You're not OK di PrincesMonica (/viewuser.php?uid=32210)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Autrice:
PrincesMonica
Titolo:
You’re not Ok
Rating:
arancione per ora
Disclaimer:
I 30 Seconds to mars e soprattutto Jared
Leto non sono di mia proprietà, anche se ci sto lavorando.
Scrivo per delizia
personale.
Per la vostra
poca gioia, lo so, sono tornata XD
Ho bisogno di un
aiuto da voi lettrici: la nostra Eroina non ha nome. Ditemi che nome le
dareste e vedrò che posso fare ok? Altrimenti vi tocca avere
nuovamente la solita noiosa Monica e credo che vi siete anche stufate
di lei. Quindi mandatemi i nomi che vorreste darle.
GRAZIEEEEEEE
PROLOGO
C’era
qualcosa che non andava in quella quieta
oscurità. Jared lo sentiva a pelle che qualcosa era
sbagliato, che mancava
qualcosa al suo fianco. Allungò il braccio in maniera quasi
meccanica, ma
incontrò solo un cuscino soffice vuoto.
Lei
non c’era.
Non
che fosse una novità, in effetti. Normalmente
dormivano ognuno nella propria stanza d’albergo o cuccetta di
tourbus, eppure
quel giorno gli pareva sbagliato.
Sospirò:
si tolse la mascherina da viaggio e si rese
conto che il sole era già alto. Incredibile, aveva dormito
più di due ore di
fila. Probabilmente anche sei e avrebbe continuato a dormire, se lei
fosse
stata li con lui. Il letto sapeva ancora di loro, ma la stanza era di
una
desolazione imbarazzante.
No,
non andava bene così.
Borbottando
si alzò dal letto e si mise le prime cose
che trovò a tiro, una magliettina bianca della salute e un
paio di Jeans a vita
bassa. Non prese neppure la briga di pettinarsi, lasciando quella
capigliatura
alla Goku libera di esprimersi al meglio. Passò una mano sul
mento e notò che
la barba era cresciuta un po’ troppo. Doveva assolutamente
tagliarsela.
Arrivò
alla sala da pranzo e la trovò li, seduta con il
suo bicchiere di succo di frutta in mano e un pezzo di pane ricoperto
di
Marmellata rossa. A differenza di tutti loro, non beveva mai
caffè a meno che
non se lo preparasse da sola con la sua macchinetta. Odiava i
caffè lunghi,
specie nelle bicchieri di Carta e l’unica volta che lui
gliene aveva preso uno
da Starbucks, lo aveva lasciato sul tavolo.
Deglutì
pesantemente: i suoi capelli color del mogano
scendevano ordinati sulla schiena, quasi a ricoprirla del tutto. Stava
chiacchierando con Emma, ormai praticamente inseparabili da quando Lei
aveva
iniziato ad aiutarla nella gestione della band. E rideva, con quella
risata
tutta sua, a metà fra il cristallino di una bambina e la
malizia di donna quale
lei era.
“Dove
sei sparita?” le domandò brusco. Ok, si disse,
non era proprio quello il modo con cui voleva cominciare. Avrebbe
dovuto
salutarla, aspettare che Emma e gli altri se ne andassero ed iniziare
quel
discorso decisamente privato. Invece, a differenza di come affrontava
le cose
solitamente, era arrivato e sbam, spiattellata la verità
davanti a tutti. Forse
doveva farsi vedere da uno bravo, pensò veloce come un
fulmine.
“A
fare colazione? Comunque, buongiorno Jared.” Gli
disse guardandolo da sopra le lenti. Jared si sentì
imbarazzato in quel
momento, soprattutto perchè intorno a lui si erano fermati
tutti. Ma proprio
tutti.
“Non
è quello che ti stavo chiedendo e lo sai.” La vide
arrossire leggermente, ma mantenne lo sguardo fisso nel suo.
“Sono
andata nella mia stanza a dormire, come sempre.”
Ecco,
era venuto fuori tutto. Attorno a loro i ragazzi
si stavano tutti muovendo come se stessero sui carboni ardenti. Solo
Emma
continuava imperterrita a sorseggiare la sua tazza di caffè
e a sfogliare
l’ultimo numero di Vogue. Evidentemente le due ragazze
avevano già parlato
della loro situazione, del resto erano le uniche due cromosoma XX fisse
presenti nella crew e quindi avevano di certo legato e fatto fronte
comune per
resistere in mezzo a tutti gli uomini che le giravano attorno.
“Saresti
dovuta rimanere.”
“Scusa?
A parte che non mi sembra il momento dei
parlarne visto che sono cose private, ma mi hai sempre ripetuto che non
vuoi
che resti da te finito... insomma, capito no?”
“E
tu mi dai anche retta?”
“Tu
non stai bene, lo sai Jared? Dovresti farti vedere
da uno bravo.” Si alzò lasciando
tutti
gli altri che li osservavano imbarazzati.
Jared
deglutì vedendola andarsene: onestamente non
capiva cosa stava succedendo. Da parecchio tempo ormai sapeva
esattamente come
relazionarsi con le donne, chiunque essere fossero. Grupie, fangirls,
Echelon,
Emma e sua madre.
Lei
no. Non la capiva, non ci riusciva. Quando era
arrivata, mandata dal The Hive per aiutare Diana con i GT, era sempre
rimasta
lontana da lui, gli parlava poco e solo se doveva. Era subito entrata
in
sintonia con Shannon e Tomo, per non parlare di Tim con cui condivideva
un
smisurato amore per i Capitan Crunch. Solo con lui era rimasta lontana,
come se
avesse la peste. Eppure lo seguiva fissa con lo sguardo, sapeva
esattamente
dove trovarlo in una stanza.
Un’ombra
sembrava. La sua, discreta e tranquilla, ma
muta. C’era voluto un bel po’ di lavoro per
riuscire a farci un lungo discorso
che esulava completamente dal suo lavoro e le era parsa una persona in
gamba.
Svolgeva i suoi lavori con dedizione e tranquillità, non si
lasciava andare in
crisi isteriche ed era anche abbastanza metodica, non come Emma, ma ci
stava
arrivando.
E
a differenza della sua segretaria storica, lei
sorrideva tantissimo. A tutti. Ed era bellissima per quello. Era quel
sorriso
smagliante che il suo corpo aveva fatto uno strano sobbalzo e si era
imposto di
conoscerla al meglio. E non se ne era mai pentito.
Specie
quando l’aveva baciata la prima volta, su un
divanetto durante l’esibizione di Shannon dopo lo show di
Chicago. La musica
non era delle più romantiche, ma in quel momento, di
nascosto da tutti, in un
privèè totalmente priveè,
l’aveva assaggiata la prima volta ed era stato come
drogarsi. Ora non gli bastava mai, voleva la sua dose fin dal mattino.
Era
veramente messo male.
“Mi
domando, Jared, cosa stai facendo ancora qui.
Perchè non vai da lei e le parli? Mi pare ovvio che
dobbiate... risolvere
qualche cosa.”
Lui
si sedette al tavolo sbocconcellando dei biscottini
con le gocce di cioccolato.
“Non
c’è nulla da chiarire... in realtà sono
stato
troppo precipitoso e lei ha ragione. Ha dormito nella sua stanza,
esattamente
come ha sempre fatto.”
“Già,
però mi pare che tu non sia rimasto molto
soddisfatto della cosa.” Rincarò la Dose Shannon
sedendosi vicino a loro.
“Tu
farti gli affari tuoi, mai, vero?”
“Voglio
solo che il mio rfatellino sia felice e credo
che lei sia la ragazza giusta. Dai su, vi a scusarti per il tuo
comportamento
da maleducato. Non sta bene parlare di queste cose intime davanti agli
altri...
insomma, ci potrebbero essere orecchie indiscrete che
ascoltano.”
“Tipo
le tue?”
“Si,
esattamente.” Fece Shannon con un gran sorriso e
dandogli una pacca sulle spalle prima di uscire per la sigaretta di
rito.
“Shan
ha ragione. Ti sei comportato in maniera
decisamente inconsueta stamane, quindi forse dovresti farti un esamino
di
coscienza e capire che cosa ti ha portato a fare questo.”
Jared
osservò la sua ex segretaria, ormai produttrice e
Factotum della band e si chiese cosa aveva fatto di così
buono nella sua vita
per meritarsi una come lei. Vero che rompeva spesso le scatole e che
spesso si
comportava come un sergente maggiore dell’esercito, ma
stranamente sapeva
sempre dirgli le cose giuste al momento giusto.
Mise
le dita sulle tempie e se le massaggiò, come se
quel lento roteare potesse aiutarlo nella decisione da prendere.
Doveva
fare qualcosa.
Ma
cosa?
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Capitolo 2 *** capitolo 1 ***
Capitolo
1
Non
le piaceva finire la colazione in quella maniera. Le piaceva
prendersela con
calma, mangiare il pane assaporando la dolce marmellata, meglio se di
fragole,
oppure la cremosa Nutella che le si incollava al palato. E poi bere
grandi
sorsi di succo di frutta per aiutarla a far scendere il cibo, magari
leggendo
un giornale a caso, anche sportivo. Di certo, però, non le
piaceva
interromperla bruscamente perchè il suo amante si era
svegliato con la luna
storta.
“Però
almeno si è svegliato, un po’ di ore le
avrà dormite.” Pensò mentre gettava le
ultime cose nella grossa valigia che si portava dietro da settimane per
il tour
europeo.
Sospirò
pesantemente e si buttò sul letto.
In
cosa era andata a cacciarsi? Si era ripromessa di stare ben lontana da
Jared
Joseph Leto. Il The Hive le aveva dato un lavoro che la portava in giro
per il
mondo con dei ritmi discutibili, ma in fondo pagavano anche abbastanza
bene e
lei doveva solo non mettersi ad avere relazioni con uno dei 30 Seconds
to Mars.
Ovvio.
Ed
era per quel motivo che era finita a letto con Jared.
Sospirò
nuovamente.
In
realtà, ammise a se stessa, ci aveva provato con tutto il
cuore a non
immischiarsi nei suoi affari, a mantenere il loro rapporto del tutto
lavorativo
e basta, peccato che a Mister Leto non andasse bene e quindi era
definitivamente
crollata. Non che la cosa fosse brutta, anzi. Il sesso con Jared era
decisamente terapeutico sotto molti punti di vista. Oltre a fare ottima
attività fisica che la manteneva tonica e più in
forma che mai, si sfogava con
lui di tutto quello che di frustrante le capitava al lavoro e la cosa
era
reciproca. Se uno show andava male, il sesso era quanto di
più feroce avessero
mai provato prima. Se il concerto andava tutto alla perfezione, era
euforico.
Il
problema, per lei, era che comunque andassero le cose, il sesso era
stupefacente e questo la portava a sentirsi come una drogata.
Più ne faceva e
più ne voleva e, siccome non era stupida, aveva ben capito
che per Jared era la
stessa identica cosa.
La
voleva e la piazzata di quella mattina ne era la prova tangibile.
Peccato che
la volesse solo per il sesso, ma, in fondo, era quello che
c’era tra loro no?
Chiuse
gli occhi e le apparve nitida un’immagine, quella
più vecchia e in un certo
modo quella più pura, la prima volta che aveva visto i Mars
Era
una tiepida giornata di inverno, a Los
Angeles. Zoe e le sue amiche passavano i pomeriggi a girare per le
strade
trafficate della città. Andavano in giro per negozi,
spendevano quei pochi
dollari tra trucchi e vestiti ai mercatini. Per lei la vita era tutta
li, la
mattina a studiare all’UCLA per diventare un qualcosa di
indefinito, dato che
non aveva ancora capito cosa avrebbe fatto da grande, e il pomeriggio a
fare le
donne vissute, magari in qualche circolo letterario fricchettone,
oppure in bar
al limite della legalità a fumare qualche spinello di dubbia
provenienza.
Si
sentiva importante, si sentiva libera.
Aveva
capito, con il tempo, che erano solo
sensazioni effimere, nonera nessuno nella grande metropoli. Otto
milioni di
persone e lei era solo un solo elemento. Insomma, una
nullità. Ma a vent’anni, Zoe
non ci pensava proprio.
Quella
sera lei e le sue due migliori
amiche, Liz e Georgia, erano andate a mangiare in un ristorante Thai ed
uscite
euforiche per le avances del cameriere e girando per locali, erano
arrivate ad
un bar dall’aria poco sicura, ma con l’insegna al
neon che occupava tutta
l’entrata. A lato un cartellone scritto a mano
“STASERA
IN ESCLUSIVA, I 30 SECONDS TO MARS
LIVE.”
Non
avevano idea di chi fossero, ma un
amico di Georgia le aveva bloccate per parlare e loro avevanoavevano
deciso di
farsi una birra ridendo e ascoltando l’ennesimo gruppo
underground sconosciuto.
Dieci
minuti e una schitarrata catturò la
sua attenzione. Lasciò perdere Liz che flirtava con un
ragazzo e si mise ad
ascoltare quello strano gruppo.
Rimase
affascinata da quel cantante con i
capelli di due colori, il ciuffo biondo e il dietro di un castano
chiaro.
Magro, vestito di Bianco con alcuni strani disegni di Frecce sulle
maniche.
Cantava con gli occhi chiusi, con una voce che partiva dalle note
più basse
prima di raggiungere vette altissime ed urla da rock Screamo.
Poi
quella batteria incredibile, che
riusciva a dare un ritmo unico a quelle canzoni, forte ed incessante,
con
dietro quell’uomo che sembrava stesse per distruggere ogni
cosa. A petto nudo,
sudato e scintillante, le stava scaldando il cuore.
Il
bassista era altissimo, con i capelli
biondi corti sparati in aria con il gel. Non sorrideva, era intento a
suonare,
serio e concentrato e quasi non si rendeva conto del chitarrista con i
capelli
neri che se la viaggiava per tutto il palco saltando come una
cavalletta.
Il
gruppo sembrava affiatato, di certo
molto giovane, dovevano ancora migliorare, ma a Zoe erano piaciuti
tantissimo.
Le
parole di ribellione, di cambiamento e
di ricerca l’avevano sorpresa innanzi tutto e poi ammalliata.
Sembrava che
stessero parlando di lei, o almeno di quello che lei intimamente voleva
fare.
In fondo era vero che le sue giornate andavano avanti placide e
tranquille, ma
lo sentiva sotto pelle che aveva bisogno di una rivoluzione. Si, quella
forse
era la parola giusta, rivoluzione.
“Zoe,
andiamo?” Georgia la stava
trascinando per un braccio, ma lei faceva ostruzionismo.
“No,
vorrei finire di ascoltarli. Sono
bravissimi.”
“Bravissimi?
Ma fanno un casino
allucinante. Senti, io e Liz volevamo andare al Viper... ci dovrebbe
essere
Jason.” Zoe arrossì all’idea. Jason era
il Suo principe azzurro ideale, il
giocatore punta della squadra di football della sua ex scuola, il suo
sogno
proibito da anni immemori. Andando al Viper poteva mettere in pratica
il piano
pensato con le amiche, ma... diavolo, quella band la stava stregando.
“E
poi hanno terminato, non senti che
finalmente c’è della musica decente?”
LA
musica così detta decente da Liz, era
qualcosa di simile a della musica dance che a Zoe aveva sempre fatto
schifo.
“Veramente...”
“Ehy,
ciao.”
Zoe
sentì qualcuno che le picchiettava le
spalle, si voltò e si trovò davanti al
chitarrista che la guardava con due
enormi occhi verdi e un sorriso smagliante. Era ancora sudato,
indossava una maglietta
scusa leggermente umida e un asciugamano bianco attorno al collo.
“Ciao.”
Fece lei titubante.
“Io
sono Solon.” E le diede la mano. Per
fortuna quella non era umida e la stretta era salda e sicura.
“Io
sono Zoe.”
“Ho
visto che eri interessata alla nostra
musica, quindi mi sono permesso mi venire a salutarti.”
“Sì,
non siete per niente male. Mi piace il
vostro sound. Siete nuovi?”
“Abbastanza.
Jared e Shannon, cantante e
batterista, hanno iniziato a fare qualcosa fin da piccoli, ma insieme
abbiamo
iniziato da poco. Stiamo iniziando a farci conoscere intanto qui a Los
Angeles,
poi la California e poi il resto del mondo, no?” e rise
felice.
“Avete
piccole ambizioni.”
“Il
motto che ci ripete Jared ogni giorno
è, Provehito in Altum.”
“Puntare
verso l’alto? Interessante.”
“Sai
il Latino?” le chiese sorpreso.
“Si,
sto studiando lettere all’UCLA. Non so
bene cosa voglio fare, ma intanto studio.”
“Zoe,
andiamo?”
Georgia
aveva le mani incrociate al petto e
batteva un piede a terra decisamente innervosita. Non voleva
più stare li, il
messaggio era chiarissimo.
“Scusami
Solon, devo andare.” Vide un lampo
di delusione sui suoi occhi. “Ma magari vengo al vostro
prossimo concerto,
magari da sola.” E sorrise debolmente.
“Se
mi dai il tuo numero o un indirizzo
e-mail, ti avviso io.”
Zoe
sorrise nella solitaria stanza d’albergo. Solon
all’epoca era stato
gentilissimo. Non aveva mai saputo se per un interesse personale o
semplicemente per pubblicizzare la band. Non ava avuto il tempo per
scoprirlo,
dato che a breve Solon aveva lasciato la band e non aveva
più provato a farsi
sentire.
Erano
passato undici anni da quella sera, undici lunghissimi anni nei quali
lei si
era laureata in lettere antiche, aveva avuto il suo momento di gloria
con
qualche pubblicazione nei giornali del settore e si era messa ad
insegnare
storia alle scuole elementari e, soprattutto, era diventata una delle
prime
Echelon. Grazie al contatto che aveva con Solon, riusciva ad andare ad
ogni
serata che facevano in città.
Li
aiutava nella promozione, magari in facoltà, andava in giro
per negozi a
lasciare dei volantini fatti in casa da lei e le sue amiche, si era
stranamente
buttata in un qualcosa che prima non aveva neppure sognato di fare. E
la cosa
le piaceva, la faceva sentire libera.
Nonostante
l’amore e la passione che ci metteva, però, aveva
deciso di mantenere una sorta
di distacco. Aveva già visto che Shannon era un marpione che
ci provava con
qualsiasi ragazza girava nei dintorni, in primis Georgia al terzo
concerto nel
quale l’aveva portata, mentre Matt rimaneva sempre in
disparte, come se fosse
di una timidezza cronica. E Jared? Si concedeva con parsimonia, spesso
andava
via prima degli altri insieme alla sua fidanzata Cameron.
“Cavoli,
stava con Cameron Diaz” pensò nuovamente Zoe
“come posso anche solo minimamente
pensare che dopo una relazione con una come lei, possa provare un serio
interesse per me?” Sospirò.
Era
un problema non da poco: finchè tutto rimaneva sul piano
fisico e sessuale, la
cosa funzionava bene, ma non poteva permettere di far giocare anche
eventuali
sentimenti.
Jared
era una calamita, un turbine che ti intrappolava e non ti lasciava
più, che
fosse per il lavoro o anche semplicemente per la sua
personalità. Era
ingombrante a volte, perchè dove arrivava lui, il resto
spariva. Non lo faceva
apposta, Zoe ne era perfettamente consapevole, solo che per persone
carismatiche come lui veniva naturale, come respirare.
Non
poteva permettersi di innamorarsi di lui, sarebbe stato un suicidio
emozionale.
Si
alzò dal letto di scatto e chiuse la valigia quasi con
rabbia.
“Fanculo.”
Mormorò, poi prese il telefono. Dopo due squilli ricevette
risposta.
“Buongiorno,
sono Zoe Hayden*. Abbiamo parlato per il trasporto in aeroporto dei 30
Seconds
To Mars. Entro un’ora siamo pronti a partire.”
Battè
il piede per terra quasi spazientita dalla voce della receptionist
dall’altra
parte, che con voce fastidiosamente nasale stava ricapitolando tutto
quello di
cui avevano già abbondantemente parlato i giorni scorsi.
“Non
so se ha capito: tra un’ora siamo pronti.
Arrivederci.”
Non
era da lei chiudere le telefonate in quella maniera, ma era nervosa.
Non finire
la colazione le faceva quell’effetto.
Certo, anche i pensieri che variavano
dall’omicidio al matrimonio verso
Jared non aiutavano.
La
porta della sua camera si aprì di scatto e
ritrovò Emma che la fissava con la
valigia in mano.
“Andiamo?”
“Le
macchine saranno qui tra un’ora.”
“Bene,
così avrai il tempo di farti fare un caffè
decente, di quelli assurdi che
piacciono a te.”
“Non
sono assurdi, sono solo ristretti, ma tanto ora non ne ho voglia.
Facciamo sto
check out e andiamocene da qui.”
La
moquette sotto i piedi rendeva i loro passi ovattati nel silenzio del
corridoio, finao a quando arrivarono nella hall dove anche gli altri
stavano
lentamente ridando le chiavi delle stanze e firmando i Voucher.
Emma,
con volto apparentemente di una addormentata cronica, arrivò
al banco e terminò
tutti i dettagli della loro permanenza. Era lei che pagava, era lei che
sistemava eventuali problemi, insomma, era lei che gestiva tutto.
Zoe
si sedette sul suo trolley guardandosi la punta delle sue scarpe: aveva
di
notato che tutti di soppiatto la stavano guardando, probabilmente
perchè
curiosi di sapere qualche dettaglio sulla scenata di Jared. Che ne
poteva
sapere lei? Era Jared quello strano che tutto ad un tratto scoppiava e
scendeva
a fare... bho, che faceva? La Divah?
“Ti
va di farmi compagnia per una sigaretta?”
Alzò
la testa e trovò Tim che la guardava con il suo normale
sguardo da cucciolo.
Quegli occhi enormi erano magnetici e profondi, le davano sempre
un’incredibile
sicurezza. E poi alto com’era, Tim quando la abbracciava
praticamente la
ricopriva tutta.
“Certo.”
L’arietta
fresca fuori dall’hotel fece fare a Zoe un piccolo sorriso:
non c’erano Echelon
appostate e quindi potevano stare tranquilli a parlottare di nulla,
come sempre
succedeva qualcosa.
“Allora,
in confidenza tra noi... che succede tra te e Jared?”
Lei
si irrigidì e riuscì, all’ultimo a non
mandarlo a quel paese: in fondo Tim, lo
aveva capito, era preoccupato. La piccola ruga che gli solcava la
fronte era un
sintomo abbastanza chiaro. Deglutì.
“Non
succede nulla.”
“Non
eri tu quella che ripeteva, niente storie con le rock star?”
“Sì
e
credimi, vale ancora. Non c’è nessuna storia,
solo... sesso.” Tim aspirò una
boccata di fumo per poi espellerla piano, come meditando.
“E
non ti pare che con uno come lui sia già da considerarsi una
storia?”
“No!
Le storie sono cose... serie. Sono legami continuativi, non una
semplice
scopata post concerto. Senti Tim, apprezzo il tuo interessamento,
ma...”
“Sono
solo preoccupato per te. Jared è vecchio abbastanza per
sapere come si deve
comportare, ma tu...”
“Ho
trent’anni Tim, non sono una delle sue ragazzine isteriche.
So cosa voglio e
cosa mi serve.”
Lui
gettò il mozzicone a terra schiacciandolo con la punta per
spegnerlo: non
sembrava molto convinto delle parole della ragazza, ma
scrollò le spalle e cercò
di darle il beneficio del dubbio. Ovviamente Zoe non sapeva che lui la
osservava in ogni momento dei concerti e aveva ben capito che le sue
parole
erano false. Anzi, Zoe erano convinte che fossero vere,
perchè si stava
autoconvincendo che non provava nulla, peccato che solo lei ci stava
credendo.
Scosse
il capo e l’abbracciò accarezzandole la schiena
con dolcezza.
“Grazie
Tim, sei un amico.”
“Lo
so.”
Nella
hall, riparato da sguardi indiscreti, Jared osservò tutta la
scena con occhi
imprescrutabili. Non poteva mentire: quell’abbraccio, anche
se totalmente
amichevole, gli stava dando nervoso. Quella mattina aveva sbagliato
tutto,
non avrebbe dovuto
fare la scenata e
soprattutto avrebbe, forse, dovuto parlarle, ma per dirle cosa? No, lui
aveva
una certa credibilità da mantenere e non poteva giocarsela
in quella maniera.
