You're not OK

di PrincesMonica
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Autrice: PrincesMonica
Titolo: You’re not Ok
Rating: arancione per ora
Disclaimer: I 30 Seconds to mars e soprattutto Jared Leto non sono di mia proprietà, anche se ci sto lavorando. Scrivo per delizia personale.
Per la vostra poca gioia, lo so, sono tornata XD
Ho bisogno di un aiuto da voi lettrici: la nostra Eroina non ha nome. Ditemi che nome le dareste e vedrò che posso fare ok? Altrimenti vi tocca avere nuovamente la solita noiosa Monica e credo che vi siete anche stufate di lei. Quindi mandatemi i nomi che vorreste darle.
GRAZIEEEEEEE

 
PROLOGO
C’era qualcosa che non andava in quella quieta oscurità. Jared lo sentiva a pelle che qualcosa era sbagliato, che mancava qualcosa al suo fianco. Allungò il braccio in maniera quasi meccanica, ma incontrò solo un cuscino soffice vuoto.
Lei non c’era.
Non che fosse una novità, in effetti. Normalmente dormivano ognuno nella propria stanza d’albergo o cuccetta di tourbus, eppure quel giorno gli pareva sbagliato.
Sospirò: si tolse la mascherina da viaggio e si rese conto che il sole era già alto. Incredibile, aveva dormito più di due ore di fila. Probabilmente anche sei e avrebbe continuato a dormire, se lei fosse stata li con lui. Il letto sapeva ancora di loro, ma la stanza era di una desolazione imbarazzante.
No, non andava bene così.
Borbottando si alzò dal letto e si mise le prime cose che trovò a tiro, una magliettina bianca della salute e un paio di Jeans a vita bassa. Non prese neppure la briga di pettinarsi, lasciando quella capigliatura alla Goku libera di esprimersi al meglio. Passò una mano sul mento e notò che la barba era cresciuta un po’ troppo. Doveva assolutamente tagliarsela.
Arrivò alla sala da pranzo e la trovò li, seduta con il suo bicchiere di succo di frutta in mano e un pezzo di pane ricoperto di Marmellata rossa. A differenza di tutti loro, non beveva mai caffè a meno che non se lo preparasse da sola con la sua macchinetta. Odiava i caffè lunghi, specie nelle bicchieri di Carta e l’unica volta che lui gliene aveva preso uno da Starbucks, lo aveva lasciato sul tavolo.
Deglutì pesantemente: i suoi capelli color del mogano scendevano ordinati sulla schiena, quasi a ricoprirla del tutto. Stava chiacchierando con Emma, ormai praticamente inseparabili da quando Lei aveva iniziato ad aiutarla nella gestione della band. E rideva, con quella risata tutta sua, a metà fra il cristallino di una bambina e la malizia di donna quale lei era.
“Dove sei sparita?” le domandò brusco. Ok, si disse, non era proprio quello il modo con cui voleva cominciare. Avrebbe dovuto salutarla, aspettare che Emma e gli altri se ne andassero ed iniziare quel discorso decisamente privato. Invece, a differenza di come affrontava le cose solitamente, era arrivato e sbam, spiattellata la verità davanti a tutti. Forse doveva farsi vedere da uno bravo, pensò veloce come un fulmine.
“A fare colazione? Comunque, buongiorno Jared.” Gli disse guardandolo da sopra le lenti. Jared si sentì imbarazzato in quel momento, soprattutto perchè intorno a lui si erano fermati tutti. Ma proprio tutti.
“Non è quello che ti stavo chiedendo e lo sai.” La vide arrossire leggermente, ma mantenne lo sguardo fisso nel suo.
“Sono andata nella mia stanza a dormire, come sempre.”
Ecco, era venuto fuori tutto. Attorno a loro i ragazzi si stavano tutti muovendo come se stessero sui carboni ardenti. Solo Emma continuava imperterrita a sorseggiare la sua tazza di caffè e a sfogliare l’ultimo numero di Vogue. Evidentemente le due ragazze avevano già parlato della loro situazione, del resto erano le uniche due cromosoma XX fisse presenti nella crew e quindi avevano di certo legato e fatto fronte comune per resistere in mezzo a tutti gli uomini che le giravano attorno.
“Saresti dovuta rimanere.”
“Scusa? A parte che non mi sembra il momento dei parlarne visto che sono cose private, ma mi hai sempre ripetuto che non vuoi che resti da te finito... insomma, capito no?”
“E tu mi dai anche retta?”
“Tu non stai bene, lo sai Jared? Dovresti farti vedere da uno bravo.” Si alzò lasciando  tutti gli altri che li osservavano imbarazzati.
Jared deglutì vedendola andarsene: onestamente non capiva cosa stava succedendo. Da parecchio tempo ormai sapeva esattamente come relazionarsi con le donne, chiunque essere fossero. Grupie, fangirls, Echelon, Emma e sua madre.
Lei no. Non la capiva, non ci riusciva. Quando era arrivata, mandata dal The Hive per aiutare Diana con i GT, era sempre rimasta lontana da lui, gli parlava poco e solo se doveva. Era subito entrata in sintonia con Shannon e Tomo, per non parlare di Tim con cui condivideva un smisurato amore per i Capitan Crunch. Solo con lui era rimasta lontana, come se avesse la peste. Eppure lo seguiva fissa con lo sguardo, sapeva esattamente dove trovarlo in una stanza.
Un’ombra sembrava. La sua, discreta e tranquilla, ma muta. C’era voluto un bel po’ di lavoro per riuscire a farci un lungo discorso che esulava completamente dal suo lavoro e le era parsa una persona in gamba. Svolgeva i suoi lavori con dedizione e tranquillità, non si lasciava andare in crisi isteriche ed era anche abbastanza metodica, non come Emma, ma ci stava arrivando.
E a differenza della sua segretaria storica, lei sorrideva tantissimo. A tutti. Ed era bellissima per quello. Era quel sorriso smagliante che il suo corpo aveva fatto uno strano sobbalzo e si era imposto di conoscerla al meglio. E non se ne era mai pentito.
Specie quando l’aveva baciata la prima volta, su un divanetto durante l’esibizione di Shannon dopo lo show di Chicago. La musica non era delle più romantiche, ma in quel momento, di nascosto da tutti, in un privèè totalmente priveè, l’aveva assaggiata la prima volta ed era stato come drogarsi. Ora non gli bastava mai, voleva la sua dose fin dal mattino. Era veramente messo male.
“Mi domando, Jared, cosa stai facendo ancora qui. Perchè non vai da lei e le parli? Mi pare ovvio che dobbiate... risolvere qualche cosa.”
Lui si sedette al tavolo sbocconcellando dei biscottini con le gocce di cioccolato.
“Non c’è nulla da chiarire... in realtà sono stato troppo precipitoso e lei ha ragione. Ha dormito nella sua stanza, esattamente come ha sempre fatto.”
“Già, però mi pare che tu non sia rimasto molto soddisfatto della cosa.” Rincarò la Dose Shannon sedendosi vicino a loro.
“Tu farti gli affari tuoi, mai, vero?”
“Voglio solo che il mio rfatellino sia felice e credo che lei sia la ragazza giusta. Dai su, vi a scusarti per il tuo comportamento da maleducato. Non sta bene parlare di queste cose intime davanti agli altri... insomma, ci potrebbero essere orecchie indiscrete che ascoltano.”
“Tipo le tue?”
“Si, esattamente.” Fece Shannon con un gran sorriso e dandogli una pacca sulle spalle prima di uscire per la sigaretta di rito.
“Shan ha ragione. Ti sei comportato in maniera decisamente inconsueta stamane, quindi forse dovresti farti un esamino di coscienza e capire che cosa ti ha portato a fare questo.”
Jared osservò la sua ex segretaria, ormai produttrice e Factotum della band e si chiese cosa aveva fatto di così buono nella sua vita per meritarsi una come lei. Vero che rompeva spesso le scatole e che spesso si comportava come un sergente maggiore dell’esercito, ma stranamente sapeva sempre dirgli le cose giuste al momento giusto.
Mise le dita sulle tempie e se le massaggiò, come se quel lento roteare potesse aiutarlo nella decisione da prendere.
Doveva fare qualcosa.
Ma cosa?

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Capitolo 2
*** capitolo 1 ***


Capitolo 1
 
Non le piaceva finire la colazione in quella maniera. Le piaceva prendersela con calma, mangiare il pane assaporando la dolce marmellata, meglio se di fragole, oppure la cremosa Nutella che le si incollava al palato. E poi bere grandi sorsi di succo di frutta per aiutarla a far scendere il cibo, magari leggendo un giornale a caso, anche sportivo. Di certo, però, non le piaceva interromperla bruscamente perchè il suo amante si era svegliato con la luna storta.
“Però almeno si è svegliato, un po’ di ore le avrà dormite.” Pensò mentre gettava le ultime cose nella grossa valigia che si portava dietro da settimane per il tour europeo.
Sospirò pesantemente e si buttò sul letto.
In cosa era andata a cacciarsi? Si era ripromessa di stare ben lontana da Jared Joseph Leto. Il The Hive le aveva dato un lavoro che la portava in giro per il mondo con dei ritmi discutibili, ma in fondo pagavano anche abbastanza bene e lei doveva solo non mettersi ad avere relazioni con uno dei 30 Seconds to Mars.
Ovvio.
Ed era per quel motivo che era finita a letto con Jared.
Sospirò nuovamente.
In realtà, ammise a se stessa, ci aveva provato con tutto il cuore a non immischiarsi nei suoi affari, a mantenere il loro rapporto del tutto lavorativo e basta, peccato che a Mister Leto non andasse bene e quindi era definitivamente crollata. Non che la cosa fosse brutta, anzi. Il sesso con Jared era decisamente terapeutico sotto molti punti di vista. Oltre a fare ottima attività fisica che la manteneva tonica e più in forma che mai, si sfogava con lui di tutto quello che di frustrante le capitava al lavoro e la cosa era reciproca. Se uno show andava male, il sesso era quanto di più feroce avessero mai provato prima. Se il concerto andava tutto alla perfezione, era euforico.
Il problema, per lei, era che comunque andassero le cose, il sesso era stupefacente e questo la portava a sentirsi come una drogata. Più ne faceva e più ne voleva e, siccome non era stupida, aveva ben capito che per Jared era la stessa identica cosa.
La voleva e la piazzata di quella mattina ne era la prova tangibile. Peccato che la volesse solo per il sesso, ma, in fondo, era quello che c’era tra loro no?
Chiuse gli occhi e le apparve nitida un’immagine, quella più vecchia e in un certo modo quella più pura, la prima volta che aveva visto i Mars
 
Era una tiepida giornata di inverno, a Los Angeles. Zoe e le sue amiche passavano i pomeriggi a girare per le strade trafficate della città. Andavano in giro per negozi, spendevano quei pochi dollari tra trucchi e vestiti ai mercatini. Per lei la vita era tutta li, la mattina a studiare all’UCLA per diventare un qualcosa di indefinito, dato che non aveva ancora capito cosa avrebbe fatto da grande, e il pomeriggio a fare le donne vissute, magari in qualche circolo letterario fricchettone, oppure in bar al limite della legalità a fumare qualche spinello di dubbia provenienza.
Si sentiva importante, si sentiva libera.
Aveva capito, con il tempo, che erano solo sensazioni effimere, nonera nessuno nella grande metropoli. Otto milioni di persone e lei era solo un solo elemento. Insomma, una nullità. Ma a vent’anni, Zoe non ci pensava proprio.
Quella sera lei e le sue due migliori amiche, Liz e Georgia, erano andate a mangiare in un ristorante Thai ed uscite euforiche per le avances del cameriere e girando per locali, erano arrivate ad un bar dall’aria poco sicura, ma con l’insegna al neon che occupava tutta l’entrata. A lato un cartellone scritto a mano
 
“STASERA IN ESCLUSIVA, I 30 SECONDS TO MARS LIVE.”
 
Non avevano idea di chi fossero, ma un amico di Georgia le aveva bloccate per parlare e loro avevanoavevano deciso di farsi una birra ridendo e ascoltando l’ennesimo gruppo underground sconosciuto.
Dieci minuti e una schitarrata catturò la sua attenzione. Lasciò perdere Liz che flirtava con un ragazzo e si mise ad ascoltare quello strano gruppo.
Rimase affascinata da quel cantante con i capelli di due colori, il ciuffo biondo e il dietro di un castano chiaro. Magro, vestito di Bianco con alcuni strani disegni di Frecce sulle maniche. Cantava con gli occhi chiusi, con una voce che partiva dalle note più basse prima di raggiungere vette altissime ed urla da rock Screamo.
Poi quella batteria incredibile, che riusciva a dare un ritmo unico a quelle canzoni, forte ed incessante, con dietro quell’uomo che sembrava stesse per distruggere ogni cosa. A petto nudo, sudato e scintillante, le stava scaldando il cuore.
Il bassista era altissimo, con i capelli biondi corti sparati in aria con il gel. Non sorrideva, era intento a suonare, serio e concentrato e quasi non si rendeva conto del chitarrista con i capelli neri che se la viaggiava per tutto il palco saltando come una cavalletta.
Il gruppo sembrava affiatato, di certo molto giovane, dovevano ancora migliorare, ma a Zoe erano piaciuti tantissimo.
Le parole di ribellione, di cambiamento e di ricerca l’avevano sorpresa innanzi tutto e poi ammalliata. Sembrava che stessero parlando di lei, o almeno di quello che lei intimamente voleva fare. In fondo era vero che le sue giornate andavano avanti placide e tranquille, ma lo sentiva sotto pelle che aveva bisogno di una rivoluzione. Si, quella forse era la parola giusta, rivoluzione.
“Zoe, andiamo?” Georgia la stava trascinando per un braccio, ma lei faceva ostruzionismo.
“No, vorrei finire di ascoltarli. Sono bravissimi.”
“Bravissimi? Ma fanno un casino allucinante. Senti, io e Liz volevamo andare al Viper... ci dovrebbe essere Jason.” Zoe arrossì all’idea. Jason era il Suo principe azzurro ideale, il giocatore punta della squadra di football della sua ex scuola, il suo sogno proibito da anni immemori. Andando al Viper poteva mettere in pratica il piano pensato con le amiche, ma... diavolo, quella band la stava stregando.
“E poi hanno terminato, non senti che finalmente c’è della musica decente?”
LA musica così detta decente da Liz, era qualcosa di simile a della musica dance che a Zoe aveva sempre fatto schifo.
“Veramente...”
“Ehy, ciao.”
Zoe sentì qualcuno che le picchiettava le spalle, si voltò e si trovò davanti al chitarrista che la guardava con due enormi occhi verdi e un sorriso smagliante. Era ancora sudato, indossava una maglietta scusa leggermente umida e un asciugamano bianco attorno al collo.
“Ciao.” Fece lei titubante.
“Io sono Solon.” E le diede la mano. Per fortuna quella non era umida e la stretta era salda e sicura.
“Io sono Zoe.”
“Ho visto che eri interessata alla nostra musica, quindi mi sono permesso mi venire a salutarti.”
“Sì, non siete per niente male. Mi piace il vostro sound. Siete nuovi?”
“Abbastanza. Jared e Shannon, cantante e batterista, hanno iniziato a fare qualcosa fin da piccoli, ma insieme abbiamo iniziato da poco. Stiamo iniziando a farci conoscere intanto qui a Los Angeles, poi la California e poi il resto del mondo, no?” e rise felice.
“Avete piccole ambizioni.”
“Il motto che ci ripete Jared ogni giorno è, Provehito in Altum.”
“Puntare verso l’alto? Interessante.”
“Sai il Latino?” le chiese sorpreso.
“Si, sto studiando lettere all’UCLA. Non so bene cosa voglio fare, ma intanto studio.”
“Zoe, andiamo?”
Georgia aveva le mani incrociate al petto e batteva un piede a terra decisamente innervosita. Non voleva più stare li, il messaggio era chiarissimo.
“Scusami Solon, devo andare.” Vide un lampo di delusione sui suoi occhi. “Ma magari vengo al vostro prossimo concerto, magari da sola.” E sorrise debolmente.
“Se mi dai il tuo numero o un indirizzo e-mail, ti avviso io.”
 
Zoe sorrise nella solitaria stanza d’albergo. Solon all’epoca era stato gentilissimo. Non aveva mai saputo se per un interesse personale o semplicemente per pubblicizzare la band. Non ava avuto il tempo per scoprirlo, dato che a breve Solon aveva lasciato la band e non aveva più provato a farsi sentire.
Erano passato undici anni da quella sera, undici lunghissimi anni nei quali lei si era laureata in lettere antiche, aveva avuto il suo momento di gloria con qualche pubblicazione nei giornali del settore e si era messa ad insegnare storia alle scuole elementari e, soprattutto, era diventata una delle prime Echelon. Grazie al contatto che aveva con Solon, riusciva ad andare ad ogni serata che facevano in città.
Li aiutava nella promozione, magari in facoltà, andava in giro per negozi a lasciare dei volantini fatti in casa da lei e le sue amiche, si era stranamente buttata in un qualcosa che prima non aveva neppure sognato di fare. E la cosa le piaceva, la faceva sentire libera.
Nonostante l’amore e la passione che ci metteva, però, aveva deciso di mantenere una sorta di distacco. Aveva già visto che Shannon era un marpione che ci provava con qualsiasi ragazza girava nei dintorni, in primis Georgia al terzo concerto nel quale l’aveva portata, mentre Matt rimaneva sempre in disparte, come se fosse di una timidezza cronica. E Jared? Si concedeva con parsimonia, spesso andava via prima degli altri insieme alla sua fidanzata Cameron.
“Cavoli, stava con Cameron Diaz” pensò nuovamente Zoe “come posso anche solo minimamente pensare che dopo una relazione con una come lei, possa provare un serio interesse per me?” Sospirò.
Era un problema non da poco: finchè tutto rimaneva sul piano fisico e sessuale, la cosa funzionava bene, ma non poteva permettere di far giocare anche eventuali sentimenti.
Jared era una calamita, un turbine che ti intrappolava e non ti lasciava più, che fosse per il lavoro o anche semplicemente per la sua personalità. Era ingombrante a volte, perchè dove arrivava lui, il resto spariva. Non lo faceva apposta, Zoe ne era perfettamente consapevole, solo che per persone carismatiche come lui veniva naturale, come respirare.
Non poteva permettersi di innamorarsi di lui, sarebbe stato un suicidio emozionale.
Si alzò dal letto di scatto e chiuse la valigia quasi con rabbia.
“Fanculo.” Mormorò, poi prese il telefono. Dopo due squilli ricevette risposta.
“Buongiorno, sono Zoe Hayden*. Abbiamo parlato per il trasporto in aeroporto dei 30 Seconds To Mars. Entro un’ora siamo pronti a partire.”
Battè il piede per terra quasi spazientita dalla voce della receptionist dall’altra parte, che con voce fastidiosamente nasale stava ricapitolando tutto quello di cui avevano già abbondantemente parlato i giorni scorsi.
“Non so se ha capito: tra un’ora siamo pronti. Arrivederci.”
Non era da lei chiudere le telefonate in quella maniera, ma era nervosa. Non finire la colazione le faceva quell’effetto.  Certo, anche i pensieri che variavano dall’omicidio al matrimonio verso Jared non aiutavano.
La porta della sua camera si aprì di scatto e ritrovò Emma che la fissava con la valigia in mano.
“Andiamo?”
“Le macchine saranno qui tra un’ora.”
“Bene, così avrai il tempo di farti fare un caffè decente, di quelli assurdi che piacciono a te.”
“Non sono assurdi, sono solo ristretti, ma tanto ora non ne ho voglia. Facciamo sto check out e andiamocene da qui.”
La moquette sotto i piedi rendeva i loro passi ovattati nel silenzio del corridoio, finao a quando arrivarono nella hall dove anche gli altri stavano lentamente ridando le chiavi delle stanze e firmando i Voucher.
Emma, con volto apparentemente di una addormentata cronica, arrivò al banco e terminò tutti i dettagli della loro permanenza. Era lei che pagava, era lei che sistemava eventuali problemi, insomma, era lei che gestiva tutto.
Zoe si sedette sul suo trolley guardandosi la punta delle sue scarpe: aveva di notato che tutti di soppiatto la stavano guardando, probabilmente perchè curiosi di sapere qualche dettaglio sulla scenata di Jared. Che ne poteva sapere lei? Era Jared quello strano che tutto ad un tratto scoppiava e scendeva a fare... bho, che faceva? La Divah?
“Ti va di farmi compagnia per una sigaretta?”
Alzò la testa e trovò Tim che la guardava con il suo normale sguardo da cucciolo. Quegli occhi enormi erano magnetici e profondi, le davano sempre un’incredibile sicurezza. E poi alto com’era, Tim quando la abbracciava praticamente la ricopriva tutta.
“Certo.”
L’arietta fresca fuori dall’hotel fece fare a Zoe un piccolo sorriso: non c’erano Echelon appostate e quindi potevano stare tranquilli a parlottare di nulla, come sempre succedeva qualcosa.
“Allora, in confidenza tra noi... che succede tra te e Jared?”
Lei si irrigidì e riuscì, all’ultimo a non mandarlo a quel paese: in fondo Tim, lo aveva capito, era preoccupato. La piccola ruga che gli solcava la fronte era un sintomo abbastanza chiaro. Deglutì.
“Non succede nulla.”
“Non eri tu quella che ripeteva, niente storie con le rock star?”
“Sì e credimi, vale ancora. Non c’è nessuna storia, solo... sesso.” Tim aspirò una boccata di fumo per poi espellerla piano, come meditando.
“E non ti pare che con uno come lui sia già da considerarsi una storia?”
“No! Le storie sono cose... serie. Sono legami continuativi, non una semplice scopata post concerto. Senti Tim, apprezzo il tuo interessamento, ma...”
“Sono solo preoccupato per te. Jared è vecchio abbastanza per sapere come si deve comportare, ma tu...”
“Ho trent’anni Tim, non sono una delle sue ragazzine isteriche. So cosa voglio e cosa mi serve.”
Lui gettò il mozzicone a terra schiacciandolo con la punta per spegnerlo: non sembrava molto convinto delle parole della ragazza, ma scrollò le spalle e cercò di darle il beneficio del dubbio. Ovviamente Zoe non sapeva che lui la osservava in ogni momento dei concerti e aveva ben capito che le sue parole erano false. Anzi, Zoe erano convinte che fossero vere, perchè si stava autoconvincendo che non provava nulla, peccato che solo lei ci stava credendo.
Scosse il capo e l’abbracciò accarezzandole la schiena con dolcezza.
“Grazie Tim, sei un amico.”
“Lo so.”
Nella hall, riparato da sguardi indiscreti, Jared osservò tutta la scena con occhi imprescrutabili. Non poteva mentire: quell’abbraccio, anche se totalmente amichevole, gli stava dando nervoso. Quella mattina aveva sbagliato tutto, non  avrebbe dovuto fare la scenata e soprattutto avrebbe, forse, dovuto parlarle, ma per dirle cosa? No, lui aveva una certa credibilità da mantenere e non poteva giocarsela in quella maniera.
“Io sono sempre più convinta che è il momento di chiarire tra voi. Viaggeremo per tutta l’estate assieme, non potete rimanere così. Parlatene.” Sussurrò Emma apparendo quasi dal nulla.
“Non serve. So già cosa devo fare.”
 
