Amicizia, America e Parole di Musica

di My Vanya
(/viewuser.php?uid=111423)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Sometimes strangers are just the people you were hopin' to meet ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Suono a casa della mia amica per circa la quindicesima volta, piuttosto spazientita, possibile che non risponda mai? E' in casa, e ne sono certa, ma ogni volta per aprire ci mette ore. A pensarci è assurdo quanto sia distratta, svanita e completamente persa nel suo mondo fatto di lettere, musica e dalle note di quel basso nero, che tanto stona con la sua personalità ai limiti del normale. I bassisti sono sempre stati un contorno, in genere, non come i chitarristi, o ancor peggio i cantanti. Io per esempio suono la chitarra, e, onestamente, mi sono rotta di rimanere qui fuori, al freddo, con una Gibson in spalla e uno zaino pieno di spartiti, foglietti vari e, lo ammetto, qualche regalo per lei e le altre, ad aspettare che quella dannata ragazzina decida di muoversi. Anzi, sono resa ancora più ansiosa dalla voglia matta che ho di raccontarle tutto del viaggio del quale sono reduce, insomma, è stato incredibile! L'America, il New Jersey ragazzi, comprendetemi, Il New Jersey! Dopo qualche altro minuto sento dei passi veloci sulle scale e, dopo qualche scatto di serratura, vedo la porta scostarsi di qualche centimetro lasciando filtrare nell'antro dell'appartamento la fiebile luce della sera.

-Era anche ora Gee!-

Le sorrido divertita, sono anni che la chiamo così ormai, non avevamo ancora la band, ancora eravamo al liceo assieme, anche se in classi diverse, e il nostro Mp3 conteneva quasi solo canzoni molto poco apprezzate, all'epoca: rock, punk, gothic addirittura, ma niente che i nostri compagni ritenessero Veramente degno di nota. Ma ci andava bene così, la normalità non ce l'abbiamo mai avuta nel DNA e, onestamente, non è che guardare i video di Gerard Way & Co. e sentire la sua voce gracchiante 24 ore su 24 aiutasse a conformarsi allo status.

-Frankie, sei tornata!-

La sua voce bassa e un po' nasale mi avvolge conosciuta, e la vedo coperta da un abito violetto, che porta spesso quando non deve uscire, un po' sporco di penna, gli occhiali sul naso ed i suoi soliti capelli ross... Rossi? Oh, al solito, non poteva restare castana a lungo, non era da lei.

Non mi lascia nemmeno il tempo di farglielo notare che mi stringe in un abbraccio talmente forte da far quasi cadere a terra me, la mia chitarra, e lo zaino. Quando mi lascia andare ricambio il sorriso guardandola divertita.

-Cosa DIAVOLO hai fatto ai capelli?-

Le chiedo soffocando malamente una risata. Voglio dire, sapevo che avesse una fissazione per il rosso dei capelli del vero Gee, ma arrivare al punto di tingerseli... Non la credevo capace eppure, ahimè, mi sbagliavo.

-Li ho, uhm... rinnovati, sai com'è, il castano e le ciocche azzurre mi avevano scocciato e... Sai che ho sempre desiderato i capelli rossi, diamine!-

Ah, prima avevo parlato di noi qualche anno fa, non che le cose siano cambiate troppo però. Stesso conservatorio, classi diverse (anche perchè lei ha un anno meno di me), stessa musica negli Mp3, stessa abitudine di essere sempre fuori dagli schemi.

Si, siamo sempre le solite ragazzine alla fine, anche se io ormai vado per i 20 e lei ha appena compiuto 18 anni, anche se abbiamo finalmente una band nostra, anche se le nostre vite sono cambiate, pur rimanendo sempre vicine.

-Mh, rinnovati, certo... Lo ammetto, lo immaginavo. Ci sono le Killjoys, su?-

Lei scuote la testa e fa spallucce, raro che sia sola, probabilmente suonava, si, ha ancora il plettro in mano e l'espressione tipica di quando è persa nei suoi spartiti.