“Io
sono sempre più convinta che è il momento di
chiarire tra voi. Viaggeremo per
tutta l’estate assieme, non potete rimanere così.
Parlatene.” Sussurrò Emma
apparendo quasi dal nulla.
“Non
serve. So già cosa devo fare.”
*Omaggio
al centauro americano più figo in circolazione, Nicky Hayden.
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
Capitolo
2
Forse
era una sciocchezza, o forse no, ma
in quel momento Zoe era da sola a sistemare qualcosa sul Mac, Emma era
uscita
per delle spese personali in giro per New York e il resto della Crew si
stava
riposando in attesa del concerto. Era il momento perfetto per agire.
Le
si sedette vicino facendola trasalire:
una ciocca di capelli era sfuggita dalla cosa e gli occhiali quasi le
stavano
cadendo dal naso. Evidentemente era parecchio concentrata.
“Ciao.”
Iniziò.
“uhm...
ciao?”
“Che
stai facendo?”
“Mi
assicuro che tutte le mail per i GT
siano state mandate. Non abbiamo bisogno di ulteriori critiche anche da
parte
loro. Bastano quelle che piovono dagli altri Echelon.”
Jared
passò la lingua tra le labbra,
impaziente di cambiare il discorso. Non voleva assolutamente che tra
loro il
discorso vertesse sul lavoro, voleva, per una volta, parlare di lei.
“Come
mai non sei uscita con Emma?”
“Non
avevo voglia di fare Shopping. A lei
piacciono i negozi di vestiti e scarpe e ci perde troppo tempo, mi
annoio.”rispose meccanicamente digitando velocemente sulla
piccola tastiera.
“E
dove preferisci spendere i tuoi soldi?”
“Bho...
negozi di musica di solito, o
Libri. O forse DVD. Dipende dal periodo.” Aveva smesso di
lavorare e lo fissava
incuriosita. In fondo era la prima volta che lui veniva a parlarle, le
interessava capire che cosa volesse da lei.
“E
in che periodo sei ora?”
“Non
lo so. In quello di dormire. Girare il
mondo è bello, ma è stancante e io amo dormire. E
ne ho bisogno.”
Jared
rise. Dormire... una attività che
svolgeva sempre meno e sempre peggio, lo sapeva.
“Conosco
un posto carino dove poter far
incetta di libri a poco prezzo. Sta a Soho... ti va di
andarci?”
Ci
fu un momento di silenzio denso come
melassa. Jared sentiva le rotelline di Zoe lavorare alla clemente e si
mise a
contare quanto tempo ci volesse per un secco rifiuto. Era interessante,
però,
osservarle quelle labbra piene e dolci che fremevano, come se stesse
parlando
con se stessa, come se cercasse di decidere quale era la cosa migliore.
“Lascia
perdere, non voglio...”
“Ok,
andiamo. Sono stufa di stare chiusa
qui e mi fanno male gli occhi a stare davanti allo schermo.”
Con un gesto secco
aveva spento il Mac e si era alzata.
Avevano
camminato uno di fianco all’altra,
inizialmente in silenzio, come a cercare qualche cosa comune di cui
parlare,
poi lentamente, tra un semaforo da superare e un barbone da evitare,
avevano
iniziato a discutere di politica sociale americana.
Jared
stava per mettersi a ridere: forse
solo con sua madre era riuscito a parlare di cose così
serie, invece con lei
pareva tutto così, bho, normale.
Arrivarono
a Soho e la vide sorridere. Non
il solito sorriso di scherno o timido che normalmente gli riservava, ma
un
sorriso sano e genuino, come se fosse felice.
Il
negozio dove l’aveva portata era uno
stretto corridoio tappezzato dal pavimento al soffitti di vinili
d’annata, Cd
impolverati e libri dalle pagine ingiallite. Sul muro di fronte alla
porta
faceva orgogliosa dimostrazione di sè, una bandiera rossa
con la faccia del
Che.
Dietro
al bancone un sessantenne, vestito
con una camicia hawaiana, dei pantaloni color kaki, un paio di
infradito
consunte e un paio di occhiali spessi come due fondi di bottiglia, che
leggeva
un libro che pareva essere suo coetaneo. Decisamente pittoresco.
“Ciao
Arnold.”
“Ciao
Pazzo. Dimmi subito se ti serve
qualcosa, perchè sto iniziando il capitolo nuovo e dopo non
voglio essere
disturbato.”
Zoe
lo fissò interdetta: era quello il modo
di trattare i clienti, ma Jared sembrava tranquillo.
“No
leggi senza problema. Io e la mia amica
ci metiamo solo a cercare qualcosa. Torniamo tra un po’
quando hai terminato
uno o due capitoli.”
“Uhm...
conoscendoti anche tre o quattro.”
Jared
rise e portò Zoe verso il fondo del
negozio dove filtrava una luce soffusa dietro un vetro decisamente
sporco, che
però rendeva il locale perfetto. Era un negozio che non
sarebbe potuto esistere
in nessun’altra città se non lì, a new
York.
“Arnold
è un ex marines del Vietnam, un ex
hippie, un ex Freak. È un Ex, qualcuno che non esiste, un
essere che sta bene
sempre, ma non sta realmente bene da nessuna parte. È un disadattato tranne qui
dentro, dove la sua
parola è legge. Tu non puoi comprare niente che lui non
consideri giusto per te
e se ti da in mano il libro per te, credimi è veramente
quello giusto. Mi è
successo un secolo fa e sono diventato quello che sono ora.”
“Un
pazzo furioso?”
“No,
il cantante dei 30 Seconds to Mars.”
Zoe
non capì, ma Jared andò direttamente
verso uno scaffale ed iniziò a sfogliare alcuni romanzi
dall’aria vissuta. Lei
decise di darsi ai CD.
Rimase
a bocca aperta: trovo dei rarissimi
Live di alcuni dei suoi gruppi preferiti, oltre ai mars: U2 di super
annata, un
concerto semi dimenticato dei placebo quando ancora nessuno li
conosceva. E
gruppi underground che nessuno aveva mai sentito. Ma, soprattutto,
molte
registrazioni dei Breaking Benjamin, il suo gruppo del cuore dopo i
Mars.
Dopo
mezz’ora di scartabellamento, aveva
almeno dieci cd in mano. E doveva ancora iniziare a guardare i libri.
Guardò
Jared che era intento a fissarla con un sorrisino sardonico sulle
labbra e si
sentì spiata.
Jared
aveva notato che Zoe sfogliava velocissima
i cd, leggeva rapida i titoli e gli autori, fino a quando non trovava
qualcosa
che le interessava. Allora lo tirava fuori dalla scatola e leggeva con
attenzione il retro. Era interessante guardarla fuori dal contesto
lavorativo,
era molto più rilassata e sicuramente più se
stessa. Non era una ragazza che
amava essere troppo rigida ed inflessibile come invece richiedeva
gestire le
loro vite, era una ragazza, una donna, si corresse, che lasciava
correre e le
piaceva che la vita avesse una certa sorta di calma. E soprattutto
sembrava
certa di sapere quello che voleva.
“C’è
qualcosa che non va?”
“No,
ti osservavo e basta. Andiamo a
pagare, tra un po’ dobbiamo essere in hotel con gli altri e
se facciamo tardi
Emma ci squoia. Frustrante non trovi? In fondo sono io che la pago,
eppure mi
tiene al guinzaglio.”
Posò
sei libri davanti ad Arnold e poi
attesero qualche minuto che l’uomo terminasse il capitolo.
“Hai
fatto in fretta, Pazzo. Solo tre
capitoli... stai perdendo colpi?”
“Purtroppo
ho un impegno urgente.” L’altro
grugnì qualcosa che sembrava vagamente un accusa
all’incredibile ignoranza dei
capitalisti, tra cosa fosse più importante se un libro di
Aristotele o un
impegno mondano. Zoe era sconvolta.
“Questo
non va bene per te, bambina.” Disse
Arnold prendendo un CD di musica classica che Zoe aveva messo nella
pila di
acquisti.
“Infatti
non è per me. È per mia madre. Lei
suonava il violino nell’orchestra filarmonica di Los
Angeles.”
“E
tu ascolti i Breaking Benjamin....
interessante la ragazza. Però ti consiglio anche
questo.” Prese da sotto lo
scaffale un libro, stranamente nuovo rispetto agli altri. “Ti
servirà. E ti
sarà utile, visto i tipi con cui giri.” Jared
roteò gli occhi quasi scocciato,
ma in realtà sorrideva e Zoe lesse il titolo:
“101
modi per riconoscere il tuo principe
azzurro (senza dover baciare tutti i rospi). Di Federica Bosco*. Stia
scherzando vero? Non ho bisogno di un manuale del genere, mi vedi
così
disperata?”
“No,
ma ridere aiuta, ricordati.”
Jared
pagò, rigorosamente in contanti perchè
non si sapeva mai chi poteva controllare con i bancomat e Carta di
Credito, ed
uscirono alla luce del sole con Zoe che continuava a brontolare.
“Guarda
che il libro te lo ha dato perchè
eri con me. Magari crede che io e te stiamo assieme... ti cerca di
mettere in
guardia.”
“Ma
secondo te ho bisogno di questo per
capire che tu sei l’uomo più sbagliato che
esista?”
Silenzio.
Zoe
si rese conto immediatamente
dell’errore e si maledì in silenzio.
“Nel
senso che sei il mio capo e quindi
solo per questo che le cose non andrebbero bene... insomma, hai capito
no?”
“So
di essere una persona un po’ difficile,
non ti scusare. E comunque meglio così, la band non ha
bisogno di casini
sentimentali.”
“Esatto,
bastano Emma e Shannon.”
“Già.”
“Già.”
Camminarono
in silenzio, terribilmente
imbarazzata Zoe, meditabondo Jared. Quando aveva deciso di parlarci si
certo
non era per iniziare una pseudo storia, eppure appena era paventata
l’idea ad
Arnold, sentirsi rifiutare in quella maniera lo aveva punto sul vivo.
Però
avevano ragione, non potevano esserci casini, dovevano portre il tour a
compimento senza alri traumi.
“Come
mai dici che Arnold ti ha fatto
diventare quello che sei?”
“Uhm?”
“Me
lo hai detto prima, dentro al negozio.”
“Ah,
è vero. Bhe come tutti sanno il nostro
nome deriva da una teoria proposta da uno scienziato di
Harvard.” Zoe fece un
gesto della mano come a scacciare una mosca.
“Questo
lo so, dimmi qualcosa di nuovo.”
“Io
non sono mai stato ad Harvard, tanto
meno Shannon. Molto semplicemente il fascicolo su cui era stata
pubblicato
quell’articolo me l’ha passato Arnold.”
“Cioè
ti ha visto e ha detto, questo va
bene per te?”
“Le
parole non sono state proprio queste,
ma diciamo che a grandi linee è andata
così.”
“Non
può essere vero dai...”
Si
fermarono davanti ad un affollato
semaforo in attesa del Verde.
“Invece
ti giuro che è andata proprio così.
Chiedi a Shan se non mi chiedi, eravamo assieme. Lui si è
preso un vinile
originale dei Led Zeppelin quel giorno.” E sorrise al
ricordo.
“Pazzesco...
e non ti chiama mai per nome?”
“No,
anzi onestamente non credo che neppure
lo sappia. Mi chiama Pazzo, ogni volta, ma in fondo, non credo che sia
andato
tanto lontano dalla verità, ti pare?”
Jared
aprì gli occhi di scatto e fissò Zoe, che
completamente ignara, stava giocando
sul suo I-pad, quello che Jared aveva regalato a tutta la crew a
Natale.
Lui
si ricordò perfettamente che la risata che venne fuori alla
fine di
quell’assurdo discorso era stata quella piccola cosa che
aveva incrinato il
ghiaccio che c’era tra di loro. Avevano riso fino a quando
non erano arrivati
nella hall dell’hotel, dove una incuriosita Emma stava
cercando di capire cosa
stava succedendo. Da quel momento in poi era stato sempre
più semplice
relazionarsi con lei.
Non
che facessero grandissime discussioni, parlavano qualche minuto di
musica o
libri, ma erano conversazioni veramente rilassanti. Molto lentamente
aveva
imparato a capire i suoi pensieri e il suo modo di fare, ma era stata
una
fatica non da poco.
Sospirò.
Doveva
andare a parlarle.
“Come
va la partita?” iniziò lanciando
un’occhiata abbastanza chiara a Braxton che
era seduto vicino a lei. Il ragazzo senza neanche cercare una scusa,
andò a
sedersi al posto che era di Jared ed iniziò a pensare a
nuovi suoni** per le
sue canzoni.
“Non
tanto bene, non sono concentrata abbastanza.” Fece Zoe senza
guardarlo, presa
com’era da Aqua Pearls e dalle sue perline colorate.
“Non sei stato tanto
gentile con Braxton.”
“Non
ho fatto niente, solo chiesto cortesemente di lasciarmi il
posto.”
“Veramente
non hai chiesto nulla, visto che la voe non hai usato. Al massimo,
conoscendoti, gli avrai scoccato un’occhiata assassina che
aveva ben poca
interpretazione.” Zoe lasciò il gioco, dopo aver
vinto l’ennesimo livello e lo
guardò. Jared non capì in quel momento se fosse
una sguardo spazientito o
rassegnato. Forse un giusto mix di entrambi. “Che vuoi,
Jay?”
“Parlare?”
“Di
cosa?”
“Senti,
mi spiace per quello che ho fatto stamattina, ma... mi ero svegliato di
malumore, dopo un incubo, e non ti ho trovata...”
“Ver..”
lui gli posò due dita sulle labbra per non farla continuare.
Zoe ebbe una
terribile voglia di fare qualcosa di cui si sarebbe pentita per tutta
la vita,
quindi strinse le labbra per evitare gesti inconsulti che avrebbero
peggiorato
la situazione.
“Lo
so che siamo abituati a dormire in stanze diverse, ma... ammetto che
non
trovarti oggi non mi è piaciuto. Forse è la
vecchiaia. O forse no. Non importa
veramente il perchè, è successo e
basta.”
“Ok,
va bene, tutto perdonato.” Fece lei scrollandosi quel dito
lontano. Le
tentazioni non erano cosa buona, specie durante un volo aereo da Parigi
verso
Milano.
“No,
il problema non è questo.”
Lei
aggrottò la fronte: cosa voleva da lei quell’uomo?
Forse le stava
definitivamente lasciando, se si poteva lasciare una non ragazza.
“Sì,
hai ragione. È meglio termiare tutto qui, prima che succeda
qualcosa di
irreparabile.” Jared si mise a ridere fragorosamente.
“Mi
sa che non hai capito nulla, Zoe. Volevo proporti un
esperimento.”
“Non
faccio sesso in Aereo...”
“Non
era quello che ti volevo chiedere, anche se adesso che mi ci fai
pensare,
potremmo provare.” E rise di nuovo. “no dai, volevo
chiederti se questa notte,
dopo il concerto, ti vorresti fermare a dormire con me.” Zoe
non riuscì ad evitare
di aprire la bocca stile cartone animato. Jared pensò che
avrebbe fatto meglio
a chiuderla prima che qualche mosca decidesse di farci un tour.
“Sai c’è una
cosa che ho notato ed è che se ci sei tu riesco a dormire
qualche ora in più. E
siccome ho bisogno di riposo, di quello vero, in effetti, tu potresti
aiutarmi.”
“Ti
servirei come ninna nanna?”
“Se
la vuoi mettere così...”
“Posso
pensarci?”
“Certo.
In caso fammi un fischio.” E chiuse gli occhi appoggiandosi
per l’ultima
mezz’ora di viaggio sullo schienale, ovviamente non suo. Aveva un leggero sorrisino
di piena
soddisfazione e Zoe ebbe un folle istinto di prenderlo a schiaffi fino
a
farglielo perdere, ma scosse il capo e tornò al suo gioco
preferito.
La
situazione la lasciava un po’ interdetta, c’era
qualcosa, lo sentiva a pelle, a
fiuto, che non andava. Non era una richiesta terribile e visto i
problemi di
insonnia cronica che aveva Jared, era anche abbastanza
nell’ordine delle cose.
Era una richiesta talmente strana da apparire normale, visto che
proveniva da
lui.
Eppure...
Bha,
se ci pensava troppo avrebbe finito per fondersi il cervello, quindi
continuò
imperterrita a sparare alle palline.
Solo
quando scesero dalla scaletto dell’Aereo, sotto un cielo
grigio che minacciava
pioggia tipico milanese, gli diede una risposta.
“E’
Follia, ma ci sto.”
*Il
libro esiste veramente e lo consiglio a tutte le lettrici...
**
battuta che riprende la mania di Braxton di creare Suoni (lo scrive
sempre su
Twitter)
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
Capitolo
3
Italia.
Zoe
fremeva di impazienza per andare a vedere quelle poche cose che il
tempo le
riservava. Aveva deciso, con Emma, che subito dopo aver sistemato la
valigia
nella stanza da letto, a quanto pareva da condividere con Jared, lei
sarebbe
andata per i fatti suoi in giro per la città.
Da
ragazza aveva studiato l’Italia in tutte le sue sfacettature,
ma niente era
meglio più di viverci per conoscerla. Studiare Storia e
letteratura tu portava
necessariamente a studiare l’Italia.
Davanti
al Castello Sforzesco sorrise felice: l’Italia era il paese
che conteneva il
90% del patrimonio artistico mondiale per ora conosciuto. Figurarsi
cosa ancora
celavano le sue dolci colline e i mari tempestosi. Era un paese
stupendo e Zoe
avebbe voluto poterci rimanere molto di più di quei 4 giorni
inframezzati da
due concerti. Decise che finito il tour (oddio, il tour sarebbe mai
veramente
terminato), si sarebbe presa due settimane tutte per lei e sarebbe
tornata li,
doveva solo decidere quale città visitare, e si sarebbe
goduta lo splendore
italiano.
Certo,
era consapevole che l’Italia non era quella descritta dai
Film come “Vacanze
Romane” o “La Dolce Vita”: lo stereotipo
dell’italiano, pizza, mandolino e
vino, era, appunto, uno stereotipo che ormai non esisteva neppure per
accalappiare turisti. La situazione politica e sociale non era facile,
i costi
aumentavano per tutti e c’era un malcelato malcontento che
lei stessa riusciva
a respirare mentre girava per le vie del centro bene di Milano.
Eppure
non c’era solo quello, ma anche una sottile vena di speranza.
Forse i giovani
si stavano svegliando, avevano recuperato una coscienza sociale e
soprattutto
stavano puntando ad una rivoluzione. Zoe capiva che non era semplice e
che ogni
rivoluzine portava di certo a problemi di varia natura, ma lei sapeva
benissimo
che non si potevano far cambiamenti senza qualche cadavere per strada.
La sua
America era un esempio abbastanza lampante.
Scosse
il capo: era inutile pensare ad argomenti così seri,
soprattutto visto che li
doveva fare tra lei e lei senza avere un contraddittorio. Era
frustrante, i
suoi neuroni pensavano sempre in maniera simile e quindi non era
divertente.
Via
Dante pullulava non solo di turisti con le macchine fotografiche, ma
anche di
tantissimi ragazzini che avevano il via libera, dato che a scuola non
ci
andavano più e di uomini e donna in carriera, eleganti nei
loro completi e
tailleur.
Milano,
la città che riuniva in se industria, arte e spettacolo.
Moda e politica. Una
città piena di contraddizioni, in bilico tra bellezza
estrema e squallore grigio
della periferia.
In
Piazza Duomo si ritrovò immersa nella
gente che ridacchiava e parlava
a voce più o meno alta. Si richiuse in una delle varie
librerie che
richiamavano non solo i turisti, e cercò non solo qualche
Romanzo di facile
lettura, ma anche qualche guida turistica. Di serio c’era ben
poco, ma ne trovò
una ben dettagliata sulla città e la comprò, in
modo da avere qualcosa da
leggere. Trovò la stessa anche per Roma e prese pure quella,
visto che
l’indomani sarebbe stata nella capitale. E se fosse stato
possibile, aveva
ancora più voglia di andare nella Città Eterna,
simbolo di potere e religione.
La città Caput Mundi. Sentì le dita fremerle di
impazienza.
Il
cielo grigio sopra di lei aiutava a non aver troppo
caldo, nonostante per tutta la mattina non aveva fatto altro che girare
per le
vie centrali, quelle vie deputate all'eleganza, anche se aveva saltato
a piedi
pari via Montenapoleone. Sapeva per chiacchiere con Emma, suo guru di
moda e
affini, che con il suo stipendio non sarebbe riuscita a comprarsi
neanche una
maglietta. E poi, lei, non era una che amava molto l'eleganza e il
classico.
Preferiva di gran lunga un abbigliamento comodo e sportivo. Il massimo
che si
concedeva era un vestito lungo nero che la smagriva un po'.
Presa
da questi pensieri arrivò fino al Duomo,
maestoso e candido, dove non c'erano le impalcature. Purtroppo per lei
era
arrivata nel periodo di pulizia e risistemazione della facciata
principale. La
chiesa era perennemente sotto lavori: lo smog esterno macchiava il
marmo e
quindi puntualmente andava pulito. Dopo che tutto il duomo era stato
lavato e
riportato alla bellezza originaria, era tempo di maquillage alla
facciata.
Sospirò: era proprio un peccato che non potesse vederla in
tutto il suo
splendore, significava proprio che doveva assolutamente ritornare li.
Ridacchio: che sfortuna!
Alzò
lo sguardo verso il punto più alto della
costruzione, dove vide scintillare la statua d'oro della Madonnina,
simbolo
della città stessa, poi, tornando con gli occhi alla sua
altezza, scorse Jared,
con al fianco Emma, mentre usciva da una farmacia. Da giorni non stava
bene e
lei lo sapeva più che bene. Da un po' di tempo a quella
parte aveva iniziato ad
usare anche l'inalatore e non perchè soffrisse d'asma,
quanto perchè stava
facendo un uso massiccio di broncodilatatori. Vedendolo li con una
borsettina
verde e bianca in mano, si sentì colpevole di averlo
lasciato solo. E subito
dopo si diede della scema: in fondo loro due non stavano insieme. Il
loro
rapporto era lavorativo e basta, e solo per caso si era trasformato in
una
amicizia con benefici, non c'era null'altro.
Poi
la vocina della sua coscienza, un po' fastidiosa a
dire il vero, le ricordò che lui voleva dormire con lei,
cosa che richiedeva
una sorta di intimità che non credeva potesse esserci sul
serio. O, più
semplicemente, ammise a se stessa, che lei non voleva vedere. Girare
nuda per
una stanza di albergo con lui davanti che la osservava, o
scannerizzava, era
già una cosa intima. Non lo aveva mai fatto neppure con il
suo ex ragazzo
quando l'aveva rapita per una vacanza portandola ad Aspen a sciare. E
lei
neanche sapeva sciare... Ma adorava la neve in compenso.
Scosse
il capo: ultimamente la sua mente stava
giocando diversi scherzetti.
Sospirò
e andò verso di loro.
"Ciao
ragazzi, come va?"
"Tutto
ok. Abbiamo trovato qualcosa di similare
al farmaco che usa di solito." iniziò Emma con tono
professionale.
"Non è proprio la stessa cosa, ma qui non si trova altro." e
arricciò
le labbra come se la differenza di medicinali tra uno stato e l'altro
fosse la
fine del mondo.
"Non
faresti prima a riposasti come dio
comanda?" chiese direttamente a Jared che camminava lento verso
l'interno
della Galleria.
"Tipo
fermare il tour? Impossibile."
"Jared
nessuno te ne farebbe una colpa... Sei
malato, ti devi curare. Stai perdendo la voce e considera che ti serve
per
lavorare."
"Zoe,
fatti i cazzi tuoi." la ragazza si
fermò di botto. Va bene che era solo la scopata di turno, ma
credeva che
meritasse un attimo più di rispetto, visto il lavoro che
faceva per loro... per
lui, ogni giorno. Quella risposta acida era decisamente fuori luogo.
Senza
dire nulla girò i tacchi e tornò verso il Duomo,
decisa finalmente a vederlo internamente. A poco servivano le urla di
Jared
dietro di lei.
L’
aeroporto di Bologna era piccolissimo,
ben diverso da quelli a cui erano abituati loro, ma nonostante questo,
erano
riusciti ad avere problemi anche li. Non a causa
dell’aeroporto o degli abituali
casini italiani, quanto a causa del maltempo a Francoforte, aeroporto
dove
dovevano arrivare per prendere la coincidenza per Kiev.
