Stella del Sud di Halley Silver Comet (/viewuser.php?uid=90221)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Prima - Atto Primo ***
Capitolo 2: *** Parte Prima - Atto Secondo ***
Capitolo 3: *** Parte Seconda - Atto Terzo ***
Capitolo 4: *** Parte Seconda - Atto Quarto ***
Capitolo 1 *** Parte Prima - Atto Primo ***
Stella del Sud - Atto I
Parte
Prima - Atto Primo
“Tanto
gentil e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.”
Dante Alighieri, Vita Nova, Cap.
XXVI, vv. 1-4
Se
avessimo l’occasione di osservare il porto di Alessandria
d’Egitto dall’alto del suo antico e ormai scomparso
faro,
questo luogo così intriso di storia e di storie ci
apparirebbe
in tutta la sua magnificenza, giacché fin dai tempi
più
remoti è sempre stato un crocevia di scambi d’ogni
genere:
gente che viene, gente
che va.
E proprio a questo pensava Yussef, mentre tirava le magre reti in
barca, adocchiando un’imponente nave da crociera impegnata
nelle
manovre di attracco.
“Turisti, turisti, sempre e solo irrispettosi
turisti!”
borbottò fra sé e sé l’uomo.
“Vengono,
fanno i loro comodi e se ne vanno. Si chiedessero, piuttosto, se i loro
comportamenti possono essere considerati lontanamente civili!”
L’uomo era un anziano pescatore egiziano dalla bianca barba
incolta e con la pelle scura, nella cui famiglia, l’atavico
mestiere era stato tramandato di generazione in generazione, essendo
stato sempre ritenuto un lavoro bastevole a condurre una vita
dignitosa. Tuttavia, negli ultimi tempi, le cose erano cambiate: non
c’era più la sicurezza di una volta e doveva
vendere il
pesce a poco prezzo, ma comprare a tanto i beni di prima
necessità.
Sospirò, constatando lo scarso risultato di
un’intera
notte di pesca, dopo di che si preparò per tornare indietro.
Mentre la riva si faceva sempre più vicina, le sue
preoccupazioni erano tutte rivolte a come piazzare bene quel poco che
era riuscito a pescare, consapevole di quanto potesse essere spietata e
sleale la concorrenza al mercato del pesce di Alessandria.
Quando finalmente la barchetta toccò terra, Yussef
cominciò a scaricare le cassette con metodo e precisione.
All’improvviso, però, una fiumana di gente si
riversò sulla banchina del porto: la nave da crociera doveva
aver dalle autorità locali il permesso per procedere con lo
sbarco, così che i passeggeri potessero trarre diletto dalla
tappa egizia; nel frattempo, il pescatore era giunto alla quarta
cassetta, ancor più vuota delle altre, sul fondo della quale
erano adagiate alcune orate, dalle dimensioni alquanto ridotte. Yussef
si fermò a fissarle, grattandosi una guancia.
“Se oggi voglio mangiare, dovrò fare i salti
mortali” pensò, amareggiato.
Intanto, la maggior parte dei crocieristi era già scesa a
terra
e stava passando il controllo del personale del terminal portuale
così, poco dopo, la massa cominciò a dileguarsi e
rimasero solo i passeggeri provenienti dalle cabine ubicate sui ponti
più elevati, di norma ricconi o importanti
celebrità.
Solitamente, l’uomo non prestava attenzione a quel genere di
persone, perché aveva ben altro da fare, ma, quella mattina,
ci
fu qualcosa che lo distrasse dai suoi conti abitudinali, quando, sotto
i suoi occhi, si trovò a passare un gruppo molto
particolare,
formato da quattro ragazzi e tre ragazze. Ciò che
colpì
principalmente l’anziano pescatore, però fu la
straordinaria eterogeneità dei tratti somatici che
connotavano i
componenti della comitiva: lineamenti belli e fini, ma comunque diversi
tra loro.
In testa al gruppo, infatti, avanzava, compostamente, un ragazzo
dall’aria austera e impassibile e, in virtù di
ciò,
Yussef avrebbe scommesso con una certa sicurezza che fosse tedesco,
avendo una certa esperienza con le fisionomie, anche le più
improbabili, poiché, per via del suo lavoro, aveva visto
transitare tanta gente proveniente dai più disparati paesi
del
mondo. Al braccio del turista, era appoggiata una bellissima fanciulla,
dai capelli di un biondo così tenue da sembrare di platino,
mentre gli occhi erano azzurro chiaro e la pelle bianca come il latte,
indizi che portarono l’uomo ad immaginare che la giovane
fosse di
provenienza scandinava. L’espressione di sofferenza che aveva
sul
volto, inoltre, lasciava intendere che fosse piuttosto spossata.
Dietro la prima, procedevano affiancate altre due coppie, la prima
delle quali era formata da un ragazzo dall’espressione
annoiata,
i capelli tendenti al mogano alzati con il gel, e da una ragazza tanto
graziosa quanto crucciata, una mora dal caschetto perfettamente
pettinato; gli abiti di entrambi dovevano essere molto costosi, ma, nel
complesso, risultavano terribilmente anonimi.
“Britannici” azzardò Yussef.
La seconda coppia, invece, era composta da un giovane estremamente
raffinato dal portamento elegante e la chioma verde sottobosco,
abbracciato ad una fanciulla minuta, riccia e biondina, intenta a
sventagliarsi in maniera compulsiva lamentandosi per il troppo caldo
nonostante fosse settembre inoltrato. Chiudeva la fila un ragazzo,
anche lui con i capelli dello stesso biondo della fanciulla che lo
precedeva, che camminava con le braccia incrociate dietro la nuca,
esibendo un sorriso sornione.
“Ed ecco gli ultimi tre. Quei due, nonostante siano biondi,
hanno
un’aria talmente strafottente che potrebbero essere italiani,
mentre il terzo sembra così altezzoso che non potrebbe
essere
altro che... un francese!” concluse trionfante
l’uomo.
Mentre ragionava in questi termini, intanto, la comitiva aveva
proseguito indisturbata verso il terminal, sparendo presto dalla vista
del pescatore, che, qualche istante dopo, si terse la fronte, madida di
sudore, per poi tornare al suo lavoro, scuotendo la testa.
“Turisti”.
«Mi raccomando: non perdete i biglietti del traghetto per
Patrasso. Jetzt1
preparate i passaporti, cerchiamo di velocizzare i
tempi!»
A quanto pareva, anche se in vacanza, Ralf Jurgens non poteva fare a
meno di atteggiarsi a caposquadra, scandendo i ritmi di tutti gli altri
ragazzi del gruppo, ma, considerando che la sua ragazza era stata
provata, da una notte passata su un Egeo forza sei2,
era ben
comprensibile che avesse tanta fretta.
«Sono a pezzi. Ralf, mi sento così
debole…»
sussurrò proprio in quel momento la biondissima fanciulla,
appoggiandosi al braccio del proprio cavaliere.
«Forza, Christine, vedrai che tra poco potrai
riposarti» la tranquillizzò subito lui,
tirandosela vicino.
«Io ho un mal di testa terribile. Ho bisogno di una farmacia
e di
un’aspirina. Immediatamente! Andrew, verrai anche tu con me,
vero?» avanzò, invece, la ragazza col caschetto,
lanciando
un’occhiata eloquente al giovane scozzese.
«Se non lo facessi, Mary Anne, saresti capace di citarmi in
giudizio per omissione di soccorso!» replicò
costui,
schietto e disinvolto.
«Cosa?! Vuoi dire che mi lasceresti andare da sola, in giro
per
Alessandria? Hai una vaga idea di quanto sia lontano da qui il
centro?» esclamò Mary Anne, sbarrando gli occhi.
«Dai, dai! Stavo scherzando, lo sai che non lo farei mai. Ci
caschi sempre, è uno spasso prenderti in giro!»
«E poi dite che siamo noi inglesi, ad avere un senso
dell’humor opinabile!» affermò la
giovane,
socchiudendo appena gli occhi e scrutando torva il fidanzato.
«Noi, invece, potremmo andare a fare un giro per negozi,
perché ho bisogno di sentire la terra ferma sotto i piedi,
senza
però morire a causa di questo caldo soffocante…
Che cosa
ne dici, Olivier?» chiese la minuta ragazza bionda,
continuando a
farsi aria con il suo enorme ventaglio di pizzo sangallo.
«Mais
certainement, ma
petite fleur! Siamo qui in vacanza,
perciò faremo tutto quello che vorrai»
replicò
dolcemente il francese.
«Appunto, voi fate quello che volete» intervenne,
invece,
Gianni, ravviandosi la frangia con un gesto studiato e seducente,
«io so perfettamente come impiegherò il mio
tempo».
Gli altri sei si voltarono verso di lui e nella hall del Mediterrean
Plaza calò il silenzio.
«Facci indovinare, continuerai a dedicarti al tuo sport
preferito?» chiese retoricamente la compagna di Olivier,
mentre
Mary Anne alzava gli occhi al cielo e Ralf sospirava rassegnato.
«Ah, già! La caccia alle... alle... come dite voi,
in
Italia?» si intromise immediatamente Andrew, facendo
schioccare
ripetutamente le dita per cercare di ricordare il termine esatto.
«Pollastre,
impara caro mio, pollastre»
lo
aiutò il
giovane italiano, sorridendo maliziosamente. «E tu, Claudia,
mia
adorata cugina, potresti spiegarmi perché con Olivier sei
tutta
sorrisi e moine, mentre con me sei sempre così
scortese?»
aggiunse, recitando la parte della vittima di turno.
«Bah, perché te lo meriti, forse? Come se non
sapessi che
hai dato già abbastanza spettacolo, sulla
nave…»
sbuffò lei.
«Ognuno è libero di fare quello che
vuole» mise
ordine Ralf, notando che la sua Christine sembrava sempre
più
pallida. Per fortuna, proprio in quel momento, si fece vivo il
concierge che sviò immediatamente l’attenzione dei
ragazzi
sulle pratiche di registrazione del loro arrivo.
«Perfetto, signori. Qui ho quattro prenotazioni effettuate a
nome
di Jurgens, McGregor, Boulanger e Tornatore, corretto?»
«Ja,
è così» rispose per
tutti Ralf.
«Bene, se mi faceste la cortesia di consegnarmi i vostri
passaporti, potrei sbrigare le incombenze d’ufficio senza che
voi
collaboriate ulteriormente. Immagino che sarete molto
stanchi».
Era un bel ragazzo alto, dalla pelle abbronzata e i capelli neri, che
aveva subito notato l’espressione sofferente di Christine e
deciso di andare incontro alle esigenze degli ospiti.
«Dankeschön»
lo ringraziò il
tedesco, riconoscente.
«Dovere. Potrete ritirare i vostri documenti tra qualche ora.
Intanto, il nostro personale porterà i vostri bagagli negli
appartamenti a voi riservati, mentre le chiavi sono queste»
spiegò, mostrando quattro carte magnetiche. «Per
il
momento è tutto, vi auguro buona permanenza ad
Alessandria!» concluse, con un sorriso cordiale e
professionale.
«Molto bene. Da questa parte, Christine. Ragazzi, noi vi
auguriamo buon proseguimento, ci vedremo questa sera!» fece,
allora, Ralf, spingendo la sua ragazza verso uno degli ascensori.
«Darling,
andiamo anche noi!» esclamò
subito dopo
Mary Anne, trascinandosi dietro il fidanzato e impedendogli qualsiasi
tentativo di opposizione.
Così, nella hall rimasero solo Olivier, Claudia e Gianni,
ma,
prima che chiunque di loro potesse aggiungere o fare qualcosa,
passarono davanti a loro due ragazze dalla pelle ambrata, con indosso
una divisa bianca e dal design lineare. Si stavano dirigendo verso la
zona fitness
& wellness,
chiacchierando allegramente tra di
loro,
in arabo e una testa bionda si voltò immediatamente al loro
passaggio, seguendole finché scomparvero dietro una pesante
porta di vetro satinato.
«Uhm… Direi massaggiatrici»
valutò, con interesse.
Nel sentirlo, la ragazza assunse un’espressione profondamente
disgustata e solo la presenza, accanto a lei, di Olivier - il quale,
per giunta, le stringeva una mano - evitò che tirasse
qualche
manrovescio all’inquieto cugino.
«Mi chiedo perché la zia abbia sempre vietato allo
zio di
corcarti a dovere. Forse, non saresti venuto così
venale…» commentò, inviperita.
«Il dialetto non si addice ad una madamigella di classe come
te» la prese in giro l’altro, sghignazzando.
«Sai, ti
preferisco quando fai la svenevole in francese con il tuo
fiancé».
«Che razza di idiota! Io ti…»
iniziò lei, sbraitando, con il viso contratto dalla rabbia.
A quel punto, solo l’arrivo provvidenziale
dell’ascensore e la calma di Olivier salvarono il collo a
Gianni.
«Vieni, ma
petite fleur, ricordati che abbiamo tante cose da
fare» l’addolcì il fidanzato.
Il parigino, allora, lasciò il passo a Claudia, che
avanzò tutta impettita, sempre con il ventaglio in mano;
quindi,
si apprestò a salire a sua volta, lanciando prima
un’occhiata indecifrabile al suo amico.
«Mon Dieu»
sussurrò sconsolato, mentre
le porte della cabina si richiudevano.
«Ah, ah! Libero!» gioì Gianni,
fregandosi le mani,
compiaciuto. «Ed ora, signori, dichiaro aperta la stagione di
caccia!»
Il concierge, trovandosi a pochi passi di distanza a svolgere il suo
lavoro, sentì tutto e alzò lo sguardo per
spostarlo sul
giovane, aggrottando la fronte. Infine, scrollò le spalle e
sbuffò: «Turisti».
***
Posso consigliarvi un ottimo vino da abbinare alle portate di pesce che
avete ordinato?» chiese garbatamente un cameriere,
apprestandosi
al tavolo dei Majestics e delle rispettive fidanzate.
«Potrebbe
andare bene uno Chardonnay,
con la sua acidità elevata,
nonostante sia delicato e fruttato».
I sette ragazzi gli puntarono addosso occhiate dubbiose, scrutandolo
con aria di sufficienza e l’espressione sul viso del giovane
si
congelò, finché non si sollevò una
risata
cristallina.
«Non avrebbe potuto fare scelta più sbagliata! Un
gusto
delicato come lo Chardonnay
si sposa bene con piatti consistenti e dal
sapore particolare, come il roast-beef.
Per l’astice, invece,
ci
vuole un vino fermo, leggero, ma sapido, che possa esaltare il gusto
intenso del crostaceo. Avete una bottiglia di Vermentino di Gallura,
per caso?» spiegò Claudia con pedanteria: il
fresco della
sera e il pomeriggio di shopping avevano davvero fatto miracoli,
rimettendola in sesto e permettendole di tirare fuori il suo
atteggiamento più superbo.
Il cameriere, rimasto non poco attonito dalla precisione della sua
argomentazione, guardò stranito la giovane, increspando le
labbra.
«Vado… vado a vedere se ne trovo una»
borbottò, contrariato, allontanandosi in tutta fretta.
«Mia cara Claudia, anche quando sei lontana dal lavoro, non
riesci proprio a fare a meno di essere professionale, vero?»
commentò Christine, anche lei ormai ripresasi quasi del
tutto,
sorridendo alla bionda italiana.
«Un sommelier resta sempre un sommelier» rispose
lapidaria la diretta interessata.
«E tu sei uno dei migliori» disse Olivier,
prendendo una
mano della sua fidanzata per sfiorarla delicatamente con le labbra.
“Un cuoco e un sommelier: che accoppiata vincente.
Soprattutto,
quando c’è da mettere in difficoltà
qualcuno!” pensò Gianni, abbandonandosi contro lo
schienale della sua sedia e poggiando il polso sinistro sul bordo del
tavolo.
«Io, invece, di vino non capisco assolutamente nulla. Per me,
uno
vale l’altro, perché penso che sia una bevanda
assolutamente inutile!» si intromise Mary Anne, facendo
capire
che teneva ad informare gli altri del suo punto di vista.
«Non dire eresie! Solo perché sei astemia, non
significa
che si debba bandire l’alcol dalla faccia della
Terra!»
replicò immediatamente Andrew che, da bravo scozzese, era un
intenditore di alcolici e affini.
«Ah, be’, bandire magari no, ma si potrebbero
operare
più controlli sulla distribuzione pubblica. Io sono
dell’idea che ci vorrebbero leggi più severe, per
chi
viene fermato alla guida in stato di ebbrezza, per esempio»
obiettò animatamente la fanciulla, arrivando così
a
toccare uno degli argomenti che le stavano più a cuore.
«Prima che partissimo, ho assistito ad un processo
abominevole:
l’avvocato Crimson è riuscito a far assolvere un
ubriacone
che aveva investito ben tre persone, uccidendole sul colpo. Non lo
trovate assurdo?» chiese.
Gianni si soffermò a scrutare Mary Anne: aveva un carattere
decisamente troppo ribelle e giustiziero per i suoi gusti. Non che la
sua causa fosse sbagliata, erano i suoi modi di portarla avanti che non
lo convincevano. D’altra parte, sapeva bene di non
condividere le
preferenze di Andrew in alcun campo. Infatti, non avrebbe mai potuto
pensare nemmeno lontanamente di fidanzarsi con un avvocato, specie se
con la stessa loquacità della ragazza. Ciononostante, doveva
ammettere che lei era l’unica persona, ad eccezione di sir
George
McGregor, in grado di tenere testa a quell’arrogante dalla
lingua
lunga.
«Nel Regno Unito succedono queste cose? Da noi, in Svezia,
sarebbero inammissibili! Anche in Germania i tribunali sono
più
severi, vero, caro?» si scandalizzò Christine,
cercando il
supporto del suo Ralf.
«Ja,
assolutamente, ma non credo che dipenda dalla
legislatura
del paese: conosco Crimson e non perde mai un processo, è
come
der Teufels Advokaten3».
Il biondo italiano, allora, fece convergere la propria attenzione su
Christine, in costante adorazione del suo fidanzato. Che ragazza
esageratamente remissiva! Era davvero da far venire il latte alle
ginocchia, ma, a quanto pareva, Ralf-tutto-d’un-pezzo
l’adorava e, forse, proprio per questo motivo.
Annoiato dai discorsi che stavano intrattenendo i suoi commensali, a
quel punto, Gianni spaziò la vista sul resto della sala
ristorante, notando quanto le luci soffuse e la vetrata panoramica sul
porto e sulla città lontana dessero a
quell’ambiente un
tocco di classe. L’arredamento, come aveva detto
l’esperta
svedese, proprietaria di un negozio di antiquariato, era certamente
ispirato a quello del periodo della tredicesima dinastia.
In realtà, quella sera, la comitiva avrebbe dovuto cenare in
un
lussuoso locale del centro di Alessandria, ma, data
l’indisposizione di Christine, nessuno aveva obiettato quando
Ralf aveva proposto di non allontanarsi.
Per passare il tempo, l’instancabile casanova
passò in
rassegna ad uno ad uno, tutti i tavoli della sala: vi era seduta ogni
sorta di bellezza e le rappresentanti più fascinose di ogni
angolo del pianeta sembravano essersi radunate lì, anche se
non
avevano nulla a che fare con quelle due deliziose ragazze, Bahira e
Ghada, che aveva conosciuto nel pomeriggio.
“Davvero due magnifici esemplari del gentil sesso!”
pensò il biondo, riportando alla mente i ricordi del
piacevole
incontro pomeridiano, in cui Gianni si era divertito a fare, come suo
solito, il gallo nel pollaio.
«Ho trovato quello che mi aveva chiesto, miss»
annunciò in quel momento il cameriere di prima, soddisfatto,
troncando l’illuminante discorso che aveva intavolato Mary
Anne,
riguardo la giustizia in Gran Bretagna e nel resto d’Europa.
«Molto bene!» approvò Claudia.
«Ah, ed ecco anche il nostro astice in salsa verde!»
La maggior parte del personale di sala, infatti, si stava affannando
intorno al loro tavolo, affinché i sette ragazzi fossero
serviti
a puntino, dal momento che tutti erano stati informati di chi fossero i
Majestics e sembravano impegni ad adoperarsi affinché
l’errore del povero sventurato fosse dimenticato quanto prima.
Gianni, intanto, stava seriamente valutando
l’eventualità
di tagliare la corda, non appena fosse finita la cena,
poiché
sarebbe stato molto, molto, più allettante concluderla con
un
dessert servito nella zona termale, anziché con
un’altra
arringa di Mary Anne.
Eppure, le cose non andarono come programmato. Infatti, proprio mentre
il giovane si pregustava il suo dopocena, attraverso lo folla del
personale in movimento, cominciò ad intravedere il preludio
di
ciò che lo avrebbe segnato da quel momento in poi:
un
ragazzino, il quale non doveva aver superato i dieci anni, era in piedi
all’ingresso della sala, da solo e si guardava intorno, come
se
stesse cercando qualcuno. Non trovandolo, arrivò perfino a
muovere qualche passo, ma fu prontamente riacciuffato da un giovane che
Gianni riconobbe essere il concierge.
Il ragazzo si era messo appena il bambino in spalla, dicendogli
qualcosa concitatamente, quando sopraggiunse una terza persona: una
giovane dalla carnagione scura e dai lunghi capelli corvini, lisci e
fluenti, che somigliava molto al bambino. Quello, allora, le rivolse
qualche parola, mentre lei si preparava a ricevere il piccolo tra le
proprie braccia: alla fine, lo scambio avvenne e il giovane
scarmigliò affettuosamente i capelli del bimbo, dando prima
un
bacio sulla fronte di quest’ultimo e poi sulla guancia della
ragazza. A quel punto, lei sorrise, stringendo a sè il
piccolino, e si allontanò dalla sala, quasi fluttuando,
mentre
il concierge, dopo aver lanciato un’occhiata circospetta
all’interno, come ad assicurarsi che fosse tutto a posto, si
dileguò a sua volta, imboccando la direzione opposta a
quella
degli altri due.
L’intera scena si era svolta in una manciata di secondi
appena,
ma questi erano bastati a turbare il biondo nel più profondo
del
suo animo. Possibile che quella ragazza, così giovane, fosse
già sposata e avesse un figlio? E che il concierge,
più o
meno della sua stessa età, fosse un responsabile padre di
famiglia, mentre a lui, Gianni Tornatore, interessava solo il puro
divertimento? Eppure, a pensarci bene, era davvero così
strano?
La risposta era sotto i suoi occhi: per quanto le scelte compiute
fossero o no discutibili, tutti i suoi amici avevano trovato le donne
della loro vita e, per giunta, con il benestare delle rispettive
famiglie.
Leopold Jurgens, infatti, aveva annunciato, da gran tempo, il
matrimonio del figlio con la bella Christine. Galeotte erano state le
antichità dell’arcaico maniero, che presieduto il
fatidico
incontro tra i due giovani. L’antiquaria svedese, che
stravedeva
per Ralf e per i cimeli custoditi nel castello di famiglia, era
così riuscita a conquistarsi la fiducia del severo junker4.
Louis Boulanger, invece, aveva manifestato grande commozione, quando il
suo unico erede gli aveva riferito di essersi fidanzato con la figlia
di un’esponente della buona borghesia romana, per di
più
cugina di uno dei suoi compagni di squadra. L’honneur e il
patrimoine
sarebbero stati salvi e tutta Parigi avrebbe salutato la
futura sposa di Olivier, lanciando petali di rosa dalle rive della
Senna.
Infine, per quanto riguardava sir George McGregor, tradizionalista e
conservatore, tutto porridge, tè delle cinque,
Dio-salvi-la-Regina-Amen, il fatto che anche i reali del Regno Unito
avessero consentito il matrimonio tra il principe ereditario e una non
nobile, lo aveva portato ad accettare di buon grado la relazione tra
Andrew e Mary Anne. D’altra parte, il vecchio barone era
anche
convinto che fossero doti come il carattere e l’intelligenza
a
contare veramente, due qualità che il giovane avvocato aveva
dimostrato di avere a iosa.
E poi, c’era Marcello Tornatore, il quale non poteva certo
reputarsi fortunato come gli altri signori, avendo ormai rinunciato a
sperare che il proprio figlio potesse mettere giudizio.
Bruscamente, il biondo scosse la testa e scacciò quei
pensieri, tornando a concentrarsi sul suo astice.
«Allora, Gianni, facci fare quattro risate e raccontaci delle
tue
conquiste pomeridiane!» lo incitò proprio in quel
momento
Andrew, interrompendo il silenzio dovuto alla masticazione.
Al giovane, andò di traverso il boccone al punto che fu
costretto a sputarlo nel tovagliolo per evitare che gli rimanesse in
gola.
Maledetto McGregor, incapace di farsi gli affaracci suoi, sempre e
comunque! Pensasse piuttosto a come la sua ragazza lo teneva a bada,
anche durante il semplice acquisto di un’aspirina!
«Non ho niente di particolare da dire» rispose
laconico il ragazzo.
«Ma come!» esclamò sorpresa Claudia,
mentre un lampo
di cattiveria le passava nelle iridi scure. «Di solito, ti
vanti
fino alla nausea dei tuoi trofei! Non hai rimediato nulla, per
caso?»
L’altro inarcò appena un sopracciglio, serrando le
labbra fino a farle sbiancare.
«Forse le ragazze di qui sono più intelligenti e
non
cadono ai piedi del primo che capita» incalzò
Andrew,
beccandosi una gomitata nello stomaco da parte di Mary Anne.
«Cosa c’è, caro? Qualcosa non
va?» fu, invece, la premurosa domanda di Christine.
Gianni, però, non rispose, disturbato da quei commenti,
sopraggiunti proprio nel momento in cui la sua coscienza, che negli
anni aveva imparato così bene a mettere a tacere, era
riuscita a
trovare uno spiraglio per farsi sentire. Allora, senza preavviso si
alzò e, borbottando uno “Scusate, non ho
più
appetito, continuate pure senza di me”,
lasciò la
sala a
grandi falcate.
Claudia posò la forchetta e lanciò
un’occhiata
gelida verso il punto in cui era sparito il cugino, poi,
però,
si ricompose e disse, con enfasi: «Oh, spero di non averlo
offeso. Tra di noi c’è sempre stata una grande
confidenza,
siamo praticamente fratelli e non mi sono mai privata di fare
apprezzamenti sulla sua condotta. Mi ha sempre risposto con una qualche
battuta, perciò non pensavo potesse prendersela»
spiegò, mettendo una mano sotto al mento e poggiando appena
l’avambraccio contro il bordo del tavolo.
Subito, Olivier le accarezzò una guancia.
«Stai tranquilla, sono certo che c’è
sotto qualcosa
di più, perciò vado io a parlargli» la
rassicurò immediatamente il giovane francese.
La bionda volse lo sguardo in direzione del fidanzato e gli sorrise,
condiscendente. Il parigino ricambiò il sorriso, dandole un
piccolo bacio sulla guancia per confortarla. Poi, in seguito, si
alzò a sua volta e scambiò uno sguardo di intesa
con
Ralf, il quale annuì.
«Con permesso».
Tuttavia, Mary Anne non lasciò passare inosservato
l’accaduto e si affrettò a rimproverare Andrew.
«Certe volte hai proprio la sensibilità di un
haggin5!»
Lo scozzese, irritato dal rimprovero, si limitò bofonchiare
“Non sapevo
che fosse diventato così
permaloso”.
«Non era il solito Gianni, vero caro?»
domandò, allora, Christine, pacata.
Ralf poggiò la mano sinistra su quella destra della ragazza
e,
senza la benché minima ombra di turbamento, le disse:
«Vedrai che Olivier riuscirà a capire cosa
c’è che non va».
Gianni era riuscito a raggiungere il giardino dell’albergo in
un
batter d’occhio, scendendo gli scalini due a due, avvertendo
nel
suo animo il fortissimo impulso ad allontanarsi subito da quella sala.
Il vialetto che portava all’ingresso era deserto:
evidentemente,
tutti gli ospiti dovevano avere di meglio da fare che sostare in mezzo
alle piante grasse che ornavano le aiuole lì vicino.
Giunto a circa metà della stradina, però, si
fermò
bruscamente, piantò le mani sui fianchi, e
riversò il
capo all’indietro, sbuffando sonoramente.
«Non avrei potuto scegliere momento migliore, per perdermi
nei
miei dubbi esistenziali» commentò, sarcastico,
chiudendo
gli occhi.
Il bilancio della sua vita, infatti, gli si era brutalmente presentato
davanti, manifestandosi come una carrellata di immagini terribili a
partire dalla scena alla quale aveva assistito quando la ragazza aveva
preso in braccio il bambino.
Incredibile come un semplice gesto avesse avuto il potere di riportare
a galla il senso di inadeguatezza che avvertiva latente da tempo,
costringendolo a guardare in faccia la realtà: stava
sciupando
la sua esistenza, vivendo alla giornata, alle spalle dei suoi genitori,
senza fare alcunché per migliorare la situazione.
Perché,
non poteva essere come Ralf, Andrew oppure Olivier? Perché
suo
padre doveva sempre avere un valido pretesto per urlargli contro volta
che lo aveva sotto tiro?
Rimise dritta la testa e frugò nelle tasche, alla ricerca
del
pacchetto di sigarette, poi, una volta trovato, lo aprì e
scelse
uno dei tanti bastoncini di nicotina e tabacco contenuti
all’interno: aveva perso il conto di quante volte, si era
sentito
dire da Massimo quanto fosse “utile” fumare.
Ma a chi? A cosa?
“Lo fanno
tutti! Aiuta a rilassarsi”.
Tutti. La stessa cosa che dire nessuno.
Gianni, infatti, aveva sempre vissuto, ovattato nel suo bel mondo fatto
di agiatezze e ricchezze, all’insegna della consuetudine: si
dice
e si fa. Quando, invece, sarebbe arrivato il momento dell’io
dico
e io faccio?
Immerso nei propri pensieri, accese la sigaretta e aspirò
una
profonda boccata di fumo, sapendo perfettamente che si sarebbe limitato
a guardarla consumarsi da sola, bruciando lentamente, -
perché,
a dirla tutta, fumare non gli piaceva affatto -, esattamente come stava
facendo con la sua vita.
Subito, un sottile sbuffo grigio cominciò ad espandersi
nell’aria, senza svanire nell’immediato: era una
serata
tranquilla e non soffiava un alito di vento; così, il
ragazzo si
soffermò ad osservare la strana forma che stava assumendo la
coltre fumosa, simile a un drago…
Da piccolo, amava riconoscere le figure nelle nuvole, un gioco che
faceva sempre con il suo adorato nonno Giancarlo. Durante
l’estate, infatti, dopo pranzo, l’anziano uomo si
sedeva
con lui sotto i grandi pini del parco di Villa Aurelia, assaporando la
piacevole frescura generosamente offerta dalle maestose conifere,
mentre, tra le loro chiome, si intravedevano scorci di cielo azzurro e,
talvolta, anche qualche graziosa nuvoletta.
«Quella cosa ti sembra, Giannino?» chiedeva allora
l’uomo, sorridendo dolcemente.
«Quella? Assomiglia ad un grande mostro, come quello della
storia
che mi hai raccontato ieri sera!» rispondeva prontamente il
bambino, alzandosi in piedi e spalancando le braccia, per mimare le
dimensioni del malvagio essere immaginario.
«E questo mostro lo vogliamo lasciare libero?»
«No, dobbiamo sconfiggerlo! Dai, nonno, noi siamo gli eroi e
dobbiamo sconfiggere i cattivi!».
E così, iniziava puntualmente la fantasiosa lotta contro le
forze del male, un magnifico espediente che aveva il potere di
annullare la differenza di età che c’era tra i
due,
perché il nonno diventava un perfetto compagno di giochi, il
più fidato e il più affettuoso.
Quando si è nell’infanzia, però, si
pensa che le
cose belle non avranno mai fine e si vive alimentati da quelle fallaci
certezze, ma, prima o poi, anche le favole più sublimi (si
scontrano con la dura realtà, come imparò a sue
spese il
piccolo Giannino qualche tempo dopo.
Al bimbo, infatti, quell’estate sembrò subito
strana,
perché il nonno non usciva mai dalla sua stanza e i suoi
genitori gli avevano tassativamente vietato di disturbarlo, mentre la
nonna non faceva che piangere. E poi perché zio Tiberio
aveva
deciso di rimanere a Roma, invece di passare, come sempre, e i tre mesi
estivi in qualche isola della Polinesia? Che strazio, aveva pensato,
avrebbe dovuto anche sopportare quella rompiscatole di Claudia, notte e
giorno! Come gli mancavano, invece, le avventure che viveva con il
nonno…
Poi, una sera particolarmente agitata, Giannino, disubbidendo, era
riuscito a sgattaiolare nella stanza del signor Giancarlo, senza che
nessuno, compresa sua cugina, se ne accorgesse, e, una volta entrato,
aveva trovato l’uomo disteso sul letto, sostenuto da
un’altissima pila di cuscini, bianco come un cencio lavato e
con
le palpebre chiuse. Attento a non fare rumore, il bambino, allora,
aveva spinto uno sgabello imbottito accanto al capezzale e vi si era
arrampicato sopra. Ma, nel momento in cui aveva avvertito la sua
presenza, l’anziano signore aveva schiuso lentamente le
palpebre,
sorridendogli.
«Come stai, nonno?» gli aveva chiesto subito il
fanciullino, guardandolo con i suoi grandi occhi blu.
«Un po’ così. Questo stomaco non mi
dà pace, ma, che vuoi farci, ormai sono vecchio».
«Tu non sei vecchio, nonno!» aveva protestato il
nipotino,
per cui il compagno di giochi era poco più che un coetaneo.
«Lo sono, lo sono… Senti, Giannino, me la fai una
promessa?»
«Che cosa?»
«Mi prometti che continuerai a dare filo da torcere ai mostri
cattivi, anche quando non potrò più starti
vicino, nelle
tue imprese?»
«Certo, nonno. Ma perché non dovresti starmi
più vicino?» aveva domandato il biondino,
accigliato.
«Perché sarò, diciamo così,
impegnato da
un’altra parte. Mi raccomando, però, lascia che ti
aiuti
lo spirito del beyblade che ti ho regalato. Lo hai sempre con te,
vero?»
Giannino, allora, aveva preso Anfisbena dalla tasca e l’aveva
mostrato all’uomo, raggiante.
«Eccolo!» esclamò.
«Sei proprio un bravo bambino... Tratta bene lo spirito e
vedrai
che ti proteggerà!» aveva poi aggiunto
l’uomo,
flebilmente.
«Ma non posso venire con te, nonno? Ti
prego…»
«No, no. Meglio di no. Il tuo posto è qui.
Inoltre, se
saremo divisi, potremo sconfiggere più mostri,
giusto?»
«Ah, è vero! Non ci avevo pensato! Ma li
sconfiggeremo proprio tutti, tutti?»
«Tutti, tutti» aveva confermato il signor
Giancarlo, dando
un colpetto affettuoso sul nasino del nipote. «Ora,
però,
vai, bello di nonno, sono... stanco. Ho bisogno di riposare»
si
sforzò di concludere l’uomo, dando i primi segni
di
affanno.
Il bimbetto, a quel punto, era sceso dallo sgabello, di nuovo attento a
non fare rumore.
«Ah, Giannino?»
«Sì?»
«Di’ a Claudia, che voglio molto bene anche a lei e
cerca
di stare accanto a papà, quando sarò lontano,
d’accordo? Dovrai essere forte, anche per Marcello».
Ormai, la voce del nonno era ridotta ad un mero, impercettibile
sussurro.
«Io sono forte!» aveva replicato immediatamente il
bambino,
piegando un braccio per mettere in mostra i muscoli. «Ma
perché, non li saluterai tu?»
«Magari dopo... Comunque, ricordatene lo stesso, va bene?
Buonanotte, bello di nonno..» aveva sussurrato il signor
Giancarlo, sorridente.
Con un cenno della mano, il bambino aveva salutato il vecchio compagno
di giochi, avviandosi verso la porta.
Quello di quella sera, fu un vero e proprio incrocio di vie e di vite:
mentre Giannino usciva dalla stanza del nonno, l’uomo usciva
per
sempre dalla favola del nipote.
«Come mai sei scappato in quel modo?» chiese una
voce, facendo tornare bruscamente Gianni alla realtà.
Il ragazzo, allora, si voltò e vide che Olivier era riuscito
a
raggiungerlo, così si asciugò in fretta la
guancia
sinistra e gettò a terra la sigaretta consumata e la
sfregò con rabbia contro il lastricato del viale, con la
punta
della scarpa.
«Non mi andava più di mangiare, lo sai che il
pesce non mi
piace» rispose poi, con infantile semplicità.
In quel momento, sembrava essere tornato il piccolo Giannino che aveva
fatto quelle sue belle promesse al nonno e che l’adolescente
Gianni non aveva ottemperato.
Il parigino si accigliò per quella risposta, ma
continuò comunque a parlare.
«Ebbene, si può sapere, allora, che fine ha fatto
la tua proverbiale gioia di vivere?»
Il biondo, però, non rispose subito, prendendosi qualche
secondo
prima di aprire nuovamente la bocca: Olivier, infatti, era sempre
stato, tra i suoi compagni di squadra, quello che l’aveva
compreso meglio, anche se, ovviamente, non sempre si era mostrato
entusiasta delle sue scelte. Tuttavia, si era comportato lealmente in
ogni occasione, come un buon amico, pertanto, Gianni non aveva avuto
niente da ridire quando aveva manifestato un serio interesse verso sua
cugina.
Quella volta, però, la situazione era più
complicata,
perché il francese non avrebbe potuto capire fino in fondo
l’angoscia che lo attanagliava, giacché non gli
era mai
capitato, prima di allora, di non riuscire a ricacciare indietro gli
spettri che si portava dentro. I folli divertimenti che offriva la
Capitale erano così solo una scusa per non pensare al futuro
e
il ragazzo sperava costantemente che l’ebbrezza nella quale
cadeva ogni notte non svanisse il mattino successivo, come invece
purtroppo accadeva, costringendolo a fare i conti con i suoi timori. Si
era sempre sentito inferiore ai suoi amici, soprattutto da quando
avevano deciso di formare una squadra, poiché sia Ralf, che
Andrew, che lo stesso Olivier avevano dimostrato di avere
più
carattere, ultimando gli studi nel migliore dei modi e diventando, al
contrario suo, ciò che avevano sempre aspirato ad essere. La
differenza fra loro, però, si era delineata già
anni
addietro, in occasione del campionato europeo, nel corso del quale
l’italiano si era piazzato al terzo posto, assieme
all’amico francese. Eppure, quanto era stato effettivamente
un
terzo e non quarto posto?
La sensazione di incapacità di decidere chi essere nella
vita,
infatti, l’aveva sempre perseguitato e gli eventi sembravano
dar
ragione a questa convinzione: chi era davvero Gianni Tornatore? Quello
che lasciava trapelare di sé al mondo lo dipingeva come un
eterno insicuro, che non voleva assumersi le proprie
responsabilità, spaventato dal confronto con la
realtà.
Un ragazzo che aveva fatto della tracotanza e della spavalderia le sue
maschere predilette, indossate prima di svegliarsi e tolte dopo essersi
addormentato.
Aveva lasciato l’università quasi subito, senza
nemmeno
provare ad andare avanti, adagiandosi nell’autoconvinzione di
non
essere portato per gli studi di economia, nonostante suo padre, con i
suoi modi spicci, e sua madre, con i suoi affranti silenzi, avessero
tentato più volte di fargli capire quanto stesse sbagliando,
dicendogli in continuazione che ventitré anni non erano
troppi
per riprovare e che non era tardi per cambiare, anche se, per diventare
un vincente, avrebbe dovuto prima volerlo.
«Sono davvero una nullità»
bofonchiò, all’improvviso.
«Comment?»
chiese l’altro, sorpreso.
«Hai capito perfettamente, non me lo far ripetere, anche
perché so benissimo che è quello che pensate tu e
quegli
altri che sono rimasti di sopra».
«Ma non è così! Che sciocchezze vai
dicendo?»
replicò Olivier, negando energicamente con il capo.
«Sciocchezze? È la verità!»
insistette Gianni. «Anzi, è un problema, il
mio».
«A dire il vero, non credo che tu abbia chissà
quale
problema, sei solo un po’ troppo vivace e libertino. Blaise
Pascal diceva che la sfida più difficile per un uomo
è
stare da solo chiuso in una stanza» commentò il
francese,
ispirato, come se, nei suoi pensieri, avesse sempre accostato il biondo
italiano alla teoria del Divertissement6.
Gianni, in risposta, fece una smorfia di disappunto. Filosofia
francese? Proprio quello che ci mancava per concludere in bellezza un
serata andata da schifo! Ciononostante, per quanto gli dolesse
ammetterlo, era proprio come diceva l’amico.
«Basta con i giri di parole! Cosa ho che non va, o cosa mi
manca
per essere come voi? E non ti azzardare a tirare fuori un altro dei
tuoi compatrioti filosofi!» lo minacciò il biondo.
«Patience, mon
ami, patience, ecco cosa ti manca!»
fece il
parigino, alzando un indice. «Devi aspettare che si presenti
la
tua occasione e vedrai che tutto andrà a posto».
Gianni lo guardò, accigliato.
«La mia occasione? ’na
cosa da poco,
insomma!»
Olivier sorrise: quando l’italiano usava il dialetto, era
solo
per ironizzare sul tono di superiorità che trapelava dai
suoi
intercalari francofoni.
«Personalmente, credo che tu debba soltanto maturare un altro
po’, » concluse il ragazzo, senza abbandonare la
sua
sicurezza. «Tutto sta nel cominciare a fare meno il
farfallone!»
Di primo acchito, l’altro lo guardò, inespressivo,
poi,
però, si abbandonò ad una risata che,
però, aveva
dell’isterico: «Praticamente, mi stai dicendo di
ricostruirmi da capo».
«No, ti ho detto soltanto di cambiare certe tue abitudini
sbagliate».
Gianni si soffermò un attimo a riflettere su quelle parole:
il
suo vero problema risedeva nel fatto che non aveva mai provato ad
impegnarsi seriamente, affinché le cose prendessero una
piega
migliore, ma, forse, avrebbe dovuto finalmente prendere seriamente in
considerazione l’idea di rimettersi totalmente in discussione.
«Claudia è molto dispiaciuta per quello che ti ha
detto ed
anche Andrew sembra essersi pentito» commentò
l’altro. «Domani, cerca di parlare con loro,
d’accordo? Qualcosa mi dice che, per stasera, non avremo
più l’onore di averti tra noi, o
sbaglio?»
«In effetti, sono stanco, perciò penso che mi
ritirerò a vita privata» fece il giovane, piegando
alternativamente la testa da una parte e dall’altra con gli
occhi
chiusi. «Comunque va bene, farò finta di credere
al
pentimento di quei due e domattina parlerò con loro. La
convivenza sarà lunga».
L’amico sospirò.
«Credo che sia arrivato anche per me il momento di andare.
Bonne nuit»
lo salutò.
Gianni, però, si limitò a rispondere alzando
pigramente
il braccio sinistro in direzione dell’altro, per poi
lasciarlo
ricadere pesantemente lungo il fianco: aveva parecchi spunti sui quali
meditare, ma era consapevole che, prima o poi, quel momento sarebbe
dovuto arrivare, giacché non sarebbe potuto scappare per
sempre
dalle proprie responsabilità.
Così, Olivier era praticamente già nella hall,
quando gli sorse spontanea una domanda e si decise a richiamarlo.
«Aspetta un attimo!»
«Dimmi pure» acconsentì il francese,
voltandosi verso di lui.
Tuttavia, temporeggiò ancora per qualche secondo, prima di
parlare, giacché il pensiero che aveva avuto era stato
talmente
rapido che ancora non l’aveva tradotto in parole.
«Come hai fatto a capire che Claudia era quella
giusta?»
«Ad essere sincero» cominciò
l’interlocutore,
«è stato proprio quello il momento in cui non ho
capito
più nulla. Ricordi? Avevo appena vinto il titolo di Chef
dell’anno quando sei arrivato tu, accompagnato da tua cugina,
la
più giovane e bella sommelière
che avessi mai
conosciuto.
Da allora è stato tutto relativo: c’era solo la
mia
Claudine e
nient’altro».
Il biondo parve riflettere su quelle parole: aveva ben presente
l’episodio e convenne che non gli era mai capitato nulla del
genere, poiché, fino ad allora, aveva giudicato solo
l’aspetto esteriore di una ragazza, confrontandolo con i
propri
canoni. Inoltre, a ben pensarci, quelle che frequentava lo cercavano
solo per passare una serata o più in buona compagnia,
sperando
di rimediare anche qualche gradito regalo, senza però voler
andare oltre le apparenze e costruire qualcosa di più
duraturo.
Poco dopo, Olivier lo salutò nuovamente e sparì
oltre la
soglia dell’ingresso del Mediterrean Plaza, lasciandolo
assorto
nei propri pensieri, tutti concentrati sulla certezza che il cammino
che avrebbe dovuto intraprendere sarebbe stato lungo e periglioso.
Gianni fece, quindi, per rientrare a sua volta, quando notò
in
terra qualcosa che brillava.
Sentendo come un imperativo interiore che lo invitava a raccogliere il
misterioso oggetto, si chinò per recuperarlo e si rese conto
che
si trattava di un piccolo fermaglio dorato, di fattura molto pregiata,
curvilineo e sottilmente intrecciato, un oggetto particolare come non
ne se ne vedono spesso in giro. Senza stare a pensarci, allora, se lo
mise automaticamente in tasca.
“Domani lo porterò alla reception e se la vedranno
loro,
perché ora sono distrutto. E dire, che avevo pianificato un
così bel dopocena!” pensò, amareggiato,
dirigendosi
verso gli ascensori, mentre un sorriso amaro gli affiorava sulle labbra.
***
Il mattino seguente si ritrovarono tutti allo stesso tavolo per la
colazione.
«Buongiorno!» esordirono Ralf e Christine,
salutando Gianni.
«‘Giorno» rispose lui, con un sorriso di
cortesia
stampato sulla faccia, soddisfatto delle proprie capacità
recitative affinate nel tempo, tali da consentirgli di far credere agli
altri che tutto fosse tornato alla normalità, quando,
invece,
aveva dormito malissimo a causa della sua coscienza, che, a differenza
del solito, non si era lasciata mettere a tacere. Se fosse stato un
tipo leggermente più ansioso, non sarebbe riuscito a portare
avanti quella commedia nemmeno per un minuto, tuttavia, contava
comunque di liberarsi presto degli amici e della parente ed essere
finalmente lasciato in pace.
Claudia, nel frattempo, lo scrutava dall’altra parte del
tavolo, sventagliandosi con movimenti appena percepibili.
«Allora, cuginetta, non mi saluti, stamane?» le
disse,
tirato, consapevole del vero motivo per cui lei continuava a fare
allusioni sulle sue amanti: era gelosa di loro e non sopportava che lui
non la venerasse come avrebbe voluto.
La ragazza lo fissò per qualche secondo in silenzio, per poi
rivolgergli un sorriso che aveva un che di sinistro.
«Credevo non volessi parlarmi» fece, simulando
rammarico.
«Mi dispiace per ieri sera, ma sai che dico sempre quello che
penso».
«Tranquilla, ho già dimenticato tutto»
mentì
il giovane, deciso a tagliare corto e per nulla intenzionato a
rispondere alle provocazioni di Claudia.
Lei, allora, gli porse la mano da sopra il tavolo: «Facciamo
pace, dunque?»
Il giovane la osservò per qualche istante, prima di
prenderla
con estrema lentezza. A quel punto, la bionda sorrise, ma questa volta
trionfante ed Olivier la squadrò, increspando appena le
labbra e
sollevando un sopracciglio, contrariato, così Gianni
lasciò immediatamente la cugina.
«Credo possa bastare» commentò,
ritraendosi.
In quel momento, Mary Anne diede una gomitata ad Andrew, fissandolo in
modo eloquente.
«Ho capito! Un momento, eh…»
«Sbrigati!» lo incalzò, però,
lei, decisa.
Il ragazzo si schiarì ancora la voce per prendere tempo, ma
poi
disse, piano: «Gianni, be’, volevo dirti che,
sì,
insomma, forse ho esagerato ieri sera».
«McGregor che si scusa con me? Questo giorno dovrà
essere
ricordato negli annali!» fece il biondo, incrociando le
braccia
sul petto e rivolgendo all’amico un sorrisetto di scherno.
«Se le mie scuse non ti piacciono, posso sempre aggiungere
qualcos’altro di più consistente»
ringhiò
l’altro, minaccioso, mostrandogli il pugno.
«Andrew!» lo richiamò subito Mary Anne,
infastidita.
«Non ricordi il discorso che abbiamo fatto
sull’autocontrollo?»
«Oltre al danno, anche la beffa? Fantastico!»
sbuffò
lui, sarcastico, lanciando da una parte il tovagliolo, offeso a morte.
Gianni, allora, si ritrovò a sorridere, giacché
vedere lo
scozzese bacchettato dalla rispettiva fidanzata, di solito
così
brava a tenere a freno il suo temperamento aggressivo, era una delle
migliori soddisfazioni che potesse ricevere.
«Se avete finito con le scuse direi che possiamo
iniziare»
comandò Ralf, cominciando a servire Christine e richiamando
tutti all’ordine.
Nel corso del pantagruelico pasto, la comitiva ebbe anche modo di
parlare dei programmi per la giornata e l’avvocato si
lanciò in un appassionato elogio di Alessandria,
città
con una storia lunga e affascinante: fondata da Alessandro Magno e
portata all’apice da uno dei suoi generali,
all’indomani
della disgregazione del regno di Macedonia. Per secoli si era arrogata
la fama di capitale della cultura mediterranea, sorpassando, per molti
aspetti, anche la ormai vecchia Atene e, in virtù di tutto
questo, per lei meritava davvero di essere esplorata da cima a fondo.
«Potremmo cominciare con la nuova Bibliotheca!
Certo, non
sarà come quella che c’era secoli fa, ma credo che
una
visita sia d’obbligo! Non è vero,
Andrew?» propose,
alla fine del suo discorso la ragazza, quando ebbe ultimato il suo
discorso.
«Fa’ come vuoi» le rispose,
però, lui, atono.
In risposta, lei alzò gli occhi al cielo, cosciente che
cercare
di smussare le piccole scabrosità della
personalità del
suo fidanzato fosse una cosa e ottenere una levigatura perfetta
un’altra e, quindi, che l’unica soluzione possibile
fosse
cercare un compromesso.
«A mio parere, invece, sarebbe molto meglio vedere la Grande
Piazza o Piazza
Muhammad ‘Alī» si inserì
Claudia,
con tono saccente, non volendo mostrarsi inferiore
all’inglese.
«Per non parlare degli storici caffè o del
lungomare… Che cosa ne dici, Olivier?»
«È fattibile, ma
petite fleur» rispose
il francese.
«A me, al contrario, interesserebbe particolarmente visitare
le
catacombe di Kom
El-Shogafa oppure la colonna
di Pompeo. Ah, Claudia,
devi assolutamente dirmi dove hai trovato quelle piccole botteghe di
cui mi stavi raccontando ieri sera! Chissà che non trovi
qualcosa di interessante da mettere nel mio negozio… Mi ci
accompagnerai, non è vero, Ralf?» chiese subito
dopo
l’antiquaria, in tono supplice e con le mani giunte.
«Se è quello che desideri, Christine, non vedo
perché no» replicò il tedesco, con la
sua precipua
imperturbabilità.
«Visto che vi state dividendo in coppiette e che non ho
problemi
ad ammettere che non mi interessa niente di tutto questo, senza contare
che non voglio fare il terzo incomodo, vi annuncio che preferirei non
venire, se non vi dispiace».
L’attenzione dei ragazzi, allora, si spostò
immediatamente
su Gianni, il quale, però, ignorò tutte le
occhiate di
disapprovazione che gli indirizzarono - in primis quella di sua cugina,
che sembrava sul punto di esplodere -, consapevole che, molto
probabilmente, stavano pensando che volesse soltanto spassarsela con
qualche avvenente fanciulla. Sinceramente, non aveva voglia di spiegare
loro quanto bisogno avesse di stare da solo, anche perché, a
suo
parere, non era una faccenda che li riguardava.
A quel punto, Ralf si alzò, seguito immediatamente da
Christine.
«Se la cosa ti fa piacere, sei libero di fare quello che
ritieni
opportuno. Per gli altri, resta invariato l’orario di
ritrovo:
alle dieci meno un quarto nella hall».
«All right»
annuì Andrew.
«Très
bien» concordò Olivier.
Gianni, invece, si concesse di mostrare un mezzo sorriso al capitano
della squadra.
Quando tutti se ne furono andati, il giovane pensò bene di
fare
quattro passi, così da avere il tempo di raccogliere i
pensieri:
si era svegliato di pessimo umore e con uno strano e opprimente senso
di nausea, tanto che a colazione non era riuscito a mandar
giù
nemmeno un sorso d’acqua, perciò riteneva che
magari una
breve passeggiata sulla spiaggia di Alessandria, immerso in quel suo
clima che sapeva d’oriente, gli avrebbe giovato.
Uscendo dalla sala ristorante, si ritrovò nel doppio salone
dove
era ubicato anche il bar e, sulla destra, notò un enorme
specchio che rifletteva la sua immagine, così si
avvicinò
lentamente, per poi fermarsi proprio lì davanti a scrutare
il
proprio riflesso con aria critica e diffidente: non era certo un brutto
ragazzo, giacché il passare del tempo aveva fatto il suo
corso,
rendendolo nel fisico sempre più simile a suo padre fino a
renderli quasi indistinguibili, anche se, quando si osservava con vera
attenzione, sfortunatamente, veniva rovinato dalla sua indole
irrequieta ed esuberante.
Alzò il braccio per passarsi una mano tra i capelli,
così
da ravviare la frangia bionda e ribelle, ma all’ultimo
momento
esitò ed il gesto rimase compiuto a metà,
poiché,
dopo le ultime riflessioni, era davvero intenzionato a impegnarsi per
cambiare in meglio, smettendo di pensare unicamente a se stesso. Era
ancora impegnato a studiarsi e a cercare di riconoscersi in
ciò
che vedeva, quando si sentì prendere per ciascun polso.
«Gianni, che fine hai fatto ieri sera? Ti abbiamo aspettato a
lungo!».
Bahira e Ghada, comparse dal nulla, non avevano perso tempo e si era
avvinghiate a lui, che subito si voltò prima a destra e poi
a
sinistra, per scoprirsi, suo malgrado, circuito. Cosa fare? Cedere
all’invito, all’ennesima tentazione e comportarsi
come un
debole, oppure reagire?
Infatti, due personificazioni del suo vizio più grande, la
lussuria, lo stavano provocando, invitandolo a lasciare da parte i
buoni propositi, appena formulati, per gettarsi nuovamente
nell’abisso della perdizione. Tuttavia, non era molto
convinto
del fatto che concedersi un ultimo piacere sarebbe stata una scelta
saggia e quando avvertì quella strana sensazione di nausea
che
sentiva dentro farsi sempre più intensa, ebbe la nitida
consapevolezza che quella non fosse la strada giusta.
«Ecco, ragazze… vedete…»
cominciò,
certo che il destino lo avesse fatto trovare al momento sbagliato, nel
posto sbagliato. Eppure, proprio in quell’istante, accanto al
proprio riflesso nello specchio, scorse anche qualcos’altro:
seduta ad uno dei tavolini alle sue spalle, concentrata a fare
qualcosa, c’era, infatti, la ragazza della sera precedente.
Era
esattamente come l’aveva vista la prima volta, solo che, quel
giorno, portava una divisa bianca da barista e i capelli corvini erano
raccolti in una coda laterale.
«Scusate, ragazze, ho una cosa da fare» disse
Gianni,
bruscamente, divincolandosi dalla presa di entrambe e voltandosi
indietro.
«Ma Gianni…» cercò di
protestare una delle
due, ma senza successo: era troppo lontano, sia mentalmente che
fisicamente, perciò i lamenti delle massaggiatrici gli
giunsero
alle orecchie come suoni senza senso.
Tuttavia, si addentrò all’interno della stanza
avanzando
lentamente, come se sentisse che, se si fosse mosso con maggiore
rapidità, quella ragazza sarebbe scomparsa.
L’interesse
che lo muoveva verso di lei, d’altra parte, era del tutto
nuovo e
sconosciuto, così diverso da quello che solitamente lo
animava
quando incontrava una bella fanciulla: questa volta, infatti, avrebbe
voluto unicamente sapere qualcosa di più sul suo conto, a
cominciare dal nome.
La giovane, però, dal canto suo, non si era ancora resa
conto di
nulla, tanto era concentrata a trafficare con matite, squadre e gomme
cambiando continuamente utensile, tracciando, misurando, cancellando o
semplicemente valutando se la punta di grafite fosse ben
appuntita, mentre Gianni, ormai solo a qualche passo di distanza,
si era accorto di aver smesso di respirare e di avere la salivazione
praticamente ridotta a zero, anche se la cosa più
sorprendente
per lui fu avvertire che la nausea si stava attenuando.
Giunto accanto al tavolino, buttò uno sguardo sul foglio che
teneva in mano la ragazza e rimase sorpreso da ciò che vi
trovò raffigurato, perché era l’ultima
cosa alla
quale avrebbe pensato.
«Sul terzo ordine non ci sono solo timpani, ma anche
archetti,
alternati» disse, improvvisamente, rendendosi conto a
malapena di
aver parlato.
Interrotta bruscamente, la ragazza smise di disegnare, alzando la testa
e lui si ritrovò ad essere fissato da due occhi come non ne
aveva mai incontrati prima di allora, dello stesso colore delle viole
selvatiche che ornano i boschi a primavera.
«Come ha detto, prego?» esclamò,
sorpresa, non avendolo sentito arrivare.
«Quello è uno dei primi bozzetti della facciata
del Collegio di
Propaganda Fide di Borromini, vero?»
La sua interlocutrice lo fissò perplessa, tuttavia fece
cenno di
sì, anche se, probabilmente, non aveva la minima idea di
dove
volesse arrivare il ragazzo.
«E allora il prospetto che stai facendo è
parzialmente
incorretto: in alto, oltre ai timpani, devi disegnare anche degli
archetti. La versione definitiva, invece, è molto
più
semplice, perché non ci sono né gli uni,
né gli
altri» le spiegò, indicando il disegno con
l’indice.
Corrugando la fronte, l’altra estrasse un librone da una
borsa
che teneva sotto la sedia e prese a sfogliarlo finché non
arrivo
alla pagina cercata e non si mise a osservare a lungo in silenzio
l’immagine che vi era raffigurata, confrontandola con il
proprio
lavoro.
«Ha ragione! Eppure, credevo di averlo studiato a dovere...
Mi ha
evitato di farlo due volte, grazie!» fece lei, tornando a
guardare il giovane e inarcando le labbra in un leggero sorriso.
A questo punto, la salivazione di Gianni subì una nuova
battuta di arresto.
«Figurati, per così poco!»
stentò a dire,
ringraziando col pensiero sua madre e la sua passione per
l’arte,
che l’aveva indotta ad appendere, per tutta casa,
riproduzioni e
stampe dei grandi capolavori.
«Per me è molto. Grazie di nuovo,
signor…»
«Oh, sì, scusami, non mi sono presentato:
Giancarlo
Tornatore7, al tuo
servizio» rispose lui, facendo
un’elegante riverenza, stranamente senza sembrare ridicolo,
ma
poi si bloccò, rendendosi conto di averle rivelato il suo
nome
per intero, cosa che non faceva mai, considerandolo un oltraggio alla
memoria di suo nonno. «Ma puoi chiamarmi Gianni, come fanno
tutti. E non darmi del lei, non credo che ce ne sia bisogno»
si
affrettò ad aggiungere.
La ragazza corrugò lievemente la fronte.
«D’accordo, come vuoi, Giancarlo»
rispose, scandendo
bene l’ultima parola. «Sai, il tuo nome completo
è
così musicale… mi dai il permesso di chiamarti
così? Non capisco proprio perché tu debba
storpiarlo!»
«Se lo preferisci, non è un problema»
convenne il
ragazzo, annuendo. Non sapeva perché, ma non gli dispiaceva
che
lei lo chiamasse come solo pochi altri facevano. «E tu
sei..?»
«Ah, già, che sbadata. Io mi chiamo Aida,
piacere»
esclamò la giovane, sorridente, tendendogli una mano, ma lui
ricambiò la stretta in maniera rigida, gelato dalla strana
coincidenza: Aida,
come l’opera preferita da suo nonno.
«Porti il nome di una delle nostre più belle opere
liriche, lo sai?»