-Siamo sole, non sai che piacere mi hai fatto, a venire. Ti aspettavo per domani, insomma sei tornata tipo... Adesso!-

Ride piano chiudendomi le porte alle spalle e lasciandomi salire, da quando i suoi si sono trasferiti casa sua non è mai vuota, anzi, è diventata sede ufficiale del nostro gruppo. "The little Killjoys" o meglio, "le piccole guastafeste". La formazione l'avrete già indovinata immagino. Una cantante, una bassista, due chitarriste e una batterista. In realtà abbiamo anche una tastiera ma non si fa vedere quasi mai, ormai ci siamo abituate ad arrangiarci anche senza di lei.

Siamo nate qualche anno fa come tribute band, dei My Chemical Romance, anzi, tralasciando qualche pezzo autobiografico, ci ingaggiano ancora solo per le loro cover, ed ognuna di noi è perfettamente riconducibile ad uno di loro.

Io, ad esempio, sono associata a Frank, per lo strumento, più che altro... E l'altezza, ma poi al diavolo, Iero non è COSI' basso... Anzi... Non lo è per niente, sono gli altri ad essere tutti alti!

Lei invece è stravagante quanto Gerard, nonostante suoni un basso standard della Fender e porti gli occhiali, proprio come Mikey, ha tutta la pazzia e la passione del cantante.

E come Frank e Gerard tra noi due c'è un rapporto molto stretto, ok, decisamente meno intimo del vero rapporto di quei due, siamo legate soltanto da un'amicizia fortissima, anche se tanti di coloro che ci seguono, anche nei dintorni, credono sia qualcosa di più, ne sono certa. Ma a noi non importa, a noi non è mai importato un fico secco di che cosa pensa la gente, a dir la verità.

Una volta in casa, lascio la chitarra nella stanza che usiamo per suonare, accanto al suo compare, batteria, spartiti sparsi e vari amplificatori, lasciati a riposare per un po' e mollo lo zaino distrattamente sul tavolo della cucina, mentre lei mi raggiunge, solo dopo aver chiuso accuratamente la porta con tutti i chiavistelli e le sicurezze imposti dai suoi, la libertà, anche per lei, ha il suo prezzo.

-Che bello che sei tornata Vale, non hai idea di quanto fosse frustrante non sentire la tua chitarra strimpellare per casa ogni giorno, dopo scuola-

Dice ironica sorridendomi appena e appoggiandosi allo stipite della porta, la solita.

Sospiro aprendo lo zaino con cura e tirando fuori alla meglio qualche spartito, cercando di renderli presentabili e mi metto a cercare il regalo che le ho preso.

-Se non la pianti non solo, mi tengo il dono, ma non ti racconto nemmeno niente di tutto quello che è successo, e, credimi, ti piacerà saperlo, ne sono certa-

Mentre le rivolgo queste parole in tono quasi canzonatorio, tiro fuori dall'ampio borsone una scatola, credo sia l'unica cosa tenuta bene lì dentro e la appoggio sul tavolo, aprendola appena, mentre lei subito inizia ad avvicinarsi.

-Oh andiamo, non saresti così crudele-

Si sporge per vedere il contenuto della confezione ed io mi scosto, per lasciarle saziare la sua curiosità. così tipica della sua personalità. La vedo illuminarsi, riconoscendo la copertina di "Umbrella Academy" in lingua originale... E non l'ha ancora aperto... Sorrido tra me mentre lo fa e tiro fuori la macchina fotografica iniziando a filmare il momento. La mia amica sbianca, poi arrossisce, poi sbatte le palpebre, guarda me, osserva la dedica scritta disordinatamente e firmata da Gerard, poi guarda di nuovo me, chiude il fumetto, respira, lo riapre e...

-OH MIO DIO VALENTINA DIMMI CHE E' UNA FOTTUTISSIMA IMITAZIONE O SVENGO!-

Credo che non abbia ancora ripreso fiato da quando ha aperto il fascicolo.

-No cara, nessuna imitazione, nessun trucco, è la firma di Gerard, con la dedica che ha fatto davanti ai miei occhi, e si, mi sono ricordata di te anche se avevo tutti e quattro quei benedetti ragazzi davanti. Ed esigo almeno un grazie, adesso.-

Le rispondo, senza ancora smettere di riprenderla e lei, una volta poggiato il fumetto sul tavolo come una reliquia mi salta addosso in lacrime stringendomi tanto forte da farmi soffocare, quasi.

