La mia sera

di Vale_Hiwatari
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ofthalmoì - Gli occhi ***
Capitolo 2: *** Dàkruon - La lacrima ***
Capitolo 3: *** Eòs - L'aurora ***



Capitolo 1
*** Ofthalmoì - Gli occhi ***


"E' proprio sicuro, dottore?"
"Ahem... Temo proprio di sì"
L'uomo in camice bianco guardò la ragazza con la coda dell'occhio, incrociò le mani per poggiarci sopra il mento e borbottò qualcosa sistemandosi gli occhiali sul naso. Chiuse gli occhi.
Poi li riaprì, scuotendo la testa, e fissò la ragazza davanti a sé; era carina, occhi come due nocciole e capelli castani ben scalati e pettinati.
"Signorina, sa che la TSS non è una malattia da nulla"
"Ma lei può curarla, non è vero?"
"Nessuno può farlo"
Il dottore la guardò. Si aspettava che da un momento all'altro esplodesse, che piangesse, che gridasse, che lo supplicasse di fare qualcosa.
Invece lei rimase zitta zitta, con la mano destra all'altezza del mento e l'indice in bocca.
Sambrava una bimba piccola che, non riuscendo a dormire, è andata in camera dei genitori ma non sa se svegliarli o meno.
Poi improvvisamente si riscosse, tolse l'indice dalla bocca e parlò.
Con grande sorpresa del dottore, la sua voce era ferma.
"Cosa devo fare?"
L'uomo si alzò, aprì la bocca, si risedette alla scrivania di mogano, prese dei fogli e li ripoggiò, si sistemò di nuovo gli occhiali sul naso, prese in mano una penna, cominciò a giocarci.
"Aspettare"
"Quanto?"
Il dottore serrò gli occhi e ruppe la penna che si spezzò con un crack secco.
"Le fanno di carta pesta, queste cose..."
La ragazza pensò che se la stanza fosse stata un po' più silenziosa sarebbe esplosa. Ringraziò silente il ticchettio dell'orologio, che le placò i nervi per qualche secondo.
Quel tanto che le bastava per domandare
"Com'è successo... cioè... perché...?"
"E' una malattia rara, un caso su un milione se non di più"
"Ho chiesto come, non quanto"
Le venne da ridere alla squallidissima battuta. Poi si trattenne pensando che da ridere non c'era proprio un bel niente.
Ma il silenzio l'avrebbe uccisa se non avesse fatto qualcosa.
Meglio ridere che piangere, si disse, e poi scoppiò in una risata isterica.
Il dottore inarcò le sopracciglia.
"Si chiama TSS, Sindrome da Shock Tossico, che tutti conoscono come Sindrome da tampone. Usando gli assorbenti interni si rischia di incappare in... Beh, non ha sintomi ma è così rara... oh, così rara!"
La ragazza ebbe l'impressione che, se avesse potuto, il dottore avrebbe sbattuto la testa contro la scrivania.
"Quanto tempo ho?"
"E' difficile da dire"
"Quanto?
"Sette giorni, ora più ora meno"
La ragazza prese la sua borsa e giacca e uscì da quell'ambiente soffocante.
Il sole di giugno le colpì gli occhi come un pugno; il vento le frustò le guance e le gambe.
Almeno, si disse, leniva il dolore che aveva nel basso ventre.
Sorrise fra sé, ironicamente.
Quanto avrebbe voluto che nevicasse.
Non vedere mai più la neve, non vedere la pioggia cadere, non mangiare mai più la polenta italiana, non vedere più i suoi parenti Russi.
Aveva solo sette giorni per sistemarsi.
Poi sarebbe morta.
Sorrise di nuovo della sorte.
Chiuse gli occhi e si lasciò investire dal leggero vento d'estate, mentre il sole le scaldava il viso.
"In fondo, non è poi una così brutta giornata" -disse, e si incamminò verso casa di Takao.
-
Hilary non era una ragazza infelice.
Non aveva alcuna mania suicida o cose del genere, soprattutto perché aveva sempre pensato che sprecare al vita quando molti altri lottavano per non perderla fosse davvero da siocchi.
O, meglio, dapersone senza speranza.
E lei non era senza speranza, men che meno infelice, aveva tanti amici e buoni voti a scuola, una famiglia disponibile e una casa a cui poter tornare, persone su cui poter contare.
La sua vita era sempre stata piena di belle emozioni e il suo cuore era pieno di ricordi che, anche se a volte dolorosi, la accompagnavano aiutandola ad andare avanti in ogni momento.
In definitiva, Hilary non aveva alcuna intenzione di morire.
Ma qualche giorno prima era arrivata a casa sua una lettera che le diagnosticava, dopo un'attenta analisi, una grave malattia.
Le era venuta a causa dell'uso sconsiderato che faceva dei Tamponi. Li usava non solo per il ciclo ma anche per tutte le altre perdite che aveva, di ogni genere.
Si sa,non leggere le avvertenze delle medicine porta non a curare, ma a conseguenze amare.
Chiaro che Hilary non si aspettava nulla del genere come giustifica alla sua malattia, caso rarissimo.
Comunque era inutile pensare al passato, piangere sul latte versato: adesso aveva solo sette giorni da vivere preparandosi a morire.
Si massaggiò le tempie chiedendosi se ci fossero altre soluzioni, altre vie d'uscita, altri modi per evitare tutto quello che di lì a poco le sarebbe capitato.
Intanto stava camminando verso casa di Takao.
Dovevano allenarsi per il torneo estivo che si sarebbe tenuto a Luglio.
Hilary rabbrividì: non li avrebbe mai visti gareggiare.
Il solo pensiero le parve così strano, quasi ridicolo, che emise uno strano sbuffo di incredulità.
Sette giorni, troppo pochi!
Come avrebbe fatto a dire a tuti quello che doveva, o voleva, come avrebbe fatto a dire a...
Il pensiero di Key la colpì come una pugnalata allo stomaco. Improvvisamente tutto le fu più chiaro, tutto...
Si fermò, senza curarsi del fatto che era in ritardo; osservò il suo riflesso nella vetrina di una gioielleria.
Il cielo le cadde addosso improvvisamente, capì che per lei l'autunno e l'inverno non sarebbero arrivati, che la primavera non sarebbe tornata.
Qualcosa si sciolse dentro di lei e finalmente cominciò a piangere.
 

