A photograph of you and I

di LoveShanimal
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Here we are at the start. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Sole. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: I will never regret. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Inaspettato. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: No warning sign, No Alibi. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: It's the moment of truth. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: Breaking the habit. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: Fiducia. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: Indispensabile. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10: Save me. ***
Capitolo 11: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Here we are at the start. ***


A photograph of you and I
 

 

A Martina, che da quando l'ho incontrata non mi ha mai abbandonato.


Prima del capitolo, vorrei spendere due parole. Sono di nuovo qui, con una nuova storia, tante idee, paura che sia un fiasco, ma tanta grinta e voglia di crescere insieme a lei. 
Ringrazio, ancora, chi ha seguito e recensito la mia vecchia storia. Mi avete riempito di gioia e soddisfazione.
Ma adesso non parliamo di cose vecchie, ma di nuove.
Questo è un capitolo molto breve, ma è solo per introdurre personaggi e un po' la storia. Spero vi piaccia o, anche se chiedo troppo, vi incuriosisca. 
Grazie a Rosa che oggi mi ha dato l'ispirazione. 
Grazie a voi che inizierete questo nuovo "capitolo" con me. 
Grazie ai Mars, che riempiono la mia vita.



Capitolo 1: Here we are at the start.
 
 
*Me lo sono inventato.
 
Attraversai poco convinta la porta del locale di fronte a me, e la musica si insinuò nelle mie orecchie, con tanta potenza da stordirmi.
Dove mi aveva fatto andare Kris?
Kris, cioè Kristen, non era una mia semplice amica, era la struttura, la colonna portante della mia vita. È stata l’unica che c’è stata, sempre, fin dall’inizio. Che mi ha sempre dato i consigli migliori, e che mi supportava comunque quando dovevo subire le conseguenze di non averla ascoltata. Mi ha aiutato a cambiare vita, a tagliare fuori le persone sbagliate e soprattutto mi ha dato la forza di andare avanti e iniziare il progetto più grande della mia esistenza.
Le dovevo molto, quindi non potevo mai dire di no alle sue folli proposte, e spesso me ne pentivo.
Quella sera, mi diede appuntamento al locale più esclusivo di Los Angeles, “The kiss of the moon” *, per passare una serata diversa. Diversa da cosa poi, mi chiedevo io? Ogni week-end uscivamo e facevamo le stesse cose che fanno le ragazzine, quando poi ragazzine non eravamo più da tanto, troppo tempo.
Mi avvicinai al buttafuori, mostrai la carta di identità, e quello mi fece segno di entrare. Mi diede un cartellino con il numero 13, che mostrai al cameriere che mi accompagnò. Era da più di tre mesi che Kris aveva ordinato quel tavolo, e aveva lottato per avere proprio quel numero che per noi significava tanto: era l’età in cui ci eravamo conosciute.
Me lo ricordo ancora, quel giorno. Quel giorno in cui ci incontrammo, al parco, quando io avevo litigato con i miei genitori e lei mi tirò su il morale, senza neppure sapere chi fossi.
Sembrava passato un secolo, erano successe milioni di cose e altrettante ne erano cambiate.
Mi sedetti al divanetto bianco e accavallai le gambe. Chissà quanto mi avrebbe fatto aspettare.
Iniziai a guardarmi intorno, così, per perdere tempo.
Il locale era diviso in due sezioni, fondamentalmente. La parte centrale, in cui c’era la pista da ballo, e tutto intorno lo spazio con tavoli e poltrone. Sul tutta la parete opposta a me c’era un lungo bancone del bar. Mi concentrai sul lato destro di questo, dove c’era un gruppo di ragazze, di cui riconoscevo solo alcune chiome bionde, che circondavano un ragazzo con i capelli rosa. Era l’emblema della perfezione quello, sicuramente era un modello o qualcosa del genere.
Improvvisamente la musica cambiò, e passò da una da discoteca ad una più rock. Vidi il ragazzo che stavo fissando sorridere e girarsi verso la pista da ballo.
Seguii il suo sguardo, e nascosto da una folla intravidi un uomo, questa volta, che si muoveva neppure fosse preso da un attacco di epilessia. Mi attraeva la sua danza, quindi rimasi un po’ a fissarlo mentre tutti intorno a me si scatenavano. Quando tutti alzarono le braccia, però, fu totalmente coperto. Già non si vede perché è basso – pensai – poi questi lo coprono!
Mi scossi e mi diedi della stupida per aver pensato una cosa del genere: gli uomini dovevano essere totalmente fuori dalla mia vita.
Mi girai verso l’uscita, ma di Kris neppure l’ombra. Quindi mi alzai, e andai al bar per ordinare qualcosa. Quando il barista si girò per preparare il drink, vidi con la coda dell’occhio qualcuno avvicinarsi, ma non ci feci caso. Appoggiò il braccio al bancone, e mi disse: “Bel vestito!”
Sentii quelle galline che erano con lui ridere. Allora mi girai, e senza esitare nemmeno un attimo davanti i suoi occhi color del cielo, esclamai con fare ironico: “Bella cresta rosa!” gli feci l’occhiolino, presi il drink che il barista mi aveva porto con tempismo perfetto, e me ne andai ancheggiando.
“It’s not pink, it’s fucking pomegranate!” disse lui.
Io tornai solamente al mio posto, senza rigirarmi e senza degnarlo di un minimo di attenzione. Mi sedetti al mio posto, e buttai giù tutto di un colpo il contenuto del mio bicchiere, senza perdere neppure un po’ di lucidità.
Purtroppo o per fortuna, avevo imparato a reggere grandi quantità di alcool senza problemi, dopo un po’ di esercizio.
Il casino al centro della pista era diminuito, e adesso non c’era più tutta la folla intorno a quell’uomo, ma anzi lui era sparito. Ormai c’erano solo gruppi non troppi grandi o persone singole agli estremi che aspettavano solo degli inviti.
Iniziai a spazientirmi e presi il cellulare, per vedere l’orario.
Kris era in ritardo, e non di poco.
Trovai anche un messaggio, suo, dove mi diceva di aspettare un poco perché sarebbe arrivata presto.
Stavo per alzarmi per andare a prendere un altro drink, ma mi ritrovai davanti uno dei camerieri che cercava di attirare la mia attenzione. Appena vide di avercela fatta, si chinò leggermente per spostare un drink dal vassoio al tavolino, e prima che se ne andasse lo richiamai.
“Scusi, io non ho ordinato niente!”
Si chinò verso di me, per farsi sentire anche se c’era la musica. “Infatti gliel’ha offerto quel signore lì al bar.” Mi indicò un punto, dove però c’era più di un solo signore.
“Quale? .. Quello con i capelli colorati?” sembrava stesse indicando proprio lui.
“No, quello con gli occhiali.. il signore che prima stava suonando in pista!”
“Chester, non ti pago per chiacchierare! Ci sono altri clienti da servire!” il cameriere si scusò e seguì il suo capo, che si era intromesso nella nostra conversazione.
Io iniziai a riflettere, sbalordita.
Presi il bicchiere e ne annusai il contenuto. Nulla di strano.
Iniziai a sorseggiare quel cocktail, riconoscendolo tra quelli più costosi in circolazione.
Proprio mentre stavo decidendo di andarmene, qualcuno si sedette al mio fianco, e alzai la testa infuriata pensando che fosse la mia amica. Invece, investendomi con la sua bellezza, il musicista con gli occhiali si stava spaparanzando accanto a me, portando un braccio dietro le mie spalle.
“Ciao.” Mi disse lui, sorridendo. Io rimasi zitta, fissando i suoi occhi. Che voleva da me?
“Cosa c’è, ora non hai più la lingua? Mi ha detto mio fratello che invece sei una tipa tosta, hai insultato i suoi capelli! Sono pochi quelli che lo hanno fatto e lo possono raccontare!” fece una risata roca, e mi dovetti concentrare, con la musica alta, per capire tutte le sue parole.
“Non verrò a letto con te.” dissi con fermezza.
“E chi te l’ha detto che era questo il mio piano?” sorrise malizioso.
“Mi offri uno dei drink più costosi del bar senza conoscermi, ti siedi al mio divanetto mettendomi un braccio intorno al collo – dissi, spostandolo – e pensi davvero che sia così stupida da non capire i tuoi piani? Scusa tesoro, con me non attacca.”
“Non esiste una donna che mi abbia mai detto di no.” Disse lui, senza sorridere ma con uno sguardo che poteva mettere incinta chi lo fissava per più di un minuto.
“Sai, c’è sempre una prima volta. – sorrisi invece io – ti è andata male! Ma puoi sempre rimediare, sai, e io ti posso dare una mano.”
“Questa mi è nuova! – vide che non scherzavo, e continuò – quale sono i tuoi consigli?”
Con un sorriso vittorioso, dissi: “Ci sono tante ragazze sole nel bar. Quelle due – dissi, facendogli un segno – sono entrambe out per quello che vuoi fare tu. Una è appena uscita da una storia seria, la conosco, è una botta e via adesso la distruggerebbe. Toccala e ti perseguiterò per il resto della mia vita – smisi per un momento di sorridere – l’altra è solo in un periodo di crisi con il suo ragazzo, si sente poco apprezzata e vuole divertirsi. Però peggiorerà solo le cose, le rovinerai l’esistenza. Si è vestita in modo appariscente proprio per essere notata, ma non è convinta di quello che fa perché ha sempre gli occhi bassi e si tiene al margine più estremo del bancone. Ci sono poi altre donne che non hanno compagnia, che potrebbero convincersi che venire con te sia giusto. Però c’è una che sono sicura che accetterà, l’avrà fatto già mille volte. Lei.” Puntai il dito verso una ragazza circondata di uomini, che si scatenava ma non ballava davvero con nessuno.
“Come mai sei così sicura?”
“C’è stato un periodo che conoscevo e frequentavo tantissime persone, e ho imparato a capire più o meno i caratteri di ogni individuo dai piccoli gesti. Almeno, non sarà un totale fiasco stasera no?” gli feci un occhiolino, e lui ricambiò con una risata. Per un millesimo di secondo, avevo davvero pensato di accettare il suo invito, ma non era possibile. Non per me. Non dopo quello che avevo passato.
Proprio in quel momento, arrivò Kristen, che mi salutò allegra, e guardò sorpresa l’uomo al mio fianco.
“Grazie mille, seguirò i tuoi consigli! – si alzò, e prima di andarsene mi porse la mano – io sono Shannon, piacere comunque!”
Gliela strinsi, e sorrisi. “Piacere, sono Helena!”
 