Zoe
controllò nuovamente la zona intorno a
loro. Dietro i metal detector c’erano gli ultimi elementi
della Crew e dalla
zona aperta a tutti, quella manciata di ragazze presenti le salutavano.
Shannon,
annoiato come spesso gli accadeva,
aveva scritto su Twitter dove si trovavano e le più svelte,
o le più fortunate,
si erano precipitate da loro, cose che aveva fatto un enorme piacere al
batterista che si era concesso a loro più che volentieri.
Meno per Jared.
Zoe
lo fissò mentre crollava esausto su una
delle seggioline della sala d’attesa. Era mortalmente
pallido, con gli occhiali
da sole che nascondevano delle occhiaie che facevano invidia ad un
panda. Il
cappello gli copriva le orecchie, indossava una maglia grigia
apparentemente
leggera, ma invece morbida e calda e un paio di pantaloni neri. In mano
una
bottiglia a metà di sciroppo d’acero.
L’unica
cosa che poteva dire di lui in quel
momento, era che fosse un morto che camminava. E ne aveva paura oltre
che provare
una sorta di ammirazione: sapeva che lei sarebbe crollata miseramente.
Era
stato gentilissimo con tutte, non aveva
detto di no a nessuna richiesta, anche se si capiva palesemente che
forse
voleva solo essere lasciato in pace. Ma le ragazze che erano li erano
le sue
Echelon, ripeteva, erano poche e accontentarle non costava nulla. Una
foto o un
autografo non lo avrebbero ucciso.
Vide
Emma che gli portava un grosso
bicchiere di carta con qualcosa di fumante al suo interno,
probabilmente un the
per lenire la gola, e poi sedersi vicino a lui. Non gli disse nulla, ma
dalla
borsa prese un plico di fogli e glieli passò. Poverino, non
lo invidiava per
niente, lavorare come un forsennato anche quando stava male. Scosse il
capo e
si avvicinò a Diana.
Diana,
chiamata da tutti Dai, era una Echelon
d’annata, un po’ come lei, di origini palesemente
orientali, con la pelle scura
e un sorriso molto dolce. Si erano conosciute a Los Angeles durante uno
dei
primissimi concerti dei ragazzi. Stanchissima anche lei, anche
perchè a
differenza dei Mars, le comodità erano minori.
Insieme
andarono al bar della sala
d’aspetto a prendersi un caffè, Dai lungo, lei
ristretto. Se lo gustò
pienamente, come ogni caffè che aveva bevuto in quel paese.
Le ricordavano
l’incredibile macchinetta che sua zia si era comprata.
Metteva le cialdine
dentro e scendeva un liquido nero e forte. A causa sua non riusciva a
bene
nessun’altro caffè al mondo. Sorrise alla tazzina
e finì l’ultimo sorso.
“Non
converrebbe che si fermasse qualche
giorno?” il soggetto era scontato.
“Non
può e più semplicemente non vole. Lo
sai come è fatto. È uno stacanovista e
continuerà ad andare avanti così fino a
quando non crollerà sul serio.”
“Bhe
Diana, mi sembra che ci manchi poco.
Lo vedi che colorito ha?”
“Lo
so io e lo sai tu. E in realtà lo sa
anche Jared, ma non gli piace dover dimostrare la sua
fragilità.” Zoe scrollò
le spalle.
“L’ha
dimostrata ampiamente ieri sera. Per
quanto si siano divertite le persone, grazie comunque al suo carisma e
ai
ragazzi che hanno suonato alla grande, dobbiamo ammettere che Jared non
ha dato
il meglio di se.” Diana non disse nulla, in fondo la sua
amica aveva ragione.
“Però è vero, non si
fermerà.” Sospirò “Non vedo
l’ora di tornare a casa.”
“Non
ti è piaciuto girare per l’Europa?”
“Scherzi?
È stato bellissimo, ma vorrei
poter dormire due notte di fila nello stesso letto e andare da mia
madre a
salutarla. E soprattutto smettere di avere Jared tra i piedi. Quando
c’è lui
non mi sento molto a mio agio.”
Diana
rise.
“Ma
come? Ormai lo conosci da dieci anni,
come puoi dire che non ti senti a tuo agio.”
“Non
so che dirti. Preferisco starci
lontano: quando mi guarda mi sento giudicata, mi sento come se mi
guardasse
attraverso e leggesse tutti i miei pensieri. Mi inibisce.”
“Certo
che non stai bene.”
“Lo
so anche io, ma mentre con chiunque
altro riesco a parlare e divertirimi pure, vedi con Tim, ma anche con
Shannon,
con Jared non è così. Preferisco stare a debita
distanza da lui.”
“Mi
vien difficile da capirti, ma va bene
così. E forse è meglio, dato che lavori per lui.
Mantenere i rapporti solo sul
piano lavorativo e basta.”
Finalmente
il gate si aprì e le due ragazze
si misero in fila. Zoe era proprio dietro la schiena di Jared. Sentiva
quel
leggero odore di pioggia che le ricordava inesorabilmente lui e a
tradimento le
venne voglia di abbracciarlo. Nulla di più, solo un gesto
per fargli capire
che, se avesse avuto bisogno di lei per qualche cosa, lei
c’era.
Per
fortuna riuscì ad evitare di allungare
la mano su di lui: con che faccia tosta gli avrebbe detto poi
“mi stai facendo
pena come un cucciolo di Labrador abbandonato in Autostrada”?
Minimo l’avrebbe
licenziata sul posto e lei si sarebbe sognata la Spagna.
“Quando
tornerai a casa che farai? Di nuovo
a scuola?”
Zoe
si voltò verso Diana: per fortuna che
le aveva parlato, altrimenti avrebbe rischiato qualche gesto inconsulto
verso
il suo datore di lavoro.
“Non
lo so, non credo. La scuola dove
lavoravo non mi ha prolungato il contratto, quindi tornata a Los
Angeles sarò
ufficialmente disoccupata. Vedrò che riuscirò a
trovare, ma a questo punto
dell’anno insegnanti non se ne cercano più, a meno
che qualche collega non vada
in maternità. Tu invece? Torni a far la fotografa in pianta
stabile?”
“Sì.
Probabilmente torno in tour.”
“Con
i ragazzi? Fai il giro anche in
America?” Zoe rimase sorpresa e un po’ male: a lei
il The Hive non aveva detto
nulla per una eventuale continuazione di tour. Lei ci sarebbe andata
volentieri, in fondo era disoccupata.
“No,
con un’altra band di cui sono, più o
meno, la referente dei Fans.”
“Ah!
Le 100 Monkeys. Non sono propriamente
il mio genere, ma sembrano simpatici.”
“Lo
sono in effetti.”
Chiacchierarono
ancora un po’ prima di
salire sull’aereo che li avrebbe portati Francoforte,seduta
sul seggiolino
della Ryan Air prese una delle mille riviste di Musica che aveva
trovato in
Inglese ed iniziò a sfogliarla senza leggere nulla in
realtà.
Fino
a quel momento Zoe non aveva veramente
pensato a cosa sarebbe stato di lei dopo la data di Barcellona. Dieci
giorni
scarsi e poi di nuovo il baratro, l’incertezza.
Chiuse
gli occhi per cercare di scacciare
quella sensazione di gelo che la prendeva ogni volta che doveva
ricominciare,
sia a livello lavorativo che a livello personale. Era una sensazione
terribilmente
sgradevole, simile, pensò, a quella che Harry provava con i
Dissennatori.
Questo
pensiero la fece ridacchiare e
ricordare che in fondo aveva ancora un paio di giorni di trottola
marziana,
quindi era meglio goderseli al meglio.
Non
si accorse neanche che Jared stava
camminando verso di lei, per andare in coda, quando l’aereo
fece un leggero
sobbalzo, lui barcollò e si appoggiò al sedile di
Zoe spingendola.
“Scusa.”
Lei
l’aveva preso per un braccio: il
maglioncino era morbido e caldo, ma lui sembrava non esserci. Il
braccio era
duro e sottile, le pareva di tenere in mano un osso più che
altro.
“Tranquillo,
tutto bene?”
“Si,
devo solo andare in bagno a darmi una
sciacquata.”
“Hai
bisogno di una mano per qualcosa?”
decisamente una frase senza senso, pensò Zoe: che gli poteva
servire in bagno?
“No,
grazie. Faccio da solo.” Disse
sorridendole veloce “Come sempre.”
Mormorò. Se non fossero stati così vicini
Zoe non avrebbe mai sentito quello stranissimo sfogo.
Si
voltò a guardarlo mentre entrava nella
piccola toilette e provò una strana ed infinita pena.
Il
Duomo era degno della sua maestosità, peccato che Zoe non se
l’era goduto come
avrebbe voluto. Guardava tutto ma senza attenzione, con il cervello
perennemente in fissa per Jared Leto. Maledizione a lui, le stava
rovinando la
vita.
Perchè??
E sì che si era ripromessa di non cadere in tentazione con
lui.
Si
sedette sui scalini della chiesa, con un leggerissimo venticello a
farle
compagnia, mentre si stropicciava gli occhi. Prese un profondo respiro
e guardò
‘orologio. Aveva solo mezz’ora prima di andare alla
Fiera di Rho dove si
sarebbe tenuto il concerto.
“Che
cosa faccio?” mormorò tra sè.
“Resto qui o vado a farmi un giro?”
“Resti
qui. Magari con me.”
“Jared
cosa vuoi?”
Lui
si sedette vicino a lei porgendole un sacchetto di carta bianca che
contenva
qualcosa dal profumo paradisiaco di Fritto. Zoe aprì senza
capire bene e si
trovò davanti ad una mezzaluna giallina leggermente unta.
“Lo
chiamano Panzerotto. E’ buono... ne ho mangiato uno anche
io.”
“Perchè
tu ancora mangi?”
“Raramente,
ma ancora lo faccio.” La fissò mentre addentava
quel pezzo di pasta di pane
ripieno e quando scorse l’espressione estasiata per la
bontà che stava
mangiando, sorrise felice, in maniera quasi fanciullesca, come se vederla soddisfatta per
qualcosa lo
rendesse contento. O forse era veramente così.
“E’
buono forte. Non credevo che tu potessi apprezzare del cibo
così poco sano.”
“Continua
a prendermi in giro, bambina, e vedi che ti faccio stasera.”
Lei si rabbuì
improvvisamente.
“Visto
in che condizioni sei, mi domando se riuscirai a camminare con le tue
gambe,
stasera.”
Rimasero
in silenzio fino a quando Zoe non ebbe terminato il panzerotto,
prendendosi
qualche secondo per leccarsi le dita, come a gustare fino
all’ultimo la delizia
del fritto, poi lei si alzò per gettare la carta nel cestino
e lui la seguì.
Camminarono in silenzio, superati
da
persone che non si interessavano a loro, ragazzine che rimanevano
perplesse
vedendo Jared e forse riconoscendolo. Arrivarono fino a Piazza San
Babila, poi Zoe
ruotò di 180° e tornò verso Piazza Duomo,
con il preciso intento di non
calcolare Jared fino a quando non avrebbero parlato di lavoro.
Peccato
che Jared non era dello stesso avviso.
Le
prese una mano fermandola, proprio davanti al negozio della Disney dove
decine
di bambini urlavano felici. Lei lo fissò accigliata.
“Parliamo
o no?”
“No,
sei stato chiaro che devo farmi i cazzi miei ed esaudisco il tuo
desiderio come
una brava dipendente quale sono.”
“Ma
smettila di dire cazzate.” Qualcuno si voltò
facendo finta di niente: da che
mondo e mondo si sa che i litigi attirano l’attenzione.
“Scusa?”
“Senti,
hai ragione, non sono stato molto gentile prima, ma... cerca di
capirmi, sono
stanco e stufo di stare male.”
“Lo
capisco perfettamente, proprio per questo vorrei che tu capissi che...
ti sono
vicino per qualsiasi cosa e non solo in versione lavorativa.”
“Lo
so, Zoe, ma... a parte Shannon e da un po’ di tempo a questa
parte, Emma, ho
sempre contato solo su me stesso.”
“E
non ti sei sentito mai solo?”
Zoe
inclinò leggermente la testa, inchiodando i suoi occhi a
quelli di lui, per
impedirgli di scappare o forse impedirsi di scappare via lei stessa. La
mano di
Jared sulla pelle calda era fresca, la teneva stretta, ma non
abbastanza da
farle male. Era li per tenerla vicino a lui, era li a trattenerla dal
correre
via.
“Io...
forse.”
“Non
sei solo Jared. Ci sono tante persone che ti vogliono bene e si
preoccupano per
te.” Sulla punta della lingua aveva la fine della frase da
dirgli, ma non
voleva apparire troppo sdolcinata. Lui sorrise.
“Anche
tu?”
Lo
maledisse in mille lingue, ovviamente senza che lui si accorgesse di
nulla
tranne che di un delizioso rossore sulle guance. Ma perchè
doveva metterla in
quella situazione. Sentì che le aveva appena appoggiato
l’altra mano sul fianco
attirandola verso di se.
“Quindi?
Mi vuoi bene anche tu?” sentì le dita affusolate
andare ad accarezzarle la
pelle sotto la maglietta, in quella zona che la faceva rabbrividire.
Maledetto,
la stava stuzzicando.
“Sì,
ma smettila di toccarmi qui. C’è gente.”
Jared
si mise a ridere avvicinando il viso fino a toccarle il naso con il
suo.
“Ti
voglio bene anche io, sai?”
“Certo,
come no.” Ribattè lei sempre più rossa.
Aveva notato che li stavano fissando e
si stava vergognando tantissimo, anche se ammetteva che sentirlo
così vicino le
piaceva da matti. Non era solo la vicinanza fisica del momento, ma una
vicinanza più spirituale: sentiva che lui alla fine si stava
quasi fidando di
lei e considerando che Jared, come aveva detto poco prima, era abituato
a fare
tutto da solo, quello era decisamente un passo in avanti.
“Invece
si.” E scese di un altro po’, giusto lo spazio che
li separava per baciarla
delicatamente.
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
Ehm...
Prima di inziare ci sono un paio di notizie di servizio che devo
darvi.
Innanzi
tutto vorrei ringraziare la mia migliore recensitrice (?) che sta
passando di qui e soprattutto che mi sostiene e mi da le idee giuste.
Sei un Genio. Grazie Rò <3
Poi
piccola comunicazione pubblicitaria. Il 10 di Luglio uscirà
finalmente il libro che ho scritto con quella santa donna di Shanna_bb,
santa e bravissima. Se vi interessa di sapere di cosa si parla, venite
a trovarci su questa pagina
http://www.facebook.com/?ref=home#!/pages/Floreat-Salopia/122253984521029
Seguiteci
per avere tutte le News ^_^
Grazie!
Capitolo
4
Piazza
del Campo era baciata dal sole, faceva un caldo di quelli che ti
entrano nella
carne e non ti lasciano fino a quando non ti butti in una piscina e
Jared
sorrise nel vedere Zoe alle prese con l’italiano basilare per
prendersi una
bottiglietta d’acqua in un bar.
Erano
rimasti tutti sorpresi, lui per primo in effetti, del fatto che invece
di
andare a Parigi con Shannon per riposarsi, avesse seguito il consiglio
della
ragazza di andare in quello sperduto comune italiano.
Lui
di Siena non conosceva praticamente niente. Sapeva solo che facevano il
Palio
una volta l’anno. Solo li aveva scoperto che in
realtà il Palio si correva due
volte l’anno. Peccato che lo aveva perso per un soffio, visto
che la sera prima
era ancora in Svezia a cantare. Sul selciato di quel posto incantevole
c’erano
ancora dei residui di terriccio che evidentemente usavano per
“foderare” la
pista di corsa.
Si
risvegliò quando sentì Zoe sbuffare.
“Ci
sei riuscita?”
“Sì...
è stata dura, ma ce l’ho fatta. Il mio italiano
è decisamente arrugginito. Del
resto non parlandolo correntemente, è ovvio che ho problemi.
I verbi in questo
paese sono un incubo. Mea culpa, dopo l’università
l’ho abbandonato. Dovrò
ricominciare.”
“Pensi
che se fotografo la piazza e la metto su Twitter ci ritroviamo
un’orda di
Echelon qui?”
“Probabile.
Bhe magari un’orda no... quante Echelon ci saranno a
Siena?”
“Non
ne ho idea, ma meglio che lascio perdere. Dove mi porti,
guida?”
“Andiamo
al Duomo. Poi torniamo indietro e vediamo se riusciamo a vedere il
Palazzo
Comunale.”
Camminarono
tranquilli come due turisti qualsiasi, chiacchierando di cose inutili
in quel
momento, quali concerti o programmi per Atene, per poi immergersi nella
storia
Senese. Jared era francamente stupito delle conoscenze di Zoe,
nonostante
sapesse perfettamente cosa l’aveva animata a tale conoscenza.
Il
tour bus si muoveva lento per la lunga e
dritta autostrada che collegava Houston ad Atlanta, intorno a loro il
buio
assoluto. Jared si rigirò per l’ennesima volta nel
suo letto sprimacciando il
morbido cuscino. Sentiva Shannon russare come un trombone nonostante i
tappi
nelle orecchie. Aveva sete, stranamente sentiva una leggera morsa nello
stomaco
e doveva andare in bagno. Con queste premesse capì che
l’unica cosa da fare era
alzarsi: si prospettava una nuova nottata di insonnia.
Guardò
lo schermo del BB che gli rimandava
un’ora da vampiro più che da essere umano, una
decina di mail, probabilmente
spam, e un centinaio almeno di menzioni su Twitter. Quasi quasi poteva
mettersi
a rispondere a qualcuno: avrebbe passato il tempo in qualche modo e
avrebbe fatto
divertire i suoi Fans.
Dopo
la tappa nel piccolo bagno, si spostò
nella zona giorno del Bus dove, sorpresa delle sorprese,
trovò Zoe intenta a
leggere l’ennesimo Libro. Aveva scoperto da poco il
perchè dell’immensa partita
a carte con Tim per avere il letto di sotto del loro letto a castello:
usava il
pavimento del Bus come enorme libreria. Ogni città che
toccavano comprava uno o
due libri che leggeva vorace con le cuffiette nelle orecchie.
“Cosa
fai sveglia?”
“Leggo.
E tu?”
“Insonnia.”
“Brutta
bestia eh?” lei appoggiò il libro
sul tavolino e lo osservò. I capelli mori gli stavano
decisamente meglio
rispetto al biondiccio che si era tenuto per un po’ di tempo,
per non parlare
del blue puffo del mese appena passato. Solo che la sua cera da
malaticcio non
era per nulla cambiata, soprattutto visto che quel pomeriggio aveva
fatto tappa
all’ospedale per farsi una risonanza magnetica. Attirava i
dolori come il miele
attirava le api.
E
quei cerchi rossi intorno agli occhi non
presumevano nulla di buono.
Jared
si prese un bicchiere d’acqua dal
frigo e optò per sgranocchiare alcune gallette di riso che
Zoe osservava con
sguardo critico per non dire schifato.
“Guarda
che sono buone.”
“Ti
prego, sanno di plastica. Mangiati una
fetta di torta di mele che è più buona e
dà più soddisfazioni.”
“No
grazie, preferisco la galletta di Riso.
Più leggera.” Zoe roteò gli occhi
sbuffando esasperata.
“Come
se tu avessi problemi di linea, sei
uno scheletro.”
“Dici?”
e così facendo si alzò la maglietta
fino sotto al mento lasciando in bella vista i pettorali sodi che
nonostante la
sua magrezza spiccavano per bene. Zoe deglutì pesantmente,
per fortuna senza
farsi vedere da Jared: quello era un colpo bassissimo, ma lo capiva lui
che
avrebbe istigato, con quel corpo, anche una santa al peccato? E Zoe non
era una
santa. Lo aveva assodato in questi ultimi dodici anni di sesso
promisquo senza
inibizioni.
“Sì...
dico. Dovresti... mangiare un po’ di
più.” Ringraziò il cielo che la
maglietta ritornò al suo posto, anche se per un
breve istante sentì la mancanza di quei pettorali. Li
salutò a malincuore con
un veloce cenno quasi invisibile della mano.
“Lo
farò. Per ora twitto un po’.”
Per
un po’ rimasero in silenzio, con il
solo rumore frenetico dei tasti del BlackBerry di Jared e il rumore del
bus che
macinava chilometri, poi la natura curiosa del cantante prese il
sopravvento.
“Cosa
leggi?”
“Un
libro storico.”
“Un
romanzo?”
“No,
un saggio su delle nuove ricerche che
stanno facendo in Italia.”vide uno sguardo incuriosito e
continuò sorridendo
leggermente. “Storia medioevale.”
“Ah
però, non è un argomento leggero. E
come mai ti piace?”
Zoe
chiuse definitivamente il libro
lasciandoci una cartolina per ricordarsi dove era arrivata, poi
allungò le
gambe fino a distenderle del tutto sulla sedia davanti a lei,
vicinissima a
quella dove era seduto lui. Era la situazione più intima ed
amichevole che
avevano mai avuto, anche dopo il loro giro per New York.
“Quando
ero una ragazzina... fai 15 anni,
sono stata in Italia per la prima volta con mia zia, che invece ci va
praticamente ogni anno. Mia madre mi obbligò ad andare con
lei, perchè non
voleva che passassi tutta l’estate tra la spiaggia di Venice
Beach e i negozi
con le amiche. Fu terribile, una litigata con i fiocchi, ma alla fine
vinse
lei. Biglietto aereo e pernottamento era già stato pagato...
non potevo non
andare.”
Zoe
si rese conto che in un qualsiasi film,
dalla serie A alla serie Z, quello sarebbe stato il momento perfetto
per fumare
assieme. Ma nessuno dei due avva il vizio, quindi cadeva questo
cameratismo. Ci
voleva qualcosa che li unisse.
“Non
è che ti hanno mandato a fare la volontaria
nel Terzo mondo, sei andata in Italia, che sarà il paese che
è, ma non è male.”
“Non
è Male? NON E’ MALE? Sei Pazzo?
L’Italia è il paese più bello del
mondo!”
“Quindi
non è stata poi tanto brutta la
vacanza.” Zoe si alzò, prese due cucchiani dal
cassetto e li mise sul tavolo,
poi dal congelatore tirò fuori una maxi vaschetta di gelato
che aveva comprato
per i momenti di sconforto e la mise fra di loro. Si gustò
la prima fredda
cucchiata di vaniglia, poi decise di rispondergli.
“Ovvio
che no. Però sai, avevo quindici
anni, a quel tempo la mia massima aspirazione era diventare la
campionessa
della scuola di pallacanestro, comprare l’ultimo paio di
scarpe alla moda e
riuscire a limonare con Mark Sheppard.” Rise ricordando i
vecchi tempi, mentre
Jared la fissava sconvolto. Mangiare il gelato in quella maniera,
direttamente
dalla vaschetta, era decisamente riprovevole.
“Mark
Sheppard?”
“Sì,
era il quoterback della scuola. Alto,
muscoloso, biondo e occhi azzurri. Era praticamente ovvio che tutte le
ragazze
della scuola lo volessero. Peccato fosse stupido come una
cucuzza.” Ridacchiò.
“Senti, mangia con me, questo non è un momento di
condivisione. E vedrai che ti
piacerà.”
Jared
prese titubante il Gelato posato su
una gamba di Zoe: erano praticamente uno di fronte all’altra,
con lei che si
era nuovamente allungata su due sedie per stare più comoda.
Prese giusto una
puntina di gelato, ma bastò per farglielo apprezzare.
“Alla
fine fu il viaggio più bello della
mia vita, almeno quello che ricordo con più affetto. Andammo
a Venezia prima di
tutto e rimasi incantata da quella città
sull’acqua. E poi Firenze. Non so se
ci sei mai stato, ma fu li, davanti al David di Michelangelo, che
sentii che
sarei dovuta tornare, che avrei dovuto saperne di
più.”
“Io
non l’ho mai visto.*”
“Male,
un giorno ti devo portare in
Toscana.” E un altro cucchiaino di gelato scomparve tra le
labbra. “Comunque
sono andata all’università, mi sono Laureata in
storia Medioevale e per
festeggiare ho fatto un giro in Centro Italia di un Mese tra i comuni
più
antichi. Peccato che poi non ci sono più tornata fino a
quando non sono stata a
Bologna con voi. Ah... Bologna. Sai come viene chiamata?”