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Capitolo 2
*** Dàkruon - La lacrima ***


Hilary camminava lentamente verso casa di Takao.
Pensò che presto o tardi avrebbe dovuto dirlo ai ragazzi, che altrimenti se la sarebbero ritrovata morta un giorno senza saperne il perché.
Così cominciò a pensare a come avrebbe dovuto farlo.
Scrivere una bella lettera romantica sarebbe stato carino, fra l'altro lei era brava a scrivere.
Approvò subito l'idea; poi pensò a Key.
Cazzo, si disse, l'avrebbe presa per una vigliacca o peggio, per una tipa che non ci tiene affatto ai suoi amici da trattarli come degli oggetti.
Ma lei voleva solo non farli stare male.
Scartata la prima ipotesi, e scartate tutte le altre simili come un SMS, una telefonata, si convinse che avrebbe dovuto farlo a voce e guardandoli tutti quanti negli occhi.
Allora pensò alle frasi tipo per l'occasione.
Avrebbe potuto metterla sul ridere ma una frase come "Hey ragazzi, ho la TSS, muoio fra una settimana... Vi spiace se non vengo al torneo?" sarebbe suonata troppo macabra.
Poi pensò di buttarla lì di sfuggita, quasi per errore sullo stile "Ah c'è la tua festa? Non posso sarò morta lunedì prossimo" ma anche questa le parve alquanto inadeguata.
Probabilmente, però, se avesse detto qualcosa l'avrebbero trattata come una malata, avrebbero cercato una cura che non sarebbero riusciti a trovare, che l'avrebbero costretta a letto e lei non aveva alcuna intenzione di mettersi a letto per gli ultimi giorni di libertà che aveva.
Lentamente un'idea cominciò a formarsi nella sua mente; perché avrebbe dovuto dire qualcosa agli altri? Qual era il problema? Sarebbe bastato aspettare un po', l'ultimo giorno avrebbe detto tutto.
E nel frattempo poteva fare tutto quello che non aveva mai fatto ma che avrebbe voluto fare.
Poteva rivedere quello che voleva rivedere, salutare tutti, finire quello che c'era da finire, e poi morire.
Quella parola la fece rabbrividire.
Ma Dio, possibile che alla sua età doveva morire? E fra l'altro aveva solo sette giorni di vita.
Scosse la testa e a passo deciso entrò a casa di Takao attraverso il cancelletto.
-
"Ehilà Hilary! T'aspettavamo per le cinque!"
"Sì, Takao, scusa ho fatto tardi dal... dottore..."
La ragazza chinò il mento e si rabbuiò. Takao parve notarlo perché non fece domande.
"Beh... allora... adesso che sei qui... ecco..."
A Hilary venne il magone. Si morse la lingua quasi fino a farla sanguinare, poi alzò il volto a cercare Key. Incrociò il suo sguardo seduto sul muretto.
Vi trovò un'espressione nuova, di sorda incredulità nel vederla così buia, spenta.
Con un salto fu vicino alla ragazza, per scrutarla ancora più da vicino.
Hilary trattenne il fiato, pregando che fra le abilità di Key non fosse compresa la lettura del pensiero.
Per fortuna qualcuno corse in suo aiuto
"Ehi, Key, non è mica un vaso Ming"
"Spiritoso"
Rei e Key cominciarono ad azzuffarsi amichevolmente finché qualcuno propose l'incontro con i Bey e così Hilary si ritrovò ad arbitrare.
Rei buttò fuori Key dopo qualche minuto di battaglia svogliata, poi tutti si sedettero sul muretto di casa Kinomiya per avere un po' d'ombra e qualche minuto di pausa.
"Allora, Hila, come t'è andata poi dal dottore?" -chiese Max mentre si buttava un po' d'acqua sulla testa.