Si, io sono Helena. E questa è la mia storia.
 
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Sole. ***


Buonasera! Eccomi qui con un nuovo capitolo! ^_^
Come state passando l'estate? Spero bene! 
Di solito non aspetto tanto tempo per pubblicare un capitolo.
Potrei inventarmi un sacco di cose, ma non servirebbe a niente. Semplicemente, non avevo idee per questo capitolo e sono pigra quanto un panda v.v 
Vorrei ringraziare _EmTale_, JessRomance, RosaBuò e JennySLouder che hanno recensito il capitolo precedente! 
Solo un'ultima cosa: il titolo mi è venuto così, alla fine con il capitolo non c'entra niente, c'entra solo con un personaggio che qui viene messo più in evidenza! xD

Quiiiiiiiiiindi, senza ulteriori indugi, leggetevi il capitolo v.v 



Capitolo 2: Sole.


 
 
“Non sappiamo come ringraziarla, davvero!” la donna di fronte a me si asciugava la lacrima che gli era scappata con l’indice destro, mentre con la mano sinistra stringeva la busta che le avevo appena consegnato io.
Qualche domenica prima si era sposata, e quel giorno era venuta a ritirare le foto da me, nel mio studio fotografico.
Era molto soddisfatta, e quindi mi ringraziò più e più volte prima di andare via insieme al marito.
“Allora.. la signora mi sembrava molto contenta delle tue foto, o sbaglio?” Cristopher sbucò dalla camera buia alla mia destra e venne a posizionarsi vicino a me, mentre prendevo dal mazzetto di contanti i soldi che gli spettavano.
Cristopher era il mio assistente. Un tecnico formidabile, mi aiutava con le luci e con le scenografie dei servizi fotografici. Era sempre lì, pronto ad aiutarmi e a correggere le imperfezioni dei nostri lavori. Era più giovane di me, aveva quasi ventisei anni, e mi stimava talmente tanto professionalmente che era voluto a tutti i costi essere mio amico. Io avevo finito per considerarlo come un fratello minore.
“Si, abbastanza. È stata una fatica ma alla fine il risultato era buono!” gli porsi la sua parte e sistemai la mia.
“Io te l’avevo detto, no? Mi devi ascoltare, ho sempre ragione!”
Io lo guardai sarcastica. “Sempre ragione, pff..” ritornai a guardare le foto che avevo consegnato alla signore sul desktop del computer, e conclusi che avevo fatto un bel lavoro.
“Che poi non capisco di cosa ti preoccupavi!”
“Mi preoccupavo..- dissi, chiudendo la cartella e girandomi verso di lui - .. del modo in cui loro sarebbero venuti nella foto. Quando dico che il mio cliente deve essere soddisfatto, intendo totalmente. Tra cinquanta anni quando rivedranno quelle foto, dovranno sempre vederle perfette, e non iniziare a pensare Oh santo cielo ma che faccia avevo? Come siamo venuti male! No. Se è un mio lavoro, non l’accetto. Quando li ho fotografati erano molto.. come posso spiegarti.. rigidi! La maggior parte degli scatti che sono finiti in quell’album sono quelli che ho fatto di nascosto. Quando si comportavano normalmente, come loro solito. Quando erano naturali, insomma.” Aspettai che il computer fosse spento, e iniziai a mettere a posto le cose sulla scrivania. L’orario di chiusura era ormai passato da un bel pezzo.
“Tu sei la persona più professionale che io conosca.” Disse lui, sorridendo.
“Lo so! – gli sorrisi di rimando – ..chiudi tu?”
Lui acconsentì, e mentre infilavo la giacca richiese la mia attenzione.
“Domani hai un servizio fotografico.”
“Bene. Mattina?”
“Si.” Vide che non accennavo a chiedergli nient’altro e continuò. “Devi lavorare per una band molto famosa!” il suo sorriso si allargò e gli occhi gli brillarono.
“Bene.” Dissi, con lo stesso tono neutro di prima. La sua eccitazione affievolì.
“Ma come? Non ti interessa sapere il nome della band? Ho raccolto tante informazioni!” prese uno di quei fogli bianchi per la stampante, abbondantemente usato, e lo strinse tra le mani.
“Sinceramente Cri? No.” Risi e mi avvicinai ulteriormente alla porta.
“E domani come farai se non sai niente di niente di loro?”
“Improvviserò, come al solito!” gli schioccai un occhiolino e poi risi di nuovo.
“Rimangio quello che ho detto prima!!” Riuscì a dirmi, prima che io lo lasciassi solo nello studio con i suoi appunti.
 
 
Tornai a casa, stanca dopo una settimana estenuante di lavoro, e buttai senza pietà borsa e giacca sul divano. Andai a mettere su la macchinetta del caffè, prima di vedere la spia rossa della segreteria telefonica che cercava di attirare la mia attenzione, lampeggiando.
“Oh no..” bisbigliai. Perché non riuscivo a godermi cinque minuti di relax?
 

Hel, quando senti questo messaggio, richiamami se puoi. Ti devo raccontare di un tipo che ho incontrato! Cioè è stata una cosa incredibile.. quindi muoviti a chiamarmi che ti devo aggiornare!

 
Il bip improvviso decretò la fine del messaggio, e premendo il bottone destro sul telefono svuotai la memoria.
Kristen è quel tipo di donna eternamente giovane, che si comporta come una ragazzina pure avendo trentacinque anni suonati. Non che non ammiri la sua estrema voglia di divertirsi e vivere, ma dovrebbe anche capire che alla sua età le toccherebbe cercare anche di fondare delle basi solide per una relazione seria.
Mi bloccai dopo questo pensiero, e iniziai a ridere. Io? Io che davo lezioni sui rapporti sentimentali?
Sorseggiai il mio bicchiere di caffè bello lungo, e poi composi il numero sul cordless.
Primo squillo.
Secondo squillo.
“Oh finalmente! Pensavo non mi richiamassi più!!” la sua voce squillante risuonò nel mio orecchio, ma non mi scomposi più di tanto. Dopo anni di ore e ore passate a telefono con lei, c’ero abituata.
“Calma calma! Ricordati che sono proprietaria di uno studio fotografico, e non è semplice! Dovrei anche riposarmi, dato che ho varcato due minuti fa la soglia di casa!”
“Ohh perdono! Non pensavo avessi fatto così tardi! Sgriderò Cristopher, non può trattarti così!” la sentii borbottare.
“Quello che deve essere sgridato non è lui, sono io che l’ho sequestrato!”
“Ma sei un danno!” disse lei, accennando ad una risata.
“Sono venuti due signori a ritirare delle foto del matrimonio e si sono dilungati molto più del previsto..” dissi, salendo le scale.
“Ma no! E io adesso con chi me la prendo?”
Prima che uscisse fuori di testa, cambiai discorso, puntando l’attenzione su qualcosa, o meglio qualcuno, di molto più interessante.
“Ah ma.. tu non dovevi raccontarmi qualcosa?” dissi, con finto distacco.
“AHHHHHHH è VERO!” allontanai momentaneamente il telefono dall’orecchio, e quando sentii che si era ammutolita lo riavvicinai.
“Dai, ti ascolto.” Sorrisi.
“Allora.. prima stavo tornando a casa dal lavoro, e siccome ero andata con il pullman perché ero rimasta senza benzina, torno a piedi. Mentre stavo prendendo il cellulare per mandarti un messaggio, vado a sbattere contro un uomo. Dire un uomo è dire niente, lui è L’uomo. Aveva delle spalle e delle braccia giganti e..”
“Kris, non per dirti qualcosa, ma potresti perderti nella spiegazione delle braccia! Dimmi come avete continuato!” ridemmo insieme, e lei continuò. Io intanto andai in bagno e aprii l’acqua calda della vasca,  per rilassarmi con un bel bagno.
“Mi scuso, sto per andare via, ma lui mi raggiunge e mi si mette davanti. Inizia a chiacchierare, dice di avermi visto in un bar qualche tempo prima, e che l’ho colpito. Proprio le solite frasi per abbordare una donna. Mi interessa, quindi fingo di essere una sempliciotta e gli do corda. Lui inizia a chiedermi cosa ci facessi da sola, e io gli dico che stavo per tornare a casa. E lui? Boom! Mi chiede se mi può accompagnare, magari facciamo due passi e cose del genere! Ma cosa mi ha preso per stupida? Io gli faccio un sorrisetto, lo ammetto, bastardo, e gli dico ciao bello! Lui ci rimane a bocca aperta e poi quando si riprende mi dice qualcosa tipo Bah, si son messe d’accordo! Io mi giro e lui mi afferra il braccio. Non lo avesse mai fatto! Gli do uno schiaffo dritto dritto in faccia che non se lo scorda più! Sgrana gli occhi, gli dico maiale! e me ne vado, mentre sento il suo gruppo ridere! Che soddisfazione guarda: era bello che era bello, ma aveva la faccia di un maniaco. Quello si aspettava che ero una facile e invece gli ho dato il due di picche!” iniziai a ridere, e lei si aggiunse a me.
“E io che pensavo ti fossi messa a fare la ragazzina!”
“Io? Ragazzina? Quando ci incontriamo te ne dico due!”
Risi. “Tu mi lasci quel messaggio nella segreteria, dove parli come una diciottenne! È ovvio che penso che ti sei messa a fare la ragazzina!”
“Ah va bene, la prossima volta ti lascio un messaggio dove dico incontrato ragazzo. Aggiornare subito! Poi voglio vedere che dici!”
“Dai non fare l’offesa!” dissi io, immaginandomi Kristen, la mia Kristen, parlare così. Sarebbe stata più probabile un’apocalisse!
“Quand’è che ci incontriamo? Domani mattina non puoi liberarti e lasciare un po’ le cose nelle mani di Cristopher?”
“No, magari! Devo fare le foto ad un gruppo. Credo di dover andare anche con un po’ di anticipo in studio per informarmi su di loro, non so manco il nome!”
“Oh se lo sapevo non ti tenevo tanto a lungo a telefono! Vai a riposarti!” disse lei, apprensiva.
“Va bene mamma!” Le risposi io, facendo una voce da bambina.
“Buonanotte Luna!” disse lei, ridendo.
“Buonanotte Sole!” sorrisi e posai il cordless sul lavandino, mentre mi spogliavo ed entravo nella vasca.
C’eravamo date quei soprannomi quando eravamo ancora delle ragazzine, e continuavamo a chiamarci così anche adesso. Secondo me, lei illuminava le mie giornate, e secondo lei, io illuminavo anche le sue notti più buie.
Non potevo fare altro che sorridere pensando a lei, era quello che c’era più solido nella mia vita.
Quando fui in mezzo alla schiuma, iniziai a pensare alla nostra conversazione. Mi ritrovai a pensare inaspettatamente a Shannon. L’ultima volta che mi ero interessata a qualcuno era stata qualche settimana prima, e proprio a lui. Era stato il primo dopo anni, dopo.. si, dopo Arnold. Buttai con rabbia la testa sott’acqua, e rimasi in apnea a lungo.
 
