Childhood.

di Lucy_lionheart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di Sorrisi e altre Invenzioni. ***
Capitolo 2: *** Di spade e Penne ***
Capitolo 3: *** Di Sangue e Gigli. ***



Capitolo 1
*** Di Sorrisi e altre Invenzioni. ***


due 2. Di Sorrisi e altre Invenzioni.






<< Marina, lascia stare, ti prego. >>
<< No! Voglio provare! >>

Alle tue spalle, sentisti la voce maschile sbuffare e te lo immaginasti, mentre esausto si passava una mano sul volto.
L'aveva ripetuto migliaia e migliaia di volte che non voleva che tu testassi le invenzioni; questo perché eri "un'adorabile e fragile piccola donna".
Sull'essere carina e piccola, a sforzarti, potevi anche dargli accordo: dimostravi su per giù nove anni e avevi i capelli raccolti in due lunghe trecce.
Ma a smorzare quella tua femminilità era il vestito infilato in modo arruffato e casuale dentro i mutandoni e le tue gambe sbucciate da innumerevoli cadute.
Nonostante fossero passati due anni dal vostro incontro, ancora non era passata la ferma convinzione del fiorentino di trasformarti in una bambina femminile e ben vestita, un qualcosa che a detta sua, grazie all'eleganza e alla leggerezza dei suoi movimenti, saresti potuta tranquillamente essere.
Ma con te no, ogni sforzo era perso.
Eri una peste, un piccolo diavolo. Anzi, un maschiaccio.
Un maschiaccio tremendamente carino.

<< Marina, non farmi arrabbiare! >>

Leonardo ti richiamò di nuovo, ancor più esasperato di prima. Arrabbiarsi? Lui? Non l'avevi mai visto fare ciò, al massimo s'innervosiva con i suoi assistenti quando toccavano qualcosa che non dovevano.
Ma arrabbiarsi, no, non era dal tuo caro Leonardo.
E non era da te demordere.

<< Maestro, la prego! Sono sicura che quest'invenzione funzionerà! >>
<< Non voglio rischiare con te! >>

Protestò immediatamente il biondo trentenne, osservando con aria scettica la struttura piramidale che ti portavi sulle spalle.
Aveva girato un attimo gli occhi ed ecco che tu e il paracadute eravate spariti dal laboratorio! Gli era toccato rincorrerti per tutta Firenze ( e lui, forse per fargli pagare l'avere un cervello tanto ben funzionante, era tutt'altro che un corridore ) fino a colle di Fiesole, dove ti aveva trovata in quelle comiche condizioni - povero il vestito che ti aveva comprato! - e con il paracadute ben fissato sulle spalle.
E da mezz'ora era lì, intento a dissuaderti.
Persa la pazienza l'uomo si alzò e, con passo deciso, si diresse verso di te.

<< Guarda che mi costringi a fare... >>

Borbottò, sollevandoti da terra mentre tu scalpitavi e gli ripetevi di rimetterti giù; ma nulla, non serviva a niente con lui!  Così, in un attimo, il meccanismo si sciolse e il paracadute s'accasciò a terra;
tu, con braccia, gambe e labbra incrociate, te ne stavi a penzolare dalle braccia del tuo Maestro.

<< Ma uffa. >>

Quella fu l'unica cosa che sei riuscita a dire, con un tono arrabbiato e innervosito;
inutile dire che, alle orecchie di Leonardo, risultò tutto tanto carino e buffo da farlo scoppiare a ridere genuinamente e senza la minima intenzione di trattenersi.
No, niente, nessuno dei due ce la faceva ad arrabbiarsi con l'altro.
L'uomo ti sorrise, posandoti nuovamente a terra e inginocchiandosi, in modo d'essere nuovamente alla tua poca altezza e tutti i tuoi tentativi di fare la finta offesa crollarono, nel momento esatto in cui i tuoi occhi color nocciola incrociarono i suoi, azzurri come il cielo a cui tanto ambiva.

<< Andiamo a casa, Marina. >>
<< Va bene... >>

Soffiasti quelle parole, lasciando che l'uomo stringesse la tua piccola mano nella sua, prendendo velocemente la strada che scendeva lungo la collina fiesolana.
Nell'inoltrarsi del pomeriggio i tuoi occhi potevano vedere Firenze tingersi di ombre rosseggianti, giudicandola ancora più bella di quello che normalmente già era.
L'Arno sembrava infuocarsi al risplendere del sole, i passanti sbadigliavano, parlottando e tirando le somme della giornata ormai giunta al suo esito.
Ma alla Bottega del caro Maestro si continuava, nonostante finisse il tempo dei lavori e iniziasse quello del bere e del divertirsi, anche in modi non esattamente consoni.

<< Maestro, dipingiamo quando arriviamo a casa? >>

Già. dipingere.
Da quel giorno era diventata la tua più grande passione.
Ricordavi bene quando, nei primi giorni dell'anno che era appena arrivato, avevi rincontrato alla corte del Principe il sorriso dell'uomo che ti si era presentato poco tempo prima, mentre era intento a raffigurare il cadavere penzolante del Bardini.
Lui ti aveva sorriso e ti era corso incontro, come se ti avesse conosciuto da sempre; e tu, in quel preciso istante, ti eri resa conto di quanto eri felice di rivederlo.
Avevi passato il pomeriggio a parlare con lui e il giorno dopo ti eri presentata alle porte di quella che ti avevano detto essere la sua residenza con le gambe tremanti e le guance rosse.
Lui, nonostante fosse immerso nel lavoro, ti aveva accolto con un enorme sorriso, scompigliandoti i capelli, ma storcendo il naso alla vista dell'armatura.

<< Hai paura che ti aggrediscano per strada? >>

Aveva commentato, spingendoti con gentilezza dentro l'abitazione disordinata, in cui avevi notato con estrema sorpresa quello che, senza ombra di dubbio, era proprio un cadavere.
L'avevi guardato leggermente storto, non emettendo un suono, cercando istintivamente la superficie smerlata dell'elsa della tua spada.
A quel vedere lui aveva riso, decidendo di coprire il corpo con un telo li vicino.

<< Tranquilla, tranquilla. Sono studi anatomici... quest'uomo non so nemmeno chi sia! >>
<< N-Non lo sospettavo. >>

Avevi commentato, negando quella che invece era l'evidenza. Dall'uccisione del fratello del Magnifico dubitavi di ogni persona capace di impugnare anche solo un coltello da cucina.
Ma per qualche strano motivo, in quell'occasione sentivi che potevi abbandonare la spada... che quell'uomo non ti avrebbe sfiorato capello, se non per carezzarlo.

<< Avanti, fattela togliere. >>

Aveva detto, facendoti sussultare e allontanare da quelle mani che, velocemente, si prolungavano verso di te.
No, l'armatura non si toglieva!  Era la tua difesa, la tua difesa da tutto... che esso fosse fisico o sentimentale.
L'uomo, capito che non c'era nulla da fare, ritirò le mani, posandole sui suoi fianchi, in un leggero sbuffo.

<< E va bene, va bene, hai vinto. Ma ti avverto, è solo un peso... >> Disse, voltandosi, diretto chissà verso quale angolo della stanza, regalandoti l'ennesimo particolare sorriso.
<< Qui niente e nessuno ti arrecherà mai dolore.
Qui si lavora per il tuo splendore. >>

E fu con quelle parole che l'uomo di conquistò; furono quelle parole a spingerti a presentarti lì anche il giorno dopo...
con i capelli sciolti e un vestito color crema merlettato.
Da lì in poi, ogni giorno andavi nella casa di quell'artista, chiamato Leonardo, che ti aveva regalato un vestito nuovo (forse troppo femminile, per te), tanti fogli e un quaderno.

<< Ti insegnerò poi a usare colori e pennelli. >>

Aveva detto in quell'occasione.
Inaspettatamente, avevi iniziato a preferire il pennello alla spada e, assieme al tuo tratto, anche la tua lingua si era sciolta.
Finalmente sorridevi di nuovo.


Quella che eri arrivata a chiamare "casa" apparì dietro l'angolo, nell'esatto momento in cui tu rivolgesti quella domanda a Leonardo, il quale ti sorrise con gentilezza.

<< Mi spiace, ma questa sera devo lavorare con Salaì. >>

Bastò quel nome a farti stringere più forte la mano a quella dell'artista.
Tutto, andava bene tutto. Ma quel tipo no, eh!

<< Maestro, non è giusto! >>

Dicesti, mentre attraversavate il cortile.

<< E Salaì qui, e Salaì là, quello fa solo disastri! E poi chi pulisce? Io! Perché manco quello gli riesc- >>
<< Sono qui dietro, peste. >>

La voce ti fece sussultare per la sorpresa; velocemente voltasti il collo, scontrandoti con la figura di un uomo ricciolo, seguito da un altro che a stento tratteneva le risate. Il primo se ne stava a braccia consorte, osservandoti con gli occhi vispi e ambrati.
Ti aveva sentito; un'altra volta.
Ma che eri tanto gelosa di Leonardo era ormai un fatto noto, no?
Senza farsi troppi problemi il ricciolo ti afferrò lì dove si sentiva il bordo dei mutandoni, sollevandoti con ben poca grazia e tu mandasti un piede in avanti, indirizzato a colpirlo senza nessuna gentilezza.
Leonardo si passò la mano sulla faccia.
Quanta pazienza ci voleva con voi due.