"Oh, tutto bene. Un paio di pillole e passerà tutto. Solo un malessere temporaneo, ecco"
Lei stessa si sorprese della freddezza del suo tono di voce e della sua fermezza.
"E quindi starai in terapia per un po'" -aggiunse Takao
"Sì beh il dottore ha detto che basterà poco, e poi non soffrirò più di questa TSS"
"Meno male" -sospirò Takao- "E quanto tempo ci vorrà?"
Hilary inarcò le sopracciglia ed emise uno sbuffo sordo.
"Più o meno diciamo... una settimana"
"Wonderful!!! It's soooooooo small time!!!"
"E io che pensavo fosse grave, che scemo"
I ragazzi cominciarono a ridere fra loro mentre si lanciavano l'acqua addosso e Key si alzò.
"Key asp-" -Hilary non finì la frase che era tutta zuppa.
Combatté l'impulso di correre dietro a Lui e si rassegnò a difendersi da Takao con la sua borraccia.
-
La cena fu insolitamente silenziosa.
Tutti mangiarono la loro porzione, e Takao non prese nemmeno il bis.
L'atmosfera era tesa, Hilary era sempre più sulle spine e ogni tanto beccava Key a spiarla di sottecchi.
Tic-Tac-Tic-Tac
No, non di nuovo l'orologio... Stava tirando matta, matta, matta.
Sentì il silenzio schiacciarla.
"Ah che schifo il pasticcio di patate!!!"
...
"Hila, sicura di stare bene? E' il tuo piatto preferito" -Rei era sorpreso quasi quanto Hilary stessa
"Solo un po' di mal di testa. Voglio andare a letto. Per favore"
"Okay"
Per la seconda volta di fila Rei si stupì della persona che aveva parlato. Key si alzò con calma.
"Key, sicuro di voler..." -Tentò di fermarlo il moretto
"Sicuro" -Lo fulminò con lo sguardo l'amico
Con dolcezza sollevò Hilary dalla sedia e le sussurrò all'orecchio "Andiamo su"
Una volta in camera Hilary lo guardò. Non avrebbe potuto, non avrebbe voluto andarsene così.
"Vuoi che ti porti qualcosa di caldo? Un the, o che so io?"
Gli lesse negli occhi tanta gentilezza, tanto calore, tanto... amore...
Hilary scoppiò in un pianto disperato.
E si buttò per terra.
E gridò, strepitò, e sbatté i pugni con vigore sul pavimento duro e freddo.
E pianse con tutta la forza che aveva, con tutto il fiato, e strinse le labbra, e sentì la sua anima sciogliersi dentro il suo corpo.
E sentì che la sua anima si spezzava, e il suo cuore andava in frantumi, e che nemmeno aveva più la forza di piangere.
E allora gemette, e strillò, e singhiozzò, e si chiese dove fossero finite tutte le lacrime che prima correvano così numerose e così veloci.
E voleva che ne uscissero ancora, per lavare via il dolore, e allora aprì la bocca nel tentativo disperato di gridare ma non ne uscì nulla.
E prese un fazzoletto, e si asciugò le guance e gli occhi.
Key la guardava, forse imbarazzato e forse incerto...
Doveva stringerla forte, cullarla, fermarla o cos'altro?
Tentò di consolarla. Da che cosa poi nemmeno lo sapeva
"E dai, su, nemmeno dovessi morire fra una settimana"
E di nuovo quel mostro la travolse, e sbatté i piedi e ancora gridò, fino a che non ebbe più forza nemmeno per stare ferma lì.
E allora si lasciò andare sul pavimento, e di nuovo pianse, e gridò, e sbatté i pugni, e urlò, e sbatté i piedi e poi, esausta, si fermò.
E si rannicchiò su se stessa come un gatto, stringendo la sciarpa di Key e singhiozzando sommessamente.
E chiuse gli occhi.

