, le seguite e le ricordate e anche tutti coloro che leggono la mia storia in silenzio :D
Ma un GRAZIE speciale alle ragazze che recensiscono!! 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


I miei occhi si spalancarono dalla sorpresa e dallo stupore.
- Co-cosa? – balbettai, guardando Katie, che assunse un’espressione colpevole.
- Già, proprio così! – continuò sprezzante Alex. – È solo una schifosa traditrice! E lei…..e lei ha osato toccarti! – tremava di rabbia. Il suo odio verso Katie era quasi palpabile nell’aria. Ero sicura che non sarebbe riuscita a controllarsi ancora per molto.
- Come hai osato? Come hai osato toccarla dopo tutto quello che hai fatto? – gridò. Afferrò per un braccio Katie, sembrava che avesse tutte le intenzioni di staccarglielo.
Ero terrorizzata.
Alex era fuori di sé, e io non sapevo come calmarlo. Non credevo che potesse succedere anche a lui. Poche ora prima Alex mi aveva spiegato che coloro che possedevano il potere  dei quattro elementi dovevano fare molta attenzione a controllarli, altrimenti sarebbe stati letali. Eppure, nonostante Alex avesse alle spalle anni di allenamento, sembrava aver ceduto a quella rabbia così violenta e distruttiva.
Non riuscivo a concentrarmi. Dovevo calmarlo, ma allo stesso tempo ero ancora sbigottita da quello che mi aveva appena detto.
 
Katie è una di loro.
 
Il gemito di dolore che emise Katie mi riportò alla realtà. Non potevo riflettere sulle parole di Alex, non in quel momento.
- Alex, lasciala! – ovviamente non mi ascoltò.
Corsi verso di lui e lo strattonai per un braccio.
- Così le fai male, Alex per favore! – le mie parole non servirono a nulla. Ormai aveva perso il controllo. Quello che non avevo previsto era che non mi avesse riconosciuto.
Ma quando guardai quegli occhi quasi totalmente rossi, crudeli e letali al tempo stesso, capii che non era più lui.
Mi scansò violentemente, mandandomi a sbattere contro il muro.
Gemetti di dolore.
Merda!
Merda!
Merda!
- G-Grace….. – per un secondo credetti che Alex fosse rinsavito e mi avesse chiamato. Poi mi accorsi che Kevin cercava di attirare la mi attenzione.
Mi avvicinai al letto, ma il braccio mi provocò un dolore lancinante. Era sicuramente rotto.
- De-devi fermarlo. – sussurrò, quando fui accanto a lui.
- Non so cosa fare Kevin, non so cosa fare. – gemetti, mentre piangevo. Intanto nella stanza risuonavano le urla di Katie, che si contorceva dal dolore.
Kevin mi guardò intensamente, poi con tutta la forza che aveva in corpo disse:
- Per…..per s-spezzare il controllo del …..del potere……..
- Cosa? Cosa bisogna fare? – le mie mani tremavano. Katie sarebbe potuta morire da un momento all’altro.
- De-devi fargli pro-provare un’emozione tanto…..tanto intensa…….da sconvolgerlo, e…… - Kevin prese un grosso respiro. – e farlo ri-risvegliare dall’oblio……nel-nel quale è……è caduto. – concluse, sfinito, con un rantolo.
 
Devi fargli provare un’emozione tanto intensa da sconvolgerlo e farlo risvegliare dall’oblio nel quale è caduto.
 