«Sì, la conosco» replicò lei,
in un italiano
fluente. «Quando vivevamo ad Harar, avevamo due vicini
italiani
che mi ripetevano continuamente: “Ti chiami come la
principessa
dell’opera verdiana”. Ma, in
verità, il mio
è un nome abbastanza comune da noi».
«Ah, ma parli anche l’italiano!» fece il
giovane, sempre più attonito.
La fanciulla, però, strinse le spalle.
«Non è nulla di straordinario, credimi. Maria e
Franco
sono stati due bravi insegnanti e ci hanno praticamente cresciuti
loro» spiegò. «E, comunque, ho ancora
qualche
problema con i plurali e i verbi» terminò,
arricciando il
naso.
Gianni, allora, si accomodò sulla sedia antistante alla
giovane,
osservandola in ogni suo particolare: era di una bellezza semplice, non
forzata o esasperata da strati e strati di trucco ma, nel modo di fare,
aveva un qualcosa di fuori dal comune, qualcosa di decisamente lontano
dagli atteggiamenti che avevano le ragazze che frequentava di solito, a
cominciare dal fatto che non rideva come un’oca giuliva per
ogni
minima cosa.
«I nostri vicini erano ex-coloni, provenienti da Livorno. Tu,
invece, da dove vieni?» chiese Aida, allora, con sincera
curiosità.
«Da Roma, niente di che».
«Niente di che?!» esclamò lei,
incredula. «Io
darei qualunque cosa per poterci venire anche solo una volta! Forse non
ti rendi conto della fortuna, che hai nell’abitare in una
città piena di ogni sorta di opere d’arte, che
puoi vedere
dal vivo ogni volta che vuoi!»
«Sembri molto più entusiasta di me»
mormorò lui, vagamente accigliato.
«Oh, sì! Amo la vostra arte e, quando posso,
scelgo sempre
di fare progetti sulle opere italiane» replicò la
giovane,
mostrando tutto il suo entusiasmo. «Tuttavia, sembra proprio
che
abbia bisogno di studiarle un po’ meglio per evitare
figuracce
come quella di poco fa, oltre a un voto basso
all’esame»
notò infine con una smorfia, alzandosi.
Il biondo la seguì con lo sguardo, sorpreso dal fatto che le
parole appena pronunciate da dalla ragazza gli avessero dato da
pensare, poiché vi aveva notato una sottile autoironia
associata
ad estrema concretezza. Decisamente, non era come quelle che era
abituato a frequentare, impossibilitate a formulare anche solo una
frase di senso compiuto, ad esclusione delle petulanti pressioni che
facevano per ricevere altri regali, vestiti o gioielli.
«Bene, scommetto che prenderesti volentieri un
caffè. Voi
italiani, senza un espresso, siete persi!»
commentò
allegra la fanciulla a quel punto.
Si dice. Si fa.
«Veramente, io non ne vado matto. Preferirei
qualcos’altro» cominciò lentamente
Gianni, ancora
impegnato nelle sue riflessioni.
«Allora, cosa posso offrirti?»
«Si potrebbe avere del latte al cioccolato con una spolverata
di
cannella?» chiese il ragazzo, sorridendo tra sé e
sé.
“Saranno diciassette anni che non ne bevo una
tazza” pensò.
«Volendo, si può tutto» rispose Aida,
per nulla stupita per quella particolare richiesta.
Io dico. Io faccio.
Inaspettatamente, la mattinata trascorse rapida e, tra i due ragazzi,
si instaurò presto un clima sereno e cordiale. Gianni venne
a
sapere che Aida era una studentessa di belle arti e questa gli
parlò dei suoi studi con molta passione, mentre lui la
ascoltava
attento, come dimostrarono gli interventi, incredibilmente pertinenti,
che fece sorprendendosi da solo per quell’insolito
avvenimento,
poiché non riusciva a ricordare di aver mai sostenuto una
conversazione tanto elevata con una ragazza.
Poi, all’improvviso, notò che la fanciulla portava
tra i
capelli un fermaglio uguale a quello che aveva trovato la sera
precedente, quindi si sporse oltre il tavolino e le girò
delicatamente il volto per vederlo meglio.
«Cosa c’è?» chiese lei, un
po’ sorpresa. «Ho forse qualcosa fuori
posto?»
«No, no...» rispose il ragazzo, mettendosi una mano
in
tasca e cacciandone fuori il fermaglio che aveva trovato e per
confrontarlo con quello posseduto dalla giovane.
«Mi sembra che questo sia tuo» disse, dopo essere
arrivato alla conclusione che fossero uguali.
Quando Aida lo vide, non riuscì a trattenere la sua
meraviglia:
«Non posso crederci! Dove l’hai trovato?»
«Nell’ingresso. Volevo portarlo alla reception, ma
penso che non ce ne sia più bisogno».
«Non immagini che gran favore mi hai fatto! Non voglio
nemmeno
pensare a cosa avrebbe detto Samir, se lo avesse saputo, dato che
è un regalo suo!» esclamò Aida,
prendendolo in
mano. «Sono sempre con la testa tra le nuvole, purtroppo. E,
a
volte, il lavoro in bassa stagione può essere peggiore che
in
alta».
Gianni sorrise e solo allora si rese conto di essere ancora a contatto
con il bel visetto della giovane, così bruscamente,
tirò
indietro la mano, mal dissimulando l’imbarazzo e convenendo
che
fosse un comportamento piuttosto anomalo per uno che, fino a meno di
ventiquattro ore prima, avrebbe cercato le peggiori scuse, anche solo
per sedersi accanto ad una bella presenza.
Tuttavia, non ci fu tempo per fare altre riflessioni,
poiché, di
punto in bianco, un ciclone irruento si buttò tra le braccia
di
Aida, interrompendo il momento: era il bambino del ristorante.
«Samir, che modi!» lo rimproverò subito
la ragazza.
«Ma io ti voglio bene, mi sei mancata a scuola»
replicò il bimbo.
«Come ogni giorno» notò lei, baciandolo
sulla testa.
Il giovane rimase toccato dalla tenerezza del momento e
osservò
meglio Samir, accorgendosi che somigliava davvero molto a sua madre.
«Chi è?» chiese il ragazzino, essendosi
accorto di Gianni.
«Lui è Giancarlo. È stato molto gentile
e mi ha
evitato un po’ di guai» rispose la giovane,
sorridendo
riconoscente al biondo.
«Io sono Samir» si presentò a sua volta
il bimbo, mostrando di essere beneducato.
«Molto piacere, Samir. Qua la mano!»
Il piccolo, allora, batté soddisfatto il palmo su quello che
gli era stato porto dal ragazzo.
«Tuo figlio ti assomiglia davvero tanto, ha il tuo stesso
sorriso» le disse.
A quelle parole, Aida rimase a fissare Gianni in cagnesco per alcuni
secondi, poi, però, scoppiò a ridere
fragorosamente.
«No, no... Samir non è mio figlio! Ha otto anni ed
io non l’ho avuto a tredici!»
Il giovane sbatté le palpebre, facendo rapidamente un paio
di
conti: aveva dato così per scontato che Samir fosse il figlio di Aida e del
concierge, vista la grande confidenza tra loro, che non aveva pensato
ad altre ipotesi.
«S-Samir... è... mio fratello!»
riuscì a dire
infine la ragazza tra una risata e l’altra, mentre si
asciugava
le lacrime.
«Sì, Dada è la mia sorellona, la
migliore di tutte!» confermò Samir, annuendo.
«M-Ma allora, ieri sera... il concierge...»
balbettò Gianni, sbigottito oltre ogni dire.
«Rami? È nostro fratello maggiore, lavora qui
abitualmente
e mi chiama per aiutarlo durante i mesi estivi e autunnali. E, quando
siamo entrambi occupati, ovviamente anche Samir si trasferisce qui» gli spiegò Aida, che si era finalmente
ricomposta.
«Mi dispiace, ho frainteso» si scusò
subito lui, in
difficoltà per essersi dimostrato poco sveglio e attento.
Chissà cosa avrebbe pensato Aida di lui dopo quella
figuraccia!
Tuttavia, ciò che lei disse poco dopo aveva qualcosa che lo
rassicurò.
«Fa niente, può capitare. In fondo, da noi non
è
così raro trovare ragazze della mia età sposate e
con
figli, anche se, magari, non di otto anni...»
considerò
lei, lasciandosi scappare l’ennesimo sorriso divertito.
Giancarlo Tornatore, a quel punto, trovò un significato a
due
parole fino ad allora conosciute solo per sentito dire: imbarazzo e
mortificazione. Infatti, abbassò subito lo sguardo,
avvertendo
che la maggior parte del sangue che circolava dentro di lui aveva
deciso di andare in vacanza sulle sue guance.
All’improvviso, Samir prese la sorella per una manica e le
chiese: «Dada, Dada, allora mi porti al parco?»
«Non posso, lo sai che devo lavorare» gli rispose,
però, lei, dispiaciuta, accarezzandogli la testa.
«Non è giusto, non hai mai tempo per
me!» strepitò il ragazzino.
«Samir, per favore, non fare i capricci, ormai sei
grande!» lo rimproverò Aida.
«Me l’avevi promesso! Avevi detto che mi avresti
portato al
parco, dove vanno tutti per allenarsi con i beyblade! Perché
io,
invece, non posso mai?» protestò a viva voce il
bambino,
con tono lamentoso.
Non appena udì quelle parole, Gianni si riprese
all’istante. Ma certo, il beyblade! Gli sembrava che fossero
passati secoli da quando aveva lanciato in campo Anfisbena per
l’ultima volta, in occasione degli ultimi campionati mondiali
ai
quali aveva partecipato tre anni prima.
«Quando l’avevamo deciso, non immaginavo che ci
sarebbe
stato tutto questo lavoro da sbrigare!» spiegò la
ragazza,
irremovibile, fissandolo con una punta di severità.
«Non è vero, lo fate apposta! Come quella volta
che Rami
aveva promesso di portarmi a vedere i Desert Blaze contro
i Wild Fang8
e non l’ha fatto» fece il bimbo, mettendo il
broncio.
«E se ci allenassimo insieme noi due? Sarò io il
tuo
sfidante» propose Gianni, con naturalezza, perché,
in quel
momento, passare del tempo in maniera costruttiva, giocando con quel
bambino, gli sembrò una buona idea
I due fratelli, allora, smisero di battibeccare e si voltarono subito
verso di lui, stupiti.
«Davvero?» gli chiese Samir, inarcando le
sopracciglia e
assumendo un’espressione buffissima. «Sei sicuro di
saper
giocare con i beyblade?»
«Ragazzino, tu non sai chi hai davanti! Io faccio parte dei
Majestics, la squadra che fino a tre anni fa rappresentava
l’Europa ai campionati mondiali!»
Il bambino rimase a fissare il giovane per qualche istante, per poi
strillare: «Allora avevo ragione a cercarvi, ieri
sera!»
Dopo quell’affermazione, al biondo cominciarono ad essere
sempre
più chiare le dinamiche della serata precedente: Samir,
chissà come, doveva aver saputo che i Majestics erano nei
paraggi, così si era messo a cercarli, essendo stato
richiamato
dai fratelli prima ancora di riuscire a iniziare la sua ricerca.
Poi, il piccolo cacciò fuori un album molto ben tenuto dallo
zaino, aprendolo ad una pagina ben precisa.
«In queste foto sembri molto più brutto e
vecchio» notò, semplicemente.
Aida aprì la bocca e, scandalizzata dalla schiettezza del
fratello, lo riprese: «Samir, che maniere!»
Successivamente, si rivolse direttamente al giovane, in evidente
imbarazzo: «Ti prego di scusarlo».
«Figurati» la rassicurò lui, per nulla
offeso,
alzando la mano. In effetti, ciò che aveva detto il bambino
era
la verità, poiché era lui il primo a sostenere,
con assai
poca modestia, che le foto dell’albo non gli rendessero
giustizia; senza contare che le parole di Samir, confrontate a quello
che usciva dalla bocca di McGregor, erano davvero complimenti.
«Devi essere davvero forte, visto che hai sconfitto il nostro
ex-campione Kairone del Team delle Tenebre. Adesso andiamo,
però?» chiese Samir, guardandolo con i suoi
occhioni e
attaccandosi alla mano del ragazzo.
Gianni si ritrovò a sorridere, avvertendo, nel frattempo,
che la
nausea era definitivamente sparita. Così, si
abbassò
all’altezza del bambino e, ammiccandogli, disse:
«Prima di
tutto dobbiamo chiedere il permesso a tua sorella!»
Poi, alzò la testa verso di lei, chiedendole:
«Dunque, possiamo, gentile Aida?»
A quel punto, entrambi la guardarono supplichevoli, a mani giunte, e la
ragazza si puntò i pugni chiusi sui fianchi, scrutandoli tra
il
severo ed il divertito: nonostante avesse appena conosciuto quel
giovane così particolare, non pensava che ci fosse niente di
male a permettergli di giocare con suo fratello che, tra
l’altro,
sembrava trovarlo simpatico. Inoltre, non si sarebbero allontanati dai
giardini dell’albergo, pertanto avrebbe potuto benissimo
andare,
di tanto in tanto, a controllarli, sia di persona, sia attraverso la
vetrata del bar, dalla quale si godeva di un’ottima visuale
su
tutto il parco.
«Filate via, ma voglio che Samir passi a prendere il pranzo
in
cucina e che per le cinque siate di ritorno, intesi?»
concesse
loro, alla fine.
«Sissignora!» esclamarono il ragazzo ed il bambino,
mettendosi scherzosamente sull’attenti. «Ed ora, si
va!»
In men che non si dica, i due sparirono oltre la porta.
***
Gli
eventi e i personaggi narrati in questa storia sono frutto di fantasia,
per tanto ogni riferimento a luoghi, cose e persone realmente esistenti
è puramente casuale.
Il marchio “Beyblade” e i componenti
dell’EuroTeam/Majestics appartengono a Takao Aoki e BB
Project.
Tutto il resto appartiene a me.
- New Edit -
Aggiunto nuovo banner, la grafica del titolo è opera mia.
L’ispirazione per questa storia è giunta in
seguito a
svariate vicende, ma è stata la lettura di un racconto di Melitot
Proud Eye che mi ha spinta maggiormente a dare
forma a tutte le mie idee.
Ringrazio Aly
per la supervisione sul testo in corso d’opera.
Per la revisione a posteriori, ringrazio Lady
Viviana per la sua gentile collaborazione e
disponibilità.
***
[N.d.A.]
1. Jetsz:
ora;
2. forza sei:
grado della
scala di Beaufort, che si basa sulla misura empirica
dell’intensità del vento, basandosi a sua volta
sullo
stato del mare; corrisponde ad un vento abbastanza sostenuto (con
velocità tra i 40 e 50 km/h) e ad onde alte fino a 4 m.
3. der Teufels Advokaten:
l’avvocato del Diavolo (derivata dall’espressione
latina Advocatus diaboli);
4. junker:
antico membro dell’aristocrazia terriera tedesca;
5. haggin:
tipico piatto scozzese a base di frattaglie di pecora;
6. Divertissement:
punto della
filosofia pascaliana, secondo il quale l’uomo cercherebbe il
divertimento (nell’accezione di
“deviazione”) per
estraniarsi da sé;
7. Giancarlo Tornatore:
come
avrete avuto modo di notare, tutti i nomi sono presi dalla versione
originale (giapponese); solo Andrew non è diventato Johnny,
perchè mi sembrava meno scozzese. Per chi non lo sapesse,
St.
Andrew è il patrono della Scozia;
8. Desert Blaze... Wild
Fang:
rispettivamente, la squadra araba e quella africana
(nell’adattamento italiano tradotte come Bagliore del Deserto
e
Zanna Selvaggia) nella serie Beyblade Metal Masters [al momento della
pubblicazione di questa storia (Aprile 2011) la serie era ancora
inedita in Italia, quindi ho conservato i nomi della versione
originale-giapponese].
***
Quando
ho iniziato tutto questo, non sapevo dove sarei arrivata. Così,
poiché il progetto si è espanso a macchia
d’olio,
ho deciso di uniformare questa storia a tutte
le altre che ne sono seguite.
I vecchi lettori, se ripasseranno da queste parti, troveranno un testo
un po’ diverso, corretto e totalmente riscritto in alcuni punti,
mentre i nuovi arrivati leggeranno direttamente la versione 2.0
(l’unica cosa rimasta uguale alla stesura precedente è la
spaventosa
lunghezza dei capitoli).
Halley S.C.
|
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Capitolo 2 *** Parte Prima - Atto Secondo ***
Stella del Sud - Atto II
Parte
Prima - Atto Secondo
“Ella
si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.”
Dante Alighieri, Vita Nova, Cap.
XXVI, vv. 5-8
A
sera inoltrata, quando finì il suo turno, Aida ebbe
finalmente
modo di parlare con Samir, il quale era rientrato puntualmente alle
cinque e, dopo aver fatto diligentemente i compiti, si era sdraiato su
uno dei divanetti appoggiati alla parete, impegnato a giocare una
partita sul suo videogame, in attesa che i fratelli maggiori
terminassero di lavorare.
«Passato un bel pomeriggio?» gli chiese la sorella,
quando gli fu vicina.
«Puoi dirlo forte! Giancarlo mi ha insegnato un sacco di cose
e
mi ha raccontato che ha conosciuto di persona i Blade Breakers, i Neo
Borg e tanti altri campioni super famosi!» esclamò
il
bambino, euforico, dimenticando per un attimo la console.
«Sarebbero i tizi dei poster appesi in camera tua?»
Samir annuì con un enorme sorriso stampato sul volto ed Aida
corrugò la fronte, poiché aveva un’idea
molto vaga
degli strani personaggi ritrattati nelle foto che tappezzavano le
pareti della camera del fratello. Al contrario, il bambino era una specie di
enciclopedia vivente sull’argomento e conosceva vita, morte e
miracoli di ognuno di loro.
«Sì! Ne ho anche uno dei Majestics. Lo sai che
cinque anni
fa, durante un campionato, furono sabotati dal Barthez Team?
Però, l’anno successivo li hanno
sconfitti!»
«E tu come fai a saperlo? Avevi solo tre anni!»
fece la ragazza, un po’ sorpresa.
«Dada, su internet ci sono tutte le vecchie registrazioni
degli
incontri e mi piace troppo vederli! Quelli di oggi sono
noiosi...» affermò il bambino, con tono esperto,
«anche quelli degli Excalibur1».
Alla sorella, a quel punto, sfuggì un sorriso divertito:
Samir
adorava il beyblade a tal punto da conoscere alla perfezione anche i
campioni del passato, esattamente come i cultori dei vecchi gruppi
musicali che sanno a menadito tutti i testi delle loro canzoni.
«Mi fa piacere sapere che ti sei divertito» disse
lei.
«Da matti! E Giancarlo ha promesso che giocherà di
nuovo con me, prima di andare via!»
«Davvero?»
«Sì, sì!»
Aida corrugò appena la fronte, guardando il fratellino che
le
sorrideva radioso: non si era ancora fatta un’idea precisa
sul
giovane italiano, tuttavia non pensava che fosse malvagio, sicuramente
un po’ eccentrico, ma non cattivo.
«D’accordo, però tu cerca di non essere
insistente,
non puoi importunare gli ospiti con i tuoi capricci!» gli
ricordò.
«Ma era contento anche lui! Mi ha detto che non si divertiva
così da tanto tempo» replicò
l’altro, con
naturalezza.
A quella risposta, la fanciulla strinse le spalle, arrendendosi di
fronte all’evidenza dei fatti.
«Se va bene a lui, allora credo non ci siano problemi. Ora,
però, metti via il gioco e va’ a lavarti le mani,
perché appena arriverà Rami, andremo a cenare,
d’accordo?»
«Evviva, si mangia!» esclamò il bambino,
scattando
su e correndo in direzione delle scale che portavano alle stanze del
personale.
Nel seguirlo con lo sguardo, la ragazza scosse la testa, sorridendo,
per poi dedicarsi a togliere i petali secchi caduti dai vasi di fiori
ai lati del bancone del bar, tuttavia, non passò molto tempo
che
sopraggiunse il fratello maggiore, distrutto dalla stressante giornata.
«Ricordami di mettere in guardia gli ospiti contro i
cammellieri:
hanno davvero toccato il fondo! Se dovessi incrociare quel vecchio
fennec2 di
Alì, di sicuro gliene dirò
quattro!»
sospirò il giovane, lasciandosi cadere su una poltrona
vicino
alla sorella.
«Oh, non dirmi che è successo di nuovo!»
esclamò lei, tra l’incredulo e lo sconcertato,
lasciando
cadere in terra tutti i petali che aveva raccolto.
«E invece sì!» replicò Rami,
indicando la
mensola dove erano poggiati tutti i liquori. Aida, che sapeva che, con
quel gesto, le stava chiedendo due dita di sherry, si
affrettò a
raccogliere tutti i petali e, dopo averli buttati, prese la bottiglia.
«Indovina quanto hanno sborsato, oggi, i mariti di due
turiste spagnole?»
La giovane versò il liquore ambrato in un bicchiere basso e
spesso e glielo porse, per poi tornare indietro, con aria pensierosa,
per richiudere la bottiglia con il tappo.
«Non ne ho idea, anche se, l’altra volta, mi pare
abbiano
chiesto cento dollari. Hanno forse preteso la stessa cifra?»
azzardò.
«Sì, ma solo per salire sul dromedario, ai quali
devi aggiungere altri centocinquanta per scendere».
«Duecentocinquanta dollari?!» esclamò la
ragazza, sbattendo le palpebre, scioccata.
«Per ciascuna turista, cinquecento in totale»
precisò Rami, sorseggiando il suo sherry e scuotendo la
testa.
Aida fece una smorfia di assoluto disappunto: «Oh,
be’,
avranno davvero un bel ricordo del nostro paese!»
commentò, ironica.
A quel punto, però, entrò correndo Samir,
chiamando a
gran voce il fratello maggiore e buttandosi tra le sue braccia.
«Rami, Rami!»
«Ciao, campione!» lo salutò quello con
un ampio
sorriso, arruffandogli affettuosamente i capelli. «Cosa hai
fatto
oggi di bello?»
«Oh, non ci crederai mai: Aida mi ha fatto conoscere un
autentico fuoriclasse del beyblade!»
«Ah, sì?» domandò il giovane,
guardando la
sorella che, contrariata, stava ancora rimuginando sulle truffe
macchinate dai cammellieri.
«Sì!» esclamò il bambino.
«Abbiamo
giocato tutto il pomeriggio e mi ha insegnato un sacco di tecniche
fantastiche. Adesso sono certo che batterò tutti i miei
amici!»
«Ah, ah, ah!» rise Rami. «Vedremo.
Comunque, chi
sarebbe questo ragazzo? È un nostro ospite, per
caso?»
«Certo! È Giancarlo Tornatore, il grande blader
italiano» rispose Samir, con entusiasta semplicità.
Nel sentire quel nome, il sorriso sulle labbra di Rami scomparve
lentamente, man mano che gli riaffiorava alla mente il ricordo degli
ospiti arrivati il giorno prima e della conversazione che aveva
accidentalmente ascoltato, realizzando presto che il ragazzo di cui
parlava Samir era lo stesso che aveva alluso alla volontà di
divertirsi con le sue lavoranti. Adirato, il concierge prese subito il
bimbo e lo posò delicatamente in piedi sul pavimento, quindi
si
alzò a sua volta, mentre Aida, allarmata da quel repentino
cambiamento di umore, lo scrutava confusa.
«Samir, scendi in cucina e chiedi a Nadira di servirti la
cena!» ordinò poi il ragazzo, asciutto, puntando
sulla
sorella uno sguardo truce. Quella, però, continuando a non
capire cosa si nascondesse dietro ad un simile atteggiamento,
cominciò a sentirsi inquieta, ma non osò comunque
chiedere spiegazioni, giacché sapeva che Rami non avrebbe
parlato, finché Samir non si fosse allontanato.
«Ma io vorrei mangiare con voi!»
protestò il bimbo, incrociando le braccia con fare ostinato.
«Non insistere e fai come ti dico!» lo
rimproverò,
invece, energicamente l’altro, senza smettere di fissare la
ragazza in modo ostile. «Io devo scambiare qualche parola con
Aida».
«Non è giusto!» sbuffò il
ragazzino,
allontanandosi di malavoglia, e, non appena i due fratelli maggiori
rimasero soli, scoppiò un putiferio.
«Si può sapere cosa ti è
preso?!» domandò la giovane, scrutando Rami
perplessa.
«Ah, hai anche il coraggio di chiederlo?»
sbraitò
lui. «Sapevo che hai sempre la testa tra le nuvole, ma non
credevo fossi così irresponsabile da lasciare Samir nelle
mani
del primo idiota che passa!»
«Rami!» lo richiamò Aida. «Non
urlare,
potrebbero sentirci gli ospiti! E poi, si può sapere cosa
avrei
fatto di tanto tremendo?» aggiunse, indignata per le offese
che
aveva ricevuto.
«Ti sei fatta raggirare da un coglione, ecco cosa
hai
fatto!» continuò imperterrito lui, ignorando il
suo
rimprovero. «Non voglio più vedere te o Samir dare
confidenza a quel pervertito!»
La ragazza aprì la bocca per replicare, ma dovette
richiuderla,
colpita dai pesanti insulti che erano stati pronunciati dal fratello.
«Perché ti stai rivolgendo a Giancarlo in questo
modo? È stato molto gentile e…»
«Ah, lo chiami pure per nome!» incalzò
Rami, ormai davvero infuriato.
Aida, a quel punto, socchiuse gli occhi, profondamente urtata dal suo
atteggiamento irrispettoso, sia verso di lei, sia verso il ragazzo
italiano.
«Certo, visto che ci siamo presentati! Io non sono una
sciocca
come credi: oggi pomeriggio li ho controllati spesso
attraverso la vetrata, mentre erano in giardino e posso dirti che
Giancarlo ha davvero
giocato con Samir, permettendomi di lavorare,
aiutandomi perfino
con il mio prospetto architettonico. Non
è
successo altro!»
Rami, però, scoppiò in una risata arcigna.
«Tesoro, come sei ingenua... Non mi interessa quello che ha
finto
di fare, mi basta quello che ho visto e ho sentito personalmente!
Possibile che tu riesca a capire che non gli interessa un accidente,
né di te, né tanto meno di Samir? Quello
lì ha un
solo scopo: farti diventare la sua concubina africana!»
Dopo tali parole, la ragazza capì che qualsiasi
argomentazione
avesse usato, sarebbe stata inutile, poiché non aveva nulla
da
aggiungere a quanto già espresso; così, si
lasciò
cadere sul divanetto dietro di lei, mentre la sua mente si affollava di
domande.
«Io non voglio venire meno alla promessa che ho fatto a
nostro
padre, pertanto tu e Samir starete lontano da quel playboy da
strapazzo. Fine della storia».
Il giovane pronunciò quest’ultima frase con un
tono
estremamente basso e lento, ma che, nel complesso, risultò
più inquietante e minacciosa che se l’avesse
urlata a gran
voce.
Aida, allora, sospirò, anche se non rispose, limitandosi a
distogliere
lo sguardo dal fratello, che, nel frattempo, la stava scrutando severo,
poiché non trovava giusto essere stata rimproverata in quel
modo. In realtà, sapeva che lui voleva soltanto il suo bene
e
che non le avrebbe mai mentito senza una ragione più che
comprovata, tuttavia, restava il fatto che a lei quel ragazzo, anche se
conosciuto da poco, aveva fatto un’impressione diversa da
quella
che gli aveva proposto Rami: c’era stato qualcosa che
l’aveva spinta a fidarsi,
pertanto continuava ad essere
più che convinta che Giancarlo fosse stato sincero.
Ciononostante, ammise a se stessa che, per fugare ogni dubbio,
l’unica cosa da fare fosse parlarne con il diretto
interessato.
***
«Cosa hai combinato ieri, mentre noi eravamo
fuori?» chiese
Olivier all’amico, mentre scendevano le scale per arrivare
nella
hall prima che Ralf cominciasse l’appello e Claudia si
facesse
venire una crisi di nervi, sia per la mancata presenza del fidanzato
che per la sospettosa assenza del cugino.
«Niente di particolare, ho solo giocato un po’ con
un
bambino, trovando, intanto, l’occasione per rispolverare il
mio
vecchio beyblade» rispose evasivo Gianni. «Mi ha
fatto
piacere, perché era da parecchio tempo che lo portavo in
giro
solo a cambiare aria, poiché, da quando gli Excalibur hanno
preso il nostro posto, non c’è stata
più occasione
per un serio allenamento».
«E quell’aria trasognata deriva solo da un incontro
di bey
con un bambino?» chiese, allora, l’altro,
accigliato,
scrutandolo a fondo.
«Trasognata?» replicò Gianni, piuttosto
vago.
«Oui, mon ami, è da ieri pomeriggio che sembri
essere su un altro pianeta».
«Deve essere solo una tua impressione»
tagliò corto
il biondo, leggermente infastidito da tutte quelle insistenze,
giacché, contrariamente a quello che pensavano in molti, non
amava divulgare le faccende che lo riguardavano troppo da vicino.
Tuttavia, il caso volle che il parigino non dovesse comunque attendere
molto per avere una risposta che soddisfacesse pienamente la sua
curiosità, poiché stavano procedendo entrambi
abbastanza
spediti, quando il ragazzo si arrestò di colpo, senza
preavviso.
«Ed ora, perché ti sei fermato?» chiese
il compagno, sorpreso.
Si trovavano davanti alla doppia porta che separava i due saloni e, non
ottenendo risposta, Olivier si accigliò, per poi voltarsi
verso
l’amico e notare che teneva lo sguardo fisso su qualcosa o,
meglio, su qualcuno. Seguì quindi la traiettoria e scorse
una
ragazza piuttosto minuta ed esile con la pelle color nocciola e una
treccia nera, intenta a servire ad alcuni clienti cappuccini e
croissant, distribuendo cortesi sorrisi e muovendosi con grazia e
precisione; ogni tanto, però, distoglieva la sua attenzione
e
gettava un’occhiata affettuosa ad un bambino seduto accanto
all’altra barista, intento a consumare la colazione latte e
cerali, tenendo il cucchiaio con una mano e la sua console con
l’altra.
«Ecco svelato il mistero!» commentò
Olivier, con un
sorrisetto. «Dovevo immaginare che, oltre ad un petit enfant,
ci
fosse anche una ragazza! Di’ la verità: hai
cercato di
accattivarti la simpatia del bambino per entrare nelle grazie di sua
sorella!» concluse, convinto di aver capito tutto e, di
conseguenza, di aver smascherato l’amico.
Il biondo, allora, lo guardò, manifestandogli il suo
disappunto
con un’espressione talmente disgustata, che quello
sgranò
gli occhi per lo stupore.
Gianni non si era certo aspettato che i suoi amici, che lo avevano
ormai etichettato come un indolente farfallone, comprendessero quanto
si fosse sentito bene con se stesso, addirittura utile a qualcuno,
mentre giocava con Samir; aveva perfino avuto la sensazione di
trovarsi, come mai prima, nel posto giusto.
«In realtà, Samir ci sa davvero fare con il bey,
ha un
buon potenziale e poi Aida doveva lavorare, così mi sono
offerto
di darle una mano» precisò, seriamente irritato da
quelle
insinuazioni.
«Aida? Nome interessante, ma ciò non toglie che tu
abbia
fatto da baby-sitter» notò Olivier, incredulo.
«E,
conoscendoti, non credo tu l’abbia fatto senza un
tornaconto».
«Se la pensi così, non credo tu mi conosca
granché
bene, sai?» si difese il biondo, stizzito per tanta malafede.
Sapeva benissimo di non essere mai stato uno stinco di santo, ma
ciò non voleva significare che ogni suo gesto avesse un
doppio
fine, soprattutto in quel caso.
«Excuse-moi, non volevo
offenderti!»
ribatté
l’amico, cercando di mitigare il tono che aveva usato prima.
«Però, se sai il suo nome, qualcosa vi sarete pur
detti, o
sbaglio?»
«A dire il vero, abbiamo parlato abbastanza a
lungo» ammise
l’altro, tornando a posare istintivamente lo sguardo su Aida.
«E, mentre parlavate, immagino tu abbia trovato parecchie
cose di
cui vantarti, per cercare di impressionarla»
commentò,
allora, Olivier, con una punta di malizia.
Gianni scosse appena la testa, dicendo semplicemente:
«Sarebbe
stato inutile, non credo che quella graziosa fanciulla si lasci
impressionare tanto facilmente».
Durante il loro colloquio, infatti, aveva capito che, per fare una
bella figura con lei, avrebbe dovuto evitare di menzionare proprio tutto
ciò di cui si era sempre vantato per fare colpo su una
ragazza;
anzi, per la prima volta, si era sentito a disagio proprio
perché desiderava fare una buona impressione, ma non aveva i
mezzi per farlo.
Aida non era superficiale e lui era certo che sarebbe rimasta del tutto
indifferente, se non addirittura contrariata, di fronte al suo
millantare le sue ricchezze e la sua bella villa antica che, per altro,
non possedeva per proprio merito, poiché le prime derivavano
dal
lavoro di suo padre e l’altra
dall’eredità del
bisnonno Antonio.
Per quel che riguardava, invece, le sue abilità di seduttore
consumato, quelle rappresentavano decisamente l’ultima cosa
che
avrebbe voluto raccontarle di sé.
«Graziosa?»
«Cosa?» fece il biondo, trasecolato, ridestandosi
dai suoi pensieri.
«Hai detto “quella graziosa
fanciulla”» osservò Olivier, corrugando
leggermente la fronte.
«Ma no, devi esserti sbagliato» fece Gianni,
rendendosi
conto di essersi lasciato scappare senza volerlo
quell’aggettivo
compromettente.
«Oh, no, no, ho sentito benissimo, invece! Ti concedo il
dubbio
che io non ti conosca perfettamente, ma so bene quali apprezzamenti
rivolgi alle belle ragazze e, di certo, non sono così
delicati» insistette il giovane. Poi, dopo qualche secondo di
pausa, batté le mani, come se avesse avuto
un’importante
intuizione ed aggiunse, ridacchiando: «Mon Dieu, ora
sì
che ho capito cosa è successo! Mon ami, tu sei
cotto, anzi,
sei
proprio lesso come une
courgette!»
Nel sentire queste parole, le guance di Giancarlo assunsero il caldo
colore di un bel pomodoro maturo.
«Ah, ah!» fece l’altro, continuando a
ridere, nel
vedere la sua reazione. «Cosa avresti intenzione di fare,
ora?
Dovresti recitarle la tua consueta sceneggiata, magari ne
rimarrà colpita».
«Cosa?!» esclamò il ragazzo, inorridito
alla sola
idea. «Gran bel suggerimento: così perderei per
sempre
l’opportunità di parlarle!»
Olivier stava per aggiungere qualcosa, ma, prima che potesse anche solo
aprir bocca, fu interrotto da una vocina sottile e allegra che irruppe
all’improvviso: «Giancarlo!»
chiamò.
Subito dopo, Samir corse incontro al giovane, il quale, vedendolo,
dimenticò all’istante la discussione con
l’amico e
si abbassò affinché il bimbo potesse saltargli in
braccio.
«Buongiorno, campione! Pronto per la nostra nuova
sfida?»
«Certo, non vedo l’ora!» rispose il
ragazzino,
sorridendo. Poi notando la presenza dell’altro ragazzo, si
voltò verso di lui e, dopo qualche secondo di stupore,
esclamò, ammirato: «Non posso crederci, tu sei
Olivier
Boulanger!»
Di fronte a tanta partecipazione, il giovane non poté non
sorridergli e rivolgergli qualche parola gentile: «Oui, mon
petit
ami. E tu, invece, come ti chiami?»
«Samir. Posso chiederti una cosa? Mi faresti
l’autografo?
Io ho visto tutti i vostri incontri passati, siete stati dei
grandi!»
«Mais
certainement!» gli rispose Olivier.
«Per un fan
tanto affezionato, credo che potremmo procurarci anche
l’autografo di Jurgens e di McGregor, cosa ne dici?»
A tale proposta, le pupille del bimbo si dilatarono per
l’emozione: «L’autografo dei Majestics al
completo?
Sarebbe fantastico!»
«Allora vedremo di fartelo avere prima di partire»
decise
il francese. Poi aggiunse: «Molto bene, Gianni, io vado dagli
altri, credo che abbiano aspettato abbastanza, ma tu raggiungici pure
quando preferisci. Au
revoir, Samir» concluse, allontanandosi
mentre ed esibendo l’ennesimo sorrisetto divertito della
mattinata.
Nel vederlo andar via, il ragazzo sospirò, rassegnato: era
certo
che l’amico avrebbe riferito tutto al resto della comitiva e,
ormai, nulla al mondo avrebbe avuto il potere di sottrarlo alle salaci
battute di McGregor.
«Jamila, hai visto dov’è finito
Samir?»
La ragazza che era con Aida gettò una fugace occhiata alla
solitaria scodellina contenente ancora latte e cerali, notando solo in
quel momento che il commensale e la sua console erano spariti,
così, stava appunto per rispondere negativamente alla
domanda
che le era stata fatta dall’amica, quando vide spuntare il
bambino e si accorse, soprattutto, che non era solo.
«Ah, però, sembra proprio messo bene!»
commentò.
La giovane guardò Jamila con aria interrogativa.
«Cosa?»
«Vorrai dire, chi! Comunque, mi riferivo al ragazzo
incredibilmente carino che ti sta riportando tuo fratello»
spiegò la ragazza. «Stanno chiacchierando
vivacemente,
sembrano in confidenza e, dalle occhiate che ti lancia, pare che
conosca anche te. Sei sicura che non ti sei dimenticata di dirmi
qualcosa?» chiese poi, sorridendole maliziosamente.
Aida, però, la ignorò, poiché, se non
fosse stata
più che certa di essere ancora viva, avrebbe potuto
facilmente
credere di essere andata in arresto cardiaco; infatti, si
voltò
al rallentatore sperando che, per una volta, due più due non
facesse quattro... ma, come è noto, le leggi della
matematica
sono uguali per tutti.
«Buongiorno, Aida» la salutò dolcemente
Gianni, quando fu abbastanza vicino.
«Ehm, sì, ciao» gli ripose
distrattamente lei,
guardandosi intorno e temendo che Rami potesse sbucare
all’improvviso davanti a loro e vedere ciò che non
avrebbe
mai dovuto, mentre il giovane, percependo quell’apparente
freddezza, convertì molto presto il sorriso in
un’espressione delusa.
«Dada, lo sai che ho conosciuto Olivier Boulanger, il blader
francese? Mi ha promesso l’autografo di tutti i Majestics. Ci
pensi? Avrò l’autografo di un’intera
squadra di
campioni!» fece subito dopo il bambino, tenendo le braccia
intorno al collo del biondo, per nulla infastidito da
quell’infantile euforia.
La sorella, allora, smise di cercare con lo sguardo anche il
più
piccolo segno di Rami e guardò severa il fratello minore.
«Samir, ne abbiamo già parlato, non puoi
importunare gli ospiti!» lo rimproverò.
«Glielo abbiamo proposto noi, non ti preoccupare»
replicò, però, pacatamente Giancarlo, con tono
rassicurante, sebbene fosse rimasto davvero male per
l’atteggiamento di lei.
Aida rimase a fissarlo per qualche secondo, incerta su cosa dirgli,
poiché non voleva dare l’impressione di volerlo
cacciare
via, ma, al tempo stesso, sapeva che era necessario che lui si
allontanasse da lì il prima possibile, preferibilmente senza
farsi vedere da suo fratello. Per scusarsi con il giovane e dargli le
dovute spiegazioni, avrebbe certamente trovato un modo in seguito,
tuttavia, la priorità, in quel momento, era evitare che
succedesse qualcosa di tremendamente spiacevole.
Così, la fanciulla aprì appena la bocca per
parlare, per
poi accorgersi che la voce che tuonava in tutta la sala non era affatto
la sua.
«Samir, scendi subito a terra!»
Maledicendo mentalmente quel dannoso tempismo, la giovane chiuse gli
occhi, contò fino a tre e si voltò indietro,
mostrando
uno dei suoi migliori sorrisi.
«Buongiorno, Rami! Dormito bene?»
Il fratello, però, ignorò quella domanda e le si
avvicinò con fare intimidatorio, sbraitandole contro:
«Cosa stai combinando?! Mi ero raccomandato
di…»
«… servire adeguatamente i clienti? Non vedi
quanti ce ne
sono?» fece Aida, con tono eloquente, indicando la sala piena
di
persone e, allo stesso tempo, cercando di evitare che qualcuno si
rendesse conto di cosa stava accadendo.
Rami fece per rispondere, ma, invitato a guardarsi intorno dal gesto di
lei, si bloccò, scrutando attentamente la stanza gremita.
Poi,
però, tornò a rivolgersi alla sorella e, infine,
dardeggiò Gianni con uno sguardo truce.
«Metti giù mio fratello!» gli
ordinò, sibilando come un cobra sul punto di azzannare il
suo nemico.
Il biondo socchiuse gli occhi, incredulo, faticando a credere di avere
avanti lo stesso concierge che li aveva cordialmente accolti il giorno
prima, ma fece quanto gli era stato ordinato.
«Samir, lo scuolabus sta per passare, ti conviene sbrigarti
se
non vuoi perderlo!» continuò l’altro,
sempre
sussurrando, con la sua calma inquietante.
«Uffa, mi interrompi sempre sul più
bello!»
sbuffò il bambino, contrariato, raccattando con malagrazia
lo
zaino e uscendo dalla porta, non senza aver prima baciato la sorella e
salutato con la manina il suo nuovo amico, ovviamente.
Quando il ragazzino ebbe varcato la soglia, anche l’ultimo
residuo di calore sparì e l’atmosfera, che fino a
quel
momento era stata serena, diventò così tesa da
poter
essere tagliata con una lama.
«Tu!» intimò il ragazzo a Gianni,
puntandogli contro
un dito, minaccioso. «Devi venire con me, ed anche
tu»
aggiunse, rivolto alla sorella, «fatti sostituire da Jamila,
perché dobbiamo fare una lunga chiacchierata».
Aida scosse la testa, furibonda all’idea di dover ascoltare
la
lavata di capo che le avrebbe fatto il fratello, perché
sentiva
di non aver fatto niente di male, ma, alla fine, chiamò
comunque
l’amica e le disse qualcosa, per poi tornare al cospetto di
Rami.
A quel punto, lui l’agguantò per un polso senza
troppi
convenevoli e, con un cenno del capo, indicò a Gianni di
seguirlo e il ragazzo non si sottrasse a quello che si preannunciava
come un brutto quarto d’ora.
«Rami, lasciami, mi stai facendo male!»
protestò
Aida, cercando di sottrarre il proprio polso dalla presa
d’acciaio che lo teneva, per poi massaggiarsi lentamente la
parte
martoriata, riservando al fratello uno sguardo ostile.
Lui, però, la scrutò inespressivo, chiudendo la
porta
della saletta in cui aveva condotti, lontano da occhi e orecchie
indiscreti e, quando ebbe fatto, riversò su Gianni
un’occhiata carica di disprezzo.
«Aida, mi hai disubbidito: ti avevo detto di stare lontana da
quest’essere e, soprattutto, di badare che Samir facesse
altrettanto!» si infiammò Rami, diretto contro la
giovane.
«E tu, sciupa femmine da quattro soldi, non devi azzardarti
nemmeno a guardare mia sorella! Se vuoi divertirti, Alessandria
può offrirti alcove e postriboli adatti ad uno come
te»
disse, rivolto al biondo, con tono disgustato.
Gianni serrò la mascella: almeno quella volta, tali parole
così offensive non erano meritate.
«Davvero credi che io consideri tua sorella come un
potenziale
divertimento?» chiese poi, inclinando la testa da una parte e
socchiudendo appena gli occhi.
Rami sorrise beffardo e gli rispose:
«C’è forse da chiederlo? Direi che
è chiaro come il sole».
«Ah, sì? Sentiamo allora, da che cosa lo avresti
dedotto?» domandò il giovane, spavaldo e deciso a
non
dargliela vinta, soprattutto davanti ad Aida.
L’altro, allora, rafforzò ancor di più
il sorriso, ormai divenuto un vero e proprio ghigno mefistofelico.
«Dai disgustosi discorsi che hai fatto appena arrivato
qui»
fece, sicuro delle prove in suo possesso. «Ti ho visto e
sentito
mentre pensavi a quale fosse il metodo migliore per abbordare le nostre
lavoranti!»
Fu allora che il ricordo delle prime ore passate in Egitto si fece
prepotentemente spazio nella mente di Gianni, facendogli capire che, al
contrario di ciò che aveva pensato, al momento
dell’esposizione del suo piano, rivelatosi successivamente
quanto
mai fallimentare, nella hall non c’erano solo lui, sua cugina
ed
il suo amico.
“Dannazione!” si ritrovò a pensare,
mentre le punte
delle orecchie prendevano fuoco. “Sono stato uno
maledettissimo e
superficialissimo cretino”.
«Rami, finiscila!» esclamò
all’improvviso
Aida. «Ti stai rendendo ridicolo, piantala con questa
scenata!» lo rimproverò, mostrandosi molto decisa.
«Aspetta, sorellina cara... Il meglio deve ancora venire, non
ho
finito, sai? Tornatore, perché non racconti ad Aida delle
piacevoli conoscenze che hai fatto in sala massaggi? Devo mandarle a
chiamare, o te le ricordi da solo? Però, credo di doverti
rendere merito, casanova da strapazzo, che oltre alle parole, passi
anche ai fatti. O avresti anche il coraggio di negarlo?»
In quel momento, Gianni avrebbe davvero voluto discolparsi e dire alla
ragazza che quella era tutta un’orribile menzogna messa in
scena
a suo danno, ma sapeva che sarebbe stata una bugia e mentire non
rientrava affatto nei suoi progetti per provare a cambiare in meglio.
Perciò, non gli restava che un’unica scelta: dire
la
verità,
anche se questo avrebbe pregiudicato per sempre la
considerazione che Aida aveva di lui.
Così, dopo quelli che gli sembrarono interminabili secondi
di
dolorosa agonia, scandì, con voce chiara: «No, non
lo
nego».
A quel punto, ottenuta la confessione che desiderava, Rami
ghignò di cinica soddisfazione.
«Ah-ha!» esultò, trionfante,
riafferrando la sorella
e mettendogliela davanti. «Ne ero certo. Ammettilo che non
vedi
l’ora di metterle le mani addosso! Non è forse
vero che
stai sbavando al solo pensiero di poter assaggiare le ragazze
d’Africa, depravato che non sei altro?»
Quello che, però, desiderò ardentemente Gianni,
in quel
preciso istante, fu sprofondare nelle viscere della Terra e rimanervi
per un bel po’, ma il pavimento dimostrò scarsa
collaborazione e rimase bello integro e liscio. Così, il
ragazzo
abbassò lo sguardo, non osando guardare la fanciulla negli
occhi, giacché temeva che lei gli avrebbe rivolto solo
un’occhiata disgustata.
In quel momento si rese conto di aver fatto la conoscenza della signora
Vergogna e della signora Umiliazione, trovandole brutte e ripugnanti.
Non come la bella signora Solitudine di cui cantava Morandi!
Invece Aida, dal canto suo, aveva cominciato a fissare il soffitto e,
dipinta sul volto, aveva una smorfia che tradiva un’enorme
irritazione.
«Rami, basta. Hai capito? Basta!»
sbottò, infine,
mostrando dignità ed intelligenza, per nulla intenzionata a
prendere parte ai teatrini inscenati dal fratello. «Giancarlo
ha
fatto compagnia a Samir e lo ha trattato come il bambino di otto anni
che è. Per quanto mi riguarda, ha solamente dato un
giudizio
sul
mio prospetto, aiutandomi a correggerlo. Se poi vuole divertirsi,
è libero di farlo, non devi essere tu a decidere, e se
quelle
due che hai assunto ci stanno, problemi loro. Punto. Ora, scusatemi, ma
ho molto lavoro da sbrigare».
Poi, si liberò dalla sua morsa con uno strattone ed
uscì
rapidamente dalla sala, senza rivolgere a Gianni nemmeno
l’ombra
di un’occhiata e ciò fece parecchio male al
ragazzo, che
non sapeva davvero quale fosse il male minore tra il disgusto e l’indifferenza di lei.
Tale comportamento, però, indispettì
all’inverosimile Rami che, ormai, fumava dalla rabbia,
ritenendo
che sua sorella avrebbe dovuto essere più incisiva. A quel
punto, si voltò verso il biondo e gli sibilò a
denti
stretti: «Ringrazia che domani te ne andrai, altrimenti non
te
l’avrei fatta passare liscia!»
Dopo quell’ennesimo insulto, Gianni fissò a lungo
il
concierge, passando velocemente in rassegna i modi più
crudeli
con cui fargliela pagare: tanto per cominciare, avrebbe potuto
minacciare di sguinzagliargli contro metà degli avvocati
più esperti di Roma, querelandolo per calunnia e poi
trascinandolo in tribunale. Tuttavia, dopo un’analisi
più
attenta della sua situazione, decise di non farlo, poiché
quella
sarebbe stata la tipica mossa di uno stupido ragazzino viziato che
vuole averla vinta a tutti i costi, pur sapendo di non essere
esattamente dalla parte della ragione, come lui non voleva
più
essere. Pertanto, alla fine, decise di resistere alla tentazione di
fare fuoco e fiamme, nonostante il suo orgoglio fosse stato seriamente
ferito e, per natura, avesse un carattere piuttosto vendicativo.
«Buona giornata, signor al-Nassar» si
congedò subito
dopo, dandogli le spalle e uscendo dalla stanza, lasciandolo a
schiumare di rabbia in solitudine.
La nuova vita di Giancarlo Tornatore era iniziata e presto avrebbe
dimostrato quanto la sua volontà potesse essere forte.
L’unica cosa di sui si rammaricava era l’aver
procurato,
anche se indirettamente, una sofferenza inutile ad Aida. Nel corso
della lite, infatti, sia lui che Rami avevano parlato di lei in terza
persona nonostante fosse lì presente, come se stessero
discutendo di un oggetto.
La ragazza se ne era accorta e la sua
espressione che aveva sul volto quando era uscita aveva lasciato
inendere che, certamente, non le aveva fatto piacere.
Allora, il giovane sentì l’impellente bisogno di
tirarsi
uno schiaffo sul volto, cosicché il dolore fisico potesse
distrarlo da quello morale, molto più profondo e nauseante:
la
pelle chiara si chiazzò immediatamente di rosso, ma non fu
certo
quella a provocargli il violento bruciore che sentiva
all’altezza
del petto.
Di sicuro, se suo padre fosse stato al corrente di tutto, lo avrebbe
guardato con aria di sufficienza, per nulla sorpreso, poiché
era
avvezzo ai fallimenti del figlio, tanto che ormai non si sprecava
nemmeno ad essere originale nei rimproveri e Gianni sentì
quasi
la voce profonda e beffarda di Marcello cantilenargli il solito e
odiato proverbio.
“Chi
è causa del suo male, pianga se
stesso”.
Il ragazzo fece una smorfia, pensando come, in certe occasioni, la
saggezza popolare potesse rasentare il puro sadismo.
***
Sei paia d’occhi, disposti intorno ad un tavolo, lo
guardarono
divertiti, mentre lui, piuttosto imbarazzato, evitava quelli sguardi
insistenti con fare scocciato.
«Cosa avete da guardare?» chiese, irritato.
«Niente di particolare, è che stentiamo ancora a
prendere
per vero quello che ci ha raccontato Olivier» rispose per
tutti
Claudia, mettendo a posto la carta dei vini, giacché aveva
appena finito di prendere accordi con il maître e
il
sommelier
circa le bottiglie da abbinare alle portate che avevano ordinato. Poi,
sollevò lo sguardo sul cugino e gli riservò
un’occhiata talmente sinistra che avrebbe fatto rabbrividire
chiunque. Tuttavia, Gianni la conosceva bene ed era così
furibondo per l’indelicatezza che gli aveva riservato il suo
amico, che non si scompose minimamente: Radio Vive la France
aveva
adempiuto al suo dovere ed ora lui doveva pagarne le conseguenze.
«Grazie tante, mon
ami» fece, lanciando
un’occhiata piuttosto velenosa ad Olivier.
Quello, però, strinse le spalle e scosse la testa, come a
voler
sminuire la gravità della cosa, nonostante Gianni non fosse
dello stesso parere, poiché non trovava affatto corretto che
l’intera comitiva fosse stata messa a conoscenza
degli intrecci
che correvano tra lui, Aida e il severo fratello di lei. Inoltre, era
consapevole anche che ciò che non avevano potuto sapere per vie dirette, lo
avevano aggiunto lavorando di fantasia, come si fa di solito quando si
creano i migliori pettegolezzi e l’aver atteso che fossero
tutti
riuniti nel famoso e prestigioso Pointe
Bleu aveva garantito ad ognuno
l’opportunità di dire la sua in merito, standosene
comodamente seduto davanti a leccornie di ogni tipo e approfittando
della lussuosa ospitalità di cui stavano godendo in quel
momento. Infatti, lo chef che gestiva il ristorante, tale Jacques
Dupont, era un amico di vecchia data del blader francese ed era stato
sufficiente sussurrare il nome Boulanger, che la lista
d’attesa,
fitta di prenotazioni fino all’autunno successivo, si era
miracolosamente ridotta.
Fra tutti, Andrew, alla luce delle nuove rivelazioni, aveva assunto una
perenne aria di scherno che non accennava a voler abbandonare.
«Ah, ah, that’s
so incredible, avrei pagato per
poter
assistere a quello spettacolo in prima persona!»
sghignazzò, rumorosamente.
«Io, invece, trovo che sia eine gute Sache»
affermò
Ralf, con la sua solita calma, prendendo in mano il suo calice.
«Sarà un buona occasione per temprare la tua
indole
così… passionale».
Nel sentire le sue parole, Christine e Mary Anne ridacchiarono, ma,
almeno, ebbero il buon cuore di farlo con discrezione.
«Da quando in qua fai dello spirito,
Herr-se-cade-il-mondo-io-mi-sposto-Jurgens?» si
risentì il giovane, scrutando il suo amico con severità.
«A dire il vero, non stavo facendo dello spirito»
rispose pronto quello.
«Be’, era ora che qualcuno mettesse un freno a
questo tuo
continuo importunare giovani e affascinanti fanciulle!» sin
intromise nuovamente Andrew, sempre ridendo di gusto.
«Se non vado errato, non sono io quello che stava per essere
denunciato per stalking, o sbaglio, Andrew?» notò,
allora,
Gianni, piccato.
A quella risposta, lo scozzese si ricompose, giacché non
aveva
dimenticato le prime conseguenze della sua corte spietata a Mary Anne,
aggiustandosi il colletto e bofonchiando: «Io, almeno, ho
riportato qualche risultato».
«Suvvia! Io propongo di non dare giudizi e di stare a vedere
come
si evolveranno le cose, piuttosto. D’altra parte, Aegyptus
captus
ferum vicitorem cepit3»
si intromise Olivier,
provocando la comparsa di una ruga sottile sulla fronte di Claudia che, nonostante non avesse
aperto
bocca per tutto il tempo, con la sua espressione oltraggiata aveva
lasciato trapelare perfettamente quanto fosse urtata da quella
conversazione.
A quel punto, Gianni li guardò uno per uno con
un’espressione indecifrabile.
«Avanti, forza! Qualcun altro vuole aggiungere qualcosa? Sono
in
vena di sentire altri consigli, stasera» chiese, infine, con
marcato sarcasmo.
«Spero che questo tuo diversivo duri il meno
possibile»
parlò finalmente Claudia, con estrema freddezza.
«Altrimenti, qualcuno potrebbe cominciare a pensare che ci
sia
sotto qualcosa di serio, non trovi?»
I due cugini si scambiarono un’occhiata gelida e, dopo
qualche
istante, il giovane afferrò il tovagliolo, poggiato accanto
al
suo braccio, e lo scagliò verso il centro del tavolo.
«Adesso basta, mi avete seccato! Trovatevi un altro diversivo
per
passare la serata!» esclamò, per poi alzarsi e
dirigersi
verso l’ingresso, evitando con destrezza tutto lo sciame del
personale di sala impegnato nel servizio, sparendo
all’interno
della fila di persone che sostavano all’ingresso in attesa
che si
liberasse un tavolo.
“Questa è una faccenda che riguarda solo
me!” si
ritrovò a pensare Gianni, furibondo per come era stato
trattato
dai suoi compagni, mentre usciva sul trafficatissimo lungomare
sfavillante di luci nella fresca notte alessandrina.
Poi, all’improvviso, si fermò, con la testa china
e le
mani piantate sui fianchi, incerto sul da farsi, cercando di
riappropriarsi del proprio autocontrollo: la partenza da Alessandria
era stata fissata per il giorno dopo e aveva già perso
abbastanza tempo, pertanto, se voleva davvero parlare con Aida, doveva
agire in fretta e scrollarsi di dosso la sua indolenza.
Pian piano, la rabbia sbollì ed il giovane
ritrovò un
certo grado di lucidità, tanto che ebbe la giusta
ispirazione e
capì, finalmente, che avrebbe fatto tutto il possibile per
parlare con lei, con o senza l’approvazione di suo fratello.
L’abbondanza di taxi che passavanolungo la strada in entrambi
i
sensi di marcia, invece, gli suggerì come avrebbe fatto a
tornare indietro, quindi, senza stare troppo a pensarci, si
avvicinò al bordo del marciapiede e, poggiando appena due
dita
sulle labbra, fischiò per richiamarne uno.
In meno di un’ora, fu di ritorno in albergo e, una volta
entrato
nella hall, stranamente deserta, scorse il solito grande specchio,
pronto per fargli nuovamente compagnia e offrirgli
l’occasione
per un nuovo confronto con il giudice che temeva più di
tutti:
se stesso.
Subito si avvicinò all’enorme lastra di vetro e
scoccò un’occhiata commiserevole alla sua
immagine,
poiché, costretto in quei vestiti, sentiva di assomigliare
ad un
pezzo di gesso e faticava persino a respirare.
Qualche secondo dopo, però, quasi incoscientemente si
portò una mano al collo e cominciò ad allentare
il nodo
della cravatta, prima piano, poi con sempre più forza,
finché non se la sfilò del tutto; a quel punto,
si
aprì i primi due bottoni della camicia bianca e quelli dei
polsini, rendendosi conto che, così, andava decisamente
meglio,
inspirando a fondo e godendosi l’aria fresca che gli entrava
nei
polmoni.
Tuttavia, c’era ancora qualcosa che non lo soddisfaceva,
quindi
si passò più volte una mano tra i capelli,
facendo
assumere loro all’istante la solita piega ribelle. Allora,
arrotolò la cravatta e se la mise in tasca, riprendo poi a
guardarsi e accorgendosi che il suo riflesso lo stava invitando ad un
nuovo confronto.
“Chi
non muore, si rivede. Non vuoi più mettermi a
tacere, adesso?”
«Se proprio vuoi saperlo, sono stato uno stupido a farlo e me
ne pento».
“Be’,
meglio tardi che mai! Comunque, cosa aspetti
ad andarla a cercare?”
«E se non volesse ascoltarmi?»
“Ne
avrebbe tutte le ragioni, ma devi tentare, non puoi
arrenderti alle prime difficoltà!”
«Più che difficile, lo trovo doloroso. Non potrei
sopportare il suo disprezzo».
“Ah,
be’, se vuoi startene lì a leccarti
le ferite
senza fare alcun che e aspettando la compassione di qualcuno,
accomodati pure. D’altronde, ultimamente non hai fatto altro
che
rinunciare. Per inciso, con ultimamente intendo gli ultimi diciassette
anni”.
«Rinunciare a lei? Mai, è troppo…
importante, mi sta facendo capire tante cose».
“Allora
cosa stai aspettando? Non hai tutta la notte a
disposizione!”
«Sì, ma gli altri… suo
fratello...»
“Gli
altri non c’entrano, sono tutte scuse. Non
trovi che sia arrivata l’ora di decidere in
autonomia?”
«Già, penso proprio di sì. In fondo,
sono io che devo decidere cosa fare della mia vita».
“Ottima
risposta! Tuo nonno ne sarebbe fiero”.
Giancarlo, a quel punto, vide il suo riflesso che gli sorrideva
compiaciuto. Più rinfrancato nello spirito rispetto a quando
era
arrivato, avvertì crescere in lui una sicurezza del tutto
diversa dalla consueta spavalderia, poiché, questa volta,
sapeva
davvero cosa voleva: trovare Aida e chiarirsi con lei.
Già, ma dov’era la ragazza?
