The Last Track di Bikachu (/viewuser.php?uid=137235)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 6: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sesto ***
Capitolo 8: *** Capitolo Settimo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Casa Keller - Berlino
20 Ottobre
...
-Ormai è
impossibile tenere i gemelli persino nella loro casa a Los Angeles-
-Perché?-
David
appoggiò i gomiti sulle ginocchia e cinse le mani guardando
in basso, poi alzò
la testa e prendendo un grande respiro comincio a parlare. I suoi occhi
erano
come quelli di un padre: affettuosi, protettivi, quasi come se i
gemelli
fossero diventati per lui una famiglia vera e propria e non soltanto un
lavoro
che vantava di aver venduto sei milioni di dischi in tutto il mondo.
–Sono
costantemente e perennemente con i paparazzi alle calcagna e non ce la
fanno
più-.
Qualcosa non mi
tornava.
-Scusa Dav
ma…
loro lo sapevano che cambiando casa non avrebbero trovato un letto di
petali di
rosa. L.A. è una delle città più
“gossippate”, se così si può
dire, di tutto il
mondo! Non mi sembra che la loro sia stata una mossa tanto saggia
quella di
lasciare la Germania per l’America…-
-E qui allora?- mi
domandò alzando la voce. Aggrottai le sopracciglia e mi
allontanai da David
alzandomi dalla poltrona e andando verso la finestra, pensando che
almeno in
quel modo avrei evitato la brutta piega che la discussione aveva preso. -Secondo te qui sarebbero
stati al sicuro
dopo quello che è successo? Dopo il furto? Dopo le
aggressioni e gli appostamenti?
Dopo le minacce alla madre? È questo ciò che vuoi
per loro?- il tono della sua
voce era letteralmente alterato.
Sbuffò e
seguirono degli attimi di silenzio interminabili dove rimasi a fissare
la neve
che cadeva fuori dal vetro e senza accorgermene mi ero totalmente
mangiata
un’unghia, cosa che non succedeva dal primo liceo!
Ero in preda ad
una crisi isterica e mi sarebbe bastata una goccia soltanto e il vaso
sarebbe
esploso e non semplicemente traboccato.
Detto fatto, la
goccia arrivò prima del previsto.
-Preferiresti
vederli perseguitati, soffocati da orde di giornalisti che per uno
straccio di
foto pagherebbero oro oppure asfissiati da…-
-Da chi? Dalle
loro fan? Dalle groupies o come si chiamano? Dalla vita che si sono
scelti per
conto loro? Da quello David, è quello?- urlai girandomi di
scatto verso di lui
e correndogli dietro mentre cercava di uscire
dall’appartamento. –Bhè, mi
dispiace, chiamami anche falsa amica o quello che ti pare ma non li
aiuterò a
nascondersi da ciò che si sono cercati… non
questa volta!- finii la frase di
fronte a lui rendendomi conto che era più alto di me di
almeno dieci centimetri
e che la mia fronte gli arrivava al mento, ma in quel frangente a tutto
pensavo
tranne a quello che dicevo perché ero talmente accecata
dalla rabbia e dalla
furia omicida che avevo verso i Kaulitz che tutto il resto era
annebbiato.
David si
guardava i piedi senza segno di vita, quasi fosse morto.
Il silenzio era
atroce, la lancetta dell’orologio emetteva un ticchettio
stressante e
ripetitivo che ti entrava in testa come un martello, il respiro
affannato e gli
occhi lucidi di David mi mettevano una tale angoscia impossibile da
descrivere.
-Dav…-
alzò lo
sguardo e capii che non c’era nulla di cui arrabbiarsi,
quindi cercai di
calmarmi e con il tono di voce più calmo possivile gli
chiesi: –Cos’ è
successo… veramente?-
David chiuse gli
occhi, respirò più lentamente, poi li
riaprì sforzandosi non poco.
Mi mise una mano
sulla spalla e mi abbracciò.
-Tu, forse ora
più di tutti, puoi aiutarlo… puoi riportargli il
sorriso e rendergli la vita
più semplice perché non può stare in
queste condizioni a contatto con le
telecamere o con i giornalisti famelici del minimo rumor…-
tutto questo era
strano, ma di che parlava?
Rimasi
abbracciata a lui inconsapevole di poterlo sostenere perché
non riuscivo a
capire di cosa aveva bisogno, cosa era successo.
-Ma, mi vuoi
dire per favore cosa diamine è successo? Mi stai facendo
agitare, non riesco a
seguirti e non posso darti una mano se non mi fai chiara questa
storia… per
favore…- dissi quasi supplichevole.
Sciolse
l’abbraccio ma tenne le sue mani ferme sulle mie spalle, si
schiarì la voce e
provò a parlare ma ciò che gli uscì
dalla bocca fu un sibilo, niente più.
-Come scusa?-
chiesi sottovoce facendomi più vicina a lui.
-Tom…-
-Tom…
cosa?-
-Tom sta
male…-
una scintilla, un fulmine che mi colpì in pieno. Mi
allontanai da David come se
fosse stato lui la causa dello shock che avevo appena ricevuto.
La salivazione
era a zero, i battiti del cuore a mille, un senso di freddezza dentro
al corpo
al centro del petto e tanta debolezza mi circondarono in un millesimo
di
secondo.
Frastornata e in
cerca di un appoggio istantaneo, mi voltai e barcollai fino in salone
dove
cercai di aggrappare il bracciolo di una poltrona ma lo mancai e caddi
in
ginocchio sul tappeto.
Lo sguardo di
David, le sue parole strascicate, il tono della sua voce non lasciavano
intendere nulla di facilmente risolvibile.
La tensione
lasciò posto alla paura che mi bloccò i muscoli e
la capacità di pensiero
razionale, mi distesi completamente sul tappeto e la voglia di piangere
era
tanta, così tanta che non riuscii neanche a tirar fuori una
lacrima.
David si
inginocchiò di fianco a me ma la mia vista era offuscata e
annebbiata dai
ricordi di Tom e Bill da piccoli in giardino che giocavano senza alcun
pensiero, i biscotti di Simone, i Natali passati insieme, poi tutto
così di
fretta: il successo, la fama, i tour…
Ci siamo persi
di vista da anni per tanti motivi ma più che altro per uno
in particolare e
adesso mi ritrovo nuovamente intrecciata alle loro vite…
alla sua vita… come in
un copia e incolla… un cd che già conoscevo
ripetuto centinaia e centinaia di
volte…
Tutto attorno a
me si fece ovattato…
Sempre
più
silenzioso…
Sempre
più buio
e David alla fine parve solo un miraggio lontano…
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Capitolo 2 *** Capitolo Primo ***
Casa Keller
20 Ottobre
Quando riaprii gli
occhi, intravidi le fiamme del fuoco vibrare e lo schioppettio del
caminetto acceso.
Una coperta era avvolta attorno a me e sul tavolino ai piedi del divano
dove ero miracolosamente sdraiata c'era una tazza di cioccolata fumante
e un paio di biscotti.
Rendendomi conto di essere svenuta, un attimo di vergogna mi invase al
solo pensiero del mio corpo semi-morto non dare più segni di
vita davanti a David, già parecchio sconcertato dalla
vicenda di poco prima.
Tom stava male, non sapevo da cosa era affetto né come si
poteva curare, se c'era una cura, quanto poteva durare la
convalescenza, dove doveva essere portato, analisi, prelievi,
ospedali...
Il mal di testa tornò più forte di prima. Portai
una mano alla fronte stringendomi dolcemente le tempie e provando ad
alzarmi facendo forza su un gomito.
Riuscii a sedermi e a prendere con entrambe le mani la tazza di
cioccolata per paura di farla scivolare mentre ancora non ero
completamente tornata me stessa con tutti i sensi al posto giusto.
Sorseggiai un goccio di cioccolata che mi riempì di calore
il petto e mi placò i pensieri.
Ora sapevo, quindi dovevo reagire altrimenti mi sarei fatta trascinare
nel baratro oscuro della mia mente dove non volevo più
tornare e questo era certo.
Pensare, pensare, pensare...
Georg e Gustav erano in Germania, per loro i problemi di gossip erano
in parte risolti da quando i gemelli abitavano a Los Angeles ma Bill e
Tom non potevano assolutamente rimanere in America, anche
perché io non potevo spostarmi da Berlino: con gli esami
dell'università, il lavoro, era impossibile trasferirmi in
maniera permamente ma forse per brevi periodi sarei riuscita ad
organizzarmi gli impegni.
Loro potevano restare da me, nella mia stanza c'è annesso un
bagno con tutte le comodità mentre io potevo dormire sul
divano vicino al camino e quello non era un problema.
Altra cosa da non far notare erano le macchine: può sembrare
una cosa futile e alquanto superficiale pensare a cose materiali in
momenti del genere ma era necessario far sparire le loro auto da sotto
il parcheggio di casa mia.
Abito in un appartamento e ho un box auto soltanto dove tra l'altro
tengo la mia macchina che utilizzo per gli spostamenti lunghi, quelli
fuori città, per andare ai corsi dell'università
o a fare la spesa prendevo i mezzi pubblici o andavo a piedi.
Le loro macchine potevano restare in un parcheggio pubblico oppure a
casa dei miei, a Lipsia, quindi il prima possibile dovevo chiamare mia
madre e aggiornarla su tutta la questione "Kaulitz" così
papà sarebbe sceso in treno e ne avrebbe portata via almeno
una delle due, quella più appariscente ovviamente.
L'altra poteva benissimo rimanere nel parcheggio esterno del palazzo
che era abbastanza largo e poi a quel tipo di problemi si trova una
soluzione quando ci si trova di fronte.
D'un tratto David si affacciò da dietro lo stipite dell'arco
del salone silenziosamente, pensando che ancora dormissi.
- Vieni Dav, sto bene adesso. - lo rassicurai facendogli un sorrisetto
sbiego e tornando a fissare il fuoco. Lui si sedette vicino a me e gli
porsi un pezzo di coperta sulle ginocchia.
- Io devo parlarti Kim, ma ho paura che adesso avrai altri mancamenti.
Sei debole e non sono sicuro che riusciresti a tenere questa
conversazione. -
- Ohh dai, tranquillo, la tua cioccolata mi ha decisamente rimesso al
mondo. Sarei pronta anche ad andarli a prendere direttamente a Los
Angeles. - strinse le labbra in un sorriso forzato come per
autocinvincersi che poteva parlare di Tom e Bill senza che io svenissi
di nuovo.
- Ok, allora comincio. -
- Va bene. -
- A patto che tu non mi interrompa. -
- Non c'è problema. - certe volte indossavo una maschera
talmente perfetta da non far trapelare neanche un attimo di
inquietudine.
- Come ti ho detto prima, se ricordi, ti ho accennato che loro non
possono più vivere in America per questioni di soffocamento
da parte dei media che in parte è vero ma la
realtà e la vera problematica che è venuta fuori
in queste settimane, è una strana "epidemia" se
così possiamo chiamarla, che ha preso Tom. -
- Epidemia? - ripetei storcendo la bocca ed immaginando come poteva
essersela presa.
- Si, ma non si sà come se la sia presa né quanto
dura, quindi dobbiamo farlo visitare dagli specialisti in Germania
perché è più sicuro, qui parla la sua
lingua ed è più a suo agio.- non faceva una piega.
- Capisco. -
- Però, quello che per ora ci hanno detto i medici in
America è che dovrà fare delle trasfusioni di
sangue e che quindi dovrà passare molto tempo in ospedale a
fare avanti e dietro da casa. -
- Non è un problema, basta che riesca a farmi mettere gli
appuntamenti di Tom con gli orari dell'università e del
lavoro, poi comunque c'è Bill che... - mi freddò
con lo sguardo. - Ah, è vero... non dovevo interromperti...
scusa. -
- Quindi, come hai detto giustamente tu, potremmo fare così
con gli orari e poi troviamo una sistemazione vicina ai gemelli
così che tu possa andarli a trovare in maniera rapida e
all'occorrenza cinque minuti e sei da loro. -
- Mi dispiace dissentire ma devo fermarti per forza. - mi
squadrò e alzò lievemente un sopracciglio
curiosamente. - I gemelli possono stare direttamente nel mio
appartamento. Ci stavo pensando prima, quando mi ero appena svegliata
dal "coma", e magari se loro avrebbero accettato potevano benissimo
restare qua per tutto il tempo che gli serve. Gli lascerei la mia
camera, dove c'e anche un bagno se hai visto bene, mentre io dormirei
qua così la mattina visto che esco di casa molto presto, loro
possono rimanere a dormire senza che vengano disturbati in alcun modo o
da alcuna cosa. Vado ai corsi, vado a lavoro e torno per l'ora di cena,
quindi avrebbero casa completamente a loro disposizione per tutta la
giornata. - David si pizzicava la barba del mento pensieroso, come se
stesse prendendo seriamente in considerazione le mie parole. Era ora di
dare il colpo di grazia. - Vitto e alloggio garantiti e per di
più... senza paparazzi in giro. Assolutamente una vita
normale, noiosa, dedita allo studio e al lavoro. -
Mi guardava fisso, senza dire nulla. Annuiva leggermente con la testa e
niente più.
- ...allora? Ci stai? Prima che cambi idea Dav, per favore. -
- Ok ok ok, ci sto ma... - c'era anche un "ma"? Dopo tutto quello che
avevo proposto c'era anche il "ma". - Dovrai aiutare i gemelli in una
cosa importante, forse la più importante perchè
fondamentalmente non si parla di entrambe i gemelli ma solo di...
ehm... di Bill. - sospirai sentendo quel nome.
- Mh, e cosa vuoi che io faccia di preciso per Bill? - sottolineai
con enfasi il suo nome.
- Dai non prendertela con lui, almeno non ora in questa situazione.
Cerca di lasciare almeno per questo periodo che vivrai con loro sotto
un unico tetto il passato alle spalle e dagli una mano. -
- Ti ripeto la domanda in maniera lenta e scandita: cosa, devo, fare,
per, Bill, punto interrogativo. - alzò gli occhi al cielo
capendo che sarebbe stato più difficile del previsto.
- Cerca di fargli pesare il meno possibile la malattia di Tom. Sono
gemelli Kim, li conosci praticamente da quando hai memoria, sai come si
comportano l'uno con l'altro e sai che tipo di legame speciale hanno.
Se uno sta male di riflesso anche l'altro non è al massimo
delle sue forze seppur in realtà è sano come un
pesce. -
- Si, lo so. - dovetti confermare con gli occhi bassi.
- Quindi, te lo chiedo con il cuore in mano, supllicandoti in ginocchio
se servirà, ma fai in modo e maniera di sollevare i pensieri
di Bill perché prima di tutto non si capisce se sta bene, se
è connesso con il mondo o se parla telepaticamente con Tom e
poi perché si isola, vuole stare da solo oppure fa le
nottate a fissare per ore il fratello mentre dorme. Ha paura di tutto,
anche del più lieve spiffero d'aria che entra dalla
finestra. Ma la cosa brutta è che l'ho trovato pochi giorni
fa a piangere in camera sua al buio. - chiusi gli occhi ed ebbi
l'immagine di Bill che piangeva, scossi la testa e volli scacciare via
quell'orrenda visione. David capì all'istante cosa avevo
percepito.
- Non andare oltre. - lo fermai con un gesto della mano sollevata come
per tappargli la bocca e non far uscire nient'altro. - Ho capito, mi
hai convinta ma... fermati qua non c'è bisogno di
continuare. -
Mi alzai noncurante della coperta che scivolò a terra e mi
si arrotolò alle caviglie. La scacciai con un colpo del
piede e andai in cucina, proprio dietro al divano: una delle fortune di
avere un appartamento con salone e cunina "all in one" era che non
dovevi farti tutto il giro di casa per prendere un bicchiere d'acqua
dal frigo.
Posai nel lavandino la tazza con la poca cioccolata rimasta e vedendo
scendere una gocciolina all'interno della ceramica non riuscii a
resistere e la catturai con un dito mangiandomi anche quella. Drogata
di cioccolata.
Andai verso il frigo e lo aprii in cerca di acqua fresca, si, era
autunno e in Germania fa freschetto in questo periodo ma se non avevo
perennemente una bottiglia d'acqua in frigo mi pareva vuoto.
- Dav, posso offrirti qualcosa da bere? - ci pensò poi si
voltò verso di me dal divano e come se ordinasse al bar
chiese gentilmente una birra.