Mi paralizzai.
Che cosa significava? Qualunque cosa intendesse, non sarei mai riuscita a farlo.
- Ke-Kevin io…….io non capisco. Che…..che devo fare? – chiesi, mentre piangevo.
- Lui ti ama, Grace. – spalancai gli occhi. Cosa? Come? Lui……lui mi amava? Lui provava qualcosa per me? No. Impossibile.
- Grace…..per favore…… - mi accorsi in quell’istante che Kevin stava piangendo. – La ucciderà.
- Lui……non prova niente per me. – perché quella mia stessa affermazione mi intristiva così tanto?
- Provaci. Ti-ti prego. – la preghiera di Kevin mi fece piangere ancora di più.
Mi voltai a  guardare Alex.
Per un secondo non vidi nessun’altro. Solo lui. Solo me. Il suo volto, bellissimo come sempre. E gli occhi blu come il mare.
Ma ci misi un attimo per tornare alla realtà.
Il volto di Alex era contratto dalla rabbia e dalla crudeltà e gli occhi rossi.
- Grace! – gridò Kevin.
Mi riscossi immediatamente, per udire l’urlo straziante di Katie, mentre Alex le afferrava la gola.
Alex la gettò a terra, mentre Katie boccheggiava.
- Fermo. – gridai, io, mettendomi in mezzo. Alex non mi riconobbe e feci per colpirmi, ma bloccai il colpo. Ero insolitamente forte. Sentivo le forze fluire sotto la pelle.
- Togliti immediatamente. – mormorò gelido. – il suo obbiettivo era Katie, non io.
Non lo ascoltai e gli presi il viso tra le mani.
- Alex. – lo chiamai. I suoi occhi fissi nei miei erano più rossi che mai.
Quello non era Alex.
Non era il mio Alex.
Non era il ragazzo di cui mi ero, contro ogni razionalità, innamorata.
Sì, ero innamorata di lui.
E lo capii in quel momento.
Quando tutto intorno a noi era distrutto.
Quando il suo sguardo era talmente intriso di odio da far paura.
Capii di amarlo in quel momento.
E non volevo perderlo.
Senza aspettare la sua reazione, evitando accuratamente di pensare a quello che stavo facendo, annullai le distanze tra noi, e poggiai le mie labbra sulle sue.
Appena sfiorai le sue labbra il mio cuore prese a battere impazzito. Dentro di me si accesero un turbine di emozioni.
Scosse elettriche percorrevano il mio corpo.
Brividi di freddo e caldo.
Buio e luce.
Acqua e fuoco.
Una miscela di sensazioni così potenti, da scombussolarmi.
Disorientarmi.
E da farmi tremare per la loro intensità.
Credetti di morire.
In quell’istante stavo vivendo un piacevolissimo inferno.
Quando poi le mani di Alex reagirono, quando poi sentii le sue mani stringermi i fianchi e avvicinarmi al suo corpo, credetti davvero di rimanerci secca.
 
Così morirò….
 
Alex mi afferrò per la nuca e mi avvicinò per un contatto più intimo.
 
Così morirò….
 
Una delle sue mani mi strinse possessivamente, provocandomi brividi intensi.
 
Così morirò….
 
Poi ad un tratto Alex si staccò da me e mi guardò. I suoi occhi erano tornati quasi totalmente blu, ma prima di poter gioire, si chiusero e Alex cadde.
Feci appena in tempo a reggerlo, per evitare che si facesse del male.
- N-non preoccuparti. È-è solo svenuto. – la voce di Kevin arrivò flebile alle mie orecchie. Arrossii immediatamente, dato che, probabilmente aveva visto tutto.
Adagiai Alex a terra e lo fissai.
Sembrava un bambino. I segni della rabbia erano scomparsi.
Dormiva con un espressione innocente sul volto, totalmente ignaro che in quel momento dentro di me, urlavo di gioia.
 
 
 
 
Dopo qualche ora, in cui il mio povero cuore non aveva fatto altro che martellare impazzito, al solo ricordo di quello che era successo, finalmente Alex si svegliò.
Aprì le palpebre, delicatamente e si guardò intorno disorientato.
Io stavo vegliando sul corpo di Katie, che si stava lentamente riprendendo.
Le ferite erano poche, ma molto profonde. Per fortuna sembrava riprendersi velocemente.
Gli occhi di Alex incontrarono i miei , e io distolsi lo sguardo immediatamente. Probabilmente ero arrossita.
Dannazione!
Cosa ricordava?
Cosa non ricordava?
Il mio cuore cominciò a battere, quasi volesse vincere la maratona.
Stupido organo indipendente! Smettila di farmi rimbombare le orecchie!
- Sono stato io? – chiese Alex con voce cupa.
Io annuii impercettibilmente. Non sapevo se fosse un bene raccontargli la verità.
- Cosa ricordi? – chiesi.
- Io….io ho visto Katie e…..e mi sono arrabbiato, poi…..poi l’ho vista abbracciarti e……allora non ci ho visto più. Credo che questa sia stata l’ultima goccia.
- E poi? – lo incalzai. Si ricordava o no che lo avevo baciato?
- Io… - si passò una mano tra i capelli. – credo…..credo che qualcosa mi abbia come risucchiato e poi….mi sono svegliato. Non ricordo altro. Credo. – per un secondo mi sentii delusa. Lui non si ricordava quello che era successo; quindi probabilmente non gli avevo fatto provare un’emozione tanto intensa, se poi se ne era dimenticato. Subito dopo ci ripensai: se proprio non ricordava nulla, almeno potevo smettere di arrossire ogni volta che lo guardavo.
- Alex……in che senso Katie è una di loro?
Alex alzò le spalle.
- Te lo spiegherà lei. – sorrisi impercettibilmente. Allora era finalmente disposto a lasciarmi parlare con lei, senza che si arrabbiasse.
- Dobbiamo prepararci. – esordì ad un tratto. Lo guardai interrogativa.
- Che intendi?
- Non volevi salvare la tua amica? – Christine! Con tutto quel disastro me ne ero dimenticata.
Un momento. Aveva per caso detto: Dobbiamo prepararci?
Casomai devo prepararmi. Non lui.
- Io devo prepararmi. – lo corressi. Sapevo bene che le probabilità di farcela da sola erano bassissime, ma avrei impedito ad Alex di rischiare la vita per me.
Alex mi guardò completamente allibito.
- Ma sei impazzita? Credi che ti lascerei andare da sola? – urlò, pieno di rabbia.
- Tu…..tu non puoi venire con me. – gli risposi. Troppi morti. Troppi feriti. Ovunque andassi provocavo la morte di qualcuno. Non potevo permettergli di farsi del male, standomi accanto. Sarebbe potuto morire e io non potevo perdere anche Alex. Non ora che avevo scoperto di amarlo.
- Io vengo eccome! – gridò.
Lasciai il panno con il quale tastavo il braccio di Katie, e corsi via, per nascondere ad Alex le mie lacrime.
 