Proprio in quel momento, come se il fato volesse premiare i suoi sforzi
e dargli una mano, di punto in bianco udì un indistinto
chiacchiericcio proveniente dalle sale situate oltre l’atrio
in
cui si trovava in quel momento. Così, tese
l’orecchio e si
mise in ascolto con maggiore attenzione, distinguendo due voci diverse,
delle quali una era quella che gli interessava: la sua.
Oltre l’ampia vetrata che chiudeva la sala da un lato, si
vedevano chiaramente ad intervalli irregolari alcune deboli lucine che
si perdevano nel blu della notte, segno che le lampare dei pescatori
erano uscite in mare aperto, come accadeva ogni giorno al calar della
sera.
La saletta, con vista sul golfo di Alessandria, era stata quasi
interamente riordinata: mancavano solo i cuscini dei divanetti e poi,
finalmente, Aida e Jamila avrebbero potuto concludere la loro giornata
lavorativa, mentre, poco distante, Samir già sonnecchiava
placidamente su uno dei divani neri dell’angolo bar.
«Ah, che stanchezza, certi giorni c’è
davvero troppo
da fare!» commentò Jamila, sbadigliando, mentre si
stiracchiava.
«Eh» sospirò Aida, assente,
sprimacciando, con un
gesto automatico, lo stesso cuscino da almeno mezz’ora.
«Dovremmo proprio uscire ed andare a divertirci!»
continuò l’altra.
«Sì».
«Mi hanno detto che hanno aperto un nuovo locale, poco
lontano da
qui» le propose l’amica, con energia.
«Per una volta
che non c’è Rami a sindacare sull’orario
del
coprifuoco, potremmo rientrare con più calma».
Era più alta di Aida di parecchi centimetri, aveva i capelli
più corti, le forme decisamente più abbondanti e,
certamente, anche qualche annetto in più.
«Potremmo...» mormorò, in risposta.
Jamila, allora, fissò la sua futura cognata e
alzò un
sopracciglio, buttando sul divano l’ultimo cuscino e
incrociando
le braccia sul petto.
«Aida?»
«Sì?»
«Tu non mi stai ascoltando».
«Come no?» protestò la ragazza, senza la
benché minima enfasi. «Ho sentito tutto quello che
hai
detto».
Tuttavia, Jamila la guardò, ironica:
«Sì, certo.
Perché non ammetti, piuttosto, che non hai ascoltato una
parola,
perché stai pensando ancora a quel ragazzo?»
A tale affermazione, la fanciulla trasalì.
«Cosa? No, è che…»
«Guarda che non c’è niente di male! Per
essere
carino, è carino e, per quanto riguarda la storia delle
vipere
del Sahara, credo tu sappia come la penso: strusciarsi e avvinghiarsi
ai bei ragazzi è la loro specialità. Anzi, mi
meraviglio
che Rami non abbia ancora preso provvedimenti. Altro che massaggio
shiatzu e
fesserie varie, se mai mi capiteranno sotto mano, saranno
loro ad avere bisogno di un bel trattamento, riabilitativo,
però!»
«Non so davvero che cosa pensare, Jamila»
replicò
stancamente Aida, sedendosi su un pouf color tamarindo, accanto ad uno
dei tavolinetti bassi. «Quando abbiamo parlato, è
stato
così gentile, non mi è sembrato che
volesse...»
iniziò, ma senza concludere la frase.
«Cercare una scusa per portarti a letto?»
completò l’altra, con estrema disinvoltura.
Allora, la fanciulla, leggermente imbarazzata, prese a lisciarsi,
assorta, la lunga treccia nera, ma, alla fine, si limitò a
sospirare: «Già. Però non riesco
proprio a credere
che stesse fingendo».
«A quanto pare, Samir lo adora e sai che il tuo fratellino
è fin troppo intelligente per farsi raggirare»
notò
l’amica, prendendo posto sull’altro pouf, disposto
davanti
a lei.
«Questo è vero. Eppure, Rami mi è parso
così furioso…»
«Io ho visto come ti guardava quel biondino stamattina, Dada.
Come se fossi chissà quale miracolo» concluse
Jamila,
sognante.
Tale osservazione ebbe il potere di strappare un sorriso ad Aida, che
replicò: «Sai, dovresti smetterla di leggerti
tutti quei
romanzi, la vita non è così semplice».
«Be’, non esistono solo i saggi barbosi di
architettura e
archeologia che leggi tu. Saranno pure storie inventate, ma le cose
accadono comunque, prima o poi» sostenne, invece,
l’altra,
convinta. «Sai bene che, quando ho deciso di stare con Rami,
non
è stato tutto rose e fiori, ma, nonostante tutto, sono
ancora
qui».
Aida spostò lo sguardo verso la veduta sul golfo: suo
fratello e
la sua ragazza ne avevano passate davvero tante prima di poter stare
insieme. Molte non si erano nemmeno risolte come speravano e gli
stralci della complicata situazione sortivano ancora numerosi effetti
sulla vita di Jamila: da quanto tempo non vedeva i suoi? Due anni? O,
forse, erano tre? Non lo ricordava di preciso.
«E cosa dovrei fare, secondo te?» le chiese,
allora, sinceramente interessata al suo parere.
«Dargli una piccola possibilità, parlare con lui
ed
esigere che ti dica la verità. Solo così potrai
decidere
che cosa fare» sentenziò quella con decisione.
Aida scosse appena la testa, poiché dubitava seriamente che
quella possibilità potesse avverarsi realmente, soprattutto
dopo
il grottesco teatrino a cui aveva dato vita suo fratello quella stessa
mattina.
«Le offese di Rami sono state pesanti, non penso che lui
voglia
perdere ancora tempo con me» osservò, ben decisa a
rimanere coi piedi per terra e a non lasciarsi contagiare
dall’entusiasmo dell’amica.
«Ne sei proprio sicura? Io penso, invece, che lui a te tenga
davvero tanto».
«Come puoi dirlo?»
«Guarda tu stessa!» rispose Jamila, indicando con
un cenno del capo qualcuno davanti a sé.
Aida la scrutò aggrottando la fronte, poi,
all’improvviso,
capì, voltandosi lentamente verso la direzione che le era
stata
indicata e, finalmente, lo vide anche lei: il ragazzo era
lì, in
piedi all’ingresso della sala, con le mani in tasca. La stava
osservando con la testa leggermente inclinata da un lato e
un’espressione dolcemente malinconica sul volto, ma non
sembrava
troppo abbattuto, né tanto meno arrabbiato, e ciò
le fece
sperare che, nonostante il putiferio che aveva scatenato Rami, non
provasse risentimento verso di lei.
«Giancarlo!» esclamò, alzandosi di
scatto, incapace di trattenere la sorpresa.
Lui incurvò appena le labbra e la salutò con un
elegante inchino del capo: «Ciao, Aida».
Jamila, allora, decise di sfruttare la situazione per studiarlo meglio,
rimanendo soddisfatta di quello che vide; quindi, si girò
verso
l’amica per dirle qualcosa, ma non ci riuscì,
trovandola
molto presa dal nuovo visitatore. Subito, spostò lo sguardo
su
di lui, vedendo la stessa espressione, e capì istintivamente
che
quei due si trovavano in un momento di reciproca, mistica
contemplazione.
«Allora, Dada, non mi presenti?» si intromise,
lanciando all’altra uno sguardo eloquente.
«Ah, sì certo» farfugliò
Aida, sbattendo le
palpebre e ritornando bruscamente alla realtà.
«Giancarlo,
ti presento Jamila, una mia cara amica. Jamila, questo è
Giancarlo Tornatore, membro italiano della squadra europea e campione
di beyblade».
«Più che altro, ex-praticante» la
corresse il
giovane. «Ormai è solo una vecchia passione, i
veri
campioni sono altri».
«A sentire Samir non sembrerebbe... comunque,
piacere!»
fece Jamila, sorridente, stringendogli la mano. «Tu devi
essere
la vittima contro cui Rami ha continuato a borbottare fino al
pomeriggio, ma non preoccuparti... abbaia, ma non morde».
«Su questo avrei i miei dubbi» si lasciò
scappare
lui, soprappensiero, dopo aver appreso quanto fosse forte
l’astio
che il concierge covasse nei suoi confronti.
«Ah, ah, come sei simpatico! Lo so, il mio fidanzato non ha
un
carattere semplice, ma, in fondo, è buono»
commentò
allegra la ragazza. «Be’, lieta di averti
conosciuto,
comunque! Sarà il caso che recuperi la mia borsa e vada,
adesso,
stavo proprio dicendo ad Aida che sono stanca morta».
La fanciulla guardò l’amica stranita, dato che, in
realtà, aveva appena finito di dire l’esatto
contrario,
esprimendo il desiderio di andare per locali e dopo aver preso la sua
pochette, Jamila si avvicinò a lei quel tanto che bastava
per
essere sicura che fosse l’unica a sentire quello che le
avrebbe
sussurrato.
«Visto da vicino, è ancora più carino e
stasera,
tra la giacca nera e la camicia bianca, è assolutamente da
capogiro. Su, bella, datti da fare!»
A tali parole, la fanciulla, che ancora non si era del tutto ripresa da
quella visita inattesa, spalancò gli occhi e
boccheggiò a
vuoto, imbarazzata: «C-Cosa dici, Jamila!»
balbettò.
«Perché, scusa? Preferisci forse quella mummia
stantia di Mohammed?»
«Certo che no, cosa vai a pensare!»
«Allora rifatti un po’ gli occhietti e comportati
da persona intelligente. Almeno senti cosa ha da dirti».
Aida fece per replicare, ma non lo fece, soffermandosi a pensare su
quanto aveva appena udito, poiché sapeva che Jamila aveva
ragione: l’espressione grave di Giancarlo, infatti, lasciava
intendere che doveva dirle qualcosa di molto serio e, dal canto suo,
era piuttosto curiosa di sapere di cosa si trattasse.
«E non preoccuparti di Rami: con lui me la vedo io»
terminò, intanto, l’altra, strizzandole
l’occhio.
Poi, improvvisamente, alzò il tono di voce. «A
Samir ci
pensi tu, vero? Bene, bene, buona serata, cari!»
Quindi, fece un ultimo cenno di saluto all’amica e al giovane
e
si allontanò, affinché i due avessero,
finalmente,
l’occasione di restare soli.
A quel punto, Giancarlo, tenendo ancora una mano in tasca e lisciandosi
il mento con l’altra, aveva assunto un’aria
meditabonda,
nel tentativo di trovare le parole più adatte per iniziare
il
suo discorso.
«Delusa?» chiese, osservandola attentamente.
Aida, sorridendo leggermente, negò, poi si diresse verso
Samir e
si sedette vicino a lui, cominciando ad accarezzarlo dolcemente sulla
testa.
«Non proprio, direi più sorpresa,
perché non
pensavo che fossi il tipo che cade vittima dei giochetti di quelle
approfittatrici».
Gianni si prese due secondi per riflettere su quanto lei gli aveva
appena rivelato, poi domandò: «Mi stai forse
dicendo che
era tutto programmato?»
«Più o meno, sì» rispose lei,
sollevando lo
sguardo verso di lui. «Lavoro a stretto contatto con quelle
due
da circa un anno e mezzo, perciò ormai so come si comportano
ed
è sempre la medesima storia».
A quel punto, il giovane increspò le labbra, trattenendosi a
stento dallo schiaffeggiarsi da solo per la seconda volta
nell’arco della giornata.
«Allora, concorderai con me su quanto sono stato
idiota».
«Non più di tanti altri, in
realtà»
considerò lei, alzando le spalle e sorridendogli divertita.
«Dai, non stare lì, vieni, accomodati
pure» lo
esortò poi, invitandolo a sedersi accanto a lei. Lui,
però, prima di accettare, si gettò una rapida
occhiata
alle spalle, guardingo.
«Non preoccuparti, Rami non c’è.
È andato a
sbrigare alcuni affari a Il Cairo e non sarà qui prima di
domani
mattina» lo informò lei.
«In questo caso, non credo di correre rischi»
commentò il biondo, prendendo posto ad un’adeguata
distanza dalla giovane.
«Prima di andarsene, però, ha ordinato a Jamila di
accertarsi che ti stessimo lontano...»
A queste parole, Gianni si irrigidì, temendo per un attimo
che
la fanciulla aggiungesse che condivideva quel punto di vista; tuttavia,
le parole che seguirono furono abbastanza rassicuranti.
«... ma, come hai visto, lei si fida di te, quindi non ci
sono
problemi» finì, infatti, la ragazza e, poco dopo,
sui due
calò un silenzio piuttosto imbarazzante.
«Io…» cominciarono entrambi dopo qualche
secondo,
bloccandosi subito dopo, ma i sorrisi che comparvero sui loro volti li
aiutarono a far diminuire la tensione.
«Vuoi iniziare prima tu?» chiese educatamente la
fanciulla.
«Non so, io avrei molte cose da dirti e potrei impiegare
diverso
tempo, perché non sono mai stato bravo nella
sintesi»
replicò lui, piuttosto imbarazzato, torturandosi
nervosamente le
ciocche di capelli che gli ricadevano sulla nuca.
«Va bene, allora. Comincerò io» fece la
ragazza,
accennando un sorriso. «Ecco, quello che volevo dirti
è
soltanto che mi dispiace per oggi. D’altra parte,
però, mi
piacerebbe che anche tu provassi a capire Rami: da quando nostro padre
è in carcere, sente su di sé tutte le
responsabilità della famiglia».
Per stare più comodo, Gianni si sistemò meglio
sul
divano, ascoltando attentamente Aida, incantato dal suo modo di parlare
e raccontare.
«Nostra madre se ne è andata di casa due mesi dopo
la
nascita di Samir e, nel giro di qualche settimana, a causa di un
malinteso, nostro padre è stato arrestato. Rami,
all’epoca, aveva solo diciotto anni ed era poco
più di un
ragazzino, così, Maria e Franco, i due vicini di cui ti ho
parlato, ci hanno accolto tutti e tre in casa loro, crescendoci come se
fossimo stati loro nipoti» continuò a raccontare
la
ragazza, riprendendo ad accarezzare il fratellino.
«Crescere senza genitori non deve essere stato facile, per
nessuno di voi» osservò il biondo, sorpreso da una
tale
rivelazione.
«No, per niente. Sai, i miei sono due giornalisti»
spiegò lei. «Papà si è
incaponito a portare
avanti inchieste scomode, voleva il grande servizio della sua vita, ma
si è messo nei guai e, adesso, è nel carcere di
Addis
Abbeba».
«Ma... non è la capitale etiope?»
domandò il suo interlocutore, perplesso, aggrottando la
fronte.
«Sì, mio padre è egiziano, ma mia madre
era…
è etiope. Ti ho già detto che da piccoli abbiamo
vissuto
ad Harar».
«Ah, già, è vero. E
dov’è,
adesso?» chiese, allora, Gianni, che cominciava ad avere un
quadro molto più chiaro dell’intera faccenda, e
iniziava a
capire meglio perché il modo di fare di Aida fosse
così
europeizzato
e perché la pelle della giovane fosse di
qualche
nota più scura, rispetto alla tonalità propria
del popolo
egiziano.
A quel punto, la ragazza smise di accarezzare Samir e, lasciando
trapelare un grande risentimento, alzò lo sguardo e lo
puntò negli occhi blu di lui.
«Mia madre? In California con il suo nuovo marito, un ricco
industriale statunitense. Ce l’ha fatta, sai? È
diventata
una giornalista affermata, riuscendo a realizzare la sua massima
aspirazione, perché prima, per lei, noi figli eravamo
soltanto
un peso, un ostacolo alla sua carriera. Si è ricordata di
noi
solo due anni fa, chiedendoci se, per
caso, avevamo voglia di
trasferirci da lei. E noi, per
caso, le abbiamo risposto che stiamo
bene qui».
Man mano che parlava, Aida aveva assunto un’espressione dura
e arrabbiata, ma anche sofferente.
Il ragazzo, a quel punto, rimase in silenzio, ritenendo che non ci
fosse nulla da aggiungere, visto che, in una situazione del genere,
qualunque cosa sarebbe suonata inopportuna. Tuttavia, alla luce di
quanto udito, il mosaico, finalmente, era quasi terminato e anche la
reazione di Rami stava acquistando un significato più
comprensibile.
«Quindi» riprese Aida, «è per
questo che ti
chiedo di scusare mio fratello. È molto protettivo nei
nostri
confronti, anche se non avrebbe dovuto comunque autorizzarlo a dirti
tutte quelle cose».
«No, non ti scusare, Rami fa bene ad andarci cauto»
mormorò il giovane, pensieroso. «Ha reagito in
maniera
legittima».
«Avrebbe potuto farlo in maniera meno aggressiva,
però» ribatté con convinzione la
fanciulla.
«Ti ha trattato come se fossi l’essere
più
spregevole della Terra!»
«Non si è poi sbagliato di molto»
considerò
il biondo, chinando il capo, mentre Aida assumeva
un’espressione
accigliata.
“Devo essere sincero, almeno con lei” disse, tra
sé e sé.
Poi, alzò piano la testa e vide la giovane che lo fissava,
ma,
contrariamente a quanto si aspettava, senza tradire alcun genere di
ribrezzo, anzi, era più che altro incuriosita.
«Credo sia arrivato il mio turno di raccontare e parlare un
po’ di me, adesso. Non ho avuto il coraggio di dirti tutto
quando
ci siamo conosciuti, perché...»
Gianni fece una pausa, mentre le sue guance assumevano
un’ombra
scarlatta, anche se non smise comunque di guardare Aida negli occhi,
«... non c’è niente di incredibile o
meraviglioso da
dire. Io non sono un’icona di rettitudine come Rami. Sei
sicura
di voler conoscere chi sono davvero?»
«Sì» sussurrò la ragazza,
annuendo; poi, si
accoccolò contro lo schienale imbottito del divano e
raccolse le
gambe da una parte, appoggiando la guancia su una mano aperta, pronta
per l’ascolto.
«Non sarà una bella favola» aggiunse il
giovane, amareggiato.
«A volte, bisogna essere disposti a farsi raccontare anche
storie
reali» replicò Aida, con tono incoraggiante.
A quel punto, Gianni fece un respiro profondo: le parlò di
ogni
cosa che avesse caratterizzato la sua esistenza in passato, a
cominciare dal suo amore per la bella vita e per le belle donne, fino
al fallimento in università e al senso di
inferiorità che
avvertiva nei confronti dei suoi compagni di squadra, accennando
perfino alle occhiate angustiate che gli rivolgeva suo padre e ai
sospiri di sua madre.
Le sue gote si imporporarono ogni volta che citò un episodio
del
quale si vergognava maggiormente, come, ad esempio, quando aveva
iniziato una tresca con la personal trainer solo per vincere una
scommessa che aveva fatto con Massimo Colonna.
La ragazza, però, rimase tutto il tempo ad ascoltarlo in
silenzio, rispettando le sue pause ed evitando inutili commenti o
giudizi sommari, poiché sapeva che, per lui, non doveva
essere
semplice affrontare argomenti così scottanti; inoltre, aveva
compreso che aveva riposto in lei una grande fiducia, rendendola
partecipe delle sue sconfitte e confessandole i suoi errori.
Gianni le riferì anche di come fossero andate effettivamente
le
cose con le due massaggiatrici, spiegandole che non era andato oltre il
fare il cascamorto con loro, e di come, al contrario, fosse rimasto,
invece, profondamente colpito da lei e dal suo atteggiamento,
così affettuoso, nei confronti dei due fratelli.
Nell’udire l’ultima parte, l’espressione
di Aida si
ingentilì parecchio, ma il ragazzo non ebbe modo di
accorgersene, impegnato com’era a vergognarsi di quanto stava
ammettendo, giacché si era spogliato delle sue maschere,
consentendo finalmente a qualcuno di vederlo per ciò che era
in
realtà: ammettere a voce alta tutto quello che non andava
nella
sua vita gli era costato molto, eppure, dopo averlo fatto, ebbe
l’impressione di sentirsi meglio. Prima di allora, non aveva
mai
creduto possibile che la confessione delle sue colpe e
l’ammenda
delle sue scelleratezze potessero apportargli una nuova
dignità
e una ritrovata serenità d’animo, sentendosi bene
come non
accedeva da tanto, forse troppo tempo…
«Ecco, ora sai tutto anche tu» concluse, nervoso,
temendo
la reazione di lei. Cosa avrebbe pensato di lui, dopo tutto quello che
aveva ascoltato?
Dal canto suo, Aida era ancora appoggiata al cuscino, in posizione
rilassata e per nulla turbata, intenta a scrutare il ragazzo con
attenzione, mentre Gianni, a sua volta fermo di fronte a lei, non mosse
nemmeno un muscolo, in attesa di una risposta che, per fortuna, non
tardò ad arrivare.
«Mi dispiace, ma in te io non ho visto niente di tutto
questo» considerò la fanciulla, accennando un
sorriso,
mentre il giovane inarcava le sopracciglia, sorpreso.
«Quello che ho detto a Rami questa mattina, lo penso davvero.
Non
posso colpevolizzarti per cose che non ho visto
direttamente!»
continuò lei. «Per natura, sono una persona che
deve
sperimentare ciò che le viene riferito. Non mi piace basarmi
sul
si dice…»
«… e
si fa» concluse Giancarlo, colpito.
«Esatto!» annuì Aida, sorridendo, poi,
però,
si staccò dal cuscino e si mise seduta, sussurrandogli:
«Dammi la mano».
Vedendo che il ragazzo la guardava accigliato, rimanendo immobile, si
sporse e gli prese la mano destra, tenendola tra le sue.
«Guardami e rispondimi sinceramente: quando mi hai rivolto
per la
prima volta la parola, era un elegante tentativo di provarci
con…»
«No!» esclamò lui, senza nemmeno
lasciarle terminare la frase.
«No?» ripeté lei, scoccandogli una
profonda occhiata indagatrice.
«No, assolutamente no, volevo solamente sapere qualcosa in
più su di te. Sei libera di non credermi, ma... solo dopo
averti
visto quella sera, ho capito quanto stessi sbagliando»
cominciò a spiegare lui, con fermezza. «E poi,
sarò
stato anche un libertino ed uno scapestrato, ma non ho mai cercato di
fare il furbo con la donna di un altro: anch’io ho dei
limiti,
per quanto nessuno voglia riconoscermeli».
La fanciulla parve soddisfatta della sua risposta, perché,
qualche secondo dopo, scoppiò in una risata argentina.
«Ah, ah, già, è vero! Pensavi che Rami
ed io fossimo sposati e che Samir fosse nostro figlio!»
Allora, Giancarlo, che già al contatto fisico aveva
avvertito le
punte delle orecchie avvampare tremendamente, a
quell’affermazione sentì che anche le sue guance
non
volevano essere da meno e presero la stessa tonalità
dell’astice che gli era stato servito qualche ora prima, ma,
nonostante tutto, non gli sfuggì la bellissima sensazione,
mai
provata prima, che gli procurava quella situazione: era diviso tra
l’imbarazzo e il piacere che gli offrivano quel tocco e la
semplice presenza della ragazza.
D’altra parte, non era abituato ad arrossire così
spesso,
perché di solito erano le ragazze a farlo, quando rivolgeva
loro
i più svariati apprezzamenti, veri o presunti,
però
dovette ammettere che provarlo sulla propria pelle non era
così
brutto come immaginava, anzi, forse gli piaceva anche di più.
«Aida?» la chiamò, dolce.
«Sì?» fece la fanciulla, smettendo di
ridere e tornando a guardare il ragazzo negli occhi.
«Posso chiederti un favore?»
«Quale?»
«Mi daresti il permesso, diciamo, di conoscerti... un
po’
meglio? Vorrei imparare a poco a poco quello che ti piace e quello che,
invece, odi, quello che ti fa stare bene e quello che non puoi
sopportare. Ti prometto che non sarò invadente od
oppressivo,
ma, ti prego, non negarmi questa possibilità»
spiegò Gianni, concitato, sperando di ricevere una risposta
positiva, ma temendo il contrario.
La ragazza rimase sbalordita da una richiesta del genere e
lasciò immediatamente la presa, soffermandosi a guardarlo
con
aria mesta.
«Non fare promesse che sai di non poter mantenere,
perché
mi daresti un motivo per avercela seriamente con te» disse,
quasi
sottovoce.
«Non è così, posso mantenerle
eccome!» si
risentì lui. «Perché, proprio ora, hai
deciso di
non fidarti?»
«Giancarlo, sai bene che domani partirai ed io
diventerò
presto soltanto un ricordo. Spero bello, ma comunque un ricordo che
svanirà poco a poco» gli spiegò Aida,
sussurrando.
«E se ti dimostrassi che, al contrario di ciò che
credi,
non dimenticherò tutto quello che mi hai dimostrato in
questi
giorni?» ribatté il biondo, deciso.
La ragazza, allora, lo guardò, serrando le labbra,
poiché
era certa che le sue intenzioni fossero buone e una parte di lei era
davvero lusingata che quel giovane mostrasse tutto
quell’interesse nei suoi confronti; tuttavia,
un’altra era
offuscata dai dubbi, giacché, in fondo, era pur sempre una
cameriera ed una studentessa, mentre Giancarlo apparteneva ad una
facoltosa famiglia italiana. E, come se non bastasse, avrebbe dovuto
considerare anche la presenza di suo fratello: cosa avrebbe pensato
Rami, così attaccato ai pregiudizi, di tutta quella
situazione?
Lui, però, parve intuire i pensieri di lei e, infatti,
aggiunse:
«Anche Rami dovrà accettarlo, perché mi
piacerebbe
anche continuare a sentire Samir, per sapere i suoi progressi con il
bey, come procede con la scuola e così via... glielo devo,
visto
che, per ovvie ragioni, oggi non ho potuto giocare nuovamente con lui.
Inoltre, ho notato che è molto intelligente e scommetto che
è molto bravo in tutte le materie».
«Sì, è così, non ci
dà alcun problema
con lo studio» confermò Aida, soprappensiero.
«Davvero un bravo bambino...»
«Giancarlo?»
«Cosa c’è?»
«Se mi stai prendendo in giro, sappi che non ti
perdonerò.
Non sopporto le delusioni» gli disse la fanciulla,
guardandolo
con serietà mista tristezza.
In quell’istante, gli vennero in mente le parole che la
ragazza
aveva usato nei confronti della propria madre e si intrattenne a
contemplarla, sorridendo dolcemente.
«Bene, ho già appreso un’informazione
importante,
ma» considerò, «resta il fatto che,
nonostante
tutto, credo di avere ancora una parola d’onore. Accordo
fatto,
dunque?» le propose, tendendole la mano.
Aida la scrutò un attimo, poi la strinse.
«Accordo fatto» confermò. «Ma
come farai…?»
Il ragazzo, allora, le sfiorò delicatamente le labbra con
l’indice, senza, però, che si stabilisse un vero e
proprio
contatto.
«Lascia fare a me, tranquilla. Ti ho promesso che non
sarò
oppressivo, ma comunque presente. Solitamente, seguo
l’ispirazione ed amo le sorprese, perciò non penso
che
avrai mai modo di annoiarti».
In risposta, la giovane si lasciò sfuggire un sorriso
sereno,
dopo di che fece per avvicinarsi al fratellino, così da
prenderlo in braccio e portarlo al suo letto.
«Me ne occupo io» si offrì subito il
giovane,
oltrepassandola: quindi, sollevò il bimbo con cautela e lo
prese
tra le braccia, distribuendo equamente il peso tra di esse.
«Non c’è bisogno che ti
disturbi!» esclamò lei, sorpresa dal gesto.
«Nessun disturbo, tranquilla. Mi spiace solo non poterlo
salutare
come si deve, dato che sarà a scuola quando
partiremo»
bisbigliò Giancarlo, indicando Samir con un cenno del capo.
Aida fu sul punto di protestare per la troppa gentilezza, poi, decise
di accettarla e lo ringraziò ancora, precedendolo per
guidarlo
verso le stanze del personale.
Pochi minuti dopo, il ragazzo adagiò il bambino sul letto,
lasciando che la sorella lo coprisse accuratamente.
«Dovresti vedere la sua stanza a casa nostra, le pareti sono
coperte interamente da poster dei campioni di beyblade!»
commentò la ragazza, rimboccandogli le coperte.
«Sì, me lo ha detto» disse lui,
accarezzando la
testa di Samir. «A proposito, anche quei due asociali di
Jurgens
e McGregor hanno dato il loro contributo, quindi domani, quando
verrò a salutarti, Rami permettendo, ti darò
anche
l’autografo di tutti noi».
«Non credo che Rami possa fare molto, sai? Ci saranno anche i
tuoi amici» considerò Aida. «Comunque,
grazie, mio
fratello ne sarà contento».
«Figurati, è stato un piacere» fece lui,
in risposta, alzando le spalle.
A quel punto, rimasero entrambi a guardarsi per qualche istante,
finché il giovane non trovò il coraggio di
staccarsi,
poiché sapeva perfettamente che, se avesse continuato ad
ammirarla, non se ne sarebbe più andato.
«Allora, buonanotte» la salutò,
voltandosi indietro.
«Buonan… No, aspetta!»
A quel richiamo, il biondo si fermò di colpo e Aida gli fu
vicino in un paio di istanti, mettendosi davanti a lui.
«Aspetta solo un attimo...» mormorò,
mentre,
concentrata, gli appoggiava i polsi sulle spalle, facendo scorrere le
dita sotto il colletto della camicia e sistemandoglielo meglio sul
bavero della giacca.
«Samir deve essersi aggrappato a te nel sonno e ti ha
sgualcito
il colletto. Succede sempre anche quando lo porta Rami»
spiegò la fanciulla, semplicemente. Si intuiva che aveva a
che
fare tutti i giorni con degli uomini, anche se erano i suoi fratelli,
perché il suo approccio era sicuro ed affettuso, ma non
sfacciato.
Mentre la ragazza gli riservava quelle premure, Gianni posò
lo
sguardo su di lei, avvertendo sensibilmente il suo tocco delicato
trasmettersi dagli abiti alla pelle; in quel momento, si trovavano ad
una distanza pericolosamente inesistente, tanto che lui poteva
distinguere nettamente ogni, singola ciglia.
Non era un mistero, infatti, che il giovane avesse sempre incarnato la
quintessenza delle pulsioni vitali, l’ideale
dell’amante
passionale e, se si fosse trovato in un altro momento e con una diversa
disposizione d’animo, avrebbe certamente colto al volo
l’occasione per sedurre la sua preda di turno.
L’aveva
fatto tante volte: illudere una ragazza con le sue lusinghe, solo per
soddisfare un effimero istinto ferino, esaudendo un desiderio
materiale, senza coinvolgere alcun genere di sentimento.
Tuttavia, era stato prima di conoscerla e, in quel momento, fu certo
che per nulla al mondo avrebbe toccato Aida senza che anche lei lo
volesse o che ci fosse un valido motivo per farlo, perché
lei
meritava rispetto,
così come era per l’impegno e
la
dedizione con i quali affrontava la vita.
Ridestandosi da quei pensieri, si allontanò delicatamente
dalla
fanciulla e, lasciandosi sfuggire un sorriso malinconico, le
sussurrò: «Ti ringrazio, non me ne ero reso
conto».
«Oh no, sono io ad essere un po’ pignola su queste
cose» ammise la ragazza, arricciando il naso e ricambiando il
sorriso.
«Allora... buonanotte, Aida».
«Buonanotte a te».
Giancarlo, allora, aprì la porta e fece per uscire ma, colto
da
un’improvvisa illuminazione, si voltò verso di lei
e
disse: «Grazie per avermi ascoltato, sono felice di averti
incontrata. Non a tutti viene concessa una seconda occasione ed io
cercherò di meritare questa fortuna».
Lì per lì, Aida fu talmente sorpresa da quella
dichiarazione, che si riscosse solo al tonfo della porta che si
chiudeva, realizzando che lui se ne era davvero andato.
Con estrema lentezza, cominciò a spogliarsi e a sistemarsi
per
mettersi sotto le coperte, poi, quando ebbe fatto, si
avvicinò
al suo letto, lasciandosi cadere e soffermandosi a guardare il soffitto
bianco, considerando quanto le diverse emozioni provate durante la
serata l’avessero scombussolata, mentre Samir, inconsapevole
di
tutto, continuava a dormire sereno.
Ancora con la mente impegnata a pensare al giovane, si girò
su
un fianco, poggiando il viso all’altezza del suo
polso,
e, in quella posizione, avvertì il suo profumo,
rendendosi
conto
che era bastato un breve contatto per lasciare su di lei una traccia
intensa di quel piacevole aroma, composto da una base delicata con
qualche nota più marcata. Era proprio come era chi lo
indossava:
sorprendente.
Chissà come sarebbe andata a finire... Cosa avrebbe detto
Rami? Si sarebbe convinto delle serie intenzioni di Giancarlo?
Conosceva l’indole sospettosa di suo fratello e scardinare le
sue
convinzioni, da lui considerate come veri e propri dogmi, non sarebbe
semplice, anche se non impossibile.
Tuttavia, Aida sapeva di avere le sue insicurezze, per lo
più
legate alla distanza e al tempo: quel ragazzo era diverso da tutti
quelli che aveva conosciuto fino a quel momento e si trovava bene con
lui. Forse provava più di una semplice simpatia nei suoi
confronti, anche se ancora non lo sapeva con certezza, e ora lui le
aveva promesso che si sarebbero conosciuti meglio, ma... avrebbe
mantenuto il suo impegno? Era difficile mentire guardando negli occhi
una persona e, mentre le aveva esposto le proprie intenzioni, lui
l’aveva scrutata a lungo con quelle sue iridi blu. Oh, quanto
le
piaceva il colore dei suoi occhi, lo stesso del mare più
profondo. Tuttavia, doveva anche ammettere che, di bello, Giancarlo non
aveva solo gli occhi e, in quel momento, le tornarono in mente gli apprezzamenti che aveva
fatto Jamila verso di lui, stuzzicandola e costringendola a nascondere
il viso nell’incavo del gomito piegato, lasciando che la
traccia
rimasta del suo profumo la stordisse piacevolmente, fino a farla
scivolare nel mondo dei sogni.
***
Il mattino seguente, Gianni si svegliò di buon umore come
non
accadeva ormai da diverso tempo, senza fare nemmeno caso al fatto che,
accanto o addossate a lui, non erano presenti ragazze delle quali non
ricordava nemmeno il nome.
Subito, scosse la testa per scrollarsi di dosso quel poco di sonnolenza
che gli era rimasta e, senza ulteriori indugi, si diresse in bagno,
avvertendo che c’era qualcosa di diverso nell’aria.
Dopo essersi fatto una doccia veloce, si mise davanti allo specchio e,
mentre si frizionava i capelli per asciugarli sommariamente, si
osservò attentamente: qualche goccia residua, proveniente
dalle
ciocche bionde ancora umide, gli scese lungo il viso, per poi
avventurarsi lungo il collo e proseguire per il declivio delle spalle,
quindi scendere giù per la schiena e per il torace. Sentirle
percorrergli la pelle gli procurò un piacevole senso di
benessere, ma mai quanto ne avvertì nel rendersi conto che
la
lastra di vetro e metallo gli stava nuovamente rinviando la sua
immagine, sorridente e compiaciuta.
Negli ultimi giorni, infatti, aveva avuto modo di confrontarsi con gli
specchi più di quanto avesse mai fatto in vita sua,
perché, pur compiacendosi del proprio aspetto, non aveva mai
amato troppo vedere e meditare sul proprio riflesso in nessun momento
della giornata e meno che mai al mattino, momento in cui si riprende il
contatto con la vita dopo la pausa notturna, ritrovandosi sempre
diversi da come ci si ricordava.
Tuttavia, quella mattina fece eccezione, poiché, per la
prima
volta, Giancarlo riuscì a contemplarsi senza provare
vergogna ed
il suo volto, così composto e sereno, non gli diede
ribrezzo:
aveva accettato il suo riflesso, aveva accettato se stesso, proprio
perché non aveva nulla da dimenticare, nessuna notte brava
da
archiviare nei meandri della sua memoria, nessun rimpianto per il fatto
che l’ebbrezza da alcool fosse svanita, anzi, voleva
ricordare,
proseguire nel suo intento e, quindi, raggiungere il suo obiettivo.
“La mia seconda occasione non dovrà essere
sprecata” si disse.
La leggera e rada peluria bionda presente sul suo viso lo
sollevò anche dall’incomodo di farsi la barba che,
nonostante i suoi ventitré anni, non aveva, pertanto
finì
rapidamente di prepararsi con modesta cura, per poi rimettere via gli
abiti della sera precedente. Quando, però, prese in mano la
giacca, percepì intorno al bavero un delicatissimo aroma,
buono
ma completamente diverso dal suo, in quanto era fresco, estivo e
leggermente speziato.
«No, questo non è mio, sembra una fragranza
decisamente
esotica, come una rosa del deserto» sussurrò,
chiudendo
gli occhi e cominciando a meditare su quella che sarebbe stata la sua
mossa successiva.
Avrebbe dovuto farsi venire in fretta un’idea per continuare
a
sentire Aida senza risultare insistente, ma, nello stesso tempo, senza
dare l’impressione di essere superficiale o di star
prendendosi
gioco di lei; infatti, avrebbe dovuto cercare di fare qualcosa per
aiutare lei e Samir, senza però che la fanciulla lo
percepisse
come un gesto di carità e considerare il suo atteggiamento
come
un’offesa, vista la sua grande dignità e il suo
indubbio
orgoglio.
Inoltre, il giovane avrebbe dovuto trovare un appiglio anche per
ingraziarsi Rami e non sembrava facile trovare un punto in comune a
tutti quegli aspetti; ciononostante, nel silenzio di quel mattino di
tardo settembre, arrivò quasi subito ad una grande
intuizione.
Rianimato dalla folgorante idea, si ridestò dai propri
dilemmi e
ripiegò sommariamente la giacca, per poi avviarsi a passo di
marcia verso la stanza di Andrew: se il suo piano fosse andato a buon
fine, sarebbe stato davvero un ottimo inizio.
Rami fischiettava, soddisfatto, mentre finiva di registrare a computer
il materiale che aveva raccolto durante la sua trasferta a Il Cairo, la
quale aveva avuto esito positivo; infatti, aveva sbrigato le sue
commissioni prima del dovuto, traendone anche anche un profitto
maggiore a quanto aveva stimato e nulla avrebbe potuto fargli andare di
traverso la giornata, soprattutto perché il motivo di tanto
gaudio non era ascrivibile unicamente ai suoi successi lavorativi.
Accanto a lui, impegnata in un’interessante lettura sulla
sezione
aurea, era seduta sua sorella Aida, ben consapevole di quale fosse la
vera ragione che rendeva così allegro Rami:
l’imminente
dipartita dei turisti europei.
«Potresti smettere di fischiare? Mi stai
deconcentrando» lo
apostrofò all’improvviso, manifestando tutto il
suo
disappunto verso il comportamento del fratello, che le aveva
appositamente scambiato la sua abituale mansione al bar con un turno in
cucina, così che fosse relegata lì e non avesse
modo di
salutare personalmente Giancarlo.
«Sei acidula, stamattina, o sbaglio? Non dovresti, guarda che
bel
clima autunnale abbiamo quest’oggi!»
esclamò,
però, il giovane, gaio, non lasciandosi turbare dal
rimprovero.
Di fronte a tanta sfacciataggine, Aida sbuffò, tornando a
concentrarsi sul suo libro e a sottolineare i concetti più
importanti, finché non batterono le dieci. Non appena i
rintocchi terminarono, Rami si allontanò un momento per
andare a
prendere i fogli necessari a rifornire la stampante, mentre la ragazza
chiuse il trattato con un gesto di stizza, per nulla intenzionata a
pulire e tagliare verdure in isolamento per tutto il resto della
mattinata.
Se solo per un qualsiasi motivo suo fratello avesse tardato a tornare
alla reception, lei sarebbe riuscita ad incrociare Giancarlo prima di
essere sepolta viva da patate e pomodori.
«Dove stai andando?» la richiamò
improvvisamente una
voce femminile. «Voglio sapere per filo e per segno come
è
andata ieri sera!»
«Oh, buongiorno Jamila» rispose Aida, mettendo via
il
libro. «Purtroppo ora non ho tempo per parlare,
perché mi
aspettano in cucina. Rami mi ha scambiato il turno».
«Cosa? E perché mai?» chiese la ragazza,
stralunata.
Poi, però, ci rifletté su un attimo e
arrivò da
sé alla soluzione. «Questa volta ha superato ogni
limite!
Non può decidere per te e manipolare la tua vita a suo
piacimento!» esclamò.
«Lascia stare, è inutile rimuginarci su»
replicò, però, l’altra, amareggiata.
«Dada, ti arrendi troppo facilmente! Facciamo
così:
prenderò io il tuo posto in cucina» propose
Jamila.
«Io adesso ho un buco fino all’ora di pranzo,
quindi sarai
assolutamente libera».
«Davvero lo faresti?» domandò stupita la
fanciulla, incapace di credere a quella fortuna.
«Certo, sei mia amica! Però, non credere che
sarà
gratis, eh. Infatti, mi renderai il favore appena potrai, raccontandomi
anche cosa hai deciso di fare riguardo ad un certo biondino molto
affascinante».
La giovane sorrise e stava anche per rispondere, quando fecero la loro
apparizione le due massaggiatrici.
«La vecchia fata madrina che aiuta la sua protetta ancora in
fasce, che scena commovente!» commentò una di
loro,
scoppiando a ridere subito dopo, prontamente imitata
dall’altra.
Jamila, però, fece finta di non aver sentito e non rispose
alla
provocazione, almeno finché le due non sparirono dalla loro
vista.
«L’undicesima e la dodicesima piaga
d’Egitto. In
confronto, l’invasione delle locuste è quasi una
sciocchezza!» considerò, indispettita.
Aida rise, scuotendo la testa: «Non penso tu possa aspettarti
niente di diverso da quelle due».
«A te sembra normale che mi diano della vecchia solo
perché ho due anni in più di loro?» le
domandò l’amica. «Anche se sospetto che
il loro
accanimento contro di me derivi dal fatto che stia col capo».
«Non lo escluderei» concordò
l’altra, alzando le spalle.
«Aida, sei ancora qui?!» tuonò Rami
proprio in quel
momento, rientrando con un’enorme risma di fogli tra le mani,
scorgendo la sorella nella hall.
La fidanzata, però, si parò subito davanti a lui,
nascondendogli la ragazza alla vista.
«Oh, ma guarda chi c’è! Ti spiace se
prendo il posto di Dada, per oggi?»
Il giovane la guardò irritato, aggrottando la fronte e
storcendo lievemente le labbra.
«Jamila, non ti intromettere» fece, imperativo,
«lo
sai che Aida deve fare tutto quello che le dico io!»
«Dai, Rami! Non essere cattivo!» lo
supplicò lei.
«Ho detto di no!» replicò il ragazzo,
cercando di aggirarla per agguantare la sorella.
Tuttavia, mentre i due erano impegnati a battibeccare, furono raggiunti
dai turisti spagnoli che erano stati truffati dai cammellieri, i quali
avevano bisogno di Rami per poter saldare il soggiorno, tradendo una
certa fretta di lasciare l’Egitto.
Allora, approfittando del fatto che il concierge fosse preso dai
clienti, Jamila sfuggì al suo controllo, ammiccando ad Aida,
per
poi dirigendosi verso le cucine e il giovane non poté far
altro
che guardarla andar via con la coda dell’occhio.
Era passato più di un quarto d’ora da quando la
comitiva
europea aveva chiesto il conto del soggiorno e, finalmente, Rami era
riuscito a stampare e firmare tutte le ricevute, senza,
però,
smettere nemmeno per un istante di guardare Giancarlo in tralice,
ampiamente ricambiato dal giovane.
Nel frattempo, anche Claudia, intenta a farsi aria con il suo
immancabile ventaglio, non aveva staccato un momento gli occhi da Aida,
sul volto un’espressione di orrore misto a disgusto,
perché, se aveva pensato che il cugino stesse recitando la
solita farsa, divertendosi come era solito fare, in quel momento fu
costretta a ricredersi. Infatti, l’essersi prodigato per
lasciare
un regalo a Samir e le occhiate ammirate che lanciava furtivamente alla
ragazza non lasciavano spazio ad altre interpretazioni, se non quella
che fosse fin troppo
coinvolto.
La giovane era così irritata che, ad un certo punto, si
voltò per non essere costretta a guardare quello scempio, ma
il
fidanzato si limitò ad alzare le spalle e muovere le labbra
come
a dire: «Te l’avevo detto!»
Intanto, mentre Ralf dava direttive per la partenza, Andrew scrutava la
scena a braccia conserte, sempre più meravigliato, convinto
ormai che le avesse viste tutte, dopo che quel cialtrone di Gianni
aveva dimostrato di essere molto accorto se era in gioco qualcosa che
gli interessava veramente, come aveva dimostrato quando era andato a
bussare alla loro porta, facendo fatto leva sui valori nei quali
credeva la giovane avvocata per ottenere quello che gli sarebbe tornato
utile.
Osservando la scena che si stava svolgendo davanti a sé, lo
scozzese inarcò un sopracciglio, giacché sapeva,
anche se
non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto minaccia di morte, che la
mossa che aveva progettato il biondo era alquanto interessante,
così come lo sarebbe stato vedere se e quali risultati
avrebbe
ottenuto.
Aida, invece, era rimasta per tutto il tempo in disparte in un angolo
della stanza, fissando rassegnata Rami e Giancarlo, impegnati in un
muta e reciproca offensiva, sicura che non si sarebbe estinta tanto
presto, fino a coinvolgere chissà quanti altri personaggi e
teatri.
«Na
schön» annunciò infine
Ralf. «Abbiamo
sbrigato tutte le formalità ed ora possiamo
andare!»
Tese quindi la mano a Christine, preoccupatissima per la traversata che
la attendeva, aiutandola ad alzarsi da uno dei divanetti, per poi
prenderla sottobraccio e condurla fuori.
La coppia venne dapprima imitata da Andrew e da Mary Anne e poi da
Olivier e da Claudia, la quale distolse rapidamente lo sguardo schifato
che aveva rivolto ad Aida. Quella, però, se ne accorse e
dedusse
di non andarle particolarmente a genio, tanto è vero che si
sentì immediatamente sollevata quando vide la sparire oltre
la
porta.
In realtà, sapeva perfettamente che era la cugina di
Giancarlo,
poiché avevano in comune la carnagione chiara e gli stessi
capelli dorati li facevano somigliare molto, tuttavia, per fortuna, gli
occhi erano diversi, in quanto quelli della ragazza erano scuri,
altezzosi ed in grado di farla sentire inferiore, nonché
insignificante con un solo sguardo.
Claudia, però, era molto bella e, indubbiamente, doveva aver
ricevuto un’educazione molto raffinata, come si vedeva dal
modo
in cui camminava, si vestiva, parlava e perfino da come sventagliava,
muovendo appena il polso e lasciando il resto del braccio immobile e
Aida era cosciente che non sarebbe stata mai così.
Infine, arrivò il momento dei saluti definitivi e nella hall
rimase solo Giancarlo, perso nella contemplazione di quella fanciulla
che aveva cambiato tanto il suo modo di vedere le cose.
«Non è il momento di andare?» lo
esortò Rami,
impaziente di vederlo fuori dalla circolazione una volta per tutte, ma,
in risposta, il biondo gli scoccò un’occhiata
beffarda.
«Oh, non credere che ti libererai di me così
presto,
perché ho fatto a tua sorella una promessa che intendo
mantenere!»
Il giovane si rivolse quindi alla ragazza, cambiando completamente
tono: «Mia dolce Aida, sappi che il mio pensiero
sarà
costantemente rivolto a te» annunciò, con
istrionica e
ampollosa ispirazione. Poi, ammiccò nella sua direzione e
lanciò un’ultima occhiata di sfida al concierge,
per poi
uscire di scena, come un attore alla fine di un atto.
Tuttavia, tale esibizione ebbe il potere di far ridere di cuore Aida,
che ritrovò subito la serenità che la boriosa e
insopportabile Claudia, con il suo atteggiamento pieno di superbia, le
aveva tolto.
«Promessa? Di quale promessa sta parlando?» si
intromise Rami, sospettoso.
«Niente, una cosa tra di noi» rispose rapidamente
lei, rimanendo sul vago.
L’altro, allora, sembrò essere seriamente sul
punto di perdere la pazienza.
«Si può sapere cosa ci trovi in lui?!»
abbaiò. «Non riesco ancora a credere che tu abbia
rifiutato la proposta del mio amico Mohammed. Mi pare che sia molto
apprezzato dalle donne, inoltre gestisce il traffico di petrolio verso
mezza Europa: cos’altro avresti voluto di più? Se
avessi
accettato di sposarlo, a quest’ora saresti stata ricca quanto
una
regina!»
«Non lo metto in dubbio, ma sarei stata una regina triste,
poiché non lo amo e non è affatto il mio
tipo»
rispose con giudizio lei. «Invece, Giancarlo è
gentile, sa
la differenza tra Bernini e Borromini, mi fa sorridere e...»
Poi si fermò un attimo, abbassò lo sguardo e,
incurvando
dolcemente le labbra, aggiunse: «Ha davvero un buon
profumo».
«Ancora ti ostini a giudicare le persone in base al profumo
che
indossano?!» la riprese il fratello, tra lo sconcertato e il
furente.
«Alcuni sono proprio disgustosi e mi fanno venire il
voltastomaco, mentre il suo è veramente piacevole e
rispecchia
pienamente il suo carattere» replicò serenamente
Aida e,
dopo aver recuperato il regalo per Samir, si allontanò,
canticchiando.
Rami, allora, le riservò uno sguardo spiritato, additandola
come se fosse uscita di senno.
«Sei impazzita, per caso? Che razza di risposta
è?!»
***
Il terminal del traghetto per Patrasso era pressoché vuoto:
era
una pigra mattinata di fine settembre e nessuno, sia tra i passeggeri
che tra il personale, sembrava disposto a correre o ad affaticarsi.
L’unica che, invece, sembrava fremere era Claudia, la quale
fissava insistentemente suo cugino sventagliandosi nervosamente, con
tanta foga che, se non avesse smesso, nel giro di poco avrebbe ridotto
a brandelli tutto il prezioso pizzo sangallo.
«E così quella era il tuo nuovo
giocattolo?»
gridò, inviperita, ignorando volutamente tutti quelli che si
girarono a guardala, sorpresi.
In risposta, Gianni si limitò a lanciarle
un’occhiata
obliqua, per nulla intenzionato ad assistere all’ennesima
scenata
di gelosia.
«Claudia, per favore, non qui!» le
sibilò, infastidito.
«Nel fare il galletto, però, non mi pare tu abbia
mai
fatto caso a dove ti trovassi!» ribatté lei, con
voce
stridula.
Il ragazzo, allora, assottigliò appena lo sguardo,
reprimendo
faticosamente l’istinto di strozzarla, e poi
valutò
attentamente cosa fare, poiché non voleva che nessuno,
compresi
i loro compagni, sentisse, poiché non erano affari loro
ciò che si sarebbero detti.
Così, si avvicinò cautamente a Claudia e le
propose di
uscire un attimo fuori per discuterne in maniera adulta e
fortunatamente la cugina, con una smorfia altezzosa,
accettò.
Ovviamente, li seguì anche Olivier, il quale aveva il
privilegio
di poter assistere, essendo il fidanzato di lei.
«Cosa ti sei messo in testa?!» esordì la
ragazza,
minacciando il cugino con il ventaglio chiuso. «Quella
sciacquetta
non fa assolutamente per te! Non ha un briciolo di fascino,
è troppo infantile, troppo vuota4!»
Il giovane, che solo a sentire l’orribile epiteto, aveva
inarcato
inverosimilmente le sopracciglia, fissò a lungo
l’altra ad
occhi socchiusi, cercando di capire dove volesse arrivare.
«Puoi avercela con me quanto ti pare per la storia di Maria
Chiara» le rispose, sicuro, «ma non
cambierò idea,
perché non sono disposto a fare da zerbino ad una fredda
calcolatrice come lei».
«Una fredda calcolatrice? Maria Chiara muore per te, anche se
davvero non so come faccia! Ha uno stuolo di pretendenti che le vanno
dietro, eppure ha avuto il coraggio di rifiutarli perché ti
adora! E poi, è bellissima, colta, ricca ed educata secondo
le
maniere più fini!» strillò
sguaiatamente Claudia,
gettando definitivamente alle ortiche il suo charme.
Giancarlo, a quel punto, la fissò talmente tanto disgustato
che
lei, anche se per un misero istante, tentennò, smarrita.
«Non hai alcun diritto di dirmi cosa devo o non devo
fare»
le sibilò, infarcendo di disprezzo ogni parola.
«Conosco
Maria Chiara Odescalchi e so che l’unica cosa che le
interessa di
me sono i soldi e le proprietà, che vuole per accrescere le
sue
finanze».
«Perché, quelle due baldracche non sono attratte
dal tuo
patrimonio?» replicò la ragazza, inferocita.
«Di’ la verità, quante chiamate ti hanno
fatto, da
quando siamo partiti?»
«Ti riferisci a Rosetta e Bianca5?»
domandò lui,
infastidito dall’esser stato costretto a citarle. Avrebbe
dato
qualunque cosa, pur di poter cancellare l’ambigua relazione
che,
in passato, era intercorsa tra lui e quelle due. «Forse hai
dimenticato che, recentemente, ho cambiato sia il cellulare che la sim
e che non hanno il mio nuovo numero».
«E per fortuna!» esclamò
l’altra.
«Altrimenti quelle due pezzenti poco di buono ci avrebbero
rovinato la vacanza!»
Il ragazzo stava per replicare, ma lei glielo impedì,
riprendendo il discorso e rincarando la dose, fino ad arrivare a dire
quello che, probabilmente, voleva sin dall’inizio:
«Puoi
dire quello che vuoi, ma la verità è che Maria
Chiara
dovresti sposarla e questo non ti va bene, o sbaglio? Tu preferisci
essere libero! E adesso hai la tua nuova sgualdrina, della quale ti
dimenticherai ancor prima di mettere piede in Grecia!»
Seguì una pausa, durante la quale Olivier, che era stato in
disparte per tutta la lite, decise di avvicinarsi alla sua ragazza,
prevedendo guai seri, poiché non gli era sfuggito
l’impeto
iracondo che era passato sul volto di Giancarlo nel sentire quelle
parole. Quello, infatti, dovette contare fino a dieci per farsi passare
la tentazione di metterle le mani al collo.
«Non ti azzardare mai più a chiamarla
così»
le ringhiò contro, infuriato come non era mai stato.
«Non
ti permetto di riferirti ad Aida, che è quanto di
più
incontaminato abbia mai visto, con appellativi che meriterebbero,
invece, le amiche che tanto ti affanni a sponsorizzare! Io so quello
che voglio e non sarai certo tu ad impedirmi di ottenerlo,
chiaro?»
Il francese rimase colpito da quanto udì, anche se sapeva
già che, quando voleva, Gianni sapeva essere molto profondo,
come anni prima, quando era stato l’unico della squadra ad
insistere strenuamente sul fatto che quei i Blade Breakers avessero
dalla loro qualcosa di speciale, una forza che andava oltre ogni
aspettativa quale è la vera amicizia.
Claudia, invece, serrò le labbra, riprendendo a
sventagliarsi in
maniera più tranquilla, ma ciò che disse poco
dopo
dimostrò che era solo apparenza.
«Non finisce qui!» gli sussurrò,
minacciosa,
rivolgendogli il suo solito sorriso sinistro. Poi, fece un cenno ad
Olivier e si avviò verso il terminal per raggiungere il
resto
del gruppo. A quel punto, il francese salutò
l’amico con
un cenno del capo, come a fargli capire che era d’accordo con
lui
sul fatto che la sua fidanzata avesse esagerato, affrettandosi a
raggiungerla.
Rimasto solo, Giancarlo si ritrovò a pensare che Claudia
aveva
superato tutti i limiti con quella sua gelosia ossessiva. Non si
meravigliò, a quel punto, che la sua storia con Massimo
Colonna
fosse finita nel peggiore dei modi, poiché, tra
l’eccessiva avidità di attenzioni esclusive da
parte di
lei e la natura davvero poco fedele di lui, avevano formato una coppia
veramente male assortita.
Scacciando quelle ultime considerazioni, il giovane scosse la testa,
voltandosi ad osservare il mare rifulgere come un cristallo sotto i
raggi del sole autunnale e rimanendo incantato dalla bellezza della
natura che troppo spesso aveva ignorato, preso da frivoli passatempi, e
fu contento che il destino lo avesse condotto fino a lì.
Dopo l’importante crisi di coscienza che aveva affrontato,
non si
sarebbe certo lasciato influenzare da qualche commento gratuito,
soprattutto se detto da una cugina retrograda, anzi, al massimo,
avrebbe tenuto conto di ciò che avrebbero detto Marcello
e Beatrice, poiché rimanevano pur sempre i suoi genitori.
La prospettiva di avere una seconda occasione lo riempì
improvvisamente di una voglia di ricominciare: a lui quella ragazza
piaceva sul serio e sentiva chiaramente che non era solo una questione
di attrazione fisica, perché Aida, con la sua dolcezza e la
sua
forza interiore, era stata la prima a riuscire a smuovere qualcosa nel
suo animo. Così, deciso più che mai a perseguire
il suo
obiettivo, alzò la testa e, con incedere sicuro, ripercorse
i
propri passi, facendo ritorno dai suoi compagni.
Come al solito, Yussef stava scaricando le cassette sul molo, ma, dopo
la quinta, dovette tirarsi su tenendosi la schiena, giacché
la
fatica si faceva sentire e da diverso tempo non era più un
giovanotto nel fiore degli anni.
Ad un tratto, però, notò uscire dal terminal,
diretta
verso l’attracco di uno dei traghetti, la stessa comitiva
eterogenea che aveva visto arrivare il martedì precedente,
nelle
stesse posizioni in cui li aveva visti la prima volta: la nordica era
sempre preoccupata, probabilmente perché non era amante
delle
traversate, mentre il tedesco camminava sicuro e impassibile, i due
britannici ancora annoiati e la bionda e il suo fidanzato, invece, si
atteggiavano a coppietta in viaggio di nozze, perciò
l’unico del gruppo a sembrare diverso fu il ragazzo
dall’aria strafottente che, quel giorno, appariva molto serio
e
camminava assorto nei propri pensieri, preso da qualcosa. O, forse, da
qualcuno.
Il pescatore, mentre i giovani gli passavano davanti senza notarlo,
concesse loro solo una fugace occhiata, poco prima di riprendere ad
impilare le cassette, dopo aver fatto una breve valutazione di quante
ancora doveva scaricarne. Scorgendone ancora troppe sulla barca,
sospirò e si rimise a lavorare, borbottando:
«Turisti...»
***
Gli eventi e i personaggi
narrati in questa storia sono frutto di fantasia, per tanto ogni
riferimento a luoghi, cose e persone realmente esistenti è
puramente casuale.
Il marchio “Beyblade” e i componenti
dell’EuroTeam/Majestics appartengono a Takao Aoki e BB
Project. Tutto il resto appartiene a me.
Ringrazio Aly
per la supervisione sul testo in corso d’opera.
Per la revisione a posteriori, ringrazio Lady
Viviana per la sua gentile collaborazione e
disponibilità.
***
[N.d.A.]
1. Excalibur:
la nuova squadra europea nella serie Beyblade Metal Masters;
2. fennec:
mammifero carnvoro dei deserti africani, simile ad una piccola volpe
con orecchie enormi;
3. Aegyptus... cepit:
rivisitazione voluta della citazione oraziana “Graecia capta
ferum vicitorem cepit” [ossia la Grecia presa (dai Romani)
conquistò il feroce vincitore (con la grandezza della sua
cultura) - Orazio, Epistulae, II]. Qui, Olivier gioca sul fatto che
l’Egitto sia stato in passato colonia romana,
nonché sulla
considerazione che Giancarlo, conquistatore romano (anche se non di
terre), sia stato a sua volta conquistato dalla dolce Aida,
appartenente al popolo egiziano;
4. vuota:
Claudia, in quanto
sommelier, usa questo termine nell’accezione enologica; esso
denota un vino mancante dei componenti essenziali della
corposità e privo di qualità;
5. Rosetta e Bianca:
secondo
il doppiaggio originale e quello americano, sono le due ami(o)chette di
Giancarlo, incontate negli episodi 35/36 della prima serie.
*
Trovandomi in
fase di rielaborazione del testo, aggiungo anche delle
“curiosità”. I diminutivi di Aida e
Jamila sono dei
retaggi rimasti dal periodo in cui Samir era molto piccolo e non
riusciva a pronunciare correttamente il nome di nessuna delle due.