Ma forse, non sapeva che per mantenermi gli studi e non gravare troppo
sui miei genitori, io lavoravo prorio in un bar e quindi per me quella
era solo l'ennesima birra da servire.
Stappai con una forchetta in fretta e furia il tappo della birra,
cosparsi il beccuccio con del sale e ci misi in mezzo uno spicchietto
di limone: in frigo avevo una Corona e quale miglior modo di berla se
non con del limone?
Ritornai da lui con in mano la sua birra e nell'altra la mia acqua
frizzante.
Bevve un sorso e rimasi ad aspettare un suo commento con un sorrisetto
furbetto stampato in faccia.
- Allora, com'è dottore?- fece schioccare la lingua sul
palato emettendo quel suono della voce tipico che facciamo non appena
beviamo qualcosa di dissetante.
- Ottima Kim, davvero buona! -
- Non c'è di che, Dav. -
- Ma tu... suoni per caso? - lo vidi fissare la mia Epiphone Alpine
White appoggiata al muro.
- Bhè... non esattamente. Non ho mai preso lezioni di
chitarra, sono autodidatta. Piu che altro mi piace cantare. - lo vedevo
interessato all'argomento, quindi mi sembrava normale continuare a
parlarci tranquillamente. - Ho registrato casalingamente un paio di
pezzi unplugged con una mia amica ma non li abbiamo mai messi su
internet... a dire la verità non ci abbiamo mai pensato,
ognuna di noi ha diecimila cose da fare e non abbiamo proprio il tempo
materiale per portare avanti questo progetto. -
- Avete un nome? -
- No, non ne vedevamo l'utilità. Ci riuniamo, suoniamo,
pizza con birra e poi tutte a casa. -
- Tutte donne? - chiese sbalordito.
- Già. - confermai fiera e spavalda mandando giù un sorso d'acqua come se fosse il drink più pregiato al mondo. - Tutte donne, per la
precisione siamo quattro come i tuoi beniamini. - sorrise a quella
battuta.
- Non lasciarlo mai questo tuo sogno, poi magari, potrebbe essere un
punto di partenza per far distrarre Bill. Mostragli i tuoi testi,
potrebbero piacergli! -
- Si, come no... - dissi sarcastica. David non sapeva che tutti i testi
in realtà, anche se non esplicitamente, parlavano per la
maggior parte di lui.
- Provaci, promesso? -
- E va bene, promesso! Contento adesso? -
- Si, più di prima! -
- E ridammi la birra non te la meriti! - gliela strappai dalle mani
scherzosamente. - Senti Dav, ma... quando dovrebbero arrivare i
Kaulitz? -
- Penso che entro domani sera stiano in città e senza che
pernottino in qualche albergo che possa dare la soffiata, li faccio
venire direttamente qua. Tu a che ora sei a casa? -
- Per le 8.00 di sera penso di essere qui, ti lascio le chiavi se vuoi.
-
- Ottima idea! - andai in corridoio e dentro una teiera di porcellana
bianchissima presi il doppione delle chiavi di casa: quello essenziale,
senza fronzoli, solo chiavi del portone, garage e porta d'ingersso.
- Eccole qua. - gliele lanciai e le prese al volo.
- Senti, mi ha fatto davvero piacere rivederti dopo tanto tempo e credo
ti renderò grazie in eterno per quello che stai facendo.
Farò il possibile per tenere gossip e stampa lontano dalla
Germania, fingerò che i Kaulitz siano ancora a Los Angeles
così avrai una copertura totale e non dovrai preoccuparti di
nulla! -
- Grazie mille, scusa Dav ma devo veramente andare a dormire, domani
avrò una giornatina niente male tra studio e lavoro. -
- Si certamente, scusami. - si avviò verso la porta e
uscendo si voltò verso di me improvvisamente come se avesse scordato qualcosa.
- Kim devo dirti una cosa, anzi devo confessarti una cosa. -
- Cosa? Che altro c'è? - ero così satura di
notizie che non ne avrai assimilata un'altra, neanche se fosse stata
piccolissima e insignificante.
- Non sono venuto qui per volere mio, mi ha detto Bill di venire da te
e non smette di pensare a quanto sia stato stronzo a farti quello che
ha fatto. - il mondo si fermò e quelle parole fecero uno
sforzo enorme per entrare ed uscire dalle mie orecchie come una
macchina da corsa, ma facendo appello a tutta la mia forza, ci riuscii.
- Ok. Buonanotte Dav, ci sentiamo. - chiusi molto lentamente la porta e
figurativamente chiusi anche tutto ciò che per me era stato
Bill Kaulitz fino a quel momento, fino alle ultime parole di David.
Bill Kaulitz non avrebbe dovuto rivolgermi la parola e se stava a casa
mia, stava alle mie regole!
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Capitolo 3 *** Capitolo Secondo ***
Casa Keller
21 Ottobre
Ore 03:30am
...
La notte era impossibile: mi giravo e rigiravo nel letto non
riuscendo a trovare una posizione abbastanza comoda per addormentarmi.
Pensavo al giorno che sarebbe arrivato e alle novità che
avrebbe portato in casa mia.
Sapevo che quando avrebbe varcato quella soglia dovevo sdoppiare la mia
personalità: la Kim di sempre, contro la Kim Anti - Bill.
Ma più pensavo, meno riuscivo a collegare tutto e a
sistemare quel mix di confusioni drastiche e repentine che mi avevano
invaso il cervello stipandosi per bene nella mia testolina.
Bill sarebbe tornato e l'avrei rivisto, ci avrei parlato ed era
inveitabile. L'unica cosa che potevo fare era rimanere il
più possibile lontano da casa ma comunque c'era sempre il
fattore "Tom" che non poteva essere trattato con
superficialità e soprattutto non poteva rimanere da solo con
un fratello psicopatico che lo fissava 24 ore su 24!
Era come un labirinto: intrappolata nella mia stessa casa.
Poi la mia mente mi giocò un brutto scherzo e fece un rewind
concentrato della storia con Bill, dell'incidente, delle ore passate in
ospedale aspettando uno straccio di notizia che non arrivava mai, della
sua perdita di memoria e della sua partenza ma il ricordo che bruciava
più di tutti era l'immagine del led della segreteria
telefonica lampeggiare incessantemente... e il terribile shock che il
messaggio vocale mi provocò: la sua voce era
limpida e le sue parole erano tanto chiare quanto riuscirono a
freddarmi l'anima.
Le ricordo come se le avessi sentite ieri, quando in realtà
erano passati anni.
- Ciao Kim, sono io...
ehm Bill. Ti ricordi quando in ospedale i medici ti hanno detto che
avevo perso la memoria? Bhè... ecco, non era vero. La
memoria l'ho sempre avuta ma non potevo lasciarti come un ragazzo
normale... non volevo lasciarti! Cerca di capirmi, sto facendo uno
sforzo enorme a parlarti così ma io dovevo partire e non
potevo allontanarmi da te semplicemente mettendo fine alla nostra
storia come avrebbe fatto un Tom della situazione. Pensavo che
parlandone saremmo arrivati ad una soluzione insieme, ma non ne ho
avuto il coraggio... - abbracciai forte il cuscino
ripensando a quel maledetto momento e ai conati di vomito che mi
venivano mentre ascoltavo la registrazione. - Le nostre strade si sarebbero
divise comunque, forse questo era il modo più indolore per
fartelo sapere. Sono stato un vigliacco e so che con questo messaggio
ti ho spezzato il cuore, quindi non mi aspetto che tu mi perdoni... ma
prometto che non intralcerò più la tua vita e che
di me non avrai più notizia. Sei una ragazza d'oro e ti
auguro tutto il bene di questo mondo, tutto quello che non sono stato
in grado di darti. Scusami... - di quei frangenti mi
ricordo che, una volta finito il nastro, rimasi a fissare la segreteria
per un tempo interminabile e che quando riuscii a capire cosa era
successo mi sentii tradita e talmente ingenua di aver creduto alla sua
perdita di memoria che mi infuriai con me stessa e scaraventai a terra
l'apparecchio, che fino a pochi attimi prima aveva trasmesso per tutta
casa la sua voce, con rabbia disumana.
Ma tutta quella rabbia alla fine sfociò in un pianto
dolorosissimo perché ero certa che lo avrei amato... anche
dopo quell'episodio.
Mi addormentai stremata dai ricordi e una lacrima nuova scese cauta,
andando a bagnare il cuscino.
...
- Senti, io e te dobbiamo parlare. -
- Ohh adesso ti ci metti anche tu, ma che cos'è mi avete
scambiata per la psicanalista di zona? - la mia unica e migliore amica
Kate Millan, meglio detta "Cherry Bomb", mi diede due colpetti con il
gomito per attirare la mia attenzione durante il corso di Letteratura
Tedesca. Ero talmente concentrata sulla lezione che la sua interruzione
mi mandò in bestia e poi tutto mi andava di fare quel
giorno, tranne che di parlare.
- Fai poco la scontrosetta, voglio parlarti seriamente di questa storia
e vorrei sapere da te se posso esserti utile in qualche maniera. - la
adoravo: lei sapeva tutto di me e anche quando ero di pessimo umore
sapeva come farmi ridere, ma non penso ci sarebbe riuscita anche in
questo giorno, specialmente
in questo giorno.
Mi voltai verso di lei e le sorrisi cercando di essere gentile e di
recuperare al malo modo in cui mi ero rivolta prima.
- Se avrò dei problemi sarai la prima che
chiamerò. - sbuffò.
- Certo... sono l'unica di cui ti fidi in questa città, mi
pare ovvio che chiameresti me.-
- Non è vero, posso sempre chiedere un favore a Mandy. -
- Quello del mercatino della domenica? Il venditore di spezie turco? -
domandò a raffica con un'ironia che solo lei riusciva a
trasmetterti in maniera così eclatante, facendomi sbottare
in una risata che dovetti soffocare con una mano davanti alla bocca per
non stordire i compagni di corso. - Ma ti prego, quello sta
lì solo perché prima o poi tu gli comprerai una
qualche erba che ti manderà al ceratore con quella sua
faccia che ride sempre, mi puzza. -
- Bhè... è un ottimo pusher. - la informai e
intanto continuavo a ridere e a pronunciare a fatica quelle parole. -
Una volta ho fumato una sua spezia con il narghilè e ho riso
per i due giorni seguenti, ti ricordi? -
- Oddio ma che era la sera del post Oktoberfes? - chiese strabuzzando
gli occhi e non riuscendo più a trattenersi dalla ridarella.
- Ahahahahah siii quella sera là! -
- Oddio che delirio. -
- Folli. -
- Tu con il narghilè, e io invece che ero talmente fuori che
avevo cominciato a girare per casa tua con indosso le mutande in testa
e cantavo con il telecomando sbarellando di qua e di là "Noo
woman no cryy, no woman no cryy!". -
- Che spettacolo che eri! - finimmo di ridere e le strinsi la mano
intrecciando le sue dita con le mie. - Grazie Kate. -
I suoi occhioni trapelavano bontà ad ogni battito di ciglia,
era adorabile. Ancora, però, non mi capacitavo del
perché non riusciva a trovare un ragazzo.
- Di nulla... -
- Senti, fai una cosa... alle 7:30 di questa sera, quando ho finito di
lavorare, fatti trovare fuori dal bar così torniamo a casa
insieme. Sinceramente non so quanto potrò reggere la botta
della sua visione dentro il mio appartamento... - Le parole pesavano
come macigni dentro di me, sia per un fatto di orgoglio sia
perchè era la verità: non ero sicura al 100% di
rimanere in uno stato mentale sano.
- Non c'è problema, sarò là alle 7:30
spaccate! - mi diede due colpetti sulla mano per rassicurarmi e
sospirai sentendomi leggermente più sollevata.
Tornai alla lezione con il pensiero che almeno non sarei stata sola nel
frangente in cui lo avrei rivisto.
Finite le mie ore di Part - Time, appesi il gilet rosso bordeaux nel
piccolo sgabuzzino del bar, salutai JJ il mio superiore e uscii in
fretta cercando Kate.
Lei era appoggiata alla portiera della mia macchina: una Chevrolet
Spark verde mela come quella del film Transformers 2 e che tra l'altro
avevo chiamato proprio come quella nel film "Skids".
- Dai non fare quella faccia da cane bastonato, non sarà poi
così drammatica la cosa... - mi assicurò Kate.
- Ah bhè, se lo dici tu allora... - controbbattei
sarcasticamente e di rimando mi fece la linguaccia mentre saliva dalla
parte del passerggero.
Per tutto il tragitto rimasi in silenzio, nella mia bolla immaginaria
del "Ci" ("l'equilibrio" in lingua cinese). Stringevo lo sterzo
così forte che le unghie trafissero il palmo della mano.
- Stai calma Kim, stai calma... -
- Io sto
calma. - ma più che una rassicurazione per Kate, sembrava
più un'autoconvinzione che lo fossi veramente e continuai a
ripetermelo in testa finché non arrivai nel mio garage.
Aprii il portone del palazzo e lo tenni aperto per far passare la mia
amica.
- Scale o ascensore? -
- Scale. - risposi secca. Più allungavo la distanza fra me e
la porta di casa e più mi illudevo che potevo
tranquillamente aprirla senza trovare alcuna persona al suo interno.
L'eco dei tacchi risuonava in tutto l'androne, ad ogni scalino in cuore
batteva sempre più forte fino a sentirmelo pulsare in gola.
Arrivata sul piano camminai fino a trovarmi la porta dell'appartamento
di fronte.
"Interno 44",
si era il mio.
Presi le chiavi dalla borsa e la mano cominciò a tremarmi
freneticamente, mentre quella di Kate sulla mia spalla mi ricordò
che non ero sola.
Fuori dalla porta non c'era segno di scatoloni o quant'altro che poteva
rimandare ad un trasloco, ma questo non significava nulla.
"Fai che non mi senta
male, fai come se lui non ci fosse" continuai a dirmi
mentre giravo la chiave nella serratura.
Uno, due giri, la porta era chiusa probabilmente dall'interno.
La tensione saliva, il respiro era affannato, tachicardia presente.
La serratura scattò e aprii la porta spingendola quasi
furtivamente, ma entrando avevo paura che tutte le emozioni represse
degli anni passati si riversassero in un secondo.
Azzardai due passi in corridoio ma le luci erano spente.
- Entra Kate, è tutto spento non credo siano ancora
arrivati. - gettai le chiavi su una mensola e sospirai di sollievo.
- Non c'è nessuno? - chiese curiosamente quasi non
credendoci.
Vedendo la sua espressione attonita non potei fare a meno di sorriderle.
- Bhè, se non sono qua arriveranno fra poco tranquilla.
Intanto finisco di sistemare un paio di cose in casa. -
- Ti aiuto? - le sentii chiedere mentre andavo in cucina.
- Magari, devo cambiare le lenzuola del letto e sistemare il bagno non
ho avuto tempo stamattina di... - superata la porta ad arco che
conduceva in salone, mi paralizzai. Le mie gambe erano bloccate
così come le mani sul muro.
- Si non ti preoccupare ti aiuto io poi stasera possiamo... hey,
perché ti sei ferm... oh... - Kate mi arrivò da
dietro le spalle e non vedendomi dire una parola guardò in
salone rimanendo sorpresa e sconcertata al tempo stesso.
Due paia di occhi ci fissavano: uno dei due mi sorrideva e
salutò con la mano, l'altro invece non si muoveva di un
millimetro e non battè ciglio.
Con la coda dell'occhio vidi che Kate guardava me e poi i ragazzi
alternando e controllando ogni singolo movimento. Sapevo che se avessi
fatto qualcosa di sconveniente o strano, lei mi avrebbe placata
immediatamente.
Kate era una garanzia.
Poi gli occhi del ragazzo impassibile si chiusero, prese un respiro
profondo come per prendere atto del momento e li riaprì
all'improvviso.
- Ciao Kimberly. - disse tutto d'un fiato, come se quelle parole
fossero di un'altra lingua difficilissime da pronunciare.
Ed eccomi, faccia a faccia con il passato. Quel passato che aveva
promesso di non intralciarmi più la vita e che non sarebbe
tornato, di cui non avrei più avuto notizia.
Ma la notizia, volente o nolente, era nuovamente parte di me.
- Ciao Bill. - aprendo e chiudendo i saluti con un tono di voce piatto
e senza alcuna emozione.
|
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Capitolo 4 *** Capitolo Terzo ***
Casa Keller
21 Ottobre
...