 

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Capitolo 3
*** Eòs - L'aurora ***


Quando Hilary aprì gli occhi venne investita dalla luce entrata dalla finestra in alto.
Li richiuse subito, accecata.
Si sentiva la testa pesante e lo stomaco vuoto; lentamente si mosse.
Un dolore acuto all'anca l'avvertì che aveva dormito sul pavimento, e che qualcuno le aveva
procurato una coperta di lana.
Tentò di sollevarsi da terra. Si mise seduta.
La stanza era in penombra perché i finestroni alti erano coperti dalle tende di velluto.
Si stropicciò gli occhi e giusto mentre si alzava in piedi sentì il rumore della porta che si
apriva scricchiolando.
"Dormito Bene?" -Chiese gentilmente Rei riaprendo le tende dei finestroni e lasciando entrare
tutta la luce del giorno.
"Abbastanzaaaa avrei dormito meglio sul letto" -Rispose la ragazza con uno sbadiglio.
"Key ha detto che non stavi bene ieri"
"Lui mi ha..." -Hilary arrossì guardando la coperta.
"Sì, quella è la sua coperta =^_^= "
"Ho dormito vestita...?"
"A meno che non ti abbia vestita Key"
Hilary rise.
Tutt'a un tratto le venne in mente che la sera prima non aveva mangiato.
"Ho fame" -Annunciò.
"Le porto subito la colazione, signorina"
Rei uscì inchinandosi mentre Hilary ridacchiava.
Quando fu uscito la ragazza cominciò a riassettarsi, si spazzolò i capelli e si lavò la faccia.
Guardandosi allo specchio si trovò pallida e con un paio di occhiaie grosse come borse della
spesa.
Ok, si disse, meno 6.
Rifece il letto, sul quale s'era sdraiata per poco la sera prima e ripiegò la coperta di Key.
Sentì un regolare bussare alla porta e "Avanti!" invintò ad entrare l'ospite.
"Posso?"
"Sìsì vieni"
Hilary, che era ancora china sul letto, si alzò di botto con la coperta in mano per prendere la
colazione e rimase di sasso.
"Key"
Oh, non di nuovo, si impose la ragazza dopo la scenata della sera precedente.
"Stai meglio?" -Chiese cordialmente lui.
Non c'era traccia di emozione nella sua voce, si rese conto tristemente Hilary. Era solo il
vecchio Key, venuto a portarle la colazione.
Portava un vassoio con su una bella tazza decorata di fiori che Hilary adorava, piena di
cioccolata calda. Accanto, i suoi biscotti preferiti, ciambelline per metà al cacao e per metà
alla panna.
A tanta bellezza, e dolcezza, e gentilezza Hilary si sentì salire un groppo in gola, si commosse
di nuovo ma riuscì a trattenere le lacrime.
"Lo poggio qui?"
Hilary annuì girandosi per asciugare una lacrima sfuggita al controllo, senza nemmeno guardare il
punto indicato dal ragazzo. Non sarebbe in ogni caso riuscita a rispondergli.
"Sì, ok, d'accordo. Quando hai voglia di parlarmi io sono giù" -Key si girò.
Però si pentì (o meglio, sentì uno strano fastidio all'altezza del petto) per il tono freddo
delle sue parole.
"No, aspetta" -Lo fermò Hilary, tornata in possesso della sua voce e superato il momento di
magone fortissimo.
Key si sedette sul letto. La ragazza fece lo stesso accanto a lui.
"Io sono malata, Key"
"Sì, di TSS. Ieri hai detto che in una settimana ti curavano"
"Non è propro così"
Key tese le orecchie e si sistemò più vicino a lei.
"Allora com'è?" -Le chiese.
"Ecco..." -E adesso? Parlare? Non parlare? E poi? Piangere? Ridere? Gridare?
Key sorrise fra sé. Non era ancora il momento. Sapeva che prima o poi sarebbe stata pronta a