***
Ad Aly,
mia fidata Cappellaia,
che mi ha aiutato a riordinare i
Palmi Pedoni
|
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Capitolo 3 *** Parte Seconda - Atto Terzo ***
Stella del Sud - Atto III
Parte Seconda -
Atto Terzo
“Mostrasi
si’ piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender non la può chi no la prova;”
Dante Alighieri, Vita Nova, Cap.
XXVI, vv. 9-11
Mancavano
solo pochi minuti a mezzogiorno, quando Rami si accorse che, per il
resto della mattinata, non era previsto l’arrivo di altri
ospiti.
“Perfetto, vorrà dire che terminerò la
revisione
dei fatturati del mese scorso” pensò, prima di
chiamare un
collega a sostituirlo al banco della reception e dirigersi verso il suo
ufficio, continuando per tutto il tragitto a prendere appunti sul suo
taccuino personale, giacché erano proprio l’avere
sempre
tutto sotto controllo e il non lasciare nulla al caso i punti cardine
della sua professionalità, anche se, negli ultimi tempi, le
cose
non stavano andando come avrebbe voluto.
A quella constatazione, il concierge sospirò sconsolato,
aprendo
la porta del suo ufficio ed entrandovi, posando subito l’agendina
sulla scrivania e alzando poi lo sguardo in direzione della finestra,
vicino a cui scorse sua sorella, intenta a guardare il cielo,
pensierosa.
«Sei davvero ridicola a credere che quello si
ricorderà di te» l’apostrofò,
acido. Poiché la ragazza non l’aveva sentito
arrivare, sobbalzò.
«Rami! Mi hai fatto prendere un colpo!» lo
rimproverò subito lei, stizzita, ma il fratello non si
scompose, riservandole in risposta una fugace occhiata beffarda, prima
di accomodarsi sulla sua poltrona sotto il suo sguardo irritato. Poi,
quella scosse la testa e tornò a guardare fuori.
Lanciandole un’occhiata torva, il ragazzo aprì il
suo portatile e scosse la testa, incapace di comprendere
l’ostinazione della sorella: come aveva potuto cedere alle
parole lusinghiere di quell’idiota bugiardo e credere che
sarebbe tornato, o le avrebbe fatto avere sue notizie? Un tale
donnaiolo poteva solo essere paragonato ad un marinaio: ogni terra
aveva il suo porto ed ogni porto aveva la sua ragazza.
Perciò, da quando aveva lasciato l’Egitto,
chissà quante altre donne erano già entrate nel
suo letto…
«Invece di perdere tempo alla finestra, vai a dare il cambio
a Jamila. Le sue quattro ore sono scadute da un pezzo!» le
ordinò, a quel punto, il giovane, perentorio, scacciando
quei fastidiosi pensieri dalla testa, ma quella non si
lasciò abbattere dal suo tono e si girò verso di
lui, regalandogli un sorriso radioso.
«Vado!» rispose, con entusiasmo.
Il concierge la guardò andar via e poi tornò a
smanettare con il computer, sbuffando pesantemente ed appoggiando il
mento contro il pugno chiuso, risoluto a trovare il modo di far uscire
Aida dal mondo fatato in cui viveva: invaghirsi di un seduttore
depravato come quello? Che assurdità!
***
Una mattina di metà ottobre, approfittando del fatto che ad
Alessandria il caldo aveva cominciato a diminuire, Rami si era fatto
preparare da Jamila un infuso al karkadè, quando fu chiamato
in tutta fretta da uno dei suoi assistenti.
Allora, sorpreso, lasciò la tazza fumante sul bancone del
bar e, mentre seguiva il ragazzo nella hall, venne a sapere che era
appena arrivata una donna che doveva assolutamente parlare con lui,
cosa che lo stupì ancora di più, visto che non
aveva proprio idea di chi potesse essere e, soprattutto, cosa avesse da
dirgli di tanto urgente.
Tuttavia, il concierge decise di non perdere tempo nel farsi domande e
si affrettò a raggiungere la misteriosa visitatrice,
trovandola girata di spalle ad ammirare i vasi con le orchidee.
Incerto su quale potesse essere l’approccio migliore, il
giovane, allora, si schiarì la voce per annunciare il suo
arrivo: «Buongiorno, signorina. Posso fare qualcosa per
lei?» esordì.
Subito, la nuova venuta si girò e, senza un attimo
esitazione, gli chiese: «È lei Rami
al-Nassar?»
«Ecco, sì... sono io» rispose lui,
squadrandola con diffidenza. Aveva qualcosa di familiare ed era certo
di averla già vista da qualche parte, ma… dove?
«Quindi, sua sorella deve essere Aida al-Nassar»
continuò la ragazza, sicura di sé.
«Sì, è così»
affermò il giovane, socchiudendo appena gli occhi.
«Ora potrei sapere, però, con chi ho
l’onore di parlare?» aggiunse, spazientito,
desideroso di capire qualcosa di quella situazione.
A quel punto, la donna si tolse gli occhiali da sole, svelando due
profondi occhi grigi, e si ravviò il caschetto bruno.
«Mary Anne Darland, sono qui per conto dello studio legale
Woodrow di Londra» spiegò, con tono risoluto.
«Mi risulta che suo padre sia stato incarcerato qualche anno
fa, dopo un sommario processo. È corretto?»
Nell’udire quelle parole, Rami assunse
un’espressione di sincero stupore.
«Ma come fa a..?» cercò di chiedere, ma
venne interrotto subito dall’altra, che riprese:
«Fonti attendibili dimostrano che l’avvocato della
difesa era corrotto, pertanto il processo non è stato altro
che una farsa».
«Miss Darland, mi potrebbe cortesemente spiegare come fa ad
essere al corrente di queste informazioni?» le chiese,
allora, il giovane, sempre più attonito e inquieto.
«Dovrebbero essere riservate».
L’avvocata, però, non sembrò per niente
turbata da quell’affermazione, anzi, si chinò per
afferrare la valigetta che aveva poggiato a terra e, nel rialzarsi,
decretò, severa: «Signor al-Nassar, infatti
sarebbe opportuno continuare la nostra conversazione in un luogo
più consono alla riservatezza di ciò che devo
comunicarle. Inoltre, sarebbe opportuno che anche sua sorella
assistesse al nostro colloquio».
Aggrottando le sopracciglia, non osando contraddire quella donna che
sembrava davvero sapere il fatto suo, Rami fece immediatamente chiamare
Aida e condusse Mary Anne in ufficio.
Nel vederla, la fanciulla, al contrario del fratello, la riconobbe
immediatamente come una delle ragazze che faceva parte della comitiva
di Giancarlo, ma non disse nulla, poiché preferì
prima verificare il motivo di quella visita inattesa, che, comunque,
non tardò ad essere svelato.
Infatti, poco tempo dopo, Mary Anne riuscì ad esporre una
sintesi perfetta dei punti oscuri del processo contro Abul al-Nassar,
precisando che era riuscita ad ottenere le autorizzazioni per
consultare il fascicolo del processo e che aveva trovato abbastanza
materiale per far riaprire il caso e cercare così di
ottenere un verdetto più giusto, offrendosi, per giunta,
come nuovo avvocato della difesa.
Aida, che aveva ascoltato ogni parola con estrema attenzione, sempre
più meravigliata ogni minuto che passava, non appena Mary
Anne ebbe finito, intervenne: «Miss Darland, noi non sappiamo
che cosa dire... Sarebbe meraviglioso se nostro padre fosse scarcerato.
Tuttavia» aggiunse, lanciando prima un’occhiata
furtiva a Rami, «mi lasci dire, parlandole anche a nome di
mio fratello, che non sappiamo davvero spiegarci come lei possa essere
al corrente di tutto questo».
«Già, perché non ci dice cosa
c’entra in questa storia?» chiese quello a sua
volta, incrociando le braccia sul petto e guardandola in modo ostile.
«Senza contare che dovremmo parlare anche del suo compenso,
no?»
L’avvocata li guardò entrambi, inarcando
leggermente un sopracciglio, come se avesse il presentimento che la
stessero prendendo in giro.
«Volete davvero farmi credere che non vi ha detto
niente?» domandò, senza scomporsi.
«Chi?» replicò Aida, perplessa.
Mary Anne, allora, sospirò e scosse la testa, ma si
guardò bene dal rispondere, limitandosi a prendere la sua
valigetta e ad aprirla per estrarne due pacchetti: una scatolina cubica
e un’altra che aveva tutta l’aria
d’essere un tubo portadocumenti.
«Questo è per Samir al-Nassar» disse,
porgendo il primo a Rami. «E questo, invece, è per
lei, signorina Aida» concluse consegnandole il secondo.
«Da parte di chi?» insistette lei, confusa.
«Lo apra e lo scoprirà» fece
l’altra, risoluta, sistemandosi meglio sulla poltrona e
accavallando le gambe.
A quel punto, avendo intuito che, proseguendo in quel modo, non avrebbe
cavato un ragno dal buco, sotto lo sguardo incuriosito di Rami, la
fanciulla si decise a scartare il pacco, ritrovandosi in mano un
sottile cilindro di carta avvolto da uno strato di cellophane. Sempre
più ansiosa di sapere cosa fosse, strappò via la
plastica e, quando ebbe srotolato il foglio, ebbe un leggero giramento
di testa.
«Non è possibile…»
sussurrò.
«In fondo, non era così difficile da capire, non
trova?» commentò, invece, l’avvocata,
con un sorrisetto ironico.
Osservando la reazione della sorella, anche Rami mise in ordine i
tasselli ed improvvisamente si ricordò dove aveva visto
prima quella donna.
«Questo significa che gli hai parlato della situazione di
papà!» esclamò, boccheggiando e
riservando alla sorella uno sguardo truce. «Tu…
tu…»
Tuttavia, Aida lo ignorò, trovando molto più
costruttivo interagire con Mary Anne.
«Miss Darland, mi dica la verità: è
stata pagata per seguire la causa di mio padre?»
«Intende sapere se la mia parcella è stata
saldata?» domandò quella, avendo intuito dove
volesse arrivare Aida, che, infatti, annuì decisa,
cominciando ad arrotolare nuovamente il foglio per evitare che si
sciupasse.
«No, non ho intenzione di percepire nemmeno un centesimo per
questa causa» spiegò, a quel punto,
l’altra, con enfasi, come se ne valesse della sua
integrità morale. «Qui è la giustizia
che reclama! È una vergogna che esistano avvocati senza un
minimo di coscienza…»
Quando, molto, molto tempo dopo, Mary Anne riuscì a mettere
il punto alla sua arringa contro i colleghi privi di scrupoli ed ebbe
esposto le tappe preliminari del processo, i due fratelli presero
accordi con lei, prima che si congedasse da loro dicendo che il volo
per Heatrow era imminente.
Una volta soli, Rami fissò a lungo la sorella e, infine, le
disse: «Non credere che abbia cambiato idea sul suo conto. Ci
vuole ben altro per dissuadermi dal crederlo in cattiva fede».
Tuttavia, Aida era troppo contenta che lui si fosse ricordato di lei e
di Samir per permettere al fratello di rovinarle la giornata
così, sorridendogli, gli domandò: «Hai
detto qualcosa, per caso?»
Il fratello, sicuro che avesse sentito benissimo, la guardò
minaccioso, ma poi se ne andò, borbottando qualcosa di cui la
giovane non si curò, presa com’era dalla certezza
di essere ancora nei pensieri di Giancarlo.
Poi, la ragazza tornò in ufficio e sistemò la
scatolina di Samir sul ripiano di mezzo della libreria, così
che, appena tornato da scuola, potesse vederla subito; poi riprese il
suo regalo e lo srotolò per ammirarlo ancora una volta: era
esattamente come l’aveva descritta.
“Sul terzo
ordine non ci sono solo timpani, ma anche archetti alternati”:
era, infatti, la versione del 1725 della facciata del Collegio di
Propaganda Fide di Borromini.
«Non ci posso credere!» esclamò Samir,
non appena ebbe aperto il suo pacco. «I nuovi anelli
d’attacco del P.P.B! Ma questi sono usciti solo negli Stati
Uniti... se l’è ricordato!»
Seduta ad uno dei tavolini della veranda che dava sul golfo, Aida
guardava sorridente il bambino che saltellava, su di giri, mentre Rami,
invece, li scrutava entrambi con un’espressione
davvero contrariata.
«Vi siete lasciati comprare con poco da uno che crede che con
i soldi si possa ottenere tutto» insinuò,
velenoso.
«Ti prego, non ricominciare…» lo
supplicò la ragazza, rabbrividendo al solo ricordo
dell’energica lavata di testa che l’altro aveva
fatto a Jamila soltanto perché le aveva permesso di parlare
con Giancarlo.
Il fratello, allora, scosse la testa con vigore, come per sottolineare
la propria ostinazione nel pensar male del biondo.
«Possibile che tu non capisca che sei solo una novità
per lui? Si sarà stancato di assaggiare i soliti slavati
dolcetti alla vaniglia, così gli è venuta voglia
di un bel cioccolatino!» berciò, sbattendo un
pugno sul tavolo. «Ti considera solo un degno bottino, una
piccola schiava egiziana e, ricordati: quelle come te saranno sempre
considerate inferiori, frivoli ninnoli da intrattenimento. Una volta
soddisfatto il suo perverso desiderio, ti abbandonerà e chi
si è visto, si è visto!»
Aida, però, non mutò espressione, decisa a non
dargliela
vinta, ma, al tempo stesso, consapevole di quanto fosse testardo:
ci sarebbe voluto del bello e del buono, infatti, per fargli cambiare
idea su Giancarlo, ma lei non si sarebbe certo arresa con
facilità.
«E se non fosse come dici? Le occasioni di mettermi le mani
addosso non gli sono mancate, eppure non l’ha mai
fatto» gli fece notare, a quel punto, piccata.
«Sei proprio ingenua! Prima si è voluto guadagnare
la tua fiducia, evidentemente. È stato astuto!»
ribatté Rami, sempre più adirato. «Non
vuoi darmi ascolto e troncare qui la cosa? Bene, allora non venire a
piangere da me, dopo che ti avrà usata e buttata via come un
oggetto vecchio! Cosa ti aspetti da uno che ha come unico scopo quello
di saltarti addosso come un animale in calore?!»
«Rami, adesso basta!» sbottò Aida,
estremamente disgustata da quell’assoluta mancanza di
rispetto nei confronti di Giancarlo; cercò, però,
di non alzare troppo la voce per evitare di far sentire a Samir, che
giocava lì accanto, cosa stava dicendo il fratello maggiore.
«Non ti vergogni a rivolgerti con queste parole offensive a
chi non c’è e non può dire niente a sua
discolpa?» continuò, rimproverandolo. «E
poi, per quale motivo dovrebbe continuare a pensare a me, se
può divertirsi con tutte le ragazze che vuole e persino
più belle della sottoscritta?»
L’altro la fissò ad occhi socchiusi e le
sibilò, inferocito: «Perché continui a
difenderlo? No, aspetta, non dirmelo... ti sei presa una cotta per
lui!»
La ragazza, nel sentire quelle parole, distolse lo sguardo, sentendosi
avvampare, poiché non voleva che i suoi sentimenti fossero
giudicati in quella maniera, tuttavia, il fratello se ne accorse e
riprese, sempre più adirato: «E magari, speri
anche che possa ricambiare i tuoi sentimenti! Come ti ha raggirata?
Promettendoti di farti diventare la sua amante prediletta, per
caso?»
Aida, però, non si lasciò scalfire e, infastidita
da quel comportamento così ottuso, replicò:
«Tu non puoi capire, Rami. O, forse, non vuoi».
Questa risposta lo urtò terribilmente il giovane che, senza
indugiare oltre, si alzò con uno scatto e lasciò
la veranda, biascicando improperi sia verso di lei che verso il suo
spasimante.
«Io sì, invece» sussurrò,
invece, impercettibilmente Aida, con lo sguardo fisso sul golfo di
Alessandria.
«Come facciamo a ringraziare Giancarlo per quello che ci ha
regalato?» domandò all’improvviso Samir,
mentre la ragazza lo aiutava a prepararsi per andare a letto, ma lei si
fermò a fissarlo, ritenendo che, in effetti, sarebbe stato
educato farlo.
«Un modo lo troveremo. Su, ora mettiti giù e
dormi, va bene? Domani c’è scuola» gli
disse, dopo averci riflettuto su un po’.
«Dada, ma perché Rami dice tutte quelle cose
brutte a Giancarlo? A me piace, mi sono divertito con lui. Non
è cattivo come il fidanzato che tu non vuoi».
La ragazza gli sorrise debolmente e, sospirando, rispose:
«Rami pensa di sapere sempre tutto e non sa perdonare chi ha
fatto degli errori, senza rendersi conto di essere proprio lui il primo
a farli».
«Quindi anche i grandi sbagliano?» chiese, allora,
Samir, meravigliato.
«Certamente, a volte, persino più dei
bambini!» replicò la sorella, prima di fargli
cenno di mettersi giù per farsi coprire.
«Però possono essere perdonati? Tu e Rami mi
perdonate sempre tutto, quando sbaglio» continuò
il bambino, con una buffa espressione pensierosa sul volto.
Questa volta, Aida sorrise più serenamente e, dopo avergli
accarezzato la testa, replicò: «Dipende, se
c’è un pentimento sincero, non vedo
perché non dare una seconda possibilità. Ora,
però, dormi, d’accordo? Abbiamo chiacchierato
abbastanza per stasera».
Il bambino, allora, sbadigliò ed annuì,
accoccolandosi su un lato e stringendo a sé il suo peluche a
forma di scimmia: «Buonanotte, Dada».
«Buonanotte, Samir» gli rispose l’altra,
chinandosi su di lui e posandogli un bacio sui capelli.
Poi, spense la luce ed uscì dalla stanza in punta di piedi,
intenzionata a dirigersi in veranda per ritagliarsi un po’ di
tempo per sé, giacché sentiva il bisogno stare in
compagnia esclusivamente dei suoi pensieri. Aveva già messo
un piede fuori, quando si sentì chiamare: «Dada!
Non ci crederai!»
Voltandosi, scorse Jamila che arrivava di gran carriera verso di lei e,
senza nemmeno aspettare che le fosse più vicina, le chiese,
leggermente infastidita: «Si può sapere che cosa
ti prende?»
«Non puoi nemmeno immaginare…» fece
l’altra, bloccandosi davanti a lei per riprendere fiato.
Aida aggrottò appena la fronte, perplessa.
«Cosa?»
Tuttavia, l’amica non rispose subito, prendendosi altro tempo
per fare qualche respiro profondo.
«Oh, insomma, Jamila, che cosa
c’è?!» sbottò, alla fine,
spazientita.
«C’è il biondino al telefono... vuole
parlarti!»
Non aspettandosi una risposta simile, la fanciulla rimase imbambolata
per qualche secondo, per poi ridestarsi e fiondarsi a prendere la
chiamata.
«A quanto sembra, ha scelto di fare la difficile»
commentò, invece, sottovoce Jamila, sogghignando divertita.
Una volta entrata in ufficio, Aida chiuse dietro di sé la
porta e si accomodò sulla poltrona del fratello, sentendo il
cuore che le batteva all’impazzata: stava provando un misto
di emozioni troppo ingarbugliato poter essere sbrogliato e compreso,
poiché ancora non sapeva con certezza cosa provava verso di
lui. L’unica cosa che sapeva era che sicuramente non si
trattava di una semplice simpatia.
Decisa a calmarsi, allora, inspirò a fondo e, dopo aver
appoggiato lentamente la cornetta all’orecchio,
parlò, per poi sentirsi rispondere, immediatamente:
«Masah el kheir».
Riconobbe subito quella voce, così calda e gioviale, e
sorrise, piacevolmente colpita da quell’approccio originale.
«Buonasera a te. Sai che il tuo accento è davvero
buono?» disse, divertita.
«Trovi? Sono solo agli inizi, sai? Si può sempre
migliorare» fece, però, lui, con sicurezza.
«Oh, non ne dubito» ribatté lei,
rendendosi conto di averlo fatto con tono più canzonatorio
di quello che avrebbe voluto e sentendosi avvampare per questo.
Per fortuna, Giancarlo non la considerò una provocazione e
proseguì: «Piaciuto il regalo?»
La fanciulla sentì che cominciava ad essere meno tesa e si
appoggiò allo schienale della poltrona, prima di rispondere:
«Molto. Credo di aver cominciato a capire perché
hai detto che ami le sorprese».
«Sì, ma solo quelle che riescono bene. Anche a
Samir è piaciuto?»
«Assolutamente. È letteralmente impazzito, era
certo che ti saresti ricordato di lui!»
Approfittando di quell’affermazione, l’altro la
stuzzicò, cantilenante: «Perché, tu ne
hai dubitato, forse?»
«Be’, sai già che credo solo a quello
che verifico di persona» rispose lei, pronta, ringraziando
che lui non fosse lì a vedere il suo imbarazzo.
«In realtà, non credo ti mancheranno le cose da
verificare. Ho solo iniziato a mantenere la mia promessa».
«Allora, aspetterò».
Ci fu una breve pausa di silenzio, poi il giovane riprese: «A
proposito, hai un indirizzo e-mail? Non essendo un fan dei social
network, temo dovremmo accontentarci di posta elettronica e cellulare,
quando non potremo sentirci via telefono».
Nell’udire quella bizzarra richiesta, Aida
aggrottò la fronte, attonita e perplessa per quella
rivelazione.
«So bene che sarà un modo di comunicare un
po’ freddo e distaccato, ma trovo che sia perfetto per
garantire la mia ri-educazione riguardo al corteggiamento».
«Ah!» esclamò lei, sorpresa per
l’uso della parola corteggiamento.
«Ehm... sì, va bene, come vuoi, per me non ci sono
problemi» balbettò, prima di rimanere qualche
secondo in silenzio, incerta su cosa dire.
«Grazie per quello che hai fatto per mio padre,
comunque».
«Io non ho fatto niente, devi ringraziare Mary Anne: non hai
visto come è felice di occuparsi di un caso vero,
anziché della solita diatriba tra assicurazioni?»
si schermì Giancarlo, tradendo anche un certo divertimento.
«Miss Darland mi ha detto che non l’hai pagata per
seguire la causa. Almeno per questo accetta il mio grazie».
A quest’ultima affermazione, però, il giovane non
rispose, così lei ebbe il presentimento che sapesse che lei
non avrebbe mai accettato, se lui avesse pagato al posto del fratello,
anche se ne aveva davvero bisogno, considerando la disastrosa
situazione del padre.
Poco dopo, per fortuna, il biondo riprese la conversazione, cambiando
del tutto argomento, scambiandosi rapidamente tutti i contatti
necessari prima di salutarsi.
«Allora, a presto?» chiese, infine, la ragazza,
quasi sussurrando, staccando il post-it su cui si era appuntata tutto e
pensando a dove nasconderlo, affinché non capitasse tra le
mani di Rami.
«Già senti la mia mancanza, gioia?»
replicò, allora, il giovane, in perfetto stile Gianni
Tornatore.
Tuttavia, Aida non si fece cogliere impreparata e non si
lasciò disorientare tanto facilmente.
«Non più di quanto tu senta la mia»
rispose, sicura, accennando anche un’inflessione divertita e
non sapendo che, in realtà, lui stava gongolando beato per
quanto udito, né che erano proprio quei brillanti e sottili
confronti ad alimentare l’alchimia che si era innescata tra
loro due.
«Se tu lo vorrai, a presto» concluse poco dopo lui,
più dolcemente.
«Tesbah ala
kheir» lo salutò, a quel punto, la
fanciulla, curiosa di mettere alla prova la sua conoscenza
dell’arabo.
«Buonanotte a te, Aida. E non scordarti di salutare Samir da
parte mia!».
Aida sorrise: Giancarlo aveva risposto correttamente.
***
Marcello
Tornatore e sua moglie Beatrice erano seduti al tavolo della sala da
pranzo, intenti a consumare la prima colazione, lui impegnato a leggere
il giornale, lei in attesa che il suo tè verde aromatizzato
al bergamotto si raffreddasse.
Madonna
Beatrice, come l’aveva prontamente ribattezzata la
servitù, per via delle sue origini fiorentine, era davvero
una bella donna, con quei lunghi, ondulati capelli ramati, gli occhi
blu e le labbra rosee e delicate; aveva anche uno spiccato temperamento
artistico, e sapeva essere tanto mite, quanto ferma e decisa.
Accanto a lei, invece, Sor
Marcello, nonostante avesse raggiunto i cinquanta, mostrava ancora i
segni di quell’innegabile bellezza che, in
gioventù, aveva fatto sospirare molte ragazze: fisico
statuario, lineamenti eleganti e occhi tendenti al verde chiaro,
un’ombra di barba e capelli ancora biondi. Uomo pratico e di
poche cerimonie, non aveva mai prestato troppa attenzione ai vincoli
imposti dal proprio status sociale, preferendo improntare la propria
vita in base agli antichi e inviolabili valori. Perciò il
fatto che la sorte, invece, gli avesse dato un figlio, che aveva fatto
del pressappochismo il suo credo, rappresentava il suo più
grande motivo di rammarico.
Per questo, marito e moglie si ritrovavano spesso a discutere della
pessima condotta di Gianni e così fecero anche quella
mattina.
«Da quando è tornato da quella vacanza, si
comporta in maniera strana. Secondo me, sta tramando
qualcosa…» esordì l’uomo,
mettendo da parte il giornale.
«Ti riferisci
al nostro Pulcino?»
temporeggiò l’altra, scegliendo con cura una fetta
di pane tostato dal cestino di stoffa che aveva davanti.
Marcello si voltò immediatamente nella sua direzione e la
fissò inarcando appena un sopracciglio, come se si sentisse
preso in giro.
«Secondo te? Comunque, per favore, smettila di chiamarlo
così: l’unica cosa seria che ha è il
nome, ereditato dal nonno» le fece notare, irritato.
«Sai, a volte penso che sia davvero un bene che mio padre non
possa sapere cosa sta combinando il nipote…»
«Son sicura
che non sta facendo
niente di male. Non hai notato, forse, che non rincasa più
all’alba, che
ha smesso di fumare e ha anche
ripreso a studiare per gli esami?» replicò
Beatrice, tradendo una certa soddisfazione, iniziando a spalmare la
marmellata di albicocche sulla fetta di pane.
«Ti ha ingaggiato per fargli pubblicità, per
caso?» replicò, però, acidamente
l’altro.
La donna sospirò: «Suvvia, Marcello! Ha perfino chiesto aiuto ad
Emiliano e ora sta seguendo le su’
direttive per recuperare
al meglio il tempo perso!»
«Mi stai forse dicendo che è tornato amico di
Emiliano... Corsini…?»
L’uomo, stralunato, non riusciva a credere alle sue orecchie.
«Oh, sì!» confermò la moglie,
entusiasta, poggiando la fetta di pane su un piattino.
«Finalmente, ha lasciato perdere quell’idiota del
figlio di Colonna?» continuò l’altro.
«Già.
Non trovi che
sia un bel passo in avanti?»
Marcello osservò la moglie di sbieco, poco convinto,
così lei continuò, dolcemente: «Non hai
visto che
è più sereno? Non ci giurerei, ma secondo me potrebbe
essersi innamorato».
Tale affermazione fu il massimo che il marito potesse tollerare,
infatti, inarcò marcatamente un sopracciglio e
sbottò: «Questa te la sei inventata or ora di sana
pianta! Tuo figlio è troppo impegnato a vedere solo se
stesso e quelle svergognate che gli ronzano perennemente intorno, per
accorgersi che là fuori ci sono tante brave ragazze. Non
credo che avremo mai il piacere di vederlo sistemato con una donna che
possa essere chiamata tale».
«Suvvia!» replicò subito Beatrice,
scuotendo la testa. «Secondo
me gl’è successo
qualcosa di
bello che
ancora non
c’ha raccontato».
«Finché non lo vedrò, non ci
crederò» sentenziò l’altro,
irremovibile. «Anche tuo fratello dava il meglio di
sé, quando doveva svelare tutti gli altarini delle sue
bravate!»
«Be’, l’è
innegabile
che Guido
abbia fatto spesso il bischero
e che tutt’ora non si comporti
troppo bene, ma...»
«Non è Guido, è Giuda. Non aveva
nemmeno finito di promettere di prendersi le sue
responsabilità, che tuo padre ha dovuto svendere la vostra
proprietà all’Argentario e la casa vicino a Santa
Maria del Fiore, per saldare i debiti di gioco di quella sanguisuga!
Inoltre, come se non bastasse» aggiunse Marcello,
rabbrividendo al solo ricordo, «ti stava per vendere a quel bastardo schifoso
di Conrado de Navarra!»
La moglie sospirò per la seconda volta, alzando gli occhi al
cielo.
«Oh, ma non c’è riuscito, visto che un aitante e fascinoso giovane
l’è
intervenuto in tempo» gli
sussurrò poi, teneramente, sperando di rabbonirlo, ma,
purtroppo il tentativo non ebbe l’effetto sperato,
perché l’altro, poco dopo, proseguì la
sua accesa orazione.
«E poi, Tiberio mi ha proprio seccato con quel suo continuo
sottolineare che ragazza virtuosa sia Claudia, copia esatta di nostra
madre».
A questo punto, la donna, memore delle angherie che le aveva riservato
la suocera ogni volta che aveva potuto, cambiò
repentinamente espressione.
«Oh, tu sa’
che
fortuna!» commentò, sarcastica e il marito, che
condivideva pienamente quel punto di vista, rincarò la dose.
«Sai qual è la cosa peggiore? Che, secondo loro,
è un vanto. Come il fatto che si sia fidanzata con il
rampollo dei Boulanger. Da quando è successo, mio fratello e
sua moglie sono diventati ancora più insopportabili, dato
che si augurano che Giancarlo sposi al più presto la figlia
degli Odescalchi».
E, poco dopo, disgustato, aggiunse: «Sono davvero
ridicoli!»
«In effetti, tra la
Maria Chiara
e la
Claudia non so davvero chi
debba star
più lontana dal mi’
figliolo» concordò la moglie, sdegnata,
zuccherando il proprio tè con troppa foga.
«Comunque, l’è
piacevole vedere come il tu’
fratello e la su’
moglie non abbian perso il vizio d’impicciarsi
dei nostr’affari».
«Le sane abitudini non vanno mai perse» fece
Marcello, ironico, infastidito anche solo a nominare i suoi parenti,
verso i quali non nutriva la benché minima stima e non
approvando che, dall’alto della loro villa ad Albano
Laziale1, si
sentissero in dovere di fare commenti su suo figlio. A suo
tempo, infatti, lo aveva già abbastanza schifato il
matrimonio d’interesse tra il fratello Tiberio e la ricca
Ortensia Torlonia, spingendolo, addirittura, a decidere di non
sposarsi, ignaro di ciò che aveva in serbo il destino per
lui.
D’altra parte, allora, anche l’appena diciottenne
Beatrice, giunta nella Capitale poco dopo la morte di suo padre e
ospite di una zia e di una cugina tutt’altro che generose,
era convinta che la sua vita sarebbe stata costellata solo
dall’infelicità, prima di essere costretta a
ricredersi la sera che il suo dissoluto e libertino fratello aveva
avuto la prodezza di trascinarla ad uno dei ricevimenti ai quali era
solito imbucarsi, cui, eccezionalmente, erano presenti, in
rappresentanza della famiglia, Tiberio, la sua neoconsorte e il suo
giovanissimo fratello minore Marcello.
Era stata una festa come tante, con molta musica e tanti discorsi
futili, una perfetta vetrina di tutta la sedicente buona borghesia
romana, quindi un evento che, agli occhi del minore dei due fratelli,
si annunciava persino più noioso degli altri. Si stava
appunto allontanando dall’ennesima fanciulla che aveva
cercato, invano, di attaccare bottone con lui, quando era
accaduto l’inatteso: era letteralmente rimasto
stregato dalle iridi blu zaffiro della ragazza che, maldestramente, lo
aveva appena fatto cadere per terra, finendo curiosamente tra le sue
braccia, mentre scappava da un corteggiatore un po’ troppo
insistente.
Dal canto suo, quella fanciulla, abituata a cucirsi i vestiti da sola e
a discorrere per ore di letteratura e opere d’arte, era
rimasta a sua volta rapita dal fascino misterioso di quel giovane, il
più bell’uomo che avesse mai visto, a tratti
così burbero e severo, a tratti così gentile e
delicato.
Tuttavia, a distruggere l’idillio, ci aveva pensato Madama
Claudia, la Matrona, che non voleva assolutamente che il ribelle figlio
minore, avendo ormai passato i venticinque anni, sposasse una fanciulla
senza dote, poiché, anche se i Tornatore non erano nobili,
potevano comunque considerarsi molto ricchi e di antica stirpe.
Ciò che, però, non aveva messo in conto era che a
Marcello piacesse quella giovane bambola e così, era
riuscito a prevalere su di lei, forte dell’appoggio del padre
Giancarlo, sposando, nonostante le proteste fatte anche il giorno del
matrimonio, l’unica donna che avrebbe mai potuto renderlo
felice.
Beatrice, cominciò a sorbire il tè e, nel
riappoggiare la tazza sul piattino, provocò un tintinnio di
ceramica, che si propagò nella mente dell’uomo,
distogliendolo dai suoi pensieri e portandolo a guardare nuovamente la
moglie che, approfittando del momento di quiete, gli
sussurrò, affranta: «Comunque, Marcello, ti prego, cerca
d’esser più comprensivo
con Giancarlo... pensa che
ti vergogni
di lui, sai?»
Nel sentire ciò, Marcello si voltò in direzione
della finestra aperta e, per qualche secondo, contemplò il
cielo.
«Sai bene che non è così, ma non posso
comunque far finta di approvare il suo comportamento
scellerato» mormorò, infine. «Non so
davvero dove ho sbagliato con lui…»
La donna, allora, gli poggiò una mano sulla sua e,
rivolgendogli un’occhiata rassicurante, cercò di
confortarlo: «Non hai sbagliato nulla, l’è
solo che...»
Tuttavia, non riuscì a finire la frase, giacché,
proprio in quel momento, il ragazzo fece la sua comparsa.
«Buongiorno, mamma» esordì, entrando
nella sala con alcuni libri e quaderni in mano.
«Buongiorno... papà».
«Buongiorno,
caro»
gli rispose la madre, sorridendogli.
Marcello, invece, gli scoccò uno sguardo severo, per poi
riprendere immediatamente il suo quotidiano e sparire dietro la prima
pagina, emettendo un grugnito a mo’ di saluto.
«Ti fermi a fare colazione
con noi, Pul… Giancarlo?»
chiese, a quel punto, la donna, lanciando uno sguardo al Quotidiano
seduto al suo fianco.
«No, grazie, mamma, vado di corsa. Questa mattina ho la
lezione di economia finanziaria alle nove in punto, perciò
devo scappare».
Beatrice annuì, sempre sorridendo, mentre la Prima Pagina
continuava nel suo mutismo, e Giancarlo fece finta di niente, abituato
all’atteggiamento ostile del padre.
«Sarà meglio che vada»
annunciò, dando una scorsa veloce al cellulare.
«Buona giornata!»
Si era appena voltato, quando la madre, lasciando che un sorrisetto
furbo si affacciasse sul suo volto, lo richiamò, con tono
apparentemente casuale: «Stai controllando i tuoi
impegni, caro,
oppure aspetti una chiamata
da Emiliano?»
Il figlio si fermò immediatamente e si voltò
verso di lei.
«No, non ce n’è bisogno, ci siamo
già messi d’accordo» replicò,
distrattamente, alzando le spalle.
«Però, deve essere comunque una cosa
importante» insistette Beatrice.
«Sì, certo» rispose il giovane,
continuando a scorrere l’indice sul touch-screen del suo
i-Phone.
«Importante quanto una… ragazza?»
avanzò lei, continuando il suo interrogatorio.
«Eh?» fece l’altro, trasalendo, e facendo
quasi cadere i libri che teneva sotto il braccio.
«Caro,
ho notato che
se’
un pochino
assente in quest’ultimo periodo e il babbo ed io siamo un
po’ preoccupati».
«Parla per te!» replicò, asciutto, il
Quotidiano, increspandosi appena.
La moglie chiuse gli occhi e, dopo aver preso un bel respiro, decise di
ignorarlo e continuare la sua indagine: «Tuttavia, e credo che
sarebbe meno preoccupante,
se ci fosse di mezzo una fanciulla...»
A quel punto, Giancarlo corrugò la fronte e si sedette al
tavolo, appoggiando i libri ed il cellulare da una parte ed afferrando
una fetta di pane tostato dal cestino con la mano libera, convenendo
che, se doveva davvero rivelare tutto ai suoi genitori, era meglio
farlo a stomaco pieno.
«Ecco, a dire il vero, ho conosciuto una ragazza
che...» cominciò a raccontare, dopo aver
inghiottito un paio di bocconi.
Tuttavia, non riuscì a finire, perché il
Quotidiano scoppiò in una risata di scherno: «Una?
E da quando avresti ammesso il concetto di singola unità,
nel tuo sistema numerico?»
«Marcello,
fallo parlare!» intervenne la donna, prendendo le parti del
figlio e rivolgendosi, subito dopo, proprio a lui.
«Caro,
per te l’è davvero così
importante?» gli chiese, gentile.
«Sì, molto» rispose lui, esibendo un
sorriso che aveva un che di imbarazzato.
«Allora perché
non ce la fai conoscere?»
Il ragazzo stava per rispondere affermativamente, quando un
“no” secco riecheggiò nella sala
così si ritrovò a guardare alternativamente sua
madre e la Prima Pagina.
«Perché
no, Marcello?»
si stizzì la consorte.
In risposta, l’uomo abbassò lentamente il giornale
e la guardò severamente.
«Non ho tempo da perdere con le mignotte con le
quali si intrattiene» rispose, secco spostando lo sguardo su
Giancarlo e facendogli un cenno con il capo. «E ti posso
assicurare che, finché in questa casa ci sarò io,
queste mura non saranno spettatrici di alcuna
oscenità!»
Beatrice lo guardò ironica, inarcando un sopracciglio,
disapprovando certi termini con il quali si era espresso il marito,
trovandolo un controsenso: se stava rimproverando il figlio, doveva
almeno dargli il buon esempio!
«Come puoi dire questo, se non l’hai nemmeno mai
vista?» protestò, invece, il giovane, buttando il
resto del pane tostato sul tavolo. «Ti assicuro che non
è come le altre... Se non vuoi dare a me un’altra
possibilità, almeno offrila a lei, che non merita un tuo
giudizio così severo e, soprattutto,
così sbagliato prima ancora di averti conosciuto!»
Dopo tali parole, Marcello lo squadrò attentamente,
rimanendo alquanto sorpreso nel notare che sul volto del figlio, al
posto della consueta e apatica accidia e di quel suo solito sorrisetto
da schiaffi, c’era un espressione decisa e appassionata.
«Perché insisti tanto per farcela conoscere?
Finora hai fatto i tuoi disgustosi comodi tacitamente, come
è negli accordi: fuori di qui puoi fare tutte le nefandezze
di questo mondo, purché tua madre ed io non ne veniamo a
sapere niente» gli ricordò, assottigliando lo
sguardo, sospettoso. «Cosa ti spinge adesso a volerci rendere
partecipi della tua miserabile vita?»
Il ragazzo incassò le offese, consapevole di essersele in
gran parte meritate, ma non si lasciò intimidire e
replicò, con veemenza: «Quando la conoscerete,
capirete. E, comunque, sarebbe opportuno che cominciaste al
più presto a prendere confidenza con quella che, spero,
potrebbe essere la vostra futura nuora».
Beatrice spalancò gli occhi per la sorpresa e trattenne il
fiato, mentre Marcello ebbe la reazione peggiore, poichè
sapendo
che, invertendo l’ordine degli addendi, il risultato non
cambia, arrivò ad un’univoca conclusione: suo
figlio si era fatto incastrare.
Per questo, si mise lentamente in piedi e dardeggiò il
giovane con uno sguardo assassino: «Ah, ora ho capito,
delinquente perverso! Sapevo che, prima o poi, sarebbe finita
così!» esclamò, alzando il tono della
voce.
«No, aspetta, non è come credi tu!» si
affrettò a smentire Giancarlo, diventato scarlatto, dopo
aver intuito a cosa stava pensando il padre. «È
vero, c’è anche un bambino di mezzo, ma ha otto
anni... ed è suo fratello!»
L’uomo lo guardò, scettico, anche se dovette
ammettere che non aveva mai visto il figlio così sicuro e,
allo stesso tempo, così imbarazzato.
«Ti prego, dammi fiducia, almeno per questa volta. Dammi
l’opportunità di dimostrarti che tengo davvero ad
Aida e a Samir…»
Marcello, allora, espirò molto lentamente e
appoggiò le mani sul tavolo.
«Aida? È così che si chiama?»
«Sì. Samir, invece, è il suo
fratellino. Poi ne ha anche uno più grande, Rami, al quale
però non sono affatto simpatico».
«E posso immaginare il perché!»
commentò l’altro, facendo una smorfia.
Per tutto il tempo, Beatrice osservò entrambi, rimanendo
sempre in silenzio e lasciando che fosse il marito a fare le domande
più opportune.
«Quando e, soprattutto, dove l’hai
conosciuta?»
«Mentre ero in vacanza, ad Alessandria» rispose il
ragazzo, senza staccare gli occhi da quelli del padre.
«Studia Belle Arti e lavora insieme a suo fratello per
pagarsi gli studi. Fa la cameriera, è un lavoro di tutto
rispetto, non trovi?» precisò, prima che il padre
giungesse a qualche altra conclusione affrettata.
L’uomo, allora, tenendo i palmi saldamente aderenti al
tavolo, si rizzò in tutta la sua altezza e lo
guardò severamente. Anche se non sapeva se gli stava davvero
raccontando la verità, doveva ammettere che era una storia
troppo limpida e credibile per essere frutto della fantasia del figlio,
per quanto fervida; inoltre, nel caso avesse mentito, prima o poi la
verità sarebbe comunque venuta fuori. C’era da
dire, però, che, quel nome gli aveva subito fatto
riaffiorare alla mente qualcosa che a lui era nostalgicamente noto,
attirando positivamente la sua attenzione.
Nel frattempo, il giovane era rimasto in silenzio, in penosa attesa di
conoscere la risposta.
«E va bene» sospirò Marcello, dopo
secondi che parvero infiniti, «conosceremo questa misteriosa
ragazza, fautrice dell’illuminazione sulla via di Damasco!
Tuttavia, sappi che ti tengo d’occhio» lo
redarguì alla fine, pronunciando quest’ultima
frase molto lentamente.
Giancarlo annuì, con fare consapevole, poi si
alzò, recuperò i libri e, dopo essersi scambiato
un’ultima occhiata con i genitori, li salutò e si
diresse verso la porta.
Rimasta sola con lui, Beatrice si avvicinò al marito e
cominciò a dargli affettuose pacchette sulla spalla,
sussurrandogli dolcemente: «E son sicura che sa quel che fa».
«Me lo auguro» borbottò lui, in
risposta, recuperando il giornale e rimettendosi seduto.
«Altrimenti, preparati a diventare vedova e a venire a
piangermi al cimitero».
La donna sospirò, lasciandosi comunque scappare un sorriso.
«Oh, non essere così
disfattista e catastrofico!»
esclamò, rimproverandolo scherzosamente.
«In effetti, ci sarebbe una prospettiva migliore: venire a
trovare me a Rebibbia e tuo figlio al Verano2»
ribatté lui.
A quel punto, lei scosse la testa e, finalmente, cominciò a
sorseggiare il suo tè, ormai completamente freddo.
***
Test Chi-Quadrato, T di Student, intervalli di confidenza...
statisticamente parlando, quante probabilità aveva di
passare l’esame?
Voltando pagina, Giancarlo smise di tamburellare ritmicamente la matita
contro il libro e buttò giù sul foglio una
formula matematica, alla quale fece seguire una nutrita schiera di
passaggi e calcoli algebrici, che si conclusero con un esiguo numero
decimale. Allora, si fermò, fissò le cifre, e,
per un attimo, smise perfino di respirare, cercando febbrilmente il
risultato dell’esercizio nelle appendici del volume che aveva
fra le mani. Nel vedere che corrispondevano, sorrise, soddisfatto,
prima di tornare a concentrarsi sul problema, risoluto a concluderlo
nel passaggio successivo. E fu proprio quello che fece, confrontando
poi quanto ottenuto con la soluzione data, che coincideva
perfettamente: l’ipotesi poteva essere rifiutata.
Compiaciuto, il giovane depennò l’esercizio dalla
lista e, stiracchiandosi, appoggiò la schiena contro lo
schienale della poltrona di Marcello. Quando ne aveva occasione,
infatti, andava spesso a studiare nella stanza che il padre aveva
attrezzato come studio, poiché aveva una scrivania molto
più comoda della sua, oltre ad essere un ambiente
deliziosamente caldo e accogliente che, per giunta, permetteva di
godere dalla balconata di una fantastica visuale sul parco della villa.
Per qualche secondo ancora, Giancarlo tornò ad ammirare il
piccolo successo raggiunto, dopo di che scorse gli altri esercizi da
fare e ne scelse un altro, visto che la possibilità di
superare bene l’esame di statistica era direttamente
proporzionale alla cura che ci metteva nel prepararlo e
quell’ostacolo del terzo anno di economia doveva essere
oltrepassato.
Tuttavia, doveva ammettere che, con la matematica non aveva mai avuto
un buon rapporto: da adolescente infatti, non aveva fatto altro che
architettare piani sempre più stravaganti per saltare le
lezioni private di algebra, procurando non pochi guai
all’anziano maggiordomo e subendo innumerevoli lavate di
testa da parte del padre, impotente di fronte al fatto che odiava
quella materia quasi quanto preferiva uscire con le sue ragazze.
A quel ricordo così poco piacevole, il suo sorriso si
convertì all’istante in una smorfia di disappunto,
poiché quel periodo gli sembrava molto lontano ed estraneo,
come se non fosse stato lui il protagonista di quelle scorribande.
Tuttavia, subito dopo, poco intenzionato a perdere tempo con quei
fastidiosi aneddoti, scosse la testa, riportando la mente sugli
esercizi, e stava proprio per iniziare una nuova gincana numerica,
quando qualcuno bussò alla porta.
«Avanti!» fece, alzando la testa.
Subito, entrò una donna ben piazzata e dai folti capelli
corvini, che richiuse immediatamente e malamente la porta dietro di
sé, come se fosse stata inseguita.
«Cosa è successo, Annetta?»
domandò il ragazzo, preoccupato.
La governante, allora, fece una smorfia seccata, prima di rispondere:
«Una disgrazia, ecco cosa! Sono appena arrivati la prima
donna e quel damerino del suo fidanzato e vogliono parlarti».
Avendo intuito da quegli epiteti che si stava riferendo alla cugina e
ad Olivier, il giovane si alzò e sospirò:
«Falli accomodare».
Tuttavia, la donna, che aveva una bassa considerazione di Claudia, non
si mostrò d’accordo con quella decisione:
«Ricordati che non sei tenuto a riceverli: stai studiando ed
è molto più importante questo che ascoltare le
loro chiacchiere inutili!»
Giancarlo corrugò la fronte e aprì la bocca per
ribattere, ma non riuscì a dire nulla, perché,
prima che potesse farlo, Annetta scosse la testa e proseguì:
«Ho capito, ma cerca di mandarli via presto,
d’accordo?»
E, dopo aver detto questo, senza aspettare una risposta,
spalancò la porta e attese che i visitatori entrassero.
Claudia avanzò immediatamente, sfoggiando un abito di
velluto color malva, reggendo con la mano destra un paio di guanti di
nappa leggera e con il braccio sinistro una preziosa borsetta abbinata
alle décolletées
in pelle di camoscio che
indossava; i capelli, invece, erano stati minuziosamente acconciati in
splendidi boccoli che scendevano sinuosi da un lato del volto. Subito
dietro di lei, comparve Olivier, rigorosamente azzimato in un
sopraffino completo blu e bianco che gli cadeva perfettamente, mettendo
in risalto la sua figura aggraziata.
«Merci,
madame»
fece ad Annetta, che, invece, fece
una frettolosa, rigida riverenza e lanciò
un’occhiataccia alla ragazza, per poi uscire, sbattendo
leggermente la porta dietro di sé.
«Personale sempre molto scortese e inefficiente,
noto» commentò Claudia, accomodandosi, senza
chiedere il permesso su una delle poltroncine, subito imitata dal
fidanzato.
«In realtà, Annetta è la migliore
governante che potessimo avere» notò Giancarlo,
con una punta di irritazione. «Piuttosto, come mai siete
qui?»
«Ci intratterremo a Roma solo per qualche ora, siamo venuti
perché mi sono resa conto che la moda parisienne di
quest’anno non mi soddisfa. Madame Morue ha
dato un
ricevimento e non posso assolutamente presentarmi con un vestito simile
a quello che ha preparato per quella manche de balai
della figlia.
È ancora convinta che la sua Ottilie sarebbe perfetta come
futura Madame
Boulanger e non perde occasione per mettermi in
difficoltà» spiegò subito Claudia,
visibilmente scocciata.
Sentendo quelle parole, Olivier indugiò di nascosto sulla
figura della fidanzata, pensando evidentemente allo scampato pericolo,
poiché, nonostante fosse superba e altezzosa, fisicamente
non aveva nulla da criticarle.
«Che affronto imperdonabile!» esclamò,
allora, il biondo, ironico, attirando immediatamente
l’attenzione dell’amico, che lo guardò
accigliato, mentre Claudia, invece, lo scrutò con gli occhi
ridotti a due fessure, prima che il suo sguardo cadesse sui libri
aperti sulla scrivania.
«Cosa stavi facendo?» chiese, guardandoli
incuriosita.
«Stavo studiando statistica» rispose Giancarlo, con
noncuranza, lasciando i due sbigottiti.
«Statistica? Tu sei allergico alla matematica!»
strillò subito la ragazza con voce acuta, osservando il
cugino con occhi spiritati.
«Risolverò con un antistaminico, oppure con una
bella dose di cortisone» replicò
l’altro, con leggera strafottenza, cominciando a irritarsi.
«Hai ripreso a studiare?» riprovò
Olivier, scettico. A quel punto il giovane, facendo appello a tutta la
pazienza che aveva e cercando di non essere troppo scortese,
ribatté: «Avete bisogno di certificato timbrato e
firmato dal rettore per esserne convinti, per caso? Sì, ho
ricominciato a frequentare i corsi».
Claudia assottigliò lo sguardo, stranamente risoluta a non
indagare oltre sull’improvviso interesse che il cugino stava
ostentando verso quella materia per lui così ostica.
«Comunque, ancora non mi avete detto perché siete
venuti» riprese Giancarlo, appoggiandosi contro la scrivania
e incrociando le braccia, desideroso di arrivare quanto prima al dunque.
«Oh, vedi, Olivier ed io abbiamo avuto un’idea per
festeggiare adeguatamente la sua vittoria al Bocuse
d’Or» cominciò Claudia,
contenta che le
si desse l’attenzione che desiderava. «Avevamo
intenzione di organizzare il tutto tra qualche settimana, sai, il tempo
di liberarci dagli ultimi inviti... ma l’idea ci è
venuta all’improvviso così, trovandoci nei
paraggi, abbiamo deciso di venirtene a parlare di persona!»
Vedendo che il cugino, però, si limitava a fissarla con un
sopracciglio alzato, senza dimostrare interesse verso ciò
che stava dicendo, la ragazza proseguì: «Stavamo
pensando di fare qualcosa di particolare… una settimana a
Bora Bora a goderci il sole estivo, mentre qui è pieno
inverno!»
A quel punto, tacque, soddisfatta, in attesa della risposta di
Giancarlo, come se pensasse di meritare un premio solo per aver avuto
un’idea del genere. Tuttavia, il biondo non fu dello stesso
avviso, come si affrettò a mettere in chiaro.
«Non credo di poter partecipare, è periodo di
esami e non posso muovermi» spiegò, con tono grave.
«Che cosa?!» strillò l’altra,
con voce acuta.
«Ho l’esame di statistica, in quei giorni,
perciò non posso muovermi» ripeté,
allora, il ragazzo, scandendo bene le parole, come se sospettasse che
la cugina fosse diventata sorda tutto d’un tratto.
«E non puoi telefonare a Palombelli e far spostare
l’appello? Appena sentirà che sei tu, non ti
negherà niente» gli suggerì subito lei.
«Ma sei impazzita o cosa?! Spostare l’appello per
una vacanza? È assurdo, Claudia! Non sono solo io a dover
affrontare quest’esame!»
In quel momento, Olivier aprì la bocca per dire qualcosa, ma
la sua fidanzata lo precedette: «Non ti riconosco
più, sei così... diverso. Immagino che questo tuo
cambiamento dalla notte al giorno sia stato orchestrato da
lei».
Giancarlo si concentrò sul ripiano più alto della
libreria che aveva di fronte, dedicandosi all’inventario dei
volumi lì sistemati, invece di rispondere, non avendo la
benché minima intenzione di mettersi a discutere con la
ragazza di cose che non la riguardavano.
«Come temevo…» commentò
quella, dopo avergli riservato un’occhiata carica di
risentimento. «Se le cose stanno così, fai pure
quello che vuoi, allora, ma spero che, prima o poi, tu riesca a
rinsavire».
Poi tacque per qualche secondo, ma, poiché la gelosia nei
confronti del cugino era più forte di lei, non
riuscì a trattenersi ancora e sbottò:
«Dovresti smetterla di andare dietro a quella piccola
sguattera, non merita le tue attenzioni!»
Il ragazzo, però, continuò a rimanere in
silenzio, deciso a non alimentare oltre una discussione che trovava
insensata: sapeva che Claudia amava profondamente e sinceramente il
fidanzato, ma era anche consapevole del fatto che quella relazione non
le impediva comunque di sopire l’insano e morboso
attaccamento che aveva sviluppato verso di lui, giacché, se
fosse stato per lei, avrebbe voluto per sé sia
l’uno che l’altro.
Finché Giancarlo si era divertito, conscia che le altre
fossero solo insignificanti passatempi, era riuscita a controllarsi,
accettando perfino l’idea che lui sposasse Maria Chiara,
sapendo che non sarebbe stato un problema condividerlo con la
sua
migliore amica. Tuttavia, ciò non sarebbe stato
più possibile, se il ragazzo, invece, si fosse interessato
ad un'altra e il fatto che il biondo, appunto, si fosse invaghito di
una barbara3 di umili
natali, per Claudia, rappresentava il peggiore
degli affronti.
«Ma petite
fleur, va bene così. Non credo che
dovremmo reputarla un’offesa, d’altra parte Gianni
rifiuta per un serio motivo, non è vero, mon ami?»
fece a quel punto Olivier, scoccando all’altro
un’occhiata eloquente e prendendo la fidanzata per una mano.
Intuendo che l’amico desiderava, giustamente, togliere il
disturbo al più presto, il biondo gli rispose, con un
sorriso sghembo: «A quanto pare, mon ami».
L’atmosfera, a quel punto, era diventata piuttosto pesante
così, non avendo altro da aggiungere, il giovane francese
sospirò: «Bene, ora che abbiamo chiarito le cose,
mi pare il momento di andare, Paris
ci aspetta».
Subito, si alzarono entrambi e lui offrì il braccio alla
ragazza, che lo accettò con grazia impostata, senza mai
smettere di scrutare il cugino con rabbia mista a indignazione.
«Au revoir,
Gianni. In bocca al lupo per tutto!» lo
salutò, allora, Olivier, impaziente di togliere le tende.
«Quella servetta scialba e selvaggia non ti merita»
sussurrò, invece, Claudia, poco prima di voltarsi e
andarsene.
«I pregiudizi sono sempre un limite» le rispose
Giancarlo, senza guardarla, «perché giudicare male
gli altri non ti rende una persona migliore».
A quelle parole, l’altra si arrestò sulla soglia,
senza tuttavia aggiungere altro; rimase semplicemente immobile per
qualche secondo, per poi uscire in tutta fretta, seguita prontamente
dal suo ragazzo.
Una volta solo, Giancarlo si riaccomodò alla scrivania, per
nulla toccato dagli infantili capricci della cugina: la principessa
Claudia doveva rassegnarsi al fatto che non tutti fossero disposti a
venerarla e a pendere dalle sue labbra. Inoltre, ciò che
pretendeva in particolare da lui, oltre ad essere egoistico e scabroso,
andava anche contro i suoi sentimenti e desideri. Infatti, per quanto
potesse volerle bene, ciò che provava per lei non era
nemmeno paragonabile a quello che nutriva per Aida.
A lui non importava affatto che non fosse ricca e che non trasudasse
leziosa e seducente femminilità da ogni grado delle sue
curve, poiché aveva una grazia e una dolcezza che non era
riuscito a trovare in nessun’altra donna. E, infatti, solo a
pensarla, il giovane sentì il suo animo farsi più
sereno e nella sua mente cominciò a maturare la decisione di
dare uno scossone a quella situazione fin troppo statica.
D’altra parte, se era vero che i suoi genitori avevano
acconsentito a conoscerla, lui non si era ancora deciso a riferirlo
alla diretta interessata, per paura di ricevere un rifiuto. Tuttavia,
non avrebbe potuto andare avanti in quel modo in eterno, allora,
approfittando del fatto che la concentrazione era ormai svanita, chiuse
il libro con un colpo secco e controllò l’orario.
Non era tanto presto, soprattutto considerando il fuso orario con
l’Egitto, perciò il ragazzo prese il telefono e
cominciò a comporre un numero.
A quel punto, restava solo una persona con cui mettere in chiaro le
cose: Rami al-Nassar, quella volta, avrebbe dovuto ascoltare tutto
quello che aveva da dirgli.
***
Quando il telefono squillò, Aida si precipitò a
rispondere, sotto lo sguardo torbido di Rami, sempre più
meravigliato dalla costanza con cui l’italiano si faceva
sentire. Per essere solo una sciocca infatuazione, quella storia stava
durando da troppo tempo, anche se doveva ammettere che, fino a quel
momento, Giancarlo aveva rispettato tutto quello che aveva promesso
alla sorella. Ogni sera, infatti, la ragazza metteva da parte la
stanchezza derivata dal lavoro extra che aveva accettato per fare un
favore al fratello, per parlare con il suo spasimante lontano e, se era
lei a chiamarlo, la volta successiva era il ragazzo a fare la prima
mossa e viceversa.
Per giunta, quella sera, la fanciulla rispose con un entusiasmo simile
a quello mostrato dalle fidanzate dei militari al fronte, quando
ricevevano una lettera da parte del proprio amato, perché
era una di quelle persone che riescono ancora ad emozionarsi per le
piccole cose.
Rami, perciò, scosse la testa nel vedere un simile
comportamento, riprendendo a seguire il telegiornale, che stava
annunciando proprio in quel momento che un assassino era stato appena
condotto in carcere e sarebbe stato presto sottoposto ad un processo.
Immediatamente, riaffiorò in lui lo sgomento provato quando
dalla medesima fonte aveva appreso ciò che era successo a
suo padre: non avrebbe mai potuto dimenticare l’ansia e
l’angoscia provate in quei momenti e negli otto anni
successivi. Tuttavia, considerando le ultime notizie che aveva ricevuto
in merito, sembrava proprio che la situazione sarebbe migliorata e che
l’uomo stato fuori entro otto mesi: quell’avvocata
inglese aveva fatto un miracolo!
Perciò, nonostante per lui Tornatore rimanesse un idiota, il
giovane dovette ammettere che aveva fatto qualcosa di veramente utile,
anche se, con molta probabilità, era stato mosso da un unico
scopo ben preciso: sua sorella.
«Ah!»
In quel momento, l’esclamazione di assoluta delusione della
ragazza allarmò Rami, il quale sussultò sul
divano e le rivolse immediatamente uno sguardo preoccupato osservando
l’espressione triste sul suo volto. Quali oscenità
le stava dicendo quell’essere?
Insospettito e deciso a prendere il telefono per rispondere per le rime
a quel dongiovanni da strapazzo, si alzò e si
avvicinò alla sorella, ma, inaspettatamente, non dovette
nemmeno aprire bocca per avere ciò che voleva..
«Stasera non vuole parlare con me, ma con te» gli
spiegò lei, guardandolo torva.
«Con me?» ripeté meccanicamente il
concierge.
Aida annuì, abbastanza infastidita prima di allontanarsi,
contrariata. Dal canto suo, Rami fissò per parecchi istanti
e con aria interrogativa la cornetta, come se potesse rivelargli
perché mai Giancarlo Tornatore volesse parlare con lui,
anziché fare il solito galletto gaudente con la sorella.
