Special Needs

di samskeyti
(/viewuser.php?uid=83732)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Capitolo: Special Meeting. ***
Capitolo 2: *** Secondo Capitolo: Special Friends. ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo: Special Goings-on. ***
Capitolo 4: *** Quarto capitolo: Special Nights. ***
Capitolo 5: *** Quinto capitolo: Special Closeness. ***
Capitolo 6: *** Sesto Capitolo: Special Tears. ***
Capitolo 7: *** Settimo capitolo: Special Drugs. ***
Capitolo 8: *** Ottavo capitolo: Special Origins. ***
Capitolo 9: *** Nono capitolo: Special Desideres. ***
Capitolo 10: *** Decimo capitolo: Special Hopelessness. ***
Capitolo 11: *** Undicesimo capitolo: Special Wishing. ***
Capitolo 12: *** Dodicesimo Capitolo: Special Loss. ***
Capitolo 13: *** Tredicesimo capitolo: Special Making. ***
Capitolo 14: *** Quattordicesimo capitolo: Special Feelings. ***
Capitolo 15: *** Quindicesimo capitolo: Special Shine. ***
Capitolo 16: *** Sedicesimo capitolo: Special Questions. ***
Capitolo 17: *** Diciassettesimo capitolo: Special Eternity. ***
Capitolo 18: *** Diciottesimo capitolo: Special Promises. ***
Capitolo 19: *** Diciannovesimo capitolo: Special Lovers. ***
Capitolo 20: *** Ventesimo capitolo: Special Gaps. ***



Capitolo 1
*** Primo Capitolo: Special Meeting. ***




•SPECIAL NEEDS•

≈Prologo≈ 

.1993-Teignmouth.

Fra le alture verdeggianti e le colline cosparse di case, fra le rientranze paludose e le spiagge selvatiche, fra i sentieri intrecciati e le strade cementate, c'era un lago naturale conosciuto solo dai 15.000 abitanti del paese.

Si chiamava -Lago Viola- ed aveva sempre esercitato un certo fascino sui rari visitatori che in esso s'imbattevano.

Le sue acque assumevano un colorito livido e malaticcio indipendentemente dal cielo; era lo spesso strato di alghe fluttuanti sul suo fondale a donargli quelle tonalità insolite.

Riposava all'ombra di una parete rocciosa e pareva che per qualsiasi posizione assumesse il sole, mai un raggio di luce riuscisse a sfiorarlo.

Nessuno ci faceva il bagno o ci pescava, anzi, era preferibile evitare ogni contatto con le sue acque sempre gelide, melmose, infide.

Il passare degli anni aveva fatto sì che leggende e miti di creature mostruose o miracolose magie alimentassero l'immaginario collettivo fino a porre veri e propri divieti circa l'avvicinamento a quel luogo lugubre.


 

 

 

 

Primo Capitolo: I'm so happy, 'cause today I've found my friend and he's in my head.

 

Matthew James Bellamy, 15 anni di ragazzo poco più alto del metro e sessantotto per 52 kg di pelle ed ossa, uscì di prima mattina per recarsi a scuola. I passi affrettati delle sue scarpe dalla suola consumata risuonarono confusi sul selciato, prima di venire sovrastati dalla voce della donna che si sporse da una finestra per salutarlo.

«Buona giornata!» gridò l'anziana signora, sporgendosi dal secondo piano di una villetta bifamiliare.

«Buona giornata a te, nonna!» rispose il ragazzino mentre correva via veloce.

Giunse in breve tempo al posto in cui passava dell'autobus messo a disposizione gratuitamente dal servizio scolastico del paese, poi si apprestò a ripararsi sotto il tettuccio di plastica della fermata dato che il cielo plumbeo sembrava promettere solo un imminente temporale. Ricontrollò per l'ennesima volta i libri all'interno della cartella; quel tiepido giorno di metà ottobre aveva un'importante verifica di geometria analitica e, avendo studiato diligentemente, voleva che nulla gli impedisse di prendersi la giusta e meritata lode. Ogni cosa al suo posto, poté mettersi il cuore in pace ed attendere paziente l'arrivo del bus. Cominciava a tirare un vento tagliente che profumava di bosco, ma gli feriva le labbra screpolate. Alzò il colletto della giacca impermeabile che gli fasciava il busto per ripararsi, dunque si riscaldò sfregandosi le mani sinuose contro i bicipiti sottili. Stava arrivando l'inverno, ad annunciarlo era proprio quel freddo ancora tenue; presto i campi colorati sarebbero diventati una distesa di bianco uniforme.

Guardò oltre il vetro di protezione. I suoi occhi percorsero abilmente il paesaggio familiare per soffermarsi sul Lago; era di una meravigliosa tintura violacea, sembrava un telo di velluto color prugna distrattamente dimenticato su un prato, e da lì si poteva godere di un'ottima visuale. Sorrise al pensiero che un simile splendore riuscisse ad esercitare tanta negativa paura sulle persone perché in lui risvegliava solo curiosità e ammirazione. Senza saperlo, i suoi occhi trasparenti avevano attinto parte della porpora delle acque immobili e così esaltavano maggiormente il pallore della sua pelle nivea. Incontrò il proprio riflesso sul vetro, ma vedendosi addosso un'espressione talmente concentrata su qualcosa di proibito e pericoloso, si spaventò, preferì distogliere lo sguardo.

Tamburellò agitato sul palo degli orari; aveva in mente una nuova melodia da scrivere per la sua chitarra, ma non trovava mai il necessario tempo per dedicarcisi. La natura decise di rispondere al suo ritmo con il proprio, perché una delicatissima pioggia cominciò a cadere proprio in quel momento dalle nuvole grige. Lui si ritrasse all'interno della fermata e fissò le prime gocce che coraggiosamente osavano schiantarsi sulla terra. Si domandò come mai tanta tenerezza venisse infranta in modo tanto impietoso. A scostarlo dai suoi pensieri fu un ulteriore rumore. Ticchettio di passi veloci sull'asfalto.

Era Dominic James Howard, un grazioso biondino di un anno più grande, compaesano e frequentante la stessa scuola superiore. I due ragazzi si erano trovati fin da subito simpatici, anche se non avevano legato particolarmente per via dei loro caratteri spesso schivi e solitari. L'orecchio attento di Dominic colse subito il ritmo che creavano le lunghe unghie di Matthew sul ferro del palo e non poté fare a meno di trovarlo musicale.

Si scambiarono un timido saluto, accompagnato da un sorriso di circostanza. Fermatosi a debita distanza, Dominic controllò l'orologio argentato che teneva al polso sinistro. Matthew desiderava conoscere l'ora perché cominciava a domandarsi se il bus sarebbe davvero passato, secondo i suoi calcoli mentali doveva già essere stato lì da cinque minuti abbondanti. Un'ondata di nervosismo gli si riversò nel sangue, per scaricarla assestò un leggero calcio al palo. D'altra parte, Dom appariva calmo e distaccato, quasi lo attendesse una giornata di svago.

Se proprio vogliamo esser sinceri, parte dell'ansia isterica del moro era causata da un appuntamento che avrebbe dovuto tenersi nel pomeriggio.

-Però quello me lo sono cercato io, sono io che andai a chiederle di uscire. Riguardo a lei, si sentiva un totale fallimento. Non sapeva dove portarla, di cosa parlarle, come trattarla; il punto è che non si aspettava neanche lontanamente di ricevere un «Sì» così immediato e schietto. Questo avvenimento lo aveva portato a riflettere; forse non era poi quel bruttino imbranato privo di fascino che si credeva tanto fermamente. Ma ora che l'aspettativa saliva, sarebbe stato all'altezza? Rabbrividì al pensiero. Scosse la testa e la sensazione di inadeguatezza aumentò vertiginosamente.

Si passò una mano fra i capelli incolti, un po' lunghi e selvaggi, ma di un nero notte incantevole. Desiderò una bella tinta drastica; presto l'avrebbe fatta e di un colore tutto suo, blu, arancione o viola, qualsiasi purché fosse shock e innaturale. Un impeto di rabbia gli stritolò la gola, l'attesa era snervante.

«Dove cazzo è questo pullman?» disse all'improvviso, senza accorgersi di aver parlato, inoltre così sboccato davanti ad un altro.

Dom si voltò di scatto appena udì la sua voce. Assunse un'espressione contrariata, infine rispose.

«Stai aspettando il pullman?»

«Bè, non sto qui mica a prender freddo» esclamò Matt irritato davanti a quell'ovvietà.

«E invece temo di sì, visto e considerato che oggi c'è lo sciopero» continuò imperturbato il biondo. Matt s'irrigidì.

«Tu che fai qui? Non potevi dirmelo prima?» balbettò tremante di rabbia. Gli saltavano tutti i programmi, dalla scuola all'appuntamento, dato che con la ragazza si sarebbe dovuto accordare all'intervallo.

«Io aspetto un amico in moto. Comunque scusa, è che non volevo farmi i fatti tuoi» il tono di Dom era tanto calmo da far nascere in Matt il dubbio che non fosse umano. Lo guardò storto, se non fosse stato illegale lo avrebbe strozzato volentieri.

«Ora che faccio...» sussurrò, controllando mentalmente tutte le alternative pur di giungere in centro, non più per il compito, quello lo avrebbe recuperato, ma almeno per la ragazza. Dom alzò le spalle, come poteva essergli d'aiuto?

«Non, non so! Vuoi forse un passaggio in moto?» chiese anche se prevedeva un probabile rifiuto. Confermando i suoi presentimenti, Matt fece segno di «No» e tirò l'ultimo debole calcio al palo ormai traballante. Senza aggiungere altro, girò sulle suole e raccolse lo zaino. S'incamminò lungo la strada in discesa e presto la sua esile sagoma s'assottigliò fino a confondersi con il paesaggio tutt'attorno.

Dom vide l'amico sulla moto in avvicinamento e in men che non si dica, salì a bordo. Dovevano andare a prendere le loro ragazze al college per saltare scuola collettivamente. Infilò il casco e smise di pensare a Matt.

 

Lo scricciolo dall'aria di vagabondo trascurato raggiunse in pochi minuti un sentiero che si distaccava dalla strada principale per inoltrarsi nella boscaglia rada posta come recinto al Lago. S'intrufolò fra gli alberi e i rami lo ripararono dalla pioggia ora divenuta aggressiva. Tirò su col naso arrossato; presto gli sarebbe venuto il raffreddore, ma dopo il fallimento di quella mattina, non gli importava più di niente. Si strinse nella giacca e proseguì attentamente. Gli balenò in mente un'idea tutta nuova. E se c'è una cosa che sempre lo caratterizzò fu la passione per le novità.

-Io ti voglio toccare. Che sarà mai? pensava, evitando il fitto sottobosco spinoso ai lati del sentiero appena visibile. Qualche goccia sfuggiva al tetto di fogliame e lo colpiva dritto in testa, imperlando i neri ciuffi d'argento. Pian piano il suo corpo perdeva calore, ma in quella natura ogni cosa era fredda, perciò riusciva a sentirsi a proprio agio nonostante le mani congelate o i piedi fradici.

C'era un pontile di legno che si slanciava sopra le acque; era lungo una trentina di metri. Costruito 10 anni prima, non venne mai utilizzato perché mai ci era salito qualcuno. Se non fosse stato per gli inevitabili scricchiolii che emetteva il legno ormai marcio dei piloni che affondavano nell'acqua e sorreggevano la struttura, pareva nuovo.

La pioggia che cadeva sul lago creava piccole increspature, ma la staticità di quel luogo finiva sempre per vincere e trionfava la sua quiete morta. Presto sarebbe cessato il temporale e lui avrebbe attraversato il pontile per andare a sedersi sulla punta del pontile, con le gambe a penzoloni in quei due metri di vuoto che separavano il legno dall'acqua. Forse lì avrebbe trovato la pace necessaria per scordarsi delle inutili preoccupazioni.

 

Dom tornò per mezzogiorno. Si era annoiato con quelle e gli dispiaceva anche aver saltato un giorno di scuola senza motivo. Sarebbe dovuto rincasare nel tardo pomeriggio per non destare sospetti, quindi aveva bisogno di un passatempo e di colmare quelle ore. Il cielo si andava rischiarando e magari sarebbe potuto spuntare il sole fra le nuvole ormai diradate. Tolse la giacca e se la caricò su una spalla, rimanendo in t-shirt. Camminò lungo la strada asfaltata, poi vide una figura umana sul pontile abbandonato. Da quella distanza gli sembrava un bambino o comunque qualcosa di piccolo abbastanza da non doversi assolutamente avventurare da solo in quel posto misterioso.

Decise di andare ad avvertirlo del pericolo e magari convincerlo ad andarsene. Scese attraverso una scalinata in cemento e arrivò ad una spiaggetta color cenere. Da lì poteva vedere meglio la persona sul pontile e dedusse che si trattava di un ragazzo. Continuò scavalcando un paio di pozzanghere e qualche arbusto, finché approdò sul primo asse di legno del pontile. Era piuttosto elettrizzante quell'impresa, per quanto fosse costantemente accompagnato da un senso di colpa, chissà quale dramma se lo avesse scoperto mamma Howard.

-Ma sì, non lo scoprirà mai. Percorrendo a passi lunghi le assi scricchiolanti, fu a due metri dalla fine e capì che quello era Matt. Un po' ci aveva sperato; d'altro canto, sarebbe stata un'occasione d'oro per farsi perdonare dopo il malinteso della mattina.

«Ehi» disse una volte dietro le sue spalle curve. Il moro era seduto con le gambe nel vuoto, mentre appoggiava le mani sulle ginocchia sporgenti. Quando sentì il saluto, si voltò di scatto e sobbalzò stupito.

«C-Ciao» balbettò, con il classico tono di chi è piacevolmente sorpreso a farsi gli affari suoi.

Il viola che li avvolgeva era quasi fastidioso per la vista non abituata. Il biondo si accovacciò e si mise seduto a gambe incrociate, giusto a qualche cm dall'altro. Lasciò passare qualche minuto di perfetto silenzio, dopo sospirò rumorosamente.

«Scusa per prima» disse, notando che fra i piedi di Matt e l'acqua c'era un metro abbondante, ma non gli pareva abbastanza sicuro. «Senti, vuoi stare proprio qui?» cercò il suo sguardo per convincerlo.

«Sì, non è mozzafiato?» Matt aveva una faccia trasognata. Dom gettò uno sguardo sulla superficie livida e rabbrividì di conseguenza.

«Direi da brividi

Gli occhi cerulei del biondo incontrarono quelli ghiaccio dell'altro; si sondarono per qualche minuto lentissimo, infine entrambi tornarono ad esplorare il paesaggio. Il silenzio che aleggiava sopra il lago era assordante, troppa morte si avvertiva in quell'aria soffocante.

«Dom, tu suoni qualche strumento?» esordì il moro all'improvviso. Dom, leggermente spiazzato, annuì vigorosamente.

«Sì, la batteria da cinque anni. Tu?» Il sorriso entusiasmato che invase il volto di Matt brillò nella monotonia del luogo.

«Pianoforte da cinque anni e chitarra da uno. Però so anche cantare.» Nel suo cervello prendeva forma una nuova idea, trapelava da quel sorriso raggiante che un po' imbarazzava l'altro.

«Ti andrebbe di metter su una band?» sussurrò, facendosi più vicino. Dom percepì il profumo del suo alito fresco e sentì impossibile resistere. Era una gran proposta, ma comportava impegno e costanza. Li avrebbero avuti?

«Perché no! Ma il bassista?» rifletteva sul fatto che lui non ne conosceva nessuno.

«Lo troveremo, secondo me a scuola c'è qualcuno che fa al caso nostro!» esclamò entusiasmato Matt la cui espressione ora sembrava quella di un bimbo contento. Dom sorrise e annuì.

«D'accordo, d'accordo. E la sala prove?»

«Ho una taverna che potrebbe rivelarsi adatta» disse Matt, grattandosi il mento sbarbato pensieroso.

«Andiamoci!»

Matt sorrise divertito; era palese che Dom aveva colto l'occasione al balzo per andarsene da quel postaccio. -Allora anche la tua perfetta apatia cede di fronte a qualcosa, interessante!

«Di già? Non vuoi fare un tuffo?» propose cattivo.

«Matthew, ti conosco da poco, ma sappi che ho già tratto grandi conclusioni sul tuo conto!» rispose Dom, un misto fra l'inorridito e l'attratto.

«Non m'importa. Tu sei un pauroso e credulone, ecco tutto» il suo tono si fece malizioso. Forse stava accelerando i tempi tutta quella confidenza. Ma così non fu, dopo la risposta di Dom.

 «No, si dice "schizzinoso". In ogni caso, tengo più al progetto di una band che ad un tuffo nella melma!»

 «Giusto, sarà per un'altra volta. Seguimi.»

 

La strada del ritorno apparve più breve. I due ragazzi la percorsero parlottando del gruppo, dei potenziali bassisti e dei possibili intralci. Matt era riuscito a scordarsi della scuola e della ragazza, Dom della noia e di quel senso di sufficienza da cui pareva sempre assediato. Si accorsero di avere sprecato un anno di vicinanza per una futile timidezza, caduta così velocemente non appena le apparenze sono sfumate.

 «Nonna, sono a casa!» gridò Matt sull'uscio.

 «Nonna è uscita» rispose Paul, il fratello, dal divano. Matthew e Dominic entrarono, perciò Paul guardò lo sconosciuto sospettoso.

«Sei?» domandò, appoggiando il libro che stava leggendo.

 «Dominic Howard, piacere» rispose l'altro, porgendo una mano. Paul accettò la stretta, disse il suo nome e riprese a leggere silenzioso.

 «Vieni, ti mostro la taverna» aggiunse Matt, aprendo una porta di legno alla fine di un corridoio stretto. Dom gradì l'atmosfera della casa; ordinata e pulita, pareva ben arredata, anche se un occhio attento come il suo colse subito la sobrietà forzata dell'ambiente candido.

-Chissà perché poi vive coi nonni! Era ancora all'oscuro del divorzio di Marilyn e George Bellamy. Preferì aspettare, temeva di risultare indiscreto. Qualcosa di Matt, di quel piccoletto magro e impavido, lo incuriosiva terribilmente.

Matt accese le luci e ai loro occhi si dischiuse una stanza piuttosto spaziosa, insonorizzata e senza finestre. Qualche scatolone addossato alle pareti, una sedia, un armadietto smontato.

«Matt! È perfetta!» disse Dom, già calcolando dove mettere la sua batteria.

«Trovi? Guarda, lì la tua batteria -e indicò il posto che aveva in mente Dom-, qui il mio microfono -e fece segno al centro-, là gli amplificatori -verso la parete di fronte. Poi la chitarra la reggo» spiegò e gesticolò.

«Il piano?»

«Quello è fisso di sopra, ci dobbiamo accontentare»

«Va benissimo. Sicuro che non disturberà?»

«Fidati. Ti va di mangiarci qualcosa?» chiese, spegnendo la luce.

 «Molto!» rispose Dom, dando un'ultima occhiata. Il resto della giornatà passò veloce: in un batter d'occhio, si fecero le sei e Dom dovette andare a casa. Si diedero appuntamento all'indomani, tanto avrebbero preso lo stesso autobus.

Quando la nonna venne a conoscenza da Paul che Matt aveva invitato qualcuno in sua assenza, s'incuriosì. Lo raggiunse in camera e, trovandolo alle prese con le pulizie, lo guardò stupida.

«Mattie, hai un nuovo amico?»

«Sì! Si chiama Dom e faremo una band. Useremo la saletta di sotto, possiamo vero?» disse, spolverando una catasta di libri sugli alieni.

«Chiedo al nonno, ma per me è un sì. Poco fracasso però!»

«Prometto!»

«E perché riordini la stanza? Non lo fai mai...»

«Devo imparare, nonna»

«Mah! Non è che oltre a Dom è venuta una ragazza?» la donna anziana sorrise dolcemente. Matt negò e le augurò la buona notte, voleva sentirsi un po' più autonomo. Stava crescendo. Appena finì il lavoro, si gettò a pesce sul letto e chiuse gli occhi al sonno incalzante.

-Veramente, penso di averlo fatto perché prima o poi dovrò pur mostrare la mia cameretta a quello lì, come si chiama, Dominic...che nome sciocco, Dom, sembra il suono delle campane...però lo sento così simile a me, chissà, secondo me ho trovato il mio primo vero amico... Senza accorgersene, crollò.

 

Tre settimane dopo, 21 giorni passati tra scuola-Dominic-scuola-Dominic-scuola-Dominic, avevano montato la betteria pezzo per pezzo e trasferito microfono e amplificatore. Inoltre, Dom aveva conosciuto due potenziali bassisti. Era giunto il momento della temuta e desiderata domanda.

 «Ma camera tua esiste?»

Ora, non che ci fosse nulla di strano, anzi, quando era capitato che andassero a casa di Dom (più raro perché vivendoci padre, madre e sorella più parenti occasionali era sempre affollata) la camera era stata una delle prime stanze visitate, però Matt ci teneva in modo maniacale. Nella sua camera, il suo nascondiglio, rifugio, habitat, non entrava nessuno all'infuori della nonna, quindi era come un piccolo gioiello da difendere. Sarebbe stato pronto a farla vedere ad un altro? E Dom sarebbe stata la persona giusta? Matt ci pensò su qualche secondo, poi farfugliò:

«N-Non...»

Dom alzò le sopracciglia chiare.

«Non?»

«Non è un gran che!»

Dom scoppiò a ridere e desiderò menarlo. Non capiva come fosse possibile che nella sua vita fosse entrato un tesoro tanto prezioso dal nome Matthew. Dal canto suo, Matt arrossì appena Dom gli strinse una spalla nel palmo della mano.

«Si dà il caso che a me piacciano particolarmente le cose che non sono un gran che» fece il biondo. Attese impaziente. Dopo due minuti di nulla, Matt si voltò e si diresse su per le scale a chiocciola. Aprì la porta piano piano, seguito dallo sguardo irremovibile di Dom.

La stanza, piccola ma accogliente, aveva una sola finestra rivolta al Lago Viola. Il letto era basso e scomposto. Sui muri c'era qualche poster; Cure, Queen, Pink Floyd. La scrivania piena di libri e fogli scarabocchiati. Due mobili, probabilmente per i vestiti, uno scaffale di vinili e una chitarra appoggiata al muro. Ecco quanto.

«Che bell'altro...» commentò Dom, scorrendo i titoli dei libri sulla scrivania.

«Bello no, antro sì» lo corresse Matt, distendendosi sul letto. Dom gli sorrise e, dopo aver carezzato il manico e le corde della chitarra acustica, si sedette sul bordo del letto.

«Complimenti, è proprio tua, si vede» continuò imperterrito il biondo. Matt scrollò le spalle e ridacchiò imbarazzato.

«Bugiardo» sogghignò, pizzicandogli un gomito. Dom si incupì. Era arrivato il momento di chiedergli una cosa.

«Matt, quando si separarono i tuoi?» azzardò con un tono molto dolce. Matt se l'aspettava, quell'Howard era sveglio.

«L'anno scorso» disse con naturalezza, ma abbassò lo sguardo. Si voltò su un fianco, diede le spalle a Dom e si raggomitolò. La cosa gli bruciava ancora tantissimo. Dom apprezzò la sincerità, era segno di maturità.

«Non è colpa tua» sussurrò, anche se quella frase gli pareva eccessiva.

«Mmh...» replicò Matt, sempre più triste e addolorato. -Perché sei così perspicace?

«Se ti può consolare, mio papà, Bill, è malato di cuore» aggiunse Dom, che comprese di non poter sopportare la visione di Matt abbattuto.

«Non mi consola niente, ma quello che dici è ancora peggio del divorzio» -Complicato, Matt, sei complicato da farmi impazzire.

«Può darsi, però la sofferenza aiuta a crescere, credimi»

Matt sorprendentemente sentì la tristezza e la malinconia tornare nel buco nero da cui erano sbucate. Riuscì a inspirare a fondo, poi trovò la forza di guardare negli occhi Dom. Era l'inizio di una grande amicizia. Eterna? Sì, a giudicare dallo sguardo clemente che si scambiarono in silenzio. Si sorrisero debolmente.

«Devo andare. A domani?» domandò Dom, alzandosi controvoglia.

«Certo, così mi fai conoscere quei due bassisti»

«Va bene! Allora io vado...» concluse il biondo, aprendo la porta per uscire. Matt si mise seduto.

«Ah, Dom! Una cosa!»

«Sì?» fece l'altro, tornando sui suoi passi.

«Ti spiacerebbe tornare al Lago con me?»

Dom lo squadrò dubbioso. -Cos'hai in mente?

«Per?»

«Innanzi tutto: nostalgia del luogo. Poi, dovrò chiederti una cosa...»

Dom scoppiò a ridere. -Nostalgia! Ma quella cosa lo incuriosiva troppo per desistere.

«E sia! Ci vediamo e smettila di leggere quella robaccia!» esclamò, indicando la pila di libri sugli extraterrestri. Matt impostò il finto broncio e lo lasciò andare.

 

Qualche ora dopo, si infilò fra le coperte morbide del suo letto incasinato. Fuori incalzava la tempesta; battevano sulla finestra e sul soffitto goccioloni pesanti simili a proiettili innocui. I lampi sfavillavano nelle viscere del cielo disfatto, i tuoni esplodevano nei timpani violentemente. Matt desiderò qualcuno al suo fianco. Non sapeva dargli un nome, un'identità, però qualcosa gli suggeriva che quel qualcuno esisteva. Qualcuno da stringere nella notte, qualcuno che scacci la paura degli alieni, qualcuno il cui cuore batta più forte di quel temporale...

S'addormentò abbracciato al cuscino, mentre, a meno di un km da lui, Dom faceva lo stesso.

 

Nota d'autrice. Benvento ad ogni lettore-recensore! Sono tornata, ma questa volta con una storia che non ha il solito intento puramente erotico e perverso, tutt'altro! Tenterò un'analisi dei personaggi a partire da qui, l'adolescenza, in periodo in cui si conobbero e nacque tutto...e in quel tutto racchiudo sia i Muse che... bè, lo sapete. Spero di essere stata precisa con le date, qualora trovaste degli errori, gradirei le correzioni. Vi ringrazio e vi aspetto al prossimo capitolo. Cheers and BellDom for all <3

ps: Dimenticavo! Il motivo del Lago Viola lo capirete molto più avanti ^^



Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Secondo Capitolo: Special Friends. ***


•SPECIAL NEEDS•

Per quello che sono io quando sto con te,
Per ciò che stai facendo di me,
Perché tu hai fatto più di quanto abbia fatto qualsiasi fede per rendermi migliore,
e più di quanto abbia fatto qualsiasi destino per rendermi felice,
Perché l'hai fatto senza un tocco, senza una parola, senza un cenno,
e l'hai fatto essendo te stesso,

Noi siamo amici.

[Modificata dall'originale e anonima.]

 

 

Secondo Capitolo: When you are with me, I'm free! I'm careless! I believe!

 

Le luci intermittenti della tv erano le uniche ad illuminare soffusamente la sala. Le loro tonalità bluastre gettavano scintille nei limpidi occhi dei due spettatori, comodi su un divano in pelle bianca. Il volume piuttosto alto diffondeva le voci e le musiche nell'aria tiepida, inodore. Su un tavolino basso in ciliegio, abbandonate giacevano piatti e bicchieri usati, probabilmente per un'abbondante merenda non troppo salutare. Il film che procedeva sullo schermo continuava a divertire il suo pubblico: Matt e Dom, entrambi spesso piegati in avanti dal ridere.

«Ragazzi! Quando imparerete a non dire le parolacce alle suore?» gridò l'attore, rivolgendosi ai Blues Brothers.

Dom batté il pugno sul bracciolo del divano, lo divertiva fino ai crampi allo stomaco quel nero. Matt ingurgitò l'ultimo sorso di Coca-Cola e lanciò il bicchiere sul tavolino traballante di spazzatura. Era la prima volta che vedevano un film insieme, ma quel film lo conoscevano a memoria, ogni singola scena, manco fosse il Vangelo per un prete. Il biondo preferiva Dan, il moro John, anche se l'uno senza l'altro non valeva nulla.

La porta, prima chiusa, si aprì e Paul entrò. Si piazzò fra i due e il televisore, poi disse con le mani puntate sui fianchi:

«Matt, quella che indossi è la mia maglietta»

Matt non lo sentì neppure, semplicemente si sporse su Dom per vedere lo schermo. Scoppiò a ridere, ansimando come un asmatico, e chiuse gli occhi per non lacrimare dallo sforzo.

«Matt! Cretino, dammela!» strillò Paul, gettandoglisi addosso. Lo strattonò malamente, lo fece cadere a terra e con ambo le mani strappò via la sua t-shirt, lasciando il fratello a petto nudo. Matthew lo mandò a quel paese, poi gli ordinò di andarsene dalla stanza, altrimenti avrebbe chiamato la nonna. Nonostante la minaccia ridicola, Paul soddisfatto del bottino se la filò, sbattendosi la porta alle spalle. Dom aveva assistito alla scena di violenza gratuita impassibile: mai intromettersi fra lotte di fratelli, anche se in gioco c'è la nudità del proprio migliore amico. Matt si rialzò, ripeté qualche insulto a denti stretti, poi tornò a sedersi affianco a Dom, coprendosi metà petto con un cuscino preso all'ultimo momento. L'amico lo guardò divertito; sembrava un gatto arrabbiato perché qualcuno lo aveva gettato nell'acqua. Comprese ancora meglio quanto fosse vero il fatto che Matt soffrisse di un disagio psicologico con sé stesso. Tuttavia, agli occhi di Dom non era un difetto, bensì un pregio, un ulteriore motivo di fascino. -Perché ti copri? Non siamo forse uguali?

«A volte penso che se mi volessero uccidere, con te al mio fianco starei certo di morire» esclamò, lanciandogli uno sguardo imbronciato e scocciato. Dom sbuffò e lo guardò dall'alto al basso.

«Le tue insinuazioni non mi sfiorano. Piuttosto, perché hai rubato la maglietta a Paul?» disse, sogghignando in un modo che provocò sudore freddo alle tempie dell'interlocutore.

«Oh Dom! Taci, c'è John che dà il meglio di se stesso» tagliò corto Matt e alzò il volume premendo sul telecomando come un dannato. Il biondo riposizionò lo sguardo sul film, anche se non riusciva a scacciare la dannata voglia di togliere il cuscino a Matt e vedere cosa ci fosse da nascondere con tanto pudore.

Passò un'oretta e, al pari di ogni film che si rispetti, il regista seppe ben miscelare comicità a romanticismo, tenerezza, dolcezza. Infatti giunse la frase che ogni persona a conoscenza di questo capolavoro ben conosce:

«Se amate a qualcuno in particolare, tenetevelo stretto, uomo o donna che sia. Amatelo, coccolatelo, stringetelo, esprimete i sentimenti con baci e carezze perché è importante avere qualcuno da baciare e d'abbracciare. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno.» 

Matt e Dom ebbero due reazioni diverse. Un conto è sentire frasi come queste da soli, un conto è sentirle in compagnia. Matt strinse il cuscino fino a fare concentrare tutta le piume al suo interno nella parte più alta e in quella più bassa, sull'orlo dell'esplosione. Ci affondò il mento e rifletté sul fatto che lui non aveva mai amato, coccolato e stretto nessuno. Dom deglutì silenziosamente, poi si passò una mano fra i capelli puliti. Avrebbe dovuto pensare d'istinto alla sua ragazza, ma quella non gli passò neppure alla lontana per il cervello. Accavallò le gambe e sperò che il momento passasse alla svelta, tutto quel sentimentalismo gli dava fastidio. -Io, io non ho bisogno di nessuno...

«Mattie! È arrivato un amico tuo!» gridò una voce femminile dalla stanza accanto, la cucina.

«Dev'essere il bassista, andiamo Dom!» disse velocemente l'interpellato, spegnendo la tv con un click. I due si precipitarono fuori dalla sala per accogliere il potenziale bassista.

 

 

Provarono un paio di cover, una dei Cure, l'altra dei Nirvana. S'incepparono numerose volte, oppure persero il tempo, finendo con l'incolparsi l'un l'altro senza sapere che era colpa di tutti e non del singolo. Dopo un'ora, a Matt girava la testa dalla stanchezza; aveva la gola arsa e le dita scottanti. Dom, tutto sudato, gettò le bacchette sul rullante e appoggiò la schiena alla parete dietro di lui. Il bassista staccò il jack, si sfilò lo strumento, lo ripose nella custodia e si avviò all'uscita. Matt si apprestò ad accompagnarlo fuori.

«Se vi sono piaciuto, avete il mio numero» disse il ragazzo, avviandosi verso la macchina di sua madre. Matt annuì e gli assicurò che si sarebbero sentiti. Poi tornò giù da Dom, lo trovò ancora abbandonato sullo sgabello ad occhi chiusi. Si sedette sul rullante, prima togliendo le bacchette e riponendole nell'apposito contenitore.

«Allora?» domandò il moro al biondo. Quest'ultimo si raddrizzò, alzò il volto per guardare in faccia Matt e assunse un'espressione inappagata.

«A me quello proprio non è piaciuto. Tu cosa ne pensi?» disse e riacciuffò le bacchette.

«Idem! È bravo, ma non è in sintonia con me e te» si sistemò meglio sul rullante scivoloso e proseguì: «inoltre, questo "Gothic Plague" non mi convince»

Dom cominciò a tamburellare delicatamente sulle cosce inconsistenti di Matt e annuì.

«Vero. Comunque potremmo sentire l'altro mio conoscente, anche se lui al momento si destreggia con la batteria» disse, prendendo gusto a quel nuovo strumento, la pelle di Matt.

«D'accordo e cerchiamo di cambiare questo nome patetico» e, scalciando, cercò di scansare le bacchette fastidiose.

«Meno dark e più rock»

«Sì, del gotico abbiamo poco... oh, ma la smetti?» gridò Matt, cercando di afferrare una bacchetta, ma finendo col beccarsi una steccata sul dito medio. «Ahi!»

«Ma no, senti che sound» e proseguì, ridendosela.

«Vuoi costellare le mie coscette di lividi?»

«Perché no? Assumeresti il colore di quel Lago che ti attrae tanto» Dom pareva in netto vantaggio. Matt gli puntò un piede un mezzo al petto e affondò: il batterista cadde all'indietro. A questo punto, Matthew si alzò e fece due passi verso la porta. Dom non dava segni di ripresa. Era steso, immobile, stecchito. Matt, con le cosce ancora brucianti, appoggiò rumorosamente la mano sulla maniglia come per dire: «Guarda che non mi fai pena» però non se la sentiva di lasciarlo là sotto. Tornò indietro e si chinò; Dom era a pancia in giù.

«Dom?» domandò, inginocchiandoglisi affianco. Nessuna risposta. -Non pensavo di essere tanto forte!

«Dom!» e gli tastò la spalla, come per svegliarlo da un lungo sonno.

Nell'arco di un secondo, Dom, veloce più di un ghepardo a caccia, si girò e invertì le posizioni: fece cadere Matt di schiena e gli saltò sopra. Cominciò a fargli il solletico sotto le ascelle e alla gola, facendolo dimenare manco fosse stato un assatanato contro un esorcista. Il torturato strillava e rideva, quasi soffocava, ma il sorriso sognante che gli possedeva la bocca permetteva al torturatore di non preoccuparsi, anzi, lo incitava a proseguire.

«Ahah, Dom, oddio, fini-finiscila-a!» gridò Matt e si rivoltò come un pesce fuor d'acqua. Il batterista gli diede l'ultimo grattino sotto il mento e poi smontò, sedendosi a gambe incrociate lì affianco. Matt ansimò ancora per un minuto buono, poi tossì e si mise seduto dritto. Era rosso, sudato e stremato: -Quelle mani te le mozzo!

«Santo Kurt, ho temuto un infarto» sussurrò, massaggiandosi l'incavo delle ascelle. Dom schioccò la lingua, emettendo un verso del genere: «Tzè!», e lo guardò con superiorità.

«Sei incredibilmente debole. Io sono un cucciolo, mia sorella più piccola riesce a mettermi al tappeto e ti assicuro che non è un torello, ma tu sei una foglia secca esposta al vento autunnale, Matthew» constatò, scorrendo con lo sguardo quell'ammasso di ossa del suo migliore amico. -Siamo amici da un mese, eppure io ti sento più caro della mia famiglia. Sarà la tua gracilità a suscitarmi tanto affetto?

«Che metafora commuovente. Ma stai zitto, Howard, io sono forte quanto voglio. Mi hai solo preso alla sprovvista.» Compose il volto in modo che avesse un'espressione credibile oltre che adulta. Dom semplicemente lo adorò per un secondo, poi riprese a ragionare.

«Ti fanno ancora male le cosce?»

«Ma va'. Piuttosto, mentre eri posseduto, mi hai tirato una ginocchiata potentissima in un altro posto!» esclamò e si guardò la zona dei genitali. Dom arrossì fino alla punta dei biondi capelli, non se n'era proprio accorto. Sapeva quanto faceva male quel luogo, sua sorella lo prendeva sempre di mira e ormai s'era fatto l'abitudine a correre in bagno dolorante. La miglior cura che aveva trovato era quella di prendere qualche poster di donne nude dai giornali di automobili e massaggiarsi un po'.

«Scusami, non, non volevo...» -Che figuraccia! E se pensa che era intenzionale? Orrore!

«Eh! Poi come farò con...no, niente!» Matt si alzò di scatto e tentò di scappare. Dom si precipitò a fermarlo, lo prese per un braccio e lo costrinse a voltarsi. -Cosa cosa?

«Con? Con chi?» disse affannato, la curiosità lo stava strozzando.

«Perdi la calma? Non è da te» puntualizzò Matt, gustandosi la scena.

«Ma quale calma! Di chi parlavi?» tornò leggermente in sé.

«Fatti miei»

«I tuoi sono anche miei»

«Da quando?»

«Da quando siamo diventati migliori amici» il tono di Dom era traballante. Era in un campo che non gli apparteneva, quello dei sentimenti veri, profondi, e lì si sentiva così spaesato. Matt invece si accorse di essere nel torto e cercò di auto-correggersi.

«Okay, qui hai ragione. Però...io mi vergogno a dirti certe cose...» farfugliò, mentre le guance lisce si tingevano di rosso.

Le perle, quei due prati verde-grigio, di Dom si arenarono fra le onde blu degli occhi di Matt. Il tempo e lo spazio naufragarono via inutili, passò un indescrivibile flusso di sensazioni fra i due corpi così vicini e vergini, splendenti nella loro giovinezza florida. La vergogna. Senza saperlo, Matt aveva appena dato un nome a una delle caratteristiche che segnò per sempre il loro rapporto. Dom sentì fino in fondo la veriditicità di quella parola che eloquente e impietosa gli graffiava il cuore. Si era ammutolito. Se Matt avesse parlato, benissimo, sarebbe stato felice, ma non avrebbe più insistito. Gli mancava la terra sotto i piedi, dovette pizzicarsi una gamba per assicurarsi di essere ancora sveglio e padrone della situazione.

«Ma sì, non è niente di che. Mi piace una ragazza della classe affianco ed è già un mese che rimandiamo l'uscita, così ieri le ho chiesto un appuntamento definitivo... il quale si terrà fra due giorni» sputò infine il rospo e un gran peso gli si alleggerì dalla coscienza. Dom, appena udì queste parole, spalancò gli occhi incredulo.

«E non fare questa faccia, so bene che fra te e quella rossa non c'è amicizia, vi fate gli occhi dolci ogni volta che vi incrociate per la scuola» disse Matt, abbozzando un sorrisetto furbo. Dom si sentì svuotato e ricolmato, un senso di nausea gli proibì di parlare. Indietreggiò, avanzò, tentennò e capì che più guardava nel fondo degli oceani di Matt più cominciava a crearsi una catena attorno ai suoi polsi. -No, no, io non ho bisogno di nessuno, io non appartengo a nessuno...

«Dom? Mi senti?» Matt gli schioccò un battito di mani davanti agli occhi, come si fa con gli ubriachi che non danno segni di vita.

«Sì, comunque auguri con la ragazza. Io e la rossa ci frequentiam...frequentavamo» disse Dom e improvvisamente si ricordò che era un mese esatto che non le chiedeva più di uscire, né a lei, né a qualche altra. Non era da lui; anche se solo per una pomiciata, lui ci provava. -Come mai sono fermo da un mese?

«Be', spero possiate ritrovarvi. Sarebbe bello uscire con le nostre fidanzate.»

Matt gli pose una mano sulla spalla destra. Nonostante la delicatezza di quella piccola farfalla, Dom si sentì un macigno sulla schiena. -Ma che significa tutta questa indecisione? Calma? Apatia? Dove siete finite? Perché mi sento succube di ogni gesto di...Matt?

«Già» bisbigliò febbrile. Matt corrugò la fronte. -Cosa ti prende? Aveva sbagliato a dire qualcosa? Non gli risultava proprio, anzi, gli aveva appena confessato una delle sue prime cotte, altroché. Forse piaceva loro la stessa ragazza? -No, non penso. Qual è il problema? Dom, fra i due, sono io l'inesperto. Non ho mai baciato nessuna!

«Sai, era per questo che l'altra sera ti ho chiesto di tornare con me al Lago» disse il moro, facendosi più vicino. Dom percepì il calore del suo corpo e un'ondata di brividi gli scosse la schiena. -Perché, perché qualcosa mi dice che sei pericoloso? Cioè, Matt, tu non sei pericoloso, tu sei un angelo. Riformulo la domanda: perché qualcosa mi dice che quando tu sei con me, io divento pericoloso? Saranno i tuoi maledetti occhi, o le tue maledetta labbra.

«Non ti seguo» 

«Praticamente: volevo dirti di questo appuntamento e, insomma, chiederti qualche suggerimento. Sei più grande, saprai pur insegnarmi il mestiere» disse tutto convinto Matt, nonostante il pallore di Dom gli destava numerose domande. Ricollegarle alla sua freddezza fu il metodo più semplice per mettere a tacere il cuore, che chiuso nella gabbia toracica batteva come per dire «No, Matt, c'è altro, non puoi ignorarlo».

«E perché proprio nel posto in cui decidemmo la cosa più importante della nostra vita?» -E così lo hai ammesso, il gruppo sarà la tua ragione di vita.

«Perché è un luogo intimo e riservato, giusto per le confidenze di questo tipo»

«D'accordo, ora che però me lo hai detto non ha più senso andarci»

«Sbagliato!» e tirò un pizzicotto sulla punta del naso di Dom, il quale a momenti starnutì. «Ci andremo perché lì mi darai due dritte»

Dom continuava a non capire. Okay, che Matt avesse una cotta per una ragazza era chiaro. -Difficile da accettare, ma chiaro. Invece quello che non capiva erano queste "dritte". Che ci voleva? Doveva solo portarla fuori, -Bello come sei, la conquisterai senza sforzi. Poi un bacio ed è tua, e affascinarla col suo carattere impossibile da non adorare.

«Come vuoi» acconsentì infine, nella speranza di metterlo a tacere.

«Sì, ci andremo domani, oggi ormai è buio»

«Ora, se non ti dispiace, vado a casa» -Troppi pensieri, devo starmene da solo.

«Okay, tanto domani è domenica, possiamo andarci di mattina. Ti accompagno.»

 

 

Quella notte Morfeo non ne volle sapere di loro due. L'agitazione animò i loro corpi. Matt era tutto un rigirarsi fra le coperte, alla disperata ricerca delle giuste parole per dire a Dom che lui non aveva mai baciato nessuna. Gli voleva chiedere una sorta di "lezione", chissà che dall'alto della sua maestria potesse aiutarlo una volta per tutte. -Ma come? Alla fine, tutti dicono che si impara a baciare baciando... e mica possiamo baciarci! Dom invece era una statua di gesso abbandonata dallo scultore che, smemorato, aveva dimenticato di completarlo, lasciandolo a pezzi su un lenzuolo gelido. Riposava immobile, sotto il plenilunio, mentre nel suo cuore bruciava l'inferno. -Tutto...tutto si è scatenato quando hai detto "Mi piace una ragazza". In questo mese non abbiamo mai affrontato l'argomento e tu te ne esci con un colpo basso del genere. Ma non è colpa tua, inutile cercare di far sì che risulti così...che c'è di male? Mi hai solo confessato un segreto, sei meravigliosamente sincero. No, qui sono io il problema. Cosa vuol dire questo dolore che mi hai procurato? Eppure quante volte ho aiutato gli amici con le ragazze... perché proprio tu, tu il mio migliore amico, risulti così difficile da aiutare in un'impresa del genere? Come potrò darti una mano, se al pensiero di te e lei... mi sento...ge...ge...oh, mi sento geloso? Guarda, a momenti balbetto come te... Non è possibile. Non lo permetterò mai. Non sarai mai infelice per colpa mia.

 

La mattina, chiara e lucente, riportò la luce nel paese e nei cuori dei suoi abitanti. Un senso di purezza veniva inserito in ogni goccia di rugiada, in ogni raggio di sole, in ogni sbadiglio trattenuto.

Dom si fece una doccia lunghissima, lavò via incubi e sofferenze. Dopo essersi vestito accuratamente, anche la stanchezza di una notte in bianco apparve irrilevante. Il padre gli preparò una colazione deliziosa, gli dispiaque quasi lavarsi i denti e scordarne il dolce sapore. Adorava quell'uomo, era il suo idolo e gli avrebbe confessato quel suo malessere, se solo non si vergognasse così tanto di sé stesso. Ce l'avrebbe fatta da solo. Era sicuro che appena avesse visto Matt felice con una ragazza, tutto sarebbe tornato nella norma.

 

Arrivare al Lago fu facile. La paura di quel luogo era stata esorcizzata già una volta, ormai si trattava solo di abituarsi a quel colore surreale e a quell'aria velenosa. Matt giunse per primo. Doveva andare ogni cosa secondo il suo piano, ovvero: farsi (in qualche modo) insegnare a baciare, farsi consigliare un posto dove portarla e farsi dare due dritte per il vestiario. Se ripensava a quella fanciulla bionda, dolce, aggraziata, gli veniva voglia di correre come uno scemo. -Questa è la volta buona. Sì, Matt, anche tu sarai un ragazzo normale!

«Buongiorno» disse quella voce, la voce di Dom, conosciuta ormai per tutta la sua estensione, alle sue spalle. Erano esattamente nelle posizioni della prima volta, sulla punta del pontile, Matt con le gambe nel vuoto, Dom seduto affianco.

«'Giorno. Come siamo belli!» Niente da fare, Matt, per quanto ci provasse, alla fine dei conti era sempre sincero. Oggettivamente, Dom era più bello del solito. I capelli, ben pettinati, biondeggiavano attorno a quel volto avorio. Il corpo, vestito con un gusto sopraffino, era slanciato e ammaliante in ogni singolo movimento. Matt si sentì davvero brutto.

«Bè, arriviamo al sodo. Cosa dovrei insegnarti?» Dom, anche se Matt era Matt, non perdeva il suo senso della concretezza. Se doveva affrontare la realtà, lo avrebbe fatto a testa alta.

«Non correre. Ecco, per me non è semplice» si giustificò Matt, percorrendo le acque con gli occhi. Più lo guardava, più gli piaceva il Lago. Prima o poi lo avrebbe toccato. L'amore platonico è frustrante.

«Fai con calma allora.»

Matt ringraziò mentalmente la pazienza di Dom. Osservò le mani dell'amico. Erano strette l'una nell'altra, appoggiate fra le gambe incrociate. Erano venose, forse era teso anche lui.

«Io non ho mai baciato nessuna» scoppiò dopo una lunga attesa. Dom lo guardò allibito. -E con ciò? «E non vorrei risultare inesperto con una che magari potrebbe diventare la mia fidanzata. Capisci?»

Dom capiva. Capiva eccome, tutti avrebbero capito.

«Sì, ma non vedo come poterti aiutare»

«Oh, lo so che sembra stupido. Ma io vorrei che tu mi aiutassi a superare questo blocco. Alla fine sei il mio migliore amico.»

Dom assaporò quelle parole. -Migliore amico. Dillo ancora. Anzi, dì solo migliore senza amico, urla che io sono il migliore, Matt, io sono il migliore?

«Ma come faccio? Servirebbe una cavia per farti imparare...» -E ti prego, non...non dirmi che quella cavia...

«Sto morendo dalla vergogna. E chi prendiamo?» -Chi mi vuole!

«Qualcuna delle mie amiche magari» -Manco morto! Quelle non ti devono toccare. Dom respirò quell'aria pesante. Pareva violacea anche quella.

«Mmh, no, mi sento a disagio. Ci vorrebbe qualcuno che io conosca almeno un po'...»

La pausa non fece altro che aumentare l'imbarazzo. Ormai era lampante per entrambi che qualcuno si sarebbe dovuto "sacrificare" per l'altro. L'amicizia comporta anche sacrificio, dolci, malvagi, sacrifici d'amore.

«Matt, non so cosa dirti. Si fa così: si prende il viso dell'altro -e fece finta di afferrare qualcosa-, lo si avvicina, si poggiano le labbra -e sporse le labbra-, poi dipende dal bacio. O si resta lì, oppure si schiudono le labbra e insomma, il resto non posso fartelo capire...» era in seria difficoltà. Che situazione odiosa!

«Ah, sembra semplice. Ma io voglio, devo, provare!» insistette lui e mai desiderò così tanto di possedere un'amica femmina da sfruttare. -Però alla fine una bocca è una bocca. Guardò le labbra carnose e rosse rosse di Dom. Le bramò. Non nel senso di volerle baciare, ma nel senso di avere quelle al posto delle sue sottili, incolori, labbra immacolate.

«Ho capito! Che devo fare! Baciarti?» gridò Dom, non ne poteva più di quel giochetto. -Se vuoi questo, se vuoi usarmi, Matt, io sarò usato. Matt gelò. Non era quello che intendeva, ma impossibile negare che era l'unica via per scacciare quella paura. In fondo, molte persone hanno avuto esperienze omosessuali in giovane età. Poi questa era totalmente giustificata. -Ma sì, una cosa fredda e indolore, Dominic...

«Non pensare male. Fallo solo se sai pienamente che io lo faccio solo perché ho un blocco e tu puoi scioglierlo. Io sono tuo amico, non voglio altro che amicizia, credimi...» disse Matt, con quella voce di miele che sempre ebbe. Dom considerò mentalmente tutte le possibilità.
«O-Okay. Finirà qui.»
Matt annuì e deglutì. Respirò rumorosamente, cercò un briciolo di calma interiore e concluse che sarebbe andato tutto a posto, d'altronde era lì con Dom, si poteva sentire al riparo. 
Dom si avvicinò, ma Matt cambiò posizione: si ritrovarono entrambi seduti a gambe incrociate, uno di fronte all'altro, con le ginocchia combacianti. Occhi negl'occhi, scorreva il tempo e nessuno osava azzardare la prima mossa. Matt si chiese se anche con la ragazza sarebbe stato così emozionante. Dom ripensava a quante altre volte si era baciato con le ragazze... Ma ora avrebbe affrontato la realtà, mano nella mano con Matt.
Qualcosa diede loro il via: i colli si allungarono, le teste s'avvicinarono, le mani strinsero la stoffa dei jeans. A meno di due centimetri di distanza, i loro cuori battevano tanto fortemente da sovrastare ogni altro suono tutt'attorno. Erano i tamburi, i tamburi dei diavoli e degli angeli dell'amore. Matt si sentì un colpevole, Dom un delinquente. Matt si sentì omosessuale, Dom maniaco.
«No» sussurrò Matt, fermandosi sull'orlo del burrone.
«Non funziona» bisbigliò Dom.
Indietreggiarono. La distanza aumentò, i battiti cardiaci diminuirono. Quella cosa non aveva senso, era troppo proibita, illegale, ingiusta. E loro troppo puri per macchiarsi. Mai, non ne avrebbero mai più parlato.
«Voglio andarmene» disse Matt, cercando la forza di alzarsi, mentre una lacrima faceva a pugni con le ciglia per uscire fuori.

Dom si soffermò sulla bellezza insolente che dipingeva i tratti divini di Matt. -E ogni tuo volere sarà il mio. Idem velle, idem nolle. Lasciarono il Lago, unico custode di quel bacio mai avvenuto, e presero ognuno la rispettiva strada verso casa, senza salutarsi.

 

·Remember me when you're the one who's silver screen·

Nota d'autrice: Buongiorno splendide lettrici :) Devo scusarmi del ritardo, ma per motivi assolutamente del c***o, potrò usare il computer col contagocce. Ora, dire che sono irata è un eufemismo; spero comunque che possiate apprezzare i miei scritti e spero tantissimo di poter apprezzare i vostri. Gente, quanto vi ringrazio di ogni fantastico complimento che ricevo... in particolare: MusicAddicted, Deathnotegintama, LetiziaHale, Holmes, Bjgirl, patri_lawliet, mi fate sempre arrossire. <3 Un bacio a tutte voi.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Terzo capitolo: Special Goings-on. ***


•SPECIAL NEEDS•

You're the best friend that I ever had
I've been with you such a long time,
You're my sunshine and I want you to know
That my feelings are true.

[Queen]

 


 

Terzo Capitolo: You make me live, whenever this world is cruel to me! It's you, you're all I see, honey!

(Tre settimane dopo, 7 dicembre 1993.)

L'orologio sul muro segnava le 16.45, quando Dominic si decise a rispondere agli incessanti richiami della sorella minore. Aveva dormito dalla sera prima fino a quel momento e si stupì di aver trovato infine la forza per alzarsi. Come mise un piede giù dal letto scosse di eccitazione percorsero il suo corpo in lungo e in largo: lo aspettava una grande serata. Barcollò fino alla porta e, aprendola, sbadigliò rumorosamente.

«Dom, Dom! Oggi è il tuo sedicesimo compleanno! Te lo ricordavi? Dom, 16!» strillò la fanciulletta, gettandoglisi al collo. Il ragazzo ricambiò la stretta affettuosa, e sì, se lo ricordava.

Ora, occorre fornire una spiegazione: da quel giorno (quello del "bacio non avvenuto"), il rapporto con Matt non era cambiato, tutt'altro, si era rafforzato, ecco. Innanzi tutto perché entrambi, spinti dalla paura di perdersi a vicenda, si erano comportati come i migliori amici che potessero esistere, cercandosi, assistendosi e rincuorandosi sempre, insomma, vivendo come due gemelli inseparabili; poi, perché con molta forza di volontà, avevano potuto metter da parte la storia del "bacio" e superarla definitivamente. Quindi le cose andavano bene, ma più passava il tempo, più l'uno non riusciva a stare un'ora senza l'altro, erano legati sempre più irrimediabilmente.

Per questo Dom aveva deciso di dormire tutte quelle ore: Matt gli aveva promesso che sarebbe venuto a prenderlo con Chris per una festa indimenticabile dopo le 17. Ah, già, dimenticavo! Bisogna fare presenti due avvenimenti accaduti in quelle tre settimane. Il primo, più alliettante, era l'entrata di Christopher Tony Wolstenholme, terzo membro di quella band che pochi anni dopo avrebbe esordito sotto il nome di Muse; per quanto egli amasse la batteria, scelse stoicamente di intraprendere lo studio del basso e con ottimi risultati. Il secondo era il fidanzamento di Matt con quella sua compagna di classe. Di positivo v'era stato sia il miglioramento dell'autostima del giovane, sia l'aquietamento delle stranezze di Dom il quale, finalmente, vedendo l'amico abbastanza felice, aveva rinunciato a torturarsi con quei pensieri pericolosi. Dal canto suo, il biondo aveva tentato di uscire con qualcuna, ma troppo pateticamente aveva infine fallito: era colpa della testa, che svolazzava sempre altrove.

«Certo che me lo ricordo, è solo che oggi esco con Matt e volevo riposarmi per essere carico» specificò, sciogliendo l'abbraccio.

«Esci con Matt e basta? Che noia!» -Che ingenua! pensò Dom, senza accorgersi di quanto lui stesso fosse ingenuo nel non puntualizzare anche la presenza di Chris.

«C'è anche Chris. Comunque fidati, con Matt non ci si annoia mai.» Esclamò, ridendo al pensiero di quanto fosse bello stare con il suo migliore amico. Tornò indietro per vestirsi, lei annuì e, sorridente, uscì dalla camera.

-Cosa indosso? Passò in rassegna tutto l'armadio, ma, alla fine, scrollando le spalle, optò per un completo semplice e chiaro, d'altronde la sua fissazione per i vestiti cominciò molti anni dopo. Si pettinò, si profumò e afferrò qualche soldo, nel caso fossero usciti a cena. Bill, proprio prima che aprisse la porta di casa, lo afferrò per un braccio e lo tirò a sé.

«Figlio, dove scappi?» domandò con uno sguardo severo.

«A festeggiare col gruppo!» rispose Dom, impaurito dal pensiero che forse suo padre non era d'accordo.

«Ah, con Matt! Bene, divertitevi. E auguroni, luce dei miei occhi.»

Dom, nel sentirsi chiamare così dall'uomo che più amava al mondo, sorrise con le lacrime agli occhi. Non fu in grado di dire altro, se non un «sarà fatto» sussurrato, mentre si voltava per non non farsi vedere commosso. Una volta in giardino, l'aria freschissima del tramonto lo inebriò, risvegliandogli tutti i cinque sensi. La respirò profondamente, poi, colmo di una nuova gioia di vivere, trotterellò fino alla siepe di recinzione della sua villetta. Oltre quella, scorse i suoi migliori amici: Chris era appoggiato ad una macchina, con una sigaretta in bocca e lo sguardo allegro, poi Matt che... era stupendo, con un mezzo sorrisetto e le guance rosse per il freddo.

«Auguri a Dommeh!» gridò, battendo le mani forte e saltellando sul posto, appena il festeggiato uscì dal cancelletto. Chris scoppiò a ridere e imitò il cantante:

«Auguri a Dom!» tuonò con la vociona che aveva già a quindici anni. Matt dopo, mentre Dom ringraziava, lo strinse a sé come un pupazzo e gli sussurrò all'orecchio:

«Auguri al mio Dominic

La reazione di Dom fu immediata: rossore e palpitazioni. Fortunatamente Chris guastò l'atmosfera, chiedendo di avviarsi. -Oh Matt, pensò il biondo, assaporando fino all'ultimo quell'abbraccio atteso e pur sorprendente -forse la felicità è proprio questa: io, te e Chris. Non sapeva minimamente dove lo avrebbero portato, ma questa sorpresa gli sarebbe rimasta impressa nella memoria per il resto della vita: Matt e Chris avevano comprato tre biglietti per il concerto a Londra dei Nirvana che si sarebbe tenuto proprio quella sera gelida. Avrebbero preso il treno e poi sarebbero arrivati giusto in tempo per lo show. Dom tentò inutilmente di scoprirlo, ma alla fine, scoraggiato, decise di seguirli fedelmente, ovunque essi lo avrebbero portato. Per la strada verso la stazione, giocarono a palle di neve: se n'era posato uno splendido manto su tutta la città ed era neve più bianca e soffice di una nuvola. Morbida, si prestava benissimo a diventare piccoli, veloci proiettili di ghiaccio da scagliare; Chris ne tirò una a Matt così forte che quest'ultimo per poco non cadde in un burrone.

«Ehi Dom, un grizzly delle nevi!» gridò il moro per ripicca, indicando Chris. Dom capì dall'espressione facciale di Chris che non c'era da scherzare; il colosso infatti urlò contro Matt:

«Ehi Dom, un frocione di montagna!» giocando sull'assonanza di "procione" e "frocione". Dom scoppiò in risate nell'osservare la reazione di Matt: il ragazzo s'imbronciò e raccolse un kg di neve per lanciarla, ma, maledizione alla sua gracilità, gli ricadde addosso, ancor prima che potesse scagliarla. Fradicio, con i capelli tutti incollati al viso e le guance infuocate, tossì e starnutì per un minuto intero. Inutile dire che gli altri due erano piegati in 4 dal ridere.

«Ma vaff***» strillò offesissimo, prima di voltarsi e andarsene. Chris si stava soffocando ormai, ma Dom appena vide Matt camminare via, gli corse dietro terrorizzato all'idea che potesse fare sul serio.

«Matt, Matt!» gli prese una mano e lo costrinse a girarsi. Matt lo guardò storto, ebbe una scarica di brividi per il freddo e arricciò le labbra, fino a formare un cuoricino rosso. Dom, occhi calamitati da quel bocciolo amaranto, divenne serio e cercò di resistere alla dannata voglia di abbracciarlo, lì, all'improvviso, in mezzo alla strada, davanti a Chris.

«Scusa» bisbigliò, stringendogli la manina congelata nella sua, ricoperta da un guanto di lana. Matt abbassò lo sguardo sulle loro mani unite e avvampò per l'imbarazzo. -È il suo compleanno, non posso fare il permaloso...

«Okay» rispose, accettando le scuse e compiendo un passo in direzione del bassista ancora con gli spasmi per le risate. Dom lasciò la stretta e lo seguì: nulla avrebbe più intralciato il tranquillo proseguimento della loro serata.

 

Salirono al volo su un treno in partenza e si accomodarono in un vagone di seconda classe.

«Caspita! Dovevo chiamare la mia fidanzata prima di andarmene!» esclamò Matt, a metà viaggio, tirandosi una sberla in fronte. Chris stava sgranocchiando un cracker, mentre Dom, che aveva intuito qualcosa dal treno in direzione Londra, fan ovunque dei Nirvana e Chris canticchiante, gli disse:

«Polly wants a cracker!» in ricordo della canzone "Polly" dei Nirvana. A Chris si gelò il sangue nelle vene: Dom aveva fatto centro! Ridacchiò meccanicamente, poi pregò Matt con lo sguardo di dire qualcosa. 

«Ehi! Qualcuno mi ha sentito? Mi sono scordato di chiamarla!» si disperò il chitarrista per la sua premurosa principessa, maledicendo la sua memoria corta. Gli altri due lo guardarono con aria compassionevole. Quanto impegno ci metteva quel ragazzo nelle cose.

«Bells, quando imparerai che le donne vanno trattate da donne?» gli rispose Chris, con aria da casanova. Matt sbatté gli occhi confuso: -Che ne so io delle donne!

«Chris intende dire che va bene così, non è niente di grave» aggiunse Dom, tamburellando calmo con le mani sulle proprie ginocchia ossute.

«E Chris si sbaglia! Lei penserà che io sia stato rapito da un alieno!» si dimenò il ragazzo, mangiandosi le unghie.

Dom, seduto affianco, gli tirò una manata per farlo smettere di essere odioso.

«Matt, prova a rilassarti una volta nella vita» sbottò, stufo ma mai saturo delle psicosi di Bellamy. Il cantante sbuffò e decise che doveva finirla, era il complanno di Dom, perché devastarglielo con inutili menate? Gli sorrise e disse con dolcezza:

«Questa sera ti divertirai, Dommie.»

Il batterista, sbalordito da quell'improvviso cambio d'umore, annuì spaventato e pensò fosse meglio introdurre Chris, la sanità mentale fatta persona, in quella conversazione insensata.

«Chris... ma tu sei fidanzato?» improvvisò il biondo. L'interpellato disse di sì, ma, capendo il reale motivo di quella domanda, stette al gioco.

«Proprio come Matt, solo che io sono innamorato, mentre lui fa finta» insinuò, strizzando l'occhio destro. Il moro s'irrigidì e gli domandò il perché. Chris alzò gli occhi cioccolato al cielo e rispose con fermezza.

«Perché è vero, tu non hai nemmeno un sintomo dell'innamoramento verso quella!»

Dom tese le orecchie e trattenne il respiro.

«Ma se sono in paranoia perché non l'ho chiamata!» si difese Matt debolmente, mentre Chris scuoteva il capo.

«No, no, mio caro! Numero uno: la tua "paranoia" è durata un minuto scarso. Numero due: proprio il fatto di esserti scordato di lei, mi dà ragione. Numero tre: ti ho visto con lei... fratello e sorella hanno più feeling di voi due» continuò il bassista, osservato dagli altri due con muto stupore. Matt spalancò gli occhi che, azzurrissimi, brillarono di rabbia:

«Cosa? Chris, scherzi? Io sono innamoratissimo» urlò infine. Chris si alzò in piedi e, mostrando tutta la sua persona, disse tagliente come mai:

«Innamoratissimo sì, ma non di lei.»

. . .

Silenzio. Dom divenne una statua di gesso, Matt si mise le mani nei capelli ebano e Chris sorrise soddisfatto. -Ho fatto centro. Ancora non arreso del tutto, Matt tentò un'impossibile replica.

«E...d-di...di chi allora?» balbettò, pronto a svenire. -Ti prego, non starai per dire...

«Questo lo sapete tu e il tuo cuore. Non c'è bisogno che lo venga a sbandierare io.»

Il mondo s'ammutolì. Il ragazzo si sentì penetrare fino nell'anima da queste parole, poi le sentì attaccarsi ad essa per graffiarla con unghie d'acciaio. Aveva ragione, una ragione lampante e matematica, indiscutibile. Senza saperlo, gli venne in mente una frase che molti anni dopo inserì in una sua canzone:

-The truth runs deep inside and will never die. Rabbrividì nel constatarlo e abbassò lo sguardo punto di vergogna. Affianco a sé sentiva il corpo di Dom bruciare. Anche lui era totalmente spiazzato da quella verità imprescindibile? Anche lui era a conoscenza di quello scomodo segreto?

«Ragazzi, siamo arrivati» concluse Chris, additando oltre il finestrino graffiato del treno la stazione di Londra.

Come due automi, Dom e Matt s'alzarono e seguirono Chris fuori dal treno, scendendo gli scalini di ferro sporco con le gambe molli. -Grazie, amico nostro, pensò il biondo, senza di te, io e Matt ci perderemmo.

Gli occhi dei due James s'incontrarono, mentre camminavano nella stazione. Uno sguardo di miele li fece sentire meglio, al sicuro, nascosti dal mondo in qualche universo parallelo e protetto.


 

Fortunatamente l'aria cittadina presto li alleggerì. Via vai di macchine, persone, motociclette: caos e smog a volontà. Controllarono l'ora, scoprendo di avere tutto il tempo per una cenetta in giro prima del concerto. I posti erano liberi, dunque non v'era motivo di andare là con ore di anticipo, inoltre non erano così sfegatati da farlo. Cercarono qualcosa di rapido, ma sostanzioso. Finirono in una pizzeria ben stimata. Offrirono a Dom la cena ovviamente e, mentre sorseggiavano tre boccali di pura birra inglese, chiacchierarono di frivolezze. Ci volevano, dopo tutto quel pensare. Evitarono argomenti come ragazze e genitori: musica, birra e sport, ecco cosa può tenere tre ragazzi inchiodati al tavolo. Era per tutti e tre il primo viaggio in città, anzi, nella capitale, quindi tutto appariva bellissimo e lussuoso. I loro occhi pieni di curiosità assorbivano ogni più stupido particolare, senza notare che dalla loro città a quella era cambiata solo la quantità di gente e un lieve accento nella pronuncia di alcune parole.

Arrivò il momento di andare: l'adrenalina saliva vertiginosamente nelle gambe pronte a scattare. Trovarono il locale, affollatissimo tra l'altro, fecero una lunga fila di un'ora e alle 9 esatte si trovarono nel grosso salone in cui sarebbe avvenuto il concerto. Erano relativamente vicini al palco, tra una decina e una quindicina di metri. Si appostarono dove il pogo non sarebbe stato esagerato e si prepararono a urlare, applaudire e saltare. Dom era una pasqua: chi lo avrebbe mai detto che quello sarebbe stato il suo regalo? Lui no di certo!

«Ragazzi, non sapete quanto felice mi avete reso. Vedrò Kurt Cobain, è incredibile!» gridò, sperando di essere udito dai suoi amici. Matt e Chris sorrisero, poi il primo rispose:

«Tu pensa a Dave e a imparare da lui, Kurt è mio!» e risate, risate, risate d'euforia nell'attesa.

Ovviamente erano pressati come sardine in scatola. Di claustrofobici e schizzinosi non ce ne sono ai concerti; storte file indiane si muovevano come serpenti. Tutti sudati, sorvoliamo sugli odori, ma allegri, si schiacciavano a vicenda piedi, mani ed era una normalità finire con una ciocca altrui di capelli in bocca o una spalla nel collo. Comunque si fa questo e altro per i propri doli, infatti Matt, Dom e Chris resistettero eroicamente finché sul palco apparvero tre uomini, leggende del grunge, e cominciarono a deliziarli con la loro musica selvaggia e cattiva. Dopo pochi minuti nessuno più pensava all'igiene: tutti a saltare, strillare e cercare di vedere meglio i Nirvana.

A Matt non sembrava vero. Era a pochi metri da Kurt, Kurt Cobain! Si sbracciava come un pazzo, cantava i suoi testi e sperava che un giorno sarebbe potuto diventare almeno un terzo di quanto era Kurt. Lo trovava bellissimo, unico in quella sua semplicità disarmante, naturalezza infantile, innocenza derubata da un mondo malvagio. Ogni tanto prendeva Dom o Chris per mano e urlava:

«È lui, è lui!» e poi tornava a scuotersi come un assatanato. Gli altri due non erano messi molto diversamente: Chris fumava e pogava, Dom quasi piangeva dalla contentezza. Capitò più volte che si toccassero, o, meglio, che si scontrassero proprio, magari in un salto mal sincronizzato. Il sudore di Matt sul corpo di Dom e viceversa: uno scambio reciproco che non faceva alcun ribrezzo, perché era parte fondamentale del concerto, del rock. Poi si stringevano le mani, cantavano insieme intere strofe guardandosi e sorridendosi; c'era tutta un'atmosfera irripetibile e indescrivibile destinata a rafforzare sempre di più la loro amicizia. Quando Kurt lanciò un plettro nella folla, l'unico desiderio di Dom fu: «Prendilo e regalalo a Matt!», però, gli altri più veloci e violenti se ne impossessarono. Fu un vero peccato, ma non importò, dopo due minuti Matt era di nuovo a fare il matto con le corde vocali in fiamme per lo sforzo e gli acuti.


 

Alle 23.30 si spensero le luci e i tre membri salutarono quel pubblico fantastico, seguiti da un applauso interminabile. Mentre la gente cominciava a scemare via, loro tre indugiarono, profondamente dispiaciuti che fosse già finito quell'incantesimo. Si ripromisero di andare ad un altro, anche se fu una promessa a vuoto: come si sa, i Nirvana si sciolsero nel 1994, dopo il suicidio del cantante, l'inimitabile Kurt Cobain.

L'aria della notte li travolse; passarono da una temperatura di 30 gradi a 2 scarsi. Si chiusero nelle giacche, col sudore gelato per la schiena, e corsero verso la stazione. Un dolore al petto, il dolore del distacco di chi sa che proverà la mancanza di qualcuno, li accompagnò fin dentro al treno. Faceva male separarsi dal proprio gruppo musicale preferito, faceva male pensare che loro non ti avevano neppure visto, mentre tu ti eri preso botte e urli pur di applaudirli. Timbrarono il biglietto e salirono a bordo.

«Passerà» bisbigliò Dom a Matt, salendo sull'ultimo vagone. Il moro annuì e, scacciando l'ultima lacrima, smise di soffrire così poco virilmente.

Erano capitati in un vagone-letto, quelli fatti apposta per i viaggiatori notturni che cercano di dormire. Chris ne cercò invano uno con i sedili normali, ma gli altri erano già occupati da almeno una persona, così, chiudendo le porte, si ritirarono nel loro scompartimento. Aveva due letti, entrambi sollevati da terra per almeno un metro e mezzo buono. Il viaggio sarebbe durato poco, però non era niente male l'idea sdraiarsi per quel tempo. Il problema era un altro: chi dormiva assieme? Si guardarono perplessi, mentre il treno cominiciava a muoversi e a sbuffare.

«Ragazzi, abbiate pietà, ma io sono il più grosso, se dormo con uno di voi due, il malcapitato finisce schiacciato!» disse Chris, con un sorriso di cortesia. Matt e Dom, ai quali già doleva ogni parte del corpo, al pensiero di venire "schiacciati" da Chris, salì il tremore nelle gambe.

«No grazie, ci sacrifichiamo noi due» rispose infine Matt, anche se già Chris si era accucciato e probabilmente stava già dormendo.

Matt e Dom si sorrisero timidamente, poi procedettero: Matt con un balzo fu sulla branda, seguito dall'agile Dom. Occupavano esattamente metà del letto ciascuno, erano perfetti. Rimaneva da decidere solo la posizione e bisognava escludere quella a pancia in su o in giù perché con le spalle larghe avrebbero preso troppo spazio. Optarono quindi per mettersi su un fianco, girati verso Chris, quindi con Matt dietro Dom, in posizione fetale. Dopo pochi attimi, Matt si scordò di essere lì e s'addormentò di colpo, pensando ancora a Kurt e alla sua splendida chitarra. Dom invece, con le ginocchia appuntite del suo migliore amico conficcate nella schiena, proprio non riusciva a trovar pace. Un po' per il malditesta e il freddo di quella stanza, un po' per il fumo tossico che avevano respirato, un po' perché era nel letto con la persona più carina, dolce e simpatica che esistesse, per di più addormentata.

Sentiva il suo respiro regolare, il suo odore di bambino, il suo flebile calore. Tremava, sussultava, scalciava. Forse sognava; Dom si perse nel cercare d'indovinare quali sogni facesse. Immobile, pensò alla ragazza di Matt, che poteva baciarlo, accarezzarlo, toccarlo dove volesse. La invidiò liberamente, tanto nessuno lo avrebbe mai scoperto e riferito a Matt. Poi però, dispiaciuto per quei pensieri malvagi, li scacciò tornando a concentrarsi sul delicatissimo sonno di quella creatura celeste. Ad un certo punto, Matt emise un gemito; accade nel sonno, magari perché siamo scomodi. Quel suono carezzò le orecchie di Dom e gli fece venir voglia di provocarne altri, di farlo gemere di piacere, quanto e come voleva lui. Sentì diventar troppo piccoli i boxer che indossava, qualcosa stava reagendo a quei pensieri libidinosi. Si spaventò e strinse le gambe, nella vana speranza di scacciare quel male oscuro, nonostante la fortissima voglia di masturbarsi. Un respiro più lungo degli altri fece arrivare sul collo di Dom l'alito caldo di Matt. Vertigini e brividi, tremori e fremiti, desideri e paure si rimescolarono nel sangue del biondo.

-Quando finisce questo maledetto viaggio? pensò stremato, saltando giù dal letto. Si incollò al finestrino e non fece altro che guardare fuori, nella notte, tra le stelle e la luna, sperando che un po' di quella quiete potesse venirgli donata. Strinse i pugni e provò molto disgusto. Si schifò della sua mente sporca, o meglio, della sua mente malata; era riuscito a non avere questi pensieri per molto, perché era bastato un gemito sofferto di Matt a farlo ripiombare nel baratro? Trattenne un conato di vomito e pensò che sarebbe stato meglio un giro per i corridoi, e così fu.

 

Arrivarono con un leggero ritardo. Matt fu sinceramente dispiaciuto quando scoprì che Dom non aveva chiuso occhi.

«È stata colpa mia? Dovevo dirtelo che sono sonnambulo!» si scusò, mentre uscivano dalla stazione.

«Ma va', stai tranquillo» mentì Dom, alzando le spalle. -Altroché!

Chris sembrava un fantasma. Anzi, un addormentato che camminava; l'unico leggermente arzillo era Dom, ma c'era da compatirlo. La prima casa sulla strada era quella di Chris, infatti lo lasciarono lì e si salutarono.

«Auguri ancora Dom, ci vediamo per suonare!» disse, entrando nel cancello. Matt e Dom gli sorrisero e annuirono al loro mitico bassista.

La neve si stava ghiacciando e la luna emanava una luce talmente bianca da fare apparire tutto di una strana gradazione di verde-blu, molto spettrale. I lampioni erano sporadici, bisognava accontentarsi della luce naturale e dell'istinto. Il Lago Viola gorgheggiava sinistramente; un velo di brina lo ricopriva elegantemente. Sopra la testa dei giovani, gravitava l'universo silenzioso.

«Eccoci arrivati, Matt» disse Dom, una volta che si trovarono davanti a casa sua. Lui avrebbe dovuto proseguire ancora per una trentina di metri. Matt non voleva assolutamente lasciare però andare da solo il suo migliore amico; poteva rapirlo chiunque, umani e non.

«Dom, ma sei pazzo? Tu non vai a casa da solo!» esclamò tutto preoccupato. Dom rise e poi domandò quale fosse l'alternativa. In ogni caso uno dei due avrebbe dovuto fare la strada da solo.

«Dormi da me!» propose il moro, indicando casa sua. Dom, ripensando a ciò che aveva passato in treno pur di reprimersi e contenersi, scansò subito l'invito.

«No, Matt, grazie, ma sono stanco e voglio andare a casa mia» disse, mal celando una strana tristezza. Il chitarrista apparve spaesato; piuttosto insolito un rifiuto del genere.

«Ho capito, ma ho paura a farti andare via» continuò, non arrendendosi all'idea. Dom trovò la soluzione:

«Senti, io vado, ma come segnale che va tutto bene sparo in aria con quelle tue pistole giocattolo che lanciano quei piccoli razzetti colorati, così mi vedrai. Poi a casa ti chiamo. Okay?»

Matt corse dentro per prendere quelle pistole, tornò con un sacchetto da cui ne estrasse due e le consegnò a Dom.

«Attento, hanno solo sei spari per una. Basteranno?»

«Matt, sono solo trenta metri! A dopo.» E fece per avviarsi, quando l'altro lo fermò.

«Dimenticavo! Il concerto era il nostro regalo per te, ma io volevo darti anche questo...» tirò fuori dal sacchetto una felpa verde, col cappuccio e le tasche, e gliela mise fra le mani «È mia, però ho visto che quando la indosso tu mi fai sempre i complimenti, quindi volevo che l'avessi tu. Ah, l'ho lavata, ovviamente.» Concluse con voce sempre più bassa.

Dom dovette distogliere lo sguardo e prendere un profondo respiro calmante per non scoppiare; il cuore sembrava ubriaco, batteva veloce come quello di un colibrì. Guardò la piccola felpa fra le sue mani, profumata di bucato e di Matt, e la strinse, quasi per capire se fosse un sogno o realtà.

«Okay, ora però ti meriti un abbraccio» sussurrò e si lanciò. Si abbracciarono fortissimo, fino a togliersi il respiro.

«Eh, mi hai voluto come migliore amico? Ora mi tieni per sempre!» commentò Matt, rosso pomodoro. I loro occhi guardavano due paesaggi diversi, ma sotto la stessa luna qualcosa di speciale li univa, li ricollegava in ogni caso. A Dom si velarono gli occhi di lacrime, ma durò poco, la felicità era troppa per sciogliersi in pianto. Si lasciarono solo quando cominciò a fare male il petto.

«Ora vai a casa e chiamami

 

 

Come aveva predetto Dom, tutto andò liscio. Gli spari e la chiamata arrivarono puntuali, così Matt poté andare a dormire tranquillo. Il biondo invece, dopo una lunga doccia scacciapensieri e uno spuntino notturno, andò a letto, pur sapendo che avrebbe fatto di tutto tranne dormire. Prese la felpa di Matt. La riguardò per moltissimo tempo, l'annusò, infine decise di metterla come copri-cuscino.

Pochi minuti dopo era disteso, abbracciato al cuscino infelpato come se fosse una bambina con la sua bambola, a ripercorrere mentalmente quel meraviglioso compleanno. Sorrideva al soffitto, quando si abbandonò al sonno. Avrebbe dovuto fornire una spiegazione a sua madre, al mondo per quel nuovo copri-cuscino? Non gli importava.

Il mondo poteva aspettare.

•Remember me when you're the one you always dreamed•

 

 

Nota d'autrice: buongiorno cari lettori, che ritardo imperdonabile! Scusatemi come al solito, forse però ho in parte risolto i miei problemi :) In ogni caso, che gioia postare il nuovo capitolo, nella speranza di piacervi! Ecco alcune puntualizzazioni:

-Non so se ci fu un concerto a Londra nel '93 dei Nirvana, men che meno il 7 dicembre, diciamo che è mia fantasia.

-Chris non entrò proprio così nella band, però ho voluto semplificare le cose per non renderle noiose.

Ricordo che è tutto frutto della mia mente, non pretendo di insinuare nulla su nessuno! Due parole speciali per:

-Excel88: la mia socia unica, sempre deliziosa nei complimenti e porcidda ahah.

-MusicAddicted: che mi ha fatto il miglior complimento che potessi ricevere, dicendomi che la storia è realistica *_*

-DeathNoteGintama: colei che con la sua recensione dovrebbe vincere un nobel, è stata una delle più belle che io abbia mai letto, è davvero indirizzata a me???

-Patri_lawliet: che si meriterà tutti i capitoli che vuole, ne avrà a volontà :P

-LetiziaHale: la mia omonima, che prima o poi avrà un Dommeh che la bacchetta ahah <3

-Holmes: Rob, moglie mia, sempre special per me.





Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Quarto capitolo: Special Nights. ***


•SPECIAL NEEDS•

La prima volta. Me la ricordo come se fosse stata impressa col fuoco nella mia anima.

Brucia la sua fiamma solitaria nella cenere delle altre memorie consumate.

Solo lei non si spegnerà.

Solo la prima volta nel mio cuore resterà.

[Anonima]

 


 

 

Quarto Capitolo: If I were your girlfriend, I'd caress your back.

(Estate 1996)
Il sole tramontava all'orizzonte; era una piccola lacrima di sangue che calava a picco nell'orizzonte nero e frastagliato, tingendo di porpora il cielo sovrastante.
Le giornate si erano allungate, infatti l'orologio batteva appena le otto di sera. Arrivava l'estate; sì, l'estate anche in quella regione così umida e piovosa. I prati brulicavano d'insetti, i cieli di uccelli e le strade di gente. Ognuno riponeva le proprie aspettative in questa stagione di vacanze promettenti. Pareva che una nuova forza animasse le azioni delle persone, tutte intente a ricercare posti mirati per rilassarsi dal tram tram quotidiano. Le scuole avrebbero chiuso a breve e allora anche i ragazzi sarebbero tornati alla carica, liberi finalmente dall'assillante peso delle responsabilità scolastiche.

Comunque questo non sfiorava minimamente i nostri protagonisti. Essi infatti giacevano comodamente seduti sul terrazzo di Chris, a chiacchierare placidi davanti ad una cenetta preparata dalla madre del bassista.
Sembrava che le cose per loro non andassero proprio perfettamente; il gruppo, ormai definitivo, dei Rocket Baby Dolls, per quanto s'impegnasse, non aveva ancora ricevuto inviti né avuto occasioni per farsi conoscere.
Questo era decisamente frustrante: mettere tanto impegno in un progetto senza futuro provocava giorno dopo giorno una sottile lacerazione, che avrebbe trovato guarigione solo se ci fosse stata una vera esibizione, a costo di farla nel più squallido posto della città. Avevano pezzi loro, eseguivano abilmente moltissime cover, possedevano già il proprio stile: mancava solamente una maledetta esibizione live.

Chris mangiava un piatto di patatine fritte discutendo con Matt circa la disposizione delle canzoni da eseguire in un'ipotetica scaletta; Dom li osservava in silenzio, spostando lo sguardo dai due al paesaggio alle loro spalle, rosseggiante come il sole morente.
 

«Senti Matt, non possiamo mettere "Small minded" prima di "A turn to Stone"! Mi sembra folle» sbottò il bassista, infilzando una patatina quasi volesse infilzare Matt.

«Ma Chris! Ti ho detto che per la mia voce è meglio così, abbi pietà delle mie corde vocali...» disse languido il cantante con quella vocetta da donna ferita che usava per persuadere gli altri quando non c'era alternativa.

«E tu pensa alle mie dita! Fra i due litiganti il terzo decide: Dom, quale delle due prima?» domandò, volgendo gli occhi sul batterista.
Dom ormai sonnecchiava; quando udì il suo nome, sobbalzò.

«Cosa? Ah, sì... per me è indifferente, fate voi» mugugnò infine. A Matt fece ribollire il sangue nelle vene. -Si può essere più inutili, Dom?

«Dom, cazzo, non vedi che abbiamo bisogno di te? Ti svegli?» urlò Matt, alzandosi e andando a schiaffeggiare il biondo.

«Okay, okay, scusa» farfugliò quest'ultimo, cercando di sfuggire alla raffica di sberle sulla testa, «Penso che sia meglio mettere prima "Small minded"».
Chris si portò una mano sulle tempie per massaggiarsele. Aveva perso. Ma se lo aspettava: Dom avrebbe comunque favorito Matt. E non per cattiveria; Chris sapeva il vero perché, e questo gli bastava per non lamentarsi.

«Sì! Vittoria! Lo sapevo che avresti votato per me!» esclamò Matt, trotterellando attorno al batterista che gli accennava un sorriso complice.

«In ogni caso, lo sapete. Senza una convocazione, è inutile fare tanti progetti...» commentò Chris, spingendo lontano il piatto ormai vuoto.
Matt annuì e perse ogni entusiasmo. La serata proseguì noiosamente.


Qualche ora dopo, a notte inoltrata, Matt e Dom erano sdraiati sul letto del biondo. Aveva un letto da una piazza e mezza, quindi ci si stava comodi comodi anche in due, soprattutto viste le ridotte dimensioni fisiche dei fanciulli. Usciti da casa di Chris, con un velo di malinconia sul cuore e uno strano malessere in circolo, non erano riusciti a separarsi; così, Matt aveva deciso di dormire da Dom e lui aveva accettato felicemente.
Il moro era sdraiato sul fianco sinistro, raggomitolato com'era sua abitudine; il biondo invece riposava a pancia in su, con le mani sotto la testa.
Si guardavano, mentre la luce lunare che s'intrufolava dai vetri delle finestre circostanti illuminava delicatamente i loro corpi aggraziati. Matt aveva il volto in ombra e in direzione di Dom; Dom invece era rischiarato totalmente, apparendo simile ad una statua d'avorio, dolcemente a riposo.
Indossavano solo i boxer, d'altronde la temperatura si aggirava sui 25 gradi, dunque risultava insopportabile il pigiama. Un alito di brezza notturna entrava dalla fessura lasciata ad una delle finestre e abbassava appena appena la calura estiva.

Dom teneva gli occhi trapassati dal pallore lunare tra Matt e il soffitto scuro sopra di loro. Guardare l'amico gli trasmetteva un immenso senso di sicurezza e protezione; guardare il soffitto invece era miscelare la voglia di rilassarsi a quella di cercare un'imperfezione nella piatta oscurità. Il suo corpo si muoveva solo per la respirazione che gonfiava e svuotava la cassa toracica. Aveva le gambe distese ma accavallate, e questo conferiva un aspetto piuttosto turgido alle cosce snelle e glabre. Le braccia, ripiegate per mantenere le mani sotto la nuca, erano lunghe autostrade di pelle liscia e bianchissima; ogni muscolo a riposo pareva così funzionale ed atletico in quel complesso di gioventù e bellezza fiorente. I capelli chiari ricadevano lisci sul volto, coprendone una parte. Un'occhiata veloce l'avrebbe preso per una fanciulla, se non ci fosse stata una sporgenza nell'inguine e i pettorali ridotti, di cui solo i capezzoli apparivano gonfi e scuri.
Matt, rannicchiato a due centimetri da Dom, abbracciava fra le braccia le ginocchia appuntite e alternava il capo chino a quello rialzato, tramite il quale godeva di un'ottima visuale sul compagno. In quella posizione fetale, la spina dorsale sporgeva dalla schiena con le sue caratteristiche ossa a sfera e anche il posteriore appariva scarno e spigoloso, sotto la protezione dei boxer azzurri. Sembrava una lumaca nel guscio o uno scoiattolo nel nido; solo così trovava sonno, oppure riusciva ad errare nei pensieri senza la sensazione di sentirsi scoperto o spiato. Insomma, aveva tutto l'aspetto di quel ragazzino sbarbato di qualche anno prima, ma solo Dom era custode di questa consapevolezza. Per avere quasi 18 anni, era davvero uno scricciolo, non tanto per l'altezza o la magrezza, quanto per le posture.
Avevano ormai consumato un'ora a guardarsi e pensare fra sé e sé, quando Dom sospirò qualcosa.