Lui
scosse il capo con il cucchiaino in
bocca.
“La
Dotta, perchè in essa è nata la prima
Università del mondo. La Grassa, per la sua cultura
culinaria. La Rossa, per le
tantissime case di mattoni rossi e per una tendenza politica verso
sinistra.”
“Sai
un sacco di cose.”
“Leto,
mi sfidi su un terreno fertilissimo
e a me congeniale. Non puoi battermi.”
“Non
sfidarmi!”
“Pfiu.
Lo sai che ho fatto la mia Tesi di
Laurea sulla figura di Niccolò Macchiavelli alla corte di
Lorenzo de Medici e
sul comune di Firenze? Ti straccio in storia. Potrai essere il
più grande
filosofo qui, ma la storia la faccio io.”
Jared
alzò le mani in simbolo di resa e
risero assieme.
“Lo
sai che ho un libro del 1643 di Niccolò
Macchiavelli? Me lo hanno regalato delle Echelon Italiane. Lo tengo a
casa con
religiosa cura.**” L’espressione sul volto di Zoe
gli fece chiaramente capire
che aveva c’entrato l’obiettivo.
“Stai
scherzando vero? Sarà costato un
patrimonio.”
“Bhe
sì. Comunque non l’ho letto, è in
latino, ma è uno di quei libri che si contemplano per la
bellezza, non va
sfogliato.” Zoe era senza parole, con uno sguardo luccicante.
Si capiva lontano
un miglio che avrebbe voluto vederlo, ma non glielo chiedeva, forse per
pudore
o vergogna. “Quando siamo a Los Angeles te lo mostro
ok?”
“Oddio
sì!” Squittì cercando di mantenere
un tono basso di voce. Ora il sorriso della ragazza era ancora
più splendente e
pure Jared sentì quella strana sensazione di cameratismo.
“Quindi
alla fine hai baciato Mark
Sheppard?”
“No,
ero troppo in basso nella scala
gerarchica. Uno come lui andava solo con le Cheerleader. Io mi sono
rifatta con
Steve... non ricordo il cognome. Era più grande di me di un
anno. Baciava anche
piuttosto bene.” Posò il cucchiaino prima di
esplodere e rannicchiò le gambe al
petto, mettendo i talloni sulla sedia. Poi appoggiò la testa
sulle ginocchia.
“E
il tuo primo bacio? A chi?”
“Mary
Applagate. Era nella mia stessa
classe di scienza. Capelli rossi, occhi verdi e tristezza perenne. Era
difficile gestirla per più di dieci minuti, aveva una
terribile tendenza a
farsi del male.” Zoe notò gli occhi grigi
dell’uomo diventare ancora più grandi
e forse leggermente umidi di commozione.
“Era
goffa?”
“No,
era depressa. L’ho trovata nel retro
della scuola svenuta dopo aver ingerito una boccetta di pillole.
È così che
abbiamo iniziato ad uscire assieme.***”
“Cavoli,
mi spiace.” Lui fece spallucce.
“Ci
sono persone che non riescono ad
affrontare il dolore. Lei era una di queste, ma le ho voluto
bene.” Poi si mise
a ridere di gusto sotto lo sguardo perplesso di Zoe “Io e lei
in quel periodo
abbiamo fatto tante di quelle bigiate da scuola. Andavamo in giro come
se la
vita fosse tutta li.”
“Non
andavi a scuola?”
“Ci
andavo tra i ritagli di tempo.**** Non
ho mai sopportato le imposizioni nello studiare. Non ho mai perso anni,
piuttosto studiavo in solitario, ma odiavo perdere tempo in una stanza
chiusa,
con dei compagni che non capivano nulla, delle insegnanti vecchie e
rintronate.
Perchè quella faccia?”
Zoe
scosse la testa.
“Vedi
ero convinta che fossi un secchione
tutto precisino, una sorta di nerd che veniva malmenato da
chiunque.”
“C’è
stato anche quel periodo, ma avere
Shannon come fratello ha aiutato a stare bene. Lui era veramente un
bullo e
faceva a pugni come un professionista. Quando scoprì che ero
sotto tiro di una
banda di idioti, fece una strage. Fu esilarante. Solo ora mi rendo
conto che
era semplicemente squallido. La violenza non aiuta, bisognava parlare,
discutere etc. Peccato che quando sei giovane hai la patente per essere
stupido.”
“Che
fine ha fatto Mary?”
“Non
lo so. Di sicuro rimarrà Eterna nella
nostra canzone, ma fisicamente non ho idea se sia ancora viva o si sia
distrutta definitivamente.”
Scese
il silenzio. In lontananza si
vedevano le luci di Atlanta. Sapevano che si sarebbero fermati in un
parcheggio
per poi andare, la mattina in Hotel a sistemarsi e a fare colazione.
Zoe
sbadiglio sommessamente: finalmente la stanchezza stava iniziando a
scendere su
di lei. Quella giornata, passata tra GT e ospedale, con una certa
apprensione
per lui, era stata infinita e l’adrenalina l’aveva
tenuta su fino a quel momento.
Voleva ancora rimanere li a parlare con lui, quando le sarebbe capitato
di
nuovo che si aprisse in quella maniera.
“L’amavi?”
“No.”
Sospirò e si corresse “Cioè,
all’epoca ero completamente cotto di lei, ero sicuro che lei
sarebbe diventata
mia moglie.” Lei lo guardò a bocca aperta
“Ebbene sì, sognavo di sposarmi. Poi
con gli anni ho capito che non amavo Mary, anche se le volevo bene.
L’amore,
quello vero, è diverso, fa più male e ti cambia
radicalmente, ma a diciassette
anni percepisci le cose in maniera diversa.” Zoe era li li
per chiedergli del
suo vero grande amore, ma evitò: lo avrebbe fatto incazzare
e non voleva che
succedesse. “Paradossalmente mi manca quella
sensazione.”
“Quale?”
“Quella
dell’essere innamorato. Quel
sentimento straziante che ti fa venir voglia di ucciderti, ma che allo
stesso
tempo ti rende euforico e felice. Quel sentimento che ti fa pensare di
poter
fare qualquasi stronzata, tanto tutto andrà bene. Quel
sentimento che ti fa
vedere l’altra persone come se fosse perfetta in tutto,
completa delle sue
imperfezioni e difetti.”
Si
fermò consapevole di essersi esposto
forse un po’ troppo. Deglutì, leggermente
commosso, ma apprezzò il fatto che
Zoe non avesse aperto bocca, ma continuava a guardarlo con
comprensione.
“Che
ne dici Zoe, andiamo a letto?” e si
complimentò per non aver dato alla frase una pericolosa
connotazione perversa.
“Sì,
credo che si stia facendo tardi per
entrambi.”
Entrarono
insieme nella zona notte, dove
Shannon stava dando il meglio di sè.
“Mamma
mia, neanche con la batteria fa così
casino.” Sussurrò Zoe.
“Hai
i tappi?”
“Sì.”
“Bene.
Buonanotte Zoe.
“Notte
Jared.” Scivolarono sotto le
coperte, Jared Sprimacciò il cuscino per sistemarsi al
meglio e poco prima di
mettersi i tappo nelle orecchie, sentì un leggero
“Grazie.”
Sorrise
al buio.
Dopo
aver ammirato il Duomo tornarono di nuovo a Piazza del Campo: Zoe
voleva
assolutamente visitare il museo del Palazzo del Comune e sperava che in
quel
momento ci fossero meno turisti, visto che si avvicinava
l’ora di chiusura.
Jared, faceva foto con il suo telefono e si godeva
l’incessante parlare della
ragazza, su discorsi che variavano da cosa voleva mangiare quella sera,
alla
storia di Siena a partire dal tempo dei Romani.
Stranamente
non gli dava fastidio: era abituato a parlare sempre, ad essere al
centro
dell’attenzione ventiquattro ore al giorno e non gli piaceva
essere interrotto,
invece la voce di Zoe gli entrava dentro e li ci rimaneva molto
volentieri. Lo
faceva sentire così bene ed incredibilmente così
normale, una sensazione che
provava di rado. A girare come una trottola per tutto il mondo, essere
riconosciuto ed osannato, si era un attimo esaltato. Il suo normale
egocentrismo era lievitato a dismisura e stare con Zoe riusciva a
fargli
rimettere il mondo nella giusta prospettiva. Era una cosa importante,
lo aveva
capito da un paio di giorni.
“Jared
ti sto annoiando, vero?”
“No,
anzi, è molto interessante. Sai un sacco di cose ed
è molto bello ascoltare chi
conosce veramente un argomento perchè fa capire che ti
piace. Diventi raggiante
quando parli. Diventi ancora più bella.”
Zoe
si bloccò diventando paonazza. Da dove uscivano tutte quelle
gentilezze? Le fu
risparmiato di dover rispondere quando due ragazze, eccitatissime, si
avvicinarono a Jared chiedendo di farsi fare una foto.
Zoe
lo fissò normalmente: capelli lasciati giù, una
maglia verde scuro, i pantaloni
neri e i classici Ray Ban sugli occhi. Bellissimo, non
c’erano altri aggettivi
per definirlo meglio. E soprattutto stava bene. Aveva ripreso un
po’ di colore,
la voce stava tornando e negli occhi non aveva più quella
stanchezza cronica
che si portava dietro fin dall’inizio del tour. Andare in
giro per vecchi
Comuni gli faceva bene, avrebbe duvuto riportarcelo appena possibile.
Certo,
aveva ancora delle belle occhiaie, ma ammise con se stessa che era
anche colpa
sua, visto che la notte facevano di tutto piuttosto che dormire. Ebbe
un
fremito al pensiero del livido che lui le aveva lasciato sul seno
quella notte
e andò a sfiorarselo inconsciamente. No, con quei ritmi
notturni col cavolo che
le occhiaie di entrambi sarebbero sparite.
Vide
che le ragazze lo stavano ringraziando e cercò di darsi un
contegno mentre
andava da lei. “Tranquilla Zoe” pensò
tra sè “Non è successo nulla. Torna in
te. A lui piace quando sei in te. Ma che sto pensando?”
scosse il capo: anche
il suo cervello remava contro.
“Tutto
ok Zoe? Andiamo al museo?”
“Certo,
come no.” Voce leggermente acuta. Si maledì e se
ne accorse anche lui che
sorrise.
“Perchè
sei arrossita?”
“Perchè
ho caldo.” Lui rise di gusto, in una maniera che fece girare
un po’ tutti,
soprattutto le ragazze che ancora in brodo di giuggiole guardavano la
foto
appena scattata.
“Non
sai dire le bugie.” Le si avvicinò e la prese per
le braccia facendole fare una
mezza giravolta “E ti adoro per questo.”
Il
bacio fece ammutolire chiunque. Zoe sentì un certo
formicolio in tutto il corpo
partire esattamente dalle lingue intrecciate fino ad arrivare alle dita
che lo
stavano letteralmente ghermendolo alle braccia, come se non volesse
farlo
andare via. In quel momento tutti i pensieri tipo,
c’è gente, che succede se ci
vedono, verranno fuori casini enormi, stavano passando in secondo
piano. Anzi
terzo. Prima di tutto c’era la bocca famelica di Jared che la
stava
letteralmente mangiando e questo pensiero era quello che annullava
tutto il
resto. Poi, in secondo luogo, sentiva proprio tutto il corpo
dell’uomo che la
stava amando, come se fossero da soli, come se il mondo non ci fosse.
Come se
fossero un uomo e una donna normali, non il cantante di una band
internazionale
e la sua collaboratrice.
Come
due innamorati.
Quel
pensiero la fece decisamente rinsavire e si staccò
leggermente ansante.
“Museo?”
“Dopo
di te.”
*Ovviamente
non ne sono così sicura.
**
Il libro esiste ed è stato regalato a
Jared a Milano nel 2008. Uno dei migliori regali di sempre e sono
decisamente
orgogliosa di averne fatto parte.
***
Tutto inventato!!!
****Questo
è vero. In una conferenza in una
scuola femminile in Nuova Zelanda ha risposto alla domanda di una
ragazza
dicendole che lui a scuola ci andava molto poco perchè
bigiava.
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 ***
Capitolo
5
Stava
guardando il tramonto su una spiaggia deserta. Sembrava Venice Beach
ammantata
di lue arancione, grazie al sole che spendeva la sua luce calda attorno
a lei.
Si sentiva in pace, felice e tranquilla. Intorno a lei non
c’era nulla, solo il
mare, con l’acqua che le bagnava le punte dei piedi.
All’improvviso
una strana sensazione di completezza: dietro di lei qualcuno la stava
abbracciando, un corpo che conosceva bene e che le dava quella
sicurezza
assoluta. Sentì due braccia cingerle la vita e due labbra
sorriderle sul collo.
Praticamente la perfezione.
Non
fosse che la cosa sembrava fin troppo fisica.
Zoe
lentamente aprì un occhio e vide il cuscino bianco
dell’hotel davanti a sè,
mentre una bocca fin troppo conosciuta le stava lentamente baciando
tutta la
schiena, partendo dalle spalle, per scendere fino alla dolce curva
delle
natiche. Sorrise quasi tra se: tra il sogno e la realtà
c’era veramente
pochissima discrepanza. Si lasciò cullare volentieri da
quelle labbra, anche
quando presero a scendere maliziose: era inutile, per quanto lei si
sforzasse,
Jared si svegliava praticamente sempre prima di lei. Era più
facile che lui
crollasse prima, subito dopo aver finito di chiacchierare o di fare
sesso, ma
la mattina lui era sempre sveglio come un grillo e si divertiva
parecchio a
svegliarla.
Zoe
mugolò quando Jared raggiunse un punto particolarmente
sensibile e si girò
sulla schiena.
“Mi
togli il divertimento, dormigliona.”
“Ho
sonno.” Mormorò. “Che ore
sono?”
“Le
sei e mezza.” Il gemito di disperazione fu elequente, mentre
Jared rise. Quasi
strisciando si mise sopra si lei accarezzandole il collo con il naso,
graffiandole la pelle con la leggera barba della notte. “Non
riuscivo a dormire
e ho pensato di svegliarti nella maniera più dolce che
conoscevo. La prossima
volta ti butto in vasca da bagno.”
Zoe
non si prese la briga di replicare, ma semplicemente si girò
di lato, dandogli
la schiena. Era troppo presto per lei: avevano appuntamento con il
resto della
band appena alle dieci in modo da partire con calma verso Honk Kong. Si
limitò
a prendergli il braccio a portarlo verso di sè, in modo che
fossero incollati.
Magari sarebbe riuscita a farlo dormire ancora un po’.
Jared
sorrise e, se in parte ci era rimasto male perchè aveva
voglia di giocare, capì
che per Zoe l’orario era improbo. Però gli piaceva
essere abbracciati a letto,
fra quelle lenzuola bianche, con una leggera luce pallida proveniente
dall’esterno. Gli dava quella strana prospettiva di
normalità che fino a quel
periodo non aveva mai poi troppo provato. Neppure con Cameron. Strano
come la
sua immagine stava lentamente sbiadendo dalla sua mente. Secondo Tomo,
persona
decisamente più adatta per questo genere di discorsi che non
Shannon, era
normale che una persona che non si vedeva e sentiva per tanto tempo se
ne
andasse, soprattutto se stava venendo rimpiazzata da un’altra.
Si
stava innamorando di Zoe?
Era
un pensiero che gli era passato spesso per la testa, soprattutto in
quegli
ultimissimi giorni in Oriente. Sarà stata l’aria,
o lo strano rilassamento che
avevano tutti, ma le sembrava più tranquilla anche riguardo
a loro due. Dalla
sceneggiata davanti a tutta la crew, erano cambiate parecchie cose.
Innanzi
tutto non si nascondevano più, almeno non dagli altri.
Nessuno li guardava più
con curiosità, ormai erano abituati alle loro occhiate
fugaci, a quello
sfiorarsi di dita, come a cercarsi quando camminavano vicini. Ai lividi
che lei
immancabilmente si ritrovava sparsi per il corpo, come una perfetta
mappa dei
loro giochi notturni. Non occorreva più dire ad Emma di
prenotare una stanza
sola, lo si sapeva d’ufficio.
Erano
una coppia.
Strana,
ma una coppia.
Onestamente
non aveva idea se la cose fosse un bene o un male.
Si
avvicinò ancora di più, ormai erano del tutto
incollati, tolse i capelli mossi
di Zoe da davanti al naso e chiuse gli occhi. Non si sarebbe
addormentato, ma
almeno avrebbe riposato un pochino.
Due
ore dopo, Zoe aprì gli occhi di scatto. C’era
qualcosa che non andava, ma cosa?
Capì immadiatamente che ciò che stonava era il
corpo muscoloso spalmato su di
lei e la mano di Jared mollemente appoggiata sul suo seno nudo.
Per
la prima volta si sentì estremamente potente: poteva giocare
con lui!
Lentamente
scivolò via dal suo abbraccio, si voltò e le
passò qualsiasi voglia di giocare.
Jared
Dormiva tranquillo, un ciuffo castano davanti gli occhi chiusi, le
labbra
leggermente aperte. Rilassato, così in pace con il mondo.
Zoe portò la mano
sulla sua spalla, ma senza toccarla, a pochi millimetri dalla pelle
ancora
fresca. Iniziò una carezza virtule su tutto il braccio, poi
scendere sul
fianco. Sull’anca si fermò, particolarmente
attratta dall’osso che sporgeva
creando quella piccola conca che amava stuzzicare appena poteva. Il
lenzuolo
copriva il resto del corpo, quindi evitò di andare alla
scoperta delle zone più
intime. Non che lui non avesse gradito di essere svegliato, ma a lei
piaceva così
tanto vederlo tranquillo per una volta.
Silenziosamente
recuperò qualche vestito e andò in bagno a darsi
una rassettata. Un quarto
d’ora dopo uscì e Jared era sempre nella stessa
posizione in cui lo aveva
lasciato. Non resistette alla tentazione: prese il suo Blackberry e gli
fece un
paio di foto, prima da lontano e poi un primo piano che mise
immediatamente
come sfondo. Le sembrava di essere un po’ una ragazzina
stupida a fare una cosa
simile, ma quel volto così angelico, che stonava un
po’ rispetto alla vera
personalità Jarediana, era troppo bello per non essere
ricordato ogni momento.
Sorrise
in preda a quella stana euforia che l’animava da giorni ed
uscì silenziosamente
dalla stanza per andare a fare colazione. Il rumore proveniente dal suo
stomaco
le ricordò di farla anche piuttosto abbondante. Aveva quasi
voglia di
fischiettare, quando vide uscire
di
soppiatto Emma da una camera.
“Buongiorno
Emma.” Quella sobbalzò e la fissò
leggermente spaventata, poi, visto chi era,
si rilassò.
“Ciao
Zoe.”
Zoe
guardò
il numero sulla porta e poi fissò lei sconsolata.
“Ci
sei caduta di nuovo?” Emma sospirò.
“Andiamo
a parlarne davanti un caffè. Ho bisogno di qualcosa di forte
oggi.”
“Allora
meglio se te lo fai correggere con un po’ di
liquore.”
Nella
caffetteria non c’erano molte persone: i turisti erano
già partiti per le varie
escursioni e anche gli uomini d’affari si alzavano presto.
C’era qualche
ritardatario e in un tavolino a parte Tomo che parlava al telefono,
probabilmente con Viki, e dava chiaramente l’idea di non
voler essere
disturbato.
“Allora?
Sto aspettando Emma.”
“Non
c’è nulla da dire. Ho ventinove anni e sono capace
benissimo di gestire la mia
vita sentimentale.”
“Ah,
perchè ne hai una? Ero convinta che con Shannon dovesse
essere una botta e via,
o ricordo male?”
Quella
mattina si era svegliata
relativamente di buon umore. Innanzi tutto, pensò, non era
proprio mattina.
Rigirava
la forchetta nel piatto, cercando
di prendere una patatina novella che si rifiutava di farsi infilzare.
Zoe
sbadigliò: non aveva proprio fame, era li solo per evitare
di stare in stanza
da sola.
Il
Mal di testa stava, almeno passando. Non
ricordava da quanto tempo non prendeva una sbronza così
colossale. Del resto
era l’ultimo dell’anno, aveva la licenza di bere.
2011.
Wow,
se ci pensava le girava la testa. Las
Vegas l’aveva ritronata del tutto. Era sempre sveglia, sempre
in movimento. Le
luci non si spegnevano mai, c’era sempre qualcuno a quelle
macchinette
infernali e lei si sentiva una formichina in mezzo a tutta quella
grandezza. La
cosa allucinante era che lei viveva a Los Angeles, città non
proprio piccola.
Eppure Las Vegas la intimoriva.
In
definitiva non le piaceva e non vedeva
l’ora di ripartire verso casa. Tanto Jared aveva dato il tana
libera tutti,
visto che se ne sarebbe partito per Haiti da li a poco, quindi senza
nessun
senso di colpa lei sarebbe tornata nella sua amata casetta.
Annoiata
cercò di ricordare qualcosa della
sera precedente: c’era stato il concerto, con la solita
follia ed isterismo,
anche se in Europa ce n’era sempre molta di più.
Aveva visto le solite facce e
la cosa l’annoiava parecchio. Almeno era riuscita a trovare
un ragazzo con cui
passare la notte. Insomma, qualcosa per non rimanere sola. Proprio un
qualcosa,
dato che non aveva la più pallida idea di che faccia avesse
e come mai al
mattino non c’era più. Aveva controllato che i
soldi e l’i-pad che Jared le
aveva ragalato fossero ancora al loro posto e non si era preoccupata di
altro.
Da quanto le facevano male le gambe, si era divertita parecchio. E
anche dai
preservativi nel cestino del bagno. Doveva essere stata molto brava, ma
sapeva
che l’alcol le dava quella spinta in più.
Sorrise
ad Emma che, con degli occhiali
neri cecava di coprire le occhiaie profonde da notte insonne.
“Divertita
eh?”
“Sì,
più o meno.” E sbadigliò.
“Ottimo,
anche io! Era ora, ero stufa di
vedere i Leto sbattersi qualsiasi cosa e io restare a secco.”
Zoe ridacchiò
sperando che Emma l’aiutasse a prenderli in giro come faceva
sempre, invece si
mise a mangiucchiarsi un’unghia. “Tutto
ok?”
“Certo,
come sempre. E comunque Jared
stanotte minimo tutte e due le Gemelle si è fatto. Insieme,
ovviamente.*”
“Avessi
potuto sceglierei, sarei andata con
Natalie. Molto più Sexy.”
“Si
Ma lesbica.” Zoe non se la sentì di
commentare. Era vero, Natalie aveva detto che era lesbica, ma lei non
poteva
credere che con un Jared Fra le gambe non avesse provato neanche un
brivido.
Lei sarebbe impazzita, ne era certa.
Jared
tra le gambe... mamma mia, un sogno.
No, Zoe, pericolosissimo, pensò. Meglio sviare il discorso
da Jared.
“E
Shannon? Sumire? Molto bellina in
effetti, solo parecchio alta per lui.”
“Non
è stato con Sumire.”
“AH
no? Boh, gente ieri sera non mancava,
spero per lui che non abbia fatto la cazzata di scoparsi una
Echelon.”
Silenzio.
Emma Guardava un punto indefinito
della luccicante hall dell’hotel. Zoe ci mise un
po’ a capire.
“Oh...
Emma, non sarà quello che penso,
vero?”
“E
anche se fosse? Sono abbastanza capace
di gestire la mia vita sentimentale. Anzi, neanche sentimentale, solo
sessuale.
Con Shannon basta e avanza quella.”
Zoe
la guardò sperando di capire che le stava
succedendo: Emma era sempre stata una donna tutta d’un pezzo.
Da quando l’aveva
conosciuta, anni prima, non aveva mai dimostrato debolezze, di
qualsiasi
genere, verso uno dei ragazzi.
“Da
quanto va avanti?” Aveva come la
certezza che quella notte non fosse stata l’unica.
“Da
troppo. O da troppo poco. Non ha
importanza, so solo che va avanti e questo è un
casino.”
“E
allora vedi di farlo smettere.”
Emma
prese a toccarsi le tasche, come a
cercare qualcosa poi sbottò.
“E’
in momenti come questo che rimpiango la
scelta di non fumare.” Sospirò togliendosi gli
occhiali. Lo sguardo che i suoi
occhi azzurri avevano era quello di una sorta di quieta disperazione.