Quando il concierge uscì dall’ufficio, tre quarti
d’ora più tardi, aveva un’aria
meditabonda.
Aida e Jamila stavano parlottando a bassa voce nell’ingresso,
riposandosi dalla stressante giornata di lavoro, giacché,
nonostante fosse gennaio avanzato, i clienti non erano certo pochi.
Samir, invece, picchiettava pigramente la stilo sullo schermo della
console, sbadigliando, con le palpebre sul punto di chiudersi, segno
che non sarebbe rimasto sveglio ancora a lungo.
Quando si accorse della comparsa di Rami, però, le due
ragazze smisero immediatamente di parlare, in attesa che riferisse loro
qualcosa.
«Allora?» lo incalzò poco dopo Aida, che
non riusciva a mettere a tacere la curiosità e si aspettava
una seria motivazione al rifiuto di Giancarlo di parlare con lei.
«Ha detto che deve parlarmi di persona di cose importanti e
che vorrebbe che tu conoscessi i suoi genitori».
Non avendo messo nemmeno lontanamente in conto questa ipotesi, la
ragazza spalancò gli occhi, esterrefatta.
«Il biondino strafigo
fa sul serio, Dada» commentò, invece, Jamila con
un sogghigno, accomodandosi meglio sul divano. «A quanto
pare, l’hai proprio steso!»
A quel commento, l’altra la guardò, ma non
riuscì a spiccicare mezza parola, incapace di emettere anche
solo monosillabi.
Il fratello guardò la sua fidanzata in tralice, poi
proseguì: «Gli piacerebbe che andassimo tutti e
tre a Roma l’ultima settimana di febbraio».
«E noi ci andremo, vero?» intervenne Samir, che nel
frattempo si era ridestato del tutto.
Rami trasalì, non aspettandosi che anche lui avrebbe
partecipato alla conversazione.
«Samir, ma non stavi dormendo?!» sbottò.
«Andiamo da Giancarlo, vero, Rami? Dai, ti prego-ti
prego!» lo supplicò il bambino, saltellandogli
tutt’intorno.
«E tu... cosa gli hai detto?» chiese Aida, allora,
sulle spine, ritrovando la capacità di parlare.
«Già, cosa gli hai detto?» le fece eco
Jamila, squadrando sospettosa il ragazzo.
«Eh, cosa gli ho detto… che ci andiamo!»
sbuffò lui, infastidito dal fatto che gli stessero tutti
addosso. «Tuttavia, ho accettato solo perché sono
mesi che il mio amico Domenico mi chiede di andare da lui, per aiutarlo
a risolvere alcuni problemi che ha con l’hotel che gestisce a
Piazza Barberini» precisò subito dopo.
«Inoltre, non ci fermeremo più di due
giorni».
«Ti sei sprecato!» commentò la
fidanzata, incrociando le braccia e facendo una smorfia di
disapprovazione.
Samir, felice per quella novità, si attaccò
subito ad una gamba del fratello grande ed esultò:
«Grazie, Rami, grazie!»
«Sul serio, Rami... grazie» ripeté Aida,
ancora un po’ stordita dagli ultimi eventi.
«I tuoi fratelli sono dalla parte del biondino, mio
caro» gli fece notare Jamila, facendo schioccare la lingua.
Il ragazzo emise in risposta un grugnito di disappunto, staccandosi
Samir di dosso e mettendolo sul divano: «Non riesco proprio a
capire perché tu stia perdendo il tuo tempo con
quello» sbuffò, rivolto alla sorella.
«Mi pare che tu abbia già un pretendente di tutto
rispetto!»
La fanciulla aprì la bocca per replicare, ma
l’amica la precedette.
«Ancora insisti, Rami? Mohammed non va bene per Aida, lo sai
che non ha alcun interesse verso di lei e che la sposerebbe solo per
amicizia verso di te!» esclamò, furibonda.
«E poi, ha più di quarant’anni,
è scontroso e non parla nemmeno sotto tortura, praticamente
è una mummia! Questa bella ragazza merita un corteggiatore
giovane, affascinante e con una buona prestanza fisica, che possa farle
tutte le coccole
che merita» concluse, riservando all’amica
un’occhiata maliziosa.
Le ultime parole, però, ebbero il potere di far avvampare
Aida, che, istintivamente, abbassò subito lo sguardo.
«Dada, stai bene?» le chiese immediatamente il
fratellino, preoccupato, prendendole una mano, e lei gli sorrise,
annuendo.
«Sì, Samir, non preoccuparti».
«Figurati, quello
non vede l’ora di fare una cosa del genere!»
replicò, invece, Rami, spazientito. «Voglio
proprio vedere cosa ha in mente Tornatore, ma, se pensa che con me
avrà vita facile, si sbaglia di grosso!»
La giovane avvertì dentro di sé una confusione,
un miscuglio di emozioni che non aveva mai provato prima: esattamente,
cosa c’era ad attenderla?
Per saperlo, però, non poteva fare altro che aspettare,
poiché, prima o poi, quel mese e mezzo sarebbe passato e,
allora, tutti i misteri sarebbero stati svelati.
***
Rami osservava con fare interessato il raffinato arredamento esposto
nel salotto in cui li aveva fatti accomodare una burbera governante,
contemplando, in particolare, il pavimento.
«Tappeti della migliore fattura persiana!»
esclamò, interessato. «Inoltre, presumo che questo
sia quel marmo di Carraia
tanto prezioso che nomini sempre».
“Carrara”
lo corresse mentalmente la sorella che, faticando a gestire
l’ansia per l’imminente incontro con i genitori di
Giancarlo, non aveva neanche osato alzare gli occhi su tutta
quell’opulenza. Figurarsi fare congetture sulla provenienza
dei materiali e degli oggetti d’arredo!
Tuttavia, non soddisfatto per via dell’indifferenza della
ragazza, l’altro insistette: «Sai, credo che ti
converrebbe proprio sposarlo. Male che vada, potresti sempre chiedere
il divorzio dopo qualche mese... Scommetto che potremmo vivere
tranquillamente tutti e tre, per un anno intero, con un solo assegno
mensile!»
A tale considerazione, Aida sobbalzò e fulminò il
fratello con lo sguardo, indignata.
«Rami! Sei disgustoso! Perché mi devi sempre far
vergognare per quello che dici?» replicò poi,
indispettita da tanta strafottenza.
Dal canto suo, lui, per nulla intimidito dal rimprovero della
fanciulla, sogghignò.
«Forse hai ragione, questi snob occidentali non potrebbero
mai ammettere una schiava africana alla loro corte, meno che mai
lasciarti avvicinare al loro rampollo, perché non faresti
altro che insudiciare il loro nome. Sono convinto che, in
realtà, hanno già deciso chi dovrà
sposare quel riccastro
viziato…» commentò,
gesticolando con fare sprezzante. «In fondo, lo sai anche
benissimo tu che ti hanno fatta venire qui solo per
umiliarti!»
«Oh, ma noi non siamo così cattivi!»
replicò una voce profonda alle loro spalle. «E
nemmeno così attaccati ad arcaiche e obsolete convenzioni;
però, devo ammettere che hai fatto bene a chiamare quel
mascalzone riccastro
viziato».
Immediatamente, i tre fratelli si voltarono nella direzione da cui era
arrivato il suono e videro un uomo di bella presenza e dal portamento
elegante che avanzava verso di loro.
«Mia moglie e mio figlio saranno qui a momenti, ma credo che,
almeno tra di noi, possiamo cominciare a presentarci…
Marcello Tornatore, piacere di conoscervi» fece
l’uomo, tendendo loro garbatamente la mano.
«Immagino voi siate Rami, Samir e... Aida»
aggiunse, soffermandosi a guardarla per qualche secondo.
Lei annuì lentamente, in leggera soggezione,
giacché aveva capito chi era prima ancora che si presentasse
grazie alla grande somiglianza con il figlio. Certo, le iridi di
Marcello erano verde
chiaro, il volto non imberbe e nel fisico dimostrava un più
maturo e accentuato vigore, ma, fondamentalmente, erano uguali.
Rami, invece, era ammutolito, spiazzato da quel faccia a faccia
immediato e inatteso con il padrone di casa, anche perché
sapeva con certezza che l’uomo aveva sentito tutto quello che
aveva detto. In quel momento, per una volta, il ragazzo si
ritrovò a biasimare la sua bocca larga.
«Tu sei il papà di Giancarlo?»
domandò, allora, Samir, avvicinandosi a Marcello.
Quel confidenziale intervento, però, richiamò
prontamente sia Aida che Rami, i quali si riebbero malamente dallo
stato catalettico in cui erano caduti.
«Samir... che modi sono!» lo sgridò la
sorella.
«No, non c’è bisogno di rimproverarlo,
non ha fatto niente di male. È solo un bambino»
replicò pacatamente l’uomo, prima di rivolgersi
direttamente a lui. «Sì, sono io. Mio figlio mi ha
raccontato che sei un appassionato di beyblade».
«Oh, sì, mi piace tanto giocarci!»
esclamò il piccolo, spalancando gli occhi per
l’entusiasmo. «Spero un giorno di diventare un
campione, proprio come Giancarlo».
Incurvando lievemente le labbra, Marcello gli scarmigliò
affettuosamente i capelli e lo incoraggiò: «Sono
certo che puoi puntare molto più in alto e diventare perfino
più bravo!»
A tali parole, il bimbo sorrise, raggiante e stava per aggiungere
qualcosa, quando, fecero il loro ingresso Beatrice e Giancarlo.
Rami, scorgendo la donna, strabuzzò gli occhi,
perché aveva immaginato la madre del giovane come una
vecchia e rinsecchita megera, invece, si era ritrovato davanti una
giovane donna affascinante, davvero simile alla Primavera di quel tale
che piaceva tanto alla sorella... come si chiamava? Ponticelli, forse?
Aida, da parte sua, sentì il proprio cuore sussultare quando
rivide il ragazzo: aveva un aspetto decisamente più fresco e
riposato, perché i mesi di vita regolare dovevano aver
sortito il loro effetto, ma, per il resto, aveva gli stessi capelli
biondi con quei buffi ciuffetti ribelli, gli stessi occhi blu
magnetici, lo stesso fisico slanciato e tonico.
Nello scorgerlo, Samir, invece, non perse tempo e gli saltò
subito in braccio.
«Ecco il mio sfidante preferito! Allora, che cosa mi
racconti?» lo salutò il biondo, facendogli fare
una piccola giravolta.
A quel punto, Beatrice si avvicinò al marito e agli ospiti,
rivolgendosi direttamente a loro: «Benvenuti, cari! Siamo molto contenti che abbiate accettato il nostro
invito».
Poi, strinse gentilmente la mano alla fanciulla e poi al giovane, il
quale, però, si dimostrò assai restio a lasciare
la presa.
«Grazie a voi» rispose educatamente Aida per tutti,
cercando di esprimere tutta la sua riconoscenza.
La donna rimase a guardarla un po’, sorridendo amabilmente,
ma, subito dopo, arrivarono Giancarlo e Samir e l’attenzione
di Beatrice fu catturata immediatamente dal bambino.
«Oh, ma l’è così piccino! Posso
prenderlo in braccio?» chiese, all’indirizzo dei
due fratelli.
Aida aveva appena aperto la bocca per replicare, quando fu anticipata
da Rami, che si affannò subito a rispondere:
«Certamente... se a lei fa piacere!»
Così, avendo ricevuto il permesso, la donna lo
carezzò con lo sguardo e gli domandò:
«Samir, vorresti venire un po’ con la
Beatrice?»
Il bambino la fissò per qualche secondo, poi, fidandosi del
suo atteggiamento dolce e materno, annuì.
A quel punto, il figlio le passò con cautela il bimbo, come
se stessero maneggiando chissà che antico e prezioso
cimelio; quando poi il ragazzo fu libero, si avvicinò ai due
fratelli.
«Grazie di aver accettato» fece al giovane, prima
di girarsi subito verso la fanciulla e sciogliersi istantaneamente:
«Sono contento che tu sia qui…».
In risposta, Aida assunse un’espressione tanto lieta quanto
imbarazzata e si limitò a sorridere. Allora Marcello, che
non si era perso nulla delle reazioni di lei, né tanto meno
di quelle di Giancarlo, istintivamente cercò con lo sguardo
la moglie, che, con una sincronia simbiotica, fece lo stesso con di
lui: era dunque quella la ragazza che aveva mandato in brodo di
giuggiole il loro scapestrato figlio?
Al contrario di quello che aveva immaginato Rami, Beatrice e Marcello
si dimostrarono molto benevoli con tutti e tre e, superato
l’imbarazzo iniziale, dovuto alla pessima figura che aveva
fatto al suo arrivo, il ragazzo riuscì anche ad impostare un
fluente discorso con il padrone di casa, rimanendo seriamente colpito
dalla vastità di argomenti che sapeva trattare in modo molto
approfondito, senza inciampare nella saccenteria. Beatrice, invece, si
divertì a coccolare il piccolo Samir come un figlio,
discutendo contemporaneamente con la ragazza e informandosi sulle sue
preferenze artistiche e sugli studi che le accomunavano.
Non erano passate nemmeno due ore che già Aida e Rami, con
grande sorpresa, erano arrivati alla stessa conclusione: Marcello e
Beatrice erano davvero strani per essere dei ricchi borghesi abituati
alla vita di società in una città così
grande. Infatti, nonostante fosse molto evidente che i due coniugi
appartenevano alla Roma bene, non erano costruiti né
affettati. Tuttavia, se da una parte i fratelli maggiori erano rimasti
abbastanza interdetti da quella rivelazione, dall’altra,
Samir si era immediatamente adagiato nel clima armonioso aleggiante a
Villa Aurelia, come se gli fosse stato familiare da sempre: era sereno
tra le braccia della donna, percepita come una madre.
Durante la cena, infatti, Giancarlo aveva lasciato che i suoi genitori
gestissero la situazione come meglio credevano, affidandosi alla loro
esperienza e sapendo che non avrebbero mai fatto nulla per mettere a
disagio gli ospiti, prendendo sì e no qualche boccone e
dedicandosi, quindi, esclusivamente ad ammirare la sua Aida, la quale
aveva risposto ai suoi sguardi incantati accennando timidi sorrisi.
Ovviamente, Marcello non si era perso una virgola nemmeno di questo,
ma, come sempre, non lo aveva dato a vedere.
Una volta terminato il pasto, i tre vennero fatti accomodare in
soggiorno e, a quel punto Samir cominciò a dare segni di
cedimento, sbadigliando e lasciando che, ogni tanto, gli si chiudessero
le palpebre; il viaggio era stato lungo e su un bambino così
piccolo la stanchezza stava prendendo facilmente il sopravvento.
Allora, il biondo si decise a chiedere a Rami un colloquio privato,
staccandosi, anche se di malavoglia, dalla fanciulla e affidandola alla
compagnia dei suoi genitori, prima di condurre l’altro in un
salottino un po’ appartato e ammobiliato in stile impero con
tonalità verde e oro; dal soffitto, pendeva un lampadario in
cristalli di Boemia, che tracciava sul muro sottili giochi di luce
policroma.
Dopo aver fatto entrare il suo ospite, Giancarlo richiuse la porta
dietro di sé e lo invitò ad accomodarsi su un
divanetto accanto al camino, mentre lui prese posto su quello di fronte.
«Desideri bere qualcosa?» gli chiese, mentre si
sistemava meglio.
A quella richiesta, Rami aggrottò la fronte, stupito.
«Cos’è, un modo per farmi vedere come si
trattano gli ospiti, per caso?»
Il biondo fece una smorfietta divertita e replicò:
«Be’, aggredirli non è certamente molto
educato».
L’altro socchiuse appena gli occhi, ma scosse la testa e
decise di andare avanti: «Dunque, cosa devi dirmi di
così importante da farmi correre a Roma e da non poter
aspettare che papà esca di prigione?»
Giancarlo, a quel punto, spostò lo sguardo sul pavimento, in
cerca delle parole più giuste per dire ciò che
voleva, ma alla fine, per scaricare la tensione, si alzò
dalla poltrona, avvicinandosi alla finestra e scrutando il buio del
giardino.
«Non lo immagini?»
«In parte» rispose immediatamente il suo
interlocutore. Poi fece una piccola pausa e aggiunse: «Quali
sono le tue intenzioni con lei?»
A quella domanda, il giovane si voltò immediatamente,
contento di poter entrare subito in argomento senza fare inutili giri
di parole: «Bene, vedo che ti piace andare subito al
sodo».
«Tornatore, mia sorella non è interessata a farti
da concubina nel tuo harem»
lo incalzò subito Rami, fissandolo severamente.
«Ha sognato una vita semplice fin da bambina, con un lavoro
che abbia a che fare con i suoi artisti, una famiglia salda con dei
figli ed un marito che la rispetti e che le voglia bene. Ma, per
realizzare tutto questo, non le servirà la tua
misericordiosa mano».
Inasprito da quell’ultimo comento, il biondo
inarcò un sopracciglio e commentò:
«Dovresti sapere che Aida non si lascerebbe mai comprare. Se
fosse stato così, non mi sarebbe interessata».
Sorpreso da una tale risposta, Rami si alzò a sua volta e si
avvicinò a lui finché non fu solo a qualche passo
di distanza.
«Cosa vuoi che ti dica, allora?»
«Nulla, tu devi solo starmi ad ascoltare e, questa volta, per
davvero» affermò Giancarlo, allontanandosi da lui
e iniziando a passeggiare su e giù per la stanza. Deciso a
dire tutto quello che sentiva all’altro, si concesse qualche
secondo per ordinare le idee, quindi prese un respiro e
cominciò: «Al contrario di Aida, fino a qualche
mese fa, io non avevo la più pallida idea di che cosa avrei
fatto della mia vita. Non sapevo cosa avrei fatto da grande,
l’unica cosa di cui ero certo era che non sarei mai stato
all’altezza di mio padre, e non avevo nemmeno alcuna
intenzione di sposarmi, per quanto mia cugina si fosse adoperata per
trovarmi un’adorabile mogliettina,
degna del nostro
status».
Rami, però, non disse niente, rimanendo immobile nella sua
posizione limitandosi a seguirlo con lo sguardo.
«Ero solo un gretto, apatico, menefreghista e materialista.
Non volevo avere preoccupazioni o pensare al futuro ed ero soddisfatto
dalla realizzazione istantanea di ogni capriccio che mi passasse per la
testa. Se volevo una cosa, la prendevo. Così, semplicemente:
detto, fatto!» esclamò, schioccando le dita.
«E con le ragazze non ero diverso: se me ne piaceva una o
anche più, facevo di tutto per portarmele a letto, senza
tanti scrupoli. D’altra parte, a loro non interessava chi o
come fossi, l’importante era che le ricompensassi bene. Non
ne vado fiero, ma questa è la verità, la stessa
che ho già raccontato ad Aida».
A quel punto, ritornò sui suoi passi e si
avvicinò nuovamente al ragazzo, guardandolo con estrema
fermezza.
«Vedi, al-Nassar, quando mi hai inveito contro, avresti
potuto avere ragione su quello che le avrei fatto, se… tua
sorella non fosse stata quello che è».
Alle orecchie di Rami, tale frase dovette sembrare poco meno di uno
scioglilingua, giacché inclinò la testa da una
parte e lo scrutò perplesso, ma Giancarlo non vi
badò e, senza esitazione, proseguì:
«È stata la grazia
di tua sorella, così pura e lontana dalle cose meschine di
questo mondo, a farmi capire quanto stessi sbagliando e il suo carisma
è stato un vero e proprio dono4
per me,
ricevuto affinché prendessi coscienza di quello che ero
diventato. Perché aspirare ad averla solo per una notte,
quando avrebbe potuto illuminare tutta la mia vita? Potrà
sembrarti una stupida e banale frase fatta, ma Aida
è la mia luce e vorrei averla sempre con me.
Io…» a quel punto fece una pausa, prima di
arrivare al punto più importante del suo discorso.
«Vorrei chiederle di diventare la mia fidanzata e, quindi, di
sposarmi. Per quanto intensamente la possa desiderare, non
potrò mai avere la sua dolcezza, se non sarà lei
a concedermela: questa volta, infatti, volere qualcosa non
basterà per ottenerla. Per questo ti chiedo di concedermi
l’opportunità di chiederle che cosa ne
pensa».
Aveva detto tutto questo senza mostrare alcun tipo di insicurezza, non
vacillando neppure per un istante, ispirato da un sentimento che, fino
a qualche prima, aveva deriso e considerato una debole favola per gli
stolti: l’amore
non esiste, c’è solo
l’appagamento degli istinti. Tuttavia, questo
era stato prima
di conoscere Aida...
«Infatti, è con lei che devi parlare»
replicò Rami, dopo aver riflettuto per diversi secondi.
Giancarlo sollevò lo sguardo su di lui, distogliendo
l’attenzione dai suoi pensieri che, come sempre, convergevano
sulla giovane.
«Intendo dire che approvo il fatto che debba essere Aida a
decidere» aggiunse l’altro, cominciando a
passeggiare avanti ed indietro a sua volta.
«Anch’io ho i miei torti: sono stato egoista con
mia sorella, volevo solo che rimanesse accanto a me e a Samir. Non mi
importava che dovesse rinunciare alla sua felicità, che
dovesse sposare un uomo che non la ama, perché volevo solo
che non si allontanasse da noi, dalla sua famiglia. Sono stato un
pessimo fratello e ora tu hai tutto il diritto di prenderti la tua
vendetta».
«Non mi interessa la vendetta, non ci trovo più
nulla di appagante nel vedere soffrire i nemici»
affermò il biondo, mesto, appena l’altro
finì di parlare.
Colpito da quelle parole, Rami, girò la testa verso di lui e
si arrestò di colpo, fissandolo attentamente, prima di
riprendere a camminare.
«Ero talmente accecato da ciò che volevo io che
non ho voluto vedere quanto sinceramente fossi interessato a
lei» ammise, dopo qualche secondo. «In fondo, credo
che tu abbia il diritto di chiederle tutto quello che vuoi. Se anche
lei ti ama, non posso impedirti di entrare nella sua vita».
Tuttavia, Giancarlo non aveva nemmeno finito di meravigliarsi per una
tale affermazione, che l’altro tornò a guardarlo
severamente e aggiunse: «Tornatore, solo una cosa, da uomo a
uomo: se mia sorella dovesse dirti di sì, vedi di
raffreddare la tua tempra focosa e di tenere le mani al loro posto.
Vacci piano con lei e comportati come il gentiluomo che dici di
essere».
«Certo che, quando ti fissi, non c’è
modo di farti cambiare idea, eh! Ti risulta che le abbia mai fatto
qualcosa di male?» ribatté quello arrossendo
leggermente.
«No, finora no, ma non dimenticarlo»
precisò Rami. «Per colpa mia, Aida non ha mai
avuto un fidanzato, dato che non le ho mai permesso di cercarlo,
perché troppo
impegnato a propinarle pretendenti più vecchi di lei.
Perciò, tu vedi di fare le cose con delicatezza e di
ricordarti sempre la sua situazione».
Il biondo, allora, sospirò, arruffandosi i capelli, in
evidente imbarazzo.
«Sinceramente, non vorrei mai metterla a disagio o in
difficoltà» mormorò.
«Se così non dovesse essere, sappi che non
sarò indulgente con te».
«Be’, in questo caso, credo che dovrai metterti in
fila, al-Nassar, perché, se non dovessi rigare dritto, il
primo a farmelo scontare sarebbe mio padre».
A quel punto, i due giovani si guardarono e Rami lasciò che
sulle sue labbra affiorasse un sorriso sornione.
«Non penso che avrai problemi a dichiararti,
perché la parlantina non ti manca di certo. Il discorso che
hai fatto prima è stato molto, come dire... toccante.
Peccato che non dovessi convincere me a sposarti».
Giancarlo inarcò un sopracciglio e, con una smorfietta
ironica, commentò: «Oh, ma sarebbe stato inutile,
perché tra di noi non funzionerebbe: sei troppo serio e
scorbutico!»
«E tu sei un irritante saltimbanco!»
replicò l’altro, irritato, fissandolo torvo,
subito pienamente ricambiato: la maturità che avevano
dimostrato fino a quel momento sembrava già essersi
dileguata.
Trascorse qualche istante di silenzio, poi, stancamente, Rami
sospirò, per affermare subito dopo: «Si
è fatto tardi e dobbiamo andare, però prima
vorrei ringraziare i tuoi genitori per
l’ospitalità».
Il giovane annuì e lo invitò a seguirlo fuori
dalla stanza, ma, di punto in bianco, quello lo fermò,
prendendolo per un braccio e puntandogli negli occhi uno sguardo a
metà tra il severo ed il malinconico.
«Ti sto concedendo di prenderti una delle cose più
belle e preziose che ho. Cerca di compensare le mie mancanze verso di
lei, Giancarlo».
Esterrefatto da quella rivelazione, il ragazzo ci mise qualche istante
per annuire e manifestare all’altro il massimo grado di
riconoscenza che sentiva di dovergli esprimere.
«Lo so. E, credimi, se accetterà la mia proposta,
farò di tutto per renderla felice, Rami».
***
Beatrice invitò i ragazzi a tornare anche
l’indomani, prima che lasciassero la Capitale alla volta di
Alessandria, e l’entusiasmo di Samir, al quale erano piaciuti
molto entrambi i coniugi, non lasciò possibilità
di appello ai due fratelli maggiori, che non poterono fare altro che
accettare.
Quando per gli ospiti arrivò l’ora di andar via,
Giancarlo li accompagnò di persona alla porta e il bambino
lo salutò con un bacetto affettuoso sulla guancia, tuttavia
Rami non permise che la sorella gli riservasse lo stesso trattamento,
anche se il giovane non si perse certo d’animo e
augurò la buonanotte alla ragazza con il tono più
passionale di cui era capace, suscitando un grugnito contrariato da
parte del ragazzo.
Ciononostante, Aida ignorò quell’intromissione,
rispondendo al giovane con la sua solita dolcezza e, qualche minuto
più tardi, i tre si congedarono definitivamente, scendendo
la scalinata elicoidale in travertino verso il taxi che era arrivato a
prenderli.
Rimasto solo, il giovane rimase a guardare per qualche istante il punto
in cui lei era scomparsa, per poi sospirare e decidersi, finalmente, a
rientrare. Tuttavia, mentre era diretto in camera sua, con tutte le
intenzioni di prendersi un po’ di tempo per lasciarsi cullare
dalla gioia di aver rivisto la ragazza dopo mesi, si sentì
richiamare a gran voce.
«Dove credi di andare? Non pensare di potertela svignare
così facilmente! Dobbiamo parlare!».
«E di cosa?» fece lui, vago, voltandosi verso il
padre, che lo fissava ad occhi socchiusi, con le mani ben piantate sui
fianchi.
«Dell’aumento del livello del Tevere in seguito
alle piogge invernali» rispose quello, ironico.
«Davvero? Eppure, ultimamente, non sta piovendo
molto…» replicò con strafottente
facezia Giancarlo che, ancora su di giri per la giornata appena
trascorsa, non riuscì a dire qualcosa di più
serio.
Tuttavia, Marcello non sembrò apprezzare particolarmente
quella trovata di spirito, perché, dopo avergli riservato
un’occhiataccia, lo redarguì: «Non osare
prendermi per i fondelli, maleducato! Anche se so da chi tu abbia preso
questo atteggiamento, dato che io ho cercato, invano, di importi un
po’ di buone maniere. Di cosa vuoi che si debba parlare,
secondo te?»
«Non possiamo farlo domani, papà?»
suggerì il figlio, anche se, conoscendo il genitore, sapeva
di nutrire speranze piuttosto vane che potesse cambiare idea.
Infatti, quello non tardò a replicare, secco: «Tra
due minuti nel mio studio. E ti conviene venirci di tua sponte,
altrimenti ti ci porterò io... trascinandoti per le
orecchie!»
Non potendo declinare un invito così gentile, Giancarlo si
arrese all’evidenza e, dopo essere entrato nello studio del
padre, si andò a sedere sul divano porpora damascato,
accanto a sua madre, già lì ad aspettarli.
Intanto, Marcello si aggirava per la stanza come un leone in gabbia,
con un’espressione seria, le mani incrociate dietro la
schiena, come se fosse alle prese con una teoria che non riusciva ad
accettare. Poi, di punto in bianco, si arrestò davanti al
figlio e, dopo averlo squadrato a lungo, esordì, duro:
«Sul serio Aida non è incinta?»
«Non so più come dirtelo... no! Durante quei tre
giorni non l’ho nemmeno sfiorata! E poi, se fosse come dici
tu, non credi che sarebbe evidente, a quest’ora?»
sbuffò il ragazzo, il cui viso era ormai in tinta con la
tappezzeria del sofà. «Perché ti ostini
a non volermi credere?»
L’uomo, allora, si protese verso il figlio e
scandì, molto lentamente: «Perché mi
sembra molto strano che tu possa interessarti ad una ragazza del
genere. Sinceramente, credevo che avrei conosciuto un prototipo di
“Barbie
avventura alla piramide di
Cheope”».
«Oh, Marcello, non fare queste battute!» lo riprese
immediatamente la moglie che, all’uscita del marito, aveva
trattenuto a stento un sorriso.
Quello, però, si voltò verso di lei ed aggiunse,
serio: «Non sono battute, Beatrice. Non puoi certo negare che
quella è una ragazza normale».
La donna non rispose, girandosi verso il figlio che, dal canto suo,
socchiuse appena gli occhi, giacché il padre aveva aggravato
quell’aggettivo con un’inflessione che non era
riuscito a decifrare.
«E dove sarebbe il problema, scusa? Io la trovo eccezionale.
E, comunque, ormai Rami mi ha dato il permesso di chiederle di
sposarmi».
A quel punto, Marcello si tirò su e lo squadrò,
tra lo scettico e lo sprezzante.
«Tu vorresti… sposarla?»
Al ragazzo, però, non piacque affatto l’enfasi
negativa che c’era in quella domanda e cominciò ad
inquietarsi.
«Certamente» ribatté, irritato.
«Io voglio che diventi mia moglie».
A quel punto, ci fu qualche istante di silenzio assoluto, durante il
quale l’uomo studiò attentamente il figlio, senza
tradire alcuna particolare espressione e Giancarlo sostenne quello
sguardo inquisitorio con grande dignità, non lasciandosi
prevaricare, nemmeno quando il padre riprese a stuzzicarlo:
«Sicuro di aver scelto bene? Hai capito con che tipo di
ragazza vorresti condividere la tua vita?»
Dopo quell’ennesima insinuazione, il giovane non
riuscì più a trattenersi e si alzò in
piedi, sbottando: «Quindi, è vero: sei convinto
che Aida non sia al nostro livello. Davvero credi che non vada bene per
me solo perché ha la pelle scura e non appartiene ad una
famiglia altolocata?»
Tuttavia, con sua grande sorpresa, tali parole non sortirono alcun
effetto su Marcello, che si limitò a guardarlo di sottecchi.
«Sai, mi sono sempre chiesto se ci fossi o ci facessi e,
finalmente, ho capito che ci sei. Oppure, lo fai apposta per farmi
schiattare»
lo apostrofò. «Infilati bene
in quella zucca vuota che non sto dicendo che Aida non va bene per te,
ma l’esatto contrario: sei tu che non vai bene per
lei».
«C-Cosa?» balbettò, allora, il giovane,
sbigottito.
«Ora che ho avuto modo di conoscerla, mi sono reso conto che
si tratta di una persona vera, con dei sentimenti! Niente a che fare
né con Maria Chiara, che è tanto cara ai tuoi
zii, né con le puttane
che...»
«Certo
che, Marcello, potresti anche parlare in
maniera
più pulita!» intervenne la moglie, interrompendolo
a metà frase, indignata dalla piega che stava per prendere
la conversazione. «Rimproveri nostro figlio, ma anche tu l’hai
le tu’
pecche!»
«A volte, Beatrice, solo certe parole rendono bene
l’idea» ribatté, però,
l’uomo, sicuro. «Comunque sia, stavo dicendo che
Aida non è certo come le poco di buono che era o
è abituato a frequentare. Effettivamente, che sia solo
passato è da accertarsi».
Nell’udire le ultime parole, Giancarlo si risentì
della diffidenza che continuava a dimostrargli il padre e non
tardò a far valere le proprie ragioni: «Io non
sono più quello di una volta, sono cambiato,
papà! E voglio sposare Aida perché ne sono
seriamente innamorato!» esclamò, deciso. Tuttavia,
ancora una volta, Marcello rimase del tutto indifferente, per poi
replicare con sorprendente rapidità.
«Hai mai pensato che, magari, lei potrebbe non volerti
sposare? Dai per scontate troppe cose, Giancarlo. Perché
dovrebbe rovinarsi con uno come te, quando può avere un
ragazzo come si deve? Ricordati che è una testa pensante e
non si farà manovrare come le altre»
considerò l’uomo, fermandosi un attimo per
conferire più enfasi a quanto espresso. «Non
è un’oca che si esprime a monosillabi... cosa se
ne deve fare di uno che la sposerebbe solo per esibirla come un trofeo,
tradendola di continuo con la prima scema che gli si concederebbe senza
ritegno?»
A quel punto, il ragazzo, adirato per quell’insistente
mancanza di fiducia da parte del genitore, scattò in piedi,
digrignando i denti e fissando l’altro con gli occhi ridotti
a due fessure.
«Già, hai proprio ragione, la esibirei come un
trofeo!» ringhiò. «E sai il motivo?
Perché è stata l’unica alla quale sono
piaciuto per quello che sono, che ha provato a migliorarmi senza
stravolgermi. Che tu lo voglia o no, ti garantisco che le
chiederò di sposarmi, perché deve sapere quello
che provo per lei!»
Tuttavia, nemmeno questa appassionata dichiarazione ebbe il potere di
smuovere Marcello Tornatore, il quale non fece una piega,
né, a maggior ragione, si lasciò minimamente
commuovere.
«A parole sembri molto bravo... ora, però, voglio
proprio vedere se saprai tradurle in pratica: se quella ragazza dovesse
follemente dirti di sì, ricordati ciò che sto per
dirti» lo ammonì l’uomo, subito dopo.
«Quei ragazzi non meritano di essere presi in giro. Rami
sarà quel che sarà, ma si è fatto in
quattro per non far mancare nulla ai suoi fratelli, mentre Aida ha
fatto da madre a Samir, nonostante non fosse altro che una ragazzina, e
quel bambino ha per te un’ammirazione spropositata. Rendi
felice quella fanciulla e, quindi, la sua famiglia, e avrai la mia
benedizione. Azzardati, invece, a farla soffrire e neanche
l’invocazione di tutti i santi in ordine alfabetico
potrà esserti di aiuto: come ti ho messo al mondo,
così ti ci toglierò».
«Bene, benissimo!» replicò freddamente
il giovane. «Staremo a vedere come andrà a
finire!»
Poi, non essendo disposto a trascorrere un secondo di più a
farsi insultare in quella maniera, girò i tacchi e fece per
uscire, ma il padre lo richiamò immediatamente:
«Fermo là! Non ho ancora finito».
«Cos’altro c’è?»
sbuffò Giancarlo, irritato, voltandosi appena.
«Ormai ci hai messo in mezzo, pertanto dovrai sottostare alle
nostre regole: se Aida dovesse decidere di assecondare le tue pazzie,
sappi che esigerò un fidanzamento tradizionale. Non
semplicemente in bianco, dovrà essere trasparente. Mi
pare
che tu ti sia divertito abbastanza, o sbaglio?»
«Forse ti stupirà, ma il tuo stupido figlio
c’era già arrivato da solo!»
affermò, però, l’altro con spavalda
ironia, mentre lasciava lo studio e i suoi genitori, furente ed
indignato.
«C’è
rimasto davvero male, non ti sembra
d’esser stato un po’ troppo duro?»
avanzò Beatrice, quando la porta si richiuse e lei e il
marito rimasero soli. Nonostante fosse consapevole del
perché l’uomo aveva adottato un simile
comportamento, non riuscì a trattenere le sue preoccupazioni.
Marcello, però, non rispose subito, perché prima
si affacciò fuori dalla porta per controllare che non ci
fosse nessuno e poi la richiuse, avvicinandosi a lei.
«Stai scherzando?! Proprio adesso che stiamo ottenendo
qualcosa di buono? Dobbiamo battere il ferro finché
è caldo, perché, finalmente, si è
deciso a comportarsi da uomo!» esclamò,
visibilmente soddisfatto. Quella sera aveva dovuto recitare la parte
del cattivo a fin di bene, poiché era convinto che suo
figlio andasse un po’ scosso, nonostante avesse capito quanto
fosse preso da Aida fin dal primo sguardo che le aveva riservato quando
l’aveva rivista.
«Sono davvero fiero di lui... anche se non è
ancora arrivato il momento di dirglielo» aggiunse, poco dopo.
Beatrice, allora, corrugò appena la fronte, non del tutto
convinta.
«E quando lo farai? L’è
stato bravo e
merita il nostro sostegno!»
In risposta, l’uomo si limitò a sorriderle
lievemente, con l’aria di chi la sa lunga.
«Tempo al tempo, prima voglio vedere come andrà a
finire. Speriamo, piuttosto, che il polletto riesca a
dire tutto a
quella ragazza».
«Tu dagli fiducia
e aspetta» gli
sussurrò la donna, abbracciandolo teneramente. «Il
che t’ho a dire, l’Aida mi
garba, trovo che
sia una
ragazza assennata. Spero solo che
sia seriamente interessata al nostro
Pulcino. Tu
che ne
pensi?»
«Ma come!» esclamò l’altro,
sorpreso. «Sei una donna e non hai colto ciò che
avranno hanno capito anche i muri?»
«Cosa,
Marcello?»
Lui sospirò e, finalmente, si concesse di addolcire un
po’ la propria espressione, commentando con tono
d’approvazione: «Giancarlo e Aida si attraggono
come due calamite».
«E, allora, prima o poi, si avvicineranno»
commentò lei, saggiamente. «Per noi, non
l’è
forse stato lo stesso?»
«Veramente, la prima volta che ci siamo incontrati, sei stata
tu ad essermi caduta addosso!» precisò il marito.
«Certo,
ma deve esserti piaciuto
abbastanza, visto che
non
accennavi a
farmi rialzare!»
Marcello fissò di sbieco la moglie che gli sorrideva
complice e, prudentemente, decise di non aggiungere altro.
***
Quando, il mattino seguente, Rami annunciò ai suoi fratelli
che li avrebbe raggiunti a Villa Aurelia solo in un secondo momento,
poiché prima aveva alcuni affari da sbrigare con Domenico,
sia Samir che Aida tirarono un sospiro di sollievo.
Appena i due arrivarono, Marcello ordinò al figlio di
portare il piccolo nelle sue stanze per farlo giocare, oltre che con il
beyblade, anche con la sua nutrita collezione di videogiochi,
perché, almeno per una volta, fosse un bambino vero ad
adoperarli. Il giovane, allora, ancora indispettito per
l’alterco della sera precedente, gli borbottò in
risposta che aveva già avuto un’idea simile, poi
chiese ad Aida se le andava di accompagnarli, proposta che lei
accettò subito di buon grado.
Così, mentre Giancarlo e Samir se ne stavano sdraiati su un
tappeto, intenti a montare i pezzi dei bey o ad interessarsi ad una
delle numerose console presenti nella stanza, la giovane, che si era
accomodata su un confortevole divanetto di pelle, ebbe modo di
guardarsi discretamente un po’ intorno.
Dopo essere arrivata alla conclusione che quell’ambiente era
esageratamente grande per essere utilizzato solo come sala-giochi, la
ragazza non osò neppure pensare a quante altre camere avesse
a disposizione il giovane solo per sé; dopotutto, ogni cosa,
in quella villa, emanava classe e lusso, senza contare che gli stessi
Marcello e Beatrice, per quanto avessero fatto di tutto per metterla a
suo agio, dimostravano di possedere una raffinatezza innata.
Intristita da quei pensieri, si soffermò, allora, a guardare
Giancarlo che, come sempre, era vestito con tanta ricercatezza da
sembrare appena uscito da una boutique, un’ulteriore conferma
di quanta distanza ci fosse tra di loro che la fece sospirare,
affranta. Infatti, nonostante fossero stati tutti molto gentili con lei
e con i suoi fratelli, si ritrovò a pensare che forse, Rami
aveva ragione: i due coniugi non le avrebbero mai permesso di
frequentare il loro rampollo, anche se, in fin dei conti, il problema
non si poneva, in realtà, più di tanto,
poiché il giovane, fino a quel momento, era stato molto
evasivo. Nulla aveva lasciato intendere, infatti, che avesse serie
intenzioni nei suoi confronti.
A quel punto, sorridendo mestamente, la ragazza si ritrovò a
scrutare il fratellino che, invece, sembrava felice come una pasqua,
con la magra consolazione che, almeno per lui, tutto quello era
soltanto un ingenuo divertimento. Tutt’a un tratto,
però, con la coda dell’occhio, Aida
notò che il ragazzo aveva cambiato posizione: aveva una
gamba stesa e l’altra piegata, sul cui ginocchio aveva
poggiato il corrispettivo gomito, per poterla guardare e studiare con
vivo interesse.
«Perché mi guardi così?
C’è qualcosa che non va?» gli chiese
subito lei, un po’ a disagio.
«Oh, no, anzi...» fece lui, sorridendo appena e
inclinando la testa da un lato. «Lo so, è da
maleducati fissare la gente in questo modo, ma mi piace farlo e non
credo di voler cambiare atteggiamento».
A quella risposta, Aida distolse immediatamente lo sguardo,
imbarazzata, poiché ancora non si era abituata alla sua
insolente disinvoltura e, d’altra parte, forse, non lo
sarebbe mai stata.
Il giovane, allora, fece per alzarsi ed aggiungere
qualcos’altro, quando Samir lasciò il joystick che
teneva in mano ed esclamò: «Giancarlo, lo sai
che in aeroporto abbiamo visto Julius e Nero5?»
«Ah, avete visto Caesar?» replicò
l’altro, vagamente sorpreso.
«Sì, forse stavano partendo per raggiungere gli
altri Excalibur, perché tra un po’ ci sono i
campionati!» spiegò il piccolo.
«Ah, già. Oramai sono fuori dal giro e ho perso
dimestichezza con i periodi dei tornei» mormorò il
giovane, ma quello non parve farci caso.
«Secondo me perderanno, però, perché
non sono molto bravi».
«Sai, da quel poco che ho visto, di talento ne
hanno...» cominciò il biondo, incerto.
«Comunque, ammetto che sono stati più in gamba di
noi solo per il fatto di aver costituito subito una squadra».
«Sì, ma non sanno giocare... Non mi piacciono,
eravate più bravi voi!» replicò il
bambino, intestardendosi.
«È passato tanto tempo e i beyblade hanno una
nuova tecnologia: non si può fare il paragone»
constatò pacatamente Giancarlo, ma Samir, per nulla
d’accordo con lui, insistette: «Io dico che tu sei
più bravo di Julius!»
Non volendo indispettirlo, il ragazzo rifletté accuratamente
su cosa dire, prima di aprire bocca di nuovo.
«Be’, se devo dire proprio tutto...»
cominciò poi, lentamente, «non so se,
effettivamente, sono stato più bravo di lui. Di sicuro,
però, sono più bello e affascinante!»
concluse, passandosi una mano in mezzo ai capelli, con seducente
noncuranza, esibendo il suo più spietato sorriso ai feromoni.
A quell’uscita, Aida non riuscì a trattenere un
sorriso divertito e ad intromettersi: «Immagino che il tuo
secondo nome sia Modestia, giusto?»
Sorpreso da una tale prontezza, il ragazzo la guardò per
alcuni secondi, per poi aiutare Samir a rimettersi in piedi e, quindi,
alzarsi a sua volta.
«Be’, in realtà, sono queste le
occasioni nelle quali mi rendo conto di quanto, in passato, sia stato
arrogante e spaccone» considerò poi, meditabondo.
Sorridendo ancora, la ragazza, allora, scosse la testa e
aprì la bocca per replicare, ma venne interrotta da qualcuno
che bussava alla porta.
«Cara,
pensavo di far servire il pranzo tra
un’ora... l’è
troppo tardi,
forse?» esordì Beatrice, entrando con discrezione
nella stanza e rivolgendosi direttamente a lei.
«Oh, no, affatto. Sarebbe perfetto, visto che, secondo Rami,
dovremmo essere in aeroporto per le sei e mezza» rispose lei,
sperando di aver coniugato adeguatamente tutti i verbi,
poiché non voleva fare una figuraccia. Tuttavia,
poiché la donna aveva annuito, riservandole
un’espressione dolce, la fanciulla lo prese come buon segno.
«Con
l’Annetta
abbiamo deciso
di fare una cosetta
semplice,
ma spero vi piaccia»
proseguì, allora,
l’altra, stringendo le spalle.
«Non si preoccupi, signora» la rassicurò
Aida, «sono certa che sarà ottimo, come ieri
sera».
A quel punto, Beatrice sorrise e spostò lo sguardo su Samir,
il quale le si avvicinò e, dopo aver dondolato sul posto, le
chiese, con una vocina sottile: «Posso avere un bicchiere
d’acqua, per favore?»
La donna, sorpresa, spalancò gli occhi e, subito, gli
rispose: «Ma certo,
Samir!»
Poi, alzò lo sguardo sul figlio e, corrugando la fronte, lo
rimproverò: «Giancarlo, con i bambini ci vuole
attenzione, perché
non gl’hai
chiesto se
aveva
sete?»
Il ragazzo sbiancò immediatamente, per poi voltarsi verso la
ragazza, mortificato: «Io... mi dispiace, Aida,
non...»
«Oh, ma non è successo niente!» si
affrettò a replicare lei, a disagio per quel piccolo
equivoco. «La colpa è anche mia,
avrei...» cominciò, ma si interruppe dopo poche
parole, vedendo la donna che prendeva in braccio il fratellino.
«Vieni qui, Samir, ora la
Beatrice ti porta a bere»
gli disse quella, riservandogli un’occhiata piena di
dolcezza.
La rapidità con cui si era mossa, però,
insospettì non poco la ragazza, che ebbe il
presentimento che la donna stesse cogliendo l’occasione per
lasciarli da soli.
«Cari,
noi vi aspettiamo di là. Mi raccomando,
Pulcino,
non arrivare tardi, altrimenti farai inquietare il
babbo» raccomandò, poi, Beatrice, sorridendo
serafica, prima di uscire dalla stanza assieme a Samir, a lei
teneramente aggrappato.
Nell’udire quell’epiteto così
particolare, Aida si riscosse dalle sue congetture e, dapprima,
credette che la donna si fosse riferita ancora al fratello, poi,
però, realizzò che così non era e
voltò la testa verso Giancarlo, diventato bordeaux.
«Pulcino?»
ripeté, divertita.
«Ah, ehm… ecco…
sì…» farfugliò lui, incerto,
arruffandosi ancora di più i capelli, in evidente imbarazzo.
«Sai, secondo mia madre, sono ancora il bambino biondino,
basso e timido di un tempo».
«Tu... basso e… timido?»
domandò, allora, la fanciulla, esterrefatta. «Stai
dicendo sul serio, o mi stai prendendo in giro?»
«Che cosa c’è di strano?» si
risentì il ragazzo, spostando lo sguardo sul muro per
evitare di guardarla in faccia. «Quando sono piccoli,
è normale che i bambini siano timidi come lo ero
io».
«In effetti, quello che non è normale è
l’exploit
che hai fatto dopo!» continuò
a punzecchiarlo Aida, abbandonandosi subito dopo ad una fragorosa
risata. «Guardati, ora sei tutto l’opposto:
altissimo e disinvolto! L’unica cosa che deve esserti rimasta
uguale sono i tuoi begli occhi!»
Tale osservazione, però, ebbe il potere di invertire i
ruoli: Aida, rendendosi conto di ciò che aveva appena detto,
richiuse subito la bocca, mentre Giancarlo, invece, lasciando affiorare
un sorriso birichino sulle sue labbra, ridivenne immediatamente padrone
di sé. Infatti, si spostò immediatamente con un
gesto elegante la frangia da un lato, ben scoprendo le iridi cobalto, e
si avvicinò lentamente alla ragazza, squadrandola
interessato.
«E così ti piacciono i miei occhi…
allora, ammetti che qualcosa di me ti attrae…»
mormorò.
Riservandogli un’occhiata di sottecchi, la ragazza
capì di aver parlato troppo, ma sapeva anche di non potersi
rimangiare quanto detto, giacché avrebbe finito solo per
confermare quanto aveva espresso. Così, poiché
non voleva ancora concedere al giovane troppi vantaggi, decise che la
cosa migliore da fare sarebbe stata proprio ribadire il concetto, anche
se in modo più velato.
«Il colore è simile a quello del nostro mare, una
sfumatura di blu che mi piace molto» replicò,
tranquillamente, certa di non aver detto una bugia, bensì
solo taciuto una parte della verità.
Dopo tale risposta, Giancarlo si portò le mani sui fianchi e
la fissò intensamente, mentre lei cercava di mostrarsi
più calma di quanto fosse in realtà, percependo
in quel confronto appena concluso una forte carica magnetica e
alchemica.
«Sai difenderti bene ed io so riconoscere quando
perdo» commentò lui, seriamente soddisfatto, senza
staccarle gli occhi di dosso. Poi, all’improvviso, si
voltò e si diresse verso la finestra, scrutando pensieroso
ciò che c’era all’esterno.
«Questo dimostra che sei una persona d’onore, anche
se non ho mai avuto dubbi in proposito» replicò
dolcemente la ragazza, avvicinandosi a lui e cominciando a sentirsi
più rilassata, anche se dovette ammettere con se stessa che
quegli intriganti scambi di battute non le dispiacevano
affatto.
«Peccato che tu sia l’unica a pensare una cosa del
genere…» sospirò, allora, il giovane,
mostrandole un’espressione amareggiata.
Tale reazione la lasciò talmente perplessa e intristita, che
non riuscì ad evitare di chiedergli spiegazioni:
«Perché dici così?»
«Tutti credono che io sappia solo prendere per i fondelli la
gente, in primis mio padre» le sussurrò lui in
risposta, lasciando vagare lo sguardo sul giardino. A quelle parole,
però, la ragazza scosse la testa, contrariata.
«Io, invece, trovo che somigli molto a tuo padre e non solo
fisicamente» ribatté, convinta.
«Credimi, Giancarlo, siete più simili di quanto
vogliate ammettere».
Sorpreso, l’altro si voltò repentinamente verso di
lei, scrutandola con scetticismo.
«Ma se non facciamo altro che litigare perché non
mi sopporta!» replicò a sua volta, corrugando la
fronte. «Ha smesso di considerarmi, da quando non sono
più un bambino».
Aida, però, manifestò ancora una volta il suo
disaccordo: «Secondo me, avete solo smesso di parlarvi
sinceramente e di capirvi, ma vi basterà ricominciare a
farlo, per tornare come eravate un tempo» insistette.
Tuttavia, avendo avuto l’impressione di aver detto
più di quanto avrebbe dovuto, si affrettò a
precisare: «Non fraintendermi, non voglio fare quella che
arriva all’improvviso e risolve i problemi, ti ho detto
soltanto quello che ho capito da persona esterna. Anzi, scusami per
essermi intromessa».
«Ma no, figurati, hai solo espresso il tuo parere»
le mormorò, però, il biondo, pensieroso,
mostrandosi tutt’altro che contrariato per il suo intervento.
A quel punto, nessuno disse nulla,
finché non fu Giancarlo, dopo diversi minuti, ad
interrompere il silenzio: «La verità è
che non mi sentivo alla sua altezza e, forse, ho cominciato a
comportarmi da irresponsabile e superficiale anche per attirare la sua
attenzione. Nel modo sbagliato, ovviamente... che idiota che sono
stato!»
La ragazza, però, non rispose, poiché sentiva di
aver parlato anche troppo; ciononostante, gli strinse comunque una
mano, per fargli sentire il suo appoggio, mentre cercava un argomento
di conversazione che potesse distrarlo dai suoi turbamenti interiori.
«Allora, vuoi finalmente fare meno il misterioso e dirmi come
è andato l’esame di statistica?» gli
chiese, tutto ad un tratto, ricordandosi che, nonostante le avesse
detto di essere andato a darlo, non le aveva fornito ulteriori
particolari.
Fortunatamente, il tentativo andò a buon fine,
perché Giancarlo sembrò subito più
rilassato e le rispose, con un sorriso: «Il mistero accresce
la curiosità, non trovi? Comunque, è andato
bene».
Attese qualche secondo e poi si chinò, sussurrandole
qualcosa nell’orecchio.
«Direi che è andato più che bene, sei
stato molto bravo!» esclamò lei, annuendo
soddisfatta, quando si scostò. A sua volta compiaciuto
dall’entusiasmo che gli aveva riservato, il ragazzo le
ammiccò e tornò a guardare fuori, subito imitato
da Aida, che rimase colpita dal sole di mezzogiorno che inondava di
luce il parco di Villa Aurelia e dalle chiome dei suoi maestosi pini
marittimi, tra cui si intravedevano scorci della Città
Eterna.
«L’unica cosa che mi dispiace di questo viaggio
è che Rami non abbia voluto farci rimanere più
giorni, perché mi sarebbe piaciuto visitare Roma»
sospirò la fanciulla, ispirata da quella visuale.
«Ci saranno altre occasioni, non preoccuparti. A me
piacerebbe molto che tornassi, ti farei vedere tutto quello che
desideri» le rispose, allora, il giovane, guardandola in
maniera talmente dolce, che la fanciulla non poté fare a
meno di sorridere.
«Chi può dire che non ci
sarà!» fece, alzando le spalle.
«Be’, per ora ti posso portare sulla terrazza
dell’ufficio di papà, se vuoi. Da lì si
vede quasi tutto, è come se fosse una cartolina dal vero.
Andiamo, dai!» esclamò lui, entusiasta,
rinsaldando la presa sulla mano di lei e conducendola con delicatezza
fuori dalla stanza.
«Ma… è spettacolare!»
esclamò Aida, senza fiato per lo stupore, non appena
uscì sulla terrazza. Giancarlo aveva detto la
verità: quel panorama era davvero migliore della
più riuscita cartolina cartacea, giacché non
c’era un solo particolare che non valesse la pena
d’esser ammirato, a partire dalla mole candida del Vittoriano
che si erigeva imponente sullo sfondo, fino alla cupola
michelangiolesca, che dominava centralmente la scena, incastrata alla
perfezione tra i profili dei palazzi, mentre, dal lato opposto, anche
Trinità dei Monti reclamava la sua importanza.
Affinando la vista, la ragazza riuscì anche a scorgere la
sagoma di quasi tutti i più importanti monumenti della
città, riconoscibili da un particolare
dell’architettura o dal colore del rivestimento: era come se,
in quel momento, tutta Roma fosse ai suoi piedi.
Così, rapita da ciò che i suoi occhi non
avrebbero potuto vedere di nuovo tanto facilmente, la fanciulla
osservò un silenzio di estatica meraviglia, concentrandosi
nell’imprimere nella sua mente quel meraviglioso ricordo, per
poterlo conservare e richiamare a sé quando più
ne avrebbe avuto il desiderio.
Davanti a tanto entusiasmo, il biondo, a sua volta, non poté
fare a meno di tacere, appoggiandosi con discrezione al parapetto per
contemplare il genuino stupore e l’incontenibile contentezza
che trapelavano dall’espressione di lei.
«Immagino sia così che concludevi il tuo rituale
di corteggiamento. Non c’è da stupirsi che
cadessero tutte tra le tue braccia, dopo aver mostrato loro una tale
meraviglia!» commentò improvvisamente Aida, ancora
traboccante di gioia, senza smettere di guardare il paesaggio.
Quell’osservazione, però, fece comparire una
sottile ruga sulla fronte del giovane, che, infatti, ripeté,
perplesso: «Rituale di corteggiamento?»
«Sì, certo, quello che seguivi con le altre
ragazze» gli spiegò lei, accigliata, voltandosi
verso di lui. «Non è forse vero che le portavi
qui, per mandarle in estasi con questa visuale stupenda?»
A quell’uscita, l’altro la fissò per
qualche istante, per poi scoppiare a ridere.
«Estasi? No, no, nessuna di loro aveva una
sensibilità così profonda per poter apprezzare
una tale bellezza... In realtà, sei la prima alla quale
mostro tutto questo».
Nell’udire una simile affermazione, la fanciulla
inclinò appena la testa da un lato, confusa, ed insistette:
«La prima di quest’anno, vorrai dire».
«No, la prima e basta» confermò
Giancarlo. «Gli accordi con mio padre erano chiari: nessuna
ragazza da me frequentata avrebbe dovuto varcare il cancello di casa.
Altrimenti mi avrebbe disconosciuto e l’intera impresa
sarebbe passata a Gerardo Marini, suo socio e migliore amico. Che poi,
tra l’altro, è anche il mio padrino».
Tutte quelle rivelazioni stupirono ancor di più la ragazza,
che, rimasta senza parole, continuò a fissarlo inebetita:
sembrava proprio che, ormai, il giovane avesse abbandonato le risate e
stesse facendo sul serio.
«Inoltre, come ti ho già detto, con te sto
improvvisando, seguendo semplicemente l’ispirazione, senza
alcun rituale predefinito» aggiunse lui, ormai a meno di un
passo da lei, gli occhi saldamente fissi nei suoi. «Tu non
devi essere trattata come una delle tante, perché con te
deve essere tutto diverso».
Proprio in quel momento si alzò un sottile venticello e lei,
presa com’era a cercare di capire dove volesse arrivare, si
ritrovò inconsapevolmente a rabbrividire e, quando lo
notò, il giovane si affrettò a scusarsi:
«Oh, già, che imbecille, tu non sei abituata a
questi climi e io ti ho fatta uscire senza cappotto!»
borbottò.
Subito dopo, sfilò il proprio golf di cachemire, per poi
poggiarglielo sulle spalle e la ragazza, sotto
quell’indumento ancora imbevuto del profumo e del calore di
lui, rabbrividì per la seconda volta.
«Ma ora sarai tu a sentire freddo...»
obiettò, imbarazzata.
Tuttavia, l’altro scosse appena la testa, incurante del vento
gelido di febbraio e, allora, Aida si soffermò a studiarlo
per qualche istante, non riuscendo, però, a cogliere sul suo
volto nemmeno il più piccolo segno di millanteria. A quel
punto, avendo avuto la conferma che si trattava di un gesto fatto con
il cuore e non per farsi bello ai suoi occhi, gli diede le spalle e gli
sussurrò: «Abbracciami».
A quell’invito, il ragazzo sbatté le palpebre e
non si mosse, sicuro di non aver capito bene, perciò lei
ripeté, più decisa: «Abbracciami. Hai
paura che venga a saperlo Rami, forse? È solo per evitare
che tu prenda troppo freddo!»
Non del tutto convinto, lui esitò ancora un attimo, poi,
però, cedette a quella tentazione e cinse delicatamente la
vita della ragazza, in attesa che si sistemasse alla distanza che
preferisse. Con sua grande sorpresa, Aida scelse di stringersi quanto
più possibile e, sentendola aderire contro di sé,
il biondo smise all’istante di avvertire qualsiasi gelo,
percependo le membra illanguidirsi e il suo stomaco contrarsi
spasmodicamente. Infatti, anche se non era la prima volta che
abbracciava una ragazza, avvertì che le sue viscere non
erano mai state così in tumulto e che non si era mai sentito
completamente succube di un piacere che lo rendeva quasi mansueto, pur
amplificando, al tempo stesso, le sue percezioni.
«Scommetto che con le altre ragazze non facevi tutti questi
complimenti!» esclamò l’altra,
prendendolo un po’ in giro.
«Cosa? Ah... Ecco, io non…»
farfugliò lui, ancora troppo stordito per dire qualcosa di
sensato.
«Giancarlo, se esternare fisicamente i tuoi sentimenti fa
parte della tua personalità, con me non devi comportarti in
altro modo. Una carezza o un abbraccio non sono offensivi, se
l’intento è sinceramente affettuoso» gli
sussurrò, allora, Aida, lasciandosi cullare dal suo profumo
e dal suo tepore.
Nel sentirla così fiduciosamente abbandonata tra le sue
braccia, il ragazzo capì quello che voleva dire e,
finalmente, si rilassò anche lui, stringendosi maggiormente
a lei e appoggiandole leggermente la testa su una spalla.
Trascorsero qualche istante in silenzio, poi, Aida gli chiese:
«Va meglio, ora?»