-Grazie mille! Come hai fatto a...-

Si blocca, ha realizzato di colpo, a scoppio ritardato, classico, è fatta così, ed io finalmente ripongo la videocamera e le sorrido, allusiva.

-Mi devi raccontare tutto, maledizione!-

Scatta a preparare un caffè, o meglio, due, uno per me ed uno per lei e mi scorta nella sua camera, nemmeno non sapessi la strada, mi fa sedere sul letto e si accomoda dalla parte opposta alla mia, tirando su le gambe e sedendosi con la schiena contro al muro.

-Da dove vuoi che cominci?-

Chiedo soltanto, già conscia della risposta e sapendo che dovrò raccontare tutto a lei per filo e per segno, e poi ripetere tutto alle altre, magari tralasciando qualche particolare che solo lei ritiene di fondamentale importanza, tipo, di che colore fosse il cielo, appena arrivata. Solo a lei interessano davvero queste cose. Solo lei ha un interesse maniacale per i particolari, per i colori, per i suoni e per gli odori.

 

-Bene, vediamo di cominciare dall'inizio, allora...-

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Sometimes strangers are just the people you were hopin' to meet ***


-Sometimes strangers are the people you just were hoping to meet-

 

-Sono arrivata all'aeroporto che iniziava appena ad imbrunire, anzi, direi che era ancora abbastanza presto, ma ero comunque distrutta per il fuso orario, visto che sarei già dovuta essere a letto da un pezzo, quindi, ho deciso di filare in albergo per riordinare quelle quattro cose che mi ero portata, ovviamente mezza valigia era vuota per eventuali nonché ovvi souvenir, e farmi la mia prima bella dormita da americana. La camera, onestamente, non era niente di speciale, ma l'albergo era piuttosto economico e solo l'idea di essere a pochi chilometri da Belleville avrebbe dato i brividi a tutti, no? Ok, forse non proprio a tutti, ma a me li dava, e non poco. Comunque sia, mi sono addormentata nel giro di venti minuti, subito dopo aver disfatto velocemente i bagagli ed aver provato un paio di accordi che mi frullavano in testa da quando ero salita in aereo. La mattina dopo mi sono svegliata di buon ora, fin troppo presto a dir la verità, una volta vestita ed essere scesa nella hall per fare colazione, sono tornata su, ho ripreso in spalla la mia chitarra, visto che sai bene che non la lascerei mai in un albergo qualsiasi, e sono uscita a fare una passeggiata senza guardare nemmeno dove andavo, sai come sono no? Mi lascio guidare dall'istinto. Le strade erano quasi completamente deserte, anzi, diciamo pure che ero l'unica persona tanto pazza da uscire a piedi, quella mattina, e soprattutto a quell'ora. Dopo circa un quarto d'ora di camminata, mentre l'aria fresca del primo mattino iniziava a riscaldarsi, e mentre io pensavo a tutto tranne che a dove diavolo mi stessi dirigendo, sono andata a finire contro un ragazzo, l'unico altro camminatore nei dintorni credo. Giuro che non l'avevo visto nemmeno di striscio! E se non fosse stato per lui sarei sicuramente caduta, grazie al cielo mi ha preso per un braccio, salvando me e la mia povera, piccola, preziosissima, chitarra!

-Tutto ok?- Mi chiede un po' preoccupato mentre io abbasso lo sguardo, controllando eventuali danni causati dall'impatto., per fortuna assenti.

-Oh, I'm not o-fuckin-kay guy- rispondo sorridendo tra me e me, come sai, non perdo, ne mai perderò una singola occasione di rispondere citando i MyChem, e questa, quel ragazzo, me l'aveva servita su un piatto d'argento. Lui si è messo a ridere, e subito ho notato che aveva una bella risata, e che, tra parentesi, dovevo averla già sentita da qualche parte dato che mi risultava, molto, troppo familiare. Solo a quel punto mi sono finalmente decisa ad alzare gli occhi su di lui e ad osservarlo come ragion comanda. Notai subito che era un po' più alto di me, sarà stato un metro e settanta, giù di lì. Cavolo, per essere estate aveva freddo eh. Indossava una felpa piuttosto larga, tra l'altro con il cappuccio tirato su, dei jeans bucati, una sciarpa che ne copriva in gran parte il viso, lasciando vedere soltanto gli occhi scuri e dei guanti a mezzo dito. Nel caso tu te lo stessi chiedendo, amica mia, i suoi occhi erano del nocciola più rassicurante che io avessi visto, e si, Sui guanti erano disegnate delle ossa... Aggiungi la risata che conoscevo, metti i pezzi a posto, e...