 
La sveglia continuava a suonare. Aveva già suonato sei volte, e io l’avevo sempre ignorata, alla settima però mi iniziava a dare sui nervi. Un attimo.. SEI VOLTE???
Mi alzai di botto, presa dal panico. Ero in ritardo, in un enorme ritardo!
Corsi in bagno, e diedi un urlo guardando i miei capelli. Ero troppo stanca la sera prima per asciugarli, quindi ero andata a letto che erano fradici. E in quel momento sembrava che avessi un nido d’uccelli sulla testa.
Feci due respiri profondi, e poi riflettei.
Non potevo farmi prendere dal panico.
Presi la spazzola e la affondai senza pietà tanto in fondo da raschiare sulla nuca. Riuscii a togliere velocemente i più grandi, ma tenerli in quello stato era escluso: quindi presi un codino resistente e mi feci la coda. Lasciai solo il ciuffo davanti, e mi guardai allo specchio. Decisamente meglio.
Scelsi un abbigliamento semplice: un jeans stresso con un decolté bianco, e una camicetta dello stesso colore. Ora potevo andare.
Prima però di lasciare la stanza, mi accorsi di aver dimenticato il mio solito foulard. Con un sorriso amaro aprii il mio cassettone dove, riposta ordinata e precisa, c’era tutta la mia collezione che toccava i colori più svariati e le tinte più particolari. Presi uno bianco semplice e lo annodai stretto intorno al collo, coprendo quello che era il simbolo del mio errore più grande.
Scesi in fretta le scale, e afferrando il cellulare vidi decine di chiamate perse nel registro delle chiamate: Cristopher.
Entrai in garage, salii in macchina e accesi il motore.
Sgommai e lasciai il mio quartiere, cercando di fare il più in fretta possibile.
Intanto premetti il tasto per iniziare una conversazione, e prima che il mio interlocutore potesse fiatare dissi: “Sto arrivando!” e richiusi.
 
 
“Ma dove eri finita, stanno qui da mezz’ora!” Cristopher mi corse incontro, ma io lo ignorai e continuai a camminare.
“Buongiorno!” salutai qualcuno di non ben definito.
Posai la mia borsa sulla scrivania accanto al computer, e tirai fuori la macchina fotografica con estrema cura.
Qualcuno si schiarì la gola. Una voce lontanamente familiare disse acidamente: “Buongiorno eh! Le piace farsi attendere vero?”
“Mi dispiace, è molto sfortunato, è la prima volta che capita.” Io continuavo a cambiare le impostazioni della macchina fotografica secondo luci e modalità, quando Cristopher si intromise e disse.
“Non è meglio fare le presentazioni? Lei è Helena, e loro sono i 30 seconds to mars. Il cantante Jared Leto, il fratello e un loro amic..” Io lo interruppi.
“Certe volte sei infinitamente stupido Cris. Credo che loro non vogliano essere chiamati per parentela, ma per nome. Non credo vivano come supporti di.. Jared, ma come persone. O sbaglio?” Mi girai sorridendo. Davanti a me incontrai solo volti sorpresi, e mi soffermai sull’ultimo.
Sorrisi. “Oh, ciao Shannon.”
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: I will never regret. ***


Buonasera! Scusate se non faccio nessun ringraziamento o altro, ma è tardi! >.< Posso dire solo grazie a chi mi segue!
Buona lettura! 
(spero non troviate errori, lo ricontrollerò domani!)

Capitolo 3: I will never regret.
 

 
“Helena!” Shannon si avvicinò e mi cinse le braccia per salutarmi.
Io rabbrividii a quel contatto, ma feci finta di nulla.
“Allora? Come è andata l’altra serata alla fine?” scherzai io.
“Bene, avevi ragione!” iniziammo a ridere sotto lo sguardo allibito di Cristopher.
“Shannon! Non darle corda!” lo richiamò il fratello.
“Dai andiamo, prima che mi mandi in bestia.” Mi legai attorno al braccio il cinturino della mia macchina fotografica, e aspettai che anche Shannon tornasse al suo posto.
“Allora.. mettetevi nella posa che preferite, faremo qualche foto così e poi vedremo se mettervi in qualche modo particolare.”
In quel momento tornai seria e iniziai a scattare tantissime foto, poche serie e la maggior parte divertenti. Quei tre mi stavano simpatici, alla fine, perché pur avendo molto successo, secondo il mio assistente, erano naturali. Non portavano una maschera, non si erano creati un personaggio che sfoggiavano in pubblico, erano loro stessi nelle loro risate, erano loro stessi nel loro modo buffo di fare, erano loro stessi anche nei vestiti stravaganti che portavano.
Ad un certo punto iniziarono a litigare come tre bambini, e io non smisi di fotografarli. Shannon prese da dietro il fratello che finse di soffocare, mentre Tomo fingeva di svenire per la paura.
Io non mi scomposi più di tanto, mentre sentivo dietro Cris che non riusciva a trattenere le risate.
Passammo un’oretta buona per fare il servizio fotografico, e scattai talmente tante foto da attaccarle ai quattro muri di una stanza e non lasciare neppure uno spazio vuoto.
“Dobbiamo scattare qualche foto in una posa particolare?” disse ad un certo punto Jared, per la prima volta senza sputarmi veleno addosso e addirittura con un sorriso non sarcastico sulle labbra.
Io iniziai a riporre tutti i pezzi della mia macchina fotografica nella borsa, e risposi: “No, sono soddisfatta così… Cris? – dissi, girandomi verso il mio assistente – inizia a spegnere le luci e ad aprire le tende.” Lui nemmeno finita la frase scattò e si diresse verso le lampade colorate dietro la scenografia.
Presi solo la card della memoria dove c’erano tutte le foto che avevo appena scattato, e la infilai nel computer. Iniziai a tamburellare le dita sulla scrivania mentre la cartella non caricava, e intanto loro si avvicinarono.
Mi rivolsi a Tomo. “Siccome tu sembri molto più affidabile di loro due.. – puntai i due fratelli Leto – parlerò con te. Non penso di avere troppi problemi a smistare le foto, mi dovete dire il numero di scatti di cui avete bisogno e.. la scadenza. Se mi ci metto d’impegno potrei farvele anche per domani, non ci sono problemi.”
“Le foto non ci servono con urgenza. Abbiamo bisogno di una sola, in realtà, da usare come poster per il nostro prossimo tour. Abbiamo ancora alcuni mesi. Se vuole ce le puoi mette..” lo interruppi.
“Se avete bisogno di un grafico ci sono io. Con photoshoop me la cavo..” sorrisi. Era da quanto? Cinque anni? Si da quando avevo aperto il mio studio che mi esercitavo con quel programma.
“Stai scherzando?! Il nostro vecchio grafico l’abbiamo licenziato quindi.. ci faresti un gran favore ad aiutarci!” Tomo mi stava simpatico. Era gentile e non si dava tante arie, al contrario degli altri componenti della band.
“Ei ei ei! Caaaaaaaaalma. Cos’è tutta questa fretta e queste proposte lanciate così? Non possiamo offrire un lavoro al primo che capita!” si intromise Jared, rivolgendosi a Tomo.
“Ma..” iniziò lui la frase, e per la seconda volta fu interrotto.
“Niente ma! Qui non possiamo mettere in mano di chiunque il nostro lavoro!”
“Io non sono chiunque, caro Jared. Anche perché sei stato tu a venire da me non il contrario. Non vuoi una mano da me? Bene! Allora ti faccio pagare tutte le foto che ho fatto oggi, e con il grafico di tuo gradimento impazzirete per smistarle! – mi girai – guarda un po’, non solo uno vuole essere gentile..”
Sentii da dietro Jared sbuffare, e poi qualcuno che confabulava.
“Cris? Io stacco dieci minuti. Congeda tu i signori e fissagli un appuntamento per venire a ritirare le foto.” Iniziai a camminare verso l’uscita.
“Va bene..” rispose lui, un po’ confuso.
“Helena aspetta!” prima che potessi uscire Shannon mi rincorse. “Mi dispiace per mio fratello, è un..” esito, e io continuai la sua frase.
“Idiota? Deficiente? Egocentrico? Si, l’avevo capito.”
“Lo so, e mi dispiace, ma..”
“Nessun ma, e sono io a dirlo. Io lavoro per le persone, ma non vuol dire che queste mi possono mettere sotto i piedi. Anzi, nessuno può farlo. Ancora di meno tuo fratello.” Presi il cappotto appeso al gancio e iniziai ad infilarmelo.
“Ei mi ascolti un attimo? – mi bloccò il braccio e mi costrinse a guardarlo – lui è come un bambino, deve avere sempre ragione, deve avere sempre l’ultima parola. Ha solo visto la sua autorità cadere, solo questo! Non ha nulla contro di te! Però resta che noi abbiamo bisogno di un grafico. Ci hanno parlato bene di te perciò siamo venuti qui. Ci affidiamo a te anche per questo lavoro.”
Lo guardai dritto negli occhi, in quelle iridi nocciola, e vidi che era sincero. Sospirai, abbassai lo sguardo, e puntai gli occhi sulla sua mano che stringeva il mio gomito.
Appena se ne accorse anche lui mi mollò e si scusò.
“Va bene. Però se accetto questo incarico pretendo rispetto. Altrimenti non si fa nulla.” mi aggiustai il ciuffo e aspettai la loro risposta.
Prima che Shannon potesse dirmi qualcosa, parlò il fratello.
“Va bene. Hai ragione tu, scusa.” Mi sorprese quel suo cambio di atteggiamento, e solo dopo averci ragionato su mi riavvicinai al tavolo.
Presi l’agenda che c’era nel primo cassetto e iniziai a sfogliare le pagine.
Puntai la penna sul foglio e iniziai a scrivere:
 
30 seconds to mars, 16:30.
 