A quella domanda, Giancarlo trattenne il fiato, perché
sapeva perfettamente che non andava affatto meglio, anzi, dopo quel
contatto, il suo cuore aveva preso ad agitarsi, rabbioso, suggerendogli
le parole che avrebbe dovuto dirle e che, invece, erano ferme in gola:
infatti, avrebbe dovuto confessarle che era la cosa più
bella che gli fosse mai capitata, un miracolo che si era preso cura
della sua anima già condannata, insegnandogli a godere di un
piacere buono e positivo e ad allontanarsi dalla libidine e dalla
concupiscenza che lo stavano dilaniando.
Alla fine, dopo aver preso un bel respiro, decise che non aveva
più senso rinviare e, così, si preparò
a dirle tutto: «Aida, c’è una cosa che
devo chiederti…»
«Che cosa, Giancarlo?»
Non volendo indugiare oltre, il biondo la prese per i fianchi e la
voltò con delicatezza nella sua direzione, perché
potesse guardarlo negli occhi.
«Si tratta di una cosa importante»
affermò, deciso.
«Ti ascolto» lo incoraggiò, allora, la
fanciulla, sorridendogli e permettendogli di tenerla stretta senza
sollevare obiezioni.
«Ecco, tu vorresti…» cominciò
lui. Tuttavia, si arrestò subito dopo, poiché,
tutto d’un tratto, dichiararsi non gli sembrava
più una buona idea.
Davvero avrebbe fatto bene a dirle ogni cosa? Aida avrebbe davvero
continuato ad essere la sua balia? Oppure, magari, al posto di un
ragazzino che bruciava dal desiderio di baciare le sue labbra
salvifiche, come era lui, avrebbe preferito un uomo maturo? A volte,
era capitato che qualche ragazza con un minimo di pudore
l’avesse rifiutato, ma non ne aveva fatto un dramma,
perché ce ne erano state tante altre. Invece, Aida era unica
e, in quel momento, sentì di aver raggiunto la
consapevolezza che non avrebbe potuto accettare di essere respinto.
«Tu vorresti… ti piacerebbe…»
riprovò, prendendo tempo, riducendo tuttavia con lenta
evidenza l’esigua distanza frapposta tra di loro.
«Sì?» sussurrò
l’altra, in attesa e il giovane poté quasi sentire
il suo volto sfiorare il proprio: era così vicina,
così raggiungibile, eppure così lontana...
«Ti piacerebbe… rientrare? Sai, comincia a fare
freddo e credo che ci stiano cercando».
A quelle parole, Aida si allontanò bruscamente da lui,
aggrottando la fronte, incredula ed intristita e Gianni vide affiorare
sul suo volto l’ultima cosa che avrebbe voluto: la delusione.
«Sì, hai ragione» rispose lei, asciutta;
poi, si tolse con estrema rapidità il golf e glielo mise
malamente in mano, prima di aggiungere, irritata: «Non mi
serve più».
Poi, senza dire altro, si allontanò in tutta fretta e tutto
ciò che riuscì a fare il ragazzo, incapace di
fermarla, fu seguirla con lo sguardo, incrociando quello del proprio
riflesso, che lo fissava dal vetro del balcone con aria di sufficienza.
“E
tu saresti quello virile e passionale? Come no... la
verità è che sei solo un codardo!”
Codardo,
l’insulto che più aborriva.
Sospirando sconfitto, Gianni, allora, abbassò la testa,
consapevole di meritare quell’improperio così
veritierio.
***
Al momento dei saluti, tutti notarono che Aida e Gianni non si
guardavano nemmeno in faccia, lasciando che fossero
l’indifferenza di lei e l’aria colpevole di lui a
parlare per loro.
Sorpresi da quell’improvviso cambiamento, Marcello e Beatrice
si lanciarono un’occhiata obliqua e anche Rami parve
abbastanza perplesso, poiché era impossibile non notare la
completa assenza di sorrisi e giochi di sguardi che c’erano
stati tra i due fino a quella mattina.
«Qui sarete sempre i benvenuti!» fece la donna che,
facendo finta di niente, continuò a fare gli onori di casa.
«Non è vero, Marcello?»
«Certamente» replicò lui, «ci
ha fatto davvero piacere conoscervi. Se vorrete tornare, noi saremo
sempre felici di riavervi come ospiti».
«E noi vi ringraziamo per l’accoglienza»
rispose garbatamente Rami.
«Oh, sì, siete stati davvero molto gentili con
tutti noi» confermò Aida, esternando la sua
riconoscenza ai due coniugi, ma continuando ad ignorare la presenza del
giovane.
Samir, da parte sua, salutò affettuosamente sia Beatrice che
Marcello, il quale non si sottrasse all’abbraccio e al
bacione sonoro del bimbo, ed infine si rivolse a salutare il ragazzo.
«Perché tu e Dada non vi parlate dal
pranzo?» gli chiese ingenuamente, anche se sottovoce.
L’altro, allora, sospirò, assumendo
un’espressione sconsolata.
«Perché ho sbagliato e lei non vuole
perdonarmi» replicò a sua volta, sempre
bisbigliando.
«E perché non le chiedi scusa? Lei perdona chi lo
fa» gli suggerì il bambino, semplicemente, con
quella logica tipica della sua età. Quel consiglio, giunto
dall’ultima persona che mai pensava avrebbe potuto aiutarlo
in quel momento, permise al biondo di intravedere uno
spiraglio di luce nelle tenebre.
«Hai ragione, dovrei» ammise, sorridendo lievemente
al piccolo e arruffandogli i capelli.
«Andiamo, Samir» si intromise, però, la
sorella, severa, prendendo il fratellino in braccio e continuando a
fare finta che il ragazzo non esistesse, «si è
fatta l’ora di andare».
Di fronte a quell’insistente indifferenza, Gianni
avvertì un nuovo, più tremendo, lancinante dolore
all’altezza del petto, perché ormai era chiaro che
Aida lo stava abbandonando, anche se la cosa peggiore era che lui
glielo stava lasciando fare. Infatti, non riuscì ad emettere
nemmeno una sillaba, mentre guardava la fanciulla imboccare la
scalinata di travertino con passo fermo, senza voltarsi indietro
nemmeno una volta, seguita da un alquanto sconvolto Rami.
Non passò nemmeno una manciata di istanti, che presto
scomparvero alla sua vista tutti e tre.
«Si può sapere che cosa le hai fatto?!»
ringhiò Marcello, minaccioso, non appena gli ospiti se ne
furono andati. «Non mi dire che le hai messo le mani addosso
o che hai tentato di coinvolgerla nelle tue sconcerie,
perché questa volta io ti…»
iniziò, senza, però, riuscire a finire la frase.
«Ti giuro che non le ho fatto niente!»,
replicò il giovane, con la reattività di un ghiro
in letargo, strascicando le parole. «Non le ho fatto,
né
detto... niente».
Marcello, allora, sollevò appena le sopracciglia e
squadrò il figlio, commentando: «Dunque, alla
fine, non ci sei riuscito…»
L’altro si limitò ad alzare le spalle, mentre
Beatrice, preoccupata, guardava alternativamente il marito ed il figlio.
«Pulcino,
che cosa è successo?»
chiese,
infine, avvicinandosi al giovane ed accarezzandogli una guancia, ormai
esangue.
«Non ha trovato il coraggio di dichiararsi ad Aida»
le spiegò, allora, l’uomo, che, dopo aver serrato
le braccia contro il petto, tornò a rivolgersi a Giancarlo:
«In poche parole, l’hai fatta scomodare solo per
costringerla a venire a prendersi l’umidità di
Roma. Si può sapere dov’è finita la tua
irritante spavalderia?»
«Temevo che mi avrebbe respinto… Sarebbe stato un
dolore troppo grande e non avrei potuto sopportarlo. Ne sarei
sicuramente morto» pigolò il ragazzo, proprio come
un pulcino spaurito.
Di fronte ad una dichiarazione del genere, Beatrice sorrise,
intenerita, scambiandosi un’occhiata con Marcello, il quale,
subito dopo, chiuse per qualche istante gli occhi per non essere
costretto ad alzarli al cielo.
«Ti sei immedesimato nella tragedia di Antonio e Cleopatra,
per caso? In effetti, istrionico come sei, avresti potuto fare
benissimo l’attore drammatico!» notò,
poi scuotendo la testa.
Il ragazzo, però, non diede l’impressione di aver
prestato attenzione alle sue parole, perché
perseverò nel suo silenzio vegetativo, continuando a fissare
il mattonato.
«Ascoltami bene» esordì, a quel punto,
il padre, assumendo un tono tra il serio e l’indulgente,
«ti sto rimproverando perché voglio farti capire
che non si va avanti né con i dubbi, né con i
timori, perché un vero uomo sa fare tesoro anche delle
sconfitte. Se posso darti un consiglio, perciò, cerca di
capire bene ciò che cosa vuoi: se quella ragazza non ti
interessa, lasciala in pace e consentile di trovarsi qualcuno che la
meriti; se, invece, per te è importante, dimostrale quanto
tieni a lei».
«Io sono davvero innamorato di Aida e non voglio nemmeno
pensare all’eventualità che finisca tra le braccia
di un altro uomo!» replicò, subito,
l’altro, deciso, mostrando un debole tentativo di ripresa.
Tale reazione fu sufficiente a rincuorare Marcello che, subito, mise
una mano sulla spalla del figlio, stringendola affettuosamente.
«Allora, non gettare via questa
opportunità» sentenziò, con dolcezza.
«In fondo, Piazza Barberini non è
all’altro capo del mondo, non trovi?»
«Il babbo ha ragione,
caro»
affermò a
sua volta Beatrice, decisa, dandogli un’ultima carezza.
«Se l’Aida
ti piace,
non devi aver paura di dirle
ciò
che
provi».
A quel punto, dopo essersi scambiati un’ultima
occhiata, i genitori rientrarono in casa, lasciandolo a meditare sulla
veranda, perché potesse fare la sua scelta in completa
autonomia.
Il giovane sospirò, affranto, poiché sentiva che
la paura di veder andare in frantumi la prospettiva di una vita insieme
alla sua Aida stava prevalendo su tutto il resto. Era come se fosse
regredito al periodo in cui preferiva adagiarsi nella
mediocrità per timore di non riuscire, piuttosto che
mettercela tutta per riuscire in ciò che desiderava.
Tuttavia, suo padre aveva ragione: non avrebbe dovuto sacrificare
un’occasione importante come quella, poiché sapeva
che, se non si fosse dichiarato ad Aida, se ne sarebbe pentito per
tutta la vita.
Dopo essere giunto a quella conclusione, il biondo scosse vigorosamente
la testa e fece per rientrare a sua volta in casa, ma, proprio nel
momento, un piccolo bagliore, rifulgente sotto il sole del primo
pomeriggio, attirò la sua attenzione, suggerendogli
così quale fosse la mossa giusta da fare.
«Rami, mi compri quel dolce ghiacciato che fanno qui, in
Italia?»
«Intendi il gelato, Samir?» gli rispose il fratello
maggiore, alzando appena la testa dal cellulare.
«Sì, sì, quello!»
esclamò il bambino, annuendo con vigore mentre chiudeva la
sua console.
«Ma stiamo per partire e fa un freddo polare… come
ti vengono certe fantasie?!» replicò,
però, l’altro, scocciato, agitandosi nervosamente
sul divano, ma in quel momento Aida, che se ne stava a gambe e braccia
incrociate poco lontano, si voltò immediatamente verso di
lui e gli riservò un’occhiata obliqua.
«Rami, per favore, assecondalo! Quando avrà di
nuovo l’occasione di assaggiarne uno fatto come si
deve?» aggiunse, mettendo su un cipiglio severo.
«Aida, siamo in partenza!» insistette quello,
scandendo ogni sillaba e gesticolando inquieto. La sorella, però,
non si lasciò convincere e, sbuffando, ribatté:
«Come sei pesante! Le valigie sono pronte, per di
più Domenico ha detto che ci accompagnerà lui a
Fiumicino, perché non dovresti concederglielo,
allora?»
Dopo una tale risposta, il ragazzo sentì di non avere
più scusanti, anche se tentennò ancora qualche
secondo, incerto sul da farsi, prima che l’espressione
supplice di Samir lo spingesse ad accettare.
«E va bene! Aida, tu ne vuoi uno? Sai, anche per te potrebbe
essere difficile tornare qui a breve» la stuzzicò
il fratello, lasciandosi sfuggire un ghigno divertito, mentre lei lo
inceneriva con uno sguardo di fuoco: aveva vinto e Giancarlo si era
tirato indietro, che bisogno c’era di infierire?
«No, grazie, non mi va!» sbottò quella,
voltando la testa e mettendosi ad osservare ostinatamente la parete di
fronte.
Meravigliato da una tale reazione, il giovane aggrottò
appena la fronte e la guardò di sottecchi, per poi prendere
Samir per mano e condurlo fuori dalla hall. Tuttavia, prima di uscire
in strada, si voltò e la richiamò:
«Aida?»
«Sì, Rami?» gli rispose lei, senza
guardarlo.
«Smettila di pensare a lui. I suoi genitori sono delle gran
brave persone, ma quello ci ha preso in giro tutti quanti e, per poco,
non ci sono cascato anch’io».
La ragazza, però, non gli diede la soddisfazione di una
risposta ed aspettò che entrambi i suoi fratelli si furono
allontanati, prima di girare nuovamente il capo in direzione della
porta e guardarsi intorno, notando come fossero diversi gli alberghi di
lusso di Roma da quelli di Alessandria, sia nell’arredamento
che nello stile, e tale differenza la portò a rivalutare
ancora una volta quella che c’era tra lei e Giancarlo,
facendola sospirare.
A quel punto, si accomodò meglio su divano ocra,
raggomitolandosi su se stessa e cominciando a lisciarsi una ciocca dei
suoi lunghi capelli, cercando di farsi coraggio come aveva sempre fatto
nei momenti di sconforto, in cui si era ritrovata sola.
Come era potuta essere così ingenua da sperare in una
moderna favola a lieto fine? Giancarlo le voleva bene e la rispettava,
ma non l’amava, anzi, aveva rinunciato persino a baciarla,
ferendola nel suo orgoglio di donna: sapeva di non essere né
una modella, né tantomeno un’attrice, ma davvero
lui, in vita sua, aveva baciato solo sosia di Scarlett Johansson?
Stizzita e amareggiata dal ricordo di quel bacio mancato,
sbuffò e si affossò ancor di più tra i
cuscini del sofà, sentendosi meno in colpa per averlo
piantato in asso ed ignorato, reagendo in maniera infantile a quel
diniego.
Perché il lieto fine doveva esistere solo per gli altri?
Oppure nei film e nei romanzi che leggeva Jamila? Non che fosse
un’amante del romanticismo infarcito di svenevolezze, ma tra
quello e il niente c’erano diversi livelli intermedi e a lei
sarebbe bastata solo una promessa di fedeltà da parte di lui.
In quel momento, i suoi pensieri andarono proprio all’amica
che, certamente, sarebbe stata alquanto delusa dalle nuove notizie e,
magari, l’avrebbe perfino rimproverata, in maniera scherzosa,
ricordandole quanto poco sapesse farci coi ragazzi. Forse la sua colpa
era essere stata se stessa? Eppure, era stato lo stesso Giancarlo a
confessarle di essere stato colpito dalla sua spontaneità,
anche se, visto come si era comportato, probabilmente quello che le
aveva detto non aveva mai avuto valore.
Affranta da quelle considerazioni sempre più fosche, Aida
sospirò di nuovo e, improvvisamente, avvertì che
qualcuno le aveva posato accanto qualcosa. Istantaneamente,
abbassò la testa e, quando si rese conto che era uno dei
suoi fermagli, si portò subito una mano ai capelli,
accorgendosi di averlo smarrito un’altra volta.
«Avete già fatto? Comunque, grazie, Rami, dove
l’hai trovato? Sono proprio una pasticciona, l’ho
perso di nuovo e…»
«Ritrovarlo e riconsegnartelo sta diventando
un’abitudine. Se ciò mi consente di continuare ad
interagire con te, dovresti perderlo più spesso».
Nell’udire quella voce, che non si aspettava di certo, Aida
sobbalzò ed alzò di scatto la testa, rimanendo
quasi pietrificata.
«Giancarlo! C-Che cosa ci fai qui?»
balbettò, mettendosi in piedi con molta
difficoltà.
«Un motivo è quello» le rispose lui,
indicando il fermaglio, «l’altro, invece,
è che non posso permetterti di partire, senza averti chiesto
la cosa più importante... per noi». Poi, le si
avvicinò e, dopo appena un attimo di incertezza, le prese
con delicatezza le mani e le tenne con fermezza tra le sue. La
guardò negli occhi per qualche istante, scrutandola con lo
stesso sguardo malinconico che le aveva riservato quando era andato a
cercarla per dirle tutta la verità e, di fronte a
quell’espressione, l’amarezza di Aida si
attenuò parecchio.
«So di averti deluso e ti prego di perdonarmi. Avrei dovuto
chiedertelo stamattina, ma ho temuto un tuo netto rifiuto» le
mormorò poi, dispiaciuto.
«Come puoi conoscere la risposta, senza aver prima fatto la
domanda?» ribatté cupamente lei, convinta che, a
prescindere da tutto, dovesse esserle concessa la
possibilità di rispondere in prima persona.
«Lo so, hai ragione» sospirò lui,
scuotendo la testa, «ma non ho mai tenuto a
nessun’altra come tengo a te e... non mi sono saputo
comportare».
A quel punto, fece una piccola pausa, mentre la giovane, metabolizzando
le parole che gli aveva appena sentito dire, si sentì
avvampare, piacevolmente colpita, ma non ebbe nemmeno il tempo di
rispondere, che lui proseguì: «Aida, io non
sarò né perfetto, né tantomeno un
cavaliere senza macchia e senza paura, ma sicuramente quello che provo
per te è un sentimento sincero…»
«Be’, a dire il vero, dovresti lasciar decidere
me...» notò lei, piegando la testa da una parte e
soffermandosi a guardarlo ad occhi socchiusi,
«perché sono io che devo scegliere, tu non sai
cosa potrei volere».
Nel sentire queste parole, l’animo di Giancarlo si
rasserenò e, finalmente, il ragazzo si decise a buttare
fuori tutto quello che aveva tenuto dentro di sé troppo a
lungo, così, dopo aver preso un bel respiro,
parlò: «Scusami se te lo chiedo in termini un
po’ antichi e, per giunta, in maniera così
diretta, ma non c’è tempo per un discorso: mia
dolce Aida, vorresti farmi l’onore di diventare la mia
fidanzata, nonché la mia futura sposa…?»
Sorpresa ed incredula di aver appena ricevuto una proposta di
matrimonio da Giancarlo Tornatore, il latin lover per antonomasia, la
ragazza deglutì, sicura di non aver mai sentito il cuore
batterle tanto forte.
«Ovviamente, non devi rispondermi subito, pensaci pure quanto
vuoi. Devi decidere in piena libertà, non voglio che ti
senta costretta» aggiunse lui, accarezzandole una guancia.
Aida, però, continuò a non rispondere, fissandolo
a bocca semi-aperta e, nonostante si sentisse scoppiare dalla
felicità, si rese subito conto che non era una decisione da
prendere a cuor leggero, perché lo conosceva solo da pochi
mesi e, sapeva che il trasporto, la gioia e il piacevole
scombussolamento che provava ogni volta che lo aveva davanti sarebbero
potuti non bastare a garantire una relazione duratura.
«D-Davvero posso pensarci?» chiese, infine,
riuscendo a recuperare l’uso della parola.
«Sì, certo, prenditi tutto il tempo che desideri.
Anche se noi continueremo a sentirci, mi darai la tua risposta solo
quando ne sarai sicura, va bene?»
«Va bene» confermò lei in un sussurro,
lasciando affiorare sulle sue labbra un dolce sorriso.
A quel punto, lui si soffermò a contemplarla e decise di
assecondare l’istinto che lo invitava a chinarsi per darle un
bacio sulla guancia, ma, purtroppo, le sue labbra arrivarono solo a
sfiorarle la pelle, poiché Rami e Samir fecero il loro
ritorno con un tempismo quanto mai dannoso.
«Che cosa state facendo?!» gracidò il
giovane che, pur avendo usato un plurale, in realtà, si
stava riferendo solo al biondo.
Giancarlo, allora, si tirò su, permettendo ad Aida di
discostarsi leggermente da lui ed entrambi si voltarono verso un
contrariato Rami e un incuriosito Samir, che stava leccando con gusto
un mega-cono al cioccolato e fiordilatte.
«Tornatore, che cosa stai combinando?»
riprovò, allora, il ragazzo, sospettoso, linciandolo con lo
sguardo. Tuttavia, l’altro non si fece intimidire e
restò accanto alla fanciulla, che rispose al suo posto.
«Mi ha appena chiesto di sposarlo» fece, infatti,
lei, riprendendo a guardare il suo innamorato.
«E tu che cosa gli hai risposto, Dada?»
domandò, allora, Samir, curioso ed entusiasta, che non
avrebbe mai potuto immaginare che la sorella, un giorno, avrebbe
sposato un campione del suo sport preferito.
«Che ci penserà» replicò
Giancarlo, girandosi verso la ragazza per lanciarle un sorrisetto
complice.
Davanti a quella scenetta, che sembrava messa su a posta per mandarlo
su tutte le furie, Rami fu tentato di ribattere, ma, poi, rendendosi
conto che sarebbe stato inutile, sospirò, rassegnato.
D’altra parte, Giancarlo aveva dimostrato di aver mantenuto
la parola e la sorella aveva un’espressione così
dolce da non lasciare dubbi: Dada aveva trovato il suo Blaue Reiter6.
«Rami, andiamo fuori! Il gelato mi sta colando, e si
sporcherà tutto il tappeto!» piagnucolò
improvvisamente Samir, trascinandosi dietro il fratello grande prima
che potesse anche solo capire cosa stesse succedendo e, divertiti da
quell’intermezzo, Aida e Giancarlo risero.
«Non mi stancherò mai di dire che il tuo
fratellino è troppo intelligente!»
osservò lui, trattenendo palesemente un sogghigno ai danni
di Rami.
«Oh, lo so. Per fortuna, c’é anche
lui»
confermò la giovane, alzando le spalle; poi,
tornò a guardarlo, senza sciogliere la presa che aveva su di
lui e aggiunse: «Ora ne sono convinta: con me stai
decisamente improvvisando».
«Be’, meglio, no? Te l’ho detto
più di una volta: sono un amante delle sorprese»
ribatté lui, dandole un colpetto sul naso e strappandole un
sorriso, mentre lei, dopo aver alzato una mano verso il volto di lui,
cominciò ad accarezzargli i capelli, prima di scendere lungo
la guancia; Giancarlo, nel sentire quel tocco, chiuse gli occhi e si
perse nel suo calore, esercitando una leggera pressione sul palmo di
lei, così da carpire ogni piacevolezza di quelle effusioni.
Rimasero così fino al momento in cui furono costretti a
salutarsi definitivamente. A quel punto, il ragazzo, dopo aver dato una
mano con le valigie, rimase a guardare i tre fratelli che si
accomodavano in auto e, prima di salire, Aida si voltò
un’ultima volta per salutarlo così lui ne
approfittò per soffiare un bacio nella sua direzione. Con
sua somma sorpresa, però, la ragazza ricambiò
senza indugio, regalandogli un sorriso triste e lasciandogli una
sensazione di vuoto che il giovane sapeva sarebbe stata difficile da
colmare.
Anche dopo che furono spariti oltre la piazza, Giancarlo attese in
piedi qualche altro minuto, poi, come riscuotendosi dalla malinconia
che lo aveva attanagliato, si cacciò le mani nelle tasche
del cappotto di panno blu e scese lungo Via del Tritone, nel buio della
sera dell’inverno romano.
Era arrivato a circa metà del viale, quando passò
accanto a lui una coppia ridente e spensierata. Non aveva fatto caso se
fossero belli o riccamente abbigliati - probabilmente non erano
né l’una né l’altra cosa -,
perché si era concentrato su un unico particolare: si
stavano tenendo per mano. In quel momento, avvertì che non
vi era nulla di speciale nella sua vicenda, che era solo un ragazzo
come tanti che doveva sottostare alle due massime e opposte leggi che
muovono l’Universo e fu quello l’attimo nel quale
prese coscienza di aver sempre voluto ignorare una verità
insindacabile: Morte e Amore rendono tutti uguali.
***
Gli eventi e i personaggi
narrati in questa storia sono frutto di fantasia, per tanto ogni
riferimento a luoghi, cose e persone realmente esistenti è
puramente casuale.
Il marchio “Beyblade” e i componenti
dell’EuroTeam/Majestics appartengono a Takao Aoki e BB
Project. Tutto il resto appartiene a me.
Ringrazio Aly
per la supervisione sul testo in corso d’opera.
Per la revisione a posteriori, ringrazio Lady
Viviana per la sua gentile collaborazione e
disponibilità.
***
[N.d.A.]
1. Albano Laziale:
piccolo paese nei dintorni di Roma; fa parte dei famosi Castelli Romani;
2. Rebibbia... Verano:
rispettivamente, uno dei carceri di Roma ed il cimitero monumentale
della Capitale;
3. barbara:
il termine viene usato nella sua accezione più originale e
dispregiativa. Nel mondo greco antico, i barbari non erano considerati
sempicemente stranieri, bensì esseri selvaggi e primitivi,
che si opponevano agli esponenti della civiltà,
autoreputatisi superiori per cultura ed intelletto;
4. Grazia... carisma...
dono: questi termini sono legati etimologicamente e
semanticamente; hanno valenza di climax, per sottolineare
l’enfasi crescente nel discorso;
5. Julius e Nero:
Julius Caesar è il membro italiano, nonché
capitano, degli Excalibur e Nero (che compare solo nel manga)
è suo fratello; nell’adattamento italiano
è rimasto il nome della versione americana, vale a dire
Julian Konzern, ma io mi rifiuto di usare due lemmi di origine sassone
per un personaggio che dovrebbe essere italiano, perciò ho
lasciato i nomi della versione giapponese, se non altro, più
“latineggianti” nel suono;
6. Dada... Blaue Reiter:
il gioco di parole è abbastanza articolato. Sia Dada
(conosciuto anche come Dadaismo) che Der Blaue Reiter
sono due
movimenti artistici degli inizi del 1900; Dada fa riferimento al
soprannome di Aida e Der Blaue Reiter significa, letteralmente, Il
Cavaliere Azzurro. Il collegamento del tutto è
la passione della ragazza per la storia dell’arte.
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Capitolo 4 *** Parte Seconda - Atto Quarto ***
Stella del Sud - Atto IV
Parte Seconda -
Atto Quarto
“e par che de la sua labbia si
mova
uno spirto soave pien
d’amore,
che va dicendo a
l’anima: Sospira.”
Dante Alighieri, Vita Nova, Cap.
XXVI, vv.12-14
Quel
settembre si rivelò il più caldo degli ultimi
anni e
tutti ad Alessandria non facevano altro che lamentarsi dell’afa opprimente che assediava la città da
giorni e giorni, sostenendo di non ricordare di aver mai vissuto niente
di simile. Fra di loro c’era anche Aida, la quale si era appena trascinata nella hall dopo aver discusso con lo scortese
pescatore
che aveva portato la fornitura di crostacei per il pranzo, come
accadeva ogni volta che aveva a che fare con lui, visto che l’uomo si ostinava
a trattarla come se non capisse nulla. Forse, non era un caso che Rami
le
chiedeva sempre di interagire con quel tale al posto suo.
Stremata, approfittando dell’assenza di clienti nei paraggi, la
ragazza decise di prendersi una piccola pausa e si lasciò
cadere
su uno dei divani dell’ingresso, sbuffando: tra il caldo, il
ritmo serrato di
lavoro e la mole di studio per l’ultimo, imminente esame non
riusciva a ritagliarsi nemmeno un minuto per sé; per giunta,
negli ultimi tempi, anche Giancarlo aveva avuto molto da fare e si
erano sentiti solo per pochi minuti al giorno.
Anche se l’aveva visto recentemente di persona, quando aveva
deciso di passare con lei la
prima settimana di agosto, in occasione del suo ventiquattresimo
compleanno, Aida cominciava a sentire che quel modo di incontrarsi
così saltuario non le bastava più. Infatti, dopo
essere
uscita ogni sera con lui per sette giorni consecutivi - Rami
aveva
dato loro il permesso, purché portassero con loro
Samir -, la ragazza aveva capito ancor di più quanto fosse
frustrante non poter stare con lui ogni volta che ne aveva voglia. In
particolare un pomeriggio, quando aveva fatto assaggiare al giovane
i baklava1 e
questi
le
aveva promesso che avrebbe ricambiato la gentilezza portandola in una
delle migliori gelaterie di Roma, anche se suo fratello non si
era deciso ancora a darle il permesso di partire, sostenendo che in quel periodo non poteva
abbandonare il lavoro.
Cercando di scacciare quei pensieri, la giovane sospirò, fissando il soffitto della hall
con
occhi tristi: aveva la netta impressione che Rami stesse temporeggiando
con banali scuse, per non rivelare che, in realtà, non aveva la benché
minima
intenzione di lasciarla partire, anche se le sfuggiva il motivo. Forse
non era stato troppo contento dell’invito di Giancarlo a
trascorrere qualche giorno a casa sua, ma lei non capiva il
perché, visto che, dopo aver
conosciuto i genitori di lui, suo fratello si era parecchio
tranquillizzato.
Tuttavia, con o senza quel permesso, la fanciulla sarebbe dovuta
andare comunque, non solo perché le mancava il giovane, ma,
soprattutto,
perché doveva ancora rispondere alla sua proposta, visto
che, da
quando lui le aveva chiesto di sposarlo, nessuno dei due aveva
più toccato l’argomento.
In realtà, Aida sapeva bene di provare molto
di più che semplice simpatia nei confronti di Giancarlo.
Altrimenti, come poteva spiegare i battiti del suo cuore, che acceleravano solo
a sentire la sua voce, la tristezza crescente ogni volta che si
separavano o il desiderio di perdersi nel suo abbraccio caldo e sicuro?
Eppure, in quella vicenda c’erano
più dubbi di quelli che avrebbero dovuto esserci:
avrebbe mai potuto vivere in serenità con
l’uomo che, ormai, sapeva di amare? O il suo destino sarebbe
stato quello di essere infelice per tutta la vita? Tanti, troppi
vincoli ostacolavano la sua relazione con Giancarlo e, nel
riportarli alla mente, la giovane si sentì come affogare nel
pantano dei suoi timori.
Per
ironia della sorte, ad impedire che quella palude di
negatività la inghiottisse mentre era seduta sul divano,
intervenne proprio la voce di suo fratello che,
dall’ufficio, le ordinò di portargli un
tè rosso,
poiché lui era impegnato e non poteva
spostarsi.
«L’orso bruno ti comanda a bacchetta,
eh?» esordì Jamila non appena la vide, mentre
canticchiava rimettendo a posto alcune stoviglie.
«Già, settembre è sempre il periodo
peggiore: lui è sotto stress e lo fa scontare a
noi!» si lamentò la fanciulla, afferrando un
filtro per infusi in metallo e un barattolo di latta.
«Be’, per fortuna, almeno tu hai qualcun altro che ti tratta
come se fossi una
principessa!» insinuò l’altra,
continuando a sistemare tazze e bicchieri.
A quel commento, Aida finì di scaldare l’acqua con
il
getto di vapore e sospirò, triste: «Peccato, però, che io non lo sia affatto».
Sorpresa da quella considerazione, l’amica la
fissò per
qualche istante, per poi avvicinarsi e domandarle, preoccupata:
«Dada, che c’è?»
«Niente...» mormorò la fanciulla
finendo di
preparare la bevanda, cercando in tutti i modi di arginare l’oppressione
dettata
dalla consapevolezza che la differenza di classe sociale tra lei e
Giancarlo fosse solo la punta dell’iceberg di tutte le sue
angosce.
«Non mi dire che hai litigato con il tuo bel
biondino!»
esclamò Jamila, sconcertata, come se avesse intuito che il giovane era nella mente dell’altra.
Nel sentirlo menzionare, Aida sobbalzò e la guardò, sbattendo le palpebre. Poi, come uscita da una sorta
di
trance, si affrettò a rispondere: «Oh, no, no!
È
solo che... dovrei rispondere alla sua
proposta e non so ancora che cosa dirgli».
L’altra, allora, dopo aver lanciato un’occhiata intorno a sé, approfittò del fatto che fossero sole
per avvicinarsi ancor di più alla ragazza.
«Se ti piace, non credo che ci sia tanto da dire»
fece seria, a voce bassissima.
«Accetta e basta!»
«Non è così facile!»
replicò quella, stizzita. «Non è
sufficiente che mi piaccia, ci sono
tante altre cose da mettere in conto!»
«Dada, secondo me, tu ti fai troppi problemi...»
A quel punto, Aida afferrò maldestramente un barattolo e
buttò
con rabbia due cucchiaini del suo contenuto nel bicchiere di Rami, per
poi voltarsi verso l’amica e lanciarle uno sguardo
minaccioso. Come poteva sapere quanto stava male per
quella situazione?
«E tu, Jamila, non te ne fai affatto!»
replicò, furiosa, prima di afferrare il bicchiere e darle le
spalle, allontanandosi in
tutta fretta.
«Ecco il tuo tè, Rami!»
sibilò Aida, sbattendogli il bicchiere ad un soffio dalla
sua mano e versando più della metà del contenuto
sul ripiano estraibile della scrivania,vicino alla la
tastiera e al mouse.
«Si può sapere che ti prende?!» le
chiese il fratello,
fissandola sbigottito, ritraendo troppo tardi il braccio.
La fanciulla, però, ignorò la domanda,
limitandosi a
fissarsi le unghie con fare distaccato; alla fine, dopo qualche secondo, davanti ad un simile
atteggiamento, il giovane si accigliò e scrollò
le
spalle. Poi, accostò il suo
infuso di roobois2
alle labbra per bere quel poco che era rimasto.
«Puah! Ma... è disgustoso!»
esclamò subito dopo, tirando fuori la lingua.
Aida alzò di scatto la testa verso di lui, corrugando
la fronte e aprendo appena la bocca.
«Cosa… cosa c’è?»
gli chiese, confusa.
L’altro si alzò subito dalla sedia e le si
piantò
davanti, trafiggendola con un’occhiata minacciosa: «Si può sapere che
cosa ti è saltato in
mente?! Vuoi
avvelenarmi, per caso? » la rimproverò, adirato.
Sempre più stupita, la fanciulla spostò lo
sguardo sul bicchiere ancora fumante e, timidamante, iniziò:
«Non capisco, Rami, io ci ho messo la solita
quantità di
zucchero…»
«Zucchero?!» la interruppe, però, l’altro, tra lo sconcertato ed il furibondo.
«Aida, questo tè è salato
come l’acqua del Mar Morto!»
Improvvisamente, nella mente di lei fu tutto più
chiaro: come un lampo, le riaffiorò alla mente la scena di poco
prima: aveva preso il barattolo blu anziché quello rosso.
«Oh, no, temo
di aver confuso lo zucchero con il sale!» pigolò, abbassando lo sguardo.
Tuttavia, dopo la sua confessione, l’espressione di Rami si
indurì ancora di più.
«Brava, i miei complimenti!»
sbraitò. «Non puoi permetterti queste
distrazioni!
Hai idea di quali sarebbero state le conseguenze, se fosse successo con
un ospite?»
«Rami, scusami, io…»
Ma il giovane non volle sentire ragioni: tornò alla
scrivania,
afferrò il bicchiere e, dopo aver raggiunto la finestra,
gettò l’infuso all’esterno con un gesto
rabbioso.
«Scusami un corno! Aida, vedi di scendere dalle nuvole una
volta per tutte, altrimenti provvederò io stesso!» concluse, facendo
tremare anche il pavimento.
Non sapendo cosa aggiungere, sentendosi mortificata ed incompresa, la
sorella abbassò il capo e, un attimo dopo, scappò via, diretta nella
sua stanza.
Proprio in quel momento, con il fiatone, sopraggiunse Jamila.
«Non… non dirmi che… l’hai...
già
bevuto» annaspò.
«Se intendi quella porcheria che mi ha rifilato quella
sciocca,
purtroppo sì!» replicò il concierge,
ancora
visibilmente schifato, rimettendosi seduto.
«E… dov’è Aida?»
continuò
l’altra, guardandosi intorno come se sperasse di scorgere
l’amica in qualche angolo o dietro il vaso delle orchidee
bianche.
«Se ne è andata dopo che l’ho
rimproverata» sbottò il ragazzo. «Deve
smettere di vivere nel suo mondo immaginario, o…»
«Che cosa hai fatto?!» strillò la
ragazza,
impedendogli di continuare. «Ti rendi conto di quanto sei
insensibile? Tua sorella
si trova in una fase della sua vita molto delicata!»
«Sì, lo so che settembre è un
periodaccio»
ribatté, invece, lui, fingendo di capire ciò che gli
faceva comodo.
Tuttavia, lo sguardo iracondo di Jamila gli fece presto capire
che
non aveva apprezzato il suo tentativo di lasciar cadere
l’episodio
nel dimenticatoio, perché, dopo essersi messa davanti al fidanzato,
quella sbatté entrambe le mani sulla scrivania,
facendolo sobbalzare.
«Tua sorella deve studiare, deve sostenere ancora un esame e tu
la sovraccarichi di lavoro!» lo redarguì,
intimidatoria. «Deve badare a Samir e deve provvedere a tutte le richieste!»
«Ma…» tentò di protestare il
ragazzo, prima
di essere prontamente zittito da un nuovo attacco.
«Niente “ma”! Sai bene che deve prendere
una
decisione importante da cui dipenderà la sua felicità!
Perciò, ora io e te faremo una bella chiacchierata su
quello che le dirai in allegato alle tue scuse, chiaro? E... a
proposito, non
osare dire neanche mezza parola contro Giancarlo, che ha
dimostrato di tenere davvero a lei, impiccandosi per vederla a malapena
e rispettando le tue medioevali condizioni! Rami, ricordati che non sei
non sei suo padre:
se non consentirai a quella povera ragazza di farsi una vita, giuro che
te la farò pagare!»
Il giovane subì passivamente tutta quella serie di insulti
con gli
occhi
spalancati per la sorpresa, incapace di ribattere. Di solito, infatti, era lui a
dispensare lavate di testa e si accorse che esserene per la prima volta il destinatario non era certo
molto piacevole.
«Ehm, credo che ne potremmo parlare…»
iniziò, incerto, con lo sguardo fisso sul volto di Jamila,
ridotto ad una maschera di rabbia.
Dal canto suo, quella non perse tempo nel replicare: «Se ci
tieni
alla tua incolumità, ti consiglio di rettificare quel
condizionale, sai?»
Aida era seduta sul pavimento, con la schiena appoggiata contro il muro
e le gambe
raccolte contro il petto, lasciandosi sfuggire ogni tanto un sospiro
sconsolato, mentre deplorava l’eccessiva reazione di Rami per le
sue distrazioni. Purtroppo, però, doveva ammettere che in quel
periodo non era molto presente: aveva
tanti
pensieri che le turbinavano nella mente e cominciava a sentirsi
piuttosto
stanca, incapace di fronteggiare tutti i problemi e, soprattutto, di
fare le
scelte giuste.
Tuttavia, non passò molto da quando era scappata che
qualcuno
bussò alla porta e, dopo aver ricevuto il permesso di
entrare,
Jamila si affacciò nella stanza: «Come va,
bella?»
«Un po’ meglio, grazie» rispose
Aida, stiracchiando un sorriso. Poi, con un cenno della mano,
invitò l’amica a sedersi a terra accanto a lei.
«Mi dispiace per prima, Jamila. Non volevo essere
così
scortese» esordì, dopo aver preso un bel respiro
di
incoraggiamento. «Non pensavo
davvero ciò che ho detto» aggiunse, sentendosi
tremendamente in colpa per come
l’aveva trattata. Certo, a volte, non avevano la stessa opinione,
ma quella ragazza era sempre stata buona con lei ed era davvero
l’unica su cui potesse contare in ogni momento.
«Tranquilla, non preoccuparti: hai detto la
verità,
perciò non
mi sono offesa» replicò l’altra,
mettendole una mano
su un braccio con un sorriso sulle labbra. «Tu sei sempre stata
più
riflessiva di me. E poi, al contrario di tuo fratello, ho capito che
non
ce la fai più».
Nell’udire quelle parole, la fanciulla ricambiò
debolmente
il sorriso, così Jamila, incoraggiata, si sistemò meglio,
mettendosi
a gambe incrociate davanti a lei e fissandola con aria indagatrice.
«Perciò ora non potrai rifiutarti di rispondere alla mia domanda:
cosa hai deciso di fare con il tuo affascinante innamorato?»
«Davvero ancora non lo so» rispose la
fanciulla, stringendosi di più le gambe contro il
petto e
appoggiando il mento su un ginocchio.
In risposta, l’altra sbuffò,
impaziente:
«È quasi un
anno che vi scambiate sguardi languidi... per caso vi divertite così
tanto
a giocare agli amanti contrastati, portando aventi questa ridicola tresca?»
Allarmata ed indignata da quel termine, Aida ebbe un sussulto e si mise
immediatamente sulla difensiva.
«Tra me e Giancarlo non c’è nessuna
tresca!» esclamò, contrariata.
L’amica, allora, la guardò a lungo e,
senza alcun
imbarazzo, la incalzò: «Ah, no? Allora,
perché
non vi mettete ufficialmente insieme?»
«Ma... non è così semplice!»
sbottò la
fanciulla, molto vicina all’esasperazione, poiché
non
avrebbe potuto zittire Jamila come faceva con i propri tormenti
interiori. Alla fine, dopo aver scosso ripetutamente la testa cercando di trovare dentro di sé la calma necessaria
per
affrontare, una volta per tutte, quel discorso a voce alta, distese le
gambe e chiuse gli occhi, contando fino a cinque.
«Se accettassi la sua proposta, dovrei andare via dal mio
paese e abbandonare tutti voi, che siete la
mia
famiglia» cominciò a spiegare, sentendosi
più leggera ad ogni parola che le usciva dalle labbra.
«C’é ancora la tesi da discutere a
gennaio, papà tornerà a casa per
Natale e poi io dovrei rinunciare per sempre a lavorare al Museo
Nazionale de Il Cairo...»
«Be’, come prima cosa, non ti ha mica detto che ti
sposerà domani: se ti ama davvero, capirà che hai
bisogno
di tempo» obiettò, allora, l’altra, come
se sentisse
il bisogno di aiutarla a riordinare le idee, dandole dei
punti
fermi sui quali ragionare. «Inoltre, andresti a
vivere in
Italia, non in
Patagonia! Davvero credi che in una città come Roma non
riuscirai a trovare un museo decente per cui lavorare?»
«Non lo so, Jamila. Magari, nel frattempo, potrebbe stancarsi
e trovarsi un’altra ragazza più matura,
più adatta al suo rango o, magari,
semplicemente più bella e attraente»
commentò Aida,
amareggiata, stringendosi le braccia addosso per confortarsi.
«Tu non puoi nemmeno immaginare quante colleghe gli vadano
dietro, in facoltà!»
«Non si può certo dire che siano del tutto sceme, no? Cercano semplicemente
l’uomo bello, fascinoso e
ricco» replicò l’amica, facendo una
smorfia di
disapprovazione. «Comunque, è stato lui a
parlarti
delle sue
ammiratrici?»
«Non proprio, ma, poiché mi racconta tutto, ho
capito da sola che ne ha fin troppe» aggiunse la fanciulla,
incupita, scrutando la sua interlocutrice, che si era lasciata
sfuggire un sorrisetto furbo.
«Sbaglio, o ti stai lasciando corrodere dalla
gelosia?» esclamò
quella, prendendola bonariamente in giro. «Comunque sia, non
credo che tu debba preoccuparti, se è il biondino
stesso a
confidarti queste
cose, perché significa che non ti sta nascondendo
niente»
fece una piccola pausa, poi
proseguì: «Ricordati sempre che Giancarlo ha
sfidato quel
bisbetico di tuo fratello per avere l’opportunità
di parlarti e continua a sopportare i suoi commenti velenosi solo per
vederti».
Aida, allora, volse lo sguardo verso la finestra, attraverso la quale riusciva a vedere solo uno scorcio di cielo azzurro
brillante e privo di nuvole: una campitura di colore che pareva
simboleggiare quella serenità che desiderava, ma che
non
le apparteneva.
«Io non avevo messo in conto di innamorarmi adesso»
sospirò, concentrandosi su quella tinta uniforme e, in
quanto tale, rassicurante. «Prima di conoscere
Giancarlo, non avevo mai provato nulla di simile: ero innamorata della
vita e dell’amore stesso e vivevo bene
così. Vorrei solo che Samir fosse più
grande, perché ha ancora tanto bisogno di me...»
«Tesoro, queste cose succedono e basta» intervenne Jamila, ferma. «Chi
l’avrebbe mai immaginato, dopotutto, che per quell’orso di tuo
fratello, per giunta più giovane di me, avrei abbandonato
tutto e tutti? Eppure è successo. Inoltre, non credo che
Samir sia un problema, visto che quel ragazzo sa quanto sei importante
per il tuo
fratellino, tanto da averci detto chiaramente che non vede l’ora
di prendersi cura di lui assieme a te».
Richiamata alla realtà da quell’ultima affermazione, Aida smise di
contemplare il cielo e tornò a guardare l’amica,
corrugando la fronte.
«L’ha detto a Rami e a me l’altra volta,
mentre tu e Samir vi stavate preparando per uscire con lui»
spiegò l’altra, continuando il suo discorso.
«Tuo
fratello gli
stava raccontando che, per un po’, dovremo occuparci di
vostro padre, visto che dopo otto anni di prigione non sarà
facile tornare alla vita di prima e così, Giancarlo ha
subito mostrato l’intenzione di prendersi cura sia
di te che
di
Samir».
La fanciulla cercò sul volto dell’altra anche il
più piccolo segno che potesse tradirla,
ma
non ne trovò nemmeno l’ombra.
«Che cosa stai cercando di dirmi?» chiese, allora,
incredula. «Rami non
può aver deciso di lasciare che noi...»
«Aida, ti sto dicendo che è ora di pensare ad una
tua eventuale famiglia e che Rami ha capito di dover fare lo
stesso» affermò Jamila, decisa.
«Inoltre, come hai detto tu stessa, sa che Samir è
piccolo e
ha bisogno più di te che di lui. Hai sempre ubbidito a tuo
fratello maggiore e credo che adesso anche tu meriti un
po’ di felicità, quindi vedi di dare al più presto una bella
risposta al tuo bel biondino!» concluse.
Dopo poco
si alzò e, dopo essersi spolverata la divisa, tese alla
fanciulla una
mano per aiutarla a fare altrettanto.
«Appena ti sarai calmata un po’, scendi, va bene? Rami deve
dirti una cosa» si congedò Jamila, con un sorriso.
Allora, Aida rimase a guardarla finché non fu uscita dalla
stanza, per poi dirigersi verso la cassettiera, posizionata sopra ad un
piccolo tavolinetto in fondo alla stanza, aprire il cassetto
intermedio ed estrarne una scatolina rosso cupo, che, al suo interno, conteneva un
paio di pendenti stellati. Erano il regalo che Giancarlo le aveva
mandato a luglio, in occasione del suo ventiduesimo compleanno e che
lei non aveva mai avuto il coraggio di indossare, considerandoli un
dono troppo prezioso, perché quegli
orecchini, di
fatto, erano un simbolo che riassumeva perfettamente il suo senso di
inadeguatezza verso la situazione.
Sospirando, dopo qualche minuto li rimise a posto e si affrettò a scendere al piano di sotto.
Non appena arrivò all’ultimo gradino, Aida vide Samir, appena
tornato da scuola, correrle incontro
per abbracciarla. Anche Jamila e Rami si avvicinarono in silenzio a lei e non
passò molto tempo che la ragazza spronò il
fidanzato a
parlare, lanciandogli un’occhiataccia.
«Allora? Vogliamo
fare notte?»
In risposta, il ragazzo emise un breve
grugnito, prima di cominciare a parlare.
«Aida... come mi ha fatto notare Jamila, non è
giusto che tu continui a lavorare seguendo questi ritmi, quindi, da
questo
momento e fino al tuo esame, potrai dedicarti esclusivamente allo
studio».
«Davvero?» esclamò lei,
meravigliata.
Rami annuì e aggiunse: «Devi fare ciò
che ti compete, cioè studiare».
«E..?» lo incalzò Jamila.
«E» proseguì l’altro,
sbuffando, «hai il
permesso di andare dal tuo spasimante, come sua
ospite. Per quanto non se lo meriti, gli devi una risposta».
Aida rimase così esterrefatta che cominciò a balbettare: «P-Posso davvero?»
«L’importante è che tu sia qui per
l’inizio del semestre. Devi ancora accordarti su alcuni aspetti con il relatore per la tesi».
«Ma Rami!» protestò Jamila a viva voce.
«Questo non era nei patti! I tempi sono quello che
sono...»
«Prendere o lasciare» sentenziò, però, il
concierge, irremovibile.
«Va bene» rispose, invece, Aida.
«Ho solo
una domanda da farvi: chi si prenderà cura di Samir durante
la mia
assenza?»
«Ci penserà Milia, Dada!» rispose subito
il bambino. «Starò bene,
lei mi porta al parco quando me lo promette» aggiunse,
annuendo vigorosamente.
«Visto, Dada? Ce la caveremo alla grande!» la
rassicurò l’amica, ammiccandole.
A quel punto, Aida li guardò tutti, soffermandosi in particolare sul fratello maggiore e
sorridendogli con gratitudine: «Grazie Rami, di tutto. E
grazie anche a voi, Jamila e Samir».
«Sì, sì, prego, prego, ma ora vedi di
metterti a studiare e di passare degnamente questo esame, altrimenti da
Tornatore ci andrai l’anno prossimo!»
sentenziò il
ragazzo, pratico e sbrigativo, riaccomodandosi alla sua
postazione. In realtà, sapeva bene che la sorella si stava
riferendo alla sua
decisione di lasciar liberi sia lei che Samir, ma non era tipo da
smancerie e preferiva che tutto rimanesse com’era,
poiché,
nel caso Aida avesse accettato la proposta di quell’italiano
-
di quell’occidentale! - per gli addii ci sarebbe stato tempo.
«Piantala, Rami! Vedrai che Dada farà quello che
deve con criterio e partirà sicuramente. Per compensare come
la tratti male tu, orso bruno, il suo tigrotto biondo dovrà
coccolarla per tutta la durata della sua vacanza!»
insinuò Jamila con una sfumatura quanto mai licenziosa,
lanciando ad Aida un’occhiatina molto eloquente e quella avvertì subito un discreto calore che si
spandeva
sulle sue guance. Tuttavia, era troppo contenta per preoccuparsene.
«Ovviamente, porterai i miei rispettosi saluti al signor
Marcello e alla gentilissima signora Beatrice»
proseguì poi Rami, ignorando la fidanzata e calcando con un po’ troppo trasporto e devozione sul nome della donna.
Insospettita, Jamila si voltò immediatamente verso di lui.
«Ma sentitelo, la
gentilissima signora
Beatrice... Mi stai nascondendo qualcosa, per
caso?» sibilò, minacciosa.
«Ah, non lo sapevi, Milia, che Rami ha una cotta per la mamma di
Giancarlo?» domandò ingenuamente Samir e la
ragazza, indignata, insorse istantaneamente.
«Ah allora è così che stanno le
cose!»
«Samir, che cosa ti salta in mente?»
farfugliò il
giovane, palesemente in difficoltà. «Ma no,
Jamila, non
è
come pensi tu!»
«Rami, l’hai detto tu che Beatrice era bella come
la Primavera di... di... come si chiama quel pittore, Dada? Non
ricordo!» chiese il bambino, accigliandosi.
«Botticelli» rispose, allegra, Aida, che ormai
sentiva la sua partenza davvero vicina e concreta.
Jamila, invece, ridusse gli occhi a due fessure, soffiando: «Con te
facciamo i conti dopo, gigolò ruffiano e
adulatore!»
Rami trovò la scena rischiosamente familiare ed ebbe la
netta impressione di essersi cacciato in
grossi guai.
***
L’odore di resina delle maestose conifere che la circondavano la sommerse
immediatamente, intenso e penetrante, mentre si guardava intorno,
notando che, in sua assenza, nulla di quell’immenso
parco era cambiato.
Aida percorse la fitta stuoia di aghi di pino
caduti in terra e si rimise sul selciato, apprezzando ancor di
più, grazie all’aria spumeggiante
dell’autunno romano, tutto quello che aveva già
adorato nella fredda
rigidità dell’inverno.
«Buon pomeriggio e ben tornata, Aida» la
salutò qualcuno alle sue spalle e lei, avendo
riconosciuto la voce, si voltò
all’istante.
«Buon pomeriggio, signor Marcello. Come sta?» gli
chiese, incurvando le labbra con dolcezza.
«Discretamente, grazie» rispose l’uomo,
ormai vicinissimo: era esattamente come lo ricordava, circondato da un alone di austera e raffinata bellezza.
«Comunque, dammi del tu. I
formalismi sono per quelli che non badano alla sostanza».
«Ancora non ci riesco» tentò di
giustificarsi la fanciulla, con semplicità. «Mi
dispiace, ma non penso di poterla chiamare per nome, non mi
viene proprio».
Vagamente sorpreso, quello la guardò, increspando
appena le labbra e manifestando
senza volerlo lo stesso atteggiamento che aveva il figlio quando veniva colpito
da qualcosa.
«Non riesco ancora a credere che quello scostumato si sia
deciso a rivolgere le sue attenzioni ad una ragazza così
compita. Spero che almeno tu riesca ad insegnargli la buona educazione,
dato che io non ci sono riuscito».
Aida, in risposta, abbozzò un timido sorriso, ma non disse altro. In quel
momento, sopraggiunse Beatrice, avvolta in un morbido abito azzurro
dalle rifiniture talmente particolari che la ragazza pensò
fosse di produzione sartoriale. Oppure, chissà, realizzato addirittura dalla sua stessa indossatrice.
«Ben arrivata, cara.
Hai fatto buon viaggio?» le chiese, con quella dolcezza che
l’aveva colpita sin da subito.
«Oh, sì, signora, grazie».
«E come
stanno Rami e il piccino?»
Mentre la fanciulla rispondeva alla domanda, la donna le rivolse
un’occhiata materna, poiché le ricordava molto se stessa quando era
arrivata in quella casa. All’inizio, non era stato semplice
adattarsi, poiché la Matrona, che l’aveva sempre considerata una
bambina inesperta e del tutto
incapace a condurre una casa, era stata poco incline a lasciarle le
redini della villa. Invece, il fatto che Beatrice avesse perso la
madre molto presto e si fosse dovuta
rimboccare le maniche fin da subito si era rivelato molto utile, giacché, superati gli
impacci inizali, era riuscita a cavarsela egregiamente, ripromettendosi
che, se mai un giorno, avesse avuto una nuora, si
sarebbe comportata diversamente con lei. Anche perché il ruolo della
suocera
cattiva non
l’allettava.
Inoltre, Aida aveva donato la
serenità al figlio che Beatrice tanto amava e che era stato
la sua gioia più grande, assieme a Marcello, ai tempi degli
attriti con la madre di lui, perciò non avrebbe mai potuto mettersi contro
colei che aveva reso felice il suo Pulcino.
«Beatrice, accompagneresti Aida a vedere la sua stanza, per
favore?» proruppe il marito, improvvisamente, allontanandola
dalle sue riflessioni.
«Certo,
Marcello.
Vieni con
me, cara,
le tu’
valigie
sono state già
portate di sopra» rispose subito lei, riprendendo le fila del
discoro.
«Giancarlo
sarà qui a momenti, ma l’abbiamo
ancora
tempo».
Approfittando del fatto che la donna
l’avesse menzionato, la ragazza, allora, si
arrischiò a fare la domanda che aveva in mente fin da
quando era arrivata.
«E dov’è, in questo momento?»
chiese con curiosità.
«In ufficio» rispose prontamente Marcello.
«Doveva chiudere una pratica. Sai, ha deciso di cominciare a
lavorare, nei periodi in cui è più libero.
Diciamo, che
ora ha un’ottica più... adulta, anche in questo
senso e,
nonostante i due anni di studio arretrato, vuole darsi da
fare».
«Ah, però, che bravo...»
commentò Aida, sinceramente colpita, visto che il giovane aveva
omesso di raccontarle quel particolare, forse per non darle la falsa
impressione che si stesse vantando.
«Avrà ancora molto da sgobbare, però, perché
deve imparare anche che
non tutto gli è dovuto e che solo con l’impegno
costante si ottengono i risultati» continuò
l’uomo. «A proposito, Aida, dimmi la
verità: come si comporta con te?»
«Oh, Marcello,
perché
devi esser sempre
così
prevenuto nei confronti
del nostro Pulcino?»
intervenne, invece, la moglie, stizzita.
«Fammi sentire cosa ha da dire questa ragazza!»
insistette l’altro. «Aida, rispondimi
senza timore o vergogna: ha mai provato a metterti le mani
addosso?»
«No, mai» replicò la ragazza con
decisione. «Anzi, con me è sempre molto
gentile».
«Sentito?» fece, allora, Beatrice, trionfante.
Marcello, però, non parve molto convinto; infatti, subito
dopo, proseguì: «Se dovesse prendersi certe
libertà, ti autorizzo a tirargli un bel cinquino!
Ovviamente, poi,
vienimelo a riferire, ché lo sistemo io, cominciando proprio
dai suoi adorati capelli».
A quel punto, la donna sospirò, riservando al consorte
un’occhiata di disapprovazione e puntando un pugno chiuso
contro
il fianco.
«Son giovani,
lasciali
vivere!» fece, esasperata. Poi, zittendo con un cenno il
marito che si preparava a ribattere,
sorrise all’indirizzo di Aida. «Cara, vogliamo
andare?»
«Certo, signora» le rispose la fanciulla e,
così, dopo aver salutato l’uomo, la seguì
all’interno di Villa Aurelia.
Tuttavia, non passò molto tempo che anche Giancarlo fu di
ritorno,
arrivando di gran carriera e piantandosi davanti al padre, con le mani sulle ginocchia, nel tentativo di riprendere fiato:
sembrava aver corso molto, visto che perfino i suoi ciuffi biondi,
perennemente ribelli, parevano ancor più sconvolti, tanto
erano rabbuffati.
«Hai fatto tutta la strada a piedi, per caso?» lo
dileggiò Marcello, seppur bonariamente derisorio.
«No...» fece il ragazzo, raddrizzandosi.
«Ho avuto la malaugurata idea di seguire il tuo consiglio e
prendere la metro... La odio, la odio, la odio!»
«Be’ se vuoi evitare il traffico dell’ora di
punta, la
metro rimane l’unica soluzione, a meno che tu non voglia
usare la
bicicletta e farti un bagno di smog» replicò il
padre,
prendendolo in giro.
Offeso dal suo fare canzonatorio, il giovane sbuffò:
«Non fai ridere, sai? Se facessi meno il
preistorico, invece, e mi lasciassi prendere il regalo che zio Guido ha
fatto a
me...»
«Moderati!» lo rimproverò
Marcello. «Ne
abbiamo già parlato: lo userai quando dimostrerai di
avere giudizio. Piuttosto, avete chiuso la pratica Lichtman?»
«Sì, sì, stai tranquillo».
L’altro, però, lo scrutò dubbioso e
ciò non
sfuggì a Giancarlo che, quando se ne accorse, si mise subito
sulla
difensiva, risentito.
«Cosa c’è, non ti fidi, forse? Chiama
Gerardo e
fatti confermare che è andato tutto bene!»
replicò a denti stretti.
Colpito da tanta determinazione, il padre osservò
l’espressione seria del figlio e, allora,
decise di ammorbidirsi un po’.
«Va bene, vedremo. Ora sbrigati, Aida è
già arrivata e, considerando che rimarrà qui per
pochi giorni, sei già in ritardo sulla tabella di
marcia».
A quella notizia, Giancarlo si riebbe da tutto il malumore e assunse
un’aria più contenta; poi, senza aggiungere
altro, si
fiondò come un fulmine su per la scalinata di travertino,
diretto in camera sua.
Nel vederlo sparire così, Marcello scosse la testa e,
avviandosi dalla parte
opposta, esclamò: «Magari scattasse
così anche per
altro!»
Era almeno la sesta volta che, davanti allo specchio, si sistemava la
frangetta o, peggio, cambiava abbigliamento.
E dire che, per anni, era stato convinto
che bastasse un suo mezzo sorriso per far cadere ai suoi piedi tutte le
ragazze che desiderava e che fosse sempre perfetto; quella sera,
invece, si sentiva solo un emerito
cretino.