dirgli tutto, ma non voleva forzarla. La vide arrossire, cercare le parole, aprire la bocca,
arrendersi.
"Ah, fa niente, lascia perdere tanto non ho molto tempo" -Le disse e si alzò.
"Tu non capisci" -Hilary scosse la testa.
"Sono notoriamente stupido"
"Ma no, non è quello"
"Allora che cos'è?"
"Lascia stare"
"E' quello che stavo facendo" -Key non capiva, ma al suo gesto si sedette di nuovo accanto a lei.
"Se vuoi puoi parlarne. Ma se non ti va non sono qui per costringerti"
Per qualche minuto i due rimasero a guardarsi; poi Hilary parlò.
"Voglio vedere l'aurora boreale"
Key aggrottò le sopracciglia.
"Va bene...." -Non capiva cosa c'entrasse, ma se voleva vederla... Non c'era nulla di male...
"Partiamo" -Questa volta non c'era traccia di insicurezza nella sua voce. Hilary non avrebbe
mollato. Doveva sbrigarsi.
"Sì, ok, potremmo andarci a settembre-ottobre e..."
"NO!" -Lo guardò con occhi infuocati.
"Beh, allora che ne dici di dicembre? C'è l'aurora più bella in dicembre"
"E' troppo tardi" -Lo apostrofò con uno sbuffo la ragazza come se fosse assolutamente ovvio che
dicembre non andava bene.
"Dimmi tu quando e ti ci porterò" -Acconsentì Key.
"Adesso. Andiamoci adesso"
"Ma non credi che sia un po'... Surreale, Hila?" -Se prima pensava che fosse ancora un briciolo
lucida, adesso Key era convinto che Hilary era del tutto pazza.
"Per favore"
Key si domandò cosa mai fosse successo a Hilary, alla ragazza solare e ottimista, a tutto quello
che gli aveva insegnato, a quello di cui si era innamorato e non aveva mai ammesso.
In quella supplica lesse tanto dolore, in quegli occhi tanto desiderio...
Scosse la testa.
"Ma... perché?"
Hilary tirò un sospiro e chiuse gli occhi.
"Nella chiesa dove va mia madre c'è una vetrata colorata con santa Ilaria al martirio. La freccia
di un angelo le trafigge il cuore. Ilaria ha gli occhi chiusi e anche se soffre per quell'atto
d'amore ha lo stesso un sorriso bellissimo"
Non c'entra... O forse c'entra... Key aveva ogni muscolo atto ad ascoltarla mentre parlava.
Una lacrima, poi due cominciarono a scendere sul viso della ragazza ma Hilary andò avanti lo
stesso.
"Ricordo la mattina presto, alla mia comunione, indossavo un vestito bianco con i guanti, e
guardando quella vetrata ho visto la luce entrarci. Pareva così bella, pura... Come qualcosa di
irreale, ed era così poca che avrei voluto averne di più. Pensavo che un giorno qualcuno avrebbe
trafitto anche il mio cuore e che avvicinandomi all'altare con l'abito da sposa, illuminata da
quella luce bellissima, avrei capito perché Ilaria sorride. So che sembra sciocco ma... La vita
non è fatta di sogni, non puoi farti rapire dal desiderio di qualcosa che non succederà mai. La
vita ti porta via tutto quello che vuoi. E devi aggrapparti a quello che ti ritrovi davanti. Io
voglio quella luce. La rivoglio per me. Voglio il sorriso di Ilaria. Voglio essere là, la mattina
di domani, per vedere la prima aurora dell'universo..."
Hilary si buttò fra le braccia di Key singhiozzando.
Key non respirava neanche più.
Vide le lacrime formarsi nel suoi occhi, le vide bagnargli la maglietta e in un momento intuì che
se non lo avesse fatto domani, Hilary non avrebbe mai più visto la sua aurora.
"Fai i bagagli" -Disse, e uscì chiudendosi la porta alle spalle.

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