 
 
 
Ovviamente mi aveva raggiunto subito e dopo due ora stavamo ancora discutendo.
- No, non puoi.
- Sì che posso!
- No! – esclamai in preda alla rabbia. – È pericoloso lo capisci? – Non lo avrei mai permesso. Non gli avrei mai permesso di unirsi a quell’impresa suicida.
- È pericoloso per me quanto lo è per te.
- No, tu non vieni.
- Non ti sto chiedendo il permesso. – rispose duro. – E poi perché non vuoi che venga? Non mi ritieni all’altezza? – Certo che lo ritenevo all’altezza. Era molto più forte e più abile di me. E aveva molta più esperienza. Sarebbe stato un ottimo compagno di squadra. Ma non potevo. Non potevo metterlo in pericolo.
- Rispondimi! Perché non vuoi che venga? – Perché non voglio che ti accada niente. Non voglio che per colpa mia ti succeda qualcosa, non potrei sopportarlo – avrei voluto rispondergli. Ma non ne ebbi il coraggio.
Scossi la testa.
- Tu non mi ritieni all’altezza! – esclamò adirato. – Perché? – Dannato stupido e insensato orgoglio maschile! Era questo, quello che pensava?
- Ci sono già stati troppi morti e feriti. – dissi. – Mia madre, mio padre, Kevin e forse . . . forse anche Christine ed è tutta colpa mia. Lo capisci?
- Non è colpa tua!– disse Alex .
- Invece sì! – gridai. – Sarebbe meglio se io non esistessi, così non farei più del male a nessuno.
- Non dirlo neanche per scherzo. – replicò, stringendomi un braccio, con forza.
Mi puntò i suoi occhi sul viso. Il suo sguardo era incomprensibile.
- Io vengo con te, non ti lascio da sola. – disse impassibile. Non avrebbe tollerato che io ribattessi.
- No. – urlai. – Forse non ti rendi conto, potresti morire, sai? Potresti morire e sarebbe per colpa mia.
- Non è colpa . . . – cercò di dire, ma lo bloccai.
Mi liberai dalla sua presa e arretrai.
- Ho già perso troppe persone Alex. – mi voltai, decisa ad andarmene. Sperando che avesse capito. Sperando che avesse compreso che avrei preferito morire piuttosto che metterlo in pericolo.
- Fermati. Aspetta fermati! – sentivo che Alex mi seguiva, ma la sua voce era più distante.
- Basta Alex. Niente di quello che dirai potrà cambiare le cose. – lo dissi mentre ero ancora di spalle, ma ero certa che avesse sentito.
Cominciai a camminare a passo veloce, quando udii la voce di Alex:
- Ti amo.
E in quell’istante tutto cambiò.