La riposi nel cassetto, e presi uno di quei cartoncini con il logo dello studio sul davanti e nella parte posteriore due righi vuoti.
“Allora.. ho fissato un appuntamento per venerdì alle 16:30. Va bene?”
Al loro cenno di assenso, riscrissi quello che avevo scritto sull’agenda sul cartoncino, aggiungendo anche il giorno.
“Ma te l’abbiamo detto, non abbiamo tutta questa fretta..” disse Tomo.
“Voglio farvi vedere una bozza. Così possiamo discutere meglio sul tipo di foto che volete e su quelle che vi piacciono di più. Lo farei adesso direttamente ma tra un quarto d’ora ho un appuntamento, mi dispiace.” Gli porsi il cartoncino, e Tomo se lo prese.
“No anzi, sei molto gentile.” Mi rispose, sempre con gentilezza, lui.
“Noi togliamo il disturbo. Ti abbiamo fatto perdere già abbastanza tempo!” Jared mi rispose con un sorriso, e mi porse la mano.
Io iniziai a fissarla, e invece di un gesto usuale per salutare una persona ci vidi una richiesta di tregua, di alleanza.
Sorrisi di rimando e gliel’afferrai.
La tensione si rilassò, e salutai anche Tomo.
Loro si incamminarono verso la porta, io mi girai e mi trovai Shannon davanti che sorrideva.
“Grazie, davvero.”
“Non è nulla. Grazie a voi per il lavoro.” Dissi, mentre rimettevo la card nuovamente vuota al suo posto nella macchina fotografica.
“Che ne dici.. – mi disse, mentre sentivo il suo sguardo fisso su di me – di andare a prendere qualcosa al bar, nella tua pausa? Andiamo al ristorante, o dove preferisci!”
“Shannon..” il mio tono era di disapprovazione.
“Non è come pensi. Da amici.”
Mi girai, sorpresa, verso di lui. Non era sarcastico.
“Amici?” chiesi io, titubante. Il pensiero che Shannon potesse avere delle amiche mi era quasi inconcepibile.
“Si, amici! – disse lui, poi si corresse – Cioè amici.. almeno per oggi!”
Risi insieme a lui, e poi gli dissi di si.
“Perfetto! Ti vengo a prendere qui alle..?”
“Stacco verso l’una. Però non posso attardarmi troppo perché alle quattro ho un servizio fotografico e devo stare qui alle tre per aiutare Cristopher con la scenografia. E devo passare pure da casa..”
“Ok ho capito! Cenerentola deve tornare a casa presto!”
Sorrisi di nuovo e poi ci salutammo.
Scomparve da quella porta lasciando dietro di sé solo il ricordo delle sue labbra sulla mia guancia.
 
 
 
 
“Arrivederci!” dissi, alla donna che era venuta nel mio studio a ritirare le foto della comunione della figlia.
Avevo mandato via Cristopher così avrebbe potuto riposare, ed ero riuscita a congedare la signora prima del previsto, così ancora venti minuti mi dividevano dall’una.
Presi il cellulare e nel frattempo chiamai Kris.
“Sei viva allora!” disse lei, neanche dopo un attimo che aveva aperto la chiamata.
“Si, sono ancora viva! Anche se ho mal di testa e sono stanca!” proprio in quel momento sbadigliai.
“Oh mi dispiace! Non avrei dovuto tenerti fino a tardi al telefono ieri sera!”
“No, non è colpa tua. In realtà dopo aver chiuso la conversazione con te ho fatto un bagno. E stamattina mi sono svegliata pure tardi pensa te..” dissi, sedendomi sulla poltroncina blu che era stata la prima quando avevo arredato lo studio.
“Ma tu sei stupida! Un bagno così tardi? E come hai fatto con la band?”
“Niente. C’ho fatto una grandissima figuraccia, e praticamente il frontman mi ha preso pure in antipatia!”
“Bene! Ma com’erano?” disse lei, improvvisamente coinvolta nella conversazione.
“Kris..” dissi io, scuotendo la testa.
“E’ inutile che stai lì, seduta sulla tua sedia a scuotere la testa! Era solo una domanda!” era incredibile come mi conoscesse bene.
“Sbagliato! Sono sulla poltrona. Comunque mi hanno offerto un altro lavoro, di grafica. Li vedrò spesso a quanto pare..” mentre parlavo mi massaggiavo le tempie, anche se era del tutto inutile perché il mal di testa non accennava a passare.
“Uh davvero? Chissà che qualcuno di loro non sia bello!” rise.
“Kris..” ripetei.
“Lo dicevo per me, che vuoi!” disse lei, strafottente.
“In realtà ci esco con uno di loro. Il batterista. A pranzo.”
“CHE COSA?” urlò lei, dall’altra parte del telefono.
“Come amici!” sottolineai.
“Sai che quando torni mi devi raccontare tutto? Dalla prima all’ultima parola?”
“Ma non ci sarà nulla da raccontare! E poi alle quattro ho un servizio fotografico, non so se riesco a chiamarti. Altrimenti stasera.”
“Va bene. Ti lascio che è entrato un cliente. A dopo!”
“A dopo..” tornai alla scrivania, e presi dalla borsa un’aspirina. Avrei dovuto mangiare qualcosa, ma stavo per andare a pranzare e mi sembrava sciocco.
Proprio in quel momento, però, Shannon entrò dalla porta. Ci sorridemmo e senza dire una parola uscimmo da lì.
Solo quando mi ritrovai davanti una moto bianca e blu, tentennai.
“Metti questo e copriti. Ti porto in un posto.”
Io lo guardai ancora più ad occhi sgranati e lui disse: “Helena, ti vuoi muovere si o no? Cenerentola deve tornare a casa prima della mezzanotte, quindi non abbiamo tempo da perdere.”
Titubante, salii sulla sua moto e lui sgommò.
Avrebbero dovuto ritirargli la patente. Andava troppo veloce e faceva delle curve da pazzo. Io inizialmente stavo il più lontano possibile da lui, e mi tenevo aggrappato al sedile sotto il mio sedere, ma appena aveva iniziato ad accelerare non avevo potuto fare a meno di aggrapparmi a lui come una ventosa.
Gli stringevo le braccia attorno alla pancia e avevo la testa appoggiata alla sua schiena, con l’orecchio destro poggiato ad ascoltare i battiti del suo cuore.
Non l’avevo fatto a posta, ma adesso non riuscivo a fare a meno di stare così.
Neppure la velocità mi sembrava più un problema, perché mi concentravo su quel battito regolare e possente, che mi entrava nelle orecchie fino a toccare il cuore.
Con quell’uomo non condividevo nulla, però c’era qualcosa in lui che mi attirava, e quel momento in cui i nostri cuori entrarono in contatto mi sembrò un qualcosa su cui basare un nuovo legame.
Forse stavo solo vaneggiando, ma in quel momento mi sentivo in pace. In pace con me, con Shannon, con il genere umano.
Troppo presto iniziò a decelerare, e quando parcheggiò scesi dal veicolo a due ruote un po’ spossata. Le tempie pulsavano e dovetti sbattere più volte le palpebre per sentirmi di nuovo bene.
“Dove andiamo di bello?” chiesi, per distogliere l’attenzione dal dolore alla testa.
“Andiamo in un bel posto. E’ una bella giornata primaverile no? Fa pure abbastanza caldo! Quindi invece di rinchiuderci in un ristorante ci andiamo a fare un bel picnik sul lago. Che ne dici?”
Io mi fermai, e lo fissai incredula.
“Che ne hai fatto dello Shannon Leto che ho conosciuto qualche settimana fa? L’hai ucciso eh? Oppure.. – lo guardai con fare indagatore - Non sarai mica come il dottor Jekyll e Mr. Hyde? Di giorno un romantico ragazzo che porta le ragazze a fare i picnik sul lago e di notte un mangiatore di donne? Mmm..”
“Ma la smetti? Volevo essere gentile, non ti sarai fatta una buona opinione di me.. come vedo!”
Io non mi mossi.
“Ricominciamo daccapo? Da oggi, da adesso?” Mi porse la mano per invitarmi a raggiungerlo.
“Ci sto. Tu e tuo fratello siete pieni di sorprese!” ridemmo e iniziammo a scendere delle scalinate che portavano ad un infinito spazio verde circondato di alberi e fiori colorati. Di fronte, il lago.
Sorrisi. Era davvero un bel posto.
Shannon mi portò prima in una specie di salumeria, dove comprò quello che avremmo mangiato; non era nulla di elaborato, solo tramezzini e panini, e poi comprò qualche biscotto.
Mise tutto in un delizioso cestino che lasciò scegliere a me tra quelli che erano esposti in vetrina. Comprammo anche un telo celeste che stendemmo sul prato.
Lui si distese, io invece mi sedetti con le braccia attorno alle gambe mentre guardavo il panorama che si stendeva davanti i miei occhi.
“Allora.. ti piace?” disse lui, rialzandosi.
“Si. Tanto. Non ero mai venuta in un posto così bello.” Non smettevo di guardare quel lago che si confondeva con il cielo, e aveva un colore tanto simile a quello dei miei occhi.
“No, non ci credo! Sono sicura che c’è stato un tuo ragazzo che ti ha portato in un posto mille volte più bello di questo!”
Non risposi, e lui si affacciò a guardarmi. Mi ero rattristata.
“Scusami non volevo dire qualcosa di..”
“No, non ti preoccupare. Acqua passata. Un giorno te la racconterò questa storia.” L’avrei mai fatta? Avrei mai raccontato a qualcuno che non fosse Kris la storia di Arnold? Non ne ero realmente sicura.
“Stooooop! Smettila di pensare. Ti ho portato qui per farti passare una bella giornata, una giornata che non dimenticherai per un bel po’. Mi racconterai la storia si, ma un’altra volta. Adesso voglio che tu sorrida!” mi afferrò la spalla e mi tirò giù.
Risi. “Grazie. Non lo dimenticherò mai!” anche lui si distese e iniziammo a guardare le nuvole, a cercare di scovare qualche figura nascosta.
 