Come se
una piccola Emma stesse annengando in quello che era un oceano fin
troppo
grande per lei. Zoe provò un brivido e sperò con
tutto il cuore che a lei non
capitasse mai di trovarsi in quella situazione. “Quando avrai
una relazione con
uno di quelli li, capirai che non è così semplice
smettere. Finisci per
sentirti drogata e più ne hai e più ne vorresti
avere.”
Insieme
si avviarono al bancone del bar e
ordinarono un analcolico: non potevano sbronzarsi il primo pomeriggio
dell’anno.
“Non
c’è possibilità che la cosa diventi
seria?” l’occhiata obliqua di Emma
bastò. “Hai ragione. Shannon e storia seria
nella stessa frase non ci stanno.”
“Lui
è una persona Fantastica. Loro sono
fantastici, veramente, ma mettersi in relazione con loro non
è semplice. Anche
sul lavoro... bhe più Jared, per questo con lui non
è mai successo nulla. Ma
Shannon... quell’uomo manda in tilt qualsiasi radar possa
avere. E non
fraintendere, so benissimo che lui mi vuole un bene
dell’anima. Probabilmente
si farebbe tagliare un braccio per me, però non è
fisicamente capace a rimanere
in una relazione. Tutto qui.”
Tutto
qui un corno, aveva pensato all’epoca e lo pensava anche in
quel momento.
Shannon
ed Emma continuavano quella giostra da mesi: una notte ogni tanto, o
neanche
solo di notte, si guardavano, scattava qualche cosa ed inevitabilmente
finivano
per fare sesso.
O
fare l’amore.
Zoe
Sapeva con certezza matematica che entrambi si amavano, solo che
nessuno dei
due ne parlava e questo li portava a stare sul ciglio di un baratro
veramente
pericolante. Ne aveva parlato un po’ con Jared, ma lui
scrollava le spalle
ribadendo il concetto che erano liberi di fare quello che volevano,
fino a
quando non subentravano problemi lavorativi. La verità era
che voleva lavarsene
le mani, perchè non poteva dire al Fratello chi scopare e
non poteva licenziare
Emma.
L’efficente
segretaria sospirò: sembrava semplicemente una ragazza
normale e non quella
macchina organizzatrice che era solitamente.
“Odio
dirlo, ma Jared ha ragione.”
“In
cosa?” Chiese Zoe curiosa.
“Non
si deve mai mescolare lavoro e vita privata. È stata la
prima regola non
scritta sul nostro contratto lavorativo. E credevo di essere abbastanza
brava a
non infrangerla, invece eccomi qui, a piangermi addosso come una
bimbetta
idiota.”
Sembrava
veramente incazzata, come se aver ceduto a Shannon, fosse un neo
incancellabile. E forse era così.
“Vabbè,
però se c’è sentimento che problemi ci
sono?” Emma rise malincoica.
“Il
problema nasce quando i sentimenti, quelli forti, li prova una sola
persona e
non entrambe.” Sospirò. “Lasciamo
perdere. Prima o poi questa cosa finirà.”
Le
tazze erano vuote, del toast di Zoe erano rimaste solo le briciole,
mentre di
quello di Emma più della metà.
Zoe
guardò la sua amica ed improvvisamente si sentì
soffocare.
Era
destinare a fare la sua stessa fine? Lei e jared si erano conosciuti
solo
tramite il lavoro di lui, eppure la cosa era scivolata quieta in una
relazione
decisamente diversa dall’iniziale. Non riusciva
più a vedere Jared solo come il
suo datore di lavoro, ormai era il suo, Oh Diavolo, ragazzo.
No,
pensò, non era vero, tra loro non c’erano mai
stati quegli atteggiamenti da
coppietta che lei vedeva in giro. Erano tranquilli, rilassati e
consapevoli di
portare avanti una storia con la data di scadenza.
Il
suo monologo interiore fu interrotte da una chiamata, che, a giudicare
dal
numero, proveniva dalla zona di Los Angeles. Aggrottò la
fronte e rispose.
“Pronto?
Ciao Maggie.”
Emma
la fissò: non voleva passare per la rompipalle di turno, ma
aveva
effettivamente paura che tra Zoe e Jared potesse finire come tra lei e
Shannon
e in fondo non lo voleva. Zoe era una ragazza in gamba che poteva avere
il
meglio dalla sua vita. Girare appresso a Jared non era semplice e ti
annullava.
Lei lo sapeva benissimo, gli aveva fatto da segretaria per anni e la
sua vita
privata si era vaporizzata. Il suo ex ragazzo dopo qualche mese di
giostra
l’aveva scaricata per una dal lavoro più stabile e
soprattutto in una città soltanto
e non in giro per il mondo. Ammetteva, però, che tra i due
la storia era
decisamente differente rispetto la sua. Jared sembrava molto
più disposto a
legarsi con Zoe di quanto non lo fosse Shannon. Aveva come deciso di
rimettersi
in gioco, anche se molto prudentemente. Era più lei che
sembrava titubante e
forse faceva bene.
“Buongiorno.”
Dietro di lei fece la sua apparizione Jared. Emma rimase quasi senza
parole.
Il
suo capo stava bene. Non aveva altri modi per definare il suo stato.
Sembrava
che la stanchezza del tour fosse scomparsa, aveva lo sguardo
scintillante, la
pelle radiosa di un colore rosato e sano, non quella sottospecie di
bianco
malaticcio.
E
sorrideva.
Sorrideva
sempre, dando al mondo intorno a lui un significato diverso.
Emma
non aveva mai provato voglie particolari verso Jared, tranne forse
proprio
all’inizio quando ancora non lo conosceva bene, ma sapeva e
riconosceva il suo innato
carisma e la capacità di far girare il mondo attorno a
sè solo un sorriso di
quelli giusti. Jared non poteva passare inosservato, o lo si amava o lo
si
odiava, ma di certo non era indifferente.
Le
si
strinse il cuore: era innamorato? Era così che era quando
c’era Cameron? Felice
e soddisfatto, incurante della stanchezza?
“Ciao.
Mangi qualche cosa?”
“Sì,
posso unirmi a voi?”
“Certo,
anche se io ho finito, magari fai compagnia a Zoe, io vorrei farmi la
doccia
prima di partire.”
Jared
annuì, mentre vedeva la sua segretaria, o meglio ex
segretaria, andare verso la
sua stanza. Poi fissò Zoe: stava ascoltando qualcosa di
decisamente
interessante se neanche si era presa la briga di salutarlo con un cenno
di
mano. Lo sguardo era fisso e concentrato, qualcosa di nuovo brillava in
lei,
qualcosa di assolutamente inaspettato.
Jared
si prese il suo solito succo di frutta e due pancake con lo sciroppo
d’acero
che bene faceva alla sua gola perennemente martoriata da qualsiasi
virus si
aggirasse inerme intorno a lui, poi tornò al suo posto,
mentre Zoe parlava
concitatamente.
“Tu
stai scherzando, vero? Non puoi essere seria!”
Le
prese la mano accarezzandola e lei, di rimando, gliela strinse. Jared
esultò
dentro. Si stava avvicinando a grandi passi, ormai era vicino. Voleva
solo
aspettare il momento giusto, il luogo giusto per dirglielo e sapeva
anche dove
l’avrebbe portata.
Era
lei, era solo Zoe la ragazza che lo faceva stare bene e non
perchè fosse la più
bella ragazza del mondo, ma perchè era colei che lo
completava. Lei gli dava la
forza per andare avanti ogni giorno, ma era anche colei che lo teneva
ancorato
alla realtà in modo che non si schiantasse a terra quando il
suo ego lo
trascinava lontano. Non si preoccupava di essere qualcuna che non era e
non si
faceva il minimo problema a dirgli quando sbagliava.
E
lo
faceva ridere.
A
letto con il sollettico, con le battute sagaci, o semplicemente con le
sue
facce buffe. Era un balsamo al cuore, ed era per questo motivo,
soprattutto,
che voleva chiederle di diventare ufficialmente la sua ragazza.
Si
sentiva come un ragazzino idiota.
Sorrise
quando lei chiuse la telefonata. Sembrava intenta in pensieri lontani.
“Tutto
bene? Problemi?” lei lo fissò, quasi sorpresa di
trovarselo davanti.
“Si.”
“Vuoi
parlarne?” Lei sorrise.
“No,
non c’è nulla da dire.”
*Ovviamente
non so se è vero.
Nota
finale: ovviamente la storia tra
Shannon ed Emma è totalmente inventata. Io non so se tra
loro ci sia mai stato
qualcosa di qualsiasi natura. Però mi piace vederli assieme.
*Scappa per non
essere picchiata dalle ShanGirl*
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 ***
Capitolo
6
Jared
l'aveva presa e portata via. Nel vero senso
della parola.
Avevano
terminato il concerto In Ungheria ed Era sceso
dal palco e l'aveva caricata sulle spalle (si domandò la
fatica che aveva fatto
per tirarla su) e l'aveva portata come un sacco di patate fino ad una
delle
macchine in dotazione della EMI. Zoe aveva subito capito che Emma
sapeva di
quella macchinazione, mentre gli altri no. Altri che, tra risate e
bocche
aperte per lo stupore, li fissavano divertiti. E lei si sentiva
umiliata...
Odiava stare al centro dell'attenzione, ma sapeva che finchè
aveva questa
relazione con Jared, sarebbe stato impossibile rimanere ai bordi del
circo
marziano.
"Mi
puoi dire dove mi stai portando?"
"No,
è un segreto. Comunque restiamo in
Europa."
"Per
forza! Tra tre giorni suonate di nuovo,
fossimo andati in America, avremmo speso tutto il nostro tempo libero
in
aereo." e si mise a guardare fuori dal finestrino la strada che
scivolava
via veloce.
Jared
sorrise: si sentiva pronto, invincibile.
Perfetto. Più di quanto già non fosse. Megalomane
lui? No!
Eppure
c'era qualcosa che non capiva del tutto in Zoe.
Ultimamente era piuttosto sfuggente. C'era qualcosa che non gli stava
dicendo.
Non che questo limitasse le loro infinite chiacchierate o le loro
notti,
però... Non sapeva come definirlo, Zoe sembrava con una
parte della mente
occupata da un pensiero costante. Jared era curiosissimo: cosa le stava
frullando
per il bel cervellino?
Le
prese una mano e gliela baciò, mentre lei gli
sorrideva. L'iniziale arrabbiatura che aveva si era dissipata e ora
sembrava
tranquilla vicina a lui. Molto meglio vederla così
sorridente, piuttosto che con
quel cipiglio battagliero che ogni tanto spuntava fuori per farlo
impazzire.
Sì, perchè quando lei si impuntava su qualcosa
era decisamente difficile farle
cambiare idea. E siccome Jared odiava dover ammettere di avere torto,
iniziavano delle schermaglie incredibili. Una volta Shannon si era
preso i pop
corn e aveva iniziato a mangiare guardandoli mentre si scannavano su
un'idiozia
che in quel momento neanche ricordava.
"Almeno
mi dai un indizio di dove mi stai
portando?"
"E
va bene, ma solo uno." l'aeroporto era
vicino, comunque Zoe avrebbe visto la loro destinazione dal monitor,
quindi
tanto valeva dirle tutto."Andiamo nella città più
bella del mondo!"
lei si voltò e lo guardò sconvolta.
"perchè mi guardi così?"
"Non
mi starai mica portando a Parigi, vero?"
Jared
sorrise felice, come un bambino il giorno di
Natale.
Zoe
sospirò per l’ennesima volta.
Era
stanca e stufa, le facevano male i
piedi e aveva voglia di cambiarsi. Era tutto il pomeriggio che girava
come una
trottola per Parigi dietro a Jared e Shannon in piena voglia di
shopping.
Oltretutto lo shopping sbagliato, perchè entrambi erano
vestiti come neanche un
barbone si sarebbe mai conciato. Eppure entravano in ogni negozio e
compravano
qualcosa e lei si annoiava da morire.
“Ma
che ne dici se ti prendi qualche cosa?”
Fece Shannon nel negozio di Dior.
“Non
mi pagate abbastanza per potermi
permettere qualcosa qui dentro. E poi non è il mio
genere.”
“Non
è il tuo genere perchè non ci provi.”
Shannon chiamò una ragazza che arrivò da lui con
un sorriso enorme. Zoe roteò
gli occhi. “Signorina, per favore... mi vesta questa
ragazza.”
“Oui.
Preferenze?” l’accento francese era
piuttosto marcato, ma almeno si capivano.
“Quello
che vuole lei, ma mi piacerebbe
qualcosa di femminile per una volta.”
“Shannon,
che intenzioni hai?” mugolò Zoe
disperata.
“Nessuna,
vorrei solo far uscire la
farfallina che c’è in questo bruco.”
Zoe
seguì la commessa che non sembrava
particolarmente felice di dover servire lei e non quel pezzo di uomo
che, anche
se vestito in maniera ridocola, era decisamente molto più
affascinante di lei.
Se ne fregò: in fondo sapeva di essere solo una piccola
nullità messa a
confronto con i Leto.
“Allors,
preferisci lungo o corto.”
“Pantaloni?”
la commessa la fissò male ed
iniziò a prendere un paio di modelli da sera, lunghi ed
incredibilmente
eleganti. Lei scosse la testa. “Sono troppo eleganti. Se
proprio devo prendere
un vestito, che almeno lo possa mettere durante il giorno.”
La ragazza
finalmente le fece un piccolo sorriso contenta che si stesse
leggermente aprendo.
Non c’era niente di peggio di una cliente che non voleva
niente e poi le faceva
prendere tutta la collezione.
“Quindi
vestiti da giorno. Ecco qui, provi
questi.”
Zoe
prese le grucce che le stava passando e
si chiuse nel camerino. Il primo vestito era molto semplice, nero, un
tubino
con una scollatura storta. Non lo avrebbe provato: non aveva un corpo
abbastanza perfetto per poter portare quella cosa si. Mentre
l’altro era molto
molto bello. Di colore rosa, però, che a lei non piaceva
tanto. Il corpetto era
attillato e tenuto su con un paio di spalline sottili, la schiena
completamente
scoperta. La gonna, leggera come una piuma, scendeva a coprirle le
gambe fino
al ginocchio. Era splendido e lei si sentiva una bambolina e
decisamente non a
suo agio. Aprì la tendina e la commessa fece un sorriso a
quaranta denti.
“Sta
benissimo.”
“Non
lo so, il colore non mi piace molto.”
E fece un mezzo giro alzando la gonna.
“Sei
splendida.” La voce di Jared fece
capolino da dietro una mensola. Zoe deglutì e
ringraziò a bassa voce. Andarci a
letto era un conto, sentirsi dire che era bella, tutto un altro.
“Signorina,
provi questo, credo che le
starebbe ancora meglio.”
Fece
quello che le aveva detto, e si guardò
allo specchio rimanendo a bocca aperta. Era proprio lei?
Il
vestito era formato da diversi strati
impalpabili di seta bianca con dei motivi floreali di ciliegio. A
livello della
vita c’era una specie di sottile cintura di un leggero color
nocciola. Il
bustino era leggero, con il reggiseno cucito all’interno che
le sosteneva il
seno e non c’erano spalline.
“Signorina,
provi queste scarpe.” Erano
delle Decoltè con un tacco medio, un sottile laccetto a
tenere ferma la
caviglia e la punta aperta, di un delicato colore bianco.*
“Mi
servirà un numero più piccolo.”
Quando
la commessa le portò le scarpe
giuste, lei uscì. I capelli li aveva lasciati liberi di
scendere, come se
volesse coprirsi: lei non si era mai messa vestiti così
vistosi. Davanti a lei
c’era la commessa radiosa, come se fosse una mamma che manda
la figlia al ballo
scolastico, e Jared che la guardava come se non l’avesse mai
vista prima. E
stranamente a bocca aperta.
“Voilà,
c’est magnifique.”
“Che
dici Jared?”
“Non
ho parole. Lo prendiamo.”
“Jared
non posso permettermelo.” Fece Zoe a
bassa voce. Aveva visto il cartellino e quel mezzo chilo di stoffa
valeva più
del suo stipendio mensile. E non voleva sapere quanto potevano costare
le
scarpe
Lui
le si avvicinò, le mise le mani sulle
spalle e le spostò i capelli. Il tocco delle sue dita sulla
pelle la fece
rabbrividire.
“È
un regalo da parte nostra.” Poi le si
avvicinò all’orecchio, mentre la commessa li
guardava invidiandola parecchio
“Non vedo l’ora di togliertelo
però.” Lei arrossì e andò a
cambiarsi di corsa,
tornando con i suoi vestiti di tutti i giorni, Jeans e maglietta dei
Mars.
Tornati
in strada, Zoe si accorse di come
Jared la guardava: la voleva li e subito. Era il chiaro sguardo da
letto. Provò
un brivido di aspettativa. Scosse il capo e li seguù dentro
una pasticceria,
dove ebbe la folle voglia di mangiarsi tutto.
“Amo
questa città.” Disse Jared bevendo un
the freddo.
“Lo
sa tutto il mondo Jared.” Fece lei
addentando un bignè carico di crema deliziosa.
“Non
ci posso fare niente, è la città più
bella del mondo.”
Zoe
aveva
soltanto voglia di chiudersi in un posto fresco. Quattordici agosto in
città
non era il massimo per lei, dato che di solito lo passava in spiaggia
ad
abbronzarsi o a cazzeggiare con le sue amiche. Di certo non camminare
per le
vie torride. Jared sembrava non sentire il caldo, vestito in maniera
piuttosto
anonima rispetto al suo solito: pantaloni neri a sigaretta, T-shirt con
lo
scollo a V che faceva intravedere l’ultimo dei suoi tatuaggi
sulla scapola che
la faceva andare fuori di testa ogni singola notte, i capelli ormai
lungi
tirati indietro, forse l’unico segno distintivo del caldo, e
la leggera barba
che stava crescendo. Immancabili Rayban e infradito che stonavano da
morire.
E
con
quel sorriso che avrebbe sciolto un iceberg. Quello la scioglieva
più di tutto:
più delle mani, più della sua voce roca che le
sussurrava nell’orecchio, più
della sua bocca che la marchiava. Un semplice sorriso di un uomo che,
oltretutto, lo faceva sembrare un ragazzino.
Lo
odiava e lo invidiava per quello.
Si
vide riflessa in una vetrina e si domandò per
l’ennesima volta come aveva
potuto cedere e mettersi il vestito di Dior che le avevano regalato
Shannon e
Jared qualche mese prima. Si vedeva completamente diversa da
ciò che lei era in
realtà e stranamente non si piaceva. Cioè, si
vedeva più bella di quello che
era sempre stata, un po’ anche grazie alle cure a volte
maniacali che le
imponeva Emma, che di invecchiamento precoce da lavoro ne sapeva
parecchio, ma
falsa. E il fatto che Jared la guardasse come se fosse un bocconcino da
mangiare la metteva ancora più a disagio.
Davanti
a Notre Dame, bellissima ed elegante, decise di sedersi su una
panchina. Non ce
la faceva più.
“Caldo?”
“No,
guarda, sembra di stare al Polo nord.”
“Ti
stanno venendo che sei acida?” Lei non rispose.
Non
le stava venendo il ciclo, semplicemente si stata sentendo soffocare.
Lui aveva
scelto di andare li senza neanche chiederle se avesse voluto seguirlo.
Lui le
ordinava di vestirsi in una determinata maniera, lui le ordinava di
andare in
giro per la città.
Sospirò:
sapeva che stava comportandosi come una bambina capricciosa, in fondo
era con
uno degli uomini più desiderati del pianeta, viziata, nei
limiti di quanto lei
concedeva, ed era in una delle città più belle
del mondo.
Lei
non amava moltissimo Parigi: oggettivamente sapeva che era bellissima,
ma aveva
un qualcosa di altero che la indisponeva. Era fredda, a volte si
sentiva
sperduta, come non lo era stata neanche nei paesi
dell’estremo Oriente. O
forse, e lo sapeva bene, era il suo amore per l’Italia a
farle vedere la
Francia con un occhio critico. Comunque non capiva perchè
Jared l’amasse così.
Forse per le sue antiche origini francesi? Era inutile chiederselo, lui
l’adorava, solo questo contava.
“Scusa,
ho caldo e sono stanca. E camminare con i tacchi non mi
aiuta.” Jared si
sedette vicino a lei, portando un braccio dietro alle sue spalle,
mentre
allungava le gambe davanti a se, e la fece appoggiare a lui, baciandole
la
testa. “Jay, siamo in un luogo pubblico.”
“E
allora?”
“Pensa
ai paparazzi.” Lui rise.
“E
allora? Non me ne è mai fregato molto dei paparazzi, basta
far finta che non
esistano.” Poi con uno scatto si alzo, la prese per mano e la
tirò verso di se,
cingendole la vita con il braccio libero. “Ho fame, andiamo a
mangiare
qualcosa. Poi stasera la voglio passare in camera, o visto il caldo, in
doccia.” Zoe scosse la testa ridacchiando, ma si
lasciò trasportare fra le
frotte di turisti, assaporando la mano dell’uomo nella sua.
Come sempre aveva
deciso lui. Sta cosa stava diventando fastidiosa.
Mentre
lui parlava di tutto e di nulla, lei pensò che era arrivato
il momento di
dirgli tutto. Non poteva posticipare per paura una cosa del genere,
anche
perchè Jared non si meritava una cosa del gnere. Si, quella
sera gli avrebbe
detto tutto.
Si
sedettero sulla terrazzina di un piccolo bistrot che dava sulla senna.
I
pesanti battelli scivolavano placidi nell’acqua e si era
anche alzata una
leggerissima brezza che rendeva l’atmosfera migliore.
Ordinarono
una Ratatouille e Zoe perse mezz’ora a ridacchiare pensando
al film della
Disney e cercando di spiegare a Jared perchè la cosa fosse
così buffa. Era
evidente che lui non apprezzava i cartoni animati. Si
rammaricò parecchio, poi
pensò che tanto non era un problema suo ormai.
Jared
la fissava mentre masticava lentamente la ratatouille con un
po’ di baguette.
Sembrava finalmente rilassata: aveva notato che tutto il giorno era
stata
piuttosto nervosa, come se ci fosse qualcosa che non andava. Eppure la
notte
era passata normale, tra giochi e una bella dormita. Poi quando
l’aveva portata
fuori, ecco che si era come... raffreddata? No, non era vero, gli aveva
parlato
tranquillamente e non si era mai tirata indietro per eventuali baci ed
effusioni, però non partivano mai da lei. Anche questo era
normale, pensò Jared,
lei si faceva molti problemi su essere vista con lui perchè
non aveva voglia
delle rotture delle altre fans.
Eppure...
eppure sentiva che era nervosa per qualche cosa. Da un po’ di
tempo a quella
parte riceveva parecchie telefonate da Los Angeles e non solo da sua
madre, ma
soprattutto da quella fantomatica Maggie. Parlavano per qualche minuto
e Zoe
diventava muta per un bel po’, cosa che lo infastidiva da
matti. Lui voleva
sapere tutto di lei.
Si
godette un sorso di acqua fresca.
La
cena era scivolata tranquilla e Zoe attendeva famelica una crepes per
concludere degnamente la cena.
Era
arrivato il momento. Mise la mano in tasca facendo scivolare tra le
dita quel
piccolo regalo che le aveva preso senza essere visto: era un
braccialetto di
assoluta bigiotteria, valore reale pari a zero, ma lei
l’aveva osservato e se
l’era pure provato. Poi aveva scelto di andare avanti,
altrimenti avrebbe
saccheggiato tutte le bancarelle che avevano attraversato. Era sottile,
argentato e con delle pietruzze rosse. Perfetto per lei.
“Jared,
devo dirti una cosa.”
“Anche
io in effetti ed è piuttosto importante.”
Zoe
annuì, ringraziò il cameriere che le aveva
portato il dolce e sorrise a lui che
perse un attimo il contatto con la realtà. Cazzo,
l’amava. E pure di brutto. La
consapevolezza di questo lo aveva fatto vacillare in uno dei momenti
peggiori,
cioè durante uno dei concerti di quei giorni. Stava cantando
Hurricane,
chitarra acustica e niente altro, quando alla domanda di “Do
you really want
me?” aveva rischiato di dirle “Si, ti
voglio.” Quando si era reso conto della
cosa si era fatto un buon esamino di coscienza e, nonostante una parte
di lui
continuava a ripetere che lui non si innamorava più, che in
realtà provava per
Zoe solo un semplice affetto e tanta voglia di sesso, si era compreso.