«Sai che sei uguale a 3 anni fa, quando ti ho conosciuto?»
Matt alzò il capo e fissò nel fondo degli occhi grigiastri di Dom: stava per dire la stessa cosa.

«Anche tu. Forse quando sfonderemo, muteremo anche fisicamente...»  rispose, già immaginandosi robusto e imponente.

«Sicuro; però sarà un peccato, io ci trovo belli così» disse dom, percorrendo velocemente il corpo di Matt, per poi tornare a fissare il buio immobile.

«Belli no. Carini!» esclamò il moro, così teneramente da far sorridere il suo amico. Dom si domandò se quell'innocenza sarebbe mai andata sciupata; ne era certo, ma continuava a lottare sperando nel contrario.

«Tre anni fa... ci pensi ancora?» proseguì Matt.

«Certo, sempre. Alcune cose sono cambiate, altre sono spaventosamente le stesse.»

«Già. Ho cambiato fidanzata, ho rifrequentato mamma, ho fatto grandi miglioramenti con la chitarra...e tu sei un mago della batteria.» Si mordicchiò le nocche della mano destra.

«Non esagerare! Poi il concerto per il mio compleanno? Lo ricordi?» un flusso di entusiasmo lo animò vivamente, nel rievocare quel caro passato.

«Ovviamente. È stato unico. Caspita però, la parola concerto mi fa venire in mente che noi siamo ancora a zero. Uff!» borbottò, rabbuiandosi. Dom schioccò la lingua come per dire: che ci vuoi fare? e disse:

«Smettila. Arriverà l'occasione, basta saperla attendere. Poi si sa, più aspetti una cosa, più quando la vivi l'apprezzi.» Sembrava che non parlasse solo del loro concerto. Sembrava un discorso ben più profondo e personale.

«Sarà, ma io mi danno l'anima. Cambiamo argomento.» Matt allungò una gamba per sgranchirla e un formicolio gliela percorse.

«Non bisogna per forza parlare nel cuore della notte, lo sai?» chiese ironicamente Dom, grattandosi una tempia. Ammiccò Matt e sorrise spensierato.

«Ah no? E che si può fare, altrimenti?» insinuava qualcosa di malizioso il moretto?

«Dormire!» se anche fosse stato, Dom seppe smorzare la malizia.

«Sono agitato, non riesco. Dormi tu.» Si decise a cambiare posizione, gli doleva il collo. Optò per la pancia in sotto, sempre con la faccia verso Dom, ma le mani lungo il corpo.

«No, magari mentre dormo mi fai i dispetti. Facciamo qualcosa insieme.»

«Parliamo di cose sporche» e ridacchiò, strusciando il naso sulla federa del cuscino. Dom si risvegliò per bene alla parola "sporche" e si girò sul fianco in direzione di Matt per concentrarsi meglio.

«Okay... dunque vediamo...quante pippe ti fai al giorno?» -Dom! Ma sempre lì vai a parare?

«Ehm! Poche...» Matt si coprì la bocca per grattarsi il labbro, tipico gesto di chi mente.

«Facciamo finta che sia vero. Su chi te le spari?» Dom parlava con una certa frenesia, un interesse grandissimo e irrefrenabile. Matt ne ebbe un poco paura.

«Saranno fattacci miei. E chi sei, un prete a cui devo confessare le mie colpe?»

«Dai Matt, se sono su di me puoi anche ammetterlo!» esclamò, scoppiando in risate isteriche Dom. La battuta era geniale, ma un non so che di vergognoso si librò nell'aria.

«Eh? Ma quello avrebbe l'effetto contrario» -E invece una notte ero talmente disperato e arrabbiato che... oh, Cristo, è stato fottutamente eccitante.

«D'accordo scusa, non pensavo di essere così brutto!»

«Ma non è per quello... va beh, senti, chiedimi altre cose sporche, te ne prego.»

Dom si leccò le labbra. Aveva carta bianca.
«Con la tua ragazza hai fatto tutto?» chiese, mal celando una forte curiosità. La cosa buffa era che non ne avevano quasi mai parlato così liberamente.

«Tutto tutto no. Ma quasi. Tra poco!» rispose Matt ed era sincero. Notò che fra i pettorali compressi di Dom si formava una linea, come nel seno delle donne. Trovò questa cosa piuttosto attraente. Ma non lo disse.

«Sei cresciuto bene, eh! Beh, per quello c'è tempo. Occorre la persona giusta, il momento giusto, il sentimento giusto...» commentò Dom, anche se era nelle stesse condizioni dell'amico. Quelli erano luoghi comuni.

«Ah, se solo tu fossi una ragazza!» se ne uscì il moro, scoppiando in risatine convulse. Il biondo sobbalzò e si domandò da dove provenisse questa nuova diavoleria di Matt. Si soffermò ad osservargli il visettodivertito e poi rispose:

«Cosa? E perché mai?»

«Perché avrei risolto i miei problemi sulla persona giusta ecc ecc. Anzi, i nostri!» La spiegazione aveva qualcosa di ingegnoso ma di deviato. Dom scosse la testa e riprese:

«Uno: cosa ti fa pensare che io da ragazza sarei lo stesso. Due: perché proprio io la ragazza. Tre: ti faccio notare che esistono gli omosessuali.»
Matt davanti a tanta razionalità si sentì disperso e ridicolo; forse aveva sbagliato a dire quella pazzia, ma erano le due di notte, chi riusciva più a mentire? Decise di proseguire convinto.

«Uno: niente, però se t'immagino donna, t'immagino con lo stesso carattere, quindi mi piaci comunque. Due: tu perché saresti una gran bella bionda e non aggiungo altri aggettivi. Tre: scherzavo Dom, che c'entrano i finocchi.»
Dom si vide femmina tutto ad un tratto: orrore! Fu felice del suo corpo maschile, anche piuttosto dotato.

«Tu sei fuori di testa! sussurrò, immaginandosi nei panni della fidanzata di Matt. «Sai, se fossi la tua fidanzata...ora ti accarezzerei la schiena.»
Matt avvampò d'imbarazzo, ma l'oscurità nascose il rossore. Al solo pensiero... non si sentiva né bene né male. Diamine! Stette al gioco.

«E io vorrei che tu mi accarezzassi altrove.»
Dom alzò le sopracciglia, proprio come una fanciulla diffidente.

«Qui?» domandò, portando una mano nei capelli di Matt.

«Più in giù.»

Allora scese al collo. 

«Più in giù.»
Allora scese sulla schiena.

«Giù.»
Allora arrivò al posteriore. Riuscì appena a palparne la solida consistenza che Matt:

«Via le mani, Dom!» gridò all'improvviso, col rischio di svegliare tutta casa Howard.
Entrambi sciolsero l'imbarazzo con una gran risata liberatoria: non avrebbero mai funzionato come coppia etero.

«Se la mia vera fidanzata sapesse che sto nel letto con una persona in mutande che mi ha appena toccato le mie...guai!» disse il cantante, rabbrividendo all'idea.

«Ma sono il tuo migliore amico!» Si giustificò Dom, sentendo nascere un odio per quella gelosona. -Però Dio Santissimo, che culetto sodo...

«E anche questo è vero. Dommie, ce l'hai ancora la felpa verde?» Si riferiva a quella che tre anni prima gli aveva regalato. La sua felpa verde, che Dom aveva abbracciato per una notti intere.

«Certo. Perché?»

«Niente, mi chiedevo se l'avessi conservata.»

«Ovvio! È nell'armadio, così non si sciupa e conserva il tuo profumo.» Dom si morse la lingua. Aveva detto troppe, troppe cavolate. Sperò che Matt ignorasse quell'ultima cosa detta e fu così. Matt sorrise dolcemente e sbadigliò.

«Quasi quasi, dormiamo. No?»

«Mhh, buona idea.»

«A meno che tu voglia sostituire la mia ragazza e..». venne interrotto da una manata di Dom sulla testa.

«No! Grazie tante!» disse il biondo, offendendosi un po'.

«Allora buona notte.»

«Notte.»

Calò un minuto di silenzio, poi la vocetta di Matt squittì:

«Per l'appunto, se vuoi il mio profumo chiedi a mia mamma quale shampoo mi compra.» Dom aprì gli occhi in panico: ancora quella storia!

«Provvederò. Notte.» E si sforzò a girarsi e dare le spalle a Matt, l'unico modo per resistere alla tentazione di spiarlo. Anche Matt girò la testa; strinse il cuscino e inspirò a fondo.
Finalmente il sonno li prese con sé. I loro corpi rotolarono lontani in mondi bidimensionali e ovattati.


«Dom! Dom! Apri la porta! Dom!» gridava una voce femminile fuori dalla stanza. Matt e Dom si svegliarono di soprassalto; erano le 12 passate e dalle finestre penetrava la luce del giorno.

«Che c'è, che vuoi?» rispose il biondo, mettendosi seduto mentre Matt ronfava ancora.

«C'è una competizione fra band scolastiche al Teignmouth Broadmeadow Sports Centre! Dovete andare, Dom! L'ho appena letto sul giornale locale» strillò la sorella, battendo coi pugni sulla porta.

Dom andò ad aprirle.

«Tesoro, apprezzo lo sforzo, ma non devi per forza buttare giù la porta di camera mia» disse il fratello, togliendole di mano il giornale e chiudendola fuori prima che scorgesse Matt.

Il batterista tornò a letto e si mise a leggere seduto a gambe incrociate. Appena capì che quella era l'occasione da tempo attesa...

«Matt! Svegliati!» urlò, prendendo per i fianchi sporgenti l'amico e scuotendolo come un pupazzo. Matt a momenti ebbe un attacco di epilessia: che risveglio shock.

«Dom, quante volte ti ho detto di non scuotermi appena desto?» chiese, allontanandolo. Dom gli lanciò in faccia il giornale.

«Leggi e poi sarai tu a scuoterti.»

Gli occhi azzurrissimi di Matt percorsero le brevi righe e poi si arenarono sul volto dell'amico. Spalancò la bocca e sbraitò:

«Finalmenteee!» saltò in piedi sul letto e si mise a saltare fino a toccare il soffitto.

Dom gli afferrò le gambe, lo fece cadere all'indietro e quindi giù dal letto e gli saltò addosso per abbracciarlo. Matt se lo strinse fra le braccia e ripeté 200 volte:

«Finalmente!» con lo stesso brio della prima. Il biondo lo spappolò in un abbraccio di ferro, sussurrandogli:

«Matt, ce la faremo, ce la faremo!»


Entrò Bill e, vedendo il proprio figlio abbracciato sul pavimento con il suo migliore amico, rimase leggermente di sasso.

«Disturbo?» chiese. Dom si alzò di scatto e a momenti cadde sul letto dallo spavento. Gli gelò il sangue.

«N-no... pa... ecco, è per il concerto!»

«Ah! Beh è proprio per questo che sono venuto. Parteciperete?»

Dom non ce la faceva fisicamente a rispondere. Matt prese la parola.

«Ci puoi contare.»

«Bene, allora vi iscrivo stamane. Scendete, la colazione è pronta.» Concluse, andandosene ancora un po' scosso.

Dom e Matt si guardarono paonazzi: risero per dieci minuti, mentre si rivestivano e si lavavano. Dovevano comunicarlo a Chris. E poi ci avrebbero festeggiato su a suon di birra e donne.



Giunse il giorno dell'esibizione. Si erano iscritti altri 10 gruppi e tutti con una massiccia esperienza alle spalle. I nostri tre giovani andarono in brodo di giuggiole: erano venuti a vederli tutte le famiglie, gli amici e le fidanzate, praticamente il mondo intero. Se però la felicità era molta ed elettrizzante, c'era anche l'ansia da considerare. Questa mal giocava sull'umore di Matt, che passava dall'euforia più folle alla depressione più cupa. Dom si manteneva calmo, come sempre, imperturbabile. Chris sdrammatizzava fumando e bevendo. Ad ognuno il suo sfogo. La loro scaletta comprendeva pezzi loro e cover. Era un vero mix esplosivo con cui volare al primo posto. Lo stile di vestiti era stato scelto insieme, ma aveva molto influito l'opinione di Matt: erano tre darkettoni alle prime armi. Comunque facevano un bel figurino, così si diceva fra le ragazze nel pubblico.


La voce al microfono annunciò il loro nome. Tutto era pronto, serviva solo un po' di menefreghismo e di autostima: il pubblico incitava il loro nome. Convinti di un probabile buco nell'acqua, ma con un fondo di speranza nel cuore, salirono le scale verso il palcoscenico.

Un ultimo sguardo d'intesa fra i tre; un ultima parola sussurrata tra Matt e Dom.

«Si va in scena»

E il cuore batteva tanto veloce da far annebbiare la vista, ma nulla impedì loro di impugnare gli strumenti come soldati che impugnano armi al fronte e suonare quello che approssimativamente poteva essere chiamato rock, anche se c'era molto di più.

 

Nota d'autrice: Buongiorno bella gente, rieccomi! Allora occorre dire molte cose:

-Non so se andò così la scoperta di quella competizione. Sinceramente sto dando libero sfogo alla fantasia.

-Ho perso il conto delle fidanzate che cambiarono. Non m'importa.

-Il dialogo nel letto doveva prendere un'altra piega, lo so. Ma io penso che per ora sia giusto mantenersi sull'innocenza.

Okay, messo in chiaro che ormai è la mia fantasia a parlare... ringrazio i miei splendori: Mars 18, DeathNotegintama, patri_lawliet, Excel88 e MusicAddicted. Sono di fretta e non posso rispondervi ad personam, ma in generale posso dire che le vostre recensioni mi lasciano sempre più soddisfatta di me stessa... VE NE SONO PROFONDAMENTE RICONOSCENTE. Poi anche voi siete scrittrici illustri, quindi non immaginate che onore è per me dire questo.

Grazie anche ai numerosi che mi hanno aggiunta :) Un abbraccio a tutti e tanti dolci firmati BellDom <3

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Quinto capitolo: Special Closeness. ***


•SPECIAL NEEDS•

When you can't get what you want
But you can get me!
So let's set up and see,
'Cause you are my medicine
When you're close to me.

[Gorillaz.]

 


Quinto Capitolo: Are you here with me?

 

(Estate 1996, post competizione).

Fu difficile credere alla voce della giuria, quando annunciò che il primo premio in palio alla competizione era stato aggiudicato proprio ai nostri cari Matt, Dom e Chris. Si alzarono dal posto in cui avevano atteso la fine dello show, accompagnati dallo scroscio degli applausi entusiasmanti del pubblico, e presero tutti i complimenti e le congratulazioni che si erano meritati. Il giudice principale disse che era stato colpito particolarmente da quel voluto ritorno ai grandi classici della musica rock dark; apprezzò anche il carattere timido, ma deciso con cui Matt aveva suonato, seguito in perfetta sintonia dagli altri due, dotati entrambi di talento strabiliante.
La gente nel pubblico era un continuo urlare confuso. Tutti, senza saperlo, si trovavano davanti ad un futuro colosso della musica e questo già si avvertiva nell'aria elettrizzata di quella tiepida serata di inizio estate.

L'after show si distribuì fra la conoscenza degli altri gruppi, con cui i nostri tre si scoprirono in grandiosa armonia, e il rilascio di qualche intervista per giornali locali o al massimo nazionali. Erano stati notati, ma lo seppero solo qualche tempo più tardi.
Mentre si stringevano le mani con un gruppo della loro scuola e progettavano altri live show, uno sciame di fanciullette strillanti li avvolse. Stapparono le bottiglie di birra e brindarono al successo, tanto i genitori e i tutori vari avevano concesso loro carta bianca per una nottata, come giusta ricompensa. Anche le fidanzate di Matt e Chris giunsero ben presto; si attaccarono ai loro musicisti, decise a non lasciarseli scappare per nulla al mondo. La ragazza di Matt gli sussurrò all'orecchio che quella notte poteva disporre di lei a suo piacimento; lui accolse la proposta con visibile interesse, ma le suggerì di rimandare per qualche ora, prima bisognava gloriarsi fino in fondo fra gruppi.

Chris un'oretta dopo, quando ormai la saletta del festeggiamento era bianca di fumo e il pavimento scivoloso di alcolici, agguantò i suoi complici per dire loro che aveva procurato un furgone.

«Ragazzi miei, ho un pullman molto hippie pieno di tutto il necessario!» disse, stringendo per mano la sua bella ragazza.

«Ma grande Chris! Prendo la mia e andiamo!» gli rispose Matt, andando in cerca della fidanzata.
Dom appoggiò il bicchiere di birra che stava finendo e sospirò, assaporando l'amarezza del alcool nella bocca.

«Tu Dom non porti nessuna?» chiese la compagna di Chris.

«Boh...se qualcuna vuole...» bofonchiò il biondo. Si guardò attorno tristemente, ma non cercava nessuna ragazza.

«Scherzi? Fanno a botte per conoscerti! Forza indicamene una e te la chiamo!» esclamò Chris, additando un gruppetto di ragazzine graziose.
Dom le trapassò; dietro di loro c'era Matt che stringeva a sé la sua prescelta. Gli venne la nausea di vivere. Provava dolore anche solo a respirare.

«Quella rossa, chiama lei» ma la sua voce sfociava senza filtri da un cuore mal ridotto. -Che mi prende? Perché questa sera, proprio questa, deve soffocarmi la gelosia? Essere possessivo mi ucciderà, devo guarire. Matt non è mio, è giusto che stia con chi vuole. Siamo solo amici, ora la smetto di comportarmi come un...come un coglione, perché è questo quello che sono.

«Siamo pronti?» domandò allegro il cantante, di ritorno.
Chris, la sua fidanzata, Dom e la rossa fecero segno di seguirli all'uscita. Le sei persone salirono a bordo di un camioncino a fiori; dentro casse per musica, mini-bar, brandine e fumo a volontà.
Subito i 4 fidanzati si lanciarono sui lettini, abbandonati a baci e carezze senza vergogna. Non degnarno neppure di uno sguardo il resto.
Dom e la rossa erano al culmine dell'imbarazzo. Avevano solo scambiato qualche parola. La fanciulla era cotta del biondo, ma lui era gelido. Bevve qualcosa di fresco, poi si accese mestamente una sigaretta. Lei lo imitò e cercò di fumare atteggiandosi in modo più provocante possibile. Solo quando capirono che gli altri quattro si stavano ormai denudando e preparando per passare al sodo, Dom non ne poté più di starsene impalato.

-Chiudi gli occhi. Afferrò la ragazza e la fece distendere su un divanetto. Anche loro si ritrovarono a fare quello che facevano gli altri e, reprimendo ogni pudore, si diedero alla pazza gioia.

Solo per un momento, Matt, sotto il corpo della sua ragazza, lanciò un'occhiata in direzione di Dom. La fortuna volle che i loro sguardi s'incontrassero. A Matt sembrò che dagli occhi di Dom colasse una lacrima.
-Cos'hai, amico mio? e, sempre mentalmente, Dom parve rispondergli: -Guarda, ce la sto facendo!

La mattina non tardò ad arrivare. Il sole invase quel posto piuttosto maleodorante, illuminando i sei corpi nudi e sudati. Le prime a svegliarsi furono le ragazze. Si rivestirono velocemente, lasciando i loro pathers dormire. Dovevano assolutamente andare a casa; i genitori le avrebbero di sicuro rimproverate, meglio non attardarsi ulteriormente. Erano pure amiche. Li lasciarono con qualche bacio, ma i ragazzi dormivano beatamente.
Dom fu il primo a dare segni di vita. Sbadigliò e si guardò attorno. La puzza e il caldo erano davvero disgustosi.
-Che schifo, manco i barboni si riducono così a 18 anni. Sì, aveva fatto sesso con una mezza sconosciuta, ma non aveva perso la sua razionalità e neppure la sua insofferenza.
Ad un tratto diventò pallidissimo. Si accorse di trovarsi non in una situazione sfavorevole, bensì...eccezionale. E questo perché a meno di due metri da lui stesso, ancora sul divano, c'era Matt. Matt nudo.
Dormiva sul fianco sinistro, e quindi le parti intime erano coperte. Ma non fu quello ad imbambolare Dom. Il colpevole della sua momentanea estasi era la vista di un corpo di perfetta grazia.

La giovinezza ne addolciva ogni singolo centimetro di pelle candida. I capelli arruffati sul cranio erano la cornice di un volto che trasmetteva solo pace e quiete. Se l'occhio di Dom scendeva, poteva gustare la morbidezza del petto, la magrezza della schiena, la lunghezza delle articolazioni. Sembrava di trovarsi accanto ad un'opera di Michelangelo. Un'opera di Michelangelo solo un po' più scarna delle altre.
Dettaglio sexy, per l'appunto. -Smetterla, devo smetterla di farmi del male.


«Buongiorno!» tuonò all'improvviso Chris, facendo sobbalzare Dom. Finì la contemplazione e sorrise al bassista.

«Copriti!» gli rispose, lanciandogli una felpa. Lui almeno si era rimesso le mutande.

«Matt è schiattato» commentò Chris, guardando ridente l'amico mummificato.
Dom non trovò divertente la battuta. Il suo Adone era solo addormentato. Nessuna ironia a proposito.

«Sveglialo, andiamo a fare colazione» disse poi Dom, cercando la sua maglietta.

Si recarono in un bar, proprio a due passi dal posto in cui avevano trascorso la notte, e ordinarono caffè e brioche, sperando che i camerieri potessero sorvolare sulle motivazioni delle condizioni in cui si trovavano. Infatti assomigliavano a profughi appena sbarcati in Inghilterra.

«Che stanchezza!» ammise Matt, massaggiandosi il collo dolorante.

«Puoi dirlo forte» approvò Chris, mentre richiamava alla memoria tutte le delizie che si era scambiato con la fidanzata. 

Dom annuì senza aggiungere altro. Sapeva che presto sarebbero partiti all'arrembaggio per sfotterlo sulla rossa.

«Allora, com'è andata?» chiese il bassista, rivolgendosi però in generale.

«Spaziale» rispose Matt, giocherellando con una bustina di zucchero.

«Bello» disse Dom, mentendo alla grande. Gli aveva fatto schifo. Aveva ancora il profumo dolciastro di quella sul suo corpo, non vedeva l'ora di farsi una doccia.

-Chissà se è stata solo una mia impressione o tu ieri hai pianto... pensò Matt, squadrando diffidente l'espressione facciale di Dom.
-Ti prego, non mi guardare così. Lo sai che mi denudi con un'occhiata! Lo rimproverò Dom, felice di vedere finalmente arrivare la colazione, prima gioia della giornata.
La conversazione morì lì.


Quel pomeriggio il sole scaldava davvero tanto. In casa era impossibile resistere. Magari, camminando all'aria aperta, il senso di soffocamento sarebbe passato. Dom uscì e, faccia fra l'arrabbiato e il bastonato, lasciò che i raggi solari gli colpissero le braccia scoperte dalla t-shirt verde chiaro. Voleva che la sbornia e lo schifo se ne andassero del tutto. Già dopo una doccia fredda e un paio di ore di sonno nel letto, la situazione era migliorata. Ora gli serviva solo sana fatica.
Chris invece era già a casa della fidanzata. Stavano scorrendo le foto che lei stessa aveva fatto e sviluppato. Lui ne era follemente innamorato.
Matthew per qualche motivo sconosciuto aveva un'implacabile voglia di suonare il pianoforte. Aveva letto una frase in latino da un vecchio libro, che sentiva adattarsi perfettamente alla sua condizione.
La frase antica diceva: "Post coitum omne animal triste est". Significa, letteralmente: ogni animale è triste dopo il coito. Ma, in pratica, vuol dire che dopo avere avuto un rapporto si è tristi.
E infatti proprio in questa condizione mentale si considerava; una profondissima tristezza gli appesantiva la carne.
La soluzione più logica gli sembrò quella di dedicarsi al pianoforte, l'inseparabile amico e confidente di ogni malessere. Era a casa da solo, quindi poteva concedersi anche le melodie più sonore, curvo e ripiegato per farsi spezzare e poi aggiustare l'anima dalle note.

Dom girovagò senza meta. Una cosa però lo pietrificò. Dopo un'ora di giri dell'oca, alzò lo sguardo e: eccosi davanti a casa di Matthew. Non lo aveva fatto apposta. Poteva giurarlo su suo padre. Lanciò una rapida occhiata al giardino. Mancava la macchina dei nonni, quindi erano usciti, e forse anche Paul e Matt non si trovavano lì. Stava per fare retromarcia e cancellare quell'episodio preoccupante, quando udì una musica delicatissima uscire da una finestra lasciata socchiusa. Era Matthew, nessun dubbio.
Come cambiò colore il mondo, sapendo che Matt era a pochi metri e stava suonando nessuno potrebbe dirlo al posto di Dom.
Corse verso il cancello, lo saltò e arrancò fino alla finestra rivelatrice.
Spiò l'interno della casa. In sala c'era il suo migliore amico e stava suonando con gli occhi chiusi. Le mani scorrevano abili sulla tastiera, i capelli coprivano il volto, e i muscoli delle braccia si sollevavano sotto la pelle.
Dom non voleva essere invadente. Magari Matt gradiva la solitudine in quel momento, perché doveva rovinare l'atmosfera? Però era così difficile e doloroso proibire all'orecchio di godere di quel suono armonioso. Desiderò essere un mobile, o lo stesso pianoforte, così da ascoltarlo in pace.
Il sole gli stava scaldando la schiena. Si sentì grondante sudore; o se ne andava o entrava. Decise di andarsene, Matt era troppo preso per interrompersi a causa di un amico ficcanaso.

Il volto di Matt si alzò di scatto e lo sguardo balzò in direzione di Dom. Nel vederlo appiccicato al vetro come un passerotto curioso, sorrise di un sorriso che amplificò moltissimo la bellezza del viso. Il biondo indietreggiò arrossito. Aveva fatto la figura del guardone. Con un cenno della testa, il pianista invitò il batterista a farsi avanti. Dom non indugiò. Aprì la finestra ed entrò di corsa. Era però tutto bagnato di sudore, quindi si tamponò vergognoso.

«Come...come ti sei accorto di me?» chiese con voce rotta l'intruso.
Matt alzò le spalle e poi rispose, scandendo le parole con eleganza inaudita:

«Oggi è una giornata ventosa. E io riconoscerei il tuo profumo a metri di distanza.»
Dom non poté che sentirsi sprofondare. Era un bene o un male? Era un complimento o una critica? Era un amico fedele o uno spione assillante?

«Posso andare in bagno?» domandò infine, per smorzare l'ansia.

«Con comodo, Dominic» replocò Matt, riprendendo a suonare come se niente fosse avvenuto.
Dom si diresse al bagno, si lavò la faccia, si sistemò alla meglio i capelli, ma desiderava cambiarsi la maglietta umida.

«Matt, posso mettermi una tua maglietta? La mia è bagnata, fuori fa caldino!»

«Certo» gli disse la voce proveniente dalla sala.
Dominic ne pescò una dal cesto del bucato. Si rinfrescò e la indossò. Candido e profumato, tornò nella sala.

«Grazie e scusa...passavo di qui...» farfugliò, gesticolando a casaccio.
Matt rise sottovoce e continuò ad esercitarsi, perfettamente ritto sullo sgabello in semilpelle e imbottito.

Dom prima si accostò alla coda del piano. Per paura di combinare qualche altro guaio però, avanzò verso il pianista affascinante più che mai. Stava eseguendo Chopin, il suo preferito.
«Siediti.»

Dom obbedì alla voce suadente e calmissima. Era raro trovare Matt in queste condizioni di tranquillità estrema. Prese posto affianco al suo migliore amico e cominciò a fissare i tasti, le mani, gli spartiti; tutto era meraviglioso. La sala era anche in penombra, quindi ogni cosa appariva più rotonda del normale, più confusa.
Ah, quanto tempo sarebbe rimasto lì ad ascoltarlo! Ore, giorni, anni. Si sarebbe fatto piccolo piccolo per non creare alcun disturbo e dopo si sarebbe reso invisibile, impalpabile, un tutt'uno col suo migliore amico.
Fantasticò per un lasso di minuti indeterminato; semplicemente errava ed errava con la mente vibrata nell'immaginazione più libera.

Ad un tratto Dom si rese conto che la melodia deviava da quella ben conosciuta del compositore.

«Matt, è un pezzo tuo?» sussurrò, preoccupandosi di non disturbare la musica.

«Te ne sei accorto...» bisbigliò Matt e gli regalò uno sguardo ricco di soddisfazione. Dom annuì felice. Quella composizione di note poteva essere solo di Matt. Le mancavano solo le parole.

«Metterai mai un testo?»

«Ci sto pensando.»

Dom era sempre più contento delle proprie intuizioni. Le loro spalle erano l'una contro l'altra, e i muscoli di Dom erano quasi più tesi di quelli di Matt che si muovevano per suonare.

«Di cosa parlerà?»
Matt si bloccò. Le mani si fermarono e i suoi occhi passarono dai tasti a quelli di Dom. Azzurro nel grigio-verde.

«Shhh» sussurrò il moro, appoggiando una mano sulle labbra chiuse del biondo. «Parlerà dell'amore.»
Dom tremò. Le dita di Matt profumavano ed erano incredibilmente leggere. -Amore verso chi? pensò d'istinto.
-Ma non dirò mai per chi è. Si disse mentalmente Matt, riprendendo a suonare.
Dom accettò quel segreto e tornò a guardare l'amico incantevole. Per un secondo desiderò che la vita fosse per sempre quella: lui, Matt, un pianoforte e un pomeriggio d'estate fuori.
La musica prese il sopravvento. Nessuno pensò più a null'altro che ad essa.



L'orologio sul muro batteva le dieci di sera. Solo ricordare che la notte prima stavano per fare tutte quelle porcherie, pareva surreale. La ragazza di Matt aveva chiamato un paio di volte, ma, non ricevendo risposta, aveva lasciato perdere.
Matt e Dom, dopo che Chris aveva fatto loro visita, mostrando le foto del concerto orgoglioso, si erano ritirati in giardino.
Si dondolavano su un'amaca attaccata a due alberi massicci. Si stava stretti, perché era un'amaca per due bambini al massimo, ma in quel poco posto era indescrivibilmente piacevole dondolarsi e guardare le stelle sopra, nel cielo scuro.
A Matt dolevano le dita. Le aveva sforzate finché avevano perso velocità. Dom carezzava fra le mani una margherita raccolta e ogni tanto dava un colpo per far continuare il movimento all'amaca.

«Grazie per avermi ascoltato tutte quelle ore» ammise Matt, considerando la resistenza di Dom. Chi altro gli aveva mai prestato tanta attenzione gratuitamente?

«Grazie a te per avermi concesso l'anteprima di quella che sarà la musica del nostro primo cd!» rispose il biondo, sinceramente di buon umore.
Il pensiero di un primo album fu un brivido lungo la schiena del cantante.

«Ehi Dom, tu dici che ci chiameranno per un'altra serata?» chiese, affondando lo sguardo fra le stelle.

«Sicuro. Non vedo l'ora. Tu?»

«Stesso! È stato bellissimo...forse...se abbiamo fortuna, possiamo intraprendere la carriera da musicisti e abbandonare i progetti universitari, no?» disse a Dom, fissando lo sguardo su di lui. Essendo a strettissima distanza, il biondo poté sentire il calore del naso di Matt che si scontrava con la sua guancia soffice.

«Li abbandoneremo solo se saremo certi di avere successo. Ora abbiamo solo, tu quasi 18 e io quasi 19 anni, è presto.»
La saggezza e la fermezza di Dom rassicurarono Matt.

«Lo faresti, se te lo chiedessi?» sussurrò il moro, come se fosse chissà quale proposta.

«Mmh...solo se mi dici il testo della canzone a cui stavi pensando prima!» lo ricattò Dom, voltandosi anch'esso per far confessare a Matt. I loro profili quasi combaciavano.

«Ma dài, era solo una delle mie tante "poesie"» sbuffò Matt, sorridendo buffamente.
Dom gli prese il mento in una mano e gli diede una leggera scossa alla testa, come per sgridarlo.

«Ci tengo.»
Matthew ridacchiò e poi tornò a guardare le stelle. -Forse al tuo posto dovrebbe esserci la mia ragazza...eppure io non ti sostituirei con nessuno, Dommie.

«Non so, sarà qualcosa del tipo: I know a guy. He's stupid and he's ugly, but he loves me, so I can't leave him, even if I would!»
Dom capì subito che era uno scherzo, uno scherzo cattivissimo, allora si alzò leggermente e addentò il naso di Matt.

«Che catze hai dett? Io staarei stupide e brutt?» farfugliò a bocca piena. Matt scoppiò a ridere e, quando Dom mollò la presa e tornò sdraiato, gli rispose:

«Scherzavo! Però te la sei presa per stupido e brutto, ma non per he loves me!» -Ora si arrabbia. e si fece un massaggio alla punta del naso azzannata.

«Ma sì, tu e le tue baggianate. E io che ero serio» si arrese alla fine Dom, tanto comunque andava era una partita persa con un avversario scorretto come Matt.

«Vuoi fare il serio?» chiese Matt, togliendogli la margherita dalle mani per levarle i petali. Dom se la fece sottrarre.

«Sì.»

«D'accordo, vediamo, parliamo di cose serie...sotto questo cielo stellato, mi viene da dirti che quando sto con te io mi sento speciale» ammise Matt, accartocciando i petali bianchi fra i polpastrelli.

«Speciale? In che senso?» Dom si girò per guardarlo. Il profilo imperfetto di Matthew non si mosse.

«Speciale...particolare, non comune. Unico. Capisci?» proseguì il moro, inghiottendo saliva in eccesso per l'emozione.

«Quanto hai ragione. Infatti tu per me sei speciale. Sei...come dire: un bisogno speciale.»
Le stelle non brillarono mai meglio. Un paio di comete tracciarono un sentiero presto scomparso nel cielo blu. Matt lo guardò negli occhi. La margherita cadde per terra, ritrovando le sue compagne.

«Dom, mi piace tremendamente questo termine. Bisogno speciale. Ecco la definizione.»
Dom arrossì lievemente, ma era coperto dall'oscurità che li attorniava. L'uno era il bisogno speciale dell'altro. Non c'era altro da aggiungere.

-Perché nella vita, per non cadere vittime della routine e della normalità, esistono questi bisogni speciali. E tu sei e sarai il mio. Si concluse nella mente di Matt.
-La cosa triste Matt, è che questi bisogni speciali sono destinati a rimanere taciuti. La gente li sciuperebbe, li sporcherebbe, come farebbe fango gettato in un lago limpido. Per questo li nasconderemo sempre, vero?


Un alito di vento smosse l'amaca. Faceva fresco, la temperatura si aggirava sui 20 gradi. Dom doveva andare a casa, i suoi erano già in pensiero.

«Matt, mi tocca andare» dice e fa per alzarsi. L'amico lo prense per una mano e scosse la testa.

«No, Dom! Voglio dormire in giardino...ma non voglio sentirmi solo!» -I soliti capricci.

«Devo avvisare casa mia» -La solita vittima. Quell'esitazione era già un sì.

«Ma hai 18 anni, che importa loro?»
Le capacità persuasive di Matt erano incredibili. Dom si distese un'altra volta e si accucciò per bene al suo fianco.

«D'accordo hai vinto. Lo immagineranno che sono da te.»

«Ehi Dom, una stella cometa!»

«Dove?» Troppo tardi, era svanita. Solo Matt l'aveva vista. Solo a lui spettava esprimere un desiderio.

«Esprimo un desiderio!»
Dom impostò il broncio. Anche lui voleva il suo desiderio.

«Fai pure» commentò invidioso.
Matt chiuse gli occhi e sussurrò qualcosa di incomprensibile. -Fatto!

«Non me lo dirai, vero?»

«No, altrimenti non si avvera»

«Lo sapevo. Dormiamo?»

«No, che noia! Facciamo...che facciamo?»

«Facciamo sesso, Matt?» domandò improvvisamente e incredibilmente serio Dom.
Matt si girò per guardarlo e appena incontrò i suoi occhi si sciolse in risate isteriche e robotiche. Dom lo seguì, perché il moro aveva la faccia di una suona sconcertata.

«Ahah, ma come ti escono certe cose osé!»

«Eh, vedi tu, io vorrei dormire, tu vuoi sempre stare nel letto con me ma non dormire, cosa ti posso proporre, cosa devo pensare?»

«Tecnicamente non è un letto» lo corresse Matt per sviare la conversazione.

«Sull'amaca insomma, cosa posso proporre? Lettura delle favole della buona notte di nonno castoro?»

«Dom castoro! Sì, buona idea!» Matt scoppiò a ridere all'immagine pervenutagli e tira una testata affettuosa a Dom.

«A 18 anni noi ci raccontiamo storie a letto?» domandò incredulo il biondo. -Dimmi di no.

«A meno che tu non fossi serio con la storia del sesso...» -Dimmi di no.

«Neanche un po'!» rise Dom, che manco sapeva da dove cominciare. Matt s'incupì. Bisognava accantonare quella emerita scemenza e inventarsi qualcosa di bello. Riattaccò stridulo:

«E se andassimo a fare il bagno?»
Dom trasalì.

«Il bagno? Ma dove?» -Non sarà mica nella vasca da bagno, eh?

«I vicini hanno giusto ieri riempito la piscina. Ti andrebbe di sguazzarci abusivamente?»
A Dom pareva, molto schiettamente, una follia. Col rischio di svegliare tutti e beccarsi una multa per invasione di proprietà privata? Talvolta pensava che Matt non fosse del tutto normale.

«No, ci beccano.»

«No, fidati. Stiamo in boxer, lascia qui i vestiti» proseguì Matt, saltando giù dall'amaca col rischio di far ribaltare Dom.

«Fa un freddo fottuto! Io mi congelo!» gemette il batterista, rabbrividendo solo all'idea dell'acqua.

«Smettila e seguimi, vedrai che ti divertirai!»

«Ma è necessario?»
Inutile opporsi, Matt era già davanti al cancello da scavalcare.

Era una ragazzata, però in cuor suo Dom si sentiva un vero criminale. Sono cose da dodicenni, non da quasi adulti!
Oltrepassarono la recinzione, piombarono nel giardino dei vicini e si assicurarono che questi dormissero. Le luci erano tutte spente, andavano a letto presto.

«Via libera! Io mi tuffo!» sussurrò Matt, ma Dom lo agguantò per una spalla.

«Se ti tuffi, fai un fracasso immenso. Calati piano almeno» suggerì quatto quatto.

Si domandò perché Matt fosse in grado di risvegliare contemporaneamente la sua parte migliore e quella peggiore.
Si immersero lentamente, sentendo le fitte di quel liquido limpido ma gelido contro la pelle tremante. Sembravano tanti spilli fra i nervi vibranti. L'acqua gli arrivava ai pettorali nel punto più alto, ma tutti e due saltellavano per non morire assiderati.

«Ah, Matt, mi sento surgelare!» supplicò Dom, sfregandosi le braccia per procurarsi un po' di calore.

«Io invece tra poco avrò un ghiacciolo fra le gambe e non da chi farmelo scongelare, Ahah!» sghignazzò il moro, riferendosi con ovvia evidenza ai suoi genitali.

«No guardare me!» disse prontamente il batterista, scorgendo una punta di pura follia nel luccichio delle perle chiare negli occhi di Matt.

«Ma va', cosa c'entri tu! Comunque ora non ti senti bello fresco? Io mi sto anche ambientando, ah, c'è quasi del tepore...»

«Matt, ho i capezzoli che mi stanno per esplodere» piagnuolò Dom, provando un dolore immenso.

«I cosa?» e seguirono risate sguaiate, col rischio crescente di svegliare i proprietari di quella ghiacciaia.

«Finiscila di dare di matto! Se sto un altro minuto qua ci lascio la pelle! Esco, tu fatti del male da solo» sbottò sfinito Dom e, scosso dai brividi come un posseduto, uscì dalla vasca, lasciandosi dietro qualche onda che carezzò Matt.


Il biondo tornò all'amaca. Si infilò i vestiti, poi, insoddisfatto, prelevò dallo stendibiancheria all'aperto un lenzuolo steso. Si infilò dentro e, fra il tessuto spesso dell'amaca e quello ben morbido del lenzuolo, ritrovò calore e passarono i brividi. I capelli fortunatamente erano asciutti.
Passati cinque minuti, vide arrivare Matt: sembrava un denutrito appena fuggito dall'Antartide.

«Che bella idea, eh?» lo beffeggiò, mentre il calduccio formatosi fra il lenzuolo e l'amaca era sempre più gradevole.
Matt si rivestì alla svelta, saltellando sul posto e balbettando qualche insulto a se stesso.

«Fammi entrare» disse, salendo sopra l'amaca.
Dom agì per pura compassione.

«Ahh...» commentò il moro, coprendosi fino agli occhi e ringraziando l'esistenza del lenzuolo scaldato al giusto punto dal corpo di Dom. «Sei una stufa!» ammise, sempre più piccolo per recuperare calore.
Il biondo sospirò come chi la sa lunga e si trova al fianco di un imbecille irrecuperabile a cui dover insegnare proprio le cose basilari della vita.

«Ora passa tutto.» Non riusciva anche imponendoselo a tenere il muso a Matt, nonostante gli avesse appena fatto provare l'ebrezza di un bagno gelido con la temperatura media di 20 gradi nell'aria.

«Ho sonno» biascicò il cantante, raggomitolandosi come suo solito.
A Dom sembrava di avere affianco un gattino abbandonato al gelo della notte.

«Ti canto la ninna-nanna?» sussurrò il biondo, mentre un braccio gli scivolava attorno alle spalle minuscole di Matt.

«Sì. Cantami "Lullaby" dei Cure» rispose il gattino infreddolito e starnutì subito dopo. Sapeva che era una richiesta assurda, Dom non sapeva cantare, e tanto meno i Cure.

«...And there is nothing I can do, when I realise with fright that the spiderman is having me for dinner tonight! And don't struggle like that or I will only love you more! (traduzione: e non c'è niente che io possa fare, quando capisco con orrore che l'uomo-ragno mi avrà per cena questa notte! E non combattere così o io ti amerò di più!)»

E a Dom non dispiaceva affatto l'idea di essere uno spiderman. Non sapeva che un giorno si sarebbe travestito da tale.
Matt sorrise. Certo, non era una ninna-nanna, ma almeno era una bella citazione. Lasciò che il braccio di Dom lo avvolgesse e lui stesso si strinse al petto dell'amico.
Insieme potevano ritrovare un po' di calore e sicurezza nel cuore della notte.

Era stato esaudito il desiderio di Matt, anche se non se n'era accorto: avere un amico con sé quando i mostri della mente bussano alle porte dell'anima e lo portano a compiere follie... infatti, stretto a e da quel corpo così rassicurante e incrollabile, Matt poté addormentarsi tranquillo sognando un passato, un presente e un futuro con Dom, o a suonare sui palchi di tutto il mondo o a laurearsi dietro banchi universitari, ma sempre con Dom e quel suo non so che di indispensabile, di vitale, di... di...speciale.

 

• Remember me whenever noses start to bleed.

Remember me, special needs. •

 

Nota d'autrice: Buon pomeriggius! Rieccomi qua :D Non sapete che mi è successo...una sera, scoraggiata, mi è vaccillata la fede BellDom! Mi sentivo morire...ma poi ho guardato la foto che ho messo in alto, ascoltato Resistance e mi sono detta: "È tutto vero, basta essere pazienti"... e finalmente ho ritrovato spirito per scrivere. Comunque non so come sia venuto questo xD Avevo voglia di zucchero... e così eccovene un po' anche per voi.

Ma attenzione! Dal prossimo capitolo le cose si complicheranno parecchio! In positivo e in negativo! È terribile, lo so, ma l'idillio non può durare per sempre...saranno cresciuti, con nuove esigenze e ormai dentro i Muse! Perciò sappiate che questo era l'ultimo capitolo dolce dolce, occorre tornare alla realtà!

Infine le solite cose: cerco di essere precisa, se facessi errori vi prego di dirmelo! Ringraziamenti. Le fedelissime e deliziose:

-MusicAddicted (Grazieee, anche io li amo! Spero che il seguito non ti abbia delusa!)

>-Patri_Lawliet ( Come triste? Ti ho rallegrato almeno un po' con questo? Caspita, mi citi addirittura Ungaretti! Patri, grazie infinite...tranquilla, finirà tra tantissimo! Se finirà! xD)

-DeathNotegintama (La smetti di dire gioiellino? Mi fai emozionare!  Poi muser ad hoc! Ci provo dai! Ma imparo sempre anche da te cara ;))

-Holmes, LetiziaHale, Valerika, Mars18, Excel88 = i miei 5 tesori posso ringraziarli altrove, HO SCRITTO PIÙ QUI CHE NEL CAPITOLO! OPS! =) Cheers ♥

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Sesto Capitolo: Special Tears. ***


•SPECIAL NEEDS•


                                                                                          Il silenzio è il dio dei fortunati...e i vincoli più teneri e fidati sono quelli stretti in segreto. [Schiller]
                                                       Di fronte all'amore, la logica umana è impotente: (...) è uno dei punti ove il segreto e il sacro s'incontrano. [Yourcenar]


 

 


 

 

                                                                                                                                                                                                                                  Sesto Capitolo: Why can't you just love him? Why be such a monster?

 

(1998-1999.)


«E quello cosa sarebbe?
» chiese il ventunenne Dominic, apparendo all'improvviso da un muro di nebbia con una sigaretta stretta fra le labbra ben disegnate.

Matthew, seduto sullo schienale una panchina, curvo su un foglio scarabocchiato e appoggiato sopra le ginocchia, si stava grattando il capo con una penna infilzata nella cascata di capelli neri. Nell'udire la voce del batterista, sobbalzò colto di sorpresa. La sagoma nera dell'amico inizialmente lo spaventò. Ma, riconoscendolo, gli lanciò uno sguardo qualsiasi, per poi tornare ad osservare la sua creatura. Dom gli sostò proprio di fronte. Prelevò dalla tasca un accendino, fece una capanna con le mani e dentro accese la punta della sigaretta. Ispirò e una prima nuvola di fumo denso esplose nell'aria gelida di fine Dicembre.
Il biondo gettò un'occhiata curiosa su quel pezzetto bianco. Matt se ne accorse e lo nascose fra le dita bianche per il freddo.

«Un testo» rispose laconico, desiderando con tutto se stesso un po' di solitudine per trovare le parole giuste.

Dom fece un sorriso storto. Sapeva cosa volesse dire quella risposta sbrigativa. Tirò un paio di volte, boccheggiando il fumo con abilità, poi calpestò un sasso impotente ai piedi della panchina, lasciando che lo scricchiolio riempisse quel silenzio.
 

«E gradiresti che non ci fosse nessuno nell'arco di un km ad importunare il tuo isolamento costruttivo. Vero?» domandò, compiendo il classico gesto di movimento su e giù al filtro della sigaretta per scrollarle la cenere di dosso.

 «Già» sbuffò Matt, che ormai sentiva di aver perso l'ispirazione. «Poi il tuo fumo è odioso: sai che mi piace, ma non posso per la voce.»

Dom, impassibile davanti alla frase antipatica, si portò ancora la sigaretta alla bocca e ne godette un tiro profondo e decisivo per segnarne la metà. Era piuttosto sensuale quel gesto ripetitivo ed ipnotico di avvicinarsi allontanarsi dalla bocca il tubicino ardente; soprattutto se compiuto con la lentezza e la calma di Dom, il quale la stringeva fra pollice e indice, come un vero uomo, e la consumava senza masticarne o rovinarne mai il filtro arancione. Matt alzò il volto eloquente per guardare dritto il biondo. Le loro pelli color latte sembravano risplendere a confronto delle scure giacche indossate per ripararsi dall'inverno spietato. I capelli lasciati lunghi sul viso del moro gli tagliavano in tre parti la faccia, dividendosi in tre ciuffi lisci ed ebano. L'azzurro degli occhi zampillava dentro le pupille, per esprimere tutto il disappunto e il disagio possibile.

«Alla tua voce nuoce più la mancanza di una sciarpa al collo che il fumo» concluse Dom, infilandosi la sigaretta fra i denti per liberarsi le mani. Con queste infatti si sfilò la sciarpa dal collo e la attorcigliò velocemente a quello di Matt. Il compositore non si mosse. Il profumo maschile e inconfondibile che gli invase le narici lo bloccò totalmente. Dom sorrise tristemente, prima di girarsi e immergersi un'altra volta nella coltre impenetrabile di nebbia alle sue spalle.

Matt affondò il naso nella sciarpa e stritolò il pezzo di carta che tanto aveva protetto da occhi estranei. Lo lasciò precipitare per terra, sopra un mucchietto di neve. Alla fine, addentando una piega di quella stoffa profumata di Dom, si alzò e iniziò a camminare dove le gambe gli consigliavano di andare.
Sul foglio abbandonato si leggeva a malapena:
-Controlling my feelings for too long, controlling my feeligs for too long...-
"For too long!" ripeté, inabissandosi in pensieri troppo intimi per essere svelati.


Chris stappò due birre e le pose sul tavolo di legno massiccio al centro della sala di casa sua. La sua ragazza stava guardando passivamente lo scoppiettare del caminetto; l'atmosfera natalizia si respirava ancora nell'aria, nonostante fosse passata da qualche giorno. Dom si tolse il giubbotto, lo appese e si sfregò le mani per scaldarle un poco. Si accomodò e osservò il bassista mentre faceva scorrere il liquido magico e giallastro dentro due grandi boccali.

«Sai, mentre venivo qui, ho incontrato Matt» esordì con aria disinteressata, casuale.

«E perché non gli hai chiesto di seguirti?»
 

«Indovina?»
 

Chris scosse la testa. Aveva già capito dal tono falsissimo di Dom che Matt era caduto in uno dei suoi momenti di mutismo.

«Fa l'emarginato?» domandò, già sapendo la risposta.

«Proprio così. Stava scrivendo, io gli ho chiesto che cosa fosse e lui niente...» abbassò lo sguardo rassegnato.

«È un insieme di cose, Dom, fidati. I casini familiari che ritornano, la pressione dei concerti, il fatto che fra pochissimo uscirà il nostro primo album. Tu non c'entri.» Gli avvicinò un boccale e si sedette anch'egli.
Dom annusò la birra. Alta qualità inglese.

«Può darsi. Eppure solo con noi fa lo stronzo! Con Tanya è sempre occhi dolci e paroline tenere!»
Chris scoppiò in una risata amara, più amara della birra.

«Matt è un grande attore. E questa Tanya, sua sorella mancata, di certo non contribuisce a rendere le cose migliori. È stressato, lo vuoi capire?»
Dom bevve un lungo sorso di birra e tossì perché gli andò di traverso. Lo voleva capire. Disperatamente lo voleva capire. Solo che non ci riusciva.

«Se penso che solo due anni fa aveva ancora in sé quel...quell'innocenza, quella semplicità, quella solarità...io non mi raccapezzo» e una nostalgia grigiastra galleggiò sulla superficie delle sue iridi.

Chris si pose una mano sulla spalla. Strinse la presa finché Dom avvertì male. Si guardarono intensamente. Era una predica, un rimprovero. Era un: svegliati! detto con le mani.

«Matt sta crescendo, come tutti noi. È ineluttabile. E ti ripeto che l'album imminente e la famiglia sfasciata sono le cause del suo malumore. Tu sei la cosa più cara che ha.»

 Dom sentì pizzicare gli occhi e non per colpa dell'alcool. Se ciò era vero, allora poteva dirsi la persona più felice dell'universo. Ingoiò un altro sorso e lasciò che le mani graffianti di quella traditrice frizzante ferissero le pareti del suo stomaco in tumulto.

«Amore, ho ragione a dire che solo quando Matt è con Dom diventa felice?» chiese Chris, rivolgendosi alla ragazza sul divano. Lei si girò, sorrise al batterista e disse:

«Puoi scommetterci, Dom. Io che giudico dall'esterno posso dire che con te riacquista un pizzico di simpatia e vivacità. A volte fa lo scemo solo per farti ridere. Ora credi a Chris?»

 Dom mandò giù il resto della birra d'un fiato. Solo quando il fuoco gli esplose nello stomaco e un giramento lo fece ondeggiare, annuì con un sorriso sincero ed ebete.

«Avete ragione. Grazie di cuore»sussurrò infine, accasciandosi sul tavolo. Chris gli consigliò di stendersi un po'.

Dom andò sulla poltrona affianco al divano e lì si rannicchiò, mentre seguiva distrattamente lo scoppiettare cacofonico del focolare.

Matt impugnò la matita, guardando la neve posatasi sul davanzale della sua finestra. Com'era bella e pura, immacolata. Ecco, stava tornando la musa, strana figura non meglio identificata che lo spingeva a scrivere, a scrivere, a scrivere.
-Leave me alone, it's nothing serious. I'll do it myself, it's got nothing to do with you and there's nothing that you can could do...-

Finalmente aveva trovato l'inizio per una canzone già scritta. Se ne felicitò, mise da parte questo foglio e ne prese un altro pulito.
-She has had something to confess to, but you don't have the time, so look the other way...-

Tirò un calcio ad una gamba della scrivania e si stiracchiò nervoso. Niente, si era arenato. Stufo di sprecare il suo tempo, decise di leggere qualcosa. Afferrò uno dei tanti libri di fantasia e si buttò sul letto per leggerlo, senza più pensare a niente. Le parole abilmente accostate dallo scrittore cominciavano a prender vita sotto forma di immagini e suoni, quando il telefono fisso che aveva in camera squillò. Con un salto si mise in piedi e lo raggiunse.

«Matt, siediti e ascoltami» esclamò la voce di Chris dall'altro capo della cornetta.

«Dimmi» disse, senza sedersi.
 

«Dopo domani suoniamo e a vederci ci sarà John Leckie, un produttore della Sawmills Studio che potrebbe aiutarci con l'album!»

Nessuna risposta. Matt era caduto a gambe per aria e la cornetta pendeva abbandonata al filo.
 

«Matt? Matt!» chiese preoccupato Chris.

«Ci sono!» e riprese l'apparecchio. «Notizia grandiosa! Due giorni hai detto? 'Sta sera proviamo e vi faccio sentire gli ultimi due pezzi che ho in testa!» gridò felicissimo.

«Andata! Tanto io sono già con Dom.»
Matt s'incupì.

«Ah, sei con lui? Sta bene?» domandò con voce impacciata.

«Sì, sta dormendo. Adesso lo avviso del programma...comunque, una cosa»

«Tutto quello che vuoi, ora sono troppo euforico!»

«No, sentimi bene: non scaricare la tua rabbia e il tuo stress su Dom, trattandolo come l'ultimo degli arrivati. Lui è il tuo migliore amico, lui non vive giorno senza pensare a te. Hai afferrato?»
Matt deglutì per prendere tempo. Si vergognava profondamente delle sue stizze ingiustificate contro l'unico che davvero gli voleva bene.

«Ho afferrato. Ci...ci vediamo più tardi?»

«Okay.»

Nell'attesa, sistemò la sala prove e gli strumenti. Portò con sé i testi scritti, ne raccolse tutti i frammenti e si preparò psicologicamente a cantarli chiari e forte nel microfono. La notizia comunque di Leckie era da festeggiare; segnava l'inizio del successo. Matt portò qualche birra, stecche di sigarette e sigari. Dopo si lavò, si vestì meglio e ebbe anche l'accortezza di pettinarsi. Incrociò di sfuggita Paul, ma non si scambiarono una parola.
Tanya lo chiamò per sapere se potevano uscire a cena.

«Ho le prove! Dopo domani grande concerto...scusami.» E anche lei fu al giusto posto. Certo, si lamentò del fatto che lui preferisse sempre i suoi Muse a lei, ma lui già aveva riattaccato.

Suonarono al campanello. I suoi amici! Schizzò ad aprire loro: Chris reggeva la custodia del basso, Dom un paio di bacchette. Matt non perse tempo. Li condusse nella già conosciuta saletta sotterranea e accesero gli aplificatori.
Provarono i pezzi usuali e finalmente arrivò il momento per Matt di esporre i suoi testi segreti. Una punta di isteria lo punzecchiò quando trovò gli altri due impazienti e in attesa. Però si sbagliava: né Dom né Chris volevano udire chissà quale poema greco. Infatti appena si accordarono sulla musica e sul conseguente ritmo, le parole pronunciate al microfono abbassato di proposito quasi scivolarono in secondo piano.
Alla fine Matt chiuse gli occhi e lasciò che la musica facesse il resto. Il risultato? Si poteva leggere negli occhi degli altri due componenti soddisfazione e ammirazione. Erano sicuri che Leckie li avrebbe notati.

Solo dopo quattro ore ininterrotte di prove, si concessero una pausa generosa. Aprirono le birre, accesero le sigarette e, in giardino, si rilassarono a regola d'arte.

«Grande musica, ragazzi» commentò Chris, all'ottava birra e lucidissimo.

«Complimenti, Matt» lo seguì Dom, prelevando la quarta sigaretta.

«Siamo in tre, quindi direi di brindare a noi tre!»  strillò Matt, già brillo, alzando la quinta lattina.

Brindarono, chiacchierarono fitto fitto, sognarono come tre fanciulli. Questo fino alle 4 di notte, quando si accorsero che era meglio andare a riposare e darsi appuntamento per la sera dopo.
Chris era già al cancello, quando Matt fermò Dom per un braccio sull'uscio della porta.

«Che c'è?» chiese il biondo, molto assonnato e affaticato.

«Prenderai freddo» rispose semplicemente Matt, legandogli attorno al collo la sciarpa che quella mattina gli aveva dato.
Dom sorrise e apprezzò moltissimo il gesto affettuoso e sincero.

«Dormi bene» disse infine con uno sguardo puro e leale, incamminandosi nella notte.
Matt, completamente risollevato da quello stato di depressione precedente, carico di una forza nuova, chiuse la porta e andò a trovare un posto particolare dove dormire.
Non voleva il letto, neppure il divano. In giardino si gelava, quindi...tolse lo sgabello, stese una coperta dietro la batteria e ci lanciò un cuscino. Là sotto avrebbe di sicuro dormito in pace e al caldo. Inoltre gli sembrava ancora di udire il suono della batteria, dolce sussurro nelle orecchie piacevole quanto quel profumo di cui erano impregnate le pelli dei tamburi...



La sera dello show, grande agitazione scorreva fra il pubblico piuttosto modesto davanti a quel palco. I Muse erano dietro le quinte, impegnati a ripassare la scaletta e ad organizzarsi con gli altri gruppi. Leckie era pieno di aspettative e speranze: ora era tutto in mano a quei tre ventenni. Le condizioni atmosferiche non furono favorevoli; fuori incalzava una tempesta di neve e molta gente era rimasta a casa. Fra questa, la fidanzata di Matt, visto che non disponeva di un mezzo proprio per muoversi e i genitori non l'avevano voluta accompagnare. Il ragazzo la prese bene. Pensò che almeno c'era una persona in meno a metterlo in agitazione.
Quando fu il loro turno, trovarono un applauso molto incoraggiante ad accoglierli, presto seguito da un silenzio rispettoso. Eseguirono perfettamente ogni canzone già provata e quando giusero ai pezzi nuovi (per il pubblico, non per loro), rilevarono una piacevole meraviglia nelle grida entusiaste delle persone. Leckie in cuor suo si era già deciso: quel gruppo avrebbe sfondato e in locali ben più grandi che quelli del Devon.
Matt, per stupire ulteriormente, si concesse una follia: scaravantò la chitarra, con la quale sosteneva di avere una vera e propria relazione amorosa, nella grancassa di Dom. La paletta appuntita si conficcò nel polpaccio scoperto del batterista, colto alla sprovvista. Con sgradevole umorismo il moro cercò di scusarsi, mentre il biondo non lo ascoltava più, intento a medicarsi i danni ingiustamente subiti.

A spettacolo concluso, venne da loro per congratularsi e proporre un contratto con la Sawmills Studio. Inutile dire che i tre accettarono e, con estrema gioia, fissarono gli appuntamenti per la registrazione dell'ambum, la cui uscita si sarebbe poi aggirata fra Maggio e Settembre. Matthew era stato ricompensato: apprezzato nel giusto modo, vedeva in fine l'incoraggiante prospettiva di un debutto adatto al loro impetuoso talento.

«Ragazzi, after in hotel?» chiese Chris, ovviamente fiancheggiato dall'immancabile fidanzata che ormai costituiva una sua prolunga.

«Ma Chris, la mia ragazza non c'è e non ho intenzione di tradirla» protestò Matt, mentre uscivano dal retro del locale.

«Che bravo ragazzo! Beh, potete sempre accompagnarmi e farvi una birra fra di voi!»

Dom guardò Matt con una scintilla di rabbia negli occhi di solito così buoni; gli bruciava ancora la ferita sotto la rotula e avrebbe volentieri rifiutato la proposta di passare con il suo aguzzino l'intera notte. Matt invece sfoderò tutta la sua arte di convincimento. Unì le mani in gesto di preghiera e promise le più appropriate scuse. Pochi minuti dopo, giunsero in un modesto hotel che pagarono, insieme al servizio in camera, col guadagno del concerto.

Chris si chiuse nella matrimoniale prenotata con la ragazza, Matt e Dom nella doppia presa a nome del batterista. Se volevano risparmiare qualcosa, dovevano fare economie, tanto intendevano guardare solo un po' di tv e chiacchierare insieme, non occorreva altro. Presto però giunse anche il servizio in camera; un delizioso menù variegato da cui accinsero alcuni cibi e gli altri li serbarono per il giorno dopo.

Sedevano ai piedi del letto, di fronte al televisore e Matt sbucciava l'ennesima banana. Il programma trasmesso era noioso; Dom ne approfittava per controllarsi la ferita incandescente. Il cantante si sentiva colpevole. Il suo innocuo obiettivo era degenerato in ultraviolenza. Sospirò rattristato dal pensiero della propria maldestria. Tuttavia Dom non serbava rancore troppo a lungo, anche perché in fin dei conti nulla di tragico era avvenuto. Di sicuro non con Matt. Si girò dalla sua parte.

«Ehi Matt,» disse, guardandolo, «hai già in mente il nome del nostro cd?»
Il moro ci pensò su qualche istante, addentò la punta del frutto e masticò con calma. Poi deglutì, lanciò un veloce sguardo al biondo e parlò.

«Più o meno. Qualcosa che riguardi lo show business.»
Dom increspò la fronte; le motivazioni di quella risposa gli erano oscure, ma decise che fosse saggio non indagare. Piuttosto si concentrò sul curioso movimento delle labbra di Matt. Si aprivano, si posavano attorno al frutto, si stringevano e infine staccavano via un pezzetto. Fu sopraffatto da un sorriso. Che pericolo correva con tanta spensieratezza!

«Perché ridacchi?» chiese Matt, a bocca piena. Dom scosse la testa.

«Scemenze che mi vengono in mente» disse, trattenendo una risata.

«Mi preoccupi. Condividiamo queste scemenze...non sarà ancora per la ferita? Mi sono scusato in sanscrito!»

«No, sono solo stanco.» -E questo sanscrito sai solo tu cosa sia!

Matt s'innervosì.

«Dom, se c'è qualcosa di cui ridere dimmelo, ne ho bisogno ultimamente. Sono a corto di ilarità!»

«Perché? È per la tua famiglia?» ecco, aveva trovato una scusa per sviare l'argomento.

«Sì, ma non voglio parlarne. Lo sai che mia madre è strana, mio fratello stronzo e mio padre...va beh, caliamo un velo pietoso» sussurrò, sentendo una fitta allo stomaco.

«Già, però con me puoi essere sincero. Anzi, solo con me...» disse, facendosi più vicino.
Matt avvertì insopportabile la durezza dello schienale su cui appoggiavano le schiene. Lanciò la buccia nel cestino e si alzò. Dom lo guardò dal basso con fare interrogativo.

«Solo con te. E infatti ti preavviso che ho intenzione di cambiare aria, casa forse» replicò il cantante, allungandosi sul letto morbido.
Dom si illuminò: da parecchio tempo anche lui desiderava cambiare abitazione, staccarsi un po' dalla famiglia, per quanto fosse cara. Gli balenò in mente l'idea di proporre a Matt un trasferimento. Cosa c'era di meglio che vivere col proprio migliore amico? Suonare a tutte le ore, entrare e uscire a libero arbitrio, disporre di ogni comodità...ottima pensata, insomma.

«Ah sì? Sai, forse potremmo» ma venne interrotto da un gesto di Matt, che gli fece segno di tacere.

«Dom, perdonami, ma mi scoppia la testa. Dormiamo, te ne prego» e mise la testa sotto il cuscino. Il batterista inveì contro il cielo. Proprio adesso voleva dormire? Okay, avrebbe rimandato al giorno dopo. Se ne fece una ragione e si chiuse in bagno per lavarsi e togliersi di dosso la stanchezza in eccesso.


La verità è che il giorno dopo Matt venne strappato via dalla fidanzata ancor prima che Dom potesse parlargli del progetto di vivere insieme. Il biondo si svegliò verso mezzogiorno, solo in una camera d'hotel. Neanche un biglietto ad indicargli dove fosse finito il suo migliore amico. Lo informò Chris, dicendogli di averlo visto rapire verso le 10 dalla ragazza, la quale voleva scusarsi a modo della sua assenza allo show.
Dom non perse coraggio. Appena uscito, si recò in edicola e comprò un paio di giornali ove trovare avvisi di affitti interessanti. Li consultò per il resto del pomeriggio, mentre la sorella già gli chiedeva chi fosse la fortunata con cui voleva trasferirsi. Cerchiò tre potenziali abitazioni, tutte fuori da Teignmouth. I soldi per mantenersi li avrebbero ricavati dai concerti e da qualche piccolo lavoretto, onestamente insomma.

Il capodanno fu a dir poco orribile: si presero la solita sbornia e finirono a farsi ragazze (Matt e Chris le loro) senza un attimo di lucidità, di riflessione sul significato del cambio dell'anno. Comprensibile.
Una settimana dopo, il gelo induriva il suolo e la natura pareva morta definitivamente; la neve era talmente tanta che anche uscire di casa pareva la peggior cosa da fare. Per questo passarono qualche giorno murati nelle loro stanze, sentendosi giusto per telefono. Ovviamente, Dom rimandò ancora la sua proposta che, silenziosamente, si faceva sempre più difficile da pronunciare.
Appena le condizioni ambientali migliorarono, Leckie decise di riceverli nello studio per iniziare qualche registrazione. Tutto era pronto per quello che il 15 Maggio sarebbe stato ultimato e il 28 Settembre pubblicato sotto il nome di Showbiz, primo e inimitabile cd dei Muse, che, dettagli non trascurabili, arrivò a vendere cifre come 100.000 copie mondiali. A tratti li aiutò anche Paul Reeve, da citare anche per l'aiuto voce in alcune tracce.

Un pomeriggio tra la fine dell'inverno e l'inizio della primavera, uno di quei momenti che potremmo definire come inodori e incolori frammenti di un indescrivibile nulla che la natura cerca di comunicarci tramite disperati messaggi codificati, di ritorno dalla sala di registrazione, Matt propose a Dom di passare il resto della giornata insieme. Vista l'assenza di ulteriori programmi e l'indiscutibile priorità che sempre Dom aveva attribuito a Matt, accettò volentieri.
Si scaldarono un tè e ne godettero il delicato beneficio che procurava, unito a squisiti biscotti al burro. Seduti fianco a fianco, soffiavano sulle tazze fumanti per non scottarsi e, fra un pasticcino e l'altro, scambiavano qualche parola.

«Dom, qual è la nostra canzone che più ti piace?» chiese Matt, immergendo il cucchiaino nel liquido bollente.

«Domanda difficile...» mescolò il tè e strizzò gli occhi per pensar meglio. «Forse -Unintended-, forse -Cave-. Ma non posso dimenticarmi di -Showbiz- e neppure di -Sunburn-, quindi non lo so!»
Matt abbassò lo sguardo sulla sua tazza e sorrise al riflesso confuso che vedeva di se stesso nel liquido rossastro.

«Ti ricordi quando mi chiedevi a chi le dedicassi?»
Dom annuì, arrossendo un poco.

«Te lo domandi ancora?»

«Sempre. A volte sei così poetico e romantico, a volte così profondo e malinconico che io mi interrogo sempre su chi sia la fortunata musa di tutto ciò» ammise, cercando il suo sguardo per farlo confessare.

«Dipende, sai? Ma non voglio svelarlo...non...» si prese una pausa e fece roteare gli occhi per la stanza, «non posso.»
Dom non volle insistere ancora. Proiettò gli occhi fuori dalla finestra e intravide nella foschia serale il Lago Viola che riposava inalterato. Non ci erano più tornati da tempo. Stava per proporre a Matt una scappatella, ma d'un tratto si ricordò che cosa aveva portato con sé nello zaino.
Ebbene, fra le bacchette e il necessario per suonare, aveva infilato proprio quei giornali su cui si era appuntato un possibile appartamento da prendere con Matt. Se n'era ricordato per caso, ma visto che l'idea iniziale era di qualche mese prima, gli sembrò opportuno finalmente discuterne con il diretto interessato.

Così estrasse i fogli, ordinati in una cartelletta trasparente, e li appoggiò sulle ginocchia, sotto il tavolo. Matt notò solo il movimento, non colse la presenza dei fogli.

«E senti...cosa mi dici di quel progetto di trovar casa?» chiese il batterista, mentre sentiva un misto di calore ed emozione pompargli nelle vene. Mandò giù l'ultimo sorso di tè e attese la risposta dell'amico.

«Ah! Quasi me ne dimenticavo! Sì, sono arrivato alla conclusione che è necessario andarmene da queste quattro mura» disse e il sorriso che gli animò il volto incoraggiò Dom a proseguire.

«Bene, hai già qualche posto in mente?»

«A dir la verità no, però pensavo...» Dom scalpitò, «pensavo a qualcosa fuori da Teignmouth. Tu conosci?»

«Ecco io» stava per dire «io ho scelto queste case», ma Matt lo interruppe.

«Ovviamente una casa per due, perché Tanya verrebbe con me.»
Il mondo crollò addosso a Dom. Ci mise un minuto intero, sessanta secondi contati per realizzare cosa aveva appena udito. Divenne pallido come un malato terminale e una morsa gli stritolò lo stomaco.

«Dom, ti senti poco bene?» chiese subito Matt, vista la reazione inaspettata.  
Dom traballò. Si sentì improvvisamente uno stupido, un illuso, un deficiente fatto e finito. Strizzò i fogli che aveva fra le mani e desiderò che prendessero fuoco e che si bruciassero insieme a lui. Ma quanto si faceva pena da uno a dieci? Miliardi, anzi, il numero più grande che vi viene in mente.

«Dom, che cos'hai?» strillò Matt, scuotendolo per le spalle.
Dom reagì solo per non peggiorare la situazione.

«Niente, ora me ne vado» e si alzò di scatto, come se avesse una molla, chiuse lo zaino, lo caricò in spalla e, sempre coi fogli stretti, corse verso la porta.
Matt molto più rapido si mise d'ostacolo fra il biondo e la maniglia.

«Che cazzo ti succede?» gridò in panico. Dom lo spinse via, voleva solo andarsene e alla svelta.

«Dominic, fermati, cosa diavolo sono quei fogli?» continuò Matt, battendosi per rubarglieli.
Si strattonarono per qualche secondo, tirando dagli opposti i fogli. Alla fine Matt assestò un calcio alle ginocchia di Dom e lo fece cadere, ottenendo di conseguenza il bottino.

«No, Matt, non leggerli, merda!» urlò in lacrime Dom, lanciandosi addosso all'amico.

Troppo tardi. Matt aveva letto il necessario per capire tutto. Erano avvisi di affitti e cerchiati in rosso erano gli avvisi di bilocali fuori città. Ragionò: non potevano essere per lui e Tanya, non poteva saperlo Dom. Quindi potevano essere solo per lui e...

«Dammeli, fottutissimo!» gridò Dom, strappandoglieli in un ultimo slancio.
Si ritrovarono per terra, il biondo sopra il moro, con le facce rosse per l'arrabbiatura e i capelli scomposti per la lotta.

«Dom...» sussurrò Matt, appoggiando il capo per terra. Fissò il soffitto e si sentì davvero male, uno schifo.
Dom era la vergogna fatta persona. Si alzò subito, si proiettò alla porta e fece pressione per aprirla.

«Dom, io non...» continuò Matt, steso e inerme.
Il biondo si girò un'ultima volta, tanto il guaio era combinato. Voleva dare il colpo di grazia prima di andarsene.

«Ecco Matt, tu non!» strillò, trattenendo rabbia mescolata a pianto.

«Se solo...» bisbigliò il cantante, conficcando le unghie nel pavimento fino a sentir dolore.

«Fa niente, cancella tutto. La nostra amicizia dura da 5 anni e qualche mese, quindi...supererà anche a questa. Ci vediamo in sala prove» concluse Dom, correndo fuori dalla casa.

«Come posso cancellare!» urlò Matt, ma nessuno più lo udì. «Come posso cancellare la mia distrazione, la mia insensibilità! Mi odio, mi odio!» continuò da solo.


Dom correva a ruota libera sulla neve scivolosa. Rompeva lastre di ghiaccio, affondava in pozzanghere nerastre, calciava polvere bianca. Nulla lo fermava, era un cavallo a briglia sciolta. Ora che Matt aveva scoperto le sue intenzioni, quale disgrazia li avrebbe colpiti? Se solo avesse avuto un minimo di lucidità in quel momento avrebbe capito che non era niente di scioccante, anzi, è normale vivere coi propri amici, però... però le persone calme come lui, a volte si abbandonano a una follia repressa e quindi non ragionano più.

Raggiunse casa quando ormai era fradicio e con le punte delle scarpe bianche di neve. I capelli biondi a spazzola gocciolavano acqua e sudore. Non voleva farsi vedere in quelle condizioni da nessuno, perciò scheggiò in camera evitando ogni familiare. Là, al buio e al caldo, si spogliò degli abiti induriti dal freddo e resi così fastidiosi. Aprì l'armadio, con furia estrasse una pila di abiti e la gettò per terra. Scavò fra le magliette finché da una busta di plastica sfilò una felpa verde.

La felpa di Matt, regalo di 5 anni prima. Essendo stata conservata con cura maniacale e rispetto sacrale, appariva come nuova. La prese fra le mani tremanti; la guardò aiutato dal fioco plenilunio, l'annusò fremente. Gli passarono davanti agli occhi tutti quegli anni di splendida amicizia e si sentì il cuore stritolato. Sedette, ancora nudo, sul letto. La indossò con cautela, chiuse la zip e si distese. La morbidezza e il calore della stoffa lo coccolarono.

Si sentì tornare piccolo piccolo...chiuse gli occhi e...dio, sembrava ancora di poterlo stringere fra le braccia, mentre lentamente si addormentava. Il loro legame era troppo forte per lasciarsi distruggere e corrodere da una sciocchezza qualunque, ma anche di fronte ad un vero dramma, Dom credeva fermamente che avrebbe resistito.

Matt non si sentì più solo. Uno strano calore lo avvolse, che stesse già sognando? Inspiegabile, ma gli sembrò proprio di venir abbracciato. Scacciò quella bellissima sensazione, che, del resto come tutto, sapeva troppo di Dom per essere vissuta a fondo senza innamorarsene.
Rimase disteso in quella posizione per molte ore. Il tempo gli scorreva addosso, aceto acido sulla sua pelle fredda, liscia. Non si sarebbe mai perdonato la disattenzione che si era concesso con tanta leggerezza. Aveva calpestato un'altra volta il suo migliore amico, la persona più importante della sua misera vita. Ma la pazzia che lo animava, portò anche interessanti rivelazioni. Infatti, dopo essersi punito e aver sfogato il suo puro masochismo, cominciò a canticchiare il pezzo mancante all'album.

-Oh I am growing tired of allowing you to steal. Everything I have, you're making me feel like I was born to service you! But I am growing by the hour.
You left us far behind, so we all discard our souls and blaze through your skies so unafraid to die...'cause I was born to destroy you...
-

Udì, dritta proveniente dal cuore, una voce limpida e lacerante che gli disse chiaramente che l'unico modo per amarlo, per accettare la consapevolezza di amare proprio e solo lui, sarebbe stato odiarlo in apparenza, fare di tutto per trovare difetti e punti sfavorevoli...una lacrima gli rotolò giù dalla guancia, anche se lui avvertì solo una carezza umida. Una di quelle carezze che anni addietro si lasciava regalare dalle labbra di Dom, mentre ora avrebbe crudelmente respinto. Spaventosa ed insormontabile si innalzava la verità, spoglia di filtri, nelle tenebre del suo animo, là dove sopravviveva la trasparenza: l'amore che tanto avrebbe potuto renderlo felice, se vissuto e apprezzato, poteva ugualmente trasformare in un insopportabile supplizio un'esistenza bugiarda in cui masochisticamente si sarebbe accontentato di limitare a semplice amicizia il bene più caro. Dom.

Fra gli artigli di queste creature mentali, s'aggrappò al pianoforte, sperando di condividere con la musica il peso di una tale sofferenza, racchiusa in quel suo cuore ancora troppo debole.

 




Nota d'autrice: Buona sera splendori :D Scusate il ritardo, ma indovinate? I miei soliti problemi -.- Va beh, non intendo annoiarvi neanche un po', quindi ecco le annotazioni. Comunque ho scritto veramente senza filtri, tutto ciò che veniva. Chissà!

-La collocazione temporale delle canzoni dovrebbe esser precisa, ma non escludo che alcune fossero già state create come EP anni prima.
-Forse ho leggermente anticipato il fidanzamento di Matt con quella tipa (Si ringrazia Eri per il suggerimento dell'epiteto "sorella" nei suoi confronti).

-La scena finale del "abbraccio immaginario" è ispirata dal video "Special Needs" dei Placebo, canzone omonima e tema di questa storia.

-Ignoro quale sia la canzone preferita estratta da Showbiz per Dom. Ho citato le mie adorate!


Bene, dovrei aver specificato tutto... ora ringraziamenti!

-MusicAddicted: Cawa! Hai amato addirittura il capitolo? Oh my Bells, non sprecare il tuo amore :°) Comunque grezie grezie, lo sapevo che il discorso sulla "specialità" ti avrebbe conquistata! E tranquilla, ho ritrovato la fede, ma proprio tanto! Hazz o no, BellDom will survive!

-DeathNotegintama: Tu sei superba, BELLa mia! Le tue recensioni fanno così piacevolmente arrossire *.*! Non so se questi tu possa reputarli tempi duri o no, ma purtroppo sono necessari! Speriamo di esserti piaciuta o.O

-Patri_Lawliet: Mi fai crepar dal ridere! Sei troppo buona e io mi sento troppo importante per te :D Mi auguro di soddisfarti sempre, perché le tue recensioni soddisfano sempre me!

-Elleh: La rivelazione!!! Tu mi hai stupita, donna! Una mattina ho acceso EFP e che trovo? 5 tue recensioni spuntate dal nulla! Che meraviglia, non puoi immaginare. Poi commenti così adorabili :3 Credimi, sento di non poter andare avanti senza il tuo costante giudizio! Voglio continuare a piacerti! Grazie infinite.

-Laetita: Ah-ah, finalmente esce allo scoperto! Ma ciao! Ebbene...che gioia i tuoi complimenti! Direi che esigo altri tuoi pareri, belli o brutti. Ti ringrazio col cuore :)

-MuseLover: Un'altra sorpresa inaspettata! Non ci conoscevamo, giusto? Beh, orgogliosa di esserti piaciuta! Continuerò ad essere in auge? Fammelo sapere.

-Holmes: Wife <3 Preferita in assoluto! Addirittura ;) Insomma...so come ti vanno le cose. E quello che posso fare con la scrittura è cercarti un'evasione. Ci sono riuscita?

-Excel88: Socia! Ti piaccio quando sono dolze? Mi spiace, per un po' dovrò alleggerire la dose di zucchero... ma non temere, tornerà xD

-LetiziaHale: Omony! Temevo di non ricevere la tua opinione. Ma invece eccoti, dulcis in fundo...

Un saluto anche a coloro che mi hanno aggiunta (che possono sempre inserirsi fra i recensori, non so mai come interpretare la loro tacita approvazione) e a Mars18 e Valerika. CHEEEEEEEEEEERS!

Musa.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Settimo capitolo: Special Drugs. ***


•SPECIAL NEEDS•

 

Ciò che non è stato ci accompagna per sempre.

E ricorda: se con le parole potrai mentire e nascondere quel passato mai stato, gli occhi traditori diranno la verità, urleranno le tue mancanze e le tue paure al mondo. Che tu lo voglia o no.

[M.D.P & P.]

 

 

Settimo Capitolo: You're the only reason that I remain unfrozen. Suppose it stands to reason that you would turn on me!  



(1999-2000)

Albeggiava. L'orizzonte ad Est cominciava a emanare i bagliori di un nuovo giorno, mentre la terra consumava gli ultimi attimi di riposo concessi dalla notte morente. Teignmouth era ancora teneramente addormentata; i primi rumori del risveglio venivano sussurrati nelle case, correvano nei campi arsi, si perdevano nelle acque del mare.
Settembre aveva ceduto il passo ad Ottobre. I colori rossastri dell'autunno  già cominciavano a tingere le cime degli alberi, scossi da quella brezza tiepida che pare essere l'ultimo alito di un'estate che non demorde, così da rendere l'atmosfera cittadina quasi struggente.

L'album Showbiz era uscito da pochi giorni e le vendite potevano dirsi buone e promettenti.  Leckie si diceva entusiasta, tranquillizzava i ragazzi suggerendo loro di aspettare quell'arco di tempo necessario a qualunque artista per farsi conoscere e poi cominciare tour. I Muse erano speranzosi e iniziavano anche a muovere i primi passi con le interviste, le riviste, i programmi televisivi e radiofonici.
 

Chiusi in quel sotterraneo, altrimenti detto sala prove, gli albori del giorno nascente non interessavano loro minimamente. L'aria polverosa era buia e un puzzo acre di vomito l'appesantiva; gran parte degli strumenti, ammassati in un angolo, non erano usciti intatti dal festino. Riportavano ammaccature e sporcizie di ogni genere. È sempre così: prima si fa i pazzi in compagnia di alcool e droghe, poi si misurano i danni compiuti e si capisce con un velo di vergogna che non ne è valsa la pena.
Chris riposava stretto alla sua ragazza; dormivano come due giovani angeli dopo sforzi d'un'intera notte passata a volare nei più alti cieli, mentre in verità avevano solo celebrato i primi successi di Showbiz, fino a crollare esangui e gonfi di birra. Al ragazzo ciondolava la testa, da poco rasata a zero, e un'ispida barbetta gli scuriva le guance; riportava sbavature di rossetto lungo il collo massiccio, rossetto della sua bella, e il torace nudo non aveva l'aria di essere propriamente pulito.
Dominic e Matthew invece, dormendo schiena contro schiena, si erano appena dati il buongiorno alla maniera di Matt: quest'ultimo aveva cominciato a girarsi e rigirarsi per trovare una posizione comoda e così facendo aveva tirato al primo una quantità di schiaffi e calci sufficiente per svegliarlo, o meglio, per scrollargli via violentemente quel poco di sonno che in parte conservava. Il biondo si stiracchiò; cercò di inspirare una boccata d'ossigeno, ma l'aria consumata del posto gli rese insopportabile la respirazione. Si mise seduto e scrutò nelle tenebre. Sapeva che ormai era l'alba, ma in assenza di un orologio poteva anche essere notte fonda e lui il solito insonne. Si chinò su Matt, ancora in stato di dormiveglia, e gli bisbigliò all'orecchio:

«C'è una torcia?»

Il mugugno inafferrabile uscito dalla bocca di Matt non fu certo d'aiuto. Così arrancò fino alla porta, calpestando uno strano tappeto di lattine vuote, mozziconi ancora caldi, ragazze svestite. Poi l'aprì e il benessere del connubio di luce e aria fresca lo travolsero piacevolmente. Il fascio di chiarore bianco che penetrò nella stanza però gli causò una serie di insulti e lamentele da parte di quell'orgia di persone ammucchiate. Appena richiuse la porta, i lamenti cessarono e lui si avviò disgustato su per le scale. Aveva in bocca uno strano sapore tra l'amaro e l'acido, mentre i capelli parevano incollati; non osò annusarsi altrove, semplicemente andò in bagno ed entrò nella doccia. Dopo una rapida occhiata all'interno della cabina, avvistò i prodotti dell'amico e pensò di utilizzarli.
L'acqua limpida gli scorreva lungo il corpo, miscelata con il doccia schiuma e lo shampoo, conferendo all'aria un aroma di bucato e fiori appena raccolti. Nonostante non fosse casa sua, si sentiva comunque a proprio agio e non avrebbe avuto problemi d'alcun tipo se in quel momento fosse entrato qualcuno. Mentre si sfregava via dai capelli quella strana sostanza collosa, zucchero di qualche bevanda probabilmente, per qualche strana ragione gli fu impossibile impedire alla sua mente di considerare che quella casa, soprattutto ora che era abitata solo da Matt, sembrasse... ecco, casa loro. Qualche mese prima, gli aveva proposto di andare a vivere insieme, anche se poi per una serie di motivi e circostanze sbagliate, come ricorderete, tutto era andato all'aria. Il litigio che ne era seguito s'era presto mutato in un ostinato mutismo, finché per forza di cause maggiori i due avevano dovuto riprendere a parlarsi e a stare insieme, gettandosi alle spalle e affidando all'oblio del tempo anche quell'episodio. Ebbene, visto che nessuno dei due si era ancora staccato da Teignmouth e in più Dom passava maggior tempo in quell'abitazione che in quella con la sua famiglia, insomma, sforzandosi ed usando un poco d'immaginazione, poteva vederla come casa sua e di Matt. Forse era il punto di partenza, il trampolino per proiettarsi in un futuro non troppo diverso dai suoi sogni. Sorrise impercettibilmente, lasciando che un fiotto d'acqua gli chiudesse gentilmente gli occhi e lo aiutasse a sognare e a rendere tangibili quelle speranze così care, così invincibili. Uscì gocciolante e cercò un accappatoio per non bagnare le piastrelle azzurre del pavimento; trovò, appeso al gancio sul retro della porta, l'asciugamano di Matt. Un telo rettangolare, morbido e consumato. Lo afferrò senza esitazione e ci si avvolse. Apprezzò particolarmente il fatto che non fosse fresco di lavatrice, perché conservava l'odore dell'amico meglio di qualunque altro indumento. Provò un timido imbarazzo nel fantasticare che in un universo parallelo Matt sarebbe entrato all'improvviso e, scovandolo con il suo accappatoio, sarebbe andato su tutte le furie, togliendoglielo e sgridandolo in quel modo giocoso suo solito. Ma la realtà era fatta apposta per dimostrargli come giravano le cose; Matt dormiva in quel gomitolo di corpi femminili e non avrebbe mai scoperto nulla della doccia, dell'accappatoio, dell'immaginare una sciocca convivenza irrealizzabile, anche se così innocentemente bramata.