<< Mollami! Non è colpa mia se non sai fare nulla! >>
<< Lingua serpentina che non sei altro, non sarei qui se non fosse così! >>
<< O se tu non avessi quei tuoi bei riccioli! >>

Esclamasti, afferrando una delle lunghe ciocche castane, splendenti di riflessi color fiamma.

<< Maestro, è troppo buono con questa bambina... >>
<< No, è troppo buono con te! >>
<< Gian Giacomo, mollala. >>

La voce del moro, tale Marco d'Oggiono, interruppe la zuffa tra te e il Caprotti, che però non accennò a mollarti.

<< Visto? Anche Marco mi dà ragione! >>

Affermasti, rivolgendogli un sorriso sbeffeggiante. Lui fece per aprire nuovamente bocca, ma la voce di chi in quel gruppo dava i comandi si fece sentire e tu, immediatamente, sentisti nuovamente il terreno sotto ai piedi.

<< Saladino che non sei altro, lasciala andare. >> Disse Leonardo, unico a cui il Salaì obbediva. << E andiamo, che dobbiamo lavorare... Marco, ti affido Marina. >>

Disse, mentre tu ti dirigevi verso l'uomo, lasciando che esso ti prendesse sulle spalle. A differenza del primo, con il secondo assistente di Da Vinci avevi un buon feeling.
Forse perché non era così attaccato al Maestro.
Rivolgesti al Salaì la linguaccia, appena esso ti diede le spalle, facendo ridere Marco.

<< Quanto sei gelosa, piccoletta. >>
<< Puoi giurarci. >>

Non pronunciasti parola in più, mentre affondavi una mano nei suoi capelli corvini.
Lui sorrise, soffiando quando una delle tue trecce gli arrivò sul naso.
Sapeva che in quei casi c'era una sola cosa che ti tirava su il morale.

<< ... mettiti il vestito nei mutandoni, che adesso giochiamo a Palla. >>






















Erano passati più di venti anni da quando tu e Marco vi eravate messi a giocare al tramonto a palla e tu, "senza volerlo" l'avevi calciata prendendo in pieno gli adorabili riccioli di Gian Giacomo Caprotti, facendo ridere il Maestro, che ti disse di ricordare il movimento che avevi compiuto, perché magari avrebbe potuto costituire un qualche nuovo gioco, o un pizzico di pepe in quello esistente.
Ne erano passati, invece, undici da quando Leonardo aveva iniziato a appuntare in bella calligrafia i suoi studi sul volo, facendo rompere una gamba al povero Tommaso, cavia " volontaria e ben disposta" a lanciarsi dal Colle di Fiesole con il paracadute.
Quattordici da quando il Maestro, tornato a Firenze, ti aveva incontrato -purtroppo- in compagnia di uno scontroso con una barba più folta della sua, che portava il nome di Michelangelo Buonarroti, con cui, a dispetto di ogni tua previsione, ci fu una spietata rivalità fatta di secche critiche artistiche e parole velenose, traboccanti d'intelligenza.
E pochi mesi, da quando lo avevi seguito in Francia.
Già, Francia.
Quel paese ti aveva sorpreso tanto quanto la sua incarnazione, Francis.
Non tirava aria buona con quel biondo, no, non ne tirava affatto.
Insomma, era troppo.. troppo.
E tu eri solo una bambina fin troppo gelosa del tuo ormai vecchio Maestro.

<< Marina, siamo arrivati. >>

La voce della persona che si trovava con te nella carrozza ti distrasse dal seguire la linea che le gocce di pioggia disegnavano al di fuori di essa.
Eri tornata per pochissimo tempo a Firenze, assieme a Francesco Melzi, il più fidato degli assistenti di Leonardo, tanto che aveva battuto su quella scala pure Gian Giacomo.
Anche tu lo preferivi; era più silenzioso, più sorridente, più intelligente e meno sbruffone.
Molto più simile al tuo Maestro.

<< Starà bene? Con questo diluvio... >>

Francesco sorrise, scompigliandoti i capelli con un sorriso.

<< Tranquilla. E' un po' pazzo, ma non incosciente. >>

Scendeste assieme dalla carrozza, non appena essa si fermò proprio davanti al portone del castello di Clos-Lucè, evitando di bagnarvi i vestiti sotto quell'acquazzone.
Nello scendere frettoloso, però, notasti una fila di carrozze; e quelle di chi erano?
Chi mai poteva essere venuto a far loro visita?
Salisti quasi correndo le scale, seguita dal povero Francesco, che ti ripeteva di non correre veloce, poiché rischiavi di scivolare sui gradini bagnati.
Ma mano a mano che salivi, sentivi delle voci, tante e rumorose, che t'incuriosivano, tanto che superasti l'ultimo scalino quasi saltando.
Ti affacciasti nel salotto, trovandolo invaso: il Re, la sua corte, una moltitudine di nobiluomini francesi, tutti attorno al tuo Maestro.

<< Bonjour, Marì. >>
<< Francis! >>

Sussultasti, alzando gli occhi su quelli azzurri del ragazzo, che ti sorrideva, con in mano una bicchiere ricolmo di vino ( sì, già a quell'età, ma lui continuava a dire che era come bere acqua, almeno fin quando non si ubriacava ) .
Magari a lui avrebbe potuto chiedere!

<< Francis, sai dirmi cosa succede qui? >>
<< Ma come, non lo sai? Proprio tu, Marì, mi deludi. >> Ridacchiò, buttando giù l'ennesimo sorso. << Il Maestro Léonard de Vinci ha appena concluso il suo quadro. >>

Quelle parole ti illuminarono gli occhi. Aveva concluso... il Maestro aveva concluso!
Schizzasti a velocità quasi inumana nella sala, mollando lì il biondino e passando senza fare complimenti fra le calzamaglie di tutti quegli uomini, che sbottavano al tuo passaggio.
Finalmente, al quarto spintonato, intravedesti la barba canuta del caro Leonardo, seduto su uno di quegli stupidi e scomodi divanetti.
Lo raggiungesti e lui, che ti aveva già adocchiata da un po', ti sorrise.

<< Ecco la mia bambina! Allora, che si dice a Firenze? E' bella come la ricordo? >>
<< Maestro, avete davvero finito la Monna Lisa? >>

Chiedesti, troppo curiosa per avere la pazienza di rispondere alle domande.
Lui ti sorrise, annuendo con la testa, mentre alle tue spalle era arrivato anche Francesco.

<< E... avete fatto tutto da solo!? >>

A quella tua frase l'intera sala scoppiò a ridere, mentre Leonardo e il Melzi non emisero sillaba, quasi facendo finta che nulla ti fosse uscito dalla bocca.
Tu, nel sentire quelle risate fragorose, arrossisti per la vergogna, mordendoti il labbro.

<< Che sciocca bambina, chi vuoi che lo abbia fatto? >>
<< Oh, sarebbe il colmo, non trovate? >>

Da lì, l'imbarazzo fu talmente tanto che non facesti più uscire parola dalla tua bocca.
O almeno, fino a quando...







<< Marina! >>

Esclamò Leonardo con voce roca, vedendoti far capolino dalla porta dei sotterranei, dov'era solito lavorare.
Avevi un'aria imbronciata, le mani sporche e il vestito imbrattato di fango.
Con gli occhi bassi e la bocca piegata in un ringhio, corresti dal tuo caro Maestro, lasciando sbalordito pure Francesco, che mai ti aveva visto in tali condizioni.
Il vecchio genio ti fece sedere sulle sue gambe, mollando per un attimo il carboncino con cui stava schizzando sulla tela avanti a lui.
Ti sorrise, in un misto di dolcezza e preoccupazione.

<< Bambina mia, che hai fatto? >>
<< Ho litigato con Francis. >>

Leonardo sospirò, lanciando un'occhiata al suo assistente.

<< E questo perché? >>
<< Diceva che... che dato che lei aveva finito il quadro qui in Francia, allora era di sua proprietà.  Ma non è vero, lei lo ha iniziato quando era da me! >>
<< Capisco. E come si collegherebbe, questo, al fango che hai pure sul naso? >>

Arrossisti, deglutendo.

<< Insisteva... e ho perso un po' la calma. Così gli ho tirato una palla di fango. >>
<< E lui? >>
<< Ha urlato e se n'è andato lamentandosi delle macchie. >>
<< Non ha contrattaccato? >>
<< No. >>
<< E le macchie sul tuo vestito, allora? >>
<<. ... dovevo pulirmi le mani. >>

Francesco, alle tue spalle, scoppiò a ridere, mormorando qualcosa come "Chi troppo femminile e chi troppo poco.", mentre Leonardo ti guardò con una leggera aria di rimprovero.

<< Ancora ti ostini a maltrattare i vestiti che ti regalo, eh? >>

Facesti spallucce, leggermente rossa in viso. Poi lo guardasti; finalmente potevi chiedergli la cosa che avevi in mente da quando eri entrata.