 
*Omaggio al centauro americano più figo in circolazione, Nicky Hayden.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
Forse era una sciocchezza, o forse no, ma in quel momento Zoe era da sola a sistemare qualcosa sul Mac, Emma era uscita per delle spese personali in giro per New York e il resto della Crew si stava riposando in attesa del concerto. Era il momento perfetto per agire.
Le si sedette vicino facendola trasalire: una ciocca di capelli era sfuggita dalla cosa e gli occhiali quasi le stavano cadendo dal naso. Evidentemente era parecchio concentrata.
“Ciao.” Iniziò.
“uhm... ciao?”
“Che stai facendo?”
“Mi assicuro che tutte le mail per i GT siano state mandate. Non abbiamo bisogno di ulteriori critiche anche da parte loro. Bastano quelle che piovono dagli altri Echelon.”
Jared passò la lingua tra le labbra, impaziente di cambiare il discorso. Non voleva assolutamente che tra loro il discorso vertesse sul lavoro, voleva, per una volta, parlare di lei.
“Come mai non sei uscita con Emma?”
“Non avevo voglia di fare Shopping. A lei piacciono i negozi di vestiti e scarpe e ci perde troppo tempo, mi annoio.”rispose meccanicamente digitando velocemente sulla piccola tastiera.
“E dove preferisci spendere i tuoi soldi?”
“Bho... negozi di musica di solito, o Libri. O forse DVD. Dipende dal periodo.” Aveva smesso di lavorare e lo fissava incuriosita. In fondo era la prima volta che lui veniva a parlarle, le interessava capire che cosa volesse da lei.
“E in che periodo sei ora?”
“Non lo so. In quello di dormire. Girare il mondo è bello, ma è stancante e io amo dormire. E ne ho bisogno.”
Jared rise. Dormire... una attività che svolgeva sempre meno e sempre peggio, lo sapeva.
“Conosco un posto carino dove poter far incetta di libri a poco prezzo. Sta a Soho... ti va di andarci?”
Ci fu un momento di silenzio denso come melassa. Jared sentiva le rotelline di Zoe lavorare alla clemente e si mise a contare quanto tempo ci volesse per un secco rifiuto. Era interessante, però, osservarle quelle labbra piene e dolci che fremevano, come se stesse parlando con se stessa, come se cercasse di decidere quale era la cosa migliore. “Lascia perdere, non voglio...”
“Ok, andiamo. Sono stufa di stare chiusa qui e mi fanno male gli occhi a stare davanti allo schermo.” Con un gesto secco aveva spento il Mac e si era alzata.
Avevano camminato uno di fianco all’altra, inizialmente in silenzio, come a cercare qualche cosa comune di cui parlare, poi lentamente, tra un semaforo da superare e un barbone da evitare, avevano iniziato a discutere di politica sociale americana.
Jared stava per mettersi a ridere: forse solo con sua madre era riuscito a parlare di cose così serie, invece con lei pareva tutto così, bho, normale.
Arrivarono a Soho e la vide sorridere. Non il solito sorriso di scherno o timido che normalmente gli riservava, ma un sorriso sano e genuino, come se fosse felice.
Il negozio dove l’aveva portata era uno stretto corridoio tappezzato dal pavimento al soffitti di vinili d’annata, Cd impolverati e libri dalle pagine ingiallite. Sul muro di fronte alla porta faceva orgogliosa dimostrazione di sè, una bandiera rossa con la faccia del Che.
Dietro al bancone un sessantenne, vestito con una camicia hawaiana, dei pantaloni color kaki, un paio di infradito consunte e un paio di occhiali spessi come due fondi di bottiglia, che leggeva un libro che pareva essere suo coetaneo. Decisamente pittoresco.
“Ciao Arnold.”
“Ciao Pazzo. Dimmi subito se ti serve qualcosa, perchè sto iniziando il capitolo nuovo e dopo non voglio essere disturbato.”
Zoe lo fissò interdetta: era quello il modo di trattare i clienti, ma Jared sembrava tranquillo.
“No leggi senza problema. Io e la mia amica ci metiamo solo a cercare qualcosa. Torniamo tra un po’ quando hai terminato uno o due capitoli.”
“Uhm... conoscendoti anche tre o quattro.”
Jared rise e portò Zoe verso il fondo del negozio dove filtrava una luce soffusa dietro un vetro decisamente sporco, che però rendeva il locale perfetto. Era un negozio che non sarebbe potuto esistere in nessun’altra città se non lì, a new York.
“Arnold è un ex marines del Vietnam, un ex hippie, un ex Freak. È un Ex, qualcuno che non esiste, un essere che sta bene sempre, ma non sta realmente bene da nessuna parte. È un  disadattato tranne qui dentro, dove la sua parola è legge. Tu non puoi comprare niente che lui non consideri giusto per te e se ti da in mano il libro per te, credimi è veramente quello giusto. Mi è successo un secolo fa e sono diventato quello che sono ora.”
“Un pazzo furioso?”
“No, il cantante dei 30 Seconds to Mars.”
Zoe non capì, ma Jared andò direttamente verso uno scaffale ed iniziò a sfogliare alcuni romanzi dall’aria vissuta. Lei decise di darsi ai CD.
Rimase a bocca aperta: trovo dei rarissimi Live di alcuni dei suoi gruppi preferiti, oltre ai mars: U2 di super annata, un concerto semi dimenticato dei placebo quando ancora nessuno li conosceva. E gruppi underground che nessuno aveva mai sentito. Ma, soprattutto, molte registrazioni dei Breaking Benjamin, il suo gruppo del cuore dopo i Mars.
Dopo mezz’ora di scartabellamento, aveva almeno dieci cd in mano. E doveva ancora iniziare a guardare i libri. Guardò Jared che era intento a fissarla con un sorrisino sardonico sulle labbra e si sentì spiata.
Jared aveva notato che Zoe sfogliava velocissima i cd, leggeva rapida i titoli e gli autori, fino a quando non trovava qualcosa che le interessava. Allora lo tirava fuori dalla scatola e leggeva con attenzione il retro. Era interessante guardarla fuori dal contesto lavorativo, era molto più rilassata e sicuramente più se stessa. Non era una ragazza che amava essere troppo rigida ed inflessibile come invece richiedeva gestire le loro vite, era una ragazza, una donna, si corresse, che lasciava correre e le piaceva che la vita avesse una certa sorta di calma. E soprattutto sembrava certa di sapere quello che voleva.
“C’è qualcosa che non va?”
“No, ti osservavo e basta. Andiamo a pagare, tra un po’ dobbiamo essere in hotel con gli altri e se facciamo tardi Emma ci squoia. Frustrante non trovi? In fondo sono io che la pago, eppure mi tiene al guinzaglio.”
Posò sei libri davanti ad Arnold e poi attesero qualche minuto che l’uomo terminasse il capitolo.
“Hai fatto in fretta, Pazzo. Solo tre capitoli... stai perdendo colpi?”
“Purtroppo ho un impegno urgente.” L’altro grugnì qualcosa che sembrava vagamente un accusa all’incredibile ignoranza dei capitalisti, tra cosa fosse più importante se un libro di Aristotele o un impegno mondano. Zoe era sconvolta.
“Questo non va bene per te, bambina.” Disse Arnold prendendo un CD di musica classica che Zoe aveva messo nella pila di acquisti.
“Infatti non è per me. È per mia madre. Lei suonava il violino nell’orchestra filarmonica di Los Angeles.”
“E tu ascolti i Breaking Benjamin.... interessante la ragazza. Però ti consiglio anche questo.” Prese da sotto lo scaffale un libro, stranamente nuovo rispetto agli altri. “Ti servirà. E ti sarà utile, visto i tipi con cui giri.” Jared roteò gli occhi quasi scocciato, ma in realtà sorrideva e Zoe lesse il titolo:
“101 modi per riconoscere il tuo principe azzurro (senza dover baciare tutti i rospi). Di Federica Bosco*. Stia scherzando vero? Non ho bisogno di un manuale del genere, mi vedi così disperata?”
“No, ma ridere aiuta, ricordati.”
Jared pagò, rigorosamente in contanti perchè non si sapeva mai chi poteva controllare con i bancomat e Carta di Credito, ed uscirono alla luce del sole con Zoe che continuava a brontolare.
“Guarda che il libro te lo ha dato perchè eri con me. Magari crede che io e te stiamo assieme... ti cerca di mettere in guardia.”
“Ma secondo te ho bisogno di questo per capire che tu sei l’uomo più sbagliato che esista?”
Silenzio.
Zoe si rese conto immediatamente dell’errore e si maledì in silenzio.
“Nel senso che sei il mio capo e quindi solo per questo che le cose non andrebbero bene... insomma, hai capito no?”
“So di essere una persona un po’ difficile, non ti scusare. E comunque meglio così, la band non ha bisogno di casini sentimentali.”
“Esatto, bastano Emma e Shannon.”
“Già.”
“Già.”
Camminarono in silenzio, terribilmente imbarazzata Zoe, meditabondo Jared. Quando aveva deciso di parlarci si certo non era per iniziare una pseudo storia, eppure appena era paventata l’idea ad Arnold, sentirsi rifiutare in quella maniera lo aveva punto sul vivo. Però avevano ragione, non potevano esserci casini, dovevano portre il tour a compimento senza alri traumi.
“Come mai dici che Arnold ti ha fatto diventare quello che sei?”
“Uhm?”
“Me lo hai detto prima, dentro al negozio.”
“Ah, è vero. Bhe come tutti sanno il nostro nome deriva da una teoria proposta da uno scienziato di Harvard.” Zoe fece un gesto della mano come a scacciare una mosca.
“Questo lo so, dimmi qualcosa di nuovo.”
“Io non sono mai stato ad Harvard, tanto meno Shannon. Molto semplicemente il fascicolo su cui era stata pubblicato quell’articolo me l’ha passato Arnold.”
“Cioè ti ha visto e ha detto, questo va bene per te?”
“Le parole non sono state proprio queste, ma diciamo che a grandi linee è andata così.”
“Non può essere vero dai...”
Si fermarono davanti ad un affollato semaforo in attesa del Verde.
“Invece ti giuro che è andata proprio così. Chiedi a Shan se non mi chiedi, eravamo assieme. Lui si è preso un vinile originale dei Led Zeppelin quel giorno.” E sorrise al ricordo.
“Pazzesco... e non ti chiama mai per nome?”
“No, anzi onestamente non credo che neppure lo sappia. Mi chiama Pazzo, ogni volta, ma in fondo, non credo che sia andato tanto lontano dalla verità, ti pare?”
 
Jared aprì gli occhi di scatto e fissò Zoe, che completamente ignara, stava giocando sul suo I-pad, quello che Jared aveva regalato a tutta la crew a Natale.
Lui si ricordò perfettamente che la risata che venne fuori alla fine di quell’assurdo discorso era stata quella piccola cosa che aveva incrinato il ghiaccio che c’era tra di loro. Avevano riso fino a quando non erano arrivati nella hall dell’hotel, dove una incuriosita Emma stava cercando di capire cosa stava succedendo. Da quel momento in poi era stato sempre più semplice relazionarsi con lei.
Non che facessero grandissime discussioni, parlavano qualche minuto di musica o libri, ma erano conversazioni veramente rilassanti. Molto lentamente aveva imparato a capire i suoi pensieri e il suo modo di fare, ma era stata una fatica non da poco.
Sospirò.
Doveva andare a parlarle.
“Come va la partita?” iniziò lanciando un’occhiata abbastanza chiara a Braxton che era seduto vicino a lei. Il ragazzo senza neanche cercare una scusa, andò a sedersi al posto che era di Jared ed iniziò a pensare a nuovi suoni** per le sue canzoni.
“Non tanto bene, non sono concentrata abbastanza.” Fece Zoe senza guardarlo, presa com’era da Aqua Pearls e dalle sue perline colorate. “Non sei stato tanto gentile con Braxton.”
“Non ho fatto niente, solo chiesto cortesemente di lasciarmi il posto.”
“Veramente non hai chiesto nulla, visto che la voe non hai usato. Al massimo, conoscendoti, gli avrai scoccato un’occhiata assassina che aveva ben poca interpretazione.” Zoe lasciò il gioco, dopo aver vinto l’ennesimo livello e lo guardò. Jared non capì in quel momento se fosse una sguardo spazientito o rassegnato. Forse un giusto mix di entrambi. “Che vuoi, Jay?”
“Parlare?”
“Di cosa?”
“Senti, mi spiace per quello che ho fatto stamattina, ma... mi ero svegliato di malumore, dopo un incubo, e non ti ho trovata...”
“Ver..” lui gli posò due dita sulle labbra per non farla continuare. Zoe ebbe una terribile voglia di fare qualcosa di cui si sarebbe pentita per tutta la vita, quindi strinse le labbra per evitare gesti inconsulti che avrebbero peggiorato la situazione.
“Lo so che siamo abituati a dormire in stanze diverse, ma... ammetto che non trovarti oggi non mi è piaciuto. Forse è la vecchiaia. O forse no. Non importa veramente il perchè, è successo e basta.”
“Ok, va bene, tutto perdonato.” Fece lei scrollandosi quel dito lontano. Le tentazioni non erano cosa buona, specie durante un volo aereo da Parigi verso Milano.
“No, il problema non è questo.”
Lei aggrottò la fronte: cosa voleva da lei quell’uomo? Forse le stava definitivamente lasciando, se si poteva lasciare una non ragazza.
“Sì, hai ragione. È meglio termiare tutto qui, prima che succeda qualcosa di irreparabile.” Jared si mise a ridere fragorosamente.
“Mi sa che non hai capito nulla, Zoe. Volevo proporti un esperimento.”
“Non faccio sesso in Aereo...”
“Non era quello che ti volevo chiedere, anche se adesso che mi ci fai pensare, potremmo provare.” E rise di nuovo. “no dai, volevo chiederti se questa notte, dopo il concerto, ti vorresti fermare a dormire con me.” Zoe non riuscì ad evitare di aprire la bocca stile cartone animato. Jared pensò che avrebbe fatto meglio a chiuderla prima che qualche mosca decidesse di farci un tour. “Sai c’è una cosa che ho notato ed è che se ci sei tu riesco a dormire qualche ora in più. E siccome ho bisogno di riposo, di quello vero, in effetti, tu potresti aiutarmi.”
“Ti servirei come ninna nanna?”
“Se la vuoi mettere così...”
“Posso pensarci?”
“Certo. In caso fammi un fischio.” E chiuse gli occhi appoggiandosi per l’ultima mezz’ora di viaggio sullo schienale, ovviamente non suo.  Aveva un leggero sorrisino di piena soddisfazione e Zoe ebbe un folle istinto di prenderlo a schiaffi fino a farglielo perdere, ma scosse il capo e tornò al suo gioco preferito.
La situazione la lasciava un po’ interdetta, c’era qualcosa, lo sentiva a pelle, a fiuto, che non andava. Non era una richiesta terribile e visto i problemi di insonnia cronica che aveva Jared, era anche abbastanza nell’ordine delle cose. Era una richiesta talmente strana da apparire normale, visto che proveniva da lui.
Eppure...
Bha, se ci pensava troppo avrebbe finito per fondersi il cervello, quindi continuò imperterrita a sparare alle palline.
Solo quando scesero dalla scaletto dell’Aereo, sotto un cielo grigio che minacciava pioggia tipico milanese, gli diede una risposta.
“E’ Follia, ma ci sto.”
 
*Il libro esiste veramente e lo consiglio a tutte le lettrici...
** battuta che riprende la mania di Braxton di creare Suoni (lo scrive sempre su Twitter)

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
Italia.
Zoe fremeva di impazienza per andare a vedere quelle poche cose che il tempo le riservava. Aveva deciso, con Emma, che subito dopo aver sistemato la valigia nella stanza da letto, a quanto pareva da condividere con Jared, lei sarebbe andata per i fatti suoi in giro per la città.
Da ragazza aveva studiato l’Italia in tutte le sue sfacettature, ma niente era meglio più di viverci per conoscerla. Studiare Storia e letteratura tu portava necessariamente a studiare l’Italia.
Davanti al Castello Sforzesco sorrise felice: l’Italia era il paese che conteneva il 90% del patrimonio artistico mondiale per ora conosciuto. Figurarsi cosa ancora celavano le sue dolci colline e i mari tempestosi. Era un paese stupendo e Zoe avebbe voluto poterci rimanere molto di più di quei 4 giorni inframezzati da due concerti. Decise che finito il tour (oddio, il tour sarebbe mai veramente terminato), si sarebbe presa due settimane tutte per lei e sarebbe tornata li, doveva solo decidere quale città visitare, e si sarebbe goduta lo splendore italiano.
Certo, era consapevole che l’Italia non era quella descritta dai Film come “Vacanze Romane” o “La Dolce Vita”: lo stereotipo dell’italiano, pizza, mandolino e vino, era, appunto, uno stereotipo che ormai non esisteva neppure per accalappiare turisti. La situazione politica e sociale non era facile, i costi aumentavano per tutti e c’era un malcelato malcontento che lei stessa riusciva a respirare mentre girava per le vie del centro bene di Milano.
Eppure non c’era solo quello, ma anche una sottile vena di speranza. Forse i giovani si stavano svegliando, avevano recuperato una coscienza sociale e soprattutto stavano puntando ad una rivoluzione. Zoe capiva che non era semplice e che ogni rivoluzine portava di certo a problemi di varia natura, ma lei sapeva benissimo che non si potevano far cambiamenti senza qualche cadavere per strada. La sua America era un esempio abbastanza lampante.
Scosse il capo: era inutile pensare ad argomenti così seri, soprattutto visto che li doveva fare tra lei e lei senza avere un contraddittorio. Era frustrante, i suoi neuroni pensavano sempre in maniera simile e quindi non era divertente.
Via Dante pullulava non solo di turisti con le macchine fotografiche, ma anche di tantissimi ragazzini che avevano il via libera, dato che a scuola non ci andavano più e di uomini e donna in carriera, eleganti nei loro completi e tailleur.
Milano, la città che riuniva in se industria, arte e spettacolo. Moda e politica. Una città piena di contraddizioni, in bilico tra bellezza estrema e squallore grigio della periferia.
In Piazza Duomo si ritrovò immersa nella gente che ridacchiava e parlava a voce più o meno alta. Si richiuse in una delle varie librerie che richiamavano non solo i turisti, e cercò non solo qualche Romanzo di facile lettura, ma anche qualche guida turistica. Di serio c’era ben poco, ma ne trovò una ben dettagliata sulla città e la comprò, in modo da avere qualcosa da leggere. Trovò la stessa anche per Roma e prese pure quella, visto che l’indomani sarebbe stata nella capitale. E se fosse stato possibile, aveva ancora più voglia di andare nella Città Eterna, simbolo di potere e religione. La città Caput Mundi. Sentì le dita fremerle di impazienza.
Il cielo grigio sopra di lei aiutava a non aver troppo caldo, nonostante per tutta la mattina non aveva fatto altro che girare per le vie centrali, quelle vie deputate all'eleganza, anche se aveva saltato a piedi pari via Montenapoleone. Sapeva per chiacchiere con Emma, suo guru di moda e affini, che con il suo stipendio non sarebbe riuscita a comprarsi neanche una maglietta. E poi, lei, non era una che amava molto l'eleganza e il classico. Preferiva di gran lunga un abbigliamento comodo e sportivo. Il massimo che si concedeva era un vestito lungo nero che la smagriva un po'.
Presa da questi pensieri arrivò fino al Duomo, maestoso e candido, dove non c'erano le impalcature. Purtroppo per lei era arrivata nel periodo di pulizia e risistemazione della facciata principale. La chiesa era perennemente sotto lavori: lo smog esterno macchiava il marmo e quindi puntualmente andava pulito. Dopo che tutto il duomo era stato lavato e riportato alla bellezza originaria, era tempo di maquillage alla facciata. Sospirò: era proprio un peccato che non potesse vederla in tutto il suo splendore, significava proprio che doveva assolutamente ritornare li. Ridacchio: che sfortuna!
Alzò lo sguardo verso il punto più alto della costruzione, dove vide scintillare la statua d'oro della Madonnina, simbolo della città stessa, poi, tornando con gli occhi alla sua altezza, scorse Jared, con al fianco Emma, mentre usciva da una farmacia. Da giorni non stava bene e lei lo sapeva più che bene. Da un po' di tempo a quella parte aveva iniziato ad usare anche l'inalatore e non perchè soffrisse d'asma, quanto perchè stava facendo un uso massiccio di broncodilatatori. Vedendolo li con una borsettina verde e bianca in mano, si sentì colpevole di averlo lasciato solo. E subito dopo si diede della scema: in fondo loro due non stavano insieme. Il loro rapporto era lavorativo e basta, e solo per caso si era trasformato in una amicizia con benefici, non c'era null'altro.
Poi la vocina della sua coscienza, un po' fastidiosa a dire il vero, le ricordò che lui voleva dormire con lei, cosa che richiedeva una sorta di intimità che non credeva potesse esserci sul serio. O, più semplicemente, ammise a se stessa, che lei non voleva vedere. Girare nuda per una stanza di albergo con lui davanti che la osservava, o scannerizzava, era già una cosa intima. Non lo aveva mai fatto neppure con il suo ex ragazzo quando l'aveva rapita per una vacanza portandola ad Aspen a sciare. E lei neanche sapeva sciare... Ma adorava la neve in compenso.
Scosse il capo: ultimamente la sua mente stava giocando diversi scherzetti.
Sospirò e andò verso di loro.
"Ciao ragazzi, come va?"
"Tutto ok. Abbiamo trovato qualcosa di similare al farmaco che usa di solito." iniziò Emma con tono professionale. "Non è proprio la stessa cosa, ma qui non si trova altro." e arricciò le labbra come se la differenza di medicinali tra uno stato e l'altro fosse la fine del mondo.
"Non faresti prima a riposasti come dio comanda?" chiese direttamente a Jared che camminava lento verso l'interno della Galleria.
"Tipo fermare il tour? Impossibile."
"Jared nessuno te ne farebbe una colpa... Sei malato, ti devi curare. Stai perdendo la voce e considera che ti serve per lavorare."
"Zoe, fatti i cazzi tuoi." la ragazza si fermò di botto. Va bene che era solo la scopata di turno, ma credeva che meritasse un attimo più di rispetto, visto il lavoro che faceva per loro... per lui, ogni giorno. Quella risposta acida era decisamente fuori luogo.
Senza dire nulla girò i tacchi e tornò verso il Duomo, decisa finalmente a vederlo internamente. A poco servivano le urla di Jared dietro di lei.
 