Era lì che mi fissava e niente più.
Cresciuto, più alto, capelli sempre corvini ma corti, trucco
a go-go e una
varietà di piercing che non mi erano familiari: sembrava che
il tempo per lui
non fosse passato, tranne che per un leggero aumento della massa
muscolare che
ricordava vagamente la sua reale età.
Non sapevo come spiegare quel momento perché in
realtà non penso c'era nulla da
spiegare e mentre focalizzavo una fiamma nel camino Tom fece
volutamente un
colpetto di tosse e ci fece tornare tutti coi piedi per terra.
- Magari, sempre se vuoi, potresti venirmi a salutare come si deve Kim.
- aprì
le braccia e vedendolo sorridere con quei due occhioni, come potevo
resistere a
quella faccia sorniona?
Corsi verso di lui lanciando la borsa sulla poltrona lisciando Bill che
si
spostò giusto un attimo prima dell'impatto e abbracciai Tom
calorosamente quasi
cadendo.
Anche lui era cambiato molto: aveva lasciato i lunghi dread per fare
spazio a
delle trecce spesse che gli ricadevano sulle spalle fino al petto, lo
rendevano
molto attraente e gli stavano davvero bene.
- E queste? - chiesi prendendone in mano una.
- Diciamo che ci sono state delle novità dall'ultima volta
che ci siamo
visti... - si giustificò ridendo.
Mi fiondai sul suo collo e lo abbracciai forte, lui ricambiò
l'abbraccio nella
stessa maniera: dopotutto ero stata la loro vicina di casa e insieme ne
avevamo
fatte di cotte e di crude.
Adoravo i
gemelli, erano dei fratelli acquisiti e nessuno doveva provare a
toccarmeli
specialmente a scuola!
Forse tutto questo si era rovinato proprio per colpa mia e di Bill,
forse non avremmo
dovuto mai metterci insieme. Ma quello che era stato, era stato e siamo
andati
avanti non curandoci troppo del passato che avrebbe condizionato le
nostre vite
fin troppo profondamente.
- Ops, scusatemi. – mi ricordai improvvisamente. - Devo fare
le presentazioni.
- mi staccai dall'abbraccio girando intorno al divano e passando
davanti a Bill
senza degnarlo di uno sguardo per raggiungere Kate che tutto ad un
tratto era
diventata un po' timida.
- Lei è Kate, la mia migliore amica e loro come ben sai sono
Tom... – che la salutò
con un gesto della mano. - E... Bill. - che rispose al saluto facendo
lo stesso
gesto del fratello senza metterci troppa enfasi.
- Ciao Kate, piacere di conoscerti. - disse Tom da in fondo la stanza
squadrandola per pochi secondi. Quei secondi
che sapevo bene gli servivano per “analizzare” una
ragazza e, a parer mio,
sembrava annuire sorridendo soddisfatto.
- Piacere mio ragazzi. - e sorrise mettendo in mostra la sua dentatura
bianca
come la neve che scendeva fuori la finestra. Poi si rivolse verso di me
e
gesticolando, come era suo solito fare, si offrì di
cominciare a sistemare la
mia stanza che sarebbe diventata la loro.
- Si vai, adesso arrivo. Grazie mille Kate ti devo più di un
favore. -
- Non ti preoccupare Kim, capisco la situazione. - detto ciò
guardò di sfuggita
Bill che ricambiò lo sguardo alzando impercettibilmente un
sopracciglio. Lei,
vedendolo, arrossì leggermente e distolse lo sguardo da
quegli occhi che sapevo
benissimo come riuscivano ad ipnotizzarti in maniera tanto rapida e
veloce,
quasi come il morso fulmineo di un serpente. - Ehm... vado allora, ti
aspetto
dillà. -
- Ok, due minuti e sono da te. - lanciò un ultima occhiata
veloce al salone,
questa volta evitando Bill e puntando Tom che le sorrise beffardo.
Mentre
camminava verso la mia camera la seguii con lo sguardo, la vidi
voltarsi un
istante e farmi il segno dell'OK con una mano mimando un espressione
sbalordita. Leggendo il labiale lessi "Tom".
Sorrisi pensando a quante volte, per colpa di quel babbuino,
l'avrei
avuta a casa mia.
Ero con la
spalla appoggiata al muro e tornai a guardare verso il divano, verso
Tom
precisamente. Sentivo gli occhi di Bill bruciarmi sulla pelle come
carboni
ardenti ma non me ne importava proprio nulla e mi ero promessa che ci
avrei
parlato il minimo indispensabile.
- Tom... – lo chiamai. - Posso abbracciarti di nuovo? E'
talmente strano
rivederti dopo tutto questo tempo che non mi sembra tu sia veramente
qua! -
- Sorellona mia... - si sistemò meglio sul divano mettendosi
seduto in una
maniera quasi normale. - Il tuo Tom è pronto ad
accogliere l'ennesimo
abbraccio, vieni quaaaa... - mi incitò finendo la frase con
una vocina
stridula, che sinceramente, sentendola uscire da un ragazzone di un
metro e
ottanta (...e anche qualcosina di più), era davvero una cosa
comica.
Mi incamminai nuovamente verso di lui passando davanti alle gambe
chilometriche
di Bill e mentre stavo per gettarmi sul ragazzo treccioluto qualcosa mi
tirò
indietro.
Voltandomi
cercai di dare una spiegazione a quella mano scarna che mi si era
avvinghiata
al polso saldamente, imprigionandolo ed impedendomi di andare oltre.
Una delle
cose che più non sopportavo era il proibirmi di fare
qualcosa o di andare dove
volevo, quando lo volevo.
Una
rabbia mi salì dentro e il calore
dell’intolleranza si propagò per tutto il
braccio che avevo ancora libero facendomi inconsciamente stringere la
mano a
formare un pungo e a tendere tutti i muscoli in una fase di tensione
nervosa.
Lo
guardai fulminandolo letteralmente e lui, senza mollare minimamente la
presa
della mano, mi fissò dritto negli occhi, freddo, pungente e
con una voce
altrettanto aguzza mi chiese: - E a me? L’abbraccio non
è concesso? –
puntualizzò.
Tom,
dall’altra parte, sgranò gli occhi e
abbassò le braccia fino a posarle sui
braccioli silenziosamente.
Sembravamo
due pantere che stavano per azzuffarsi in una maniera
tutt’altro che giocosa,
più che altro la nostra lotta sarebbe stata come per la
contesa di un pezzo di
antilope che nel nostro caso era solamente un fattore di puro orgoglio
da parte
mia e di non so cosa da parte sua.
- Lasciami. Subito. – gli ordinai facendo
uscire quelle parole a denti stretti come un sibilo.
Continuò
a guardarmi fisso per i dieci secondi successivi e io feci lo stesso
non
battendo neanche una volta le palpebre.
Mi
faceva schifo e se non mi avesse lasciata immediatamente penso che il
pungo che
avevo in serbo presto sarebbe andato a segno sul suo bel nasino.
Prendendo
atto di quanto fossi imbestialita, aprì la mano e mi
lasciò andare, pur
rimanendo in contatto visivo con i miei occhi. Questi non mi facevano
più alcun
effetto, non li vedevo come prima ma ad essere sincera per un frangete
provai a
ricercare all’interno di quelle iridi marroni un qualcosa che
mi ricollegasse
al Bill Kaulitz di cui mi ero innamorata follemente, ma non trovai
nulla e fu
come aver fatto un immenso buco nell’acqua.
Erano
vuoti.
Appena
allentò la presa tolsi frettolosamente il mio polso dalle
vicinanze della sua
mano e lui tornò a guardare il caminetto, giunse le mani e
appoggiò i gomiti
sulle sue gambe lasciando che il viso si appoggiasse a sua volta sulle
mani
giunte.
Tornai
a guardare Tom i cui occhi erano illuminati dalle fiamme e ne
riflettevano le
sfumature rossastre, com’era bello il mio fratellone.
Mi
sedei per terra, vicino a lui e cominciammo a parlare un po’
di tutto: della
sua strana epidemia senza senso, della sua fuga dalla Germania e la
voglia al
tempo stesso di tornarci, le sue follie in America e soprattutto le
ragazze
americane. Ogni tanto Bill faceva qualche commento, tanto per ricordare
che c’era
e che era vivo ma per me fu come il ronzio fastidioso di una zanzara
dentro l’orecchio
mentre ti stai per addormentare. Assolutamente da scacciare via, oppure
da
ignorare nel mio caso.
Squillò
il cellulare e corsi a rispondere.
-
Scusami un secondo Tom, torno subito. – mentre cercavo il
cellulare in borsa,
Kate entrò in salone annunciando che la stanza era pulita e
in ordine.
-
Oddio scusami, Kate! – le dissi mettendomi una mano sulla
fronte. – Mi ero
scordata di darti una mano e… stavo parlando e…
scusa… - il cellulare squillava
nella mia mano.
-
Rispondi Kim, non ti preoccupare. – mi sorrise teneramente.
Non
c’erano parole, quella ragazza era assolutamente da sposare.
-
Si, pronto? – risposi al Blackberry. – Davvero? Ah
va bene allora scendo
subito. –
-
Chi era? – chiese curiosamente Kate.
-
Era David. – i gemelli si girarono verso di me. –
Ha fatto portare qui le
vostre auto quindi devo andare a spostare la mia macchina dal garage,
così
mettiamo la tua dentro, chiusa e assolutamente nascosta! –
dissi facendo l’occhiolino
a Tom mentre mi infilavo l’impermeabile.
Presi
le chiavi di Skids dalla borsa.
-
Ti do’ una mano, aspetta. – propose Tom alzandosi
dal divano.
-
No, stai lì… da questo momento in poi dovrete
cercare di uscire il meno
possibile, almeno finché non ho ben chiara questa storia e
capiamo fin dove
abbiamo dei limiti da rispettare. –
- …mi
pare giusto. – concluse Tom risedendosi.
Uscii
dall’appartamento ed entrai in ascensore ravvivandomi i
capelli con la mano. Cliccai
il tasto per andare in garage ma le porte vennero bloccate e si
riaprirono per
far entrare proprio chi non desideravo avere accanto.
L’ascensore si chiuse e
cominciò a scendere.
Guardavo
davanti a me in silenzio, lui invece batteva freneticamente la punta
del piede
per terra e ad un tratto:
-
Tom ha detto che la sua macchina dovevo parcheggiarla io, ecco
perché sono
sceso. – si giustificò senza che gli avessi
chiesto nulla.
-
Ok. – dissi facendo spallucce.
Momenti
di silenzio, poi:
-
Sai… sono curioso di sapere se per tutto il tempo che
abiterò qui tu non mi
rivolgerai la parola oppure se sentirò almeno un
“ciao” quando entrerò in
quell’appartamento
le rare volte che uscirò. – sbottò
mettendosi davanti a me, costringendomi a
guardarlo.
-
Parlerò con te il meno possibile, è bene che tu
questo lo sappia e che te lo
ficchi bene in quella testolina vuota che ti ritrovi. –
cominciai ad informarlo
nella maniera più calma e pacata possibile, quasi sembravo
una donna risoluta. –
Poi se proprio lo vuoi sapere, no, non ho il piacere di fare ulteriore
conversazione con te a meno che non si parli di tuo fratello o di
ipotetiche
cose che non trovi in casa mia e un’altra cosa… -
-
Cosa? – mi chiese avvicinandosi.
Allungai
la mano sul suo petto fino a spostarlo e a mantenerlo a debita distanza
da me,
ovviamente, senza provare niente tranne che una rabbia tenuta ben
stretta al
guinzaglio.
-
Non provare mai più, e dico mai più in alcun modo
o in alcuna maniera a toccarmi
o ad impedirmi di fare una cosa. MAI! Sei a casa mia Kaulitz e starai
alle mie
regole, che ti piaccia oppure no. Brevi e necessarie conversazioni,
utilizza
casa mia come fosse la tua basta che mi eviti il più
possibile perché ti
assicuro che sarà ciò che farò io.
– l’ascensore si fermò e uscii
lasciandolo
dietro di me.
David
era in fondo al garage che aspettava tra due macchine: un’
Audi R8 e una Q7.
Bill
salutò con la mano il manager.
-
Hey Dav, come va? – chiesi andandogli incontro sorridente e
abbracciandolo.
-
Bene Kim, incasinato come sempre ma… bene! –
rispose corrispondendo
calorosamente al mio abbraccio. – E tu? –
Lo
guardai e poi sbuffando spostai lo sguardo sul cantante che si aggirava
intorno
alla macchina del fratello.
-
Ok, ho afferrato il concetto. Grazie ancora per quello che stai
facendo,
significa molto per me e per loro… anche se non lo
ammetteranno mai. –
-
Si, lo so che sono molto orgogliosi ma con me è
diverso… almeno per quanto
riguarda Tom. – dissi lasciando intendere quello che provavo
per l’altro
gemello.
-
Ehm, direi di mettere dentro la sua macchina così sistemiamo
anche questa
faccenda e poi torno ad Amburgo. –
-
Ad Amburgo? – esordimmo io e Bill all’unisono
sbalorditi. Ci guardammo per un
secondo, lui sorrise di sbieco, io lo fulminai e tornai a guardare
David che
era rimasto a godersi la scena apparentemente comica ad occhi comuni.
-
Ma non dovevi pernottare in un albergo qui vicino? – chiesi.
-
Si ma il problema è che il lavoro continua e qui non posso
portare avanti
determinate cose. Non ho ciò che mi serve e poi non posso
rimanere a fare da
balia a due ragazzi grandi e grossi! – mi accigliai.
-
Certo, per quello ci sono io vero? –
-
No, non dire così perché sai che non è
vero. Comunque qui ho la lista delle
medicine che Tom deve comprarsi e lui può andare in farmacia
anche da solo, può
camminare e muoversi autonomamente come anche quell’altro
può fare. –
-
Dell’altro non avevo dubbi, continua. – dissi
storcendo la bocca.
-
Bene, quindi questa è la lista. – mi diede un
foglio con un sacco di nomi di
medicinali e per me la calligrafia dei medici era qualcosa di
crittografato,
geroglifico da dover decifrare. Sgranai gli occhi quando la vidi.
-
Ma, sono tutti antidolorifici. – notai con sorpresa.
– Nessun antibiotico? –
-
Finché non si sa da cosa è affetto è
inutile somministrargli medicinali
antibiotici. –
-
Hai ragione, scusa. – chiusi il foglietto e lo misi nella
tasca interna dell’impermeabile.
– Ti sposto Skids. –
-
Chi? – chiese come se cadesse dalle nuvole.
-
E’ il nome che ho dato alla mia macchina, ora la levo dal
garage così il Sig.
Kaulitz… - l’improvviso rombo del motore
dell’ R8 ci fece voltare entrambi
mentre l’intero garage si riempiva di quel potente ringhio
mettendo in risalto
l’ennesima prova di egocentrismo di Bill. –
Dicevo… così può mettere
quell’astronave
qui e io parcheggio fuori senza problemi. –
-
Perfetto, io porto fuori quella di Bill allora. – annuii.
Portai
fuori dal box Skids e feci passare Bill che dentro quel bolide, a parte
tutto,
faceva proprio una gran figura.
Spensi
la macchina nel parcheggio sul retro aspettando che David coprisse con
un telo
per automobili la Q7 di Bill e alzando gli occhi al cielo vidi con
disappunto
che le nuvole non promettevano nulla di
buono: quella sera un temporale si sarebbe scatenato sulla
città di Berlino.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo Quarto ***
Casa
Keller
Ore
24:00
In
casa tutto era
silenzioso: l’unico lieve rumore che si poteva sentire era lo
scoppiettio della
legna nel camino. Kate aveva mangiato con noi e poi era tornata a casa
sua
ribadendomi che per qualsiasi cosa potevo chiamarla, anche
all’una di notte. Il
problema però era che non volevo disturbarla per farle
presente la mia
insonnia: avevo gli occhi spalancati tipo gufo e andavo avanti e
indietro fra
divano e frigo senza prendere o mangiare nulla, quasi avessi un tic. La
verità
era che non riuscivo a prendere sonno sapendo che avevo lui nel mio
appartamento, anzi, in camera mia nel mio letto a due piazze avvolto
nelle
lenzuola e nel piumone. Forse a torso nudo, forse con indosso solo una
maglietta leggera o forse…
Oh ma che ti
prende!