Immagina la mia espressione anche solo al lontano pensiero di chi potesse essere quel ragazzo, spuntato dal nulla ed incontrato per caso.

-Piacere comunque, io sono Frank-

Quella maledettissima voce, solo quando mi ha detto il suo nome ho seriamente ricollegato tutti i pezzi e mi sono quasi sentita svenire. Hai presente una statua di sale? Uguale! Voglio dire, per essere una che sa a memoria quasi tutti i suoi tatuaggi e quant'altro, non immagini come mi sono sentita ad averlo lì davanti... giusto a qualche centimetro da me. Fai conto se tu ti trovassi Gee... Sarebbe... Credimi, è scandalizzante.

E allora ciao ciao al mio, già piuttosto scarso, autocontrollo. Credo di averlo guardato con una faccia piuttosto incredula e di essermi messa a ridere subito dopo, bella figura, proprio, in pieno stile Valentina, arrossendo e prendendo la mano che mi aveva appena porto fargugliando il mio nome.

Beh, si avevo incontrato il mio idolo, o meglio, Frank Iero, o comunque qualcuno che sembrava seriamente esserlo, in mezzo ad una strada deserta, coperto fino alla punta dei capelli, mentre credevo che fosse nel bel mezzo di un tour, e, terrei a dire, il primo giorno che passo in America.

Non è fortuna questa? Si, è fortuna sfacciatissima. E hai tutto il diritto di odiarmi. A quel punto mi chiede una cosa tipo:

-Beh... Ti va di andare in un locale qui vicino che... insomma, ho un po' caldo, ma non volevo farmi riconoscere da una massa di ragazzine urlanti. Rettifico, la solita massa di ragazzine urlanti. Ma tu sembri simpatica quindi... Oh insomma, vieni?-

Discorsi tanto sconclusionati sarebbero potuti appartenere solo all'originale, no? “E allora fidiamoci”, ho pensato.

Dire che avevo la gola secca è come dire che il deserto è pieno d'acqua. Mi sono limitata ad annuire mentre ero ben consapevole del maledettissimo color porpora che le mie guance dovevano aver preso e che ha suscitato un'altra flebile risata al ragazzo. Se non la smetteva di ridere giuro che l'avrei ucciso.

Insomma, fatto sta che mi ha portato in un locale, in teoria chiuso e finalmente si è sfilato sciarpa e felpa, restando con una maglietta rossa. A quel punto non ho avuto più dubbi, era lui, nessun altro ha quei lineamenti quasi disegnati. Ma poi io mi chiedo perché Frank ami tanto il rosso, io non riesco a portarlo, voglio dire... E' quasi sempre vestito di rosso! Ma non si vede troppo? Non potrei mai vestirmi come lui, mi sentirei troppo ossevata...-

La mia amica annuisce rapita dal racconto per poi risvegliarsi dalla mezza trance in cui sembra caduta da quando ho aperto bocca e guardarmi con un sorriso decisamente troppo malizioso riguardo all'ultima affermazione...

-Io ho una mezza idea di perché gli piaccia tanto il rosso... E non solo per i vestiti!- Si tira una ciocca di capelli alludendo palesemente al cantante, è irrecuperabile ormai... E la parte divertente ancora non è arrivata, cara amica mia, vedrai quanto rimarrai sorpresa, e quante storie si creeranno nella tua testa... Sospiro mentre mi lascio sfuggire un sorriso, che altro fare? Bene, è decisamente meglio lasciar cadere l'argomento, e ricominciare il mio racconto...



N.d.a.

Lo so, è un po' corto, ma per quanto mi ci sia impegnata ad aggiungere, togliere, limare, riscrivere, non mi è riuscito di allungarlo. Chiedo perdono e spero che piaccia. 
Un bacio
Maylene

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=751803