L’ aeroporto di Bologna era piccolissimo, ben diverso da quelli a cui erano abituati loro, ma nonostante questo, erano riusciti ad avere problemi anche li. Non a causa dell’aeroporto o degli abituali casini italiani, quanto a causa del maltempo a Francoforte, aeroporto dove dovevano arrivare per prendere la coincidenza per Kiev.
Zoe controllò nuovamente la zona intorno a loro. Dietro i metal detector c’erano gli ultimi elementi della Crew e dalla zona aperta a tutti, quella manciata di ragazze presenti le salutavano.
Shannon, annoiato come spesso gli accadeva, aveva scritto su Twitter dove si trovavano e le più svelte, o le più fortunate, si erano precipitate da loro, cose che aveva fatto un enorme piacere al batterista che si era concesso a loro più che volentieri. Meno per Jared.
Zoe lo fissò mentre crollava esausto su una delle seggioline della sala d’attesa. Era mortalmente pallido, con gli occhiali da sole che nascondevano delle occhiaie che facevano invidia ad un panda. Il cappello gli copriva le orecchie, indossava una maglia grigia apparentemente leggera, ma invece morbida e calda e un paio di pantaloni neri. In mano una bottiglia a metà di sciroppo d’acero.
L’unica cosa che poteva dire di lui in quel momento, era che fosse un morto che camminava. E ne aveva paura oltre che provare una sorta di ammirazione: sapeva che lei sarebbe crollata miseramente.
Era stato gentilissimo con tutte, non aveva detto di no a nessuna richiesta, anche se si capiva palesemente che forse voleva solo essere lasciato in pace. Ma le ragazze che erano li erano le sue Echelon, ripeteva, erano poche e accontentarle non costava nulla. Una foto o un autografo non lo avrebbero ucciso.
Vide Emma che gli portava un grosso bicchiere di carta con qualcosa di fumante al suo interno, probabilmente un the per lenire la gola, e poi sedersi vicino a lui. Non gli disse nulla, ma dalla borsa prese un plico di fogli e glieli passò. Poverino, non lo invidiava per niente, lavorare come un forsennato anche quando stava male. Scosse il capo e si avvicinò a Diana.
Diana, chiamata da tutti Dai, era una Echelon d’annata, un po’ come lei, di origini palesemente orientali, con la pelle scura e un sorriso molto dolce. Si erano conosciute a Los Angeles durante uno dei primissimi concerti dei ragazzi. Stanchissima anche lei, anche perchè a differenza dei Mars, le comodità erano minori.
Insieme andarono al bar della sala d’aspetto a prendersi un caffè, Dai lungo, lei ristretto. Se lo gustò pienamente, come ogni caffè che aveva bevuto in quel paese. Le ricordavano l’incredibile macchinetta che sua zia si era comprata. Metteva le cialdine dentro e scendeva un liquido nero e forte. A causa sua non riusciva a bene nessun’altro caffè al mondo. Sorrise alla tazzina e finì l’ultimo sorso.
“Non converrebbe che si fermasse qualche giorno?” il soggetto era scontato.
“Non può e più semplicemente non vole. Lo sai come è fatto. È uno stacanovista e continuerà ad andare avanti così fino a quando non crollerà sul serio.”
“Bhe Diana, mi sembra che ci manchi poco. Lo vedi che colorito ha?”
“Lo so io e lo sai tu. E in realtà lo sa anche Jared, ma non gli piace dover dimostrare la sua fragilità.” Zoe scrollò le spalle.
“L’ha dimostrata ampiamente ieri sera. Per quanto si siano divertite le persone, grazie comunque al suo carisma e ai ragazzi che hanno suonato alla grande, dobbiamo ammettere che Jared non ha dato il meglio di se.” Diana non disse nulla, in fondo la sua amica aveva ragione. “Però è vero, non si fermerà.” Sospirò “Non vedo l’ora di tornare a casa.”
“Non ti è piaciuto girare per l’Europa?”
“Scherzi? È stato bellissimo, ma vorrei poter dormire due notte di fila nello stesso letto e andare da mia madre a salutarla. E soprattutto smettere di avere Jared tra i piedi. Quando c’è lui non mi sento molto a mio agio.”
Diana rise.
“Ma come? Ormai lo conosci da dieci anni, come puoi dire che non ti senti a tuo agio.”
“Non so che dirti. Preferisco starci lontano: quando mi guarda mi sento giudicata, mi sento come se mi guardasse attraverso e leggesse tutti i miei pensieri. Mi inibisce.”
“Certo che non stai bene.”
“Lo so anche io, ma mentre con chiunque altro riesco a parlare e divertirimi pure, vedi con Tim, ma anche con Shannon, con Jared non è così. Preferisco stare a debita distanza da lui.”
“Mi vien difficile da capirti, ma va bene così. E forse è meglio, dato che lavori per lui. Mantenere i rapporti solo sul piano lavorativo e basta.”
Finalmente il gate si aprì e le due ragazze si misero in fila. Zoe era proprio dietro la schiena di Jared. Sentiva quel leggero odore di pioggia che le ricordava inesorabilmente lui e a tradimento le venne voglia di abbracciarlo. Nulla di più, solo un gesto per fargli capire che, se avesse avuto bisogno di lei per qualche cosa, lei c’era.
Per fortuna riuscì ad evitare di allungare la mano su di lui: con che faccia tosta gli avrebbe detto poi “mi stai facendo pena come un cucciolo di Labrador abbandonato in Autostrada”? Minimo l’avrebbe licenziata sul posto e lei si sarebbe sognata la Spagna.
“Quando tornerai a casa che farai? Di nuovo a scuola?”
Zoe si voltò verso Diana: per fortuna che le aveva parlato, altrimenti avrebbe rischiato qualche gesto inconsulto verso il suo datore di lavoro.
“Non lo so, non credo. La scuola dove lavoravo non mi ha prolungato il contratto, quindi tornata a Los Angeles sarò ufficialmente disoccupata. Vedrò che riuscirò a trovare, ma a questo punto dell’anno insegnanti non se ne cercano più, a meno che qualche collega non vada in maternità. Tu invece? Torni a far la fotografa in pianta stabile?”
“Sì. Probabilmente torno in tour.”
“Con i ragazzi? Fai il giro anche in America?” Zoe rimase sorpresa e un po’ male: a lei il The Hive non aveva detto nulla per una eventuale continuazione di tour. Lei ci sarebbe andata volentieri, in fondo era disoccupata.
“No, con un’altra band di cui sono, più o meno, la referente dei Fans.”
“Ah! Le 100 Monkeys. Non sono propriamente il mio genere, ma sembrano simpatici.”
“Lo sono in effetti.”
Chiacchierarono ancora un po’ prima di salire sull’aereo che li avrebbe portati Francoforte,seduta sul seggiolino della Ryan Air prese una delle mille riviste di Musica che aveva trovato in Inglese ed iniziò a sfogliarla senza leggere nulla in realtà.
Fino a quel momento Zoe non aveva veramente pensato a cosa sarebbe stato di lei dopo la data di Barcellona. Dieci giorni scarsi e poi di nuovo il baratro, l’incertezza.
Chiuse gli occhi per cercare di scacciare quella sensazione di gelo che la prendeva ogni volta che doveva ricominciare, sia a livello lavorativo che a livello personale. Era una sensazione terribilmente sgradevole, simile, pensò, a quella che Harry provava con i Dissennatori.
Questo pensiero la fece ridacchiare e ricordare che in fondo aveva ancora un paio di giorni di trottola marziana, quindi era meglio goderseli al meglio.
Non si accorse neanche che Jared stava camminando verso di lei, per andare in coda, quando l’aereo fece un leggero sobbalzo, lui barcollò e si appoggiò al sedile di Zoe spingendola.
“Scusa.”
Lei l’aveva preso per un braccio: il maglioncino era morbido e caldo, ma lui sembrava non esserci. Il braccio era duro e sottile, le pareva di tenere in mano un osso più che altro.
“Tranquillo, tutto bene?”
“Si, devo solo andare in bagno a darmi una sciacquata.”
“Hai bisogno di una mano per qualcosa?” decisamente una frase senza senso, pensò Zoe: che gli poteva servire in bagno?
“No, grazie. Faccio da solo.” Disse sorridendole veloce “Come sempre.” Mormorò. Se non fossero stati così vicini Zoe non avrebbe mai sentito quello stranissimo sfogo.
Si voltò a guardarlo mentre entrava nella piccola toilette e provò una strana ed infinita pena.
 
Il Duomo era degno della sua maestosità, peccato che Zoe non se l’era goduto come avrebbe voluto. Guardava tutto ma senza attenzione, con il cervello perennemente in fissa per Jared Leto. Maledizione a lui, le stava rovinando la vita.
Perchè?? E sì che si era ripromessa di non cadere in tentazione con lui.
Si sedette sui scalini della chiesa, con un leggerissimo venticello a farle compagnia, mentre si stropicciava gli occhi. Prese un profondo respiro e guardò ‘orologio. Aveva solo mezz’ora prima di andare alla Fiera di Rho dove si sarebbe tenuto il concerto.
“Che cosa faccio?” mormorò tra sè. “Resto qui o vado a farmi un giro?”
“Resti qui. Magari con me.”
“Jared cosa vuoi?”
Lui si sedette vicino a lei porgendole un sacchetto di carta bianca che contenva qualcosa dal profumo paradisiaco di Fritto. Zoe aprì senza capire bene e si trovò davanti ad una mezzaluna giallina leggermente unta.
“Lo chiamano Panzerotto. E’ buono... ne ho mangiato uno anche io.”
“Perchè tu ancora mangi?”
“Raramente, ma ancora lo faccio.” La fissò mentre addentava quel pezzo di pasta di pane ripieno e quando scorse l’espressione estasiata per la bontà che stava mangiando, sorrise felice, in maniera quasi fanciullesca, come  se vederla soddisfatta per qualcosa lo rendesse contento. O forse era veramente così.
“E’ buono forte. Non credevo che tu potessi apprezzare del cibo così poco sano.”
“Continua a prendermi in giro, bambina, e vedi che ti faccio stasera.” Lei si rabbuì improvvisamente.
“Visto in che condizioni sei, mi domando se riuscirai a camminare con le tue gambe, stasera.”
Rimasero in silenzio fino a quando Zoe non ebbe terminato il panzerotto, prendendosi qualche secondo per leccarsi le dita, come a gustare fino all’ultimo la delizia del fritto, poi lei si alzò per gettare la carta nel cestino e lui la seguì. Camminarono in silenzio, superati  da persone che non si interessavano a loro, ragazzine che rimanevano perplesse vedendo Jared e forse riconoscendolo. Arrivarono fino a Piazza San Babila, poi Zoe ruotò di 180° e tornò verso Piazza Duomo, con il preciso intento di non calcolare Jared fino a quando non avrebbero parlato di lavoro.
Peccato che Jared non era dello stesso avviso.
Le prese una mano fermandola, proprio davanti al negozio della Disney dove decine di bambini urlavano felici. Lei lo fissò accigliata.
“Parliamo o no?”
“No, sei stato chiaro che devo farmi i cazzi miei ed esaudisco il tuo desiderio come una brava dipendente quale sono.”
“Ma smettila di dire cazzate.” Qualcuno si voltò facendo finta di niente: da che mondo e mondo si sa che i litigi attirano l’attenzione.
“Scusa?”
“Senti, hai ragione, non sono stato molto gentile prima, ma... cerca di capirmi, sono stanco e stufo di stare male.”
“Lo capisco perfettamente, proprio per questo vorrei che tu capissi che... ti sono vicino per qualsiasi cosa e non solo in versione lavorativa.”
“Lo so, Zoe, ma... a parte Shannon e da un po’ di tempo a questa parte, Emma, ho sempre contato solo su me stesso.”
“E non ti sei sentito mai solo?”
Zoe inclinò leggermente la testa, inchiodando i suoi occhi a quelli di lui, per impedirgli di scappare o forse impedirsi di scappare via lei stessa. La mano di Jared sulla pelle calda era fresca, la teneva stretta, ma non abbastanza da farle male. Era li per tenerla vicino a lui, era li a trattenerla dal correre via.
“Io... forse.”
“Non sei solo Jared. Ci sono tante persone che ti vogliono bene e si preoccupano per te.” Sulla punta della lingua aveva la fine della frase da dirgli, ma non voleva apparire troppo sdolcinata. Lui sorrise.
“Anche tu?”
Lo maledisse in mille lingue, ovviamente senza che lui si accorgesse di nulla tranne che di un delizioso rossore sulle guance. Ma perchè doveva metterla in quella situazione. Sentì che le aveva appena appoggiato l’altra mano sul fianco attirandola verso di se.
“Quindi? Mi vuoi bene anche tu?” sentì le dita affusolate andare ad accarezzarle la pelle sotto la maglietta, in quella zona che la faceva rabbrividire. Maledetto, la stava stuzzicando.
“Sì, ma smettila di toccarmi qui. C’è gente.”
Jared si mise a ridere avvicinando il viso fino a toccarle il naso con il suo.
“Ti voglio bene anche io, sai?”
“Certo, come no.” Ribattè lei sempre più rossa. Aveva notato che li stavano fissando e si stava vergognando tantissimo, anche se ammetteva che sentirlo così vicino le piaceva da matti. Non era solo la vicinanza fisica del momento, ma una vicinanza più spirituale: sentiva che lui alla fine si stava quasi fidando di lei e considerando che Jared, come aveva detto poco prima, era abituato a fare tutto da solo, quello era decisamente un passo in avanti.
“Invece si.” E scese di un altro po’, giusto lo spazio che li separava per baciarla delicatamente.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Ehm... Prima di inziare ci sono un paio di notizie di servizio che devo darvi. 
Innanzi tutto vorrei ringraziare la mia migliore recensitrice (?) che sta passando di qui e soprattutto che mi sostiene e mi da le idee giuste. Sei un Genio. Grazie Rò <3

Poi piccola comunicazione pubblicitaria. Il 10 di Luglio uscirà finalmente il libro che ho scritto con quella santa donna di Shanna_bb, santa e bravissima. Se vi interessa di sapere di cosa si parla, venite a trovarci su questa pagina
http://www.facebook.com/?ref=home#!/pages/Floreat-Salopia/122253984521029

Seguiteci per avere tutte le News ^_^
Grazie!

Capitolo 4
 
Piazza del Campo era baciata dal sole, faceva un caldo di quelli che ti entrano nella carne e non ti lasciano fino a quando non ti butti in una piscina e Jared sorrise nel vedere Zoe alle prese con l’italiano basilare per prendersi una bottiglietta d’acqua in un bar.
Erano rimasti tutti sorpresi, lui per primo in effetti, del fatto che invece di andare a Parigi con Shannon per riposarsi, avesse seguito il consiglio della ragazza di andare in quello sperduto comune italiano.
Lui di Siena non conosceva praticamente niente. Sapeva solo che facevano il Palio una volta l’anno. Solo li aveva scoperto che in realtà il Palio si correva due volte l’anno. Peccato che lo aveva perso per un soffio, visto che la sera prima era ancora in Svezia a cantare. Sul selciato di quel posto incantevole c’erano ancora dei residui di terriccio che evidentemente usavano per “foderare” la pista di corsa.
Si risvegliò quando sentì Zoe sbuffare.
“Ci sei riuscita?”
“Sì... è stata dura, ma ce l’ho fatta. Il mio italiano è decisamente arrugginito. Del resto non parlandolo correntemente, è ovvio che ho problemi. I verbi in questo paese sono un incubo. Mea culpa, dopo l’università l’ho abbandonato. Dovrò ricominciare.”
“Pensi che se fotografo la piazza e la metto su Twitter ci ritroviamo un’orda di Echelon qui?”
“Probabile. Bhe magari un’orda no... quante Echelon ci saranno a Siena?”
“Non ne ho idea, ma meglio che lascio perdere. Dove mi porti, guida?”
“Andiamo al Duomo. Poi torniamo indietro e vediamo se riusciamo a vedere il Palazzo Comunale.”
Camminarono tranquilli come due turisti qualsiasi, chiacchierando di cose inutili in quel momento, quali concerti o programmi per Atene, per poi immergersi nella storia Senese. Jared era francamente stupito delle conoscenze di Zoe, nonostante sapesse perfettamente cosa l’aveva animata a tale conoscenza.
 
Il tour bus si muoveva lento per la lunga e dritta autostrada che collegava Houston ad Atlanta, intorno a loro il buio assoluto. Jared si rigirò per l’ennesima volta nel suo letto sprimacciando il morbido cuscino. Sentiva Shannon russare come un trombone nonostante i tappi nelle orecchie. Aveva sete, stranamente sentiva una leggera morsa nello stomaco e doveva andare in bagno. Con queste premesse capì che l’unica cosa da fare era alzarsi: si prospettava una nuova nottata di insonnia.
Guardò lo schermo del BB che gli rimandava un’ora da vampiro più che da essere umano, una decina di mail, probabilmente spam, e un centinaio almeno di menzioni su Twitter. Quasi quasi poteva mettersi a rispondere a qualcuno: avrebbe passato il tempo in qualche modo e avrebbe fatto divertire i suoi Fans.
Dopo la tappa nel piccolo bagno, si spostò nella zona giorno del Bus dove, sorpresa delle sorprese, trovò Zoe intenta a leggere l’ennesimo Libro. Aveva scoperto da poco il perchè dell’immensa partita a carte con Tim per avere il letto di sotto del loro letto a castello: usava il pavimento del Bus come enorme libreria. Ogni città che toccavano comprava uno o due libri che leggeva vorace con le cuffiette nelle orecchie.
“Cosa fai sveglia?”
“Leggo. E tu?”
“Insonnia.”
“Brutta bestia eh?” lei appoggiò il libro sul tavolino e lo osservò. I capelli mori gli stavano decisamente meglio rispetto al biondiccio che si era tenuto per un po’ di tempo, per non parlare del blue puffo del mese appena passato. Solo che la sua cera da malaticcio non era per nulla cambiata, soprattutto visto che quel pomeriggio aveva fatto tappa all’ospedale per farsi una risonanza magnetica. Attirava i dolori come il miele attirava le api.
E quei cerchi rossi intorno agli occhi non presumevano nulla di buono.
Jared si prese un bicchiere d’acqua dal frigo e optò per sgranocchiare alcune gallette di riso che Zoe osservava con sguardo critico per non dire schifato.
“Guarda che sono buone.”
“Ti prego, sanno di plastica. Mangiati una fetta di torta di mele che è più buona e dà più soddisfazioni.”
“No grazie, preferisco la galletta di Riso. Più leggera.” Zoe roteò gli occhi sbuffando esasperata.
“Come se tu avessi problemi di linea, sei uno scheletro.”
“Dici?” e così facendo si alzò la maglietta fino sotto al mento lasciando in bella vista i pettorali sodi che nonostante la sua magrezza spiccavano per bene. Zoe deglutì pesantmente, per fortuna senza farsi vedere da Jared: quello era un colpo bassissimo, ma lo capiva lui che avrebbe istigato, con quel corpo, anche una santa al peccato? E Zoe non era una santa. Lo aveva assodato in questi ultimi dodici anni di sesso promisquo senza inibizioni.
“Sì... dico. Dovresti... mangiare un po’ di più.” Ringraziò il cielo che la maglietta ritornò al suo posto, anche se per un breve istante sentì la mancanza di quei pettorali. Li salutò a malincuore con un veloce cenno quasi invisibile della mano.
“Lo farò. Per ora twitto un po’.”
Per un po’ rimasero in silenzio, con il solo rumore frenetico dei tasti del BlackBerry di Jared e il rumore del bus che macinava chilometri, poi la natura curiosa del cantante prese il sopravvento.
“Cosa leggi?”
“Un libro storico.”
“Un romanzo?”
“No, un saggio su delle nuove ricerche che stanno facendo in Italia.”vide uno sguardo incuriosito e continuò sorridendo leggermente. “Storia medioevale.”
“Ah però, non è un argomento leggero. E come mai ti piace?”
Zoe chiuse definitivamente il libro lasciandoci una cartolina per ricordarsi dove era arrivata, poi allungò le gambe fino a distenderle del tutto sulla sedia davanti a lei, vicinissima a quella dove era seduto lui. Era la situazione più intima ed amichevole che avevano mai avuto, anche dopo il loro giro per New York.
“Quando ero una ragazzina... fai 15 anni, sono stata in Italia per la prima volta con mia zia, che invece ci va praticamente ogni anno. Mia madre mi obbligò ad andare con lei, perchè non voleva che passassi tutta l’estate tra la spiaggia di Venice Beach e i negozi con le amiche. Fu terribile, una litigata con i fiocchi, ma alla fine vinse lei. Biglietto aereo e pernottamento era già stato pagato... non potevo non andare.”
Zoe si rese conto che in un qualsiasi film, dalla serie A alla serie Z, quello sarebbe stato il momento perfetto per fumare assieme. Ma nessuno dei due avva il vizio, quindi cadeva questo cameratismo. Ci voleva qualcosa che li unisse.
“Non è che ti hanno mandato a fare la volontaria nel Terzo mondo, sei andata in Italia, che sarà il paese che è, ma non è male.”
“Non è Male? NON E’ MALE? Sei Pazzo? L’Italia è il paese più bello del mondo!”
“Quindi non è stata poi tanto brutta la vacanza.” Zoe si alzò, prese due cucchiani dal cassetto e li mise sul tavolo, poi dal congelatore tirò fuori una maxi vaschetta di gelato che aveva comprato per i momenti di sconforto e la mise fra di loro. Si gustò la prima fredda cucchiata di vaniglia, poi decise di rispondergli.
“Ovvio che no. Però sai, avevo quindici anni, a quel tempo la mia massima aspirazione era diventare la campionessa della scuola di pallacanestro, comprare l’ultimo paio di scarpe alla moda e riuscire a limonare con Mark Sheppard.” Rise ricordando i vecchi tempi, mentre Jared la fissava sconvolto. Mangiare il gelato in quella maniera, direttamente dalla vaschetta, era decisamente riprovevole.
“Mark Sheppard?”
“Sì, era il quoterback della scuola. Alto, muscoloso, biondo e occhi azzurri. Era praticamente ovvio che tutte le ragazze della scuola lo volessero. Peccato fosse stupido come una cucuzza.” Ridacchiò. “Senti, mangia con me, questo non è un momento di condivisione. E vedrai che ti piacerà.”
Jared prese titubante il Gelato posato su una gamba di Zoe: erano praticamente uno di fronte all’altra, con lei che si era nuovamente allungata su due sedie per stare più comoda. Prese giusto una puntina di gelato, ma bastò per farglielo apprezzare.
“Alla fine fu il viaggio più bello della mia vita, almeno quello che ricordo con più affetto. Andammo a Venezia prima di tutto e rimasi incantata da quella città sull’acqua. E poi Firenze. Non so se ci sei mai stato, ma fu li, davanti al David di Michelangelo, che sentii che sarei dovuta tornare, che avrei dovuto saperne di più.”
“Io non l’ho mai visto.*”
“Male, un giorno ti devo portare in Toscana.” E un altro cucchiaino di gelato scomparve tra le labbra. “Comunque sono andata all’università, mi sono Laureata in storia Medioevale e per festeggiare ho fatto un giro in Centro Italia di un Mese tra i comuni più antichi. Peccato che poi non ci sono più tornata fino a quando non sono stata a Bologna con voi. Ah... Bologna. Sai come viene chiamata?”
Lui scosse il capo con il cucchiaino in bocca.
“La Dotta, perchè in essa è nata la prima Università del mondo. La Grassa, per la sua cultura culinaria. La Rossa, per le tantissime case di mattoni rossi e per una tendenza politica verso sinistra.”
“Sai un sacco di cose.”
“Leto, mi sfidi su un terreno fertilissimo e a me congeniale. Non puoi battermi.”
“Non sfidarmi!”
“Pfiu. Lo sai che ho fatto la mia Tesi di Laurea sulla figura di Niccolò Macchiavelli alla corte di Lorenzo de Medici e sul comune di Firenze? Ti straccio in storia. Potrai essere il più grande filosofo qui, ma la storia la faccio io.”
Jared alzò le mani in simbolo di resa e risero assieme.
“Lo sai che ho un libro del 1643 di Niccolò Macchiavelli? Me lo hanno regalato delle Echelon Italiane. Lo tengo a casa con religiosa cura.**” L’espressione sul volto di Zoe gli fece chiaramente capire che aveva c’entrato l’obiettivo.
“Stai scherzando vero? Sarà costato un patrimonio.”
“Bhe sì. Comunque non l’ho letto, è in latino, ma è uno di quei libri che si contemplano per la bellezza, non va sfogliato.” Zoe era senza parole, con uno sguardo luccicante. Si capiva lontano un miglio che avrebbe voluto vederlo, ma non glielo chiedeva, forse per pudore o vergogna. “Quando siamo a Los Angeles te lo mostro ok?”
“Oddio sì!” Squittì cercando di mantenere un tono basso di voce. Ora il sorriso della ragazza era ancora più splendente e pure Jared sentì quella strana sensazione di cameratismo.
“Quindi alla fine hai baciato Mark Sheppard?”
“No, ero troppo in basso nella scala gerarchica. Uno come lui andava solo con le Cheerleader. Io mi sono rifatta con Steve... non ricordo il cognome. Era più grande di me di un anno. Baciava anche piuttosto bene.” Posò il cucchiaino prima di esplodere e rannicchiò le gambe al petto, mettendo i talloni sulla sedia. Poi appoggiò la testa sulle ginocchia.
“E il tuo primo bacio? A chi?”
“Mary Applagate. Era nella mia stessa classe di scienza. Capelli rossi, occhi verdi e tristezza perenne. Era difficile gestirla per più di dieci minuti, aveva una terribile tendenza a farsi del male.” Zoe notò gli occhi grigi dell’uomo diventare ancora più grandi e forse leggermente umidi di commozione.
“Era goffa?”
“No, era depressa. L’ho trovata nel retro della scuola svenuta dopo aver ingerito una boccetta di pillole. È così che abbiamo iniziato ad uscire assieme.***”
“Cavoli, mi spiace.” Lui fece spallucce.
“Ci sono persone che non riescono ad affrontare il dolore. Lei era una di queste, ma le ho voluto bene.” Poi si mise a ridere di gusto sotto lo sguardo perplesso di Zoe “Io e lei in quel periodo abbiamo fatto tante di quelle bigiate da scuola. Andavamo in giro come se la vita fosse tutta li.”
“Non andavi a scuola?”
“Ci andavo tra i ritagli di tempo.**** Non ho mai sopportato le imposizioni nello studiare. Non ho mai perso anni, piuttosto studiavo in solitario, ma odiavo perdere tempo in una stanza chiusa, con dei compagni che non capivano nulla, delle insegnanti vecchie e rintronate. Perchè quella faccia?”
Zoe scosse la testa.
“Vedi ero convinta che fossi un secchione tutto precisino, una sorta di nerd che veniva malmenato da chiunque.”
“C’è stato anche quel periodo, ma avere Shannon come fratello ha aiutato a stare bene. Lui era veramente un bullo e faceva a pugni come un professionista. Quando scoprì che ero sotto tiro di una banda di idioti, fece una strage. Fu esilarante. Solo ora mi rendo conto che era semplicemente squallido. La violenza non aiuta, bisognava parlare, discutere etc. Peccato che quando sei giovane hai la patente per essere stupido.”
“Che fine ha fatto Mary?”
“Non lo so. Di sicuro rimarrà Eterna nella nostra canzone, ma fisicamente non ho idea se sia ancora viva o si sia distrutta definitivamente.”
Scese il silenzio. In lontananza si vedevano le luci di Atlanta. Sapevano che si sarebbero fermati in un parcheggio per poi andare, la mattina in Hotel a sistemarsi e a fare colazione. Zoe sbadiglio sommessamente: finalmente la stanchezza stava iniziando a scendere su di lei. Quella giornata, passata tra GT e ospedale, con una certa apprensione per lui, era stata infinita e l’adrenalina l’aveva tenuta su fino a quel momento. Voleva ancora rimanere li a parlare con lui, quando le sarebbe capitato di nuovo che si aprisse in quella maniera.
“L’amavi?”
“No.” Sospirò e si corresse “Cioè, all’epoca ero completamente cotto di lei, ero sicuro che lei sarebbe diventata mia moglie.” Lei lo guardò a bocca aperta “Ebbene sì, sognavo di sposarmi. Poi con gli anni ho capito che non amavo Mary, anche se le volevo bene. L’amore, quello vero, è diverso, fa più male e ti cambia radicalmente, ma a diciassette anni percepisci le cose in maniera diversa.” Zoe era li li per chiedergli del suo vero grande amore, ma evitò: lo avrebbe fatto incazzare e non voleva che succedesse. “Paradossalmente mi manca quella sensazione.”
“Quale?”
“Quella dell’essere innamorato. Quel sentimento straziante che ti fa venir voglia di ucciderti, ma che allo stesso tempo ti rende euforico e felice. Quel sentimento che ti fa pensare di poter fare qualquasi stronzata, tanto tutto andrà bene. Quel sentimento che ti fa vedere l’altra persone come se fosse perfetta in tutto, completa delle sue imperfezioni e difetti.”
Si fermò consapevole di essersi esposto forse un po’ troppo. Deglutì, leggermente commosso, ma apprezzò il fatto che Zoe non avesse aperto bocca, ma continuava a guardarlo con comprensione.
“Che ne dici Zoe, andiamo a letto?” e si complimentò per non aver dato alla frase una pericolosa connotazione perversa.
“Sì, credo che si stia facendo tardi per entrambi.”
Entrarono insieme nella zona notte, dove Shannon stava dando il meglio di sè.
“Mamma mia, neanche con la batteria fa così casino.” Sussurrò Zoe.
“Hai i tappi?”
“Sì.”
“Bene. Buonanotte Zoe.
“Notte Jared.” Scivolarono sotto le coperte, Jared Sprimacciò il cuscino per sistemarsi al meglio e poco prima di mettersi i tappo nelle orecchie, sentì un leggero “Grazie.”
Sorrise al buio.
 