Una morsa allo stomaco gli suggerì di fare colazione. Prelevò dal frigo un cartone di succo d'arancia, ne versò metà bicchiere; poi scelse un paio di biscotti da una scatola di latta e li ingoiò velocemente, senza soffermarsi sulla dolcezza del cioccolato in cui erano stati intinti quei pezzi di impasto croccante. Controllò i pochi cibi di cui disponeva Matt. Buttò via una serie di confezioni scadute da mesi, gonfie per la muffa. Mancava una presenza femminile, ecco spiegato il perché di quelle disattenzioni e manchevolezze. Bevve sconsolato l'aranciata, avvertendo piccole fitte ai denti; colpa del freddo e dell'enorme quantità di zucchero depositatasi. Tornò in bagno, lavò anche quelli e infine, con addosso solo boxer e maglietta, uscì in giardino, mentre l'aria frizzante di ottobre gli carezzò il volto. Rabbrividì e si sedette sul dondolo; qualche tempo prima, Matthew ci aveva vomitato, ma poi, cambiati i cuscini e le coperture, risultava perfettamente nuovo, comodissimo. Il dondolo era rivolto verso Est, quindi il sole sorgente lo colpiva dritto di fronte; tuttavia erano raggi teneri, neonati, pallidi, che al massimo suscitavano apprensione per la loro fragilità. Dom fece ondeggiare il dondolo, spingendosi con la punta dei piedi nudi nell'erba umida, rorida di rugiada. Socchiuse gli occhi e il mondo si ridusse alla linea luminosa dell'orizzonte, laddove nasceva quella palla infuocata ancora così fioca. Stava per riaddormentarsi assorto in quei pensieri sconnessi, quando una pallida presenza si affiancò al dondolo.

«Che spettacolo» sussurrò Matt, prendendo posto al suo fianco. Il suo peso leggero non alterò l'ondeggiamento ritmico e costante; semplicemente cosparse l'aria di elettricità.
Dom lo guardò rasserenato dal suo arrivo. E dal suo ridicolo aspetto: coperto da soli boxer, riportava sul corpo una collezione di segni facilmente riconducibili alle attività notturne, quali rossetto sulle guance, lividi rosei sui pettorali, dolciastro aroma femminile impregnato alla pelle. Si sorrisero; forse in ricordo della nottata, forse in onore a quell'attimo di speciale intimità. Trascorsero alcuni minuti mentre lasciarono errare lo sguardo oltre quelle terre all'orizzonte, dove luce e tenebre s'univano in un'effimera danza d'ombre e bagliori.

I loro corpi non si toccavano, né i loro occhi si guardavano. Eppure se un pittore li avesse visti in quel frangente di tacita contemplazione, dorati dalla luce solare e floridi di gioventù, difficilmente li avrebbe dipinti come entità separate; piuttosto come due metà di uno stesso corpo, come flusso continuo di energia da una parte all'altra di una medesima unità, come parti complementari di una sola mela. Questa indescrivibile simbiosi sarebbe potuta durare in eterno, se solo le parole non fossero giunte puntuali a infrangerne l'incanto.

«Chiamiamo Leckie per sapere l'andamento delle vendite?» disse Matthew, carezzandosi un capezzolo dolorante.

«Magari verso mezzogiorno. Saranno sì e no le sette» rispose Dom, gli occhi puntati in quel groviglio di capelli neri appartenenti all'amico.

«Giusto. Dobbiamo anche mandare via le ragazze, pulire...mi dai una mano?» si guardò il punto da cui proveniva il dolore: tre solchi di denti gli svelarono l'arcano. -Maledette stronze.

«D'accordo, anche se non è corretto fare casino in tanti e poi rimanere in due a rimediare.»

«Lo so, ma cosa vuoi chiedere a quelle ingrate! Comunque riordino solo perché là ci suoniamo, se fosse per me, lascerei cadere a pezzi l'intera casa» ammise con una sfumatura di insofferenza. Dom capì a cosa si riferisse: alla voglia di andare via, di esplorare il mondo, di trovare qualcosa di nuovo e incoraggiante al di fuori di quel piovoso nido d'uggia.

«Non temere, prima o poi, prendiamo e andiamo a Londra. Inoltre c'è il tour europeo a breve!»
Matthew alzò gli occhi dal proprio corpo e li posizionò scattanti su quello di Dom. Sondò il verde di quelle perle amichevoli, sincere, leali e il malessere si attenuò.

«Ricordamelo sempre, Dom» sospirò e cedette alla tentazione di distendersi un altro po'.
Senza chiedere il permesso, adagiò il capo sulle gambe del biondo e si rannicchiò sul fianco. Dom non lo respinse. Sentì un leggero solletico causatogli dai ciuffi dei capelli di Matt cosparsi sulle sue cosce nude, ma trattenne le risate. Il corpicino indifeso dell'amico pareva così gracile che Dom non ebbe il coraggio di scostarlo, a costo di farsi andare in cancrena le gambe. Presto anche lui sentì la testa pesante; la gettò all'indietro e lasciò che le onde del dondolo e le diafane braccia dell'alba li cullassero lentamente.



«Okay, da dove cominciamo a pulire questa topaia?» chiese Dom, una volta che l'orologio aveva segnato le undici e il bordello se n'era andato, Chris compreso grazie alla scusa del riaccompagnare la sua ragazza a casa.
Matt accese le luci e un indecente, scoraggiante, aberrante spettacolo si offrì loro: cocci di vetro, pozze di alcool, piramidi di mozziconi, rimasugli di preservativi, cartine e fumo sparsi come coriandoli. Il peggio arrivò quando Dom notò che il suo rullante aveva un buco nella pelle e quando Matt scoprì un graffio di 15cm sul corpo della chitarra. Fecero grandi sforzi di autocontrollo per non esplodere e abbattere i muri a pugni.

«Che idea del cazzo festeggiare qui» commentò il moro nervosissimo, valutando il costo di una riparazione. «Senti, vado a prendere stracci, acqua e detergente. Laviamo tutto e poi il resto ce lo teniamo così.»
Dom annuì e nel frattempo finì di raccogliere in un sacco nero quello che poté, evitando di scuoiarsi con qualche coccio o di bruciarsi con un mozzicone incandescente. Stava male, malissimo nel vedere Matt con tanta energia negativa in corpo; era d'accordo sul rimproverarsi del disastro, sul ripromettersi di non compierne un altro in sala prove, ma da lì a diventare paranoici c'era il mare. Doveva inventarsi qualcosa per migliorargli l'umore. Questo compito non sembrò più così difficile da attuarsi, una volta che Matt apparve alla porta con un secchio colmo d'acqua e detergente, alcuni stracci e, stretto attorno alla vita nuda e sottile, un grembiule bianco. Come se non bastasse, entrò, sbuffò e si raccolse i capelli in una piccola coda di cavallo, diciamo ,più che coda, un codino di ciuffetti sparati per aria. Dom cadde a terra dalle risate.

«E ora che diavolo ti prende?» urlò Matt, scaraventando gli stracci nel secchio.
Dom, letteralmente, si rotolò sul pavimento; non riusciva a guardare l'amico in versione "donna delle pulizie" che subito si sentiva prendere da una risata incontenibile.

«Dom, cosa ti ridi?» strillò del tutto in collera Matt, afferrando il manico di scopa appoggiato al muro e cominciando a bastonare il biondo.

«Fermati!» gridò prontamente Dom, appena il primo colpo gli cadde sulla schiena con un tonfo da frattura di ossa.

«Alzati e spiegami cosa c'è da ridere!»
Dom si rimise in piedi e, lottando contro se stesso, trovò la forza di guardare Matt senza morire dalle risate. Con una faccia ebete abbastanza eloquente da spiegare ogni dubbio, il biondo fece notare al moro l'inutilità, oltre che la ridicolezza, di quel grembiule, per non commentare la coda.

«A titolo informativo, io non so, né ho voglia, di lavarmi troppi vestiti. Di conseguenza, se ora mi vesto, mi sporco, ma poi i vestiti sporchi me li devo tenere tali. Capisci ora il senso del grembiule?» disse Matt, riversando nella voce molta falsa ironia.

«Potevi pulire in boxer!» esclamò Dom, mordendosi la lingua pur di non ridere.

«No, caro il mio signorino, perché, se hai valutato la gravità dei danni, capirai che per pulire molte macchie dovremo stenderci a terra e raschiare come Cenerentola. Quindi, ammesso e concesso che io non voglio intingere il mio petto nel misto di alcol, vomito e detergente, il grembiule mi è sembrata la più opportuna protezione. E non osare dire che è da donna, visto che tu l'altro giorno sei arrivato in studio con una maglietta di tua sorella, solo perché a lei va grande e a te piace il giallo.»

Dom, zittito e anche umiliato, abbassò lo sguardo e si fece serio. Non sapeva competere con la lingua svelta e pungente di Matt, poteva raggirarla, frenarla, calmarla, ma mai arrestarla.

«Passami uno straccio.»
Mentre pulivano, l'immaginazione tornò a torturare la mente di Dominic. Era incredibile l'attività implacabile di quella testa che sapeva intessere trame di film frutto di una fantasia ben miscelata alla realtà. Se voleva, gli bastava ben poco per distaccarsi dal mondo e vivere quella situazione noiosa come una bellissima avventura, nella quale lui e Matt si erano appena trasferiti e inauguravano la casa nuova dandole una pulita a regola d'arte.
Ovviamente era sufficiente un commento imprevisto di Matthew, per esempio un «Dom, dobbiamo dire a Chris di regolarsi, basta un preservativo a notte!», per far crollare la finzione, però finché durava era un'isoletta di piacere.

Razionalmente, non riusciva a spiegarsi le cause profonde di quella fissazione. E per fissazione non intendeva il semplice desiderio di andare a vivere col suo migliore amico, ma il migliore amico in sé. Sei anni di conoscenza e di stretta amicizia avevano via via preso le sembianze di quello stranissimo rapporto, fatto di incomprensioni, segreti, risate sussurrate e sguardi emblematici. Comunque, ciò che entrambi avvertivano come principale beneficio e al contempo principale guaio era il bisogno. Bisogno di vedersi, di parlarsi, di suonare, di confidarsi, di sapere che l'altro c'era e ci sarebbe stato sempre. Beneficio perché, fino a che tutto procedeva bene, la felicità pareva una quotidiana componente della vita; guaio perché, non appena si usciva dai binari della tranquillità e un qualsiasi motivo esterno li squilibrava, tutto crollava e sembrava irrecuperabilmente perso.

Matt viveva questo bisogno speciale di Dom con grande presa di coscienza e responsabilità; sapeva quando e cosa concedere all'amico, nonostante talvolta di auto-costringesse a rinunce e privazioni frustranti.
Dom viveva questo bisogno speciale di Matt con fermo orgoglio e trepida emozione; era pronto a tutto per lui, ma il più delle volte capiva con rammarico di quanta indulgenza era debitore e mai donatore.




Vennero fissate le tappe per il tour ed erano concessi loro solo pochi giorni di pausa fra uno show e l'altro, che decisero di utilizzare in modi diversi: Chris con la famiglia, Matt e Dom in giro per il mondo. Leckie diede loro la notizia che le principali città d'Europa erano tutte comprese e si promettevano collaborazioni con colossi della musica, quali RHCP e Foo Fighters. Queste prospettive sovraccaricarono la band di ansia e stress; partirono finalmente da quella città-prigione, benché anche bei ricordi la caratterizzassero nella memoria, e ,alla volta dell'avventura, si augurarono quel discreto successo necessario per l'incisione di un altro album che invece si rivelò una vero trionfo.
Pian piano che giravano, dalla Francia alla Germania, dalla Danimarca ai paesi del nord, il pubblico aumentava in modo consistente e sempre di più si poteva affermare che quelle folle urlanti costituivano i primi plotoni dell'esercito che nel futuro sarebbe stato il popolo dei musers. Showbiz era ben conosciuto, regolarmente venduto e tanto apprezzato dai giovani; Matthew, sebbene non soddisfatto appieno dai testi, modificati e censurati in alcuni punti per proteggere i propri segreti, sorrideva entusiasta nel vedere le bocche di sconosciuti muoversi con la sua per cantare le canzoni.
Ci furono molti incidenti, per lo più causati dagli attimi di pazzia collettiva dei tre membri. Dom era sempre la vittima, Matt il carnefice e Chris l'occasionale vittima o carnefice. Eppure a tutti e tre andava bene così, nonostante quel gioco pericoloso spesso costasse loro strumenti a pezzi o mal ridotti. Si dice che dal tour europeo ben poco tornò a casa intatto.

La sera in cui ebbero l'onore di conoscere i Foo, il cui cantante, ex batterista dei Nirvana, avevano guardato anni addietro al compleanno di Dom, accadde uno di quegli episodi memorabili e al contempo talmente intimi da non venir mai raccontati o ripescati dal passato a cui appartengono.
Dom, forse mandato fuori di testa dall'incontro con un dio del rock, si ubriacò. E questo potrebbe non essere degno di nota, se non fosse avvenuto quello che di fatto avvenne. Dopo il concerto, in cui per l'appunto aprirono solo la serata, nonostante il pubblico avrebbe gradito che continuassero a suonare, si ritirarono nei camerini, in attesa del ritorno dei compagni più grandi, magari per un after.
Tuttavia, per non perder tempo, diedero inizio ai festeggiamenti, stappando un po' troppe bottiglie per le ancora deboli resistenze dei loro fegati in ogni caso ancora giovani. Chris, la spugna, reggeva bene l'etanolo, sbaciucchiandosi la ragazza e bighellonando in giro; Matt, ebbro e leggiadro, si dedicò alla conoscenza di signorine di passaggio e birra tedesca. Il concerto gli aveva maciullato le dita e, massaggiandosele, girava come un fantasma alla ricerca di qualcosa di indeterminato. Dom, armato di super alcolici, si rintanò nel camerino e, abbandonato su un divanetto, alzò il gomito, dopo aver spaccato senza motivo qualche bacchetta contro il muro.

Il punto è che presto il cantante, insofferente alla banalità delle persone e velocemente stufo delle sciocchezze femminili, venne a contatto con una nuova sostanza, piuttosto rara da quelle parti.

«Merce preziosa» gli assicurò lo spacciatore che gliela vendette a caro prezzo. Si trattava di funghi allucinogeni, popolari in città come Amsterdam, ma introvabili in paesi dove la droga fosse bandita e ne fosse controllato il commercio ovviamente illegale. Quando li ebbe fra le mani, la bontà celeste volle che non prevaricasse l'egoismo di consumarli da solo e per questo motivo, andò in cerca del suo anti-stress, anti-noia, anti-solitudine, ovvero l'elemento dai biondi e corti capelli, gettato sul divano in uno stato di ubriachezza medio alto.
Vedendolo in tali condizioni disdicevoli, se Matt fosse stato una persona normale o lo avrebbe aiutato a rimettere, o lo avrebbe lasciato alla beatitudine del sonno; ma il nostro Matthew è l'archetipo dell'anormalità e infatti decise di provarne quella compassione instabile che si può tramutare velocemente o nella più completa complicità o indifferenza. E il caso volle che fosse la complicità ad avere la meglio.
Si avvicinò in visibilio al batterista semi cosciente e, con quel suo fare stravagante e confuso, gli farfugliò un riassunto del come era venuto a contatto con quella droga e del perché volesse condividerla. Dom, occhi lucidi e sorriso idiota, annuì senza capirci un'acca. Così Matt si ritagliò un posticino sul bordo divano, occupato in toto da Dom disteso, e procedette per l'assunzione dei funghi che dovevano essere ingeriti.
Conosceva a grandi linee gli effetti di quella droga; sapeva che agivano sul sistema nervoso centrale e provocavano allucinazioni molto vivide per pochi minuti (nonostante per essere smaltiti occorressero dalle dieci alle dodici ore, per questo era consigliabile farne uso in un luogo protetto, da cui non fosse possibile avere accesso a finestre o scale, per impedire il rischio di buttarsi di sotto senza accorgersene nemmeno, ma piuttosto leggere e destinate a scomparire velocemente, senza lasciare grossi danni al corpo. Non causavano dipendenze e, soprattutto, gli effetti collaterali erano solo vomito, bruciori e qualche neurone fuso, nulla di preoccupante. Fra le mille sostanze che circolavano nelle retroscene musicali, quella sembrava la più innocua, cannabis a parte. Aveva sentito di visioni grandiose; un amico gli aveva raccontato di aver incontrato sua bisnonna morta, un altro di aver conversato con Dio in "carne ed ossa". Solitamente si poteva subire una sorta di dissociazione dal proprio corpo, oppure l'apparizione realistica di qualche fantasia. In ogni caso, qualcosa di molto interessante.
Lui sinceramente avrebbe desiderato solo trovare un'ispirazione e, magari, conoscere qualche alieno da cui attingere informazioni utili sulla prossima fine del mondo.

Scartò con mani tremanti il pacchetto di plastica, estrasse la droga scura e la fissò con curiosità crescente. Era una dose per due; quando l'aveva comprata intendeva già volerla spartire con qualcuno. Con Dom. Si girò verso il suo compare e lo vide tracannare l'ennesima bottiglia di Vodka e melone; lasciò che terminasse l'ultimo sorso e poi gliela strappò via, lanciandola a casaccio in quella stanzetta buia. Prima di entrare aveva chiuso a chiave la porta, ma aveva appeso un foglietto con scritto:

-Se bussate e nessuno dà segni di vita, sfondate la porta e chiamate un'ambulanza- Ora sì che era a posto con la coscienza!

Le luci soffuse e deboli gettavano sui loro volti ombre e aloni scuri; solo gli occhi luccicanti brillavano ancora. Dom rimase molto offeso dal gesto di Matt; offeso quanto un poppante a cui la madre leva il biberon senza spiegazioni.
Lo spintonò e gli chiese con insistenza il perché di quel gesto. Matt non lo sentì nemmeno, stava preparando la psiche all'incontro con quei magici funghetti.
«Matt, voglio il latte!» strillò Dom, evidentemente riferendosi all'alcool.

«Shh, ho qualcosa di meglio» sussurrò l'interpellato, sfregandosi le mani. «Apri la bocca e manda giù questo» continuò, dandogli la sua dose di droga. Dom alla vista di quella novità si mise seduto, appoggiandosi al bracciolo del divano e osservò sospettoso Matthew.

«E che diamine è?» gridò, deciso a non ingoiare quella roba non meglio identificata.

«Ti fidi di me?» ecco, Matt oltre a confrontarsi con un Dom ubriaco e stanchissimo, aggiunse una bella quantità di scaltrezza alle sue parole.

«Ovvio! Brindiamo!» esclamò il biondo, simulando il gesto di alzare un bicchiere, nonostante avesse la mano vuota. «E cantiamo! You're so solid, you're so solid! It burns inside of meee» gracchiò subito dopo, costringendo Matt a tapparsi le orecchie per non udire quello scempio.

«Già, ma ora apri la boccuccia» e ficcò dentro alle labbra ingenuamente aperte di Dom la droga, ordinandogli poi di deglutire.

Non prendete il suo gesto come prepotenza; se non fosse stato perfettamente certo che Dom anche da sobrio avrebbe accettato una droga leggera in sua compagnia, non si sarebbe mai permesso di forzarlo. Lo aveva fatto solo perché l'ubriachezza di Dom non permetteva a quest'ultimo di intendere o volere altro che fosse alcool. Seguì subito l'amico e ingoiò la sua parte.
Per qualche attimo nulla sembrò diverso, anzi, si preoccupò anche che l'accoppiata alcool e droga potesse uccidere Dom; scacciò il pensiero ricordando che era solo una minuscola quantità di funghi allucinogeni e per di più, l'alcool nel corpo di Dom si limitava a Vodka mista a succo di frutta e birra, mica Assenzio e Whisky. Infine, proprio quando Matt stava per ricredersi e pensare di essere stato ingannato dallo spacciatore, piombò in un altro universo.
Scomparvero le quattro mura bluastre che lo circondavano, il divano su cui era seduto, Dom dal suo fianco; tutto roteò freneticamente fino a formare un nuovo posto, incredibilmente reale. Sopra di lui splendeva la luna e attorno si estendevano prati incontaminati dai colori bizzarri e improbabili di rosa, arancione, azzurro. Le stelle erano evanescenti e fra esse aleggiavano creature celesti a metà fra extra-terresti e uccelli preistorici. Si alzò, o almeno, ebbe l'impressione di alzarsi e cominciare a camminare in quella sterpaglia. Urlò, ma dalla bocca gli uscivano bolle di sapone. Scoppiò a ridere, ma le risate suonavano come grida di dolore. Cercò di attirare l'attenzione di quei volatili, ma essi ignoravano la sua presenza. Giunse davanti ad uno specchio e vide il suo riflesso muoversi senza che lui si muovesse; era come se stesse osservando un estraneo. Allungò il braccio per toccare la visione, ma questa fuggì dentro lo specchio, presto inseguita da lui che era riuscito a penetrare nel vetro tramite un teletrasporto.

Comunque, la dea della Fortuna decise di preoccuparsi di quei due giovani spericolati e, infatti, fece sì che non appena la droga stesse per assortire agli effetti per i quali era stata creata, il miscuglio maldestro di alcolici nello stomaco in subbuglio di Dom venisse vomitato fuori. La cascata giallastra e verdognola di bile, alcool e saliva che costituiva il suo vomito, travolse anche i funghi e svuotò Dom di ogni sostanza estranea. Gli costò cinque minuti di rantoli e colpi di tosse, alternati a conati sempre meno consistenti di succhi gastrici, ma il risultato fu una pozzanghera di vomito e uno stomaco ripulito da cima a fondo. Di conseguenza, mente lucida, per quanto può essere lucida la mente di chi è appena stato ubriaco.
Fu una fortuna perché quella notte, se neppure Dom fosse stato in sé, probabilmente avrebbero riportato danni difficilmente cancellabili. Infatti, non appena il batterista riuscì a stare in posizione eretta senza provare l'istinto di chinarsi e rimettere, si rese conto di quello che stava avvenendo. Matt era in piedi, ma correva sul posto e non solo: gridava, si sbracciava, schivava ostacoli e saltava fossati inesistenti. Pareva catapultato in un altro mondo, anzi, era catapultato in un altro mondo. Ad allarmare Dom fu un gesto in particolare: Matt, credendo di aver trovato un tesoro, prese i cocci della bottiglia che poco prima aveva infranto, quella di Vodka e melone di Dom. Li prese e cominciò a carezzarli, reputandoli lingotti d'oro, mentre in verità stava rasentando con i soffici palmi lame più affilate di quanto potessero sembrare. Dominic si scagliò in suo aiuto appena in tempo, giusto prima che si ferisse ulteriormente: aveva già i polpastrelli gocciolanti di sangue. Gli levò con forza quelle schegge di vetro e gli bloccò i polsi, così da immobilizzare quel corpicino in preda alle visioni. Matt lo guardò con occhi sbarrati; non era lì, lui viaggiava ad anni luce di distanza.
Malgrado la stanchezza, la spossatezza e la devastazione interiore, Dom per la prima volta nella sua vita ebbe paura di perderlo. Non perderlo come poteva perderlo se per un giorno preferiva uscire con la sua ragazza piuttosto che con lui, non perderlo come poteva perderlo se avesse deciso di trasferirsi dall'altra parte del mondo, non perderlo come poteva perderlo quando si chiudeva nei periodi di silenzio; quella volta, Dom fece i conti con la paura più grande e ancestrale dell'uomo. La morte. La vide in quel delirio, in quella merda che divorava la carne di Matt, in quell'azzurro agghiacciante. Capì che doveva entrare in azione, sì, anche con solo quel briciolo di energia che gli era rimasta, anche con la bocca avariata e il cuore in gola.
Nel frattempo Matt correva fra spighe dorate e girasoli rinsecchiti, che oscillavano per il peso di lunghi spinelli cresciuti sotto i petali gialli al posto dei semi. Dom richiamò tutta la forza che rimaneva nei suoi muscoli e cercò di raggiungere la porta per chiamare aiuto. Però appena lasciò Matt, il moro cadde sui vetri e ricominciò a toccarli, ora credendoli margherite di campo, ora violette selvatiche, Quindi, il biondo tornò in suo soccorso, scoprendo due nuovi tagli; la vista annebbiata e la poca luce gli impedirono di valutarne la gravità, riuscì solo ad avere un'ultima idea. Si caricò Matt sulle spalle, poi, gattonando sopra vetri infranti e vomito, raggiunse il divano. Ci scaricò il cantante. Si sfilò una catenella dai pantaloni, usata di bellezza ma in realtà molto solida e pesante, e l'agganciò stretta attorno ai polsi rigati di sangue di Matt. Dopo frugò a caso nella cesta di bottiglie lì ai piedi del sofà e trovò la familiare plastica sottile ricoperta di una delicata carta, l'acqua naturale. Tolse il tappo e la versò interamente sull'amico; ripeté il gesto con altre tre bottiglie e, quando Matt era stato lavato da quattro litri di acqua gelida dritti in faccia e sul petto, almeno smise di avere le convulsioni. A questo punto, Dom controllò i tagli sulle mani. Niente di profondo, solo graffi; inoltre, il sangue stava già coagulandosi, sicuramente aiutato dagli schizzi freddi di acqua da poco versati.

Dom però era disperato; il sonno stava avendo la meglio, sentiva le palpebre cadenti e la vista gli si confondeva, si rabbuiava sempre di più, come un teatro che fa calare il sipario anche se gli attori vogliono ancora recitare la loro parte nella commedia. Ebbene, per Dom era la fine: con un grido di rabbia, si mise a cavalcioni su Matt, dalle mani ammanettate e il corpo scosso da frequenti tremori, e gli si distese sopra.

-Non ti avrò curato, ma almeno ti ho salvato la vita... fu il suo ultimo pensiero, appena prima che crollasse esanime.
Senza saperlo, si rivelò la scelta migliore: Matt, già privo di forze normalmente, con quella sessantina abbondante, diciamo anche settantina, di kg sopra a peso morto, fu definitivamente bloccato. Esaurì le sue allucinazioni da solo, balbettando e farneticando in quel mondo alternativo destinato a sbiadire via nell'arco di poco tempo. Si addormentò anche lui, mentre il calore del corpo svenuto di Dom gli impediva di congelare per colpa dell'assenza di riscaldamento e dell'acqua di cui erano fradici i suoi indumenti. Finalmente, trovò la pace.


Il primo a leggere il messaggio preoccupante sulla porta del camerino fu Chris; capì al volo il pericolo in corso e provò a forzare la maniglia, poi ci assestò un calcio. Non cedette. La vita è ben diversa dai polizieschi in cui anche il più insulso mortale sa aprire le porte blindate con un calcio da pallone. Chiamò aiuto e, con una copia della chiave, irruppero i soccorsi. Appena videro i due corpi abbandonati l'uno sull'altro, il vomito e i cocci per terra, qualche goccia di sangue colare dal divano, temettero il peggio. Li portarono via in barella e solo all'ospedale capirono che Howard era solo reduce da una sbronza, mentre Bellamy da un trip mentale. Nulla, davvero nulla per cui prendersi altri spaventi. Ripresero conoscenza dopo una lunga dormita rigenerante. Si svegliarono quasi contemporaneamente, piuttosto stupiti di ritrovarsi in un letto ospedaliero attorniati da flebo e monitor.

«Ehi, Dom...» sussurrò Matt, le coperte talmente rimboccate da rendergli difficile una conversazione col compagno di stanza.

«Matt!» rispose Dom, tentando di mettersi seduto e fare mente locale.
Si ricordava con chiarezza di aver inaugurato la serata ai Foo. Poi ricordava di aver deciso di ubriacarsi; da lì in seguito, solo flash vaghi e imprecisi: vomito, sangue, Matthew, catena, Matthew, azzurro, Matthew, paura.
Il moro invece poteva dire con certezza di essere entrato in un'altra dimensione, ma descriverla sarebbe stata un'impresa in cui preferì non imbarcarsi. Semplicemente cercò di ricollegarsi con la realtà, a poco a poco.

«Che è successo?» chiese, una volta seduto e ben sveglio. Dom scosse la testa. Non poteva di certo essergli d'aiuto quell'insieme di immagini, sapori e odori che gli vorticavano per la memoria.

«C'è Chris» riuscì a balbettare il biondo, indicando la sagoma in avvicinamento dell'amico.

«Ragazzi, come state?» chiese ansioso il bassista, abbracciandoli e controllandogli l'espressione del volto. «Chiamo il dottore?»

«No, no. Io sto bene, ho solo un gran mal di testa» disse Matt, massaggiandosi le tempie pulsanti.

«Sì, anche io, un gran mal di testa e qualche fitta allo stomaco, null'altro» aggiunse Dom.
Chris si tranquillizzò, ma il dottore che li aveva tenuti sotto osservazione entrò nella camera senza chiedere permesso.

«Bellamy Matthew e Howard Dominic?» domandò, stringendo una cartella clinica sotto braccio.

«Sì» risposero all'unisono, già pronti ad una ramanzina coi fiocchi e i contro fiocchi.

«Il primo ha ingerito sostanze allucinogene, funghi per l'esattezza. Quantità piccola, ma alta qualità. Il secondo si è ubriacato con Vodka di bassa lega e birra. Credo che sia nella norma, per due squilibrati adolescenti inglesi. Vi dimetto adesso, ma se volete il consiglio di un vecchio vegliardo, evitate queste porcherie. Non avete il fisico e nemmeno l'età. Pensate alla musica. Per ulteriori informazioni, c'è la mia infermiera. Arrivederci.»
I due depravati si ripromisero di dare ascolto al medico e di stare buoni per qualche tempo. Dopo, uscirono con Chris e placarono la fame chimica che torturò il loro stomaco finché fu saziato in abbondanza.



Ad ogni modo, il tour europeo proseguì. Il pubblico cominciava a contare qualche migliaia di persone nei vari locali; correvano voci che nel futuro avrebbero potuto riempire le arene e gli stadi, ma al momento si accontentavano di quel consistente ed energico gruppo di seguaci. Qualche canzone venne anche trasmessa alla radio; le più conosciute furono sicuramente "Muscle Museum" e "Unintended", ma per i fan ogni composizione di quello splendido album era unica e meravigliosa. Nella mente barricata e talvolta impenetrabile di Matt, certamente cominciavano ad abbozzarsi nuove canzoni, più graffianti ed ermetiche, più sofisticate e raffinate. I molti libri che leggeva gli erano di grande aiuto. Cessavano di esserlo, quando Muse più degne di nota gli si presentavano agli occhi assetati di ispirazione. Fra queste, non poteva negare di avere spesso quella di un giovane amico, bello e aitante, amorevole insieme di tutte quelle caratteristiche che a lui tanto mancavano. Qualità come la pace interiore, la calma, la gioia immotivata, la bontà disinteressata e il fascino naturale, frutto di charme ed eleganza, erano capaci di imbambolarlo per ore, magari in viaggio da una capitale all'altra, mentre bramava di possederle chiuso in un silenzio ostinato. Lo guardava seduto al suo fianco, nell'attimo in cui contemplava il paesaggio oltre al finestrino del pullman che li trasportava; lo guardava valutare con attenzione scientifica la qualità di pezzetti di legno assolutamente uguali gli uni agli altri; lo guardava vestirsi nel camerino condiviso con altri musicisti, preoccupandosi affinché la scelta dei vestiti ricadesse su quelli più consoni e anche vagamente appariscenti, con quel particolare in più degno di nota. Lentamente, il riassunto estremo a cui approdava dopo sforzi disperati e snervanti, era composto di una sola parola: beatitudine. Questo il sinonimo prescelto per indicarlo, questo l'epiteto più caro, questo l'aggettivo che con naturalezza pareva silenziosamente ed invisibilmente accompagnare il nome di Dom nella mente, nelle parole e negli scritti di Matt. "Bliss", appunto, titolo di un capolavoro ancora in fase embrionale. E intanto il numero di concerti e di vendite aumentava vertiginosamente.



Rincasarono a Teignmouth nel 2000, senza sapere che sarebbe stata una delle ultime visite durature a quella città che ospitava i loro natali, le loro famiglie e i loro più cari amici. C'era qualcosa di struggente in quel ritorno; bastava il nome di una via, il colore di una casa, l'aroma di un fiore per far riemergere ricordi a fiotti, quasi si fossero assentati per anni e non solo per pochi mesi.
Matthew, prima di riaffrontare i pezzi sparsi della sua famiglia, propose a Dominic una visita al Lago Viola. Il biondo era ansioso di riabbracciare i suoi cari, quindi chiese gentilmente a Matt di posticipare per solo un'ora la visita al Lago.
A casa, Dom ritrovò tutti quanti e con particolare affetto e commozione il padre; Bill gli regalò una macchina fotografica, Nikon Reflex a rullino, perché disse che anche se non sarebbe potuto andare in giro con lui per il mondo e i posti visitati, almeno tramite le foto sarebbe stato quasi come stare insieme, condividendo immagini e frammenti di luoghi lontani. Dom accolse quel regalo con particolare felicità, era da molto tempo che desiderava avere una macchina fotografica per immortalare tanti attimi speciali.
Tornò da Matt, munito di Nikon. L'amico gli fece i complimenti, poi s'incamminarono lungo il pontile; traballava ancora e il legno dava la stessa impressione di essere marcito e destinato ad affondare. Il viola sembrava solido, artificiale, messo di proposito per rendere quel posto surreale e venato di erroneità, come uno sbaglio della natura, uno sgorbio di un dio disattento. Matt provò la solita sensazione di stupore e di attrazione, Dom di disagio e agitazione.

«Abbiamo girato l'Europa e ci siamo fatti conoscere da migliaia di persone. Come ti spieghi che adesso siamo ancora qui, al punto di partenza?» chiese il cantante, sedendosi con le gambe a penzoloni.
Dom, per rispetto della tradizione, si sedette a gambe incrociate rivolto verso l'amico.

«Forse perché per ricominciare bisogna tornare alle origini» disse, nonostante quella risposta non lo soddisfacesse.

«Origini. Mi piace questa parola, penso che la riutilizzerò» pensò a voce alta Matt, immergendo la vista nelle acque viscose.

«Se ripenso a cosa cercammo di fare una volta nel '93, posso solo sorridere» ammise Dom, ridacchiando sommessamente.

«A cosa ti rife...ah, hai ragione. Ah-ah!» rise Matt, mentre la memoria di quell'avventura infantile prendeva vita.
Dom lo guardò dritto in volto. Risalì dal mento rotondo alla fronte liscia, per poi puntare agli occhi. Vedevano la stessa cosa? Vedevano entrambi quei due scriccioli di appena 15 anni che per motivazioni futili e frettolose osavano camminare spensierati sulla sottile linea di demarcazione fra amicizia e amore? Che per un capriccio di Matt provavano addirittura a baciarsi, senza ovviamente riuscirci? Sì, ne ebbe la conferma quando Matt sostenne lo sguardo e assunse un'espressione seria e malinconica.

«Eravamo due sciocchi» sbottò infine il chitarrista, abbassando gli occhi sulla bocca del batterista. Un rossore fastidioso gli tinse le guance senza preavviso.

«Non sapevamo quello che facevamo» replicò Dom, leggermente assoggettato dall'invadenza degli occhi di Matt sulle sue labbra.

«E invece adesso, adesso lo sappiamo?» sussurrò con un fil di voce il moro, impuntatosi sulla rotonda perfezione di quel bocciolo rosso.

«Adesso siamo adulti, ma anche agli adulti sfugge qualcosa...» constatò Dom a bassa voce, indietreggiando di un millimetro.

«Io...io ti confesso che non riuscirò mai a decifrare quel qualcosa fra noi due» bisbigliò Matthew, quasi si trattasse di un segreto di primaria importanza.

«Ho lo stesso presentimento. Rimarrà un mistero.»
Matt distolse finalmente gli occhi blu dalla bella bocca di Dom e li proiettò lontani, nel cielo grigiastro sopra le loro teste.

«Lo sai che ogni mistero, ogni segreto, pesa come un fardello e ci rende più soli?» chiese il cantante, tornando ad avere un tono di voce normale, credendo forse di aver cambiato argomento.

«Lo so, ma sono disposto a farmi carico di solitudine e dolore, pur di non rinunciare a te» rispose con una fermezza disarmante Dom.
Matt si sentì fortemente attratto da quella forza interiore posseduta con tanta facilità dall'amico.

«Anche io. Sai bene di essere un bisogno per me...»

«...e i bisogni sono eterni.»

«Eterni» ripeté, soppesando con trepida soddisfazione l'importanza di quell'aggettivo finalmente pronunciato da entrambe le loro bocche.

Dom impugnò la Reflex e all'improvviso fece scorrere il braccio attorno alle spalle di Matt; inclinò la testa e col braccio libero portò la macchina davanti ai loro volti, a una distanza di 40cm. Poi disse:
«Sorridi!» e l'attimo dopo, giusto in tempo per catturare anche il sorriso improvvisato e per questo sincero di Matt, si udì il primo click di quella Nikon.
Il rullino scattò e registrò la foto sulla pellicola. Dom spense la macchina e la guardò soddisfatto.

«Appena la faccio sviluppare, te ne do una copia» disse premuroso.
Matt gli afferrò la testa con ambe le mani e gli schioccò un bacio sulla guancia. Quest'ultimo gesto lasciò leggermente inibito Dom, il quale reagì arrossendo e tossicchiando nervoso. I baci di Matt erano terribili, per quei pochi che ne avevano ricevuti le sue guance: erano asciutti, ma col risucchio e soprattutto, morbidi, lenti e lascivi. Ciò che bastava per fantasticarci, magari immaginando quale temibile effetto avrebbero avuto altrove.


E se i limpidi orizzonti della band si facevano promettenti, quelli del loro rapporto, già abbastanza speciale per non essere classificato in nessun modo, si addensavano di nuvole.




Nota dell'Autrice: cari lettori, care amiche, vi chiederete: ma non aveva problemi che le impedivano di scrivere a computer? Ebbene sì, i problemi li ho, ma, sia perché migliorano, sia perché il capitolo andava solo ricontrollato, posso oggi postarlo con grande sollievo. Temo che il prossimo non si presenterà prima di due settimane, ma confido nella vostra pazienza.
Alcune annotazioni:

-Non so se già nel 1999 Matt fece uso di funghi: prendetela come una mia libertà!
-Non so se aveva già in mente Origin of Symmetry, ma Bliss mi ha tentato;


-Si incontrarono realmente con i Foo, ma la serata andò diversamente;

-Il Lago è ovviamente una mia invenzione, per coloro che non ricordano il primo capitolo;
-Le allucinazioni di Matt sono molto simili a quelle che mi raccontarono di avere alcuni amici, quindi gradirei che nessuno mi dicesse: "non si hanno quel tipo di visioni" o cose del genere, perché è realmente successo e qualcuno ci è andato anche di mezzo;
-La macchina fotografica è una mia invenzione!

Grazie dell'attenzione, scusatemi se non vi rispondo una ad una ma non ne ho il modo. Alla prossima, vi abbraccio! <3 Cheeeeeeeeeeers, Musa.









Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Ottavo capitolo: Special Origins. ***


 

•SPECIAL NEEDS•

"Sai cosa ho imparato da questa buffa commedia chiamata vita? Che nessuno ti dirà mai la verità.

Devi trovartela da sola.

E soprattutto: gli amanti sono i più bugiardi."

[S.]

 


 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ottavo Capitolo: Origin of... love. 

 

 

(2000)
Un debole alito estivo smuoveva la lanterna dalla fiamma tremolante nella veranda di Matt, quando il cancello di recinzione della villetta si aprì. Passi familiari risuonarono sul sentiero in terra battuta, mentre un corpo prendeva forma dall'oscurità indistinta. Matt chiuse il libro che stava leggendo e si alzò in piedi; attese immobile finché la sagoma lo raggiunse e, al chiaro di candela, il suo viso fu identificato.

«Sei pronto?» domandò la voce di Dom, calda come una carezza in quel silenzio notturno.

«Sì» rispose laconico il moro, lanciando un ultimo sguardo alla sua abitazione. «Solo un po' di magone» aggiunse, usando quell'espressione infantile, ma eloquente per comunicare il senso di nostalgia che spesso assale le persone al momento di un distacco. Perché quello era un distacco ed era definitivo: stavano partendo alla volta di Londra e, escluse fugaci, sporadiche visite, non sarebbero più tornati a vivere a Teignmouth. Forse, oltre le famiglie Howard e Wolsthenholme, nessuno avrebbe sentito la loro mancanza. Meglio così. La lanterna ondeggiò ancora e Matthew si chiese se la fiamma al suo interno sarebbe sopravvissuta alla notte. Non lo seppe mai, dato che un minuto dopo camminava dietro Dominic verso la strada.

Londra appariva grigia fuori dai finestrini del treno che si appropinquava alla stazione. Dom guardò le prime gocce schiantarsi sul vetro e colare lentamente via; sapeva com'era il clima londinese, infatti prelevò l'ombrello pieghevole dallo zaino, visto che l'arrivo era ormai prossimo. Avevano portato solo uno zaino a testa, con dentro il necessario per passare pochi giorni, perché intendevano ricominciare proprio da zero, comprando nuovi vestiti e nuovi accessori, mentre per quanto riguarda gli strumenti musicali, a quelli ci avrebbero pensato alcuni amici che li avrebbero trasferiti nella capitale.
Matthew aveva trascorso il viaggio dormendo, tutto rannicchiato come un feto sul sedile affianco a quello di Dominic. Aveva fatto un paio di incubi insignificanti, e si sentiva più stanco che prima di partire. Appena dischiuse gli occhi, gli albori all'orizzonte lo consolarono. Controllò subito la presenza dell'amico e, vedendolo seduto lì accanto, si tranquillizzò.

«Buongiorno, Matty.» Esordì Dom, senza guardarlo, ma capendo dal cambiamento del respiro, passato da pesante ad affrettato, che il suo chitarrista si era destato.

«'giorno! Ci siamo...» rispose quest'ultimo, sbadigliando subito dopo. Aveva fame e una gran voglia di sgranchirsi le gambe. Il cervello, rimessosi in moto alla svelta, gli ricordò giusto la lista delle cose da fare: trovare

casa e sistemarla, chiamare Tom e Chris, venire intervistati da qualche giornale, passare a vedere il nuovo studio di registrazione, incontrare un centinaio di altre persone...Dom gli sorrise.

«Dalla faccia terrorizzata che hai, deduco che stai pensando a cosa ci aspetta fra circa due minuti.» Disse, leggendogli i pensieri uno ad uno. Matt s'innervosì davanti a tanta disarmante telepatia.

«Già. Con ordine, spero di farcela.» Ammise, molto scoraggiato. Dom scosse la testa e lo corresse:

«Speriamo di farcela. Siamo in due!»

«Sì, forse dividendoci i compiti porteremo a termine un ottavo degli impegni.»

«Di certo con la tua positività, non andremo lontano. Quindi forza, un lungo viaggio comincia col primo passo!» L'entusiasmo nella voce del batterista fu irresistibile: Matt si concesse un mezzo sorriso di sollievo e apprezzò in silenzio quella citazione inaspettata.
Il treno rallentò: con uno sbuffo, indicò ai passeggeri di scendere.

«Due brioche e due caffè macchiati, grazie» ordinò Dom, una volta che, usciti dalla stazione, si sedettero nel primo bar che trovarono. Matt sfogliava un giornale trovato sul tavolo, ma c'erano scritte solo le notizie sportive del giorno precedente. Lo richiuse subito dopo essersi fatto una sbrigativa e inutile idea sui risultati calcistici; guardò Dom davanti a lui.
«Da dove cominciamo?» chiese, riferendosi alla lista di possibili appartamenti che avevano consigliato loro. Dom estrasse un foglietto dalla tasca dei pantaloni leggeri che indossava e lesse alcuni nomi di quartieri.

«Okay, il terzo mi piace. Comunque l'importante è che sia economica, ma spaziosa, no?»
Dom attese che la cameriera consegnasse le ordinazioni, prima di rispondergli.

«Sì, spaziosa. Ci saremo io e te fissi, poi Tom più o meno e Chris ogni tanto, giusto?» Addentò il croissant e una punta di marmellata alla fragola sbucò dalla pasta.

«Esattamente. Un trilocale sarà sufficiente.» Immerse le labbra nel caffè, lasciando che il fumo gli facesse lacrimare gli occhi.

«Trilocale? Cucina, bagno e tre stanze di cui una presumibilmente sala?» domandò contrariato il biondo, masticando.

«Complimenti, sai com'è fatto un trilocale.» Il sarcasmo di Matt venne sorvolato da Dom, che continuò:

«Ma scusa, avendo solo due camere da letto, delle quali una verrà dedicata agli ospiti, Tom o Chris che siano più fidanzate... vuol dire che io e te dormiremo assieme?» Un pezzo di croissant gli si bloccò a metà percorso.
Matt sorseggiò il caffè e senza fretta rispose infine:

«Stessa camera, letti separati, ovviamente. A meno che tu non voglia sperperare i soldi guadagnati in un quadrilocale, dovendo poi prostituirti per finanziare il resto.»
Dom abbassò lo sguardo involontariamente. Ci pensò su e concluse che Matt aveva ragione, oltre che molto più buon senso.

«D'accordo.»

Arrivarono nel posto scelto da Matthew alle 8 in punto, scarpe inzuppate e nasi rossi per l'arietta fresca. Non pensarono al fatto che è un po' presto per presentarsi in un posto dove affittare o comprare un appartamento, ma fortunatamente la padrona di casa era una vecchia mattutina.
«Come posso aiutarvi?» Domandò curva, dietro la porta a cui avevano suonato.

«Vorremmo vedere il trilocale in vendita.»
Onestamente, era orribile. Ne convennero appena misero piede in quella topaia umidiccia. Era un cadente appartamento abbandonato dal dopo guerra: puzzava di muffa e di marcio, scricchiolava come il ventre di un vascello pirata. Se la diedero a gambe e, una volta scappati via, Dom scoppiò a ridere.

«Chi ben inizia è a metà dell'opera!» Esclamò, tirando una gomitata amichevole nel fianco di Matt, il quale alzò gli occhi al cielo irritato.

«Oggi è lo slogan day? Finiscila e passiamo al prossimo, prima che ricominci a piovere!»
Non fu la pioggia ad infastidirli; bensì uno sciame di ragazzini sui 14 anni che passò correndo e, nella foga, li travolse. Inizialmente Matt pensò che fossero fan, ma quei marmocchi brufolosi non sapevano neanche alla lontana che quei due ragazzi spaesati fossero membri di una grande band; ridevano per chissà quale motivo e spintonarono finché non passarono tutti, lasciandosi dietro varie sporcizie, dalle bombolette spray vuote a fogli con disegni strani.
«Teppisti di città!» sbuffò Matt, riprendendo a camminare dopo essersi beccato calci e sberle.

«Ragazzate» commentò Dom, scuotendo la testa.

La seconda casa era decisamente migliore della prima; anche il quartiere aveva fatto un salto di qualità e Dom pensò subito alla prostituzione che Matt gli aveva inculcato in mente poco prima.
«Sareste?» Chiese il giovane uomo che venne a rispondere alla porta.

«Interessati all'appartamento. Possiamo darci un'occhiata?»
Il ragazzo, un bellimbusto in camicia Ralph Lauren alle 8.30 di Domenica, annuì. Ricomparve poco dopo con una chiave e li condusse al trilocale in questione. Matt capì presto che era da scartare; glielo fecero capire il divano in pelle appoggiato su un tappeto di vero orso davanti ad un caminetto dell'800 sopra cui giaceva un quadro, probabilmente un autentico del Rinascimento italiano. Come se non bastasse, furono vittime di un imbarazzante episodio: entrati nella camera da letto principale, videro il matrimoniale col baldacchino trionfare nel centro. I due tossicchiarono nervosi. Il venditore insinuò:

«La camera è stata pensata per una coppia, ma penso che non ci siano problemi...» squadrandoli con aria disgustata. Dom fu del parere di andarsene e lasciar perdere quell'insulsa provocazione, ma Matt rispose per le rime.

«Può spiegarsi?»

«Oh, intendevo solo che il letto è per una coppia e suppongo che voi lo siate, ma tranquilli, qui sono vietati i cani, non gli omosessuali.»
Matt divenne nero di rabbia. Quello stupido supponeva stronzate e per di più faceva dell'humor: gli avrebbe sfoderato un sinistro, se Dom non fosse intervenuto con freddezza.

«Lei si sbaglia e non ci interessa la sua offerta.» Concluse, trascinando via Matt che per poco aveva la schiuma alla bocca. Insultare gratis, sintomo di frustrazione o insoddisfazione.
Di nuovo per strada, diretti ad un altro appartamento, il moro esplose.

«Come si permette quel cesso ripulito? Solo perché suo padre ha i soldi, insulta la gente che fra l'altro fa il suo interesse? Che testa di cazzo!» urlò, gesticolando con vigore. Dom lo lasciò sfogare un po', poi lo interruppe.

«Però, nella sua stupidità, mi dà da pensare: sembriamo una coppia?»
Matt fu tanto che non gli tirò un calcio. Lo guardò malissimo e gridò:

«Ma sei impazzito? Uno squilibrato ci dà dei gay solo perché andiamo a vivere assieme, cosa molto diffusa fra gli amici, e tu lo ascolti?»

«Scusa, scusa, è che sono scioccato. Dev'essere come dici tu. Anzi, aspetta, aspetta... che diamine hai sulla schiena?»
Dom bloccò Matt per le spalle e fissò incredulo il retro della sua giacca. Un adesivo nero con su scritto in rosa "Frocio" padroneggiava nel centro.

«Perché, cos'ho?» domandò allarmato Matt, voltandosi di scatto. Dom fece in tempo a strapparlo via e glielo consegnò amareggiato.

«Che caz... i teppisti! Sono stati loro quando ci hanno travolti!» urlò il moro, dopo aver letto il "Frocio".

«Ecco perché quel cretino ci ha scambiato per gay!»

«Non ci posso credere. Siamo a Londra da un'ora e già vittime di prese per il culo.»

«Ora non esagerare: quei ragazzi darebbero del gay a chiunque, io e te sembriamo tutto meno che una coppia» disse Dom, mettendogli una mano sulla spalla destra come per rassicurarlo.

Un velo d'imbarazzo si creò dopo quell'ultima affermazione. Non sembravano tutto meno che una coppia. Tutt'altro.

«Che figura, meno male che te ne sei accorto. Andiamo, la prossima dev'essere quella giusta.»
Matt conficcò le mani nelle tasche dei jeans e mandò mentalmente a morire tutto il mondo; decise che appena avrebbero trovato casa, si sarebbe messo a dormire e non gli importava un fico secco delle interviste, di Chris e del resto. Dom invece accartocciò l'adesivo e lo calpestò distrattamente.

Non c'è due senza tre, ma la terza scelta fu quella vincente. E fu Dom ad intuirlo, quando venne ad aprire la porta un punkettone della loro età, residente in una casa appartata, ma piuttosto recente e ben fatta.
«Salve» disse osservandoli.

«Siamo qui per il trilocale.»
Il ragazzo punk all'improvviso sembrò risvegliarsi da un coma.

«Ma siete i tizi di Showbiz?» urlò, allargando la bocca piena di piercing.

«I Muse, intendi?» chiese Matt, alzando le sopracciglia.

«Sì! Io non ascolto il vostro genere, se ne avete uno, ma la mia ragazza è pazza di voi!» continuò sovreccitato.

Matt e Dom si scambiarono uno sguardo compiaciuto.

«Ah, ci fa piacere!» replicò il batterista, sorridendogli.

«Puoi dirlo forte, amico! Se le dico che siete qui, potrebbe fare pazzie, non so se sia il caso di farvi venire ad abitare!» aggiunse, molto preoccupato.

«Dici? Peccato, a noi sembrava un bel posto...» commentò Matt, constatando le scarse possibilità di provarci con una punk.

«Amore?» chiamò una voce femminile dalla casa. Troppo tardi. «Ma sei già in pied... Oh, mio Dio!» strillò la ragazzetta in biancheria intima. «I Muse!»
Saltò verso di loro e li abbracciò come se fossero grandi amici. Il ragazzo si mise una mano in fronte.

«Piacere!» dissero all'unisono Matt e Dom, mantenendosi freddi per non peggiorare le cose.

«Cosa ci fate qui?» chiese lei con voce rotta dall'emozione.

«Volevamo vedere l'appartamento in vendita, ma forse non è il caso» rispose Matt, indietreggiando.

«No, cosa! È il mio giorno fortunato! Certo che potete vederlo, io vi prometto che non vi darò fastidio!» disse lei, accorgendosi solo allora di essere in mutande e reggiseno. «Ops!» sussurrò, riparandosi dietro al suo ragazzo.

«Non è possibile... dovete scusarla. La terrò io a bada. Siete ancora interessati al trilocale?» domandò lui, rosso per la vergogna.

«Ma certo» rispose Dom, trovandosi mentalmente d'accordo con Matt sul fatto che quei due ragazzi erano adorabili e simpatici.

«Seguitemi. E tu vai a vestirti, se speri di avere un autografo dai tizi di Showbiz!» ordinò il punk alla sua fidanzata che sparì ridendo e urlando: "I Muse!"


Un'ora dopo, chiusero la porta della loro nuova casa. Era stata di loro gradimento subito: semplice, funzionale e artistica. Aveva una grande sala dopo l'entrata e da quella si diramavano le altre stanze; una cucina tecnologica, un bagno attrezzato e due camere comode. Il ragazzo punk aveva offerto loro un prezzo onesto. Gli consegnarono due autografi per la fidanzata; si chiamavano Joe e Adie. Erano nomi d'arte in onore di Billie Joe Armstrong e sua moglie Adrienne. A Matt e Dom piacque l'idea e capirono di aver trovato due nuovi amici, infatti decisero di uscire insieme qualche sera.

Matt si gettò sul letto matrimoniale in camera loro. Sì, alla fine anche lì c'era il letto da coppia, ma avevano stabilito di sostituirlo in breve tempo. Dom trovò un giradischi contenente un vinile dei Pink Floyd. Inutile specificare che lo accese senza esitazioni. -Wish you were here- si diffuse delicatamente nella casa.
«Vuoi proprio deliziare il mio udito!» disse Matt, una volta che Dom lo raggiunse in camera.
Dom sorrise e annuì; guardò fuori dalla finestra. Il panorama era incantevole, per quanto potesse esserlo un panorama cittadino.

«Usciamo?» propose, togliendo dallo zaino i vestiti portati per riporli nell'armadio.

«Io pensavo di dormire...» sbuffò Matt, rigirandosi sul materasso nudo.

«Tu sei un pigrone di prim'ordine! Dobbiamo comprare: vestiti, cibo e arredamento, oppure preferisci digiunare nudo in una casa semi spoglia?»

«Ma io non ho voglia!» protestò, battendo i pugni.

«Alzati e prendi il portafogli. Basta capricci, ora vivi con me» replicò tutto soddisfatto Dom.

«Non farmi rimpiangere questa decisione il primo giorno di convivenza!»


Non fu affatto noioso fare shopping insieme; era la prima volta che accadeva, ma il buon gusto di Dom unito all'intelligenza pratica di Matt erano vincenti. Ordinarono una serie di mobili in un negozio d'arredamento, comprarono alcuni oggetti tecnici, poi si dedicarono alle ordinazioni di tende, lenzuola, tappeti e abbellimenti vari. Infine, ormai nel tardo pomeriggio, si buttarono sui vestiti, acquistando qualche jeans attillato e maglietta colorata. Ogni tanto si sentivano come due topi di campagna nella grande città; particolarmente quando entravano in negozi di scarpe dove Dom sentiva girare la testa dalla gioia.
Verso sera, con cinque sacchetti gonfi per mano e due facce stravolte, decisero di rincasare.
«C'è solo un problema, Bellamy.» Constatò Dom, dopo aver smistato i nuovi acquisti.

«Dica, Howard» rispose l'amico, seduto a tavola intento a leggere una rivista di decorazioni per interni.

«Non abbiamo fatto la spesa e mi sa che adesso i supermercati sono chiusi.»
La spesa spaventava Matt come poche altre cose. Probabilmente il motivo risiedeva nel fatto che nei supermercati si vedevano tante personcine mediocri e la paura di diventare simile a loro, di confondersi in quella massa di sconosciuti indaffarati a riempire i frigoriferi mentre il mondo cade a pezzi è troppo grande.

«Oh, se è per questo, non abbiamo neppure chiamato Tom e Chris, incontrato le riviste, parlato ai produttori e se vuoi vado avanti.»

«Già, ma io ho fame.» Un crampo uscito dal suo stomaco lo confermò.

«Andiamo ad elemosinare da Joe o ceniamo fuori?»

«Cena fuori!»

«Joe.»
Si guardarono con aria di sfida. Non erano ancora in confidenza con il ragazzo, ma i portafogli erano al verde. Digiuno? Da escludere.

«Okay, torta e cappuccino nel bar qui affianco.» si arrese Matt, trovando la giusta via di mezzo.
 

«Ehi, ma anche tu senti...una rigidità, un gonfiore pre-morte?» chiese Dom, vestito con soli boxer e sdraiato a pancia in su nel letto. Si massaggiava lo stomaco indurito.
Matt entrò nella camera e richiuse la porta. Si guardò attorno, disapprovando la luce fioca, proveniente da una vecchia abat-jour sul suo comodino, che illuminava debolmente la stanza. Avanzò verso il letto occupato per metà dal batterista in biancheria e gli lanciò uno sguardo di rimprovero.

«Sì, anche io penso che mangiare 4 fette di torta al cioccolato con 6 cappuccini a testa sia stata una cattiva idea. Comunque... dormi in boxer?» chiese, sedendosi e sfilandosi le ciabatte. Dom gli osservò la schiena magra coperta da un pigiama di flanella azzurro e si mise le mani sotto la testa, riportando lo sguardo sul soffitto in legno.

«Non lo sapevi?»

«Sì, ma speravo che, vista la situazione, avresti avuto più pudore» sentenziò il pianista, mettendosi seduto sul letto e prendendo un libro dal comodino.

«Pudore? Matthew, sei il mio migliore amico, che male c'è a dormire in mutande?» La voce innocente nascondeva un inconscio compiacimento segreto.

«Vedi tu. Ora leggo, buona notte.» Concluse stizzito il moro, aprendo un manuale di politica americana. Dom fece spallucce. Tirò via dall'orecchio sinistro la sigaretta che ci aveva riposto poco prima e con un fiammifero la accese. La strinse fra le labbra e tornò con le mani sotto il capo, i gomiti alzati. Il fumo biancastro inquinò l'aria alla svelta. Matt ebbe da ridire.

«Sei senza pudore e incivile. Apri la finestra!» Squittì. Dom obbedì e tornò nella posizione di prima, mentre un fresco soffio d'aria notturna penetrava dalla fessura.

A Matt sfuggì l'occhio. Era tutto preso da un discorsone sulla democrazia, quando notò che Dom, dopo aver finito di fumare, si stava massaggiando il capezzolo destro, quello più vicino a lui. Lo accarezzava, lo premeva, lo graffiava con la punta dell'unghia dell'indice. E, nel frattempo, fissava il soffitto con aria assente. Probabilmente stava pensando a qualcosa di molto intenso.
Il moro riposizionò gli occhi azzurri sulla carta, ma presto sgattaiolarono ancora sul petto del biondo. Quel capezzolo era ben fatto. Un po' scuro, ma bello tondo. Matt tornò a leggere, non gli era mai interessata di più la politica estera.
«Matty, tu pensi che mi starebbe bene un piercing?» chiese all'improvviso Dom. Matt trasalì.

«No, assolutamente no. E poi dove?»

«Al capezzolo!» esclamò, scoppiando in risate, il biondo. Matt scosse la testa. Se l'intento di Dom era quello di fargli perdere il controllo, no, non ci sarebbe riuscito.

«Ripeto: no. Come mai queste idee bizzarre? Non ti riconosco.» Cercò disperatamente di ritrovare la concentrazione per leggere la fine di una riga, ma fallì.

«Così. Joe è pieno di orecchini, ho pensato che uno mi sarebbe stato a pennello» e si schiacciò in dentro il capezzolo.

«Oh, taci» lo zittì Matt, mettendo a fuoco una parola dal significato sfuggente.

«Aspetta! Hai detto di no prima di sapere dove, questo significa che tu a priori scarti l'idea!» esclamò pimpante il batterista, voltandosi di scatto.

«E con questo, genio?»

«Sei un bacchettone!»
Matt alzò il sopracciglio sinistro, assumendo un'aria spietata e folle allo stesso momento. Arricciò la bocca e chiuse il libro, appoggiandoselo sull'addome.

«Prego?» disse in un bisbiglio.

«Sei un bacchettone! Perché un conto avessi detto: no, sul capezzolo ti starebbe male, ma dire di no a prescindere è da bacchettone! Anzi, non è che non ti piacciono i miei pettorali?»
Matt capì che quella frase segnava ufficialmente la fine della lettura. Ripose il libro sul comodino, spense la lampadina e un buio bluastro calò nella stanza.

«Uno: non sono un bacchettone. Due: mi fanno schifo gli orecchini. Tre: i tuoi pettorali mi sono indifferenti» disse, tutt'ad un fiato. Poi si distese, sperando che Dom non continuasse a tormentarlo.

«Indifferenti? Io mi offendo» mugugnò il biondo, abbattuto.

«E come dovrebbero risultarmi altrimenti?» gridò Matt, girandosi verso il batterista.

«Non so, fra amici è bello farsi anche i complimenti, sai? Se li trovi indifferenti, penso che io debba fare palestra.»

«Ma è solo il mio parere. Alle ragazze piacciono, credo» si corresse Matt, capendo di aver realmente ferito Dom.

«Indifferenti...mi sento bruttissimo» sussurrò Dom, arricciandosi come una foglia secca.
Il suo corpo blu nella luce della notte era tutt'altro che brutto; Matt lasciò che i suoi occhi lo percorressero ingordamente. Lo conosceva ormai da 7 anni, eppure non aveva mai carezzato la morbidezza di quella schiena o il calore dei fianchi...

«Sei molto bello, Dominic. Molto più di me, anche se non ci vuole tanto.» Bisbigliò Matt, facendosi più vicino. Dom alzò il volto e lo guardò; i loro occhi tremolanti si corteggiarono.

«Ma ho i pettorali indifferenti!»

«No, è che...» Matt non sapeva più cos'altro dire. Già gli era costato ammettere la bellezza indiscutibile dell'amico, doveva pure elogiarne i pettorali?

«Okay, toccali» sussurrò Dom.

«Eh?»

«Toccali» e, senza attendere conferma, gli prese le mani e le portò sopra i suoi pettorali caldi.
Matt si immobilizzò; rigido come una bambola di pezza, lasciò che le sue mani premessero contro quei pezzi di carne tiepida. Fece un sorriso di circostanza e farfugliò qualcosa.

«Allora?» domandò ansioso Dom.

«S-senti...io...beh...» balbettò. «S-so-sono b-belli.»
Dom sorrise e lasciò andare la presa. Matt ritrasse le mani e le guardò come se non fossero sue.

«Quindi belli, non indifferenti.» Ora però se ne stava approfittando.

«Sì, notte.» sbuffò Matthew, infilandosi sotto le coperte velocissimo e mettendosi a pancia in giù con la testa sotto il cuscino.
Dom accettò che il piccolo struzzo preferisse dormire e lo imitò, mentre la sua autostima si gongolava. Matt impose al suo cervello di spegnersi.


Il campanello di casa suonò insistentemente finché Matt si decise ad alzarsi. Dom dormiva come un sasso, non si sarebbe svegliato manco se alla porta ci fosse stato un alieno.
«Chi è?» sbottò Matt, aprendo la porta.
Chris allargò le braccia per stringerlo a sé.

«Matthew!» esclamò, tirandogli una pacca sulla schiena. Matt si chiese se non ci fosse un altro simpatico adesivo.

«Ehi, come ci hai trovati?» chiese, facendolo entrare.

«Non me ne parlare. Sono meglio di un detective! Ho rintracciato la lista che vi aveva dato Tom e passato la mattinata a setacciare le varie case. Infine, eccomi qui!»

«Scusaci, è che ieri è stato un inferno, sai, una commissione via l'altra...» disse Matt, spiacente per avere fatto sprecare tutto quel tempo al bassista.

«Tranquillo. Piuttosto, state bene?»

«Sì, un po' stanchi. Dom è a letto. Ah, ovviamente qui tu e la tua ragazza siete di casa, eh!»
Chris sorrise e annuì.

«Grazie, ci passeremo spesso allora. A letto? Voglio svegliarlo.»

«Fai pure, è la camera dritto a sinistra. Io mi scaldo un tè.»
Solo andando in cucina si accorse che non c'era niente di commestibile. Bevve un bicchiere d'acqua.

Chris entrò nella stanza e la osservò da cima a fondo. Non si stupì di trovarla arredata con un matrimoniale. Questo non faceva che fomentare i suoi dubbi, ormai lampanti certezze. Vide Dom addormentato con un'aria serena. Istintivamente, era timoroso ad avvicinarsi a quel letto stropicciato. Anche perché la parte di busto di Dom che usciva dalle lenzuola era nuda.

«Dommeh, sveglia!» disse, tirandogli un pizzicotto sulla schiena.
Dom si mosse. Sbadigliò e si strofinò gli occhi.

«Chris?» chiese con voce rauca.

«In persona! Vi ho trovati. Cosa ne dici di alzarti? Vi devo parlare di una cosa importante.»


«A Milano?» domandarono all'unisono Matt e Dom, seduti al tavolo della cucina con Chris.

«Proprio così. Facciamo un concerto improvvisato e diffondiamo voce del nuovo album. Ci state?» confermò il bassista, molto entusiasta di quel programma.

«'sta sera? Vuol dire che dovremmo partire tra pochissimo!» constatò Matt.

«Esatto! Forza ragazzi, siamo fermi da un po'. Dicono che ci sarà il pienone!»
La proposta non era male, ma avevano appena traslocato, dovevano svolgere ancora decine di commissioni. Nessuno dei due voleva deludere Chris, ma nessuno dei due voleva neppure suonare così all'improvviso, e per di più in un altro Paese.

«Vi prego, impazzisco dalla voglia!» insistette il bassista.

«E va bene, facciamoci questa tirata!» decise Dom, anche curioso di vedere la città della moda.

«Andiamo a prepararci.»



Noi non lo sappiamo, ed è giusto così, ma a volte, scelte prese con tanta leggerezza, in una cucina fra amici, cambiano l'intero nostro destino. Forse è proprio questo il bello della vita. La sua imprevedibile cattiveria.

Durante il viaggio in aereo, misero a punto la scaletta. Di suonare nuovi pezzi non se ne parlava, ma si poteva rimaneggiare qualche cover. Nello show comunque non c'erano solo loro, ma altri due gruppi americani. La cosa li sollevò e decisero anche di concedere qualche intervista a riviste locali. Magari avrebbero potuto organizzare un servizio fotografico con Tom. Tutto da vedere.
Arrivarono giusto in tempo per eseguire una trafila di compiti senza fretta: una signin' session, un paio di domande, una sistematina dai truccatori e via sul palco. Usarono strumenti non di loro proprietà, ma prestanti.
Matt, mentre suonava, vide nel pubblico un ragazzo dai capelli rosso fuoco e si appuntò mentalmente di proporlo al suo parrucchiere, magari una tinta così particolare sarebbe stata simpatica. Comunque, il pensiero di tingersi gli ronzava in mente già da anni.

Si dice che quando due persone sono legate fortemente, da amicizia o amore che sia, se sta per accadere qualcosa di brutto a una delle due o qualcosa che inevitabilmente rovinerà, cambierà il rapporto, l'altra lo capta. Infatti, nel momento in cui entrarono in quel bar di Milano, Dom sentì una fortissima fitta alle tempie. Per poco non cadde, e Chris gli chiese se stesse bene e non volesse una mano. La fitta passò velocemente, ma Dom rimase stordito per qualche minuto. Dopo, si sedettero ad un tavolo, in attesa di altri amici. Mentre discorrevano dell'esito dello spettacolo, si avvicinò il gruppo mancante di persone. E fra quelle, una ragazza dai capelli castani e la pelle leggermente abbronzata, sorrise graziosamente.
Alcuni si presentarono, altri pensarono ad ordinare birra a volontà. Nella confusione, la ragazza castana finì col sedersi affianco a Matt, il quale era a sua volta affianco a Dom. Il cantante ne osservò subito la bellezza delicata; era vestita elegantemente e i suoi modi parevano raffinati.

«Voi due non vi conoscete! Presentatevi!» disse un amico del gruppo, tirando una spallata alla ragazza e facendola sbattere contro Matt.

«Gaia, piacere» disse lei, porgendogli una mano sottile.
Lui la strinse e rispose: «Matthew, piacere mio.»
Lei allungò la mano anche in direzione di Dom, il quale si presentò: «Dominic.»

Il resto della serata passò in modo prevedibile. Gaia e Matthew a parlare, Dom a chiedersi a cosa fosse dovuta l'emicrania, Chris a bere birra e sghignazzare con gli altri. Al momento di andarsene, quando ormai l'orologio batteva le 2.30 del mattino, la folla si disperse, ma Gaia rimase. Matthew le chiese dove abitasse e lei rispose a Como, lì vicino.

«Matt, torniamo a casa?» domandò Dom, che al solo pensiero di distendersi in aereo si sentiva meglio.

«E tu?» slittò la domanda Matt, in direzione della ragazza.

«Prendo un taxi, non c'è problema.»
Dom era pronto a dirle addio, ma Matt si sentì scortese. La trovava carina e simpatica, perché abbandonarla nel cuore della notte?

«Ti accompagno» disse, con conseguente reazione positiva in lei.

«E l'aereo?» protestò Dom.

«Domani.»
Dom fece segno di no: lui voleva andarsene da quel posto dove non capiva un'acca e decise che, con o senza Matt, sarebbe volato a Londra.
Senza, visto che il cantante salì su un taxi bianco con Ghe...Dom faceva fatica anche a pronunciare quel nome orribile. Troppe vocali, mal sistemate. Era cacofonico.

«Al diavolo!» sussurrò, girando sulle suole per andarsene all'aeroporto.


Le cose andarono peggio di quanto potesse prevedere. Passò una settimana di completa solitudine, senza un segno di vita da parte di nessuno. Dom usciva solo per comprare qualcosa da mangiare, poi rientrava, controllando che nella cassetta della posta non ci fosse un suo messaggio oppure la cornetta del telefono non suonasse. Era quasi paranoico. Ma, d'altronde, come avrebbe potuto non esserlo? L'unico modo per avere notizie di Matt era aspettare che fosse lui a farsi vivo, oppure prendere un aereo per l'Italia. Che poi manco era sicuro che fosse ancora in Italia. Nella migliore delle ipotesi non era più laggiù. Ma se non era laggiù e non era a Londra...dove altro?
Dom si sentiva impazzire. Passava ore a guardare giù dal balcone o a distrarsi con la tv. Finiva sempre per tamburellare qualche canzone piena di ansia e domandarsi cosa avesse fatto di male per meritarsi quel crudele destino. Mangiava gelato ricoperto di nutella e fingeva di fregarsene del fatto che quella robaccia gli sarebbe finita dritta nel giro vita o in qualche brufolo sottopelle. Tanto, quando tocchi il fondo non c'è molto altro.
Talvolta passava attimi allegri; ripensava all'episodio dei pettorali e decideva di non mentire a se stesso, confessandosi quanto gli era piaciuta la situazione. Le mani affusolate di Matt costituivano un vero e proprio sogno. Veloci e trasparenti se guardate in controluce, chissà quali giochi di piacere erano capaci di creare... ma i ricordi perdevano consistenza via via che l'orologio batteva i minuti.
Si era scordato che Matt provava per lui lo stesso sentimento speciale. Per questo fu esageratamente felice, quando il settimo giorno il campanello gli annunciò il ritorno dell'amico.
«Dommie!» sussurrò il moro, abbracciandolo sull'uscio.

«Dove sei stato?» chiese col fiato mozzo Dom, lasciandosi coccolare da quell'abbraccio.

«Ora ti racconto.»
Si sedettero sul divano e Matt riordinò le idee.

«Innanzi tutto, scusa per questa assenza ingiustificata» esordì, con tono dispiaciuto. Dom alzò le spalle e rispose:

«Ehi, non sono tua madre o tua moglie, puoi sparire quanto vuoi, non ti scusare.» Era una mezza bugia e una mezza verità: la bugia era che poteva sparire quanto volesse, la verità che non doveva scusarsi.

«Okay. Allora, ricordi Gaia?» il tono dispiaciuto era diventato un tono piuttosto arzillo.

«Mmm»

«Ecco, sono stato da lei!»

Dom si mise una mano sul mento e lo grattò. Doveva radersi, gli pungevano i peli incolti.

«Però, te la sei scopata per una settimana. Complimenti!» disse infine, prendendo dalla tasca della tuta che indossava sigaretta ed accendino.

«No, ma cosa dici! Ti è sembrata una prostituta?» Matt era sconvolto. Una reazione così violenta non se la sarebbe mai aspettata.

«Beh, cos'altro avrai mai fatto a casa sua?» Accese la Malboro e ne aspirò un tiro.

«Tutt'altro! Non siamo neanche fidanzati, non ancora. Ci frequentiamo. Sai quello che fanno due persone che si trovano interessanti, girando per città e chiacchierando?»

Dom mandò giù un altro tiro e sentì quel sapore graffiante che gli impregnava le papille gustative. Era sempre dura sapere queste notizie, ma quella volta gli occhi di Matt erano seri. Poteva davvero essere l'inizio di una relazione duratura e chissà, redditizia.

«Vi frequentate, ho capito. E ora, che farai?»

«Dunque, lei sa del gruppo e della mia casa qui, perciò mi dividerò. Quando suoniamo sto con voi, nel tempo libero sto con lei, tanto gli aerei ci sono, giusto?»
Dom annuì, mentre il fumo gli usciva dalle narici e saliva lungo il volto.

«È una brava ragazza. Oltre che bella, è intelligente, si sta laureando. Ho anche giocato a golf col padre, un tipo benestante che l'ha tirata su a regola d'arte. Poi l'Italia mi è sempre piaciuta» proseguì, stranamente loquace Matt. Era come se volesse auto-convincersi di fare la cosa corretta e quindi enfatizzasse cose insignificanti di per sé. «E tu, Dom? Quando te ne trovi una fissa?»
Dominic tossì. Aveva inspirato troppo velocemente e il fumo gli era andato di traverso.

«Quando smetterò di fumare» rispose gelido, alzandosi per andarsene.
Matt afferrò il concetto: equivaleva ad un mai, categorico, definitivo. Lo seguì con gli occhi chiudersi in bagno. Sapeva che avrebbe fatto qualche cosa sbagliata, come radersi e tagliarsi volontariamente o rollare una canna e fumarla senza filtro. Ma non spettava a lui fermarlo; Dom doveva imparare e soprattutto, smuoversi da quel punto morto che costituiva la sua vita sentimentale.

Matt prese carta e penna. Una nuova ispirazione prendeva vita nei fondali turbolenti della sua anima. Era una canzone, la sentiva pulsare come una lacrima. Sarebbe stata una canzone triste. Una canzone per Dom. E avrebbe fatto uso di tutti quegli pseudonimi tanto cari, come il "tu" generico e aggettivi asessuati.
"You make me sick, because I love adore you so...I love all the dirty tricks, twisted games you play on me.
(Rit.)
You'll make us want to die. I'd cut your name in my soul heart, we'll destroy this world for you! I know you want me to feel your pain!"
In questo caso riuscì a modellare le parole affinché il risultato finale fosse un misto delle sensazioni sue e di quelle che immaginava fossero di Dom. Dom era "sick" e Dom aveva intagliato nel cuore il suo nome, ma era Matt ad adorarlo, con tutti i suoi dubbi giochini e quel suo terrore segreto. Ci mise un'ora per completarla, agganciandoci frasi che avrebbero sviato il vero significato.
Sarebbe andato subito in sala prove a provarla sul pianoforte, ma prima decise di dirlo a Dom. Trovò la porta del bagno aperta e la stanza vuota. Che fosse uscito? Lui quando componeva non si accorgeva più di nulla.
Andò in camera e vide la porta-finestra aperta. La tenda bianca danzava smossa dal venticello che entrava. Dom era sul balcone, appoggiato alla ringhiera fredda. Sentì l'arrivo di Matt non grazie ai passi leggeri di calzini, ma tramite il suo odore inconfondibile, che sapeva di...di troppe cose per essere afferrate singolarmente. Era semplicemente la sua essenza personale. E Dom la trovava migliore di tutti quei costosi profumi che comprava per mascherarla.

«Dom,» un tuono squarciò il silenzio e il cielo ormai bruno cominciò a sciogliersi in pioggia «Dom, io...» s'interruppe Matt, appoggiandosi anch'egli alla ringhiera. I loro occhi guardavano lontani, immersi in quel grigio uniforme.
Le prime gocce caddero storte, verso di loro, appuntite come spilli. Altri tuoni brontolarono attorno e la pioggia divenne più fitta, ma meno tagliente.
Avevano ormai i volti madidi di acqua, quando Dom si rimise dritto e si voltò verso Matt, a 30cm da lui.

«Tu?» chiese, per riprendere il discorso interrotto.
Matt si raddrizzò e girò, diminuendo ancora la distanza fra di loro. I loro profili gocciolanti si avvicinarono, riconoscendosi come due cani che si fiutano.

«Io...» e quante cose avrebbe voluto dire. -Io ti amo, tanto per iniziare. Ma era troppo, riuscire a pronunciare quelle parole erano una battaglia persa in partenza. I suoi occhi azzurri si socchiusero un attimo, sotto il peso delle gocce rotonde che imperlavano le ciglia lunghe. Tornarono a fissare quelli verdastri di Dom, così belli e contornati di scintille.

«Io vado a provare una nuova canzone.»
Dom avanzò ancora. Le punte dei loro nasi ormai si sfioravano. Un lampo lanciò un tale bagliore che i loro volti s'illuminarono a giorno e l'emozione che avevano dipinta in faccia si fece chiara come l'aurora.

«Ah. È per Gaia?» domandò, subito seguito da un tuono ruggente. L'acqua s'infittì, provocava un fracasso fastidioso. Ormai i loro capelli erano incollati ai volti e i vestiti grondavano.

«No» disse fermamente Matt, «è per te.»
Dominic appoggiò la fronte contro quella di Matthew e loro nasi si affiancarono, così che le labbra dell'uno potessero quasi percepire il tremore di quelle dell'altro.

«È per te, come tutte le altre canzoni!» Singhiozzò infine il cantante, sentendo anni di repressione sciogliersi in una manciata di stupide lacrime.
Dom non lo lasciò cadere; gli chiuse le braccia attorno al collo e lo strinse a sé. Matt rimase inerme, incapace di reagire, tentando solo di non piangere. Dopo qualche minuto, Dom allentò la presa.

Dom gli posò, con la delicatezza di un petalo, le labbra sulla guancia sinistra. Fu Matt a spostarsi lentamente, fino a farle scorrere più in basso, verso le sue. La pioggia divenne un muro d'acqua, quasi fosse lì per proteggerli dagli occhi indiscreti del mondo e suggerire loro di continuare, di non temere. I vestiti erano ridotti a veli trasparenti, soprattutto le t-shirt bianche che indossavano, aderenti al busto.
La carne bagnata delle due bocche vicinissime rasentò indecisa; respiravano attraverso il naso, e l'aria calda usciva veloce dalle narici, scontrandosi sulle guance molli d'acqua.
La seconda volta sarebbe stata quella buona, per baciarsi?
Le labbra si sfiorarono ancora, mentre una goccia le univa debolmente come una colla troppo fluida. I polpastrelli rigati di Dom combaciarono con quelli di Matt, mentre le mani si stringevano ai loro fianchi.

Ma l'attimo fugge all'uomo, per quanto gli si ripeta di coglierlo.

Il temporale perse d'intensità e così, anche il loro coraggio si stemperò in nulla. Le teste si spostarono, Matt finì col baciare l'orecchio di Dom, il quale chinò il capo. Schioccò un bacio e lambì il lobo morbido, lasciando che la lingua sostituisse la pioggia con la saliva. Dom chiuse gli occhi. Dentro di lui, il piacere gli scuoteva le membra. Lo sentiva indurirsi fra le gambe, ma si sarebbe ingannato se avesse creduto che quello di Matt fosse meno turgido.
«Andrò a vivere con lei, prima o poi» sussurrò all'orecchio il moro, mentre quelle parole aguzze penetravano il timpano del biondo.
«Non m'importa.»
«Dovremo rendere pubblica la nostra relazione.»
«Non m'importa.»
«Dovrò dichiarare di scrivere canzoni per lei.»
«Non m'importa.»
«Allora di cosa t'importa?» chiese, distaccandosi. I centimetri tornarono a dividerli invadenti.
«Che tu sappia sempre quale sia la verità.»
«Ci sarai per ricordarmela?»
«Sempre, qualsiasi posto sceglierai che io dovrò avere nella tua vita.»
«Vado a registrare, poi la raggiungo. Passeremo il week-end sul lago.»
«Tu sai dove trovarmi.»
«Dove?»
Dom indicò il cielo, ma intendeva lì, Londra insomma.
«No, Dominic. Tu sei qui.» e gli prese il dito, portandoselo sul pettorale sinistro, sopra il cuore.


L'aereo decollò, cucendo la distanza fra lui e lei, aumentando in modo direttamente proporzionale l'inquietudine in lui e la gioia in lei. Dom andò a letto con un'altra signorina; si chiamava maria e proveniva dalla Jamaica. Era l'unica che, fra le carezze dei suoi artigli affilati e il suo profumo di terre lontane e selvagge, sapeva lenirgli il dolore e ricordargli, con l'affetto di una madre, che lui non era in quella stanza buia. Era nel ritmo suonato dal cuore dell'uomo al quale apparteneva.





Nda: Buonasera, ladies! Che gioia postare il nuovo capitolo. Forse è una gioia solo per me xD Ma fa niente, si sa che le gioie migliori sono quelle consumate in solitudine, vedi la lettura, vedi le ff osè, vedi le cann...ehm, non devo divagare. (Dopo questa, lasciatela morire U_U)
Per via dei miei problemi e della scuola ormai alle porte, temo che andrò per le lunghe. Ormai mi conoscete!
Solite annotazioni:

-Non ricordo se -Space Dementia- fu pensata in questo periodo, ma penso proprio di sì.
-Non so se lui e Gaia si conobbero in questo modo, ma ripeto: molto è frutto della mia fantasia.
-Ho cercato di essere il più carina possibile nel descriverla, ma preparatevi ad insulti improvvisi. (Che farò dire a Dom, ovviamente)
-Penso che andarono a vivere insieme più tardi di un anno, ma mi serviva anticipare.

...Finalmente un po' di BellDom, visto? Comunque consiglio a tutti le foto al ristorante e il video del denudamento. Più lampante di così! Ora risposte:

DeathNotegintama: carissima <3 tu lo sai che ogni tua recensione è speciale per me, vero? Ogni complimento o commento che fai è così giusto. Spero di averti sempre qui su Special Needs! Comunque sì, io penso che il BellDom secs sia una cosa recente.

Lilla Wright: che rivelazione! Ma piacere, che bello vederti fra i lettori. Ma chi ti diceva degli aggiornamenti? Forse ci conosciamo su Facebook? :D Sarebbe una grande scoperta. Beh, che dire... io scrivo così, se poi tu mi dici che scrivo bene, mi fai tanto piacere. Leggo molto e sono selettiva, ecco tutto. Bona la nutella :P

Patri: Ciao cara! Appena posso recensisco la tua che mi è sfuggita di mano. Ti è piaciuto questo? Mia piccola seguace <3

DyingAtheist:  Il tuo nome è una forza. Comunque grazie infinite, sei una dolcezza! Spero di non deluderti ;)

Camy: Che bella recensione *_*  Se dovessi ringraziarti per ogni parola, passerei qui la notte :D Aspetto il tuo parere, mi raccomando non mancare. ^^

Saluto anche gli altri special lettori, esempio: Elleh, Valerika, Moglie etc!


CHEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEERS. STAY BELLDOM.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Nono capitolo: Special Desideres. ***


•SPECIAL NEEDS•

"Carve your name into my arm
Instead of stressed, I lie here charmed,
'Cause there's nothing else to do,
Every me and every you."

[Placebo, Every me, every you.]


 

Nono Capitolo: You wanted for more than i was worth.


(2000-2001.)

Matt uscì dal parrucchiere soddisfatto ed orgoglioso della sua ultima trovata. Si specchiò nel vetro di una vetrina e sorrise davanti al riflesso di quei capelli biondi, sparati per aria e solidi di gel. Erano innaturali e sgargianti, molto appariscenti, quasi fosforescenti, però gli rischiaravano il volto e donavano quasi un aspetto angelico, presto tradito dalla faccia furba e attenta di un diavoletto. Non aveva considerato neanche per caso la possibilità di chieder consiglio a qualcuno; non gli importava per niente dell'opinione altrui, almeno per quanto riguardava il suo look. Comunque era una tinta passeggera; l'avrebbe presto tramutata nel rosso sangue, ma voleva, diciamo, preparare il suo pubblico. Si domandò fin da subito se fosse meglio informare prima Gaia, ormai da qualche settimana la sua fidanzata, oppure Dom. In quell'arco di tempo aveva girato senza meta, mai però facendo tappa a Londra. Di conseguenza, era quasi un mese che non vedeva l'amico; probabilmente si stava dedicando alle registrazioni di batteria, mentre Chris pensava al basso, ma non ne era certo.
Con Gaia, aveva viaggiato per una decina di giorni in Italia. Lei gli aveva mostrato la capitale, che lui reputò fin da subito un vecchio cimelio affascinante, ma sorpassato, e qualche spiaggetta deliziosamente incontaminata, per quanto potesse esserlo in un paese industrializzato. Sul lago si erano dedicati a lunghe passeggiate perditempo e piacevoli dibattiti sui più svariati argomenti; lei aveva una cultura solida e andava tutto a suo vantaggio agli occhi di Matt che, per quanto non laureato, vantava una certa conoscenza, piuttosto approfondita in determinati campi. Lei aveva acquistato Showbiz e lui trovò questo gesto ridicolo; ovviamente il prossimo cd glielo avrebbe regalato e chissà se si poteva far venire in mente altre trovate per rallegrarla. Capitò che ascoltassero le canzoni composte da lui e alcune domande giungevano fastidiose alle sue orecchie, come: "Di chi parli in Unintended?", "A cosa ti riferisci con Escape?", "Cosa intendi con my Cave?".
Lui sviava le conversazioni, farfugliando scuse preconfezionate da quattro soldi davanti a cui lei abbassava gli occhi demotivata. Spesso si sforzava di essere stupida, pur di accecarsi e non vedere lampanti ovvietà.
D'altro canto, mentirle era sicuramente meglio di ammettere che "Unintended" descriveva Dom confrontato con la sua ex, "Escape" rimproverava sua la codardia, la sua tendenza a fuggire dalle situazioni scomode e un'incompatibilità che aveva sempre riscontrato con tutti tranne che con Dom, e "Cave" consisteva nell'immaginarsi... cose poco ortodosse da esplicitare, soprattutto alla sua fidanzata.