 
“Allora, ti riaccompagno a casa?” eravamo vicino alla moto. Stavo infilando il casco, quando lui mi prese il mento e lo alzò.
“Sei sicura di stare bene? Sei bianca.” Aggrottò le sopracciglia e mi fissò.
“Ho mal di testa in realtà..” dissi io. Mi sentivo debole.
“Aspetta..” scansò il casco e poggiò il dorso della mano sulla mia fronte.
“Ma tu scotti!” disse preoccupato.
Io sbattei solamente gli occhi.
Ci pensò su, mi mise il casco e si tolse il giubbino. Me lo porse.
“Mettitelo.” Non c’erano altre possibilità nella sua voce, o accettavo quello o lo accettavo.
Non avevo la forza di controbattere, quindi lo presi e lo infilai.
“Ma tu prendi freddo..” scosse la testa sorridendo e chiuse la zip del suo giubbino. Mi sfiorò il mento e io rabbrividii.
Ero tanto imbottita da non riuscire a toccare con le mani i fianchi. Shannon mi aiutò a salire sul motorino e mi ordinò di aggrapparsi a lui.
Lo abbracciai da dietro, e attesi.
Lui non partiva.
“Helena?”
“Si..?” dissi io, con un filo di voce.
“Se non mi dici dove abiti non posso portarti da nessuna parte.” Disse lui, guardandomi con la coda dell’occhio.
“Oh, hai ragione..” cercai di connettere il cervello e gli dissi l’indirizzo.
Partì.
Il vento non mi arrivava in faccia, ero coperta dalla sua possente schiena. Sotto i vestiti miei e di Shannon sudavo freddo, e con le gambe stringevo convulsamente la moto.
“Stiamo per arrivare!” urlò lui, per farsi sentire. Annuii per risponderlo, non riuscendo neppure a parlare.
Arrivammo dopo non so quanto tempo a casa, e diedi indicazioni a lui su dove stavano le chiavi di riserva. Feci qualche passo in avanti, ma ero debole. Così Shannon mi prese in braccio e mi portò dentro.
Mi poggiò delicatamente sui divano, e mi chiese dove si trovasse il termometro.
“Nel.. primo cassetto.. lì..” indicai il comò di fronte a me.
Lo sentii sbattere il termometro e poi passarmelo.
Lo misi sotto il braccio e attesi.
“Dai che andrà tutto bene..” mi diceva intanto Shannon, accarezzandomi la fronte.
Bip.
Lo presi da sotto il braccio, e prima che potessi leggere lui lo afferrò.
“Hai quaranta di febbre Helena.” Mi disse preoccupato.
“Oh no…”
 

 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: Inaspettato. ***


FINALMENTE RIESCO A PUBBLICAREEEEEEEEE *^*
Scusate, scusate, scusate. Linciatemi pure. Però sono andata a mare e vicino al pc non ci sono stata proprio.
Ringrazio semplicemente TUTTI. Grazie. 
(Scusate eventuali errori)
Buona lettura :3 


Capitolo 4: Inaspettato.

 
La sveglia iniziò a suonare.
La suoneria mi martellava nelle orecchie, e mi decisi finalmente ad alzare il braccio solo per far smettere quella tortura.
Guardai verso il display, che segnava le sette del mattino.
A destra del mio letto c’era una catasta di fazzoletti usati, sul comodino un pacco di aspirine, e avevo addosso due o tre coperte pur essendo in primavera. Ricordai di Shannon che mi aiutava a salire le scale e che mi lasciava una bottiglia d’acqua e un bicchiere di vetro sul comodino. Mi aveva fatto prendere una delle aspirine e poi aveva guardato l’orario, ed essendosi fatto abbastanza tardi, si era congedato con un “non scoprirti durante la notte, e domani mattina non uscire. Chiamerai Cristopher per disdire tutti gli appuntamenti per almeno.. tre giorni. Io verrò nel pomeriggio a farti compagnia. Mi raccomando, e buonanotte.
Mi aveva sorriso e si era inoltrato nell’oscurità del corridoio, scomparendo in un battito di ciglia. Per un poco si erano sentiti i suoi passi sul parquet, e poi l’aprirsi e il chiudersi della porta d’ingresso. Poi più nulla.
Mi aveva lasciata sola con il silenzio pesante della casa, rotto solo dal verso di qualche animale fuori dalla finestra. Il mal di testa cominciava a dissolversi, e quindi mi distesi da un lato per mettermi a dormire. L’incoscienza – stranamente – non tardò ad arrivare.
 
 
Mi alzai pensando che Shannon era stato davvero tanto carino con me. Chissà, potevamo davvero essere buoni amici?
“Domani mattina non uscire”Cosa avrei fatto tutto il giorno?
Pensai di chiamare Cris per disdire gli appuntamenti, ma.. se invece fossi andata al lavoro?
Una febbre non mi avrebbe ucciso. Il mal di testa si era quasi attutito del tutto, però sentivo ancora i muscoli intorpiditi.
Potevo resistere almeno per la mattinata. Avevo un servizio fotografico per una rivista abbastanza importante, e le modelle sarebbero arrivate per le dieci.
Ce l’avrei fatta a sbrigare tutto in un’oretta e poi sarei potuta tornare a riposarmi.
Presi dei vestiti abbastanza caldi che avevo lasciato nell’armadio facendo il cambio di stagione, proprio per un eventualità del genere, e puntai verso il bagno.
Mi lavai, e mi vestii, non proprio in fretta, e controllai la segreteria telefonica.
Due nuovi messaggi.
 

Ciao Hel! Stasera sei scomparsa! Ti avrò chiamata una decina di volte! Com’è andata con quello della band? Mi devi raccontare tutto! Domani parto, quindi cerca di farti viva prima delle undici!
 

Bip.
 

Hel, sei un disastro. Dove sei? Ti avevo detto di chiamarmi. Mi sto seriamente preoccupando. Io tra qualche ora parto e non mi vuoi neppure salutare? Torno tra quattro giorni, c’è un convegno dei librari, e ci potremo sentire poco solo la sera. Fammi avere tue notizie al più presto, o vuoi che intanto che parte il mio aereo io stia alla polizia a denunciare la scomparsa della mia migliore amica?

 
Solita Kris. Un giorno o l’altro si sarebbe fatta venire seriamente un infarto.
Presi il cordless, composi il numero che avevo imparato a memoria ormai da tanto tempo, e aspettai.
Primo squillo. Secondo squillo.
“HELENA, MANNAGGIA A TE. DOVE ERI FINITA?” mi urlò lei dall’altra parte della cornetta.
“A letto con la febbre!” urlai io, di rimando.
“Che?! Sei malata?!” il suo tono mutò in un istante da furioso a preoccupato.
“Ieri sera avevo quaranta di febbre, però ho preso un’aspirina e ho fatto una bella dormita, e adesso mi sento davvero molto meglio. Mi dispiace non averti risposto, non l’ho proprio sentito il telefono.”
“Non ti preoccupare, l’importante è che ti senti meglio.” Adesso era calma.
“Si.. allora, oggi parti? Dove ci incontriamo?” dissi io, per cambiare discorso.
“Ma sei pazza?! Tu devi rimanere in casa! Ti vengo a fare un saluto io verso le undici e mezza. C’è sempre la chiave nel vaso vero? Così non ti disturbi a venirmi ad aprire la porta.”
“Si c’è sempre. A dopo ok?!”
“A dopo!” e riattaccò.
Mi ero sentita quasi come se fossi stata scoperta, come se lei sapesse che io volessi infrangere le regole ed andare a lavorare comunque.
Se volevo essere a casa per le undici e mezza, distesa nel letto in pigiama, dovevo sbrigarmi a fare il servizio fotografico.
Presi la borsa in tutta fretta, e uscii di casa con le chiavi in mano pronta a salire in auto.
Non avevo notato solo un piccolo particolare: una moto blu e bianca era parcheggiata nel mio giardino, su cui c’era appoggiato un uomo a braccia conserte. Rimasi a bocca aperta, a fissarlo incredula con le chiavi che penzolavano dalla mia mano.
Lui mi guardava, con un sorriso soddisfatto.
“Bene bene, avevo ragione..” aspettava che io dicessi qualcosa, ma dalla mia bocca usciva solo l’aria che i miei polmoni buttavano fuori.
“Ieri sera, nello stesso momento in cui ti ho detto non uscire di casa, ho pensato che l’avresti fatto. Sei una tipa testarda, Helena, e il tuo lavoro per te è fondamentale. Ma per me è più importante la tua salute. Oggi starai a casa, e anche domani, e il giorno dopo ancora. Fino a quando la tua salute non tornerà come, o anche meglio, di prima. Quindi, cara la mia fotografa, adesso tornerai dentro e ti riposerai. Non costringermi a legarti al letto – rise - ..Tanto pure se vai al lavoro non puoi fare nulla, sono passato io al tuo studio e ho fatto rimandare ogni appuntamento alla settimana prossima. Adesso, non vorrai mica che per fare da balia a te io debba rimandare i miei appuntamenti?”
Finalmente diedi un segno di vita, lo guardai storto e rientrai, sbattendo la porta. Rimasi fissa lì a guardare di fronte a me, senza vedere in realtà nulla, e poco dopo sentii la moto che sgommava via.
 