 
 
Angolo Autrice
 
Ciao a tutti!!
Ho cercato di aggiornare il prima possibile e ho allungato il capitolo, visto che gli ultimi era un po’ corti :D
Beh…..che dire…..questo capitolo parla da solo. Io direi una sola parola: Finalmente!
Comunque spero che vi piaccia e che lascerete una piccola recensione, anche negativa.
Voglio ringraziare tutti coloro che hanno messo la mia storia tra le seguite, le preferite o le ricordate e grazie anche a quelli che leggono la mia storia in silenzio.
Ma un grazie speciale alle ragazze che hanno recensito almeno un capitolo della storia, a Savy85 per aver recensito il capitolo scorso, e a Lunatica96 che sta leggendo e commentando la mia storia!! Grazie, grazie, grazie, vi adoro!! :D

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Una scossa elettrica.
Mi fermai. Ma non mi voltai. Avevo sentito bene? Avevo paura a girarmi. Magari mi ero solo immaginata quelle parole. Forse desideravo così tanto sentirle che la mia mente se le era solo immaginate.
Mi voltai lentamente e vidi che Alex era a meno di un metro da me. Lo fissai. Avevo quasi paura ad incontrare i suoi occhi.
Alex si avvicinò e mi asciugò le lacrime che scendevano dal mio viso. Non mi ero neanche accorta che stavo piangendo. Lo sguardo di Alex era profondo come il mare, ma per una volta mi permise di immergervi. Riuscii a leggere tutte le sue emozioni; tristezza, comprensione, gioia, paura e tante, tante altre emozioni. 
- Ti amo. – ripetè.
 
Una scossa elettrica.
 