In ogni caso, il problema di Matt era: prima lei o lui? Si trovava per puro caso a metà strada, zona Parigi. Era andato da solo poiché aveva sempre sostenuto che le scelte più importanti vanno prese da soli. Quindi, ora si scervellava circa la priorità che potessero avere Gaia o Dom nello scoprire quel biondo ossigenato che gli brillava in testa. Sapeva che Dom gli avrebbe solo fatto complimenti, mentre Gaia forse avrebbe disapprovato un cambiamento così radicale, però non gli importava né di critiche né di complimenti. La realtà era che un grande senso di colpa lo perseguitava nel pensare che era un mese che tralasciava Dom, che non sentiva il suo profumo delicato mentre si avvicinava o non vedeva i suoi occhi grigi, i più sinceri del mondo, limpidi come un faro nella notte. Per questo respingeva l'idea di raggiungerlo, ma, appena presa la decisione, un senso di sconforto s'impossessava di lui e gli impediva anche di andare da Gaia.
Non si vergognava di avere compiuto gesti preoccupanti, negli ultimi tempi. Spesso capitava che prendesse un telefono, componesse il numero di casa sua e di Dom a Londra, poi, appena l'amico rispondeva, lui riattaccava. Gli bastava udire quel "pronto?" per dedurne l'umore di Dom; se addirittura si percepiva un respiro o un lontano rumore, allora Matt si poteva dire compiaciuto. Dom, comunque, capì chi fosse l'autore di quelle telefonate mute. Lo capì per caso, quando, prima che riattaccasse, si sentì una musica, un concerto di Chopin, in sottofondo. Infatti una volta osò aggiungere:
Matt, sei tu? Però, non ricevendo risposta, aveva abbandonato l'impresa, arrendendosi a rispondere, dire "pronto?" e sentire, impotente, chiudere la chiamata.
D'altronde era Matt ad avere in mano le redini del loro rapporto; era sempre stato così e, per quanto fosse più piccolo di quasi un anno, più insicuro, instabile, problematico, così sarebbe sempre stato. Ma a Dom piaceva, in modo masochista, venir sottomesso e arrendersi dolcemente ai capricci e agli sbalzi di Matt. Con il passare del tempo, aveva imparato a vivere con la stessa filosofia che adotta un cane nei confronti del padrone; l'unica differenza consisteva nel fatto che, fortunatamente, per uno strano meccanismo incontrollabile, il padrone non fosse questo gran despota, visto che soffriva delle sue stesse cattiverie e sentiva, ogni giorno di più, la schiavitù invertirsi e trascinarlo verso un rapporto morboso col suo sottoposto.

Una sera, dopo aver salutato Gaia ed essere andato a dormire in hotel, particolare si era spaventato perché, nell'atto della masturbazione, cosa che compieva senza ossessioni, ma come un normale suo coetaneo di tanto in tanto, gli era sopraggiunta l'immagine di Dom e l'effetto era stato positivo, oltre che immediato. Al momento non se n'era accorto, ma ripensandoci a freddo si pose molte domande. Non aveva mai fantasticato su un rapporto sessuale con un uomo e la cosa lo faceva indietreggiare, tuttavia... se, onestamente, prendeva in considerazione che la sola idea abbinata a Dom lo aveva fatto eccitare moltissimo, quasi in modo reale, un paio di domande erano d'obbligo alla sua coscienza.
Non se lo seppe spiegare, anzi, ragionandosi sopra la cosa perdeva d'importanza.
Altro discorso valeva per Dom, il quale ormai aveva accettato da anni il suo desiderio implacabile; lui voleva molto bene a Matt, lo amava nel senso puro del verbo, ma, detto in totale sincerità, anche il risvolto fisico della questione gli allettava i sensi. Era umano e la carne ha le sue debolezze da dover assecondare. Aveva sempre represso queste voglie, cercando di limitarle a sguardi famelici lanciati ad insaputa dell'amico o abbracci un po' troppo lunghi e stretti, però era ormai un uomo e gli pesava dover negare queste sensazioni a priori, senza neanche sapere se avessero potuto essere sfogate.

Durante il mese d'assenza di Matt, aveva dato in escandescenza. Oltre ad aver ripercorso mentalmente il pomeriggio sul balcone sotto la pioggia migliaia di volte, si era costruito film romantici, tristi, erotici, malinconici, di ogni genere su Matt. A volte li appuntava, oppure tentava di inscenarli con qualche donna di passaggio. Inutile; si sentiva quasi pericoloso. Non avrebbe più sopportato, per esempio, di condividere lo stesso letto, se mai fosse ricapitato, senza avere la possibilità di toccarlo. Più ci neghiamo qualcosa, più lo desideriamo. Considerate dove potevano portare quasi 7 anni di repressione...

«Gaia?» chiese Matt, alla cornetta di un telefono pubblico.

«Amore, sei tu?» rispose la donna, dalla sala di casa sua.

«Sì, e sono a Londra. Passo il fine settimana coi ragazzi, ti spiace?»

«No, tranquillo, anche io ho da fare. Chiamami tu, d'accordo?»

«Okay, un bacio.»

Matt camminava verso casa con fare spavaldo; aveva preso la decisione migliore, anzi, sperava che Gaia non li avesse mai visti quei capelli. Invece Dom se li meritava. E magari avrebbe alleggerito la tensione di chi, ripresentatosi dopo un mese, stava suonando al campanello come un estraneo, nascondendo in tasca un piccolo pensierino.
Dom era appena uscito dalla doccia. Vagava, in cerca dei vestiti puliti, con addosso l'accappatoio. In quei trenta giorni non aveva combinato granché; qualche registrazione, nuova conoscenza, uscita con Joe e Adie. Il campanello suonò con quell'insistenza riconoscibile e il cuore si risvegliò dal torpore, balzò in gola come ai vecchi tempi, quando Matt gli citofonava a casa Howard e lui usava correre alla finestra per vedere da lontano l'amico.

«Chi è?» domandò stupito, mentre dall'occhiolino si vedeva una macchia gialla.

«Sono io.»

La porta s'aprì e finalmente i loro occhi si rincontrarono; avvenne il solito tuffo del blu nel grigio e poi il buio, la vertigine, il vuoto.

«Vieni qui» disse con un fil di voce Dom, gettandogli le braccia al collo.
Matt si abbandonò a quella stretta che non si aspettava; se fosse stato al posto di Dom, avrebbe prima chiesto spiegazioni e infierito fino ad ottenere le giuste scuse. Invece il bello di Dom era che sorvolava tutti questi preamboli. Giungeva alle cose importanti senza pensarci, e in un abbraccio sembrava che il male del mondo potesse passare come un temporale estivo.

«Dominic...» sussurrò, affondando il volto fra i capelli profumati ed umidi dell'amico.
Adorava l'odore del suo doccia-schiuma. Sapeva di bosco di montagna, era intenso e maschile, ma davvero buonissimo. Ne annusò fino a sazietà, se poteva essere mai sazio, e strinse fra le mani fredde la stoffa spugnosa dell'accappatoio.
Dom invece faceva scorrere le braccia lungo la schiena di Matt, come per scaldarlo. Tastava ossa e una pelle troppo sottile sotto la stoffa della maglietta; l'istinto di proteggere quel corpicino, d'altronde, non era una scoperta. Ebbe la dannata voglia di lasciar cadere una mano più sotto, giusto sopra a quel rigonfiamento rotondeggiante sotto i jeans, un posteriore che aveva tutta l'aria di essere sodo e piacevole al tatto.
S'immaginò cosa sarebbe accaduto. Una tragedia greca, probabilmente, una cascata di insulti e qualche occhiataccia. Accantonò la voglia in quel reparto vastissimo chiamato "Matthew", ormai una prigione di desideri e parole mai dette.

«Ma quanto sei bello con questi capelli biondo platino!» esclamò, appena si sciolse la stretta e Matt entrò in casa, chiudendosi la porta dietro.
Il chitarrista si girò sorridente e alzò le spalle inavvertitamente, bambino felice che non era altro di quel complimento.

«Giuro, sei molto bello, inoltre ti dànno un'aria così... birichina!» continuò, puntandosi le mani sui fianchi, per avere l'aspetto di un critico d'arte, nonostante l'accappatoio e le ciabatte lo tradissero.

«Birichina? Ho ottenuto l'effetto contrario!» rispose, ancora convinto che sembrasse più angelo che diavolo.

«No, allora hai sbagliato colore. Ti consiglio di vestirti di rosso, saresti un vero fig...voglio dire, saresti carino proprio» corresse all'ultimo momento quel complimento un po' spinto, più adatto per una ragazza.

«Mi vestirò di rosso, così la mia ragazza s'ingelosirà di tutte le fan!»

«La tua ragazza? Sai, in un mese di assenza, si rimane indietro con le news...» e per la prima volta da quando si erano rivisti, sul volto di Dom affiorò tutta la tristezza che aveva soffocato per settimane.

«T-ti capisco, è che», ma venne interrotto da Dom.

«No, tu non capisci. Non immagini nemmeno» disse, voltandogli le spalle e avviandosi verso il divano.

«Aspetta, io, ecco» abbozzò Matt, rincorrendolo.

Dom si sedette sul sofà e Matt al suo fianco. Il vero biondo, incurante della propria nudità appena celata dall'accappatoio, appoggiò la schiena ad un bracciolo e divaricò le gambe con fare scocciato. Matt invece si sedette nervosissimo, gambe accavallate e mani strette in gesto di preghiera.

«Ti prego, io ho perso il controllo e...» disse, sentendosi davvero uno stronzo (riporto la parola che pensava fortemente Dom, mentre lo guardava con occhi trapassanti).

«Non raccontare balle, me ne accorgo.» E si sporse per prendere dal tavolino lì davanti un pacchetto di Malboro rosse, da cui ne estrasse una.

«Sì e chi vuole mentirti!» squittì preoccupato Matt, che sperava la situazione fosse meno grave.

«Ah, non so, tu! Ormai stai diventando bravo, credo.» Accese la sigaretta e se la portò alla bocca un paio di volte, cercando col fumo di calmare quella tentazione costante di prenderlo a schiaffi.

«Ora non esagerare. Sono sempre Matty, ricordalo.»

«Un Matty sempre più carino e famoso può cambiare.»

«Ma tu mi avevi promesso che Dommeh avrebbe accettato qualunque cosa, se non erro.»

«Vero, per questo ora sei qui e non fuori dalla porta.» Un soffio di fumo finì dritto sulla faccia di Matt, il quale lo spazzò via agitando la mano.

«Okay, ti spiego. In questo mese sono stato con Gaia» -Benissimo! pensò Dom. «E ho girato l'Italia, poi l'Europa con lei. Non abbiamo ufficializzato niente però, solo una cenetta romantica sul lago.»

«Risparmiami i particolari sul dopo cenetta, grazie» sbottò Dom, azzannando il filtro della sigaretta.

«Ovvio. Però ora dovremmo anche registrare e riprendere a suonare dal vivo, quindi eccomi tornato.»

«Ma la casa con lei o cose del genere?»

«No, non se ne parla per ora. Ci seguirà in tour, sicuro, ma non so assicurare altro. Tu?» e non poteva esserci domanda peggiore.

«Come vedi, fumo ancora.» E tirò particolarmente forte dalla sigaretta ardente.

«Ah, deduco quindi solo scappatelle.»

«Esatto.»

Il silenzio occupò un minuto intero e l'interrogatorio morì lì. La scena patetica in cui ognuno confessava le proprie colpe era terminata. Poteva tornare la leggerezza. Dom fece canestro col mozzicone nel portacenere. Si allungò sul divano, toccando con i piedi nudi le gambe di Matt.

«Ho un sonno!» ammise, massaggiandosi le tempie.

«Problemi d'insonnia?»

«Quando non sai dov'è la persona a cui tieni più al mondo, il letto è di fiamme e fuoco» disse, distendendo anche le gambe, che s'intrufolarono nello spazio fra la schiena di Matt e la fine del divano.
L'accappatoio era aperto sul petto, stretto in vita e poi ancora sulle gambe, coprendogli a mala pena la parte più intima. Matt fece scivolare gli occhi lungo quel metro e settanta di corpo e pensò a cosa sarebbe accaduto se in quella situazione ci si fosse trovato con Gaia.

«Io avrei portato una cosa...» sussurrò, portandosi una mano dentro alla tasca destra.
Dom, occhi chiusi, annuì distratto.

«...una cosa da Amsterdam.»

«Siete andati ad Amsterdam?» domandò il batterista, incuriosito.

«Una tappa veloce. Lei per qualche museo, io per altro.»

«Hai i funghi?» chiese Dom, quasi deciso a mettersi seduto.

«No, questa volta no. Ma io me li sono fatti tante volte, in hotel, a insaputa sua.»

«Cosa? Matt, diamine, è pericoloso!» disse, tirandogli un calcetto. Si ricordava ancora della prima, terribile esperienza.

«Lo so, tranquillo, ne prendevo piccole dosi. Una volta, visto che l'effetto ritardava, ho fumato marijuana nel frattempo e ho avuto delle visioni incredibili, non le racconto neppure!»

«Il giorno in cui ti suiciderai senza volerlo, ti verrò a raccogliere col cucchiaino. Scemo, imprudente e drogato.» Urlò arrabbiatissimo Dom, scagliandogli un cuscino in faccia.

«Fermati, ti ripeto che sono avvenimenti rari! Vuoi o no sapere cos'ho per te?» chiese, ghignando come un diavolo tentatore.
Dom annuì.

«La white lady.»

«Prego? Non sono pratico del gergo, scusami.»

«Cocaina, Dom» ed estrasse un sacchettino bianco.

«Non se ne parla nemmeno. Buttala nel cesso.»

«Cosa? Sapessi quello che mi è costata. È roba buona, ben tagliata.»

«Non mi interessa. Buttala prima che lo faccia io» gridò, indicando la direzione verso il bagno.

Matt scosse la testa, senza capirlo. Pensava che avrebbe accettato una botta di vita. Alla fine non gli aveva proposto l'eroina, era solo una dose ridotta di cocaina. I suoi effetti non causano dipendenze, men che meno la prima volta. Inoltre la usa chiunque, dal politico all'attricetta.

«Sentimi, Matthew James Bellamy. Io sono d'accordo sul fumarci una canna, sul bere fino a diventare ubriachi, anche su qualche pasticca magica presa una volta nella vita, se ti piace tanto. Ma niente funghi, acidi, cocaina o loro cugini di secondo grado. Non ti voglio vedere ridotto ad un Jim Morrison e non tollererò un lento suicidio alla Kurt Cobain. Altrimenti ti dico addio e la finiamo qui, vediamo se sa fare di meglio la tua Courtney Love.»
Le ultime parole le disse sempre più basse, fino a ridurle ad un sussurro dettato dal profondo del cuore.

Matt, per amore dell'amico, si alzò. Andò in bagno, svuotò il sacchettino nel water e tirò l'acqua fino a che ogni granello scomparve. Gettò il sacchetto nel cestino della cucina e tornò sul divano.

«Hai visto che bravo?» domandò, mentre però quel gesto gli era costato una fatica immensa. Avrebbe voluto sniffarsi quella polvere fino a bruciarsi le narici.

«Sì, ma si vede che lo hai fatto contro voglia. Non importa; ti preferisco svogliato che drogato.»
Matt, senza pensarci due volte, gli si lanciò sopra. Si distese interamente, fino a ricoprirlo col suo corpo dalla testa ai piedi. Probabilmente, se gli aveste chiesto "Perché?" lui vi avrebbe risposto: "Questo ragazzo mi vuole troppo bene" e poi si sarebbe messo a piangere, come faceva ogni volta che capiva di essere amato per quello che era.
Strinse fra le mani il suo collo e lo baciò alla cieca, sulle orecchie e fra i capelli. Dom rispose chiudendogli le braccia attorno alla vita, mentre tremava ad ogni carezza di quelle labbra rosse.

«Ho bisogno di te,» bisbigliò Matthew, lasciando che la sua bocca baciasse dove capitava, senza più controllarla, «di te che sei speciale.»

«Anche io, ho bisogno di te, da morire» sussurrò Dom, prendendo per la prima volta iniziativa.

Mentre con un braccio ancora gli cingeva la vita, alzò l'altro e appoggiò il palmo sulla nuca di Matthew. Si abbassò leggermente e finalmente baciò il collo caldo dell'amico; Matt vibrò come una corda di chitarra al tocco del maestro.
Le labbra di Dom si socchiusero e la lingua, bollente, premette dura contro quella parete venosa. Matt si morsicò pur di non emettere nessun suono da quella bocca che avrebbe voluto gemere di piacere. Dom, con una mano gli strinse i capelli all'attaccatura, con l'altra gli sfiorò il posteriore, timidamente. Il pianista non si mosse, sentendosi un giocattolo nelle mani di un giocatore esperto. Allora il batterista toccò la stoffa dei jeans con più forza, come per avvicinarsela, e, involontariamente, inarcò la schiena per far aderire le due erezioni.

Quel gesto gli costò la fine dell'incantesimo. Matthew, non appena sentì le proprie parti intime, indurite a dismisura, premere contro quelle, praticamente nude, di Dominic, si spaventò moltissimo. Terminò la fase rem, nella quale il cervello spento aveva liberato i sogni proibiti, e tornò l'intransigente razionalità a comandare. Il chitarrista si scaraventò per terra, sbattendo la testa contro pavimento gelido. Dom, non capendo assolutamente nulla, si coprì solo quella sporgenza fra le gambe.

«Ahi!» gridò Matt, controllandosi la punta del gomito che aveva particolarmente assorbito il colpo.
Aveva ancora la calda saliva di Dom sul collo e quel maledetto profumo sulle mani, nelle narici, nella testa. Gli sembrava ancora di percepire il tocco della sua mano sul posteriore e cercò di scacciare quell'illusione.

«Matthew, stai bene?» e si mise seduto.

«Sì, sì» farfugliò Matt, tentando di rialzarsi.

«Cosa...» domandò Dom, mettendosi in piedi, un po' instabile.

«Non chiedermi nulla,» tagliò corto Matt, dirigendosi verso camera da letto, «sarebbe stato meglio sniffare.»
Chiuse la porta a chiave. Una piangente tristezza si sollevò nell'aria, lamentosa come un airone morente...


Il concerto di Eurockeennes si svolse grandiosamente. All'aperto, davanti ad una moltitudine di fan, sotto un cielo azzurro splendido; la scaletta era quella classica di Showbiz più estratti nuovi, ma fu eseguita con grande maestria.
Matthew indossava occhiali dalla lente rossa, rossa come la camicia; Chris si era un po' trascurato, preso via dalla donna che amava, sfoggiando un look molto grunge; Dom, dietro la batteria, batteva energico, scuotendo il capo leggermente tendente al bordeaux.
Il carisma di Matt mandava semplicemente in visibilio la folla; ma sapevano che dietro alle quinte lo aspettava la sua ragazza? Probabilmente era meglio non dirlo alle tante ragazze che si agitavano nelle prime file, innamorate di quei tre uomini impossibili. Dom era aveva sicuramente molto successo e un gran numero di donne a disposizione, però non ne trovava una che lo convincesse abbastanza. Diciamo pure una che riuscisse a togliergli dalla mente qualcun altro.
L'unica "donna" della sua vita sarebbe stata la batteria, se lo sentiva ormai da qualche anno.

Dopo lo show, Gaia corse ad abbracciare il suo eroe e lui ricambiò allegramente, pienamente soddisfatto della sua performance.
«Sei stato bravissimo...tutti e tre lo siete stati!» esclamò lei, appena li raggiunsero Dom e Chris.

«Grazie, qual è il tuo pezzo preferito?» le domandò Chris, mentre Dom non sprecava nemmeno il tempo di risponderle.

«Scelta ardua, ma penso che Sober sia stata eseguita meglio che in studio!»

«Non esagerare» la corresse Matt, cingendole la vita.

«Andiamo a festeggiare?» proposte poi la donna di Chris, appena arrivata.

«Ottima idea!» rispose Gaia, mentre Matt e Chris approvavano.

«Sei dei nostri?» chiese il bassista a Dom, il quale si era tenuto in disparte.

«No» disse sbrigativo, già vedendo in lontananza uno sciame di fan in avvicinamento. «Firmo qualche autografo e vado a casa.»

«Ah, te la vuoi spassare con qualche ragazzina, eh?» commentò Chris allora, indicando un gruppetto di bionde.

«Pensala come ti pare» concluse, andandosene a passi svelti e sicuri.
Chris sbuffò. Capiva dalle spalle basse e lo sguardo sbarrato dell'amico quanto stesse male. Se provava a spiegarselo, in un modo o nell'altro dava la colpa a Matt. Perché? Forse perché lo stava guardando andare via in uno strano modo, stringendo Gaia, ma avendo negli occhi una malinconia immensa, come per dire al mondo: «Io ho la fidanzata, vedete? È lui che non riesce a superare il passato...».

-Bugie, Matt vive in una bugia continua. Concluse mentalmente, lanciandogli uno sguardo di rimprovero. Matt capì. Capì che lui sapeva. D'altro canto, era pur sempre il loro migliore ed insostituibile amico Chris.


Il calendario segnava metà Febbraio 2001. Tra cinque mesi sarebbe stato pubblicato il loro secondo album, "Origin of symmetry", ma alcune tracce dovevano ancora essere ultimate. Si erano affidati ancora a Leckie, ma come casa discografica avevano scelto la Mushroom Records. Bliss era la canzone che Matt pensava meglio riuscita. Oltre che dal punto di vista musicale, lui amava quel testo. Ci aveva messo il cuore, il cervello e l'anima: tutto quello che aveva, ma il risultato era stato grandioso, presto la critica lo avrebbe confermato.
Ma non gli importava più di tanto della critica; ciò che più lo rallegrava, era pensare al volto di Dom quando aveva sentito quelle parole per la prima volta. Fin dalla prima riga, "Everything about you is how I wanna be", era stato un colpo. Dom si era messo a sedere nello studio, mentre riascoltavano la registrazione, e, reggendosi il capo fra le mani, tremava impercettibilmente. La consapevolezza di essere lui quel "you" generico cantato da Matt era stravolgente.
Gaia fortunatamente non aveva neppure osato dire: «È per me?». La ragazza nell'udire "Everything about you is so easy to love" era stata sul punto di lasciarlo. Non perché sospettasse chissà cosa, ma non poteva riferirsi a lei dicendo una frase così pesante, che solo a chi Matt conosceva bene e a fondo da anni poteva essere dedicata. Lei non era né omofobica né sciocca, però se realmente avesse capito che Dom c'entrava, si sarebbe spiegata perché il batterista la evitasse tanto e avrebbe lasciato Matt, in quanto che appartenente a qualcun altro.

Dom non sapeva come rispondere a questo genere di dichiarazioni, se così si possono definire quei testi meravigliosamente ermetici e svianti. Sapeva che quello di cui aveva bisogno il loro rapporto era un approccio fisico, ma non sapeva come ottenerlo. C'era troppa teoria in Matt; la pratica scarseggiava e finché così rimaneva, oltre che un senso di frustrazione, sarebbero stati perseguitati da due paroline simpatiche che impediscono alle persone di vivere:
«E se...», seguite da un'infinità di supposizioni.
Sicuramente capitava che si sfiorassero la mano, o il piede, ma non erano all'asilo, dove una margherita ti sa dire se la persona che ami ricambia, loro erano due uomini ormai, per quanto la componente infantile sia incancellabile.
Capitava che ripensassero a quel pomeriggio autunnale in cui si erano abbandonati all'istinto, dopo che Matt aveva gettato la droga; Dom rimpiangeva di non essere stato più determinato.

Una sera, passando per motivi tecnici in Italia, si fermarono a mangiare una pizza. Alla tavolata sedevano i Muse, qualche amico e le fidanzate. Matt e Dom erano l'uno di fronte all'altro e le loro ginocchia quasi combaciavano. Bastava un nonnulla per farli sprofondare nei ricordi. Se Gaia traduceva loro la lista delle pizze, quando nominava i mushrooms, subito scappava sui loro volti un sorriso; imbattendosi nel nome Nirvana di una pizza, probabilmente perché ritenuta talmente buona da distaccare il fortunato assaggiatore dalla realtà, le loro menti volavano al primo concerto insieme, per il compleanno di Dom.
Le conversazioni erano uno spasso.

«Ti piace il viola, Matt?» chiedeva Gaia, indicandogli la sua nuova maglietta.

«No, cioè, ti sta bene, ma n-non mi piace molt-o...» balbettava lui, mentre il Lago Viola s'impossessava d'ogni pensiero e lo stravolgeva, ricollegandolo al passato e a Teignmouth.
Oppure:

«Dom, non pensi che quella felpa verde sia un po' vecchiotta?» indagava qualche amico, riferendosi alla felpa che Matt gli aveva regalato anni addietro e ogni tanto portava ancora.

«Vecchio non è sinonimo di brutto, anzi, di caro...» divagava lui, soppesando i loro sguardi dubbiosi.
E Matt sentiva stringersi il legame ossessivo fra loro due, quasi ridotti a fantasmi intrappolati in un tempo che non è il loro.
Dom prese il cellulare, un mattoncino esteticamente orribile, uno dei primi tentativi della tecnologia, e scrisse lentamente un messaggio che inviò su quello di Matt.
"Le cose che non sono state ci accompagnano per tutta la vita", recitava il testo.


Il diciassette luglio 2001 uscì "Origin of Symmetry", album che si sarebbe presto guadagnato l'invidiabile posto numero tre nelle classifiche inglesi. Era più rock e complicato del primo, viveva una complessità interiore molto particolare.
Quel pomeriggio, Matthew e Dominic stavano prendendo un tè in giardino, dopo aver discusso con gli altri riguardo alle date del tour imminente. La loro casa aveva un giardino sul retro che poi s'univa ad un campo abbandonato, conferendo un aspetto selvaggio al paesaggio. La teiera fumava sul tavolo e affianco c'era un piatto contenente biscotti al cioccolato. Loro due si rilassavano in silenzio, conservando le energie per la sera in cui in programma c'era un mega party in chissà quale posto. Matt canticchiava "Hyper Music", rallentando il tempo e soffermandosi sul peso di quelle parole.

«You think I was scared, you need a proof. Who really cares anymore? Who restrains?» sussurrava, mentre soffiava sulla tazzina bollente che aveva fra le mani.

«Chissà come andranno le vendite» commentò Dom, masticando un biscotto.

«Poco importa, ma sono ottimista. Piuttosto, voglio tingermi i capelli di nuovo.»

«Bene, ti accompagno, se vuoi.» Se sperava di poter aver voce in capitolo, si sbagliava. Matt avrebbe scelto da solo il colore.

«No, farò come la scorsa volta, da solo.»

«Aria di cambiamento?»

«Forse, anche perché gireremo alcuni video e avrei alcune idee.»
Dom sorrise. Era curioso di quelle iniziative e pensava facessero bene a Matt; lo distraevano dalle sue turbe psicologiche.

«Se ti chiedessi di guardarmi mentre mi getto in una sorta di pozzo infinito, lo faresti?» domandò il cantante, guardandolo dritto negli occhi.
Dom, allungò una mano e, chiudendola sopra a quella esile di Matt appoggiata sul tavolo, annuì.

«Ti verrei anche a riprendere nel fondo di quel pozzo.»
Matt ebbe un sussulto involontario quando la morbida, ma muscolosa mano di Dom ricoprì la sua. Non reagì in altro modo.

«Lo hai già fatto, metaforicamente parlando» constatò Matt, occhi erranti verso il giardino verdeggiante.

E, mentre il sole cadeva pigramente dietro le case all'orizzonte, le loro mani rimasero strette su quel tavolo, l'una sopra l'altra, poi l'una dentro l'altra.
«...I don't love you, I never did...» bisbigliava Matthew, senza accorgersi che fra i due era più lui a stringere la presa. «...I don't want you, I never will...»
La notte sopraggiungeva, incurante di quel quadro di tenerezza in cui due ragazzi cercavano solo un po' d'indulgenza dandosi la mano segretamente e constatando che quel bisogno speciale non avrebbe mai avuto fine.

Questo perché anche due stelle, accese sopra di loro e separate da un fascio buio di miliardi di chilometri di anni luce, non rinunciarono a brillare, a combattere quella lotta di luci contro tenebre.



NDA: Ho fatto in fretta, vero? Non è da me! Potrebbe essere un segnale? Forse di un peggioramento, chissà...I don't care :D Sinceramente sono così stanca e abbattuta che non so più dove sbatter la testa.
E cosa fanno i nostri beniamini? Uno si finge etero, l'altro è più evanescente di un sogno. Cosa starà succedendo è mistero. ANTEPRIMA: nel prossimo capitolo...arriverà...il vero e proprio...BELLDOM! Non dico altro, ma preparate i vostri occhietti...


Il mio nuovo nome spero non crei disturbo!

Annotazioni:
-Non so se i video furono girati prima della pubblicazione dell'album, se così fosse prendetela come una libertà personale;
-Ovviamente non so se Gaia già sospettasse di quello strano rapporto fra Matt e Dom chiamato BellDom che io amo tanto. E voi pure!
-Non so se abusarono mai di cocaina. Spero di no.

Ora le mie predilette:

MusicAddicted: allora, ho letto la tua email, ma tu hai ricevuto la mia? Temo di no... oddio, il web è contro di noi! Come facciamo? Scrivimi se hai saputo qualcosa della mia email! Recensione come al solito molto gradita... sono felice, troppo felice di sapere che leggi il mio "gioiello" e lo apprezzi così! <3 Sentiamoci presto, tesoro.

Nishe: Ciao! Piacere di conoscerti! Grazie dell'incoraggiamento :D

MuseLover: Eh già, putroppo Gheia è arrivata. Tranquilla però, troverò il modo di...distruggerla xD No, dai, vedrai mia cara.

DyingAtheist: Sei troppo buona! Vediamo cosa ne pensi di questo. Ma ci conosciamo su fb? ;)

LillaWright: Oddio, temo che ti sto facendo sempre più arrabbiare...ma aspetta il prossimo capitolo e vedrai che roba <3

LetiziaHale: Pianto addirituttra? Stellina mia, noooooooo :(

Deathnotegintama: Bè, do I need to say anything else? Ci parliamo già altrove, ma... le tue recensioni sono stupende perché mostrano quanto e come bene leggi la mia storia. Poi capisci sempre tutto, non è giusto! <3 Ci sentiamo, cara mia.

Patrilawliet: *stritola* Ciao, bella!!! Io non so davvero come faccia a piacerti così tanto! Davvero, sei carinissima... spero di poter farmi sentire sulla tua storia. Stay BellDom!

Valerika: Greendayer, che ci fai qui? Ahah, scemotta, quando recensisci tu la storia ha più senso ;)

Cheers.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Decimo capitolo: Special Hopelessness. ***


•SPECIAL NEEDS•

"Suppressed by all my childish fears
And if you have to leave,
I wish that you would just leave
'Cause your presence still lingers here
And it won't leave me alone.

These wounds won't seem to heal,
This pain is just too real,
There's just too much that
time cannot erase."

[Evanescence, My immortal.]

 


 

 

Decimo Capitolo: Hopelessly.

 

 

 

 

NDA: Mi scuso per aver saltato il periodo dopo Origin e di Hullabaloo (in cui sicuramente ci furono importanti sviluppi, soprattuto durante la realizzazione di Hullabaloo in cui fra Matt e Dom c'erano rose e fiori, soliti inconvenienti esclusi), ma la mia Musa mi porta verso un'altra parte di storia...

(2004.)

Alcuni avvenimenti decorano la nostra esistenza come fiori sbocciati su una parete di roccia; altri la sfiorano come vento fra le vele di una nave, altri ancora come calde carezze nel gelo di un pomeriggio di noia.
Poi ci sono quelli che ci scorrono sopra senza farsi sentire, quelli che si dissolvono in nebbia all'orizzonte, quelli che sono della stessa essenza dei sogni.
E, infine, capitano gli avvenimenti fatti di pioggia nera e urla sorde; sono pochi e rari, ma cadono con spietata regolarità nella vita per renderla difficile e mettere alla prova chiunque osi viverla.
Rientra nell'ultima categoria di avvenimenti ciò che accadde nel primo mese dell'estate; il caso o la malvagità divina volle che fosse una Domenica, come se non bastasse. Una di quelle domeniche in cui sembra quasi che sia possibile sconfiggere la tristezza, in cui, guardando il sorriso amici, il mondo pare dare una tregua ai suoi abitanti. E invece non è così, è solo l'ennesima fregatura che arranca dietro l'angolo.

Il Glastonbury Festival stava procedendo alla grande. Si respirava complicità fra i partecipanti e un ottimo feeling col pubblico estasiato. Era e sarebbe rimasto uno dei migliori palchi a cui ambire per la scena rock.
Absolution riscuoteva il meritato successo, con quei due dischi d'oro e uno di platino; migliaia di cd venduti in tutto il mondo e ulteriore luce sul gruppo che lo aveva creato, gli inarrestabili Muse. Erano stati estratti alcuni singoli da mandare in radio, come "Time is running out", e di altri si erano fatti video spettacolari, molto popolari anche su tv commerciali quali MTV.
Calandosi all'interno della band, si trovava un'atmosfera di armistizio. Ognuno si godeva i benefici ricavati dal gruppo, che andavano dal venale risvolto economico all'emozione di suonare davanti a migliaia di persone, e si gestiva la vita privata. Chris, sposato felicemente con Kelly, aveva dato alla luce l'inizio di una piccola stirpe di Wolstenholme. Matt, fidanzato con Gaia, divideva il suo tempo da rockstar giramondo con quello da uomo in pantofole sul lago di Como mentre la sua bella era all'università. Dom, approssimativamente impegnato con un'americana chiamata Jessica, era dimagrito e aveva intrapreso una vera e propria carriera da dandy.

Cos'altro aggiungere se non che l'adolescenza pareva accartocciata come un foglio di brutta nel cestino di un passato sbagliato e un futuro da musicisti famosi e persone corrette, impegnate, adulte, traspirava dai loro occhi ormai abituati ai flash dei paparazzi e alle telecamere delle televisioni?
Forse si sarebbero normalizzati, e tutta quel meraviglioso insieme di ricordi dolci, parole taciute, esperienze indecifrabili sarebbe affondato se quella domenica di Giugno la vita non avesse colpito con la falce.


Erano appena scesi dal palco, ancora con le fronti imperlate di sudore e il fiato corto per l'emozione; avevano sceso le scale, approdato in un giardino e si stavano dirigendo verso gli altri per ricomporsi. Si stavano ancora complimentando l'uno con l'altro, solo un velo di freddezza intercorreva fra Matt e Dom, i quali non erano mai stati soliti a perdersi in chiacchiere, parlavano abbastanza i loro occhi quando, incontrandosi durante una canzone, brillavano dietro la prigione trasparente di lacrime che non osavano scendere.

«Dom, Dom, è successa una tragedia!» disse, correndo verso di loro il caro Tom.

«Cosa c'è?» domandò il ragazzo interpellato, sfregandosi fra i capelli bagnati un asciugamano.
Gli altri due si avvicinarono bevendo acqua a grandi sorsi.

«Dom, cazzo, non so come dirtelo!» gridò, inginocchiandosi Tom, mani fra i capelli scuri.
Dominic guardò confuso Matt e Chris; Tom lo conosceva da una vita, cosa poteva esserci di così drammatico da non poter esser detto senza problemi?

«Dom, tuo padre...» sussurrò, chinandosi verso l'erba ai loro piedi. «Tuo padre è morto!»
In contemporanea, passò un giornalista che diceva al compagno: «Proprio così, Bill Howard è morto per un infarto del miocardio.»
Era già di dominio pubblico, in poche parole. Appena successo e già risaputo.
Dom perse un battito cardiaco, poi un altro e un altro ancora. Vacillò, improvvisamente il corpo pesava troppo per essere sorretto dai suoi piedi; i suoi occhi grigio pozzanghera divennero sbarrati e persero ogni parvenza di lucidità.
Cominciarono a tremargli le labbra e le mani, finché tutto il corpo vibrava sotto i vestiti stretti.
Solo Matt aprì bocca, per accertarsi che fosse realtà e non incubo.

«Tom, ripeti quello che hai detto.»

«Bill è morto, Matt, Dom, Chris, Bill è morto da poco per un infarto! È stato qui fino a pochi minuti fa!» disse, ancora inginocchiato ai piedi di Dom, strappando a grandi manciate l'erba malaticcia.

«Mio Dio...» sussurrò Matt, volgendosi immediatamente verso Dom che somigliava ad uno spaventapasseri.

In effetti, davanti a lui il mondo era diventato un ombra informe. Stava crollando ogni pezzo della sua anima. Suo padre... suo padre, quell'indispensabile uomo che dopo averlo messo al mondo, lo aveva cresciuto accuratamente, lo aveva sostenuto, aveva fatto il tifo, aveva creduto nelle sue capacità...era morto e non gli aveva dato neanche un addio, ammesso che un addio potesse attenuare il dolore di una perdita del genere.
La vita se lo era preso senza chiedere permesso, e ora, nell'arco di un secondo, Dom non aveva la persona che amava di più. Troppi ricordi di una tenera infanzia riemergevano insieme, tutti poi ricadevano su quel volto amichevole che sussurrava la "Buonanotte" mentre sistemava le coperte per scacciare il freddo, che gridava "Vai così" mentre si agitava nel pubblico, che diceva "Buon pomeriggio" mentre intravedeva Matt fuori dalla villetta.
Dom non si sentiva di elaborare quel lutto, né ora né mai. Avrebbe solo voluto prendere a pugni la vita e la morte, così come loro avevano fatto con lui, con Bill.
Non era giusto. Bill era giovane, era un padre modello, era prezioso più di quei soldi guadagnati; e non abbandonava solo Dom, ma anche una moglie, una figlia, alcuni amici. Era debole di cuore da sempre, ma non ci si prepara mai davvero per il peggio. Mai. E in questo mai, si perdevano gli occhi vuoti di Dom.

«Dom» dissero all'unisono Matt e Chris. Il primo si affrettò a sorreggerlo, chiudendolo in un abbraccio. Il secondo gli prese una mano, mentre aiutava Tom a rialzarsi. Il sole scottava sopra le loro teste.
Dom diede a Matt la sensazione di abbracciare un sacco informe; aveva la bocca cucita da un pianto che se avesse osato aprirla, sarebbe uscito come una cascata di grida e bestemmie.

«Dom» sussurrò ancora Matt, mentre una stretta alla gola gli distruggeva la voce. Anche lui voleva bene a Bill; chiunque lo avesse conosciuto gliene voleva. Aveva spesso accolto i ragazzi in casa sua, quindi era un po' il padre di tutti, soprattutto di Matthew che aveva vissuto un rapporto terribile con George.
Dom cercò di risvegliarsi da quella fase di coma mordendosi la lingua fino ad assaporare il sangue fra i denti.

«Voglio vederlo» proferì, senza lasciar trasparire la disperazione che lo devastava interiormente.

«No, io...» contestò Tom, che alla sola idea di far vedere Bill morto a Dom si sentiva svenire.

«Voglio vederlo.»


Bill era stato trasportato in ospedale con estrema urgenza, ma già il suo cuore aveva smesso di battere durante il percorso in ambulanza. Non serve dare altri dettagli sull'infarto per far capire l'impotenza dell'uomo. Il suo cadavere riposava in una stanza bianca, nell'attesa di essere trasportato in camera mortuaria per le 48 ore prima della vestizione e del funerale.
La madre e la sorella di Dom piangevano nell'atrio dell'ospedale; abbracciarono il ragazzo, che però non si abbandonò a nessun gesto affettivo. Gelido attraversò i corridoi, trovò il padre, si fermò al suo capezzale.
Era fiero come in vita; non aveva sofferto, non se n'era accorto, al pari di un neonato morto quando viene dato alla luce. Era stata un'ottima persona e credeva nel paradiso; forse ci sarebbe andato, quindi si poteva dire che era passato a miglior vita.
Anche se sulla terra lasciava tre persone e molte altre estremamente addolorate, per usare un eufemismo. Dom gli diede un bacio sulla fronte rugosa, poi non si girò più. Era la fine e la fine va affrontata alla svelta, d'altronde lei ama coglierti alla sprovvista. Dom inspirò profondamente. Avrebbe pianto più tardi, non di fronte al corpo di suo padre, quello no.
«Mi mancherai» disse, prima di dire l'ultimo addio al corpo bianco di Bill.

«Chris, cosa faremo?» chiese Matt, che lo aspettava col bassista all'uscita.

«Non lo so, Matt, non lo so davvero. Dom non si riprenderà per molto tempo» e si accese una sigaretta. «Vuoi una?»

«Volentieri. Siamo senza speranza, è la fine.» Diede una boccata di fumo e tossì subito dopo, non era più abituato.

«Non esagerare; avrà bisogno qualche mese, e noi dovremo stargli vicinissimi.»

«Sospendiamo tutto il tour e seguiamolo ovunque vada.» Il fumo gli annebbiò gli occhi, lo scansò e tornò a fissare l'amico.

«Sì, probabilmente si rifugerà a Londra. Matt, io verrò ai funerali e ogni volta che mi chiamerete, ma ho anche una famiglia. Quindi, se manco io, tu ci sarai. Me lo prometti?»

«Certo, starò con Dom e mi dimenticherò del resto. Ora lui è la priorità assoluta. Dirò a Tom di trovare una scusa per i fan e rimandare tutto.»

«Okay. Ah, mi raccomando. Devi essere fermo, anche se tu sei coinvolto, sii forte. Se crolli tu, o io, per lui è davvero la fine della fine.»

«Ci proverò, ma cazzo, che vita di merda.»

«Puoi dirlo forte, amico mio.»


Dom era sdraiato sul letto della camera d'hotel più vicino all'ospedale che aveva trovato. Aveva rifiutato l'invito di passare la notte con la madre e la sorella. Non avrebbe sopportato la vista delle due donne più care al mondo in lacrime; inoltre, lui stesso non sarebbe riuscito a sfogarsi con loro al suo fianco. Giaceva immobile da due ore. Sguardo conficcato nel soffitto, braccia lungo i fianchi e gambe divaricate. Respirava lentamente, e solo quando sentiva che era necessario sbatteva le palpebre. Non pensava a nulla. Lui era fatto di nulla. Si sentiva annientato, cancellato per sempre.
Matt bussò alla porta; Chris e Tom si stavano occupando dei fans, degli amici da avvisare, del tour. Non ricevette nessuna risposta, allora aprì con la chiave che si era fatto consegnare per sicurezza. Entrò, richiuse e si avvicinò al matrimoniale con passo felpato. Dom non si accorse della sua presenza. Il moro lo guardò con estrema tristezza; sapeva di non potere fare nulla di buono, e ogni azione era così potenzialmente dannosa da disarmarlo.
Decise di non dire nulla e, semplicemente, sedersi sul bordo del letto, mentre il suoi lieve peso piegava appena il materasso. Tirò un sospiro, inutile tentativo di rompere il silenzio assordante fra loro. Fra Dom e il mondo.
Perché Dom doveva capire, magari con i suoi tempi, ma doveva, che il mondo va avanti, non si ferma a consolare nessuno. Matt lo guardò e provò un immenso senso di impotenza, di frustrazione.
-Sono qui, mio Dom. E sento che c'è un modo per consolarti, c'è... pensava intensamente, lasciando che i suoi occhi azzurri corressero sopra quel corpo inerte.
Matt si sdraiò affianco dell'amico, che non batté ciglio. Cercò di guardare il pezzo di soffitto su cui tanto si era fissato Dom, ma non riuscì. Gli occhi grigi non guardavano nulla in realtà; erano immobili solo per non piangere.
Matt tentò mentalmente di formulare una frase, tuttavia sentendosi ridicolo. Se almeno Dom avesse dato qualche segno di vita, anche quello più disperato, sarebbe potuto entrare in azione. Però contro un muro è annullato ogni sforzo.
Poi, lo sorprese.

«Sai, Matt, io lo credevo immortale. Credevo con tutto me stesso che la morte avrebbe riguardato gli altri, ma mai noi. E invece proprio in questo momento della mia vita di piattezza, diciamolo, di squallore, essa mi toglie la linfa vitale. Ma io non sono un uomo forte. Io lascio la band e dico addio al mondo, intesi?»
La sua voce incredibilmente ferma spiazzò Matt. Com'era possibile? La voce lo presentava incrollabile, le parole sconfitto. Dov'era la verità?

«Stai delirando, com'è giusto che sia in questi momenti, ma sono sicuro che-»

«In questi momenti? Cosa sono, routine? No, Matt, no. Non doveva capitare a me, fuori discussione. È successo? Bene, si fotta tutto allora.» Continuava a rimanere fermo, impassibile all'apparenza.

«Dom, non lo permetterò. Tu ne uscirai, come fanno tutti, non sei il primo a cui muore il padre e non sarai l'ultimo!» lo sgridò Matthew, girandosi sul fianco per parlargli meglio.

«Non mi consoli. Non mi interessa più niente, hai capito? Niente, né i Muse, né Chris, né... tu.»
Qui però venne tradito da un tremolio nel tono. Aveva detto troppo, stava facendo la tragedia greca. Si può maledire il dolore, non innamorarsene.

«Continua a delirare, va bene. Sono qui per te, se vuoi picchiarmi perché la vita è una stronza, fallo. Dom, sfogati. Tutto quel male che hai accumulato, vomitalo fuori.»
Dom finalmente si mosse. Girò lentamente la faccia verso l'amico e un'ondata di colore gli si riversò nei lineamenti contratti.

«Sto per impazzire...» bisbigliò, l'attimo prima di lanciare un grido acutissimo.
Strillò come se lo stessero uccidendo, imprecò contro Dio e tutti i santi, si strappò i capelli per un minuto intero. Ricadde esausto sul letto.

«Ancora Dom, buttalo fuori.» Lo incitava Matt, sottovoce.
Dom ebbe uno scatto d'ira incontrollata. Si avventò su Matthew, salendogli sopra, e cominciò a tirare una raffica di pugni e schiaffi sulla testa dell'amico. Matt chiuse gli occhi e si riparò con le mani, mentre veniva colpito da sberle rapide e secche.

«Ancora Dom, urla!» e Dom gridò, continuando a picchiarlo a casaccio, frasi sconnesse, un misto di lamenti e insulti.

«Io sono pazzo! Odio tutti, tutto e voglio morire! Basta, vita puttana, hai chiuso con me! Dio ****, finiscimi!» strillava e strillava, rosso in faccia e con gli occhi iniettati di sangue, «La rabbia mi divora! Odio anche te, bastardo che non sei altro, Matthew James Bellamy! Tu mi hai fatto soffrire più di quanto la morte di mio padre sta facendo ora! Lo sai, lo sai?» e gli assestò uno schiaffo più veloce degli altri che lasciò il segno di cinque dita sulla guancia di Matt.
A questo punto, Matt capì di averne abbastanza. Dom aveva lasciato andare la parte più bollente della questione, ora non poteva approfittarsene. Gli afferrò i polsi e lo cacciò all'indietro, mettendosi seduto.

«Okay, d'accordo» diceva, allontanandolo, «Dì tutto quello che ti senti.»

«Ti odio, Matthew! Lo hai ucciso tu, papà? Eh?» gridò, dimenandosi per liberarsi, «Dillo! Non mi hai visto ancora abbastanza distrutto?»
Matt lo fece scendere dal letto e, sempre tenendolo stretto, scosse la testa per dire di no.

«Se io non ti avessi mai incontrato, papà sarebbe ancora qui. E io, io sarei felice senza di te!» strillò, dibattendosi ancora come un matto.

«Dom, stai deviando, ma va bene. Se è vero che mi odi, io-»
Dom cadde per terra. Un tonfo secco e poi eccolo, accasciato su se stesso senza forze. Matthew rimase a bocca aperta e a metà frase.

«Non è vero» sussurrò Dominic, coprendosi il viso con le mani arrossate.
Matthew capì che era giunto il momento. Il momento in cui, sciupata la rabbia, arriva la vera disperazione. Il pianto, il male nel cuore.

«Non è vero niente.»

«Lo so, lo so.» E si abbassò per raggiungere gli occhi dell'amico.
Quando gli rimosse le mani dal volto, scoprì che le due perle grigio-verdastre erano velate di lacrime. Finalmente.

«No, tu non sai cosa vuol dire.»
Matthew prese fra le mani tremanti il collo di Dom e appoggiò la fronte contro la sua.

«Cosa vuol dire?» chiese, sentendo attraverso le mani i primi sussulti nella gola dell'amico.

«Cosa vuol dire sentirsi perduto.»
La prima lacrima si fece spazio fra le ciglia dell'occhio sinistro e luccicò sulla pelle.

«Ma non sei perduto! So che amavi tuo padre, ma non c'è solo lui nella tua vita. Tu hai un gruppo, degli amici, una ragazza, tante persone che ti stimano...»
Matt premette ancora le due fronti, avrebbe voluto fondere i cervelli in uno per donare un minimo di pace a Dom. Strano, i ruoli si erano invertiti per la prima volta.

«Che m'importa dei fans o di Jessica!» sentenziò il biondo, percependo la lacrima rotolare lungo la guancia.

«Allora pensa ai Muse, a Chris e Tom!» e si fermò per osservare quella perla trasparente cadere sotto il mento di Dom.

«Non riesco. Lasciami del tempo...»

«Tutto quello che ti serve. Ma ti prometto che ti tirerò fuori, dovessi impiegarci un'eternità.»

Una morsa allo stomaco fece aumentare la lacrimazione di Dom; un susseguirsi di lacrime cadde senza più controllo. Il batterista tirò su col naso, sentendoselo umido, e cercò di allontanarsi da Matt, che però non glielo permise.
«Ora abbracciami e non pensare più a niente. Ci sono qui io.»
Le braccia sottili di Matt si chiusero attorno alle spalle di Dom, il quale si lasciò sprofondare in quella poca morbidezza che poteva offrirgli il torace duro dell'amico. In un modo del tutto ignoto al mondo, Dom amava gli spigoli e le punte delle ossa a fior di pelle di Matt; ci ritrovava un fascino unico.
Col capo chino, pianse liberamente, alternando singhiozzi a gemiti, brividi a tremori. Erano almeno dieci anni che non versava una lacrima, o, se ne sfuggiva una, era per polvere o allergia. Risultava molto strana e nuova la sensazione degli occhi in fiamme e delle guance fradice. Matt gli carezzava la nuca in modo quasi materno. Anche lui provava la voglia segreta di piangere, ma ricordava le parole di Chris «Sii forte. Se crolli tu, per lui è la fine», perciò si tratteneva a stento.

Il massimo dolore non differisce molto dalla massima gioia. Possiamo dire che sono due emozioni gemelle, separate alla nascita e cresciute in modi diversi; restano in ogni caso uguali per potenza e durata. Per questo si può facilmente passare dall'uno all'altro, anche senza accorgersene. Infatti, se quella domenica notte Matt e Dom consumavano un dolore infinito, nulla avrebbe potuto impedire che avessero consumato ugualmente una grande gioia, ovviamente nei limiti del possibile offerti dalla tragedia del lutto.
Dico questo perché, all'improvviso, più svelto di un infarto e di un trapasso, calò il buio sulla città, il buio che cambiò il destino delle loro vite. Un blackout totale inghiottì ogni lume nell'arco di 10 km.


Dom, probabilmente per via degli occhi chiusi e colmi di pianto, non parve accorgersene; Matt invece sobbalzò, sorpreso dalle luci spente senza che nessuno le spegnesse. Si guardò attorno per capirne la causa. Da per terra non vedeva fuori dalla finestra, ma capì dalla piccola spia rossa automatica che si accese affianco al lampadario che si trattava di un blackout.
«Che è successo?» domandò Dom, alzando la testa dopo qualche minuto.

«Niente, solo un blackout.» Spiegò Matt, stringendo l'abbraccio perché ne sentì un forte bisogno. Da piccolo era terrorizzato dal buio. Si sa, le paure infantili ci accompagnano per sempre. Esattamente come i bisogni.

«Come quello che è sceso sulla mia vita.» Bisbigliò il biondo, sospirando dolorante. Le lacrime si erano fermate, ma era tutto umido. Aveva bagnato anche la camicia di Matt.

«Già, ma esiste sempre qualcuno che possa ridare la luce.»

«Tu, per esempio?»

«Sì, se me lo lasci fare.»

«Allora sì, ne ho bisogno.» Pregò sottovoce Dom, respirando rumorosamente sul collo di Matt.
Il moro lo aiutò ad alzarsi e si spostarono sul letto. Si distesero nel centro e, rimanendo abbracciati, apprezzarono quel soffice materasso per un istante.
Matt, ponendo delicatamente il capo di Dom sul suo petto e appoggiandoci sopra le mani, si schiarì la voce. Fece mente locale, poi, errando con le dita fra le ciocche calde dei capelli dell'amico, intonò:

«Don't kid your self and don't fool your self, this love too good to last and I'm too old to train...»
Dom, riconoscendo subito "Blackout", provò quasi l'istinto di sorridere. Poi sospirò e si concentrò per apprezzare meglio quella voce di miele.

«Don't grow up too fast and don't embrace the past, this life too good to last and I'm too young to care...»
Le parole, pronunciate col suo accento inglese esagerato, erano rotonde, ipnotizzanti, ridondanti. Anche senza musica, sapeva seguire il tempo e la melodia con grande bravura. Dom gli si strinse addosso e Matt non esitò ad accettare quel gesto.

«Don't kid your yourself and don't fool yourself, this life could be the last and we're too young to see...mmm, mmm...»
Non c'erano i violini, ma la voce di Matt seppe cullare la melodia fino alla fine, lasciando che venisse assorbita dal corpo incantato di Dom.

Il suo cuore e il suo spirito erano ancora a brandelli, tuttavia, se la notte porta frescura e ristoro nel deserto più arido, anche "Blackout" seppe farlo. Il buio totale li ricopriva fino a soffocarli. Meglio, a occhi chiusi inconsciamente si ha più coraggio. Matt decise che era giunto il momento. Le decisioni più importanti vengono prese in un attimo, si scontano con la vita che le segue, diceva uno scrittore.
-Io ti amo, spero che tu possa provare lo stesso. Pensò, deglutendo l'ultimo getto di vergogna che tentò di fermarlo.
Matthew prese fra il pollice e l'indice il mento di Dominic e, il secondo dopo, allungò il collo in quella direzione.
Le loro labbra si sfiorarono leggere come ali di farfalla, dopo si unirono. Carnosa, la bocca di Dom scaldò quella sottile e ben disegnata di Matt; screpolata, la bocca di Matt abbracciò quella sporgente e arrendevole di Dom.
Mentre il silenzio e il buio aleggiavano nell'aria tutt'attorno, le punte delle lingue si scontrarono, dapprima timidamente, poi sempre con maggiore scioltezza. Dom si spostò più in alto, esattamente sopra a Matt, così che ogni difficoltà cadesse. Matt premette il palmo contro la nuca di Dom e, avvicinandoselo, lo baciò appassionatamente, assaporando la sua saliva, il suo odore, il suo respiro affannato nel proprio, il suo amore quasi tangibile.
Sperò di passargli ogni energia positiva, ogni beneficio possibile, ogni frammento di bene. Voleva guarirlo dalla sofferenza; non sapeva che un corpo malato non può sanarne un altro. Però forse poteva soddisfare quel bisogno lacerante che da troppi anni si dibatteva nelle pieghe del suo animo per uscire allo scoperto.
Dom sentì di liberarsi da un male profondo e radicato; quello della negazione del proprio io, quello della repressione, quello della somministrazione forzata di anestetici e di calmanti pur di non...
-Baciare Matthew! Io sto baciando Matthew! Gli balenò d'un tratto nella mente piena solo di quell'uomo sotto di lui.
Si staccò involontariamente dalla bocca sensuale e inumidita di Matt. Era la realizzazione di quel pensiero ad averlo fatto ritrarre momentaneamente.
Matt, nonostante il buio, cercò di guardarlo. Dom scorse appena il luccichio nelle pupille di cobalto fisse su di lui.
-Cosa stiamo facendo? Qualsiasi cosa sia, è totalmente sbagliata...o giusta. Concluse, ricadendo nel bacio interrotto.
Ma, prima che le bocche s'incastrassero di nuovo come due metà separate, la luce tornò.

Il lampadario si accese e un chiarore bianco esplose nella stanza, accompagnato da una serie di rumori provenienti dalla strada. I sogni si disperdono con l'arrivo del mattino; non per questo si deve rinunciare a sognare, basta sapersi fermare all'alba.

«Dom» disse confuso Matt, accecato dal repentino cambio di luce.

«Matt» rispose il biondo, sbattendo le palpebre.

«Stai...bene?»
«Forse...» -È stato... ah, indescrivibile.
Si guardarono riuscendo finalmente ad osservarsi le emozioni del volto; Matt lesse in quello di Dom tanto sollievo quanta paura; Dom invece trovò nello sguardo di Matt disagio e vergogna.

«Volevo dirti che-»
Tre colpi alla porta. Era Chris.

«Arrivo!» gli gridò Matt, scivolando via da Dom per alzarsi. Ancora non collegava ciò che era avvenuto realmente con ciò che si era immaginato tante volte.

«Siete qui? C'è stato un bel blackout, ora è tornato a posto.»
Entrò e sembrò non accorgersi della faccia smarrita del ragazzo. Parlò del tour, dei fans, degli amici che facevano le condoglianze. Infine annunciò l'arrivo di Jessica e Gaia. Erano giù nella reception, erano accorse col primo aereo dall'Italia, dove stavano passando del tempo assieme, appena saputa la notizia.

«Cosa? Gaia?» chiese spaesato Matt. Se n'era scordato completamente, tabula rasa.

«Sì, stanno salendo. Sono state molto carine a precipitarsi qui. Corrette, no?»

«Mmh» mugugnò, pensando: -Nella merda, siamo nella merda.
Andò in camera da Dom e gli riferì quanto aveva appena saputo. Dom si mise seduto e scrollò le spalle, come per dire: che ci vuoi fare.
L'attimo dopo le due donne erano alla porta della stanza. Jessica era affannata, coi neri capelli scomposti attorno al volto truccato. Corse incontro al suo ragazzo, mentre Gaia prendeva per mano Matt.

«Dom, tesoro, come stai?» chese l'americana, cercando goffamente di abbracciarlo.
Dom guardò Gaia e Matt sulla soglia; restò impassibile a quel gesto, facendosi stringere dal quel profumo Chanel trattenendo il fiato.

«Quanto mi dispiace» commentò Gaia, schioccando un bacio affettuoso sulla guancia del suo fidanzato. Matthew continuò a fissare Dominic; perché sembravano due pupazzi in balia degli avvenimenti, delle donne?

«Allora?» insistette Jessica, prendendo fra le mani il viso di Dom.

«Lasciatemi solo» sbuffò quest'ultimo, scansandola.

«Come solo?»

«Voglio solo...dormire, se riesco.»
La ragazza si alzò e indietreggiò; cercò consiglio in Gaia, la quale li guardava scoraggiata.

«Non puoi rimanere solo» replicò Matt, quando l'amico con uno sguardo carico di malinconia lo spaventò.

«Solo dormire» ripeté, distendendosi lentamente a pancia in giù.
Gaia e Jessica fecero per andarsene, ma Matt non voleva; allora la sua ragazza lo strattonò per la mano, sussurrandogli: «Lascialo dormire, è la cosa migliore.»
Matt sentì le vertigini; abbandonarlo a se stesso era l'unica cosa da non fare, ma neanche insistere e risultare sospetto alle ragazze era consigliabile.

«Un attimo ancora» rispose, pregando Gaia con gli occhi di accontentarlo. Lei prese Jessica ed uscì. Lui tirò un sospiro di sollievo.

«Dom, dormi. Ma io sono qui sotto, okay?»
Dom rispose con un mugugno incomprensibile, probabilmente un sì soffocato nelle coperte dove affondava la faccia.

«Ti...ti...» balbettò Matthew, mentre con un unghia si scavava via un pezzo di carne nel pollice, «Ti voglio bene.» Ammasso di parole imprecise, Matt le disse odiandosi.

L'aria di quella notte era umida e pesante, come una coperta bagnata. Adatta per fumare, considerò Matthew, accendendosi una Malboro sul balcone della sua camera, appena sotto quella di Dom. Gaia era dentro a consolare Jess; le diceva che non era colpa sua, che Dom era in lutto e chiunque in lutto vuole stare da solo e rifiuta di parlare. Udiva le loro fastidiose parole attraverso la porta-finestra socchiusa. Guardava la luna, di un pallore innaturale, nel cielo scuro. Quante emerite stronzate, dicevano quelle due. Si chiedeva dove fosse il senso di tante cose, ma neppure la sua Malboro sapeva indicarglielo, mentre si consumava in fumo grigio.
Baciare Dominic era stato...era stato baciare la persona amata nel momento in cui ci si sente l'unico rimedio alla sua tragedia. Quelle labbra erano scialuppe di salvataggio, quelle lingue salvagenti, quei luccichii negli occhi fari.
Il loro bacio era stato solo la concretizzazione di un bisogno fino ad allora astratto. Non era da cinema, e nemmeno da incorniciare in una foto da comodino; era un fiore notturno, una stella in un angolo di universo isolato.
Matthew lasciò cadere il mozzicone nel vuoto e guardò la punta ardente fino a che, scontrandosi con la strada, si spense. Si domandò perché alcune cose potessero spegnersi, come la sigaretta, l'infatuazione per Gaia, la luce, mentre altre fossero destinate all'eternità, come la morte, Dominic, le stelle.


Il funerale si svolse nell'intimità dei famigliari e degli amici più stretti. Ovviamente venne scacciato ogni giornale o simile; Dom avrebbe incenerito chiunque avesse osato farci del gossip. Portò insieme ad altri tre amici la bara nera fino al carro funebre; aiutò a sistemare la lapide, sistemò la foto ricordo e il lume. Sua sorella gettò un mazzo di margherite giganti sul freddo marmo; la madre piangeva in silenzio, appoggiandosi a qualche parente.
Matthew, chiuso in un completo nero che esaltava il chiarore della sua pelle e la trasparenza dei suoi occhi, seguì l'amico passo per passo. Anche Chris e Kelly parteciparono all'intera cerimonia, lui lesse anche una preghiera d'addio.
Quando tutti sciamarono via per i sentieri sassosi del cimitero, Matthew, Dominic, Gaia e Jessica rimasero soli. Le due donne avevano un velo attorno ai capelli e occhiali a lente scura, teoricamente per non far vedere il trucco sbavato dal pianto. Dom si inginocchiò sui sassi ossei attorno alla lapide e pregò in silenzio; raccontò al padre la sua vita, si confessò sinceramente a quell'uomo fedele. Pregò che davvero potesse esistere un continuo a quella vita, un posto dove nessun infarto avrebbe consumato i cuori. Non versò una lacrima; le ricacciò tutte indietro, e fece lo stesso con quei lamenti penosi che provenivano dalla gola dolorante.

All'uscita vennero due limousine a prenderli.
«Ce posso fare... ce la farò» sussurrò Dom in direzione di Matt.
Il moro afferrò il messaggio in codice. Significava: vai con Gaia, partite. Io terrò con me Jess finché per qualche insulso motivo se ne andrà e io ritroverò la pace della solitudine.

-Mi manchi già. Matt avrebbe voluto abbracciarlo, ma l'autista suonò come per ribadire la sua presenza. Salì a bordo con Gaia, mentre Dom faceva lo stesso con Jessica.
«Cos'avete deciso per la band?» gli chiese Gaia, viaggiando verso l'aeroporto.

«Che rimandiamo finché Dom si sente male.»

«Giusto, ma stai tranquillo, il peggio è passato.»
Matthew apprezzò e odiò contemporaneamente la calma della sua fidanzata; lei e la sua psicologia potevano andare a farsi fottere. Gli ricordavano la calma e la pazienza di qualcun altro, solo con una variante, ovvero le sue erano una posa, un atteggiamento, un comportamento premeditato da psicologo-cliente, mentre quelle di Dom erano naturali e per questo motivo infinitamente migliori.

«Andiamo a Como?» propose lei, guardando oltre il finestrino.

«Dove vuoi.» -Tanto dovunque io vada, non cambierà niente.

Matthew prese il cellulare dalla tasca. Compose un messaggio mentre Gaia era distratta da una conversazione di lavoro al telefono.
-Solo le persone che si amano sanno dirsi addio...- Invia, numero rubrica. DH. Inviato.

Dom, mentre lasciava che Jessica gli tenesse una mano, con l'altra prese il cellulare che aveva appena vibrato.
Nuovo messaggio. MB... Rispondi. -...e poi ritrovarsi a casa.- Invia, numero rubrica. MB. Inviato.


«Gaia, ci ho ripensato. Non andiamo fino a Como, manteniamoci in Inghilterra.»

«Perché?»

«Perché magari voglio raggiungere Dom a Londra e mi scoccia prendermi sempre tre ore di aereo.»

«D'accordo, allora dì tu all'autista dove portarci» e si girò irritata, accavallando le gambe snelle.
Matthew ordinò all'autista di portarli verso il mare. Aveva un gran voglia di farsi una nuotata e magari l'aria marina avrebbe dato una calmata a quella ragazza.
In realtà fece questo così che appena Dom si fosse fatto sentire, sarebbe corso da lui in breve tempo.

Nuovo messaggio. -My lips are turning blue...a kiss that can't renew...- Invia, numero rubrica. DH. Inviato.
Immerse i suoi occhi azzurri in quel mattino al di fuori del finestrino oscurato; non avrebbe mai dimenticato quella notte, quella parentesi di istinto e necessità, quel blackout nella loro vita.

Dom sapeva che quel bacio sarebbe potuto rinascere. Ma, esattamente come il suo dolore aveva bisogno di tempo per venire assorbito, anche a loro due occorreva una pausa. Non che il suo rapporto con Matt potesse mai entrare nella norma e trovare stabilità, però almeno sperava di poter metabolizzare e proteggere quel ritaglio di felicità nella disperazione.
Suo padre non c'era più, ma se fosse stato ancora con lui, non gli avrebbe forse fatto il tifo per continuare? Sicuramente. Allora promise a se stesso di riuscire a ricominciare, lentamente, non importava.
Almeno poteva ancora sperare in quello che aveva costruito in dieci anni con Matthew. E forse c'era del buono su cui investire energie. Chissà, solo vivendo lo avrebbe scoperto.
Per il momento, sentì solo quel bisogno speciale prendere il possesso di lui e avvolgerlo in un velo di indifferenza verso il resto del mondo. Prese dallo zaino il lettore cd. Mise le cuffiette nelle orecchie e chiuse gli occhi.
-I think our lives have just begun, I think our lives have just begun...- strana sensazione di speranza e poi l'abbandono totale:
-...and I'll feel my world crumbling down, feel my life crumbling now, feel my soul crumbling away, falling away, falling away with you!-
E ritrovò nella mente, per una volta indulgente, il blackout.



                                                                                            •Remember me through flash photography and screams. Remember me, special dreams•

 

Nda: Buongiorno a tutti! Lo so... adesso mi direte: ah, questo il famoso "vero BellDom" di cui parlavi nel capitolo precedente? Ebbene no, e vi spiego perché. Io avevo in mente tutt'altro capitolo, ma sono successe delle cose per cui la mia crazy mind ha deviato. Spero che questo capitolo difficilissimo da trattare (xD) possa piacervi comunque!

Annotazioni:

-So pochissimo di Jessica, quindi qualora sbagliassi, forgive me!

-La morte di Bill dovrebbe più o meno essere accaduta in queste circostanze... tuttavia il blackout è mia fantasia (anche se sappiamo tutti che quei due avranno fatto qualcosa di simile).

Ringraziamenti:

-MusicAddicted: my deaw! Che strano parlarti qui come se non ci conoscessimo, lol! Che piacevole supporto i tuoi complimenti. Poi, vedere che la tua recensione è sempre la prima... troppo soddisfacente!

-MuseLover: quanto sei tender! Ahah, eliminare Gheia, *quoto*!  Santa peppa mi piace un sacco :D Spero di averti in parte saziato di BellDom...tu aspetta e vedrai! Kiss.

-Deathnotegintama: ehi tu! Una delle mie commentatrici, OLTRE CHE AMICA, preferite! Non sai quanto sono in pena per il tuo onorevole giudizio... aww, *scappa*.

-Valerika: Miss, una tua recensione, wow! Mi fai morire coi tuoi complimenti... ma se davvero ti ho fatta commuovere, scusami. Spero che se tu pianga sia solo per allergia! :*

-DyingAtheist: Non è vero che recensisci male, tutt'altro! Sei molto riassuntiva e precisa, ottimo direi! Quindi... chissà come prendi questo. Attendo :)

-PatriLawliet: Little Lawliet! Che piacere!... sai che ho messo come foto del profilo in FB la foto che hai messo nella tua ultima fic? LOL

-Lilla Wright: Finalmente so chi sei, ma vieni! Dunque, dunque, ora che so di avere il supporto di una muser-belldommer come te...sono davvero soddisfatta, really! I 4\4 sono famosissimi U_U Impossibile trovare una song non per Dom, <3

CHEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEES,  Musa.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Undicesimo capitolo: Special Wishing. ***


•SPECIAL NEEDS•

"When you were here before,
Couldn't look you in the eye.
You're just like an angel,
Your skin makes me cry."

[Radiohead, Creep.]


 

 

Undicesimo Capitolo: I wish I could.

 

(2004.)

Un girasole. Il suo gambo forte e robusto, la sua corona di petali dorati attorno al cuore morbido, ricco di frutti da donare, il suo profumo selvaggio e impercettibile. È il fiore più semplice del creato, non c'è prato in cui non porti allegria, quadro in cui non rischiari la tela. Finché il sole brillerà sopra di lui, allora gli sarà fedele, lo seguirà ciecamente in qualsiasi angolo del cielo sceglierà di splendere; ma basterà una giornata nuvolosa per fare abbassare la sua fiera corolla e appassire la bionda chioma. Se questa giornata nuvolosa si prolunga in giorni di maltempo, allora bisogna temere per la sua fragile salute; si accascerà senza opporre resistenza al freddo che, lentamente, lo divorerà.

Matthew era infatti sdraiato in un prato, mani sotto il capo e gambe accavallate, circondato da una natura vivace e colorata, quando il suo sguardo si posò su un girasole solitario, leggermente distaccato dal gruppo di suoi fratelli. Il sole cuoceva, alto nel mezzo del cielo estivo, ma il fiore sembrava solo gioire di quelle carezza bollenti; Matthew si domandò quanto potesse essere lunga la vita di una simile creatura e poi provò un inspiegabile istinto di protezione verso la sua precaria certezza di sopravvivenza.

Una rosa. Le spine dure e curve, le foglie rare e ruvide, i petali sanguigni, venati di nero; appariscente nel mucchio, dotata di quel naturale fascino accattivante, pura, ma lussuriosa. Se di qualità, è difficile da trovare, come da cogliere. Forse il pittore che la disegnò in origine decise di imprigionarla in un destino crudele. Geloso della sua creatura, decise farle vivere una complessità tale che la bipartisse fra la bellezza e la pericolosità. Esiste per avvisare il coraggioso che tenterà di impossessarsene del fatto che prima di abbandonarsi, lei lo ferirà.

Dominic fissava uno di questi esemplari all'interno di un cespuglio contenente molti altri; desiderò carezzarne i petali, annusarne l'aroma intenso, arrotondarne gli aculei, ma si limitò ad una tacita e sentita contemplazione.
Era seduto affianco a Matthew; soli in una distesa verdeggiante, si perdevano in quella vita che fioriva attorno, dove non si vedevano animali che non fossero farfalle o coccinelle, dove non si udivano rumori che non suonassero di fruscii e cinguettii lontani, dove non passavano pensieri che non fossero limpidi e inconsistenti come nuvole bianche.
Matthew voltò il capo in direzione dell'amico e alzò gli occhi per guardarlo in faccia; Dom gli sorrise e scacciò dai suoi capelli una farfalla che li aveva scambiati per qualcosa che potesse interessarla realmente.

«L'estate non è così male come ho sempre ritenuto.» Disse Matt, tornando ad osservare il paradiso tutt'attorno.

«Affatto. Sono felice di sapere che cominci a capirne la bellezza.» Rispose Dom, inspirando a pieni polmoni la brezza calda che soffiava sul suo volto cotto dal sole.

«Crescendo, cambiano i gusti, cambiano le abitudini, cambiano le necessità.» Socchiuse gli occhi per non lasciare che venissero feriti dai raggi quasi perpendicolari.

«Non tutte le necessità.»
Una folata di vento scosse le spighe di grano quasi mature, provocando un fruscio prolungato nell'aria.

«Non tutte...» gli fece eco Matt, senza sapere bene a cosa si stesse riferendo.

«Mi sdraio anche io.»
Detto fatto, Dom si allungò al suo fianco, riparandosi la testa dagli arbusti più duri stendendo a terra la felpa che prima teneva legata in vita. Stesi fianco a fianco, guardavano il cielo, una distesa azzurra macchiata qui e là solo da occasionali e passeggere pennellate di bianco.

«L'estate era la stagione preferita di papà.» Disse il biondo, dopo esattamente ad un mese e mezzo dal lutto.

«Ci portava sempre a raccogliere la frutta a Teighmouth, ricordi?» domandò Matt, sorridendo al pensiero di loro due adolescenti a caccia di pesche nel frutteto.

«Ricordo come se fosse ieri, Matt.»

«Secondo te io sono cambiato da allora?»

«Dipende dai punti di vista.»

«Dal tuo, Dom?»
Dom si girò per guardargli il viso; era quasi diafano, rifletteva la luce del sole come uno specchio. Matthew non rispose al suo sguardo, rimase incantato ad osservare il cielo soprastante.

«Dal mio no.»

«Mi fa piacere saperlo» e, facendogli l'occhiolino, gli tirò una leggera spallata amichevole.

«E io, io sono diverso?»

«No, Dom, no. Sei sempre il solito bel girasole, anzi, forse dopo la scomparsa di Bill, non hai neanche più bisogno di un sole da seguire, sei forte abbastanza...»
Le parole di Matt, pronunciate dal cuore senza filtri, carezzarono i sensi di Dom; sentirlo parlare così era un incantevole sogno a cui non avrebbe mai voluto porre fine.

«Tu invece quando lascerai cadere le spine e farai entrare un po' di luce?» chiese, commettendo l'imperdonabile errore di seguire l'istintivo desiderio di avvicinarsi all'amico, accorciando la distanza tra i loro volti; questo gesto fece chiudere a riccio il suo interlocutore.

«Dom, io...» e si mise seduto di scatto, perché all'orizzonte comparve qualcosa di estraneo in avvicinamento.

Gaia e Jessica apparvero dalla radura al limitare del prato; portavano alcuni cestini da picnic, indossavano grandi panama sopra i capelli scuri, si muovevano sinuose dentro leggeri vestiti semi trasparenti. Ridevano allegramente fra di loro, belle come modelle su un set di fotografia. Anche Dom si raddrizzò e strizzò gli occhi per mettere meglio a fuoco. Vide che la sua ragazza non si era limitata ad una vestaglietta di seta; era molto scollata e il seno prosperoso le sobbalzava sul petto ad ogni passo. Considerò, nei secondi rimasti per considerare ancora, la purezza di una margherita cresciuta ai piedi di Matt; poi si auto-costrinse a stroncare ogni riflessione e dedicarsi alle frivolezze delle donne.

«Buongiorno, musicisti nostri!» esordì Gaia, sventolando la mano in segno di saluto.

«'giorno, Freud.» Le rispose Matt con un sorriso, invitandola ad accomodarsi.

Lei si abbandonò al suo abbraccio, lo baciò sulla guancia destra e tornò ad occuparsi del picnic con Jessica che, dopo aver baciato Dom, le diede un aiuto.
Stesero una tovaglia azzurra, sistemarono varie tipologie di panini e bevande, poi accesero una radio a pile che emise musica pop di tendenza.
Chiacchierarono del più e del meno per qualche minuto; notizie di gossip, novità sugli amici, cose di poca importanza. Il clima era tutto sommato piacevole.

«Quando tornerete in tour e dovremo dire addio a queste giornate favolose?» chiese Jessica, porgendo un sandwich a Dom.

«Ci avrete ancora per un mese» le rispose il fidanzato, scartando il panino dalla pellicola trasparente.

«Poi riprenderete dall'Inghilterra?» s'informò Gaia, sperando di ricevere un sì, visto che lei non era assolutamente intenzionata a seguire Matt per l'America o l'Asia.

«Penso di sì, per ora non me ne preoccupo, anche i fan se ne sono fatti una ragione.» Pescò dal cestino un panino e si versò del vino in un bicchiere di plastica.

«Jess, a me non piace il-» e Dom stava per finire la frase in cui faceva notare alla fidanzata di non aver centrato le sue preferenze culinarie, quando Matt gli allungò il suo.

«C'è il brie, tieni.»
Dom accettò gioioso l'offerta dell'amico; impossibile negarlo, nessuno conosceva i suoi gusti quanto quell'ometto di appena 26 anni.
Matt optò per un contenitore dentro cui Gaia gli aveva preparato della pasta fredda. La ringraziò e mangiò quello strano pasto che incredibilmente riusciva bene sono all'italiani.

«Jess, diavolo, togli questo cd orribile!» sentenziò all'improvviso Matthew, non potendone più di quella canzone ripetitiva cantata da Madonna.
Dom annuì subito; quanto avrebbero gradito un bel pezzo alternativo, solo loro due lo capirono.

«Gaia, quando devi tornare per gli esami all'università?» chiese Matt alla sua donna.

«In settimana, purtroppo.» Rispose lei, sorseggiando del Fragolino.

«Ti spiace se io resto a Londra con Dom?»
Questa domanda spiazzò tutti e tre gli ascoltatori. Jessica, che programmava mentalmente un week-end in America con il fidanzato, deglutì male un pezzo di pane; Gaia, che sperava nell'appoggio del partner durante lo studio, impostò il broncio; Dom, che ormai non sperava più nei colpi di scena, per poco non sputò l'aranciata che stava bevendo.

«Come mai?» lo assalirono le due ragazze, mentre il biondo si asciugava il mento col tovagliolo.

«Vorrei comporre una nuova canzone, approfittandone del fatto che 'sta mattina Tom e Chris mi hanno informato che sarebbero passati per di lì. Poi magari facciamo un ritrovo fra amici, tutto qui.» Rispose calmo, gustandosi il sole caldo sulla pelle.

«Per me va bene» aggiunse Dom subito dopo.
Matt gli sorrise complice.

«Ah sì, anche per me!» disse Gaia, alzando le spalle nervosissima.

«A questo punto!» sbottò Jessica, lanciando il panino per terra.

«Sigaretta, Jess? Non vorrei che li disturbassimo mentre vanno alla ricerca della musa giusta per creare, capisci?» continuò cattiva l'italiana.
L'americana accettò l'offerta e insieme si alzarono, muovendosi a passi svelti verso l'ombra di un albero dove fumare in santa pace.

«Ma che ho detto?» strillò Matt nella loro direzione, senza ricevere risposta, forse un «Fanculo» da Jess.

«Gaia, ma perché sei sempre così isterica?» urlò ancora verso di lei, battendo il pugno sulla tovaglia.

«Ha parlato lo scrittore di Hysteria!» gli rispose la ragazza, ormai lontana.
Matthew sospirò rassegnato.

«Dom, tu le capisci?» chiese all'amico, che invece era tutto intento ad osservare come le formiche stessero assalendo il panino gettato dalla sua fidanzata.

«No. Forse sono solo due stupide.» Concluse il biondo, alzando le spalle in modo menefreghista e riprendendo a controllare le mosse delle formiche.
Matthew si sentì davvero incompreso e si accorse di avere in naso scottato dal sole.



Una pioggerellina ispida cominciò a tintinnare sul tetto metallico della macchina di Matthew, quando lui e Dominic ci salirono a bordo. Avevano appena accompagnato le ragazze all'aeroporto, perché una doveva andare in Italia, l'altra in America. Erano passati due giorni dal picnic e le acque parevano calmatesi, nonostante ogni tregua potesse essere infranta anche dalla più piccola disattenzione. La cosa certa era che, ora che quelle due, per carità, belle e simpatiche, ma sicuramente difficili e incomprensibili, ragazze erano andate, Matt e Dom potevano tornare a respirare. Mentre viaggiavano su strade deserte e scivolose, il maltempo si rovesciava piovoso in un'atmosfera umida e soffocante su Londra; il turismo estivo non mancava ad intasare le strade principali, ma loro due conoscevano le scorciatoie, quindi filavano silenziosi dentro una vettura scura e dai vetri appannati.

«Sai quando ci raggiungeranno Chris e Tom?» chiese Dom, mentre spannava il suo finestrino con uno straccetto.

«Sì, o domani o dopo. Chris ha ancora una faccenda da sbrigare con Kelly e i bambini, poi è nostro.»

«Già, un bel ritrovo con birra e musica!» esclamò entusiasta Dom, desideroso di rivivere i vecchi tempi.

«Assolutamente. Se trovo il modo, vi faccio ascoltare qualcosa di nuovo che mi frulla per la testa.» Disse, tenendo lo sguardo fisso sulla strada davanti a sé.
Dom lo trovava molto sicuro di se stesso quando guidava; si muoveva con agilità fra pedali, cambio e volante, talvolta distoglieva lo sguardo dalla strada per posarlo sulle sue gambe, o su un particolare insignificante della macchina. Non si distraeva mai, era prudente, scattante, impeccabile. Gli piaceva anche tenere in ordine l'abitacolo, così da non lasciar formare sporcizie ingombranti o fastidiose. Era un ottimo pilota, in fin dei conti.

«Questo qualcosa finirà nella scaletta di Absolution o aspetteremo il prossimo album?»

«È troppo embrionale per venir già incastrato in un album o nell'altro. Vedrò.»
Sorpassò una moto e svoltò in modo leggermente brusco a sinistra, ormai quasi nel viale di casa loro.

«E mentre aspettiamo Chris e Tom?» domandò ancora Dom, sperando che Matt avesse in serbo qualche sorpresa.

«Non lo so, Dom, ma non è un nostro problema. Ci siamo mai annoiati insieme?»

«No, hai ragione.»
E, mentre Matt si mise involontariamente a canticchiare "Time is running out" visto che passava alla stazione radio su cui erano sintonizzati, Dom lo accompagnò a tempo, battendo i palmi delle mani sulle ginocchia.

La casa era quella di sempre. Ci avevano vissuto poco, dato che Dom aveva trascorso un mese intero con la famiglia e Matt in giro come sempre, ma era ordinata e pulita. Passarono a salutare Joe e Adie, i quali prestarono loro la solita accoglienza festosa; Adie aspettava un bambino e aveva perso un po' di quell'aria da ragazzina di strada, per assumerne una da donna consapevole. Però, nonostante il pancione, saltò al collo dei due musicisti e chiese loro come stessero, oltre che se volessero fare da padrini al futuro Joseph. Matt e Dom accettarono l'invito, tanto erano già stati nominati tali per i figli di Chris, quindi ormai erano padrini professionali.
Mentre salivano al loro appartamento, risero della battuta con cui li salutò Joe: «Ma ragazzi, basta suonare, sposatevi, rapite i vostri nipotini e mettete su un asilo nido "Bellard": pane, birra e rock per tutti i bambini!»

«Tu saresti la mamma» disse con un ghigno Matt, infilando le chiavi nella serratura.

«Che pessima figura di padre avrebbero i miei figli, allora!» Esclamò Dom, scuotendo il capo.
Non li sfiorò neppure per caso la sensazione di scherzare su qualcosa di molto poco ridicolo.

«Non sarei un buon padre, oltre che buon marito?» insistette Matt, a porta ormai aperta.

«Padre assente, marito infedele.» Rispose Dom, entrando e sfoggiando un'insolita andatura femminile, quasi si fosse calato nel ruolo.

«Ma che ne sai! Quello che hai descritto fu mio padre, se mai.» Questa volta non stava più giocando. Sbatté la porta e lanciò le scarpe a casaccio, come un ragazzino offeso.
Dom si tirò una sberla sulla fronte, il danno era fatto.

«No, Matt, era per ridere, scusa se mi ero appena preso della "mamma" senza protestare!»

«Va bene, ma a tutto c'è un limite. E comunque, questo scherzo fa schifo. Ciao, io vado in camera.» E si diresse tutto stizzoso nella stanza, lasciando il batterista perplesso e scoraggiato più del solito.
Sarebbero mai riusciti a stare davvero bene, oltre che quando suonavano e le parole non servivano piu?
-Forse tutto quello che ci occorre è proprio mettere a tacere le nostre boccacce e lasciare che le azioni ci guidino alla cieca...

La sera giunse veloce e malinconica nel cielo rattristato di fine giornata; il temporale era cessato, ma i suoi lasciti, pozzanghere argentate e aria balsamica, rendevano la città pittoresca. Apparve la luna e qualche stella, brillante abbastanza per farsi notare nonostante l'inquinamento luminoso.
Matt non era più uscito dalla stanza; munito di chitarra, pianoforte a muro, carta e penna, poteva anche dire addio al mondo. Dom aveva fatto la spesa e riassettato la cucina un po' abbandonata a se stessa; successivamente si era dedicato alla visione di un film di guerra in tv, fino a crollare addormentato senza capire perché alcuni italiani continuarono ad essere fascisti e a non prender parte alla resistenza partigiana.
Verso le nove appunto, decise di indagare circa le condizioni fisico-mentali del suo migliore amico. Aprì la porta silenziosamente e lo vide piegato sulla tastiera del pianoforte. Si era svestito, indossava solo una tuta nera piuttosto larga; le scapole si muovevano sotto la pelle sottile e bianca ad ogni movimento che faceva. Le mani affusolate scorrevano sui tasti creando melodie incantevoli; Dom sentì che avrebbe potuto osservarlo lì, appoggiato allo stipite della porta, per un'eternità.
Cantava, o meglio, sussurrava parole appena comprensibili.

«The sun forgives the clouds...» bisbigliò, afferrando il pezzo di carta che aveva posato ai suoi piedi con una penna. Trascrisse la frase e tornò a concentrarsi sulla musica.
Dom sapeva che se si fosse accorto di essere spiato in un momento così delicato sarebbe andato su tutte le furie. Perciò, per evitare la figuraccia, pensò bene di informarlo del suo arrivo, per quanto questo gesto costasse la fine della magia.

«Matt» disse atono, entrando a piccoli passi.
Il cantante si voltò di scatto, mostrando il petto glabro e scarno; piegò il foglio scarabocchiato e chiuse la tastiera del pianoforte.

«Sì?» rispose spaventato, appena caduto dalle nuvole.

«Oh, niente di che... mi chiedevo solo che fine avessi fatto dopo ore che sei qui dentro.»

«Ottimo motivo per cui interrompermi!» Sbuffò Matt, mandando al diavolo la preoccupazione stupida di Dom.