Non dovevo neanche
pensare certe cose nei suoi confronti! Non dopo tutto quello che mi ero
ripromessa e dopo tutto il tempo passato a cercare di tenerlo lontano
dalla mia
testa!
Eppure c’era un
qualcosa che era più potente di ogni resistenza che tentavo
di utilizzare, che
riusciva a superare l’immenso muro della voluta indifferenza
e che nuotava
liberamente nel lago di lacrime che avevo accumulato con il passare
degli anni.
Probabilmente era solo
un qualche attacco nervoso causato da sindrome d’abbandono o
qualcosa di
vagamente simile ma di una cosa ero certa: non dovevo permettere a
questa
“cosa” di farmi illudere nuovamente.
Farti illudere su
cosa, esattamente?
Bene, adesso parlavo
anche con la piccola Kim all’interno del mio cervello.
Sto impazzendo, lo
sento.
Livello d’esaurimento?
Ormai ha sconfinato verso l’infinito e oltre!
- Sto proprio fuori. E
me lo dico anche da sola, sto doppiamente fuori! – buttai
giù un sorso di
Corona passivamente.
La pioggia batteva
contro il vetro della finestra brutalmente, le gocce erano giganti e il
rumore
che facevano era alla pari di un chicco di grandine contro una persiana
di
ferro. Terribili.
Guardai fuori e di
automobili neanche l’ombra.
A Berlino siamo soliti
uscire in bicicletta o in metro semplicemente perché abbiamo
degli ottimi mezzi
pubblici e la macchina quasi non serve. Io sono l’eccezione
alla regola.
Si, è vero, anche io
utilizzo poco Skids per muovermi in centro ma rispetto ai normali
berlinesi la
mia macchina ha fatto più chilometri di quanto una
Volkswagen riuscirebbe a
fare in mano a qualsiasi altra persona in città.
Amo guidare, amo la
velocità.
Mio padre ha la
passione per le moto da corsa e quando può, insieme ad
alcuni suoi amici, ne
approfitta per andare a girare in pista al Nurburgring. Peccato che ha
cominciato tardi a frequentare le piste motociclistiche, se avesse
iniziato da
piccolo chissà… la stoffa del campione ce
l’ha sempre avuta in fondo.
Anche quando ha
insegnato a Tom ad andare in bicicletta.
Un sorriso si dipinse
sul mio volto rivivendo quei momenti.
Eravamo sulla via di
casa nostra, che era anche quella della famiglia Kaulitz, e mi ricordo
che mio
padre mi aveva comprato una bicicletta bellissima rossa. La mia prima
due
ruote, un fulmine, una saetta.
Ero emozionatissima
quando ci salii e affianco a me c’era Tom che guardava tutto
con estrema
venerazione.
Io, diciamocelo, non
ero poi così brava quindi decisi di scendere e di far salire
salire Tom che non
sapeva ancora andarci benissimo.
Papà lo teneva dietro
al sellino e lui cominciò a pedalare veloce, sempre
più veloce, finché mio
padre lo lasciò andare e lui sfrecciò via come se
fosse nato per stare in sella
ad una bici!
Era fantastico vederlo
libero e felice, con quel sorriso che sprizzava gioia e purezza da ogni
angolazione e vederlo adesso, in casa mia, con questa strana cosa che
lo ha
affetto costretto a nascondersi dalla gente è un paradosso.
Il sorriso sul mio
voltò svanì a mano a mano che facevo chiarezza e
il ricordo di Tom si
affievolì, sparendo totalmente nel giro di pochi attimi.
Una strana sensazione
di vuoto mi contornò.
Sorseggiai una seconda
volta la birra notando che le goccioline formatesi sulla bottiglia mi
avevano
bagnato tutta la mano. Spostai la Corona nella mano asciutta e passai
l’altra
dietro al collo.
Il fresco dell’acqua
mi riportò con i piedi per terra e lasciò che un
po’ della mia ansia se ne
andasse per conto suo.
- Hey… - mi voltai
cercando di capire nella penombra del salone chi dei due fosse che
aveva
richiamato la mia attenzione. I battiti accelerarono e decelerarono
improvvisamente quando focalizzai che Tom si presentò
davanti ai miei occhi con
un paio di pantaloni larghissimi di cotone e una canotta bianca.
Si passò una mano
sugli occhi stropicciandoseli.
- Sei ancora sveglia?
– chiese quasi dormendo.
- Si, non riesco a
dormire. – dire la verità in certi casi
è la scusa più plausibile.
- Vampira. –
- Come scusa? – forse
avevo capito male.
Si avvicinò alla
finestra dove la luce della città lo illuminò
meglio: gli occhi un pochino
gonfi dal sonno, le ciglia lunghe e folte, la sua altezza, le sue
spalle larghe
messe ancora più in risalto da quella canottiera e per
finire in bellezza le
labbra carnose.
Wow.
Si limitò a dire la
mia coscienza e dentro di me risi a quel pensiero.
Io guardavo Tom come
un fratello, non vedevo in lui una strana voglia di saltargli addosso
come
migliaia di ragazzine urlanti avrebbero fatto in un momento come
questo, però
non c’era nulla da dire perché metteva paura per
quanto era bello!
- Vampira, vampira,
vampira… non dormi mai, questa cosa ti è rimasta.
Non è una sorpresa vederti
sveglia Kim, anche quando abitavamo vicini la luce nella tua stanza era
per la
maggior parte delle notti accesa. –
Arrossii ripensando ai
tempi che furono.
- Ti ricordi, eh? –
- Eh bhè, come potrei
non ricordarmi… la tua luce mi perforava la finestra! Sono
dovuto ricorrere
alla mascherina da notte perché altrimenti avrei avuto delle
borse, anzi no,
delle valige sotto gli occhi non indifferenti! – disse
sorridendo e muovendo le
braccia.
- Avevi il sonno così
leggero? –
- Io no per fortuna ma
Bill non sai quante notti mi ha fatto passare sveglio mentre era
affacciato a
guardarti! –
- Che hai detto? –
sembrava che cadessi dalle nuvole.
Lui mi osservò e
proseguì, questa volta assumendo un tono della voce serio.
- Ehm, ok. Bill,
quando abitavamo o per lo meno quando tornavamo a casa per quei brevi
giorni
liberi che ci erano concessi, senza che tu lo sapessi ha continuato a
guardarti
in finestra anche dopo… ecco… il messaggio, sai
quello della… segreteria
telefonica… -.
Gelo, fuoco e poi di
nuovo ghiaccio.
Il mio volto passava
dal rosso, al viola, al blu, al verde senza mai fermarsi.
Ringraziai il cielo
che la stanza era buia o mi sarei nascosta con la testa sotto il
parquet.
- Devo sedermi. –
confessai.
Tom mi passò un
braccio intorno alla vita e mi fece sedere affianco al camino. Il
calore delle
fiamme avvampò su di me in breve tempo e quel tepore mi
tranquillizzò.
Riportare a galla
certe cose era una cosa difficile da mandare giù,
però ora volevo sapere.
Il fratellone si
sedette a gambe incrociate sul tappeto con me e guardandomi preoccupato
disse:
- Mi dispiace averti
ricordato queste cose ma… se non lo faccio ora non lo
farò più. –
- Cosa intendi dire
con questo? – chiesi con sguardo interrogativo.
Sospirò.
- Sai, non è facile
vivere come me e Bill. Non penso che se prendessimo una persona a caso
e le
facessimo rivivere il rapporto che avevate questa si giustificherebbe
in altra
maniera da come ha fatto mio fratello. – per qualche secondo
si girò a guardare
nel camino, poi tornò a me. – Quando siamo andati
via lui non sapeva come
fartelo sapere e cercò in ogni modo e maniera di venirti in
contro prima della
partenza per poterti parlare, ma vedendoti così entusiasta
di lui e così
innamorata, non ebbe il coraggio di parlarti. Poi ci fu
l’incidente… - brividi.
- Un’orrenda casualità, vero, ma
un’opportunità d’oro per inventarsi
qualcosa.
Bill improvvisamente perde la memoria, succede quello che succede e poi
non hai
più notizie nostre per due giorni. In quei due giorni non
sai e nemmeno puoi
immaginarti come stava conciato… era un automa che vagava
per il bus come
un’anima in pena. Vedendolo in quelle condizioni non potei
fare a meno di
esporgli la mia idea del messaggio… -
- Sei stato tu! Tu gli
hai permesso di lasciarmi così? – mi alzai
improvvisamente in piedi portando le
mani al viso, trattenendo le lacrime che stavano per sgorgare
irrimediabilmente.
- Non c’era altra
maniera Kim! Lo vuoi capire? –
- Poteva semplicemente
dirmelo, non sono un mostro non lo avrei mangiato! –
- Ma avresti pianto
come stai facendo ora e lui era proprio questo
che non voleva! Non avrebbe sopportato di farti piangere per colpa sua!
–
- Queste sono lacrime
di rabbia, cretino! – gli urlai contro sempre tenendo un tono
moderato perché
non volevo che Bill in camera mia si svegliasse o sentisse la
discussione.
Tom si immobilizzò
sentendomi esordire con quella parola e aspettò che mi
calmassi.
Andai in cucina e feci
scorrere l’acqua fredda dal rubinetto del lavandino, presi un
bicchiere e lo
riempii bevendo tutto d’un fiato.
Tornai a sedermi
davanti al camino.
La pioggia scendeva
ancora rabbiosa su Berlino e la sua musica accompagnò i
nostri respiri per il
successivo paio di minuti.
Il respiro mi tornò
regolare e sfiorai il braccio di Tom, quasi come per scusarmi
dell’ira
improvvisa.
- Come va? – chiese
comprensivo.
- Stavo meglio prima
ma… continua Tom, devo sapere. –
- Ok, mi pare giusto
che tu debba sapere certe cose. –
- Già. – annuii.
- Allora, dopo la mia
idea… - mi guardò di sottecchi per vedere se
avessi avuto un’altra delle mie
sfuriate ma io rimasi calma e impassibile. – Bill
capì che forse era l’unica
via d’uscita possibile. Scrisse tutte le pagine di un intero
quaderno
sull’ipotetico discorso che poteva farti ma non
trovò nulla che andasse bene
per non farti soffrire e al tempo stesso per metterti al corrente della
situazione. Un giorno prese in mano il telefono e compose il tuo
numero, così,
senza fogli vari o frasi appuntate e ti disse ciò che
sai… -
Feci di si con la
testa spronandolo a continuare a parlare.
- Un volta chiusa la
chiamata si sedette stremato su un divanetto dell’autobus e
rimase là, a
guardare fisso la strada che scorreva veloce. Io non riuscivo a
parlargli
perché,
sinceramente, non sapevo cosa dirgli o come fargli pesare meno la cosa.
Avevo paura che per una minima parola sarebbe scoppiato come un pop
– corn
vicino al fuoco! –
- Wow che paragone… -
dissi ironicamente per alleggerire l’atmosfera.
Avevo fatto un passo
avanti: riuscivo a parlare dell’argomento senza esplodere in
un pianto teatrale
e per di più sapevo scherzarci sopra!
Brava!
Grazie.
- Eh bhè che vuoi, la
vena artistica da poeta ce l’ha mio fratello io mi limito a
strimpellare… -
lasciò il discorso sospeso e mi guardò con occhio
furbetto.
- Si si ho capito dai…
fai meno lo spavaldo sex – gott che con me non attacca e vai
avanti! – rise alla
battuta e mi diede una bacetto sulla guancia.
Tom è sempre stato un
donnaiolo fin da piccolo, però mi faceva impazzire quando
veniva in casa mia e
mi raccontava delle sue fidanzatine delle medie chiedendomi consigli su
come
conquistarle.
Dietro quella maschera
da super figo, c’è sempre stato il Tom dolce e un
po’ bambagione che in realtà
nessuno si aspetta da uno come lui. L’apparenza inganna.
- Quindi è così… il
tempo poi scorre, cerchi di andare avanti non pensando troppo al
passato che
avrebbe deviato tutto eppure ogni anno che passa, quel preciso giorno
che ti ha
lasciato il messaggio in segreteria, lui è di un triste e
insopportabile
assurdo! Ti giuro! Non puoi stargli vicino anche perché si
rifugia da qualche
parte e sparisce, puff! – ero sorpresa nel sentirmi dire
queste cose. – Io sono
strano, ma lui mi batte alla stragrande, credimi! – disse
quasi scandendo
parola per parola.
- E’ strano… ho
passato gli ultimi anni a cercare di capire se avessi sbagliato
qualcosa,
facendo mea culpa per essere stata troppo ingenua ad aver creduto ad
una storia
così folle eppure Tom, anche se mi ha ucciso dentro e se
n’è andato senza dire
nulla, anche se tutto quello che aveva detto si è dileguato
in un nano secondo
con quel maledetto messaggio… ti sembrerà una
pazzia ma… - non ero sicura di
doverlo dire ma in fin dei conti era Tom, i nostri segreti erano
nostri, se gli
dicevo di tenerselo per sé non lo avrebbe mai detto a Bill
giusto? Oh ma al
diavolo tutto, glielo dico! – Io non ho mai
smesso di amarlo, adesso però è diverso. Ho
capito che per andare avanti non ho
bisogno di lui, mi sono fatta una vita e sto studiando per realizzare i
miei
sogni dove Bill non ne fa più parte, prima magari era il
protagonista della mia
favola incantata come quelle scritte sui libri ma le favole rimangono
tali…
questa è la vita reale. –
Tom non poté fare a
meno di annuire al mio discorso logico rimanendo muto.
- Quindi… - proseguii.
– Sono contenta che per lui ho significato qualcosa e che
ricorda ogni anno l’anniversario
della nostra “rottura telefonica” – mimai
le virgolette con le dita mentre mi
alzavo lentamente da terra. – Ma Bill non è niente
per me adesso se non un
ospite in casa mia, scusami Tom ma è così.
–
Prima che potessi
aggiungere altro, Tom mi fermò con la mano il polso proprio
come aveva fatto il
fratello il pomeriggio dello stesso giorno, solo che lo fece in maniera
molto più
delicata.
- Kim… - espirò
rumorosamente. – Se solo Bill sa che ti sto dicendo questo mi
ucciderebbe in
maniera lenta ed atroce… -
- Addirittura? –
- Già, proprio così
quindi farmi il favore di stare un secondo zitta e sentimi! –
rimasi allibita
da quel fare di Tom così sicuro e determinato.
- Ok, ti ascolto. –
- Bene… prima di
entrare da quella porta – indicò
l’ingresso dell’appartamento. – Bill
è rimasto
a fissarla per un’ora e mezza, minuti contanti da me
medesimo, chiedendo se era
stata una buona idea di far venire David a chiederti una mano oppure se
potevamo prendere baracca e burattini e trasferirci da mamma.
L’ho bloccato
mettendogli le mani sulle spalle e gli ho dato una bella scrollata, era
diventato una cosa allucinante. Kim, te lo dico, Bill sta impazzendo e
quello
che ti chiedo di fare è solamente di salutarlo o di parlarci
qualche volta
perché sai anche tu com’è fatto: se non
c’è nessuno che se lo fila diventa
schizzato e per di più se chi non gli dà
importanza se tu, figuriamoci! –
- Ma perché dovrei
parlarci quando non ho nulla da dirgli se non di starmi lontano!? Tom,
mettiti
nei miei panni… cosa faresti tu? Gli parleresti come se
niente fosse o ci
penseresti due volte prima di rivolgergli la parola? –
- E tu, Kim? Mettiti nei
suoi panni… che faresti se colui che hai sempre amato e sei
stato costretto a
lasciare non ti rivolgesse più la parola per un banalissimo
e superficiale fattore
d’orgoglio? –
- Non è orgoglio! –
- Oh si che lo è
altrimenti lo capiresti! –
- Io Bill lo capisco
benissimo! –
- Non dire cose di cui
poi potrai pentirti perché di Bill ti sei persa un bella
fetta di vita… -
- E l’ho voluto io
secondo te? Io sarei partita con voi, sarei partita con lui se solo me
lo
avesse detto e mi avesse dato il tempo di organizzarmi! –
- Avevamo solo
diciassette anni, non potevamo capire cose che riusciamo a malapena a
comprendere
adesso che ne abbiamo ventuno. –
- Forse si, se me ne
aveste dato l’occasione! – Tom mi lasciò
andare il polso che sembrava aver
preso la forma delle sue dita, era così indolenzito che
dovetti sfregarlo per
riattivare la circolazione.