Spazientito, Giancarlo sbuffò e si buttò a peso
morto sulla soffice poltrona dietro di lui, incurante dei capelli che
stillavano acqua sia sulla camicia
azzurra ancora sbottonata, che sui jeans. Ormai non
si sottraeva più ai confronti con il suo riflesso e lo
scrutò con aria di sfida, tenendo le braccia
conserte e strettamente annodate, attendendo che arrivasse a
sbeffeggiarlo. E, infatti, così accadde.
“Uh-uh... sogno o son desto? Il biondo Casanova in
difficoltà nell’affrontare un appuntamento con una
ragazza!”
«Chiudi il becco! Non è un appuntamento,
è solo tornata a trovarmi ed io la porterò in
giro a
vedere la città, come le avevo promesso. Fine del
discorso!»
“Come siamo scontrosi...” notò il suo
doppio, con un lieve sogghigno. “Di’
la
verità: speri che lei lo consideri come un qualcosa di
più e sei nervoso, perché sai che la posta in
gioco è alta. O sbaglio?”
«Sì, è proprio così,
soddisfatto?» sbottò il ragazzo.
“Oh, dai, rilassati, altrimenti non combinerai niente di
buono, sai?”
In risposta, Giancarlo inarcò un sopracciglio, ma cedette subito
all’istinto di liberarsi di tutta quell’oppressione
ed espirò a fondo,
sciogliendo anche le braccia dal nodo in cui le aveva serrate.
“Visto che va meglio? Comunque, se vuoi un consiglio, cerca
di essere il più naturale possibile: la sincerità
paga sempre”.
«Con lei sono sempre sincero, ma ora non
so che cosa fare, perché Aida non è come le altre ragazze e noi... non
siamo mai
usciti completamente da soli».
“Hai bisogno di aiuto per portarla in giro, per caso? Se
ti comporterai bene,
non vedo perché non dovrebbe funzionare. Prima, però, ti suggerisco di abbottonarti la camicia e di
abbandonare quell’aria da
condannato al patibolo, visto che è assolutamente fuori luogo.
Stai
per uscire con una ragazza semplice e dolce, non con Miss Mondo,
pertanto sii te stesso e sarà già un buon
inizio!”
«Questa è la prima volta che tengo davvero ad una
ragazza» ammise, allora, il giovane, sospirando. «Amo da
impazzire ogni parte di lei e non voglio che finisca tutto ancor prima di iniziare. Ho il terrore di
sbagliare e di allontanarla da me».
“Be’,
comportandoti come un
gentiluomo non troppo ingessato ed essendo sicuro di te, senza cadere
nell’arroganza, aumenterai le possibilità di ricevere una
risposta positiva.
Devi farla sentire desiderata... possibilmente senza sembrare un
pervertito, come
tuo solito!”
«Ora mi stai offendendo, lo sai bene che non mi permetterei mai
di farle qualcosa che non vuole. Io desidero solo che con me
lei possa essere felice».
“Volevo sentirtelo ripetere ancora una volta. Ah,
un’ultima cosa, bambolo”.
«Cioè?»
“Recupera la giacca corta blu dal
tuo armadio e non strafare con il profumo: ho il sospetto che il tuo
le piaccia parecchio, ma non eccedere, poiché devi dare
l’idea di
raffinata sobrietà, non di uno che se la tira!”
Il ragazzo, allora, fece come gli era stato consigliato, rimanendo
piacevolmente
sorpreso dal risultato finale.
“Bene, cocco. Ora puoi andare e, mi raccomando, stai in
campana e tieni a mente che... chi troppo vuole nulla stringe”.
A tali parole, Giancarlo aggrottò la fronte e convenne che,
dopo
quell’esperienza, di proverbi, aforismi e massime ne
avrebbe avuto abbastanza per tutta la vita.
Non appena entrò nel salone, il ragazzo vide immediatamente
Aida parlare con sua madre e si accorse che, a giudicare dal modo
familiare con cui le erano stati raccolti i capelli, attorcigliati su
loro stessi e poi ripiegati sulla nuca, doveva esserci dietro la mano
di Beatrice. Indossava un leggero vestito avorio, i suoi
soliti fermagli e un bracciale dorato che
Giancarlo non le aveva mai visto, forse perché non gli era
mai stata offerta l’occasione di vederle le braccia e le
spalle scoperte, visto che Rami aveva passato al vaglio anche la
lunghezza degli
abiti della sorella, quando le aveva permesso di uscire con lui. Non
che ne avesse il motivo, in effetti, considerata la riservatezza di
Aida.
Il ragazzo, allora, si soffermò a osservarla, appoggiato
contro lo stipite della porta, godendosi ogni suo gesto e
saziandosi solo a sentire la sua voce, certo che non
avrebbe notato la differenza se fosse stata coperta di stracci oppure
ammantata di seta e broccato. Era stato troppo tempo lontano da lei, così
decise di rimanere ancora un
po’ in silenzio ad ammirarsela in pace, finché la
madre non si accorse
di lui e lo richiamò.
«Eccoti,
finalmente, Pulcino!»
Nel sentirsi chiamare con il solito appellativo, alla sua
età e davanti alla ragazza che gli piaceva, il giovane
sospirò ed avanzò verso le due donne.
«Mamma, ti prego, basta con questi
nomignoli!» fece, leggermente imbarazzato.
«Non capisco che cosa ci sia di male»
replicò, però, lei, con fare innocente. «L’è
solo una
dimostrazione di affetto di una madre verso il proprio
figlio».
In risposta, il biondo scosse la testa: «No, mamma.
È imbarazzante».
«Ma Pulcino,
anche l’Aida
ha detto che
trova carino
questo tuo vezzeggiativo»
insistette, allora, Beatrice.
«Ah, sì?» fece lui, sorpreso, voltandosi
verso la
ragazza, notando immediatamente, che i suoi occhi scuri lo
stavano scrutando
con un misto di divertimento e sfida, come se stesse contando i secondi
che ci avrebbe impiegato per salutarla. Graziosa, fiera e semplicemente
bella come un raggio dell’aurora dopo la notte più
buia.
«Ciao, Aida» le sussurrò, con seducente,
finta noncuranza. «Noto con piacere che sei arrivata sana e
salva».
«Ciao, Giancarlo. Sì, a quanto pare
so badare a me stessa»
gli rispose lei, con tranquilla
disinvoltura. «A proposito, Samir ti
manda i suoi saluti» aggiunse, subito dopo.
«Che bravo bambino, spero di poter ricambiare presto
di persona».
Erano l’uno davanti all’altra, ma nessuno dei due
sembrava voler cedere per primo, mentre Beatrice li
scrutava con un sorriso
sottile sulle labbra, certa di poter avvertire il ronzio
dell’elettricità intorno a lei.
Poi, lanciò una rapida occhiata all’orologio a
pendolo
appeso al muro laterale.
«Oh, cari,
devo proprio andare.
Stasera si va
dai Doria e Marcello
vuole andare presto, per poter andar via il prima possibile».
Richiamato da quel commento, il ragazzo staccò a fatica gli
occhi da Aida e si rivolse alla madre.
«Papà non è mai contento in
queste occasioni, lo sai, le considera perdite di tempo»
commentò.
«Oh, che tu vuo’
farci, il babbo è un po’... ribelle, ma non manca mai ai suoi
doveri, seppur di
malavoglia» rispose la donna, stringendo le spalle.
«Be’, cari,
divertitevi! E tu, Pulcino,
abbi cura
di questa deliziosa ragazza».
«Non mancherò, mamma. Stai tranquilla».
Beatrice, allora, annuì e, dopo aver salutato i due
giovani
con un bacio, uscì dal salone, lasciando
Giancarlo e Aida soli in quel grande ambiente,
il silenzio interrotto soltanto dall’oscillazione del pendolo
dell’orologio che troneggiava sulla parete
principale.
«Peccato che si sia fatto tardi»
incominciò il
ragazzo, lentamente, rompendo quell’atmosfera densa.
«Non si potrà fare molto, questa sera, ma... hai
preferenze? C’è un posto in particolare che vorresti vedere
per primo?»
La fanciulla ci pensò un po’ su, per poi scuotere
la testa.
«Veramente no...» esordì, ma dovette
interrompersi subito, perché lui le prese
delicatamente il viso tra due dita, voltandolo piano da una parte.
«Che c’è?» chiese, perplessa.
«Hai messo gli orecchini. Finalmente hai smesso di pensare
che siano troppo preziosi per te?»
«Ecco, in realtà, no, ma ho pensato che
fosse
davvero un peccato lasciarli sul fondo del mio cassetto, visto che sono
davvero
belli» affermò, candidamente.
«È già un passo avanti. Te li ho
regalati affinché li mettessi,
non per tenerli nascosti in una scatola» le fece notare il ragazzo.
«E, poi, ti
stanno bene».
A quel punto fece una piccola pausa, in dubbio se aggiungere anche il resto. Tuttavia, dopo qualche istante di esitazione,
decise di farlo, arrossendo appena mentre parlava: «Inoltre, stasera
sei molto... carina».
Paradossalmente, quel complimento imbarazzò più
Giancarlo, che l’aveva fatto rispetto ad Aida, che l’aveva
ricevuto, la quale sorrise e replicò: «Grazie,
anche per
i fiori che mi hai fatto portare in camera. Mi fa piacere ti sia ricordato che adoro
gli
ibiscus bianchi. Invece, credo che a te piacciano i girasoli, dato che mi hai regalato anche quelli».
Il ragazzo la guardò incurvando le labbra e sollevando
leggermente le sopracciglia.
«Diciamo, più che altro, che penso valgano
più di quanto possa sembrare» le
sussurrò. «Annetta te li ha portati senza fare
commenti?»
«Quella signora dall’aria così severa?
Mi ha fatto la radiografia e alla fine ha detto una parola... qualcosa
come scric...» fece la ragazza, soprappensiero.
«Scricciolo?» l’aiutò lui.
«Sì, esatto. Adesso vediamo se riesco a
ripetere tutta la frase» gli fece, sorridendo. «Mi ha detto
“Sei davvero uno scricciolo, ma hai un visetto
pulito”».
Giancarlo vide Aida soddisfatta per esser riuscita nella sua piccola
impresa e, ammiccando, le disse: «Brava. Sai, credo proprio
che
tu le sia piaciuta. Era un da po’ che voleva vederti,
perché l’altra volta ti ha scorto solo da lontano. Comunque»
proseguì, cambiando argomento, «non abbiamo ancora deciso dove andare. Tu hai fame?»
«Non molta» ammise la fanciulla.
«Neanch’io ho particolarmente appetito e...
aspetta, mi è venuta un’idea: forse è
arrivato
il momento di farti assaggiare il vero gelato italiano!»
«Ah, be’, se non altro mi stai permettendo di
rinviare la tragedia che accadrà quando dovrò imparare ad arrotolare gli spaghetti!» replicò
Aida, scoppiando in una risata argentina. Vedendola ridere, il ragazzo si rese conto che
aveva messo un leggero strato di rossetto e, istintivamente,
pensò che se si era sistemata
così per uscire con lui, almeno un poco doveva piacerle. Si
soffermò, quindi, ad osservarle le labbra, trovandole
davvero belle, né sottili,
né eccessivamente carnose, e chiedendosi che sapore avessero.
Con le viscere in rivolta, il giovane dovette, allora, fare appello a
tutto il suo autocontrollo per non mandare a rotoli il lavoro e gli
sforzi di tutti quei mesi, perché, nonostante
si trattasse solo di un bacio,
quella mossa, al momento sbagliato, sarebbe potuta
essere controproducente. In quel frangente,
intercettò il suo riflesso che lo
guardava truce da uno specchio cinquecentesco con la cornice dorata.
Quindi, niente di niente?
“Niente!”
Neanche un bacetto?
“Ho detto di no!”
Un bacino?
“Idiota, qual è la differenza?”
«Ehm, Giancarlo?» lo richiamò, però, Aida,
incerta.
«Eh? Ah, sì. Avevamo deciso di andare a prendere
il gelato, no? Vieni, per di qua» la invitò lui,
ridestandosi dal suo confitto interiore e ricomponendosi in fretta. Poi, la prese
per mano per condurla fuori e lei, nonostante fosse si accigliata per quella risposta, decise di seguirlo comunque.
***
Il Pantheon, con la sua pianta circolare, sormontata dalla cupola
emisferica interrotta dall’oculum, e il suo pronao dalle
colonne corinzie, era plasticamente adagiato, nella tenue penombra che
precede la sera, in mezzo a quello che una volta era stato il Campo
Marzio.
Seduta a un tavolino di uno dei tanti locali affacciati sulla piazza,
Aida lo guardava, ammirata, sbattendo ogni tanto le palpebre;
Giancarlo, invece, fissava interessato lei, seduto con una gamba
sovrapposta all’altra e sostenendosi una guancia con
l’indice
ed il pollice, del tutto incurante delle tre ragazze sedute accanto a
loro che se lo stavano divorando con gli occhi.
Perfino Andrew McGregor si era recentemente dovuto ricredere sul cambiamento del suo ex
compagno di squadra in occasione del matrimonio di
Ralf e Christine, quando le damigelle d’onore erano state
corteggiate da tutti, eccetto che dal biondo. Inoltre, la giovane
sposa, con la sua
solita ingenuità, aveva anche chiesto a Giancarlo
perché non avesse portato con lui la sua fidanzata e,
allora, il ragazzo le aveva borbottato, arrossendo di colpo, che Aida
non era
ancora la sua ragazza. Tuttavia, era stato il commento di una coinvolta
Mary Anne, con tanto di
strizzata d’occhio al biondo, a far cadere ogni
dubbio dello scozzese e far inferocire ancora di più Claudia:
“Ci sta lavorando. Anzi, dovrebbe farcela prima che il padre
di lei venga scarcerato!”
«Allora, ti piace il templum
deorum? Magari più
tardi, se vuoi, possiamo anche fermarci a vederlo
dall’interno» le propose il giovane dopo un po’, inclinando
ancor di più la testa.
La fanciulla, allora, si girò verso di lui, interrompendo la
sua analisi,
e gli domandò: «Preferisci chiamarlo con il nome latino anziché greco?»
«In realtà, sì, e non solo perché non non
mai studiato il greco antico. Sai, per la legge della statistica devono
esserci almeno una o due materie nelle quali sei ferrato... In storia
dell’arte me la sono sempre cavata per via della passione
della mamma, mentre il latino lo studiavo perché era una
delle
poche cose che mi teneva legato a mio nonno. Sai, ne era un
appassionato» spiegò, con un velo di
malinconica nostalgia. «Non trovi che sia strano? Cercare di
mantener vivo un rapporto, attraverso una lingua morta».
«Non molto, direi» osservò Aida,
per poi
chiedergli, con rispettosa curiosità: «Senti molto
la sua
mancanza?»
«Ad essere onesto, a volte anche troppo»
mormorò lui, cambiando
posizione e incrociando le braccia sul tavolo. «Sono convinto
che tu gli saresti piaciuta subito. Probilmente, ti avrebbe salutata
declamando i versi Celeste
Aida, forma divina/mistico serto di luce e
fior3 e,
certamente, non avrebbe sbagliato».
A quel punto, Aida si sentì avvampare e distolse lo sguardo,
concentrandosi su alcuni piccioni che beccavano indisturbati i residui
di una cialda sbriciolata tra i sampietrini.
«Dai, non esagerare... anche se non mi dici
queste cose, io... Insomma, va bene lo stesso»
replicò, piuttosto in difficoltà.
«Dico sul serio. Cantava la sua opera preferita ogni mattina,
mentre si faceva la barba davanti allo specchio» prese a
raccontare Giancarlo, sorridendo al piacevole ricordo.
«Sarebbe molto contento di conoscere la fanciulla che ha
aiutato suo nipote».
A quel punto, l’altra si voltò nuovamente verso di lui e rimase a guardarlo di sottecchi per
un po’, prima di prendere coraggio e gli domandargli:
«Giancarlo, perché ti sei ostinato a far
passare la tua vivacità per superficialità? Per attirare l’attenzione di tuo
papà?»
A quella richiesta inaspettata, il giovane inarcò dapprima
le
sopracciglia, quindi
sospirò, scuotendo la testa.
«Be’, ecco, non solo per quello, ma anche
perché era facile
non avere preoccupazioni, era... comodo. Da superficiale puoi
permetterti
tante sviste che non sono consentite al responsabile, per quanto vivace
possa essere. Per fortuna, però, ho finalmente incontrato una graziosa
ragazza che mi ha
portato a rivedere il mio punto di vista».
Quella, allora, gli sorrise, apprezzando la sua sincerità. In
quel momento, tornò con i loro gelati la formosa
cameriera che prima gli
aveva fatto l’occhio da triglia, ma
che lui aveva prontamente ignorato.
«Credo di non aver mai preso in vita mia gusti alla
frutta. Sei sicura della scelta? Puoi ordinarne un altro, se, nel
frattempo, hai cambiato
idea».
«Intanto, assaggerò
questi. E poi, scusa, cos’hai contro i gusti che ho
preso?» si informò la ragazza.
«Niente, ma non riesco a concepirli come vero gelato. Le
creme sono un’altra cosa» ribatté il
giovane, dopo averci pensato su qualche secondo.
«Facciamo
così: assaggia e
poi mi dirai le tue impressioni, che ne dici? E non farti problemi se
vuoi
cambiare».
Annuendo, Aida prese un poco di gelato alla fragola e lo
assaggiò, per passare poi al limone, trovandoli entrambi una
delle cose più buone
che avesse mai mangiato: era davvero piacevole lasciarle sciogliere in
bocca e poi assaporarle a fondo.
«Come sono?» le chiese l’altro, alla fine
della sua sessione di degustazione.
«Molto buoni. In effetti, quello che vendono ad Alessandria
non
può certo competere con questo»
commentò lei.
Serrando appena le labbra con atteggiamento meditabondo, Giancarlo
prese un po’ di gelato alla nocciola dalla sua
coppa, si assicurò che non colasse e, inaspettatamente, lo
presentò
ad Aida.
«Ora prova quest’altro».
Sorpresa
ed imbarazzata, la
ragazza fissò prima il cucchiaino e poi lui, quindi
abbassò lo
sguardo, poiché l’essere in un luogo pubblico e
sentire su di
sé gli sguardi dei curiosi la metteva in soggezione. Dal
canto suo, il
biondo tirò indietro il braccio, intristito.
«Ho fatto qualcosa di sbagliato? Non era mia intenzione
metterti a disagio».
«No, tu non c’entri» mormorò
lei, in risposta,
non riuscendo nemmeno a guardarlo negli occhi. «Sono io che
sono
troppo... impacciata».
Il giovane, allora, la scrutò attentamente, valutando
quale fosse il modo migliore per tranquillizzarla.
«A me non dispiace» affermò, risoluto.
«E,
anche se qualcuno ci sta guardando, entro questa sera avrà
già scordato tutto» aggiunse, intuendo che, per
lei, la
fonte maggiore di disagio doveva essere la gran quantità di
persone presenti in quel momento in Piazza della Rotonda.
A quella considerazione, Aida rialzò lentamente le sue iridi
scure, cercando il contatto
con quelle blu di lui.
«In fondo, non stiamo facendo niente di così eclatante»
spiegò il biondo. «Che ne dici, vogliamo
riprovare?»
La ragazza, però, non rispose subito, poiché
prima si
guardò intorno con circospezione e, solo quando vide i
turisti concentrati sulle loro faccende, espresse un
lento cenno d’assenso.
Poco dopo, permise a Giancarlo di farle assaggiare sia la nocciola che
la stracciatella, anche se non senza un certo imbarazzo. Tuttavia, a
lui andava bene così, poiché sapeva
bene che Aida non sarebbe mai stata una ragazza disinibita
e non gli interessava affatto cambiarla. Voleva semplicemente
che stesse bene con
lui.
«Allora? Che cosa ne pensi?» le domandò,
non appena quella ebbe
mandato giù anche l’ultimo assaggio.
«Sono molto buoni anche questi. Sono buoni tutti, in realtà»
gli disse lei, timidamente, stringendo le labbra per carpirne
ancora il sapore.
Compiaciuto dal risultato, il giovane sorrise e si apprestò
a servirsi a
sua volta dalla propria coppa, quando vide entrare nel suo campo visivo
un
cucchiaino con sopra del gelato alla fragola. Meravigliato, pur sentendosi
arrossire, alzò lo sguardo su di lei.
«Da quanto ho capito, sei peggio di Samir e mangi solo quello
che ti ispira. Ma, se non assaggi nulla di nuovo, non potrai mai sapere
se potranno piacerti altre cose» gli sussurrò,
dolce.
Seguirono alcuni istanti di esitazione, nel corso dei quali i neuroni
del ragazzo fecero cortocircuito, giacché era del tutto
impreparato ad
un’evenienza del genere.
«Inoltre, mi sembra giusto ricambiare il favore»
continuò la fanciulla, piegando appena le labbra in un
sorriso
vagamente soddisfatto, come se reputasse quella proposta una piccola
vittoria personale.
In risposta, il giovane, con lo stomaco attorcigliato,
deglutì a vuoto e ci impiegò qualche istante
prima di annuire e assecondarla, tornando con
la mente a quando era il suo adorato nonno che, con pazienza e
dolcezza, lo imboccava
per farlo mangiare.
«Dunque?» gli chiese Aida, dopo che lui ebbe
mandato
giù il dolce, osservandolo incuriosita, con ancora il
cucchiaino
a mezz’aria.
«Non male, credevo peggio» esalò
Giancarlo, che in cuor suo supplicava di non essere svegliato, casomai
si fosse trattato di un bel sogno.
«Visto? Non bisogna mai partire prevenuti!»
esclamò lei, piegando la testa da un lato.
Ne seguì una lunga pausa di silenzio, durante la quale i due
ragazzi si limitarono a starsene semplicemente l’uno di
fronte all’altra, per poi riprendere a consumare i rispettivi
gelati. Fu Aida, alla fine, a parlare per prima.
«Giancarlo, posso chiederti un favore?»
«Quale?» le domandò lui, mentre si infilava
in bocca il rimasuglio di nocciola.
«Ti va di spiegarmi qualcosa di latino, oltre ad aiutarmi a
perfezionare l’italiano?»
Davanti ad una richiesta del genere, il biondo ingoiò il
boccone, evitando per un pelo di
strozzarsi.
«Ma se lo parli già divinamente!»
esclamò, stranito. «E poi il latino
è difficile, tra i nostri studenti non lo sopporta quasi
nessuno...»
«Non mi reputi all’altezza?» fece allora
l’altra,
ferita nell’orgoglio. «Tu stai imparando
l’arabo e la scrittura bustrofedica!» aggiunse, con
disarmante semplicità.
«No, figurati, non è per quello...
però...»
farfugliò il giovane, mentre lei lo osservava come se lo
stesse
mettendo alla prova, tradendo anche un certo divertimento nel vederlo
così in difficoltà. Giancarlo se ne
accorse e, infine, decise di cedere.
«Va bene,
vediamo che cosa si può fare» sospirò,
fissandola perplesso. «E, comunque, stavo dubitando
delle mie capacità di insegnante, non delle tue come
allieva».
«Provare non costa nulla» affermò
placidamente Aida, rivolgendo ancora un’occhiata al Pantheon.
***
«Non fare quella faccia! Non è poi così
male, non trovi?»
«Se proprio vuoi saperlo, io mi sto ancora chiedendo come sia
finito quaggiù. Tu e mio padre, insieme, siete peggio di
un’associazione a delinquere!»
Aida rise, poiché l’espressione sofferente e, allo stesso
tempo, rassegnata
di Giancarlo era davvero buffa. Ad Alessandria non c’era un
sistema di trasporti sotterraneo e quello de Il Cairo non
l’aveva mai usato, quindi era davvero curiosa di vederne uno.
Tuttavia, se quella mattina era stato grande l’entusiasmo di
Marcello nell’accogliere la sua richiesta, certo non si
sarebbe potuto affermare lo stesso per il figlio, che era inorridito
seduta stante.
«Cosa ci sarà mai di interessante da vedere
qui!»
sbottò il giovane. «So bene che lui vuole tenermi
lontano
dall’auto che mi spetta di diritto, ma tu avresti potuto
anche
darmi manforte, invece di assecondare le sue tremende
punizioni!»
«Oh, che tragico che sei! Non è una punizione
farti usare
i mezzi pubblici, anzi, è il miglior modo di vivere una
città» osservò, però, saggiamente lei.
«Credimi, tu
non sai nemmeno che cosa significhi essere puniti dai propri
genitori senza aver fatto niente. Con l’abbandono, per
esempio» aggiunse subito dopo, pensierosa.
Quel commento fece tacere immediatamente il giovane, che si
vergognò della propria scenata infantile: non avrebbe
certo
potuto paragonare la sua situazione a quella di Aida e non era certo
lamentandosi che le avrebbe dimostrato di essere un uomo.
«Inoltre, sono solo due fermate, non è la fine del
mondo!» proseguì la fanciulla, di nuovo contenta.
«Tre» la corresse il giovane, con scarso
entusiasmo, ma molto più contegno di poco prima. «Da Termini a
Spagna sono tre fermate».
Aida, allora, scosse la testa, facendo ondeggiare la sua treccia nera,
e prese a
guardarsi intorno, scandagliando con cura i bassifondi della linea A.
«Accidenti, quanti turisti!» esclamò,
sporgendosi qua e là per vedere meglio.
«A Roma ci sono turisti in ogni momento
dell’anno» spiegò Giancarlo.
«Non è raro trovarne nei luoghi più frequentati. In realtà, però, molte di queste
persone sono residenti».
«Ce ne sono davvero di tutte le etnie»
mormorò lei, sporgendosi un’altra volta.
«Aida, stai attenta, la gente arriva tutta insieme e
all’improvviso, rischi di perdere l’equilibrio se
fai così!» la rimproverò subito lui, preoccupato.
«Ma no, tranquil...»
In quell’istante, una mandria di persone si
materializzò sulla banchina,
correndo per non perdere la
metro che stava arrivando e una signora particolarmente in carne, nella
fretta di posizionarsi in prima linea, travolse letteralmente Aida.
D’istinto, la ragazza chiuse gli occhi e si preparò
al violento urto con lo sporco pavimento della banchina, sperando
che non fosse troppo doloroso. Tuttavia, quando l’impatto non
avvenne, aprì gli occhi lentamente e si ritrovò
sostenuta per la vita da Giancarlo.
«Che cosa ti avevo detto? Ecco perché odio questo
schifo di posto!» la riprese il ragazzo,
terribilmente
seccato, mentre lei si rimetteva in piedi, stringendosi le spalle.
«Be’, non è successo nulla, per fortuna
hai evitato che mi facessi male» gli disse,
sorridendogli timidamente, nella speranza fosse sufficiente per rabbonirlo.
«Shukran»
lo ringraziò poi.
Quello la guardò, inarcando appena un sopracciglio e
deglutendo a vuoto.
«Afwan»
le rispose, rendendosi conto d’essere rimasto improvvisamente
a corto di saliva.
«Mi dispiace di essere così sbadata» si
scusò lei subito dopo, seriamente
preoccupata, poggiandogli delicatamente una mano sul braccio e, a quel tocco, la schiena di lui fu percorsa da brivido.
«N-Non... importa» balbettò, per poi
schiarirsi la voce e ricomporsi. «Otto mesi di
tennis saranno pure valsi a qualcosa».
«Tennis? Vuoi dire che non vai più in
palestra?» fece Aida, incuriosita.
In risposta, il ragazzo le riservò un sorriso sottile e scosse la testa,
soddisfatto.
«Niente più palestra o personal trainer, visto
che, ormai, è quello
sportivo di Emiliano a mettermi sotto torchio: calcio, corsa a
Villa Borghese alle sei di mattina» sottolineò
«tennis... Ecco, forse non gli è mai interessato
il beyblade, ma per il resto pratica di tutto».
«Emiliano è quel tuo caro amico
d’infanzia...» cominciò la ragazza, cercando di ricordare chi fosse.
«... con il quale avevo litigato anni fa, sì.
Però,
ora gli ho chiesto scusa per come mi sono comportato e lui ha
capito» spiegò l’altro.
«Gli ho anche parlato di te e vuole assolutamente conoscerti.
La prossima
volta te lo presento, che ne dici?»
«Gli hai parlato di me?» repeté lei,
colpita. Giancarlo, infatti, le aveva raccontato di quanto fosse legato ad
Emiliano, che era come un fratello per lui, del fatto che la loro
lite era stata argomento tabù per troppo tempo e di come,
una
delle prime cose che aveva fatto, quando aveva deciso di cambiare vita,
fosse stata proprio affrontare il ragazzo per cercare di fare
pace.
«Certo che gli ho parlato di te»
confermò,
perplesso, come se non capisse il motivo di tanto stupore.
«È il mio migliore amico! E poi, mica faccio come
lui, che
mi ha scambiato per un terapeuta che deve aiutarlo ad ammettere che gli
piace quella ragazza irlandese» aggiunse.
«Be’, è carino che vi sosteniate a
vicenda, non
credi?» replicò Aida, trovando molto bello che
Giancarlo
avesse un’amicizia tanto profonda.
«Certamente. Comunque, lo perdono anche perché mi
ha aiutato a
perfezionare il servizio, così appena ci sarà
l’occasione giusta» disse poi il biondo, mimando
l’azione di colpire una pallina con una racchetta,
«straccerò quel pallone gonfiato di McGregor che allora finirà di professarsi il re di
Wimbledon!»
Nell’udire quell’ultima considerazione, la fanciulla
alzò lievemente un sopracciglio, divertita.
«Tu e i tuoi amici siete davvero divertenti» commentò.
«Lo sappiamo, fidati» le rispose lui, strizzandole
l’occhio. «Guarda è arrivata
l’altra metro... ed è vuota!»
Dopo un interminabile corridoio scuro, uno scorcio di Piazza di
Spagna
le si aprì davanti in tutta la sua luminosità e
Aida si
fermò, colpita in pieno dal sole mattutino che la invitava ad
esplorare quel luogo nuovo. Il perimetro
poligonale era chiuso da una cinta di palazzi d’epoca che
ospitavano negozi e boutique, intervallati da sbocchi che si aprivano
sulle note stradicciole mondane. Nel bel mezzo dello spiazzo,
circondata dai primi venditori di caldarroste e dai vetturini pronti a
portare a spasso i turisti, la Barcaccia zampillava gaia, mentre, ai
suoi lati,
residenti e villeggianti animavano la Scalinata di
Trinità dei Monti.
«Non riesco a crederci... è tutto come deve
essere! Ogni cosa è al suo posto!»
esclamò, contenta.
«Ti piace?» le domandò il ragazzo,
compiaciuto dal suo entusiasmo, rendendosi conto per la prima volta di
quali fossero le vere bellezze della sua
città, fino a quel momento a lui estranee. Quella giovane era il
suo
ponte con la
realtà, con la vita vera. Per Giancarlo, infatti, Piazza di
Spagna era
sempre stata associata unicamente allo shopping con le sue frivole
ragazze, invece, quella mattina d’ottobre, aveva appena scoperto
quanto potesse essere più interessante la contemplazione
delle opere d’arte, in compagnia di chi potesse davvero
spiegarne il significato.
All’improvviso, però, la fanciulla si
fermò, seria ed il
sorriso sul volto dei lui morì
all’istante.
«Aida, cosa c’è che non va?»
le chiese, preoccupato.
«Devo sembrarti davvero una scolaretta in gita scolastica o,
peggio, una che ha imparato a memoria la lezione e vuole mostrare tutto
il suo sapere» mormorò lei, abbassando lo
sguardo.
«Non è vero. Anzi, mi fa piacere sapere che apprezzi i
nostri beni artistici e che li hai studiati con impegno» le
rispose subito Giancarlo, rassicurante.
Allora, la ragazza si riappropriò della sua aria allegra e
riprese ad ammirare ogni singolo mattone della piazza.
«Comunque, questa è solo una tappa»
le rivelò tutto d’un tratto il biondo, quando, finalmente, si incamminarono.
In risposta, Aida sospirò divertita: «Ancora sorprese?»
«Ovviamente. Vedi, in realtà...»
Tuttavia, il ragazzo non arrivò mai a
completare la
frase, perché una ragazza bionda alquanto disattenta e in
precario equilibrio sui suoi vertiginosi tacchi, si
scontrò con Aida, rovinandole disastrosamente
addosso.
«Oh, no! Aida, stai bene?» chiese subito il giovane,
allarmato, precipitandosi
da lei.
«A dirla tutta, stavo meglio prima» rispose quella,
un po’ dolorante.
«Riesci ad alzarti? Aspetta, dammi la mano, ti aiuto
io» fece poi, premuroso, mentre l’agevolava nel
rimettersi in piedi.
Contemporaneamente, un’altra ragazza mora era corsa ad
aiutare la sua amica e, quando anche l’altra si fu rialzata,
una delle due starnazzò: «Gianni!»
Freddato da quella voce ben nota, il giovane si distrasse immediatamente dalla
fanciulla e si fermò, come se un ricordo molto lontano
e, soprattutto, molto spiacevole stesse riemergendo dalla sua
memoria. Poi, si voltò lentamente, sgomento.
«No, voi no. Tutte, ma voi no!» esalò,
orripilato. Aida lo fissò stranita, non capendo il motivo di
quella reazione e avrebbe voluto chiedergli spiegazioni, ma
non ne ebbe modo, poiché, in quel momento, giunse una terza
persona, un ragazzo alto
con i capelli castani, leggermente mossi e molto curati, il fisico
prestante e un’espressione accesa, come se fosse dio della guerra
in persona.
«Allora sei vivo! Ti avevamo dato per
disperso!» esordì il nuovo venuto, sarcastico.
Nel guardarlo meglio, Aida notò, rabbrividendo, che i suoi
occhi, tra il verde e
l’azzurro, brillavano di luce maligna e sinistra.
«Ho avuto parecchie cose da fare»
replicò Giancarlo, asciutto, rivolgendosi direttamente al
giovane.
«Cose da fare? Tu?» domandò
l’altro, falsamente stupito. «Per
esempio, Gianni...?»
«Cose mie che non ti riguardano, Massimo».
“Massimo! È Massimo Colonna!” pensò subito
la
fanciulla, ricordando i racconti del biondo. “Quindi, le due ragazze devono
essere... Rosetta e
Bianca!”
Aida, allora, si dedicò ad osservarle più attentamente e,
davanti ai loro abiti succinti che
lasciavano
davvero poco all’immaginazione, si
ritrovò ad alzare un sopracciglio: anche se pensava che le
donne dovessero sentirsi libere di indossare ciò che
volevano, in quel caso vide solo un’evidente
mancanza di buongusto, ma, forse, ad irritarla ancora di più erano i sorrisi lascivi e le occhiate
languide che
stavano rivolgendo al suo Giancarlo.
«Sono mesi che non ti fai sentire! Cosa
c’è, non ti piacciamo più?» cinguettò Bianca, sbattendo voluttuosamente le ciglia.
In risposta, il ragazzo fece tre passi indietro, sentendo la nausea che
saliva
violentemente. Rivedendo quelle due dopo essersi disintossicato dalla
loro compagnia, si rese conto di essere stato davvero un imbecille a
restare succube delle loro trame per tanto tempo.
«Potresti farti perdonare facendoci qualche bel
regalo» miagolò, invece, Rosetta, speranzosa, che, avendo
riacquistato l’equilibrio, veleggiò
verso di lui.
«Massimo ha organizzato per stasera una festa sul suo panfilo attraccato
ad Anzio. Potresti venire con noi, stavamo proprio andando a comprare un
vestito
per l’occasione».
Tutte quelle confidenze e l’eccessiva vicinanza di lei al suo
Giancarlo erano davvero troppe per i gusti di Aida, che fremette di
rabbia: il suo passato era stato sepolto da tempo e quella gatta morta non avrebbe potuto vantare più
alcun diritto su di lui, anche se, a giudicare dalle movenze con cui la
ragazza stava cercando di appoggiargli la mano sul petto, doveva
pensare il
contrario.
Al limite della sopportazione, la giovane stava quasi per gridarle di
non toccarlo, quando lui l’anticipò, scansandosi
bruscamente e
troncando di metto quel tentativo di approccio.
«Io con voi non vengo proprio da nessuna parte» le
rispose, algido e distaccato. «E aggiungo che non me ne frega niente
di ciò che fate».
La sua molestatrice rimase piuttosto interdetta da quella reazione e altrettanto fecero la
sua
amica e Massimo, il quale gli lanciò uno sguardo indagatore,
mentre una sottile ruga gli increspava la fronte abbronzata.
«Di’ un po’, Tornatore»
cominciò, contraendo le labbra in una smorfia beffarda,
«si dice in giro
che ti sei messo a sbavare dietro ad una piccola stracciona,
è vero?»
Giancarlo, che già non ne poteva più da
parecchio, fu sul
punto di rispondergli come meritava, quando un’altrettanto satura ed indignata
Aida lo precedette.
«Io non sono una piccola stracciona!»
sbottò, incollerita.
Richiamati da quell’intromissione, i tre girarono
contemporaneamente la testa verso la fanciulla e fecero
lo sforzo di accorgersi di lei.
«Non mi dire, te la fai con la cameriera! Per una volta,
te ne è capitata tra le mani una giovane e non hai certo
perso tempo. Eppure avresti potuto scegliere meglio, siete
andati in bancarotta, forse?» chiese Massimo, sogghignando
incredulo.
«Non avete più i soldi necessari per permettervi
personale nostrano, così dovete elemosinare
servitù tra i selvaggi?»
Quell’affronto, però, non fece altro che esacerbare la
già aspra contesa tra il belligerante Marte e il luminoso
Apollo, il quale non poteva sopportare che la sua musa
venisse offesa in maniera tanto ignobile.
Infatti, al giovane non era sfuggita la reazione di Aida a quelle
parole: aveva spalancato gli occhi ed era ammutolita, sconcertata da
tanta cattiveria. Giancarlo, invece, aveva assottigliato lo sguardo,
avvertendo il forte
desiderio di ridurre l’altro in fin di vita, per poi lasciarlo
a marcire, agonizzante, immerso nel bagno dei propri fluidi.
«Oh, sì che è vero: le sbavo dietro
senza ritegno» disse lui, allora, circondando con un braccio la vita di lei e stringendola a
sé con fare protettivo.
«E, comunque, non è la mia cameriera... Aida
sarà la mia futura moglie, se lo
vorrà».
A quell’aperta dichiarazione, Rosetta e Bianca sgranarono
tanto d’occhi, esterrefatte,
rivolgendo alla fanciulla sguardi scettici e malevoli, mentre Massimo
si mostrò repellente alla sola idea.
«Io non la toccherei nemmeno
con un dito, non vorrei sporcarmi» affermò,
contraendo le labbra come se fosse sul punto di rimettere.
«Tornatore, sei proprio caduto in
basso, sai? Esattamente come tua cugina, che ha preferito uno svenevole
damerino francese ad un vero uomo come me!»
«Sapendo come
l’hai trattata, dovresti solo tacere. E, comunque, Olivier vale molto più di
te».
«Mi stai facendo la predica, per caso? Be’, sei
patetico» disse con cattiveria, indicando Aida con il capo. «Cosa credi, io e
te non siamo molto diversi, infatti, sappiamo benissimo entrambi cosa
farai con la tua piccola e sudicia africana: la rimanderai
indietro non appena te la sarai scopata
a sazietà,
togliendoti lo sfizio dell’esotico. Sempre che una tale
ragazzina inibita sia in grado di darti un po’ di
soddisfazione, ovviamente» sottolineò alla fine, suscitando una
risata
maligna da parte delle sue accompagnatrici.
A quel punto, Aida trattenne il fiato, paralizzata, mentre Giancarlo
sentì il
sangue schizzargli al cervello e i globuli rossi pronti ad evaporare.
Nonostante l’istinto primario fosse quello di ridurre in coriandoli
Massimo Colonna,
dovette convenire che non aveva né tempo, né
voglia di fare un andare a trovare l’anziano vice-questore
Molinari, a cui aveva promesso che avrebbe rigato dritto.
Inoltre, Aida non
meritava ulteriori umiliazioni e traumi, ma, in ogni caso, non sarebbe certo
restato a guardare mentre veniva insultata.
«Non osare rivolgerti a lei in questo modo, lurido bastardo
razzista!» ringhiò, infatti, mordendo ogni parola.
«Lavati la bocca prima di nominarla. Tu ce l’hai
con me, perciò Aida lasciala fuori!»
Non gradendo quell’attacco, l’altro gli rivolse uno sguardo ferino e, digrignando i denti,
replicò: «Oh, che paura, il biondino alza la
cresta. Cerchi
rogne, Tornatore, per caso?»
«No, ho finito di essere il tuo compagno di giochi,
vai a cercarti qualcun altro, magari al prossimo
rave party. Ah, dimenticavo, non puoi: tuo padre non è
più pronto a venirti a tirare fuori dai guai»
fece Giancarlo, beffardo.
«Tornatore, non scherzare con il fuoco»
gli sibilò il rivale.
«Colonna, di’ al tale che ti scrive le battute di
metterci più fantasia, perché stai diventando
monotono» rincarò, invece, il ragazzo.
«Dopo lo
scandalo di luglio, non sei più nessuno, le tue minacce non sono
più credibili. E, per quanto possiamo essere uguali,
sei tu quello che è rimasto a sbattersi le mignotte. Perciò, buona
serata e ricordate... le foto del post-sbornia in prima pagina non vi
rendono
giustizia».
Le due ragazze, senza un adeguato supporto di materia grigia, non
ebbero parole per ribattere e Massimo, anche lui zittito
dall’arguzia, non fu abbastanza rapido nel rimediare un altro
insulto da
rivolgere a Giancarlo o Aida, ché già il giovane
aveva
trascinato la fanciulla lontano da quello sconcio.
Tuttavia, i due avevano appena girato l’angolo del corridoio che
portava alla
metro, quando lei si impuntò e non volle proseguire.
«Aida, che cosa c’è?»
domandò, allora, il biondo fissandola preoccupato. Quella,
però, non rispose,
limitandosi a tenere lo sguardo in basso.
«Mi dispiace, non avrei mai voluto che ti offendessero in quel
modo vergognoso.
La colpa è solo mia e di quello che sono stato, avrei dovuto
immaginare che sarebbero stati in zona... ti chiedo scusa».
La fanciulla, però, continuò a tacere, immobile,
e Giancarlo
sospirò, affranto e mortificato per quanto era accaduto.
«Grazie per quello che hai detto poco fa»
sussurrò all’improvviso Aida, restando a testa
bassa.
Distolto dai suoi pensieri, che gravitavano principalmente su come presentare il conto a
quel maledetto, il giovane rimase fermo per qualche istante, per poi
prenderla per le spalle
e costringerla a guardarlo negli occhi.
«Avrei voluto solo fare di più, ma non
è certo rompendogli tutte le ossa che Colonna
cambierà
la sua mente deviata» sospirò, accarezzandole una
guancia. «Aida... non permettere che quella gentaccia
ti
faccia sentire inferiore, perché non è vero. Tu
sei al di sopra di tutte quelle meschinità» aggiunse.
Lei, allora, lo scrutò con aria mesta e sofferente.
Esitò qualche secondo e poi
disse: «Giancarlo, posso chiederti una cosa?»
«Tutto quello che vuoi».
«Magari questa volta ti sembrerò davvero una
bambina piccola, ma... non mi importa. Potresti...
abbracciarmi?»
Il tono dolce e malinconico con cui Aida glielo aveva chiesto, gli fece
talmente stringere il cuore che, senza indugiare oltre, il ragazzo le
rispose, sorridendole con tenerezza: «Ma certo, vieni
qui».
La cinse delicatamente e lei ricambiò la stretta,
serrando le mani intorno alla stoffa della sua polo e chiudendo gli
occhi. Il petto del giovane, caldo
ed intriso del suo profumo agli agrumi così
gradevolmente asprigno, e le sue carezze furono per lei il miglior
balsamo al suo dolore.
Mentre era concentrata su tutto quello nel tentativo di dimenticare la brutta
avventura, però, le parve di udire qualcosa che non si
sarebbe mai aspettata.
«Nessuno deve permettersi di renderti triste, amore mio».
Sorpresa, la fanciulla si staccò all’istante, guardando Giancarlo a bocca aperta, chiedendosi se aveva solo
immaginato - e desiderato - che lui avesse pronunciato quelle parole o, se
lo aveva fatto davvero.
«Come, scusa? Che cosa hai detto?»
«Io? Niente» rispose l’altro, scrollando
le spalle. «Non ho aperto bocca».
Perplessa, Aida inclinò la testa da un lato; stava per
ribattere che era quasi certa che non fosse proprio così, quando lui la precedette: «Mi dispiace
solo che non siamo arrivati a vedere il
Collegio di Propaganda Fide, perché stavamo andando proprio lì».
«Davvero?» domandò lei, piacevolmente
sorpresa, lasciando cadere l’argomento.
«Già, vorrà dire che sarà
per un’altra volta» sospirò lui. Poi, la
guardò e, sorridendo, la prese per mano. «Dai,
vieni con me, c’é un’altra cosa che devi
assolutamente vedere!»
Svoltato l’ultimo angolo, l’articolato complesso
della Fontana di Trevi, nell’immaginario collettivo la fontana per eccellenza, apparve in tutta la sua indiscussa
maestosità. La piazza omonima in cui si trovava era, puntualmente, gremita di
villeggianti giunti da ogni dove solo per rendere omaggio alla famosa
opera d’arte.
Giancarlo e Aida, quindi, dovettero farsi cautamente largo tra la folla, ma,
alla
fine, riuscirono a raggiungere e scendere le scalette,
per
trovarsi all’ombra di Palazzo Poli e godere della vista su
quel connubio di acqua e marmi.
«Venire a Roma e non passare di qui sarebbe stato un autentico
reato» commentò il giovane, mentre le mostrava la
composizione barocca, al centro della
quale dominava l’imponente statua di Oceano.
«Eccezionale!» esclamò lei, con gli occhi
pieni di meraviglia, del tutto ripresasi dalla terribile esperienza
di poco prima.
Nonostante ci fosse il discreto scrosciare dei getti d’acqua,
il
vociare concitato dei turisti e gli schiamazzi gioiosi dei bambini, ad
entrambi i giovani sembrò di non essersi mai trovati in un
luogo
più tranquillo di quello.
«Un pezzo forte della Roma barocca»
osservò Aida, voltandosi in direzione del biondo, che non
perse tempo per darle qualche informazione storica in più.
«Sì, l’ultimo progetto risale al 1731 e
a Clemente XII. Sai, il bando di concorso, per la realizzazione
dell’intero complesso venne vinto dal progetto di Nicola
Salvi, che è anche...»
«... colui che ha partecipato all’appalto per la
Scalinata di Trinità dei Monti»
completò la ragazza sottovoce, senza rendersene nemmeno
conto.
Immediatamente, il biondo si voltò e la guardò, increspando le
labbra e inarcando un sopracciglio.
«Uh? Ehm, scusa» si affrettò a dire lei, ritornando
bruscamente alla realtà e realizzando di averlo interrotto.
Giancarlo, però, non si mostrò particolarmente
offeso, anzi, colse al volo l’occasione per avvicinarsi a lei
con un sorrisetto furbo stampato sulle labbra.
«Bene, bene, vedo che siamo informate».
Aida ridacchiò e decise di replicare scimmiottando una frase
che lui stesso una volta aveva rivolto a Samir: «Ragazzino, tu non sai
chi hai davanti! Io studio Belle Arti
e Franco sapeva tutto del barocco romano!»
«Ah, adesso prendiamo anche in giro?»
fece Giancarlo, puntandosi le mani sui fianchi e guardandola ridere, beandosi di ogni piccolo particolare, anche del modo
meraviglioso in cui dondolavano i suoi pendenti stellati, ogni volta che scuoteva il capo.
«Vieni qua, signorina So-Tutto-Io!» la
richiamò, allora, prendendola per un braccio e
tirandola a sé.
La fanciulla avrebbe giurato che si sarebbe vendicato con il solletico o
qualcosa di simile, invece lui si limitò a passarle un
braccio intorno alla vita, finché non si ritrovarono guancia contro guancia, e lei
a quel punto ne
approfittò per lasciarsi ubriacare ancora un po’
dal calore della sua pelle e dal suo profumo.
«Adesso le cose si fanno interessanti»
annunciò solennemente il giovane, frugandosi
in tasca ed estraendone qualcosa che, poi,
depositò nel palmo della fanciulla: era un dischetto dorato
cerchiato d’argento.
«Perché mi hai dato questa monetina?»
gli chiese quella, riprendendosi dal piacevole stordimento in cui era caduta.
«Perché l’usanza comune vuole che, se
lanci una moneta in questa fontana, il tuo ritorno a Roma è assicurato» le spiegò, enfatico.
Aida guardò accigliata prima lui e poi quel pezzetto
di metallo bicolore, rigirandoselo in mano.
«Chi è questo?» chiese, indicando il
profilo dell’uomo cinto di lauro impresso su una delle facce.
«Quello è Dante Alighieri, il nostro
più grande poeta» le rispose Giancarlo.
«Dai, lancia questi due euro e basta!»
«D-Due euro? Ma non sono un po’ troppi da lanciare in una
fontana?» domandò la giovane, leggermente
sconvolta.
«Se fossi sicuro che funzioni, stai tranquilla che ti ci farei buttare anche due
milioni» replicò lui, sicuro.
In risposta, la ragazza sospirò, imbarazzata:
«Il solito esagerato... anche se, sai, credo che sia un
po’ inutile
lanciare questa moneta».
«E perché mai?» chiese l’altro,
preoccupato e leggermente allarmato.
Notando la sua reazione, la fanciulla dispiegò le
labbra in un dolce sorriso e gli spiegò:
«Perché il mio nome,
nell’interpretazione che mi piace di più,
significa visitatrice oppure colei che torna5».
Allora, i due si guardarono per un attimo; poi, l’espressione
del ragazzo tornò serena.
«Oh, va bene. Tuttavia, per stare sicuri, lo facciamo lo
stesso, d’accordo? Avanti, fammi vedere se sei in grado di lanciarla».
«Ma è una monetina, Giancarlo, non un beyblade!
Non serve chissà che tecnica di lancio!»
tentò di protestare Aida, scoppiando a ridere e tirando
indietro il braccio.
«No, no! Non così!» la fermò,
prendendola delicatamente per i fianchi e girandola,
affinché desse le spalle alla fontana. Quindi
spiegò: «Non sarà un beyblade, ma
la tradizione vuole che il lancio venga effettuato
all’indietro per avere il risultato sperato!»
Allora, Aida lasciò che lui la sfiorasse per guidarla e sistemarla nella giusta posizione, poi prese la spinta ed
effettuò il lancio.
Un luccichio metallico descrisse un arco parabolico, rimase un poco in
sospeso ed, infine, sparì tra le increspature dell’acqua.
***
Le luci dei lampioni, risvegliatesi al calar del crepuscolo,
illuminavano le rive del Tevere; tenui bagliori si rifrangevano sulla
leggerissima coltre d’umidità rappresa che
avvolgeva l’Isola Tiberina e il suo ospedale, i quali parevano
ergersi da soli tra le acque, quasi fossero solo una surreale apparizione.
Dopo aver fatto qualche altro giro, che aveva incluso Piazza del Popolo
e Via del Corso, ed essere tornati a Villa Aurelia per cambiarsi, i
ragazzi erano usciti di nuovo. Per nulla al mondo, infatti, Giancarlo avrebbe
rinunciato a portare Aida a fare una passeggiata serale sul Lungotevere.
«Allora, che te ne pare? Certo, non sarà il Nilo,
ma anche il nostro fiume ha il suo fascino»
constatò il ragazzo, fermandosi e appoggiando i gomiti sul
muricciolo dell’argine, sovrastato da una lunga fila di
ippocastani. In lontananza, si udiva il suono attenuato di un violino:
probabilmente, all’estremità opposta del ponte,
doveva esserci un artista di strada tiratardi.
«Io lo trovo molto tranquillo e rilassante»
rispose la fanciulla, fermandosi accanto a lui, per guardarsi attentamente intorno. «È un bel posto dove venire a
passeggiare, soprattutto in serate miti come questa».
Il giovane, allora, la osservò a lungo in silenzio, sentendosi invadere dalla
sua grazia, così profonda da togliergli il fiato. Se fosse
stato per lui non avrebbe mai smesso di contemplare la sua figura
minuta, coperta da un leggero
vestitino portato senza malizia, o i suoi capelli, raccolti in una coda di lato, che le lasciava scoperto il collo.
«Sono contento che ti piaccia. In questi giorni stai vedendo
davvero poco, so che ci sono tante altre cose che dovresti visitare e, magari,
potremo pensarci quando tornerai la prossima volta»
fece il biondo, lanciando l’amo.
«Quindi, secondo te, risponderò
positivamente alla tua domanda e tornerò»
rispose pronta Aida. «Come fai ad esserne così
sicuro?»
«Perché ho fiducia nelle monetine di Trevi e
perchè, come hai detto tu, il significato del tuo nome parla
chiaro» ribatté lui, sornione.
«Be’, questo, signor Tornatore, le dice solo che
tornerò a Roma, non che tornerò da lei e che
accetterò la sua proposta» gli fece, però, notare la
fanciulla in tono scherzoso, restando sulle sue. «Le
dirò, la sua corte sta lasciando un po’ a
desiderare. Se vuole ottenere qualcosa, dovrebbe essere più
convincente».
Raccogliendo la provocazione, il ragazzo s’inumidì
le labbra con la lingua,
scoccandole un’occhiata eloquente: «Hai
suggerimenti da proporre in merito, biscottino?»
«La sua richiesta mi stupisce, poiché mi hanno
riferito delle sue
doti di gran seduttore. Dovrebbe sapere come ammaliare una
donna, non trova?» notò la giovane, ridendo, non
curandosi del fatto che il suo cardigan era sceso ancora di
più, lasciandole le spalle completamente scoperte.
Giancarlo, allora, alzò un sopracciglio, mentre,
interessato, si lisciava il mento
con il dorso della mano: era proprio quell’ingenua
vivacità d’intelletto e di atteggiamenti che gli
aveva fatto perdere la testa per lei, provocandogli quello
sconvolgimento interiore e che risvegliava le sue pulsioni. Si sentiva
irrimediabilmente attratto da
quella ragazza così spontanea, anche se aveva sempre cercato
di moderarsi negli approcci con i quali le si rivolgeva... perlomeno fino
a
quel momento.
Infatti, dopo qualche secondo, si avvicinò alla fanciulla con lentezza studiata, mettendosi
davanti a lei. Immediatamente, Aida smise di ridere, richiamata dalla
vicinanza di lui; era buio, ma,
sostanzialmente, si trovavano a tiro di lampione, così riuscì a
notare che il biondo la stava fissando con aria seria, offrendole uno
sguardo passionalmente intenso che non le aveva mai rivolto prima. In
quel momento, lui la bloccò, poggiando le mani sul corrimano in marmo,
ai suoi
lati prima di avvicinarsi, mentre lei deglutiva, incapace di
muoversi.
«In realtà, devo scoprire ancora alcune delle
mie carte, perché non
c’è gusto a mostrarle tutte al primo
giro» le sussurrò in un orecchio, con voce
suadente e vibrante. «E, se mi vuoi più focoso, non
hai che da chiedere, fiorellino».
Quindi, sorridendole maliziosamente, si staccò e si
andò a sedere nel punto più basso del parapetto,
a pochi passi di distanza da lei. Aida rabbrividì,
riflettendo sul fatto che non si era mai confrontata con il Giancarlo
latin lover passionale, dato che il giovane non le aveva mai concesso
l’opportunità di incontrarlo. Aveva avuto
esperienza del latin lover gentile, ovviamente, ma era una cosa
diversa, pertanto
ora voleva conoscere quel suo aspetto di cui aveva solo sentito
parlare, così, alla fine, fu la curiosità a prevalere
sull’imbarazzo.
Decisa, la giovane accorciò la distanza che la separava da
lui e poi si fermò; stava per
dire qualcosa, quando si sentì prendere per una mano e
trascinare via, ma senza violenza. In men che non si dica, si sorprese
seduta sulle sue ginocchia.
«Comoda?» le chiese, a quel punto, il giovane senza
scomporsi, circuendola con le braccia.
«Tutto qui? Spero che questa non sia la scala
reale» gli rispose la fanciulla,
sorprendentemente tranquilla.
In risposta, Giancarlo socchiuse gli occhi, increspando le labbra, sorpreso da una
frecciatina così pungente da parte di lei.
«Non ti facevo così esigente, gioia mia. Quella
era una carta isolata,
ma, adesso, vediamo di alzare un po’ la posta, visto che non
è da me lasciare insoddisfatta una ragazza».
Batté, quindi, un leggero colpo in su con il ginocchio e lei, colta alla sprovvista, gli finì addosso; lui,
però, la sistemò subito meglio, facendosela scivolare contro, sfilandole
la borsetta dalla mano e appoggiandola accanto a loro. Poi,
le accarezzò la coscia, senza spingersi oltre
l’orlo
dell’abito, e proseguì lungo il fianco; le
sfregò con dolcezza un braccio e risalì fin sopra
la spalla, prima di scendere con discreta rapidità,
abbassandole la spallina del vestito e sfiorandole la pelle nuda.
Avvertì che Aida sotto il suo tocco aveva sussultato, senza
ritrarsi, ma si fermò comunque per qualche istante. Non voleva
essere indelicato, turpe o, ancora, libidinoso e non aveva nessuna
intenzione di
offenderla, solo
dimostrarle anche fisicamente cosa provasse per lei. Sapeva di essere
il
primo uomo a toccarla in quel modo e, mentre esercitava su di lei
quel contatto, giurò a se stesso che avrebbe fatto di tutto
per restare anche l’ultimo.
«Ti è piaciuto il mio tris,
zucchero?»
le fece piano, sempre con la stessa voce vibrante, continuando ad
accarezzarla.
«Non male, per essere un giocatore fuori esercizio... ma io
non
sono ancora convinta» ribatté, però, l’altra,
flemmatica e
definitivamente sciolta, fiduciosamente abbandonata a lui.
«Stai facendo una puntata molto alta, gioia» le
mormorò, piegando le labbra in un sorriso molto sensuale,
«e devi accettare i rischi che questo comporta».
Poi, le sciolse i capelli lisci e setosi, facendoseli scorrere tra le
dita,
prima di stringerla ancora di più, avvertendo su di sé le
sue curve appena accennate. Allora, incominciò ad
accarezzarle la schiena,
regalandole al contempo una profusione di piccoli, lenti, baci sul
collo e sulla spalla denudata, baci dati a labbra appena schiuse,
talvolta leccandole anche lievemente la pelle esalante quel balsamico aroma
di mirra. Senza alcuna traccia di
insistenza o volgarità nei suoi gesti.
Giancarlo era l’Eros,
l’impulso vitale,
l’istinto della passione, l’impeto travolgente alla
perpetua ricerca del suo complemento, qual era appunto Aida,
l’Agape6,
l’amore puro, incondizionato e
disinteressato. Dopo tanto peregrinare aveva infine trovato
ciò che cercava: il suo equilibrio, la sua
serenità.
«Giancarlo, siamo in strada. Potrebbe passare...»
gemette flebilmente a quel punto Aida, scossa da brividi di piacere, con quel
poco di lucidità che le rimaneva.
«Qualcuno? E tu lascialo passare... lascia che ci veda... che
ci guardi... che invidi la mia fortuna fino a schiattare...» rispose lui con un sussurro, senza smettere di lambirle il
collo. Ormai era arrivato quasi a toccare le tiepide labbra di Aida con
le proprie. Cosa avrebbe dato per poterle baciare subito, peccato che non potesse farlo, non ancora...
Improvvisamente, la ragazza aprì di scatto gli occhi, stordita ed incredula:
il biondo l’aveva rimessa in piedi ed ora la guardava tra l’intrigato e il compiaciuto con la testa
inclinata da un lato, stropicciandosi una guancia con una mano e
tenendo l’altra nella tasca dei jeans. Istintivamente, si
portò le punte delle dita sul naso, dove le aveva
appena dato un colpetto con l’indice.
«L’esibizione dimostrativa finisce qui»
le disse, tranquillo. «Penso che il gran seduttore tu lo abbia conosciuto abbastanza, per oggi».
Ancora piuttosto confusa, la ragazza deglutì e si riassestò capelli ed abiti,
mentre prendeva coscienza di quanto accaduto e, imbarazzata, evitava di
guardarlo negli occhi.