Tanti brividi impregnarono la mia pelle. Caldi e freddi.
- Amo il tuo sorriso, la tua timidezza, amo il modo in cui affronti le cose, e amo quando diventi rossa per l’imbarazzo. Amo starti accanto e vederti felice e al sicuro. – avrei voluto dirgli un milione di cose. Avrei voluto dirgli che anch’io lo amavo, che anch’io provavo ciò che provava lui; ma dalla mia bocca non uscì niente. Ero senza parole.
- I-io…… - balbettai.
- Sei stata tu, vero? – mi chiese dolcemente, prendendomi il viso tra le mani.
- Cosa?
- Sei stata tu a farmi riprendere prima? – avvampai. A cosa si riferiva? Ricordava che lo avevo baciato?
- Ti riferisci a….
- Mi riferisco a quando mi hai baciato. – mormorò serio. Il mio viso si fece paonazzo.
- Io….ecco……
- Grazie. – disse semplicemente. – Mi hai….fatto riprendere.
- Credevo che non ricordassi nulla. – ammisi, piena di vergogna.
Alex mi accarezzò una guancia.
- Io non potrei mai dimenticare una qualunque cosa che sia legata a te.
E quella frase mandò letteralmente in pezzi il mio autocontrollo.
Mi amava!
- Guardami. – disse con un tono inaspettatamente serio. Alzai gli occhi verso di lui. – Per questo devo venire con te. Io non sopporto di starti lontano, non potrei neanche se lo volessi. E sapere che non potresti tornare, è intollerabile. Devo venire con te e proteggerti.
- È per questo che non devi venire. – sussurrai. – Potresti morire e io…..io ho già perso troppe persone, non posso……non posso perdere anche te. – confessai.
Abbassai lo sguardo. Alex mise due dita sotto il mento e lo sollevò. Aspettai che dicesse qualcosa, volevo che dicesse qualcosa. Non potevo resistere al suo sguardo senza riempire il silenzio. Era più alto di me, ed eravamo così vicini che dovetti piegare la testa per riuscire a guardarlo negli occhi. I suoni sembravano essere scomparsi, c’erano solo i battiti accelerati dei nostri cuori a riempire il silenzio delle nostre parole.
- Possibile che tu non lo abbia ancora capito? – mi schernì, ma usando un tono dolce. – Non mi importa di niente. Solo di te, perché ti amo.
E quando pronunciò quelle parole, guardandomi negli occhi, sentii che ogni cosa tornava al suo posto.
Si chinò su di me.
Prima che potessi anche solo immaginarmi ciò che stava per succedere. Prima anche solo che potessi sperarlo, le sue labbra erano sulle mie.
Erano morbide e calde e schiusero le mie con dolcezza. Chiusi gli occhi e reagii, intrecciando le mie dita nei suoi capelli.
Alex mi strinse avvolgendomi nel calore del suo corpo. Dentro di me un turbine di emozioni si stavano scatenando contemporaneamente; Gioia. Felicità. Sorpresa. Stupore. Poi di nuovo felicità. Le mani di Alex mi sfioravano il viso, e il suo tocco bruciava come carbone ardente. Percepivo il bisogno di sentirlo più vicino, lo afferrai per la nuca e lo attirai a me ancora di più. Il mio cuore martellava, quasi volesse schizzare via dal petto, riuscivo persino a sentire i suoi battiti che mi rimbombavano nelle orecchie. Dentro di me un calore mai provato cresceva a dismisura, finché non si tramutò in fuoco.
Mai come in quel momento mi ero sentita davvero felice.
Poi sentii dei passi che si dirigevano verso di noi.
Recuperai un po’ di lucidità e cercai di separarmi da Alex, ma lui non me lo permise, stringendomi ancora di più.
Riuscii solamente a staccare le sue labbra dalle mie per circa un secondo, e a mormorare:
- Sta arrivando qualcun…… - non finii la frase perché la sua bocca si avventò vorace sulla mia, zittendomi e facendomi perdere anche quel pizzico di lucidità, che ero riuscita a recuperare.
- Ehm….. – qualcuno si schiarì la voce.
Mi ci volle tutta la mia volontà per separarmi da Alex, che, da parte sua, non faceva proprio nulla per aiutarmi.
Lo guardai negli occhi e lui fece altrettanto.
Mio.
- Ti amo anch’io. – lo sussurrai pianissimo, ma fui certa che lui avesse sentito.
Un bellissimo sorriso si aprì sul suo volto, contagiandomi e facendomi sorridere a mia volta.
- Scusate se vi interrompo….. – di nuovo quella voce mi riportò alla realtà. Non sapevo se maledirla e mandarla a quel paese, oppure se voltarmi con un sorriso tirato sul volto. Alex sembrava pensare la stessa cosa. Solo che lui sembrava più propenso alla prima opzione, e non volevo che combinasse altri guai. Gli presi la mano e mi voltai con un leggero sorriso sul volto.
Alex aveva una faccia che sembrava voler dire: Ho vinto un miliardo di dollari alla lotteria.
Gli tirai una gomitata nelle costole, per fargli sparire quel sorrisetto malizioso.
- Come sei violenta! – si lamentò.
- Te lo meritavi. – risposi, ghignando.
- Sì, certo se lo meritava, ora sarebbe importante che voi due mi ascoltaste. – la voce vicino a noi, sembrava leggermente scocciata, ma anche divertita.
Alex si immobilizzò e i muscoli si contrassero leggermente mentre Katie si avvicinava, ma non sembrava intenzionato a litigare. O almeno speravo.
- Come stai? – le chiesi gentilmente.
- Abbastanza bene, credo. – abbozzò un sorriso. Tirai un'altra gomitata nelle costole di Alex.
- Ehm…..sì. – incespicò Alex. – Katie….non avrei mai immaginato di dirti una cosa simile ma……..insomma……è possibile che io prima abbia sbagliato. – gli pestai un piede. – Volevo dire….. – si corresse. - …..probabilmente ho sbagliato e……non volevo perdere il controllo….quindi…..mi dispiace. – Quanta fatica per fargli chiedere scusa! Orgoglio maschile…
- Come hai fatto a riprenderti così in fretta? – ero contenta che stesse bene, ma Alex le aveva inferto parecchie ferite. Come potevano essere già rimarginate?
- Le mie ferite si rimarginano in fretta, grazie al mio potere.
- Il tuo potere?
- Ho il potere dell’aria. Ed essendo uno dei quattro elementi, le ferite guariscono ancora più velocemente. – spiegò con naturalezza.
- Di cosa volevi parlarci? – la interruppe Alex.
- Dobbiamo partire adesso. Abbiamo localizzato il punto della setta, e entro una settimana si sposterà, per cui dobbiamo fare in  fretta. Se ci muoviamo subito, forse possiamo salvare la tua amica. – un momento. Cosa, cosa, COSA?
- Verrò anch’io. – annunciò, vedendo la mia faccia sbalordita.
- No! – sarebbe stato troppo pericoloso. Non volevo che nessun’altro rischiasse la vita.
- E Kevin? – chiese Alex.
- Kevin si rimetterà presto. Ci vorranno altre due ore al massimo. Giusto in tempo per partire. – Cosa? Anche Kevin?
- No! Non potete! – ma le mie parole andarono a vuoto.
- Io devo tornare da Kevin. Dovreste prepararvi. – e se ne andò, lasciandomi con la mente confusa e piena di preoccupazione.
 