<< Maestro, posso vedere il quadro? >>

Lui sorrise, con un accenno di sorpresa.

<< Marina... >> iniziò << Mi pareva di aver intuito che non volevi assolutamente vederlo. >>

Deglutisti, imbarazzata. Effettivamente era così! Avevi pronunciato esattamente quelle parole quando ti eri innervosita sentendo rimandare ancora la passeggiata quotidiana con Leonardo, poiché esso doveva incontrarsi con quella là.
Sì, ancora gelosia.
Eri riuscita a farti passare quella per gli uomini, soprattutto se suoi assistenti, come nel caso di Francesco, che ti era anche simpatico, ma le donne... le donne erano un'altra storia.
L'unica donna della vita di Leonardo da Vinci eri tu, tu e basta!

<< Beh... h-ho cambiato idea. >>

Mormorasti, incrociando le braccia, ma bastò un segno del vinciano che Francesco era già corso a prendere il dipinto, celato da un sottile panno bianco.
Una volta di fronte a te, a voi, afferrasti la stoffa, titubante.

<< Su, scopri. Scommetto che rimarrai sorpresa. >>
<< ... sorpresa? >>

Le parole del Maestro e lo sguardo enigmatico di Francesco, che teneva stretta la tela, ti fece incuriosire ancora di più. Preso coraggio, tirasti via il panno, che lento cadde a terra e...
E sorridesti, incredula a quello che stavi vedendo.

<< Vedi qualcosa di familiare, piccola? >>

Disse Leonardo, ridacchiando.
Il volto, il corpo, era senza dubbio quello della donna che per innumerevoli pomeriggi avevi visto nel suo studio.
Ma il sorriso... oh no, quella non sorrideva mai, era sempre seria.

Il sorriso era, senza la minima ombra di dubbio, lo stesso e identico che, in quel momento, risiedeva radioso sul tuo volto fanciullesco.
Senza aspettare un solo momento, ti voltasti verso quel vecchio sorridente, buttando le braccia al suo collo, stringendolo con forza.
Lui rise, carezzando con una mano la tua schiena.

<< Sei felice? >>
<< Oh, sì! Lo sono, Maestro, lo sono immensamente! >>

Gioisti, sorridendo con tutta la dolcezza che avevi. Ti accomodasti, poi, sulle sue ginocchia, apoggiandoti al petto, affondando la testa nella lunga barba, che ogni volta ti faceva il solletico.
Eri felice con lui, felice come non eri mai stata con nessun'altra persona.

<< Cosa stava disegnando, Maestro? >>
<< Oh, un abbozzo di quello che ti facevo vedere poco tempo fa. Devo fare un paio di linee per... >>

Le parole si bloccarono e, assieme ad esse, gelandoti, anche la mano di Leonardo da Vinci, che aveva appena riafferrato il carboncino.
Questo cadde e la mano rimase lì.
Immobile.

<< Maestro! >>

Le voci tue di Francesco risuonarono all'unisono, mentre questo si era già precipitato sulla mano immobile, stendendo le dita, piegandole ancora, nuovamente stendendole.
Era quello ciò a cui ti riferivi con la frase che aveva fatto ridere quegli odiosi, nel salotto. Le mani del Maestro, purtroppo, non funzionavano più bene come una volta...
Si paralizzavano.

<< Ah... è successo ancora. >>

Disse lui, con un mezzo sorriso in cui tu intravedevi immediatamente quella punta di dolore ormai quotidiano.

<< Francesco, ti spiace... >>
<< Certo che no, Maestro. >>

L'uomo si chinò a prendere il carboncino, e poi nuovamente sulla tela schizzata.

<< Una linea perpendicolare, sul... >>
<< A destra? >>
<< Sì, bravo. >>

Francesco obbedì, tracciando un tratto che si andò veloce a confondere con quelli Leonardeschi.
Sospirasti ancora, stringendo una mano alla stoffa che stava sulle gambe di quello che ormai non era più il biondo estroverso incontrato nella neve invernale.
Ma lui sorrise, dicendoti silenziosamente di non preoccuparti.

<< Mi piace, stare tutti qui assieme. >> disse Leonardo, carezzandoti i capelli. << Mi fa molto felice. >>

Entrambi sorrideste, mentre l'anziano si perdeva nei suoi pensieri, lisciando i tuoi capelli come per rilassarsi.

<< Mi viene in mente quella frase che ho scritto ieri nel Trattato sulla Pittura. >>
<< Suvvia, Maestro, non mi pare proprio il caso. >> Lo rimproverò quasi il Melzi, tracciando l'ennesima linea.
<< Beh, non è allegra, ma è di sicuro molto bella... >> Commentasti invece tu.

Leonardo da Vinci sorrise, lasciando vagare gli occhi.

<< "Sì come una giornata bene spesa dà lieto dormire, così una vita bene usata dà lieto morire. " >>


Allora, non riflettevate su quanto quelle parole si sarebbero rivelate profetiche.





































_______________________*

Note dell'Autrice ~

Scusate, non avevo idea di come intitolare la storia ._.

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Capitolo 2
*** Di spade e Penne ***


unobuono 1. Di Spade e di Penne.









Firenze.
Sembrava una qualunque giornata d'aprile, quella, nella vita della potente città.
Da poco era stato stipulato, in quella che ancora non possedeva il nome unificante di "Italia", una pace che si poneva come obbiettivo quello di porre fine al continuo scontro che era il Paese in quel momento; forse così anche la tua Firenze, dove con il rosso si coloravano da tempo sia i quadri che le strade, nelle mani laboriose degli artisti e nel danzare delle lame delle opposte anime nere e bianche* si sarebbe quietata. Di fatto la città era diventata così violenta che il signor Lorenzo dei Medici si era visto costretto a regalarti per il tuo compleanno, al posto di fiori e dolciumi, una pesante armatura.
Poco più che bambina eri diventata un cavaliere, difensore del Magnifico e della sua famiglia, a cui tanto dovevi.
Quel giorno ti trovavi ad accompagnare i due rampolli della famiglia, Lorenzo e Giuliano, nella parata lungo Firenze che si sarebbe interrotta solo alla vista della Santa Maria del Fiore.
Camminavi al loro fianco, tenendo la mano sulla spada per puro caso, non ancora per abitudine, troppo impegnata a osservare il bel viso del tuo Principe, sulla quale i riccioli d'ebano cadevano con dolcezza; lo adoravi: ti eri affezionata sin da quando il vecchio Piero l'aveva fatto diventare il tuo compagno di giochi preferito e adesso che, uomo, ti riservava lo stesso sguardo di quand'era bambino, il sentimento nei suoi confronti non aveva fatto altro che aumentare.

<< Sei molto carina, così pettinata, bambina mia. >>

Disse, carezzando con il palmo una ciocca di capelli delle due code; arrossisti, non negando però un sorriso gigantesco.

<< Grazie, messer Lorenzo! >>
<< Dimmi, Marina, ti dà fastidio l'armatura? >>
<< Oh, no Signore. E' stato un regalo davvero molto utile, la ringrazio! >>
<< Suvvia, Lorenzo, Non fare l'ingenuotto! >>

Interruppe il fratello Giuliano, lanciandogli un'occhiata di rimprovero. Nonostante non fosse al livello del fratello, anche Giuliano si distingueva, non finendo con l'essere l'ombra dell'altro de Medici.
Fece per parlare di nuovo, ma, alla velocità con cui tu stringesti le dita intono all'elsa, un arto abbracciò il suo collo, cogliendo tutti voi decisamente di sorpresa.

<< De Pazzi! >>

Esclamò Giuliano, dopo aver voltato il capo verso la persona che l'aveva sorpreso; riconoscesti nel suo viso Francesco della famiglia sopra citata e, subito dietro di lui, il volto rilassato di Bernardo Bernardini, servo che da poco si vedeva al fianco dell'altro uomo.
Anch'esso abbracciò il minore, battendogli le mani sulla spalla come se lo avesse conosciuto da sempre e continuando a elogiarlo.
Faceva così da quando Giuliano era uscito di casa, trovandoseli inaspettatamente di fronte.

<< Messere, mi dica, è passato il malessere del giorno precedente? >>
<< Sì, sì. >> Rispose Giuliano, spicciolamente, quasi disturbato da quell'esagerato contatto fisico. << Va tutto bene, come ti ho detto anche quando sono uscito. >>
<< Menomale. >> Disse Francesco, sorridente. << Ci è dispaicuto sapere il motivo per cui il rinfresco di eri è stato annullato. Che sfortuna, eh? >>
<< Già, che sfortuna. >>

Questo era Lorenzo, il cui tono fu ancor più secco e tagliente di quello del fratello, che si limitava a ostentare sarcasmo in ogni sillaba.
Capivi la loro diffidenza, anzi, non avevi ancora sciolto bene le dita dall'impugnatura preziosa; tra Medici e Pazzi non vi erano mai stati grandi rapporti, si potevano definire come cani e gatti, e tutto quel'affetto e quella cortesia improvvisi erano decisamente sospetti.
Francesco si bloccò, per poi sospirare e tirarsi indietro, non dopo aver lanciato uno sguardo all'altro.