E questa
consapevolezza lo stava portando li: era il momento di dirglielo,
perchè una
cosa così bella andava condivisa. Quindi prima lo avrebbe
detto a Zoe, poi a
Shannon e poi al resto del mondo. Voleva che tutti sapessero che era
felice.
“Allora.”
“Quindi.”
Erano partiti assieme.
“Senti
Jared, inizio io stavolta, altrimenti poi non ci riesco
più.” Lui alzò un
sopracciclio curioso, ma accettò di buon grado, in fondo
così avrebbero finito
la serata al meglio.
“Dimmi
tutto.”
“Ok,
innanzi tutto volevo ringraziarti per i mesi passati insieme al tour.
Brian**
mi ha detto che sei stato tu a dirgli di prolungarmi il contratto con
il The
hive, quindi, Grazie Jay.” Lui si limitò ad
annuire, non capendo dove stava
andando a parare. “Mi sono trovata benissimo con voi. Non
è stato semplice
gestirvi e gestire quelle Echelon folli in tutto il mondo, ma di certo
è stato
particolare e non lo dimenticherò mai, ma è ora
che io vada avanti.” Lei
deglutì, ormai certa di avere tutta la
sua attenzione, non doveva dargli il tempo di dire nulla. Dal canto suo
Jared
Aveva il cervello azzerato. Cosa gli stava dicendo?
“Rimarrò con voi fino alle
prime date di settembre, ho già parlato con Brian e per il
resto del tour ci
sarà un’altra persona ad aiutare Sarah.”
“E
tu?”
“Io
torno a casa. Ho un lavoro nuovo che mi aspetta.”
Sperò che Jared dicesse
qualcosa, ma sembrava ammutolito “Tornerò ad
insegnare a scuola.”
“Come?
Cioè tu mi lasci per andare a fare la maestra?”
Jared pensò che se lei le
avesse chiesto di andare in hotel, non sarebbe riuscito a camminare.
“Non
è una questione di lasciarti, ma semplicemente di vivere la
mia vita. I 30
Seconds to Mars rimarranno per sempre con me e per quanto io possa
contare, io
rimarrò parte di voi.”
“Io
pensavo che tu volessi rimanere ancora con m.. noi. Che ti
piacesse.” Lei
sorrise.
“A
me
piace un sacco il tour e sono sicura che mi mancherà
tantissimo non essere con
voi alle prossime date, ma ho trent’anni e devo farmi una
vita mia. Non posso
vivere la vostra vita. Anzi, non posso vivere la tua. Sei un uomo
incredibile,
ma alla lunga è sfibrante. Guarda Emma come è
distrutta. Io non posso vivere
così, ho bisogno di stare ferma in un posto solo, di farmi
una casa. Forse di
mettere su una famiglia, girando il mondo con i Mars non posso farlo.
“
Jared
Deglutì pesantemente solo aria. Aveva la bocca secca e gli
girava la testa.
“La
maestra?”
“La
Professoressa, in realtà. La mia amica Maggie è
la preside di una scuola
privata, un liceo molto importante e quando si è ritrovata
senza insegnante di
storia mi ha pensato e chiamato. All’inizio ammetto che non
ero molto convinta
di essere all’altezza, ma... insomma, una deve provare
no?”
“Quindi
resti fino a settembre.” Sussurrò Jared.
“Sì.
Fino a quando scade il contratto. Semplicemente non lo rinnovo. Non mi
sembri
molto felice di questa mia scelta.”
“Non
lo sono, cioè, ti capisco, ma mi trovo bene con te e
l’idea di dover aver a che
fare con una che non conosco, non mi fa piacere.”
“Lo
so, lo capisco, ma la scuola inizia a settembre, non posso posticipare
i corsi
per me, no?” Zoe vide un qualcosa di strano, un dolore
profondo negli occhi
grigi dell’uomo nei quali si stava agitando qualcosa di
incredibile.
Sembrava... triste. No, neanche triste, era distrutto.
“È il mio sogno Jared.
Mi aspettavo che tu capissi più degli altri cosa significa
seguire i propri
sogni e lottare per essi.”
Sembrava
sull’orlo di una crisi di nervi e quindi lui le prese la mano
e tentò un
sorriso per tranquillizzarla.
“Hai
fatto benissimo.” Come se ci credesse sul serio.
“Parliamo della tua vita e io
sono fiero di te.” Le baciò la mano e
sentì chiaramente il suo cuore che si
spezzava, di nuovo. Almeno questa volta per un motivo degno. Voleva
piangere,
sentiva le prime lacrime premere, ma non poteva farlo davanti a lei.
“Hai
voglia se torniamo indietro?”
“Sì,
volentieri. Queste scarpe mi stanno uccidendo.”
Presero
la strada verso l’hotel: Zoe aveva capito che Jared era
decisamente scosso,
continuava ad aprire e chiudere il pugno e guardava avanti senza vedere
nulla.
Non credeva che la sua scelta lo facesse incazzare in quella maniera.
Gli prese
una mano, stringendogliela, mentre lui sorrideva e sospirava.
“Anche
tu dovevi dirmi qualcosa o sbaglio?”
“Ah
sì, ma non è niente di importante.”
“Dai
dimmelo.”
“Ma
niente, volevo solo dirti che...” poteva dirglielo sul serio?
No, lei lo stava
lasciando. No, in realtà stava lasciando la band, non lui.
Lei non lo amava,
almeno non lo amava quanto l’amava lui. Si maledisse da solo:
si stava buttando
sul patetico e non voleva. Sarebbe andato avanti e si sarebbe goduto
quegli
ultimi giorni con lei. Al massimo, senza rimpianti. “... che
domani ho
prenotato per andare al Louvre, quindi sveglia presto, ok?”
“Va
benissimo.”
“E
adesso andiamo, che è venuto il momento di togliertelo sul
serio quel vestito.”
*Il
vestito l’ho preso da qui http://moda.pourfemme.it/img/alba_jessica_dior-hc.jpg
**Brian
è, secondo la Board, uno delle tre
menti principali del The Hive
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 7 ***
Capitolo
7
Era
strana Los Angeles con la pioggia. Diventava una città
diversa, come se
perdesse parte del fascino e ne acquistasse uno diverso.
Zoe
guardava fuori dalla sua finestra, in attesa che le sue studentesse
finissero
di fare il compito assegnato. Erano ottime studentesse e non poteva
essere
diversamente. La Marie Curie High school era innanzi tutto una scuola
privata e
comunque solo per ragazze che si erano distinte particolarmente. I
meriti
sportivi non contavano, soltanto quelli didattici venivano presi in
considerazione. Il voto minimo per poter rimanere
nell’istituto era la B. C’era
moltissima concorrenza per entrare e una forte competitività
per rimanerci. Il
primo mese Zoe era rimasta sconvolta, poi aveva messo in pratica
l’esperienza
fatta con gli Echelon. Alla fine era più o meno la stessa
cosa.
Da
quando lei era diventata Echelon tanti anni prima a quel momento, le
cose erano
cambiate in maniera radicale e a lei non piaceva. All’inizio
erano pochi,
legati alla band in un modo puro e divertente. Ora c’erano
invidie,
accoltellate alle spalle, isterie e tutto per quei tre. Per quale
ragione poi,
dato che comunque i Mars avevano messo un muro tra loro e i fan? Vita
privata e
lavorativa divisa.
Sospirò:
era incredibile, tornava sempre a pensare a lui.
Si
sedette sulla scrivania e prese a guardare le ragazze chine sui loro
compiti.
Il silenzio era rotto solo dal rumore delle penne che graffiavano la
carta.
A
Zoe
mancava Jared. Le mancava da morire, sentiva come se qualcosa di
sbagliato
fosse entrato nella sua vita. I primi giorni dopo il ritorno a casa li
aveva
passati sistemando le stanze e le valigie. Non aveva avuto molto tempo
per
fermarsi a pensare a tutto quello che era successo, solo una settimana
dopo si
era seduta sul suo divano libero della polvere e si era fatta un pianto
liberatorio.
Non
avere Jared al suo fianco l’aveva lasciata senza fiato. Non aveva veramente
capito quanto lui
era diventato parte integrante della sua vita. Non riusciva a dormire
più di
qualche ora per notte e l’unica cosa che la faceva riposare
era una maglietta nera
di Jay che per sbaglio era finita nella sua valigia. Non
l’aveva lavata,
l’aveva tenuta con il suo profumo addosso e anche se ora, a
dicembre inoltrato
non ce n’era più, lei continuava ad usarla. La
prima notte di consapevolezza
stava quasi per mandare a fanculo la sua amica e correre da lui.
“Bella
cazzata.” Mormorò senza accorgersi che alcune
delle sue alunne la fissavano
curiose.
Aveva
scelto di vivere la sua vita e non si era pentita. Si stava pentendo,
questo
si, di non avergli detto di starle vicino. Ma anche questa era una
cazzata, in
fondo lui mica poteva rimanere a Los Angeles? E soprattutto non ci
poteva
rimanere solo per lei, inutile neanche pensarci.
Guardò
l’orologio.
“Ancora
mezz’ora ragazze.”
Aveva
seguito il tour dei ragazzi tramite internet e le lunghe chiacchierate
che
faceva con Tim o con Emma. Erano gli unici due che sentiva ancora,
anche se,
ovviamente, l’unico discorso che non si affrontava mai era
quello di Jared. Zoe
non chiedeva e gli altri due non dicevano niente. Solo Emma una volta
aveva
avuto il coraggio di dire due parole sulla situazione pessima in cui
verteva il
suo Boss, ma Zoe aveva troncato. Non voleva assolutamente sentirsi male
pensando a quanto non fosse in forma lui. Le bastava vedere le foto per
rendersi conto che le occhiaie erano tornate prepotenti, che era di
nuovo
dimagrito al limite dell’anoressia e che sorrideva poco. La
tournè in Francia
non era stata spendida come avevano sperato, questo glielo aveva detto
Tim *, e
questo sicuramente lo aveva indispettito.
Sospirò
di nuovo: perchè ci stava ripensando in quel momento? Aveva
deciso, parlando
con il suo cuore e il suo cervello, di limitare i Mars pensieri a casa
sua, non
a scuola davanti a venti adolescenti curiose che già le
avevano fatto il terzo
grado quando avevano saputo che cosa aveva fatto durante i mesi
precedenti.
Eppure il ricordo di Jared era troppo presente quella mattina per non
entrare
in lei.
Probabilmente
a causa della pioggia che rendeva tutto grigio, un po’ come i
suoi occhi. Che
rendeva tutto ovviamente tempestoso, come era stata la loro ultima
notte
assieme, quella notte che nel bene e nel male non avrebbe mai, mai
dimenticato.
Finalmente
a Los Angeles.
Il
tour estivo era terminato con le date in
Nevada e i ragazzi avevano qualche giorno di Pausa prima di volare in
Giappone**.
Jared si era proposto di darle una mano con la casa per quel giorno e
poi
l’aveva invitata alla Mars house. Doveva non solo mostrarle
il libro di
Macchiavelli che tanto l’aveva stupita, ma anche per
salutarla degnamente. E
lei ne era felice, in fondo era la prima volta che entrava li ed era
esattamente come l’aveva immaginata. Stava entrando in un
mondo magico, fatto
di oggetti pacchiani, come il tavolino con la donna accovacciata che
tanto
amava Shannon, l’armatura di Efestione che fissò
un po’ scettica, fino a
montagne di libri che rischiavano di cadere, il bellissimo ed enorme
divano che
si vedeva in tutte le loro interviste del 2009, l’asettica
cucina, segno
distintivo che in quella casa non ci viveva una donna.
Era
la casa che aveva immaginato per mesi e
mesi e lei ora era lì.
“Accomodati,
fai come se fosse casa tua.”
“Grazie.
Ma non cucini tu, vero? vorrei
evitare una intossicazione alimentare.” Jared le fece la
linguaccia e si mise a
ridere prendendo il telefono in mano.
In
meno di cinque minuti stavano aspettando
una pizza gigante, seduti sul divano guardando un vecchio film in
bianco e nero
su un canale via cavo. Zoe lo guardava di sottecchi: lui sembrava
estramente
rilassato, tranquillo. Felice di essere a casa. E si chiese che cosa
stesse
pensando.
“Senti
Zoe, resti a dormire qui stanotte?”
“Non
ho portato niente con me... nessun
cambio.” Lui la fissò con quegli occhi grigi ed
estremanente grandi, facendo
spuntare il labbro inferiore come un bambino. Zoe scoppiò a
ridere e gli diede
un pugno leggero sulla spalla.
“Va
bene, mi fermo qui.”
“Ottimo!
Dovrò usarla più spesso questa
tattica se funziona così bene.”
“Credo
che alla metà delle tue fan basta
solo che glielo chiedi e ti diranno sempre di sì.”
“Già,
solo tu riesci a dirmi di no.” Fece
tornando serio. “Oh arrivao il cibo. Fantastico!”
si alzò in fretta al suono
del campanello.
Zoe
era confusa.: cosa aveva visto in lui?
Anzi, no, cosa aveva percepito di stonato? Quell’ultima
frase, non la questione
pizza, ma il sapergli dire di no. C’era qualcosa che non
andava, una sfumatura
di rimpianto, un leggero dolore che non riusciva a mascherare. Forse si
era
veramente affezionata a lei.
“Mangiamo
di la o finiamo il film?”
“Resta
sul divano... visto che non c’è
Shannon posso fare la parte dello svaccato.”
“Perchè
di solito?”
“Sono
quello elegante e pieno di buone
maniere.”
“Si
certo, come no.”
“Dubiti
delle mie capacità di gentiluomo?”
“Da
Mister dico un Fuck ogni tre parole? No
guarda, Mr Darcy fatto e finito.”
“Mi
stai sfidando ad essere un gentiluomo?
Bhe ti stupirò.”
Andò
in cucina tornando con una tovaglia
bianca dall’aria poco vissuta, poi le posate, i bicchieri e
perfino i piatti.
“Se
fai partire anche un lento di Barry
White potri pensare che tu voglia portarmi a letto.”
“Per
quello non mi serve la pizza, credo.”
“No,
decisamente.”
La
pizza era ancora abbastanza calda, con
la mozzarella che filava e i peperoni succulenti. Zoe si stava poprio
godendo
quel momento.
“
A proposito di Shannon, dov’è?”
“Ha
preso la Ducati e se ne è andato. Gli è
bastato dormire una volta sul suo letto e si è
stufato.”
“E
tu hai dormito questa notte?”
“Non
troppo. Non posso abituarmi male.”
“Ma
se fino all’altro giorno riuscivi a
dormire per sette ore la notte.”
Jared
rimase in silezio, apparentemente assorto
dal film e quindi Zoe non continuò. E poi aveva una pizza da
finire: conoscendo
il suo compagno di cena, la maggior parte del cibo lo avrebbe terminato
lei. E
vabbhè, per una pizza si sacrificava volentieri.
Terminarono
di mangiare e poi il film, Zoe
fece per sistemare le stoviglie, ma Jared la fermò.
“Lascia
stare, vieni con me.” la prese per
mano e la portò verso la parete che dava sulla piscina in
quel momento vuota,
dove l’unica acqua presente era quella della pioggia che
copriva la città in
quella serata.
“Sembra
bello qui fuori.”
“Si
non è male. Ci abbiamo fatto un paio di
tuffi... ci aiutava a smettere di pensare al problema EMI e per cinque
minuti
eravamo solo tre deficenti che facevano cazzate in piscina.”
“Tranquillo,
anche ora restate tre deficenti.”
Jared ridacchiò, mentre lei apoggiava le mani al vetro e
cercava di guardare
lontano, ma la luce scarseggiava. Sentì solo la bocca di
Jared premere sul
collo e le sue mani che scivolavano sotto la maglietta e la
abbracciavano.
“Dormivo
sette ore per notte perchè c’eri
tu.”
Zoe
rabbrividì: il sussurro all’orecchio di
Jared l’aveva lasciata senza parole non solo per
l’incredibile carica erotica
che aveva, ma soprattutto per l’incredibile dolcezza e
tenerezza.
Si
voltò verso di lui e gli accarezzo la
guancia, lentamente, come per cercare di fissare nella sua memoria ogni
singolo
centimetro di quel corpo perfetto, ogni singolo pelo di quella barba
che tante
notti l’aveva fatta urlare, quei due occhi incredibili,
infiniti, che sebravano
guardarle dentro.
Bellissimo.
Lo
baciò: voleva imprimersi anche il suo
sapore. Sapeva che non sarebbe servito: un uomo del genere non si
poteva
dimenticare. Lo abbracciò, voleva sentirlo su di lei,
avrebbe quasi voluto che
lui la implorasse di rimanere li, cosa che ovviamente non avrebbe mai
fatto,
perchè per Jared non esisteva più il legame
fisso.
Si
ritrovò in un batter d’occhio in intimo,
con le gambe attorno alla sua vita, mentre lui la spingeva contro il
vetro
della porta finestra. Il contrasto tra la pelle bollente di Jared e il
freddo
del vetro la fece gemere.
“Portami
a letto.” Gli mormorò
nell’orecchio.
“No,
non credo di riuscirci.”
L’ultimo
pensiero razionale di Zoe fu
rivolto a Shannon: fa che non torni a casa.
Non
aveva dormito quella notte. L’aveva passata abbracciata a
lui, accarezzandogli
i capelli ancora lunghi, mentre lui le respirava dolcemente sul seno,
perso in
qualche sogno un po’ agitato.
Era
stata una notte strana: dopo averlo fatto sulla porta finestra del
salone,
Jared l’aveva baciata a lungo, appoggiandosi a lei. Sentiva
che le stava
dicendo qualche cosa con un sentimento struggente, l’aveva,
oh santo Iddio,
amata nel vero senso della parola. Poi l’aveva portata, in
braccio, ancora si
chiedeva come ce l’avesse fatta, nella sua stanza e
l’aveva amata ancora.
Era
quello che, ancora in quel momento mentre attendeva i compiti delle
ragazze, si
chiedeva: Jared era innamorato di lei? Non aveva avuto il coraggio di
chiederglielo per paura che una sua parola mandasse a quel paese tutte
le buone
intenzioni che aveva riguardo la sua vita. Eppure... l’ultimo
sguardo che le
aveva lasciato mentre lei usciva da casa sua l’aveva
veramente distrutta.
“Professoressa,
sta bene?”
“Uh?”
Alcune
delle sue studentesse la guardavano a bocca aperta, stupite di
qualcosa. Zoe
non ci mise molto a capire cosa stava succedendo: stava piangendo. Non
si era
neppure resa conto che mentre pensava a lui, alcune piccole lacrime
avevano
preso a scendere silenziosamente.
“Scusate.
Avete finito? Dai, avete ancora dieci minuti.”
Lentamente,
uno ad uno, i compiti si impilarono sulla scrivania: notò e
occhiate pietose,
ma anche curiose, delle sue bambine. Non era proprio una grande cosa
quella, in
fondo era una insegnante, non una amichetta da consolare.
Sospirò: in fondo
ormai la cosa era fatta.
Uscì
dall’aula per andare in mensa a mangiare: quel giorno doveva
esserci l’arrosto,
quindi lo mangiava più che volentieri.
Stava
per addentare la sua seconda porzione di carne, quando sentì
Edge of the Earth
che proveniva dal suo telefono. Lo prese dalla borsa e si
stupì a vedere chi la
stava chiamando.
“Ciao
Tim.”
“Ciao
bellezza, come stai?”
“Io
bene, stavo mangiando. E tu?”
“Io
mi sto godendo il ritorno a casa prima del gran concerto
finale.”
Zoe
sorrise: era l’ennesimo tentativo di farla andare a Londra
per il concerto di
Capodanno. Giocò con la forchetta nel piatto facendo muovere
una patatina
novella. “Comunque sto bene. Ci siamo divertiti un sacco,
anche se mancavi tu e
si sentiva.”
“Figuriamoci,
con tutta la gente che c’è ai vostri spettacoli,
che ci sia io o no, non cambia
nulla a nessuno.” Leggero silenzio, poi Tim, perdendo il
solito tono leggero
riprese.
“Cambia
tutto per Jared, Zoe. E anche se tu tenti in tutti i modi di negarlo,
lo sai.”
Lei
sbuffò.
“Per
lui sono solo un’amica. Forse una un po’
più simpatica di altre, ma di certo
non una che gli fa cambiare la vita.”
“Zoe,
non capisci un cazzo.”
“Se
gli interessavo così come dici, mi avrebbe detto qualcosa
no? Invece niente, mi
ha salutato e buona fortuna. E comunque non cambia quello che io
voglio, cioè
una vita normale. È tanto difficile da capire per te ed
Emma?”
“Onestamente
sì. Dai Zoe, ammettillo, girare per il mondo, vedere posti
nuovi ogni santo
giorno, fare un lavoro splendido...”
“Non
vedere quasi niente dei paesi in cui andiamo, conoscere gli aeroporti
come le
nostre tasche, controllare fans sclerate e un frontman che è
una Divah.”
“E
che ami.”
Zoe
smise di giocare con la forchetta, raschiando i Rebbi sul piatto. Tim
l’aveva
appena colpita dove le sue convinzioni vacillavano.
“Non
cambia lo stato delle cose.”
“Zoe,
cambia tutto, lo sai che anche lui prova le stesse cose per
te.”
“No!
Non lo so e non ci credo. Un conto è quello che dite tu ed
Emma, un conto è
quello che può dire lui. E guarda caso lui non dice
niente.”
“Cambierebbe
qualcosa se te lo dicesse?”
“Non
lo so, forse. Comunque io non mollo la scuola. Questo è
poco, ma sicuro.
Sembrerà assurdo, ma mi piace un sacco insegnare e mi trovo
bene. Senza
considerare che la paga è buona e i miei colleghi sono
simpatici.”
“Sono
solo scuse che ti dai. Comunque ora vado, che ho le prove per il
concertone. E
ti dico che sarà incredibile, meglio di tutto quello che
abbiamo fatto
fin’ora.”
“Cioè
vi degnerete di suonare nuovamente il Self Title?”
“Fanculo
Zoe.”
“Reciproco,
Tim.”
Il
ragazzo fissò lo schermo muto. Quella ragazza aveva
l’incredibile capacità di
farlo alterare. Non che dicesse cose sbagliate in generale, ma era
così
testarda da non volere credere all’evidenza. Ci andava a
sbattere con la testa
e non si fermava, anche se se la stava rompendo. E soprattutto anche se
stava
rompendo la testa anche a Jared.
Tim
non provava per Jared quell’affetto fraterno che aveva per
Tomo o Shannon,
forse perchè il cantante aveva comunque un carattere schivo
e chiuso, quando si
trattava di sè e Tim non era il giullare della situazione,
anche perchè si
sentiva a volte tagliato fuori. Non riusciva ad andare da lui a
chiedergli come
stava, ma non ne aveva poi così bisogno. Lui sapeva
osservare e non ci voleva
poi tanto per capire che Jared era diventato il fantasma di se stesso.
Non solo
era tornato a livelli di peso a rischio denutrizione, ma non dormiva,
era
irascibile, spesso si chiudeva in lunghi silenzi decisamente non da
lui.
Jared
era cambiato.
Jared
era un uomo distrutto.
Sul
palco provava ad essere sempre il solito e per quasi due ore ci
riusciva,
tranne quando si lasciava sopraffare dal dolore e cantava Hurricane con
voce
rotta.
Tutti
avevano capito che c’era qualcosa che non funzionava e lo
dicevano.
Tutti
sapevano che era dovuto alla mancanza di Zoe, ma nessuno aveva il
coraggio di
dirglielo.
Nessuno
fino a quel momento, si disse Tim.
“Scommetto
il mio basso che a Capodanno Zoe sarà con noi.”
*Ovviamente
spero che non sia così...
**Per
ora non so di altre date, quindi....
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 8 ***
Capitolo
8
Jared
era insofferente verso qualsiasi cosa e questo includeva la sua
famiglia, i
suoi pochi amici, il suo lavoro.
Ancora
un concerto, l’ultimo e poi sarebbe scomparso. Aveva deciso,
se ne sarebbe
andato via per un po’, disperso in un paese del terzo, quarto
mondo, e avrebbe
lasciato la notorietà. Fanculo a tutto e a tutti. Aveva
bisogno di stare solo.