Si alzò, mi guardò
senza dire nulla e fece per andarsene quando si voltò e
tornò indietro.
- Di tutte le donne
che ho conosciuto e che ho avuto il piacere di avere con me, tu sei
stata l’unica
che non mi ha mai attratto in quel senso… – lo
guardavo non capendo ancora dove
voleva arrivare. – Sono passati un sacco di anni ma questo
non mi impedisce di
dirti che stai facendo una grandissima cavolata. Non capisci, almeno
non
ancora. Parli con la rabbia nel cuore esponendo solo quello che vedi tu
non
cambiando prospettiva alle cose e questo ti fa vedere tutto nero. Mi
sento come
se fossi veramente parte della tua famiglia e tenendo fede a questo
ruolo mi
permetto di darti un consiglio che spero seguirai saggiamente: Bill ti
ama… - a
quelle parole sobbalzai e il cuore sembrava aver perso i suoi battiti,
il fiato
mi si mozzò in gola e le gambe cominciarono a tremarmi. -
Anche adesso che sta
dormendo sono sicuro al 100% che sta sognando te. Avete sofferto
tantissimo
entrambi durante questi anni, perché non cercate di mettere
fine a questa
storia? Non dico che dovete tornare insieme, tutti e due siete troppo
cambiati,
però fare chiarezza può essere l’inizio
della fine di questo periodo di dolori.
Non voglio più vedervi stare male, ok? –
Annuii deglutendo.
- Promesso? –
Annuii di nuovo.
- No, parla, voglio
sentire uscire “si, lo voglio” da quelle tue labbra
a cuore! –
- “Si, lo voglio”? –
- Si… lo devi volere
altrimenti non ha senso. –
- Senti Tom, non so da
dove ti sia uscita tutta questa saggezza o se hai fatto qualche gita
spirituale
sulla Muraglia Cinese ma va bene, te lo prometto e si… lo
voglio! – dissi con
un solo respiro.
Sorrise compiaciuto.
- Perfetto ora posso
andare a dormire… -
- Aspetta un momento,
tu ti saresti alzato per parlarmi? –
- In realtà ho
aspettato che Bill cadesse in fase rem per venire di qua e svegliare te
saltandoti con i piedi sulla schiena ma tu lo eri già e
quindi mi hai anche
levato il divertimento della serata oltre che avermi sottratto del
tempo vitale
al mio sonno ristoratore! Grazie tante… buonanotteeee
–
- Buonanotte Tom. –
gli augurai mentre lo vedevo sparire dietro l’arco.
La porta della stanza
si chiuse e io rimasi sola con i miei pensieri…
Cosa pericolosa.
Mh, forse… ma almeno
adesso sapevo che in fondo Bill non poteva fare altro, forse aveva
agito
veramente nel miglior modo possibile e magari avevo esagerato a
comportarmi
mettendo paletti così spessi sulla mia immaginaria linea di
confine tra me e
lui, però non volevo trarre conclusioni affrettate. Come
aveva detto Tom “mi
sono persa una bella fetta di vita di Bill”, quindi non ero
sicura di riuscire
a ritrovare in quel Bill nuovo il mio vecchio modello, ci avevo
già provato e
il primo tentativo era decisamente fallito!
Oh cavolo!
Mi ero scordata di
dire a Tom di non fare parola con Bill di quello che gli avevo
confessato…e adesso?
Naaa, tranquilla Kim,
Tom è muto come una tomba.
Ma lo sappiamo
tutti che fine ha fatto “Tranquillo”,
vero Kim?
Si lo so… a furia di
stare tranquillo, Tranquillo è morto eheh.
Ok. Seriamente. Dovevo
finirla di parlare da sola!
Mi sistemai sul divano
e chiusi gli occhi aspettando l’arrivo del sonno, lasciandomi
cullare dal suono
del diluvio che ormai andava scemando e dal vento che sibilava
all’interno del
caminetto.
Note: vorrei
ringraziare tutte le lettrici che stanno seguendo questa Fan Fiction e
tutte
coloro che hanno anche utilizzato parte del loro tempo per commentarla!
Sono molta contenta
che questa mia storia vi piaccia ma dicendo così ho solo
paura di scrivere cose
già lette e
scritte da miriade di autrici quindi, quale modo
migliore di ringraziarvi se non con un altro capitolo e un grandissimo
GRAZIE
MILLE di cuore!
Tra
queste lettrici ricordo:
ZoomIntoMe
(la
prima ragazza che ha commentato la FF ^_^);
UnleashedLIEBE
(tranquilla che Tommaso vivrà più sano di come lo
conosciamo! :D);
Marty_483_ (
che ha
scritto non uno ma ben due commenti alla storia e di questo sono
davvero
emozionata **) e poi per ultima ma non meno importante delle
altre…
ilenia91dorough
(non
vedo l’ora di leggere I tuoi prossimi capitoli!!!)
Grazie a tutte voi che continuate a seguirmi e a
mettermi voglia di scrivere ancora, e ancora, e ancora, e
ancora…
|
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Capitolo 6 *** Capitolo Quinto ***
Casa Keller
22 Ottobre
Ore 5:30
Mancava poco al
compleanno di Kate e sapevo già cosa regalarle, il fatto era
che dovevo
accompagnare Tom all’ospedale per gli accertamenti e il
negozio dove dovevo
andare era da tutt’altra parte. A meno che non mi fossi
clonata, era difficile
che riuscissi a fare entrambe le cose in tempo.
La colazione era
già pronta sul tavolo: il caffè fumante, i
cornetti del bar che avevo comprato
poco prima e le finestre aperte nella speranza che un qualche lieve
fascio di
luce penetrasse attraverso le tende ma le mie speranze erano vane e la
mattina
sembrava essersi scambiata di posto con la notte.
Aprii la
porta-finestra che dava in balcone e una ventata di aria pungente mi
investì il
viso. Uscii fuori stringendomi addosso la mia solita coperta di pile,
appoggiai
i gomiti sulla ringhiera e respirai profondamente.
La quiete dopo la
tempesta.
Il fruscio del
vento fra gli alberi e le loro foglie ormai ingiallite, rossastre, che
cadevano
a poco a poco lungo le strade creando un uniforme tappeto multicolore.
In
lontananza si cominciavano a vedere le prime persone uscire di casa per
andare
a lavorare, gli spazzini che erano all’opera da un bel pezzo
e le luci che
illuminavano le strade notturne si spensero all’improvviso,
segno che una nuova
giornata stava per iniziare nella torbida Berlino.
Torbida, forse non
era la mia città ad essere così, forse ero
solamente io che dentro di me avevo
qualcosa che non andava e di riflesso ogni cosa che mi circondava
prendeva
queste sembianze, le mie sembianze.
- Buong-g-g-iorno.
– mi voltai e vidi un Tom insonnolito sfregarsi le braccia
velocemente per
compensare al freddo mattutino – F-forse potremmo chiud-d-ere
la fines-s-tra,
ti s-s-piace? -.
Corsi dentro
chiudendo al volo i vetri – Ops, scusa. –
- Non ti
preoccupare, figurati, per così poco… stai
già facendo tanto per noi. –
centocinquanta? Si, forse questa frase l’avrò
sentita più o meno centocinquanta
volte, se non di più.
- Dai Tom, siediti
e bevi un cappuccino bello caldo è appena fatto. –
Tom si sedette a
tavola e prese fra le mani la tazza ancora fumante. Una volta che la
sua pelle
entrò in contatto con il calore della ceramica, tutto il suo
corpo si rilassò e
anche l’espressione del suo viso divenne più
morbida.
- E questi? –
chiese indicando i cornetti.
- Un piccolo
regalino… non ti ci abituare. – rise e
afferrò il fagottino al cioccolato.
- Tu non fai
colazione? – la sua bocca si era magicamente riempita di
cioccolata e le parole
uscivano come soffocate dalla pasta del cornetto.
- No, la mattina generalmente
la faccio al bar dell’Università con Kate, oggi
però mi avete dato
l’opportunità di riutilizzare la moca dopo una
vita! –
- Sono contento di
ciò, a proposito il caffè è ottimo!
–
- Sono contenta di
ciò – risposi con la sua stessa intonazione
facendogli l’occhiolino.
- Ehm ehm, mi
faresti un favore? –
- Dimmi, però che
sia una cosa veloce. Dobbiamo essere all’ospedale per le 6:30
oppure rimaniamo
lì dentro per tutta la giornata. –
- Si si è una cosa
velocissima… - disse mentre fissava le ondine del
caffè che si formavano quando
girava il cucchiaino.
- Allora dimmi. –
lo incitai a continuare.
- Mi sveglieresti
Bill? – chiese con una semplicità estrema.
Per lui era la cosa più cretina del mondo ma
per me era una missione
ardua da portare a termine.
Sbuffai. Guardai a
terra con le mani posate sui fianchi come se non credessi che lui mi
avesse
chiesto di fare una cosa del genere. Alzai gli occhi e incrociai i suoi
che mi
fissavano con aria di sfida.
Tom alzò una mano e
con l’indice mi suggerì di andare verso il
corridoio, lo guardai per altri
secondi senza dire nulla rimanendo saldamente nella mia posizione e la
sua mano
cominciò a fare avanti e indietro da me verso il corridoio.
Pareva una specie
di segnale stradale squilibrato.
- Ok ok, va bene ci
vado. – mi incamminai con passo deciso senza voltarmi a
guardare la faccia di
Tom che di sicuro, mi ci sarei giocata le mutande, aveva stampato in
faccia un
sorriso da gongolone.
“Ma
guarda te, mi tocca fare pure da balia a
dei ventun’enni. Devo pure svegliarlo adesso!
Cos’altro vuole che faccia, che
gli porti la colazione a letto?”
Arrivai davanti
alla porta e mentre stavo per aprire la maniglia ed entrare dentro la
stanza a
passo di carica per svegliarlo con un urlo agghiacciante in
“sergente Snorkel
style”, mi fermai e capii che non sarebbe stato da ragazza
matura fare una cosa
del genere. Accoglierli in casa propria e poi svegliarli come se
fossero in
caserma, era un po’ un controsenso.
Bussai dolcemente
sperando che all’interno una qualche voce parlasse
così io potevo tornarmene in
salone con la consapevolezza che era già sveglio, invece no,
nessuno rispose
dall’altra parte.
Sfiorai la maniglia
e abbassandola cominciai a respirare lentamente chiudendo gli occhi.
Spinsi
la porta di poco, quel poco che mi
bastava per vedere dentro: il mio letto era nella penombra e
l’alba stava
sorgendo fuori dalla finestra. La parte dove aveva dormito Tom era
vuota e
disfatta mentre affianco c’era un cumulo di coperte che si
gonfiavano e si
sgonfiavano in maniera impercettibile.
Entrai chiudendo
alla spalle la porta e un aroma dolciastro mi invase le narici.
Sembrava una
specie di deodorante, o un qualche dopobarba… mi piaceva.
Cercai di girare
intorno al mio letto a baldacchino per raggiungere Bill facendo
attenzione a non
inciampare nelle loro valige che erano disseminate disordinatamente sul
pavimento.
“Mio Dio
che caos!”
Poi lo vidi, vidi
quella specie di creatura fantastica che aveva riempito la mia vita
passata:
Bill assolutamente senza un filo di trucco, con i capelli sbarazzini
sparsi un
po’ ovunque sul suo viso e le coperte tirate fin sotto al
mento. Era davvero
fantastico e non potei fare a meno di guardarlo per una manciata di
secondi. In
quei pochi attimi ero riuscita a rivedere in lui il vero
Bill Kaulitz.
Scossi la testa e
mi inginocchiai vicino al letto, davanti al suo splendido viso.
“Non mi
ricordavo che fossi così bello. Dietro
a tutto quel trucco, in fondo, si nasconde sempre il solito ragazzino
che mi
riempiva di fiori la cassetta della posta… ma sei cambiato.
Pure se all’esterno
mi ricordi quel bambino, al tuo interno non trovo nulla che mi
ricolleghi al
vecchio Bill. Eppure c’è qualcosa che non riesco a
capire… qualcosa di te…
qualcosa che credo non capirò mai a questo punto.”
Sospirai. La
tentazione di sfiorare quel viso era effettivamente tanta ma sollevata
la mano
verso un suo ciuffo corvino mi resi conto che non potevo farlo:
qualcun’altra
avrebbe avuto il compito di stargli accanto e di aiutarlo nei momenti
bui,
qualcun’altra lo avrebbe tirato su di morale quando era
triste, qualcun’altra
sarebbe stata la sua lei, non io.
Io
non lo ero più da un pezzo e non volevo commettere lo stesso
errore.
Non volevo più
soffrire.
Ma allora… perché
quella qualcun’altra che lo stava svegliando ero io?
Puro e semplice
altruismo.
Parlò la mia
coscienza che in fondo non aveva tutti i torti.
Sovrappensiero non
mi resi subito conto che Bill aveva cominciato a muoversi. Scattai in
piedi
come una saetta e tornai dalla parte del letto disfatta.
Bill si stiracchiò.
- Tom, sei sveglio?
– la voce era leggermente cavernosa e la sua mano
tastò il cuscino in cerca del
fratello ma non trovandolo aprì bruscamente gli occhi
guardandosi intorno.
Parla, cavolo,
parla. Dì qualcosa!
- Ehm, no Bill… Tom
è a fare colazione io sono venuta qui
perché… ecco, perché… -
cosa mi
inventavo? Non potevo dirgli che ero là perché
dovevo svegliarlo e che ho
passato la maggior parte del tempo a guardarlo lottando contro me
stessa per
non farli una carezza, sarebbe stato troppo imbarazzante! –
Ecco, sono qui
perché Tom mi ha chiesto di portargli il cellulare
e… oh, eccolo qua, meno
male! – afferrai un oggetto dal comodino di Tom ma nel buio
non avevo proprio
la minima idea di cosa avessi preso. – Adesso ti lascio solo
così ti vesti,
scusa ancora se ti ho svegliato… ci vediamo
dillà. – uscii di fretta dalla
stanza, lasciando Bill seduto sul materasso.
Ti sei pure
scusata?
Ah, lascia stare.
Andai in salone e
trovai Tom che inzuppava un secondo cornetto nel suo cappuccino.
Mi sedetti a tavola
e il suo sguardo allibito si posò su di me.
- Tutto ok? –
chiese moderando le parole.
- Ehhh si. – feci
spallucce e gli sorrisi come un’ ebete schizzata. Sembravo
appena uscita da un
ricovero per ipertesi!
- Ah, capisco.
Allora, scusa la domanda, ma… perché vai in giro
con un telecomando in mano? –
Rimasi lì senza
dire nulla, a pensare a cosa aveva appena detto, poi mi guardai fra le
mani e
il telecomando della TV che era in camera mia mi si parò
davanti agli occhi.
- BENISSIMO! –
dissi ironicamente.
Poco dopo Bill ci
raggiunse in salone.
- Ciao brò. –
salutò
Tom.
- Buongiorno. Ho
bisogno di caffè, tanto caffè… -
sbadigliò.
- Prendo una tazza
e te lo verso subito, cappuccino o solo caffè? - chiesi a
Bill con nonchalance
facendo finta di niente riguardo a quello che era accaduto poco prima e
frugando dentro lo scolapiatti una tazza pulita.
- Cappuccino,
grazie. –
- Zucchero? –
- Un cucchiaino mi
basta per carburare, almeno credo. – si passò una
mano sulla spalla e fece una
mezza smorfia di dolore.
- Io stanotte ho
dormito da re! Seriamente Kim, il tuo letto è una favola!
– mi voltai per
squadrarlo e non capivo se in quella sua affermazione c’era
un doppio senso
voluto o era più un volermi ricordare la discussione della
sera precedente
davanti al caminetto.
Portai il
cappuccino a Bill che era ancora in piedi con le mani appoggiate allo
schienale
della sedia.
- Ah Tom, prima che
mi ci sieda sopra… - disse, attirando sia la mia attenzione
che quella del
fratello – Tieni. – tirò fuori un IPhone
da una tasca dei suoi jeans e lo posò
affianco al braccio del treccioluto. – Credo che Kim si sia
dimenticata a cosa
serva un telecomando... – disse con un sorrisetto beffardo
girandomi intorno.