<< Meglio andare, adesso. A dopo, messeri! >>

Detto ciò si allontanarono, mischiandosi nuovamente nel corteo; seguiste tutti e tre le due figure, fin quando furono abbastanza lontane, allora Giuliano si voltò, guardando il fratello come se nulla fosse accaduto.
"Una mosca che passa davanti agli occhi."

<< Dicevamo, fratello? >>
<< L'armatura di Marina... >>
<< Oh, certo. Dicevo: guardala, poverella! Ci sguazza dentro! Ne hai fatta realizzare una fin troppo grande! >>
<< Ma come? >>

Rispose quello, osservandoti. Effettivamente gli arti metallici erano più lunghi delle tue eslili braccia e il petto era così grande da permetterti di star china.

<< Eppure il fabbro aveva detto che era su misura...! >>
<< Oh, certo, " Su misura " ! Non ti preoccupare, Marina, ci penso io, non appena finiamo qui. Ti farò realizzare un'armatura che ti starà a pennello, bambina! >>

Concluse, con un sorriso alla quale tu rispondesti con fatica.
In realtà quell'armatura la portavi solo perchè era un loro regalo, avresti preferito di gran lunga farla fondere e realizzarvi un gioco. Da quei pensieri di distrasse la mano di Lorenzo, che in un segnale silenzioso sfiorò il tuo braccio; alzasti lo sguardo, vedendolo sorridere, e lui con un movimento della testa ti face segno d'alzare il braccio come avevi fatto con gli occhi. Obbedisti e lui strinse la tua piccola mano ferrata, chiudendola nella sua. La gioia invase il tuo corpo e stringensti ancor più le dita, sorridendogli sorniona.
Per lui avresti indossato la più pesante delle armature.

<< Siamo arrivati, amichetti. >>

La voce di Giuliano ti distolse da quel momento di bambinesca felicità, riportandoti dentro l'armatura e lontanto dal profumo dei gelsomini e dei gigli bianchi tra i quali tu e Lorenzo, nel giardino dell'enorme proprietà, trascorrevate il tempo libero.
Alzasti lo sguardo e vedesti davanti a te l'imponente figura del Duomo, in tutta la sua purezza. L'avresti visto così ancora per poco.
I due fratelli presero posto, tu affiancasti Lorenzo, assieme a Poliziano e i tuoi due "compagni di squadra", ovvero i due Cavalcanti, e la messa potè iniziare.
Stranamente la folla non si era aquietata come le volte precedenti: era silenziosa, sì, ma le tue orecchie udivano strani sussurri. Sussurri che, per uno strano motivo, ti diedero un lungo brivido.

"E' il vento."

ti ripetesti, stringendo un braccio attorno all'altro.

" In questa armatura passano gli spifferi.".

Il latino del cardinale echeggiò nell'aria, e la ritmica che prese ti parve di colpo macabra.

" Oh, smettila con queste fantasie, Marina, ti sei fatta influenzare dal manoscritto che hai letto ieri notte! "

Era arrivato il momento della solenne elevazione; tutti s'inginocchiarono, iniziando a recitare l'ennesima preghiera, mentre il religioso, come sempre, prese ostie e boccale,preparandosi per l'eucarestia.

Nessuno avrebbe pensato che le ostie quel giorno non sarebbero state bagnate dal vino.



<< Muori! >>



Un coltello, i tuoi occhi che scattano, Lorenzo che urla, la folla che impazzisce, il Bardini che svelto riporta nelle sue mani la sua lama;

Giuliano che cade, in un lago di sangue.


<< Fratello! >>

Lorenzo si buttò su di lui, mentre tu ti scagliavi, o meglio, cercavi di scagliarti, senza capire, completamente alla cieca, sull'aggressore, facendo in tempo solo a vedere una seconda lama; quella che il prete lanciava contro il Magnifico!
Non facesti in tempo a separare la spada da quella del Bardini, urlando il nome del tuo signore, che uno dei nobili di conoscenza del Magnifico, tale Francesco Nori, gli fece scudo con il suo stesso corpo.

<< Marina, Marina! >>

Altre urla, questa volta quelle di uno dei due cavalcanti, nemmeno riuscisti a capire quale, nelle confusione.

<< Prendi Lorenzo, portalo via, veloce! >>

Non te lo facesti ripetere due volte: la mano libera si strinse a quella dell'uomo, notando solo allora il sangue che usciva dalla sua spalla, sollevandolo e trascinandolo via, la tua spada davanti a fare strada in quella calca, dove non si distingueva il buono dal cattivo, muovendosi come un toro impazzito.

<< Corra! Corra! >>

Urlasti,con la voce rotta dalla paura, mentre salivi le gradinate della sacrestia.

<< Ha la chiave, vero!? >>

Alla tua domanda Lorenzo reagì con un muto segno del capo, mentre prendeva dalla cintura la chiave e la inseriva nella serratura.
Ti voltasti a guardargli le spalle, con gli occhi che tremevano ancora di più delle mani, e solo allora vedesti un uomo correre a tutta velocità verso di voi, tenendo tra le mani una spada dalla lama tremendamente lunga: altri due passi e vi avrebbe trafitto, tutti e due e in un colpo solo.

Non c'era tempo di pensare, non c'era tempo di avere paura, di tremare, di rimanere fermi o d'immaginare la morte. Non c'era tempo, non c'era tem-

<< ... Uh. >>

Il gemito dell'uomo di spettinò i capelli, la sua spada cadde al tuo fianco.
E la tua?
Oh, eccola:
grottescamente conficcata nella metà del suo collo.

... che diavolo era successo? Quando avevi agito?

Il grande portone di legno cigolò. aprendosi e svegliandoti, e Lorenzo sparì dietro la sua metà, tendendo una mano verso te.

<< Marina! Entra, veloce! >>

Il tuo sguardo vagò da lui al corpo che faceva da cornice a quella lama che era stata appena battezzata con il sangue, fino a quello che stava avvenendo alla fine di quelle scalinate.
Cosa fare, in un attimo, ti parve ovvio... e facilmente realizzabile.

<< Non posso. >>

Sussurrasti, spingendo dentro la chiesa il tuo signore, senza dargli tempo di controbattere con un ordine che saresti stata costretta a seguire, e chiudendo la porta;
silenzio.
Per un attimo, tutto ti parve slenzioso.
Ti voltasti verso quel corpo, sul ciglio delle scale, in cui stava ancora la spada; la impugnasti di nuovo, poggiasti un piede sulla carne morta e, in un gesto veloce, spingesti via, buttandola giù, facendola rotolare lungo le scale.
Il più lontano possibile da te.
Il sangue gocciolò sulla punta, splendendo come un rubino alla luce del sole;
quell'uomo era stata la tua prima uccisione a sangue freddo.
La prima di una lunga serie che, quel giorno, si sarebbe inaugurata.




Un cigolio di un imponente portone in lengo interruppe il silenzio di una chiesa immensa, illuminata solo da poche candele e dalla luce del tramonto, che filtrava nelle alte vetrate colorate, offrendo al vuoto un meraviglioso gioco di ombre e colori.
Davanti all'altare, ecco un uomo: stava in ginocchio, tremava, la testa china sulle sue mani, strette, come i denti, in una preghiera bagnata di lacrime.
Dalla spalla del vestito di alta manifattura, impreziosito qua e là da qualche meravigliosa gemma, restava la scia di un sangue secco che aveva smesso di colare solo da poco, a differenza del pianto che ancora bagnava il suo volto; non era cosa da fare, piangere, per un uomo così importante, era segno di debolezza.
Ma per Lorenzo de Medici, in quel momento, più che di debolezza, quello era il segno di una profonda umanità.
Sussultò, nel sentire la grande porta aprirsi. Oltre a lui e al parroco -che aveva visto cadere per la lama di uno dei Cavalcanti- c'era solo un'altra persona a possedere la chiave della sacrestia.
Il sorriso, come una crepa, si delineò a scatti sulle sue labbra e il busto ruotò, fin troppo velocemente.

<< Giuliano! Fratello, allora se vi-  >>

La voce si mozzò, nel vedere la lunga ombra che attraversava tutta la navata, nella più orrenda delle previsioni, e, a seguire, la figura dalla quale era proiettata.
Oh, il fratello dell'uomo c'era, certamente;
Ma stava avvolto nella bandiera della Signoria Medicea, macchiata di sangue là dove doveva stare la testa, volta a guardare verso l'alto (attraverso il velo, Lorenzo poteva intravedere la bocca pressata sulla stoffa, a cercare un respiro che mai sarebbe stato preso), tenuto in braccio da un cavaliere di dimensioni minute rispetto alla media e dai capelli lunghi e castani, l'armautura che in un primo secondo, al Signore, era sembrata scarlatta per via del troppo sangue.

Tu.


<< Mio Signore... sono mortificata.  >>


Quelle tre parole, alla quale avevi pensato dal primo momento in cui il corpo era stato depositato tra le tue braccia, che fino ad allora avevano brandito come non mai una spada, uscirono dalla tua bocca in un sussurrare debole.