Odiava quegli sguardi pietosi che gli lanciava la gente, consapevole
che era
stato scaricato prima ancora di dichiararsi. Era mai stato
così sfigato? No,
almeno quando ci provava a scuola, le ragazze lo scaricavano subito
dopo la
dichiarazione.
Sospirò
di nuovo. Si rendeva conto che sembrava un vecchio rompipalle e che
nessuno,
neppure Emma o Shannon, riuscivano a gestirlo. E poi perchè?
Per una ragazza?
No,
per l’unica ragazza per la quale valeva la pena di deprimersi
anni dopo la sua
prima delusione amorosa, questo era da ammettere.
Prese
dal frigo il cartone del latte di soia e ne bevette un gran sorso
più per fare
qualcosa che per vera voglia di latte, poi si accorse di non essere
solo:
Silenziosa come un gatto, e con la stessa espressione furba, Emma lo
fissava
immobile seduta su una sedia della cucina.
“Buongiorno
Jared.”
“Che
ci fai qui?” lei alzò un sopracciglio.
“Ti
ricordi che dobbiamo andare a fare le prove? Mi hai chiesto tu di
venirti a
prendere.”
“Sì,
lo so, ma è presto.”
“Jared...
sono quasi le due.”
“Cosa?
Non dire cazzate.” Emma si limitò ad indicare
l’orologio digitale del forno e
Jared strabuzzò gli occhi “non mi ero accorto che
fosse così tardi. Dammi...
dammi il tempo di fare una doccia e sarò da te.”
“Va
bene.”
Jared
salì di corsa in bagno: quell’arrivo di Emma lo
aveva scombussolato. Era così
preso dai suoi pensieri che neanche si era accorto di aver perso
così tanto tempo
e non era cosa buona. Doveva andare a provare, l’ultimo show,
l’ultima
apparizione e poi basta. Almeno li doveva dare il meglio del meglio,
dimenticarsi Zoe, far finta che non fosse mai entrata nella sua vita.
Era
l’unico modo per poter trovare un minimo di
tranquillità.
Si
congraturò con se stesso per averci messo meno del tempo
richiesto ad Emma e
scese quasi correndo, con i capelli ancora leggermente umidi.
Trovò la sua
segretaria nella stessa posizione nella quale l’aveva
lasciata, inviperita con
lo sguardo fiammeggiante. Non gli ci volle molto per capire il
perchè.
Una
ragazza bionda, dalle lunghe gambe praticamente nude grazie ad una
culotte
nera, con solo una maglietta addosso stava mettendo a
soqquadro la cucina alla ricerca di una
macchinetta per fare il caffè, almeno era quello che lui
stava capendo dai suoi
borbottii inconsulti.
“Ma
è
possibile che in questa casa non si trovi niente tranne
preservativi?” gli
chiese sorridendo.
“Quelli
sono essenziali, il caffè no.” La interruppe
Jared. “Lo sai che te ne devi
andare? Devo uscire.”
“Oh,
mi stai cacciando?”
“In
parole povere sì. Scusa, ma sono di fretta.”
La
ragazza, una bambolina senza curve, lo fissò imbronciata, ma
non disse nulla,
si limitò ad alzare le spalle ed andare a recuperare i suoi
vestiti sparsi per
la casa.
“Cinque
minuti che se ne va e poi possiamo andare anche noi.”
“Se
fossi stata io, ti avrei minimo minimo dato un calcio nei gioielli di
famiglia.”
“E
perchè di grazia?”
“Perchè
non sei stato molto gentile a mandarla fuori, visto che mi pare
evidente che
stanotte non ti sei fatto molto scrupoli a portartela a
letto.”
“Perchè,
avrei dovuto farci altro, secondo te?”
La
manata che Emma diede al tavolo gli fece paura.
“Sei
un idiota imbecille. E la cosa incredibile è che fai di
tutto per esserlo. Ma è
possibile che te le trovi tutte con lo stampino? Bionde, giovani,
possibilmente
sceme. Quando metterai la testa a posto?”
“Mai.”
Disse lui indifferente, almeno all’apparenza. La testa a
posto l’avrebbe voluta
mettere qualche mese prima, ma qualcuno aveva giocato sporco e non ci
era
riuscito. Che poi Zoe non aveva fatto nulla di male, aveva
semplicemente voluto
andare avanti ed aveva fatto bene.
“Paura
eh?”
“Di
cosa?”
La
ragazza bionda tornò in cucina e gli diede un leggero bacio
sulle labbra,
fuggevole come una farfalla, che infastidì per primo Jared e
poi la segretaria.
“Ci
sentiamo per questa sera.”
“Non
credo proprio.” Mormorò lui, ma quella era
già sparita oltre la porta. “Allora,
direi che dobbiamo andare, altrimenti facciamo troppo tardi.”
“E
invece no, adesso tu vieni qui e parliamo seriamente.”
“Emma,
siamo tardi.”
“Shannon
aspetterà per una volta nella sua vita, come fa aspettare
noi. Quindi ora fermati.”
Jared
si appoggiò allo stipite della porta incrociando le braccia:
sapeva che quando
Emma aveva quell’atteggiamento combattivo, le cose si
facevano dure e quindi
che sarebbe stata una lunga ed intensa chiacchierata.
“Tu
hai paura di innamorarti. Anzi, peggio, hai paura di andare da lei a
dirle che
sei innamorato.”
“Ti
avviso, in modo che tu sappia fin da subito: stai attenta a quello che
dici.
Stai molto attenta.”
“Me
ne fotto altamente dei tuoi avvisi.” Silenzio teso,
terribile. Loro non
litigavano mai, di norma si sapevano capire al volo e soprattutto
sapevano
incontrarsi e a raggiungere compromessi fondamentali per il lavoro e
per il
loro rapporto personale. Arrivare a quel silenzio così
carico, significava solo
che la sopportazione di Emma era arrivata al limite.
“Emma,
che cosa vuoi?”
“Cosa
voglio io? Ti faccio la lista? Primo, vorrei che tu tornassi ad avere
un peso
da essere umano vivente e non da zombie. Poi vorrei che fossi un
po’ più
amabile con chi ti intervista, o con chi ti rivolge la parola, ivi
incluse le
Echelon che sì, a volte saranno un po’ invadenti,
ma sono anche quelle persone
che ti seguono, che ti mantengono e che credono in te e quindi meritano
del
rispetto che non stai dando loro. E, cosa principale, vorrei che tu e
nessun
altro, tornassi a sorridere. Sono stufa di vederti in questo stato. Non
fai che
girare da una città all’altra, tra le cosce di una
bambola come quella che è
appena uscita da qui di cui, ci scommetto, neanche ricordi il
nome.” Dato che
Jared non parlò, lo prese come una conferma della sua
teoria. “Sai quello che
mi fa incazzare di più?” Domandò in
maniera quasi dolce. “Ti basterebbe così
poco per essere felice. Un niente, solo una parola e invece ti ostini a
vivere
la tua vita così giorno dopo giorno trascinandoti come un...
idiota. Basterebbe
così poco....”
“Non
dirlo.”
“Invece
sì. Tutti hanno paura di fare il nome di Colei che non deve
essere nominata,
neanche fosse Voldemort. Bene, non lo dicono loro? Lo farò
io. Zoe. Un nome,
una condanna.”
“Smettila!
Zoe ha preso la sua decisione ed è giusto
così!”
“E
certo, come se tu avessi sempre seguito quello che dicono gli altri e
non
avessi mai fatto di testa tua. La assecondi solo perchè hai
paura che le cose
possano essere diverse. Bhe Jared, ti dico una notizia in anteprima: i
cambiamenti portano a dolore, ma anche a felicità. Aver
paura di provare queste
cose è un comportamento degno di un bambino e tu hai
quarantanni a breve, hai
passato da parecchio l’infanzia.”
Jared
non sapeva se temere più Emma o le sue parole. Sapeva che la
sua segretaria
aveva ragione e proprio per questo il parlarne con lei gli faceva male.
Zoe
gli aveva scavato un buco nel cuore e quel che peggio si stava
allargando.
“Non
devi far null’altro che andare da lei a parlare. Dimostrarle
che non sei il
solito, ma qualcuno di speciale per lei.”
“Sei
gentile, ma io non bevo questo caffè.”
Fece Zoe, prendendo il bicchiere di Carta di Starbucks e mettendoglielo
vicino
al suo.
“Perchè?”
“Perchè
non mi piace, Jared.”
Erano
al secondo piano di uno dei più
grandi Starbucks di Melburne. Avevano un paio di giorni di pausa tra un
concerto e l’altro e quindi avevano deciso di fare un giro
nella città
australiana. Faceva caldo e Jared aveva preferito una spremuta e
pensava che
Zoe potesse volere un caffè, dato che era quella che ne
beveva di più in tour
bus.
“Io
credevo che il caffè fosse la tua
benzina.” Lei sorrise e andò al bancone a
prendersi una cioccolata con il
caramello e un muffins, visto che a differenza del suo capo, lei
mangiava, poi
tornò davanti a lui che la fissava un po’
rabbuiato.
“Lo
è, Jared, ma il caffè vero, non quello
lungo ed acquoso.Ma veramente grazie del pensiero. Vuoi un
po’ di Muffins ai
Mirtilli?”
“No.”
Dal tono Zoe capì che era ancora un
po’ offeso e sorrise.
“Mia
zia fin dal primo viaggio in Italia,
si portò dietro una moka e una macchinetta per
l’espresso, una di quelle serie.
E ne prese una anche per me e mamma. Ho praticamente vissuto con il
caffè
ristretto, è quello che mi ha permesso di
laurearmi.” Rise “Insomma, adesso non
posso apprezzare cose simili.” Disse indicando il bicchiere
ancora fumante.
Jared
sospirò.
“Ok,
la prossima volta ti prendo altro.”
“Molto
meglio.”
Finalmente
lui sorrise e si appoggiò alla
sedia, totalmente rilassato.
Molto
lentamente stava imparando a
conoscerla. Dal loro primo giro da Arnold fino a quel momento, avevano
passato
un sacco di tempo a parlare. E incredibilmente si era anche aperto
molto,
parlandole di cose private che normalmente non erano argomenti di
discussione
con chiunque, ma solo con Shannon. Era una sensazione particolare di
cui,
inizialmente, aveva avuto paura. Aveva creduto che quanto prima avrebbe
visto
quelle cose pubblicate da qualche parte, invece Zoe aveva tenuto per se
le
confessioni più o meno lucide che lui le aveva fatto. Forse
era per quel motivo
che continuava ad usarla come sfogatoio. Oltre al fatto che si stava
seriamente
affezzionando e che, da un paio di giorni a quella parte, aveva una
insana
voglia di toccarla, sfiorarla. L’aveva vista con Emma a
giocare in piscina e
c’era stato un secondo in cui si era ritrovato senza
pensieri, il cuore si era
fermato per un battito e il mondo era scomparso. C’erano solo
loro. Era stata
quella sensazione a fargli decidere che voleva provarci. Magari sarebbe
durata
un niente, il tempo di una notte, ma valeva la pena tentare. Zoe era
diversa.
Le diceva di no. Come per il caffè.
“Non
ti pesa girare con noi tutto il tempo?
La tua vita privata non ne risente?”
“Quale
vita privata? Al di fuori del lavoro
e degli Echelon non ho grandi frequentazioni. Quando ho iniziato a
seguire voi,
le mie vecchie amiche si sono defilate. Non amavano i concerti,
l’idea di fare
street team. Loro adesso sono sposate e figliate, io... io sono
sola.” E si
mangiò un pezzo di muffin.
“Non
mi sembri così disperata. Pensavo che
per voi donne il principe azzurro fosse la prima cosa da trovare per
essere
felici.”
Zoe
lo guardò seria. Improvvisamente aveva
abbandonato il sorriso che aveva sulle labbra ed era diventata
l’efficente
aiuto segretaria che era diventa.
“Ogni
bambina viene cresciuta con lo
stereotipo della principessa che viene salvata e poi amata per sempre
dal
principe azzurro. Da piccole ci crediamo sul serio, vogliamo diventare
delle
regine da grandi, con un gran castello, qualche pargolo bellissimo e
ovviamente
un marito che ci ama e ci venera, un vero Re. Crescendo tutte noi, o
quasi,
capiamo che il mito del principe azzurro è una cazzata, che
noi donne abbiamo
l’incredibile e sottovalutata capacità di
prenderci cura di noi stesse e di
riuscire esattamente a salvarci da sole dal terribile drago.”
“Sembra
che stai dicendo che siamo
superflui.”
“Oh
no, questo mai. Dico solo che una volta
per essere donna dovevi avere un uomo. Ora per essere donna basta
essere se
stesse. Capisci? È una differenza piccola, ma
incredibile.”
“Meglio
così, le donne per essere sexy
devono essere se stesse, non far finta di essere quello che non
sono*.”
“Se
lo dici tu....”
“Dici
che non è vero?”
“Onestamente
parlando, non ni pare che
quelle che ti porti a letto siano così se stesse. Sono tutte
uguali, tutte alla
ricerca di essere qualcosa che non saranno mai. Sono starlettine
identiche tra
loro.”
Jared
sorrise muovendosi sulla sedia. Si
appoggiò al tavolo avvicinandosi a lei.
“Touchè,
ma qui si parla di scopate
estemporanee, qualcosa che dura una notte e basta, perchè mi
devo mettere a
cercare qualcuno di serio se il giorno dopo non la vedrò
più?”
“Forse
perchè sarebbe il caso di mettere un
po’ la testa a posto. Hai una certa età
ormai.”
“Non
ho trovato la donna giusta. Per ora.”
E sorrise malizioso facendole partire un brivido dietro la schiena. In
quel periodo
Jared le stava particolarmente appresso, in barba alla sua idea di non
relazionarsi troppo con la band. Però le piaceva,
soprattutto in quei brevi
attimi nei quali lui la toccava. Aveva delle mani morbide, nonostante i
calli
sulle dita dati dalle corde delle chitarre. E poi sembrava facesse
apposta a
toccarla nei punti più sensibili, come se sapesse che a lei
piaceva, anche se
capiva che lo faceva assolutamente in buona fede. “E tu che
cerchi nel tuo uomo
ideale?”
“Non
ho un ideale maschile. Mi sono piaciuti
diversi ragazzi e ognuno aveva qualcosa di particolare. So per certo
che per
poter stare con lui deve amarmi sul serio, oltre che essere bravo a
letto. Non
posso pensare di vivere la vita con uno che non sa scopare. La
condizione
primaria è che ci sia compatibilità fisica,
altrimenti mancherà sempre qualcosa
e a quel punto si sarebbe solo amici. E poi...”Si
bloccò.
“E
poi? Dai, stava diventando un discorso
molto divertente.”
Zoe
girò quel poco che restava della
cioccolata con il bastoncino di legno, poi finì.
“E
poi vorrei che il mio lui mi sapesse
stupire facendo qualcosa che normalmente non farebbe mai.”
“E
così sarebbe qualcosa che non è... non
decade tutto?”
“No,
non hai capito. Ti faccio un esempio.
Hai presente Pretty Woman vero?” Lui annuì con un
sbrilluccichio sarcastico
negli occhi grigi “Ecco, alla fine Richard Gere va a dire a
Julia Roberts che
la ama e lo fa salendo sulla scala antiincendio del suo palazzo. Ma
tutti
sappiamo che lui ha paura dell’altezza, ma per lei fa quella
follia, per lei si
arrampica per dimostrarle che farebbe di tutto. Ecco, io intendo una
cosa
simile, capisci?”
“Sì
e lo trovo inutile. Se una ti piace
glielo dici e fine.”
“Ma
tu sei un uomo e quindi non sei alla
disperata ricerca del gesto romantico, di quella cosa da principe
azzurro. Noi
cresciamo con la folle idea che prima o poi ci capiterà una
cosa simile. E a
ben poche principesse capita una cosa simile. Vorrei essere una di
quelle
fortunate, ma è impossibile, dato che sono destinata a
restare da sola.”
“E
questa cazzata da dove spunta?”
“Io
sono troppo complicata per stare con
qualcuno. Ho troppo bisogno dei miei spazi e dei miei tempi e questo
è qualcosa
che rende difficoltosa una convivenza. I miei ex mal sopportavano, per
esempio,
che facessi i miei viaggi per venire a vedervi. Erano gelosi di voi e
in parte
lo posso anche capire: marte è sempre stata la prima cosa
nella mia vita. Tutto
il resto, mamma a parte, veniva dopo. Ci credo che i miei ragazzi si
sentivano
messi da parte, ma evidentemente non li amavo abbastanza. Quando e se
troverò
l’uomo della mia vita, sarà lui il mio primo
pensiero la mattina, non voi.”
Jared
rimase stupito ancora una volta. Non
aveva paura di dire le cose come pensava e soprattutto aveva una
criticità
verso se stessa piuttosto accentuata e non si faceva problemi a dirlo.
E non
ultimo, riusciva far crescere il suo ego per il lavoro svolto,
piuttosto che
per il lui uomo.
“Sei
interessante, Zoe, veramente tanto.”
“Insomma,
mi sento piuttosto... noiosa come
poche.”
“Questo
lo credi tu, bambina. A me piaci.”
Fissò
Emma in maniera tale che la donna credette stesse per liquefarsi. Era
prossimo
alle lacrime, ma sapeva che Jared non si sarebbe mai macchiato di
quella
debolezza di fronte a lei. Ma di certo il discorso forse stava facendo
il suo
effetto e solo questo bastava.
Poi
suonò il campanello e l’apparente magia
finì, fino a quando Emma non vide
apparire in cucina Tim. Che ci faceva li? Dovevano trovarsi per le
prove, non
alla Mars house.
“Ehy,
ciao. Disturbo? Ho interrotto qualcosa di importante fra voi?”
“No,
lo stavo solo sgridando.”
“Detta
così sembra che sia un bambino.” Lei rise.
“Per
me lo sei, almeno fino a quando non dimostrerai il
contrario.” Tim spostò lo
sguardo da uno all’altra senza capire bene il succo del
discorso e quindi Emma
spiegò “Stavamo parlando di Zoe.” Lui si
illuminò.
“Perfetto,
anche io ero venuto qui per quello.”
“No,
basta, non ti ci mettere anche tu. E soprattutto fatti i cazzi tuoi e
non i
miei.” Urlò Jared.
“Io
non mi faccio i cazzi tuoi, io sono solo preoccupato per Zoe.” Jared sbiancò.
“Le
è successo qualcosa?”
“No,
a parte che è infelice. E per questo che devi andare da
lei.”
“Lei
non ha bisogno di essere salvata.” Disse Jared tranquillo,
ricordando la loro
chiacchierata a Melburne. Zoe sopravviveva alla grande da sola, era una
donna
fortissima, aveva carattere e tempra giusta, non aveva bisogno di lui
per stare
bene.
“Jared,
sei tu che devi essere salvato. E solo lei lo può
fare.”
*Lo
ha dischiarato lui stesso
nell’intervista di Cosmopolitan UK.
L’entrata
in campo della bionda non ha
nulla a che fare con la signorina di Saint Tropez. Era nella mia Fan
Fiction
prima dell’uscita delle foto.
|
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Capitolo 10 *** Capitolo 9 ***
Capitolo
9
Zoe
girò l’ennesima pagina del libro, mentre le sue
studentesse ridacchiavano tra
loro. Era l’ultimo giorno prima delle vacanze di Natale e
aveva permesso loro
di portare un po’ di cibarie per fare una piccola
festicciola. Non aveva
assolutamente voglia di iniziare un nuovo argomento del programma per
poi
interromperlo a metà, quindi meglio divertirsi un pochino. E
poi quei biscotti
al cioccolato erano la fine del mondo, avrebbe dovuto assolutamente
farsi dare
la ricetta dalla madre di Amanda.
Per
la centesima volta nella sua vita stava leggendo Orgoglio e
Pregiudizio, romanzo
sommo dell’immensa Jane Austen che lei amava e venerava.
Avesse potuto sarebbe
diventata lei stessa Elizabeth Bennet, o magari perfino Jane Bennet,
anche se
troppo buona e smielosa per assomigliarle.
Jared
era appena salito sul bus dopo essere
andato a salutare i Fans che erano ad aspettarlo fuori
dall’Olympiahalle di
Innsbruck e Zoe si stupì di vederlo con in mano uno stupido
cappello di paglia
e un sacco di regali.
“E
quelli da dove spuntano?”
“Dalle
Italiane che c’erano qui fuori. To,
tieni che mi spoglio intanto.”
Zoe
vide un plico di fogli che
pubblicizzavano una radio*, un sachettino con la carta rossa e un libro
che la
fece sobbalzare. Una ragazza gli aveva regalato Orgoglio e Pregiudizio.
Come al
solito quando aveva una copia in mano, non riusciva a non sfogliarlo,
andando
diretta a colpo sicura alla scena della prima dichiarazione del Signor
Darcy.
Lesse velocemente, muovendo le labbra come una macchinetta, fino a
quando Jared
non si sedette davanti a lei lasciandole un leggero bacio sul collo.
“Che
fai?”
“Guardo
i tuoi regali. Sono perfettamente
d’accordo con quello che ha scritto questa ragazza. Un grande
libro, una grande
autrice per una grande persona. Brava Monica**.”
“Bha,
è solo una storia d’amore romantica.”
“Eretico!
Orgoglio e Pregiudizio, come
tutti i romanzi della Austen, è uno spaccato del suo tempo.
È uno sguardo
disincantato, lucido, razionale e anche cinico a volte, del mondo
Inglese della
metà del ‘700. Non lo si può relegare
ad una storia romantica e basta. È molto
di più.”
“Ok,
ho capito, lo leggerò per farti
piacere, così poi potrò criticarlo con
coscienza.”
“Secondo
me finisce per piacerti. Scommetto
che ti rivedrai come perfetto lord Inglese.”
“Io
sono perfetto sempre.”
Non
vide neanche la cuscinata che gli
arrivò mentre rideva come un pazzo.
Zoe
chiuse di botto il libro.
Non
andava bene se ora Jared gli rovinava pure la lettura del suo adorato
Romanzo.
Adesso ogni volta che avrebbe letto di Darcy, i suoi occhi grigi
sarebbero
tornati a tormentarla, un po’ come succedeva sempre durante
il giorno. C’erano
troppe cose ormai che glielo facevano ricordare, cazzate oppure cose
serie.
Tutto, era una tortura in realtà qualcosa che faceva
veramente del male fisico.
“Mangerò
un altro biscotto alla facciazza tua!”
Fuori
dalla finestra splendeva un bel sole rendendo la giornata
più simile ad una del
mese di aprile che di dicembre, ma dopo le piogge dei giorni precedenti
ci
stava a meraviglia. Los angeles era tornata ad essere la
città degli Angeli e
soprattutto la città dell’eterna primavera, cosa
che a Zoe piaceva da morire,
visto che era la sua stagione preferita.
“Amo
stare a letto quando fuori c’è freddo
e Neve.”
“Quindi
quasi mai, dato a a Los Angeles non
nevica da secoli.” Zoe strisciò sopra Jared,
lasciandogli una scia di baci
dall’ombelico fino al collo, dove rimase a lungo per
stuzzicarlo.
“È
vero, ma quando sono in tour o quando
vado ad Aspen, amo sapere che fuori sta nevicando mentre io sono al
calduccio
sotto le coperte o davanti al camino. Anche se non sono in dolce
compagnia come
adesso.”
“Una
compagnia come le altre, Jared.”
“No,
una delle migliori da molto tempo a
questa parte.”
“É
strano per te riuscire a palpare qualche
cosa, vero?” e rise rotalando via da lui.
“Ammetto
che non ci sono tante donne a cui
posso toccare le tette come a te.” Lei scosse il capo e
andò verso il piccolo
bagno, mentre Jared la fissava da dietro. Nonostante i suoi difetti
fisici, le
piaceva parecchio. Non importavano le smagliature chiare, oppure quei
nei sulla
schiena, le piaceva poterla toccare e sentire della sostanza sotto le
mani.
Quando
Zoe uscì dal bagno, non potè non
sorridere soddisfatto vedendola nuda e chiaramente eccitata.
“Del
resto mi pare che anche tu apprezzi
questa situazione.” Le disse indicando i capezzoli induriti.
“Sono
qui con l’umo più desiderato del
mondo, o quasi... direi che mi va di lusso.” Gli si sedette
sopra passandogli
le mani sui pettorali rilassati. “Sarà bella la
neve... ma è fredda. Mi
scaldi?”