Io rimasi immobile,
paralizzata dalla paura che Bill aveva intuito il mio stato
d’animo.
Oh ma al diavolo
tutti questi trip mentali!
Vivi come capita!
Giusto.
- Si, ho sbagliato
lo so, ma una volta uscita dalla stanza non ho voluto rimetterci piede
perché
sapevo che ti stavi cambiando. – risposi stizzita.
Bill si sedette
tranquillamente e cominciò a mangiare.
- Come vuoi, ma non
ti inquietare perché non sto pensando a nulla…
comunque grazie per i cornetti.
– lo disse sorridendo quasi mi stesse prendendo per i
fondelli.
- Prego. – alzai
gli occhi al cielo e feci per andare in bagno.
- Kim ma… -
- Si? – mi girai
nuovamente verso Tom. Se continuava di questo passo a chiamarmi ogni
tre
secondi, avrei rischiato di lì a poco un micidiale colpo
della strega!
- Ecco… dicevo,
quella tua amica… -
- Kate? –
- Eh, si lei. Non è
che mi accompagnerebbe a fare le analisi? –
- E perché mai
dovrebbe? Hai il tuo taxi personale, cos’è, non ti
fidi? – a che vantaggio far
andare Tom con Kate, perché mai? Non aveva senso.
- Non capire male,
è solo che… sai… ieri quando
è stata con me mentre tu e Bill stavate sistemando
le macchine con David, parlando… mi aveva dato la sua
disponibilità per
accompagnarmi stamattina. –
Non potevo
crederci.
- Mi stai dicendo
che hai bisogno che qualcuno anzi qualcuna, una a caso, ti accompagni
all’ospedale e rimanga con te tutto il tempo per poi
riportarti a casa? Ma
quanti anni hai, due? Scusami ma le cose non mi quadrano eh! Io pensavo
che…
vabè, tanto che penso a fare, conoscendo Kate se adesso la
chiamo ci sono l’80%
di probabilità che sia già qua fuori la porta.
– presi il cellulare.
- No dai non
chiamarla, se poi dorme? –
- Si sveglia, non è
un problema quello… siamo abituate a chiamarci presto per le
cose
dell’Università. –
Composi il numero e
portai il BB all’orecchio.
- A che ora le
avevi detto di stare qua? No, scusa, riformulo la domanda: a che ora le
hai
detto che partivamo da casa? –
- Alle 6:00. –
diedi una rapida occhiata all’orologio: le 5:50. Kate era di sicuro fuori casa mia.
- Comunque non
capisco, potevi benissimo dirmelo che volevi andare con lei Tom, lo sai
che non
ho di questi problemi. Però detto così non mi dai
neanche il tempo di
organizzarmi la giornata. –
- Scusa… - fece una
faccetta triste e mi sentii quasi in colpa per averlo
“sgridato”.
- Fa niente… oh
ciao Kate, scusa se ti chiamo a quest’ora, so che oggi non
abbiamo i corsi ma
per caso… non è che stai venendo qua? –
sorrisi sorniona quando disse che era
ad aspettare Tom vicino la mia macchina. – Si si, me
l’aveva detto tranquilla,
me l’ero solo dimenticato non importa… ok, quindi
andate voi due io farò altri
giri in centro. Ci vediamo dopo a casa mia, rimani per cena? Perfetto.
Un
bacione tesoro. – chiusi la telefonata.
- Sbrigati che ti
sta già aspettando nel parcheggio. – Tom si
alzò facendo muovere tutto il
tavolo e il cappuccino di Bill cadde sulla tovaglia pulita.
- TOM!
– Bill alzò le braccia in aria
infuriato.
- Scusa, scappo,
ciao ragazzi divertitevi qualunque cosa vogliate fare oggi! –
“Divertitevi?
Ma che pensava dovessi fare?”
- Ciao. – la porta
d’ingresso si chiuse e Tom se ne andò portando via
con sé anche quel poco
chiasso che c’era in casa. In salone scese il silenzio.
Bill tamponò con
della carta da cucina il latte versato, e vedendolo sclerare mentre non
riusciva a ripulirsi la maglia mi avvicinai e lo aiutai senza pensarci
due
volte.
- Lascia stare,
tanto questa ormai la dovrò lavare. E’ zuppa di
caffè! – presi dalle sue mani
la carta intrisa di latte e la gettai nella spazzatura. –
Aspetta qua, vediamo
se riesco a fare un miracolo… -
Con una spugnetta
bagnata tornai da Bill che non si mosse di un centimetro e cominciai a
strofinargliela delicatamente sulla macchia che lo aveva segnato
proprio in
mezzo al petto. Feci dei movimenti rotatori per togliere le sfumature
del caffè
ma se continuavo solo a trattarla dall’esterno, non sarebbe
mai andata via.
Il suo petto si
alzava e si abbassava sotto la mia mano e il suo respiro mi accarezzava
i
capelli.
Una strana
sensazione mi percosse e quella voglia matta di accarezzarlo
tornò a farsi più
viva che mai.
- Bill, se continuo
a strofinarla mentre la stoffa è attaccata alla tua pelle,
non penso che andrà
via facilmente. – precisai.
Il fatto era un
altro: non stavo solamente cercando di spiegare a Bill
“qual’era la drastica
situazione della sua maglietta”, ma in verità
facevo tutto quello solo per
poterlo sfiorare, solo per sentire il suo contatto con la mia
mano… dopo così
tanto tempo….
- Devo toglierla? –
mi chiese ingenuamente.
- No, tienila ma
basta che rimani fermo. –
- Ok. – presi un
bel respiro senza che se ne accorgesse.
Scesi molto
lentamente con la mano libera fino ad afferrare la parte bassa della
sua
maglietta e sempre molto lentamente la portai sotto la stoffa.
Bill rimase muto e
immobile come una statua.
La sua pelle pareva
andare a fuoco sotto la mia mano e il suo addome era piatto, liscio,
ovviamente
tutto questo doveva sembrare un caso quindi non potevo soffermarmi
tanto. Salii
con la mano fino al suo petto e la poggiai proprio dov’era la
corrispondenza
della macchia sulla maglia, così il tessuto si sarebbe
tirato e sarebbe svanito
tutto.
La stoffa della
maglietta si era talmente tirata su che Bill era coperto solo sulle
braccia e
sulle spalle.
Ero distratta, il
calore che sprigionava era paragonabile ad un termosifone, era
caldissimo e il
suo respiro continuava ad avvolgermi. Inconsciamente stavo chiudendo
gli occhi
e la spugnetta cadde dalla mano.
- Kim… ti senti
bene? – mi prese tra le sue braccia e io rinsavii.
- Si scusami, forse
non fare colazione non è stata una grande idea. –
buttai lì una scusa.
- Non hai ancora
mangiato? –
- No… ma non
importa, ora esco e mi prendo qualcosa al bar, tu oggi hai tutta casa
per te
quindi vedi di non fare danni! – ero tornata quella di
sempre. Presi la borsa,
misi dentro il cellulare e cercai le chiavi della macchina.
Bill abbozzò un
sorriso sbieco e poi tornò di nuovo serio.
- E se ti
accompagnassi? –
Lo guardai sorpresa
con le chiavi sospese a mezz’aria.
- Vorresti
accompagnarmi? –
- Perché no, dai,
aspettami un secondo che prendo il giacchetto. Dove andiamo?
– continuavo a
seguirlo con lo sguardo finché non sparì in
camera per poi riuscire dopo pochi
minuti con una maglietta pulita, un cappotto nero lungo a ¾,
una sciarpa grigia
e un berretto scuro.
Che fantasia!
- Un paio
d’occhiali a mosca e sei pronto per entrare nei M.I.B.!
– gli dissi scherzando.
- Io farò pure
parte dei Men In Black ma tu che vai in giro quasi senza nulla che ti
protegge,
bhè… sei incosciente, ecco perché te
ne metti una anche tu. – Inaspettatamente
una sciarpa di lana bianca e nera mi si attorcigliò intorno
al collo.
- Ma è più grande
di me! – era una cosa immensa, sembrava un paracadute
arrotolato. I pelucchi
della lana mi entrarono in bocca e fui costretta a sputacchiarli via ma
si
erano appiccicati alle labbra e alla lingua, impossibile levarli tutti.
- Forza, forza
usciamo! – Bill mi spinse oltre la porta d’ingresso
e una volta chiusa a
chiave, mise le chiavi nella tasca del mio cappotto.
Da dove usciva
tutta quell’euforia!?
Rideva, era felice.
Tom era in ospedale
e lui era felice?
Ma che COSA
CONTORTA erano i Kaulitz?
- Comunque ancora
non mi hai detto dove andiamo. – domandò mentre
scendeva i gradini a due a due.
- Se proprio lo
vuoi sapere, devo andare a fare compere nel tuo settore. – mi
guardò
incuriosito. – Niente di che Bill, devo comprare un regalo
per Kate e avrei in
mente di regalarle un disco in vinile delle Runaways. –
- Particolare,
sempre se ti piace lo stile della Jett e il
“ch-ch-ch-ch-ch-ch-ch” di Cherry
Bomb! – mimò quella frase mettendo la mano come a
formare un becco e
picchiettando sul mio naso ad ogni “ch-ch” che
diceva.
- Bill ma che erba
fumi? –
- Marlboro light o
rosse, dipende dai periodi. – lo guardai con aria
demoralizzata, per me certe
volte non ci arrivava proprio!
- Sei veramente strano!
Fattelo dire! –
Arrivati nel
parcheggio cercai di mettere in moto Skids ma qualsiasi mio tentativo
di
accensione, la piccola Chevrolet non rispondeva.
- Ecco, adesso ci
mancava anche questa! –
- Aspetta, vediamo
se riesco io a fare un miracolo adesso… - Bill
uscì dalla macchina e aprì il
cofano, disse di mettere in moto ma la vettura non voleva proprio dare
una
mano.
- Coraggio
piccoletta parti, dai ti prego parti… niente. BENE!
– sbattei le mani sul volante e mi lasciai cadere
sul sedile.
Bill si avvicinò al
finestrino, lo abbassai molto apaticamente.
- La batteria è
andata. Un classico. – la fortuna continuava a perseguitarmi.
- Quindi? –
- Quindi abbiamo
due opzioni per oggi: o torniamo a casa e non facciamo nulla fino a
questa
sera, oppure prendiamo la mia, anzi se esci mi dai una mano a togliere
il telo.
– diede due colpetti con la mano sulla mia portiera per
incitarmi a scendere e
io, ovviamente, lo seguii.
- Come si fa qua? –
- Basta che slacci
i fiocchi in basso, il telo si allarga e noi lo tiriamo via.
– sembrava facile.
Slacciai due
fiocchi e l’elastico si allargò in un attimo. Poi
Bill si mise davanti al muso
della macchina che sembrava un immenso pacco regalo, le mancava solo il
fiocco
rosso sopra e sarebbe stata perfetta.
- Mettiti dall’altra
parte e alza il telo, così lo portiamo via insieme senza
rischiare di farlo
impigliare da qualche parte. – tirammo via il telo e quella
meraviglia di
macchina venne scoperta. Era splendida!
Prese una busta di
plastica, di quelle grandi, ci infilò il telo reduce
dell’acquazzone della
serata passata e gettò tutto nel portabagagli della sua Q7.
Rimasi a guardarla
a bocca aperta, era divina! Ed era enormemente
enorme!
- Bhè, che fai non sali?
– chiese Bill da dentro l’auto.
- Si arrivo, stavo
pensando… ero su un altro mondo. – per salire
dovetti tirarmi su la gonna altrimenti
sarei rimasta a terra. Oltre che bellissima, quell’auto era
anche alta!
La megalomania di
Bill Kaulitz non aveva limiti!
Chiusi la pesante portiera
che fece un suono pieno e al tempo stesso
“protettivo” che a confronto quella
della mia macchina sembrava era un insulto alla sua.
- Quindi…
direzione? – chiese mentre metteva in moto.
-
Bülowstrasse,
andiamo al Mr Dead and Mrs Free,
forse lì hanno quello che cerco. -
Bill era fantastico
dentro quell’automobile, poi da un cassettino tirò
fuori un paio di Dior mise
su anche quelli e si voltò verso di me.
- Trasformazione
M.I.B. completa! -
NOTE: volevo ringraziare Morgue.Tomsa
per avremi aggiunta fra i suoi autori preferiti :)
Grazie mille a te e a tutti i lettori che seguono la mia storia :D
Bìkachu.
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Capitolo 7 *** Capitolo Sesto ***
In giro per Berlino
22 Ottobre
Ore 10:00
Arrivati
al negozio cominciammo a spulciare uno ad uno tutti i vinili e di tanto
in
tanto scappava una battuta o un leggero tocco delle nostre mani,
alternati a
sguardi veloci dall’uno all’altro per poi
distogliere l’attenzione e ritornare
a cercare nei vecchi singoli passati che avevano fatto la storia della
musica.
L’atmosfera
del negozio era calda e accogliente, quasi familiare, Bill mano a mano
che
passavamo in rassegna ad ulteriori band e cantanti, si avvicinava a me
sempre
più finché il suo braccio praticamente non si
attaccò al mio.
Sotto
lo sguardo divertito della cassiera, che aveva capito
l’intesa che c’era fra
noi, io cercavo di fare finta di niente ma dovevo ammettere che
malgrado tutto
quella vicinanza era tutt’altro che fastidiosa.
Non devi cascarci,
non devi cascarci…
di nuovo!
La
mia coscienza faceva presto a parlare, ma quello che provavo dentro era
una
tempesta di emozioni incontrollabili.
-
Allora? L’hai trovato? – mi chiese Bill tutto
d’un tratto.
-
No, ancora niente. Tu hai trovato qualcosa che ti interessa?
– le sue lunghe
dita spostavano le custodie dei vinili una per una come stesse cercando
una
parola in un vocabolario.
-
Aspetta un attimo… oh, eccolo qui! – da tutta
quella mischia estrasse un vinile
color panna ma non capii bene di chi fosse perché era girato
al contrario. –
Questo è seriamente un pezzo di storia: Aladdin Sane di
David Bowie è un pezzo
da avere assolutamente! L’avevo intravisto prima, scorrendo
gli altri vinili,
ma non mi sembrava vero e invece… guarda qua! Ha anche
l’inserto con il testo
originale! Me lo prendo! – la copertina a libro era in
condizioni discrete, un
po’ rovinata ai lati e qualche angolo sembrava essere stato
smangiucchiato però
nel complesso i colori erano ancora abbastanza accesi e il vinile
pareva nuovo
di zecca.
-
Wow! David Bowie andava alla grandissima ma in casa mia si sentivano un
sacco…
ecco, loro! – tenendolo stretto in mano come fosse un oracolo
mostrai a Bill la
coloratissima copertina del vinile dei Queen “A Kind of
Magic”. – Neanche a
farlo apposta, parli del diavolo e spuntano le corna! –
-
Oh Kim, forse ho trovato qualcosa che potrebbe piacere a Kate.
– con fare
superficiale estrasse da un gruppo di vinili impolverati e riviste anni
’70 un
qualcosa delle Runaways.
-
L’hai trovato! Oddio ti ringrazio, stavo diventando matta e
cominciavo a
dubitare di riuscire a pescarlo da qualche parte! –
“Little Lost Girls” era
nelle sue mani e quando mi vide così euforica non
poté fare a meno di ridere.
-
Che fai prendi in giro? – gli diedi una pacca sulla pancia
con il dorso della
mano, lui incassò facendo una smorfia di finto dolore.
-
No non è vero, non ti prendevo in giro! Però mi
è piaciuta la luce negli occhi
che avevi, della serie “Dio Kaulitz grazie infinite per
avermi salvata da un
regalo di compleanno altamente improbabile da trovare”.
–
-
Il vinile era qua, non te la tirare troppo Kaulitz perché
sarei riuscita a
trovarlo lo stesso… magari con un po’
più di tempo ma stai sicuro che l’avrei
trovato! – feci la linguaccia.
-
Bhè, ringraziami lo stesso per aver ottimizzato i tempi.
– mi sventolò davanti
al naso il vinile.
Presi
al volo l’oggetto dalle sue mani e mi diressi alla cassa
senza degnarlo di uno
sguardo, un po’ stizzita un po’ divertita da quel
suo repentino cambiamento di
personalità.
Usciti
dal negozio erano le 11:00 passate, salimmo in macchina e tornammo
verso la
parte della città che conoscevo meglio: Unter den Linden e
dintorni.