«Non è colpa mia se, essendo nella stessa casa, non riesco a starti lontano» si giustificò debolmente il batterista, ormai giunto alle spalle di Matt. -Non è neppure colpa mia se mi domando spesso cosa abbia significato quel bacio per te.

«Va beh, ormai il danno è fatto» sospirò Matt, rassegnato, «La Musa tornerà.»

«Guarda come sei storto! Un bel massaggio è quello che ci vuole.» Disse Dom, riferendosi alla spina dorsale incurvata di Matt. Ovviamente per correggere quella postura sarebbe servita una ginnastica mirata, non un esercizio rilassante. Ma Dom, non essendo un terapeuta, si accontentò di quello che sapeva fare. Senza aspettare il suo consenso, appoggiò le mani grandi sulle sue spalle rotonde.
Con i pollici cominciò a tracciare cerchi di uguale diametro, mentre Matt si raddrizzava pur di nascondere quel difetto.

«Non, non è necessario...» tentò di protestare, assaporando invece i benefici di quel caldo massaggio.
Dom non lo ascoltò neppure; continuò a far girare i pollici e, quando Matt, singolarmente appagato dal benessere tratto da quello strofinamento, gettò la testa all'indietro in segno di cedimento totale, osservò quanto bello fosse il suo collo levigato e libidinoso.

«Rilassati» sussurrò con voce afona, abbassando di qualche millimetro il capo.

«Mmh» bofonchiò l'altro, chiudendo gli occhi lentamente.

Dom, nel vedersi a neanche 40 centimetri il viso disteso e ammaliante di Matt, sentì rimescolarsi il sangue nelle vene. Sapere di provocargli tutta quella beatitudine con solo un massaggio alle spalle, lo rendeva orgoglioso e ancora più curioso di provare altro per deliziare il cantante.
Avvicinò ancora la sua testa, così da far rimanere a mala pena 15 centimetri tra le due facce.

«Ti piace?» flirtò, caricando oltremodo il tono di erotismo.

«Sssì» confermò Matt, aprendo appena gli occhi, facendo sì che Dom scorgesse l'azzurro delle sue iridi, poi richiudendoli.

Dom intensificò il massaggio, premendo più forte nella carne, ma rallentando la velocità di rotazione dei suoi pollici. Avvertì la durezza della ossa di Matt, la scivolosità dei tessuti interposti fra queste e la pelle, la morbidezza e il candore di quel corpo.

«Matt...» bisbigliò, lasciando che a separare le loro bocche rimanesse una distanza ridicola.
Il capo del moro pendeva abbandonato all'indietro e pareva senza forze da opporre.

«Dom...»
Il batterista fece diminuire il numero dei cerchi sulle spalle del chitarrista finché si esaurirono. Quando furono perfettamente immobili, Dom appoggiò le sue labbra su quelle di Matt.
Essendo i due volti capovolti, il naso sporgente di Matt finì nell'incavo sotto il mento di Dom, premendosi contro la pelle del collo. Dominic aprì uno spiraglio nella sua bocca e venne imitato da Matt; i due aliti si mescolarono, mentre il respiro, eccessivamente accelerato, emetteva un rumore flebile.
Le punte delle lingue ebbero un primo contatto. Il sapore, già conosciuto per un precedente tentativo, dell'uno invase l'altro, come miele che cola.
Le mani di Dom si spostarono. Dalla schiena di Matt, raggiunsero l'addome, fermandosi con i palmi aperti attorno all'ombelico. Lo accarezzarono adagio con molta cautela.
Stavano per lanciarsi in un vero bacio, ormai insoddisfatti da quegli sfioramenti, quando Matthew maldestramente si sbilanciò all'indietro, cadendo dallo sgabello su cui sedeva.
Travolse anche Dom, al quale invece spettò la sorte migliore di capitare sul letto appena dietro.


«Oddio!» disse il pianista, sbattendo la schiena contro il pavimento.

«Matt!» esclamò l'amico, che, dopo essersi ripreso e aver capito le dinamiche dell'incidente, si precipitò il suo aiuto.
Matt era disteso a pancia in su, con un'espressione contrariata. Dom si inginocchiò al suo fianco e, prendendogli la testa fra le mani, lo controllò premurosamente.

«Cos'è successo?» chiese il goffo ragazzo sdraiato.

«È successo che sei un irrecuperabile imbranato.» Disse Dom, felice di scoprire nessuna lesione nell'amico.

«Già...che imbecille» sussurrò, sospirando auto-deludendosi.
Lo sgabello, stato in bilico fino a quel momento appoggiato al muro, cadde con un tonfo sordo.

«Un imbecille che mi piace dannatamente...» gli rispose Dom con un filo di voce, piegandosi su se stesso, punto di vergogna davanti all'ammissione di una tale verità.
Matt si fece serio; schiarì la voce e, reggendosi sui gomiti, si alzò un poco.

«Dom? Puoi ripetere?» -Forse sono intontito dalla caduta e ho frainteso.

«Non chiedermi questo.» -Non riuscirei a dirlo una seconda volta.

«Ma... io non ho capito.» -O spero che sia così.

«Invece sì. Non fare in finto scemo, cosa pensi, che io vada in giro a dispensare baci a chi capita?»
Dom si coprì il viso con le mani; sembrava un fedele in posizione di preghiera. Una disperata preghiera dettata da un cuore disperato altrettanto.

«Dom...» fu tutto quello che Matt fu in grado di dire, sbattendo le palpebre incredulo.

«Cosa ha significato il bacio che ci siamo dati un mese e mezzo fa, Matt? La domenica in cui morì papà, dimmelo Matt, sono cinquanta giorni che mi torturo con questa domanda.»
Questa volta, animato da nuova forza, allargò le dita premute contro la faccia, così da lasciar intravedere un occhio. Matt rifletté in silenzio per qualche secondo. Gli mancava il fiato, boccheggiava, odiava la propria incapacità di comunicare anche con lui, anche con Dom.

«È stato...» -Non so definirtelo. Forse "speciale" si avvicina. 

«...un errore, Matt? È questo che vuoi dire?» -Sì, è così.

«Verament-» -Veramente no, Dom, sei fuori strada.

«No, basta infierire. Anche per me non vale nulla, lascia perdere.» Concluse il batterista, alzandosi velocemente. -È solo un altro sogno ferito da dover curare.

«Aspetta, io non intendevo quello!» gridò Matt, saltando in piedi anche lui.

«E cosa, allora?» -Quale altra bugia mi spacceranno le tue parole ingannevoli?

«Se non trovo parole per descriverlo, non implica che non ha significato nulla!»
I loro occhi si sfidarono, rimescolando quel verde a quell'azzurro violentemente.

«Tu senza le parole giuste, Bellamy? Non ti credo.» E fece un passo verso l'uscita.

«Dominic, ti imploro di fidarti! È stato...è stato un gesto di circostanza, ecco!» -Grandissima cazzata!

«Cosa? Ah, perfetto. Beh, sappi che io non voglio la carità di nessuno. Ciao!» e, spostandolo dalla propria strada con una spinta barbara, uscì dalla camera e scomparve nell'altra stanza.
Matt tirò un calcio al muro. -Sono una testa di cazzo! pensò, stringendo i pugni fino ad avvertire il dolore delle unghie conficcate nei palmi sudati. Ora non gli rimaneva altro che auto-infliggersi del male, sentendo di meritarselo tutto, fino all'ultima fitta alla lingua massacrata dai denti digrignati.

Il punto è che lui non realizzava. Lui non realizzava di esser appena passato da un innocente massaggio alla schiena, ad un flirt, ad un bacio (il secondo) con Dom; non realizzava di averlo corteggiato altre miglia di volte, in differenti modi, ma tutti più o meno validi; non realizzava di avere vissuto la vita gomito a gomito con la persona che amava morbosamente da dieci anni, di averla abbracciata sperando in qualcosa di più, di averla consolata sentendo di soffrire dello stesso dolore, come un tutt'uno. Ora però sentiva gli occhi aprirsi e con essi tante finestre sul passato, su un passato inequivocabile una volta analizzato con lucidità e sagacia.
-Chissà da quanto tempo ne è consapevole lui! Devo fare qualcosa, si risolse, massaggiandosi le tempie.
Finalmente lunghe ore di riflessione lo portarono ad approdare ad una certezza. Decise di agire, agire consapevolmente e alla luce dei fatti. Avrebbero discusso la questione una volta per tutte; se era amore, morboso o maniacale che fosse, l'avrebbero vissuto, magari nascondendolo, però l'avrebbero assaporato fino in fondo; se era amicizia, invecchiata o forse fraintesa, l'avrebbero accettata e si sarebbero comportati di conseguenza.
Confidando nella mutevolezza dell'umore di Dom, uscì dalla stanza quando ormai era notte fonda.


Dominic srotolò un lungo tappeto di stoffa di asciugamano sul pavimento; si svestì, aprì la porta del box-doccia e girò la maniglia dell'acqua calda. Regolò sui 30° la temperatura e richiuse lo sportello di vetro trasparente. Il getto abbondante lo bagnò nell'arco di qualche secondo; una sottile colonna di vapore usciva dall'alto, disperdendosi nel resto del bagno.
I vetri della doccia erano ormai rigati di gocce, quando dalla porta della stanza lasciata socchiusa, entrò Matthew. A primo impatto, scorgendo Dom dentro la doccia, fece per uscire, quasi scusandosi dell'invadenza. Poi però, sentendo che il bisogno di urinare era più forte del pudore, ignorò la presenza dell'altro e si diresse al wc. Si era ripromesso di fargli un discorsetto, ma mica poteva in un momento del genere.
Dom, accortosi dell'accaduto, adottò lo stesso atteggiamento di apparente indifferenza; tanto non era la prima volta che si intravedevano nudi. Si insaponò i capelli con lo shampoo e chiuse gli occhi per non irritarli con la schiuma.
Matthew urinò, tirò lo sciacquone e si ricompose. Sostò indeciso sulla prossima azione; voleva lavarsi le mani, ma questo equivaleva a passare davanti alla doccia un'altra volta.
Dom, una volta che lo shampoo era colato via, prese il doccia-schiuma. Matt si stava lavando le mani, sguardo fisso e imbarazzato nello specchio di fronte a sé.
Quando il chitarrista fu sul punto di andarsene, finalmente, e levare il disturbo, passando per la terza volta davanti a quel box-doccia sfortunatamente trasparente e contenente il suo migliore amico nudo, si bloccò. I piedi erano diventati due macigni. Irremovibili, li guardò impotente. Sbuffò arrabbiato, sempre più inibito, infine si sedette proprio in quel punto. Esattamente davanti e a due metri dalla doccia rumorosa.
Dom si riempì la mano di detergente e lo spalmò sul suo corpo; un profumo maschile e pungente si diffuse rapidamente nell'aria.

Matthew, gambe incrociate e mani appoggiate al tappeto, lo fissava impassibile. Scorreva quel bellissimo corpo da cima a fondo, sfruttando l'ottima illuminazione del luogo. I piedi, immersi nella schiuma; le gambe, sode e con una leggera peluria bionda; il bacino sottile, la pancia piatta, i pettorali minuti, le braccia muscolose, il collo piuttosto corto...tutto luccicante di acqua. Uno splendore vivente.
Dom si lasciava guardare senza commentare quella situazione stranissima; accarezzava, massaggiava, detergeva la pelle semplicemente. Nei suoi gesti c'era una naturalezza incredibile, Matt dovette riconoscerlo. Altri avrebbero chiesto spiegazioni; lui no, permetteva che il suo chitarrista lo squadrasse ininterrottamente così, alla leggera. Forse volentieri.
Matt non cercò più di auto-convincersi del contrario; quella visuale gli solleticava i sensi. Uno in particolare. Solleticava soprattutto una voglia, che andava concentrandosi nel basso ventre. Non gli era mai successo di eccitarsi alla vista di un uomo nudo. Però non aveva ancora fatto i conti con la contemplazione di Dominic sotto la doccia. Istintivamente, si portò una mano sulla tuta, sopra le parti intime. Non sbagliava; erano più dure del normale.
Per la prima volta nella sua vita, poteva tastare con mano il desiderio sessuale scaturitogli da Dom. Prima aveva sì avuto intuizioni, ma senza un seguito né importanza.

Dom chiuse l'acqua. Si scrollò di dosso qualche goccia, poi aprì lo sportello e mise un piede a terra. Afferrò un asciugamano e se lo legò in vita, mentre con un altro più piccolo si tamponava i capelli fradici. Avanzò verso Matt di un passo. Matt non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi. Aveva paura di venire spiazzato da una qualche domanda, per esempio: «Cosa diavolo stai facendo?»
Invece Dominic non disse nulla. Semplicemente gli si sedette davanti. E fu in quell'istante preciso che Matt capì di essere ricambiato come mai nella vita.

«Non pensare male» iniziò Matt, fissando gli occhi sul petto bagnato di Dom. -No, ti ho solo guardato come un maniaco mentre ti lavavi! Scusami, amico mio, scusami...

«Non lo sto facendo.» Rispose calmo, arrotolando fra indice e pollice un filo fuoriuscito dal tappeto su cui sedevano.

«Okay. Io... io mi scuso.»

«Per cosa?»

«Per quello che è appena successo.»

«Matt, non ha senso. A me non importa se mi guardi nudo, perché non provo nessuna vergogna verso di te.» Abbozzò un sorriso che lo rese ancora più attraente.
Matt deglutì.

«Ah, no? Quindi non mi devo scusare...»
Anche Dom trovò estremamente carina e infantile l'espressione imbarazzata di Matt, che arricciò le labbra rosse.

«Sì, scusati per altri motivi però.»

«Per prima, hai ragione. Voglio dirti che per me quello che accadde quella notte è stato...sì, importante.»
Alzò gli occhi color del mare e incontrò quelli di Dom; trascorsero un minuto a guardarsi, sentendo fluire emozioni nell'aria.

«Anche per me. È anche grazie a quello che sono riuscito in parte a superare il lutto di papà.»

«Ah, bene...»

Le parole non sembravano più abbastanza. Matthew non s'era scordato di aver desiderato incessantemente il corpo di Dom, mentre si faceva la doccia. Poi, una goccia fece traboccare il vaso delle sue voglie: l'asciugamano legato in vita a Dom cadde, poiché il nodo si era allentato.
Dom non coprì la sua nudità e Matt non ci vide più. -È sbagliato, è scorretto, è sporco... ma ne ho voglia, ne ho la necessità...sì, ho urgente bisogno di averlo!
Si avventò sopra il suo amico e, sbattendolo a terra sul tappeto, gli bloccò i polsi attorno alla testa, dopo lo baciò.
Dominic divaricò le gambe per far spazio al corpo di Matt disteso in lungo sopra il suo e non cercò di liberare le braccia da quell'immobilizzazione; ricambiò il bacio, e lo fece nel modo più appassionato possibile.
Matt baciava con bramosia quasi rabbiosa. Spingeva la lingua più a fondo possibile nella cavità orale di Dom e la faceva scorrere velocemente attorno alla sua, quasi testando la bravura e l'abilità di Dom in quel gioco.
Il batterista rispondeva per le rime, non dandogli pace e andando quasi in apnea pur di prolungare quel bacio ardente. I primi gemiti di piacere colorirono maggiormente l'atmosfera, una volta che Matt cominciò a strusciarsi sul corpo nudo e scivoloso d'acqua di Dom. Quest'ultimo, chiuse le gambe attorno al bacino di Matt, incrociando i piedi per impedirgli ogni possibilità di fuga.
Separarono le bocche per riprendere fiato; la loro respirazione era velocissima, quasi più veloce dei cuori impazziti. Matt leccò, ancora fiatando per colmarsi di ossigeno, il collo di Dom, che si morsicò il labbro inferiore pur di non emettere alcun verso di piacere.

«S-stiamo...» biascicò il batterista, vibrando per l'emozione mentre Matt continuava a succhiare con lentezza la carne del suo collo.

«S-sì» sibilò il cantante, chiudendo gli occhi per concentrarsi meglio.

«Per fare...» continuò Dom, avvertendo un leggero dolore ai polsi ancora stretti dalle mani di Matt.

«...I want it now, I want it now, give me your heart and your soul...» canticchiò, sorridendo sensualmente.

«Q-quello?» ebbe una scossa di brividi e cercò di trattenersi nonostante le continue lappate di Matt che cominciavano a scendere, a raggiungere il petto.

«Beh,» ma prima di poter rispondere, un'immagine ebbe la meglio.

Era l'immagine lontana e sbiadita di una ragazza triste, seduta e abbandonata chissà dove; portava un paio di ballerine rosse ai piedi e si riparava dal vento che le scompigliava i capelli castani. Aveva un nome.
«She had a name...» sussurrò Matt, sopraffatto da quella visione.

«C-cosa?» lo interpellò Dom, non capendo.

«She'll scream and she'll shout and she'll pray, and she had a name, yeah she had a name!» confabulò, sempre più frenetico.
La ragazza ora aveva anche un corpo, un corpo d'angelo, e una voce, una voce splendida con cui sussurrava parole inafferrabili. Era Gaia, no, era Gaia unita a Marilyn da giovane. No, c'era di più! Era Gaia, Marilyn e l'abiezione personificata. Era una donna a tre volti; quello del tradimento, quello della paura e quello della vergogna. E per di più li stava spiando da quel remoto angolo della sua mente!

«Si sta realizzando! Dom, è tutto vero, si sta realizzando tutto!» strillò, lasciando improvvisamente la presa dai polsi di Dom e sfuggendo da quella delle sue gambe.

«Aspetta, cosa succede?» gridò Dom piombato nel terrore.

«No one will recall, no one will recall!» urlò ancora Matt, posseduto come un ossesso.

«Matt, perché canti Stockholm Syndrome?» sbraitò Dom, alzandosi in piedi anche lui.

«Hai capito? L'importante è che no one will recall! Non è mai avvenuto niente, intesi?» Detto questo, gli si colmarono gli occhi di lacrime e si mise le mani nei capelli.

«No, non capisco, sei impazzito!»

«Loro sono qui!»

«Chi? Parla!»

«Loro! Mia madre, Gaia, la vergogna... basta! Allontanati da me, anzi, me ne vado io!» Concluse, asciugandosi le lacrime e cercando di contenere il tremore da cui era assalito.

Corse fuori dal bagno, inseguito da Dom che nel frattempo si era infilato un accappatoio in fretta e furia. Si mise una maglietta, indossò le scarpe e afferrò una giacca leggera, contenente cellulare e portafoglio.
Dom lo bloccò per le braccia, lo scosse forte e gli urlò in faccia:

«Cosa cazzo è successo, Matt? Tu non stai bene!»

«Fidati, è stato meglio così. Vado da Gaia» e tentò di liberarsi, ma Dom lo stringeva forte.

«Devi curarti, sei malato gravemente. E poi scusa, domani o dopo arrivano Chris e Tom!»

«Tornerò in tempo, ora, ora devo andare via di qui.» Pronunciò queste parole con talmente tanta follia negli occhi spiritati, che Dom si arrese.

Matt, appena ebbe le braccia libere, si fiondò alla porta di casa e uscì precipitoso, manco fosse stato inseguito da un assassino.

Dom si lasciò sprofondare sul letto sconfitto. Sfilò l'accappatoio, lo lanciò per terra e si infilò nudo sotto le lenzuola leggere; sul cuscino le gocce che gli colavano dai ciuffi ancora umidi si confusero a lacrime amare. Avrebbe cercato per tutta la notte una spiegazione, ma, sapendo di combattere una battaglia persa in partenza, sperò solo di trovare ristoro nel sonno. Come se le paure non ci seguissero anche nei sogni! I suoi incubi sapevano di Matthew, in ogni macabra piega della loro essenza evanescente; per questo Dom sentì di innamorarsene perdutamente.


Nuovo messaggio."The last time I'll abandon you and the last time I'll forget you " Invia, numero rubrica. GP. Inviato.
Matthew udì la chiamata per il suo volo e spense il cellulare. Si diresse curvo e spento come un fantasma all'imbarco. Sembrava un profugo in cerca di asilo, sperò solo di non venire intercettato da fans o fotografi così mal ridotto.
-Sto scappando, scappando un'altra volta e mentendo, mentendo un'altra volta... ma i sensi di colpa mi divorano, soprattutto quando provo a seguire il mio istinto, la mia verità! Non c'è via d'uscita; l'unico modo per sopravvivere è andare da lei, lei che saprà calmarmi. Calmarmi quanto basta per farmi tirare un sospiro di sollievo, perché tanto il macigno è qui dentro e non posso liberarmene! Come sono giunto a ciò?
pensava, guardando attraverso l'oblò la terra in allontanamento. -Come siamo giunti a ciò, perché siamo in due ad essere colpevoli! Avremo mai il perdono? Un'assoluzione, un riscatto? E la cosa che più mi fa dannare è che, nonostante tutto, io... io continuo a pensare a te, a sentire la tua mancanza, ad amarti...

 
Dom, svegliatosi all'alba, intravide appena aprì gli occhi un foglio nella penombra della camera. Un foglio ai piedi del pianoforte a muro. Scese dal letto, lo raccolse e cercò di leggere le scritte ingarbugliate. Non comprese bene il senso di quelle parole caotiche, ma una frase lo colpì particolarmente: "You are my holy shroud, oh no, no". Era seguito da una macchia di inchiostro nero che, dopo averla guardata in controluce, scoprì nascondere una D.
Tornò a stendersi nel letto; in pochi secondi si riaddormentò, e ciò che rimase di lui fu un ragazzino rannicchiato su se stesso che stringeva tra le mani un foglio firmato Matthew Bellamy.



•Remember me...•

 

NDA: Buonasera! Eccoci qui, un'altra volta tutte insieme :D Dunque, capitolo...mah, lunatico. Soprattutto in un periodo così moscio e poco interessante, non se ne sentono delle belle da tempo D:

Annotazioni:
-Mi pare che Dom fosse moro in questo periodo, ma se ho usato l'epiteto biondo è solo perché a me castano non è mai piaciuto! Solo un modo per imitare Bells.
-La visione della donna-mamma-abiezione è ispirata ad un'altra ff che lessi qui -nonostante in quella si trattasse solo di Gheia.
-Sì, ho messo SS dedicata alla ragazza e EM dedicata a Dom. Any problems? ;) Btw, non ho idea di quando fu scritto quel MERAVIGLIOSO B-SIDE, primo in classifica con Easily.


Ringraziamenti:
-MuseLover: Santa Peppa, mi piace un sacco il modo in cui commenti Special Needs! Ogni volta che vedo la tua recensione, mi dico un LOL mentale! Certo, comincerò Bliss molto presto ('sta notte, se riesco). GRAZIE DI TUTTO.

-DyingAtheist: Paoletta :D Perfetta io? . . . io volere bene te. SMACK.

-LillaWright: Che bella cosa averti trovata anche su FB! Comunque, le tue recensioni non sono mai no sense. Sono popah!!! E mi piacciono assai. Ma ti prego di rimanere neutrale, anche se mi conosci °_°

-ValErika: Miss.avrai.il.pesciolino.Speed! Gheia e Jess? AL ROGO =) GRAZIE, comunque.

-MusicAddicted: LUUUUUUUUUUUU <3 IO E TE, TRA POCO VEDERCI! <3 Non dico altro... solo che ti voglio abbracciare, xD

-PatriLawliet: Ti adoro, sempre di più -tu mi ami addirittura! Ma ti ho su Fb? Vorrei! Comunque, comunque... certo che questi le fanno! Questi SE LA FANNO =3

-Deathnotegintama: Sembra sciocco parlarti qui, dopo tutto :) Ma come non posso riservarti un posto? A te, probabilmente la mia lettrice preferita <3 Grazie, sempre, di tutto. Sii spietata con me!

-Barbydowney: Nuova arrivata! Piacere *stringe la mano*, come ti va? Aspetto il tuo parere ^_^

-Omony: BellDom è sempre MODE ON! E... tu manchi sempre :( Spero in Natale, davvero.

Un Cheers agli altri, LOL! *Spero solo che se anche tu hai letto... in qualche modo io riuscirò a capirlo.*                              Musa.



 






Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Dodicesimo Capitolo: Special Loss. ***


•SPECIAL NEEDS•

If I lay here
If I just lay here
Would you lay with me and just forget the world?
[Snow Patrol, Chasing Cars.]





 


Dodicesimo Capitolo: I lost to love.

(2004.)

-Due ore esatte. Centoventi minuti precisi. Settemiladuecento secondi contati, pensava Matthew, in cui non ho smesso di pensarti, Dom. Fissava il muro di fronte con faccia inespressiva da parecchio tempo; si sarebbe detto un sonnambulo, se non fosse stato per quel suo attivo ragionare.
«Già sveglio?» domandò Gaia, stiracchiandosi nelle coperte.
Erano a casa di lei, in camera matrimoniale. Il giorno albeggiava ad Est e un fresco alito di vento s'intrufolava dalla fessura della finestra frontale lasciata socchiusa; la luce del mattino dorava le lenzuola azzurre e pareva un incantesimo, quel frangente di tranquillità prima del caos.

«Da poco,» le mentì l'uomo, avendo appena calcolato da quanto invece si concentrava su Dom, «da poco.»

«È stato bello vederti tornare a casa, ieri. Non ho avuto il tempo di dirtelo, sei stato così impetuoso!» proseguì lei, avvicinandosi al fidanzato per abbracciarlo.
I loro corpi nudi vennero a contatto, reagendo in modi opposti. Quello scarno e bianco di Matt rimase rigido come un burattino di legno; quello leggero e morbido di Gaia rabbrividì, rivivendo i momenti della notte da poco trascorsa. Era da tanto che non passavano una notte di fuoco. Per lei era stato ovvio, una volta trovatolo sul suo divano con volto da angelo triste. Lui non si era certo tirato indietro, era la sua ragazza! Ma se un occhio attento li avesse guardati, si sarebbe di certo accorto della celata freddezza nei gesti di lui, oppure di quegli occhi serrati pur di immaginarsi qualcosa o qualcun altro e ottenere i risultati da ottenere in quelle situazioni.
«Non ti ho chiesto neanche perché avevi tutta quella fretta...»
Matthew sospirò. Lei gli aveva appoggiato il capo sul petto, giusto sotto il collo, e con una mano gli carezzava un pettorale. Lui annusò il profumo di shampoo proveniente dalla chioma castana della donna e si sentì soffocare.
Cominciava a temere di provare solo un interesse scientifico verso Gaia. Sì, le idee andavano schiarendosi.

«Scappavo da Londra.» Ammise, ripercorrendo mentalmente quella fuga da codardo.

«Da Londra? Ma se mi hai chiesto con insistenza di rimanerci per vedere i tuoi amici!» Protestò lei, corrugando la fronte.

«Già» sbuffò Matt, che si sentiva talmente inconsistente da desiderare solo di dissolversi come brina sul prato nel giardino. Non aveva risposte per Gaia, non le avrebbe mai avute. Le avrebbe solo riversato addosso, un'altra volta, la sua insicurezza.

«Cosa c'è che non va?»

«Boh!»
Gaia ebbe un impeto di rabbia. Si puntellò sui gomiti e guardò dritto in faccia Matthew. Lui non notò neppure la fiorente bellezza della donna nuda; la fissò negli occhi e si sentì vuoto come un buco nero.

«Tra poco devo uscire, quindi esigo una risposta e subito! Cosa c'è che non va, dimmelo.» Incalzò lei, determinata abbastanza da far arrossire Matt.

-Vorrei dirtelo, ma non so dirlo neanche a me stesso, credimi. Ho questa consapevolezza a livello inconscio; è bloccata lì, non so come smuoverla! Pensò lui, mentre Gaia si incupiva preoccupata.

«Matt, dimmi qualsiasi cosa ti passi per la mente in questo preciso istante!» Ordinò, alzando la voce.

«Non ti amo.» La voce, di solito così armoniosa, uscì metallica dalle labbra vermiglie. -E non esigo nemmeno il tuo perdono.
Gaia scosse il capo, abbassandolo e mordendosi il labbro inferiore.

«E questo lo so già, Matthew. Sai, non sono una stupida fangirl che si fa raggirare dai tuoi giochetti.» Gli occhi persero ogni traccia del sonno, diventando via via più lucidi.

«No, sei la donna più intelligente che io abbia mai conosciuto. Ma mi ami, e io non merito il tuo amore.»

«E invece sì, Matt, amarti non è poi un'idea così utopistica! Tu hai un'enorme carenza d'amore, chi può colmarla se non, come tu stesso hai detto, la donna più intelligente?» Gli avvicinò una mano al volto, ma lui indietreggiò, affondando nel cuscino.

«La mia carenza è incolmabile.»

«Nessuna lo è, esiste sempre una soluzione!»

«Evidentemente, tu non sei la mia.»
Queste parole si schiantarono sul volto della donna come una sberla a cinque dita. Ebbe un singhiozzo, poi un fremito. Desiderò dei vestiti con cui coprirsi, una pistola con cui ucciderlo, un'iniezione magica per dimenticarlo.

«Se parli così, con questa sicurezza, è perché sai chi è la tua soluzione, la tua metà, la tua pienezza, mio caro!» Gridò, allontanandosi furiosa. Teorie di psicoanalisi le avrebbero dato ragione, d'altro canto.

«Sì lo so, ma non lo accetto.» Rispose lui, ormai robotico.
Lei si infilò un paio di slip e un reggiseno. Raccattò jeans e magliette, li lanciò in un armadio aperto; mentalmente formulava una replica per quello sfacciato.

«Chi è questa troia,» disse lei a denti stretti, lacrime ormai negli occhi tremolanti, «chi è?»

«Non dire troia. Sappi che tutto ciò mi sta dilaniando interiormente, e dilania anche l'altra persona.» Ammise, mentre l'immagine di Dom abbandonato in quella casa umida di Londra gli stringeva il cuore.

«Ci mancherebbe, mi tradisci!» sbraitò lei, infilandosi un paio di calze.

«No, no! Mi hai frainteso. Siamo amici, però... è come se non fosse mai stato abbastanza.» -Soprattutto da un po' di tempo a questa parte!

«Chi cazzo è? Matt, non hai amiche strette, che io sappia! E di sicuro non puoi innamorarti di un'amica lontana, no di certo.» Gridò Gaia, scegliendo a caso qualcosa con cui coprirsi il busto.

«Non si tratta di un'amica, hai capito perché mi sento così di merda?» urlò, questa volta lui, mettendosi seduto e sbattendo un pugno sul materasso. Gli si gonfiarono le vene nel collo e una a metà della fronte.

«C-come no?» chiese lei, spaventata e immobilizzata, ancora con una felpa fra le mani tremanti.

«No! Gaia, tu pensi che io ti abbia presa in giro? Una semplice amica avrebbe potuto mettersi fra noi?»
La ragazza sbatté gli occhi incredula. Non sapeva cosa controbattere. Solo ora si accorgeva di essere nel torto e di avere agito nel peggiore dei modi, sbagliando tutto.

«Spiegami, allora, perché io mi sento persa.»

«Vieni qui.»


Gaia lasciò cadere la felpa per terra e raggiunse il fidanzato. Si sedettero sul bordo del matrimoniale e si guardarono negli occhi come non facevano da tempo.
«Non è un'amica e non è nulla di recente. È solo un...bisogno sopito.» Esordì lui, abbassando la voce fino ad un sussurro.

«Che adesso si è risvegliato?»

«Più o meno sì, Gaia.»

«Ma chi è, dimmelo, devo averne un'idea, per quanto possa far male!»

Matt si sentì mancare. Stava davvero per pronunciare il suo nome? Quel nome così impresso nella memoria, nel cuore?

«Non riesco.»

«Ti aiuto. Non è un'amica...forse una vecchia conoscenza?» e provò ancora voglia di piangere, ma si trattenne.

«No...Dio, è così innaturale?» si lasciò scappare lui, alzando gli occhi al cielo.

«C-cosa...aspetta, Matt! Innaturale hai detto?» Negli occhi di lei balzò una nuova luce.

«No, cancella tut-»

«Non è un'amica, è la sorella di Dom!» gridò vittoriosa e furente allo stesso momento.
Lui scosse la testa subito.

«Ma no, no! Cosa c'entra lei? La conosco a mala pena, Gaia, che dici!» rispose arrabbiato, anche perché questo sbagliare dimostrava solo quanto fosse innaturale il vero oggetto della questione.

«Già, lei no...ma chi, allora?»
Lui sospirò. Non riusciva davvero a dire quel nome, era impaurito come mai nella vita.

«Matthew, ho capito. Ci ho messo così tanto perché quando la soluzione è ovvia, io sono sempre cieca.»
Queste parole congelarono l'uomo. Gli girò la testa tre volte, prima che lei, parlando ancora, lo facesse tornare nel mondo reale.

«È lui.»
Matt perse un battito cardiaco. Boccheggiò.
«È Dom.»

Matt si strozzò con un malloppo di saliva e fu costretto a buttarsi a terra e tossire. Quando terminò lo sfogo, si rialzò, rosso e punto di vergogna.
«Tutto fila, ogni tua parola trova un senso. Solo un ultimo dubbio, Matt. Perché ti sei messo con me, avendo lui ed essendo ricambiato?»
Matt desiderò chiederle se davvero pensasse che fosse un sentimento reciproco, ma si trattenne, anche perché decise di negare. Negare, cancellare, nascondersi e mentire.

«No, Gaia, non sono gay, Dom è un amico e-»

«Taci. Non ti voglio più vedere almeno per un mese. Poi si vedrà, perché tanto io ti amo e tu in un modo o nell'altro so che mi vuoi bene. Vattene, lascia le chiavi di casa.»
La ragazza fece per alzarsi, ma lui la bloccò per un braccio.

«No, hai sbagliato, perché io-»

«Stai zitto! Ho ragione, mi quadra tutto, finalmente, dopo quattro anni di dubbi irrisolti. Voglio stare da sola. E il mio cuore di donna innamorata di dà anche un consiglio: vai da lui, tanto sta con Jessica solo per non sentirsi solo, cosa pensi, che siamo due stupide e non ci siamo mai detto quanto siete strani e morbosi, quanto flirtiate ogni volta che vi si dà via libera, quanto fingiate spudoratamente?»
Messo al tappeto, Matt chinò il capo. Gaia ragionava in un modo tanto lucido e corretto da imbarazzarlo; avrebbe voluto sapere altre cose, ma decise di rispettarla, almeno in nome del bene fraterno che le voleva. Si alzò, si sentì particolarmente un verme e nell'arco di un nanosecondo capì che, se non le avesse confessato tutto, non sarebbe mai riuscito a vivere la relazione con...sì, con Dom.

«È vero, complimenti, hai più coraggio di me. Io...io posso affermare di...no, scusami, ma non voglio dirlo prima a te che a lui. Però hai capito.» Disse, respirando a pieni polmoni la verità, finalmente libera e splendente come il sole.

«Esatto, e i sospetti miei e di Jessica erano fondati, nonostante cominciai a capire prima io di lei. La porta è quella, Matt. Non spererai di trovare un'amica in me, adesso, eh?» Era perfettamente entrata nel ruolo di psicologa a cui tanto ambiva.

«Mi stai lasciando?»

«No, assolutamente. Ripeto: siamo in pausa. Fammi pensare alla cosa giusta da fare, ti farò sapere. Vai prima che ti metta le mani addosso!»

«È uno scherzo?» -Rivelerà tutto ai giornali, i Muse sono finiti. Complimenti, perché non le hai mentito?

«No, che tu lo voglia o no, io ti am...ti voglio bene, dire "amo" è ridicolo. Okay? Troveremo un accordo, un compromesso, qualcosa. Ora levati di mezzo, per favore.»

«Okay.»
La ragazza si chiuse in bagno. Pianse fino a perdere le forze, scaricò una rabbia che non aveva nome in tante lacrime da rimanerne senza.
E presto, lui si ritrovò seduto su un altro aereo, però con una differenza rispetto alle precedenti volte, in cui viaggiava come un fuggitivo spaventato. Questa volta si sentiva adulto e, soprattutto, sapeva di essere diretto a casa, forse, per la prima volta nella vita.



Era ormai sera, quando la porta di quella casa londinese s'aprì. Una sagoma dalle sembianze umane varcò la soglia, muovendosi nel buio di quelle stanze abbastanza conosciute da non impigliarsi o cadere in niente. Matthew Bellamy era privo di forze fisiche; se non fosse stato per quel suo intelletto così vivo, si sarebbe volentieri accasciato sul divano. Aguzzò le orecchie, sperando di percepire un qualche rumore che provasse la presenza di Dom; niente, nella casa regnava un silenzio tombale. Capì che lì non c'era proprio nessuno e, temeva, nessuno sarebbe arrivato. Troppo tardi. Troppi sbagli. Troppo dolore.
«Dom?» chiese esanime, che se un dottore lo avesse visto di certo non si sarebbe tirato indietro da iniettargli una flebo ricostituente.
Silenzio.
Matt si lasciò cadere per terra, rasentando il muro, e, tirate le ginocchia al petto, pianse mormorando parole incomprensibili. Si ripeteva che no, non lo avrebbe chiamato e non lo avrebbe cercato in città né altrove. Avrebbe accettato passivamente la sua mancanza, per quanto distruggente essa fosse.

Prima che il suo viso potesse esser bagnato di lacrime, qualcosa cambiò. Un tonfo, uno scalpiccio leggero, un "clock" meccanico. La porta blindata si era aperta, ma Matt non aveva alcuna intenzione di guardare chi fosse entrato.
Dom, vestito con un nero giubbotto di pelle e un paio di jeans consumati, era tornato. Fra le mani stringeva un mazzo di fiori appassiti, sulla schiena reggeva uno zainetto leggero. Pareva di ritorno da un viaggetto.
Accese la luce e non si accorse subito dell'amico; posò il mazzo di chiavi in un cestello, si tolse le scarpe e si diresse in cucina. Solo durante il passaggio dalla sala alla cucina intravide un corpo nero appoggiato al muro, in una zona di penombra.
«Matt?» domandò stupito, inginocchiandosi fino al livello dell'altro. «Cosa ci fai qui?»
Nessuna risposta. Solo un sussulto involontario.

«Matthew,» sussurrò Dom, scostandogli una ciocca di capelli neri dall'orecchio, «Ti ho chiesto cosa ci fai qui.»

«Sono tornato. E tu?» disse all'improvviso Matt, alzando il viso smorto. Gli occhi avevano fatto in tempo ad asciugarsi così da non far capire di aver pianto poco prima.

«Torno da casa. Sono andato al cimitero con mia madre. Abbiamo cambiato i fiori a papà.» E indicò il mazzo di fiori secchi sul tavolo della sala.

«E come sta tua madre?» s'informò Matt, pur non desiderando realmente una risposta.

«Le manco; da quando non c'è più lui, si sente parecchio sola.» Rispose il biondo, mentre un'espressione grave gl'intristiva il volto.

«Perché hai portato il mazzo vecchio fino a qui?»

«Così... non mi andava di gettarlo come pattumiera a casaccio.»
Matt increspò le labbra. L'uomo che aveva davanti era ancora sanguinante per il lutto, non faceva progressi. Sembrava eternamente perduto, un'irrecuperabile bellezza sciupata dalla sofferenza.

«Piangi ancora per Bill, vero?»

«Sì.» Mugugnò con voce tremula.
Matt lo interruppe e gli prese il volto fra le mani. Le lunghe, forse sproporzionate, agili dita fredde del moro si posarono sulle guance calde del biondo.

«Ti chiedo scusa per quello che ho fatto ieri,» sussurrò piano, «perdonami un'altra volta.»
Dom si stupì scioccamente di come quel ragazzo, probabilmente il più dannato dell'universo, fosse tornato ancora sui suoi passi, morso visibilmente da una serie di innumerabili rimpianti.

«Sono stato malissimo, per questo stamattina ho preso il treno. Ti ho maledetto, ho sperato di sbatter la testa e dimenticarti per sempre. Ma...» la voce gli scemò in un nonnulla, poi la schiarì e tornò a dire: «ma ti perdono perché so, so come ti senti.»
Matt si avvicinò ulteriormente. Poté guardare dritto, nonostante l'oscurità, l'amore puro e vero che animava gli occhi lucidi di Dom; si sentì mancare. Fortunatamente Dom agì al suo posto.

«Ti va di parlare seduto più comodo?» Propose il biondo, indicando il divano.

«Sì, ma...spegni queste luci.» Rispose il moro, trascinando i piedi fino al divano.
Dom non capì il perché di quella preferenza, ma l'accettò, come del resto accettava tutto di Matt e tutto finiva per piacergli o trovare una motivazione fondata.


«Oltre che per quello che mi hai già detto, perché sei tornato?» Chiese il biondo, una volta seduti l'uno al fianco dell'altro nel centro del sofà.
La penombra non impediva loro di scorgersi abbastanza distintamente; lo sguardo stanco di Matt, il viso segnato di Dom, le perle limpide del biondo, i vestiti spiegazzati del moro.

«Io e Gaia siamo in pausa di riflessione.»
Dom alzò le sopracciglia.

«Come mai?»

«Le ho detto che non l'amo.» Si mise a gambe incrociate e appoggiò la schiena allo schienale imbottito.

«È vero?»

«Sì.»

«Allora perché stai con lei? Matt, queste cose non si fanno.» E, dicendolo, si voltò completamente verso l'amico.

«Ah, non si fanno...» bisbigliò, lasciando cadere la testa all'indietro.
Il collo sottile si stirò in tutta la lunghezza, mentre il pomo d'Adamo spuntava appuntito sotto la carne color del latte. «Tu e Jessica?»

«Io e Jessica? Ormai l'ho lasciata, ma neanche ufficialmente. Semplicemente non m'interessa più...invece, dimmi tu, forse c'è un'altra?» s'informò Dom.

«No,» tirò un sospiro di sollievo e, ricordandosi il discorso tenuto con la psicologa, ammise: «ci sei tu.»
Dom arricciò la bocca contrariato. Era una battuta poco spiritosa o la confessione tanto agognata?

«Cosa significa?»

«Quello che ho detto. Ci sei tu e io non riesco ad amare nessun altro.»
Ogni parola che diceva sentiva l'anima alleggerirsi dalla polvere delle menzogne che anni di repressione l'avevano soffocata. Drizzò il capo e fissò Dom che, avendo il viso in ombra, pareva senza faccia.

«Spiegati, di solito ci capiamo al volo, ma per una buona volta spiegati.»
A Dom sembrava troppo bello e spaventoso per essere vero, quindi esigeva delle spiegazioni chiare e tonde. Se era un sogno, voleva risvegliarsi. Se era realtà, voleva una conferma.

«Io...io credo che tu sia mio. Mio e di nessuna donna, amico o fan. Tu sei mio da quando ci siamo incontrati, non ti voglio condividere con nessuno. A me non interessa nessuno, inoltre.» Il tono di Matt era talmente sicuro e adulto che Dom avvertì in lui uno sconosciuto; fu una sensazione passeggera, bastò guardare il fondale bluastro di quegl'occhi scarsamente illuminati per ritrovare il suo Matthew.

«Se sono tuo, allora perché non me lo hai mai dimostrato?» ribatté, facendosi vicino.
Matthew gli mise una mano sulla nuca dorata e lo avvicinò con lentezza.

«Perché è tutto troppo confuso per ragionare. Io non capisco più niente, se non che ho bisogno di te. Sì, Dom, sono geloso, sono morboso, sono possessivo. Sono malato!» E, detto questo con voce quasi atona, pose fra le loro labbra meno di un cm di distanza. Dom, in pratica, totalmente catturato da quella mano dietro la sua testa, presto ne ebbe un'altra sulla schiena a spingerlo verso quell'uomo dalle parole misteriose e dal fascino oscuro.

«Chi mi assicura che ora tu non stia dicendo ciò, per poi scappare o dare di matto fra pochi secondi?» domandò calmo il biondo, nonostante il respiro caldo dell'altro gli carezzasse pericolosamente le labbra.

«Nessuno te lo assicura. Con me è sempre un salto nel vuoto, lo sai.» Rispose Matt, rallentando appositamente il numero dei respiri, per renderli più caldi e densi.

«Quindi cosa ci sarà fra noi?»

«Null'altro di quello che c'è e c'è sempre stato.» Matthew reclinò leggermente la testa d'un lato, assomigliando ad un animale che studia la sua preda.

«No, Matthew.»
Dom lo baciò, così, rapido come un'aquila in discesa. E non si limitò a baciarlo, era troppo alterato: gli si sedette sopra, stringendolo fra il suo torace glabro e lo schienale del divano. Il moro rimase spiazzato, tutto preso ancora dal corteggiamento sottile. Dopo qualche secondo, quando ormai le lingue avevano già eseguito i loro giochi d'agilità, sempre accompagnate da un respiro troppo veloce per non tradire una grande passione, Dom si staccò un poco da Matt.

«Salterò nel vuoto per te e con te, ma ad una condizione.»
Matt annuì con un'espressione troppo bella e sbarazzina per non meritarsi un altro bacio travolgente da parte del biondo che, una volta calmatosi, continuò la trattativa.

«Che la smettiamo di vivere di sguardi o di carezze, che cominciamo ad accettare le cose per quello che sono e non più con l'insicurezza di due bambini, ma con la maturità di due adulti.»  
Matt, se prima si poteva dire completamente rapito dalla perfezione incredibile dell'amico, ora ci mancò poco che non lo credesse divino.

«Accetto.» Disse con semplicità, sperando solo di ricevere un bacio e non più ridondanti parole.
Dom non si smentì. Il bacio che seguì, fu sicuramente il più appassionato che si fossero mai scambiati quelle poche volte prima. Oltre ad essere veramente lungo, probabilmente durò 5 minuti, fino a quando le mandibole cominciarono a dolere, fu estremamente passionale; tra gli occhi dolcemente chiusi e i respiri corti, ci fu veemenza a profusione. Neanche un decimo di quell'entusiasmo, di quel fortissimo bisogno, era paragonabile agli altri baci che avevano dato ad altre persone. Ogni confronto sarebbe stato, appunto, "altro", ovvero non all'altezza, senza speranza.

Quel piacere che si riversava da un corpo all'altro, che si auto-generava nell'uno e si consumava nell'altro, che sanava le ferite della mancanza e faceva fiorire la fantasia di mille altre possibili continuazioni, era trasmesso solo da un veloce intrecciarsi di lingue, un miscelarsi di salive e uno scontrarsi di labbra: a quale potenza mai si sarebbe elevato, qualora dai baci fossero passati ad altro? La curiosità pulsava nei boxer.
Tuttavia, c'era ancora troppa timidezza ed estraneità per concedersi questi lussi. Matt se ne accorse quando Dom cominciò a leccargli il collo; sentiva l'erezione nei pantaloni e temeva di rompere il romanticismo della situazione per colpa di quell'inconveniente.

«Dom» sussurrò, ansimando subito dopo perché la bocca del biondo gli aveva appena succhiato un pezzetto di carne molto sensibile, «piano, piano...»
Dom si fermò subito e alzò lo sguardo quasi divertito. Lo osservò qualche istante come non lo aveva mai visto: sotto di sé, visibilmente eccitato e forse, forse innamorato.

«Guarda che si sente cos'ha dentro i jeans, lasciami fare!» Protestò, visto che le sue mire andavano a parare altrove.

«Non così, no. Decido io, ho fatto io la prima mossa.» E gli impose un abbraccio un po' goffo, diciamo pure fuori luogo, al fine di tirarlo su e non permettergli di curiosare là sotto.

«Ma se sono anni che io, in qualche modo, ci provo...» ammise Dom, subito pentendosi di quella frase. Si morsicò la lingua, mentre invece Matt gongolava.

«Ah, sì? Interessante, Howard.» Unì le fronti e mosse la testa in un senso e nell'altro, facendo sbattere i due nasi l'uno contro l'altro, proprio come un bambino contento.

«Non sai quanto posso essere interessante...» gli insinuò Dom nell'orecchio, soffiandogli dentro il respiro.
Matt rabbrividì e perse per un secondo il contatto con la realtà. No, non sapeva davvero quanto Dom potesse essere pericolosamente interessante.

«Un'altra volta. Questa sera, va bene così.» Concluse, sperando di non dover opporre ulteriore resistenza alle moine dell'amico.

«Con te non c'è mai un'altra volta...non è mai sicura un'altra volta!» Sospirò Dom, appoggiando la fronte in segno di arresa sulla spalla di Matt.

«Ti avevo avvertito.»

«Sì, e io corro questo rischio. Tanto, anche se non volessi razionalmente, a che servirebbe! Sarei pronto a giocarmi la vita per te, quindi va tutto bene.»
Matt gli accarezzò la testa, mentre con l'altra mano gli faceva lo stesso sulla schiena.

«È che ho paura e, soprattutto, non voglio compiere passi falsi. Poi non riesco ancora a realizzare di aver forse trovato una soluzione, di poterti abbracciare senza dirmi "ora basta", di averti anche baciato, Dom.»
Dominic alzò la testa per sorridergli. Si sentiva allo stesso modo e capiva quanto tutto ciò significasse solo una cosa.

«Perché noi ci a-»
Matt lo fermò con un dito sulle labbra.
«No, non dirlo. Verrà il momento per dirlo.»
Dom rimase incredulo davanti a tanta saggezza; Matt alternava fasi opposte di infantilità e maturità. Come non ci si sarebbe potuti innamorare di lui?

«Okay Matthew, okay.»
Matt era tuttavia molto stanco. Il litigio con la ragazza, il viaggio, il pianto... si sentiva sfibrato. Dom se ne accorse e propose la cosa migliore:
«Andiamo a dormire?»

«Non ho voglia di raggiungere il letto, stendiamoci qui.» Rispose Matt, sdraiandosi lentamente.
Dom fece lo stesso, così che il moro si ritrovò ben al sicuro fra lo schienale del divano e il corpo del batterista.

«Dì la verità,» bisbigliò Dom, una volta che si sistemarono entrambi sul fianco destro, di modo che Matt desse la schiena all'amico, «hai scelto il divano perché così stiamo più vicini!»
Matt scoppiò a ridere, mentre Dom per stringerlo meglio gli chiuse le braccia attorno al busto.

«Ah, mi hai scoperto!» Esclamò, meritandosi per la sincerità un bacetto veloce sulla nuca.

«Genietto mio.» Sussurrò Dom, sentendosi un po'ridicolo per quel soprannome da fidanzatino delle elementari.

«No, Dom, che è? Niente soprannomi. Sono un genio, questo sì, ma dillo da uomo!»
Dom scoppiò a ridere e con un vocione alla Chris disse: «Sei un genio, amico!»

«Mhh, già meglio.'Notte, am...ico.»

«'Notte.»
Chiusero gli occhi contemporaneamente e, stretti forse anche un po' sovreccitati, tentarono di trovare sonno. Ovviamente passarono tre ore buone a fingere di dormire pur di non disturbarsi, ma in realtà ognuno a suo modo cercava di credere a quello che era appena successo. Ho scritto credere, non spiegare: non ci sarebbe mai stata una spiegazione.



La giornata si annunciava nuvolosa, infatti la luce scarseggiava nel cielo plumbeo. Il campanello suonò alle 12 in punto e, tanto per cominciare, Matt si spaventò e tirò una gomitata. Dom, ancora nel mondo dei sogni, venne colto alla sorpresa e cadde dal divano
«Ahia!» urlò Dom, disteso sul freddo marmo. «Sei un imbranato senza speranze!» Aggiunse poco dopo, massaggiandosi la testa. Gli sarebbe spuntato un bernoccolo.

«Chi cavolo suona?» Protestò innervosito Matt, mettendosi a sedere.
Il campanello suonò una seconda volta, con più insistenza.

«Devono essere Chris e Tom.» Rispose Dom, alzandosi.

«Chris e Tom? Perché?»

«Li avevamo invitati, ricordi?» e si affrettò ad andare ad aprire, visto che si udì la voce di Chris che chiedeva se qualcuno fosse vivo lì dentro.

«Sì, mannaggia a noi. Sistemati i capelli, quelli non devono sospettare niente.» Comandò Matt, aggiustandosi la maglietta.

«Ma come parli, Matt? Innanzi tutto sono i nostri migliori amici; poi cosa sospettare? Ci siamo baciati, non abbiamo ucciso qualcuno!» e gli lanciò una tale occhiataccia che Matt mise il broncio, nonostante fosse in torto marcio.

«Apri, Mr. so-tutto-io!»


Tom e Chris entrarono appena Dom aprì; non sembravano seccati per l'attesa, ma di certo squadrarono sospettosi la faccia stravolta di Dom.
«Ehi, Dom!» Esclamò Chris, abbracciandolo.

«Ciao ragazzi, scusate il ritardo...io, io dormivo!» Si giustificò, grattandosi la punta del naso.

«Ma va'! Sei con qualcuna? Strano però, sei vestito.» Notò Tom, aggirandosi come un detective per la sala.

«No, veramente c'è Matt.»
In un silenzio imbarazzante Matt fece la sua entrata trionfale.

«Ciao a tutti!» Disse con un asciugamano in mano. Si era lavato la faccia e sembrava più rosso del normale.

«Buongiorno! Tutto bene?» Domandò Chris in direzione del chitarrista.

«Sì, sì... voi?»

«Certo. Pensavamo di andare a mangiare fuori e poi suonare un po', che ne dite?» Continuò il bassista.

«Ottima idea!» Rispose Matt, battendo una pacca sulla schiena massiccia dell'uomo. «Vorrei solo farmi una doccia prima.»

«Va bene, noi potremmo andare a trovare un posto nell'attesa.» Propose Tom, trovando approvazione negli altri.

«Okay, però pure io devo lavarmi. Vi raggiungiamo appena finito?» Interruppe Dom, senza accorgersi dell'inopportunità della richiesta.

«Ci ho ripensato! Mi lavo dopo le prove, altrimenti è inutile.» Replicò prontamente Matt, avviandosi all'uscita.

«Fai veloce!» Gli comandò Chris, uscendo.
Matt, mentre gli altri due scendevano le scale, si trattenne un secondo ancora e, prima di chiudersi la porta dietro, disse a bassa voce:

«Scemo, già ci trovano così conciati, se poi ci facciamo la doccia insieme, hanno sì motivo di sospettare!»
Dom gesticolò come per dire: cosa diavolo spari!

«Sì, è così, credimi. Loro sono persone fidate e noi non ci saremmo mai fatti la doccia insieme, ma non si sa mai, davvero. A dopo!» E sparì in fretta e furia.
Dom rimase solo e leggermente inacidito. Tutto quel perbenismo e quella prudenza di Matt non gli garbavano; bah, probabilmente aveva ragione. Si rassegnò e andò in bagno. Soprattutto però disapprovava un punto: perché "non si sarebbero mai fatti la doccia insieme"? Non la trovava affatto una cattiva idea!



In sala prove l'atmosfera era la solita; feeling estremo, tempismo, armonia. Era da molto che non si trovavano tutti insieme, quindi parecchio entusiasmo li faceva muovere, molto agili nell'esecuzione delle loro canzoni di sempre. Provarono più volte le stesse canzoni, così, solo per il gusto di farlo; poi tentarono qualche nuova cover, ma a orecchio, interpretando liberamente il pezzo.
Matt, alle volte, si emozionava nel cantare parole d'amore se per caso incrociava lo sguardo di Dom; dal canto suo, il batterista perse più di un colpo per sbaglio, magari concentrandosi eccessivamente sulle movenze sensuali e involontarie del suo chitarrista. Gli piaceva soprattutto quando per prendere alcune note compiva un movimento di bacino, un avanti-indietro, accompagnato da tutta la schiena; oppure quando chiudeva gli occhi per cantare meglio e assumeva un'espressione talmente impegnata da sudare sulle tempie, ogni tanto. Matt di certo non si perdeva certe rullate da capogiro; sorrideva silenziosamente davanti a quei gesti spettacolari e si sentiva un po' geloso a pensare che ai concerti potevano goderne in migliaia, mentre avrebbe voluto tenerseli tutti per sé.

Verso sera pensarono di cenare al ristorante e poi tornare a casa, ma una proposta di Chris cambiò i programmi. Il bassista chiese se volessero stare in compagnia della sua famiglia; Tom accettò, e così fecero anche gli altri due.
Una rimpatriata con sua moglie e i suoi bambini era il miglior collante. Si divertirono fino a notte fonda, quando il più piccolo crollò fra le braccia di Dom, che lo cullava teneramente.
Solo l'indomani, quando scesero per la colazione preparata dalla moglie, ci fu un imprevisto.

«Dov'è zio Matt?» chiese il minore dei figlioletti di Chris, mentre gli altri sedevano a tavola.

«In effetti non è ancora sceso!» Notò la madre, sbirciando su per le scale.

«Matt!» Chiamò Chris, andando nella camera che gli aveva riservato. Entrò e lui non si c'era; il letto era stato sistemato, ma nessuna traccia provava la presenza del cantante. Tornò dagli altri preoccupato.

«Niente! Lo chiamiamo?» chiese, afferrando il telefono di casa.

«No,» disse Dom, guardando lo schermo del suo cellulare su cui era appena arrivato un messaggio da parte sua, «è solo uscito...tornerà.»
Matt gli aveva scritto proprio in quel momento che gli era venuta un'idea geniale, quindi era corso a metterla in atto.

«Quello sguscia via da casa mia all'alba, o di notte, e non dice manco dove va?» Domandò incredulo Chris.

«Che ci vuoi fare papà, è così zio Matt!» rise la bambina, approfittandone per mangiare la razione di cereali che di solito erano destinati allo zio Matt.
Chris scrollò le spalle e sorrise alla moglie; Tom trattenne una risata e tornò a intingere nel tè un biscotto; Dom...Dom assunse un'aria assorta che lo portò a far errare lo sguardo fuori dalla finestra, leggermente inebetito, anzi, decisamente imbambolato.

-È così...è così, lui*... pensò, non provando nemmeno ad indovinare quale sorpresa gli stesse per regalare Matthew. Sorrise e s'abbandonò a quella dolce e speciale indeterminatezza.




*[NDA: con ogni probabilità non va messa la virgola fra così e lui, ma se ho fatto questa scelta era solo per enfatizzare il pronome.]
NDA: Buonasera! Mi scuso per il ritardo, ma è giustificato. Di solito scrivo nel week-end, però quest'ultimo l'ho passato occupata altrove :) (Con le mie mitiche sisters, troppo bello per spiegarlo in due righe).
Comunque, sono davvero di fretta. Devo tralasciare i ringraziamenti fatti persona per persona, ma assicuro che nel prossimo li avrete!

Annotazioni:
-Non so se realmente presero una pausa di riflessione, ma è probabile visto quanti tira-e-molla facevano (colpa di Dom, eh sì!);
-So che Chris abita\va a Dublino... ho finto che avesse casa anche a Londra (che poi secondo me ce l'ha).

Infine: grazie dal profondo del cuore a tutte! I nuovi arrivati e i vecchi miei adorati seguaci, fatevi sentire perché senza di voi perdo coraggio! <3
Messaggio criptato per qualche sis che dovesse leggere: Speravate di avere avuto uno spoiler al bar??? Vi sbagliavate :P

Cheeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeers, with love.














Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Tredicesimo capitolo: Special Making. ***


•SPECIAL NEEDS•

" L'unico modo per liberarsi di una tentazione è cedervi."

[Oscar Wilde.]

 


 

Tredicesimo Capitolo: Make you and me.

 

(2004.)

Tre interminabili, dolorosissimi e insopportabili giorni erano passati da quando Matt era sparito. Il suo ultimo segno di vita era stato quel messaggio a Dom, quello in cui parlava di una sorpresa. Poi il nulla. Tutti, a casa Wolstenholme, erano preoccupati per il cantante. Tom, quello col sangue freddo, tranquillizzava Dom dicendo che probabilmente quella sparizione era dovuta proprio alla misteriosa "sorpresa"; Chris scuoteva la testa, dando il braccio a Kelly, e raccontava alla simpatica combriccola di figlioletti che era insito nel carattere di Matthew comportarsi in quel modo fastidioso. Loro riprendevano a giocare, ma appena passava per radio una "canzone del loro papà e dei loro zii", riprendevano a far domande, ipotizzando le peggiori cose.
Onestamente, però, il vero uomo in crisi era Dom. Dom che a mala pena mangiava, Dom che fumava dalle 15 alle 20 sigarette al giorno, Dom che guardava il cellulare con insistenza maniacale. E pensava, torturandosi il cuore:
-Sì, starai pur progettando qualcosa, ma io soffro come un cane abbandonato!

Matthew aveva appena firmato l'assegno. Non gli servivano rate per pagare la casa, disponeva della giusta, e per altro enorme, somma di denaro. L'agenzia si complimentò per la scelta e lo lasciò solo in quella villetta deliziosa. Aveva i muri bianchi e il tetto rosso-mattone; era circondata da un fiorente giardino e riparata da una cancellata nera. Contava tre piani con l'aggiunta di una terrazza lunghissima. C'erano anche un box sotterraneo e una piscina. Proprio quel che si direbbe: un amore di casa.
-Gli piacerà, pensò, passando alla fase successiva del suo progetto ormai in fase di conclusione.
Ebbene, ciò che Dom non sapeva, ma voi ora saprete, è che Matt in quei tre giorni era volato in Francia e lì, in particolare a Nizza, aveva comprato una casa per Dom. Le motivazioni erano molte; intanto, per staccarsi dall'uggiosa Londra, sicuramente non positiva per l'umore o la salute a lungo andare. Poi perché Dom adorava la Francia e, soprattutto... Nizza è vicinissima a Como. Cosa voleva dire questo? Che, visto che Matt non intendeva separarsi da Gaia, anzi, registrare il nuovo album nelle vicinanze, Dom avrebbe potuto raggiungerlo comodamente in ogni momento, oppure si sarebbero potuti concedere, chissà, romantici appuntamenti in uno degli stati più romantici del mondo?
Al solo pensiero si sentiva le vertigini. Bisogna aggiungere che era stata una scelta difficile; inizialmente pensò a Parigi, ma no, troppo prevedibile, oltre che sospetta. Quindi, ora rimaneva solo il tocco finale: arredarla alla velocità della luce (arredarla in modo sommario, non conosceva tutti i gusti di Dom, soprattutto in campo architettonico) e attuare la caccia al tesoro.
Quale altro modo per farla trovare a Dom, se non tramite un gioco? Matt era orgoglioso del suo cervelletto, mentre cerchiava dei mobili da un catalogo. Del francese con capiva un'acca, così si affidava alle foto e alle cifre. A costo di far la fame o non comprare una nuova chitarra, quella casa sarebbe stata perfetta. Sorrise, immaginandosi Dom che entrava meravigliato per il viale in fiore che precedeva l'ingresso...


«Chris, io non vivo più!» sbottò Dom, accasciandosi affianco all'amico sul divano di casa.

«È comprensibile, ma non esagerare! Sta solo preparando qualcosa...non mento, anche io sono preoccupato, ma da qui a non vivere più! Dom, qual è la novità?»
Dom avrebbe tanto voluto dirgli quale fosse la novità. Dire: la novità è che ci siamo baciati, che forse mi ama quanto lo amo io, che se non fosse stato per lui mi ci sarei già avventato da tempo! Ma sapeva bene che Matt non avrebbe approvato. Matt amava i segreti. E, forse, l'unico vero segreto che aveva mai avuto era proprio quello con Dom. Quello strano rapporto stipulato in silenzio, fra uno sguardo e una carezza data per sbaglio.

«Nessuna, Chris, nessuna. Sono solo io ansioso.» Ammise, sospirando sofferente. In realtà temeva che fosse per colpa della fidanzata di Matt. Chi gli provava che Matt, assalito dai sensi di colpa, non fosse tornato da lei?

«Dom, tu nascondi qualcosa. Sei una delle persone più calme del mondo. Non escludo che anche tu possa provare ansia, ma da qui a come stai adesso!»
Dom abbassò gli occhi. Non riusciva a guardare il suo migliore amico -migliore se escludiamo Matt, o lo passiamo alla qualità di "qualcosa di più che amico- mentre mentiva spudoratamente. Mentire per Matt era un onore, ma...quanto rimorso nel vedere la sfiducia dipinta in volto a Chris!

«Dom, cos'hai? Ora mi preoccupo anche per te...da quando non ti fidi più di me?» domandò, a bassa voce, avvicinandosi al biondino. Aveva capito che qualcosa bolliva in pentola.

«Chris, te lo giuro, non-» venne interrotto dal caldo abbraccio in cui lo strinse il bassista. Era proprio l'abbraccio di un padre. Forse, a forza di figli, aveva imparato come fare con i più piccoli.

«Dommie, non pretendo di sapere cosa succede fra voi due, è troppo intimo e bello per essere svelato,» e a questo "intimo e bello" Dom ebbe un sussulto che confermò la frase di Chris, «però, almeno non dirmi bugie. Piuttosto stai zitto.»
Dom strinse l'abbraccio. Si sentiva al sicuro, protetto, pronto a confessare che da qualche anno amava un uomo, e non uno qualsiasi, ma il loro compagno di band. Lui insomma, quella meraviglia di Matthew. Ma confessarlo sarebbe stato come tradire Matt, come dimostrarsi debole, e, magari, gay. Al pensiero inorridì.

«Grazie, un giorno ce la farò...ce la faremo.» Sospirò infine, sciogliendo la stretta.
Chris lo lasciò andare e annuì. Il suo compito finiva lì, non poteva intromettersi ulteriormente.

«D'accordo. Sappi solo che su me e Tom puoi contare, anche se dovessi venire a dirci di avere ucciso un uomo!»
Dom ridacchiò imbarazzato. Alla fine, ridimensionando il problema, non era così grave e inconfessabile. Perché allora Matt riteneva fosse tanto necessaria riservatezza e assoluzione? Rimaneva un mistero. D'altro canto, Dom amava ogni più piccolo mistero di quel ragazzo squilibrato, ogni più dettaglio.


Matt si sfregò soddisfatto le lunghe mani. Era un piano incrollabile, oltre che geniale. In pratica: avrebbe inviato un sms a Dom e l'sms era solo la miccia. Infatti gli avrebbe scritto di prendere un aereo e scendere a Nizza. All'aeroporto avrebbe dovuto cercare un taxi verde, verde come la speranza che tutto andasse per il verso giusto; nel taxi c'era un biglietto con scritto la destinazione da domandare all'autista -ovviamente ingaggiato da Matt. Successivamente sarebbe arrivato a cento metri dalla casa e avrebbe dovuto seguire una scia di bigliettini posti l'uno a pochi passi dall'altro. Sui bigliettini aveva scritto la direzione di quello dopo e qualche frase speciale. Infine sarebbe approdato a casa e lì, lì Matt lo avrebbe atteso con lo champagne in mano. Per l'occasione aveva anche comprato un completo nero lucido con gli interni leopardati. Gli interni leopardati sono una cattiveria: per scoprirli, bisogna curiosare nei vestiti, o toglierli...

Quando il cellulare di Dom vibrò, lui saltò per aria. Lesse il messaggio con una foga inimmaginabile:
-Sono io. Prendi un aereo per Nizza. Adesso. Sbrigati!-
Il batterista per poco non mandò un urlo di gioia. Raccolse in fretta e furia tutte le sue cose, poi le cacciò in una borsa; si chiuse in bagno, dove si rasò la barba alla bell'e meglio e aggiustò i capelli. Si lavò e indossò una maglietta pulita, dopo corse di sotto ad avvisare tutti.
«Matt!» gridò, precipitandosi alla porta.

«Cosa?» domandarono gli altri all'unisono, mentre Kelly serviva il pranzo.

«Matt mi ha detto dove andare! Ci vediamo!» disse, mentre già era per strada.
I commensali sorrisero silenziosi. Solo la bambina chiese:

«Che vuol dire, papà?»

«Che zio Matt è tornato. E quando zio Matt torna, dì addio a zio Dom!»
Tom rise. Sapeva cosa significava quel messaggio criptato. Kelly continuò a distribuire il suo stufato e per una volta non lanciò nessun'occhiata inquisitoria al marito.



Dom viaggiò col cuore il gola. Un paio di fangirls tentarono di trattenerlo, ma lui firmò due fogli e poi non capì più nulla. Cercava con gli occhi quel taxi verde, il resto del mondo era una massa incolore.
-Cristo, solo Matt trova un taxi verde! Ma, momento, forse lo ha fatto fare per me... pensava, agitandosi come un pesce fuor d'acqua.
Quando avvistò la macchina, entrò talmente alla svelta che frantumò quasi la portiera. Frugò nei sedili finché pescò un pezzetto di carta.
-Chiedi al ragazzo di portarti a Rue de La Neige-

«Rue de La Neige» ordinò, controllando stupidamente quel bigliettino, nel caso sul retro ci fosse un altro messaggio.
Mentre la macchina metteva in moto, Dom sentiva un cerchio alla testa. Cosa mai avrebbe trovato in un paese straniero, per giunta alla fine di una caccia al tesoro?
-Ah, mi farai impazzire.


Rue de La Neige s'aprì come una corolla di fiore. Era in un quartiere di benestanti, ma non per questo perdeva una semplicità molto apprezzabile. Era un lungo viale costeggiato da alti alberi dalle chiome colme di fiori rosa; forse ciliegi. Profumava ed era molto pulita. Dom salutò l'autista e si andò alla ricerca del nuovo indizio. Fu facile trovarlo, era sotto il cartello di benvenuti. Diceva:
-Non sono mai stato esperto di romanticherie, ma se ti giurassi che con te tutto è possibile, ci crederesti? Avanza di quindici passi dritto, M.-
Dom sentì il cuore scoppiare di sangue. Teneva anche l'altro biglietto fra le mani, e con una cura sacrale. Avvistò il nuovo e lo aprì:
-Prosegui di venti passi, pensa che tra poco ci riabbracceremo. M.-
Corse verso la prossima meta, e intanto sussurrava: «Io lo amo, io lo amo!». Neanche un santo in persona lo avrebbe fermato.
-Fai una piccola svolta a destra. E dopo più o meno dieci passi dritto. Mi sei mancato da morire, M.-
A Dom pareva di vivere un film. Se qualcuno lo avesse portato via dal set, probabilmente non avrebbe retto l'impatto con la realtà. Povero, non sapeva che fosse tutto splendidamente reale.
-Ci sei quasi. Ancora venti passi, poi svolta a sinistra. Ti penso sempre, vuoi lasciarmi in pace? M.-
Il biondo gridò qualcosa di incomprensibile. Forse: «sposami», ma non ve lo assicuro. Tanto parlavano francese, chi avrebbe capito?
-Ora qualche metro e sei arrivato. È la villetta bianca col cancello nero...mi vedi, Starlight? M.-
Dom rimase perplesso a quel "Starlight". Ma che importava, lo avrebbe compreso più avanti. Percorse gli ultimi passi e...

«Matthew James Bellamy!» gridò con tutto il poco fiato che aveva in gola.
Raggiunse il massimo della velocità consentitagli dalle sue gambette e poi, oltrepassato il cancello, saltò addosso all'amico, facendolo cadere all'indietro. Matt scoppiò a ridere, nonostante la bottiglia di champagne e i due bicchieri di cristallo che teneva in mano fossero finiti in un cespuglio.
«Dominic!» rispose, cedendo ai baci che il batterista gli schioccava sulla faccia.
Erano stesi nel giardino come due bambini. Si baciavano come due bambini.

«Mattie, cosa ti è venuto in mente? Sto per morire dalla felicità, pazzo!» riprese Dom, dopo aver, ovviamente, stampato un bacio anche sulle labbra rosse di Matt.

«Ti spiego, se mi lasci respirare! Ti va dello champagne?» chiese, sottraendosi dal peso morto del biondo.

«Certo, certo, brindiamo!»
-Okay, abbiamo perso Dom, constatò mentalmente Matt, che non si sarebbe mai aspettato una tale reazione.


Matt recuperò la bottiglia e i bicchieri, fortunatamente non troppo compromessi, e si sedettero ad un tavolo rotondo e da due.

«Come ti è venuto in mente?»

«Ehm...sono un genio?» scherzò Matt, tentando di stappare la bottiglia.

«Su questo, mio caro, non ci sono più dubbi!» ammise Dom, che ormai si era arreso all'idea.

«Già! Genialità a parte,» tirò con tutta la forza e venne via il tappo, ma gli sbatté in testa, «ahia!».
Dom andò in suo soccorso.

«Un genio troppo imbranato!» sussurrò, massaggiandogli la fronte.
Matt lo scansò.

«Rimettiti a sedere, non mi sono fatto niente.»
Dom obbedì, ridendosela fra sé e sé.

«Dicevo, genialità a parte, ho pensato a questo. La casa a Londra è, sì, piena di ricordi, ma sorpassata. Inoltre: io ho promesso a Gaia che avrei vissuto con lei, è anche utile questa faccenda perché voglio registrare lì il nuovo album...quindi, quale posto migliore per te?» disse, versando il liquido giallastro e con le bollicine nei bicchieri.

«Aspetta, mi sono perso un pezzo. Con Gaia?» chiese, mentre un velo di tristezza scendeva nei suoi occhi verdissimi.

«Sì, cosa pensavi?»

«Beh, che avremmo vissuto qui insieme.» Disse, abbassando la voce.

«Come due fidanzati? Dom, neanche morto. Innanzi tutto: la convivenza rovinerebbe il nostro rapporto e poi, voglio dire, immagina: "Cantante e batterista vivono assieme, componendo canzoni d'amore...", sarebbe palese e allora-» venne interrotto da Dom che sbatté un pugno sul tavolo, alzandosi di scatto.

«Tu stai rovinando tutto. Uno: la convivenza sarebbe quello che sogno da anni. Due: che ti frega degli altri? Sì, cantante e batterista vivono insieme. Io ne andrei fiero! Tre: come puoi farmi questo?» replicò, rosso in viso.

«Io ho rinunciato ai sogni da tempo. E sì, mi importa degli altri perché siamo famosi, abbiamo un'immagine da difendere. Poi scusa, farti cosa? Ti ho comprato una casa vicino a me e ti lamenti?»

«Certo, e lo faccio perché mentre io ti aspetterò qui come un deficiente, tu starai con lei a pensare all'immagine da difendere!» sbraitò, pestando un piede per terra.

«Ma quale deficiente! I patti sono questi, Dom, non cadere dalle nuvole.»
Dom lo guardò malissimo, forse nel peggior modo di sempre. Non si vergognava di amarlo, né di voler vivere con lui. Ma la cosa più allarmante era che Matt pareva irremovibile. Chiuso in chissà quale schema mentale.

«Sai cosa? Hai sbagliato a rinunciare ai sogni, ecco perché non capisci i miei.» Concluse, andandosene.


Non conoscendo la casa, si avviò verso l'uscita dal cancello. Se ne sarebbe tornato in aeroporto e avrebbe preso il primo aereo per Londra. Aveva un nodo alla gola che presto lo avrebbe fatto piangere, se lo sentiva.
«Aspetta, scellerato!» gli strillò Matt nelle orecchie, voltandolo con violenza da una spalla.

«Che vuoi?»

«Voglio che tu mi capisca. Dom, ho fatto tutto questo per te, per noi. Ho accorciato le distanze finché ho potuto...e non sai cos'altro c'è in casa, cos'altro noi possiamo fare nella casa. Non puoi pretendere tutto in una volta, io ti prometto che mi sforzerò, ma è difficile. Non andartene...» finì in un sussurro, chinando il capo dai neri capelli.
Solo in quel momento Dom notò il completo nuovo; era bellissimo, elegantissimo nel nero.

«Matt, ma tu non puoi chiudermi qui dentro come la tua bambola e tirarmi fuori quando ti va di giocare!»

«Non posso hai ragione. Ma tu, se mi amassi, potresti...»
A quelle parole, Dom era in trappola. Matt aveva toccato il tasto giusto. Quello del "se mi ami" e Dom doveva dare prova del suo amore. Ci pensò su qualche secondo, poi gettò le armi.

«Hai vinto. Sei troppo per me, troppo per rinunciarci. Mi gioco la libertà.» Bisbigliò, mentre Matt rialzava il capo.
I loro occhi s'incontrarono e una scintilla di affetto li illuminò. Si trovarono entrambi molto attraenti, molto belli in quella luce dorata di fine pomeriggio.

«Grazie Dom, questo significa molto per me, e ne terrò conto. Ora-»

«Ora al diavolo lo champagne!» tagliò corto il batterista, prendendo con una mano il mento del cantante e portandolo a sé.


Il bacio che seguì fu lunghissimo e molto, molto appassionato. Nel durante Matt avvolse il torace di Dom in un abbraccio, Dom invece lasciò errare le mani nei capelli di Matt, scompigliandoli tutti. Respiravano a fatica, quando si staccarono.
«Oh, complimenti!» sussurrò il moro, accorgendosi pian piano che Dom gli aveva posato le mani sul posteriore e iniziava a massaggiarlo.

«A te» rispose il biondo, affondando il volto nel caldo collo di Matt, che, onestamente, trovava molto sensuale.

«Ti va di entrare?» propose Matt, al quale venivano i brividi ad ogni respiro di Dom sulla pelle del suo collo.

«Ti seguo.»

Entrarono, più o meno abbracciati, nella casa. Subito Dom ne ebbe un'impressione più che positiva. Era proprio quel che desiderava: spaziosa, arieggiata e comoda.
«Allora?» domandò Matt, cercando di fermare la mano di Dominic che iniziava a premere un po' troppo sul suo posteriore.

«È perfetta, e hai anche buon gusto nell'arredamento! Adoro i colori caldi, tutte queste gradazioni di arancione fanno al caso mio!» esclamò, e subito dopo tolse la mano dal posteriore di Matt per farla tornare attorno al suo girovita.

«Bene, ha anche tre piani. Vuoi vederli?»

«Fammi strada.»

Salirono al primo e diedero un'occhiata rapida alle stanze. Erano troppe per una sola persona, in effetti la villetta non era progettata per un single. Al secondo sostarono di meno, poiché Dom, vedendo una scaletta per la mansarda, ci si fiondò sopra. Matt lo seguì, già sapendo cosa li aspettava nella soffitta.


Un letto matrimoniale basso, stile giapponese, era al centro della piccola stanza. I muri e il pavimento erano in legno e solo una finestra, giusto sopra il letto, rischiarava. Non c'era altro. Il candore del copriletto bianco contrastava col buio tutt'attorno. Il fascio di luce dalla finestra, che poi era un oblò, si andava indebolendo; presto si sarebbero viste le stelle.
Dom si sentì svenire. Era un incantesimo? Un sogno? Un'ennesima illusione?
«Matt, dimmi che-»

«Sì, è tutto vero.» Disse Matthew, leggendogli nel pensiero.

«Matt...» sussurrò, avvicinandosi al letto.
Si piegò, lo toccò. Era reale, non finto! Stropicciò gli occhi ancora una volta. Si sporse e guardò attraverso l'oblò. Vista: cielo. Matt si sdraiò lentamente; posizionato a pancia in su, appoggiato a due cuscini, lo guardò intensamente. Era un invito. Era il famoso salto nel vuoto. Dom sospirò e poi, così, veloce e a occhi chiusi saltò.


«Dom,» bisbigliò Matt, mentre l'interpellato gli era salito sopra. «Dom, sei così bello. Bello da far male.»

«Senti chi parla,» sussurrò Dom che, a gattoni sopra Matt, lo guardava desideroso solo di soddisfarlo, «parla l'uomo più sexy del pianeta,» proseguì, abbassando il bacino fino a farlo strusciare contro quello del compagno, «che ora è
sotto di me,» e rallentò le spinte, facendo socchiudere gli occhi azzurri di Matt, «e sicuramente non vuole solo un abbraccio.»
Matt sorrise e, mentre le parole perdevano valore, lasciò che gli occhi gli si rivoltassero all'indietro, chiudendo le palpebre, come se stesse svenendo. In realtà, era solo l'effetto delle spinte ripetute e ravvicinate del bacino di Dom.
Il biondo si abbassò, lo baciò in modo quasi rabbioso per strappargli via tutto quell'amore che aveva aspettato anni prima di sbocciare. Matt gli avvolse un braccio attorno al collo, con l'altro raggiunse la schiena e l'accarezzò in tutta la sua lunghezza. Il batterista indossava una t-shirt leggera, color panna; sotto un paio di jeans scuri, stretti in vita da una cintura leopardata. Le scarpe, l'ennesimo paio di All-Star, strusciavano sul copriletto, stropicciandolo. Matt poteva palpare la carne morbida del suo dorso; era liscio, sembrava la pelle di un bambino, non di un ventiseienne.
Matt, colto da un'ondata di desiderio, ribaltò le posizioni, sbattendo di lato Dom. Il biondo, ora a pancia in su, aprì le braccia e divaricò le gambe. Il chitarrista in un attimo gli fu sopra. Prima lo baciò con molta forza, spingendogli la lingua in bocca fino a che sentì il fondo, poi gli ridiede la possibilità di prender fiato, abbassandosi sul suo collo.
Lambì la carne pulsante di Dom fra le labbra, la succhiò pezzo per pezzo, guardandola attentamente, annusandola, studiandola affinché rimanesse impressa nella memoria. Dom si lasciò scappare un gemito, un gemito solo, quando Matt infilò le sue grandi mani sotto la sua maglietta, alzandola con lentezza disarmante. L'addome del biondo apparì nella luce fioca; era morbido e si muoveva a ritmo col respiro leggermente accelerato.
Matt indietreggiò, e poi immerse il volto in quella soffice distesa di pelle bianca. Dom conficcò il capo nel cuscino e tirò per i capelli la testa di Matt, Matt che nel frattempo aveva cominciato a leccare la carne attorno all'ombelico. Il cantante salì; le sue mani sfilarono del tutto la maglietta di Dom e la sua lingua umida le accompagnò, arenandosi sul capezzolo destro.
Dom si morsicò le labbra e gemette a voce alta, questa volta alzando il capo per guardare Matt e per tirargli meglio i capelli. Niente da fare, il moro ignorò il dolore sul cuoio capelluto, ma rispose con un piccolo morso su quel capezzolo indurito; Dom si sentì colpito da un proiettile. Sconfitto, ricacciò il capo all'indietro e tornò ad ansimare.

Matt lo spiò. Si concentrò sul suo collo, col pomo d'Adamo sporgente e la pelle tirata. Vedere il suo migliore amico a tal punto scosso dal piacere era abbastanza soddisfacente da spingerlo a continuare. Prima che potesse agire, Dom, che lo aveva illuso di avere via libera, si riprese: gli afferrò la giacchetta e gliel'aprì violentemente, facendo saltare un bottone.
Quando vide gli interni leopardati sorrise maliziosamente.
«E questi?» soffiò nell'orecchio di Matt, prendendolo per il colletto della camicia gessata.
Matt soffocò una risata e si limitò a dire:

«Puramente casuali!»
Dom s'alterò. -Vuoi giocare duro? E gioco duro avrai.
Rotolò di lato, trascinandolo con sé. Immobilizzandolo con il suo peso sullo stomaco, gli sbottonò la camicia alla svelta, curioso di vedere il petto avorio appena sotto. Appena fu aperta, la sfilò definitivamente e la lanciò giù dal letto, senza più curarsene. Il busto sottile, all'apparenza fragile come un rametto secco, di Matt gli si mostrò. Lo mangiò con gli occhi, prima di cominciare ad accarezzarlo.


La luce lunare filtrava dall'oblò sopra di loro. Attorno, solo buio e silenzio. Ogni più piccolo respiro, gemito, sussurro era amplificato; ogni odore era intenso e unico, ogni movimento visibile, del tutto nuovo.
Dom, sempre mantenendosi seduto sopra Matt, gli prese con gentilezza una mano; prima la baciò, poi se la fece passare sul petto. Infine le premette contro la cerniera dei suoi pantaloni. Lasciò la presa. Toccava a Matt continuare, se avesse voluto. Matt dapprima esitò. Era la prima volta che toccava...toccava un pene che non fosse il suo.
Finché si era trattato di baci, carezze, giochetti vari, non era poi stato difficile; cose già provate, anche se ovviamente non con tutto quel sentimento e quel significato. Però toccare, nonostante il jeans, il "pacco" di un uomo...
-Ma a che penso? È Dom, è Dom!
Dom lo fissava immobile. Aveva il volto in ombra, pareva una bellissima statua greca in attesa. Aveva la fierezza di una statua greca, ecco cosa intendo. Matt, imbarazzato, strusciò per la prima volta il suo palmo contro la stoffa che lo separava dal pene di Dom. Il biondo non reagì; forse era appena percepibile. Allora Matt prese coraggio e forzò la mano. Velocemente, percorreva con un su-e-giù rapido quel tessuto rigido. Dom, il cui il sangue cominciava a concentrarsi solo lì, mancando di conseguenza al cervello, lo aiutò, seguendo i movimenti col bacino, avanti e indietro, avanti e indietro, avanti e indietro contro quel palmo bollente.
Matt si spaventò leggermente quando la durezza aumentò. Sentiva qualcosa di duro ed eretto intrappolato dentro quella stoffa. E, sinceramente, qualcosa di grosso. Nel constatarlo arrossì. Dom non era abbastanza in estasi per lasciarselo sfuggire. Sorrise, si morsicò un'altra volta il labbro inferiore e sussurrò, col capo gettato all'indietro:
«Mi piace tr...trroo..ppoo.»
Matt, un poco rassicurato, riacquistò dell'humor.
«Lo sento!» esclamò, ridacchiando.

Dom, capendo che il suo compagno non era eccitato quanto lui, decise di darsi da fare. Per prima cosa gli appioppò un bacio travolgente; uno di quelli che lasciano la testa girare e la faccia tutta insalivata. Successivamente, senza chiedere il permesso né attendere il momento migliore, sbottonò i pantaloni di Matt, tirò giù la zip e li calò fino al ginocchio. Tutto questo nell'arco di tre secondi. Matt lo fissò sbalordito. Altro che donne!
«Ma!» protestò, inutilmente perché Dom stava già per fare quello che mandò in un altro universo il famoso chitarrista.
L'astuto biondino infatti, dotato di tanta tenerezza quanta scaltrezza, indietreggiò, abbassò il capo sui boxer attillati di Matt e lasciò uscire dalle labbra una lingua rossa e lucida. Stessa lingua che si allungò sopra la stoffa bianca. Stessa lingua che la leccò, la leccò fino a fare penetrare la saliva e bagnare la carne. Stessa lingua che provocò talmente tanto piacere che Matt sentì il bisogno di denudarsi da solo; tolse quegli odiosi boxer e poi, mani sulla nuca di Dom, premette affinché il suo pene potesse trovare un posto più caldo e umido in cui stare. La bocca del suo batterista.

Dom si dimostrò più bravo del dovuto. E fece sfigurare il suo amico, Matthew, che durò talmente poco da risultare ridicolo. Infatti bastarono pochi minuti per provocargli un orgasmo, uno potente, uno che spazza via il cervello e anche i sensi, uno che fa raggiungere le stelle. Matt guardava le guardava, guardava le stelle sopra di loro, dietro quel vetro, e tutte roteavano, danzavano, si scontravano, si confondevano. Non riusciva più neanche a gemere, no; rantolava, mugugnava, stringeva fra le cosce la testa di Dom e pregava Dio di perdonarlo, di perdonarli. Sudava come un dannato, aveva le tempie lucide, le guance in fiamme.
Conficcò le unghie nel collo dell'amico, gliele affondò senza pietà quando venne. Dom deglutì goccia per goccia, anch'egli bagnato di sudore e di sperma.
Quando si staccò e ridiede la libertà a Matt, si asciugò col dorso della mano sinistra il mento, dov'era colato una goccia. Matt ci mise qualche minuto per fare mente locale. Per colpa della bravura di Dom, ora era fuori uso, detto terra a terra. Era fuori uso e si sentiva uno schifo, per centinaia di motivi.