 
 
“Chiamami appena puoi!”
“Si, dai sono solo quattro giorni!” Kristen mi abbracciò per l’ultima volta, prima di girarsi e di correre verso la porta di casa. Mancavano dieci minuti a mezzogiorno, ed ero seduta con la coperta sulle gambe sul mio divano. Alla fine avevo fatto come aveva detto Shannon, dopo essere passata vicino lo specchio del mio salotto e aver visto il colorito della pelle simile al bianco di un cadavere. Era tornato anche il mal di testa, e aspettavo di mangiare qualcosa prima di prendermi un’altra aspirina.
Dopo aver fatto un po’ di zapping tra i canali della televisione senza aver trovato nulla di interessante, mi distesi e mi addormentai.
 
 
“Helena?!” qualcuno sussurrò il mio nome, non troppo lontano da me.
Una figura si stagliò davanti ai miei occhi, ancora un po’ appannati, e d’istinto tirai il pugno dietro e lo scagliai sulla faccia della persona davanti a me.
“Ma che sei scema?!” mi urlò lui. Era Shannon.
“Oh cavolo! Ma che ci fai qui?!” la vista divenne nitida, e vidi del sangue scendere per giù per il suo mento.
“Te l’avevo detto che sarei venuto! Ho bussato un sacco di volte, non rispondevi e mi sono preoccupato. Sono entrato con la chiave nel vaso, quella che mi hai mostrato ieri. Sei tu che mi hai preso a pugni!” mi alzai di scattò, e ignorai i muscoli intorpiditi per piazzarmi di fronte a lui.
“Scusa.. ora fammi vedere..” gli spostai la mano con un gesto rapido, e esaminai il labbro. C’era un taglio non troppo grande sulla parte destra.
Trascinai Shannon in cucina, lo feci sedere, e presi nel congelatore un pezzo di ghiaccio. Lo coprii con un panno e ritornai da lui.
“Non è niente dai, ora passa..” cercò di protestare ma presi il suo viso con la mano sinistra, lo rialzai in modo di avere una visuale migliore, e presi a tamponare con il ghiaccio.
Dopo un po’ la ferita si risanò, e anche il labbro si sgonfiò.
Mi accorsi che eravamo davvero vicini, quando lui mi disse piano “grazie” e io sorrisi. Imbarazzata, andai a rimettere il ghiaccio a posto, e offrii da bere al mio ospite.
“Mmm.. hai qualcosa di alcolico oppure mi accontento dell’acqua?” mi disse ridendo.
Presi quella frase come una sfida, e aprii con un sorriso il mobile in alto, ripieno di bottiglie. C’erano di diversi colori, di diverse forme e quantità.
Presi una con un contenuto alcolico non troppo elevato, presi nel congelatore due pezzetti di ghiaccio da mettere in due bicchieri di vetro, posizionai tutto davanti Shannon, che mi guardava incredulo.
“Da dove l’hai preso tutto questo amore per l’alcool?!” mi chiese, ora un po’ curioso.
Mentre inclinavo la bottiglia sul suo bicchiere per far scendere il liquido, risposi: “Ah, Shannon! Quante cose che non sai di me!”
Dopo aver riempito il suo bicchiere, passai al mio. Non cadde neppure una goccia, che Shannon mi rubò la bottiglia, e la tappò.
“No no, tu sei malata. Niente alcool per lei, mi dispiace.” Bevve tutto d’un fiato, ripose ogni cosa nel lavandino, e mi trascinò fuori dalla stanza.
Passammo prima dal salotto, dove prese una borsa che aveva lasciato sul tavolino prima di svegliarmi, e poi andammo nella mia stanza.
Mi sentivo tanto stanca, e il mal di testa che fino a quel momento avevo evitato si faceva sentire; però, non dissi nulla.
“A proposito di cose che non so di te..” disse, appena entrammo in camera. “Perché non me ne dici qualcuna?!” mi aveva fatto sedere sul letto, dove potevo coprirmi con le coperte, e lui si era seduto sul divanetto.
“Mmm.. ho fatto un corso di un anno di autodifesa. Ecco perché ti ho involontariamente dato quel pugno.. e a proposito, mi dispiace!”
Lui fece un gesto con la mano, e disse: “Non ti preoccupare, non è nulla!” fece un sorrisetto, e poi mi chiese: “E perché hai fatto questo corso di autodifesa?! Dai dimmi qualcosa in più!”
“Questa te la racconto un’altra volta ok? Prima o poi te lo dico, lo giuro!” feci uno sguardo imbarazzato e lui capì che non me la sentivo.
“Va bene! Decidi tu quando. Mmm..” si ricordò di qualcosa, e frugò nella borsa nera che aveva poggiato sulla scrivania.
“Ti ho portato una cosa!” disse raggiante, e si avvicinò.
Aveva in mano tre strani cd, e me li porse.
Lo guardai stranita, e lui continuò: “Questi sono i tre cd che ha prodotto la mia band finora. Te li regalo, così li ascolti quando hai voglia!”
Li presi in mano, e li rigirai. Le copertine erano molto semplici. I colori oscillavano tra il bianco, il rosso e il nero, e non c’era neppure una delle facce dei componenti. Il terzo mi colpì particolarmente: c’era una tigre, in copertina, con le fauci spalancate e la scritta This is war.
Questa è guerra..” bisbigliai. “Cos’è, vuoi pubblicità? Oppure mi vuoi far diventare una tua fan?!”
Ridemmo insieme, poi lui aggiunse: “Voglio che tu li ascolti, così sai per cosa vai a lavorare. Poi se ti piacciamo, ben venga..!” Rise di nuovo, e io tornai a guardare i cd.
“Ok! Li ascolterò il prima possibile!” gli sorrisi, e li poggiai sul comodino. “Ma cos’hai più in quella bella borsa?” mi inclinai verso destra, in modo da fissarla, ancora aperta lì, sulla scrivania.
“Ah si.. Ho portato alcuni film di mio fratello! Sai, oltre cantante e regista dei nostri video, è anche attore.” Mi porse altri tre cd.
Requiem for a dream.
Alexander.
Mr. Nobody.
“Il secondo non te lo consiglio, è noioso! Mi sono addormentato pure la prima volta che l’ho visto! Immagina solo le urla di Jared!”
Ridemmo insieme, poi io esclamai. “Ok, tu vuoi proprio farti e farvi pubblicità!”
“No ti dico!! Conoscendo il nostro lavoro, conosci un po’ anche noi non ti pare? Come nelle tue fotografie: in ognuna di loro, c’è un poco di te.”
Il suo discorso era così vicino a me, che mi scaldò il cuore.
 
 
Alla fine optai per vedere Requiem for a dream, e chiesi a lui di rimanere a vederlo con me. Ci spostammo in salotto, dato che dopo aver preso un’altra aspirina stavo molto meglio, e preparò dei pop corn.
Mi rivelò la sua passione per la cucina, e mentre stavamo preparando il tavolo mi raccontò di una volta in cui cucinò la torta di mele con Tomo, e venne malissimo perché sbagliarono gli ingredienti. Mi fece ridere tanto, soprattutto quando mi raccontò della loro battaglia di cibo che fecero dopo, con farina, uova, e tutti gli ingredienti che gli capitavano sottomano.
Avevano talmente fatto un macello che quando tornò Vicky, la fidanzata di Tomo, li sgridò e li costrinse a mettere tutto a posto. Ci misero due ore.
Poc corn, patatine, e tutte le schifezze che avevo trovato in casa, erano apparecchiate in malo modo sul tavolino di fronte a noi, che era strapieno, esclusi due piccoli spazi che avevamo lasciato per appoggiarci i piedi.
Dopo un’ora e quarantadue minuti di film, cacciai il cd dal lettore soddisfatta. Era stato un bellissimo film, un po’ triste, ma davvero bello.
Shannon mi guardava come se volesse un resoconto.
“Puoi dire a tuo fratello, e sono sicura che ne sarà felice, che è un bravo attore.” Lui sorrise, quasi sollevato. Cosa avrebbe potuto farmi Jared se avessi detto il contrario?
Qualcosa di brutto, dato il sollievo del fratello.
“Mmm.. domani vedo Mr Nobody, così lo faccio felice!”
Shannon sorrise ancora di più, poi guardò sconcertato il tavolino.
“Mettiamo a posto questa roba.”
Si alzò, e iniziò a prendere le cartacce e a buttarle nel cestino in cucina.
Quando tutto fu in ordine, mi misurai la febbre. Trentanove.
“Dai, sto migliorando!” dissi, sperando inutilmente di poter andare al lavoro il giorno dopo.
Ma lui disse semplicemente “Bene, questo è l’importante” e, dopo una telefonata del fratello che gli chiedeva dove fosse finito se ne andò, lasciandomi con un a domani accompagnato dall’oscillare della sua mano destra, sull’uscio della porta.
 
La sera stessa mi chiamò Kristen, e mi chiese di dirle in giusto due minuti come stavo e come stavo passando la giornata.
Io le spiegai che adesso la febbre era scesa, e che avevo passato il pomeriggio con il batterista della band. Non so perché mi ostinassi a chiamarlo così, ma mi piaceva. Lo rendeva più misterioso.
Lei, ovviamente, non poté non dire “oh ma quindi state uscendo insieme!” con tono malizioso, e io ovviamente controbattei con un “no, siamo solo amici. Mi sta aiutando tanto e si sta prendendo cura di me, ma tra noi non c’è niente.”
Proprio mentre stava per rispondere, sentii qualcuno sbattere ad una porta.
Flebilmente, qualcuno disse “Signorina, si sente male?!” e Kristen rispose che sarebbe uscita a momenti.
Quando tutto tornò silenzioso, disse sottovoce.
“Ti devo lasciare! Qui è proibito l’uso del cellulare – sbuffò – ci sentiamo presto!”
E chiuse la conversazione.
Andai direttamente nel mio letto, pur avendo riposato tutte quelle ore il pomeriggio.
Ripensai a Shannon, a Kristen, a Jared, e alle torte di mele, senza mele, di Tomo.
E poi mi addormentai.
 