Il
traffico era quasi a zero e Bill tutt’un tratto
parcheggiò in uno spiazzo
vicino ad un distributore.
-
Ehm, Bill… ma che ci facciamo qua? – gli chiesi
ignara di quello che stava
accadendo.
Bill
fece spallucce e si tolse gli occhiali.
-
Avendo più tempo da passare insieme ho pensato di portarti a
fare un giretto in
centro, ti va? – tutto il potere del suo sguardo si
scaraventò su di me ma,
poverino, non sapeva che ormai c’ero abituata e quindi poco
mi importava se le
sue capacità ipnotiche si fossero spinte fino
all’estremo per potermi
convincere perché non attaccavano più quei
giochetti con me… forse. Comunque
eravamo già lì, era tanto che non facevo una
camminata sulla Unter quindi
perché non approfittarne!?
Feci
finta di pensarci sopra portandomi una mano sotto il mento e corrugando
le
sopracciglia.
-
Mhh… si. Per oggi passi Kaulitz hai avuto una bella idea,
anche se mi ci hai
tratta con l’inganno, però accetto la tua
proposta. – dissi gesticolando come
una signora aristocratica e facendo una voce sensuale.
Sensuale? Ma tu ti
sei fritta il
cervello!
Già,
problemi? Mi sentivo di nuovo all’altezza di esprimermi in
una certa maniera
dopo un sacco di tempo e la mia coscienza aveva pure da ridire? Ma roba
da
matti! Dovresti essere contenta per me… pfui.
Il
moretto scese dall’Audi senza staccarmi gli occhi di dosso
neanche quando passò
davanti al muso della macchina, finché non mi
aprì la portiera e mi offrì la
mano per scendere.
-
Madame. – porsi la mia mano e lui
l’afferrò delicatamente.
-
Monsieur. – non appena scesi dall’auto Bill,
inaspettatamente, si esibì in un
impeccabile baciamano e io rimasi lì come annullata, mentre
le sue labbra
sfioravano la mia pelle e i suoi occhi si incatenavano ai miei.
La
nostra passeggiata proseguì serenamente: i tigli che
costeggiavano la strada
davano al paesaggio un non so che di magico con le loro foglie che
sembravano
dipinte dai colori del tramonto e il leggero vento che le faceva
danzare in
aria attorno a noi.
Bill
si muoveva affianco a me cauto e premuroso come quando la sciarpa stava
per
cadermi dalle spalle e non feci in tempo ad afferrarla che subito la
riavvolse
intorno al mio collo come fosse il più prezioso gioiello che
avesse mai fatto
indossare ad una donna.
Camminavamo
tra la folla berlinese non curanti della gente che sembrava riconoscere
Bill:
quelli che lo guardavano in viso certe volte si fermavano come avessero
avuto
un’apparizione, poi scrollavano la testa e si incamminavano
per chissà dove
mentre altre, ragazze giovanissime soprattutto, vedendoci passare
davanti a
loro sgranavano gli occhi allibite.
Una
fra queste rimarrà impressa nei miei ricordi per sempre: era
seduta fuori ad un
bar con una cioccolata e dei waffeln sul tavolo, le passai a pochi
metri di
distanza e non accadde nulla quasi non mi avesse neanche vista, poi
passò Bill
e quella sorsata di cioccolata che aveva appena ingurgitato le
andò di
traverso. Risi fra me e me a quella scena perché era tutto
diverso, in passato
se passeggiavo mano nella mano con Bill nessuno ci guardava o sgranava
gli
occhi mentre ora…
-
Faresti meglio a rimetterti gli occhiali. – puntualizzai.
-
Tu dici? – chiese facendosi serio avvicinandosi
frettolosamente a me e
guardandosi furtivamente dietro le spalle.
-
Guarda che non ci segue nessuno, è solo il fatto che a meno
che tu non voglia
uccidere qualcuno facendolo soffocare con un pezzo di pizza, faresti
bene a
tirarli fuori e alla svelta pure! Troppa gente credo ti abbia
riconosciuto,
meglio prevenire. –
Frugò
nella sua Gucci nera grande come l’hangar di un Boeing 747 e
ne tirò fuori gli
ormai famosi Dior, neri anch’essi.
-
Ti sembrerà stupido ma ora sono più tranquilla.
– mi sentivo seriamente più
sollevata anche se Bill Kaulitz non sarebbe mai passato del tutto
inosservato,
diciamocelo.
Si
riconosceva a chilometri anche con una busta in testa!
-
Secondo te che succederebbe se la gente mi riconoscesse? Ti darebbe
fastidio
avere i paparazzi alle calcagna? O magari qualche ragazzina che ti si
avvinghia
alla gamba per chiedermi di farle un autografo? – lo guardai
un po’ attonita.
-
Bhè… no, non credo che mi darebbe fastidio avere
quel genere di attenzioni, tu
ci sei abituato quindi può essere stressante sotto il tuo
punto di vista, è
vero… -
-
Ma perché mi hai fatto notare che la gente mi aveva
riconosciuto? Potevi
benissimo lasciarli fare a questo punto, no? – continuavo a
non capirlo ma non
mi piaceva affatto come stava proseguendo la discussione.
-
Senti, io te l’ho detto perché non volevo che ti
riconoscessero in quanto
sarebbe stata come un’esplosione a catena: la gente capisce,
la gente parla,
voi traslocate! Ecco il fatto! – mi stavo alterando.
-
Quindi tu lo avresti fatto per non farmi allontanare da te? –
che brutto figlio
di…
Simone non
c’entra niente, Simone non
c’entra niente.
-
C’è… aspetta un attimo. – mi
fermai e lo bloccai con una mano facendolo voltare
verso di me e costringendolo a guardarmi. – Non metterti in
testa strane idee
perché la giornata di oggi non significa proprio un bel
niente! I tuoi sbalzi
di umore non cambiano quello che provo per te e non cancellano il
passato! Ti
ho “protetto” solo perché sono onesta e
quando faccio una promessa la mantengo!
Tuo fratello aveva bisogno di un posto tranquillo dove stare, mi sta
bene e
sono felicissima che stia da me, ma non provare minimamente a trarre
certe
conclusioni! Non dovrebbero passarti neanche per l’anticamera
del cervello! –
mollai la presa dal suo giacchetto e ripresi a camminare con passi
decisi e
rabbiosi via da lui, lasciandolo là. Se mi avesse seguito,
bene, altrimenti la
strada per tornare a casa la conoscevo anche senza aver bisogno di un
suo
passaggio in macchina.
-
Kim… Kim aspetta… - lo sentii in lontananza.
-
Kim un cavolo! – i suoi passi veloci si trasformarono in una
corsetta per
raggiungermi.
Mi
prese per una manica e mi fermò.
-
Cosa vuoi? Voglio tornare a casa, quindi se non ti dispiace…
- stavo per
andarmene nuovamente ma lui mi trattenne.
-
Hey, hey… calma, aspetta. Ti ci porto io a casa e su questo
non voglio più
tornarci. – disse quelle parole con così tanta
autorità che non mi sarei
azzardata a dire il contrario. – Poi, mi dispiace ok? Non
volevo che la
prendessi così… -
-
E come avrei dovuto prenderla? Spiegami. – incrociai le
braccia al petto e mi
tolsi dagli occhi una ciocca di capelli. Il vento li aveva elettrizzati
tutti e
dopo tre secondi tornavano ad appiccicarsi al volto!
-
Sono stato scortese e maleducato me ne rendo conto, ma certe volte
dimentico le
buone maniere quando voglio ottenere o sapere una cosa e…
dovevo sapere. –
-
Sapere, sapere , sapere. Ottenere, ottenere, ottenere!
Ma chi credi di essere DIO IN TERRA? E poi scusami tanto
ma da me non devi sapere proprio nulla, forse dovrebbe essere il
contrario se
dobbiamo andare ad analizzare i fatti! Pensavi forse che se fossi
tornato ti
avrei accolto come il figliol prodigo? Svegliati bellezza, questa
è la vita
reale! – le nuvole torreggiavano impetuose, probabilmente un
altro temporale
stava per incombere sulla città.
Dopo
pochi secondi una goccia d’acqua mi bagnò una
guancia ma quella non arrivava
dal cielo, bensì dai miei occhi gonfi di lacrime.
Prima
che Bill potesse accorgersene la scacciai via con la mano e voltai il
mio sguardo
dall’altra parte della strada dandogli le spalle.
Per
i momenti che seguirono, l’unica cosa che si poteva udire era
il rumore delle
auto che percorrevano la Unter den Linden e il parlottio delle persone
che
camminavano sui marciapiedi.
Io
e lui, in questo mondo, nel nostro mondo
sembravamo parte del nulla.
Vere
gocce di pioggia cominciavano a bagnare la strada, l’odore
dell’asfalto e della
terra umida cominciava a salire alle narici e sopra di noi alcuni tuoni
facevano sentire la loro presenza.
Respirai
profondamente quell’aria afosa carica di acqua.
Bill
sospirò.
-
Kim… sta per piovere, se vuoi ti porto a mangiare qualcosa
oppure torniamo a
casa… come vuoi tu… –
il suo stato d’animo
era evidentemente a tappeto ma sforzandosi di portarmi a pranzo non
avrebbe
risolto questo problema. Non mi ero accorta di quanto tempo
fosse passato ed
effettivamente avevo non poca fame. Era giunto il tempo di mettere da
parte la
morale e mandare giù qualcosa nello stomaco, almeno avrei
ragionato a pancia
piena!
-
Si… mangiamo qualcosa al volo e poi torniamo a casa, Tom
avrà finito i
controlli starà tornando. –
-
Mi aveva detto che mi chiamava quando stava per tornare a casa e ancora
non ho
ricevuto una sola chiamata da parte sua. –
-
E quando te l’ha detto? Stamattina siamo stati tutto il tempo
insieme da quando
ti sei svegliato in poi… - ricominciammo a camminare.
Bill
si era fatto teso, forse aveva detto una parola più del
dovuto.
-
Me lo ha detto ieri sera, si, ieri sera. –
-
Ok. – non ero sicura che quella era la verità ma
dopotutto non mi importava un granché.
-
Andiamo qua dai, prima hai nominato pizza e mi hai acceso una
lampadina! –
-
Casa Italia? – più che una domanda, la mia era
un’espressione di sorpresa. Era tantissimo
tempo che non tornavo là eppure era uno dei miei ristoranti
preferiti! Ristorante
italiano gestito da italiani: la pizza doveva essere ottima per forza!
Entrammo
e un cameriere ci fece accomodare verso un corridoio a destra del
locale che
circondava un piano bar. Il tavolino era in plexiglass con il logo
satinato del
ristorante inciso sopra.
Mi
piaceva stare lì perché si respirava
un’atmosfera diversa, si stava in pace e
di quella non ce n’era mai abbastanza.
Sulle
pareti c’erano stampe di alcuni luoghi famosi italiani: dalla
Torre di Pisa al
Colosseo erano tutte in bianco e nero, contornate da cornici fucsia e
da neon
dai colori accesi.
Togliemmo
i soprabiti e li appoggiamo sulla parte posteriore della sedia, Bill fu
costretto a piegare in due il suo giacchetto perché
altrimenti avrebbe toccato
per terra.
Tolse
gli occhiali scrutando nel locale se ci fosse stato qualcuno di
sospetto ma
vedendo calma piatta li posò sul tavolo e poi si rivolse a
me con un mite
sorriso.
-
Seriamente Kim, scusami. –
-
Devi darmi tempo Bill, non è stato facile accettare tutto
questo e dire sì a
David. – cercai di guardarlo ma non ce la facevo. Cominciai a
giocare con uno
stuzzicadenti picchiettandolo sul plexiglass.
-
E’ stato difficile per tutti e due, Tom in questo caso non
c’entra niente. –
-
Ma come non c’entra niente? Siete venuti qui per scappare da
Los Angeles e da
tutti i paparazzi che vi assillavano per questa strana sindrome che lo
ha
affetto. Se non fosse stato per lui, anche se pare brutto dirlo in
questo modo
ma non riesco ad esprimermi meglio, non ci saremmo mai più
rivisti. – era una
confessione la mia?
Lo
sguardo di Bill si fece quasi colpevole, sembrava nascondermi qualcosa.
-
Signori cosa volete ordinare? – il cameriere che ci aveva
accolto all’entrata
adesso era di fronte a noi e nemmeno ce ne eravamo accorti, eravamo
troppo
immersi nella nostra conversazione.
-
Per me una Margherita, vado sul sicuro. – dissi con un
sorriso porgendo il
menù.
-
E per lei signore? – Bill diede una rapida occhiata ai nomi
delle pizze, poi
chiuse il menù e lo porse al cameriere.
-
Anche io lo stesso della signorina, così non ha la scusa del
“fammi assaggiare
un pezzo della tua”. – mi guardò e fece
l’occhiolino.
La
sua personalità era cambiata per l’ennesima volta.
Una
specie di Donnie Darko, il silenzio degli innocenti… o ero
io che non capivo
che strategia stava usando, o lui aveva davvero qualche problema
psicologico.
Passammo
il resto del pranzo senza più toccare il tasto dolente del
nostro
allontanamento e parlammo di tantissime cose: dalle sue stravaganti
pose che
faceva per i photoshoot, alla sfilata di Dsquared2, per non parlare di
quando
hanno cercato di disegnare il palco dell’Humanoid City Tour
da soli!
-
Sembrava un uovo strapazzato con due trampolini! Avevamo creato una
cosa
orrenda, non si poteva vedere! Infatti non per niente facciamo i
musicisti e
non gli architetti… saremmo stati senza lavoro! –
mentre lo diceva faceva la
faccia schifata ripensando al disegno che avevano messo su loro quattro
insieme.
Io
invece, parlai della mia università, della mia famiglia e
delle mie ipotesi per
il futuro.
-
E quella chitarra che tieni lì in salone la fai solo
impolverare o la usi per
creare qualcosa in particolare? –
-
Quella è per un progetto che sto portando avanti con delle
amiche da quando mi
sono trasferita a Berlino. Niente di che. – sorvolai.
-
Mi piacerebbe sentirti suonare. – disse mettendo in bocca un
bello spicchio di
pizza.
-
Se è per questo canto pure. – ops!
La
pizza di Bill si fermò a mezz’aria e lui rimase a
bocca aperta.
Poi
si riprese, mandò giù il boccone e bevve un sorso
di Coca-Cola.
-
E tu da quando canti? – era estasiato ma preferivo non
dirglielo, mannaggia
alla mia boccaccia!
Non
per niente ma quello poteva essere lo spunto per un ulteriore
“pensare a lui”
che nella sua testolina poteva passare come buono! In quel caso ci
avrebbe
preso ed era proprio questo il motivo per cui dovevo tenermi alla larga
il più
possibile.
-
Mhà… non da tanto, lo faccio per hobby con loro e
non ho mai preso lezioni. –
-
Guarda che ti si potrebbe rovinare la voce. –
-
Che me la stai tirando? –
-
No, ti sto salvando le corde vocali visto che io ci sono già
passato e non è
una bella cosa rimanere in silenzio per un lasso di tempo che ti sembra
interminabile, con un fratello che per farti capire non gli bastano
neanche i
segnali di fumo! –
-
Ahaha, certo che in quel caso una ragazza ti avrebbe fatto
comodo… - ma zitta!
ZITTA!
Bill
mi fissò profondamente e sporse il corpo fino a far arrivare
il suo viso a
pochi centimetri dal mio.
-
In quel caso mi sono accorto di quanto io possa essere stato stupido a
lasciarti… - la sua mano sfiorò la mia e fu come
se una scintilla mi fulminò
perché la ritrassi in un lampo.
Dopo
una mezz’ora Bill chiese il conto e uscimmo sotto il diluvio.
Tom
era a casa con Kate e i controlli erano andati bene, almeno quello era
ciò che
diceva lui.
Mentre
tornavamo verso la Q7, Bill si avvicinò e con il suo
cappotto extra-large mi
abbracciò facendomi attaccare al suo corpo con tutte e due
le braccia. Sentivo il
battito del suo cuore e la pioggia che cadeva su di noi. I capelli di
Bill
erano totalmente bagnati fradici e gli cadevano sul viso come piccoli
rivoli di
inchiostro.