<< Non c'è... non c'è stato nulla da fare... il taglio alla nuca era troppo profondo, aveva perso sangue, e-e... >>

La frase, detta con voce spezzata e fin troppo velocemente per esser compresa, venne spezzata dalla vista del tuo Signore.
Lentamente l'uomo si avvicinò, togliendo dalle tue braccia tremanti il fratello e prendendolo nelle sue braccia tremanti; poi si voltò, camminando fino all'altare. Non una parola, non un respiro.
Delicatamente, poggiò la salma sul marmo freddo.
E scoppiò a piangere di nuovo, attanagliandoti il cuore.

<< S-Signore... >>

Mormorasti, guardandolo mentre si accasciava a terra; non l'aveva visto così nemmeno alla morte del padre.

<< Marina, vieni qui. >>

Le parole ti fecero sussultare e per un attimo non sapesti cosa fare; poi, lentamente, con il suo stesso passo, ti avvicinasti, facendo rimbombare il cigolare della tua armatura; gocciolando sangue non tuo fino a un metro da lui.

<< Mi dica, Signore. >>
<< Cosa sta succedendo, là fuori? >>

Chiese, con tono distaccato, come se si stesse occupando di un comune affare politico.

<< I Pazzi, mio Signore. Jacopo è sceso in piazza, pensando di trovare la situazione favorevole... ma lo stesso popolo lo ha aggredito. Il sicario assunto da Francesco De Pazzi e altri sono riusciti a fuggire. Io...  >>

La tua voce per una ttimo si fermò; estraesti la spada, mostrandola a colui che te l'aveva regalata: rossa, dall'elsa fino alla punta.

<< Ho ucciso ogni soldato che mi si è messo davanti. Nessuno è riuscito a mettere piede anche sul primo gradino della cattedrale. >>

Ti eri stupita di te stessa.
Dopo la prima vittima, tante altre se n'erano ammassate in un cumolo ai piedi della chiesa; avevi agito automaticamente, in gesti fluidi, come se tu stessi ballando, nonostante i nemici fossero tanto più grandi e molto più armati di te.
Ti era riuscito fin troppo facilmente.
E di questo, non sapevi se compiacerti o disprezzarti.

<< Avvicinati... avvicinati, bambina mia. >>

Obbediente, muovesti altri due passi, ma quello ti chiese di venire ancora più avanti, e avanti ancora, fino a quando non ti trovasti esattamente a dieci centimetri da lui. Ti osservò, per qualche attimo, poi, con una certa tranquillità, portò le
mani alla tua armatura.

Tlack, il primo pezzo cadde.

Cloc, ecco il secondo.

E il terzo, il quarto, tutti, fino a lasciarti con una semplice veste di maglia che portavi sotto di essa. Allora le due braccia si allargarono ancora di più, circondandoti, e portandoti poi a contatto contro il suo petto.

Un abbraccio.

Tremasti, a quella stretta così potente, portando con fatica le braccia attorno al suo collo, premendo il viso contro la
spalla ferita e pulendoti alla sua veste.

Silenzio,

lacrime,

sangue.


<< Questa armatura... è diventata troppo Piccola. Te ne farò fare una nuova. Una bellissima. >>

Stretta, già, lo era diventata tanto da toglierti il respiro.

Ma se adesso il tuo corpo stava lì, tra le braccia di quell'uomo tanto debole e tanto forte...

... la tua anima era rimasta imprigionata per sempre dentro acciaio di quell'armatura scarlatta.




*







Firenze.
Poteva essere una qualunque giornata di dicembre, quella, nella città.
Poteva, se non fosse stato per qualcosa che attraeva i tuoi occhi.
In piedi, in un'armatura più grande, adatta ad un corpo che improvvisamente era cresciuto, eri rimasta lì anche quando la folla era iniziata ad andarsene, dopo giorni e giorni, a osservare la novità che, ormai, era diventata abitudine.
I tuoi occhi ondeggiarono ancora, a seguire la cosa che dondolava dal Palazzo della Signoria, scossa dal vento.
Un cadavere.
Accanto a lui altri, logorati dal freddo e dal tempo.
I nocciolati vagarono ancora, annoiati, mentre seguivi il ritmo di quegli ondeggiamenti ticchettando le tue dita coperte d'acciaio sull'elsa della spada;
disgustata? Oh, no.
Soddisfatta. Vendetta era stata finalmente fatta.
E adesso?
Ti eri abituata fin troppo a quell'armatura, tanto che la toglievi solo per dormire. Lorenzo ti abbracciava poche volte, rinchiuso in un lutto fatto d'arte o poesie recitanti l'incertezza del domani, e sentivi pervadere in te un senso di freddo. Come quando, in quei mesi, si faceva l'abitudine a essere colpiti in faccia dal vento gelido.


<< Oh, ma tu guarda! >>


Sussultasti di colpo, facendo saltare i pezzi della tua armatura: e adesso chi era che pareva tanto felice con tutto quel freddo da mettersi a parlare da solo?
Ti voltasti, osservando basita quella figura:
un uomo, di circa venticinque anni, cosa che si poteva dedurre dalla leggera barba bionda adatta a quelli che non erano più ragazzi; con una mano simulava una lente, puntata dritta sul cadavere penzolante, mentre con l'altra teneva un foglio, una penna e un calamaio.
Sotto i tuoi occhi stupefatti si sedé nel bel mezzo della piazza, srotolando il foglio sulle sue gambe e inumidendo nella boccia nera la piuma bianca.

<< Ehi, scusa. >>

Disse, facendoti uno strano segno con la mano.

<< Potresti... spostarti? Sai, mi occupi tutta la visuale. E ci tengo a farlo bene, questo disegno... me l'ha ordinato Lorenzo de Medici, mica qualche nobilotto qualunque! >>

A quelle parole, oltre al toglierti dalla sua mira, come ti era stato detto, decidesti finalmente di aprire bocca; inoltre, sentivi una strana sensazione, la stessa che provavi quando Lorenzo ancora ti trattava come la sua piccola pupilla.

<< Oh... lavora per i Mio Signore? >>

Chiedesti, educatamente.
Gli occhi azzurri di quello, che già aveva iniziato a far scivolare la penna, schizzarono veloci sui tuoi, facendoti addirittura arrossire.

<< Oh! Aspetta, aspetta... >>

Esclamò, sfiorandosi il mento con la piuma leggera.

<< Ma certo! Oh, come ho fatto a non riconoscerti! Sei Marina, vero? La piccola Marina! Quella che se n'è andata fino in Turchia pur di riprendere il Bardini e impiccarlo! Oh, ti devo un gran favore, è grazie a te che ho il mio primo lavoro importante! >>

Cocluse, puntando la penna contro il cadavere del sopracitato uomo e schizzando ovunque l'inchiostro.
Tu annuisti, non sapendo se sentirti elogiata o che altro.

"Ma guarda tu che tip-"

Non potesti nemmeno relizzare tale pensiero che la mano del biondo strinse la tua, guantata, avvicinandoti tanto a lui e portandoti a sedere.

Calore.
In un attimo un calore che per tanto tempo non avevi sentito, tornò a scaldarti meravigliosamente il cuore.

<< Vieni, vieni qui accanto a me! >> Gioì, osservandoti dopo ciò. << Oh, sei proprio una fanciullina meravigliosa! Ma... questa armatura non si adatta al tuo viso delicato. Ci vorrebbe un bel vestito di seta, al diavolo se è inverno!>>

"Cielo, quanto parla."

ti venne da pensare.
Ma in ogni parola che quell'uomo diceva trapelava un'intelligenza che forse non potevi neanche immaginare, in quel momento.
E... l'idea di vestirti in tale modo, a essere sinceri, non ti dispiaceva affatto.
In quel momento, accanto a lui, ti sentivi di nuovo una bambina.

<< Mi scusi. >>

Lo interrompesti, guardandolo con le guance leggermente rosse, come non lo erano da quasi un anno.

<< Lei conosce il mio nome... ma io non so il suo. Può dirmi come si chiama? >>

Quello ti sorrise, mostrando una fila di denti perlati e un viso che, se non fosse stato per quella barba e i capelli ricci e un po' lunghi, ti sarebbe parso quello di un bambino per la sua solarità.

<< Hai ragione, Mia Bambina del Giglio Puro di Firenze. >>

Disse.

<< Il mio Nome è Leonardo, Leonardo Da Vinci. >>





























- Nel 1478 la famiglia dei Pazzi, con l'appoggio del papa, attenta alla vita dei due de Medici, riuscendo a uccidere il minore, Giuliano.
L'anno a seguire, senza che il Magnifico debba sporcarsi le mani o dare semplicemente ordini, tutti coloro che hanno partecipato alla congiura vengono uccisi, i corpi vengono trascinati per le strade, lapidati, torturati, altri impiccati e lasciati penzolare dallo stesso Palazzo della Signoria.
In questi anni, alla corte Medicea si avvicina la figura di un giovane e promettente artista a cui Lorenzo darà il compito di ritrarre il cadavere dell'assassino del fratello; il nome di tale artista è Leonardo Da Vinci, che in futuro verrà conosciuto dall'intero mondo.-













________*

Note dell'Autrice.

* S'intendono i Guelfi Neri e i Guelfi Bianchi.




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Capitolo 3
*** Di Sangue e Gigli. ***


tre
3. Di Sangue e Gigli.