Dopo aver ammirato il Duomo tornarono di nuovo a Piazza del Campo: Zoe voleva assolutamente visitare il museo del Palazzo del Comune e sperava che in quel momento ci fossero meno turisti, visto che si avvicinava l’ora di chiusura. Jared, faceva foto con il suo telefono e si godeva l’incessante parlare della ragazza, su discorsi che variavano da cosa voleva mangiare quella sera, alla storia di Siena a partire dal tempo dei Romani.
Stranamente non gli dava fastidio: era abituato a parlare sempre, ad essere al centro dell’attenzione ventiquattro ore al giorno e non gli piaceva essere interrotto, invece la voce di Zoe gli entrava dentro e li ci rimaneva molto volentieri. Lo faceva sentire così bene ed incredibilmente così normale, una sensazione che provava di rado. A girare come una trottola per tutto il mondo, essere riconosciuto ed osannato, si era un attimo esaltato. Il suo normale egocentrismo era lievitato a dismisura e stare con Zoe riusciva a fargli rimettere il mondo nella giusta prospettiva. Era una cosa importante, lo aveva capito da un paio di giorni.
“Jared ti sto annoiando, vero?”
“No, anzi, è molto interessante. Sai un sacco di cose ed è molto bello ascoltare chi conosce veramente un argomento perchè fa capire che ti piace. Diventi raggiante quando parli. Diventi ancora più bella.”
Zoe si bloccò diventando paonazza. Da dove uscivano tutte quelle gentilezze? Le fu risparmiato di dover rispondere quando due ragazze, eccitatissime, si avvicinarono a Jared chiedendo di farsi fare una foto.
Zoe lo fissò normalmente: capelli lasciati giù, una maglia verde scuro, i pantaloni neri e i classici Ray Ban sugli occhi. Bellissimo, non c’erano altri aggettivi per definirlo meglio. E soprattutto stava bene. Aveva ripreso un po’ di colore, la voce stava tornando e negli occhi non aveva più quella stanchezza cronica che si portava dietro fin dall’inizio del tour. Andare in giro per vecchi Comuni gli faceva bene, avrebbe duvuto riportarcelo appena possibile. Certo, aveva ancora delle belle occhiaie, ma ammise con se stessa che era anche colpa sua, visto che la notte facevano di tutto piuttosto che dormire. Ebbe un fremito al pensiero del livido che lui le aveva lasciato sul seno quella notte e andò a sfiorarselo inconsciamente. No, con quei ritmi notturni col cavolo che le occhiaie di entrambi sarebbero sparite.
Vide che le ragazze lo stavano ringraziando e cercò di darsi un contegno mentre andava da lei. “Tranquilla Zoe” pensò tra sè “Non è successo nulla. Torna in te. A lui piace quando sei in te. Ma che sto pensando?” scosse il capo: anche il suo cervello remava contro.
“Tutto ok Zoe? Andiamo al museo?”
“Certo, come no.” Voce leggermente acuta. Si maledì e se ne accorse anche lui che sorrise.
“Perchè sei arrossita?”
“Perchè ho caldo.” Lui rise di gusto, in una maniera che fece girare un po’ tutti, soprattutto le ragazze che ancora in brodo di giuggiole guardavano la foto appena scattata.
“Non sai dire le bugie.” Le si avvicinò e la prese per le braccia facendole fare una mezza giravolta “E ti adoro per questo.”
Il bacio fece ammutolire chiunque. Zoe sentì un certo formicolio in tutto il corpo partire esattamente dalle lingue intrecciate fino ad arrivare alle dita che lo stavano letteralmente ghermendolo alle braccia, come se non volesse farlo andare via. In quel momento tutti i pensieri tipo, c’è gente, che succede se ci vedono, verranno fuori casini enormi, stavano passando in secondo piano. Anzi terzo. Prima di tutto c’era la bocca famelica di Jared che la stava letteralmente mangiando e questo pensiero era quello che annullava tutto il resto. Poi, in secondo luogo, sentiva proprio tutto il corpo dell’uomo che la stava amando, come se fossero da soli, come se il mondo non ci fosse. Come se fossero un uomo e una donna normali, non il cantante di una band internazionale e la sua collaboratrice.
Come due innamorati.
Quel pensiero la fece decisamente rinsavire e si staccò leggermente ansante.
“Museo?”
“Dopo di te.”
 
 
*Ovviamente non ne sono così sicura.
** Il libro esiste ed è stato regalato a Jared a Milano nel 2008. Uno dei migliori regali di sempre e sono decisamente orgogliosa di averne fatto parte.
*** Tutto inventato!!!
****Questo è vero. In una conferenza in una scuola femminile in Nuova Zelanda ha risposto alla domanda di una ragazza dicendole che lui a scuola ci andava molto poco perchè bigiava.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 
Stava guardando il tramonto su una spiaggia deserta. Sembrava Venice Beach ammantata di lue arancione, grazie al sole che spendeva la sua luce calda attorno a lei. Si sentiva in pace, felice e tranquilla. Intorno a lei non c’era nulla, solo il mare, con l’acqua che le bagnava le punte dei piedi.
All’improvviso una strana sensazione di completezza: dietro di lei qualcuno la stava abbracciando, un corpo che conosceva bene e che le dava quella sicurezza assoluta. Sentì due braccia cingerle la vita e due labbra sorriderle sul collo. Praticamente la perfezione.
Non fosse che la cosa sembrava fin troppo fisica.
Zoe lentamente aprì un occhio e vide il cuscino bianco dell’hotel davanti a sè, mentre una bocca fin troppo conosciuta le stava lentamente baciando tutta la schiena, partendo dalle spalle, per scendere fino alla dolce curva delle natiche. Sorrise quasi tra se: tra il sogno e la realtà c’era veramente pochissima discrepanza. Si lasciò cullare volentieri da quelle labbra, anche quando presero a scendere maliziose: era inutile, per quanto lei si sforzasse, Jared si svegliava praticamente sempre prima di lei. Era più facile che lui crollasse prima, subito dopo aver finito di chiacchierare o di fare sesso, ma la mattina lui era sempre sveglio come un grillo e si divertiva parecchio a svegliarla.
Zoe mugolò quando Jared raggiunse un punto particolarmente sensibile e si girò sulla schiena.
“Mi togli il divertimento, dormigliona.”
“Ho sonno.” Mormorò. “Che ore sono?”
“Le sei e mezza.” Il gemito di disperazione fu elequente, mentre Jared rise. Quasi strisciando si mise sopra si lei accarezzandole il collo con il naso, graffiandole la pelle con la leggera barba della notte. “Non riuscivo a dormire e ho pensato di svegliarti nella maniera più dolce che conoscevo. La prossima volta ti butto in vasca da bagno.”
Zoe non si prese la briga di replicare, ma semplicemente si girò di lato, dandogli la schiena. Era troppo presto per lei: avevano appuntamento con il resto della band appena alle dieci in modo da partire con calma verso Honk Kong. Si limitò a prendergli il braccio a portarlo verso di sè, in modo che fossero incollati. Magari sarebbe riuscita a farlo dormire ancora un po’.
Jared sorrise e, se in parte ci era rimasto male perchè aveva voglia di giocare, capì che per Zoe l’orario era improbo. Però gli piaceva essere abbracciati a letto, fra quelle lenzuola bianche, con una leggera luce pallida proveniente dall’esterno. Gli dava quella strana prospettiva di normalità che fino a quel periodo non aveva mai poi troppo provato. Neppure con Cameron. Strano come la sua immagine stava lentamente sbiadendo dalla sua mente. Secondo Tomo, persona decisamente più adatta per questo genere di discorsi che non Shannon, era normale che una persona che non si vedeva e sentiva per tanto tempo se ne andasse, soprattutto se stava venendo rimpiazzata da un’altra.
Si stava innamorando di Zoe?
Era un pensiero che gli era passato spesso per la testa, soprattutto in quegli ultimissimi giorni in Oriente. Sarà stata l’aria, o lo strano rilassamento che avevano tutti, ma le sembrava più tranquilla anche riguardo a loro due. Dalla sceneggiata davanti a tutta la crew, erano cambiate parecchie cose. Innanzi tutto non si nascondevano più, almeno non dagli altri. Nessuno li guardava più con curiosità, ormai erano abituati alle loro occhiate fugaci, a quello sfiorarsi di dita, come a cercarsi quando camminavano vicini. Ai lividi che lei immancabilmente si ritrovava sparsi per il corpo, come una perfetta mappa dei loro giochi notturni. Non occorreva più dire ad Emma di prenotare una stanza sola, lo si sapeva d’ufficio.
Erano una coppia.
Strana, ma una coppia.
Onestamente non aveva idea se la cose fosse un bene o un male. 
Si avvicinò ancora di più, ormai erano del tutto incollati, tolse i capelli mossi di Zoe da davanti al naso e chiuse gli occhi. Non si sarebbe addormentato, ma almeno avrebbe riposato un pochino.
 
Due ore dopo, Zoe aprì gli occhi di scatto. C’era qualcosa che non andava, ma cosa? Capì immadiatamente che ciò che stonava era il corpo muscoloso spalmato su di lei e la mano di Jared mollemente appoggiata sul suo seno nudo.
Per la prima volta si sentì estremamente potente: poteva giocare con lui!
Lentamente scivolò via dal suo abbraccio, si voltò e le passò qualsiasi voglia di giocare.
Jared Dormiva tranquillo, un ciuffo castano davanti gli occhi chiusi, le labbra leggermente aperte. Rilassato, così in pace con il mondo. Zoe portò la mano sulla sua spalla, ma senza toccarla, a pochi millimetri dalla pelle ancora fresca. Iniziò una carezza virtule su tutto il braccio, poi scendere sul fianco. Sull’anca si fermò, particolarmente attratta dall’osso che sporgeva creando quella piccola conca che amava stuzzicare appena poteva. Il lenzuolo copriva il resto del corpo, quindi evitò di andare alla scoperta delle zone più intime. Non che lui non avesse gradito di essere svegliato, ma a lei piaceva così tanto vederlo tranquillo per una volta.
Silenziosamente recuperò qualche vestito e andò in bagno a darsi una rassettata. Un quarto d’ora dopo uscì e Jared era sempre nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato. Non resistette alla tentazione: prese il suo Blackberry e gli fece un paio di foto, prima da lontano e poi un primo piano che mise immediatamente come sfondo. Le sembrava di essere un po’ una ragazzina stupida a fare una cosa simile, ma quel volto così angelico, che stonava un po’ rispetto alla vera personalità Jarediana, era troppo bello per non essere ricordato ogni momento.
Sorrise in preda a quella stana euforia che l’animava da giorni ed uscì silenziosamente dalla stanza per andare a fare colazione. Il rumore proveniente dal suo stomaco le ricordò di farla anche piuttosto abbondante. Aveva quasi voglia di fischiettare, quando vide uscire
di soppiatto Emma da una camera.
“Buongiorno Emma.” Quella sobbalzò e la fissò leggermente spaventata, poi, visto chi era, si rilassò.
“Ciao Zoe.”
Zoe guardò il numero sulla porta e poi fissò lei sconsolata.
“Ci sei caduta di nuovo?” Emma sospirò.
“Andiamo a parlarne davanti un caffè. Ho bisogno di qualcosa di forte oggi.”
“Allora meglio se te lo fai correggere con un po’ di liquore.”
Nella caffetteria non c’erano molte persone: i turisti erano già partiti per le varie escursioni e anche gli uomini d’affari si alzavano presto. C’era qualche ritardatario e in un tavolino a parte Tomo che parlava al telefono, probabilmente con Viki, e dava chiaramente l’idea di non voler essere disturbato.
“Allora? Sto aspettando Emma.”
“Non c’è nulla da dire. Ho ventinove anni e sono capace benissimo di gestire la mia vita sentimentale.”
“Ah, perchè ne hai una? Ero convinta che con Shannon dovesse essere una botta e via, o ricordo male?”
 
Quella mattina si era svegliata relativamente di buon umore. Innanzi tutto, pensò, non era proprio mattina.
Rigirava la forchetta nel piatto, cercando di prendere una patatina novella che si rifiutava di farsi infilzare. Zoe sbadigliò: non aveva proprio fame, era li solo per evitare di stare in stanza da sola.
Il Mal di testa stava, almeno passando. Non ricordava da quanto tempo non prendeva una sbronza così colossale. Del resto era l’ultimo dell’anno, aveva la licenza di bere.
2011.
Wow, se ci pensava le girava la testa. Las Vegas l’aveva ritronata del tutto. Era sempre sveglia, sempre in movimento. Le luci non si spegnevano mai, c’era sempre qualcuno a quelle macchinette infernali e lei si sentiva una formichina in mezzo a tutta quella grandezza. La cosa allucinante era che lei viveva a Los Angeles, città non proprio piccola. Eppure Las Vegas la intimoriva.
In definitiva non le piaceva e non vedeva l’ora di ripartire verso casa. Tanto Jared aveva dato il tana libera tutti, visto che se ne sarebbe partito per Haiti da li a poco, quindi senza nessun senso di colpa lei sarebbe tornata nella sua amata casetta.
Annoiata cercò di ricordare qualcosa della sera precedente: c’era stato il concerto, con la solita follia ed isterismo, anche se in Europa ce n’era sempre molta di più. Aveva visto le solite facce e la cosa l’annoiava parecchio. Almeno era riuscita a trovare un ragazzo con cui passare la notte. Insomma, qualcosa per non rimanere sola. Proprio un qualcosa, dato che non aveva la più pallida idea di che faccia avesse e come mai al mattino non c’era più. Aveva controllato che i soldi e l’i-pad che Jared le aveva ragalato fossero ancora al loro posto e non si era preoccupata di altro. Da quanto le facevano male le gambe, si era divertita parecchio. E anche dai preservativi nel cestino del bagno. Doveva essere stata molto brava, ma sapeva che l’alcol le dava quella spinta in più.
Sorrise ad Emma che, con degli occhiali neri cecava di coprire le occhiaie profonde da notte insonne.
“Divertita eh?”
“Sì, più o meno.” E sbadigliò.
“Ottimo, anche io! Era ora, ero stufa di vedere i Leto sbattersi qualsiasi cosa e io restare a secco.” Zoe ridacchiò sperando che Emma l’aiutasse a prenderli in giro come faceva sempre, invece si mise a mangiucchiarsi un’unghia. “Tutto ok?”
“Certo, come sempre. E comunque Jared stanotte minimo tutte e due le Gemelle si è fatto. Insieme, ovviamente.*”
“Avessi potuto sceglierei, sarei andata con Natalie. Molto più Sexy.”
“Si Ma lesbica.” Zoe non se la sentì di commentare. Era vero, Natalie aveva detto che era lesbica, ma lei non poteva credere che con un Jared Fra le gambe non avesse provato neanche un brivido. Lei sarebbe impazzita, ne era certa.
Jared tra le gambe... mamma mia, un sogno. No, Zoe, pericolosissimo, pensò. Meglio sviare il discorso da Jared.
“E Shannon? Sumire? Molto bellina in effetti, solo parecchio alta per lui.”
“Non è stato con Sumire.”
“AH no? Boh, gente ieri sera non mancava, spero per lui che non abbia fatto la cazzata di scoparsi una Echelon.”
Silenzio. Emma Guardava un punto indefinito della luccicante hall dell’hotel. Zoe ci mise un po’ a capire.
“Oh... Emma, non sarà quello che penso, vero?”
“E anche se fosse? Sono abbastanza capace di gestire la mia vita sentimentale. Anzi, neanche sentimentale, solo sessuale. Con Shannon basta e avanza quella.”
Zoe la guardò sperando di capire che le stava succedendo: Emma era sempre stata una donna tutta d’un pezzo. Da quando l’aveva conosciuta, anni prima, non aveva mai dimostrato debolezze, di qualsiasi genere, verso uno dei ragazzi.
“Da quanto va avanti?” Aveva come la certezza che quella notte non fosse stata l’unica.
“Da troppo. O da troppo poco. Non ha importanza, so solo che va avanti e questo è un casino.”
“E allora vedi di farlo smettere.”
Emma prese a toccarsi le tasche, come a cercare qualcosa poi sbottò.
“E’ in momenti come questo che rimpiango la scelta di non fumare.” Sospirò togliendosi gli occhiali. Lo sguardo che i suoi occhi azzurri avevano era quello di una sorta di quieta disperazione. Come se una piccola Emma stesse annengando in quello che era un oceano fin troppo grande per lei. Zoe provò un brivido e sperò con tutto il cuore che a lei non capitasse mai di trovarsi in quella situazione. “Quando avrai una relazione con uno di quelli li, capirai che non è così semplice smettere. Finisci per sentirti drogata e più ne hai e più ne vorresti avere.”
Insieme si avviarono al bancone del bar e ordinarono un analcolico: non potevano sbronzarsi il primo pomeriggio dell’anno.
“Non c’è possibilità che la cosa diventi seria?” l’occhiata obliqua di Emma bastò. “Hai ragione. Shannon e storia seria nella stessa frase non ci stanno.”
“Lui è una persona Fantastica. Loro sono fantastici, veramente, ma mettersi in relazione con loro non è semplice. Anche sul lavoro... bhe più Jared, per questo con lui non è mai successo nulla. Ma Shannon... quell’uomo manda in tilt qualsiasi radar possa avere. E non fraintendere, so benissimo che lui mi vuole un bene dell’anima. Probabilmente si farebbe tagliare un braccio per me, però non è fisicamente capace a rimanere in una relazione. Tutto qui.”
 