«Be’, devo dire che hai stile» ammise, in un ultimo guizzo d’intraprendenza,
scrutandolo da sotto la cortina di capelli corvini.
«Lusingato dal complimento, gioia» rispose
Giancarlo, stiracchiando le labbra in un sorriso d’amara ironia.
«E perché... perché ti sei
fermato?» domandò Aida, riuscendo finalmente ad
alzare il capo.
«Perché ho promesso a tuo fratello e a mio padre
che avrei fatto il bravo. Credo che abbiano la mano piuttosto
pesante» spiegò facendo una piccola smorfia. «Soprattutto,
però, mi piacerebbe che che tu accettassi di baciarmi e
diventare la mia
ragazza perché lo vuoi veramente e non perché
soggiogata da infimi espedienti. Per una volta, vorrei essermi
guadagnato qualcosa in maniera legittima».
«E se dovessi dirti di no? Io ho bisogno di sapere la
verità: pensi che potremmo rimanere comunque
amici?» gli chiese, osservandolo attentamente.
Messo di fronte un tale bivio, il giovane spaziò la vista sul fiume, che tranquillo
continuava a scorrere lungo il suo corso. La luna si rifletteva beata
sulla sua superficie, spezzettando la sua immagine in multipli
bagliori; il muto e impenetrabile dialogo della natura faceva da
sottofondo al silenzio nel quale si era chiuso il ragazzo.
Aida non avrebbe potuto fargli domanda più semplice e al tempo stesso più
difficile di quella.
«Non prendiamoci in giro, sai benissimo che non
potrei mai vederti come una semplice amica. Aida, se non te fossi
accorta, io sono stra-cotto di te. Sono innamorato della tua dolcezza,
del tuo carattere e del tuo essere bella con semplicità».
Giancarlo aveva notato che la ragazza era trasalita a quelle parole, ma
decise comunque di proseguire: «Ciononostante, se questa dovesse
essere la tua volontà, mi sforzerò di accettarla.
Mi dispiacerebbe non vedere più te e il piccolo Samir. Forse voi non avete bisogno di me, ma io sì».
L’aria si era improvvisamente saturata, divenendo pesante e
opprimente. I due giovani si guardavano, mesti e anche
il violino aveva smesso di suonare. Alla fine, Aida emise un sospiro
lungo e carico di dolore.
«Allora, credo di poterti dire già ora quale
sarà la mia risposta».
Il ragazzo, però, scosse la testa e le poggiò un dito sulle labbra
tiepide.
«No, dimmela domani, ti prego. C’è
ancora una lunga giornata davanti a noi, l’ultima che
passerai con me. Ci sarà tempo per ogni cosa... concedimi
questo mio capriccio finale, te ne supplico».
Aida gli rivolse un’occhiata triste e sofferente, quindi
annuì. Il ragazzo, di umore non dissimile, le
offrì il proprio braccio, riconsegnandole la borsetta e
consentendole di stringersi a lui, così da nascondere il
viso nella manica del suo blazer.
«Andiamo, sarà il caso che ti porti a riposare.
Come diciamo noi, s’è fatta ’na
certa» mormorò, lentamente.
In risposta, però, ottenne solo lo sciabordio del Tevere.
***
Marcello Tornatore marciava verso gli appartamenti del figlio. Un cupo
presentimento lo aveva strappato al sonno nelle prime ore del mattino
ed essendo una di quelle persone
che preferiscono togliersi subito ogni dubbio, non aveva perso tempo a
rimuginarci oltre.
Giunto davanti alla porta, l’aprì ed
entrò senza nemmeno bussare, giacché, dentro
di sé, sapeva che non ce ne sarebbe stato bisogno.
Attraversò una ad una tutte le stanze, diretto verso quella in cui Giancarlo dormiva e, nei pressi del battente
chiuso, esitò un attimo, ma poi, scuotendo il capo,
procedette, trovando l’ambiente immerso in una rarefatta atmosfera dai toni
perlacei, le cortine aperte e nessun oggetto d’arredo fuori posto, come se Annetta ne fosse appena uscita.
Davanti a tutte quelle prove che, quella notte, la
camera non era stata abitata, l’uomo rimase immobile, la sua falsa
tranquillità tradita dalla vena pulsante sulla tempia sinistra e
dalle nocche bianche, poiché non tollerava che gliela si
facesse sotto il naso, né
si disubbidisse ad un suo ordine. Ma, sopra ogni cosa, non sopportava il
disonore.
Quella ragazza era sotto la
sua responsabilità: era poco più di una bambina,
proveniva da una cultura diversa, aveva una situazione familiare non
proprio facile e non era una svergognata, pertanto quel disgraziato di suo figlio non avrebbe
dovuto permettersi neanche di immaginare di toccarla.
Uscendo da quella stanza come una furia, Marcello, perciò, aveva in mente un
unico, ossessivo pensiero: quella volta, Giancarlo non l’avrebbe
passata liscia.
Il
riverbero del primo sole aveva sfidato l’esiguo spessore
delle tende di seta velata e filtrava, indisturbato, nella camera.
Stesi sul letto,
l’un allacciato all’altra, dormivano entrambi con
un’espressione di pura serenità dipinta sul viso. Avevano
ancora indosso gli abiti della sera
precedente, sebbene dignitosamente scomposti dal sonno, e le giacche ordinatamente sistemate accanto a loro.
Aida riposava con la testa appena poggiata sul petto di lui,
cingendogli
morbidamente il torace con un braccio, mentre Giancarlo, che
aveva una guancia sconfinante sui soffici capelli di lei, teneva ancora
una ciocca arrotolata intorno all’indice: probabilmente, il
torpore doveva averlo colto mentre ci stava giocherellando. Con
l’altro braccio, la teneva per la vita, in maniera
salda e delicata allo stesso tempo, come se temesse che qualcuno
potesse portargliela via.
Sentendosi in colpa per aver dubitato, facendo prevalere la sua
caratteristica diffidenza, l’uomo rimase a guardarli per
qualche secondo, ritto, in piedi
nella penombra della camera, non volendo profanare oltre quel momento
di
profonda intimità. Forse, avrebbe dovuto cominciare a
nutrire più fiducia nel figlio e convincersi finalmente di
una cosa: Giancarlo non era Guido.
Muovendosi lentamente, uscì richiudendosi l’anta
di mogano alle spalle, mentre un solco curvilineo gli segnava le labbra.
***
Aida aprì gli occhi, chiedendosi se il tonfo di una porta che si chiudeva fosse
reale o appartenente ai suoi sogni, impiegando qualche secondo per
capire dove si trovava. Man mano che trascorrevano i secondi,
cominciarono a
riaffiorarle in mente i ricordi del giorno prima: sulla cassettiera
c’erano ancora i vasi dei girasoli e degli ibiscus, belli e freschi come quando li aveva trovati.
Poi, si girò da un lato e,
guardando Giancarlo, non poté fare a meno di sorridere,
realizzando di essersi addormentata tra le sue braccia e, quindi, di averlo convinto, con la sua timida proposta, a restare a
dormire con lei.
V-Vuoi che io dorma con... te? Intendi noi d-due insieme nel tuo... tuo...
Noi due, insieme, nel mio letto.
Ti fidi di me fino a tal punto?
Sì.
Completamente ridestata, la fanciulla si tirò su e, attenta a non svegliarlo, si
alzò per andare a prepararsi.
Quando fu di ritorno, notò che il ragazzo dormiva ancora,
così ne approfittò e si risistemò
accanto a lui, in modo da poter restare a guardarlo un
po’, mentre gli spostava dal
viso una ciocca della frangia bionda e ribelle e gli accarezzava una
guancia. Jamila aveva proprio ragione: visto da vicino era ancora
più carino, anche se la sua amica non sembrava comprendere
le difficoltà che aveva lei nell’avvicinarsi a
lui, a causa del suo grande senso del pudore.
Nel notare che la camicia bianca, discinta, le lasciava intravedere il petto glabro e
vigoroso, che si alzava e abbassava seguendo i movimenti regolari della respirazione, la ragazza si
ritrovò ad avvampare, imbarazzata, ripensando a quando, il giorno
precedente, quando lui l’aveva stretta in
più di un’occasione, stordendola con il suo calore
e con il suo profumo.
Era sempre il ragazzo a prendere
l’iniziativa, mentre lei faticava ancora a lasciarsi andare
completamente, sentendosi imbranata ed infantile. D’altra
parte, se si era fermato, sul ponte, era solo perché non
aveva
voluto metterla in difficoltà, dimostrando, ancora una volta,
molta pazienza, nell’assecondare le sue
paure e renderle tutto più facile.
Già da tempo non aveva più dubbi sull’essersene
profondamente innamorata, incapace di opporsi al sentimento che cresceva, sempre più forte dentro di lei per quel
ragazzo tanto particolare che rappresentava in carne ed ossa la sua idea
dell’amore.
A frenarla, però, era la consapevolezza del fatto che stare
insieme non sarebbe stato facile, a causa delle
difficoltà e degli sforzi che avrebbero dovuto affrontare
entrambi prima di dirsi felici. Ci sarebbe voluto del tempo
ed era ciò che Aida temeva di più. Che cosa
sarebbe successo, durante il periodo in cui sarebbero stati lontani?
Giancarlo avrebbe potuto benissimo stancarsi di lei, perchè,
in fondo, che a dirlo fossero Bahira e Ghada, Bianca e Rosetta, Massimo
o lo stesso Rami, avevano tutti ragione: era solo una ragazzina, una
bambinetta insignificante e terribilmente impacciata. Se solo il
giovane avesse voluto, infatti, sarebbe bastato uno schiocco di dita
per tornare ad essere attorniato da bellezze seducenti ed
intraprendenti.
«Quanto ti manca la tua vita di prima?»
gli domandò, allora, Aida in un sussurro, continuando ad
accarezzarlo delicatamente. «Forse ti sei pentito di aver abbandonato tutto e, magari,
preferiresti le attenzioni di qualcuna più
diretta e attraente?»
Il giovane, però, non rispose, continuando a dormire tranquillo.
«Potrai mai accontentarti di una ragazzina con ancora tante
insicurezze? Non riesco nemmeno a dirti di
persona quanto ti voglio bene e so che non sarò come tua madre o a Claudia. Io non ho la loro classe...»
proseguì, affranta. «Sai, io non sono una principessa e,
sinceramente, non voglio nemmeno diventarlo. Mi piace essere solo Aida,
ma non so se, alla lunga, lei potrebbe piacere anche a te».
Allora, la ragazza scese con un dito lungo la guancia di lui e cominciò a
segnargli le labbra rosee e morbide, le stesse che, la sera precedente, le
avevano baciato il collo con ardente passione ed estremo rispetto.
Da quando lo conosceva, quel giovane non aveva fatto altro che stupirla
e, in quel momento, Aida pensò che, per una volta,
le sarebbe piaciuto che fosse lei a sorprenderlo. Si era
sempre chiesta che sensazione potesse regalare il baciare la persona
amata e non voleva perdere quell’occasione, probabilmente,
l’unica che le sarebbe capitata per scoprirlo. E poi, il biondo
non accennava a volersi destare, quindi non si sarebbe
accorto di niente.
«Qualunque sarà la mia risposta, i miei sentimenti
per te non cambieranno, perché non possono cambiare. E, per una volta, i ruoli
si invertiranno: sarà una ragazza comune a rubarti un bacio, caro casanova Giancarlo Tornatore» gli
bisbigliò, sorridendo tra il divertito ed il malinconico. Poi, si fece coraggio e si avvicinò ancora di
più, raccogliendosi da una parte i lunghi capelli.
«Ana behebak»
gli sussurrò, infine, sulle labbra, calde e leggermente salate,
mentre una lacrima cadeva su una gota del giovane, rimanendo là rimase, in solitudine, aspettando di evaporare
nell’aria.
Aida non c’era già più.
***
Invogliata dall’aria mattutina, estremamente fresca e
frizzante, la fanciulla
inspirò a fondo, appoggiando le mani sul freddo
corrimano in travertino. Il sole appena sorto indorava le cime degli
alberi e gli scorci della Capitale, mentre una sinfonia di rintocchi
lontani accoglieva il giorno nascente. Per assaporare meglio quello
sprazzo di tranquillità, Aida chiuse anche gli occhi, cercando
di capire quante fossero le campane che producevano
quell’allegro concerto. Una, due, tre, quattro...
«Buongiorno, Aida».
A quel saluto, la ragazza sobbalzò e si voltò di scatto.
«Ah, buongiorno a lei, signor Marcello» rispose, portandosi
una mano al petto, sentendo il cuore che le batteva per la sorpresa.
«Sei mattiniera» constatò
l’uomo, avvicinandosi. Quando fu arrivato, prese a scrutare
l’orizzonte, con le braccia incrociate dietro la schiena.
«Sì» mormorò la ragazza,
«sono abituata a svegliarmi presto per sbrigare le faccende e
prendermi cura di Samir».
Marcello la guardò e annuì, mentre lei deglutiva, nervosa, pensando che si sentiva sempre in
soggezione quando si trovava sola con lui; non tanto perché
le incuteva timore, quanto più perché non riusciva a capire se gli
fosse veramente simpatica o se lo facesse solo per cortesia. Per fortuna, con Beatrice
era tutto più semplice.
«Ti sta piacendo Roma?» si informò poi l’altro, interrompendo il breve silenzio.
«Oh, sì, tanto. Sa, è tutto come
l’avevo immaginato e, allo stesso tempo, è meglio di
quanto avessi sperato. Anche in Egitto ci sono tante cose antiche da
vedere, ma qui è diverso... si entra e si esce dalle varie
epoche storiche semplicemente cambiando strada!»
Colpito da quella profonda considerazione, l’uomo inarcò un sopracciglio.
«Vedo che sei molto interessata. Sai, dovresti
approfondire
il discorso con mia moglie, le daresti molta più
soddisfazione
di me, che sono un vero ignorante in materia» commentò,
scrollando le spalle. «Magari, avrai modo di parlarle
proprio questa sera alla festa che darà mio fratello, saresti per lei
un’ottima compagnia».
Aida guardò Marcello, sorpresa e stranita.
«Vuole... vuole che venga con voi?»
«Se ti va, perché no?» replicò lui, con noncuranza.
Tuttavia, la ragazza, sempre più sbigottita, scosse nervosamente la
testa.
«Oh, no, non potrei mai, visto che sarei in difficoltà dal
primo all’ultimo minuto! Io... io non sono abituata a questo
genere di cose... E poi, come dotrei presentarmi? Giancarlo
ed io siamo... solo... niente. Non siamo niente»
constatò, triste.
Dal canto suo, l’uomo non lasciò trapelare alcuna emozione e, osservando un punto imprecisato del giardino, le
fece
notare: «Curioso come, nonostante non siete niente, dormiate
abbracciati nello stesso letto».
A quelle parole, Aida trattenne il fiato, capendo che Marcello sapeva cosa era successo, anche se, a dirla tutta, non sembrava
arrabbiato.
«La prego, non se la prenda con Giancarlo, sono io che gli ho chiesto
di rimanere con me. Lui non voleva nemmeno!» esclamò
immediatamente la giovane.
«Se lo difendi vuol dire che ci tieni a lui, quindi gli stai
dando una speranza. E ciò significa che ora non siete
niente, ma, in futuro, potreste diventare qualcosa. Aida, se deciderai di
sposare mio figlio, dovrai avere a che fare molto spesso con eventi mondani di questo genere. Ne sei consapevole, vero?»
«Sì... ma pensavo
che...» sussurrò, angosciata. «Ci
sarebbe stato tempo per imparare!»
A quella risposta, inaspettatamente, l’espressione di Marcello si addolcì in
maniera repentina.
«Non ti sto dicendo queste cose per metterti a disagio o per
allontanarti da lui, ma solo per farti capire che la situazione non sarà affatto semplice».
«Lo so» mormorò lei, inclinando la
testa in avanti. «E per questo io non credo di poter essere
alla vostra altezza».
A quel punto, l’uomo spostò il capo da un lato, soddisfatto,
come se quella fosse stata la risposta che aveva cercato di tirar fuori
da Aida sin dall’inizio, l’ultima prova che la ragazza non fosse
un’arrampicatrice sociale.
«Aida, Giancarlo ti ha raccontato la storia della nostra
famiglia? Intendo quella vera, non le favolette che si inventa
lui».
«Mi ha detto che discendete da un’antica stirpe di
gladiatori».
«E lo sai chi erano davvero i gladiatori,
nell’antica Roma?»
La fanciulla scosse il capo, questa volta più lentamente.
«Schiavi» scandì Marcello, con voce
chiara. «Il nostro sangue è quello degli schiavi e
dei prigionieri di guerra che si sono affrancati dai potenti con le
loro forze. Noi non siamo eredi di una lunga dinastia di aristocratici
terrieri, né baronetti titolati da regine e nemmeno
miliardari che possono vantare noti artisti tra i propri avi. Perciò, non devi
vergognarti di quello che sei, Aida, perché sarebbe uno
sbaglio».
La giovane, allora, guardò Marcello e, pian piano, un timido sorriso
le illuminò il volto, mentre conveniva che quell’uomo aveva un modo
tutto suo di dimostrare la propria simpatia.
«Posso farti ancora una domanda molto personale?»
le chiese poi l’altro, dopo qualche istante di silenzio.
«Certamente, mi dica».
«Cosa ti piace di mio figlio? Dimmelo tu, perché io ammetto di non essere riuscito a capirlo».
Aida rifletté un attimo e poi disse: «Anche Rami
mi ha fatto la stessa domanda e le risponderò come ho
risposto a lui: di Giancarlo mi piacciono la sua gentilezza e i suoi
modi raffinati. È vero, è un po’ teatrale ed eccentrico,
ma riesce sempre a sorprendermi e a farmi sorridere. Inoltre,
è generoso, mi ascolta quando parlo e comprende il mio amore
per l’arte. Ha un buonissimo profumo e... poi ci sarebbe
un’altra cosa, che però non ho detto a mio
fratello».
«E a me puoi dirla?» domandò l’uomo, piegando
la testa da un lato, vagamente incuriosito, mentre la fanciulla
sorrideva con un poco di dolce imbarazzo.
«Mi piace tanto il colore dei suoi occhi... Ogni volta che mi
guarda non posso fare a meno di notare quanto siano belli».
Sorpreso, Marcello increspò le labbra, poiché, facendone
un ritratto così preciso, Aida gli aveva appena dimostrato che
suo figlio le era
piaciuto davvero per quel che era.
«Be’, su questo devo darti ragione: sono gli stessi
meravigliosi occhi di Beatrice» le disse, poi, con il tono
più soave che lei gli avesse mai sentito e, nell’udire
quell’affermazione, che interpretò come
un’intima confidenza, la ragazza rimase attonita, ma felice che Marcello
l’avesse reputata degna di meritarla.
In quel momento,
sopraggiunse sulla terrazza Giancarlo, sbadigliando insonnolito con una mano
garbatamente davanti alla bocca, mentre con l’altra si
scarmigliava lentamente e in modo sensuale i
capelli.
«Ah, ecco dove eri finita!» esclamò,
gaudente, non appena scorse la ragazza, lanciandole un sorriso carico di desiderio.
«Sì, è riuscita a liberarsi dalla tua
morsa. Stai attento a dove metti quelle mani, piuttosto: tu prova a sgarrare ed io
te le cionco!» fece, allora, il padre, con un sottile ghigno, a mo’ di buongiorno.
«Ehm... questo vuol dire che tu sai che noi... voglio dire,
che io...» cominciò il biondo, deglutendo a vuoto.
«Io... io ti garantisco che sono stato al mio
posto!»
«Oh, no che non sei stato al tuo posto, ma se sei ancora
illeso è solo perché so che hai avuto buon
senso» gli rispose Marcello, lanciandogli un’occhiata eloquente.
Di fronte all’impaccio del
giovane,
Aida scoppiò a ridere, quindi gli fece una carezza sulla guancia e salutò l’uomo per andare a finire di prepararsi per la
colazione.
«Sembra felice» commentò quello,
rimasto solo con il figlio. «Cerca di renderla sempre
così serena, mi raccomando. Se lo merita».
«Molto volentieri, finché mi è
concesso» replicò aspramente il ragazzo, prima di
raccontare al genitore dell’infausto incontro con
Massimo.
«Sempre maledettamente infami i Colonna, credono di essere ancora ai tempi
di Giulio II» borbottò, disgustato.
«Hai fatto a botte?»
«Non nego di aver avuto una gran voglia di fare a pezzi quel
maledetto fijo de ’na mignotta, ma non sono più il
facinoroso di un tempo e non volevo che Aida subisse spiacevoli
ripercussioni a causa della mia condotta, quindi... mi sono
trattenuto».
Marcello aggrottò la fronte, sinceramente ammirato per quella dimostrazione di tanta maturità.
«Non far sentire a tua madre che ti esprimi in questo modo,
ché poi dice che sono io ad influenzarti, anche se, detto
fra noi, quella famiglia meriterebbe solo
l’impiccagione».
Rimase in silenzio per qualche
secondo, poi aggiunse: «Ieri c’era poco lavoro da sbrigare, così ho potuto parlare molto con Gerardo e mi ha
detto
che l’altro giorno hai fatto un ottimo lavoro».
«Meno male che lui non è come te!»
esclamò, allora, il ragazzo, ringraziando la bontà del
suo padrino.
«Ieri sera c’erano anche lui e Vittoria dai Doria e ti hanno fatto un sacco di complimenti, anche se,
come
immaginavo, lei ha cercato di carpirmi qualche dettaglio su
Aida» proseguì l’altro, scuotendo la testa.
«Be’, credo che voglia conoscerla, visto che mi
considera
alla pari di un nipote, anche se prima Aida dovrebbe diventare
la
mia ragazza» considerò, pensieroso. «Comunque, hai visto che ho
concluso
l’affare? E tu non volevi credermi! Io te
l’avevo detto...»
Tuttavia, il giovane non riuscì a terminare la frase, perché Marcello lo interruppe.
«Ben fatto, figlio mio. Sono molto fiero di te e di come ti sei
ripreso la tua vita».
Giancarlo, allora, si fermò e fissò il padre, sbattendo
le palpebre, trasecolato: gli aveva appena fatto un complimento
sincero, cosa che, forse, non
accadeva dalla recita di Natale della quinta elementare.
«Ora, però, non restare lì fermo come un
baccalà: il tempo passa ed oggi è
l’ultimo giorno che Aida sarà nostra ospite!»
aggiunse l’uomo, burbero, sentendo il bisogno di dargli
un’ultima scossa. «Ricordati che non ti ha ancora dato una
risposta. Per varie ragioni
non mi hai mai chiesto consigli sulle ragazze, ma stavolta ti
dirò lo stesso ciò che penso: solo una ragazza che ti
vuole davvero bene avrebbe potuto prendere le tue parti come ha fatto
lei prima. Tuttavia, si sente insicura e spetta a te il compito di
rassicurarla» affermò Marcello, con decisione.
«Mi impegnerò» replicò Giancarlo,
serio. «Tengo troppo a lei per lasciarla andare via senza averglielo dimostrato fino in fondo».
L’altro dispiegò appena le labbra in un sorriso. Poi,
però, come se si fosse improvvisamente ricordato qualcosa,
mutò espressione e disse: «Ah, stasera dobbiamo andare da
tuo zio Tiberio, per la sua odiosa festa di compleanno. Credo che sarà presente anche quel tuo
amico francese».
«Olivier?»
«Se è lui il fidanzato perfetto di
tua cugina... comunque, potreste venire anche voi ai Castelli. Ovviamente, non alla
festa, perché ci sarà tempo in futuro per insegnare a quella cara ragazza
come difendersi dai tuoi zii. È ancora presto per
portarla nella
fossa dei leoni».
«Sarebbe un’ottima idea» fece il
ragazzo, interessato. «Le farò vedere Albano e
Castel Gandolfo che sono i più caratteristici. Ad Aida
piaceranno sicuramente!»
«E potresti usare il regalo di quel...» Marcello
sospirò e si sforzò di continuare senza inveire
contro il cognato, «di tuo zio Guido».
In risposta, gli occhi del giovane acquisirono una nuova luce.
«Vuoi dire che posso prendere la mia A4?» domandò, pieno di speranza.
Marcello alzò le spalle e annuì, mentre il
figlio conteneva la gioia con compostezza, lasciandosi scappare solo un
gran sorriso.
«Grazie, papà!» esclamò, avviandosi verso l’interno di Villa Aurelia.
«L’eri in vena di esami, stamani?» chiese, allora, una voce, facendolo sobbalzare.
L’uomo si voltò indietro e inarcò un sopracciglio, vedendo Beatrice avanzare verso di lui, i
capelli cuprei raccolti, indossando un
vestito color carta da zucchero.
«Da quanto tempo eri lì?» la
interrogò il marito, indicando una delle rientranze del muro
con un cenno del capo.
«Abbastanza...» rispose la donna, con un sorrisetto, «abbastanza per vedere che i
ragazzi han superato la prova a pieni voti...»
«Prova? Quale prova? Non capisco di cosa tu stia
parlando» ribatté il consorte, tranquillo.
«... e per l’aver conferma che oggi, come allora, i mie’ occhi sortiscono su di te lo stesso effetto» aggiunse lei, scrutandolo divertita.
Lui ricambiò l’occhiata, ma distolse subito dopo lo sguardo.
«Che programmi hai per oggi?» le chiese, invece, facendo finta di
concentrarsi sul passerotto che si era posato sul bordo di una fioriera.
«Devo andare ai Musei Capitolini, potrei essere la curatrice di una nuova mostra» rispose lei, con visibile soddisfazione.
«Hai ripreso a lavorare» osservò, allora, Marcello, positivamente sorpreso, tornando a guardarla.
«Sì, e voglio tornare anche in carcere, dalle ragazze del corso di cucito» affermò Beatrice, decisa. «Sono stata assente troppo a lungo».
Intenerito, l’uomo le sorrise e le spostò una ciocca
ramata dietro l’orecchio, commentando rasserenato: «Sei
tornata felice come quando ci siamo conosciuti».
Di rimando, la moglie sorrise a sua volta, arrossendo leggermente.
«Però, potresti ammettere che
l’Aida e il nostro Pulcino son stati bravi nel superare la prova, anche se avresti
potuto insistere di più sul fatto che non dovrebbe usare troppo spesso certi termini» riprese la consorte, dimostrando di non aver archiviato il discorso.
A quel punto, Marcello assunse un’espressione di pura e vaga
indifferenza, evitando accuratamente di guardarla.
«Non so davvero a quale prova tu ti stia riferendo, Beatrice. Ed
ora, se vuoi scusarmi, vorrei andare a valutare di persona la
situazione delle azalee. Con permesso» si
congedò, allontanandosi in fretta da lei per sparire
giù per la scalinata, diretto al giardino posteriore.
Rimasta sola, Beatrice si puntò le mani sui fianchi e scosse la
testa divertita, pensando che, alla fin fine, tra il figlio ed il
marito, il più malandrino era proprio
quest’ultimo.
***
Una volta lasciatasi alle spalle Piazza Venezia ed il Vittoriano,
Aida e Giancarlo raggiunsero il Viale dei Fori Imperiali, passeggiando tenendosi per mano, una precauzione che
aveva preso il ragazzo dopo che, in mattinata, un
bellimbusto aveva tentato un approccio troppo ardito con la fanciulla, malgrado lei fosse palesemente in compagnia.
In quel momento, il biondo aveva
conosciuto il mostro della gelosia ed era stato attraversato
dall’idea impellente di lasciare un segno indelebile sulla faccia di
quel tale, arrivando alla conclusione che i playboy, visti dal di fuori, non
erano poi così tanto gagliardi, quanto piuttosto dei
perfetti deficienti.
Dal canto suo, però, la ragazza non si era molto curata delle avance
dello sconosciuto, anzi, aveva persino preso in giro Giancarlo
quando aveva incenerito con lo sguardo il nuovo e molto più
scadente casanova. Tuttavia, aveva dovuto ammettere con se stessa che quella
reazione le aveva fatto piacere.
Per il pranzo, Aida aveva pregato il giovane di non portarla in nessun
ristorante lussuoso, poiché quel giorno non voleva perdere troppo tempo e non riteneva di essere vestita abbastanza
adeguatamente, così lui aveva
optato per qualcosa di più informale.
Tuttavia, mentre scendevano lungo il viale, fermandosi di tanto in tanto per
commentare o semplicemente contemplare le antiche architetture, i due
ragazzi non sapevano di essere guardati a loro volta. Infatti, quasi tutti i passanti
si giravano per ammirare quella giustapposizione di colori
pressoché complementari, i capelli d’oro di lui e
quelli d’ebano di lei, la pelle candida del ragazzo e quella
nocciola della fanciulla, tanto chiari gli occhi di Giancarlo, quanto
scuri erano quelli di Aida. Una mescolanza di
toni opposti che nel loro complesso, però, risultavano bilanciati e armoniosi.
Infine, la passeggiata si concluse all’ombra del Colosseo, il simbolo nel mondo della Roma antica e moderna.
«Ed eccoci, dunque, davanti all’unico e inimitabile
Anfiteatro Flavio» scandì lui, gonfiandosi di
fiero campanilismo. «Pensa che, qualche anno fa, quando ancora
ero un campione capace con il beyblade, ricevevo i miei sfidanti in un
bey-stadium
ricalcato su questa forma».
Basita, la ragazza si voltò verso di lui con gli occhi sgranati per
l’incredulità: «Che cosa facevi?»
Compiaciuto di aver attirato la sua attenzione, Giancarlo la guardò ed un sorriso furbetto si impose
arrogantemente sul suo volto.
«Ah, questa è una mia prodezza di
gioventù che devi ascoltare. In particolare,
c’è un episodio che merita proprio di essere
raccontato...»
Entrambi, allora, si accomodarono su una panchina e, quando il giovane fu certo che lei lo stesse ascoltando, prese a narrare:
«All’epoca ero ancora un adolescente. Venne dal
Giappone un ragazzo, un tale Takao, che era capitato per caso in Europa
mentre era diretto in Russia per i campionati mondiali di beyblade. Una
serie di circostanze lo spinsero a sfidare i miei compagni di squadra, così
arrivò anche qui a Roma».
«Doveva essere un tipo molto tenace, per andarsene in giro
per il continente a sfidare altri blader! Ammetto di non sapere chi
sia, ma se è famoso, Samir lo conoscerà
sicuramente» commentò la fanciulla.
«Infatti!» confermò l’altro.
«Tuo fratello è davvero un portento, sai? Dovrei
portarlo a seguire qualche incontro dal vivo, un giorno, non mi farebbe male
rendermi conto del livello delle nuove promesse del bey... Comunque, tornando a noi, mi
sfidò, anche se la prima volta non accettai,
perché avevo, ecco, altro... in programma»
continuò, tossicchiando. Intuendo di cosa si trattasse, Aida assunse
un’aria leggermente contrariata e alzò un
sopracciglio.
«Per esempio, fare il cascamorto con le tipe di ieri?» gli
suggerì, assottigliando lo sguardo. «Mi
sono sembrate molto interessate a te».
«Vabbè, mo’, non andiamo nei
particolari» le rispose lui, spostando gli occhi
altrove, avvampando. Tuttavia, fu proprio questa reazione a far ingentilire
la ragazza, tanto che gli permise di andare avanti nel suo racconto senza aggiungere altro.
«Insomma, la seconda volta pensò bene di
insultarmi per farmi accettare la sua sfida e così ci affrontammo per ben due volte, in un’arena simile al
Colosseo, costruita nel bel mezzo di Piazza San Pietro».
Aida lo guardò, esterrefatta, riuscendo a malapena ad esalare:
«Nel bel mezzo di... Piazza San Pietro?»
«Oh, sì. Quando l’ha saputo mio padre,
settimane dopo, ha perso le staffe e mi ha messo in punizione per un
mese. Temeva che saremmo incorsi in incidenti diplomatici con il
Vaticano. E, ad oggi, devo ammettere che ho rischiato davvero grosso, ma, per
fortuna, non è successo niente di simile».
La fanciulla continuava a fissarlo, a bocca aperta, non sapendo se ridere o piangere. Poi, si portò
una mano alla fronte e scosse la testa: «Santo Cielo...»
«Sì, in effetti ero abbastanza
discolo, megalomane ed esaltato» considerò lui, meditabondo.
«Fui addirittura schiaffeggiato da un compagno di squadra di
quel Takao, un lillipuziano alto una spanna e mezza... che,
però, aveva ragione rimproverandomi di usare Anfisbena con
intenti poco nobili. Comunque, ebbi la mia batosta: credevo di aver
battuto il mio sfidante, ma in seguito fu lui a
sconfiggermi pesantemente. Il mio bit-power mi si rivoltò
contro e, in quel momento, imparai che avrei dovuto rispettarlo di
più, visto che ero eccessivamente dispotico con lui, impartendogli solo ordini senza ascoltarlo».
Aida vide Giancarlo tirare un profondo sospiro, come se avesse voluto
tornare indietro e agire diversamente; allora, gli prese una mano e la strinse e lui rinsaldò la presa.
«Sai, Anfisbena è stato un regalo del nonno. Si
era raccomandato di trattarlo bene, ma io non l’ho fatto e ho
capito tardi i miei errori» proseguì. «Quando siamo diventati troppo grandi, gli animali sacri si
sono congedati da noi ed io... sono quello che l’ha presa
peggio».
A quel punto, si mise la mano libera nella tasca del trench e ne estrasse il suo
beyblade, guardandolo.
«Credo sia normale» avanzò timidamente
la fanciulla, che aveva ascoltato tutto il racconto del giovane con
partecipazione. «In fondo, era qualcosa che ti legava a tuo
nonno. Non penso che Samir possieda una di queste creature, perché, da come ne
parli, devono essere speciali e piuttosto rare».
«Lo sono» confermò lui, rigirandosi
il bey in mano.
«È un peccato che non possa più
interagire con te» notò lei, osservandolo a sua volta.
«Non può rispondermi, ma sente tutto quello che
gli capita intorno e un giorno Anfisbena si
risveglierà. Saprà lui quando, perciò noi possiamo
solo aspettare e sperare che il suo nuovo padrone sia più
lungimirante di me».
«Posso... posso tenerlo un attimo?» gli chiese, allora, quella, incerta.
Il ragazzo si girò verso di lei, scrutandola a fondo, poi
guardò la sua trottola e, senza aggiungere altro, gliela fece
scivolare in mano. Al contatto con la pelle, il metallo le risultò freddo.
«È più pesante di quello di
Samir» notò Aida, valutandolo con attenzione.
«Anche perché il suo è fatto quasi solo di
plastica».
«Ti intendi anche di beyblade, oltre a sapere a memoria i
trattati di architettura dalla preistoria ad oggi?»
ridacchiò Giancarlo, avvicinando il viso al suo.
La fanciulla gli sorrise, scansandosi all’ultimo,
quando ormai aveva già avvertito i ciuffi biondi
solleticarle la guancia.
«No, ma sono io che rimetto a posto quello di mio fratello,
quando lo lascia per terra insieme agli altri giocattoli, altrimenti
Rami sarebbe capace di inciamparci e farsi male»
replicò, guardandolo ad occhi socchiusi.
«Che fratelli fortunati ad avere una sorella brava e diligente
come te! E, sentiamo, cos’altro fai per loro?» le
sussurrò, tentando un nuovo approccio, più lento.
«Immagino che siano sempre domande per conoscermi meglio,
vero?» chiese la ragazza, che ora, però, non pareva più
intenzionata a spostarsi.
«Oh, no, no. Quello che volevo sapere di te, l’ho
già saputo... direi, invece, che, stavolta, è davvero un elegante tentativo
di provarci con te».
Tuttavia, furono interrotti da uno schianto improvviso, seguito dalle risate di
alcuni bambini. Infatti, poco lontano da loro ce ne erano due in piedi e un terzo steso sul
lastricato.
«Ah, ah! Michele, sei una schiappa!» urlò uno dei due, tenendosi la pancia con le mani.
«Vi farò vedere io! Io diventerò un
grande campione come lo è stato Tornatore e come lo
è adesso Caesar!» replicò una vocina
decisa.
«Nano, ti paragoni a due grandi campioni?»
gridò l’altro, canzonatorio. «Ma se sei
finito per terra solo per lanciare il tuo beyblade, schiappa!»
«Torno subito» disse il biondo ad
Aida, serio, alzandosi dalla panchina e dirigendosi verso i tre bambini. La
fanciulla si alzò a sua volta e lo seguì, sempre
tenendo in mano il beyblade turchese.
«A regazzi’, vi pare questo il modo di trattare un
vostro amico?»
I due che erano in piedi si voltarono e, dopo aver scorto
l’espressione poco amichevole sul volto di Giancarlo, si guardarono e
se la diedero a gambe. Il giovane sbuffò, scuotendo
la testa, quindi si abbassò e aiutò il bambino caduto a rialzarsi.
«Tutto bene?» gli chiese, aiutandolo a sistemarsi i vestiti.
Quello si stropicciò la fronte ed annuì, a testa bassa,
mentre il ragazzo già si prodigava per recuperare beyblade e
dispositivo di lancio per riconsegnarglieli.
«Questi devono essere tuoi» gli disse, con un sorriso.
«Grazie» sussurrò il bimbo, con una scrollata di spalle, senza
alzare il capo.
«Ti chiami Michele, vero?» riprovò
Giancarlo, cercando di stabilire un punto di contatto e ottenendo un
timido assenso in risposta. «Ti va di farmi vedere come lanci
il tuo beyblade? Magari
possiamo inventarci qualcosa per migliorare la tecnica».
Rianimato, il bambino si decise finalmente a guardarlo con i suoi
occhioni color sottobosco.
«Tu... conosci il beyblade?»
«Lo praticavo. Tanto tempo fa» gli rispose con
nostalgia l’ex-blader. «Ascoltami... qualunque cosa
ti dicano gli altri, non devi mai smettere di pensare di poter
migliorare, con l’allenamento e con
l’impegno».
Aida rimase ad osservere la scena, in silenzio, mentre, nella sua mano,
il
metallo di Anfisbena sembrò liquefarsi e diventare molto
caldo, come se fosse vivo. La fanciulla, allora, intuì
intimamente, senza comprendere fino in fondo il perché della
sensazione
provata allora e, solo anni più tardi, lo avrebbe capito davvero.
Sorridendo, si avvicinò con lentezza a Giancarlo, che stava ancora conversando
con il bambino.
«Ah, grazie. Sì, mi serviva proprio»
fece il giovane, prendendo la sua trottola personale, offertagli dalla
ragazza. «Ti faccio vedere come si fa».
Michele, però, non lo ascoltava più, lo fissava e basta, a bocca
aperta. Probabilmente, aveva capito chi era e stava cercando di ritrovare i
tratti dell’adolescente campione di beyblade nei lineamenti
non più acerbi del giovane uomo che aveva di fronte.
«Quel bey... ma tu... tu devi essere... Gianni
Tornatore!»
«Eh, già. Mi hai scoperto!» fece lui, ammiccandogli. «Dunque, mi permetti di
mostrarti un paio di dritte?»
Quando, circa mezz’ora più tardi, il bimbo li
salutò felice, contento di aver appreso importanti consigli
da parte di un grande campione, Aida scoccò al biondo
un’occhiata incuriosita e interessata.
«Allora non è solo con Samir, con i bambini ci sai
proprio fare!» considerò.
«Il livello di maturità è all’incirca
quello, perciò riusciamo a comprenderci» scherzò il ragazzo.
«È molto bello quello che hai fatto, sai?»
gli disse, incurvando le labbra.
Giancarlo, però, si limitò a scrollare le spalle, in lieve
difficoltà, concentrandosi
sul proprio orologio.
«Si è fatto tardi, dobbiamo andare. Anche se non
prenderemo parte al ricevimento, dobbiamo comunque passare da casa, giacché i miei ci
aspettano».
Improvvisamente, una goccia di pioggia lo colpì in pieno sul
collo: un’inattesa caligine di nubi aveva coperto il cielo,
facendo piovere copiosamente.
I due ragazzi, allora, si
misero a correre, costeggiando gli imponenti e antichi ruderi, per
attraversare quindi il viale e lasciarsi indietro il Colosseo, i
Mercati Traianei ed i Fori. Il tempo di arrivare ai tornelli della
linea B della metropolitana ed erano già bagnati fino al
midollo.
«Che iella quando comincia a piovere così! Siamo completamente zuppi, peggio che se ci fossimo
buttati in un lago!» esclamò Giancarlo,
scompigliandosi la chioma bionda e strizzandosi un lembo della tasca
dei pantaloni.
«Oh, dai, basterà una doccia calda, vestiti
asciutti e saremo come nuovi!» replicò Aida, per
nulla turbata.
«Certo e, se la metro non tardasse, potrei quasi sperare di non
farti prendere un malanno e non sentire le ingiurie di tuo
fratello» le rispose, stizzito.
«Ma va, io resisto bene alle intemperie!» rise la
ragazza, scorgendo la sua insofferenza. «Sei davvero uno
spettacolo quando devi prendere la metro» aggiunse.
«Per fortuna, per portarti a vedere i Castelli
Romani, questa sera, mio padre mi ha concesso di usare la mia A4»
sospirò lui.
«La tua
A4?»
«Sì, è il regalo che mi ha fatto mio
zio Guido per i miei ventun anni, anche se è solo
un’automobilina per iniziare a fare pratica, niente di
più».
La fanciulla, allora, lo fissò stranita e severa. Giancarlo lo
notò subito e le chiese: «Aida, c’è
qualcosa che non va?»
«Qualcosa che non va?
Le tue stanze sono
più grandi del nostro appartamento di Alessandria e in questi
giorni mi hai pagato tutto, sborsando fior di quattrini, per non
parlare del gioiello che mi hai regalato, che costa come il mio
stipendio annuale. E chiami
un’Audi berlina, un’automobilina. No, va tutto
benissimo!» commentò lei, sarcastica.
Il giovane, a quel punto, si accorse di aver commesso una leggerezza e si
affrettò a scusarsi: «Mi dispiace, Aida, non
volevo mancarti di rispetto...»
«A volte, mi chiedo se davvero noi due non siamo troppo
diversi» lo interruppe, però, lei, scuotendo la testa, intristita.
Quelle parole lasciarono Giancarlo pietrificato e per un po’
nessuno dei due disse nulla.
Intanto, dopo aver sceso le scale, i due giunsero sulla banchina,
trovandola affollata, come in ogni giornata di pioggia, continuando a tenersi per mano: non avevano
smesso per un solo attimo di farlo, come se temessero il
momento in cui avrebbero parlato, coscienti che niente, nel bene e nel
male, sarebbe stato più come prima.
Alla fine, prendendo coraggio, il ragazzo si girò verso Aida per
chiederle finalmente cosa avesse deciso, poiché voleva
sapere se per lei sarebbe potuto essere un conoscente, un amico o un
amante e
se potesse sperare di abbracciarla ancora, di ripeterle
all’infinito quanto fosse importante per lui, di continuare a
ricevere le sue carezze spontanee e delicate.
Dal canto suo, sentendosi osservata, anche la fanciulla si voltò,
malinconica.
«Rinviare ulteriormente, renderebbe tutto solo più
difficile, quindi credo che sia arrivato il momento di rispondere alla domanda che mi hai fatto lo scorso febbraio».
Il biondo avvertì la salivazione sparire del tutto,
mentre il cuore rallentava i battiti e Aida si lasciava andare di nuovo ad un sospiro
addolorato.
«Giancarlo, io ho riflettuto molto sulla tua proposta e ho
capito che ci sarebbero alcune cose che sarebbero davvero difficili da
conciliare, in una relazione a distanza come la nostra, perché siamo troppo
lontani. Inoltre, a gennaio dovrò discutere la tesi e vorrei
lavorare un po’ per il museo de Il Cairo, che è il mio
sogno fin da bambina. Sai, io voglio darmi da fare, voglio coltivare la mia
passione per l’arte e... noi apparteniamo a due mondi molto
differenti».
«Non è vero, Aida, il mondo è uno solo...»
«No, Giancarlo, non è così e non far
finta di non saperlo» lo interruppe bruscamente lei, togliendosi una goccia
di pioggia dalla guancia. «Inoltre, naturalmente, devo ancora
occuparmi di
Samir».
«Di Samir possiamo prenderci cura insieme, lo sai che non
aspetto altro...» tentò di protestare lui, avvertendo lo stomaco contrarsi per il dispiacere.
Aida, però, scosse lentamente la testa, triste: «No...»
Giancarlo chiuse gli occhi e deglutì, vedendo andare in fumo anche
l’ultimo residuo di speranza. Allora, smise di
respirare, così stravolto cda non avere neanche la forza di
disperarsi: l’aveva rifiutato.
Chinò il capo, sconfitto, sentendo qualcosa dentro di sé che
si inceneriva e si lacerava.
«... non ancora. Non ho finito di dirti tutto»
continuò, tuttavia, la fanciulla.
«Vuoi che rimaniamo solo amici, lo so. Me l’hai
detto» mugugnò lui, con tono ostile. Per un
attimo, avrebbe tanto voluto cedere alla tentazione di fare come il
bambino capriccioso che non ha ottenuto il suo gioco, ma si impose di
comportarsi da uomo e accettare la disfatta. Non voleva che Aida lo
ritenesse un ragazzino viziato, visto che grazie a lei non lo era più.
Ma, a quel punto, lei sorrise e, gentilmente, gli alzò la testa,
affinché i loro occhi si potessero incontrare: era
graziosa e dolce, anche inzuppata d’acqua e mentre gli stava dando quel grande e terribile dolore.
«No, non è questo. Voglio aggiungere, invece, che io non
riuscirei ad immaginare una vita senza di te. Ormai ne fai
parte, anch’io ho bisogno di te e
non potrei sopportare l’idea di saperti con
un’altra donna» gli sussurrò con tenerezza.
Scombussolato, il ragazzo impiegò qualche istante per capire cosa gli aveva detto.
«M-Ma... allora...» cominciò a
balbettare, spalancando gli occhi, prima che la giovane lo fermasse.
«E l’unico modo per stare insieme
è anche il più difficile: io voglio sposarti, ma
non subito. Quindi, ora ti faccio io una domanda: Giancarlo, sei pronto ad aspettarmi?»
«Aspettarti? Mi stai chiedendo di aspettarti?»
esclamò, irritato, cedendo volentieri alla collera.
«Diamine, mi hai quasi ucciso solo per chiedermi
tempo?»
«Non è solo tempo. È fiducia, pazienza, lontananza...»
«È il prezzo da pagare per la serenità!»
concluse lui. «Da quando ti conosco, la mia vita
è migliorata. Mi hai insegnato il rispetto per gli altri e
per me stesso, al punto che ho imparato ad aspettare e sono pronto a fare dei
sacrifici pur di starti accanto. Dannazione, Aida, vuoi capire
una buona volta che sono pazzo di te?!»
La fanciulla lo guardò, dapprima inespressiva, poi un
enorme sorriso le
illuminò il viso.
«Anch’io ho appreso diverse cose da te. Per esempio, mi hai
dimostrato con quanta intensità un uomo può amare
una donna».
Il biondo spostò gli occhi da un’altra parte,
sospirando e arruffandosi i capelli sulla nuca, indeciso se provare
più imbarazzo, sollievo o chissà cosa.
«Almeno, però, mi permetterai di presentarti quanto prima come mia
fidanzata ufficiale? Al matrimonio di McGregor vorrei averti accanto a
me».
«Ecco un altro motivo per cui mi serve tempo: devo abituarmi
alle regole della società alla quale appartieni, per me è tutto
nuovo e la cosa mi spaventa non poco. A volte mi sento così
goffa... ho paura di non essere all’altezza delle tue
aspettative... e non solo per quel che riguarda
l’etichetta».
Giancarlo colse l’espressione affranta di Aida e
intuì molti più timori di quanti ella ne stesse
effettivamente esprimendo a parole.
«Basta così!» le disse, togliendole una
ciocca di capelli bagnati dal viso. «So che non
sarà facile e che ti sto chiedendo molto, ma le
difficoltà, in una coppia, si affrontano insieme. Io
l’ho imparato dai miei genitori ed ora tocca a me metterlo in
pratica».
«Dovrai avere molta pazienza con me e con le mie
insicurezze».
«Non più di quanta ne dovrai avere tu con me e con
la mia esuberanza. Stai tranquilla, affronteremo una cosa alla volta,
al momento giusto e senza fretta, d’accordo? Voglio godermi ogni sfumatura della
nostra relazione».
Dopo quello scambio di battute, la fanciulla parve finalmente un po’ più serena.
«Io temo anche il confronto con tua cugina. Non
sarò mai al suo livello e mi odia...»
«Ti odia perché crede di essere superiore e di
poter ottenere qualsiasi cosa o persona le piaccia» il
ragazzo si trattenne un attimo, ma poi decise di rivelarle il suo ultimo
segreto. «Ascolta, lei è gelosa del sentimento che provo
per te perché non mi vede solo come suo cugino. Da me
vorrebbe attenzioni molto più... consistenti. E, se io avessi
sposato Maria Chiara, Claudia avrebbe potuto sperare di continuare a
condividere tutto con la sua amica» ammise, avvampando di
amara umiliazione.
Aida lo fissò, avendo capito finalmente tutto. Poi, con grande sorpresa di lui, sorrise
e cominciò ad accarezzargli dolcemente una guancia.
«Tu non sei una persona qualsiasi, quella cui ho
donato il mio cuore e tua cugina dovrà farsene una ragione,
perché io non condivido il mio ragazzo con nessun’altra. Non vergognarti anche per
colpe che non sono tue, non sarebbe giusto».
Rincuorato, lui le prese la mano, mettendola a contatto con le proprie labbra, grato.
«E tu non devi invidiare niente a nessuna. Io desidero che tu
rimanga come sei, quindi non
dire mai più che dovrei tornare alla mia vita di prima e sciocchezze simili».
La ragazza si irrigidì, allibita.
«Hai... hai sentito ciò che ho detto?»
«Ogni singola parola» fece il giovane, malizioso,
tornando a sorridere sereno.
Imbarazzata, Aida si portò la mano libera sulla bocca: «Hai
origliato! Eri sveglio! Perché non me l’hai fatto
capire?»
«Perché volevo sentire cosa avevi da raccontarmi.
Senza contare che sarebbe stato imperdonabile perdermi un tuo
bacio».
Sempre più in difficoltà, lei si girò dalla parte
opposta, scuotendo la testa. Allora, Giancarlo rise, allegro,
trattenendola e attirandola a
sé.
«Che cosa ne dici, ora potrei essere io a ricambiare, no? Ma prima
devi chiarirmi una cosa: non ho capito bene le ultime parole che mi hai
detto, potresti ripeterle, per favore?»
Aida lo guardò di sottecchi, sorridendo sostenuta.
«La sa una cosa, signor Tornatore? Lei è un
grandissimo sfacciato! Studia l’arabo e non ha capito una
frase semplicissima?»
«Potrei capirla meglio se mi dessi un aiutino...» le bisbigliò voluttuosamente lui in un orecchio.
«Solo se lei mi ripete cosa mi ha borbottato ieri, a
Piazza di Spagna» gli rispose, però, quella, non
dandosi per vinta.
Sinceramente ammirato, il ragazzo fece una smorfietta divertita e soddisfatta.
«Bene, bene, abbiamo un osso duro. Meglio così, le
cose facili mi annoiano» affermò, poi si chinò su
di lei e le sussurrò, molto vicino alle sue labbra. «Ti ho
chiamata... Amore mio».
La fanciulla si prese una manciata di secondi per gioire di quelle
parole semplici, ma così pregne di grande significato.
«Ed io ti ho detto ana bahebek, ma dovrai capire da solo che cosa
significa» cantilenò.
«Scommetto che è qualcosa che ha a che fare con
questo» disse, allora, Giancarlo, chinandosi per baciarla, ma non
ne ebbe il tempo, distolto dal sottile refolo proveniente dal
fondo della galleria e che annunciava
l’imminente sopraggiungere del treno.
«Mmm, Giancarlo? La metro è quasi
arrivata» gli fece notare lei.
Lui si fermò bruscamente e lanciò una rapida occhiata
davanti a sé, per poi tornare a concentrarsi su Aida.
«Che venga, che parta, chissenefrega. Sto rivalutando il
sistema di trasporti sotterraneo, sai? Ne verrà
un’altra».
«Sì, ma tra...» la fanciulla
controllò l’avviso luminoso. «Otto
minuti. Tuo padre potrebbe rimproverarti per il ritardo e Rami potrebbe
avere qualcosa da ridire se dovessi prendermi un raffreddore a causa della pioggia gelata».
«Ritardo? Che sarà mai! Saremo lontani per
così tanto tempo che voglio sfruttare ogni secondo con te. Mi hai detto che resisti bene alle intemperie, no? E
poi, posso provvedere a riscaldarti io, ti prometto che non riporterai
alcun malanno» le assicurò, sensuale,
cominciando a sfregarle piano la schiena. «Ah, già
che ci siamo, impara una nuova regola, biscottino: mai interrompere
Giancarlo Tornatore quando è impegnato a coccolare la sua
meravigliosa ragazza».
Stava appunto per apprestarsi di nuovo a lei, quando una torma di persone,
intente a cercare di stiparsi all’ultimo nel vagone, si
riversò sulla banchina lastricata e impantanata di pioggia,
costringendo i due giovani ad addossarsi alla parete.
«E fate passa’!» sbottò loro
un energumeno, mentre si accalcava. «Non ve mettete in mezzo
alle scatole, se dovete fa’ i baccalà!»
«E dai, caro, guarda che bel giovane e che ragazza graziosa!
Sono così carini!» trillò, invece, quella che
doveva essere sua moglie.
«Se dovete pomicia’, annateve a cerca’
’n artro posto! ’Sti pischelli
d’oggi...» bofonchiò di nuovo quello, facendo
orecchie da mercante, prima che le porte si richiudessero dietro di lui.
Il ragazzo, nel frattempo, aveva contato fino a dieci per evitare di rispondergli per le
rime in dialetto stretto, preferendo continuare a
fare il signore.
«Non credo di aver capito tutto quello che ha
detto» fece Aida, perplessa, abbracciata a lui.
«Ignoralo» le rispose l’altro, agitando una mano.
«Ora che ci penso, era un po’ che nessuno diceva la
sua. Cominciavo a preoccuparmi».
La fanciulla rise fino alle lacrime, mentre la metro partiva e la
banchina tornava quasi deserta.
«Allora, dove eravamo rimasti? Ah, ma certo...»
«Giancarlo?»
«Sì?» le fece lui, lascivamente ispirato e
già proteso verso di lei, arrestandosi di nuovo.
«Ci sarebbero altre due cose che dovrei dirti»
avanzò Aida, incerta.
«Ancora?» esclamò lui, tra lo
sconcertato e lo stupito.
«Ecco, per prima cosa, non è necessario che tu
reprima la tua indole da casanova, visto che fa parte della tua
personalità...»
Il giovane inarcò all’inverosimile un
sopracciglio, fissandola dubbioso, ma lei continuò:
«E a me non dispiace, se espressa con moderazione.
Purché tu la esibisca esclusivamente con me,
ovviamente» concluse, ricalcando opportunatamente
le ultime parole.
Giancarlo sogghignò, riservandole un’occhiata
malandrina.
«Be’, questo mi era parso implicito. Vuoi
più coccole? Vedrò come accontentarti,
zuccherino, e... cos’altro devi dirmi?»
«Oh, ecco...» sussurrò la fanciulla,
tentennante, «che avevi ragione sui tuoi begli occhi: hanno un colore stupendo».
Troppo contento per quel complimento diretto, Giancarlo cominciò ad accarezzarle i
capelli, limitandosi ad aggiungere: «Bene, ora
penso che sia arrivato il momento di recuperare i sei tentativi di
baciarti andati in fumo».
«Sei?» replicò la ragazza, tentando di
fingersi impressionata e non riuscendo invece a trattenere una buona
risata. «Sicuro che non siano di più?»
«Se escludiamo gli ultimi, rendiamo la cosa meno assurda e
imbarazzante di quello che è» commentò
l’altro con una smorfia, cui seguirono altre risate da parte
della fanciulla.
«Dovrai essere molto bravo, per far tutto in meno di otto
minuti» gli ricordò Aida, mentre gli sistemava
con delicatezza il colletto del trench inumidito e si sollevava in
punta di piedi, sorridendogli con la dolce e fiduciosa timidezza di
sempre.
«Gioia mia, tu mi sottovaluti» scandì
il biondo, a dir il vero più serio che faceto,
stringendola maggiormente a sé.
Quasi otto minuti a disposizione, quasi quattrocento ottanta secondi... se li sarebbe fatti bastare.
Iniziò con un bacio sulla fronte: uno, quello che le avrebbe
volentieri dato quella sera lontana, ad Alessandria, quando
l’aveva ascoltato senza giudicarlo.
Poi scese e le baciò la guancia: due, ciò che
aveva tentato di fare quando le si era proposto.
A quel punto, indugiò sul collo con ardente bramosia: tre, il preludio di
quel bacio non dato sul Tevere, in quel momento di forte, intensa passione non del tutto manifestata.
Infinie, arrivò sull’angolo della bocca: quattro, il bacio
salvifico che aveva cercato sulla terrazza, durante la prima visita a
Roma della ragazza.
Quindi si spostò di poco e le regalò un contatto
leggero, dato per prendere confidenza con quelle labbra tiepide, per le
quali aveva tanto sospirato: cinque, il bacio trattenuto a stento
davanti allo specchio cinquecentesco.
Allora, Giancarlo si discostò un momento per assaporare meglio il
sapore della sue labbra: erano dolci, come aveva intuito.
La gioia che gli dava tenere stretta la sua Aida, la
ragazza che lo aveva aiutato a non aver più paura di
ammettere i propri limiti, mettendo invece a frutto le proprie
potenzialità, era smisurata e sarebbe stata molto difficile da
tradurre in parole, come la sconfinata soddisfazione di aver
conquistato il suo cuore con le proprie forze. Non vedeva l’ora
di
vivere il suo futuro con lei, un futuro forse semplice e spoglio di
clamori, ma limpido e sereno.
I due si guardarono ancora una volta, sorridenti e vicendevolmente
abbracciati, prima di chiudere nuovamente gli occhi e abbandonarsi
entrambi ad un bacio intensamente passionale, ma altrettanto profondo
ed
autentico: sei, ma che in realtà non era il sesto,
bensì il loro primo vero bacio, il quale valeva per tutti
quelli che non c’erano stati e anticipava quelli che
sarebbero venuti. E, per Giancarlo, era anche qualcosa di più:
era il suggello della sua piena riuscita, il premio per i suoi sforzi,
il riconoscimento del suo sentimento puro e sincero.
Stettero per un po’ così, l’una tra le
braccia dell’altro, bagnati com’erano e addossati
alla parete non propriamente lustra, sotto la fioca e tremula luce
delle gallerie della metropolitana di Roma, in quell’aria
opprimente e rarefatta, incuranti di essere esposti alla vista dei
passanti.
Dopotutto, che importanza poteva mai avere per Aida e Giancarlo scambiarsi il
primo vero bacio a venti metri di profondità? Proprio
nessuna.
In fondo, avevano i loro quasi otto minuti fuori programma da passare
insieme.
E poi, non venite a raccontarmi che, a volte, la lentezza dei mezzi
pubblici non può giocare a vostro favore.
***
Gli eventi e i personaggi
narrati in questa storia sono frutto di fantasia, per tanto ogni
riferimento a luoghi, cose e persone realmente esistenti è
puramente casuale.
Il marchio “Beyblade” e i componenti
dell’EuroTeam/Majestics appartengono a Takao Aoki e BB
Project. Tutto il resto appartiene a me.
Ringrazio Aly
per la supervisione sul testo in corso d’opera.
Per la revisione a posteriori, ringrazio Lady
Viviana per la sua gentile collaborazione e
disponibilità.
***
[N.d.A.]
1. baklava:
dolcetti tipici egiziani, fatti di pasta sfoglia imbevuta di sciroppo e
farciti con granella di noci e pistacchi;
2. roobois:
pianta simile al té, originaria del Sud Africa. Se ne ricava
un infuso che è detto comunemente té rosso;
3. Celeste... fior:
sono i
primi versi della romanza che Radamès intona
nell’atto I - scena
prima dell’Aida
di Verdi; il libretto, invece, è di Antonio Ghislanzoni;
4. visitatrice... torna:
è il significato del nome secondo l’etimologia
araba;
5. Agape:
è la parola
greca che indica l’amore gratuito; esso si contrappone e
completa
l’Eros
(inteso nell’accezione platonica e non freudiana),
l’amore
passionale.
***
Grazie a chiunque sia passato di qui, vecchio o nuovo lettore che sia.
Halley
S.C.
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