Pioveva.
Pioveva incessantemente, pioveva così tanto che coloro che si muovevano sotto le mille gocce quasi dovevano stare attenti nel prendere il respiro, poiché altrimenti si sarebbero ritrovati a bere un bicchiere d'acqua direttamente dalla sua fonte principale.
E pioveva dal tuo viso.
Quanti anni parevi avere, quella volta? Undici o poco meno.
Il vestito che un tempo avevi sporcato di fango per rivendicare il tuo possesso su un quadro adesso ti arrivava sopra il ginocchio, quando prima sfiorava l'inizio dei polpacci, se piegavi il braccio la manica saliva rovinosamente.
Avresti dovuto cambiarlo, ma non importava.
Era un ricordo... un suo ricordo.

<< Cherì, ormai è notte. >>

Ti voltasti appena quanto bastava a vedere colui che aveva parlato, ruotando il busto, mentre le ginocchia rimanevano piantate a terra.
Francis, in armatura.
Era cresciuto molto, lo faceva ogni anno e ormai pareva quasi un uomo.  Tu invece eri sempre una bambina i cui occhi erano tornati a essere tristi.

<< La giornata è finita. >>

Continuò lui, con una dolcezza vocale ben diversa dal tono di scherno che ti aveva sempre riservato; sapeva che in quel giorno, in quella ricorrenza, eri come un cristallo o come uno dei gigli bianchi che crescevano nel giardino: delicato e colpito in continuazione da una pioggia maledetta.
Tu scuotesti la testa, sorridendogli di rimando.

<< Non ti preoccupare. >> iniziasti, sorridendo appena, come a ringraziarlo del trattamento che quel giorno ti era annualmente riservato. << Resto ancora per un altro po' con il Maestro. >>

Lui sospirò, avvicinandosi e carezzandoti i capelli con la mano guantata di acciaio.

<< Marì, lo sai che questo al momento non è un posto sicuro. Che io non posso proteggerti. E la notte è scura, potrebbe succedere... >>
<< Francis. >> Lo interrompesti, netta. << Ti prego, comprendimi. Sai... sai anche tu cosa si prova. >>

Il francese perse leggermente di colore, a quelle frasi, mentre i ricordi risalenti a cento anni di sangue e corti capelli d'oro si facevano facilmente largo nella sua testa, nel suo cuore.
Non disse nulla, allora, limitandosi a rivolgerti un sorriso mesto e comprensivo.

<< Oui, oui. Ma poi non dire che ti avevo avvertito, cavalier d'Italia. >>

Disse, con tono scherzoso, scompigliandoti i capelli e avviandosi verso l'arcata che fungeva da porta. Si voltò un'ultima volta a sorriderti, muovendo la mano in cenno di saluto.

<< Arrivederci, Marine. E... Ou Revoir, Messier Léonard. >>

La sua figura sparì e i tuoi occhi, in uno scatto quasi automatico, tornarono a posarsi sulle tue mani congiunte in preghiera.
La cappella di Saint-Hubert era illuminata solo dalla luce delle candele che tu avevi accesso e da quella naturale della luna che filtrava nei mosaici, proiettando contro il tuo viso e oltre te ombre colorate.
Per un solo momento le tue mani si sciolsero, e una, quella che pareva tremare di meno, si portò alla lastra di marmo che avevi di fronte, carezzandola con una dolcezza presso che infinita.
Sorridesti, con gli occhi umidi, lasciando che le dita accarezzassero il bordo delle lettere che, sul fondo della lastra, erano stata modellate con il ferro.
Faceva male, ne faceva tanto, riconoscere dal solo tatto quel nome. Ma ti rendeva anche minimamente più vicina a lui.

<< Sono passati cinquant'anni, ormai, Maestro... >>

Sussurrasti, carezzando ancora la lapide.
Quel 2 maggio 1519 tutti avevate pianto; tu, che svegliandoti l'avevi visto con un sorriso sulle labbra prive di colore, il Melzi, nel cercare ti allontanarti da lui, addirittura il re di Francis si era lasciato andare a un pianto sconsolato.
Come era stato lasciato scritto dallo stesso Leonardo, si era compiuta la cerimonia, erano state suonate le laude, spartiti gli averi.
E dopo tutti quegli anni di Leonardo da Vinci restavano ogni genere di manufatto artistico, una fama estesa al di fuori dell'Europa e una tomba in Francia.
Da lì in poi, ogni due maggio i recavi a Amboise e vi restavi per una o due settimane, o, più semplicemente, per tutto il tempo in cui sentivi di dover piangere e parlargli.
Gli raccontavi cosa accadeva a Firenze, a Roma, degli artisti emergenti e di quelli che facevano i più grossolani errori, di come stavano i suoi allievi, pure il Caprotti, e come stavi tu.
Eri arrivata a destinazione la notte precedente e da quel momento le tue ginocchia non si erano più scollate dalla pavimentazione della cappella, rappresentate dei gigli.
La notte era ormai scesa, e tutto era quieto; da quando quel castello era stato teatro della spaventosa Congiura a cui dava il nome, nessuno più vi abitava se non l'anima del Maestro.
Le uniche cose udibili erano le tue parole, sussurrate in fiorentino e anche in latino e la pioggia, che con forza e continuità batteva e batteva, e scrosciava, coprendo ogni rumore.
Anche quello di passi sconosciuti.

Fu un attimo.
Bastò solo sentire quell'ombra che lenta si stagliava su tutta la sua figura, opprimendoti il cuore come se essa avesse consistenza.
Il sangue ti si gelò nelle vene per un altro attimo, quello necessario a tirarti in piedi di scatto, rompendo la preghiera.
Non avevi mai capito perché Francis quell'anno aveva tanto insistito perché tu lasciassi perdere la cara ricorrenza, perché ripeteva ogni volta che quello non era un posto sicuro.
Tu, la tua testardaggine e il tuo orgoglio non gli avevate dato ascolto.
Ma ora capivi il perché di tali parole e anche quanto eri stata sprovveduta.

<< Ma allora è vero quello che ci dicevano... >>

Osservasti i due uomini davanti a te: non avevano corazze, ma portavano con loro attrezzi per la terra, dalla quale un occhio poco attento avrebbe potuto dedurre che erano due contadini. Ma a tradire quell'ipotesi erano i pugnali che stavano appesi alle cinture di pelle e il simbolo che portavano sul petto.

" Ugonotti. "

Pensasti, non emettendo respiro.
Eri messa male, molto male. Non ti eri mai portata la spada in quei viaggi, in quanto sapevi che essa non era mai stata amata dal Maestro  e non avevi null'altro per difenderti se non le tue mani.
Arrivavi all'ombelico del primo, forse riuscivi a sfiorare i fianchi al secondo.
In una situazione simile l'unica cosa che potevi fare era aspettare e sperare che non succedesse nulla.
Diplomazia, Marina, diplomazia.
Anche se sei poco più di una bambina saprai usarne un po', no?
Dovevi solo fare come Lorenzo De Medici, come Macchiavelli, come l'adorato Leonardo.
L'uomo ti si avvicinò, mentre il secondo restò sulla porta.

<< Una della Famiglia Dell'Italia, i Vargas, è qui in Francia. Il Centro, poi, che grande onore! >> L'uomo rise, mentre tu continuavi a restare in silenzio, a denti stretti.  << Pensavo che tu fossi sempre nelle catene dello Stato della Chiesa. >>

Deglutisti, al sentire quel nome. Non era che fosse una bugia, grande parte di te era allevata dalla signorina Lucia, che si poteva quasi definire la tua tutrice.
E no, non sopportavi che si parlasse di lei con quel tono.

<< Sì, sono io. >>

Rispondesti, con voce secca e decisa. Non dovevi... non potevi mostrarti spaventata.
Quello si avvicinò ancora e tu, istintivamente, indietreggiasti e indietreggiasti ancora, fino a inciampare e cadere sulla lapide.

<< Allora saprai di certo dove si trova Caterina de' Medici. >>

A quelle parole subito intuisti dove volevano andare a parare; allora era vero che quei pazzi volevano organizzare una seconda congiura...

<< Sono spiacente, ma ricevo poche notizie da madamigella Caterina, in quanto essa ora è nobile di Francia. L'unica cosa che so è che questo castello è abbandonato dalla fine di marzo. >>
<< Davvero non sai nulla, piccina? >>

Il tono melenso usato per farti adescare in quella più che evidente trappola ti fece salire ancor più la rabbia in corpo.

<< No, assolutamente nulla. Anzi, avevo  intenzione di lasciare questo posto... >>

Mormorasti, cercando di alzarti, ma quello ti respinse giù con ben poca delicatezza.

<< Spiacente, non ancora. Abbiamo fatto anche noi molta strada, sarebbe brutto andarcene a mani vuote... >>
<< Non capisco a cosa vi riferiate, ma non ho nulla di valore con me. >>

Continuasti, sentendo le pupille tremare nel reggere quello sguardo. Non sarebbe finita bene.. non sarebbe finita bene affatto.
Quello rise e anche l'altro si avvicinò, brandendo la pala.