«Basta» pregò, girandosi a pancia in sotto, nascondendo il volto nel cuscino.
Ma stava solo fomentando la cosa; Dom, vedendoselo nudo sotto gli occhi, non resistette un attimo di più. Gli si sdraiò sopra, stringendolo in un abbraccio, baciandogli i capelli alla cieca, dove capitava.

«Stai bene?» sussurrò Dom, leccandogli il lobo dell'orecchio destro.

«Troppo.» Disse Matt, chiuso a riccio, cercando di soffocare le grida di terrore che cominciavano a straziargli l'animo.

«Vuoi fermarti qui?»
Il senso pratico di Dom era unico nella sua schiettezza. Matt non avrebbe mai potuto rispondere; lui non poteva concepire qualcosa di ancora più appagante di quello appena fatto, non avrebbe retto, sarebbe andato in coma.

«Mi senti, Matt?»

«Sì, non ce la faccio.» Ammise, affondando ancora la faccia nel cuscino, fino a sentire il materasso duro contro la punta del naso.

«Posso farei io» propose il diabolico tentatore, ruolo appena sceltosi da Dom. Per chiarire le idee, strusciò con forza e lentezza il suo pene duro, ancora dentro i boxer, contro il posteriore nudo di Matt.
Al moro bastò questo per stringere tra le mani il lenzuolo e invocare pietà.

«No,» gemette, «basta!» -Basta, o mi frantumerai il cuore. E poi te lo frantumerò io, quando tra poco dovrò andarmene.


Dom, a malincuore, lasciò la presa. Si spostò di lato e si limitò a prendere una mano tremante di Matt fra le sue. Lo guardò mentre i sensi di colpa lo divoravano interiormente.
«Non pentirti di quello che abbiamo fatto.» Suggerì con dolcezza, carezzandogli il dorso della mano con la punta delle dita.

«No, no» ripeteva Matt, scuotendo la testa, «Non me ne pento, ma è tutto così maledettamente complicato.» Disse Matt, occhi chiusi.

«Non avrebbe senso dirti: dormi ora, vero?»

«No. D-devo...alzarmi, lavarmi, pensare.» Concluse Matt, sottraendo la mano da quelle di Dom e cercando di mettersi seduto.

«Va bene, vai. Io sto qui.» E pensò anche di fumarsi una sigaretta, tanto i jeans erano lì da qualche parte.

«Fear and panic in the air...» canticchiò Matt a bassa voce.
Dom gli rivolse uno sguardo interrogativo.
Il moro si alzò, si avviò alla porta, continuando a cantare una strana lamentela: "...I want to be free from desolation and despair...".


Dom recuperò una sigaretta. Dopo si posizionò nel centro del letto, laddove le lenzuola erano ancora umide dei loro corpi, del loro sudore. Lanciò lo sguardo oltre l'oblò sopra di lui, in quel cielo nero petrolio. Cercò la luna, ma invano. Trovò solo tante piccole stelle tremolanti. Ognuna illuminava troppo poco per far luce in quelle tenebre, ma non per questo il loro splendore perdeva valore. Stava per infilarsi la sigaretta in bocca e fumarsela, quando sentì di avere ancora il sapore di Matt sulle labbra. Ed era troppo buono, troppo caro, troppo prezioso per essere cancellato. Lasciò cadere la sigaretta, e tornò ad ammirare le stelle, non trovandone una, neanche una, più bella di...lui.

Matt invece si chiuse in bagno al secondo piano. Si sdraiò nella vasca, aprì l'acqua calda e lasciò che si riempisse. Stappò una boccetta di doccia-schiuma e la versò su di lui, a modo che il profumo drogante di Dom potesse venir spazzato via. Se ne pentì subito dopo. Allora col liquido detergente cominciò a scrivere parole sulle mattonelle bianche del muro.
"I refuse to let you go. I can't get it right, get it right , since I met you."

Ripercorse mentalmente quella serata. Le mani di Dom, le labbra di Dom, il petto di Dom, gli occhi di Dom, la lingua di Dom, il collo di Dom, la bocca di Dom... capì che la sua vita era solo un labirinto e che al centro di quel labirinto ci fosse Dom.
"Loneliness be over, when will this loneliness be over?" scrisse ancora.

Allungò un braccio e raggiunse l'interruttore della luce. Si fece ricoprire dal buio. L'acqua si raffreddò lentamente. Poi pianse
.





 

NDA: Buonasera! Caspita, sono ferma sul 2004 da troppo! Preparatevi perché dal prossimo cambiamo le regole del gioco v.v Allora, premetto che sono lunatica. Ultimamente odio poi amo Matt; si può? Quindi, forse ho esagerato, rifilandogli questo ruolo assai strano. Però ci sta, a mio parere. A vostro? :D

Annotazioni:
-Non credo che MOTP fosse già nella mente del nostro genietto;
-Non so quando Dom prese casa a Nizza, che importa, la cosa che mi premeva era fargliela regalare da Matt.

Ringraziamenti (CHE MERITATE PROPRIO!):

MuseLover-aliasMiusl'ovah: hai scritto una delle più belle recensioni che io avessi mai ricevuto. Davvero, bella come piace a me: lunga (XD), attenta<3 e soprattutto sensata :3 Mi gasi un sacco, dicendo cose tipo "Oscar"!!! E quando dici che scrivo divinamente, ESAGERANDO, beh, io t'adoro :) Spero di averti soddisfatta, guai a me se non fosse! Fammi sapere, è importante :*

DyingAtheist
: Paolè, io ti stimo per aver dato della... ops, niente a G.! ;) Ti piace questo capitolo? AWWW, ho pauwa.

MusicAddicted: Cawa lei <3 Che bello è stato vederci? Comunque, eccoti il tuo "gioiello"... che te ne pare? Oddio, il tuo parere è fondamentale v.v

Barbydowney: Cosa cosa? Salvi i capitoli? AHAH, ma non lo meritano O\\\O Sei un tesoro, fattelo dire, non mancare. *_*

Valerika
: ma ciao! Io apprezzo tanto le tue recensioni proprio perché so che di solito non le lasci ^.^

Patri: e dov'è finito Lawliet? LOL, io tifavo KIRA =3 Comunque...mia adored, sei una delle migliori, lo sai? Io che ho scritto la miglior scena di bacio? Diamine, sul serio? E mi fai morire dall'emozione quando dici: "amo come scrivi" ripetuto e coi cuori <3 Oh sì, westa con me fowewah!

Lilla: ci siamo parlate poco fa, eh? Tu sei sempre molto esigente...chissà che mi dici di questo pazzo capitolo ._. Me curiosa! E poi fai schiattare con la tua passione per la polla ahah. Forza DOM!

Aleale00: Roby! Da quando recensisci anche tu, ah, che bello :''') Non provare a rinnovarmi i complimenti anche via email, come l'altra volta, altrimenti mi prende il solito colpo! Che te ne pare? O_O

DeathNotegintama:
LEI *abbraccia*. La mia fedele amica <3 Sai, sono certa che se a te non piacesse più Special, io in poco tempo la smetterei di scrivere...---> *tristezza*. Quindi, come sono andata? BACIOBACIOBACIO *,*

Ermelynda: Fede, Fede, Fede! Che onore i tuoi complimenti ---> che mi fanno arrossire. Dire addirittura capolavoro =D...sul serio? Waa, continua a seguirmi :* Manchi, sister.

Ringrazio, bacio e abbraccio (olè, mia moglie sarà felice ahahahah, ps: moglie, amowe, se leggi dimmelo!...tanto è amichevole, perché io amo solo una cosa: IL MIO LETTO LOLZ), anche altri lettori, quali la ILA <3, la MICHI <3, etc, etc.
Alla prossima! Cheers! Musa.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Quattordicesimo capitolo: Special Feelings. ***


•SPECIAL NEEDS•

I don't want the world to see me, 'cause I don't think that they'd understand. When everything's made to be broken, I just want you to know who I'm.
[Goo goo dolls, Iris.]

 



 

Quattordicesimo Capitolo: You feel me somehow.


(2004-2005.)

Era l'alba e il sole sorgeva dietro una densa pennellata di fumo bianco all'orizzonte. La temperatura s'aggirava intorno ai 23° e la natura cominciava a riportare i primi segni dell'autunno imminente: alberi dalle chiome arancioni, prati sempre più radi, fiori dai petali ormai appassiti.

Circa le sette, quando Matt uscì dal bagno. Aver passato tutte quelle ore nell'acqua non aveva giovato al suo fisico, difatti sentiva il principio di un raffreddore. Tuttavia, dopo essersi asciugato e sistemato con cura, aveva un aspetto molto gradevole alla vista. O, quanto meno, ciò sembrò a Dom, il quale, ancora sdraiato nel letto, era appena stato svegliato dai chiarori del cielo.
Il biondo guardò con occhi appannati la graziosa silhouette del moro, poi la sua pelle rosea e liscia, i suoi capelli scuri e lasciati, distrattamente, cadere a grandi ciocche sul volto, l'asciugamano bianco che copriva giusto dal bacino alle ginocchia. Sentì un brivido di desiderio attraversargli il corpo. I ricordi della sera precedente riemersero dai meandri della memoria e si diffusero nell'aria, immobilizzando per qualche secondo i due ragazzi.
Quegli sguardi, quelle carezze, quei baci...era piaciuto molto ad entrambi, nonostante non se lo fossero detto; d'altronde, non ce n'era stato bisogno, a volte sanno parlare meglio della bocca altre parti del corpo.
Dom, vestito di soli boxer, si raddrizzò. Strofinandosi gli occhi, cercava di formulare mentalmente qualcosa da dire a Matthew.
Appena il chitarrista si rese più visibile, avvicinandosi alla luce, Dom scorse sotto i suoi occhi un colorito rossastro. Doveva aver pianto per molto tempo, notate anche le pupille leggermente insanguinate.

«Hai pianto.» Affermò, guardandolo avvicinarsi al letto.
Matt giunse al bordo del matrimoniale. Lo osservò come fosse la prima volta, dopo spostò lo sguardo sull'oblò soprastante da cui entrava tutta quella luce bianca. Sospirò. Il suo petto glabro s'alzò e s'abbassò rapido, muovendo avanti e indietro quei due capezzoli sporgenti dove s'erano arenati gli occhi verdi di Dom.
«Sì.» Sussurrò infine, abbassando le palpebre con lentezza, quasi per dormire.
Dom avrebbe voluto chiedergli spiegazioni, perché personalmente non trovava neanche un motivo per cui piangere di quella situazione. Però capì che lo avrebbe dovuto scoprire da solo, lo avrebbe dovuto dedurre da un dettaglio, da una parola, aggrappandosi come sempre alle piccolezze di Matt, a quei gesti che agli altri sfuggono, ma a lui no.
«Vieni qui.» Ordinò con voce ferma.
Il cantante riaprì gli occhi. Fissò per un tempo indeterminato il suo batterista sdraiato, ne squadrò il corpo pezzo per pezzo. Infine, con naturalezza ed eleganza, slegò l'asciugamano che portava in vita. Questo cadde per terra, scoprendolo il tutta la sua nudità. Dom non batté ciglio. Ovviamente la visuale si faceva sempre più interessante, ma doveva essere lucido e determinato per ottenere qualcosa.
Matt, consapevole dell'effetto che faceva il suo corpo sinuoso e bello sul sistema nervoso del biondo, si inginocchiò sul letto, per poi cominciare a gattonare in direzione dell'amico. Senza mai esser perso di vista dagli occhi verdi, giunse al capezzale. Lì, reggendosi sulle braccia e sulle ginocchia, gli si fermò sopra, guardandolo con un misto di superiorità e di malizia.

Dom, disteso a pancia in su, scivolò inerme tra i cuscini, fino ad arrivare perfettamente sdraiato. Matt si compiacque con se stesso per l'effetto che aveva sorbito con così poco. Solo salendo tutto nudo su Dom era riuscito a farlo sprofondare sul letto completamente senza forza né fisica né di volontà, ottimo lavoro!
La distanza che separava il corpo steso di Dom da quello sostenuto di Matt era piccola, piccolissima per non far venir la pelle d'oca un po' ovunque.
Trascorsero qualche minuto in quella posizione, così, a guardarsi dall'alto al basso, dal basso all'alto, in un silenzio rispettoso, mentre la resistenza tirava i lineamenti del volto e luccicava negli occhi.
Dom voleva e doveva parlare. Desiderava fin da prima chiedere spiegazioni, sapere cosa diavolo avesse portato Matt a chiudersi in bagno e a piangere, informarsi sul loro futuro. Futuro che ovviamente sarebbe stato deciso esclusivamente da Matt, com'era sempre avvenuto nel passato, per diverse motivazioni, ma principalmente perché non avrebbe ascoltato critiche, qualora Dom gliene avesse fatte.
Con molta fatica e soprattutto ignorando la parte di Matt dal collo in giù, Dom si schiarì la voce e disse:
«Bene, ora dimmi cos'hai intenzione di fare.»
Matt dapprima proseguì in un silenzio misterioso, poi, accennando un sorriso, rispose.

«Prima confessa al massimo della sincerità quale effetto senti che provoca il mio corpo nudo sopra il tuo.»
Dom sbiancò. Già combatteva fra il desiderio di sbatterlo giù e baciarlo oppure quello di ribaltarlo e baciarlo, una domanda del genere era solo fonte di formicolio per i sensi impazziti.

«Perché me lo chiedi, quando lo sai già? Cosa ti prende, carenza di autostima?»
Matt ascoltò e poi si mise a scuotere la testa, come se il fluttuare di quei capelli neri e folti non fosse fonte di distrazione per Dom.

«No, tu pensi che non serva, eh? Invece sì. Ti spiego: questa notte ho riflettuto molto, cercando di fare il punto della situazione.»

«E?»

«E ho capito molte cose, alcune delle quali erano solo da accettare, altre andavano proprio analizzate.»
Dom annuì.

«Io e te siamo... non so, nessuna definizione è corretta, forse "intimamente legati" si avvicina, nonostante mi suoni ridicola. Fatto sta che qualsiasi sentimento fottutamente grande che c'è fra noi ci impedisce di amare le donne oppure di guardarci come semplici amici e non desiderare altro. Accettato questo, cosa che mi è costata anni di incertezze, crisi e preoccupazioni, rimane solo da decidere il modo migliore per gestire tutto questo, modo che non deve né ferire gli altri né noi stessi. Qualcosa di poco doloroso, credibile e, possibilmente, strano...vale a dire nostro, unico, inimitabile. Mi segui?»
Dom ascoltava strabiliato; molta ammirazione nasceva in lui nei confronti dell'amico, di quella sua intelligenza improvvisa, di quelle sue parole rassicuranti.

«Sì, vai avanti.»

«Ecco, questa casa ne è un esempio. Io voglio vivere con la mia fidanzata, là, sul lago, dove, tra l'altro, ho adocchiato un bel posto per costruire i nuovi studi di registrazione, però, se tu starai qui, avremo la possibilità di vederci con comodità e segretamente. Poi nei tour avremo molto più tempo da dedicarci e così via. Ma la cosa importante è non destare sospetti, far finta di niente, comportarsi come sempre.»
Dom dovette interromperlo. Fino al discorso di vedersi approfittando degli attimi ritagliati dalla vita ufficiale aveva approvato, ma questa segretezza assoluta gli sembrava eccessiva.

«Perché?» chiese, corrugando la fronte.

«È semplice! Già per elaborare il nostro rapporto ci sono voluti anni, ora, che finalmente cominciamo a far luce noi, mancano solo gli altri a metterci il naso. Pensa, Dom, pensa se i nostri amici capissero! O i fan, quelli poi sono i peggiori, gente superficiale e malvagia sotto sotto. Cosa crederebbero? Che siamo due bugiardi, repressi e probabilmente gay? No, non lo permetterò.»
Dom, ragionandoci sopra, capì che era tutto troppo complicato e bello per essere svelato. Si sarebbe perso il lato complicato e doloroso della questione, che poi è lo stesso che rende i momenti di gioia ancora più preziosi e soddisfacenti.

«Forse hai ragione.» Ammise pensieroso.
Matt annuì con vigore e riprese:

«Certo, è la soluzione finale. Io e te vivremo in qualche modo questo...questo bisogno speciale, gli altri non ne sapranno mai niente. Sarà la riservatezza a salvarci! Pensa, Dom, non ci sarà routine, né ci saranno obblighi, ricorrenze, cerimonie. È come se, stando insieme, costruissimo un mondo alternativo dove poter respirare, ridere, abbracciarci in ricordo della nostra infanzia, ma anche svilupparci ed esplorare quelle meravigliose terre ancora sconosciute a noi, laddove possiamo abbandonarci agli istinti, chiudere gli occhi, conoscerci...»
Dom comprese la saggezza del ragionamento. Solo in Matthew logica e poesia si trovavano in così perfetta armonia. Gli sorrise e decise di esprimere l'ultimo dubbio.

«Okay, sottoscrivo, ma resta un punto da risolvere. I tradimenti o fidanzate che dir si voglia. Cosa ne facciamo?»
Matt ridacchiò, come se la questione sollevata da Dom avesse poca importanza nel quadro complessivo.

«Fidanzate? Io, se mai. Io continuerò a star con la mia ragazza, più o meno nel modo in cui ci sono sempre stato, e sempre che a lei vada bene. Tu sei libero. Ripeto: quello che c'è fra noi non cambia solo perché adesso riusciamo a parlarne o ad ammetterlo.»
Dom fu animato da un moto di gelosia.

«Cosa? Senti, accetto il fatto che tu viva con lei, ma "starci come sei sempre stato" no, questo no. Farti fotografare con lei, dire che è la tua musa, accontentarla nei suoi capricci e via dicendo...questo no, è un pugno al cuore!»

«Dominic, ragioni come un egoista.»


Matt si mise seduto, e fu praticamente a cavalcioni sullo stomaco di Dom. Incrociò le braccia e lo guardò storto.
«Non ti costringo a procurarti una fidanzata, però non pretendere che io rinunci alla mia. Qualcuno deve salvarci la faccia, no?»
Dom strabuzzò gli occhi. -Cosa diavolo stai inventando?

«Matthew, ho sentito bene? Hai detto "salvarci la faccia"? Ascoltami, capisco il discorso sulla segretezza che salva la bellezza della relazione, ma non esagerare! Anche se dovessimo camminare mano nella mano non ci sarebbe niente di cui vergognarsi, perché se anche fosse saremmo solo una coppia di amanti, non ti assassini o di ladri!» sbottò a voce sempre più alta, arrossendo anche in volto.

«No, io mi vergognerei, sinceramente. Perciò lascia che io ci copra, visto che tu non intendi farlo, me ne occuperò io.»

«Quello che dici insulta la tua intelligenza e ferisce il mio cuore.» Sussurrò Dom, sempre più disgustato da quei ragionamenti contorti.

«Ti sbagli. Ti sbagli perché non tradirò mai quello che provo per te, non lo tradirò perché è impossibile! Perché anche quando sto con lei io penso a te, anche quando siamo lontanissimi io sono con te, perché anche quando litighiamo io sento solo l'istinto di urlarti in faccia quanto ti am-» venne interrotto.
Interrotto da un: «Non dirlo!» sussurrato da Dom e poi dalle labbra di Dom, le quali si premettero contro le sue. -Che importa chi dovrà fingere di amare! Che importa se la gente ci crederà due amici! Che importa delle forme, se in sostanza io lo amo? pensò il biondo, tirando giù e verso di sé, lentamente, il moro.


Si baciarono e molta foga, passione, forse ansia caratterizzò quei baci stravolgenti, mozzafiato, interminabili.
Le mani del batterista si concentrarono entrambe nello scompigliare i capelli neri del cantante, vagandoci dentro, graffiando la nuca, tirandoli in tutte le direzioni.
Matt si lasciò baciare e accarezzare, anzi, rispose chiudendo le braccia attorno al collo di Dom in un abbraccio-morsa che sapeva di possesso, di gelosia, di necessità. Le gambe vagavano incontrollate sulle lenzuola, strusciandosi contro e scompigliandole, scosse da piaceri troppo grandi per muoversi con regolarità.
Si staccarono per recuperare il respiro e si ansimarono addosso, l'uno nel collo dell'altro, scossi da brividi di emozione e di piacere.

«Io sono pazzo di te!» Esclamò sottovoce Dom, prima di cominciare a leccare il collo lungo e liscio di Matt, fermandosi di tanto in tanto per succhiarne la carne calda.
Il cantante per tutta risposta gemette, occhi chiusi, affogando in quella marea di sensazioni piacevolissime che aumentavano ogni secondo che passava.

«E se abbiamo resistito per tanto tempo è stato solo perché a livello mentale si è formata una tale intesa da...da...» Matt non riuscì a terminare il ragionamento perché Dom lo ribaltò, invertendo le posizioni, in pratica salendogli sopra.
Afferrandogli il bacino, tracciò una linea di baci dal mento ai pettorali, dove indugiò attorno ai capezzoli, all'addome, all'ombelico; quando stava per addentrarsi nelle parti intime, Matt lo bloccò, affondandogli le unghie nel collo.

«Ahh!» gridò Dom, mollando la presa, «cosa c'è?»

«Ti prego, per oggi avevo altri programmi, se cominciamo così, io-» Dom si rifiutò di ascoltarlo.
Cambiò strategia. Lo rovesciò, mettendolo a pancia in giù, e ci si sdraiò sopra, abbracciandolo con forza. Attraverso i boxer, la sua erezione premette contro il posteriore di Matt. Questo causò le vertigini ad entrambi.


Le mani di Dom si chiusero sopra quelle di Matt, le quali disperatamente stringevano la federa del cuscino; poi il bacino del biondo cominciò ad ondeggiare, a muoversi avanti e indietro. Il chitarrista lo sentì, duro e solido, contro il suo sedere nudo. Sarebbe bastato poco, così poco e...
«Dom,» bisbigliò, «no.»
Dom si fermò immediatamente. Lasciò che Matt si girasse sotto di lui, così da finire face-to-face, e lo guardò nel fondo degli occhi con molta eloquenza. Perché lo rifiutava? Era urtante come gesto, difficile da accettare.

«Verrà il tempo anche per questo,» gli sussurrò all'orecchio l'incantatore dai capelli ebano, con voce di miele, «verrà. Forzare le cose le guasterebbe, ricordalo.»
Dom inclinò la testa e lo baciò. Le labbra si socchiusero, le lingue uscirono e s'attorcigliarono, mentre i respiri rumorosamente s'accavallavano accelerati.

«Allora vattene via, limitarmi a baciarti mi fa un male indescrivibile.» Disse infine, caricando la voce di virilità, quasi ad imporre il suo ruolo.

«Vedo che ragioni,» commentò Matt, mentre faceva velocemente scendere una mano, «Howard,» e, infilandola nei boxer, la posò dritta dritta sul pene di Dom, afferrandolo nella sua lunghezza, «per questo sarai ricompensato.»
Sfregò una ventina di volte in su e in giù, mentre sentiva che la carne ruvida di Dom diventava sempre più bollente contro il suo palmo. Il biondo allargò le gambe, per facilitare la cosa, e chiuse gli occhi perché sentiva di esser appena entrato in un sogno.
Matt ripeté il gesto ancora qualche volta, giusto per farlo alzare ed indurire sempre più, poi, prima che potesse venire, lasciò la presa e tirò fuori la mano.
Agile come un gatto, sfuggì da lì, da sotto Dom, e in un secondo fu giù dal letto. Il biondo affondò la faccia nel materasso e si portò entrambe le mani verso i genitali, dopo li strinse con forza.

«Mai illudersi» commentò Matt, raccogliendo agilmente i suoi vestiti e infilandoseli.
Dom bofonchiò qualcosa, forse un insulto, ma chissà, era troppo preso dal cercare di calmarsi, di calmare le zone intime.


«Sei uno stronzo.» Disse Dom, dieci minuti dopo, seduto a gambe incrociate sul letto.

«Ora vado, prendo il primo aereo per Como. Ah, chiama Chris, lui non sa niente...e forse hanno fissato qualche concerto. Per gli studi di registrazione a Como lo avviserò io stesso, intesi?»

«Sei uno stronzo.» Ripeté Dom, mantenendo il broncio e la voce atona.

«Intesi alla perfezione.»
Il moro si guardò allo specchio. I vestiti non erano in piega né freschi di bucato, ma gli stavano bene. Si diede un'altra aggiustata ai capelli e raccolse l'ultimo oggetto mancante, ovvero il cellulare. Era pronto per andare.

«Ci vedremo con gli altri, la prossima volta, suppongo. Altrimenti chiamami. Okay?»

«Sei uno-» non finì la frase perché Matt la finì al posto suo:

«stronzo? Sì, se stronzo è chi per salvarci la reputazione e un altro centinaio di cose fondamentali decide di sacrificarsi e recitare la parte del pagliaccio al posto tuo.»
Dom sospirò esangue, sentendosi un egoista, poi una vittima, poi un egoista ancora. Matt frugò nelle tasche. Estrasse un bigliettino e lo lanciò a Dom.
«Comunque questa l'ho scritta per te.» E, detto questo, sparì giù dalle scale.
In pochi secondi fu fuori dalla casa e, presto, già lontano.


"Follow through, make your dreams come true...Don't give up the fight, you will be alright, 'cause-" Dom non finì di leggere che la lanciò via, accartocciata in qualche angolo di quella stanza.
Si sdraiò un'altra volta, mise la testa sotto il cuscino e s'impose di dormire. Non ne poteva più degli incantesimi di quel mago, di quelle parole pericolose come vipere. Intanto la sua mente gli disse: -Potrebbe essere l'uomo peggiore del mondo, a te piacerebbe comunque, quindi smettila d'insultarlo. Dovevi inseguirlo fino alla porta e salutarlo in modo da ricordargli chi sei!
«Zitta!» gridò il biondo, tirandosi una sberla sulla nuca. «Lasciatemi in pace!»
E niente lo disturbò più.



Una settimana dopo, Matthew era seduto su una sdraio nel giardino di Gaia; guardava il lago di Como con aria assente, come se avesse impostato il pilota automatico. Cercava di godersi l'ultimo sole, ancora fonte di meravigliosi giochi di luce tra le ondine scintillanti dell'acqua scura. Soffiava una brezza dolce; i suoi capelli danzavano sul volto, prima celando, poi mostrando i grandi occhi blu cobalto.
«Matt!» chiamò una voce alle sue spalle, la sua voce. «Matt!»
Matt si girò e la vide. Correva verso di lui con un telefono in mano, quello di casa. Era molto carina, ricordava una farfalla.

«Tieni, è per te.» Gli disse, una volta vicina.
Matt assunse un'aria interrogativa.

«Chris!» specificò la ragazza, porgendogli l'apparecchio.
Lui lo prese e rispose.

«Chris?»

«Ciao Matthew,» si udì attraverso il telefono, «sono io. Senti, mi chiedevo che fine aveste fatto tu e quell'altro!»

«Ah...guarda, io sono con Gaia, più o meno da una settimana. Dominic non so, forse è dove l'ho lasciato...»
Gaia, che si era seduta sulla sdraio lì affianco, nell'udire il nome del batterista rabbrividì. Matt se ne accorse e le rivolse un sorriso gentile, un modo per scusarsi in silenzio.

«E dove l'hai lasciato?» domandò Chris. Di sottofondo si sentiva un vociferare di bambini, probabilmente era ancora a casa sua.

«A Nizza.»

«Dove? A Nizza?» Chris non capiva. Solo a quel punto Matt si ricordò che nessuno sapeva niente di Nizza.

«Ah, è vero, non te lo ha detto. Praticamente si è comprato una casa a Nizza...non so perché, forse gli piace una francese che abita lì.» Mentre diceva queste bugie, una morsa allo stomaco gli impedì di proseguire. Si vide davanti Dom deluso, tradito, abbandonato. -Quante balle sto raccontando! Che mi si spezzino le corde vocali!
Gaia apparve sorpresa quanto Chris. L'unica differenza è che lei sapeva che Matt stesse bluffando.

«Che strano...bah, appena lo vedo gli chiedo meglio. Senti, a parte questo, io e Tom pensavamo di fare qualche data prima che si concluda l'anno. Tu hai progetti?» domandò Chris, appuntandosi su un post-it di chiamare Dom.

«Mi va bene, visto che dopo la morte di Bill non abbiamo più fatto niente. Poi però pensavo che per registrare il nuovo album qui fosse il posto adatto. Ci sono delle grotte molto particolari, voglio allestirci uno studio. E se non bastassero, potremmo facilmente raggiungere Milano, lì troveremmo tutto il necessario per concludere le registrazioni.»

«Ottima idea! Ascolta, a questo punto la cosa più comoda non è che veniamo tutti lì? Così parliamo bene per il tour e vediamo queste grotte. La tua fidanzata ha posto?»
Matt abbassò un attimo il telefono e ripeté a Gaia la richiesta di Chris.

«Ospitarli tutti?» chiese lei, calcolando i posti letto.

«Beh, sono tre. Non penso che Chris si porti dietro la famiglia.»

«Tre...Chris, Tom e...Dom?» nel pronunciare questo nome, il bel volto dell'italiana si rattristò.

«S-sì, ma se non vuoi fa nient-»

«No, va bene, c'è posto. Digli di sì.»
Matt le sorrise, poi riprese il telefono.

«Okay, venite, avvisa tu Dom e Tom. Quando?»

«Se per gli altri va bene, io arriverei domani pomeriggio.»

«Andata. Ci vediamo, Chris!»


Riattaccò e appoggiò il telefono sulla sdraio. Guardò Gaia di fronte a lui. I capelli castani le erano cresciuti molto; gli occhi ben truccati erano estremamente affascinanti. I vestiti, un semplice jeans con sopra un Mon-claire rosso, le donavano un'aria giovanile.
Quando era arrivato da lei, una settimana prima, avevano chiarito tutto. In sintesi: loro rimanevano fidanzati, continuavano a vivere insieme da lei, a farsi qualche foto insieme e vivere romantici appuntamenti tra un impegno universitario e un concerto, ma lei avrebbe dovuto accettare il fatto che Dom costituiva un tassello fondamentale dell'esistenza di Matthew, tassello che, se tolto, avrebbe ridotto in cenere la sua vita. Quando lei gli aveva chiesto:
«Quindi lui cos'è per te?», Matt aveva risposto: «È Bliss.»
Gaia per poco non era svenuta. Però poi, in nome del suo affetto per quell'uomo, se n'era fatta una ragione; d'altro canto, aveva sempre saputo che nelle loro canzoni c'era qualcuno di speciale, qualcuno che era arrivato prima nel cuore di Matthew, qualcuno che era troppo perfetto per tentare di gareggiarci contro.
Segretamente si era ripromessa di prenderla come una sfida. Lei, con tutta la sua bellezza e intelligenza, contro lui per avere il primato nel cuore di Matt. Poi, alla fine, si era detta: -Lui ora è qui con me, e questo significa che in qualcosa ho vinto io.
Le romanticherie che erano seguite l'avevano definitivamente convinta che non era detta l'ultima parola. Matt sembrava davvero preso, coinvolto un'altra volta.

«Ti va una passeggiata?» gli chiese, alzandosi dalla sdraio.
Lui annuì. La prese per mano e si avviarono verso il lago.

«Poi una bella cioccolata?» domandò Matt, riferendosi al bar dov'erano soliti a prender qualcosa da bere.

«Come ai vecchi tempi!» esclamò lei, appoggiando la testa sulla sua spalla.




Durante il viaggio in aereo, Dominic ascoltava musica random dal suo lettore cd.
"..I miss, I miss you, I miss, I miss you...where are you? I'm so sorry, I can't sleep, I can't dream tonight, I need somebody..." gli cantavano i Blink-182 nelle orecchie.
Era strano vedere l'aeroporto di Milano. Aveva sempre odiato l'Italia, ne apprezzava solo la cucina e la moda. Ma, forse, ripensandoci, l'aveva odiata solo perché inconsciamente la ricollegava a Como, e quindi...
«Ben arrivati in Italia» annunciò la voce del pilota.
-Ben arrivati all'inferno, lo corresse mentalmente Dom, slacciandosi con rabbia la cintura di sicurezza.


Quando il taxi lo lasciò davanti alla casa della fidanzata di Matt, scaricò la valigia e pagò. Una volta rimasto solo di fronte al cancello della villa, guardò la casa con un misto di disagio e di disgusto. La porta principale s'aprì e uscirono Matt, Chris e Gaia. La ragazza rimase sulla soglia, i due amici gli vennero incontro.
Il biondo, con occhiali Rayban, All-Star nere e blue-jeans attillati, cintura leopardata in bella vista e giubbotto di pelle nero con sotto camicia bianca, avanzò a passo cadenzato verso la cancellata, tirandosi dietro il trolley.
Era, detto terra a terra, uno sballo; ad aumentare il suo fascino, il modo in cui camminava, ovvero da modello in passerella. Guardava, riparato dalle lenti scure, di lato, come se non gl'importasse delle persone che aveva davanti. Ci mancava solo la musica da sfilata e poi la sceneggiata sarebbe stata perfetta.
La ragazza, vedendolo così, rientrò subito e si chiuse in bagno, sentendosi a momenti brutta ad altri goffa; Chris trattenne le risate, visto che si era aspettato di incontrare un Dom triste e malinconico. Matt non riuscì a formulare un pensiero diverso da: -Che cosa sta facendo questo maledetto?
«Buon pomeriggio!» esclamò Chris divertito, una volta che si trovarono a pochi metri di distanza.

«Ricambio,» disse calmo Dom in direzione del bassista, «ricambio» questa volta in direzione del chitarrista.
Un'ondata di profumo Dior travolse l'olfatto di Matt; proveniva dal collo ben rasato di Dom. Cercò di far finta di niente, ma notò anche che le labbra del batterista erano innaturalmente lucide. Che fosse un burro-cacao o...no, un lucidalabbra non sarebbe mai stato possibile.

«Beh, vieni dentro. Dopo che ti sistemi, andiamo a vedere le grotte di registrazione.» Riuscì a dire infine Matt, voltandosi per fare strada.
Dom seguì gli amici, ma, fra sé e sé, finalmente rideva soddisfatto oltremodo da quel poco che era bastato per mettere in imbarazzo Matt. Era il solito ragazzino; rimanere spiazzati davanti a qualche vestito e una spruzzata di profumo in più! Dom sorrise compiaciuto.


«E tu dormi qui con Tom.» Illustrò Matt, quando lui e Dom furono al terzo piano.
Le camere erano state così disposte: Matt con la sua fidanzata al secondo piano, Chris in una al primo, poi Dom e Tom nell'altra al terzo. Ovviamente avevano due letti singoli, separati da un comodino.
Dom appoggiò la valigia al muro, si tolse la giacca e la gettò sul letto. Si sbottonò i primi bottoni della camicia e si avvicinò a Matt.
Quando gli fu a pochi centimetri, la giusta distanza per permettergli percepire il suo Dior e vedere bene l'inizio del bianco petto tra la stoffa preziosa della camicia, disse sottovoce:

«E così mi farai dormire con Tom?»
Matt deglutì. Trattenne il respiro e rispose:

«Preferivi Chris?»
Dom sorrise. I denti bianchi e allineati si mostrarono fra le labbra rosse.

«Preferivo te. E ora spostati, devo andare in bagno.» Concluse, scostandolo con una mano.
Si chiuse in bagno e Matt rimase lì, con le spalle contro lo stipite della porta, a fissare il vuoto.



Si avviarono solo verso le sette. I Muse più Tom, che se qualche fan li avesse visti sarebbe diventato la persona più felice dell'universo.
Il cielo era abbastanza scuro, ma Matt voleva solo dare loro un'idea del posto, ci sarebbero tornati meglio il giorno dopo, o direttamente con gli operai per i lavori, Morgan e gli altri.
«Guardate,» diceva il Cicerone indicando il luogo, «e pensate alla tranquillità con cui potremo registrare qui.»
Chris annuiva. Tom anche, soprattutto perché già gli piaceva l'idea di filmare il making of dell'album con quel paesaggio di sottofondo. Dom era impassibile.

«Andata?» chiese entusiasta Matt, guardandosi attorno ancora, scorgendo gli ultimi bagliori rossastri del sole morente oltre le colline.

«Andata!» rispose Chris, sorridendo all'amico. «Aspetta, cosa importantissima: c'è una pizzeria?»
Matt ridacchiò.

«Sì, seguitemi.»



Il giorno dopo iniziarono i lavori. Dovevano sbrigare un'infinità di faccende legali, burocrazie interminabili durante le quali Matt impazziva, raggiungendo l'apice del suo isterismo.
Fu inavvicinabile e intrattabile per tanti giorni. Era sempre sul luogo a dirigere i lavori, a calcolare, a pagare, a contattare gente. Gaia, sentendosi fuori luogo, rimaneva a casa. Aspettava la sera per riaverlo con sé, ma lui tornava sempre esanime e quindi lo lasciava dormire. Tom filmava tutto divertito; Chris chiedeva scusa alla moglie per la lunga assenza da casa e si riservava il weekend per raggiungerla. Dom dava il suo contributo nei lavori, consigliando Matt e svolgendo questioni marginali. Fra i due si era instaurato un momentaneo spirito collaborativo; non c'era né il tempo né la forza di stuzzicarsi, infastidirsi, o anche solo di guardarsi in silenzio, assorti nei ricordi.

Alla fine del 2004, quando ormai gli ultimi giorni di quell'anno di importanti avvenimenti erano scivolati via veloci, lo studio era quasi terminato. Consisteva in un susseguirsi di stanze, ognuna con una particolarità, fra quelle grotte fredde con vista lago.
Matt era esausto. Dimagrito di cinque kg, correva da un posto all'altro, per recuperare questo, per ritrovare quell'altro; gli era cresciuto un trasandato pizzetto attorno alla bocca e i capelli erano molto indisciplinati.
Dom e Chris non lo avevano abbandonato neanche per un secondo. Quello studio se l'erano sudati tutti e tre, rimandando ogni altro impegno. Solo così lo sentirono totalmente loro.
 


«Guardate che bello.» Disse Matt, la sera di Capodanno, quando lui e gli altri erano sul terrazzo di casa, champagne in mano, ad osservare lo studio da lontano.
L'atmosfera era magica; il cielo era illuminato dai fuochi d'artificio che si riflettevano sul lago, creando un gioco di colori incantevole. Poi era caduta anche un po' di neve e le collina biancheggiavano nonostante l'oscurità.
Gaia lo abbracciò da dietro, gli schioccò un bacio sulla guancia e sussurrò all'orecchio: «Ottimo lavoro, amore.»
Chris, che per l'occasione aveva portato anche Kelly (i bambini erano stati lasciati dai genitori di lei), stappando un'altro spumante sorrise alla coppia. La fidanzata di Tom, che teneva il rispettivo amante per mano, invece domandò:

«È proprio un posto meraviglioso in cui vivere. Quando vi sposate?»
Tutti risero sommessamente, e per tutti intendo le tre coppie: Chris e Kelly, Matt e Gaia, Tom e Delphine*.

«Se fosse per me, anche subito!» Esclamò Gaia, appoggiando il volto sorridente sulla spalla di Matt.

«Matt, allora? Vuoi la qui presente fanciulla, bellissima e intelligentissima per la cronaca, in sposa?» chiese Chris, mentre gli altri avevano gli occhi lucidi. Kelly gli tirò una gomitata, forse per quel "bellissima e intelligentissima".


Nell'esatto momento in cui Matt stava per farfugliare una risposta, apparve Dom. Era appena salito in terrazzo, e indossava un completo rosso e nero che era la fine del mondo. I bagliori colorati dei fuochi d'artificio nel cielo illuminarono in modo alternato la sua figura elegante. Aveva lisciato i capelli e, biondi, lucidi, morbidi, gli incorniciavano il volto candido. Reggeva fra l'indice e il medio un bicchiere largo, non da champagne, da super alcolico.
Sembrava che avesse appena rifiutato l'invito ad un party galante; nessuno si sarebbe stupito se avesse detto "scusate, io vado a Buckingham Palace", o se fosse stato seguito da due top model.
Ma Dom non aveva architettato niente di tutto ciò. Era semplicemente lui, lui nella sua eleganza innata.
«Meno dieci.» Disse, alzando il bicchiere verso il cielo.
Gli altri controllarono subito l'ora e si accorsero che davvero mancavano dieci secondi al cambio dell'anno.
Dimenticandosi della domanda rimasta in sospeso, fecero il conto alla rovescia. Matt si staccò dall'abbraccio della fidanzata e alzò il bicchiere.

«Buon anno!» gridarono tutti insieme, mentre centinaia di rumori esplodevano nel cuore della notte, dai fuochi d'artificio a musiche indistintamente provenienti da case e macchine.


Le coppie si baciarono e Dom, sentendosi di troppo, tornò da dov'era venuto. I festeggiamenti proseguirono fra chiacchiere e brindisi fino alle tre. Poi ciascuno si ritirò nella propria stanza, anche perché disponevano ognuno del proprio partner, e quindi sarebbe stato un vero peccato sprecare un'occasione così perfetta per darsi alla pazza gioia.
Matt, comunque, non ci riuscì. Forse perché l'immagine di Dom in completo rosso era scolpita nella memoria, o perché vederlo andarsene tutto solo era stata una pugnalata al cuore, dovette negarsi alla sua fidanzata.
Appena lei si addormentò, lui sgusciò via dal letto e corse alla ricerca del suo migliore amico. Durante quei mesi lo aveva tralasciato; cioè, in realtà avevano collaborato alla grande per la creazione degli studi, ma non c'era mai stato un solo minuto per guardarsi, per scambiarsi una parola che non fosse di lavoro, per...diciamolo, per abbracciarsi e sentirsi ancora uniti.

Non lo trovò né in casa, dove, tra l'altro, s'udivano ambigui rumorini provenienti dalle camere di Chris e Kelly, di Tom e Delphine, né allo studio. Al cellulare era irreperibile, ma probabilmente chiunque a Capodanno, quando le linee telefoniche sono intasate, lo è.
Verso le quattro, Matt si arrese. Si ritirò nella stanza del pianoforte nello studio e si accasciò ai piedi dello strumento, guardando attraverso le vetrate gli ultimi razzi, ascoltando gli ultimi festeggiamenti.
Venne assalito dai soliti rimorsi. Divenne vittima della solita crisi d'ansia. Ricadde nel pozzo nero, strisciando con le unghie lungo le pareti umide pur di non toccare il fondo, laddove si concentravano le paure più spaventose che potessero torturare un animo umano.
Aveva sbagliato tutto? Quei ragionamenti, prima impeccabili, erano davvero una vuota teoria senza fondamenti nella realtà? Queste solo due delle infinite domande che gli urlavano nel cervello, mentre tirava i pugni nell'aria e scalpitava sofferente, mordendosi le labbra e bestemmiando sottovoce.
A cosa serviva essersi sistemato a pennello, se l'oggetto delle sue brame era sperduto chissà dove? Ah, si sentiva totalmente fallito. Un cretino, ecco l'aggettivo riassuntivo.

All'improvviso s'aprì la porta. Si richiuse, senza emettere un rumore. Pochi passi scricchiolarono sul parquet, poi una presenza mosse l'aria affianco a Matt, ancora rannicchiato per terra. Il cantante alzò gli occhi e lo vide: Dominic Howard era lì, lì in quel suo completo rosso, coi suoi capelli piastrati e un vago odore di vino rosso.
Non si dissero nulla. Non serviva, non per capire che era finalmente giunto il momento di festeggiare il Capodanno fra di loro. Dom si abbassò. Prese una mano di Matt e la tirò fino a rimetterlo in piedi. Si guardarono intensamente, captando tutto l'afflusso di sentimenti che si riversava negli occhi dal fondo delle anime.
Poi Dom si girò e Matt lo seguì alla cieca. Andarono nella stanza adiacente, quella in cui c'erano batteria, amplificatori e due chitarre.
Il biondo si mise al suo posto, dietro ai tamburi e ai piatti, seduto sul seggiolino e con un paio di bacchette in mano. Matt imbracciò una Gibson, chitarra che non era solito ad usare, se non per qualche strimpellata personale. Attaccò il jack all'amplificatore, regolò i volumi e la distorsione, poi, con espressione seria e ancora segnata per la crisi appena passata, si sedette sulla gran cassa di Dom.

A gambe divaricate, appoggiando la chitarra alla gran cassa e mantenendo gli occhi fissi in quelli di Dom, cominciò a suonare, così, qualche accordo casuale. Il batterista, vedendoselo lì davanti come un paio di rare volte aveva fatto anche durante un concerto, prese il ritmo e iniziò ad accompagnarlo.
Presto, senza accorgersene, avevano entrambi gli occhi chiusi e suonavano melodie improvvisate, tutte loro; non erano né cover, né pezzi dei Muse, erano parole tramutate in musica, erano sentimenti diventati battiti, erano gesti trasformati in note.
Si formò una sorta di comunicazione miracolosamente efficace. Se Matt suonava melodie tristi, Dom rallentava; se Matt si concedeva note più alte e veloci, Dom caricava sul rullante e così via.
Ad ogni emozione un suono.


«Buon anno, Matt.» Bisbigliò Dom.
Erano le sei del mattino e i due ragazzi erano sdraiati per terra. Avevano suonato per due ore, poi si erano distesi sul pavimento l'uno affianco all'altro, in posizione fetale, ma faccia a faccia. Per Matthew quegli auguri significavano infinitamente di più di tutti quelli che aveva ricevuto da altri; guardare la persona che amava ricambiare quell'amore così sbagliato, proibito e segreto era indescrivibile quanto la bellezza di quel momento.
«Oh, Dom...» sospirò Matthew, stringendolo a sé.
Abbracciati, s'addormentarono, mentre l'alba di un nuovo anno gettava bianca luce sui loro scuri corpi tremanti.




(*NDA: il nome è inventato.)
NDA: Ma...quanto ho scritto? Pardon, pardon. E pardon anche per il ritardo: sono più che impegnata, nonostante il mio unico desiderio sia quello di dedicarmi alla lettura, al BellDom e ai Muse, uff.
Dunque, voi siete sempre più numerosi! E come faccio a ringraziare tutte le quattordici commentatrici più gli altri? Sono nei guai xD

Annotazioni:
-Non so se gli studi sul lago furono terminati entro il 2004, ma non ne potevo più, dovevo dare una svolta U_U;
-Non so se Invincible era già abbozzata;
-Non so se le fidanzate di cui parlo esistevano (più che altro quella di Tom) e se passarono -OVVIAMENTE- così il Capodanno.

Ringraziamenti:
Un caro abbraccio alle mie seguaci di sempre, voglio dire:
-DeathNotegintama: oh, tu <3 Tu che con quella recensione meriteresti di gareggiare fra le migliori critiche e guadagnarti il primo posto.
-MuseLover: la Peppa <3 Cosa ne pensi di questo capitolo? O.O
-MusicAddicted: la Lu <3 Ti ostini ancora a chiamarlo "gioiello"?
-DyingAtheist: la Paolè <3
-Valerika: la Eri <3
-Aleale00: la Roby <3
-Lilla Wright: la super Lilla <3
-Patri: che tifa per Kira <3
-Mia moglie: LA MIA SHE, LA MIA SH, LA MIA SOCIOPATICA CONSORTE <3
-Ila&Michi&Ste: Sisters che addirittura stampano, vero laivsiots? xD <3
(E specifico che quasi tutte queste donne io non le ho mai incontrate .-.)

Un GRAZIE infinito alle più recenti:
-Barbydowney: :*
-Ermelynda: FEDE <3
-RisingSun;
-Dolcettina: Ben tornata fra noi :*
-Shiny Angy.

...e si accettano a braccia aperte i nuovi arrivi, don't be shy, non confesserò che tutti crediamo nel BELLDOM :D
Cheeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeers, Musa.





Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Quindicesimo capitolo: Special Shine. ***


•SPECIAL NEEDS•

"You, me and everything caught in the fire. I can see me drowning caught in the fire."

[Radiohead, You.]


 

 

Quindicesimo Capitolo: Shine.

 

(2005.)
Nebbia. Nebbia spessa come un muro, ma fredda e tagliente quanto il ghiaccio. Nebbia che aleggiava spettrale, che non aveva origine né fine, che prometteva neve e tempeste. Nebbia che s'esalava nell'aria e ne infettava ogni soffio, ecco l'implacabile nebbia di Gennaio.

Christopher rimase sorpreso quanto Gaia nel vederli emergere da questo biancore; si era appena svegliato, era sceso in cucina e ci aveva trovato la fidanzata del front-man a fare colazione. Si erano chiesti dove fossero i due, e, uscendo sul balcone, i loro dubbi erano stati risolti.
Matthew e Dominic camminavano vicini, estremamente vicini; a tal punto vicini che i loro fianchi si toccavano, così come si sfioravano le loro spalle e le loro mani. Non si guardavano. In realtà non guardavano null'altro che per terra, entrambi. I capelli del moro gli oscuravano il volto, rendendo irrealizzabile ogni tentativo di decifrarne lo sguardo; il biondo invece appariva serio, concentrato, trasportato altrove. Camminavano in sincronia, allungando prima la gamba sinistra, poi la destra, prima la sinistra, poi la destra...cosa impossibile agli altri, almeno senza mettersi d'accordo.
Scendevano dagli studi. In pochi secondi sarebbero rientrati. E bastarono quei secondi per creare decine di domande nella menti di Chris e di Gaia, i quali li osservavano silenziosi, forse zittiti da un senso di commozione o di rispetto.

Quando furono tutti e quattro in cucina, le differenze fra loro due e gli altri due aumentarono. Matt e Dom parevano...ecco, fluire l'uno nell'altro. Inspiegabilmente, irrazionalmente e incomprensibilmente i due uomini, nonostante non si stessero né toccando, né guardando, parevano essere appena stati divisi, quasi fossero prima incollati, cuciti, uniti con qualcosa di troppo forte per essere spezzato. I loro occhi irradiavano una strana luce; un lume fioco, ma chiaro e  inestinguibile. Erano talmente belli insieme che Chris e Gaia si sentirono a disagio, piccolissimi, di troppo. Arrossirono e mantennero un'aria il più possibile qualunquista.


«Ben...tornati.» Esordì il bassista che, se prima aveva avuto fame, ora aveva le farfalle nello stomaco. Si era visto così in armonia con una persona solo nelle foto del suo matrimonio. Si chiese se fosse un bene o un male.

«Dove sei stato?» chiese a voce bassa la ragazza, osando avvicinarsi a Matt. Segretamente sperava di infrangere quella barriera, di scavalcarla e riprendersi quello che un tempo pensò essere il suo uomo.
Matt non rispose. Lasciò che lei lo abbracciasse, che stringesse a sé quel busto secco e freddo, che appoggiasse il suo morbido volto sulla sua spalla.
Dom non se ne accorse nemmeno. Sorrise debolmente a Chris, e poi lo sorpassò per salire le scale e dirigersi in camera sua.

«Matt, cos'hai?» domandò ancora la donna, ansiosa, visibilmente in tensione.

«Sonno.» Sussurrò lui, accasciandosi sul pavimento totalmente privo di forze.
Chris deglutì rumorosamente. Era accaduto qualcosa di grosso e sapeva che lui era l'unico che poteva ambire a conoscere almeno un frammento di quel mistero che era il rapporto fra Matt e Dom. Avrebbe agito. E lo avrebbe fatto subito.

«Gaia, fallo distendere sul divano. Io vado da Dom, poi torno.» Concluse con voce grave.

Vide Dom sdraiato a pancia in sotto. Nel letto affianco riposavano Tom e Delphine, stretti sotto le lenzuola. Chris sperò che non stesse già dormendo. Si avvicinò di soppiatto, dopo si inginocchiò sul parquet. Gli bussò sulla spalla più volte, almeno fino a quando quest'ultimo si decise a dargli corda. Aprì gli occhi, voltò il capo e guardò l'amico con aria interrogativa.
«Che c'è, Chris?» domandò piano, faticando a mantenere a fuoco l'immagine.

«Che c'è tu, Dom! Tornate alle due del pomeriggio, sembrate due fantasmi e vi cacciate a letto perché siete esausti. Si può sapere che avete fatto questa notte?» disse il bassista con tono invadente. Se si comportava con durezza era solo per ottenere il risultato più preciso possibile e ben sapeva che la dolcezza non serviva in questi momenti.

«Lascia perdere!» tentò di replicare Dom, però non calcolò l'azione successiva di Chris.
Il padre di famiglia infatti gli afferrò il volto, tenendolo per la mandibola, e fece sì che puntasse gli occhi nei suoi.

«Dom, dimmi cos'è successo. Non quello che sta succedendo da quando vi conoscete a questa parte, ma quello che è successo dopo Capodanno.»
Il biondo rimase atterrito da quel gesto violento. Era veramente assonnato e confuso, cosa pretendeva di sapere l'amico?

«I-io...» balbettò indeciso sul da dirsi.
Chris inclinò il capo insoddisfatto. -Bene, ora anche tu hai le balbuzie? si chiese, attendendo una risposta decente.

«e Matt ci siamo baciati.» Sussurrò infine, sollevandosi da un peso immenso a giudicare dallo sguardo che parve svuotato da troppa falsità accumulata. «Ma non come potresti pensare tu, quello succede già da un po'...»
Chris assunse un colorito verdastro. Corrugò la fronte e si avvicinò per sentire meglio i bisbigli di Dom.

«E come, allora?» disse con l'ultimo fiato rimastogli in gola.

«Abbiamo suonato dalle quattro alle sei, poi dormito fino più o meno le nove, e poi ci siamo baciati finché siamo tornati.» La voce con cui il batterista pronunciò queste parole era talmente limpida da non lasciare spazio ad equivoci. Era così e chiunque avrebbe potuto giurarci.

«Aspetta. Sono le due, e dalle nove vuol dire...» a Chris mancò il respiro per terminare la frase.

«Cinque ore.» Rispose Dom al posto suo.
Il bassista abbassò lo sguardo e un vago rossore si diffuse sulle sue guance sbarbate; il batterista invece chiuse gli occhi e sentì sulla pelle ancora quelle labbra, le sue, le labbra di Matt.
In fondo Chris lo aveva sempre saputo.

Matt, rannicchiato sul divano, aveva pregato la sua fidanzata di lasciarlo da solo. Lei aveva obbedito e, ritiratasi in cucina, gli aveva concesso quel ritiro di cui lui aveva bisogno. Una volta indisturbato, occhi chiusi e faccia premuta contro un cuscino, rivisse attraverso la memoria quello che era accaduto poco prima con Dom.
Si erano svegliati contemporaneamente attorno alle nove. Erano ancora abbracciati. La luce che filtrava da fuori accecava, essendo bianchissima per via del velo di nebbia che aveva rapito la città. Così si erano guardati, appena destati, per qualche minuto; il desiderio di possedersi era cresciuto lentamente, senza fretta. Divenne visibile quando, all'unisono, i loro volti si erano avvicinati involontariamente. Ormai a pochi millimetri, avevano lasciato che i respiri si ingarbugliassero. Si erano sussurrati parole indecifrabili; i segreti di una vita venivano sciolti uno ad uno. Infine non cedere era diventato solo una questione di resistenza. Quando questa s'ebbe meno, forse perché l'abbraccio si era stretto sempre più, allora le labbra si sovrapposero.
Matt ansimò. Il ricordo della morbida bocca di Dom contro la sua gli causò una vampata di calore. Affondò ancora di più il volto nel cuscino e la mente nei ricordi.
A questo punto si erano baciati con l'usuale foga miscelata ad una tenerezza incomparabile. Schiocchi, sbavi, gemiti, un vortice capace di cancellare la realtà e amplificare ogni più piccola sensazione. I baci s'erano moltiplicati all'infinito; oltre che la bocca, avevano deliziato le guance, la fronte, il collo. Non avevano osato scendere di più, sarebbe stato semplicemente troppo.
Il tutto per cinque ore -con le dovute piccole pause, ovviamente. Non che Matt e Dom avessero la percezione del tempo, se ne resero conto a posteriori, quando, ormai sfiancati e con le labbra infiammate, col volto umido di saliva e il cuore stremato per i battiti accelerati, avevano guardato l'orologio, riatterrando sul pianeta terra.
Nessun atterraggio è indolore. Il loro non lo fu per niente. Matt, infatti, s'agitò. Dom, quindi, lo calmò. Riaffrontarono i discorsi già discussi altre volte, smembrarono ogni problema insieme, pezzo per pezzo. Matthew era troppo lunatico, instabile, cambiava idea continuamente, passava dal pessimismo esistenziale all'ottimismo degli stupidi. Dom lo seguiva finché capiva il fil logico del suo blaterare, quando si perdeva o lo zittiva con un bacio improvviso, veloce e spesso seguito da una serie di critiche da parte del moro, oppure si tappava le orecchie e aspettava che la furia si quietasse.
Alla fine avevano trovato un accordo. Dom avrebbe vissuto a Nizza. Matt a Como. Però l'album sarebbe stato registrato sia in Francia che in Italia. E loro, ovviamente, avrebbero cercato di costruire qualcosa col tempo e le energie rimaste.
Matt cadde dal divano. Si era dimenato fino a rotolare giù, di lato. Aprì gli occhi e si trovò davanti Chris e Gaia. L'amico lo fissava tenendo le braccia incrociate sul petto, la donna invece reggeva fra le mani tremanti un bicchiere contenente qualche liquido.

«Ti ho portato qualcosa di caldo,» disse affettuosamente lei, porgendoglielo. «bevi, amore.»
Matt prese il bicchiere e lo annusò. Odorava di limone sintetico. Poteva essere detersivo per i piatti e lei un'assassina.

«Matt,» tuonò Chris, la cui figura nera staccava dal bianco che entrava dalla finestra alle sue possenti spalle, «bevi.»
Matthew scosse la testa e fece una smorfia. Gli pareva tutto solo un complotto e l'unica persona con cui si sentiva davvero sicuro, Dom, non era lì con lui. Lo aveva già abbandonato? E i baci, dico, i baci? Li aveva dimenticati così in fretta? Matt annaspò.

«Matt,» biascicò Gaia, accovacciandosi per sorreggerlo, «parlami!»
Il chitarrista le riconsegnò la bevanda fumante. Sentiva il vomito. Si chiese quanto si potesse amare una persona, ecco, se ci fosse un limite.

«Dov'è Dom?» mugugnò con un filo di voce.

«Di sopra e sta dormendo.» Lo tranquillizzò Chris, avvicinandosi.

«Posso farmi una doccia?»
Il bassista guardò l'italiana in cerco di consenso. Lei annuì e poi aggiunse:

«Fai pure.»

Matt s'infilò nel box doccia senza essersi prima spogliato. Non riusciva, non voleva, poi gli sembrava di soffocare; solo l'acqua calda e il vapore liberarono le sue vie respiratorie. Si sedette sul fondo, ginocchia al petto e occhi chiusi. Il discontinuo scroscio del getto trasparente lo circondò mentre una strana melodia sfuggiva dalle sue labbra fradice. Shine, si sarebbe detta. Shine sussurrata a mo' di preghiera.
Era una soave litania; somigliava ad una ninnananna triste, una di quelle che si cantano gli adulti quando nessuno li sente, quando hanno sbagliato tutto e non c'è più tempo per rimediare.
«Who cares for the life we earned? Someone sold all the truth you yearned...» mugugnava, conficcandosi un unghia nelle gengive, «Remember when you used to shine and had no fear or sense of time, when it creeps up on you!»
Appoggiò la testa ad una piastrella imperlata d'acqua. Fissò il vetro cristallino che lo divideva dall'esterno. Quella poteva considerarsi una metafora della sua vita, in fondo. Lui, solo sotto infinite lacrime che cadevano dall'alto, a cantare separato da una barriera bella e sottile dal mondo; occhi vitrei, freddo nelle ossa e vuoto nella mente.
Passò in quella posizione una decina di minuti. Bussarono alla porta. Non rispose. Alzò il capo e riprese a bisbigliare:
«You can cry now there's nothing to feel, noone's noticed our loneliness...» non si ricordava più come continuava. Non provò vergogna per questa dimenticanza. Chi si ricordava più di una canzone di Hullabaloo? I fan, ormai diventati una strana miscellanea di veri esperti e gentaglia superficiale, no di certo. I suoi amici? Sì, ma non l'avrebbero mai più suonata.
Bussarono ancora. La porta si aprì. Matt abbassò le palpebre e tornò in cerca di quelle parole perdute.
Dominic entrò e andò dritto al lavandino per lavarsi la faccia. Dopo essersela sciacquata più volte, scrollò il capo dalle gocce in eccesso. Si asciugò e tamponò i capelli che per sbaglio si erano bagnati. Guardò lo specchio. Guardò il riflesso di Matt nello specchio. Si voltò e guardò Matt.
I vestiti gli si erano incollati al corpo e aveva un aspetto tremendo. Sembrava più di là che di qua. Agì senza esitare. L'avrebbe salvato, a costo di costringerlo, l'avrebbe salvato e ripescato dal solito buco nero nel quale ostinava a cacciarsi per poi cullarcisi dentro fra sentimenti tanto dolorosi da parere disumani. D'altronde non sarebbe stato il primo caso di cantante suicida.
Spalancò con determinazione le porte della doccia; agguantò in malo modo l'amico e, reggendolo per la maglietta sfuggevole, lo appoggiò sul tappeto dietro di loro. Poi chiuse l'acqua, le porte e si augurò che quel lago si asciugasse prima che gli altri se ne accorgessero. Prese l'accappatoio blu che pensò destinato a Matthew. Vedendo che il moro non reagiva, anzi, piagnucolava mordendosi le dita di una mano, gli tolse la maglietta, dopo i pantaloni. A questo punto lo avvolse nell'accappatoio e, abbracciandolo da dietro, cominciò a sfregargli le mani sulle braccia, così da sviluppare un po' di calore.
Matt batteva i denti e proseguiva imperterrito nel maciullarsi un dito ormai già sanguinante per via di una poltiglia rossa creatasi all'attaccatura con l'unghia. Dom gli allontanò le mani dalla bocca e serrò i polsi a terra, bloccandolo definitivamente.
«Che cazzo fai, Matthew?» chiese arrabbiatissimo, sperando di prender fuoco pur di riscaldare quel pezzetto di ghiaccio.

«Niente!» gemette il moro, divincolandosi come un demente masochista.

«Ma che ti è preso? Tornando dagli studi sembravi abbastanza stabile! Abbiamo deciso il da farsi, cosa ti tormenta ancora?»
Matt smise di lottare. La forza di Dom era più della sua. Ammorbidì i muscoli e si appoggiò completamente sul batterista alle sue spalle.

«È difficile, Dom...» miagolò, ricacciando in gola lacrime e strilli.

«E qual è la novità? Matt, ricordati che siamo in due a soffrire per tutto ciò!»

«Forse non dovevamo incontrarci.» Ammise il moro, girando il capo per cercare gli occhi di Dom.
Si trovò la bocca dell'amico a neanche due centimetri. La ignorò bellamente e si concentrò solo sulle parole che da essa sarebbero uscite.

«Ma perché! Tu sei elettricità nella mia vita, Matthew.»

«E il dolore? Quello non lo calcoli?»

«Sì, sì, ma per un attimo di piacere e di felicità con te vale la pena di star male una vita.»

Matt si bloccò. Le parole gli morirono in gola e, spiazzato dalla frase di Dom come sarebbe stato da un uragano, si congelò in un mutismo dettato dallo stupore.
Il batterista aveva detto senza accorgersene probabilmente una delle cose più belle che esistano; passare male una vita per un solo attimo di gioia con qualcuno. Matt, essendo quel qualcuno, essendo il qualcuno di Dom, capì che era reciproco e che, se davvero non avesse mai incontrato quel ragazzo anni addietro, ora sarebbe stato solo uno dei tanti.
Era per Dom che trovava il coraggio di salire sui palchi più famosi del mondo. Era per Dom che sfidava il passato guardandosi dentro, anche laddove c'era più buio. Era per Dom che rimandava la morte perché grazie a lui la speranza di un futuro migliore rimaneva sempre.
«Dominic» sussurrò, piegando il capo e accasciandosi su se stesso.
Dom lo strinse forte e gli baciò la nuca umida. Quel bacio scaricò tanti brividi su Matt che ebbe uno scossone preoccupante.

«Aspetta,» disse Dom, allungando un braccio verso il cassetto sotto il lavandino, «voglio medicarti.»
Estrasse un disinfettante e una garza vergine. La inumidì e gliela passò sul dito morsicchiato finché portò via gran parte del sangue. Fatto questo incollò con nastro adesivo un altro pezzo di garza attorno al dito, in modo da prevenire altre eventuali perdite.

«Non farlo più.» Lo ammonì, rimettendo a posto.

«Ma mi viene istintivo...» si giustificò infantilmente Matt, osservando il dito bianco. Non avrebbe potuto suonare per un po', ecco il vero dramma.

«Se è più forte di te, fallo sulle mie dita.» Propose Dom, mostrandogli la mano.

«Non se ne parla.»

«E invece sì. La prossima volta giuro che ti do la mia mano.»
A Matt spuntò un sorriso. Dom lo guardò perplesso.

«Magari puoi darmela per altri scopi!»
Dom soffiò una risata sincera e tirò un pizzicotto sul fianco del cantante, azione che lo fece letteralmente saltare per aria e ricadere con un tonfo.

«Certo che riacquisti in fretta il tuo humor.»

«No, era per sdrammatizzare il mio problema autolesionistico.»

«Sì, ma va bene. La mia mano è multitasking...»
Questa volta fu Matt a ridacchiare. Ma non era proprio il momento per quel tipo di risate.
Decise di essersi ripreso.

«Mi aiuti ad alzarmi?»

«Certo.»
Dom lo sorresse finché fu dritto in piedi. Com'era goffo con quell'accappatoio sovrabbondante! Si guardò allo specchio schifato. In effetti aveva un'aria parecchio sbattuta. Ora sapeva come procedere.

«Dom, ascolta. Adesso tu vai in Francia, trovi quegli studi e noi ci risentiamo tra una settimana o due.» Disse, pettinandosi i capelli con una spazzola di Gaia.

«Ma Matt, due settimane addirittura?» protestò il batterista, sbuffando.

«Sì, devo calmare la mia fidanzata e tu sistemare le cose là.»

«E non ci sentiamo neanche per telefono?»

«Non ho detto questo, però non cominciare ad essere morboso, eh?»
Dom incrociò le braccia sul petto e lo mandò mentalmente nel paese delle meraviglie. Si poteva essere così strani? Essere il minuto prima stesi a terra in un laghetto di sangue e quello dopo a pettinarsi mentre si dà l'addio al proprio salvatore? Dom sapeva che prima o poi ci avrebbe rimesso la testa.

«Io morboso? Sentiti! D'accordo, me ne vado. Cheers!»
Matt ghignò silenziosamente. Voleva cambiarsi ancora colore di capelli, ma non sapeva ancora quale.


«Fammi capire,» sbottò Gaia, quella sera. Chris e gli altri se n'erano andati; volevano finire il periodo di sosta in privato, o comunque a casa loro. «Tu stai qui quindici giorni e poi riparti?»

«Esattamente.» Le rispose pacato Matt, seduto sulla poltrona, mentre faceva zapping in Tv.

«E dove vai?»

«Credo in Francia. Comunque dobbiamo registrare, sai com'è, ho un pubblico che attende.»

«Lo so, lo so. Ma perché in Francia, dico! Non avete qui gli studi apposta?»
Matt la guardò male. Capì dove volevano arrivare quelle sottili insinuazioni e se ne disgustò.

«Perché anche lì ci piace.»

«Perché lì c'è il biondo!» strillò lei, scaraventandogli addosso un giornale.
Matt fu preso alla sprovvista. Sapeva che non era di buon umore (d'altra parte lei lo aveva accolto alla mattina e lui se n'era tranquillamente andato in bagno), ma dal cattivo umore al giornale in faccia c'era una via di mezzo. Quella che distingue un uomo da un cane.

«Sei pazza?» gridò, togliendosi la rivista dalla faccia. «Se anche fosse? Ti ho già spiegato che fra me e Dom-»

«Sì, vi volete tanto bene!» lo interruppe lei, alzando gli occhi al cielo come se si trattasse di una cosa da poco.

«Già, e, nonostante nessuno lo sappia, gradiremmo trovare il tempo per...» la voce gli si spense di colpo.

La donna sgranò gli occhi terrorizzata. Gli si riempirono di lacrime l'attimo dopo.

«Scusa, non volevo, non è vero, io-» cercò di rimediare lui, correndole incontro.
L'abbracciò e finse di non sentire il male che gli provocarono le unghie di lei negli avambracci.

«Tutto questo mi fa schifo.» Sussurrò lei, ormai in singhiozzi.

«Ma non hai capito, noi, ecco, non...»

«Stai zitto, per piacere. Hai ragione, io lo so, io ho accettato questo e l'ho fatto perché tengo a te.»
Matt l'abbracciò con più forza. Sentì quanto fossero piccole le sue ossa, minute le sue graziosi proporzioni. Eppure un tempo gli era piaciuta; un tempo aveva creduto di poter dimenticarlo, di poter amarla.

«Cosa vuoi che faccia per te? Qualunque cosa, piccola, qualunque...»
Gaia ci pensò su. Alla fine si risolse. Strinse anche lei quell'uomo complicato che infondo amava, smise di graffiarlo e sospirò.

«Dedicami almeno una canzone nel nuovo album. E, se possibile, quando la suonerai dal vivo e io sarò lì a guardarti...nominami.»
Matt rimase sorpreso. Gli giungeva inaspettata questa richiesta. Non capiva se lo voleva per notorietà o per pura dimostrazione d'affetto.

«Se ti stai chiedendo perché...beh, perché sì. Perché siamo insieme da ormai cinque anni e nessuno lo sa. Vorrei, almeno per una volta, vivere il sogno di tutte le donne, capisci? Quello di vedere il proprio eroe famoso che le rende note al mondo intero.»

Matt sciolse momentaneamente l'abbraccio per guardarla negli occhi. Pareva sincera. Le sorrise con gentilezza e annuì.

«Vedrai.»
Lei gli diede un rapido bacio a stampo e arrossì.

«Grazie.»

In quell'esatto momento a Matt vibrò il telefono nella tasca dei pantaloni.

«Scusami, il telefono.» Disse.

«Guardalo pure.»

-Sto visitando un posto incantevole. È nella campagna francese, nei pressi di un lago. Forse ti piacerà! D.-

«Tutto okay?» domandò lei, senza però sbirciare il testo dell'sms.

«Ss-sì.» Balbettò.

«Mi cucini qualcosa?» chiese alla donna, riaccendendole il sorriso.

«Agli ordini! Cibo italiano e vino italiano per il signorino.»

«Vacci piano, altrimenti ci ubriachiamo!»

«Il che non sarebbe proprio una cattiva idea, Matt.» Concluse lei, dirigendosi in cucina.

-Io sto per ubriacarmi con lei, M.-
Pochi secondi.
-Se devi ubriacarti per andarci, guarda, ho pietà di te. D.-
Matt batté un piede per terra. Perché quel ragazzo sapeva sempre come fregarlo? Che odio.
-Bastardo, ti raggiungo domani solo per suonartele.-
Dom, che passeggiava per la campagna piacevolmente carezzato dal vento notturno, sorrise.
-Ti aspetto a letto, così, visto che finirai per farti male da solo, almeno non fai disastri.-
Matt ebbe l'istinto di scaraventare il telefono fuori dal balcone. Ma così avrebbe vinto Dom, non se ne parlava.
-Tu con me hai chiuso, M.-
Dom scoppiò a ridere e guardò quella meravigliosa luna francese sopra di lui.
-A domani.-

Quando Gaia lo chiamò per la cena, Matt era di pessimo umore.

«Tesoro, pasta e altre meraviglie per la tua panc...ma cos'hai?» chiese, guardandolo conficcato nel divano con lo sguardo nero.

«Niente. Anzi, non ho fame. Vado a dormire, ciao.»
La ragazza rimase a bocca spalancata. Lui salì le scale e, dopo aver inghiottito del sonnifero, si sotterrò con tutte le coperte del matrimoniale. Tanto sapeva che lei avrebbe dormito sul divano.




Sette giorni dopo, Matthew uscì dalla stanza in cui si era barricato. Mi chiederete come sopravvisse. Ebbene, la fidanzata gli lasciò cibo e acqua fuori dalla stanza dopo il secondo giorno di clausura. Per il resto, usciva di soppiatto solo per rapide corsette al bagno.
Però, stranamente, aveva un aspetto decisamente migliore di quello con cui si era rinchiuso lì dentro una settimana prima. Intanto gli erano sparite le occhiaia -aveva dormito circa 18 ore per giorno; e poi emanava una sorta di...pace ritrovata.
Almeno queste furono le sensazioni di Gaia, quando apparve in soggiorno vestito e lavato con le valige alla mano. Aveva ignorato anche il cellulare, sul quale la donna aveva notato che erano arrivati alcuni messaggi, ma, dopo aver sbirciato il mittente, ovvero D., aveva lasciato perdere.
«Te ne vai, ora che sei resuscitato dalla cenere della tua follia?» gli chiese, sfogliando un giornale di moda.

«Sì. Sai dov'è il mio cellulare?»

«Lì.» E glielo indicò con lo sguardo.

«Ehi...» tentò di dire, interrotto da un'occhiata di fuoco. Le si avvicinò con fare innocuo, ma lei lo scacciò col silenzio di una femmina irata.
Lui lo prese e si avviò verso la porta.

«Ah, Matt?»

«Sì?» domandò il ragazzo, già sperando in un ripensamento.

«Lascia le chiavi prima di uscire. Buon viaggio!»
Matt scosse il capo. Non le avrebbe lasciate, non ancora. Qualcosa gli diceva forte nella mente "non ancora".
Uscì e per sua grazia non arrivò più alcun richiamo.



Il cielo era nuvoloso. Insolito come il tempo potesse cambiare così radicalmente; quando aveva lasciato l'Italia lì splendeva il classico sole malato di Gennaio, ma di certo non avrebbe piovuto.
Arrivò davanti alla casa e ormai le nuvole si erano addensate. I primi tuoni ruggivano nella volta celeste e si sentiva forte l'odore che anticipa la pioggia, uno strano odore atavico che sale dall'erba.
Lo vide. Era poco vestito, solo con pantaloni e felpa, ma che novità, Dom era sempre stato caloroso. Piegato a raccogliere qualcosa nel giardino rigoglioso nonostante la rigidità imposta dalla stagione, si occupava del giardinaggio. Si drizzò e s'asciugò la fronte leggermente bagnata dal sudore con una mano rivestita da un guanto di plastica bianco. Matt notò che nell'altra mano aveva un annaffiatoio e ai suoi piedi c'era una piccola aiuola di fiori.
Aprì il cancelletto basso, avanzò fino a metà strada. Solo a quel punto Dom si accorse della sua presenza. Appoggiò l'annaffiatoio e si rimosse i guanti. Camminò nella sua direzione.
Quando furono faccia a faccia, Matt gli sorrise con timidezza.
«C-ciao» balbettò, abbassando lo sguardo imbarazzato.
Il batterista lo squadrò da cima a fondo. Notò le valige lì affianco e tirò un sospiro di sollievo.

«Sei tornato!» sussurrò, chiudendogli le braccia attorno.
Matt, ancora stoccafisso impalato, non commentò. Semplicemente paragonò quel bentornato a quelli che di solito riceveva altrove.
Dom non chiedeva, Dom non metteva la lama nella piaga; Dom si rallegrava solo nel vederlo, Dom lo abbracciava anche se Matt sentiva di averlo in qualche modo tradito.

«Sì, posso?» chiese, una volta che Dom tornò al suo posto.

«Dipende... cos'è successo con lei?»

«Ci siamo ubriacati e abbiamo fatto l'amore.» Mentì, schivando gli occhi verdi che gli piombarono addosso. «Siamo stati benissimo, e non m'è importato nulla dei tuoi messaggi, non li ho neanc-»
Venne interrotto nel bel mezzo del teatrino da una mano di Dom che gli sigillò la bocca.

«Va bene così. Potresti anche averla sposata, non cambierebbe nulla. L'importante è che tu sia qui.»
Matt trattenne un urlo. Gli faceva male, malissimo quell'uomo. Quell'uomo, il suo migliore amico, era troppo per lui. Sentì di non meritare nemmeno il più insulso dei suoi insulti.

«Non è vero. Ho dormito per una settimana, e ora sono qui perché...» bofonchiò nonostante la mano premuta.

«Perché?» domandò Dom, piacevolmente sorpreso e interessato, liberandogli la bocca.

«Così, perché m'andava. E poi dobbiamo registrare.»
Dom sorrise. Matt era un genio del male e pensò di non aver desiderato mai così tanto di tirargli uno schiaffo.

«D'accordo. Oh, piove!» Disse, alzando lo sguardo verso il cielo.
Cominciavano a cadere piccole gocce, piccole, ma numerose.

Prima che Dom riabbassasse gli occhi, Matt gli afferrò il volto e lo baciò. Il biondo inizialmente non capì cosa doveva fare, poi, appena la lingua di Matt si fece spazio nella sua bocca, tutto fu chiaro. Lasciò cadere i guanti e gli gettò le braccia al collo. Rispose ai baci, così profondi ed esigenti, il solito buon modo per rimanere a corto di fiato -e di saliva.
Intanto il temporale si gonfiò e l'acqua iniziò ad infittirsi. Tuoni e lampi s'alternavano sopra le loro teste; urli rochi e bagliori, un susseguirsi di spettacoli della natura. Le gocce ormai erano una cascata. Provocavano un tale frastuono da annullare ogni altro rumore; costituirono un vero e proprio muro d'acqua.
Matt e Dom, comunque, non se ne curarono. Fradici continuavano a baciarsi, anzi, sempre con più passione; le mani del moro vagavano scivolose fra i capelli del biondo, il quale invece premeva i due corpi l'uno contro l'altro, incollati ormai sia per attrazione che per quella pioggia.
Si divisero solo per riprendere fiato e non morire annegati.
«Ma chi sei!» Esclamò Matt, ridendo per la bravura di Dom. Era un baciatore di prima classe, o quanto meno così gli sembrava ogni volta.

«Cosa? Non sento!» gridò Dom, che, per via di quel diluvio, faticava a percepire altri suoni da quelli dell'acqua.

«Niente, niente» affrettò Matt, cominciando a desiderare di rientrare. «Entriamo in casa?»

«Eh? Casa? Sì, vai! Recupero i miei attrezzi, salvo i fiori e arrivo.»
Matt annuì e corse dentro, mentre Dom andava in direzione opposta, ovvero verso le aiuole.


Matt si tolse tutti i vestiti grondanti. Prese una coperta dal divano in sala e ci si avvolse, battendo i denti. Poi notò il focolare acceso. Ci si avvicinò cauto, incantato dalle fiamme danzanti. Si sedette davanti e, attento a non bruciare la coperta, lo fissò a lungo, sentendo quel piacevole calore riscaldarlo piano piano.
Lo scricchiolio della legna ardente aveva una sua musicalità. Scoppiettava regolarmente in due punti, sotto due ciocchi massicci e difficile da bruciarsi completamente. Anche l'odore lo aggradava; gli ricordava casa sua, e il barbecue che suo padre usava cucinare alla domenica pomeriggio.
Sentì dei passi alle sue spalle. Leggeri si muovevano verso di lui sopra il morbido tappeto. Due secondi dopo, gli si sedette affianco Dominic. Indossava solo una maglietta, ancora bagnata, e un paio di boxer gocciolanti.
In mano aveva una bottiglia di vino rosso da poco stappata, ancora fumante. Lo guardò serenamente.
«Ti piace il fuoco?» chiese con la sua voce di miele.
Matt sorrise. Lanciò uno sguardo al fuoco, poi lo riposizionò su Dom.

«Molto. Che cos'hai lì?»

«Beaujolais nouveau.» Disse Dom, con una pronuncia deliziosamente perfetta.

«Oh, ha un bel nome.»

«Vuoi sentirne il sapore?»

«Sì, ma dove sono i bicchieri?»
Il fuoco divampò mentre Matt attendeva una risposta. Lo guardarono silenziosamente.

«Non servono.»
Dom ne bevve un sorso, reggendo la bottiglia per il collo. Assaporò il liquido rosso dal sapore fruttato con lentezza.

«Rilassati...» disse al moro, invitandolo a stendersi.

Matt appoggiò la schiena al tappeto, e, una volta disteso, attese in silenzio. Dom gli si avvicinò e, quando gli fu accanto, gli sussurrò all'orecchio destro di aprire la bocca.
Il chitarrista obbedì. Dom se ne versò un altro sorso e poi si abbassò, si abbassò per donarlo a Matt direttamente dalle sue labbra.
«Santé, mon trésor» bisbigliò, dopo averglielo fatto bere.
Matt deglutì e percepì il calore dell'alcol attaccarsi alle pareti dello stomaco. Si stavano forse addentrando in giochi troppo antichi e piacevoli per non essere altrettanto pericolosi? Fuoco, caldo, vino...e ancora l'odore di pioggia, poi sguardi, sussurri, labbra. Semplicemente: non importava, non più.

«Ancora, Dom, ancora e poi baciami...» sussurrò Matt, appoggiando una mano sulla nuca bionda dell'amico per avvicinarlo.
Dom ripeté il gesto infinite volte e intanto, intanto i bagliori rossi del fuoco giocavano sui loro volti incantati.

 


NDA: Ma quanto sono antipatica...sparisco per due settimane poi torno e vi lascio col fiato sospeso -o così mi auguro. Beh, è proprio la tecnica che fa per me :D Insomma, chi è curioso di sapere che succederà fra le fiamme e il vino? Io no .-. Guai a me se rovino tutto!

Annotazioni: nessuna per una volta.

Ringraziamenti:

Questa volta molto generici poiché sono di fretta. Direi i miei lettori di sempre: DyingAtheist (Paolè, la prima!), MuseLover(Peppa, ma quanto scrivi? Aww, io adorare te, vai così.), Dolcettina (La ricreduta <3), Valerika (Quella in astinenza), Aleale00 (Woby <3), Ermelynda (FEDE! Tu mi manchi un sacco.), MusicAddicted (Maestra, piacere mio :*), BJgirl (Bentornata!!!), DeathNotegintama (TU <3 Amowe, ti è piaciuto???), Barbydowney & Idiotsofsuburbia (e sento odore di Green Day!).

Michi, Ste, Ila e Moglie <3 voi non mi scappate.

Grazie anche a tutti i numewosi che hanno aggiunto e\o seguito.

E, stavo per scordarmene, Megalomania of mine, se leggi e non ti suicidi vedi di battere un colpo XD!

Cheers,

Musa.


Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Sedicesimo capitolo: Special Questions. ***


 

•SPECIAL NEEDS•

Everywhere everything you ever touched.
Cutting in won't do it. There's nothing to it.
I can't understand this at all.
I can't pronounce this at all.

[Hated because of great qualities, Blonde Redhead.]

 

 

Sedicesimo Capitolo: How did it come to be?

(2005.)
Il caminetto scoppiettava regolarmente davanti a loro, gettando qui e là luci rossastre ben intervallate da fasci d'ombra; profumava l'aria con quel tipico aroma di bruciato e il fumo grigio non s'addensava, bensì saliva placido attraverso la gola buia della cappa in mattoni. Dal giardino proveniva ancora il rumoroso scroscio del temporale, che probabilmente si sarebbe protratto nel tempo. Tutto era quel che si poteva dire l'inizio di una lunga notte invernale.

Dominic sentì di prender fuoco; un gran calore avvampava nel suo stomaco e un turbinio di fiamme gli risaliva per la gola, rimescolandosi poi in bocca fra il vino e la dolce saliva di Matthew. Lasciando da parte la bottiglia vuota, abbandonata sull'estremità del tappeto sopra cui erano distesi, si era soffermato a guardare l'amico, così inebriato dall'alcol da avere un'espressione quasi giuliva.
I baci scambiati erano stati a dir poco sensazionali; ogni volta un incontro agognato di labbra irruenti e arroventate, ma pur tremanti di trepida sorpresa. Gli occhi si chiudevano arrendevolmente, le mani erravano nei capelli e il respiro si faceva da parte, capendo di non essere più necessario.
Le posizioni si erano mantenute come all'inizio, vale a dire con Matthew sdraiato a pancia in su e Dominic stretto al suo fianco; fu proprio quando il biondo decise di muoversi che la situazione prese una svolta decisiva.
Il caldo era davvero tanto e anche la leggerezza nella testa. Ogni preoccupazione pareva solo un vuoto ricordo galleggiante in un passato troppo lontano, e tutto si sistemava tramite uno strano ordine di calma assoluta nella quale ogni divieto cadeva. Anche quello della libera iniziativa.

«Matthew,» ruggì a bassa voce Dom, rauco e instabile. «Sto per perdere il controllo.»
Spinse il volto ben modellato nel collo del chitarrista e ispirò a fondo il profumo della sua pelle.

«Dopo quasi quindici anni...» sussurrò il moro, inarcando la schiena per il piacere causatogli dalla lingua del batterista premuta contro il suo collo, «ma io non lo perderò, io...io no.»
Dom smise di leccargli la carne appena sotto l'orecchio e gli salì sopra con tutto il corpo.

«Abbiamo detto troppo e fatto troppo poco.» Disse il biondo, scoprendo il petto di Matt dalla coperta e iniziando a baciarne la riga degli addominali. Diciamo la riga dove di solito si trovano gli addominali, ma nel caso di Matt c'era solo una distesa di pelle morbida e piatta.

«Sì, ma è grazie a questo che...che...» faticò a terminare la frase perché l'amico aveva appena dato il suo primo bacio all'elastico dei boxer che rimanevano da ultima protezione per Matthew. «che ora il desiderio è tanto.»
Dom lanciò gli occhi verso quelli del compagno che ancora sperava di instaurare una conversazione sensata; li trovò lucidi, traboccanti di limpida bramosia.

«No!» Esclamò con un piccolo urletto Matt, quando Dom iniziò a rimuovergli le mutande. Con una mano gli bloccò la testa bionda.
Il batterista ebbe un moto d'impazienza. Si allontanò dall'obiettivo e, braccia incrociate, sedette lasciandosi cadere all'indietro.

Matt, vista la reazione, si morsicò la lingua. Non voleva; o voleva fin troppo? Non capiva, questo era certo. Non capiva se sprecare la loro prima volta fra il fuoco e l'alcol si sarebbe rivelato il modo giusto per sciogliersi, oppure rimandare un'altra volta sarebbe stata la scelta più saggia. Nel dubbio, però, aumentava la sporgenza fra le sue gambe. E questo sicuramente non era sfuggito agli occhi attenti di Dom, il quale, sentendosi rifiutato ancora, provò la voglia di andarsene e chiudere definitivamente quel rapporto infantile che pretendeva di saziare i suoi desideri da uomo con giochetti da adolescenti.
Dom aveva deciso di far sempre scegliere a Matt. Ma per la prima volta si chiese se fosse stato un bene, se, forse, forzarlo e ottenere ciò che più bramava al mondo con un pizzico di prepotenza (quella di cui d'altronde aveva sempre fatto uso lo stesso Matt, anche se in modi diversi) e forza bruta non sarebbe stato infine giusto.
Guardò il sensuale compagno sdraiato e vittima delle sue strane complicazioni intellettuali; cercò di esorcizzare l'esigente istinto di averlo, ma si sentì talmente ridicolo e impotente contro ciò che voleva il suo corpo -e la sua mente, perché il problema era tutto rinchiuso in quella scatola cranica- che si arrese ancor prima di cominciare. No, non gli avrebbe mai fatto violenza.