Tutto qui un corno, aveva pensato all’epoca e lo pensava anche in quel momento.
Shannon ed Emma continuavano quella giostra da mesi: una notte ogni tanto, o neanche solo di notte, si guardavano, scattava qualche cosa ed inevitabilmente finivano per fare sesso.
O fare l’amore.
Zoe Sapeva con certezza matematica che entrambi si amavano, solo che nessuno dei due ne parlava e questo li portava a stare sul ciglio di un baratro veramente pericolante. Ne aveva parlato un po’ con Jared, ma lui scrollava le spalle ribadendo il concetto che erano liberi di fare quello che volevano, fino a quando non subentravano problemi lavorativi. La verità era che voleva lavarsene le mani, perchè non poteva dire al Fratello chi scopare e non poteva licenziare Emma.
L’efficente segretaria sospirò: sembrava semplicemente una ragazza normale e non quella macchina organizzatrice che era solitamente.
“Odio dirlo, ma Jared ha ragione.”
“In cosa?” Chiese Zoe curiosa.
“Non si deve mai mescolare lavoro e vita privata. È stata la prima regola non scritta sul nostro contratto lavorativo. E credevo di essere abbastanza brava a non infrangerla, invece eccomi qui, a piangermi addosso come una bimbetta idiota.”
Sembrava veramente incazzata, come se aver ceduto a Shannon, fosse un neo incancellabile. E forse era così.
“Vabbè, però se c’è sentimento che problemi ci sono?” Emma rise malincoica.
“Il problema nasce quando i sentimenti, quelli forti, li prova una sola persona e non entrambe.” Sospirò. “Lasciamo perdere. Prima o poi questa cosa finirà.”
Le tazze erano vuote, del toast di Zoe erano rimaste solo le briciole, mentre di quello di Emma più della metà.
Zoe guardò la sua amica ed improvvisamente si sentì soffocare.
Era destinare a fare la sua stessa fine? Lei e jared si erano conosciuti solo tramite il lavoro di lui, eppure la cosa era scivolata quieta in una relazione decisamente diversa dall’iniziale. Non riusciva più a vedere Jared solo come il suo datore di lavoro, ormai era il suo, Oh Diavolo, ragazzo.
No, pensò, non era vero, tra loro non c’erano mai stati quegli atteggiamenti da coppietta che lei vedeva in giro. Erano tranquilli, rilassati e consapevoli di portare avanti una storia con la data di scadenza.
Il suo monologo interiore fu interrotte da una chiamata, che, a giudicare dal numero, proveniva dalla zona di Los Angeles. Aggrottò la fronte e rispose.
“Pronto? Ciao Maggie.”
Emma la fissò: non voleva passare per la rompipalle di turno, ma aveva effettivamente paura che tra Zoe e Jared potesse finire come tra lei e Shannon e in fondo non lo voleva. Zoe era una ragazza in gamba che poteva avere il meglio dalla sua vita. Girare appresso a Jared non era semplice e ti annullava. Lei lo sapeva benissimo, gli aveva fatto da segretaria per anni e la sua vita privata si era vaporizzata. Il suo ex ragazzo dopo qualche mese di giostra l’aveva scaricata per una dal lavoro più stabile e soprattutto in una città soltanto e non in giro per il mondo. Ammetteva, però, che tra i due la storia era decisamente differente rispetto la sua. Jared sembrava molto più disposto a legarsi con Zoe di quanto non lo fosse Shannon. Aveva come deciso di rimettersi in gioco, anche se molto prudentemente. Era più lei che sembrava titubante e forse faceva bene.
“Buongiorno.” Dietro di lei fece la sua apparizione Jared. Emma rimase quasi senza parole.
Il suo capo stava bene. Non aveva altri modi per definare il suo stato. Sembrava che la stanchezza del tour fosse scomparsa, aveva lo sguardo scintillante, la pelle radiosa di un colore rosato e sano, non quella sottospecie di bianco malaticcio.
E sorrideva.
Sorrideva sempre, dando al mondo intorno a lui un significato diverso.
Emma non aveva mai provato voglie particolari verso Jared, tranne forse proprio all’inizio quando ancora non lo conosceva bene, ma sapeva e riconosceva il suo innato carisma e la capacità di far girare il mondo attorno a sè solo un sorriso di quelli giusti. Jared non poteva passare inosservato, o lo si amava o lo si odiava, ma di certo non era indifferente.
Le si strinse il cuore: era innamorato? Era così che era quando c’era Cameron? Felice e soddisfatto, incurante della stanchezza?
“Ciao. Mangi qualche cosa?”
“Sì, posso unirmi a voi?”
“Certo, anche se io ho finito, magari fai compagnia a Zoe, io vorrei farmi la doccia prima di partire.”
Jared annuì, mentre vedeva la sua segretaria, o meglio ex segretaria, andare verso la sua stanza. Poi fissò Zoe: stava ascoltando qualcosa di decisamente interessante se neanche si era presa la briga di salutarlo con un cenno di mano. Lo sguardo era fisso e concentrato, qualcosa di nuovo brillava in lei, qualcosa di assolutamente inaspettato.
Jared si prese il suo solito succo di frutta e due pancake con lo sciroppo d’acero che bene faceva alla sua gola perennemente martoriata da qualsiasi virus si aggirasse inerme intorno a lui, poi tornò al suo posto, mentre Zoe parlava concitatamente.
“Tu stai scherzando, vero? Non puoi essere seria!”
Le prese la mano accarezzandola e lei, di rimando, gliela strinse. Jared esultò dentro. Si stava avvicinando a grandi passi, ormai era vicino. Voleva solo aspettare il momento giusto, il luogo giusto per dirglielo e sapeva anche dove l’avrebbe portata.
Era lei, era solo Zoe la ragazza che lo faceva stare bene e non perchè fosse la più bella ragazza del mondo, ma perchè era colei che lo completava. Lei gli dava la forza per andare avanti ogni giorno, ma era anche colei che lo teneva ancorato alla realtà in modo che non si schiantasse a terra quando il suo ego lo trascinava lontano. Non si preoccupava di essere qualcuna che non era e non si faceva il minimo problema a dirgli quando sbagliava.
E lo faceva ridere.
A letto con il sollettico, con le battute sagaci, o semplicemente con le sue facce buffe. Era un balsamo al cuore, ed era per questo motivo, soprattutto, che voleva chiederle di diventare ufficialmente la sua ragazza.
Si sentiva come un ragazzino idiota.
Sorrise quando lei chiuse la telefonata. Sembrava intenta in pensieri lontani.
“Tutto bene? Problemi?” lei lo fissò, quasi sorpresa di trovarselo davanti.
“Si.”
“Vuoi parlarne?” Lei sorrise.
“No, non c’è nulla da dire.”
 
 
*Ovviamente non so se è vero.
 
Nota finale: ovviamente la storia tra Shannon ed Emma è totalmente inventata. Io non so se tra loro ci sia mai stato qualcosa di qualsiasi natura. Però mi piace vederli assieme. *Scappa per non essere picchiata dalle ShanGirl*

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
 
Jared l'aveva presa e portata via. Nel vero senso della parola.
Avevano terminato il concerto In Ungheria ed Era sceso dal palco e l'aveva caricata sulle spalle (si domandò la fatica che aveva fatto per tirarla su) e l'aveva portata come un sacco di patate fino ad una delle macchine in dotazione della EMI. Zoe aveva subito capito che Emma sapeva di quella macchinazione, mentre gli altri no. Altri che, tra risate e bocche aperte per lo stupore, li fissavano divertiti. E lei si sentiva umiliata... Odiava stare al centro dell'attenzione, ma sapeva che finchè aveva questa relazione con Jared, sarebbe stato impossibile rimanere ai bordi del circo marziano.
"Mi puoi dire dove mi stai portando?"
"No, è un segreto. Comunque restiamo in Europa."
"Per forza! Tra tre giorni suonate di nuovo, fossimo andati in America, avremmo speso tutto il nostro tempo libero in aereo." e si mise a guardare fuori dal finestrino la strada che scivolava via veloce.
Jared sorrise: si sentiva pronto, invincibile. Perfetto. Più di quanto già non fosse. Megalomane lui? No!
Eppure c'era qualcosa che non capiva del tutto in Zoe. Ultimamente era piuttosto sfuggente. C'era qualcosa che non gli stava dicendo. Non che questo limitasse le loro infinite chiacchierate o le loro notti, però... Non sapeva come definirlo, Zoe sembrava con una parte della mente occupata da un pensiero costante. Jared era curiosissimo: cosa le stava frullando per il bel cervellino?
Le prese una mano e gliela baciò, mentre lei gli sorrideva. L'iniziale arrabbiatura che aveva si era dissipata e ora sembrava tranquilla vicina a lui. Molto meglio vederla così sorridente, piuttosto che con quel cipiglio battagliero che ogni tanto spuntava fuori per farlo impazzire. Sì, perchè quando lei si impuntava su qualcosa era decisamente difficile farle cambiare idea. E siccome Jared odiava dover ammettere di avere torto, iniziavano delle schermaglie incredibili. Una volta Shannon si era preso i pop corn e aveva iniziato a mangiare guardandoli mentre si scannavano su un'idiozia che in quel momento neanche ricordava.
"Almeno mi dai un indizio di dove mi stai portando?"
"E va bene, ma solo uno." l'aeroporto era vicino, comunque Zoe avrebbe visto la loro destinazione dal monitor, quindi tanto valeva dirle tutto."Andiamo nella città più bella del mondo!" lei si voltò e lo guardò sconvolta. "perchè mi guardi così?"
"Non mi starai mica portando a Parigi, vero?"
Jared sorrise felice, come un bambino il giorno di Natale.
 
 
Zoe sospirò per l’ennesima volta.
Era stanca e stufa, le facevano male i piedi e aveva voglia di cambiarsi. Era tutto il pomeriggio che girava come una trottola per Parigi dietro a Jared e Shannon in piena voglia di shopping. Oltretutto lo shopping sbagliato, perchè entrambi erano vestiti come neanche un barbone si sarebbe mai conciato. Eppure entravano in ogni negozio e compravano qualcosa e lei si annoiava da morire.
“Ma che ne dici se ti prendi qualche cosa?” Fece Shannon nel negozio di Dior.
“Non mi pagate abbastanza per potermi permettere qualcosa qui dentro. E poi non è il mio genere.”
“Non è il tuo genere perchè non ci provi.” Shannon chiamò una ragazza che arrivò da lui con un sorriso enorme. Zoe roteò gli occhi. “Signorina, per favore... mi vesta questa ragazza.”
“Oui. Preferenze?” l’accento francese era piuttosto marcato, ma almeno si capivano.
“Quello che vuole lei, ma mi piacerebbe qualcosa di femminile per una volta.”
“Shannon, che intenzioni hai?” mugolò Zoe disperata.
“Nessuna, vorrei solo far uscire la farfallina che c’è in questo bruco.”
Zoe seguì la commessa che non sembrava particolarmente felice di dover servire lei e non quel pezzo di uomo che, anche se vestito in maniera ridocola, era decisamente molto più affascinante di lei. Se ne fregò: in fondo sapeva di essere solo una piccola nullità messa a confronto con i Leto.
“Allors, preferisci lungo o corto.”
“Pantaloni?” la commessa la fissò male ed iniziò a prendere un paio di modelli da sera, lunghi ed incredibilmente eleganti. Lei scosse la testa. “Sono troppo eleganti. Se proprio devo prendere un vestito, che almeno lo possa mettere durante il giorno.” La ragazza finalmente le fece un piccolo sorriso contenta che si stesse leggermente aprendo. Non c’era niente di peggio di una cliente che non voleva niente e poi le faceva prendere tutta la collezione.
“Quindi vestiti da giorno. Ecco qui, provi questi.”
Zoe prese le grucce che le stava passando e si chiuse nel camerino. Il primo vestito era molto semplice, nero, un tubino con una scollatura storta. Non lo avrebbe provato: non aveva un corpo abbastanza perfetto per poter portare quella cosa si. Mentre l’altro era molto molto bello. Di colore rosa, però, che a lei non piaceva tanto. Il corpetto era attillato e tenuto su con un paio di spalline sottili, la schiena completamente scoperta. La gonna, leggera come una piuma, scendeva a coprirle le gambe fino al ginocchio. Era splendido e lei si sentiva una bambolina e decisamente non a suo agio. Aprì la tendina e la commessa fece un sorriso a quaranta denti.
“Sta benissimo.”
“Non lo so, il colore non mi piace molto.” E fece un mezzo giro alzando la gonna.
“Sei splendida.” La voce di Jared fece capolino da dietro una mensola. Zoe deglutì e ringraziò a bassa voce. Andarci a letto era un conto, sentirsi dire che era bella, tutto un altro.
“Signorina, provi questo, credo che le starebbe ancora meglio.”
Fece quello che le aveva detto, e si guardò allo specchio rimanendo a bocca aperta. Era proprio lei?
Il vestito era formato da diversi strati impalpabili di seta bianca con dei motivi floreali di ciliegio. A livello della vita c’era una specie di sottile cintura di un leggero color nocciola. Il bustino era leggero, con il reggiseno cucito all’interno che le sosteneva il seno e non c’erano spalline.
“Signorina, provi queste scarpe.” Erano delle Decoltè con un tacco medio, un sottile laccetto a tenere ferma la caviglia e la punta aperta, di un delicato colore bianco.*
“Mi servirà un numero più piccolo.”
Quando la commessa le portò le scarpe giuste, lei uscì. I capelli li aveva lasciati liberi di scendere, come se volesse coprirsi: lei non si era mai messa vestiti così vistosi. Davanti a lei c’era la commessa radiosa, come se fosse una mamma che manda la figlia al ballo scolastico, e Jared che la guardava come se non l’avesse mai vista prima. E stranamente a bocca aperta.
“Voilà, c’est magnifique.”
“Che dici Jared?”
“Non ho parole. Lo prendiamo.”
“Jared non posso permettermelo.” Fece Zoe a bassa voce. Aveva visto il cartellino e quel mezzo chilo di stoffa valeva più del suo stipendio mensile. E non voleva sapere quanto potevano costare le scarpe
Lui le si avvicinò, le mise le mani sulle spalle e le spostò i capelli. Il tocco delle sue dita sulla pelle la fece rabbrividire.
“È un regalo da parte nostra.” Poi le si avvicinò all’orecchio, mentre la commessa li guardava invidiandola parecchio “Non vedo l’ora di togliertelo però.” Lei arrossì e andò a cambiarsi di corsa, tornando con i suoi vestiti di tutti i giorni, Jeans e maglietta dei Mars.
Tornati in strada, Zoe si accorse di come Jared la guardava: la voleva li e subito. Era il chiaro sguardo da letto. Provò un brivido di aspettativa. Scosse il capo e li seguù dentro una pasticceria, dove ebbe la folle voglia di mangiarsi tutto.
“Amo questa città.” Disse Jared bevendo un the freddo.
“Lo sa tutto il mondo Jared.” Fece lei addentando un bignè carico di crema deliziosa.
“Non ci posso fare niente, è la città più bella del mondo.”
 
Zoe aveva soltanto voglia di chiudersi in un posto fresco. Quattordici agosto in città non era il massimo per lei, dato che di solito lo passava in spiaggia ad abbronzarsi o a cazzeggiare con le sue amiche. Di certo non camminare per le vie torride. Jared sembrava non sentire il caldo, vestito in maniera piuttosto anonima rispetto al suo solito: pantaloni neri a sigaretta, T-shirt con lo scollo a V che faceva intravedere l’ultimo dei suoi tatuaggi sulla scapola che la faceva andare fuori di testa ogni singola notte, i capelli ormai lungi tirati indietro, forse l’unico segno distintivo del caldo, e la leggera barba che stava crescendo. Immancabili Rayban e infradito che stonavano da morire. 
E con quel sorriso che avrebbe sciolto un iceberg. Quello la scioglieva più di tutto: più delle mani, più della sua voce roca che le sussurrava nell’orecchio, più della sua bocca che la marchiava. Un semplice sorriso di un uomo che, oltretutto, lo faceva sembrare un ragazzino.
Lo odiava e lo invidiava per quello.
Si vide riflessa in una vetrina e si domandò per l’ennesima volta come aveva potuto cedere e mettersi il vestito di Dior che le avevano regalato Shannon e Jared qualche mese prima. Si vedeva completamente diversa da ciò che lei era in realtà e stranamente non si piaceva. Cioè, si vedeva più bella di quello che era sempre stata, un po’ anche grazie alle cure a volte maniacali che le imponeva Emma, che di invecchiamento precoce da lavoro ne sapeva parecchio, ma falsa. E il fatto che Jared la guardasse come se fosse un bocconcino da mangiare la metteva ancora più a disagio.
Davanti a Notre Dame, bellissima ed elegante, decise di sedersi su una panchina. Non ce la faceva più.
“Caldo?”
“No, guarda, sembra di stare al Polo nord.”
“Ti stanno venendo che sei acida?” Lei non rispose.
Non le stava venendo il ciclo, semplicemente si stata sentendo soffocare. Lui aveva scelto di andare li senza neanche chiederle se avesse voluto seguirlo. Lui le ordinava di vestirsi in una determinata maniera, lui le ordinava di andare in giro per la città.
Sospirò: sapeva che stava comportandosi come una bambina capricciosa, in fondo era con uno degli uomini più desiderati del pianeta, viziata, nei limiti di quanto lei concedeva, ed era in una delle città più belle del mondo.
Lei non amava moltissimo Parigi: oggettivamente sapeva che era bellissima, ma aveva un qualcosa di altero che la indisponeva. Era fredda, a volte si sentiva sperduta, come non lo era stata neanche nei paesi dell’estremo Oriente. O forse, e lo sapeva bene, era il suo amore per l’Italia a farle vedere la Francia con un occhio critico. Comunque non capiva perchè Jared l’amasse così. Forse per le sue antiche origini francesi? Era inutile chiederselo, lui l’adorava, solo questo contava.
“Scusa, ho caldo e sono stanca. E camminare con i tacchi non mi aiuta.” Jared si sedette vicino a lei, portando un braccio dietro alle sue spalle, mentre allungava le gambe davanti a se, e la fece appoggiare a lui, baciandole la testa. “Jay, siamo in un luogo pubblico.”
“E allora?”
“Pensa ai paparazzi.” Lui rise.
“E allora? Non me ne è mai fregato molto dei paparazzi, basta far finta che non esistano.” Poi con uno scatto si alzo, la prese per mano e la tirò verso di se, cingendole la vita con il braccio libero. “Ho fame, andiamo a mangiare qualcosa. Poi stasera la voglio passare in camera, o visto il caldo, in doccia.” Zoe scosse la testa ridacchiando, ma si lasciò trasportare fra le frotte di turisti, assaporando la mano dell’uomo nella sua. Come sempre aveva deciso lui. Sta cosa stava diventando fastidiosa.
Mentre lui parlava di tutto e di nulla, lei pensò che era arrivato il momento di dirgli tutto. Non poteva posticipare per paura una cosa del genere, anche perchè Jared non si meritava una cosa del gnere. Si, quella sera gli avrebbe detto tutto.
Si sedettero sulla terrazzina di un piccolo bistrot che dava sulla senna. I pesanti battelli scivolavano placidi nell’acqua e si era anche alzata una leggerissima brezza che rendeva l’atmosfera migliore.
Ordinarono una Ratatouille e Zoe perse mezz’ora a ridacchiare pensando al film della Disney e cercando di spiegare a Jared perchè la cosa fosse così buffa. Era evidente che lui non apprezzava i cartoni animati. Si rammaricò parecchio, poi pensò che tanto non era un problema suo ormai.
Jared la fissava mentre masticava lentamente la ratatouille con un po’ di baguette. Sembrava finalmente rilassata: aveva notato che tutto il giorno era stata piuttosto nervosa, come se ci fosse qualcosa che non andava. Eppure la notte era passata normale, tra giochi e una bella dormita. Poi quando l’aveva portata fuori, ecco che si era come... raffreddata? No, non era vero, gli aveva parlato tranquillamente e non si era mai tirata indietro per eventuali baci ed effusioni, però non partivano mai da lei. Anche questo era normale, pensò Jared, lei si faceva molti problemi su essere vista con lui perchè non aveva voglia delle rotture delle altre fans.
Eppure... eppure sentiva che era nervosa per qualche cosa. Da un po’ di tempo a quella parte riceveva parecchie telefonate da Los Angeles e non solo da sua madre, ma soprattutto da quella fantomatica Maggie. Parlavano per qualche minuto e Zoe diventava muta per un bel po’, cosa che lo infastidiva da matti. Lui voleva sapere tutto di lei.
Si godette un sorso di acqua fresca.
La cena era scivolata tranquilla e Zoe attendeva famelica una crepes per concludere degnamente la cena.
Era arrivato il momento. Mise la mano in tasca facendo scivolare tra le dita quel piccolo regalo che le aveva preso senza essere visto: era un braccialetto di assoluta bigiotteria, valore reale pari a zero, ma lei l’aveva osservato e se l’era pure provato. Poi aveva scelto di andare avanti, altrimenti avrebbe saccheggiato tutte le bancarelle che avevano attraversato. Era sottile, argentato e con delle pietruzze rosse. Perfetto per lei.
“Jared, devo dirti una cosa.”
“Anche io in effetti ed è piuttosto importante.”
Zoe annuì, ringraziò il cameriere che le aveva portato il dolce e sorrise a lui che perse un attimo il contatto con la realtà. Cazzo, l’amava. E pure di brutto. La consapevolezza di questo lo aveva fatto vacillare in uno dei momenti peggiori, cioè durante uno dei concerti di quei giorni. Stava cantando Hurricane, chitarra acustica e niente altro, quando alla domanda di “Do you really want me?” aveva rischiato di dirle “Si, ti voglio.” Quando si era reso conto della cosa si era fatto un buon esamino di coscienza e, nonostante una parte di lui continuava a ripetere che lui non si innamorava più, che in realtà provava per Zoe solo un semplice affetto e tanta voglia di sesso, si era compreso. E questa consapevolezza lo stava portando li: era il momento di dirglielo, perchè una cosa così bella andava condivisa. Quindi prima lo avrebbe detto a Zoe, poi a Shannon e poi al resto del mondo. Voleva che tutti sapessero che era felice.
“Allora.”
“Quindi.” Erano partiti assieme.
“Senti Jared, inizio io stavolta, altrimenti poi non ci riesco più.” Lui alzò un sopracciclio curioso, ma accettò di buon grado, in fondo così avrebbero finito la serata al meglio.
“Dimmi tutto.”
“Ok, innanzi tutto volevo ringraziarti per i mesi passati insieme al tour. Brian** mi ha detto che sei stato tu a dirgli di prolungarmi il contratto con il The hive, quindi, Grazie Jay.” Lui si limitò ad annuire, non capendo dove stava andando a parare. “Mi sono trovata benissimo con voi. Non è stato semplice gestirvi e gestire quelle Echelon folli in tutto il mondo, ma di certo è stato particolare e non lo dimenticherò mai, ma è ora che io vada avanti.”  Lei deglutì, ormai certa di avere tutta la sua attenzione, non doveva dargli il tempo di dire nulla. Dal canto suo Jared Aveva il cervello azzerato. Cosa gli stava dicendo? “Rimarrò con voi fino alle prime date di settembre, ho già parlato con Brian e per il resto del tour ci sarà un’altra persona ad aiutare Sarah.”
“E tu?”
“Io torno a casa. Ho un lavoro nuovo che mi aspetta.” Sperò che Jared dicesse qualcosa, ma sembrava ammutolito “Tornerò ad insegnare a scuola.”
“Come? Cioè tu mi lasci per andare a fare la maestra?” Jared pensò che se lei le avesse chiesto di andare in hotel, non sarebbe riuscito a camminare.
“Non è una questione di lasciarti, ma semplicemente di vivere la mia vita. I 30 Seconds to Mars rimarranno per sempre con me e per quanto io possa contare, io rimarrò parte di voi.”
“Io pensavo che tu volessi rimanere ancora con m.. noi. Che ti piacesse.”  Lei sorrise.
“A me piace un sacco il tour e sono sicura che mi mancherà tantissimo non essere con voi alle prossime date, ma ho trent’anni e devo farmi una vita mia. Non posso vivere la vostra vita. Anzi, non posso vivere la tua. Sei un uomo incredibile, ma alla lunga è sfibrante. Guarda Emma come è distrutta. Io non posso vivere così, ho bisogno di stare ferma in un posto solo, di farmi una casa. Forse di mettere su una famiglia, girando il mondo con i Mars non posso farlo. “
Jared Deglutì pesantemente solo aria. Aveva la bocca secca e gli girava la testa.
“La maestra?”
“La Professoressa, in realtà. La mia amica Maggie è la preside di una scuola privata, un liceo molto importante e quando si è ritrovata senza insegnante di storia mi ha pensato e chiamato. All’inizio ammetto che non ero molto convinta di essere all’altezza, ma... insomma, una deve provare no?”
“Quindi resti fino a settembre.” Sussurrò Jared.
“Sì. Fino a quando scade il contratto. Semplicemente non lo rinnovo. Non mi sembri molto felice di questa mia scelta.”
“Non lo sono, cioè, ti capisco, ma mi trovo bene con te e l’idea di dover aver a che fare con una che non conosco, non mi fa piacere.”
“Lo so, lo capisco, ma la scuola inizia a settembre, non posso posticipare i corsi per me, no?” Zoe vide un qualcosa di strano, un dolore profondo negli occhi grigi dell’uomo nei quali si stava agitando qualcosa di incredibile. Sembrava... triste. No, neanche triste, era distrutto. “È il mio sogno Jared. Mi aspettavo che tu capissi più degli altri cosa significa seguire i propri sogni e lottare per essi.”
Sembrava sull’orlo di una crisi di nervi e quindi lui le prese la mano e tentò un sorriso per tranquillizzarla.
“Hai fatto benissimo.” Come se ci credesse sul serio. “Parliamo della tua vita e io sono fiero di te.” Le baciò la mano e sentì chiaramente il suo cuore che si spezzava, di nuovo. Almeno questa volta per un motivo degno. Voleva piangere, sentiva le prime lacrime premere, ma non poteva farlo davanti a lei.
“Hai voglia se torniamo indietro?”
“Sì, volentieri. Queste scarpe mi stanno uccidendo.”
Presero la strada verso l’hotel: Zoe aveva capito che Jared era decisamente scosso, continuava ad aprire e chiudere il pugno e guardava avanti senza vedere nulla. Non credeva che la sua scelta lo facesse incazzare in quella maniera. Gli prese una mano, stringendogliela, mentre lui sorrideva e sospirava.
“Anche tu dovevi dirmi qualcosa o sbaglio?”
“Ah sì, ma non è niente di importante.”
“Dai dimmelo.”
“Ma niente, volevo solo dirti che...” poteva dirglielo sul serio? No, lei lo stava lasciando. No, in realtà stava lasciando la band, non lui. Lei non lo amava, almeno non lo amava quanto l’amava lui. Si maledisse da solo: si stava buttando sul patetico e non voleva. Sarebbe andato avanti e si sarebbe goduto quegli ultimi giorni con lei. Al massimo, senza rimpianti. “... che domani ho prenotato per andare al Louvre, quindi sveglia presto, ok?”
“Va benissimo.”
“E adesso andiamo, che è venuto il momento di togliertelo sul serio quel vestito.”
 