Io,
Kimberly Keller, che ero sempre stata la ragazza forte che non aveva
bisogno di
nessuno per fare ciò che si metteva in testa di fare,
coperta per metà dal suo
braccio che si era trasformato in un’ala protettrice, mi
sentivo completa.
Avevo
bisogno di calore umano ma non di un calore umano qualunque, avevo
bisogno del suo.
NOTE: non
smetterò mai di ringraziare le persone che seguono "THE LAST
TRACK" perché grazie a voi la FF ha raggiunto, in meno di 25
giorni (più o meno), 960 visite *.*
GRAZIE MILLE :D
E mille e mille e mille e mille e mille... ect... ect...
|
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Capitolo 8 *** Capitolo Settimo ***
Tornati a casa, Tom e Kim non
erano ancora rientrati e la
tovaglia tappezzata di caffè era ancora sul tavolo.
Bill posò i nostri giacchetti su una panca in corridoio e
corse in camera.
Presi a sistemare i piatti nel lavandino, la tovaglia
l’arrotolai e la misi nella cesta dei panni sporchi, accesi
la TV e la voce di
un presentatore di MTV catturò la mia attenzione.
“I gemelli Kaulitz sono scomparsi letteralmente dalla
loro casa in California, nessuno sa dove siano diretti
perché non c’è stato
modo di mettersi in contatto con loro.”
Mi avvicinai allo schermo per sentire meglio continuando
ad asciugarmi le mani bagnate con un canovaccio.
“Il loro produttore ha lasciato solo una breve
dichiarazione ai media sottolineando l’importanza della loro
privacy e l’attesa
per i fan di quello che sarà un periodo d’assenza
abbastanza lungo. Ma… cosa
sarà successo di così scandalizzante da lasciare
la band divisa a metà? Litigi,
dibattiti, incoerenze?”. Il presentatore si
avvicinò ad una ragazza del
pubblico che aveva in mano una fascetta da concerto dei Tokio Hotel e
la teneva
stretta come una reliquia. In volto dipinta la sofferenza, quel tipo di
sofferenza che una fan prova quando la propria band preferita la delude.
“Tu cosa ne pensi? Vedo che l’argomento ti tocca in
prima
persona.” Disse ridendo falsamente e indicando la fascetta
fra la presa ferrea
di quella ragazza.
La ragazza prese un profondo respiro, qualche attimo di
silenzio e poi parlò quasi singhiozzando.
“Penso che sparire dalla circolazione non abbia senso.
Sono scappati dalla Germania, sono arrivati in California e adesso sono
di
nuovo scappati senza farci sapere nulla! Io sosterrò sempre
la band ma facendo
così molti fan si fanno domande, si chiedono i
perché di certi comportamenti e
situazioni… essere fan dei Tokio Hotel non è
facile…” aggiunse “Sei
perennemente in balia del caos del fandom e se provi a chiedere
un’informazione
subito che ti attaccano dicendoti che non sei abbastanza fan e che
certe cose
si devono sapere categoricamente.” Io non credevo a quello
che le mie orecchie
stavano ascoltando. Ero allibita e sconcertata dalle parole di quella
ragazza
perché non capivo cosa c’era di tanto difficile
nell’essere fan.
“Quindi, in conclusione cosa diresti?” le
domandò
prontamente il presentatore.
La ragazza tirò su col naso e cacciò dentro le
lacrime
che stavano per rigare il suo viso del nero mascara.
“Ho solo una cosa da dire: se mi state ascoltando,
sappiate che non è giusto nei nostri confronti! Non
è proprio per niente
corretto! Capiamo tutto: dalla privacy, alle vacanze ma svanire nel
nulla, no!
Padroni della vostra vita, ci mancherebbe altro però non
fate in modo e maniera
da allontanarci! Senza i fan nessun artista è completo e voi
state remando
contro tutto questo, lo state facendo da un anno ormai… non
penso che andremo
lontano così e…”
La TV si spense improvvisamente.
- Smettila di guardare queste stupidaggini, sono frasi
senza senso. – disse con voce bassa.
Gettò il telecomando sul divano dove mi ero seduta e si
diresse verso la finestra a braccia incrociate lasciando che il suo
sguardo
vagasse per la strada sottostante. Aveva ascoltato tutte le parole di
quella
fan.
- Che cosa vogliono da me? Che cosa vogliono da noi? – il
tono della sua voce crebbe e Bill divenne incredibilmente irritato.
– Hanno
tutto! Cd, interviste, poster, backstage filmati, meet & greet,
autografi,
concerti, eppure… non gli basta! Non gli basta mai! – appoggiò
delicatamente la fronte al vetro freddo e a
contatto con esso il suo calore creò un piccolo cerchio di
condensa. Chiuse gli
occhi ed inspirò lentamente, profondamente.
Quello che aveva detto Tom era vero: Bill era sul limite
del suo limite massimo di sopportazione di tutto, del mondo intero
penserei a
questo punto.
La sua figura dietro di me mi intristiva e anche se mi
aveva fatto soffrire in passato, io non volevo vederlo star male in
diretta
davanti ai miei occhi seppur per una cosa di poca importanza, ma sapevo
benissimo che di poca importanza non era.
Forse Tom aveva ragione anche su questo, provare a dare a
Bill una seconda opportunità e lasciare il passato alle
spalle. L’indecisione e
la paura di un’ulteriore freddata mi pugnalava il cuore ma
Bill aveva bisogno
di qualcuno con cui parlare, aveva bisogno di me.
Mi alzai e mi avvicinai a lui. Sembrava strano eppure
percepivo che c’era qualcosa che non andava.
Posai le mie mani sulla sua schiena e salii fino a
cingergli le spalle, sapendo che probabilmente in futuro mi sarei
pentita di
quello che stavo facendo ma in quel momento non lo pensavo nemmeno.
Sfiorai con il naso la sua maglietta e rimasi con la
guancia lì, ferma, ascoltando i battiti del suo cuore.
Il suo profumo, la sua presenza vicino a me, tutto lui mi
faceva sentire estremamente felice e perfettamente in sintonia con il
resto
dell’universo.
Una malinconia si attanagliò dentro di me e tristi
ricordi riaffiorarono compensati al tempo stesso da ricordi
meravigliosi,
ricchi di risate e armonia. Bill era questo: con lui eri costantemente
in
bilico tra l’eterna felicità e la distruzione
totale.
…e mi piaceva, mi piaceva ancora. Mi mancava.
Mi prese una mano e mi fece girare attorno a lui finchè i
nostri occhi non furono gli uni di fronte agli altri.
La luce soffusa del cielo berlinese illuminava il viso di
Bill e gli dava una sfumatura antica, quasi nobile: la pelle bianca, la
linea
del naso perfetta, lo sguardo magnetico e quelle labbra impeccabili.
Tom era bello, ma Bill era divino.
In quel frangente non sapevo cosa fare: mi si era seccata
completamente la bocca, non avevo più saliva neanche per far
schioccare la
lingua e anche provare a pensare ad una semplice frase era
un’opzione da
scartare. Non ci capivo più nulla, la vista cominciava ad
appannarsi
lievemente.
Mi fissava in maniera glaciale, con le mani serrate sui
miei polsi. Generalmente non sopportavo di essere bloccata, ma ammetto
che
essere bloccata da lui in quel
preciso istante aveva un non so che di stimolante e terribilmente
affascinante.
Si avvicinò di più verso il mio viso, sentivo il
suo
respiro sulle mie labbra e il sangue fluirmi tutto insieme nel petto.
- Devi dirmi una cosa Kim. – mi sussurrò quasi
sulla
bocca – Devo sapere assolutamente, sto impazzendo. –
Di sicuro stavo impazzendo anche io. Ogni singola cellula
del mio corpo mi tirava a lui come pezzettini di metallo attratti da
una
potente calamita.
- Proverò a risponderti, se ce la faccio… -
quell’ultimo
pezzo di frase riportò sul volto di Bill un piccolo sorriso
vincitore che mi
scombussolò la testa.
Si fece ancora più vicino, adesso la distanza fra le mie
e le sue labbra poteva sicuramente essere contata in millimetri.
Le sue mani si staccarono dai miei polsi e scivolarono
sui miei fianchi. Le mie, invece, salirono fino a cingergli il collo e
mi
ritrovai intrappolata con la schiena attaccata al vetro e Bill davanti
a me.
Si spostò di lato, scendendo delicatamente e sfiorandomi
la pelle della guancia con le labbra, lungo tutto il profilo del mio
viso ed
inconsciamente, rapita da quell’improvviso turbine di casta
passione, portai la
testa all’indietro lasciando che Bill proseguisse a scendere.
Il mio collo fu
coperto da soffici baci che mi mandarono in estasi e chiusi gli occhi
godendomi
quegli attimi di ritrovata beatitudine.
La maglietta che portavo era diventata carta velina fra
le sue mani e ad ogni tocco la mia pelle a contatto con la sua ardeva
con un’intensità
che non avevo provato con nessun’altro ragazzo. Era solo e
solamente Bill che
mi completava eppure più ci pensavo e più la
malinconia si faceva forte nei
miei pensieri. Feci il possibile per scacciarli via e per non rovinare
il
momento.
Ad un tratto le sue labbra si fermarono all’altezza della
mia clavicola, le braccia gli cominciarono a tremare.
Presi coraggio e cercai i suoi occhi ma non li incontrai
subito. Sentii solo il suo respiro accelerato per alcuni secondi.
- Se non avessi fatto quella stronzata di scappare e ti
avessi proposto di andare via da qua, da tutto insomma… per
me… lo avresti
fatto seriamente? – domandò e quasi riuscii a
sentire nella sua voce il timore
della mia risposta.
Capitava che, prima della sua “fuga”, parlavamo di
un
ipotetico futuro assieme ed ogni santissima volta che lo facevamo era
scontato
che io lasciassi tutto per stare con lui, quindi:
- Si… avrei lasciato tutto all’istante, senza
pensarci
due volte. Volevo stare con te e mi bastava, mi bastavi tu. Ma,
giustamente,
eravamo troppo piccoli e non sei riuscito a capirlo. Non penso che
adesso
affronterei una decisione del genere molto superficialmente come avevo
fatto qualche
anno fa. – risposi meravigliandomi della prontezza della mia
capacità
comunicativa fra le sue braccia.
Attimi di silenzio.
- Però sei qua, con me… non hai negato la
possibilità di
partire. – forse avevo sbagliato, gli avevo messo in testa
false aspettative. –
Ho qualche possibilità di farmi perdonare, Kim? –
In quel momento mi apparve Tom nella mente e i suoi
discorsi sulle possibilità. Crescendo era diventato fin
troppo saggio per i miei
gusti.
- Una persona a me molto cara mi disse che a tutti è
concessa una seconda chance, Bill, e tu non sei diverso. –
Alzò lo sguardo e mi guardò così
immobile che sembrava
fosse paralizzato.
Abbozzando un sorriso sbieco mi ringraziò e io non potei
fare a meno di ricambiare il sorriso.
- Però… non è questa la risposta che
volevo sentire,
perché in realtà non era questa la domanda che
volevo farti… - abbassò gli
occhi e sciolse il nostro abbraccio. La magia era finita… o
forse no?
Posò le mani sul vetro dietro di me e con la testa china
i ciuffi corvini che erano scappati dalla presa della lacca mi
toccavano il
petto.
- Cosa dovevi chiedermi allora? – chiesi quasi senza un
filo di voce.
Improvvisamente alzò lo sguardo, fissandomi.
- Mi ami ancora, Kim? – a quella domanda rimasi in
silenzio.
Gli attimi passati parevano essere scomparsi del tutto e
i miei occhi non riuscirono a sopportare di essere incatenati ai suoi.
Mi voltai
verso lo schermo nero della TV e desideravo ardentemente di trovarmi
seduta sul
divano dove ero poco prima invece che sentire il suo sguardo su di me
in attesa
di una risposta.
- Forse io… - cominciai.
- E’ permessooo!? – domandò qualcuno
dall’ingresso di
casa, facendo scattare la serratura della porta.
- Ma che ti urli, si può sapere? – chiese una
seconda
voce femminile.
- Bhè sai… stando alle mie esperienze passate
è sempre
meglio far sapere a chi è dentro casa che sei arrivato
altrimenti potresti
trovare scene strane… non si sa mai… - Tom.
- Ehm… credo sia un ragionamento logico. – Kate.
Scappai da Bill non appena li sentii, ringraziando il
cielo che per una volta il mio fratellone rasta mi aveva salvata a
tempo
debito.
- Ciao ragazzi, tutto bene Tom? – chiesi andandogli
incontro e prendendo la domanda con una nota un po’ troppo
alta, infatti il
rasta si bloccò e mi squadrò alzando un
sopracciglio. Saranno stati i miei
capelli tutti arruffati per essere stati dieci minuti schiacciati sul
vetro
umido o la mia finta euforia, ma lui sapeva che quando ero in
difficoltà me ne
uscivo con qualcosa di imprevedibile… anche, e comprese,
vocine stridule.
Distolse gli occhi da me e guardò il fratello con fare
indagatore.
- Ciao brò. – disse Bill appoggiato alla finestra
e
facendogli un cenno.
Ancora non convinto ma arrendendosi per non aver trovato
nulla di insolito fra di noi, mi passò dietro e
andò in cucina seguito dal
fratello.
- Ciao Kim tutto ok? – anche Kate si era accorta che ero
leggermente “fuori” ma con lei potevo gestirmela
meglio mentre Tom, con lui era
davvero difficile fargli passare per vera una situazione improbabile
sotto il
naso senza che dicesse niente.
- Si, tutto ok. – la mia voce era tornata normale.
Ci sistemammo in salotto con qualche salatino e qualche
bibita sul tavolino di fronte la TV, chiacchierammo del più
e del meno, delle analisi
che avrebbe dovuto fare Tom e del mio giro con Bill per Berlino
(tralasciando
il
particolare del regalo per Kate, ovviamente).
Passarono le ore e scese la notte.
Presi le chiavi della macchina per andare a prendere le
pizze che avevamo ordinato qualche isolato più
giù rispetto a casa mia e Tom si
propose per accompagnarmi.
Felicissima, accettai la sua compagnia e mentre stavamo
per uscire:
- Guarda che la tua macchina ha la batteria scarica,
prendi la mia. – la voce di Bill mi raggiunse in corridoio e
sbuffai sapendo
che aveva ragione ma me ne ero totalmente dimenticata. – Le
chiavi sono nel
giacchetto sul letto. –
Mi voltai e corsi in camera senza accendere la luce,
rovistai fra le lenzuola e trovai il cappotto.
Presi le chiavi dell’Audi e in mano mi ritrovai anche un
biglietto che misi nella tasca del mio trench senza pensarci.
- Grazie Bill. – lo vidi sorridere ed illuminarsi alle
mie parole. Avevo solamente detto “grazie”.
- Guarda per un misero “grazie” come è
felice… - disse
Tom non appena chiusi la porta alle nostre spalle.
Alzai gli occhi al cielo ma dovetti accettare l’idea che
anche adesso aveva pienamente ragione a sottolinearmi certe cose.
Eppure, cavolo, quella che era stata lasciata ero io. Teoricamente
chi doveva sentirsi verme e farmi illuminare di gioia era lui, non
viceversa. Vabè…
Salii in macchina di Bill e accesi il motore. Tom era
rimasto fuori dalla parte del passeggero.
Abbassai il finestrino.
- Bhè, che fai? Non Sali? – chiesi.
- Guidi tu? – mi indicò con gli occhi sgranati.
- Dai Sali, guarda che guido bene. Fidati! –
Tom salì in macchina e chiuse la portiera mettendosi
immediatamente la cintura.
- Malfidato. – feci una smorfia e regolai il sedile visto
che Bill aveva le gambe doppiamente lunghe rispetto alle mie e riuscire
ad
arrivare ai pedali, per me, era pura fantasia.
- Vorrei mangiarmela vivo la pizza stasera se per te non
ti dispiace. –
- Tom… -
- Si? –
- Non so usare la frizione, ho la macchina automatica. –
il panico si dipinse sul suo viso.
- MA COME NON SAI USARE LA FRIZIONE? Scendi che… -
- Ahahah, scherzavo! Sei un folle! – ingranai la prima e
partii alla guida di quel macchinone meraviglioso con Tom che rideva
affianco a
me.
NB: mi dispiace di aver fatto passare tanto tempo fra un capitolo e l'altro ma... avevo il computer rotto >.<
BUONA LETTURA ALIENS ^_^
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