«Quindi?» Sbottò istericamente.
Matt sussultò. Era come se avvertisse l'inesorabile scorrere del tempo, ma non ci stesse dentro e quindi perdesse pezzo per pezzo l'essenza, la vita, il presente. Dom, alla fine dei conti.

«Non lo so Dom, non...io voglio che sia speciale, ora come ora mi gira la testa, ci vedo triplo...mi sento rincoglionito.» Ammise infine, dando per una volta tanto la precedenza alla verità.

«Però! Non pensavo bastasse del vino.» Commentò acido il biondo, mentre il fuoco gli cuoceva la schiena. Bruciava di più il cuore, ecco perché assorbiva impassibile il calore eccessivo.

«Non c'è stato solo il vino, lo sai.»
Dom annuì con fare frettoloso; si era visibilmente stufato di starsene con le mani in mano davanti alla persona che amava e che poteva avere solo a piccoli assaggi in sporadiche occasioni fortunate, quindi decise di andare a farsi una doccia fredda.

«Giusto, che sciocco! Beh, conosci la casa, io vado di sopra.» Concluse amareggiato, alzandosi in piedi non senza vacillare.
Matt si batté una mano sulla fronte appena Dom si allontanò. Aveva distrutto tutto un'altra volta e se non erano bastati neppure vino, fuoco e baci per farlo scongelare...si chiese cosa mai ci sarebbe voluto e se mai sarebbe avvenuto.
Si rotolò di lato e affondò il volto rosso nel tappeto, sperando di venir lentamente assorbito dal morbido intreccio di fili.
A occhi chiusi, vedeva ancora Dom. L'unica differenza era che nella sua immaginazione poteva scegliere lui come muoverlo; e quasi sempre lo muoveva come un despota che si prendeva quello che voleva perché sapeva che altrimenti non ci sarebbe stato nulla da fare. Lo tingeva di aggressività; storpiava la sua naturale grazia per ottenere un atteggiamento più virile. Non sapeva che in fondo a quei sogni si nascondeva la mancanza ancestrale della figura paterna, che forse solo Dom e i suoi caldi abbracci avrebbero potuto tamponare.


Cercò istintivamente qualcosa con cui coprirsi. A occhi chiusi allungò una mano nel vuoto, credendo di pescare una coperta da qualche parte nel letto. Solo dopo ripetuti tentativi andati male, Dominic aprì gli occhi riposati da qualche ora di sonno agitato, ma sempre sonno, e scoprì il motivo di quell'improvviso gelo. L'oblò sopra di lui, l'unica finestra della camera da letto, era aperto.
Cadevano fiocchi minuti, scaglie di ghiaccio dal cielo bianco; tutti si depositavano in testa alla persona seduta al centro del letto. Matthew, dal capo imbiancato di neve. Matthew, una sorta di visione angelica. Matthew, occhi chiusi e sorriso sulle labbra fini.
Dom si mise immediatamente seduto. L'amico, in ginocchio e raccolto in una specie di meditazione, taceva sotto la pioggia di piume gelate. Il biondo si chiese come avesse fatto ad aprire la finestra e sedersi sul letto senza svegliarlo prima; evidentemente aveva un passo più leggero e delicato di quanto potesse sembrare.
Matthew indossava ancora una volta solo i boxer. E Dom si chiese cosa stesse tentando di fare, se un'ibernazione o la levitazione. Nessuna donna con cui aveva dormito prima lo aveva mai svegliato in quel modo. Ma non ci sarebbe nulla di nuovo nel ribadire quanto ogni stranezza del chitarrista fosse paradossalmente amabile.

«Matt?» chiese sottovoce.
Matt socchiuse gli occhi, occhi di un blu oltremare.

«Shhh.» Lo zittì, mentre un fiocco gli si posava proprio sulla punta del naso.
Dom si sentì a disagio. Anche a lui piaceva la neve, ma non capiva il motivo razionale per cui ostinarsi a ricoprirsene.

Fu allora che capì che la profondità dell'amore va messa alla prova in questi momenti di grande incomprensione. Una qualsiasi donna se ne sarebbe andata, infreddolita, stranita; Dom invece avrebbe seguito la follia di Matt fosse anche l'ultima cosa che avrebbe fatto prima di morire.
Gli si avvicinò gattonando solo sulle ginocchia. Entrò nel cono di luce bianca. Lanciò uno sguardo veloce verso gli alti spazi siderali. Solo quando gli fu esattamente davanti lo fissò nel fondo di quelle due perle blu; poi la neve cominciò a cadere anche sotto di lui e sentì pesanti le palpebre.
Dom abbassò il capo fino ad abbandonarlo nel grembo di Matt; con le braccia gli cinse la vita, somigliando tanto ad un bambino che piange sulle ginocchia della madre. Matt appoggiò ambe le mani nei riccioli biondi dell'amico e lasciò cadere la testa all'indietro, così che la neve potesse posarglisi direttamente sul viso.

Stettero immobili così per molti minuti; non un rumore, non uno se non quello dei loro lenti respiri. Anche il freddo si rese sopportabile. Un pianto sarebbe stato liberatorio. Ma Matt sapeva che ormai era un lusso che non poteva più permettersi; Dom invece con solo con una piccola, sbagliata lacrima bagnò le gambe dell'amico. Quello sgorbio della natura colò fra le cosce del moro e si perse fra le lenzuola, ormai bagnate per lo strato di neve depositatosi.
Scorreva il solito flusso di pensieri e sensazioni da un corpo all'altro; tuttavia un nuovo candore arrotondava gli spigoli di ogni riflessione, smussava le colline dove s'arenavano incompresi, colmava i fossi da saltare a occhi bendati. Non serviva altro che il gelido contatto delle due pelli per porre rimedio alla tragedia del loro amore che silenziosamente constatavano fermi e fieri come statue di gesso.
Solo quando Dom si sentì troppo intirizzito cercò di muoversi, ritrovandosi ogni singolo muscolo paralizzato; le labbra di Matt erano scure ormai, bluastre rispetto alla pelle trasparente. Il biondo rabbrividì violentemente per scrollarsi di dosso parte dell'assideramento. Poi spinse se stesso e Matt via da quella pioggia di ghiaccio, cadendo dal bordo dal letto a terra.

«Vieni con me,» disse al moro, sforzandosi per mettersi su due piedi, «devi recuperare calore.»

Sorreggendosi l'un l'altro, entrarono in bagno. Dom aprì il rubinetto della vasca da bagno e acqua vaporosa cominciò a scendere copiosamente. Matt, aggrappato al bordo, guardava dentro desideroso di scaldarsi, d'interrompere l'invincibile masochismo che lo portava a corteggiare le cose più pericolose del mondo. Il biondo lo aiutò a sdraiarsi nell'acqua che ormai aveva raggiunto il limite consentito dalla vasca; solo una volta immerso, il moro si rimosse i boxer e li passò all'amico che li appoggiò su di un mobile lì affianco. Riprese colore e si abbracciò da solo mentre godeva di quel caldo meraviglioso su tutto il corpo.
Dom provò il desiderio di entrare anche lui, di aiutare l'acqua a scaldare quell'uomo tremante; ci pensò su qualche secondo, poi preferì cambiare bagno e farsi una doccia bollente. Con lentezza e a malincuore se ne andò, mentre l'unico gesto, non visto, che Matt compiva per ringraziarlo fu un malinconico sorriso prima di immergere anche la testa nell'acqua e nascondersi completamente.



«Mi serve un pianoforte.» Disse Matt, entrando nella sala dove Dom leggeva alla luce di una lampada lunga dalla base di pietra.
Il pianista indossava una camicia fresca e bianca con sotto un paio di blue-jeans attillati; aveva i capelli phonati in un liscio ciuffo ebano e si muoveva in modo particolarmente elegante.

«E dove intendi trovarlo?» Chiese il batterista, dopo aver squadrato velocemente l'amico e poi aver riposizionato gli occhi sul libro.

«Non lo so. Per questo ti domando di accompagnarmi agli studi che avevi in mente.» Continuò il moro, dirigendosi nella cucina open-space.
Estrasse dal frigo del succo e se ne versò un bicchiere. Prelevò due biscotti da un contenitore rotondo e li mangiò velocemente.

«Ma sto leggendo.» Protestò Dom, sfogliando una pagina per dedicarsi a quella successiva.
Matt bevve il succo e ripose il bicchiere usato nella lavastoviglie. Poi si tamponò la bocca con un tovagliolino e sbuffò.

«E un libro ha la precedenza su di me?»
Il biondo lanciò il libro sul tavolo davanti al divano dove era sdraiato e saltò in piedi.

«Non ce l'ha, ma non devi sempre arrivare ai ricatti per ottenere le cose da me, Matt.»
Dom si gettò il giubbotto di pelle sulle spalle, afferrò le chiavi di casa e uscì, lasciando che Matt si sbrigasse per corrergli dietro.


La neve aveva smesso di scendere. Il cielo era quasi totalmente bruno, ma pennellate grigiastre lo percorrevano ancora in lungo e in largo. Il paesaggio era lunare, oltre che scivoloso e luccicante. Presto sarebbero apparse le stelle, e il gelo avrebbe indurito anche gli strati più teneri di neve.
Matt raggiunse trafelato l'amico e, una volta al suo fianco, gli tirò una spallata.

«Aspettarmi?» disse isterico dopo.

«Farmi finire di leggere la pagina?» rispose a tono Dom, mani in tasca e passo sicuro.

«Tu che leggi sei credibile quanto io che vado a messa.»
Il biondo alzò gli occhi al cielo e fece spallucce. Si sorprese di trovare le strade così deserte. Di solito incontrava i vicini, o qualcuno di familiare ormai.

«Dom, finiscila o me ne torno in Italia.» Matt sapeva di giocare sporco; era più forte di lui, era l'unico modo per non mettergli le mani addosso -e non in senso amichevole.

«Là c'è l'aeroporto.» Rispose senza squilibrarsi Dom, calciando un mucchietto di neve che gli ostacolò il passo.

«Dom!» strillò Matt, impuntandosi come solo lui sapeva fare. Piantò i piedi per terra e decise di non muoversi di lì senza prima aver ricevuto le giuste scuse.

«Sì?» chiese il biondo, ma continuò a camminare spedito.

«Dom! Torna qui, stupido!» gridò Matt, indicando rabbioso il posto in cui stava.
Il batterista non fece una piega; proseguì imperterrito il suo percorso verso gli studi, pensando con un ghigno soddisfatto che, forse, per una volta sarebbe stato Matt ad inseguirlo.

Matt si guardò attorno impaurito. Non conosceva il posto, si faceva sempre più buio e ogni strada era uguale all'altra. Si abbassò; appallottolò una manciata di neve e la scagliò con un tiro preciso contro la schiena di Dom.
Appena la palla si spiattellò sul giubbotto, il biondo si bloccò. Matt sorrise compiaciuto del suo colpo di genio. Dom si girò al rallentatore. Guardò storto l'amico e gridò:

«Prego?»
Matt ridacchiò, mostrando quel simpatico dentino storto sul davanti. Ripeté il gesto, ma questa volta mirò alla faccia del batterista. Mentre la neve gli colava ai lati del volto, Dom ispirò profondamente, somigliando ad un leone che si preparava per l'attacco.

«Ti è piaciuto? Se vieni qua ti faccio il tris!» Esclamò Matt, raggruppando con foga altra neve ai suoi piedi.

Dom si infilò un paio di guanti di pelle nera e cominciò a camminare in direzione di Matthew; ad ogni passo distruggeva lastre di ghiaccio o schiacciava piccole collinette di neve compressa. Il chitarrista stava per rialzarsi e tirargli la terza, quando venne investito da un tale proiettile che cadde all'indietro. Dom, fulmineo, gli aveva colpito la fronte in modo talmente perfetto che avrebbe potuto stordirlo a vita.

«Dom, cazzo!» gridò Matt, una volta a terra e con i giramenti di testa.
Dom scoppiò a ridere e corse in suo soccorso; aveva davvero fatto il macho, per una volta nella vita.

«Matt, scusa, ho calibrato male la mia forza sovrumana!» Disse, soffocandosi dalle risate e cercando di contenersi vista l'espressione di dolore sul volto di Matthew.

«Sei scemo, c'è un limite a tutto! Qua mi spunterà un bernoccolo, vedrai.» Commentò nevrotico, massaggiandosi il punto dolente.

Dom si chinò per controllare la situazione. E non lo avesse mai fatto; Matt ne approfittò per chiudergli le mani attorno al collo e buttarlo di lato, ovvero in un mucchio di neve spalata. Dom affondò fino alle orecchie e arrancò come un gatto gettato in una piscina. Appena riuscì a riprendere in mano la situazione, si gettò fuori da quella prigione gelida e tossì, poiché ne aveva inghiottito una parte.
Matt si rialzò e gli si avvicinò, dandogli una pacca sulle spalle, come per aiutarlo a svuotarsi meglio. Il biondo lo guardò con uno sguardo lacerante. Era stato per l'ennesima volta raggirato da quell'uomo che ora gli avrebbe chiesto delle scuse per un errore che non era suo.

E invece Matt lo sorprese.
«Dom,» disse, «mi è passata l'ispirazione. C'è un ristorante?»

Il biondo si schiarì la voce e poi si raddrizzò.
«Ti piace il cibo francese?»

Matt scrollò le spalle.
«Non lo conosco. Tu dici che mi piace?»

«Io dico di sì. Seguimi, ma questa volta stai al passo!»
Matt sorrise e gli prese una mano.

«C'è solo un modo per tenermi al tuo fianco.» E guardò le loro mani strette.
Dom sbatté gli occhi incredulo.

«Vuoi andare in giro...mano nella mano?» aveva il fiato corto dall'emozione.

«No, volevo solo illuderti un altro po'.» Concluse con un sorriso stravolgente che era tutto un programma. Sciolse la stretta.
Dom si morsicò il labbro inferiore e cercò di contenere l'istinto di tirarli una sberla.

«Allora andiamo e poche storie» disse, cominciando ad avviarsi.

«Dom, io non sarò mai il tuo fidanzato, tienilo a mente.» Sussurrò Matt, camminandogli affianco.

«Ma non lo sarai mai di nessun'altra persona, allora.»
Questo a Matt sembrò un ottimo compromesso. Si sorrisero complici e decisero di camminare godendosi il silenzio di quella momentanea pace finalmente raggiunta. Anche perché il cielo si era bucato di stelle e sarebbe stato un vero peccato disturbarle con inutili giri di parole.


Il telefono di Matt squillò in contemporanea con quello di Dom, una volta che sedettero attorno ad un tavolo all'interno di un ristorante piccolo, ma con la giusta atmosfera.
«Mia madre» disse Dom, prima di rispondere.
«Chris» disse Matt, accettando la chiamata e premendo il tasto di risposta.

Dom chiacchierò con la madre di questioni familiari; la donna non stava male, ma ora che anche la sorella si era decisa ad andarsene di casa per trovarsi un posto col fidanzato, le era venuta un po' di malinconia e aveva ripensato a Bill. Le promise che sarebbe andato a farle visita presto e le disse di essere con Matt a Nizza. Lei rimase un po' sorpresa; il suo sogno era sempre stato quello di vedere i figli ben accasati e felicemente sposati. Visto che la ragazza forse stava per farcela, gli domandò come mai lui fosse ancora a bighellonare col suo amico dell'adolescenza. Lui non conosceva parole giuste per spiegarle che non si sarebbe mai sposato, mai perché il suo cuore apparteneva irrimediabilmente alla persona sbagliata; sì, proprio a quell'affascinante e pur goffo amico dell'adolescenza. Così optò per un classico:
«Dài, mamma, non si fanno queste domande.», ma dietro quel "non si fanno", si nascondeva tanto desiderio di chiederle il perché ci si innamora, e perché spesso è un amore impossibile e troppo bello per durare o per iniziare.

Matt invece con Chris decise che si sarebbero presto rimessi al lavoro; l'uomo non commentò la sua scelta di stare con Dom piuttosto che con Gaia, ma lo pregò di darsi da fare, perché erano fermi da molto tempo ormai e i produttori s'interrogavano sul futuro della band sempre più spesso. Anche il pubblico esigeva la sua parte. Matt gli chiese dei figli, della famiglia. Fu felice di sapere che tutto andava bene, ma soffocò l'istinto di dirgli: «T'invidio per la tua normalità, amico mio.»...istinto che era dovuto alla consapevolezza che lui mai avrebbe visto né una moglie né un figlio nella sua vita.

«Tutto a posto?» chiese Matt, come terminarono le telefonate.

«Sì, solo una mamma un po' abbandonata.» Disse Dom, aprendo il menù.

«Cerca di andare a trovarla, magari mentre compongo in questi giorni. Chris ci ricorda che siamo fermi da un po'.»

«D'accordo, vedremo. Ora dài un'occhiata, e dimmi se non ti sembrano invitanti queste delizie.»
Matt si sporse verso di Dom e cominciò a scorrere le pietanze curioso. Sarebbe stata una piacevole cena fra amici, cercò di prometterlo a se stesso prima di scegliere quella cosa strana chiamata: "Escargot au citron", che scoprì solo sotto il divertito sguardo di Dom essere delle lumache. A stento non vomitò.



All'uscita Matt non riuscì più a placare il bisogno di suonare. Prese Dom per il braccio e lo guardò implorante.
«Dom, portami dove c'è un pianoforte.»

Dom fece mente locale e pensò che raggiungere a piedi e di notte lo Chateau Miraval non sarebbe stato fattibile. Così disse:
«Matt, ora chiamiamo un taxi e andiamo negli studi. Okay?»
Matt annuì visibilmente rallegrato e si soffiò nelle mani per riscaldarsele.

Durante il tragitto Matt vedeva uno spartito immaginario riempirsi di note; il suo orecchio assoluto aveva sempre funzionato alla grande, e presto avrebbe potuto testare la consistenza reale delle sue intuizioni. Dom invece fissava il passaggio che scorreva oltre il finestrino; quante cose avrebbero potuto fare, lui e lui in quella notte tutta da vivere. Al pensiero di vederlo mentre componeva, gli si riempiva lo stomaco di farfalle. Era sempre un'esperienza unica e inimitabile, un privilegio che sapeva essere stato solo suo. Matt poteva anche suonare davanti a stadi colmi di persone, sorridere a centinaia di ragazze e farsene decine; ma Dom sapeva che oltre la confezione, oltre la superficie, il cuore di quell'uomo gli apparteneva, e non ci sarebbe stata donna o chitarra che avrebbe potuto competere.

Lo Chateau Miraval si presentava come un grande insieme di costruzioni di stile antico disseminate in una campagna congelata; si sarebbe detta l'abitazione di qualche ricco signore, a prima vista.
Scesi dall'automobile, Dom lo condusse attraverso un giardino di cui aveva la chiave. Evidentemente si era già ben informato. Attorno si estendeva un grande prato misto a boscaglia, e Matt si chiese se per caso ci fosse anche un lago.
Arrivati davanti ad una porta, il biondo l'aprì con un'altra chiave dello stesso mazzo che aveva preso prima di uscire da casa, ed entrò, subito seguito dal pianista infreddolito.

Prima di poter avanzare ancora, Dom, probabilmente sotto influenza di Matt, ebbe un autentico colpo di genio che lo fece arrestare di colpo.
«Aspetta!» Esclamò, voltandosi verso Matthew. «Puoi aspettarmi qui per...una decina di minuti?»

Matt corrugò la fronte. Faceva freddo e c'era un buio umido che non gli piaceva per niente in quella stanza. Tuttavia annuì, curioso di scoprire cosa mai stesse progettando l'amico.
«Grazie.» Disse Dom, prima di sparire su per una scala ripida.


Al piano superiore, c'era la stanza con il pianoforte. Oltre quello, delle stufette azionabili a mano, un Futon bianco e qualche cianfrusaglia; tutta roba portata lì da Dom quando aveva deciso di prenotare quell'ala dello Chateau. Lo aveva fatto in previsione di portarci Matt, prima o poi. E, conoscendo l'esigenze dell'amico, ovvero caldo e posti in cui riposarsi, aveva fatto in modo che non mancasse nulla.
Però, la trovata era un'altra.
Se avessero acceso le luci, probabilmente da fuori si sarebbe visto. Non era da escludere che qualcuno avrebbe poi rovinato tutto chiedendo chi ci fosse, magari i proprietari del resto del complesso. Così, Dom andò in cerca delle candele che aveva portato lì quando gli dissero che, essendo un luogo fuori portata, non erano da escludere blackout improvvisi.
Ne trovò una decina. Erano piuttosto piccole ma tozze e aromatizzate. Pescò dalla tasca del giubbotto l'accendino con cui in casi d'emergenza si accendeva una buona sigaretta. Le accese una per una e poi, con logica, le dispose in modo da creare una luce tenue, ma soffusa per tutta la stanza.
Si vedeva bene il pianoforte, il futon e la grande vetrata che dava sul giardino. Accese due stufette poste alle estremità della camera, sperando che facessero bene e in fretta il loro essenziale lavoro, e poi si assicurò che fosse tutto in ordine.
Sorridente, scese le scale due scalini per volta.

«Matt?» domandò appena atterrò al primo piano.
Matt fu felice di sentire la sua voce.

«Finalmente!» Esclamò, vedendolo subito poiché ormai gli occhi si erano abituati all'oscurità e le pupille dilatate.

«Ti spiacerebbe chiudere gli occhi?» chiese Dom, che voleva condurlo fino nella stanza del pianoforte senza che vedesse altro.
Matt chiuse gli occhi e, mentre Dom lo teneva per entrambe le mani, lo condusse al piano superiore.



Il cuore di Matt perse un battito. Un battito eternamente perduto non appena le palpebre permisero agli occhi di vedere quello che voi sapete già, ma che commosse fino in fondo all'anima quel ragazzo, i cui occhi si velarono di muto stupore. L'aria si stava lentamente riscaldando, e la dolce luce delle candele aiutava a trasmettere l'impressione di caldo, protezione e segretezza, tutto ciò di cui aveva bisogno il pianista.
Si mosse solo chiamato dal vero amore nei confronti del suo strumento preferito. Era della sua marca preferita, Kawai, ma non fu il primo dettaglio che lo deliziò; era nero, a coda, lucido e sistemato al centro, proprio come se fosse la cosa più importante che potesse esistere. Gli si avvicinò con cautela, cercando di contenere la fremente smania di suonarlo. Sembrava un amante che concedeva l'ultimo secondo di libertà alla persona amata.
Dom si fece da parte, lasciò che l'amico si accomodasse dietro lo strumento adorato e potesse scoprirne i bianchi tasti in totale pace. Matt non aveva notato né il futon né il resto; per lui ora c'era solo la musica, lei, il vero motore pulsante della sua intera vita.

Dom si tolse la giacca; si sdraiò sopra il soffice piumone del futon, e attese, guardando le spalle di Matt curve sulla tastiera.
Matt gli lanciò un'occhiata eloquente; stava per suonare qualcosa che li riguardava, ma gli occorreva ancora qualche minuto per riordinare le note. Si rigirò e, ispirando a fondo, posò l'indice sul Sol.

Sol, Sol diesis, Sol, Sol, Sol...Sol, Sol diesis, Re diesis, Sol diesis e altre note si diffusero nell'aria immobile.
Matt aprì la bocca.

«Come into my life...» cantò d'un tratto, «...Regress into a dream...We will hide...Built a new reality...»
A Dom mancò il respiro. Quelle parole, quelle note...quell'uomo. No, non poteva essere nulla di umano tutto quello! Capì subito di stare per ascoltare una delle più belle canzoni che avesse mai composto Matthew e l'emozione gli tolse la facoltà di formulare altri pensieri.

«Draw another picture...of the life you could've had...Follow your instincts...And choose the other path.»
Giunto a questo punto, si fermò, rendendosi conto che quello che stava cantando era semplicemente il riassunto della sua relazione con Dominic.

Matt si girò di colpo e vide il suo migliore amico così, con i capelli leggermente scompigliati, il corpo rilassato, lo sguardo assente, e sdraiato su quel bianco Futon a guardarlo ammutolito...non se ne sentì mai tanto attratto.
Decise che quello sarebbe stato il momento. Nulla, neppure le sue eterne paure gli avrebbero fatto cambiare idea. Non questa volta. La prima, la definitiva, forse l'ultima? Non importava, non più, non ora.
Tornò a guardare il pianoforte. Si chinò per baciarlo, poi, senza perdere altro tempo, si diresse a passo sicuro verso la persona alle sue spalle.

Dom capì immediatamente le intenzioni di Matt, gliele lesse nello sguardo intenso, possessivo, penetrante da cui venne investito non appena il pianista fu ai piedi del letto. Il moro lasciò cadere per terra la giacca che portava sopra la camicia; quell'inutile oggetto provocò un piccolo tonfo contro il parquet del pavimento e poi venne dimenticato.
Dom avrebbe voluto chiedergli se fosse davvero convinto, se sapesse esattamente a cosa andavano incontro, se quello fosse davvero il più grande desiderio da avverare insieme; se fosse a conoscenza delle conseguenze, del male e del bene di tutto quell'amore che c'era fra loro. Ma rimase in silenzio, ogni pensiero moriva con dolcezza sulla punta della lingua.

Matt cominciò a sbottonarsi la camicia, e ad ogni suo bottone che veniva allontanato dall'asola corrispondeva uno di Dom che aveva cominciato a far la stessa cosa con la sua camicia nera.
Matt, inginocchiandosi a petto nudo sul futon, ebbe solo un ultima frase a cui dare voce nella sua mente: "How did it come to be?". Ma non le avrebbe più dato ascolto; né a lei, né ai ricordi delle altre persone della sua vita che lo avrebbero potuto fermare, rimproverare, criticare.

Dom gli si avvicinò. Quando accostò il pettorale sinistro al suo, allora entrambi avvertirono il battito cardiaco dell'altro. I loro occhi decisero di affidarsi gli uni degli altri, di affidarsi definitivamente. Le dita di Matt s'incrociarono dietro la testa di Dom e fu in quell'attimo, proprio in quell'attimo, che si sentirono finalmente nel giusto e quindi questa volta sarebbe davvero avvenuto, nella speranza di non perdere nulla nel concretizzare e donare maturità, corpo e significato fisico all'amore, questa volta sì.

 

 

NDA: capitolo breve, ma fondamentale. Penso che il prossimo sarà il più importante di tutta la storia. Scusate il ritardo. Tepus fugit; e io fuggo con lui, per questo non riesco a ringraziarvi one by one. Perdonatemi, ma sappiate che ogni lettore mi è caro quanto indispensabile. 

Grazie, grazie infinite a chi si prende la briga di recensire. Siete tutte delle critiche troppo buone con me. :*

Annotazioni:

-Non so se Hoodoo fu già ideata all'inizio del 2005;

-Per lo Chateau: a me pare che ci andarono d'estate tutti e tre. Ho scelto di modifiare la storia, perché alla fine sappiamo che non ci diranno mai la verità, perciò potrebbe anche essere andata così...

Cheers, my beloved. <3

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Diciassettesimo capitolo: Special Eternity. ***


•SPECIAL NEEDS•

"Ed eccomi perduto
in infinito delle notti."

[Giuseppe Ungaretti.]

 


 

Diciassettesimo Capitolo: Eternally Missed.
 

(2005)
La neve non era mai caduta così. A pensarci bene, quella poteva benissimo essere una pioggia di piume o il pianto congelato di qualche creatura celeste; tuttavia la situazione non permetteva di soffermarsi a riflettere, perciò bisognava accontentarsi di chiamarla neve.
I fiocchi non cadevano, essi danzavano letteralmente nell'aria immobile e imbiancavano la notte, già vagamente schiarita da un pallido spicchio lunare incastonato nel cielo petrolio; il freddo s'adagiava sulla natura e l'irrigidiva come un dolore atavico nella schiena. Intanto la nebbia svaniva, poi tornava, poi svaniva, poi ritornava, così, irregolare a confondere le linee storte del mondo addormentato.
Non esistevano più confini, più certezze, più logiche realtà; solo una manciata di stelle, e qualche inafferrabile sussurro affidato all'inodore alito del vento notturno.

Dominic, seduto al centro del bianco futon, lasciò che il suo sguardo spaventato errasse dalle candele tremolanti sparse tutt'attorno, alle vetrate lucide che s'affacciavano sulla natura circostante; voleva accertarsi che fosse vero, voleva che un dettaglio gli provasse di non sognare, ma di essere davvero arrivato al punto di non ritorno oltre il quale ci sarebbero stati solo lui e Matt, solo Matt e lui per la prima volta.
Matt, sedutogli di fronte e sulle sue cosce, gli carezzò la guancia col dorso della mano sinistra, prima di richiamare la sua attenzione con un soffio sul collo e assorbirlo nei grandi occhi cerulei.
Dom li fissò, sperando inutilmente di non affogarci come invece accadde; pensò che fossero più che semplici organi da vista, bensì la finestra da cui gli si palesasse l'animo di Matt in tutti i suoi più reconditi segreti, in tutte le sue più minute pieghe di complicata vita interiore.

Risuonava ancora debole un morituro eco di nota, quando Matt parlò; sottile la sua voce disse:
«Ti fidi di me?»  e Dom, posto davanti a questa domanda semplice, ma non facile, rispose:
«Sì» perché era sincero, ma non impavido.
Matt smise di accarezzargli la guancia, e, ribaltando la mano, fece scivolare il palmo fino alla spalla sinistra di Dom, calcando sulla sua rotonda perfezione fino a tastarne l'osso poco più sotto della pelle.
Si domandò mentalmente quale fosse la ragione per cui l'essere umano fosse tanto razionale eppure così suscettibile alla carne, al calore e al profumo che essa emana; non si dovrebbe forse esserne distaccati e aver raggiunto la suprema indifferenza? Dopo più di quattromila anni di sviluppo poi, a maggior ragione...
«Dom, ti fidi di me?» chiese una seconda volta, accostando le labbra all'orecchio dell'amico fino a sfiorarne il lobo.
«Sì» disse prontamente Dom, sentendo scorrere dentro fiumi di fiducia nei confronti di Matthew.
Accumulata con anni, guadagnata con fatica, quella cieca e incondizionata fiducia; nulla al mondo avrebbe distrutto il sentimento leale e di pura fedeltà, complicità, reciprocità che teneva stretti i loro cuori verso un unico destino, tragico o felice che fosse.

«Dominic, ti fidi di me?» domandò per l'ultima volta Matt, alzando il tono della voce, quasi a ribadire l'importanza di quelle parole tramite le quali si sarebbe stabilito il loro definitivo giuramento -oltre che le sorti della loro relazione.
«Sì, io mi fido di te, Matthew.»
Il biondo, pronunciata l'ultima lettera del nome del suo migliore amico, posò con la massima cautela possibile le labbra sulle sue, visto che la testa del moro era così gentilmente appoggiata sulla sua spalla e rivolta verso di lui da risultare irresistibilmente bella.

Le luci intermittenti delle candele presto li avrebbero abbandonati; stava a cuore ad entrambi la vista, non perché non si conoscessero già nella più completa nudità, ma perché quello doveva essere un momento impresso a fuoco nella memoria, qualcosa di sempiterno fra i ricordi sbiaditi di una vita vissuta insieme.
Perciò Matthew si tolse subito le scarpe, facendole scivolare giù dalle coperte. E questo fece anche Dom, rimanendo con i piedi coperti solo da un paio di bianchi calzini di lana.
Poi il pianista si sentì gettato nel panico; non sapeva come procedere, e lanciò tutto il suo terrore negli occhi di Dom con uno sguardo convulso. Fortunatamente, quell'infantile e inutile paura venne calmata dalla sicurezza che incontrò negli occhi verdi. Dom chiuse le braccia attorno al busto di Matt, e, lentamente, si sdraiò, trascinandolo giù con sé.

Accade che, nei momenti in cui l'uomo compie un'azione in grado di elevarlo spiritualmente, l'universale patrimonio culturale diventa accessibile quasi in modo involontario; circa questo avvenne, nonostante la forma d'arte che si accingevano a compiere non fosse delle più nobili, quando Matthew ormai disteso interamente sopra Dominic ebbe delle reminiscenze risalenti al suo lontano vissuto da studente, che lo portarono a sussurrare:
«Se proprio devi amarmi, non sia per altro che per amore dell'amore. E che cresca in te un'eternità d'amore!», versi di Browning, versi che come una nenia materna cullarono Dominic nel regno del Caos.
Il biondo, frastornato da questa retorica, naufragò per qualche secondo prima di approdare alla consapevolezza che quelle parole erano solo una dichiarazione mascherata, abbellita d'amore, nulla di più naturale che amore, quello cioè che provava anche lui per Matthew da quando era riuscito a dare un senso a quei sentimenti travolgenti che la sola sua vista provocava ormai da anni.
Matt sorrise, e Dom fu certo che quella sopra di lui fosse la creatura più bella e preziosa che l'universo avesse mai plasmato, plasmato con vento e argento. Baciò quelle labbra delicate, non senza temere di romperle; poi contenne a fatica la commozione e frugò nei meandri più tortuosi del suo cervello le parole giuste da dire.
Non trovandole, «Fa piano» fu tutto ciò che proferì la sua bocca, scandendo lettera per lettera, come se per l'emozione fosse venuta meno la conoscenza della lingua, oltre che la creatività e l'eloquenza.
Matthew annuì contrito, e promise a se stesso che avrebbe obbedito, fosse stata anche l'ultima cosa che avrebbe fatto, giacché la doveva a Dominic, doveva quell'obbedienza a Dominic da sempre, dal suo primo sguardo di resa a Teignmouth a quella sua ultima remissività nel letto.
Il padrone dispotico che diventa tenera vittima del suo schiavo affezionato: Sindrome di Stoccolma e ribaltamento dei ruoli, tutto ciò che si potrebbe studiare per anni senza ricavarne la benché minima razionalità.

Ogni aiuto terreno li abbandonò: il respiro e i battiti cardiaci regolari, la forza di gravità, la luce perfino. Rimaneva solo da aggrapparsi ai sentimenti per non volare via, ovviamente nella speranza che almeno loro osassero accompagnarli durante quel viaggio all'ignoto.
Gli occhi zaffiro di Matthew carezzarono i lineamenti del volto di Dominic per poi scendere sul petto glabro, infine fermarsi attorno all'ombelico. Dom, con un brivido di gioa, capì cosa significasse quello sguardo, e lasciò che Matt appoggiasse la fronte sulla sua per sostenersi, mentre con le mani gli sbottonava i jeans, invitandolo implicitamente a fare lo stesso.
Il rumore metallico della zip creò un varco d'imbarazzo. Entrambi arrossirono, ma nessuno lo notò grazie alla semi-oscurità circostante.
L'azione più vergognosa fu sicuramente quella di abbassarsi i pantaloni e poi sfilarseli; era scomodo, era casinista, era disagevole.

Quando a dividerli rimase solo il tessuto elastico dei boxer arrivarono le reali difficoltà. Come per un nuotatore gli ultimi 100 metri dalla vittoria sono i più faticosi, quelli dove è più facile arrendersi e lasciarsi affogare nella sconfitta, per loro i boxer costituivano un dilemma. Perché? Perché la totale nudità avrebbe ufficialmente dato il via. E troppe contraddizioni, paure, rimostranze e centinaia di altre complicazioni lottavano nelle loro anime per correre con coraggio a quel tanto atteso via e oltrepassarlo senza esitazioni.
La verità è che nella vita si è fondamentalmente soli, e quest'incontro invece avrebbe sconfitto la solitudine: Matthew e Dominic avrebbero retto l'impatto, rotto definitivamente il muro?
Il moro ansimò tormentato, il biondo ebbe un sussulto per l'agitazione crescente. Ancora un passo, un passo soltanto...

«Sento di amarti.» Disse Matthew. Da dove quell'improvvisa certezza nascesse, no, questo non lo sapeva nel più assoluto dei modi, ma lo ammise con tanta sincerità diede a Dominic la forza per compiere il passo.
Il batterista si abbassò le mutande fino a dove le braccia arrivavano, a metà coscia circa. Allora il pianista, avvertendo quel calore contro il suo, lo imitò, con l'unica differenza che lui se ne liberò del tutto, lasciandole penzolare solo da un piede.
Dom però compì un'azione che stupì molto Matt; senza guardare, pescò fra i jeans lì affianco e, dopo qualche secondo di puro imbarazzo, afferrò qualcosa.
Glielo consegnò in una mano faticando a respirare per l'emozione. Matthew abbassò gli occhi e si ritrovò nella mano destra una bustina leggermente rigonfia di un qualche contenuto molle.
Non si umiliò tanto da domandare cosa fosse. Semplicemente l'aprì, scontrandosi, tra l'altro, con i genitali di Dom, e gli si riempì il palmo di lubrificante. Credette che fosse grave il fatto di non averci neanche pensato; Dom, in effetti, doveva averlo preso dal portafoglio nei jeans, ma questo dimostrava la sua prontezza in caso di... evenienza.

Con scarsa sicurezza e mano tremante, fece quello che doveva fare, infilando le dita scivolose tra le natiche del suo migliore amico. Quando non ne rimase più su di lui, un sospiro di sollievo di Dom lo autorizzò a procedere.
E così fu.
Il ragazzo dagli occhi azzurri e i capelli scuri entrò nel ragazzo dai capelli biondi dagli occhi verdi; fu agevole grazie al liquido ausiliario, e la punta di piacere che subito elettrizzò entrambi  ripagò di ogni sforzo compiuto.

Descrivere attraverso misere parole quello che seguì, quello che mosse i loro corpi e si scatenò nelle loro menti, è decisamente troppo. Troppo invadente, intendo.
Ma sappiate che, mentre i corpi si spingevano l'uno contro l'altro (e le mani si stringevano, e gli occhi lacrimavano, e i respiri s'affannavano, e i profumi si fondevano), mentre i pensieri fluivano (e le fantasie si realizzavano, e le paure si dissolvevano, e i ricordi si agitavano, e le prospettive si ampliavano), Matthew e Dominic si amarono fino in fondo, fino ai confini del possibile, fino a dove è concesso all'uomo.
Credetemi se vi dico che il beneficio fisico (per quanto potente fosse, il più potente della loro vita, un indefinibile vortice di godimento!) fu la cosa minore, se paragonata a quello mentale.



Quando giunse la fine, approssimativamente dopo mezz'ora, non seguirono, prevedibilmente, il classico percorso. Dormire: non passò loro neanche nell'anticamera del cervello. Il sonno, con quelle sue braccia soffocanti, avrebbe cancellato l'impronta fresca nella carne, fresca nella mente.
Quindi, ripreso il respiro, si fecero piccoli fra le lenzuola, coprendosi, abbracciandosi pur di non soccombere all'immenso freddo che d'un tratto aggredì i loro corpi sudati.
Si scambiarono qualche parola; nulla di altisonante, ma di abbastanza intimo da rimanere segreto. Poi decisero istintivamente di rimanere così, come quando erano adolescenti: stretti nel buio senza pensare a nulla, sentendo nelle orecchie il battito cardiaco e sulla pelle il profumo dell'altro.

Ora Matthew aveva le idee chiare al pari di un limpido cielo estivo. Sapeva come comportarsi, sapeva come agire, sapeva anche il modo in cui avrebbe concluso Hoodoo.
Dominic invece si sentiva solo cambiato. Non completo, mai sarebbe stato completo, avrebbe dovuto fondersi a Matthew per diventare una persona completa; però non gli importava, e soprattutto perché sentiva per la prima volta di aver trovato una fede. E una di quelle che non si perdono più.
Tuttavia ci sarebbe stato tempo per tornare alla realtà. Il mattino non avrebbe tardato, e loro affidarono al sole ancora dall'altra parte del mondo il compito di risvegliarli dal sogno.

Per quella notte, per quel frammento di notte rimanente, l'unico desiderio fu quello abbandonarsi ancora all'illusione che la pelle si potesse oltrepassare e da due corpi ne risultasse solamente uno.

Il mondo li perse, e l'amore li fece suoi eternamente.




NDA: indovinate? Sono di malumore, senza tempo e parole. Mi sono consumata via per altre cose, e, spiacente, ma per voi amati lettori non resta che un sincero grazie. Grazie per l'attesa, grazie per le belle parole, grazie per l'attenzione.
La brevitas è davvero una buona cosa. Cheers!

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Diciottesimo capitolo: Special Promises. ***


•SPECIAL NEEDS•


"Il fiore che ripete non scordarti di me non ha tinte più liete né più chiare dello spazio gettato tra me e te."
[Eugenio Montale]

 


 



Diciottesimo Capitolo: Special promises.


(2005.)

L'alba s'insinuò fra gli oscuri strati della notte con raggi di luce color del tuorlo. I vaporosi residui delle tenebre si condensarono in fitte gocce di rugiada sui vetri delle case; per terra, un lenzuolo di neve candido e compatto cancellava ogni cosa, attutendo i rumori, assorbendo gli odori. Ma non minacciava più brutto tempo, anzi, si annunciava una silenziosa giornata di freddo sole invernale.
Il chiarore bianchissimo proveniente dal giardino si diffuse nella stanza prima delicatamente, dopo prepotente fino ad annullare qualsiasi altro colore. Il pianoforte nero era come smembrato da quei fasci abbaglianti, e l'aria polverosa, oltre che intrinseca d'incenso delle candele spente qualche ora prima, aleggiava lentamente nell'attesa di depositarsi su un qualsiasi oggetto, per poi sprofondarcisi dentro.
Matthew osservava il soffitto panna; gli piaceva il modo in cui erano state dipinte le assi di legno, gli piaceva la sensazione di ordine e pulizia che trasmettevano. Si grattò la nuca. Tenere a lungo la testa premuta contro il cuscino gli aveva provocato un antipatico formicolio, a lungo andare. Tuttavia non avrebbe cambiato posizione per nulla al mondo. Vegliare su Dominic addormentato sul suo petto era molto semplicemente e meravigliosamente una delle esperienze più sensazionali che avesse mai avuto l'onore di vivere, perciò si sarebbe tenuto il prurito, o anche un'emicrania. Lo guardò un'altra volta e sentì un fremito di gioia stringergli il cuore. Aveva atteso pazientemente l'arrivo del sole per poterlo vedere meglio, senza più sforzare la memoria quando il buio glielo celava. I ricci biondi tremavano appena quando il suo respiro, una volta uscito dalle narici, li colpiva; di solito Dom si lisciava i capelli, ma questo perché ignorava quanto piacessero naturali e selvaggi a Matt. A dir la verità, a Matt piaceva Dom comunque fosse, però non si poteva negare che lo prediligesse più autentico e meno artificiale, soprattutto per sfuggire all'omologazione che la moda proponeva e che, purtroppo, ogni tanto faceva cadere il batterista in tentazione, vista la sua sfrenata passione in campo di vestiti.
Mentre con una mano cingeva il corpo di Dom stretto al suo, e con l'altra (oltre che grattarsi) osava carezzare quei concentrici cerchi dorati e morbidi come seta, Matthew creava. Nella sua mente ogni occasione era spunto artistico, ma un'occasione come quella costituiva certamente una sorgente illimitata di arte, e di arte pura, innovativa, troppo preziosa. Non riusciva ancora ad ammettere a se stesso che la sua Musa fosse sempre stata quella, e nient'altro che quella dolcemente dormiente su di lui, però finalmente poteva sentire di aver costruito qualcosa con qualcuno. Di avere qualcosa di suo, qualcosa che nulla sarebbe riuscito a togliergli. Questa sensazione di possesso lo accompagnava da quando, terminata l'esecuzione della prima strofa di Hoodoo, aveva preso la decisione più importante della sua vita. E questo possesso gli dava una pienezza, una compiutezza interiore davvero inesprimibile a parole.
Inspirò ed espirò profondamente, come se stesse testando la capacità contenitiva dei suoi polmoni; la testa abbandonata al sonno di Dom si alzò e si abbassò in sincronia con il suo petto, e questa visione lo rese scioccamente orgoglioso. Ormai sospettava che si svegliasse a momenti. In realtà non vedeva l'ora. Era curioso, curioso di vedere se e quanto sarebbe stato raggiante il suo sorriso, oppure di che gradazione sarebbe stato il verde-grigio dei suoi occhi, oppure...

«Mmh!» gemette Dom, accennando un movimento del capo.
Matt si elettrizzò da testa a piedi per l'emozione. Pensò se Dominic avesse preferito trovarlo dormire o spiarlo; nel dubbio sbadigliò, un po' per dire: ci sono anch'io!

«Matt?» chiese immediatamente il biondo, facendo così capire al moro che il suo primo pensiero era proprio lui. Questa cosa lo lusingò, e poi gli tinse le guance di rosso.

«Ehi» rispose, cuore a mille.

«Ciao. Come mai stai arrossendo?» domandò sorridente Dom, girandosi e quindi ritrovandosi faccia a faccia con Matt. Fece il sorpreso e alzò le sopracciglia sottili:

«Io?»

«Già, tu.»
Il batterista si avvicinò vertiginosamente al pianista. Si concesse qualche secondo per ammirare il capolavoro che la luce aveva fatto del volto di Matt. La pelle, diafana e liscia, era rilassata in ogni più piccolo millimetro di perfezione; gli occhi, due ritagli di cielo, tremolavano fissi nei suoi; la bocca, un'increspatura dipinta di rosa, esitava a sorridere per un qualche inspiegabile imbarazzo.
In effetti non doveva esser facile sorridere con disinvoltura mentre a pochi millimetri un biondo dall'aria determinata e lo sguardo penetrante ti guardava come se fosse la prima volta che ti vedeva, per di più con quel fascino ipnotico che era insito nella natura del suo modo di fare.

«Cosa aspetti a baciarmi?» chiese incontinente Matt, interrompendo quel momento troppo inteso per essere affrontato con la leggerezza che invece gli invadeva i sensi.

«Solo che tu non ti dissolva e torni ad essere un mio inconfessabile sogno,» gli sussurrò a fior di labbra Dom, «Matthew Bellamy.»
Il chitarrista faticò per trattenere il rossore che gli causavano quel sentimento, quelle parole, quell'uomo. Si sciolse in un sorriso e reagì da persona matura e non più da ragazzino infatuato. Tirò a sé Dominic e lo baciò con passione, felicità e consapevolezza che fosse il loro primo bacio dopo la loro prima volta. Sapevano entrambi che l'idea di "novità" non sarebbe durata a lungo, ma neanche il pensiero di una possibile "abitudine" li spaventava.
Questo non perché considerassero la loro relazione come un'eccezione; però erano consci del fatto che la specialità (costruita in anni di repressioni, difficoltà, segreti e quant'altro) della situazione unita al molto probabile futuro incerto, problematico e precario conferisse al loro rapporto quel sigillo d'eternità indispensabile affinché il loro amore fosse sempre un battito del cuore accelerato, un brivido lungo la schiena e un dolce mattino contro cui incombevano i peggiori mali del mondo.

«Alla fine sei crollato» disse Matt, quando si allontanarono un attimo.

«Vero...tu invece non hai chiuso occhio, giusto?»

«Proprio così.»
Un velo di timidezza di infrappose tra di loro; i ricordi riaffioravano ormai limpidi e inequivocabili, solo che il coraggio per parlarne mancava totalmente.

«Dom, stai bene?» domandò Matt premurosamente. Era stato molto, molto attento, però sapeva che da un certo momento in poi gli era sfuggita la situazione di mano.

«Sì, non brucia più.»
Matt avvampò come un pazzo. D'altro canto, quale novità? La sincerità di Dom, la sua schiettezza, era sempre stata motivo di vergogna per lui.

«Ah, b-bene» balbettò, augurandosi che la questione "bruciore" finisse lì.
Questo perché, prima di dormire, mentre si erano abbracciati forte, Dominic aveva lamentato del dolore. Cosa del tutto nella norma, però che faceva sentire Matt in colpa.

«Perché t'imbarazza ancora?» chiese Dom col suo solito savoir-faire disarmante.

«È che...insomma, mi dispiace, non volevo farti del male, e-»
Dom lo zittì appoggiandogli l'indice sulle labbra. Sorrise tranquillissimo, come se davvero niente fosse, e scosse la testa.

«Nessun male. Anzi, forse troppo bene!» esclamò, constatando quanto anche il dolore fisico potesse venir dimenticato in nome dell'amore.

«O-okay» farfugliò Matt, leggermente rimpettito per quei complimenti sottili, ma importanti.
A quel punto rimaneva solo una domanda detta, subito dopo qualche coccola, da Dom.

«E adesso che facciamo?»



Chris non era mai stato più nervoso in vita sua -escludendo le volte in cui aveva partorito sua moglie. Percepiva qualcosa di strano, di stranissimo nell'aria, poi non più nell'aria ma negli oggetti, poi non più negli oggetti ma dentro di lui... insomma, qualcosa era successo e non riusciva a raccapezzarsi. Si alzò di buon ora, lasciando riposare Kelly che aveva passato la notte fra una culla e un lettino. Fece colazione, nella speranza che fosse solo fame, ma, una volta a stomaco pieno, si mise le mani nei capelli. Aveva davanti a sé il telefono di casa e la rubrica. La scelta rimaneva fra la T e la G; chi dei due avrebbe saputo dargli una risposta?

«Ciao Gaia, sono Chris» disse all'apparecchio. Aveva preferito lei per il semplice motivo che, ragionandoci sopra, Tom poteva solo saperne quanto lui.
«Ciao Chris» rispose lei, col suo accento riconoscibile e la voce monocorde.
«Tutto bene?»
«Così così. Oggi devo dare un esame e sono in ansia.»
Chris si morsicò la lingua. Capì immediatamente che Matt non era con lei, e che quindi avevano litigato. Doveva solo stabilire la gravità del litigio.
«Beh, che ansia devi avere? Sei così brillante, vedrai, passerai col massimo.» La rassicurò, sperando di dire la cosa giusta.
«Grazie, ormai manca poco alla laurea. Sarà il mio orgoglio...comunque, perché mi hai telefonato?» la ragazza tossì. Probabilmente era raffreddata, o forse stanca.
«Non so se vuoi parlarmene. Forse è meglio che fai l'esame e poi ci risentiamo.»
«No, altrimenti la curiosità danneggerà la mia concentrazione. Dimmi tutto, tanto penso che riguardi Matt.»
Chris annuì, nonostante lei non potesse vederlo. Gli dispiaceva, alla fine. Era una persona tanto cara e gentile, non si meritava quella presa per il culo.
«Già. Sai dove sia? O con chi?» chiese d'un botto, senza più farsi problemi.
«Secondo me è con Dom.»
Ecco, se Chris prima era nervoso, a quel punto gli partì l'iperventilazione.
«Eh?» domandò, faticando a credere a ciò che aveva udito.
«Ma sì. Abbiamo litigato ed è partito. In realtà ci eravamo appena riappacificati, stavamo per...insomma, passare una seratina coi fiocchi quando lui ha avuto una delle sue botte di malumore. Da lì in poi la situazione è stata irrecuperabile. E dove vuoi che vada se non dal suo amichetto del cuore?»
Ora però la voce di Gaia era diventata maligna e spietata; la sua usuale dolcezza era stata totalmente spazzata via da due fattori, che per altro si avvertivano molto chiaramente. Gelosia e delusione. Ma Chris non era di sicuro il tipo di uomo a cui piace spettegolare. Per questo sorvolò l'orgoglio sanguinante della donna, e riprese la sua indagine.
«Da Dom, quindi. In parte è anche un bene, visto che devo avvisarli del concerto a cui abbiamo acconsentito di partecipare domani sera. Si terrà a Parigi.»
Silenzio. Chris sentì solo uno strano scricchiolio, che era provocato dalle unghie di Gaia che venivano mangiucchiate.
«Chris, tu sai?»
Questa domanda spazzò via quella che Chris stava pensando di fare; lo lasciò brancolare nel buio per qualche secondo, poi si scaricò in un brivido lungo la schiena.
«Non capisco a cosa tu faccia allusione, Ga-»
«Sii sincero. Almeno tu.»
Chris si maledisse. Non avrebbe mai dovuto chiamarla, mai! Ora sì che aveva un motivo per cui agitarsi. Lei sapeva e sapeva anche che lui sapeva, perciò tutto poteva apparire o come un complotto contro di lei, o come un complotto contro di loro. Ebbe la tentazione di far cader la linea, ma non lo fece. Un uomo si comporta da uomo, anche quando è a disagio.
«Sì, cosa vuoi che ti dica. Li conosco da una dozzina di anni, mica da ieri.»
«Guarda che basta un giorno per accorgersene» constatò lei, tagliente come i denti di una vipera.
«No, non mi pare proprio.» Negò lui, ben consapevole di quanto fossero abili a nasconderlo.
«E invece sì, basta mettersi nell'ottica. Finché una persona non ci pensa neanche lontanamente, allora no, non si vede. Ma se appena ci si pone nella condizione in cui, se appena si aguzza l'occhio e si va oltre le apparenze, beh, è lampante.» La logica del suo discorso mise a tacere Chris.
«Però i fan non sospettano, e forse neanche gli altri nostri amici» protestò infine.
«Cosa ne sai. Secondo me sanno e stanno zitti perché fa comodo.»
Chris sventolò bandiera bianca.
«E tu, visto che ormai siamo in confidenza, come fai ad accettare, scusa? Io sono un loro amico, me ne può importare relativamente, ma tu...»
«Io temo di volergli troppo bene per reagire. Mi va bene così, cosa ti devo dire? Non durerà per sempre. Prima o poi lo lascerò e lui dovrà trovarsi un altra copertura. La mia vita andrà avanti, la sua no.»
Chris pensò che fosse umanamente incomprensibile il discorso privo di senso, amor proprio e dignità di Gaia.
«La sua vita andrà avanti appena riuscirà a vivere la cosa con Dom. E credo che questo sia già successo.»
La donna attutì il colpo basso. Voleva che la conversazione finisse, si erano già spinti oltre. Chris non gli stava più simpatico come prima; era solo un complice della congiura, null'altro che quello.
«D'accordo Chris, ora se per piacere mi lasci andare...»
«Sì, scusa per il disturbo. Grazie, e in bocca al lupo!» concluse, in un italiano traballante.
«Crepi!» esclamò lei, ma il bassista non capì. E fortunatamente non capì, visto che dal tono alterato della donna non si poteva dedurre se qual "crepi" fosse rivolto al lupo, alla sfiga, o al responsabile della frantumazione del suo orgoglio femminile.



Il cellulare di Matt squillò. La sua suoneria, un pezzo di Chopin, interruppe il silenzio idilliaco nel quale lui e Dom si stavano baciando impetuosamente. Alla fine non avevano preso nessuna decisione sul da farsi, e Dom aveva proposto la stimolante idea di baciarsi tutto il giorno. Matt, ridendo e scherzando, aveva acconsentito.
«Ma non lo avevi spento?» sbuffò Dom, arrabbiatissimo.

«Pensavo di sì, aspetta, dov'è?»

«Che suoneria odiosa.»

«Questi sono i tuoi pantaloni, questa la mia camicia, queste le tue mutande...» borbottava Matt, frugando fra i loro vestiti ammucchiati alla fine del futon, «eccolo!»
Dom glielo strappò di mano e controllò chi fosse a chiamare. Quando lesse CW si tranquillizzò. Lo restituì al proprietario e sorrise in segno di scuse.

«Non fare il coglione geloso, per favore!» gridò Matt, assolutamente contrario ad ogni scenata.

«Scusa, scusa» sussurrò Dom, nascondendo il broncio.

«Sì, dopo facciamo i conti. Pronto?» chiese, accettando la chiamata.

«Ciao Matt!» esclamò Chris.

Dom allungò le mani sul corpo di Matt, e questi lo guardò subito malissimo.
«Ciao, hai bisogno?» disse il cantante al bassista, con tono leggermente alterato.
Dom si morsicò il labbro inferiore nella lotta contro se stesso per resistere alla tentazione di toccare quella carne nuda e in bella vista che era al suo fianco, infine decise di lasciarlo in pace, dando grande prova di auto-controllo, che Matt apprezzò segretamente.

«Veramente sì. Ma tu stai bene? Dom?»
Matt deglutì un malloppo di vergogna che gli salì all'improvviso. Come faceva a sapere che fosse con Dom? E poi di mattina, insomma, sospetto!

«Eh? Sì, c-certo-o...»
Dom capì immediatamente che qualcosa non andava. Guardò Matt mettersi a sedere a gambe incrociate, come faceva quando doveva concentrarsi. Lo imitò, mettendoglisi di fronte.

«Non ti sento tanto a posto. Comunque, domani sera Parigi. Si suona!»

Matt cadde dal pero. Innanzi tutto, nessuno decideva niente senza il suo consenso. E poi cos'era quell'ordine mascherato da esortazione amichevole? Parigi, mica un posto da ridere.
«E chi lo avrebbe stabilito?»

«I Muse. I Muse che, non presi via da non-so-quale-tipo-di-passatempo-non-voglio-indagare, hanno voglia di suonare. E c'è qualche migliaio di persone che li aspetta, sai com'è.»

«Hai ragione. Va bene, scusa, io...ecco, ho avuto...altri...pensieri, sì, pensieri.» Farfugliò, decidendo che fosse meglio abbassare la cresta e, per una volta tanto, eseguire un ordine senza domandare. Dom guardava la sua espressione enigmatica e cominciava a capire che stava per finire tutto, finire tutto un'altra volta. Il pensiero di doversi separare, di dover indossare la maschera ancora, di dover vigilare ogni secondo con la paura di compiere un passo falso lo soffocò.

«Senti, capisco che c'è qualcosa. Se vuoi ne parliamo domani pomeriggio, dopo le prove, davanti ad una bella birra, okay? Ma arriva in orario nella mattinata.»

«Ok. Ci troviamo all'aeroporto?»

«Va bene, attorno alle dieci. A domani, salutami Dom.» E riattaccò.

Matt sospirò. Lasciò cadere il telefonino fra le sue gambe e cercò gli occhi di Dom, già spenti.
«Ti saluta Chris. Domani suoniamo a Parigi. Conviene sbrigarsi, fra una cosa e l'altra il tempo volerà.» Disse amaramente, tastando con un'occhiata tutta la controvoglia di Dom.

«Capisco. E cosa ne sarà di noi?» chiese, finalmente alzando lo sguardo.
Matt pregò il cielo che gli mandasse una risposa, una credibile, una che avrebbe rassicurato quella persona meravigliosa di cui era innamorato. Ma nella vita nessun cielo risponde a nessuna preghiera.

«Non lo so, non lo so. Una promessa è tutto quello che possiamo farci.»
Dom sorrise debolmente, somigliando ad una vittima sacrificale. Matt appoggiò il palmo della mano destra sulla sua guancia sinistra e si avvicinò affinché potesse sussurrare le parole e venir udito.

«Ti prometto che non dimenticherò nulla, e ti prometto che non ti tradirò mai.»
Il biondo annuì, e procedette con la sua di promessa.

«Ti prometto che non ti tradirò mai, e ti prometto che ti seguirò incondizionatamente fino alla fine dei tempi.»
Matt si sporse per stampare le sue labbra su quelle di Dom, poi, alzandosi e vestendosi, accettò stoicamente l'inizio di una nuova fase della loro storia, mentre Dom si sforzava a capire che amare significa anche saper lasciare andare.



Il pilota annunciò il ben riuscito arrivo a Parigi alle 9.30am. Dominic si affrettò a terminare il caffè annacquato che si era costretto a bere per tenere su con più forza quelle palpebre cadenti dalla stanchezza; aveva passato il giorno prima a suonare senza interruzioni, sfogando su quei poveri tamburi e piatti tutta la frustrazione che s'era impossessata di lui da quando Matt era partito, quindi era sicuramente pronto per il concerto, ma non sapeva se ci sarebbe arrivato sveglio.
Si avviò con il suo trolley leopardato fra la gente accalcata. Si era messo il cappuccio e una sciarpa nera pur di passare in incognito, ma comunque non si risparmiò un paio di autografi da firmare e un paio di foto. D'altronde sapeva che l'evento di quella sera fosse molto importante per il pubblico, e perciò si era già preparato una faccia sorridente pre-impostata da sfoderare in ogni occasione per non destare sospetti. Sapeva che quello era il desiderio di Matt, e lo avrebbe onorato come da promessa.
Si sedette in sala d'attesa con il suo bagaglio fra le gambe, calcolando che ancora per una buona mezz'oretta non si sarebbe visto nessuno dei suoi. Davanti aveva una vetrina che rifletteva la sua figura; la osservò con molta attenzione, e notò i cambiamenti che aveva già intravisto quando precedentemente si era specchiato.
Il suo volto appariva più disteso, compiaciuto. Si alzò in piedi e guardò il fisico, stretto in abiti scelti appositamente per non dare nell'occhio. Gli riuscì impossibile resistere alla tentazione di girarsi per guardarsi il fondo-schiena (cercando di immedesimarsi in Matt), e lo trovò in ottime condizioni. Sorrise da solo quando si accorse che il suo comportamento era pienamente classificabile come femminile-narcisistico, poi si fece schifo e tornò a sedersi con l'aria da cane bastonato.
«Quando arriva...no...» sospirò, rendendosi conto che come al solito prima pensava a lui, e poi al resto del mondo.

«Grande ritorno dei Muse in Francia!» annunciò l'intervistatrice radiofonica, in un perfetto francese.
Matt e Dom sedevano di fronte a lei e dietro a un microfono, con due cuffie alle orecchie. L'orologio sul muro batteva le tre, e dovevano affrettarsi perché alle cinque avevano la prova generale.
«Allora, parlate francese?» domandò, sorridendo loro.
Dom notò subito lo sguardo ammaliante che direzionò su Matt il quale, famoso per il suo debole per le castane, annuì inebetito.

«Io lo parlo» disse il biondo prontamente, catturando gli occhi della ragazza.

«Bene, Dominic Howard. Allora cosa racconti agli ascoltatori? O forse dovrei dire ascoltatrici!» e ridacchiò stupidamente.
Dom si schiarì la voce e trattenne una smorfia di disgusto per quell'ironia fuori luogo.

«Racconto che questa sera faremo un grande show e che presto uscirà il nuovo cd, ma nessun'anteprima.»
Matt annuì, e decise d'impossessarsi della scena fregandosene del francese e dando via libera al suo accento british.

«Sì, album che segnerà la nostra carriera, in quanto metterà alla prova la nostra fama con il lungo tour che seguirà. Anche perché stiamo pensando di passare dai palasport agli stadi, però prima dobbiamo concludere il lavoro.»
La castana si sistemò le cuffie e disse con aria interessata:
«Bene, vedo avete progetti importanti. Ma questa sera suonerete quindi canzoni di Absolution (che è, per gli ascoltatori, il loro ultimo album)?»

«Sì, con qualche estrazione dal passato.» Disse Matt, anche se l'idea di suonare alcune canzoni vecchie gli dava la pelle d'oca.

«E del nuovo album non ci potete dire proprio niente?»

«No, se non che alternerà, da un punto di vista musicale, influenze del passato con suoni innovativi, mentre, da un punto di vista significativo, temi politici a temi personali.»
Dom annuì pur non sapendo bene se poi sarebbe andata così. Comunque non riusciva a staccare gli occhi da Matt, dalla camicia cioccolato che indossava, dai capelli ben pettinati che scuoteva, dalla bocca rosea che muoveva. Ringraziò che non fossero ripresi, altrimenti si sarebbe dovuto dare un ritegno che non aveva assolutamente voglia di avere.

«Che uomini impegnati, i nostri Muse! E, ditemi, dalla sfera personale possiamo estrarre qualcosina?»
Matt arrossì, Dom tossicchiò. Poi il primo si sfregò il naso più volte e disse:

«Niente...di che, niente di che.»
La ragazza sorrise maliziosamente.

«Non voglio passare per indiscreta, ma so di una certa italiana e da come-»

«Ci scuserai, ma se le domande importanti sono finite noi dobbiamo andare» la interruppe Dom, alzandosi in piedi.

«Oh, certo, certo. Cari ascoltatori, inviate messaggi per saperne di più, intanto ecco Sing for Absolution dei Muse!»

«A 'sta sera!» salutò Matt al microfono, prima di sfilarsi le cuffie e tirare un sospiro di sollievo.

Durante il viaggio in macchina verso la sala prove non si considerarono molto. Dom guardava fuori dal finestrino, Matt si ripassava i testi sfogliando un quaderno. Era bastato uno sguardo, quello che si erano scambiati appena visti all'aeroporto, per capire che se avessero osato guardarsi troppo o parlarsi troppo, onestamente? Onestamente non avrebbero resistito, si sarebbero isolati come da ragazzini, ma non più e non solo per scambiarsi un abbraccio o una chiacchierata. Poteva sembrare eccessivo, ma queste erano le conclusioni a cui erano arrivati. Star lontani il più possibile per calmare quelle voglie, star lontani per resistere. Tanto potevano ingannarsi a non finire, ma il cuore non si controlla, per questo anche le più banali occasioni (da uno sfioramento dovuto ad una sincronia nel prendere i bagagli, per esempio, a una folata di profumo dovuta al vento che andava da uno verso l'altro) diventavano atroci torture per i loro nervi, per le loro menti annebbiate dai ricordi.



«Buonasera, Parigi!» gridò Matthew al microfono, davanti a 50.000 spettatori. Si sentiva a suo agio davanti a quella marea di teste; buffo per una persona timida, ma con un fondamento razionale, ovvero che più occhi hai addosso, più cala l'attenzione ai particolari. E sono i particolari ad essere realmente importanti, si sa.
Un boato di grida di gioia diede loro il benvenuto, mentre le prime note dell'Intro si diffondevano nella frizzante aria invernale. Era il momento dello show, e il resto poteva anche venir dimenticato. Ora erano solo tre strumenti attraverso cui dar vita alla musica, nient'altro che tre esecutori di arte.
«Declare this an emergency, come on and spread the sense of urgency!» e venne dato il via ad Apocalypse Please.



L'after-show si svolse in un locale chic di Parigi, uno di quelli dove gli esseri umani somigliano a strani oggettini talmente belli da sembrare soprammobili di lusso. Modelle e ricchi imprenditori si aggiravano con cocktail colorati nelle mani fra i divanetti bassi e lucidi, avvolti in luci psichedeliche e musica dance. I Muse erano seduti e dalle facce stravolte avrebbero potuto far la gara a chi era più assonnato per poi vincere tutti il primo posto.
Continuavano a infastidirli gruppetti di bionde spaventosamente alte, oppure more con fianchi così stretti e seni così gonfi da risultare sproporzionate. Inoltre era pieno di paparazzi; ogni tanto un flash abbagliava da quell'angolo, poi da quell'altro, così che su internet e sui giornali sarebbero apparsi i tre musicisti inglesi più amici in compagnia di ragazze davvero troppo belle.
Matt aveva la nausea, Dom il mal di testa. Chris cercava da due ore di chiamare la moglie, ma aveva staccato il telefono. Tom ridacchiava con Morgan e scoprì che dopo ci sarebbe stato uno schiuma-party da non perdere.
«I tre eroi!» gridò una giornalista, arrivando con telecamera e compagnia bella. «Cosa raccontate alla stampa?» domandò, sedendosi fra loro.

«Eh?» fece Matt, non capendo la sua lingua.

«Soddisfatti. Stanchi, ma soddisfatti» si apprestò a dire Dom, per levarsela di torno.

«E ora festeggiate, eh? Donne e alcol!»

«Sì, donne e alcol» ripeté Dom, guardando Matt come se avesse voluto rapirlo.

«D'accordo, vi lascio divertire. Una foto?»
E così si scattò una foto fra loro due che l'abbracciavano. Ovviamente, abbracciando lei, si sfiorarono le mani, poi si incrociarono gli occhi, e questo mandò in tilt entrambi.
Non potevano andare avanti in quel modo, anche se nessuno se ne accorgeva, loro si sentivano malissimo, due stracci maltrattati.
«Tom, dov'è l'albergo? Sono distrutto» chiese Dom, facendosi bene udire anche da Matt.

«Cerca l'autista fuori, ti porta lì lui.»

«Okay, grazie. A domani» concluse, alzandosi velocemente.

Camminando verso l'uscita, sperò come mai che Matt lo seguisse. Fremeva al pensiero di sentire la sua voce alle sue spalle che diceva: aspettami, vengo anch'io!...ma questo non accadde. Nessuna voce lo chiamò indietro, nessuna gli chiese di aspettarlo. Quando salì a bordo della loro Mercedes, sprofondò nel sedile. Prese il cellulare e scrisse:
-Non hai sonno?-, poi inviò a MB.
Pochi secondi dopo la risposta gli vibrò in tasca, facendolo sobbalzare.
-È proprio perché ho sonno che non ti ho seguito.-
Dom capì cosa significasse quel messaggio. Significava che se lo avesse seguito, beh, di certo non avrebbero dormito. Non gli rispose. Ricacciò il cellulare in tasca e aspettò di arrivare.
Una volta in camera, si accasciò sul letto esanime. Sapere che la persona che ami è circondata da creature molto più belle di te che la corteggiano, ecco, non è un bel sapere. Si sfilò le scarpe e si auto-impose di dormire, riuscendoci.

Alle tre di notte, quando ormai Dom dormiva da un'oretta, Matt tornò. Abbandonò le valigie in bagno, si risciacquò dall'odore del locale (in cui, per altro, non aveva fatto altro che sonnecchiare sul divano) e rilesse il messaggio arrivato da DH un'ora prima per la centesima volta.
-Non hai sonno?- era chiaro, era chiarissimo. Avrebbe dovuto seguirlo, non negarselo.
Uscì dalla stanza con una faccia da anima in pena indicibilmente sofferente. Si sedette ai piedi della porta della camera di Dom e decise di dormire lì. Forse la vicinanza del suo migliore amico avrebbe calmato i sensi di colpa, le paure, le angosce che alla grande erano tornate a infestargli la mente; forse si sarebbe perdonato il fatto di amarlo, e tutto ciò che da questo era conseguito.
Dom però neanche venti minuti dopo si era svegliato, immerso nel sudore e negli incubi. Si era lavato e poi aveva preso il cellulare, magari per rileggersi per la duecentesima volta il messaggio arrivatogli da MB più di un'ora prima.
Attanagliato dai ricordi piacevolissimi della sera precedente, aveva deciso di scrivergli. Ma con sua grande sorpresa, sentì il rumore del messaggio ricevuto a poca, pochissima distanza.

Matt aprì gli occhi e lesse il testo del messaggio da parte di DH. Nel buio del corridoio dove si trovava, la luce blu dello schermo quasi lo accecò.
-Se sono sveglio continuo a pensarti, e se dormo a sognarti.-
Dom si avvicinò alla porta dietro cui gli era parso di sentire la suoneria del cellulare. Non si sbagliava; accostando l'orecchio udì un rumore di tasti premuti che smise esattamente quando il suo cellulare vibrò per segnalare un messaggio da MB. Matthew era dietro la sua porta!
-Se io giuro a te di lasciare in pace i tuoi pensieri e i tuoi sogni, tu giuri a me di lasciarmi in pace il cuore?-
Dom si sedette anche lui per terra, appoggiando la schiena alla porta, e fu sicuro di aver fatto abbastanza rumore affinché Matt capisse che anche lui era lì, appena dietro cinque centimetri di legno.

«Mai» disse a bassa voce il biondo.

«Allora è una sfida» sussurrò Matt, che attraverso il legno cercava disperatamente di fiutare il profumo di Dom, del suo collo vellutato in particolare.

«Quello che ti pare, ma non smettere di rovinarmi la vita!» bisbigliò Dom.
Si ascoltarono ridere come due bambini stanchi, ma felici. Non avrebbero aperto la porta, e neppure detto altro. Volevano che per quella notte fra di loro rimanesse una risata sospesa, un sorriso da immaginare. Affondarono lo sguardo nel buio, Matt del corridoio, Dom della sua camera. Chiudendo gli occhi e usando la fantasia, potevano quasi sentire il calore del corpo altrui filtrare attraverso il legno.
Pensandoci bene, Dom aveva fatto bene a rispondergli "mai", perché, in nome della reciprocità, mai era il momento in cui Matt avrebbe smesso di rovinargli (o rendergliela bella, questione di punti di vista) la vita.



NDA: Buonasera\giorno (mah, che ne so io dell'ora in cui leggerete!). Ebbene, giungo per miracolo qui ad aggiornare. Ormai vi sarete abituati alla mia instabilità (devo ancora capire se è emotiva o proprio psicologica), però ultimamente ho davvero toccato il fondo delle stranezze. Comunque è ora che sappiate la verità sul computer, ovvero che non sempre sono io a romperlo (ok, è successo una decina di volte, lo ammetto), ma ultimamente mio padre si è intestardito, e me lo ha bellamente fottuto. Così saltello per casa isterica come una drogata in crisi d'astinenza, mentre lui si gode il teatrino. Spera che togliendomi il pc mi tolga Matt&Dom dal cervello. Oh, ma voi sapete meglio di me quanto questo sia impossibile...
Affezionatissimi, my time is running out. Se volete ottenere risposta, scrivetemi privatamente, magari riesco a concludere qualcosa. Grazie a tutti, e buone feste! (Macché! Le odiamo tutti queste feste, sia per la loro ripetitività, sia perché sono l'ennesima occasione per chiedersi che faranno quei due...io poi non faccio altro fuck yeah.)

Annotazioni:
-Mi pare che i Muse abbiano fatto un concerto ad inizio 2005 in Francia, ma non sono sicura. Se così non fosse, beh, è inventato di sana pianta.

Cheers!





Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Diciannovesimo capitolo: Special Lovers. ***


•SPECIAL NEEDS•


"Non puoi torturarmi con la tua incostanza,
perché nel tuo disdegno muore la mia vita.

Tu potresti ingannarmi ed io non saperlo."
[William Shakespeare.]

 

 

 

Diciannovesimo Capitolo: Don't close the door on want you adore. 

 

(2005.)

Secondo le forze intermolecolari (forze di natura elettrica che legano gli atomi in molecole), due molecole si attraggono anche se la distanza fra loro è molta, mentre si respingono non appena sono così vicine da sovrapporsi. Uscendo dall’ambito scientifico, si può affermare che alcuni rapporti umani seguano le leggi della fisica; ci sono persone su cui la distanza esercita la forza attrattiva, mentre la vicinanza l’esatto opposto, ovvero la forza repulsiva.

E poi ci sono Matt e Dom, i quali sanno sentire istericamente la reciproca mancanza quando lavoro o intrusi li separano anche per migliaia di km, ma sanno con la stessa strabiliante anormalità avvicinarsi, sfiorarsi, sovrapporsi di quel poco che basta per farli perdere un’altra volta nella vastità dell’universo. Inutile spiegare le motivazioni; si tratta di scienza, pura e limpidissima scienza, che spiega come, ma non spiega perché. L’equazione dell’amore, d’altronde, è destinata a rimanere sconosciuta all’uomo; accanirsi a comprenderla è come accanirsi a comprendere le meccaniche di un’espressione con troppe incognite.

 

Dopo il concerto di Parigi, gli impegni s’accavallarono in modo talmente perfetto per non farli stare insieme che sembravano stabiliti dalla logica di un genio maligno. Matthew finiva un’intervista televisiva e Dominic era già partito per una radiofonica; Matthew concludeva un piano organizzativo col manager e Dominic iniziava la sua parte di signin-session; Matthew terminava la dichiarazione per un giornale di musica e Dominic doveva andare in sala prove a testare un nuovo rullante. Dove l’uno trovava pace, l’altro guerra e così persero talmente tanto l’equilibrio dei giorni precedenti, dei giorni dello Chateau e lì attorno, che si incrociavano come sconosciuti avvicinati per caso, che si guardavano appena negli occhi, senza neanche poter captare il messaggio o l’umore che quelle pupille volevano trasmettere, prima di prendere strade diverse e divergenti, lontane, lontane come molecole finite ai capi opposti di una galassia.

Se la velocità della vita imponeva una tabella di marcia tale per cui parlarsi, guardarsi o, non sia mai, toccarsi fosse irrealizzabile quanto 2+2=5, restava tuttavia una minuscola possibilità di salvarsi dallo stordimento. Questa possibilità consisteva nel pensiero; nel libero poter immaginare che qualcosa di diverso esistesse, che ritrovarsi non fosse un sogno così chimerico, che quello che era accaduto allo Chateau si rinnovasse in nuove, sorprendenti varianti, l’una più piacevole dell’altra. Saltellare da un’isoletta immaginaria all’altra e nuotare nell’infinito spazio della mente salvò Matt e Dom dalla frenesia; li salvò quando il lavoro causava occhiaie livide sotto gli occhi, li salvò quando troppe donne, festini e alcol consumati in fretta e furia bruciavano loro memoria e dignità, lì salvò quando nel cuore della notte si trovavano soli in un letto bianco e vuoto a pensarsi vicendevolmente come ragazzini senza coraggio. Eppure…eppure erano riusciti a concludere qualcosa di pratico, no? Anche patti, promesse. Sì, eccome. Il punto, il punto fermo da porre alla fine dei loro ingarbugliati ragionamenti (che se a Dom facevano leggermente venire il dubbio di stare esagerando, a Matt deliziavano quanto una tortura medievale ad un masochista) era stabilire il metodo per recuperarsi, per riazzeccare la sincronia giusta, per trovare una pista su cui ballare abbracciati e stretti, possibilmente nascosti dal manto della notte, o dal velo della Luna.

-O dalla luce del Sole, che importa. Se l’ultima occasione per vederti fosse sotto una pioggia di meteoriti infuocate, fra le fiamme di una tempesta solare o fra le protuberanze della cromosfera io, io accetterei! Pensava Matthew, rigirandosi come un Don Rodrigo in preda alla febbre pestilenziale.

-O dal ghiaccio del punto più gelido del creato, che importa. Se l’ultima chance mi fosse data a patto di stringerti mentre sprofondiamo su un iceberg verso le profondità più gelide, verso lo zero assoluto, io non mancherei! pensava Dominic, spegnendo l’ultima sigaretta della notte sul cuscino di un letto freddo d’hotel, così uguale a tanti altri da farlo sentire anche lui terribilmente privo d’identità.

Poi i dolori passavano, per un motivo o per l’altro. Le parole si svuotavano d'ogni enfasi. Rimaneva da guardare una foto sul cellulare, da leggere un messaggio invecchiato in una cartella creata appositamente, da sospirare e chiedersi insensibilmente quando e se sarebbe mai finita. Il “no” che arrivava puntuale e istintivo a chiarire il dubbio, però, faceva più bene che male.

Era un no prevedibile, era un no e non poteva essere altro, perché quale altro avrebbe mai avuto la forza di rompere una relazione durata più di dodici anni? L'adolescenza trascorsa insieme, l'entrata nella fase adulta insieme, la vera e propria maturità insieme, la prospettiva di una vita insieme e, ovviamente, una dolce vecchiaia insieme...il ciclo della vita si chiudeva con lo stesso “insieme” con cui si apriva, perché né Matthew né Dominic avrebbero mai detto di aver vissuto, prima di essersi incontrati. Un sorriso, vero e triste, s'impossessava delle labbra di Matt ogniqualvolta ricordava il loro primo vedersi, il loro lento conoscersi, il loro inconsapevole incamminarsi mano nella mano sulle rotaie di un treno con destinazione imprecisata, o forse troppo precisa per avere l'onestà intellettuale di ammetterla. Ma quale onestà. Coraggio, coraggio è la parola che cercava il suo cervello nell'auto-accusarsi di aver sbagliato, di aver inequivocabilmente sbagliato. Le rotaie fredde e scivolose su cui avevano camminato, inciampato, corso e rallentato, indugiato, insistito, li avevano infine condotti a quel letto dove s'era materializzato un sogno. Il problema è che scesi dal letto le rotaie avevano ripreso a intrecciarsi, ad allontanarsi, a salire e scendere in un disarmonico disordine, trascinando loro con sé. Quante cadute sul ferro impietoso, quante ferite sui piedi sanguinanti. -Se non per amore, per cos'altro un essere umano si spingerebbe a tanto... pensava Matthew, nei suoi soliloqui al chiaro di luna, torturando il lenzuolo in cui cercava, invano, di ritrovare quell'odore, l'odore di cui si era scioccamente innamorato.

Diverso, ma complementare, era invece l'approccio di Dominic nel cuore della notte. Non sorrideva, lui soffriva senza fingere. Ogni tanto gli veniva da chiedersi perché continuare, perché non rinunciare all'impossibile e trovarsi qualcos'altro a cui dedicare anima e corpo; cos'era quell'accanimento, quella voce che nella mente gli sussurrava, sottile e subdola come quella di un cantante che conosceva troppo bene, -amalo, amalo e amalo ancora...Un grido dall'Aldilà? Un bisbiglio dell'anima, un suggerimento criptato degli atomi di cui erano fatti, ovvero degli stessi? Poi le domande impazzivano, degeneravano all'infinito. In quante donne lo aveva cercato? In quanti uomini aveva pensato di cercarlo? Il numero è compreso fra il centinaio e il migliaio. La follia, la febbre d'amore bruciava nel petto di quel ventisettenne che subiva fino ad accettare lui, e quella sua persona di cui mai, mai avrebbe smesso di sentire il bisogno. Il modo in cui lo aveva toccato, prima con lo sguardo e dopo, dopo anni e anni, con le mani, con le dita sottili di un pianista; ah, avrebbe potuto scrivere il manuale di “quanto è bravo Bellamy a fare quella cosa”, ma, chiaramente, non avrebbe per alcuna ragione al mondo svelato la maestria del suo padrone, del padrone della sua felicità e della sua tristezza, dal cui sì o no dipendeva la sua intera esistenza.

Oh, si tratta di isterismo, avrebbe precisato Matthew, scalciando fra le lenzuola come per scappare via; isterico bisogno fino in fondo, avrebbe detto Matthew, mordendosi le braccia pur di immaginarsi le labbra desiderate di quel Dominic, quel maledetto, oh, no, quel benedetto Dominic, quel Dominic bello come un maschio, focoso come un amante e poi dolce come l'ambrosia. Allora era solo questione fisica, veniva da domandarsi? Ma no, quale fisico, quale corpo, se la mente tremava al solo pensiero di pensargli?

 

Era capitato, forse tra la quarta e la quinta settimana di lontananza, nel culmine del male, quando entrambi temevano di morire per crepacuore, che pervenisse loro indiscutibile e limpido un pensiero sopra il groviglio degli altri: di essere in due, in due anche in quella situazione tragica. Il senso d'unione e l'immediata scomparsa della spaventosa solitudine di cui sembravano affetti fin da piccoli curavano qualche ferita minore, ma il sollievo era notevole. L'uno aveva la certezza che l'altro non era felice e che, anzi, sguazzava miseramente nello stesso male della stessa negazione. A quale pro, tuttavia?

Matthew una notte ebbe la premura di assumere uno psicofarmaco pur di mettere a tacere quel cervello paranoico che si ritrovava nella scatola cranica; Dominic invece, sopprimendo il ricordo della loro promessa segreta, aveva frequentato più party e donne che in vita sua, battendo quasi i record dei tempi di OOS. Una volta, nella foga e nell'insensato arraffare qualsiasi cosa in mancanza di quella desiderata, accadde che ci provò con un uomo. L'immediato e inconfondibile senso di schifo gli fece abbandonare l'impresa prima di portarla a termine: non appena si rese conto di chiudere gli occhi e pregare una bocca e due mani di essere quelle di Matt, quando non erano le sue, si allontanò inorridito da se stesso. Ennesima, innumerabile conferma.

 

Quelle notti vedevano la morte con lo spuntare della candida aurora; i raggi del sole nascente smembravano l'oscurità come le loro elucubrazioni mentali, presto stemperate in un nulla simile ad un semplice e malvagio incubo, sia per Matt solo e ingarbugliato tra troppe lenzuola e paure, sia per Dom, nauseato dall'effimero piacere che si intestardiva a procurarsi per stupida lussuria.

Si alzavano dai letti impregnati di sofferenza, puntavano lo sguardo verso la luce e attendevano docili e disarmati che il sole accecasse i loro occhi stanchi di piangere, che li prosciugasse dai fiumi di dolore e che donasse loro nuovi motivi per brillare. Ma come, come brillare, se il tempo fuggiva, se la carne s'indeboliva e la ragione arrancava...

C'è da perdersi, cosa che io, io narratrice, non voglio assolutamente fare. Resta da aggiungere che i giorni crebbero di numero e spessore fra loro; loro che non si sarebbero cercati come coppie di numeri primi gemelli, non avrebbero premuto il tasto del cellulare per mettersi in contatto, non si sarebbero inseguiti su per giù nel mondo. No, avrebbero semplicemente gettato le armi e si sarebbero seduti in riva al mare della loro incapacità. E senza chiedersi il perché, ma accettando una comoda indifferenza.


Arrivò l’estate come se qualcuno avesse strappato i fogli di un calendario per affrettare lo scorrere del tempo. Ovunque andassero, la temperatura cresceva e anche la luce, il colore, la voglia di vivere; in gran parte del mondo, del mondo da loro frequentato, il lavoro poteva per un po’ essere messo da parte in virtù delle vacanze e del riposo.Il nuovo album era ben avviato. Si parlava di registrarlo in tre città, ma ogni cosa andava ancora decisa a tavolino. In ogni caso Giugno era alle porte, e un mese, o due di stacco non vennero assolutamente negati a nessuno. Finalmente.

La pioggia cadeva rada e sottile dal cielo incolore; cadeva pigra, pigra come cade la notte d’inizio estate, pigra come cade la rassegnazione in fondo al cuore. Scorreva piano sulle foglie gremite della sua acqua e sprofondava nel terreno assetato. Era silenziosa, e silenziosamente rigava ormai da qualche ora l’oblò della finestra sopra Dominic, sdraiato immobile sul letto matrimoniale della sua camera nella sua casa di Nizza.

I luminosi raggi del sole, non ancora basso sulla linea frastagliata dell’orizzonte, cominciarono a farsi spazio tra le nubi, provocando un glorioso arcobaleno nel grigio; anche gli occhi di Dominic luccicavano, simili a due perle illuminate in un verde fondale marino. Il ragazzo carezzava le pieghe del lenzuolo dalla parte vuota del letto e, comprimendone per crearne delle nuove, pensava a chi avrebbe desiderato fosse al posto loro. Lui, nella tranquilla monotonia del pomeriggio, sotto un’acqua forse priva di senso, pensava senza sosta a Matthew.

Quando gli auricolari che teneva infilati nelle orecchie trasmisero Unintended, i suoi nervi, a lungo anestetizzati, non ressero più l’affronto. Scagliando il lettore CD contro una parete, s’alzò e corse verso la cucina, dove trovò un calendario.

«Lo sapevo.» sussurrò, mordendosi il labbro inferiore e fissando serio l’8 Giugno 2005, quello che, cioè, quel giorno di tiepido inizio estate era. «Domani è il tuo compleanno!» disse, come se il suo interlocutore potesse udirlo. Ripercorrere interamente i pensieri che lo portarono alla sua ultima conclusione sarebbe noioso, basti sapere che, un’ora dopo, sbatté il pugno sinistro sul tavolo della cucina e, facendo sobbalzare la tazza di caffè bollente che gli fumava davanti, decise di non perdersi il compleanno del suo migliore amico per nessun motivo. Tuttavia non poteva bussare alla sua porta, come se fosse quella di una persona qualsiasi, e fargli tanti auguri: lui non sentiva Matt da qualche mese, era consapevole del fatto che, probabilmente, avrebbe trovato solo freddezza e apatia laddove un tempo c’era stata amicizia e, forse, in qualche modo, amore.