 
Così passarono altri tre giorni, tra le risate con Shannon e le telefonate con Kristen.
Era inaspettato come ci fossimo trovati io e lui, come, anche conoscendoci da poco, lui si prendesse cura di me. Come passasse tutto quel tempo con me, come io mi stessi fidando di lui.
Si, perché per me gli uomini erano un grosso buco nero, e Shannon era un punto bianco, lì al centro, che si allargava man mano che andavo avanti.
Negli altri due giorni di riposo, continuammo a vedere i film di Jared.
La sua recitazione era davvero buona, questo glielo dovevo ammettere. Una sera venne a casa mia con il fratello, e gli feci i complimenti di persona. Lui ovviamente si compiacque e fu molto meno arrogante e scortese con me per tutta la serata.
Mr Nobody mi appassionò tantissimo, mentre, come aveva detto Shannon, Alexander mi annoiò un po’. Però omisi questo piccolo dettaglio con Leto junior, per non rovinare la poca stima che avevo guadagnato da parte sua.
Quando finalmente guarii del tutto, e Shannon mi diede il "permesso" di tornare al  lavoro. Non l’ho mai voluto ammettere con lui, ma quella pausa mi fece bene. Nell’ultimo periodo stavo lavorando tanto e duramente, ed ero molto stressata.
Il riposo mi aiutò a ricaricare anche il cervello, e infatti nelle settimane successive fui molto più creativa, e infatti portai più di un progetto ai 30 seconds to mars.
In quei giorni, però, feci anche una cosa che Shannon scoprì molto più tardi. La sera stessa in cui vidi Mr Nobody, quando anche la telefonata con Kristen era terminata, non riuscivo a dormire. Mi rigiravo nel letto, ancora e ancora, fino a quando una cosa non attirò la mia attenzione.
Sul comodino c’erano, in bella vista, i cd che mi aveva dato il batterista che reclamavano un po’ di attenzione. In tutto quel trambusto, mi ero completamente dimenticata di ascoltarli, quindi presi un vecchio lettore cd, di quelli portatili, e, dopo aver scostato la polvere, infilai il primo cd che mi capitò tra le mani e premetti play.
 

I won't suffer, be broken, get tired, or wasted
Surrender to nothing, or give up what I
Started and stopped it, from end to beginning
A new day is coming, and I am finally free
 
Run away, run away, I'll attack
Run away, run away, go chase yourself
Run away, run away, now I'll attack
I'll attack, I'll aa-WHOOOAAAAAAAAA

 
Quella canzone l’ascoltavi più volte, prima di ascoltare le altre. Sentivo qualcosa che era anche un po’ mio, lì dentro. Parlava di me, parlava di come mi fossi rialzata e avessi combattuto. Parlava di come nella mia storia, ad un certo punto fosse uscita la vera Helena, la vera tigre che in realtà ero sempre stata.
 
 
Come un deja-vu, quando scesi per andare al lavoro, mi ritrovai Shannon appoggiato alla moto in giardino. Questa volta era venuto, non per impedirmi di andare al lavoro, ma per accompagnarmi.
“Tieni, te lo manda Tomo.” Mi disse, porgendomi un sacchettino. Avvicinai il naso al pacco, e sentii profumo di mele.
Alzai lo sguardo verso Shannon e risi.
Rientrai solo un attimo in casa, prima di tornare alla moto. Salimmo in fretta e partimmo.
Cris mi abbracciò con tanta foga appena mi vide, e mi chiese tante e tante volte come stavo. La giornata passò tranquilla, quasi noiosa potrei dire.
Shannon mi riaccompagnò anche a casa, dato che ero senza macchina, e Cristopher lo guardò storto quando lo vide, come se fosse geloso. Prima di andarmene mi disse più volte di coprirmi, e io lo salutai con un sorriso caldo.
“Allora.. – disse Shannon, appena entrammo in casa – usciamo stasera?! Devi festeggiare la tua guarigione!”
“Mi dispiace!! Stasera torna Kristen e stiamo un po’ assieme! Dovrebbe arrivare a momenti!” vidi lui incerto, e aggiunsi: “a scusa, non sai chi è Kris! Kristen è la mia migliore amica. Ti ricordi, quella che stavo aspettando quando ci incontrammo la prima volta. Lei non ti vide perché tu eri di spalle, ma tu puoi averla vista!”
Lui aveva ancora una strana espressione sulla faccia, che io non capii, ma poi disse: “No, non ricordo.. ma non fa nulla, facciamo domani sera!”
Io annuii, e lui fece per andarsene. Quando stava proprio davanti la porta, questa si aprì e spuntò Kris. Dapprima sorridemmo entrambe, poi lei guardò l’uomo che stava con me e si irrigidì.
Io le corsi incontro e la abbracciai.
“Ciiiiiiiiiiao Kris!! – dissi, poi mi staccai e mi voltai verso Shannon – lui è il batterista della band, quello che ti avevo detto!”
“Ah. Ciao.” Kristen alzò la mano e strinse di quella di lui, che si era appena alzata. Erano rigidi, e ebbi la strana sensazione che si conoscessero già.
Shannon si congedò, e sentii la sua moto correre più veloce del solito.
Io e lei iniziammo a parlare, e rimasi tutta la serata ad ascoltare tutte le storie del suo viaggio. Ridemmo un sacco, ma io avevo sempre l’impressione che mi nascondesse qualcosa. A fine serata, prima che lei se ne andasse, la fermai: “che è successo?!”
“Eh?” fece la finta tonta.
“Lo sai di che parlo. Sputa il rospo.”
“Hel, non ti arrabbiare.. ma.. tu lo sai chi è quello?” disse, con occhi bassi.
“Quello chi?”
“Il batterista..”
“Shannon? Lo sapevo che lo conoscevi! Chi è?!” dissi, ora curiosa.
“E’.. quello che ci provò con me, quella sera.. Quello che io schiaffeggiai.. quello con la faccia da maiale, praticamente.”
Rimasi per un momento zitta, poi esplosi.
“COSA?” la lasciai, e abbassai le braccia.
“Si, è lui. Ne sono più che sicura.”
L'uomo dalle spalle grosse. Quello che ci provava con le sconosciute. Perché non ci avevo pensato prima? 
Presi le chiavi, e frugai nella borsa.
Avevo un foglietto con un indirizzo da qualche parte, ne ero sicura.
Lo trovai e partii, con le mani che stringevano convulsamente il manubrio. Non ci misi troppo a trovare quella casa.
Era anche esagerata quella rabbia, ma aveva fatto quello che non doveva fare.
Provarci con la mia migliore amica.
Cercare di convincerla contro la sua volontà.
E in quel momento pensavo che non doveva farlo lui, tutti, ma non lui.
Iniziai a bussare al citofono, più e più volte, e finalmente una porta si aprì.
Shannon, quasi incavolato, uscì dalla casa con la bocca semiaperta quasi ad imprecare, ma le parole gli morirono in gola.
“Helena, che ci fai qui?” disse, sapendo già la risposta.
Ero a testa bassa, con le mani strette a pugno lungo i fianchi.
Fece un altro passo, un ultimo passo, e poi alzai di scatto la testa.
Io mi fidavo di te.” dissi, quasi bisbigliando, a denti stretti, ma in modo che lui mi sentisse.
Mi voltai e sparii nell’oscurità della notte.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: No warning sign, No Alibi. ***


Buongiorno :3 
Spero che il capitolo vi piaccia ^-^
Ringrazio chi mi segue, e chi mi recensisce!
Buona lettura!



Capitolo 5: No warning sign, No Alibi.
 
 
 
“Benven.. oh ciao Hel!”
Ero entrata nella libreria di Kristen verso l’una, in quel pomeriggio ancora non troppo caldo di aprile.
Erano passati giorni dalla litigata con Shannon, ma io cercavo di non pensarci, anche se era inevitabile quando ascoltavo i suoi dischi. E perché continuavo allora?
Bella domanda. Non lo sapevo neppure io.
Sapevo solo che mi faceva sentire bene la loro musica, ed entravo in un mondo tutto mio ogni volta che le cuffiette sfioravano le mie orecchie.
“Che ci fai qui?!” mi disse allegramente, mentre posava il libro che aveva in mano fino a poco prima che entrassi io. Quella era la sua libreria, quella che sognava di avere e dove sognava di lavorare fin da quando aveva sei anni. Con la fatica e con il sudore, dopo tante peripezie, aveva acquistato un enorme locale nel centro della città, e poco a poco lo aveva risistemato, riempito di scaffali e di libri.
Aveva fatto tutto da sola, nemmeno il mio aiuto aveva accettato.
Pur di fare tutto con le sue uniche forze e le sue risorse, aveva iniziato a lavorare in tre posti diversi in una giornata sola, tanto da non riuscire neppure ad andare a dormire perché un turno finiva alle sei di mattina e alle otto cominciava il successivo.
Però non l’avevo mai vista così soddisfatta, mai in vita mia, di quando là inaugurò. Pianse per ore e iniziò ad abbracciare tutti quelli che erano presenti, nessuno escluso.
L’ha chiamata “Reading, fuck you reality!”.
Mi sembra inutile spiegare il perché.
C’era stato qualche commento maligno e contrariato per il nome, ma più ne sentiva più lei beveva alla salute.
In quel momento erano dieci anni che lei lavorava lì, dieci anni che l’aveva fondato.
Proprio quel giorno cadeva l’anniversario, e io le portai una sorpresa.
“Ho chiesto a Cris di poter prolungare la mia pausa pranzo, ti ho portato una cosa.”
I suoi occhi caddero sulla busta che avevo in mano, e si tolse anche gli occhiali da vista per scaraventarli poi vicino al computer del negozio senza pietà.
“Dai dai dai! Fammi vedereeeeeee!”
Iniziò a saltellare sulla sedia, mentre io mi avvicinavo e piano piano scartavo la busta.
“Taaaaaaaaaaaaaanti augurii a teee!” iniziai a cantare sottovoce, e lei finalmente vide quello che le stavo portando. Una torta non troppo grande a forma di libro, con sopra scritto: Reading, fuck you reality. 10 years.
Le vennero le lacrime agli occhi, e quando la raggiunsi, spense la candelina che avevo posizionato all’interno della ‘O’ di ‘You’.
Appese alla porta un cartoncino con scritto torno subito e mi disse di accomodarmi a un tavolino nello spazio lettura.
Appena posai la torta su una superficie stabile, mi corse incontro e mi abbracciò.
“Te ne sei ricordataaaaaaaaaa! Grazieeeee!” sentivo le sue lacrime inzupparmi la maglietta, e sorridevo dicendole di calmarsi, che non era nulla di così esaltante.
Ci attrezzammo con due cucchiai, e iniziammo, tra una parola e un’altra, ad assalire quella povera torta che in poco tempo finì, non prima, però, che io le avessi fatto due foto insieme a Kristen.
Io suoi occhi marroni erano lucidi, e aveva un sorriso che andava da una parte all’altra della faccia. Aveva i capelli, sotto i raggi del sole ancora più arancioni del solito, legati in testa con una penna, e solo il ciuffo le scendeva morbido sulla fronte alta.
Passò il tempo, tra le chiacchiere e la torta. Ad un certo punto presi l’ultimo pezzo rimasto, che nessuno delle due voleva, con le mani, e glielo piazzai dritto nella faccia.
Lei rimase per cinque secondi ferma immobile con la bocca aperta, mentre gocce di panna le pendevano sul pantalone blu, per poi scoppiare ad urlare.
Con la mano ancora sporca, afferrai la borsa e corsi verso la porta.
“Ops, la mia pausa è finita! Cris mi aspetta!” La sentii imprecare in giapponese, l’ultima lingua che stava imparando, prima di correre via verso il parcheggio.
 