 
*Il vestito l’ho preso da qui http://moda.pourfemme.it/img/alba_jessica_dior-hc.jpg
**Brian è, secondo la Board, uno delle tre menti principali del The Hive

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***



Capitolo 7
 
Era strana Los Angeles con la pioggia. Diventava una città diversa, come se perdesse parte del fascino e ne acquistasse uno diverso.
Zoe guardava fuori dalla sua finestra, in attesa che le sue studentesse finissero di fare il compito assegnato. Erano ottime studentesse e non poteva essere diversamente. La Marie Curie High school era innanzi tutto una scuola privata e comunque solo per ragazze che si erano distinte particolarmente. I meriti sportivi non contavano, soltanto quelli didattici venivano presi in considerazione. Il voto minimo per poter rimanere nell’istituto era la B. C’era moltissima concorrenza per entrare e una forte competitività per rimanerci. Il primo mese Zoe era rimasta sconvolta, poi aveva messo in pratica l’esperienza fatta con gli Echelon. Alla fine era più o meno la stessa cosa.
Da quando lei era diventata Echelon tanti anni prima a quel momento, le cose erano cambiate in maniera radicale e a lei non piaceva. All’inizio erano pochi, legati alla band in un modo puro e divertente. Ora c’erano invidie, accoltellate alle spalle, isterie e tutto per quei tre. Per quale ragione poi, dato che comunque i Mars avevano messo un muro tra loro e i fan? Vita privata e lavorativa divisa.
Sospirò: era incredibile, tornava sempre a pensare a lui.
Si sedette sulla scrivania e prese a guardare le ragazze chine sui loro compiti. Il silenzio era rotto solo dal rumore delle penne che graffiavano la carta.
A Zoe mancava Jared. Le mancava da morire, sentiva come se qualcosa di sbagliato fosse entrato nella sua vita. I primi giorni dopo il ritorno a casa li aveva passati sistemando le stanze e le valigie. Non aveva avuto molto tempo per fermarsi a pensare a tutto quello che era successo, solo una settimana dopo si era seduta sul suo divano libero della polvere e si era fatta un pianto liberatorio.
Non avere Jared al suo fianco l’aveva lasciata senza  fiato. Non aveva veramente capito quanto lui era diventato parte integrante della sua vita. Non riusciva a dormire più di qualche ora per notte e l’unica cosa che la faceva riposare era una maglietta nera di Jay che per sbaglio era finita nella sua valigia. Non l’aveva lavata, l’aveva tenuta con il suo profumo addosso e anche se ora, a dicembre inoltrato non ce n’era più, lei continuava ad usarla. La prima notte di consapevolezza stava quasi per mandare a fanculo la sua amica e correre da lui.
“Bella cazzata.” Mormorò senza accorgersi che alcune delle sue alunne la fissavano curiose.
Aveva scelto di vivere la sua vita e non si era pentita. Si stava pentendo, questo si, di non avergli detto di starle vicino. Ma anche questa era una cazzata, in fondo lui mica poteva rimanere a Los Angeles? E soprattutto non ci poteva rimanere solo per lei, inutile neanche pensarci.
Guardò l’orologio.
“Ancora mezz’ora ragazze.”
Aveva seguito il tour dei ragazzi tramite internet e le lunghe chiacchierate che faceva con Tim o con Emma. Erano gli unici due che sentiva ancora, anche se, ovviamente, l’unico discorso che non si affrontava mai era quello di Jared. Zoe non chiedeva e gli altri due non dicevano niente. Solo Emma una volta aveva avuto il coraggio di dire due parole sulla situazione pessima in cui verteva il suo Boss, ma Zoe aveva troncato. Non voleva assolutamente sentirsi male pensando a quanto non fosse in forma lui. Le bastava vedere le foto per rendersi conto che le occhiaie erano tornate prepotenti, che era di nuovo dimagrito al limite dell’anoressia e che sorrideva poco. La tournè in Francia non era stata spendida come avevano sperato, questo glielo aveva detto Tim *, e questo sicuramente lo aveva indispettito.
Sospirò di nuovo: perchè ci stava ripensando in quel momento? Aveva deciso, parlando con il suo cuore e il suo cervello, di limitare i Mars pensieri a casa sua, non a scuola davanti a venti adolescenti curiose che già le avevano fatto il terzo grado quando avevano saputo che cosa aveva fatto durante i mesi precedenti. Eppure il ricordo di Jared era troppo presente quella mattina per non entrare in lei.
Probabilmente a causa della pioggia che rendeva tutto grigio, un po’ come i suoi occhi. Che rendeva tutto ovviamente tempestoso, come era stata la loro ultima notte assieme, quella notte che nel bene e nel male non avrebbe mai, mai dimenticato.
 
Finalmente a Los Angeles.
Il tour estivo era terminato con le date in Nevada e i ragazzi avevano qualche giorno di Pausa prima di volare in Giappone**. Jared si era proposto di darle una mano con la casa per quel giorno e poi l’aveva invitata alla Mars house. Doveva non solo mostrarle il libro di Macchiavelli che tanto l’aveva stupita, ma anche per salutarla degnamente. E lei ne era felice, in fondo era la prima volta che entrava li ed era esattamente come l’aveva immaginata. Stava entrando in un mondo magico, fatto di oggetti pacchiani, come il tavolino con la donna accovacciata che tanto amava Shannon, l’armatura di Efestione che fissò un po’ scettica, fino a montagne di libri che rischiavano di cadere, il bellissimo ed enorme divano che si vedeva in tutte le loro interviste del 2009, l’asettica cucina, segno distintivo che in quella casa non ci viveva una donna.
Era la casa che aveva immaginato per mesi e mesi e lei ora era lì.
“Accomodati, fai come se fosse casa tua.”
“Grazie. Ma non cucini tu, vero? vorrei evitare una intossicazione alimentare.” Jared le fece la linguaccia e si mise a ridere prendendo il telefono in mano.
In meno di cinque minuti stavano aspettando una pizza gigante, seduti sul divano guardando un vecchio film in bianco e nero su un canale via cavo. Zoe lo guardava di sottecchi: lui sembrava estramente rilassato, tranquillo. Felice di essere a casa. E si chiese che cosa stesse pensando.
“Senti Zoe, resti a dormire qui stanotte?”
“Non ho portato niente con me... nessun cambio.” Lui la fissò con quegli occhi grigi ed estremanente grandi, facendo spuntare il labbro inferiore come un bambino. Zoe scoppiò a ridere e gli diede un pugno leggero sulla spalla.
“Va bene, mi fermo qui.”
“Ottimo! Dovrò usarla più spesso questa tattica se funziona così bene.”
“Credo che alla metà delle tue fan basta solo che glielo chiedi e ti diranno sempre di sì.”
“Già, solo tu riesci a dirmi di no.” Fece tornando serio. “Oh arrivao il cibo. Fantastico!” si alzò in fretta al suono del campanello.
Zoe era confusa.: cosa aveva visto in lui? Anzi, no, cosa aveva percepito di stonato? Quell’ultima frase, non la questione pizza, ma il sapergli dire di no. C’era qualcosa che non andava, una sfumatura di rimpianto, un leggero dolore che non riusciva a mascherare. Forse si era veramente affezionata a lei.
“Mangiamo di la o finiamo il film?”
“Resta sul divano... visto che non c’è Shannon posso fare la parte dello svaccato.”
“Perchè di solito?”
“Sono quello elegante e pieno di buone maniere.”
“Si certo, come no.”
“Dubiti delle mie capacità di gentiluomo?”
“Da Mister dico un Fuck ogni tre parole? No guarda, Mr Darcy fatto e finito.”
“Mi stai sfidando ad essere un gentiluomo? Bhe ti stupirò.”
Andò in cucina tornando con una tovaglia bianca dall’aria poco vissuta, poi le posate, i bicchieri e perfino i piatti.
“Se fai partire anche un lento di Barry White potri pensare che tu voglia portarmi a letto.”
“Per quello non mi serve la pizza, credo.”
“No, decisamente.”
La pizza era ancora abbastanza calda, con la mozzarella che filava e i peperoni succulenti. Zoe si stava poprio godendo quel momento.
“ A proposito di Shannon, dov’è?”
“Ha preso la Ducati e se ne è andato. Gli è bastato dormire una volta sul suo letto e si è stufato.”
“E tu hai dormito questa notte?”
“Non troppo. Non posso abituarmi male.”
“Ma se fino all’altro giorno riuscivi a dormire per sette ore la notte.”
Jared rimase in silezio, apparentemente assorto dal film e quindi Zoe non continuò. E poi aveva una pizza da finire: conoscendo il suo compagno di cena, la maggior parte del cibo lo avrebbe terminato lei. E vabbhè, per una pizza si sacrificava volentieri.
Terminarono di mangiare e poi il film, Zoe fece per sistemare le stoviglie, ma Jared la fermò.
“Lascia stare, vieni con me.” la prese per mano e la portò verso la parete che dava sulla piscina in quel momento vuota, dove l’unica acqua presente era quella della pioggia che copriva la città in quella serata.
“Sembra bello qui fuori.”
“Si non è male. Ci abbiamo fatto un paio di tuffi... ci aiutava a smettere di pensare al problema EMI e per cinque minuti eravamo solo tre deficenti che facevano cazzate in piscina.”
“Tranquillo, anche ora restate tre deficenti.” Jared ridacchiò, mentre lei apoggiava le mani al vetro e cercava di guardare lontano, ma la luce scarseggiava. Sentì solo la bocca di Jared premere sul collo e le sue mani che scivolavano sotto la maglietta e la abbracciavano.
“Dormivo sette ore per notte perchè c’eri tu.”
Zoe rabbrividì: il sussurro all’orecchio di Jared l’aveva lasciata senza parole non solo per l’incredibile carica erotica che aveva, ma soprattutto per l’incredibile dolcezza e tenerezza.
Si voltò verso di lui e gli accarezzo la guancia, lentamente, come per cercare di fissare nella sua memoria ogni singolo centimetro di quel corpo perfetto, ogni singolo pelo di quella barba che tante notti l’aveva fatta urlare, quei due occhi incredibili, infiniti, che sebravano guardarle dentro.
Bellissimo.
Lo baciò: voleva imprimersi anche il suo sapore. Sapeva che non sarebbe servito: un uomo del genere non si poteva dimenticare. Lo abbracciò, voleva sentirlo su di lei, avrebbe quasi voluto che lui la implorasse di rimanere li, cosa che ovviamente non avrebbe mai fatto, perchè per Jared non esisteva più il legame fisso.
Si ritrovò in un batter d’occhio in intimo, con le gambe attorno alla sua vita, mentre lui la spingeva contro il vetro della porta finestra. Il contrasto tra la pelle bollente di Jared e il freddo del vetro la fece gemere.
“Portami a letto.” Gli mormorò nell’orecchio.
“No, non credo di riuscirci.”
L’ultimo pensiero razionale di Zoe fu rivolto a Shannon: fa che non torni a casa.
 
Non aveva dormito quella notte. L’aveva passata abbracciata a lui, accarezzandogli i capelli ancora lunghi, mentre lui le respirava dolcemente sul seno, perso in qualche sogno un po’ agitato.
Era stata una notte strana: dopo averlo fatto sulla porta finestra del salone, Jared l’aveva baciata a lungo, appoggiandosi a lei. Sentiva che le stava dicendo qualche cosa con un sentimento struggente, l’aveva, oh santo Iddio, amata nel vero senso della parola. Poi l’aveva portata, in braccio, ancora si chiedeva come ce l’avesse fatta, nella sua stanza e l’aveva amata ancora.
Era quello che, ancora in quel momento mentre attendeva i compiti delle ragazze, si chiedeva: Jared era innamorato di lei? Non aveva avuto il coraggio di chiederglielo per paura che una sua parola mandasse a quel paese tutte le buone intenzioni che aveva riguardo la sua vita. Eppure... l’ultimo sguardo che le aveva lasciato mentre lei usciva da casa sua l’aveva veramente distrutta.
“Professoressa, sta bene?”
“Uh?”
Alcune delle sue studentesse la guardavano a bocca aperta, stupite di qualcosa. Zoe non ci mise molto a capire cosa stava succedendo: stava piangendo. Non si era neppure resa conto che mentre pensava a lui, alcune piccole lacrime avevano preso a scendere silenziosamente.
“Scusate. Avete finito? Dai, avete ancora dieci minuti.”
Lentamente, uno ad uno, i compiti si impilarono sulla scrivania: notò e occhiate pietose, ma anche curiose, delle sue bambine. Non era proprio una grande cosa quella, in fondo era una insegnante, non una amichetta da consolare. Sospirò: in fondo ormai la cosa era fatta.
Uscì dall’aula per andare in mensa a mangiare: quel giorno doveva esserci l’arrosto, quindi lo mangiava più che volentieri.
Stava per addentare la sua seconda porzione di carne, quando sentì Edge of the Earth che proveniva dal suo telefono. Lo prese dalla borsa e si stupì a vedere chi la stava chiamando.
“Ciao Tim.”
“Ciao bellezza, come stai?”
“Io bene, stavo mangiando. E tu?”
“Io mi sto godendo il ritorno a casa prima del gran concerto finale.”
Zoe sorrise: era l’ennesimo tentativo di farla andare a Londra per il concerto di Capodanno. Giocò con la forchetta nel piatto facendo muovere una patatina novella. “Comunque sto bene. Ci siamo divertiti un sacco, anche se mancavi tu e si sentiva.”
“Figuriamoci, con tutta la gente che c’è ai vostri spettacoli, che ci sia io o no, non cambia nulla a nessuno.” Leggero silenzio, poi Tim, perdendo il solito tono leggero riprese.
“Cambia tutto per Jared, Zoe. E anche se tu tenti in tutti i modi di negarlo, lo sai.”
Lei sbuffò.
“Per lui sono solo un’amica. Forse una un po’ più simpatica di altre, ma di certo non una che gli fa cambiare la vita.”
“Zoe, non capisci un cazzo.”
“Se gli interessavo così come dici, mi avrebbe detto qualcosa no? Invece niente, mi ha salutato e buona fortuna. E comunque non cambia quello che io voglio, cioè una vita normale. È tanto difficile da capire per te ed Emma?”
“Onestamente sì. Dai Zoe, ammettillo, girare per il mondo, vedere posti nuovi ogni santo giorno, fare un lavoro splendido...”
“Non vedere quasi niente dei paesi in cui andiamo, conoscere gli aeroporti come le nostre tasche, controllare fans sclerate e un frontman che è una Divah.”
“E che ami.”
Zoe smise di giocare con la forchetta, raschiando i Rebbi sul piatto. Tim l’aveva appena colpita dove le sue convinzioni vacillavano.
“Non cambia lo stato delle cose.”
“Zoe, cambia tutto, lo sai che anche lui prova le stesse cose per te.”
“No! Non lo so e non ci credo. Un conto è quello che dite tu ed Emma, un conto è quello che può dire lui. E guarda caso lui non dice niente.”
“Cambierebbe qualcosa se te lo dicesse?”
“Non lo so, forse. Comunque io non mollo la scuola. Questo è poco, ma sicuro. Sembrerà assurdo, ma mi piace un sacco insegnare e mi trovo bene. Senza considerare che la paga è buona e i miei colleghi sono simpatici.”
“Sono solo scuse che ti dai. Comunque ora vado, che ho le prove per il concertone. E ti dico che sarà incredibile, meglio di tutto quello che abbiamo fatto fin’ora.”
“Cioè vi degnerete di suonare nuovamente il Self Title?”
“Fanculo Zoe.”
“Reciproco, Tim.”
Il ragazzo fissò lo schermo muto. Quella ragazza aveva l’incredibile capacità di farlo alterare. Non che dicesse cose sbagliate in generale, ma era così testarda da non volere credere all’evidenza. Ci andava a sbattere con la testa e non si fermava, anche se se la stava rompendo. E soprattutto anche se stava rompendo la testa anche a Jared.
Tim non provava per Jared quell’affetto fraterno che aveva per Tomo o Shannon, forse perchè il cantante aveva comunque un carattere schivo e chiuso, quando si trattava di sè e Tim non era il giullare della situazione, anche perchè si sentiva a volte tagliato fuori. Non riusciva ad andare da lui a chiedergli come stava, ma non ne aveva poi così bisogno. Lui sapeva osservare e non ci voleva poi tanto per capire che Jared era diventato il fantasma di se stesso. Non solo era tornato a livelli di peso a rischio denutrizione, ma non dormiva, era irascibile, spesso si chiudeva in lunghi silenzi decisamente non da lui.
Jared era cambiato.
Jared era un uomo distrutto.
Sul palco provava ad essere sempre il solito e per quasi due ore ci riusciva, tranne quando si lasciava sopraffare dal dolore e cantava Hurricane con voce rotta.
Tutti avevano capito che c’era qualcosa che non funzionava e lo dicevano.
Tutti sapevano che era dovuto alla mancanza di Zoe, ma nessuno aveva il coraggio di dirglielo.
Nessuno fino a quel momento, si disse Tim.
“Scommetto il mio basso che a Capodanno Zoe sarà con noi.”
 
 
*Ovviamente spero che non sia così...
**Per ora non so di altre date, quindi....