Era
incredibile, la sua mente si rifiutava categoricamente di pensare a
qualcosa di
diverso da Jared. Ma si poteva torturare in quella maniera?
“Prof,
biscotto?”
“No
basta, altrimenti a breve mi metterò a rotolare, altro che
camminare.” Guardò
l’orologio del telefono che segnava quasi l’ora di
pranzo. Con tutto il
cioccolato che aveva ingurgitato quella mattina, poteva tranquillamente
stare a
digiuno fino al giorno dopo. Non poteva permettersi di aumentare di
peso con
tutta la fatica che aveva fatto per calare mentre era in tour. La
verità, e lo
sapeva benissimo, era che le mancava tutta la ginnastica da letto che
aveva
fatto in quei tempi.
“Ohhhhh
adesso basta!” si urlò nella testa, mentre
iniziava a sistemare i suoi libri
nella borsa. La campanella stava per suonare per la felicità
di tutte e lei
voleva correre in mensa a chiacchierare con le sue amiche immaginando
cosa fare
per l’ultimo dell’anno. Lei probabilmente sarebbe
rimasta a Los Angeles, magari
con sua mamma, oppure in catarsi da sola a casa. Aveva una mezza
intenzione di
fare piazza pulita di roba vecchia e di far entrare il nuovo. Senza
pensare a
Londra, possibilmente.
Poi
un urlo isterico.
“Oh
Mio Dio!”
“Nancy,
per favore, non serve che urli come una scimmia.”
“Ma
professoressa, c’è Jared Leto!!!”
Zoe
si rese conto inizialmente di essere impallidita di colpo, fino a
diventare
rossa come un peperone, sentì le gambe non reggerla e il
cervello azzerato. Non
poteva essere, di certo Nancy si stava sbagliando.
Si
fiondò alla finestra che dava sull’enorme giardino
e lo vide. Stava salendo gli
scalini che portavano alla hall dell’edificio in perfetta
tenuto stupro: un
paio di pantaloni a sigaretta neri, una maglietta con lo scollo a V che
faceva
intravedere il tatuaggio sulla clavicola, un giubbotto lggero di Jeans,
rayban
sulla testa, capello lungo fino alle spalle e la barba non troppo
lunga.
Stranamente ai piedi aveva un paio di scarpe da ginnastica sobrie.
Sembrava
incredibilmente a suo agio in quel posto come se non fosse una scuola
privata
tra le più costose a Los Angeles, bensì il
backstage di un concerto dei suoi.
Suonò
la campana e tutte le ragazze schizzarono in corridoio per raggiungerlo
e farsi
fare almeno un autografo. Zoe deglutì pesantemente e le
seguì: lui era li per
lei, non era una sciocca, sapeva che non si sarebbe presentato
così fresco come
un quarto di pollo per fare un giretto dei suoi. Voleva qualcosa da
lei, il
problema era cosa.
Camminò
per quasi tutto il corridoio prima di trovarlo accerchiato dalle
ragazze in
brodo di giuggiole. Non lo vedeva così da vicino da mesi e
si ritrovò ubriaca
forte. Nonostante fosse troppo magro, era bellissimo.
E
quando Jared la vide le scoccò un sorriso che la fece
sciogliere
definitivamente.
Era
troppo emozionata: da li a poco si
sarebbe incontrata con lo staff del The Hive e i Mars stessi per
definire come
si sarebbe svolto il suo nuovo lavoro in giro per il mondo. Per fortuna
sarebbe
stata con Diana e quindi sarebbe riuscita a rimanere abbastanza
ancorata alla
realtà.
Stava
camminando di fretta verso il luogo
dell’appuntamento, quando vide arrivare verso di lei Jared e
Shannon che
chiacchieravano. Probabilmente stavano andando verso lo Starbucks o il
Costa
più vicini a prendersi qualcosa da bere.
Lei
si era bloccata come un sasso: li
conosceva da anni e da anni loro conoscevano lei, eppure dopo la fine
del tour
di ABL non avevano più fatto nulla e quindi neanche lei li
aveva più rivisti,
dato che non era da lei mettersi alla ricerca di loro per la
città. E rivederli
le faceva sempre una strana sensazione di calore in fondo allo stomaco.
Loro
arrivarono praticamente davanti a lei
e fu Jared ad accorgersi dell’enorme Fenice bianca stampata
sulla sua borsetta
nera. E le sorrise felice e soddisfatto come un bambino.
Un
sorriso che l’aveva sciolta.
Jared
l’aveva trovata. Oddio, in realtà era stata lei ad
arrivare da lui a seguito di
quelle ragazzine, ma il succo non cambiava. Lei era li davanti a lui
che la fissava
come se fosse un passero spaurito. Faceva questo effetto alle donne?
Quasi gli
veniva da ridere. In fondo era lui quello che si sarebbe dovuto
emozionare.
Essere li in quel momento non era certo una cosa da lui, con tutti quei
testimoni scomodi, ma in fondo era quello che doveva fare.
Era
vestita proprio come ci si aspettava da una profesoressa, un paio di
pantaloni
dal taglio elegante e un maglioncino dall’aria soffice.
Perfino i capelli erano
diligentemente racchiusi in una coda bassa. Non era proprio la sua Zoe,
eppure
era sempre lei, con quei suoi enormi occhi castani e lo sguardo da
cucciolo
abbandonato.
Abbandonando
le sue fans, si avvicinò a lei, quasi fino a toccarla.
Sentiva la voglia di
colmare quei pochi centimetri aumentare di istante in istante, ma si
fece
violenza e resistette.
“Ciao
Zoe, come va?”
“Bene,
grazie.” Sussurrò. Vedere Jared così da
vicino non le faceva bene. Sapeva che
appena se ne sarebbe andato, lei sarebbe crollata in un pianto
difficilmente
spiegabile a qualche estraneo. “Che ci fai qui?”
“Ovviamente
sono qui per iscrivere una delle mie ipotetiche figlie al prossimo anno
di
corso.”
“Le
tue ipotetiche figlie sono troppo grandi per venire a studiare
qui.” Rispose
lei “E credo che non siano neanche abbastanza intelligenti
per farlo.” La
stoccata acida le era venuta fuori senza volerlo, aveva seguito le
storielle di
letto di Jared incazzandosi non poco, anche se sapeva che aveva tutti i
diritti
di farsi chi voleva. Però
era gelosa e
questo non lo poteva cambiare.
“Noto
una punta di disapprovazione.”
“Figurati,
sei libero di fare ciò che preferisci della tua
vita.”
“Ed
è
proprio per questo motivo che sono qui. Andiamo.” E la prese
per mano
trascinandola verso la porta, tra decine di occhi sgranati e sognanti.
“Jared
cosa fai? Io ho lezione!”
“Tranquilla,
ho parlato con la tua amica Maggie spiegandole la situazione. Ti
dà il resto
della giornata libera.”
“NO!
Mollami! Ti prego, ci guardano tutti.” Cercava di fare
ostruzionismo e anche ci
riusciva, visto che lui non era questo peso massimo.
“E
lascia che guardino.”
“Jared
smettila.” Diede uno strattone e si liberò,
mettendo tra loro mezzo metro,
quanto le bastava per potergli dire quello che pensava. “Sei
scemo? Con che
diritto vieni qui e cerchi di portarmi via? Ma che siamo, in qualche
paese dove
il rapimento è normale routine? Guarda che io sto lavorando
non sono qui a
divertirmi. Si può sapere che vuoi fare?”
Bella
domanda pensò Jared. Lui voleva parlarle, spiegarle tutto,
sperando che si
sarebbe lasciata convincere senza troppe storie, invece stava lottando
anche in
quel momento. Sospirò: non era facile e non era preparato.
Era andato li quasi
con la certezza che lei sarebbe caduta ai suoi piedi come gli succedeva
con
chiunque, non che dovesse dimostrare ancora qualcosa. Diamine.
Si
guardò attorno e vide che praticamente il corridoio era
ibernato: tutti i
presenti, inclusi i docenti, erano ad osservarli curiosi. Vide che
c’era
qualcuno che filmava con il telefonino e scosse il capo. Se era quello
che Zoe
voleva, glielo avrebbe dato.
Con
uno scatto andò da lei, la prese per le guancie e la
attirò a sè.
Quanto
gli erano mancate quelle labbra? Tanto, troppo, non riusciva a
quantificarlo. Qualsiasi
altro bacio che lui aveva dato e ricevuto in quei mesi erano solo un
pallido
palliativo a quello che si stavano scambiando in quel momento. Aveva
sentito
che lei si era irrigidita all’inizio, soprattutto
perchè non si aspettava una
cosa simile da lui, ma pian piano stava sciogliendosi e partecipando al
bacio.
Jared sorrise dentro di sè vittorioso: non lo aveva
dimenticato, questo era
palese.
Neanche
si stavano accorgendo che intorno a loro si erano alzati gli applausi
di tutti
i presenti.
“Oh...”
Fu l’unico commento di Zoe quando si staccarono.
Jared
le accarezzò una guancia lentamente, poi appoggiò
la fronte alla sua e le
sussurrò all’orecchio:
“Ti
amo.”
Zoe
stava per andarsene da casa sua. Pochi
minuti e avrebbe varcato la sua soglia per non tornare più.
Avevano
passato la notte più bella della
sua vita. Aveva dormito stretta a lei, sapendo che non
l’avrebbe fatto mai più.
Aveva voluto imprimersi il suo corpo nella mente, così da
poter ricordare
perfettamente quelle sensazioni quando si sarebbe sentito solo. Aveva
fatto di
tutto per donarsi completamente anima e corpo. Per la prima volta in
assoluto
da quando aveva avevano iniziato la loro relazione, aveva sentito
veramente di
amarla in toto. Aveva capito che la sua infatuazione fisica era andata
ben
oltre. E si era maledetto per non averlo capito prima. E quindi aveva
cercato
di rimediare, anche solo per poter vivere di quel ricordo.
“Vado.
Grazie di tutto, Jared e in bocca al
lupo per il nuovo tour.”
“E
tu fai la brava maestrina.” Lei sorrise
e se ne andò. “Ah, Zoe...”
“Dimmi.”
“No,
niente.” La vide prendere il taxi e
deglutì. “Ti amo, Zoe.”
Zoe
era scioccata.
Tutto
si aspettava tranne una dichiarazione d’amore da parte di
Jared.
“Wow,
è fantastico!” sentì urlare da una
ragazza. “Prof che invidia.”
“Pensi
che adesso possiamo andare fuori a parlare. Va bene fare qualcosa di
stravagante, ma stiamo iniziando a dare troppo spettacolo anche per una
Divah
come me.” Lei si limitò ad annuire e si
lasciò portare nel grande giardino
della scuola. Il sole era deliziosamente tiepido e gli uccellini che
cantavano
rendevano l’ambiente decisamente particolare.
“È
un
gran bel posto questo, sai? Capisco che ti piaccia insegnare qui. Come
mai non
parli? Mi fai paura.”
“Non
so cosa dire.”
Jared
perse il sorriso e la lasciò andare.
“Mi
par di capire che non ho nessuna speranza con te.”
Sospirò. “Va bene, ti lascio
stare allora. Scusami, non volevo metterti a disagio.”
Dannazione, pensò, non
di nuovo! Non credeva sul serio di sentire di nuovo il suo cuore fare
crack.
“No
aspetta...io... oddio Jared è tutto così
incredibile.”
“E
la
cosa è un bene o un male?”
“È
stupendo, ma...”
“Ma
cosa?”
Zoe
era appoggiata al tronco dell’albero, con Jared che le si
avvicinava
lentamente. Da lontano sembravano la classica coppietta innamorata.
“Non
cambia niente. Io lavoro qui, tu in giro per il mondo.”
“Dimmi
solo una cosa e sii onesta come sempre. Mi ami?”
Zoe
rimase spiazzata. Che domanda era? Bhe, lecita visto che lui stesso
glielo
aveva detto poco prima.
“Sì,
certo.”
“E
allora
basta, tutto il resto viene dopo.”
“Credo
che non ti sto capendo.” Jared sorrise.
“Ho
letto Orgoglio e Pregiudizio sai? Hai ragione, non è male. E
ho capito anche
perchè Darcy ti piace. Lui aveva sempre pensato ai rapporti
interpersonali in
una determinata maniera, ma qundo ha conosciuto Elizabeth ha dovuto,
pian
piano, fare i conti con il suo cuore e ammettere di essere innamorato.
E lo è
così tanto che va contro a tutto, gli amici, i parenti, la
classe sociale.
Ebbene, a debita distanza, mi sento come lui.” Prese un
respiro profondo. Zoe
vedeva che era emozionato, gli occhi grigi erano limpidi e commossi.
“Ti amo
così tanto che sono disposto a fare di tutto per stare con
te, perfino ad
essere così terribilmente sdolcinato.”
“Jared...
come? Cosa? Non...”
“Questo
tuo delizioso balbettio mi fa capire che o sei troppo emozionata oppure
sei
rintronata.”
“Fai
la seconda.”
“Lo
immaginavo. Senti, forse è meglio se mi spiego. Tu hai il
tuo lavoro ed ovvio
che devi manterlo, come io continuerò a tenere il mio. Ma
faremo in modo di
trovarci e di portare avanti la nostra storia.”
“É
impossibile e lo sai anche tu.”
“Cazzate,
non è impossibile. Niente lo è se si lavora per
far funzionare le cose. Ci sono
un sacco di coppie che portano avanti storie a distanza soprattutto nel
mondo
della musica, eppure funzionano. Sei la seconda relazione seria che ho
da
quando ho cominciato a fare il cantante e posso dirti che durante la
prima non
ho mai tradito la mia compagna. E sono fermamente convinto a non
tradirti mai.
Semplicemente quando staremo assieme, recupereremo il tempo perso e ci
divertiremo parecchio. Hai ancora qualche dubbio?”
Zoe
lo guardò fissandolo a lungo. Non le stava mentendo, la
volveva veramente come
fidanzata seria, come compagna di vita.
“Non
lo so.”
“Ah,
ovviamente
ti voglio a Londra altrimenti rischio di non avere il bassista per
suonare. E
ti riporterò in tempo per l’inizio della scuola a
gennaio. Inoltre non
dimenticarti che nel 2012 noi staremo fermi, quindi ti
toccherà passare un
sacco di tempo con me.”
Finalmente
Zoe sorrise felice e gli si gettò addosso, quasi facendolo
barcollare. Lo
stinse a se con forza, lasciando andare un paio di lacrime di
felicità, mentre
lui le accarezzava i capelli e la sussurrava parole dolci.
“Ti
amo da stare male. Sono stato male. Scusa se ci ho messo tutto questo
tempo.”
“Chi
se ne frega, l’importante è che adesso siamo qui.
Ma sei sicuro che Maggie mi
ha dato la giornata libera?”
“Certo,
ti dico mai bugie?”
“A
parte quando mi hai detto di essere stato sulla Luna?”
“A
parte
quello.”
“No,
sei sempre sincero ai limiti del nervoso. Allora andiamo, non ho voglia
di
essere arrestata per atti osceni in luogo pubblico.”
Si
avviarono verso la macchina mano nella mano, sempre scortati da una
serie di
sguardi sognanti che arrivavano dalle varie finestre.
“Lo
sai vero che entro questa sera il mondo saprà che sei venuto
qui a fare sta
sceneggiata?”
“Certo
e la cosa non mi interessa per nulla.”
*La
TFD_Radio per l’esattezza u.u
**Non
credo che vi serva sapere chi sia la
Monica in questione.
|
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Capitolo 11 *** Epilogo ***
Ecco
qui, è finita anche questo giro.
Avrete
notato che ho dipinto un Jared quantomeno diverso dai miei soliti, ma
io credo che lui quando è innamorato si comporti esattamente
così. Sono fermamente convinta che non tradirebbe mai
l'amore della sua vita, così come sarebbe disposto a fare
qualsiasi pazzia per lei.
Non
so se voi siete d'accordo con me. Voi che pensate?
Comunque
grazie a tutte per aver letto e commentato questa storia. GraTzia!
Per
leggere questo capitolo, consiglio di ascoltare questa canzone
http://www.youtube.com/watch?v=tuK6n2Lkza0
Lo
spunto della scena mi è stato dato da valetrinity89, quindi
la ringrazio!
EPILOGO
Jared
fischiettava felice nel taxi che lo aveva caricato al LAX. Voleva solo
tornare
a casa in tranquillità. Le riprese erano andate
così bene che avevano terminato
con un paio di giorni in anticipo e quindi prima delle solite sedute
stampa di
routine poteva godersi un po’ casa sua e non solo.
Guardò l’orologio: Zoe era
di sicuro a casa da scuola, quindi le avrebbe fatto una sorpresa con i
fiocchi,
visto che non si aspettava che lui tornasse così presto da
New York.
Pagò
il tassista e si avviò verso casa sperando che il suo cane
non lo sentisse
prima della ragazza. Aprì la porta silenziosamente rimanendo
bloccato quando
sentì delle note familiari: “Are you gonna be my
Girl” dei Jet era sparata a
palla per tutto il soggiorno. Mollò la valigia
all’entrata e cercò Zoe che non
doveva essere distante.
Infatti
ecco la: aveva i capelli lasciati liberi sulla schiena, i suoi occhiali
da sole
e una camicia a quadri di Jared chiusa solo da un bottone al livello
del seno,
dove spuntava un reggiseno nero di pizzo coordinato con un paio di
culotte. Ai
piedi un paio di fantasmini bianchi, ottimo per scivolare sul pavimento
appena
passato di cera, come poteva constatare Jared.
Big
black boots,
long brown hair,
she's so sweet
with her get back stare.
E
mentre cantava faceva ammiccamenti Sexy.
A Jared veniva da ridere, ma voleva
rimanere invisibile il più possibile. Gli piaceva sapere
cosa faceva Zoe quando
lui non c’era.
Well
I could see,
you home with me,
but you were with another man, yea!
Aveva in mano una spazzola che usava come microfono. Si scatenava
saltando e
scivolando per il pavimento del soggiorno. Jared seguiva il movimento
delle sue
curve ipnotizzato, tanto che decretò che la sorpresa
l’aveva fatta lei a lui e
non viceversa, anche se Zoe non sapeva che lui fosse li.
I
know we,
ain't got much to say,
before I let you get away, yea!
I said, are you gonna be my girl?
In quel momento Zoe si girò verso di lui rimanendo a bocca
aperta. Che ci
faceva Jared a casa?
“Al
massimo sono il tuo ragazzo.”
“Questo
lo so anche io, a meno che tu non
abbia fatto un viaggetto in qualche ospedale per cambiare sesso. Cosa
ci fai
qui?”
“Uhm...
ero convinto fosse ancora casa
mia, ma forse ho sbagliato.”
Zoe
arrivò da lui praticamente pattinando
e lo baciò sulle labbra dolcemente.
“Avessi
saputo che arrivavi oggi ti venivo
a prendere no?”
“E
perdermi la scena di te che giri per
casa mezza nuda? Giammai! E per fortuna che Shannon non sta
più qui, altrimenti
sarei potuto diventare molto geloso.”
Dopo
il concerto di Capodanno, Zoe e Jared
avevano deciso di provare direttamente a convivere, anche grazie al
fatto che
stava per scadere il contratto d’affitto del vecchio
appartamento di Zoe. Erano
abbastanza sicuri che avrebbe funzionato la cosa, visto che avevano
fatto
abbondante pratica durante i vari tour e così era stato.
Shannon
fin da subito si era spostato
nella piccola depandance in giardino, usando la casa vera e proprio
solo quando
aveva bisogno di suonare. Alla fine, contro il parere degli altri due,
si era
preso una casa sulla spiaggia, in modo da poter rubare i tramonti* con
tutta
calma e quindi la mars house era diventata il loro personale nido
d’amore. A
parte per il fatto che rimaneva comunque lo studio dei 30 Seconds To
Mars. Per
fortuna per loro in quegli ultimi dieci mesi, avevano suonato ben poco.
Avrebbero ripreso in breve gli strumenti per tornare in tour, ma nel
frattempo
un po’ di calma per tutti ci stava. Soprattutto per Tomo che
ormai era alquanto
agitato per l’arrivo del primo pargolo Milicevic.
“Hai
poco da essere geloso. Anche lui
ormai tra un po’ sarà finalmente
ingabbiato.”
Jared
si sedette sul divano, facendo in
modo che lei gli si poggiasse sopra e intanto di poter insinuare le
mani sotto
la sua camicia.
“Hai
pettegolezzi per me?”
“Uhm...
qualcosa. Ho parlato con Emma che
è incredibilmente soddisfatta di essere riuscita a dargli un
ultimatum. Spero
per Shannon che lo sappia mantenere.”
“Del
tipo?”
“O
lei o le altre. Non può correre da Emma
quando si sente solo per poi scopare a destra e a manca come se nulla
fosse.
Emma ha deciso, sta a Shannon capire quanto ci tiene a lei e siccome
sono già
due settimane almeno che lui si attiene alla regola, possiamo quasi
definirci
speranzose. E comunque so che tu sai già, quindi queste
discussioni sono
quantomeno inutili.”
Jared
rise portandola direttamente su
Marte. Le era mancato da morire in quel mese di lontananza. Non era
semplice
lasciarsi, ogni volta si ritrovava con un peso al cuore e qualche
lacrima sul
cuscino, ma non gli avrebbe mai chiesto di cambiare lavoro solo per non
lasciarla. E comunque tra la scuola e gli amici, riusciva comunque a
passare
quei periodi in velocità.
La
vera prova del nove sarebbe stato il
tour: di certo lei sarebbe stata con loro nei vari mesi estivi, ma per
il resto
dell’anno avrebbero dovuto fare spola avanti ed indietro.
Sarebbe stato da
divertirsi, ma non importava, erano entrambi certi che ce
l’avrebbero fatta a
superare anche questa.
Quando
avevano deciso di mettersi insieme
avevano fatto una lunga chiacchierata, ovviamente dopo aver cercato di
buttare
giù i chili di troppo di Zoe, e avevano deciso che per
portare avanti una
storia seria, c’era bisogno di compromessi. Zoe lo avrebbe
aspettato senza
dover perdere il suo lavoro e lui, invece di stare in vacanza
all’estero,
sarebbe sempre tornato a casa. Era un dolce compromesso per Jared,
anche se
avrebbe preferito avere Zoe vicino a sè praticamente sempre,
ma la prima cosa
che aveva capito era che lei non avrebbe rinunciato alla sua vita e a
quello
che a lei piaceva, per lui. Anzi, probabilmente per nessuno. Se in un
futuro
Zoe avesse deciso di mollare l’insegnamento per seguirlo in
giro per il mondo,
allora lo avrebbe
fatto solo per se stessa. E in fondo quello era uno dei tratti
distintivi che
l’aveva fatto innamorare di lei.
La
strinse ancora di più tuffandosi nei suoi capelli per
inspirare a fondo il
profumo che gli era tanto mancato, mentre lei rideva per un principio
di
sollettico.
“Ehy,
mister, la smetta di infilare quella mano dove non dovrebbe
stare.”
“Prova
a fermarmi se ci riesci.” Zoe si lasciò togliere
la camicia, mentre la bocca di
Jared le baciava le spalle e le mani scendevano verso il bordo delle
culotte.
“non ti lamenti più?”
“Uhm...
no, mi piace troppo. Ti adoro quando mi tocchi
così.”
“Lo
so, per questo continuo a toccarti.”
Rimasero
sul divano per delle ore, indecisi se continuare a rimanere li o
spostarsi per
stare più comodi a letto, fino a quando lo stomaco di Zoe
non prese a
brontolare.
“Ho
fame Jay.”
“L’avevo
notato. Ma non ho voglia di uscire, dato che sono appena
tornato.”
“E
io
non ho voglia di cucinare, dato che sono bella comoda su di
te.” Jared rise e
si allungò fino a prendere il fedele BlackBerry che
lampeggiava sul comodino.
Lasciando perdere chiunque lo stesse cercando, chiamò la
pizzeria ad asporto.
“Salve,
vorremmo ordinare una pizza. Anzi, facciamo due. Una ai peperoni e una
normale.
Mezz’ora? Perfetto. In Mars Street 30**. Grazie a
dopo.”
Zoe
si strusciò ancora una volta su di lui, nuda e perfettamente
appagata.
“Così
mi salvi la vita.” Jared sorrise tra se.
“Sei
tu che hai salvato la mia, Zoe.”
*Citazione
presa da Closer to the Edge
ovviamente
**Non
serve che spiego, vero?
FINE
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