Ora, ci sono due modi per riavere la persona amata. Questi due modi sono uno diretto e uno indiretto. Il diretto consiste nell’alzare il posteriore, raccogliere forza e temerarietà e andare là fuori, nel mondo crudele, ad appropriarsi di chi sta a cuore; l’indiretto consiste nel restare inchiodati al vetro di una finestra, tessere la tela di Penelope e aspettare che il cielo porti chi si desidera. Ma questo, generalmente, non accade.

Matthew era la tipica persona che agiva indirettamente. Infatti, quell’8 Giugno, sedeva ad osservare la bruma calare sul Lago di Como, pensando a quanto fosse stato contro ogni logica umana e aliena allontanare la persona a cui pensava quasi costantemente, riflettendo dibattuto sulla sua inettitudine di amare Dominic, constatando quanto fosse stato infausto il giorno in cui aveva deciso di non essere se stesso. Gaia gli si accostò, leggera e silenziosa come una delle luci ovattate attorno all’acqua morta. Ascoltò il suo respiro ferito; annusò il suo odore inafferrabile. Non s’intromise nelle sue riflessioni; gli porse solo un piatto di pasta rossa e s’allontanò verso la cucina, capendo che lì, tra i pensieri per Dom, il dolore per l’assenza di Dom e il desiderio taciuto ma tangibile di avere Dom, non c’era spazio per lei, lei resa sempre più sottile e trasparente da quell’uomo impossibile che, comunque, accudiva ancora con affetto sincero.

«Grazie» fiatò appena lui, appoggiandosi il piatto sulle gambe secche. Lo avrebbe fatto freddare, esattamente come aveva freddato i sentimenti verso quella donna, prima di assaggiarne un boccone. L’unica azione che non gli riusciva penosa era fissare il vuoto oltre la finestra… perché non c’era né lago né paesaggio romantico, se lì mancava Dominic per condividere.

 

Dominic, scegliendo d’istinto il modo opposto d’agire, ovvero quello diretto, rifletté a mente lucida se la pazzia che era in procinto di compiere fosse davvero fattibile: appena si accorse che non serviva altro che la sua macchina, una cartina italiana e un vero sentimento ad animare le azioni (tre cose che possedeva senza dubbio), partì in quarta verso l’autostrada Nizza-Milano. L’orologio digitale sul cruscotto batteva le 17.00 e lui si era prefissato di giungere a Como entro le 23; anche a costo di arrivare, venir cacciato e spaccarsi il cuore per un’altra volta, lui avrebbe urlato buon compleanno al suo, al suo e sempre solo suo, migliore amico Matthew.

Sfrecciava oltre i limiti di velocità sull’asfalto caldo; il vento entrava dai finestrini lasciati giù fino a ferirgli gli occhi, che lacrimavano dall’emozione, e la musica degli Weezer faceva battere alle sue mani venose un ritmo sul volante in pelle che gli rimescolava l’adrenalina in modo caotico dentro il corpo sovreccitato. Più i km che li separavano diminuivano, più nel suo cervello e nel suo bassoventre rinvigoriva il desiderio – il buon, vecchio, morboso e maniacale desiderio di possederlo in tutta quella sua fulgente e superba bellezza, in tutta quella sua affascinante genialità. Desiderio che gli prendeva la testa e non l’abbandonava più.

Si sentiva affamato come un orso al risveglio dal letargo, o in crisi d’astinenza quanto un eroinomane dopo mesi di sole sigarette. O semplicemente pazzo, ebbro di bramosia. Spinse l’acceleratore fino a che non fu più possibile. Quando il CD trasmise Best Friend mancò poco che non desiderasse per davvero un teletrasporto immediato e il suo bel volto, incorniciato da un leggero sudore, esplodesse d’isterismo.

Verso le 22.30, Gaia tornò per controllare la situazione. L’evidente malessere di Matthew, quel giorno più accennato e aggravato del solito, la preoccupò. Capiva, la donna capiva che quello era un soffrire per amore; tuttavia si sentiva la persona meno adatta per alleviargli la pena.

«Non mangi?» gli chiese, fermandosi a due metri di distanza, eppure avvertendo comunque l’alone negativo attorno a lui.

«Cosa?» domandò sorpreso Matt, ormai assopito.

«Matt…dimmi se c’è qualcosa che io possa fare per te.»

Il moro guardò la donna, girandosi; i suoi occhi agghiaccianti le caddero addosso con una gravità insostenibile. Lei indietreggiò confusa, intimorita.

«Credo che se starò ancora qui più di un’ora morirò. Gaia, portami via…» sibilò lui, accorgendosi di cercare in lei solo una madre, nient’altro che una madre. «Portami via da me stesso.»

«E per andare dove?» domandò lei, spiazzata.

«Dove c’è pace e riposo.»

Gaia con due falcate gli fu affianco, s’inginocchiò accanto alla sua sedia e con le braccia strinse il busto sottile del ragazzo al suo, ancor più esile. Quanto male nella sua testa, quanta incurabile follia. Decise d’assecondarlo.

«D’accordo. Chiudi gli occhi e vieni via con me, amore.»

Matthew chiuse le palpebre grevi, lei lo condusse fuori, fino alla sua macchina nel giardino e lo fece sedere al posto del passeggero anteriore.

-Lo porterò in Liguria, alla mia casa estiva. Ci vogliono tre ore e mezza con le strade sgombere. Ora non sono neanche le 23, potremo festeggiare lì domani il suo compleanno…

«Prendo una cosa e arrivo» gli disse, dirigendosi verso casa per trovare le chiavi della villetta in Liguria e preparare una valigia veloce.

Matthew s’adagiò sul morbido sedile felpato e attese; il profumo intenso che l’abbraccio di Gaia aveva lasciato su di lui gli ricordò quello di Marilyn. Era da tempo che non le pensava. Comprensibile, triste ma comprensibile.

 

Dominic imboccò il lungo viale che portava a casa P. con una sgommata. Si era dovuto fermare due volte a fare benzina da quanta ne aveva bruciata, ma sentiva che ne fosse valsa la pena, vista la matematica puntualità con cui era infine approdato a destinazione. Cominciavano a calargli sia le forze che la soglia dell’attenzione, e non solo a causa della stanchezza che un viaggio del genere compiuto in condizioni del genere comporta; era la crescente vicinanza di Matthew a mandargli in fumo il cervello, ormai velato da un desiderio degenerato in ossessione. Il minimo tentennamento e si sarebbe distrutto tutto definitivamente. Ma non voleva fallire.

Quando si trovò a quasi 30m dalla casa di Gaia, spense la radio e nell’esatto istante in cui la sua mano s’allontanò dal pulsante di spegnimento, la riconoscibile BMW della psicologa gli passò affianco.

Dominic si girò a guardare la macchina e riconobbe due persone a bordo. Una stretta alla gola gli tolse il respiro per una manciata di secondi, quelli che servirono per far gridare al suo cervello: forza, fai retro-marce! Dom eseguì l’ordine e si ritrovò a seguire la station-vagon nera; aguzzò la vista e sì, alla guida scorse Gaia, riconoscibile per i lunghi capelli castani e affianco una testa maschile, indubbiamente quella di Matthew.

«Dove cazzo lo stai portando?» sboccò d’impulso il biondo, stritolando nel pugno il pomello del cambio. «Tu non ti sei sparata i km che mi sono sparato io a 150km\h per riaverlo! E osi portarmelo via?» soffiò, vibrante di rabbia. Svoltarono a destra, in direzione dell’autostrada che Dom aveva da poco lasciato. Lui non conosceva quei posti, quei nomi stranieri; era riuscito ad arrivare fin lì grazie ad una cartina, perciò se non avesse seguito Gaia si sarebbe perso.

«D’accordo, io non ti chiamo perché sarebbe spiacevole non scoprire dove diavolo stai andando con lui; io ti seguo, attento a non farmi vedere, e appena giungiamo a destinazione ti sbrano, se ti metti in mezzo, cara donna!» disse fra sé e sé, mentre il luccichio della furia omicida gli scintillò negli occhietti iniettati di sangue. Era soddisfatto della scelta intrapresa; avrebbe usato le ultime risorse per inseguire Matthew e, ne era certo, prima o poi sarebbe stato ricompensato.


Nella macchina davanti a lui, Gaia guidava assorta nei suoi pensieri, ricordando senza fretta la strada verso la casa al mare; Matthew sonnecchiava, girato su un fianco, sentendosi impreparato ad accogliere quei 27 anni d’età, quando realmente se ne sentiva dieci in meno. L’orologio si preparava ad annunciare il 9 Giugno, e a lui il solo pensiero dava sui nervi. Senza contare il fatto che, per la prima volta dal 1993, avrebbe dovuto passare il compleanno senza il suo migliore amico; meglio togliersi la vita che andare incontro ad una tale tristezza.

Certo è che non immaginava neanche lontanamente come, invece, le cose si preparavano ad andare, come la vita annunciava di sorprenderlo.

 

I km sembravano non finire più; un cartello passava e un altro lo seguiva, una curva terminava e un’altra iniziava, un’uscita scompariva e la successiva già s’intravedeva. Le luci arancione dei lampioni gettavano un colore innaturale sulla notte scura, e l’inquinamento della città soffocava ogni stella nel cielo pesto. Fortunatamente, a quell’ora, non c’era traffico e si poteva viaggiare ad una velocità costante di 100, 120km/h.

A Dominic s’annebbiava in modo ripetuto la vista e sentiva che non avrebbe retto ancora più di una o due ore di viaggio. Ormai non si domandava più se Gaia e Matthew si fossero accorti che lui li seguiva; pur di porre fine a quella tortura fisica e psicologica era pronto a farsi scoprire e chiarire a quattr’occhi la questione. Sbadigliò per la quindicesima volta e maledisse la donna al volante per la settantesima.

Ma perché non li ho fermati a Como! pensò, raddrizzandosi sul sedile in vista di una svolta che la BMW di Gaia sembrava intenzionata a compiere.

I nomi sui cartelli gli risultavano totalmente indifferenti e sconosciuti. Se avesse perso o distanziato troppo la macchina dell’italiana, si sarebbe davvero ritrovato sperduto nel nulla; tremò al pensiero, e, quando si accorse che erano già le due del 9 Giugno, un rantolo di agitazione lo fece tossire nervosamente più volte. –Se non si fermano entro mezz’ora, io li chiamo e svuoto il sacco, concluse, sopraffatto dalla stanchezza. Allungò la mano verso il porta-cd e prelevò una sigaretta sfusa tra altre cose; la fermò la le labbra, l’accese con una mano e poi gettò l’accendino sul sedile affianco al suo, non riuscendo a non pensare che, affianco a quello di Gaia, ci fosse Matt. Si sforzò per vederlo, là, a neanche 10m da lui, rannicchiato sul sedile di una macchina indegna di trasportarlo, ma non ci riuscì. Soffiò il fumo dal naso e indurì i muscoli della mandibola, assumendo uno sguardo torvo. Capì che, se avesse dovuto fare a pugni per quell’uomo, lo avrebbe fatto senza esitazione; la cosa, in sé, non lo spaventò… fu il razionalizzare di non aver scrupoli a picchiare una donna che lo lasciò basito. –Guarda come diamine sei capace di ridurmi! Allo stato brado! constatò sconvolto, mordendo il filtro alla base della sigaretta fino a sentirlo piatto sotto i denti.

 

Alle due e mezza la BMW di Gaia abbandonò l’autostrada e imboccò una strada secondaria, che già dalle ridotte dimensioni e dalla mancanza d’illuminazione faceva intendere di essere breve. Dominic intravide, tra la vegetazione ai bordi della via, un luccichio… che fossero passati da un lago italiano all’altro? Abbassò il finestrino e la salsedine diffusa nell’aria gli provò invece la presenza del mare. Cercò di richiamare alla mente l’ultimo nome letto sul cartello d’uscita. –Li…lige…no, Liguria…dev’essere una delle loro contee, o regioni…ma più precisamente… niente, il nome del paese proprio non gli fu possibile ripescarlo in quella testa tanto sconnessa e sfinita. La velocità della macchina di Gaia diminuiva, tuttavia, proprio quando s’avviò dentro un lungo viale fiancheggiato dalla spiaggia e da villette o piccoli alberghi, fu la Mercedes di Dom a subire una battuta d’arresto. Due sbuffate, tre sobbalzi e fu ferma, inchiodata sotto il plenilunio ligure. Il ragazzo inglese credé d’impazzire per qualche attimo durante il quale sentì tutte le forze venirgli meno.

«Cosa cazzo succede adesso?» urlò nell’abitacolo, come se qualcuno potesse sentirlo. Gaia procedeva tranquilla; era talmente pensierosa e incuriosita dal rivedere la casa dove aveva trascorso le vacanze da piccola che non prestò attenzione ad altro che alla guida.

Dominic cercò di rimettere in moto la macchina per più volte, ma, quando notò che la spia del serbatoio lampeggiava, indicando quindi la fine del carburante, abbandonò l’impresa. Rialzò lo sguardo sulla strada e si accorse che Gaia lo aveva già distanziato di trenta metri abbondanti. Una punta, affilata e aguzza, di panico gli squarciò la mente: corri! intervenne quest’ultima, quasi a ricordargli che, persa la BMW nera, sarebbe stato perso Matthew. Afferrò le chiavi e il cellulare, poi aprì la portiera con una gomitata violenta e si gettò all’inseguimento della macchina di Gaia. Una zaffata d’aria calda e salata lo accolse, appena cominciò a correre; scansò un ciuffo biondo cenere che gli calò sugli occhi, smise anche di respirare nello sforzo estremo.

 

Dominic corse a perdifiato, corse conscio dei danni che una caduta a quella velocità avrebbe comportato, corse senza sentire il sudore bruciargli negli occhi, corse poiché la notte poteva ancora essere sua e di Matthew, corse non pensando a cosa avrebbe detto o fatto, corse semplicemente correndo, e lo fece in quel buio soffocante con tutto se stesso.

La BMW nera accostò e parcheggiò davanti ad una casetta a due piani, spegnendosi con un soffio. Gaia aprì la portiera lentamente, sporgendo un piedino minuto; Dom la vide e compì lo scatto finale, ormai ardente più di una cometa. Il sangue gli pulsava nelle tempie fortissimo, insieme al cuore, ormai prossimo all’infarto.

La ragazza scese e lo vide; in un paio di secondi capì chi fosse. Spalancò la bocca, tradendo così una grande sorpresa o una grande paura.

«Dominic!» esclamò, restia nel credere ai suoi occhi.

Dom rallentò, tossendo e ansimando; avvertiva la fronte bagnata, i piedi doloranti dentro le maledette All-Star. Non poteva credere di avercela fatta!

Matt scese dalla vettura in quel preciso istante. Aveva un’aria malaticcia, tra l’assonnato e il febbricitante. Fece in tempo a raggiungere Gaia che, seguendo il suo sguardo pietrificato, si trovò davanti Dominic. In un primo momento fu convinto di sognare, di aver materializzato ciò che era solo nella sua mente, ma… quando Dom cadde in ginocchio ai suoi piedi, catturando i loro occhi in uno sguardo tra l’estrema pietà e la più nobile richiesta d’affetto, il cantante non poté che sentire qualcosa rompersi nel petto. Dalla gioia, chiaramente.

«Matthew, io…» il fiato abbandonò il batterista genuflesso per qualche secondo, poi tornò a dare spessore alla sua voce forte e tremante allo stesso tempo. «Matthew, io ti amo!» urlò, giocandosi il tutto per tutto in tre parole.

Il pianista tentennò. I suoi occhi argentati lasciarono quelli gonfi di commozione di Dominic ed errarono nel buio, nel firmamento sopra le loro teste, a miliardi di km di anni luce per poi, infine, seguendo gli opalescenti raggi lunari, tornare a posarsi sul capo chiaro di Dom.

Lacrime rotonde e perlate cominciarono a calare sulle sue guance rosee. Quell’uomo aveva appena compiuto per lui un’autentica impresa. Per lui a cui non pareva di meritare neanche un centesimo di quell’impegno, di quella costanza, di quell’insistente bellezza che lo guardava dal basso all’alto implorando mera indulgenza. Cercò di ordinare le idee, di formulare una frase, ma ogni pensiero si inabissava in un altro, impedendogli di fare altro che tacere.

Fu il singhiozzo angosciato di Gaia a rompere l’incantesimo. La donna li fissava con volto sgomento e sembrava lì lì per svenire. Attrice come tutte le donne? O creatura innocente ferita da una sporca verità?

«Voi…» mormorò, portandosi un dito fra le labbra.

Matt si voltò a guardarla, poi istintivamente scosse la testa per far segno di no.

«Tu!» gridò improvvisamente, indicando il ragazzo ai piedi del suo fidanzato. «Ti credevo un amico,» disse a denti stretti, «e invece dici di amarlo!»

Dominic, a cui certamente non provocava un gran piacere tenere le ginocchia sull’asfalto, corrugò la fronte. Non riteneva quella donna pienamente all’oscuro; era intelligente, tutto sommato.

«E tu!» ringhiò Gaia, sempre più scossa, «tu ricambi!».

Matthew andò nel panico. Per un secondo odiò nel profondo Dom, e quel suo prendere iniziativa, piombare dal nulla e dichiarare amore infrangendo ogni segretezza, ogni regola.

«Ti sbagli, Gaia» tentò di dire, venendo immediatamente colpito da uno sguardo sprezzante di Dom. Era un campo minato, quella strada.

«Non mi sbaglio affatto! Ma devo arrabbiarmi solo con me stessa, visto che ho accettato di avere un fidanzato innamorato di qualcun altro.»

«Io non am-» prima che il moro potesse controbattere, la donna lo zittì con uno schiaffo veloce e preciso.

«Taci. Ti disprezzo. Non sei abbastanza gay per vivere la storia con Dominic, ma non sei abbastanza etero per sposarmi, avere dei figli con me, amarmi. Non sei nulla, Matt.»

Il chitarrista incassò schiaffo e parole con la stessa fragilità. Gli si sbarrarono gli occhi blu, come a dire: basta, vi prego!

Ma Dom non accettò il comportamento della donna, per questo intervenì. Si alzò e, ponendosi fra lui e lei, disse schiettamente:

«Come ti permetti? Non dare del gay a Matthew, non toccarlo mai più. Sono io a disprezzare te!»

Gaia inasprì l’espressione del volto, sdegnandosi sempre di più.

«Sei ridicolo, Howard. Stai dietro a questo disperato da quasi vent’anni, e oltre che lui non hai niente. Non uno straccio di donna, non un futuro. Svegliati, non fare la predica a me.»

Dominic indurì i pugni. Non avrebbe mai e poi mai fatto violenza su qualcuno di più debole, ma quella sera carezzò da vicino la tentazione di piantarle un pugno sul naso.

«Decido io cosa fare della mia vita. Se ho deciso di viverla con lui, tu puoi solo consumarti nell’invidia.»

La donna abbassò il capo. La folta chioma castana le coprì il volto, attribuendole un aspetto selvaggio. Rialzò gli occhi eleganti e, cercando quelli di Matt, disse:

«Scegli. O me, o lui.»

Dominic disapprovò immediatamente quella proposta, ma, quando vide che Matthew lo scostò e si preparò a rispondere, tentò di darsi una regolata. Gaia si riassestò un ciuffo di capelli e sporse in avanti le labbra rosse, assumendo una posa provocante. Matt la fissò intensamente. L’imbarazzo crebbe a dismisura. Poi parlò:

«Voglio che tu rimanga la mia fidanzata.»

 

Dominic boccheggiò nell’atto di dire: cosa? Restò sbalordito. Evitò di guardare Gaia, la quale subito sorrise, sorniona e vincitrice.

«E’ la tua scelta definitiva?» rimarcò, con voce suadente.

«Sì che è la sua scelta definitiva» sussurrò Dom, sguardo raso terra e pugni, finalmente, rilassati.

Aveva perso. La sconfitta, a differenza della vittoria, a cui la mente fatica ad abituarsi, è facile da accettare: è la fine, la fine irrimediabile di qualcosa, un mondo che si sgretola e il nulla che lo segue. Dominic si sentì solo nel posto sbagliato in un momento sbagliato; gli crollò sulle spalle la stanchezza dell’intero pomeriggio, e, pur sotterrato dal peso della delusione, concluse che non si trattasse infondo di nessuna tragedia, che anche quella volta il suo cuore sarebbe andato avanti, sì, serviva solamente la pomata lenitiva con cui il tempo lo avrebbe cosparso. Senza dire o fare altro, girò sulle suole e prese a camminare dalla prima parte che capitò, ovvero verso il mare, il quale rumoreggiava appena dietro la fila di alberi al bordo della strada. Affondò i piedi nella sabbia; decise di non decidere niente, di camminare sui granelli morbidi verso le onde nere, sotto la pallida luna piena. Il dolore che serbava la sua anima era infinito come quella distesa tetra, come il mare e il cielo fusi in un unico nero.

Gaia lo seguì con lo sguardo per pochi secondi, poi guardò Matt, dicendo:

«Amore, sapevo ch-» non riuscì a terminare la frase perché il ragazzo non era più lì.

«No, Gaia, non sapevi. Adesso parliamo, ma prima fammi andare a bloccare Dom affinché non compia follie» disse, già distante.

Lei non accettò l’umiliazione. Secondo il suo ragionamento, se lui aveva scelto lei a quel punto avrebbe dovuto baciarla e dichiararle amore, dimenticandosi completamente dell’altro… non inseguirlo! Comprese di non aver capito niente; ma, d’altro canto, niente più volle capire.

S’infilò furente nella sua BMW e decise che Matt, con lei, aveva chiuso. In modo permanente.

 

Matt rincorreva Dom, anche se il leggero sospetto che Gaia se ne fosse andata gli sopraggiunse; lo respinse perché, facendo un rapido calcolo delle priorità, lei non rientrava fra queste. Non più, non dopo quello che era appena accaduto.

«Dominic! Dominic! Fermati, aspettami!» gridava il ragazzo dagli occhi azzurri, mentre quello dagli occhi verdi credeva di sentire le voci.

«Dominic! Dom! Dommy!»

Alla sesta volta che urlò raggiunse quell’inarrestabile Dominic. Erano ormai in riva al mare. Le onde lisciavano la sabbia soffice di continuo, con un battito regolare. Una leggera brezza soffiava in direzione del mare, che invece sprigionava mite calore. La natura sembrava in pace con se stessa e, ignara dei drammi dell’uomo, si beava della sua perfezione. Le loro scarpe cominciavano a sprofondare, a bagnarsi.

«Volevi umiliarmi?» chiese violentemente Matthew, sguinzagliando queste parole contro Dominic come per morderlo. «Considerati soddisfatto, perché ci sei riuscito!» e, in un batter d’occhio lo tirò a sé, afferrandolo per il colletto della camicia.

Dom lasciò che i loro petti sbattessero l’uno contro l’altro e che la mano di Matt stritolasse la stoffa della sua maglietta. I loro capelli ondeggiavano, coprendo e scoprendo gli occhi che, così vicini, erano fuoco nel fuoco.

«Io mi chiedo cos’hai, cos’hai tu che gli altri no!» incalzò il moro, parlando più con la sua coscienza che con Dom.
Si fronteggiarono per qualche secondo, tentando di stabilire una gerarchia che non era possibile stabilire.

«Avanti Matthew, fammi male.»

«Io? Farti male? Sii sincero. Con quante troie sei andato, tu, nel frattempo?»

Dom aggrottò la fronte. Dove voleva andare a parare? Matt non gli lasciò il tempo di riflettere. Portò le loro labbra ad un millimetro di distanza.

«Sai cosa ti dico? Che non importa.» Concluse.
Dominic inspirò con la bocca, risucchiando il respiro di Matthew nel suo. C'era una qualche maledetta magia in tutto quello, un'attrazione primordiale, un richiamo dell'istinto. Appoggiò le mani sui fianchi di Matt, in modo da far aderire anche le loro erezioni, senza vergogna.


«Tu sei il mio sbaglio più grande, Dom» sussurrò Matthew, facendo scorrere le mani dal colletto ai capelli del biondo, sulla nuca, dove li strinse tra le dita eleganti.
Dom attese ancora un secondo, secondo durante il quale godette nel sentire i sensi indebolirsi. Poi baciò Matt, che lo stava ancora fissando per stabilire se concedersi o no. La passione che sondò nei suoi occhi lo convinse. Abbassò le palpebre.

La luna divampò sopra i loro corpi, subito stesi sulla sabbia, e a Matthew, che ingoiava avido aria tra un bacio profondo e l'altro, avendo ormai rinunciato a frenare l'impeto di Dominic, ma accettato di donarsi a lui, sembrò che quel bellissimo astro parteggiasse per il loro amore, che fosse complice del loro segreto. Sorrise felice. «Buon compleanno, Matthew.»


NDA: Buongiorno. Che piacevole dolore, che doloroso piacere (ossimoro e chiasmo nella stessa frase! Ok, cretinata.) scrivere questo capitolo 19. L’ho fatto nei modi più disparati e disperati! A voi è piaciuto? Sinceramente mi sono dilettata assai; devo riconoscere che ad ispirarmi sono state parecchie persone e cose, in primis William, Tasso e tanti amici miei, dei quali solo un paio leggono, e sono Megalomania e My MB<3.

Ricordo che siete sempre in tempo per farvi sentire, sia in qualità di recensori che di critici. Ringrazio tutti quanti, tutti. Mi siete cari. Bye!

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Ventesimo capitolo: Special Gaps. ***


•SPECIAL NEEDS•
 
"Questo amore,
così violento, così fragile, così tenero,
così disperato! Questo amore,
bello come il giorno,
e cattivo..." 
[Jacques Prevert]
 
 
 
 
 
 
Capitolo Ventesimo: Falling with grace, for you.
 
 
 
 
(2005)
Per ritrovare l'ispirazione artistica, a volte, è necessario ritrovare prima se stessi. Girando il mondo, incontrando numerose persone, conoscendo le cospicue sfaccettature in cui si 
suddivide la molteplicità del tutto, può capitare di smarrire la propria identità; ci si sente come troppo complessi per rimanere gli stessi di prima, e la necessità di una svolta giunge 
inaspettata quando indispensabile. Così, superata l'iniziale fase più confusionaria, in cui ovviamente anche ogni tipo di produzione artistica subisce una battuta d'arresto, si va in certa di 
una nuova forma, di un nuovo abito che ricopra la nostra personalità, per certi versi, mutata. Non c'è né luogo né tempo prestabilisto affinché la ricerca abbia termine. In effetti, essa 
protrebbe durare in eterno; ciò che conta è che venga portata avanti con dedizione, perché, durante l'inevitabile sperimentazione verso la scoperta dei "nuovi noi", l'occasione di una preziosa crescita intellettuale è servita su un piatto d'argento.
 
Imbattutosi esattamente nel periodo di vita sopradescritto, Matthew decise di rintracciare un posto isolato dal mondo, dove fosse possibile pensare e creare in libertà, per registrare se non 
tutto, almeno un buon terzo dell'album che intendeva pubblicare l'anno venturo. Grandi idee gli frullavano per la mente; voleva scrivere canzoni che enucleassero concetti a suo avviso 
fondamentali, come l'amore e le cospirazioni politiche, la guerra e le perversioni dell'animo umano, per esporli sostenuti da musica graffiante, artificiale e melodica allo stesso momento. I 
suoi progetti avevano bisogno d'infiniti cieli azzurri in cui adagiarsi e completarsi, campi verdi da cui attingere linfa, aria incontaminata tramite cui distendere il polmoni. Qualcosa di puro e 
profondo quanto i pensieri che la sua mente, impetuosamente, carezzava di continuo.
In un posto suo e di nessun altro sentiva che, sì, le fondamenta della sua anima sarebbero state forgiate a nuovo.
Per questo la scelta ricadde sullo Château.
 
Proporlo agli altri non fu una passeggiata; la prospettiva di una sessantina abbondante di giorni, perché si trattava minimo di luglio e agosto interi, trascorsi in campagna senza né telefoni, né internet, né svaghi da metropoli sembrava poco incoraggiante -ricordandosi anche di famiglia e mogli o fidanzate, poi, diventava quasi insopportabile.
Tuttavia, il front-man si mostrò convincente. Illustrò con metodo i risvolti positivi di una condotta come quella, quindi intederminato tempo per dedicarsi a composizione e registrazione di pezzi, 
indipendenza totale da orari o norme, spazi piacevoli in cui intrattenersi... era certo che sarebbe stato un autentico ristoro. Inoltre non negò a nessuno la possibilità di, magari durante il 
fine settimana, prendere un aereo per dove volesse; fu così che anche l'irremovibile padre di famiglia, Chris, acconsentì.
E il magnifico castello del diciassettesimo secolo, infestato a detta dei proprietari da leggente e fantasmi, non deluse le loro aspettative.
 
Quando arrivarono, s'impiegò più di una settimana per sistemare strumentazione ed oggetti personali. L'affitto, pur considerata l'ampiezza della resistenza, non era particolarmente costoso, quanto meno per le loro felici finanze. Ciascuno adibì la camera riservatagli nel modo più congeniale; gli spazi comuni vennero colmati di strumenti e derivati, oltre che di cianfrusaglie pescate qui e là per passare il tempo in caso di pioggia e mancanza d'ispirazione. Fu un trasloco fatto e finito, infatti solo al suo compimento cominciò la vera e propria "vacanza".
Presto s'accorsero che la caratteristica di maggior pregio era il clima. Essendo piena estate, ci si sarebbe aspettati afa e umidità, invece in quel prospero ritaglio di eden si respirava vento fresco e profumo di fiori. Tutti sono un po' meteoropatici, per questa ragione un'estate fresca e profumata rese i loro umori cristallini, allegri, sereni, non meno delle distese verdi e azzurre che li attorniavano.
Un lago agibile giaceva placido alle spalle del castello e divenne uso comune farci il bagno quotidianamente per tutti e tre, specialmente per Dominic, al quale per poco non spuntarono pinne e branchie.
Chris prediligeva la pesca, passatempo per altro scacciapensieri e donatore di cene squisite; Matthew trovò a neanche un km di distanza un maneggio disponibile al noleggio. E' scontato dire che lunghe cavalcate su e giù per i campi o attraverso radi boschetti divennero l'ordine del giorno per i tre ragazzi rifugiati in quel nido per uccelli selvatici? 
 
 
"cattivo come il tempo 
quando il tempo è cattivo, 
questo amore..."
 
 
La campagna era particolarmente amabile quando su di lei calava delicatamente la sera. 
I colori, solitamente molto vivaci, sembravano sbiadire ed assumere tinte pastello; il cielo, di giorno carico d'azzurro, si scuriva quieto, come assorto nell'ammirare la bellezza dei nascenti
astri. Il profumo delle frugali cene preparate dalla gente semplice che abitava nei dintorni prendeva il volo e, trasportato da una leggera e tiepida brezza estiva, faceva il giro dei campi.  L'occhio di un poeta avrebbe detto che sembrava ripristinata l'armonia persa durante lo svolgimento della giornata. Così, tra un cinguettio morente e un timido fruscio di spighe di grano, la luna s'affacciava luminosa ed inespressiva sul Sud della Francia, lasciando che la terra sempre più scura s'inabissasse verso una muta contemplazione della sua fredda bellezza.
In questo placido e rigoglioso microcosmo, un ragazzo biondo camminava spensierato tra i filari di una vigna. Le estremità della sua bianca e sottile camicetta svolazzavano indisciplinate; tradivano il sottostante petto abbronzato e naturalmente glabro. Il suo volto, incorniciato dagli ultimi raggi di sole che, filtrando attraverso i suoi capelli, s'impreziosivano d'oro, era diretto verso Nord, verso la bassa collinetta sopra cui s'innalzava la sua attuale residenza, chiamata Château Miraval; non c'era traccia, nella purezza degli occhi, di alcuna preoccupazione... affiorava solo una lieve venatura di profonda nostalgia, radicata fin nell'anima, insapore, incolore, anonima come l'apatia che sembravano trasmettere i suoi lenti passi sull'erba piegata dal vento.
Se non avesse avuto uno sguardo così sfuggente, si sarebbe detto in cerca di qualcuno -qualcuno il cui affetto gli scaldava le pupille d'amorosa preoccupazione.
 
Fermatosi improvvisamente davanti ad un grappolo maturo, allungò una mano in direzione dell'uva gonfia e presto pronta per essere raccolta. Carezzando un acino, lo raccolse facendo estrema attenzione a non disturbare i suoi gemelli. La buccia rossa dell'acino che Dominic prese tra il pollice e il medio si piegò gentilmente sotto i suoi polpastrelli. Gli occhi del giovane sorrisero davanti al semplice splendore racchiuso in quella sfera purpurea; il colore gli ricordava il vino, il cielo al tramonto e le rose. Gli ricordava anche la tinta che, nelle sere più fresche, prendevano le labbra screpolate di Matthew. Con meditata accortezza, ritrasse la mano dalle foglie del vigneto e, prima che potesse decidere se mangiare o lasciar lì l'acino strappato, un rumore lo disturbò. Bastò qualche secondo perché, alle sue spalle, una voce familiare, limpida come l'azzurro degli occhi della persona a cui entrambi appartenevano, lo chiamasse.
Dominic si voltò e, ritrovandosi faccia a faccia con il suo migliore amico, si rassenerò. Non era una novità che lo raggiungesse, durante le sue passeggiate serali per i campi -ma, non si può ometterlo, era sempre fonte di piacevole sorpresa la sua comparsa. Quella volta Matthew aveva un'aria decisamente pacifica, rilassata, disponibile. Il biondo notò che indossava una sua maglietta, però non pensò niente di male a riguardo; gli avrebbe prestato volentieri ogni vestito del suo armadio.
Quando Matthew indossava i vestiti di Dom, accadeva che fino al primo lavaggio essi conservavano l'odore della sua pelle e sarebbe come mentire affermare che Dominic non avesse mai provato un gusto estremo nell'annusarli, nel riempirsi le narici, il cuore e la mente di quell'odore che, in fondo all'anima sapeva, avrebbe cercato anche nell'ultimo dei suoi giorni. Era solo un bisogno speciale che non sentiva di negarsi; uno dei tanti.
 
«Hai qualcosa da dirmi?» domandò il ragazzo in bianco, facendo roteare piano l'acino d'uva tra le punta delle dita, come se si trattasse delle due estremità del suo asse di rotazione.
«Sì. La cena è pronta» rispose Matt, pensando che Chris era probabilmente già seduto a tavola con la faccia di chi è impaziente di cominciare.
L'acino precipitò e scomparve nell'erba alta. Matthew se ne accorse e si domandò il motivo per il quale l'amico avesse derubato un grappolo, per altro non di sua proprietà.
«Avete fatto presto, questa sera» commentò Dominic, pronto ad incamminarsi verso casa.
«Già, abbiamo fatto presto» ripeté meccanico il moro, muovendo i piedi in direzione della collina.
Dom, che in effetti aveva lo stomaco vuoto da parecchie ore e desiderava riempirlo, annuì e lo seguì in silenzio.
Non se lo erano mai detto, ma piaceva molto ad entrambi camminare al tramonto per i campi perché, mentre loro procedevano senza sprecare una parola, osservare di nascosto l'uno all'altro le loro ombre, vicine e simili, proiettate sul terreno era un po' come osservare l'essenza della loro amicizia; due spiriti affini ed evanescenti, prossimi al contatto ma mai veramente destinati ad esso.
Il sole, sanguinando solitario nel cielo violaceo, sembrò dare loro il suo addio, mentre con un ultimo raggio batteva caldo le loro schiene; era ormai prossimo a scivolare sotto la linea dell'orizzonte.
 
La cucina, rischiarata da qualche faretto sparso nell'ampio spazio di cui la stanza disponeva, odorava di carne arrosto e verdure cotte. Le grandi vetrate di cui era dotata lasciavano osservare, a chi volesse, il paesaggio bruno che la notte s'impegnava a scurire senza fretta. La campagna, docile di giorno quanto un agnello, assumeva i tratti di un lupo scabbioso, col calare delle tenebre.
Chris sedeva con la forchetta impugnata e il telefono vicino al bicchiere semi-pieno di vino; attendeva una chiamata da parte della moglie, oltre che l'arrivo dei suoi colleghi e migliori amici. Quando sentì il rumore della porta, prima aperta e poi chiusa, capì che la sua per-niente-dolce attesa fosse finita: sospirò sfinito e si augurò che i due non impiegassero molto a percorrere la scalinata che conduceva dal pianterreno alla cucina. Le risate che percepirono le sue orecchie lo tranquillizzarono; -saranno pure due ritardatari, ma se si stanno divertendo, posso passarci sopra.
«Ehi, buon uomo!» esclamò Dominic, entrando nella stanza permeata di profumo di cibo.
Il cosiddetto "buon uomo" sorrise di malavoglia e, allungando una mano, scostò la sedia affianco alla sua per invitare il compagno a sedersi.
«Forza fratelli, i miei 80kg reclamano quanto è dovuto loro per mantenersi tali.»
«80kg? Forse cinque anni fa, Chris!» sghignazzò Matthew, dopo aver preso posto a capotavola e aver ficcanasato tra le pietanze fumanti.
«Signorino "metto su pancia appena finiamo il tour", la prego di essere più sensibile nei confronti delle rotondità altrui» rispose Christopher, senza perdere la calma.
Dominic, da sempre poco incline alle chiacchiere, tralasciò il borbottio dei compagni e si concentrò su una bistecca arrosto. Gli piaceva il modo di cucinare di Chris, era sostanzioso e gradevole al palato -al contrario di quello di Matthew, notoriamente ipercalorico e nauseabondo. 
«E lo sarei, se qualcuno non si levasse 10kg solo per giustificare la sua ingordigia» ribatté il front-man, versandosi nel piatto una cascata di carote bollite.
Chris scosse la testa in segno di saturazione e infilzò un pezzo di vitello per poi farlo sparire nella bocca circondata da una barbetta incolta.
«Avete mai pensato che è una settimana che siamo chiusi qui dentro e abbiamo già concluso due canzoni senza litigare?» domandò Dom, masticando a bocca aperta.
Matt gli rispose con una smorfia e gli suggerì vivamente di chiudere quel buco dentato pieno di carne sminuzzata.
«Comunque sì, siamo stati bravi e ritengo che l'idea di Chris di partire per il week-end non nuoccia all'equilibrio della nostra amicizia» disse infine il moro, tentando di trovare un modo veloce per affrontare la piramide di carote gocciolanti d'olio che aveva davanti.
«Sono d'accordo! Almeno tu che puoi, esci di qui e vedi di scop-» prima che potesse finire di articolare la frase, Dominic si strozzò con un boccone di carne mal masticato e gli toccò piegarsi in due e tossire fuori ai polmoni quella roba. -Ben ti sta, infoiato che non sei altro, pensò Matthew, nascondendo il ghigno che fece capolino sulle sua labbra leggermente unte. -Poi sai bene che nulla ti proibisce di sfogare i tuoi bisogni su qualcuno che non siano le donne, in fin dei conti...
«Dom, mio caro, cosa ti fa pensare che uno dei primi pensieri che mi assillano sia quello di approfittare della mia bella mogliettina?» ridacchiò Chris, leggermente arrossito dopo un sorso di vino e l'immagine della sua Kelly pronta ad accoglierlo.
Dominic, passato il rischio di morte per soffocamento, fece spallucce con aria angelica.
«Niente, amico mio! Però tu sì che la sai lunga, mica come questi due fessi segregati in convento» disse, riprendendo a mangiare con ancora più foga.
«Dom, poche bugie: cosa ti frena dall'andartene pure tu a cercare qualcuno/a a cui donare il tuo cu-, perdono, il tuo cuore nel week-end? Io ho litigato con Gaia e me ne sto bene qui da solo come un cane, non mi mancheresti neanche un po'» borbottò Matt, infastidito per vedersi addossare la responsabilità di quella castità forzata che tanto sembrava pesare sullo spirito bollente dell'amico.
Dominic, capendo di aver urtato il precario equilibrio dell'umore di Matthew, pensò fosse meglio rimediare. Dopo aver deglutito, si tamponò le labbra col tovagliolo e, posando la forchetta nel piatto come chi è sazio, s'aggiustò il ciuffo di capelli calatogli sulla fronte; poi, facendosi vicino al cantante e rasentandogli la caviglia con un piede, gli rispose a bassa voce:
«Mi piaci quando fai il geloso, sai?»
Una pioggia acida avrebbe provocato meno danni della sfrontatezza del biondo. Chris, piombato in un universo che non avvertiva come suo, sentì sparire l'appetito; Matt, avvampando per l'imbarazzo, distolse lo sguardo per puntarlo in basso di lato, mentre un lieve rossore gli tingeva le gote; la piramide di carote, come risentendo della catastrofe incombente, si sbilanciò e si sfracellò sulle gambe del chitarrista. 
«Merda, Dominic!» strillò Matthew, alzandosi di scatto e sparpagliando ancora di più olio e verdura per il pavimento lucido della cucina. -Il tuo tocco è una scossa elettrica per me, cazzo.
«Che ho fatto?» si difese il batterista, un po' risentito per aver "osato" tanto.
«Disastri, sparite di qua ché l'unico che sa pulire questa quantità spropositata d'olio è il sottoscritto» concluse amaramente Chris, già diretto verso il cassetto delle spugne e dei detersivi.
-Quando, quando imparerai a non essere allergico al mio affetto, Matthew? si chiese Dom, guardandolo andare via con uno strofinaccio sulle gambe per impedire che l'olio gocciolasse in giro. In cuor suo il biondo sapeva esattamente come sarebbe andata: Matt si sarebbe fatto una doccia e poi avrebbe passato dalle tre alle cinque ore solo col suo pianoforte, facendosi infine trovare addormentato sulla tastiera, ma gli andava bene -da addormentato diventava incredibilmente più arrendevole, per questo lasciava che Dom lo trasportasse, tenendolo per la vita, fino alla camera da letto dove, il più delle volte, non voleva rimanere abbandonato ai suoi incubi...ma neanche permetteva che il suo migliore amico si spingesse più in là di qualche innocua carezza sul volto o poco più in basso.
Non si erano più incontrati in quel modo sin dal compleanno del cantante e una certa voglia, strisciante e sfregiante più che mai, cominciava a muoversi nelle profondità.
Ecco il vero motivo di tutta quella tensione.
 
 
"Questo amore,
così vero, questo amore così bello,
così felice, così gaio, così beffardo..."
 
       
 
«Fai buon viaggio» sussurrò Dominic nell'orecchio di Chris, abbracciandolo sulla porta del castello.
Il taxi che lo avrebbe condotto fino all'aeroporto era arrivato e per il bassista era ora di spiccare il volo verso casa. I suoi occhi color nocciola e lisci come una distesa di cioccolato diedero un veloce sguardo alla campagna nera, scurendosi inquieti; poi, per grazia celeste, le stelle sopra la loro testa li confortarono con la loro luce lattea.
«Grazie e tu prenditi cura di quell'anima indomita.»
«Certo. A lunedì!» esclamò Dom, sciogliendo la stretta.
Chris annuì e, non volendo far perdere la pazienza all'autista, si affrettò a raggiungere la macchina. L'ultima occhiata la rivolse all'amico e l'amico capì cosa significasse -qualcosa che fra donne si esplicita con la frase "ti voglio bene", ma che fra uomini rimane taciuto.
Dom, leggermente infreddolito da un alito di frescura notturna, rientrò; poi, assicuratosi che la porta fosse ben chiusa a chiave, decise che si sarebbe andato a fumare una sigaretta in camera sua. Una "sigaretta del pensiero", come usava chiamarla quando Matthew gli dava occasione di pensare -pensare a loro, sia chiaro, non a quanto bello sarebbe stato avere una moglie o dei figli, per esempio.
D'altronde, cosa v'importerebbe di una cosiddetta vita normale, quando potreste averne una da rock star con tanto di magnifico migliore amico (il più deficiente, geniale e paranoico del mondo) sempre pronto a farvi dannare l'animo? 
 
La mancanza d'inquinamento luminoso rendeva il cielo notturno limpido come le acque di un lago di montagna. Senza sbavi di bruma ad ostacolarne la lucentezza, miriadi incalcolabili di stelle brillavano perfettamente inserite con matematica precisione nel manto corvino della notte; aveva tutta l'aria di essere la tela di un pittore, quello spettacolo per la vista.
Dominic, sdraiato sul suo letto matrimoniale, con lo sguardo rivolto verso il soffitto bucato da una vetrata centrale, guardava imperterrito una stella straordinariamente rilucente inserita in una zona leggermente più scura. Solo il fumo della sua sigaretta confondeva ogni tanto la soave visione, interponendosi fra gli occhi semichiusi del ragazzo e la stella.
Con un'unghia grattava via la copertina di plastica del pacchetto vuoto di Lucky Strike; "il fumo uccide" c'era scritto, ma Dominic pensava che sarebbe stato più facile morire di pazzia che di cancro ai polmoni. -La pazzia, sì, quella che prende il sopravvento quanto ti ritrovi a guardare le stelle come se fossi un astronomo, mentre in realtà non ne capisci un cazzo e vorresti solo che quel cocciuto del tuo migliore amico la smettesse di strimpellare e venisse lì a fumare con te.
Un altro tiro, un'altra boccata di fumo nella stanza la cui aria si faceva sempre più pesante. Un'altra stella cadente da guardare spegnersi inerte, bruciando e sfumando in una breve scia biancastra.
Dom sentì i primi sintomi del sonno. Anche solo tenere gli occhi aperti e fissi su quell'infinità disorientante diventava uno sforzo troppo oneroso. Decise di alzarsi, darsi una rinfrescata e mettersi a dormire. -Questa volta ti lascerò dormire sulla tastiera, non ti meriti nessun aiuto.
Sarebbe bello riuscire a portare a termine i propri propositi, una volta nella vita. Quelli di Dominic evaporarono in fumo di sigaretta non appena uno scalpiccio veloce e goffo si fece udire; il suo corpo, rigido come un tronco, s'inchiodò al materasso. E così rimase solo da attendere.
Se non avesse tenuto gli occhi impressi nel cielo, avrebbe visto un'ombra accostarsi alla soglia. Infatti, sull'immagine del corridoio, illuminato da luce soffusa, si stagliò una sagoma nera, probabilmente intenzionata a farsi avanti. 
«Dormi?» bisbigliò la sagoma, spegnendo lentamente le lampade del corridoio, così che tutto sprofondasse nell'oscurità. Ora non era più visibile niente, niente all'infuori del corpo sdraiato di Dominic rischiarato dalla pallida luce proveniente dalla finestra.
«No e sì, Matthew, puoi entrare.»
Matthew non se lo fece ripetere due volte. Giustapponendo la porta allo stipite, quasi avesse paura che qualcuno entrasse con lui, mosse tre passi in direzione del matrimoniale.
«Prima...non è stata colpa tua. Cioè, ver-»
Dominic non lo lasciò finire. Lanciando la sigaretta verso un bicchiere sul comodino opposto a quello più vicino a lui, attese di fare canestro e poi alzò il palmo aperto, suggerendo all'amico di fermarsi.
«Non essere caparbio; credo che avere scazzi fra amici, a maggior ragione quando si sta a stretto contatto quasi 24h su 24, sia normale.»
Matthew, rilassando i nervi e ben felice di aver evitato di scusarsi, sentì l'indicatore dell'ostilità fra lui e Dominic calare, calare meravigliosamente.
«Sarebbe strano il contrario!» proruppe, visibilmente disteso. -Bravo Dom, è un ottimo modo per dare inizio a quella che vorrei essere una nostra serata dopo tanto tempo, così difficile da far passare...
Dom, mettendosi a sedere, si passò una mano sul volto; puzzava di fumo da far schifo. -Una doccia non guasterebbe. Guardò in direzione del bagno con aria desiderosa di andarci.
«Oh, se disturbo, io me ne posso andare a dormire» incalzò Matt, già pronto a girare sui tacchi.
«No, resta!» esclamò con voce troppo alta Dominic, tradendo così la sua immensa voglia di passare del tempo in sua compagnia. «Volevo dire, se ti va...» si corresse subito dopo.
Matt, particolarmente colpito, optò per adempiere la volontà dell'amico, rimanendo.
«D'accordo, allora tu magari vai in bagno a fare quello che devi fare, io ti aspetto...» e cercò con gli occhi un posto dove sedersi che non fosse il letto.
«Qui» ordinò il biondo, posando una mano sul materasso. I capelli gli fecero ombra sull'espressione del volto, in modo da celarla alla vista di Matthew. -Qui! risuonò nella mente di entrambi, stentoreo. 
«Qui» ripeté il pianista, avvicinandosi all'obiettivo con passo determinato.
In sincronia, l'uno si sedette l'altro s'alzò. Sembravano scottati dalla vicinanza dei loro corpi, talmente scottati da volersene disfare in gran furia.
Dominic si diresse in bagno e socchiuse la porta, augurandosi mentalmente che il suo compagno non si mettesse a curiosare per la sua stanza; non aveva segreti da nascondere, però non voleva che con le sue manacce creasse disordine. 
Matthew, rimasto solo, per prima cosa saltò in piedi e aprì uno spiraglio in modo da cambiare l'aria; l'atmosfera ne avrebbe solo giovato. Successivamente, si distese sulla sua porzione di letto e, debole al profumo che Dominic aveva lasciato sulle lenzuola, passò il tempo ad occhi chiusi, assorto in chissà quali pensieri. Subodorava leggerezza e calma, un confortante senso di sicurezza e protezione, e poi dal nulla ritrovava il suo posto nel cosmo -ovvero da nessun'altra parte che lì, affianco alla forma eterea che Dom aveva lasciato sul letto.
 
Quando il batterista spense la luce del bagno e ne uscì fresco e pulitissimo, si compiacque di non percepire più lo sgradevole puzzo di fumo. Allacciandosi l'elastico che gli teneva stretti alla vita i pantaloni della tuta con cui usava dormire, si appropinquò al letto. L'acqua tiepida aveva lavato via dal suo corpo tracce di stanchezza e agitazione dovute alla cena problematica; in lui rimaneva solo brama di dare a quella notte un taglio diverso dalle altre, piuttosto simile a quelle uniche due che in precedenza c'erano state.
Per sua sfortuna, però, trovò il front-man assopito. Girato su un fianco, con una mano sopra e l'altra sotto il cuscino, le gambe piegate, dormiva beato. A guardarlo, sembrava quasi un altro. Quasi felice.
-Matthew... si disse fra sé e sé l'uomo, sdraiandosi al fianco del bell'addormentato. 
Per un indecifrabile motivo voluto da chissà chi, si formava sempre un divario prima che loro riuscissero ad incontrarsi.
«Cosa?» scattò su il moro, per stimolo incondizionato, insospettendo Dom che gli avesse letto nel pensiero.
«Niente, niente, dormi, Mattie» ebbe la premura di dire subito Dom, abbassando con una mano il corpo irrigidito di Matt.
«Ho trovato il titolo a quella canzone, Dom, l'ho trovato, io l'ho trovato, Dom» farfugliò confuso il sonnambulo, riadagiandosi sul cuscino ancora in preda a strani discorsi.
«Buono, buono» sussurrò Dominic, carezzandogli una guancia per calmarlo.
«Già, sì, sto buono, Dom, Starlight, con te però, Dom, io, Dom, Dom...» finì di borbottare il ragazzo, sedato dalle carezze dell'amico.
-Quanto caos in questa tua mente brillante, Matt... constatò il biondo, non appena riuscì a placare del tutto l'ansia pulsante sotto le palpebre corrucciate dell'amico.
Si concesse ancora qualche secondo per accarezzare quella testa matta, con la mano affondata nei capelli ruvidi, e poi, smorfia ad imbruttire il volto, si girò bruscamente dal lato opposto. Così facendo non avrebbe visto il corpo di Matthew neanche per sbaglio e magari la fastidiosa pulsione di farglisi più vicino si sarebbe spenta. Con un po' di coraggio, sarebbe riuscito a dormire. -E non privarmi anche del sonno, pensò prima di crollare, stringendosi con una mano il pettorale sinistro.       
 
 
 
"Tremante di paura come un bambino al buio
e così sicuro di sé,
come un uomo tranquillo nel cuore della notte..."
 
 
 
La mattina seguente, il primo a svegliarsi fu Matthew. Sorpreso da se stesso per essersi addormentato con tanta facilità e successivamente non essersi imbattuto nei soliti incubi, lanciò un'occhiata di ricognizione alla stanza in cui si trovava; quella di Dominic e quest'ultimo era proprio lì al suo fianco ancora con gli occhi chiusi e lo sguardo sognante. I suoi occhi azzurri seguirono le curve del corpo di Dominic per poi alzarsi verso la finestra, ancora socchiusa, dietro la quale l'alba sembrava esplodere di luce. Feriti dal repentino aumento di luminosità, si spostarono in fretta dalla vetrata. Non aveva nessuna intenzione di preparare la colazione; quel compito spettava al batterista e Matt, anche se fosse stato in punto di morte per denutrizione, non avrebbe mosso il suo posteriore dal materasso.
Rimessosi in posizione supina, si rovesciò dal lato dell'amico e con un ginocchio gli fece pressione sul fondo schiena. 
«Sveglia, ho fame!» disse, senza ottenere alcun risultato. «Dom?» 
Spinto dal dolore che lo stomaco vuoto dalla sera prima gli causava, passò a maniere più persuasive. Agganciandosi con una mano al fianco morbido dell'amico, si tirò avanti, finendo col far aderire completamente il lato anteriore del suo corpo a quello posteriore di Dominic. Proprio come un cucciolo di koala, gli passò le braccia attorno al collo e si mise a mordere il lobo dell'orecchio che sfortunatamente si trovò davanti alla sua bocca. 
«Ah!» gridò Dom, infastidito dalla fitta di male che la carne del suo orecchio sinistro trasmise al suo cervello. 
Cercò di proteggersi con una mano, ma i denti famelici del chitarrista si attaccarono a quella, mentre dalla gola del cannibale provenivano versi animaleschi.
«Matt, che cazzo ti ho fatto per subirmi questa tortura?» lo supplicò il batterista, cominciando a dimenarsi con più forza per farlo smettere.
«Se mi vai subito a preparare la colazione, ti lascio andare» minacciò il cantante, stretto ancora al corpo dell'amico come un polipo ad una roccia.
«Agli ordini, agli ordini!» obbedì Dom, felice di sentire la morsa indebolirsi. 
Messosi a sedere, in un batter d'occhio fu in piedi. Impiegò qualche secondo per ritrovare il senso dello spazio e del tempo, poi si girò in direzione di Matt, ancora chiaramente spaparanzato sul letto stropicciato. Lo guardò con occhi neri di rabbia e infine, indicando il cavallo della sua tuta, esclamò:
«Ottimo lavoro!»
Matt ridacchiò soddisfatto e lasciò che il povero eccitato inutilmente corresse a sbrigare il suo dovere. Appena rimase solo, si accorse che anche i suoi jeans mostravano una certa anomalia. Sbuffò e, apparentemente più affamato di prima, si voltò con l'addome verso il materasso, addentando per il nervoso un lembo del lenzuolo; -masochismo, questo si chiama purissimo masochismo!
 
In cucina, Dominic frullava frutta e latte come se stesse frullando la marea di odiose sensazioni che quel risveglio aveva destato in lui. Ci avrebbe messo la testa, in quella centrifuga; anzi, avrebbe messo quella di Matthew nella speranza che magari, una volta aperta, si sarebbe scoperto il diavolo che conteneva. -Be', è un'ingiustizia. Io ti trovo addormentato e mi tengo le mie idee malsane per me; tu mi trovi addormentato e, ma sì, dài libero sfogo alla fantasia. Capisci che non c'è simmetria, in tutto questo?
Il suo interlocutore, al momento un bicchiere nel quale versava il frullato, si avvalse del diritto di rimanere in silenzio. -Lo vedi? E' sempre così che va a finire. Stiamo buoni per un tot e poi bam!, per una balla o per l'altra cadiamo nel solito circolo vizioso. Pescando dal contenitore una decina di biscotti ai cereali, riempì con quelli un piatto e poi mise il tutto su un vassoio. -Tu sei uno stronzo, un animaletto lussurioso che però, bello mio, oh, perché bello lo sei... e per un attimo il flusso di pensieri illogici e decisamente irrazionali si arrestò, dando modo allo sguardo del biondo di vagare nel nulla, -che però non sa quanto io possa essere migliore di te in tutto. Afferrando il vassoio per due lati opposti, sentì balenare nella mente una serie di possibili vendette. -Profondamente addolorato, ma adesso ti supero in astuzia ed egoismo: vuoi mangiare? Bene, tutto il cibo che vuoi, ma guardò perfido il cibo sul vassoio, che, pur essendone inconsapevole, costituiva la chiave di volta della sua vendetta, dovrai contraccambiare in natura! Ridacchiando, acciuffò un grembiule e salì le scale a due a due. 
 
«Ce ne hai messo di tempo!» esordì Matt, assunte ormai le sembianze di un maiale a dieta, mettendosi seduto pronto ad ingurgitare qualsiasi cosa l'amico gli avesse portato.
Quando però Dominic ricomparve nella stanza, capì che di mangiare non se ne sarebbe parlato o forse, forse dopo... e si vide lanciare in piena faccia qualcosa che gli tinse la vista di rosa.
 
 
 
 
Chris accese il computer che teneva nella sala. Kelly gli aveva appena preparato la più squisita delle colazioni di bentornato e ora, mentre lei faceva il bagnetto ai piccoli, gli aveva dato il permesso di perdere un po' di tempo dietro il pc; nel pomeriggio avevano in programma un picnic nel parco, perciò doveva sbrigarsi per poi andare a preparare qualche sandwich.   
Ascoltando distrattamente i gridolini felici dei suoi cuccioli, caricò la pagina del suo blog e vide un aggiornamento da parte dell'utente "Jessica". Incuriosito, cliccò sul suo nome e si trovò davanti agli occhi un pezzo scritto dalla ragazza in cui, in modo confuso e frettoloso, si cercava di comunicare quanto la follia di una sera potesse influenzare un'intera esistenza, scombussolandola.
"Sarebbe bello poter trascorrere una serata piacevole in compagnia di un vecchio amante senza poi doversene pentire a poco più che un mese di distanza.
Ma è stato un errore, una mia imprudenza dettata dalla troppa passione che quell'uomo risvegliava e risveglia tutt'oggi nel mio corpo vittima delle tentazioni...
porrò rimedio, vincerò la paura e forse crescerò, sì, crescerò anche io eterna ragazzina; quello che mi tormenta non sono le mie reazioni, ma le tue. Dove sei, adesso?"
Chris, leggendo queste ultime due righe si sentì ancora più incuriosito; terminò la lettura finché, alla fine, si diceva che sarebbe andata a chieder consiglio all'amica più saggia che possedeva, ovvero la psicologa del lago di Como. L'intervento che seguiva era infatti firmato da quest'ultima, la quale si dichiarava disponibile ad accogliere ed aiutare una vecchia amica, "di qualsiasi cosa si trattasse".
«Kelly, mi sa che è successo un casino!» urlò in direzione della moglie, con mano ancora tremante sul mouse. Gli serviva una pipa, oltre che la sua donna!
 
 
 
 
Appena il materasso smise di muoversi, scosso da spinte burbere e ripetitive, il grembiule cadde per terra senza fare rumore, così come la pioggia che cominciava a precipitare dal cielo. Stoffa rosa e bianca distesa sul marmo freddo, gocce fresche e storte asperse sulla terra arsa. Poi, un sussurro.
«Lo senti?»
«Cosa?»
«Lo stillicidio della pioggia.»
Abbracciandolo forte sul suo petto, respirò a pieni polmoni. -Sì, Matt, sento lo stillicidio della pioggia. Ma voglio fartelo sentire più forte e sentirlo di più, sulla tua pelle...
Premendo un tasto affianco alla testiera del letto, si azionò il meccanismo che apriva la finestra sopra il letto. Matthew guardò il cielo entrare nella stanza e si strinse di più al corpo del compagno.
La pioggia fluì sui loro corpi, bagnando presto sia loro e che le lenzuola scomposte. 
Ad occhi chiusi, immaginarono che fossero lacrime di creature siderali dispiaciute per la tristezza capitata agli umani -di essere così carnali ed imperfetti, s'intende.
Infine aspettarono sorretti dalla speranza che forse, tra le alte nuvole, si sarebbe spiegato un arcobaleno.
 
 
 
 
"Questo amore che impauriva gli altri,
che li faceva parlare,
che li faceva impallidire..."
 
 
 
Non pensava di fare una cosa giusta; alla fine non erano fatti suoi e a lui mai era importato. Tuttavia... tuttavia sentiva che un favore ai suoi migliori amici fosse una cosa moralmente corretta, se portata avanti appunto con questa nobile intenzione. O almeno così gli aveva ripetuto Kelly, pochi attimi prima, lasciandogli in mano un telefono e in cuore tanta voglia di indagare fino a fondo.
Scorrendo la rubrica, il numero di GP gli comparì davanti agli occhi sotto le vesti di un crudele tentatore; era lì solo per pregarlo di comporlo sulla tastiera. I tasti, premuti uno per volta e a lungo, quasi per scaricare nella loro molle gomma l'intera ansia che solleticava i polpastrelli dell'uomo che s'accingeva ad eseguire la telefonata, si piegavano dolcemente sotto l'urgenza.
«Pronto, Gaia?» chiese sottovoce Chris, temendo che i suoi bambini, attorno a lui nel salotto, potessero capire qualcosa.
«Sì? Ciao Chris, scusa, ma al momento so-»
«Se riguarda Dom, ti prego di rivelarmelo...» l'anticipò lui, quasi tenendo gli occhi chiusi per sperare di ricevere una risposta negativa.
«Come, come lo hai scoperto? Ah, il blog?» s'informò lei, con la solita voce disinteressata e moderata.
«Esatto. Non che mi voglia addossare i problemi altrui, però se riguarda Dom, io, capisci, devo...»
«Non c'è problema, Chris. Jessica ha appena deciso di dichiarare le cose come stanno al diretto interessato, perciò non vedo impedimento. E' incinta. Di Dom, a quanto pare.»
Chris dovette sorreggere la testa con l'ausilio di una mano. -Bravo coglione. Hai sempre sbagliato a scegliere giocattolo e ora, se lei è realmente incinta, sai che coi bambini non si può giocare?
«Cosa intendete fare?» domandò ormai in un sussurro.
«Dirlo a Dom. Magari fuori a cena, chi lo sa, questo è ancora da pianificare.»
«D'accordo. Posso...»
«No, è una cosa tra Jess e Dom, noialtri dobbiamo starne fuori. Ci siamo già immischiati abbastanza.»
«Buona fortuna. Torno da Kelly.»
«Salutamela!»
Quando Kelly però si sedette sul divano dov'era seduto il marito, da lui non ricevette i saluti di Gaia, ma un abbraccioUn abbraccio che stava solo a significare qualcosa come dimmi che tutto andrà bene.E non per caricare di drammaticità la realtà più di quanto già non fosse, tuttavia Chris sentiva che l'arrivo di un bambino, nella vita attuale di Dom, in quel marasma di vita, diciamocelo pure, sarebbe stato simile alla caduta di una goccia di rugiada nel deserto: dopo un breve momento di gioia, si sarebbe dissolta in niente, lasciando ancora più sete ed aridità che prima del suo arrivo.
Il parossismo dell'incerta disperazione del bassista si verificò quando immaginò il contraccolpo che un tale avvenimento, se si fosse realmente realizzato, avrebbe scaricato su Matthew.
«Amore, i test di gravidanza sbagliano ogni tanto, vero?» chiese con voce fioca alla moglie.
 
 
 
 
I cavalli, gioiosi per essere usciti dalle scuderie e trovarsi, finalmente, all'aria aperta, scalpitarono sul selciato. Erano due bellissimi esemplari appartenenti alla razza anglo-araba francese e l'unico desiderio che i loro muscoli supplicavano di ottenere era quello di una scorrazzata per i campi, con tanto di sosta in qualche zona ombrosa, se possibile. Dominic montò sul proprio e strinse in un pugno le redini di pelle; si raddrizzò il cappello western bianco che teneva sul capo e alzò lo sguardo fiero verso il cielo. Notò che la tempesta aveva pulito il cielo dalle pecche delle nuvole e il turchese del primo pomeriggio scintillava come un diamantino lucidato. Il vento che spirava da Nord-Est gli scompigliò la frangia bionda e gli portò alle narici un profumo affabile. 
«Matthew, che meraviglia!» commentò, appena fu fiancheggiato dal compagno anch'egli su un cavallo.
«Puoi dirlo forte! Anzi, voglio che tu lo urli!» gridò Matt, lanciato al galoppo giù per una discesa erbosa. 
«Che meraviglia!» urlò allora Dom, permettendo al suo cavallo di sfogarsi alla rincorsa dell'amico. 
A tutta velocità, cavalli e cavalieri si scagliarono contro il vento contrario, giù per campi verdi e verso orizzonti celesti; mancava il fiato per l'emozione, ma per godersi appieno quello spettacolo bastavano gli occhi. I cappelli western, quello bianco di Dominic e quello nero di Matthew, scivolarono giù dalle loro teste e rimasero appesi ai loro colli grazie ai laccetti a cui erano legati, svolazzando sulle loro schiene. In quel frangente, sembrò che niente più di quella semplicità fatta di natura e amicizia servisse per essere felici. Forse con due ali sulla schiena sarebbe stato davvero perfetto.
Attraversarono un immenso campo di girasoli simile ad un mare di petali gialli; guadarono un fiumiciattolo rinsecchito per la canicola estiva, attenti a non far inciampare gli zoccoli dei cavalli fra i massi umidi e coperti di muschio; superarono qualche territorio lasciato a maggese e per tutto il tragitto non si scambiarono una parola, lasciando che gli unici rumori ad arrivare alle loro orecchie fossero quello del cinguettio degli uccelli e dello stormire della brezza tra colline e pianura.
 
«Ci vorrebbe una chitarra» sospirò Matthew, testa appoggiata sulle cosce del suo migliore amico.
Sostavano sotto l'ombra proiettata dalla chioma di albero, mentre i cavalli brucavano pacifici, liberi dai finimenti almeno per un po'. Dominic li osservava con una sigaretta in bocca e il cappello calato sugli occhi; aveva la schiena appoggiata al tronco dell'albero e se con una mano giocherellava con i capelli di Matt, con l'altra strappava qui e là fili d'erba.
«Mi suoneresti qualcosa?» domandò, attento a non far cadere la sigaretta dalle labbra strette.
«Suonerei qualcosa per questo paradiso terrestre.»
«Che non sarebbe lo stesso, se qui non ci fossi anch'io» lo stuzzicò Dom, tirandogli una ciocca alla nuca. 
«Hai ragione, in quel caso non puzzerebbe di fumo» ribatté Matt, colpendogli con un piccolo schiaffo la tibia.
«La gente che ti crede romantico quando ascolta le tue canzoni dovrebbe conoscerti di persona» e soffiò del fumo sul naso arricciato del cantante.
«Bleah!» si schifò Matt, stufo di subire quella tortura. 
Con un gesto veloce strappò la sigaretta dalle labbra di Dom e la lanciò lontana nel prato di fronte a loro, cercando di evitare la zona dove pascolavano i cavalli.
«Uff» sbuffò Dom, accasciandosi di lato sull'erba che l'accolse fresca.
Matt, ritrovatosi senza cuscino, tirò un pugno a caso sul corpo del suo migliore amico, colpendone la rotula.
«Vuoi fare a botte?» scherzò Dom, incitandolo con un calcetto in piena pancia.
«Come osi, smidollato! Io t'ammazzo.»
E i cavalli dovettero spostarsi perché, dove loro mangiavano quieti la loro porzione d'erba, rotolarono due bambini di sei anni stretti l'uno all'altro per suonarsele di santa ragione. 
Un po' di sana lotta fra maschi non nuoce mai, eludendo labbri rotti od occhi pesti.
 
 
 
 
"Questo amore spiato perché noi lo spiavamo,
perseguitato, ferito, calpestato, ucciso, negato, dimenticato
perché noi l'abbiamo perseguitato, ferito, calpestato, ucciso, negato, dimenticato..."
 
 
 
 
Jessica maledì il giorno in cui aveva incontrato quel malandrino di un inglese per l'ennesima volta. Aveva provato a chiamarlo al cellulare e a casa, a mandargli un'email o a scrivergli in chat, ma nessuno di questi tentativi era andato a buon fine. Sembrava sparito dalla faccia della terra; le ultime tracce che aveva lasciato di sé sul web risalivano a più di una settimana prima, e, lei, di prendere un aereo Milano-Londra (supposto che si trovasse a Londra), non ne aveva proprio la voglia, oltre che l'umore e la forza fisica. Ora che si era decisa a compiere il gran passo, il mondo intero l'ostacolava, impedendo la comunicazione con il forse padre del bambino che in un caso molto sfortunato le si stava formando nella pancia... non riusciva ad immaginare niente di peggiore.
Svigorita, chiamò Gaia che si trovava nella stanza adiacente per prepararle un tè. Desiderava solo che quel biondo traditore le comparisse davanti e si assumesse le sue responsabilità.
«Gaia, non riesco a rintracciarlo... cosa devo fare?» domandò all'amica, lasciandosi cadere sul sofà.
«Tesoro, e io cosa ne so! Potrei chiedere a Chris un aiuto, ma già non mi è piaciuto che venisse a scoprirlo attraverso un blog, non mi pare il caso di perseverare. Quante volte ti ho detto di non scrivere i fatti personali su internet!» la rimproverò, scuotendo la testa con aria rassegnata.
«Lo so, è che io lo uso come un diario segreto. Fatto sta che sgridarmi non aiuta, dobbiamo andare dal ginecologo per la prova del nove, e poi voglio avere tra le mani quel...quel puttaniere!» strillò, facendo a pugni con il vuoto.
Gaia intervenne prendendole le mani furiose e appoggiandogliele in grembo, con dolcezza. Si sedette affianco a lei sul divano e rifletté su quale potesse essere la mossa più intelligente. -Dobbiamo scoprire almeno dove si trovano e, escludendo la possibilità di ingaggiare un investigatore privato, l'unica via rimane rivolgersi a Chris.
«Chiamo Chris, ma tu pazienta mia cara, c'è sempre una soluzione.»
Neanche cinque minuti dopo, fu di ritorno con una tazzina di tè in una mano e il telefono nell'altra.
 
 
Quando il cellulare del bassista suonò, lui stava insegnando al più grande dei figli a giocare a calcio. Aveva costruito una piccola porta, fra due tronchi d'albero, e gli mostrava come centrarla, come ingannare il portiere affinché il goal fosse assicurato. Kelly, distesa invece su una tovaglia aperta per terra con la figlioletta e il minore dei tre, muoveva delle bambole inscenando un simpatico teatrino; appena udì la suoneria del marito squillare dentro lo zainetto dei panini, raccolse il cellulare e lo porse all'uomo, venutoselo a prendere. -Speriamo che non sia per lavoro.
«Sì?»
«Chris, perdonami, sono ancora io, Gaia. Occorre che tu mi dica dove si trovano quei due.»
Christopher, rimasto un attimo zitto per realizzare la gravità della situazione, rispose con voce avvilita, scurendosi in volto.
«Non posso dirti dove si trovano, perché non c'è modo di avvisarli del vostro arrivo e io non voglio che piombate lì dal nulla» e calciò la palla lontana, senz'accorgersi del fatto che suo figlio pensò facesse parte del gioco e si gettò all'inseguimento di questa.
Gaia, dall'altra parte del telefono, tamburellò nervosa con le unghie sul tavolino di vetro che si trovava davanti alle sue ginocchia e pensò a qualcosa per convincere l'uomo: psicologia inversa.
«D'accordo, non darmelo, non darmelo mica! Ma mettiamola così: se andiamo dal ginecologo e accertiamo la gravidanza, ci lascerai andare ad avvisarli o dobbiamo lasciare che si trastullino allegramente all'oscuro di come gira il mondo fuori dal loro universo di musica e divertimento?»
«Ferma! Io credo che dal ginecologo debba venire anche il padre di un bambino...ehi, giovanotto, torna qui!» gridò in direzione del figlio scomparso dietro una linea di cespugli.
«Bravissimo, ti sei risposto da solo. Dimmi dove sono e noi faremo in modo di non arrivare lì alle due di notte, così evitiamo di rovinare loro una qualche seratina speciale.»
Chris guardò la moglie con sguardo teso; lei scosse la testa, come per chiedergli di cosa avesse bisogno, e poi gli bisbigliò di andare a recuperare il bambino. Lui fece finta di niente e, prendendo la prima decisione che gli passasse per la testa, ovvero preferire suo figlio ai guai dei suoi amici, proseguì:
«Château Miraval.»
 
 
 
"Questo amore tutto intero,
ancora così vivo e tutto soleggiato,
è mio, è tuo, è stato quel che è stato..."
 
 
 
Correndo a stento verso il maneggio, coi cavalli spaventati e riottosi, Matthew gridò aiuto al padrone della scuderia che s'accingeva ad abbeverare il suo purosangue.
L'uomo, dal volto scarno e bruciato dal sole, legò il puledro al primo palo che trovò e si precipitò verso i due in difficoltà. Cosa ci faceva uno dei suoi clienti col volto pieno di sangue? Che i cavalli avessero dato di matto, disarcionandolo?
«Signori, cos'è successo?» domandò, prendendo in mano la situazione. Calmò gli animali con una carezza sul muso e controllò in fretta la gravità della ferita che spaccava il labbro inferiore del ragazzo biondo e mezzo zoppicante. «Come è accaduto?» continuò, conducendoli a passo spedito verso l'infermeria.
«E' inciampato in un sasso» mentì Matthew, non potendo sicuramente ammettere che quello era il risultato di un suo pugno mal calibrato.
«Dovete stare più attenti, la campagna non è dolce quanto appare.»
I due inglesi annuirono all'unisono, percorrendo l'interno dell'abitazione senza guardarsi molto attorno. L'unico pensiero di Dom era quello di fermare quella fontanella di sangue che zampillava dalla sua bocca e ottenere le scuse di Matthew -le quali, prevedibilmente, non erano ancora arrivate.
«Sedetevi qui» disse il padrone, indicando loro due sedie. 
Per prima cosa, bagnò una garza e la usò per lavar via il sangue colato lungo il mento e il collo del ferito; poi prese da un mobiletto bianco del cotone e umettò col disinfettante, passandolo di conseguenza a Dom. Infine gli ordinò di tamponare e disse che andava a prendere del ghiaccio per far sì che il gonfiore, già visibile, non aumentasse a dismisura.
«I-io, io non pensavo di avere tutta quella forza, è che quando da giovani ci pestavamo non finiva mai così male, anzi, se ben ricordi ero io quello a riempirmi di lividi...» disse Matthew remissivo, con tono di chi si vuole scusare.
«M-non p-preocuparti» mugugnò Dominic, intralciato per colpa del cotone sconfinante anche fra i denti.
Il padrone rientrò con in mano un sacchettino di ghiaccio. Lo consegnò al ferito e sostò in piedi, squadrando i suoi clienti sporchi d'erba e spettinati con atteggiamento diffidente.
«Avete almeno beneficiato d'una gradevole cavalcata?» 
«Oh, questo sì» rispose Matthew, con un mezzo sorriso di riconoscenza. 
«Bene. Allora io torno al lavoro, andatevene quando vi sentite meglio. Se avete bisogno, mia moglie è nei dintorni. Arrivederci» e, mentre il cipiglio che caratterizzava il suo viso sbiadì, lasciò la stanza.
Dom tirò un sospiro di sollievo e schiacciò il labbro ardente contro il gelido sacchetto. Osservò Matthew che ripensava alle risse affrontate da giovani con un sorriso malinconico; quante botte, quante parolacce, quante frasi pregne di rabbia e risentimento. Perché quell'animosità s'inseriva nella loro incrollabile amicizia? Come spiegarsi quegl'affronti improvvisi e di una violenza inaudita? Una volta Dom ipotizzò che si trattasse d'incapacità a determinare una parità nella loro relazione. Finché entrambi si ponevano come obiettivo quello di dominare sull'altro, il conflitto prima o poi sarebbe giunto come spontanea risoluzione dei conti. Eppure non c'era vera cattiveria in quei pugni, in quei calci, in quegli insulti -non ci ne sarebbe mai potuta essere, quando gli occhi gridavano tristezza e desolazione. C'era una piangente ed infinitamente infantile voglia di farla finita, una sorta di egoistico desiderio di porre conclusione a tanta deleteria frustrazione e tensione.
«Andiamo a casa?»
«Sì, andiamo.»
 
Sulla via del ritorno, la luna schiarì il loro cammino. Matthew confondeva lucciole con UFO, Dominic fruscii sospetti con agguati di bestiacce feroci; erano stanchi, silenziosi e traboccava in loro la necessità di dormire, di diluire nel sangue le controverse sensazioni accumulate durante la giornata. 
«Domani registro la batteria dell'ultimo pezzo che abbiamo provato» pensò ad alta voce Dom, sperando che il piede leggermente zoppo si riprendesse, così come stava facendo il labbro pulsante sotto il ghiaccio.
«Come vuoi, domani la giornata è libera» disse Matt, completamente intento a fissare un gruppetto di lucciole lontane con sguardo terrorizzato. «Oggi il pomeriggio è andato com'è andato.» -E credimi se penso che dovremmo più spesso andare a letto e poi darci ad una cavalcata nei campi, mi sono sentito rinato.
«Ehi Dom, come si chiama quella costellazione?»
Dom, fermatosi, guardò nella direzione indicata dal dito dell'amico. L'insieme di puntini bianchi che vide gli sembrò identico a tutti gli altri, anzi, forse ancora più anonimo.
«Vaffanculo, sai che non lo so!» rispose brusco e alterato, affrettando il passo e sorpassandolo, benché questo causò una fitta alla sua gamba svantaggiata.
«Eh, perché te la prendi tanto, animale ignorante che non sei altro!» cinguettò il cantante, trotterellandogli dietro. -Diventi quasi tenero quando ti offendi per una scemenza.
«Animale ignorante lo sarai tu, prendi due bacchette in mano e vediamo cosa ci sai fare oltre che mettertele nel c-» prima che potesse finire la frase, venne raggiunto dall'esperto di astronomia e imbavagliato dalle sue mani.
«Non dire assurdità!» urlò quest'ultimo, rosso fino alla punta delle orecchie.
Un gruppo di pipistrelli, disturbato dal loro frastuono, s'alzò in volo da una piccola tana nel buco di una roccia e li ammutolì in un colpo solo.
Non sapevano che la cosa più allarmante dovesse ancora arrivare e, per l'esattezza, sfrecciava in treno nella loro direzione.
 
 
"Questa cosa sempre nuova, e che non è mai cambiata, 
vera come una pianta, tremante come un uccello, calda e viva come l'estate, 
noi possiamo tutti e due andare e ritornare..."
 
 
 
Più i km tra le due donne agguerrite calavano, più i sensi di colpa di Chris crescevano.
Dire a Gaia il posto nel quale avrebbe trovato Matt e Dom era stata l'unica scappatoia, oppure non aveva preso in considerazione qualcosa? 
Con una tisana calda davanti e il sedere sprofondato nel divano di casa sua, il bassista si dannava l'animo in cerca di una risposta. Ovviamente Kelly sarebbe stata l'angelo a dargliela, ma nel frattempo, mentre lei finiva di raccontare le favole della buonanotte ai piccoli, a lui non rimaneva che stare in bilico sul sottile filo del dubbio, ai lati del quale si trovavano o la colpevolezza o l'innocenza.
Alla luce della sua esperienza di padre, sapeva che quella vita non faceva per Dominic; cambiare pannolini, preparare pappine, alzarsi alle quattro di notte solo per canticchiare (e canticchiare era di sicuro la cosa che avrebbe messo più in difficoltà il batterista, notoriamente stonato come una campana) sciocche canzoncine... no, anche con tutto l'impegno del mondo, quel ragazzo appassionato solo ai festini e ai concerti non avrebbe mai accettato una simile schiavitù. Figuriamoci poi se come pacco allegato c'era quella strega americana di Jess, mutevole quanto una banderuola. 
Sorseggiando la bevanda rilassante, abbandonò la testa all'indietro e si auto-impose di smettere di pensare a quella storia, tanto qualsiasi suo comportamento sarebbe stato giustificabile in nome dell'amicizia che lo legava ai due. -E quasi quasi chiamo Tom, pensò, spostando incerto lo sguardo sul telefono.
 
 
«Se vuoi dormo ancora qui, magari ti senti male e io posso soccorrerti...» disse Matthew, non appena entrarono nella camera di Dom.
In verità, Dom era andato lì solo per recuperare il suo pigiama; non si era scordato, a differenza di Matt, che il letto era grondante di pioggia.
«Sarà difficile, dato che il letto è fradicio» gli rispose, frugando tra i vestiti disposti più o meno ordinatamente su una sedia.
«Ah...allora vieni tu nel mio. Certo, le lenzuola sono vecchie di una settimana e io vado a letto coi piedi sporchi, però-»
Dom lo interruppe massaggiandosi la tempia con fare sfinito. 
«Shhh. Tra una cosa e l'altra, ho un forte mal di testa che m'impedisce di pensare troppo, quindi... vada per la tua cuccia pulciosa. Domani mi cospargerò di napalm e passerò a miglior vita.»
Matthew ridacchiò sotto voce. Senza accendere le luci, si diressero verso la stanza del moro.
I loro passi, appesantiti dalla stanchezza, strisciarono su per le scale e attraverso i corridoi; nessuno dei due aveva una chiara idea di come sarebbe andata a finire, ma di certo la confusione ottenebrava ogni barlume di lucidità. -Sai Dom, ogni tanto mi domando se io e te non siamo destinati a stare insieme fino alla fine dei nostri giorni... sei l'unica persona rimasta costante, nella mia vita, capisci cosa significhi per me?
«Ecco, questo è il letto» sussurrò, timidamente, indicando un materasso non troppo bianco su cui erano stati lanciati sopra a casaccio cuscini e lenzuola. Palle, di lenzuola.
Dom tentò di prenderla con superiorità e sorvolare sulle pessime condizioni del suo giaciglio. 
«Ma sì, va bene così» bisbigliò, staccandosi il ghiaccio dal labbro e posandolo sul comodino.
Si sfilò i jeans, s'infilò i pantaloni della tuta e, con la testa pesante per il sonno, si abbandonò privo di forze sul "letto". -Abbiamo dormito in posti peggiori, mio old room-mate, pensò, guardando con l'unico occhio che gli rimaneva aperto, prima di sprofondare nel sonno, Matt che spingeva via le palle di lenzuola per ricavarsi uno spazietto in cui raggomitolarsi.
«Matt?» dopo qualche minuto, nel silenzio e nell'oscurità più totale.
«Mmm?» a qualche centimetro di distanza.
«Anche se sei un roditore puzzolente...violento e bastardo... e sapresti, sapresti rovinare anche il più romantico dei tramonti... dicendo che mentre noi passeggiamo i leader politici com...com'è che è quel verbo? Ah, complottano con gli alieni...» bisbigliò Dom, leggermente farnetico. 
Matt drizzò le orecchie e si fece di un millimetro più vicino, invadendo di poco la metà del letto non sua. Non udendo più il continuo della frase, sussurrò: 
«Quindi?»
Dom, uscito dal momentaneo dormi-veglia in cui era scivolato, si destò e terminò il discorso:
«Be', anche se tu sei tutto questo... io... ti... cioè, tu sei il mio migliore amico e io ti...»
Matt si pizzicò un braccio per capire se quello fosse un sogno o solo le due di notte e Dom straparlante nel suo letto. 
«Tu mi?» domandò, incapace di attendere ulteriormente.
 
 
"Noi possiamo dimenticare,
e quindi riaddormentarci, risvegliarci, soffrire, invecchiare,
addormentarci ancora, sognare la morte..."
 
 
Il telefono squillò e sfregiò le loro orecchie abituate ai sussurri come una scheggia.
«Cosa?» domandò Dom col cuore in gola.
«E' il telefono!»
«Ma non avevi detto che qui non prendeva?»
«Era una bugia per non farvi distrarre dalla musica!»
«Dio mio, fermami prima che lo attacchi al muro!» implorò Dom, a cui per lo spavento si era riaperta la ferita sul labbro.
«Pronto?» domandò Matt, con un tono isterico.
Dom si rimise il ghiaccio sul labbro e si domandò chi diamine potesse essere a quell'ora, in quel posto.
«Ragazzi, sono Chris. Stanno arrivando!»
Matt mancò per un secondo. -Come fa Chris ad avere scoperto il numero? E chi sta arrivando? I marziani? Ora dò di matto!
«Cosa stai...»
«Le vostre ex o attuali fidanzate. E portano col loro una sorpresa!»
A Matt cadde il telefono sul cuscino. 
Dom lo guardò senza capire, distinguendo a mala pena il suo profilo nel buio. Prima che potesse allungare una mano per prendere il telefono o accertarsi se i battiti cardiaci di Matt avessero già raggiunto la tachicardia aggravata, sentì il letto alleggerirsi da un peso.
Era rimasto solo.
 
 
 
"Svegliarci, sorridere e ridere, e ringiovanire, 
il nostro amore è là, testardo come un asino, vivo come il desiderio,
crudele come la memoria..."
 
 
 
 
NDA: *esce dall'oblio coperta di vergogna e avanza a passi incerti verso i lettori neri di rabbia* ... buongiorno. Sì, sono viva e sto "bene". Voi, piuttosto? *si ripara dalle pietre che la furia omicida dei lettori che aspettano da cinque mesi un benedetto aggiornamento scaglia* Oh, grazie, me lo meritavo. Quello che ho fatto io NON si fa. E' come uccidere una ff e tutto il relativo entusiasmo che può far nascere nella gente senza pietà (tra poco, tra l'altro, la vostra Special compie un anno. Mioddio!). Tuttavia... *cerca le parole, mentre la pioggia di pietre diventa di fuoco*, quest'anno non è stato facile. Questo capitolo l'ho scritto tutto in una volta sola e potrebbe far schifo!
Pronta ad accettare qualsiasi critica, v'invito ad essere spietati e ad evitarmi i complimenti strappalacrime che siete soliti a farmi ricevere. *si scava una fossa e, incapace di dire altro, s'inabissa*
Grazie di cuore,
l'incorreggibile Broken.
 
Annotazioni:
-No, non credo che i Muse sappiano cavalcare o_O in ogni caso, le scene coi cavalli sono libera ispirazione ad uno dei miei film preferiti, "I segreti di Brokeback Mountain". 
-No, Jessica non si dichiarò mai incinta di Dom. E' un'invenzione mia di cui capirete l'utilità nei prossimi capitoli *la folla domanda: ci saranno prossimi capitoli? Wow, tra quanti anni?*
-Sì, Matt puzza e Dom è una bicci vendicativa. :D ma fra i due c'è tanto l'ov, ossì.
 
Cheers! <3
PS: la poesia che compare sulla destra è di Jacques Prevert. Perfetta!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=534301