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***




Capitolo 8
 
Jared era insofferente verso qualsiasi cosa e questo includeva la sua famiglia, i suoi pochi amici, il suo lavoro.
Ancora un concerto, l’ultimo e poi sarebbe scomparso. Aveva deciso, se ne sarebbe andato via per un po’, disperso in un paese del terzo, quarto mondo, e avrebbe lasciato la notorietà. Fanculo a tutto e a tutti. Aveva bisogno di stare solo. Odiava quegli sguardi pietosi che gli lanciava la gente, consapevole che era stato scaricato prima ancora di dichiararsi. Era mai stato così sfigato? No, almeno quando ci provava a scuola, le ragazze lo scaricavano subito dopo la dichiarazione.
Sospirò di nuovo. Si rendeva conto che sembrava un vecchio rompipalle e che nessuno, neppure Emma o Shannon, riuscivano a gestirlo. E poi perchè? Per una ragazza?
No, per l’unica ragazza per la quale valeva la pena di deprimersi anni dopo la sua prima delusione amorosa, questo era da ammettere.
Prese dal frigo il cartone del latte di soia e ne bevette un gran sorso più per fare qualcosa che per vera voglia di latte, poi si accorse di non essere solo: Silenziosa come un gatto, e con la stessa espressione furba, Emma lo fissava immobile seduta su una sedia della cucina.
“Buongiorno Jared.”
“Che ci fai qui?” lei alzò un sopracciglio.
“Ti ricordi che dobbiamo andare a fare le prove? Mi hai chiesto tu di venirti a prendere.”
“Sì, lo so, ma è presto.”
“Jared... sono quasi le due.”
“Cosa? Non dire cazzate.” Emma si limitò ad indicare l’orologio digitale del forno e Jared strabuzzò gli occhi “non mi ero accorto che fosse così tardi. Dammi... dammi il tempo di fare una doccia e sarò da te.”
“Va bene.”
Jared salì di corsa in bagno: quell’arrivo di Emma lo aveva scombussolato. Era così preso dai suoi pensieri che neanche si era accorto di aver perso così tanto tempo e non era cosa buona. Doveva andare a provare, l’ultimo show, l’ultima apparizione e poi basta. Almeno li doveva dare il meglio del meglio, dimenticarsi Zoe, far finta che non fosse mai entrata nella sua vita. Era l’unico modo per poter trovare un minimo di tranquillità.
Si congraturò con se stesso per averci messo meno del tempo richiesto ad Emma e scese quasi correndo, con i capelli ancora leggermente umidi. Trovò la sua segretaria nella stessa posizione nella quale l’aveva lasciata, inviperita con lo sguardo fiammeggiante. Non gli ci volle molto per capire il perchè.
Una ragazza bionda, dalle lunghe gambe praticamente nude grazie ad una culotte nera, con solo una maglietta addosso stava mettendo a  soqquadro la cucina alla ricerca di una macchinetta per fare il caffè, almeno era quello che lui stava capendo dai suoi borbottii inconsulti.
“Ma è possibile che in questa casa non si trovi niente tranne preservativi?” gli chiese sorridendo.
“Quelli sono essenziali, il caffè no.” La interruppe Jared. “Lo sai che te ne devi andare? Devo uscire.”
“Oh, mi stai cacciando?”
“In parole povere sì. Scusa, ma sono di fretta.”
La ragazza, una bambolina senza curve, lo fissò imbronciata, ma non disse nulla, si limitò ad alzare le spalle ed andare a recuperare i suoi vestiti sparsi per la casa.
“Cinque minuti che se ne va e poi possiamo andare anche noi.”
“Se fossi stata io, ti avrei minimo minimo dato un calcio nei gioielli di famiglia.”
“E perchè di grazia?”
“Perchè non sei stato molto gentile a mandarla fuori, visto che mi pare evidente che stanotte non ti sei fatto molto scrupoli a portartela a letto.”
“Perchè, avrei dovuto farci altro, secondo te?”
La manata che Emma diede al tavolo gli fece paura.
“Sei un idiota imbecille. E la cosa incredibile è che fai di tutto per esserlo. Ma è possibile che te le trovi tutte con lo stampino? Bionde, giovani, possibilmente sceme. Quando metterai la testa a posto?”
“Mai.” Disse lui indifferente, almeno all’apparenza. La testa a posto l’avrebbe voluta mettere qualche mese prima, ma qualcuno aveva giocato sporco e non ci era riuscito. Che poi Zoe non aveva fatto nulla di male, aveva semplicemente voluto andare avanti ed aveva fatto bene.
“Paura eh?”
“Di cosa?”
La ragazza bionda tornò in cucina e gli diede un leggero bacio sulle labbra, fuggevole come una farfalla, che infastidì per primo Jared e poi la segretaria.
“Ci sentiamo per questa sera.”
“Non credo proprio.” Mormorò lui, ma quella era già sparita oltre la porta. “Allora, direi che dobbiamo andare, altrimenti facciamo troppo tardi.”
“E invece no, adesso tu vieni qui e parliamo seriamente.”
“Emma, siamo tardi.”
“Shannon aspetterà per una volta nella sua vita, come fa aspettare noi. Quindi ora fermati.”
Jared si appoggiò allo stipite della porta incrociando le braccia: sapeva che quando Emma aveva quell’atteggiamento combattivo, le cose si facevano dure e quindi che sarebbe stata una lunga ed intensa chiacchierata.
“Tu hai paura di innamorarti. Anzi, peggio, hai paura di andare da lei a dirle che sei innamorato.”
“Ti avviso, in modo che tu sappia fin da subito: stai attenta a quello che dici. Stai molto attenta.”
“Me ne fotto altamente dei tuoi avvisi.” Silenzio teso, terribile. Loro non litigavano mai, di norma si sapevano capire al volo e soprattutto sapevano incontrarsi e a raggiungere compromessi fondamentali per il lavoro e per il loro rapporto personale. Arrivare a quel silenzio così carico, significava solo che la sopportazione di Emma era arrivata al limite.
“Emma, che cosa vuoi?”
“Cosa voglio io? Ti faccio la lista? Primo, vorrei che tu tornassi ad avere un peso da essere umano vivente e non da zombie. Poi vorrei che fossi un po’ più amabile con chi ti intervista, o con chi ti rivolge la parola, ivi incluse le Echelon che sì, a volte saranno un po’ invadenti, ma sono anche quelle persone che ti seguono, che ti mantengono e che credono in te e quindi meritano del rispetto che non stai dando loro. E, cosa principale, vorrei che tu e nessun altro, tornassi a sorridere. Sono stufa di vederti in questo stato. Non fai che girare da una città all’altra, tra le cosce di una bambola come quella che è appena uscita da qui di cui, ci scommetto, neanche ricordi il nome.” Dato che Jared non parlò, lo prese come una conferma della sua teoria. “Sai quello che mi fa incazzare di più?” Domandò in maniera quasi dolce. “Ti basterebbe così poco per essere felice. Un niente, solo una parola e invece ti ostini a vivere la tua vita così giorno dopo giorno trascinandoti come un... idiota. Basterebbe così poco....”
“Non dirlo.”
“Invece sì. Tutti hanno paura di fare il nome di Colei che non deve essere nominata, neanche fosse Voldemort. Bene, non lo dicono loro? Lo farò io. Zoe. Un nome, una condanna.”
“Smettila! Zoe ha preso la sua decisione ed è giusto così!”
“E certo, come se tu avessi sempre seguito quello che dicono gli altri e non avessi mai fatto di testa tua. La assecondi solo perchè hai paura che le cose possano essere diverse. Bhe Jared, ti dico una notizia in anteprima: i cambiamenti portano a dolore, ma anche a felicità. Aver paura di provare queste cose è un comportamento degno di un bambino e tu hai quarantanni a breve, hai passato da parecchio l’infanzia.”
Jared non sapeva se temere più Emma o le sue parole. Sapeva che la sua segretaria aveva ragione e proprio per questo il parlarne con lei gli faceva male.
Zoe gli aveva scavato un buco nel cuore e quel che peggio si stava allargando.
“Non devi far null’altro che andare da lei a parlare. Dimostrarle che non sei il solito, ma qualcuno di speciale per lei.”
 
“Sei gentile, ma io non bevo questo caffè.” Fece Zoe, prendendo il bicchiere di Carta di Starbucks e mettendoglielo vicino al suo.
“Perchè?”
“Perchè non mi piace, Jared.”
Erano al secondo piano di uno dei più grandi Starbucks di Melburne. Avevano un paio di giorni di pausa tra un concerto e l’altro e quindi avevano deciso di fare un giro nella città australiana. Faceva caldo e Jared aveva preferito una spremuta e pensava che Zoe potesse volere un caffè, dato che era quella che ne beveva di più in tour bus.
“Io credevo che il caffè fosse la tua benzina.” Lei sorrise e andò al bancone a prendersi una cioccolata con il caramello e un muffins, visto che a differenza del suo capo, lei mangiava, poi tornò davanti a lui che la fissava un po’ rabbuiato.
“Lo è, Jared, ma il caffè vero, non quello lungo ed acquoso.Ma veramente grazie del pensiero. Vuoi un po’ di Muffins ai Mirtilli?”
“No.” Dal tono Zoe capì che era ancora un po’ offeso e sorrise.
“Mia zia fin dal primo viaggio in Italia, si portò dietro una moka e una macchinetta per l’espresso, una di quelle serie. E ne prese una anche per me e mamma. Ho praticamente vissuto con il caffè ristretto, è quello che mi ha permesso di laurearmi.” Rise “Insomma, adesso non posso apprezzare cose simili.” Disse indicando il bicchiere ancora fumante.
Jared sospirò.
“Ok, la prossima volta ti prendo altro.”
“Molto meglio.”
Finalmente lui sorrise e si appoggiò alla sedia, totalmente rilassato.
Molto lentamente stava imparando a conoscerla. Dal loro primo giro da Arnold fino a quel momento, avevano passato un sacco di tempo a parlare. E incredibilmente si era anche aperto molto, parlandole di cose private che normalmente non erano argomenti di discussione con chiunque, ma solo con Shannon. Era una sensazione particolare di cui, inizialmente, aveva avuto paura. Aveva creduto che quanto prima avrebbe visto quelle cose pubblicate da qualche parte, invece Zoe aveva tenuto per se le confessioni più o meno lucide che lui le aveva fatto. Forse era per quel motivo che continuava ad usarla come sfogatoio. Oltre al fatto che si stava seriamente affezzionando e che, da un paio di giorni a quella parte, aveva una insana voglia di toccarla, sfiorarla. L’aveva vista con Emma a giocare in piscina e c’era stato un secondo in cui si era ritrovato senza pensieri, il cuore si era fermato per un battito e il mondo era scomparso. C’erano solo loro. Era stata quella sensazione a fargli decidere che voleva provarci. Magari sarebbe durata un niente, il tempo di una notte, ma valeva la pena tentare. Zoe era diversa. Le diceva di no. Come per il caffè.
“Non ti pesa girare con noi tutto il tempo? La tua vita privata non ne risente?”
“Quale vita privata? Al di fuori del lavoro e degli Echelon non ho grandi frequentazioni. Quando ho iniziato a seguire voi, le mie vecchie amiche si sono defilate. Non amavano i concerti, l’idea di fare street team. Loro adesso sono sposate e figliate, io... io sono sola.” E si mangiò un pezzo di muffin.
“Non mi sembri così disperata. Pensavo che per voi donne il principe azzurro fosse la prima cosa da trovare per essere felici.”
Zoe lo guardò seria. Improvvisamente aveva abbandonato il sorriso che aveva sulle labbra ed era diventata l’efficente aiuto segretaria che era diventa.
“Ogni bambina viene cresciuta con lo stereotipo della principessa che viene salvata e poi amata per sempre dal principe azzurro. Da piccole ci crediamo sul serio, vogliamo diventare delle regine da grandi, con un gran castello, qualche pargolo bellissimo e ovviamente un marito che ci ama e ci venera, un vero Re. Crescendo tutte noi, o quasi, capiamo che il mito del principe azzurro è una cazzata, che noi donne abbiamo l’incredibile e sottovalutata capacità di prenderci cura di noi stesse e di riuscire esattamente a salvarci da sole dal terribile drago.”
“Sembra che stai dicendo che siamo superflui.”
“Oh no, questo mai. Dico solo che una volta per essere donna dovevi avere un uomo. Ora per essere donna basta essere se stesse. Capisci? È una differenza piccola, ma incredibile.”
“Meglio così, le donne per essere sexy devono essere se stesse, non far finta di essere quello che non sono*.”
“Se lo dici tu....”
“Dici che non è vero?”
“Onestamente parlando, non ni pare che quelle che ti porti a letto siano così se stesse. Sono tutte uguali, tutte alla ricerca di essere qualcosa che non saranno mai. Sono starlettine identiche tra loro.”
Jared sorrise muovendosi sulla sedia. Si appoggiò al tavolo avvicinandosi a lei.
“Touchè, ma qui si parla di scopate estemporanee, qualcosa che dura una notte e basta, perchè mi devo mettere a cercare qualcuno di serio se il giorno dopo non la vedrò più?”
“Forse perchè sarebbe il caso di mettere un po’ la testa a posto. Hai una certa età ormai.”
“Non ho trovato la donna giusta. Per ora.” E sorrise malizioso facendole partire un brivido dietro la schiena. In quel periodo Jared le stava particolarmente appresso, in barba alla sua idea di non relazionarsi troppo con la band. Però le piaceva, soprattutto in quei brevi attimi nei quali lui la toccava. Aveva delle mani morbide, nonostante i calli sulle dita dati dalle corde delle chitarre. E poi sembrava facesse apposta a toccarla nei punti più sensibili, come se sapesse che a lei piaceva, anche se capiva che lo faceva assolutamente in buona fede. “E tu che cerchi nel tuo uomo ideale?”
“Non ho un ideale maschile. Mi sono piaciuti diversi ragazzi e ognuno aveva qualcosa di particolare. So per certo che per poter stare con lui deve amarmi sul serio, oltre che essere bravo a letto. Non posso pensare di vivere la vita con uno che non sa scopare. La condizione primaria è che ci sia compatibilità fisica, altrimenti mancherà sempre qualcosa e a quel punto si sarebbe solo amici. E poi...”Si bloccò.
“E poi? Dai, stava diventando un discorso molto divertente.”
Zoe girò quel poco che restava della cioccolata con il bastoncino di legno, poi finì.
“E poi vorrei che il mio lui mi sapesse stupire facendo qualcosa che normalmente non farebbe mai.”
“E così sarebbe qualcosa che non è... non decade tutto?”
“No, non hai capito. Ti faccio un esempio. Hai presente Pretty Woman vero?” Lui annuì con un sbrilluccichio sarcastico negli occhi grigi “Ecco, alla fine Richard Gere va a dire a Julia Roberts che la ama e lo fa salendo sulla scala antiincendio del suo palazzo. Ma tutti sappiamo che lui ha paura dell’altezza, ma per lei fa quella follia, per lei si arrampica per dimostrarle che farebbe di tutto. Ecco, io intendo una cosa simile, capisci?”
“Sì e lo trovo inutile. Se una ti piace glielo dici e fine.”
“Ma tu sei un uomo e quindi non sei alla disperata ricerca del gesto romantico, di quella cosa da principe azzurro. Noi cresciamo con la folle idea che prima o poi ci capiterà una cosa simile. E a ben poche principesse capita una cosa simile. Vorrei essere una di quelle fortunate, ma è impossibile, dato che sono destinata a restare da sola.”
“E questa cazzata da dove spunta?”
“Io sono troppo complicata per stare con qualcuno. Ho troppo bisogno dei miei spazi e dei miei tempi e questo è qualcosa che rende difficoltosa una convivenza. I miei ex mal sopportavano, per esempio, che facessi i miei viaggi per venire a vedervi. Erano gelosi di voi e in parte lo posso anche capire: marte è sempre stata la prima cosa nella mia vita. Tutto il resto, mamma a parte, veniva dopo. Ci credo che i miei ragazzi si sentivano messi da parte, ma evidentemente non li amavo abbastanza. Quando e se troverò l’uomo della mia vita, sarà lui il mio primo pensiero la mattina, non voi.”
Jared rimase stupito ancora una volta. Non aveva paura di dire le cose come pensava e soprattutto aveva una criticità verso se stessa piuttosto accentuata e non si faceva problemi a dirlo. E non ultimo, riusciva far crescere il suo ego per il lavoro svolto, piuttosto che per il lui uomo.
“Sei interessante, Zoe, veramente tanto.”
“Insomma, mi sento piuttosto... noiosa come poche.”
“Questo lo credi tu, bambina. A me piaci.”
 
Fissò Emma in maniera tale che la donna credette stesse per liquefarsi. Era prossimo alle lacrime, ma sapeva che Jared non si sarebbe mai macchiato di quella debolezza di fronte a lei. Ma di certo il discorso forse stava facendo il suo effetto e solo questo bastava.
Poi suonò il campanello e l’apparente magia finì, fino a quando Emma non vide apparire in cucina Tim. Che ci faceva li? Dovevano trovarsi per le prove, non alla Mars house.
“Ehy, ciao. Disturbo? Ho interrotto qualcosa di importante fra voi?”
“No, lo stavo solo sgridando.”
“Detta così sembra che sia un bambino.” Lei rise.
“Per me lo sei, almeno fino a quando non dimostrerai il contrario.” Tim spostò lo sguardo da uno all’altra senza capire bene il succo del discorso e quindi Emma spiegò “Stavamo parlando di Zoe.” Lui si illuminò.
“Perfetto, anche io ero venuto qui per quello.”
“No, basta, non ti ci mettere anche tu. E soprattutto fatti i cazzi tuoi e non i miei.” Urlò Jared.
“Io non mi faccio i cazzi tuoi, io sono solo preoccupato per Zoe.”  Jared sbiancò.
“Le è successo qualcosa?”
“No, a parte che è infelice. E per questo che devi andare da lei.”
“Lei non ha bisogno di essere salvata.” Disse Jared tranquillo, ricordando la loro chiacchierata a Melburne. Zoe sopravviveva alla grande da sola, era una donna fortissima, aveva carattere e tempra giusta, non aveva bisogno di lui per stare bene.
“Jared, sei tu che devi essere salvato. E solo lei lo può fare.”
 
 
 
*Lo ha dischiarato lui stesso nell’intervista di Cosmopolitan UK.
L’entrata in campo della bionda non ha nulla a che fare con la signorina di Saint Tropez. Era nella mia Fan Fiction prima dell’uscita delle foto.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***




Capitolo 9
 
Zoe girò l’ennesima pagina del libro, mentre le sue studentesse ridacchiavano tra loro. Era l’ultimo giorno prima delle vacanze di Natale e aveva permesso loro di portare un po’ di cibarie per fare una piccola festicciola. Non aveva assolutamente voglia di iniziare un nuovo argomento del programma per poi interromperlo a metà, quindi meglio divertirsi un pochino. E poi quei biscotti al cioccolato erano la fine del mondo, avrebbe dovuto assolutamente farsi dare la ricetta dalla madre di Amanda.
Per la centesima volta nella sua vita stava leggendo Orgoglio e Pregiudizio, romanzo sommo dell’immensa Jane Austen che lei amava e venerava. Avesse potuto sarebbe diventata lei stessa Elizabeth Bennet, o magari perfino Jane Bennet, anche se troppo buona e smielosa per assomigliarle.
 
Jared era appena salito sul bus dopo essere andato a salutare i Fans che erano ad aspettarlo fuori dall’Olympiahalle di Innsbruck e Zoe si stupì di vederlo con in mano uno stupido cappello di paglia e un sacco di regali.
“E quelli da dove spuntano?”
“Dalle Italiane che c’erano qui fuori. To, tieni che mi spoglio intanto.”
Zoe vide un plico di fogli che pubblicizzavano una radio*, un sachettino con la carta rossa e un libro che la fece sobbalzare. Una ragazza gli aveva regalato Orgoglio e Pregiudizio. Come al solito quando aveva una copia in mano, non riusciva a non sfogliarlo, andando diretta a colpo sicura alla scena della prima dichiarazione del Signor Darcy. Lesse velocemente, muovendo le labbra come una macchinetta, fino a quando Jared non si sedette davanti a lei lasciandole un leggero bacio sul collo.
“Che fai?”
“Guardo i tuoi regali. Sono perfettamente d’accordo con quello che ha scritto questa ragazza. Un grande libro, una grande autrice per una grande persona. Brava Monica**.”
“Bha, è solo una storia d’amore romantica.”
“Eretico! Orgoglio e Pregiudizio, come tutti i romanzi della Austen, è uno spaccato del suo tempo. È uno sguardo disincantato, lucido, razionale e anche cinico a volte, del mondo Inglese della metà del ‘700. Non lo si può relegare ad una storia romantica e basta. È molto di più.”
“Ok, ho capito, lo leggerò per farti piacere, così poi potrò criticarlo con coscienza.”
“Secondo me finisce per piacerti. Scommetto che ti rivedrai come perfetto lord Inglese.”
“Io sono perfetto sempre.”
Non vide neanche la cuscinata che gli arrivò mentre rideva come un pazzo.
 
Zoe chiuse di botto il libro.
Non andava bene se ora Jared gli rovinava pure la lettura del suo adorato Romanzo. Adesso ogni volta che avrebbe letto di Darcy, i suoi occhi grigi sarebbero tornati a tormentarla, un po’ come succedeva sempre durante il giorno. C’erano troppe cose ormai che glielo facevano ricordare, cazzate oppure cose serie. Tutto, era una tortura in realtà qualcosa che faceva veramente del male fisico.
“Mangerò un altro biscotto alla facciazza tua!”
Fuori dalla finestra splendeva un bel sole rendendo la giornata più simile ad una del mese di aprile che di dicembre, ma dopo le piogge dei giorni precedenti ci stava a meraviglia. Los angeles era tornata ad essere la città degli Angeli e soprattutto la città dell’eterna primavera, cosa che a Zoe piaceva da morire, visto che era la sua stagione preferita.
 
“Amo stare a letto quando fuori c’è freddo e Neve.”
“Quindi quasi mai, dato a a Los Angeles non nevica da secoli.” Zoe strisciò sopra Jared, lasciandogli una scia di baci dall’ombelico fino al collo, dove rimase a lungo per stuzzicarlo.
“È vero, ma quando sono in tour o quando vado ad Aspen, amo sapere che fuori sta nevicando mentre io sono al calduccio sotto le coperte o davanti al camino. Anche se non sono in dolce compagnia come adesso.”
“Una compagnia come le altre, Jared.”
“No, una delle migliori da molto tempo a questa parte.”
“É strano per te riuscire a palpare qualche cosa, vero?” e rise rotalando via da lui.
“Ammetto che non ci sono tante donne a cui posso toccare le tette come a te.” Lei scosse il capo e andò verso il piccolo bagno, mentre Jared la fissava da dietro. Nonostante i suoi difetti fisici, le piaceva parecchio. Non importavano le smagliature chiare, oppure quei nei sulla schiena, le piaceva poterla toccare e sentire della sostanza sotto le mani.
Quando Zoe uscì dal bagno, non potè non sorridere soddisfatto vedendola nuda e chiaramente eccitata.
“Del resto mi pare che anche tu apprezzi questa situazione.” Le disse indicando i capezzoli induriti.
“Sono qui con l’umo più desiderato del mondo, o quasi... direi che mi va di lusso.” Gli si sedette sopra passandogli le mani sui pettorali rilassati. “Sarà bella la neve... ma è fredda. Mi scaldi?”
 