<< C'è qualcosa, qui, che vale molto di più dell'oro. E tu ci sei seduta sopra. >>

Quelle parole ti congelarono, bloccando il sangue nelle tue vene e lasciando vivo solo il cuore, che batteva nel tuo petto così forte da farti male.
E le tue piccole dita sudavano, mentre si scontravano con la superficie fredda e liscia della tomba di Leonardo da Vinci.

<< ... no. No, no! >>

Ti alzasti, nel vedere il tipo con la pala avvicinarsi, lanciandoti contro di lui con il cuore in gola.
Non importava la stazza, non importava l'essere disarmata.
Avresti difeso il tuo Maestro a costo della tua vita.
Senza minimamente riflettere, lasciasti che il tuo corpo si muovesse per te, come durante la Congiura dei Pazzi, e una di loro, miracolosamente, riuscì a sfilare via il pugnale dalla cintura dell'uomo, di cui mancavi un pugno solo per grazia divina.
D'impulso lo affondasti nella gamba del gigante, che urlò di dolore, e subito dopo ti allontanasti, ansimando e guardando in ogni direzione, mentre il tipo cadeva.
Bene, fuori uno.
Ti girasti, trovando l'altro a pochi centimetri da te, con il pugnale a tagliare l'aria; s'incrociò con il tuo e in quella lama sentisti tutto il peso del suo possessore.
Con i piedi ben piantati a terra spingesti verso l'ugonotto, con ogni minimo grammo di forza che avevi, fin quando, con un suono acuto e scheggiante, la sua lama s'infranse contro la tua.
Quello indietreggiò e sul tuo volto comparse un sorriso; avevi vinto, ormai, eri riuscita a...

Un rumore, come una raffica di vento echeggiò dietro di te, fermandosi nell'esatto momento in cui tu ti voltasti;
nell'esatto momento in cui il ferro della pala colpì con violenza il tuo viso, offuscando il mondo.

<< Maledetta mocciosa. >>

Quella frase fu pronunciata dalla voce che riconoscesti come appartenente al primo dei due che avevi colpito, evidentemente non così gravemente da farlo stare a terra, dove adesso ti trovavi tu.
Ansimasti, dal freddo del pavimento, combattendo con il tremendo dolore che proveniva dalla tua tempia e ti istigava a chiudere gli occhi e abbandonarti alle tenebre, la l'unica cosa che il tuo corpo fu in grado di fare fu lasciar scivolare una lacrima lungo la tua guancia, seguita da un'altra.

Urlasti senza emettere nessun rumore, quando le mani spinsero la lastra fino a spostarla, un gemito piangente uscì dalle tue labbra bianche quando l'utensile sporco del tuo sangue affondo nella terra, buttandola poi ovunque, anche addosso al tuo corpo.
Il tuo cuore si strinse fino a farti tossire sangue, alla vista dello splendido corpo osseo, avvolto in vesti eleganti e nella sua barba così morbida, spostarsi dalla cassa pregiata ad un sacco sporco e logoro.
Nella mandibola, ove qualche rimasuglio di pelle faticava a consumarsi, credesti di riconoscere il sorriso che ti aveva rivolto al vostro primo incontro.

<< Andiamocene. >>
<< No.. non ancora. Se lasciamo tutto così se ne accorgeranno. >>
<< Tanto  ci penserà quella Fille du Diable a parlare! >>
<< Beh... possiamo risolvere due problemi in uno. >>

Non opponesti alcuna resistenza quando le braccia dell'ugonotto ti afferrarono, lanciandoti dentro la cassa mortuaria, nella quale cadesti come una bambola, incapace di muoverti.
Oppure senza motivo per farlo.
Lentamente calasti nell'oscurità, osservando la luce delle candele e i volti dei ladri farsi sempre più lontani attraverso la parte superiore della bara, lasciata mezza aperta.
Poi dall'alto iniziò a cadere la terra, che ti colpì come la pioggia colpiva i gigli del giardino.
Ah, il Maestro si sarebbe arrabbiato... avevi il vestito tutto sporco di fango come quella volta.
Infine, la lapide lenta scivolò, facendo eclissare il rettangolo di luce.

Seppellita.
Viva, ma morta.

Ci volle un'ora, due ( chi lo poteva dire, nel buio totale? ) per farti prendere nuovamente coscienza, per farti tornare alla mente l'immagine di te, china a pregare sulla tomba.
La consapevolezza di tutto quello che era successo e di dove ti trovavi ti colpì al petto, e in un attimo l'odore di putrida terra ti aggredì le narici, facendoti tossire in continuazione, mentre l'aria piano piano si faceva sempre meno presente.
Eri sola nel buio.
Adesso... adesso non avevi nemmeno più un posto dove piangere.

E, senza che te ne potessi accorgere, tutta la voce che prima non eri stata in grado di usare uscì con violenza e rabbia dalla tua gola.






*





Urla dei dannati.
Era la prima cosa che avevi pensato, una volta coperta la distanza che dal castello deserto di Amboise ti portava alla cappella di Saint-Hubert, dove l'uomo di cui portavi il cognome, per caso, per nomina o per semplice destino, riposava in eterno.
O almeno così dovrebbe essere stato.
I tuoi occhi blu scrutarono dal pesante cappuccio e dalle ciocche di capelli corvini ciò che ti stava attorno; sotto la pioggia battente non vi era anima viva e il tuo orecchio continuava a suggerirti che quelle grida strazianti provenivano proprio dalla cappella.
Ti chiamavi Marcus e dimostravi circa sedici anni.
Eri cresciuto in un ambiente monastico che poco si adattava al tuo carattere e, soprattutto, a quello che adesso facevi.
Ma quell'ambiente ti aveva reso indipendente; indipendente dalle mani morbide e vellutate della Signorina Lucia ( peccato che però spesso ti ritrovassi ancora vicino a quella figura opposta alla tua ) e dalla famiglia Vargas. Eri così diverso da questi ultimi! Fin da l'inizio era stato impossibile considerarti parte della loro famiglia, un fratello.
Tu eri solo, solo e indipendente e sempre lo saresti stato.
Tranne per quel "Da Vinci" nel tuo nome. Non ne avevi mai avuto uno e a dartelo era stato proprio quell'uomo, l'artista da tutti conosciuto, in un incontro casuale avvenuto a Roma ( tu eri lì per discutere con la Signorina Lucia, lui per lavoro).
La notizia della sua morte, pur non turbandoti eccessivamente ( eri abituato bene a vedere la gente morire, tu ) ti aveva però lasciato qualcosa nel cervello, un pensiero, potremmo dire.
E dato che in quella settimana ti trovavi proprio nella zona della Loira per lavoro avevi deciso di fare un salto alla sua tomba.
Ma adesso non era più questa a "incuriosirti" bensì quelle urla piene di dolore.
Avanzasti ancora senza indugiare e notasti così che oltre ai tuoi sul terreno fangoso c'erano altre impronte ben più grandi.
Era successo qualcosa, adesso ne eri più che certo.
Entrasti nella cappella, dove le urla echeggiavano con una potenza tale da farti portare una mano all'orecchio destro, per tapparlo, trovandola disastrata; no, per quanto avessi sentito parlare della pulizia ben poco accurata dei francesi, quello era veramente troppo.
Notasti la lapide, storta, sporca di terra ai bordi.
L'intuizione che ti arrivò fece cambiare espressione al tuo viso perennemente freddo e distaccato: le urla non venivano dalla cappella.
Le urla venivano da sotto la cappella.
Normalmente avresti dato ben poca importanza a una cosa simile, te ne saresti andato, lasciando perdere e facendo semplicemente finta che nulla fosse successo.
Ma qualcosa ti spinse a spostare la lapide con un calcio, per andare a scoprire da cosa provenivano quelle urla che ora riconoscevi come femminili.
Ti togliesti la lunga cappa scura, mostrando quello che era un fisico decisamente ben allenato per un ragazzo della tua età e estraendo dalla cintura che portavi in vita il quarto dei tuoi ben affilati pugnali, con cui tranciasti la terra, scavando come meglio ti riusciva.
Uno che faceva la tua professione mica si portava dietro una pala.
Riuscisti però a scavare una buca abbastanza profonda e delle dimensioni della tua spalla, dalla quale potevi intravedere uno degli appigli della bara.
Le urla, adesso, erano ancora più forti, ma quando il tuo braccio afferrò l'appiglio, trascinando la cassa verso l'alto, esse cessarono all'improvviso, in modo tanto smorzato da farti quasi pensare che la persona al suo interno fosse deceduta.
Senza altro aspettare, quando essa era ancora in perpendicolare e mezza inabissata nelle tenebre, la schiudesti.
I tuoi occhi, per la prima volta da tanti anni, si sgranarono, mentre osservavano quel volto ansimante e sporco di sangue e terra già incontrato svariate volte.
Era Marina Vargas, la seconda dei tre. Il Centro - Italia.
Vi guardaste negli occhi per quella che sembrava un'eternità, i suoi erano tremendamente diversi dall'ultima volta che li avevi visti: la tonalità rossa che faceva brillare il marrone adesso non ti dava più quella sensazione di calore.
Bruciava, invece. Come un fuoco che tentava di dilatarsi in ogni dove.
E il sorriso, che ben ricordavi per la sua quasi odiosa radiosità, era sparito, lasciando lo spazio solo a una bocca dischiusa a prendere respiri.