 
- No!
- Per favore, ragiona. Il loro aiuto ci serve, è indispensabile.
- Alex per favore, no, non insistere. – scossi la testa, quasi a voler allontanare quel pensiero dalla mia mente. Perché? Perché anche altre persone dovevano rischiare per me?
- Kevin deve venire per forza. È la nostra guida, non può fare altrimenti.
 - Va bene, ok. E Katie allora? Che bisogno c’è di mettere in pericolo anche lei? – sbottai, esasperata.
- È una sua scelta. È grande abbastanza da comprendere la gravità del pericolo al quale va incontro. – replicò.
A quel punto sentii la rabbia montarmi nel petto.
- A te non importa niente se Katie muore? Non ti importa niente del fatto che potrebbe succederle qualcosa?
- Non ho detto questo!
- Invece sì! – gridai. La testa mi pulsava, sembrava che scoppiasse. Ma bastò lo sguardo di Alex per calmarmi.
- Ok, ora ascoltami. – disse serio.
- Secondo te perché abbiamo aspettato così tanto il tuo arrivo? Perché non abbiamo attaccato prima l’associazione? – chiese con dolcezza.
Non risposi.
- “Quando i quattro elementi si uniranno, allora il male potrà essere schiacciato sotto la luce del loro potere.” – recitò Alex.
- Che significa? – chiesi.
- Per sconfiggere l’associazione abbiamo bisogno delle forze dei quattro elementi: Aria, Acqua, Fuoco e Terra. L’unione completa. Solo unendo queste quattro forze avremmo una possibilità, capisci? – disse con risolutezza.
Aria, Acqua, Fuoco e Terra.
Katie, Alex, io e…….Kevin?
- Kevin ha il potere della terra, vero? – chiesi con rassegnazione.
Alex annuì.
La preoccupazione trasparì dai miei occhi. A quanto pare non potevo impedire che venissero con noi; ma non potevo permettere che succedesse loro qualcosa di male. Non me lo sarei mai perdonato.
Erano tutto ciò che avevo. La mia famiglia.
Alex sospirò e mi attirò a sé, stringendomi.
- Non devi preoccuparti. Tutti e quattro insieme, siamo più forti di quanto pensi.
 
Ore Dopo…..
 
- Sei pronta? – la figura di Katie fece capolino nella mia stanza.
Guardai le pareti della mia stanza. Posai lo sguardo su tutto tranne che su Katie.
Ora che stavamo per partire avvertivo una certa ansia.
- Grace……sei sicura? – gli occhi di Katie sembravano colmi di preoccupazione.
Ero sicura?
Non lo sapevo neanche io.
Poi pensai a Christine. Al suo sorriso, alla sua dolcezza, all’amicizia che mi aveva donato, senza chiedermi nulla in cambio. Pensai alla mia migliore amica che non si preoccupava mai di niente, alla fiducia incontrollata che riponeva nelle persone, a quella vitalità che riempiva sempre i suoi occhi.
Ero sicura?
Sì. Lo ero.
Mi avvicinai a Katie e la fissai piena di determinazione.
- Sì. – risposi. E non ci fu più bisogno di altre parole.
Fuori Kevin e Alex ci stavano già aspettando.
- Sei sicuro di stare bene? – chiesi a Kevin per la trentesima volta.
- Certo! Sono sano come una roccia, io! – esclamò, con un’espressione gioiosa in volto. Era incredibile come in poche ore si fosse ripreso completamente.
Ci accordammo per il piano che avevamo stabilito, scegliemmo il sentiero meno complicato da seguire, e partimmo.
E ognuno di noi lasciò la sua casa, non sapendo se vi avrebbe mai fatto ritorno.

 
 
Angolo Autrice
 
Ciao a tutti!!
Allora la prima cosa che ho bisogno di dire, è SCUSATE!! Mi dispiace davvero tantissimo di aver aggiornato così tardi, davvero, ma la scuola mi porta via un mucchio di tempo e non riesco mai a scrivere.
La seconda cosa è che d’ora in poi cercherò di aggiornare più in fretta, e di non ritardare più così tanto.
Spero che questo capitolo vi piaccia, e che lascerete una piccola recensione, anche negativa.
Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la mia storia tra le seguite, le preferite o le ricordate. E grazie anche a voi, lettori silenziosi =D
Ma un GRAZIE speciale a coloro che recensiscono e che hanno recensito :D :D :D

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