Era incredibile, la sua mente si rifiutava categoricamente di pensare a qualcosa di diverso da Jared. Ma si poteva torturare in quella maniera?
“Prof, biscotto?”
“No basta, altrimenti a breve mi metterò a rotolare, altro che camminare.” Guardò l’orologio del telefono che segnava quasi l’ora di pranzo. Con tutto il cioccolato che aveva ingurgitato quella mattina, poteva tranquillamente stare a digiuno fino al giorno dopo. Non poteva permettersi di aumentare di peso con tutta la fatica che aveva fatto per calare mentre era in tour. La verità, e lo sapeva benissimo, era che le mancava tutta la ginnastica da letto che aveva fatto in quei tempi.
“Ohhhhh adesso basta!” si urlò nella testa, mentre iniziava a sistemare i suoi libri nella borsa. La campanella stava per suonare per la felicità di tutte e lei voleva correre in mensa a chiacchierare con le sue amiche immaginando cosa fare per l’ultimo dell’anno. Lei probabilmente sarebbe rimasta a Los Angeles, magari con sua mamma, oppure in catarsi da sola a casa. Aveva una mezza intenzione di fare piazza pulita di roba vecchia e di far entrare il nuovo. Senza pensare a Londra, possibilmente.
Poi un urlo isterico.
“Oh Mio Dio!”
“Nancy, per favore, non serve che urli come una scimmia.”
“Ma professoressa, c’è Jared Leto!!!”
Zoe si rese conto inizialmente di essere impallidita di colpo, fino a diventare rossa come un peperone, sentì le gambe non reggerla e il cervello azzerato. Non poteva essere, di certo Nancy si stava sbagliando.
Si fiondò alla finestra che dava sull’enorme giardino e lo vide. Stava salendo gli scalini che portavano alla hall dell’edificio in perfetta tenuto stupro: un paio di pantaloni a sigaretta neri, una maglietta con lo scollo a V che faceva intravedere il tatuaggio sulla clavicola, un giubbotto lggero di Jeans, rayban sulla testa, capello lungo fino alle spalle e la barba non troppo lunga. Stranamente ai piedi aveva un paio di scarpe da ginnastica sobrie. Sembrava incredibilmente a suo agio in quel posto come se non fosse una scuola privata tra le più costose a Los Angeles, bensì il backstage di un concerto dei suoi.
Suonò la campana e tutte le ragazze schizzarono in corridoio per raggiungerlo e farsi fare almeno un autografo. Zoe deglutì pesantemente e le seguì: lui era li per lei, non era una sciocca, sapeva che non si sarebbe presentato così fresco come un quarto di pollo per fare un giretto dei suoi. Voleva qualcosa da lei, il problema era cosa.
Camminò per quasi tutto il corridoio prima di trovarlo accerchiato dalle ragazze in brodo di giuggiole. Non lo vedeva così da vicino da mesi e si ritrovò ubriaca forte. Nonostante fosse troppo magro, era bellissimo.
E quando Jared la vide le scoccò un sorriso che la fece sciogliere definitivamente.
 
Era troppo emozionata: da li a poco si sarebbe incontrata con lo staff del The Hive e i Mars stessi per definire come si sarebbe svolto il suo nuovo lavoro in giro per il mondo. Per fortuna sarebbe stata con Diana e quindi sarebbe riuscita a rimanere abbastanza ancorata alla realtà.
Stava camminando di fretta verso il luogo dell’appuntamento, quando vide arrivare verso di lei Jared e Shannon che chiacchieravano. Probabilmente stavano andando verso lo Starbucks o il Costa più vicini a prendersi qualcosa da bere.
Lei si era bloccata come un sasso: li conosceva da anni e da anni loro conoscevano lei, eppure dopo la fine del tour di ABL non avevano più fatto nulla e quindi neanche lei li aveva più rivisti, dato che non era da lei mettersi alla ricerca di loro per la città. E rivederli le faceva sempre una strana sensazione di calore in fondo allo stomaco.
Loro arrivarono praticamente davanti a lei e fu Jared ad accorgersi dell’enorme Fenice bianca stampata sulla sua borsetta nera. E le sorrise felice e soddisfatto come un bambino.
Un sorriso che l’aveva sciolta.
 
Jared l’aveva trovata. Oddio, in realtà era stata lei ad arrivare da lui a seguito di quelle ragazzine, ma il succo non cambiava. Lei era li davanti a lui che la fissava come se fosse un passero spaurito. Faceva questo effetto alle donne? Quasi gli veniva da ridere. In fondo era lui quello che si sarebbe dovuto emozionare. Essere li in quel momento non era certo una cosa da lui, con tutti quei testimoni scomodi, ma in fondo era quello che doveva fare.
Era vestita proprio come ci si aspettava da una profesoressa, un paio di pantaloni dal taglio elegante e un maglioncino dall’aria soffice. Perfino i capelli erano diligentemente racchiusi in una coda bassa. Non era proprio la sua Zoe, eppure era sempre lei, con quei suoi enormi occhi castani e lo sguardo da cucciolo abbandonato.
Abbandonando le sue fans, si avvicinò a lei, quasi fino a toccarla. Sentiva la voglia di colmare quei pochi centimetri aumentare di istante in istante, ma si fece violenza e resistette.
“Ciao Zoe, come va?”
“Bene, grazie.” Sussurrò. Vedere Jared così da vicino non le faceva bene. Sapeva che appena se ne sarebbe andato, lei sarebbe crollata in un pianto difficilmente spiegabile a qualche estraneo. “Che ci fai qui?”
“Ovviamente sono qui per iscrivere una delle mie ipotetiche figlie al prossimo anno di corso.”
“Le tue ipotetiche figlie sono troppo grandi per venire a studiare qui.” Rispose lei “E credo che non siano neanche abbastanza intelligenti per farlo.” La stoccata acida le era venuta fuori senza volerlo, aveva seguito le storielle di letto di Jared incazzandosi non poco, anche se sapeva che aveva tutti i diritti di farsi chi voleva.  Però era gelosa e questo non lo poteva cambiare.
“Noto una punta di disapprovazione.”
“Figurati, sei libero di fare ciò che preferisci della tua vita.”
“Ed è proprio per questo motivo che sono qui. Andiamo.” E la prese per mano trascinandola verso la porta, tra decine di occhi sgranati e sognanti.
“Jared cosa fai? Io ho lezione!”
“Tranquilla, ho parlato con la tua amica Maggie spiegandole la situazione. Ti dà il resto della giornata libera.”
“NO! Mollami! Ti prego, ci guardano tutti.” Cercava di fare ostruzionismo e anche ci riusciva, visto che lui non era questo peso massimo.
“E lascia che guardino.”
“Jared smettila.” Diede uno strattone e si liberò, mettendo tra loro mezzo metro, quanto le bastava per potergli dire quello che pensava. “Sei scemo? Con che diritto vieni qui e cerchi di portarmi via? Ma che siamo, in qualche paese dove il rapimento è normale routine? Guarda che io sto lavorando non sono qui a divertirmi. Si può sapere che vuoi fare?”
Bella domanda pensò Jared. Lui voleva parlarle, spiegarle tutto, sperando che si sarebbe lasciata convincere senza troppe storie, invece stava lottando anche in quel momento. Sospirò: non era facile e non era preparato. Era andato li quasi con la certezza che lei sarebbe caduta ai suoi piedi come gli succedeva con chiunque, non che dovesse dimostrare ancora qualcosa. Diamine.
Si guardò attorno e vide che praticamente il corridoio era ibernato: tutti i presenti, inclusi i docenti, erano ad osservarli curiosi. Vide che c’era qualcuno che filmava con il telefonino e scosse il capo. Se era quello che Zoe voleva, glielo avrebbe dato.
Con uno scatto andò da lei, la prese per le guancie e la attirò a sè.
Quanto gli erano mancate quelle labbra? Tanto, troppo, non riusciva a quantificarlo. Qualsiasi altro bacio che lui aveva dato e ricevuto in quei mesi erano solo un pallido palliativo a quello che si stavano scambiando in quel momento. Aveva sentito che lei si era irrigidita all’inizio, soprattutto perchè non si aspettava una cosa simile da lui, ma pian piano stava sciogliendosi e partecipando al bacio. Jared sorrise dentro di sè vittorioso: non lo aveva dimenticato, questo era palese.
Neanche si stavano accorgendo che intorno a loro si erano alzati gli applausi di tutti i presenti.
“Oh...” Fu l’unico commento di Zoe quando si staccarono.
Jared le accarezzò una guancia lentamente, poi appoggiò la fronte alla sua e le sussurrò all’orecchio:
“Ti amo.”
 
Zoe stava per andarsene da casa sua. Pochi minuti e avrebbe varcato la sua soglia per non tornare più.
Avevano passato la notte più bella della sua vita. Aveva dormito stretta a lei, sapendo che non l’avrebbe fatto mai più. Aveva voluto imprimersi il suo corpo nella mente, così da poter ricordare perfettamente quelle sensazioni quando si sarebbe sentito solo. Aveva fatto di tutto per donarsi completamente anima e corpo. Per la prima volta in assoluto da quando aveva avevano iniziato la loro relazione, aveva sentito veramente di amarla in toto. Aveva capito che la sua infatuazione fisica era andata ben oltre. E si era maledetto per non averlo capito prima. E quindi aveva cercato di rimediare, anche solo per poter vivere di quel ricordo.
“Vado. Grazie di tutto, Jared e in bocca al lupo per il nuovo tour.”
“E tu fai la brava maestrina.” Lei sorrise e se ne andò. “Ah, Zoe...”
“Dimmi.”
“No, niente.” La vide prendere il taxi e deglutì. “Ti amo, Zoe.”
 
Zoe era scioccata.
Tutto si aspettava tranne una dichiarazione d’amore da parte di Jared.
“Wow, è fantastico!” sentì urlare da una ragazza. “Prof che invidia.”
“Pensi che adesso possiamo andare fuori a parlare. Va bene fare qualcosa di stravagante, ma stiamo iniziando a dare troppo spettacolo anche per una Divah come me.” Lei si limitò ad annuire e si lasciò portare nel grande giardino della scuola. Il sole era deliziosamente tiepido e gli uccellini che cantavano rendevano l’ambiente decisamente particolare.
“È un gran bel posto questo, sai? Capisco che ti piaccia insegnare qui. Come mai non parli? Mi fai paura.”
“Non so cosa dire.”
Jared perse il sorriso e la lasciò andare.
“Mi par di capire che non ho nessuna speranza con te.” Sospirò. “Va bene, ti lascio stare allora. Scusami, non volevo metterti a disagio.” Dannazione, pensò, non di nuovo! Non credeva sul serio di sentire di nuovo il suo cuore fare crack.
“No aspetta...io... oddio Jared è tutto così incredibile.”
“E la cosa è un bene o un male?”
“È stupendo, ma...”
“Ma cosa?”
Zoe era appoggiata al tronco dell’albero, con Jared che le si avvicinava lentamente. Da lontano sembravano la classica coppietta innamorata.
“Non cambia niente. Io lavoro qui, tu in giro per il mondo.”
“Dimmi solo una cosa e sii onesta come sempre. Mi ami?”
Zoe rimase spiazzata. Che domanda era? Bhe, lecita visto che lui stesso glielo aveva detto poco prima.
“Sì, certo.”
“E allora basta, tutto il resto viene dopo.”
“Credo che non ti sto capendo.” Jared sorrise.
“Ho letto Orgoglio e Pregiudizio sai? Hai ragione, non è male. E ho capito anche perchè Darcy ti piace. Lui aveva sempre pensato ai rapporti interpersonali in una determinata maniera, ma qundo ha conosciuto Elizabeth ha dovuto, pian piano, fare i conti con il suo cuore e ammettere di essere innamorato. E lo è così tanto che va contro a tutto, gli amici, i parenti, la classe sociale. Ebbene, a debita distanza, mi sento come lui.” Prese un respiro profondo. Zoe vedeva che era emozionato, gli occhi grigi erano limpidi e commossi. “Ti amo così tanto che sono disposto a fare di tutto per stare con te, perfino ad essere così terribilmente sdolcinato.”
“Jared... come? Cosa? Non...”
“Questo tuo delizioso balbettio mi fa capire che o sei troppo emozionata oppure sei rintronata.”
“Fai la seconda.”
“Lo immaginavo. Senti, forse è meglio se mi spiego. Tu hai il tuo lavoro ed ovvio che devi manterlo, come io continuerò a tenere il mio. Ma faremo in modo di trovarci e di portare avanti la nostra storia.”
“É impossibile e lo sai anche tu.”
“Cazzate, non è impossibile. Niente lo è se si lavora per far funzionare le cose. Ci sono un sacco di coppie che portano avanti storie a distanza soprattutto nel mondo della musica, eppure funzionano. Sei la seconda relazione seria che ho da quando ho cominciato a fare il cantante e posso dirti che durante la prima non ho mai tradito la mia compagna. E sono fermamente convinto a non tradirti mai. Semplicemente quando staremo assieme, recupereremo il tempo perso e ci divertiremo parecchio. Hai ancora qualche dubbio?”
Zoe lo guardò fissandolo a lungo. Non le stava mentendo, la volveva veramente come fidanzata seria, come compagna di vita.
“Non lo so.”
“Ah, ovviamente ti voglio a Londra altrimenti rischio di non avere il bassista per suonare. E ti riporterò in tempo per l’inizio della scuola a gennaio. Inoltre non dimenticarti che nel 2012 noi staremo fermi, quindi ti toccherà passare un sacco di tempo con me.”
Finalmente Zoe sorrise felice e gli si gettò addosso, quasi facendolo barcollare. Lo stinse a se con forza, lasciando andare un paio di lacrime di felicità, mentre lui le accarezzava i capelli e la sussurrava parole dolci.
“Ti amo da stare male. Sono stato male. Scusa se ci ho messo tutto questo tempo.”
“Chi se ne frega, l’importante è che adesso siamo qui. Ma sei sicuro che Maggie mi ha dato la giornata libera?”
“Certo, ti dico mai bugie?”
“A parte quando mi hai detto di essere stato sulla Luna?”
“A parte quello.”
“No, sei sempre sincero ai limiti del nervoso. Allora andiamo, non ho voglia di essere arrestata per atti osceni in luogo pubblico.”
Si avviarono verso la macchina mano nella mano, sempre scortati da una serie di sguardi sognanti che arrivavano dalle varie finestre.
“Lo sai vero che entro questa sera il mondo saprà che sei venuto qui a fare sta sceneggiata?”
“Certo e la cosa non mi interessa per nulla.”
 
 
 
*La TFD_Radio per l’esattezza u.u
**Non credo che vi serva sapere chi sia la Monica in questione.

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Capitolo 11
*** Epilogo ***




Ecco qui, è finita anche questo giro. 
Avrete notato che ho dipinto un Jared quantomeno diverso dai miei soliti, ma io credo che lui quando è innamorato si comporti esattamente così. Sono fermamente convinta che non tradirebbe mai l'amore della sua vita, così come sarebbe disposto a fare qualsiasi pazzia per lei. 
Non so se voi siete d'accordo con me. Voi che pensate?

Comunque grazie a tutte per aver letto e commentato questa storia. GraTzia!

Per leggere questo capitolo, consiglio di ascoltare questa canzone
http://www.youtube.com/watch?v=tuK6n2Lkza0
 
Lo spunto della scena mi è stato dato da valetrinity89, quindi la ringrazio!
 
EPILOGO
 
Jared fischiettava felice nel taxi che lo aveva caricato al LAX. Voleva solo tornare a casa in tranquillità. Le riprese erano andate così bene che avevano terminato con un paio di giorni in anticipo e quindi prima delle solite sedute stampa di routine poteva godersi un po’ casa sua e non solo. Guardò l’orologio: Zoe era di sicuro a casa da scuola, quindi le avrebbe fatto una sorpresa con i fiocchi, visto che non si aspettava che lui tornasse così presto da New York.
Pagò il tassista e si avviò verso casa sperando che il suo cane non lo sentisse prima della ragazza. Aprì la porta silenziosamente rimanendo bloccato quando sentì delle note familiari: “Are you gonna be my Girl” dei Jet era sparata a palla per tutto il soggiorno. Mollò la valigia all’entrata e cercò Zoe che non doveva essere distante.
Infatti ecco la: aveva i capelli lasciati liberi sulla schiena, i suoi occhiali da sole e una camicia a quadri di Jared chiusa solo da un bottone al livello del seno, dove spuntava un reggiseno nero di pizzo coordinato con un paio di culotte. Ai piedi un paio di fantasmini bianchi, ottimo per scivolare sul pavimento appena passato di cera, come poteva constatare Jared.
 
Big black boots,
long brown hair,
she's so sweet
with her get back stare.

E mentre cantava faceva ammiccamenti Sexy. A Jared veniva da ridere, ma  voleva rimanere invisibile il più possibile. Gli piaceva sapere cosa faceva Zoe quando lui non c’era.
 
Well I could see,
you home with me,
but you were with another man, yea!


Aveva in mano una spazzola che usava come microfono. Si scatenava saltando e scivolando per il pavimento del soggiorno. Jared seguiva il movimento delle sue curve ipnotizzato, tanto che decretò che la sorpresa l’aveva fatta lei a lui e non viceversa, anche se Zoe non sapeva che lui fosse li.

 
I know we,
ain't got much to say,
before I let you get away, yea!
I said, are you gonna be my girl?


In quel momento Zoe si girò verso di lui rimanendo a bocca aperta. Che ci faceva Jared a casa?

“Al massimo sono il tuo ragazzo.”
“Questo lo so anche io, a meno che tu non abbia fatto un viaggetto in qualche ospedale per cambiare sesso. Cosa ci fai qui?”
“Uhm... ero convinto fosse ancora casa mia, ma forse ho sbagliato.”
Zoe arrivò da lui praticamente pattinando e lo baciò sulle labbra dolcemente.
“Avessi saputo che arrivavi oggi ti venivo a prendere no?”
“E perdermi la scena di te che giri per casa mezza nuda? Giammai! E per fortuna che Shannon non sta più qui, altrimenti sarei potuto diventare molto geloso.”
Dopo il concerto di Capodanno, Zoe e Jared avevano deciso di provare direttamente a convivere, anche grazie al fatto che stava per scadere il contratto d’affitto del vecchio appartamento di Zoe. Erano abbastanza sicuri che avrebbe funzionato la cosa, visto che avevano fatto abbondante pratica durante i vari tour e così era stato.
Shannon fin da subito si era spostato nella piccola depandance in giardino, usando la casa vera e proprio solo quando aveva bisogno di suonare. Alla fine, contro il parere degli altri due, si era preso una casa sulla spiaggia, in modo da poter rubare i tramonti* con tutta calma e quindi la mars house era diventata il loro personale nido d’amore. A parte per il fatto che rimaneva comunque lo studio dei 30 Seconds To Mars. Per fortuna per loro in quegli ultimi dieci mesi, avevano suonato ben poco. Avrebbero ripreso in breve gli strumenti per tornare in tour, ma nel frattempo un po’ di calma per tutti ci stava. Soprattutto per Tomo che ormai era alquanto agitato per l’arrivo del primo pargolo Milicevic.
“Hai poco da essere geloso. Anche lui ormai tra un po’ sarà finalmente ingabbiato.”
Jared si sedette sul divano, facendo in modo che lei gli si poggiasse sopra e intanto di poter insinuare le mani sotto la sua camicia.
“Hai pettegolezzi per me?”
“Uhm... qualcosa. Ho parlato con Emma che è incredibilmente soddisfatta di essere riuscita a dargli un ultimatum. Spero per Shannon che lo sappia mantenere.”
“Del tipo?”
“O lei o le altre. Non può correre da Emma quando si sente solo per poi scopare a destra e a manca come se nulla fosse. Emma ha deciso, sta a Shannon capire quanto ci tiene a lei e siccome sono già due settimane almeno che lui si attiene alla regola, possiamo quasi definirci speranzose. E comunque so che tu sai già, quindi queste discussioni sono quantomeno inutili.”
Jared rise portandola direttamente su Marte. Le era mancato da morire in quel mese di lontananza. Non era semplice lasciarsi, ogni volta si ritrovava con un peso al cuore e qualche lacrima sul cuscino, ma non gli avrebbe mai chiesto di cambiare lavoro solo per non lasciarla. E comunque tra la scuola e gli amici, riusciva comunque a passare quei periodi in velocità.
La vera prova del nove sarebbe stato il tour: di certo lei sarebbe stata con loro nei vari mesi estivi, ma per il resto dell’anno avrebbero dovuto fare spola avanti ed indietro. Sarebbe stato da divertirsi, ma non importava, erano entrambi certi che ce l’avrebbero fatta a superare anche questa.
Quando avevano deciso di mettersi insieme avevano fatto una lunga chiacchierata, ovviamente dopo aver cercato di buttare giù i chili di troppo di Zoe, e avevano deciso che per portare avanti una storia seria, c’era bisogno di compromessi. Zoe lo avrebbe aspettato senza dover perdere il suo lavoro e lui, invece di stare in vacanza all’estero, sarebbe sempre tornato a casa. Era un dolce compromesso per Jared, anche se avrebbe preferito avere Zoe vicino a sè praticamente sempre, ma la prima cosa che aveva capito era che lei non avrebbe rinunciato alla sua vita e a quello che a lei piaceva, per lui. Anzi, probabilmente per nessuno. Se in un futuro Zoe avesse deciso di mollare l’insegnamento per seguirlo in giro per il mondo, allora lo avrebbe fatto solo per se stessa. E in fondo quello era uno dei tratti distintivi che l’aveva fatto innamorare di lei.
La strinse ancora di più tuffandosi nei suoi capelli per inspirare a fondo il profumo che gli era tanto mancato, mentre lei rideva per un principio di sollettico.
“Ehy, mister, la smetta di infilare quella mano dove non dovrebbe stare.”
“Prova a fermarmi se ci riesci.” Zoe si lasciò togliere la camicia, mentre la bocca di Jared le baciava le spalle e le mani scendevano verso il bordo delle culotte. “non ti lamenti più?”
“Uhm... no, mi piace troppo. Ti adoro quando mi tocchi così.”
“Lo so, per questo continuo a toccarti.”
Rimasero sul divano per delle ore, indecisi se continuare a rimanere li o spostarsi per stare più comodi a letto, fino a quando lo stomaco di Zoe non prese a brontolare.
“Ho fame Jay.”
“L’avevo notato. Ma non ho voglia di uscire, dato che sono appena tornato.”
“E io non ho voglia di cucinare, dato che sono bella comoda su di te.” Jared rise e si allungò fino a prendere il fedele BlackBerry che lampeggiava sul comodino. Lasciando perdere chiunque lo stesse cercando, chiamò la pizzeria ad asporto.
“Salve, vorremmo ordinare una pizza. Anzi, facciamo due. Una ai peperoni e una normale. Mezz’ora? Perfetto. In Mars Street 30**. Grazie a dopo.”
Zoe si strusciò ancora una volta su di lui, nuda e perfettamente appagata.
“Così mi salvi la vita.” Jared sorrise tra se.
“Sei tu che hai salvato la mia, Zoe.”
 
 
*Citazione presa da Closer to the Edge ovviamente
**Non serve che spiego, vero?


FINE

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