<< ... Marcus? >>

Chiese, con tono quasi distaccato. Era sconvolta, non ci voleva nulla a capirlo.
Incrociasti per l'ennesima volta lo sguardo al suo, colpito dalla luce lunare che filtrava nella chiesa. Fu quell'immagine a fartelo notare:
nonostante i suoi occhi fossero il fuoco e i tuoi il ghiaccio il vostro sguardo era lo stesso.
Lo sguardo di chi non aveva null'altro da perdere.

<< Sono io. >>

Rispondesti, distaccato.

<< Che ci fai qui? >>

La scioltezza con cui parlava di sorprese; nonostante tutto aveva trovato la forza per esprimersi a parole,

<< Ero qui per caso. Tu, invece? >>

Osservasti ancora una volta la sala; c'era sangue per terra, impronte molto più grandi delle sue e un pugnale sporco di rosso, così come lo era lei.

<< Come ti sei fatta quella? >>
<< Mi hanno colpito con una pala. >>

Come sospettavi, quella non era una ferita da taglio... il sangue sul pugnale non era il suo.

<< Chi è stato? >>

I tuoi occhi colsero il movimento minimo ma esplicativo dei suoi denti che si stringevano, lo sguardo che si abbassava.
Raccontò tutto con tono distaccato, senza scendere nei particolari e, mano a mano che lei raccontava, un'idea si faceva largo nella tua mente.
Era perfetta.
Aveva affrontato completamente alla sprovvista due uomini armati, non aveva provato paura nemmeno per un momento.
E adesso fremeva di quei sentimenti che potevi benissimo definire come rabbia e rancore.


-


<< Vieni con me. >>


 Quelle parole ti sorpresero, facendoti precipitare sui suoi occhi blu, dove ora stava una strana luce, ma nessuna spiegazione.

<< Non hai nulla da perdere, vero? >>

L'aria ti si blocco in gola, mentre quella frase echeggiava nella testa.

<< ... Nulla. >>
<< Sei arrabbiata? >>
<< Sì.. sì, lo sono. >>
<< E con chi, Marina, con chi? >>
<< ... con me stessa. >>
<< Questo perché sei troppo debole. >>

Le parole che Marcus pronunciò vennero scandite, con una spaventosa contemporaneità, anche dal tuo cuore. Era vero. Se ti avevano portato via il Maestro era solo e unicamente colpa tua.
Eri stata lontana dalle armi per troppo tempo.

<< ... fammi diventare forte, Maestro Marcus. >>

Il sorriso ( ma quale sorriso? Quello era un vero e proprio ghigno diabolico) si allargò sulle sue labbra sentendo quell'appellativo.
Ti mise in piedi, e tu inaspettatamente ti reggesti sulle tue gambe, tenendo la schiena dritta, e poi si alzò anche lui, fissandoti.

<< Adesso sì che ragioni. Ti farò conoscere il tuo lato oscuro, quello che tieni qui dentro... >> e dicendo questo ti colpì il petto proprio dove stava il cuore << ... che racchiude tutta la tua forza. Hai abbastanza fegato per fare il mio lavoro. >>
<< E quale sarebbe il tuo lavoro? >>

Chiedesti, senza timore. Lui sorrise e solo allora notasti il lungo mantello con cappuccio e la fila di lame che teneva alla vita.

<< Quello di cui nessuno parla, ma di cui tutti hanno bisogno. L'Assassino. >>

"Assassino".
Quella parola ti fece tremare un attimo le viscere, ma non di paura.
Sapevi che un cavaliere era forte, ma... ma un assassino, furbo, agile e pronto a tutto, lo era molto molto di più.

<< ... sono pronta a prendere questa strada. >>

La frase ti uscì quasi automaticamente dalle labbra e avesti l'impressione che Marcus non aspettasse altro.

<< Bene. >>

Disse, osservandoti poi da capo a fondo.

 << Hai i capelli lunghi. >>

Ti prendesti la treccia tra le mani, guardandolo poi, senza capire il perché di quella sua ovvia precisazione.

<< Ti dovrai abituare ad averli sporchi di sangue... come ora, del resto. >>

Rise appena, con tono di strafottenza.
Per quanto quell'uomo portasse il cognome di Leonardo era tutto un altro tipo di persona e di Maestro.
Voleva metterti paura, questo era ovvio.
Ti avrebbe reso la vita un inferno, già lo sapevi, si sarebbe fatto odiare tanto da farti desiderare la sua morte e per mano sua, in modo da alimentare il tuo senso di confidenza con l'uccidere a sangue freddo, la tua rabbia e il tuo livello di sopportazione.

<< ... hai ragione. >>


... ma tu non ti saresti lasciata intimidire.
Ti voltasti, cercando con lo sguardo qualcosa sul pavimento: eccolo lì, proprio accanto alla macchia di sangue.
Ti chinasti a prendere il pugnale, pulendolo dal sangue sui tuoi vestiti.
Poi, sotto i suoi occhi stupefatti, afferrasti con la mano libera la treccia e premesti senza indugio contro l'attaccatura alla nuca la lama affilata;
sempre più, sempre più, fin quando un sonoro strappo la lunga treccia castana ti rimase nella mano destra.
Sentire il tuo collo scoperto dai capelli ti diede un brivido, che si fuse velocemente a quello di soddisfazione provato nel vedere il viso altrettanto soddisfatto di Marcus.

<< Devo trovarti un nome. >>
<< Un nome...? >>
<< Sì. Un nome di copertura, con cui farti conoscere. >>

I suoi occhi guardarono dietro di te che, curiosa, ti voltasti seguendo la traiettoria tracciata dai suoi occhi.
La bocca ti si spalancò, vedendo ciò che stava alle basi dell'entrata della cappella.

<< Quei... quei gigli... >>
<< Rossi. >>

Marcus concluse la frase, avviandosi verso la porta e recidendone uno tra l'indice e il medio.

<< Le radici devono aver toccato il sangue, e i petali si sono colorati.. >>

Si voltò a guardarti, lanciandoti poi il fiore che velocemente afferrasti, tenendolo tra le palme con cura.

<< Marina. Il tuo nome. da adesso in poi, sarà... >>












<< Prendeteli! >>


Roma.

La milizia scruta ogni dove, ringhiando e tenendo avanti le spade;

La folla mormora, agitata, senza rendersi conto di cosa sta fuggendo attraverso essa.

Due lunghi mantelli uno nero e uno color mattone, più piccolo, scompaiono in un vicolo, lo attraversano, giungendo dalla parte opposta.

<< Ci sono un po' troppe guardie. >> Dice il nero, prendendo a camminare ora normalmente. << Il nobile che abbiamo giustiziato era un pezzo grosso... penso che se lo aspettasse, in un certo senso. >>
Rispose il più piccolo.
<< Comunque, adesso liberiamoci di questi. >>
<< Sì. >>

I guanti di pelle afferrarono il cappuccio, mentre la folla nuovamente vi avvolgeva, inghiottendo un collo nudo su cui stava un piccolo e carminio tatuaggio stilizzato di un fiore.

<< Guarda. >>

Gli occhi blu di colui che portava il cappuccio nero si posarono sul muro di lato.

<< Adesso ti conosco bene. >>
<< Così sia. >>
<< Ma devi ancora crescere... sei ancora debole. >>
<< Lo so. Devo diventare più forte... ancora di più. >>


Le figure scomparirono nel via via di persone, lasciando dietro di loro solo un manifesto ora sfregiato, composto da un numero con molti zeri, un titolo che recitava " Morti di Vivo ", un disegno decisamente abbozzato e un nome.

Il tuo nome.




Il Giglio Rosso.
















______________*

Note dell' Autrice.


Periodi in cui si svolge la storia.

1° capitolo:  1470, Firenze. 
2° capitolo:  1503- 1517,  Firenze e  Francia
3° capitolo: 1560- ...  Francia e Roma

Si fa riferimento a fatti storici quali:

1° capitolo: Congiura dei Pazzi.
2° capitolo: Vita di Leonardo da Vinci, esposizione al mondo della Gioconda.
3° capitolo: Congiura di Amboise, organizzazione per la seconda e subito sventata congiura.


Copyright.

© I personaggi di Francis Bonnefoy ( Francia ) sono di proprietà di Hidekaz Himayura, creatore di Axis Power Hetalia.
©  I personaggi di Leonardo da Vinci, Gian Giacomo Caprotti, Marco D'Oggiono, Tommaso Masini ( ebbene sì! Proprio quel Tommasino! ), Francesco Melzi, Lorenzo, Giuliano, Caterina e Piero de' Medici, Francesco Pazzi, Bernardo Bernardini , Michelangelo Buonarroti, Francesco I e Giovanna D'Arco (Implicitamente citata) sono tutti esistiti realmente.
© I personaggi di Marina "Centro-Italia" Vargas, della sua controparte, Il Giglio Rosso, e di Marcus "San Marino" Da Vinci sono di mia propietà e invenzione da ormai due anni. 
© I personaggi di  Lucia "Santa Sede" Madeleine è stato creato e appartiene a me e a una mia amica.







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