 
 
Appoggiai la borsa alla macchina, mentre con la mano sinistra cercavo delle salviettine per pulirmi quella destra, che dopo aver già fatto abbastanza danni sulla mia camicetta e sulla borsa, tenevo a mezz’aria.
“Ma quanta cavolo di roba c’è qui dentro?!” dissi, scocciata, dopo l’ennesimo giro nelle parti più nascoste della borsa senza nessun risultato.
“Serve una mano?!” Quella voce mi era così familiare. Poteva essere..?
No, non era Shannon. Mi girai e mi trovai di fronte Tomo, con degli occhiali da sole gigante, i capelli legati in un codino e senza barba.
“Uhh! È difficile riconoscerti così! Che ci fai senza la tua barba?!”
Lui rise, aspettandosi quella domanda, e fece spallucce.
“Cambio di look. Jared dice che è importante rinnovarsi ogni tanto.” Rise enfatizzando le due ultime parole.
“Oh, non ascoltarlo più. Detto da lui che si fa i capelli rosa!” ridacchiammo insieme, e lui guardò la mia mano sporca.  “Hai bisogno di un fazzoletto?!”
“Magari – risposi io, agitando la mano – ma in questa borsa non trovo mai niente!!” stufa, la spinsi ancora più in fondo sul cofano, e mi girai, appoggiandomi alla superficie calda della macchina.
“Aspetta.. – disse lui, iniziando a rovistare nelle tasche – ecco! Cacciò un pacchetto di fazzolettini intatti, lo aprì e me passò uno.
“Oh ma tu sei un angelo! Grazie mille!” Lo presi e iniziai a pulirmi le dita, sentendomi molto meglio dopo aver rigirato le mani all’altezza del viso e aver ritrovato la mano senza neppure un accenno di panna.
Pensai a Kristen, che in quel momento stava probabilmente in bagno a togliersi la torta tra le ciglia, a struccarsi e a rifarsi il trucco, mentre imprecava contro di me in diverse lingue.
Ridacchiai immaginandomi la scena, e Tomo mi fissò con un sopracciglio sollevato.
“Scusa scusa! E che.. – ridacchiai di nuovo – non ti stai chiedendo per quale motivo ho la mano piena di panna?!” cercavo di girarci intorno, almeno non mi prendeva completamente per pazza.
“Non proprio! Avrai i tuoi motivi per avere la mano così no?! Chi sarei io per giudicare gli affari tuoi?!” Sorrise, e io con lui.
“Naaa, non è nulla alla fine! Ho portato una torta ad una mia amica, e le ho spiaccicato l’ultima fetta in faccia!” Iniziai a ridere, e se solo Kris l’avesse saputo mi avrebbe ucciso!
“Mmm.. – prima rise, poi riprese a parlare e mi chiese qualcosa che non mi aspettavo – la tua amica, quella per cui hai litigato con Shannon?!”
Io smisi di ridere all’istante, e lo guardai. Mi aveva spiazzato.
Avevo cercato di non pensarci, parlando con lui. Anche perché.. perché mi ero dispiaciuta scoprendo che non era Shannon quello che mi aveva chiamato.
“Si, quella.” Risposi, cercando di non cambiare atteggiamento. Era una domanda innocente, dopotutto, no?!
Mi sentivo qualcosa nello stomaco, quindi cercai di congedarmi il più in fretta possibile.
“No scusa.. non sono fatti miei, hai ragione! È solo che.. ultimamente vedo Shannon spesso imbronciato e pensieroso. Si sente in colpa. Non so bene cos’è successo, ha raccontato sommariamente a me e Jared qualcosa qualche giorno fa. Lui non ama spiattellare i suoi sentimenti in giro sai? Fino ad ora non ci aveva detto niente. L’ha spiegato solo perché iniziavamo a chiederci perché non vi sentivate più.”
“Tomo, sei un ottimo oratore sai?” dissi, sorridendo.
“Grazie.” Mi disse lui, senza scomporsi.
“Vuoi un passaggio?! Sono in macchina e ho un po’ di tempo prima di tornare al lavoro!” lui accettò dopo diversi incitamenti, e salì in auto.
Mi diede l’indirizzo di Shannon, diceva che dovevano incontrarsi da lui per pranzare.
“Ti ho trattenuto?! Mi dispiace!” chiesi, cercando di riempire quel buco persistente che avevo nello stomaco di parole.
“No, non ti preoccupare! E comunque Jared fa sempre più tardi di tutti, quindi non si sarebbe notato neppure.”
Era davvero una brava persona, lo dovevo ammettere. Era simpatica e in più era pure oggettiva, non si schierava da una parte o dall’altra solo per il legame che aveva con Shannon.
Mi fermai su quel vialetto dove solo una volta ero andata, alcune settimane prima, in una situazione completamente diversa da quella.
“Grazie mille, davvero!” Disse lui, voltandosi verso di me sorridendo prima di scendere dall’auto. Fece tutto il giro, per poi girarsi e chiedermi dal finestrino aperto.
“Vuoi entrare!?” c’era una punta di speranza nella sua voce, ma io la disintegrai scuotendo la testa.
“Mi farebbe davvero piacere – che bugiarda che sei Helena, che bugiarda – ma ho giusto il tempo del viaggio di ritorno per poter andare a lavorare!”
“Allora la prossima volta! Ciao Helena, e grazie ancora!” Accompagnò le sue parole con un saluto della mano, e si girò, avvicinandosi alla porta di casa.
Prima che potesse uscire qualcuno dalla casa, misi il piede sull’acceleratore e andai via, lontana da quella strada. Non vedevo l’ora di togliermi quel peso sullo stomaco, quel buco che mi torturava più dell’ansia, più dei sensi di colpa.
Sensi di colpa per cosa poi? IO non avevo fatto nulla.

Non ti sembra di aver esagerato? Hai chiuso un rapporto con Shannon solo per una cosa che è successa prima della vostra amicizia.

La ignorai, scossi la testa e premetti ancora più a fondo il pedale, come se quella fosse una gara contro il tempo, come se volessi lasciare indietro i miei pensieri.
 
 
 
“Hel.. secondo me dovresti smetterla. Questa tua rabbia è inutile. Alla fine Shannon non ha fatto niente, e non voglio che tu litighi con lui solo per colpa mia. Non voglio passare per la stronza della situazione, e mi sento in colpa. Non te l’ho detto finora perché sei testarda e avrei iniziato a dire no, non è colpa tua! È colpa sua! Ma invece si, è colpa mia. Non dovevo raccontarti di una cosa così scema sapendo come sei, e non dovevo svelarti che era lui. Che poi alla fine non ha fatto niente di male eh, c’ha provato, si, ma quanti ci provano? Andiamo ad uccidere tutti gli uomini che ci provano con le donne! Il mondo sarebbe vuoto! Su, smettila di fare la testarda e scusa Shannon, che eri tanto contenta quando stavi in sua compagnia e adesso vedi, sei sempre pensierosa e così rattristita!”
Solita Kristen, riusciva sempre a mettermi in difficoltà. L’avevo chiamata e tra le sue minacce di morte per la torta le avevo raccontato di Tomo.
Adesso ero sul divano, a mordermi le labbra, e a mettere in discussione quello che fino ad ora era stato certo.
“Ci penserò.” Riuscii a dire, distaccata. E prima che potesse ripartire all’attacco, le dissi che ero stanca e volevo andare a dormire.
Invece la verità, era che avevo bisogno di stare sola, sola con me stessa.
Sola, magari, con la mia musica.
Feci i gradini a due a due, e mi fiondai sul comodino dove i cd mi aspettavano, con un raggio di luna che trapassava la finestra e li indicava, neanche volesse che io li prendessi.
Mi stesi sul letto, e iniziai a canticchiare. Le note mi entravano dentro, ghiacciandomi le vene e arrivando dritte al cuore.
Pensai subito al poster per il gruppo.
Come lo potevo aggiustare?
Ebbi qualche idea, che mi tenne occupato il cervello per tutto il tempo che ci misi ad addormentarmi. Poi, pian piano, scivolai nel sonno, pensando come ultima cosa “Shannon, che faccio adesso con te?!”
 
 
 
Tok tok tok.
Tok tok tok.
Tok tok tok.
Nel pieno della notte, un possente bussare alla porta di casa mi fece rinvenire dal sonno, e mi spaventò.
Guardai il display.
4:03
Chi diavolo poteva essere a quest’ora?
Inizialmente ignorai quel fastidioso rumore, ma non cessò.
Pensai che forse era Kris che aveva bisogno di qualcosa.
Quindi in pigiama, infilando solo le pantofole, scesi al piano di sotto assonnata.
“Chi è?!” dissi, avvicinandomi.
“Helena, ti prego, aprimi.” La voce fredda e roca di Shannon proveniva dall’altra parte della porta.
Mi fermai lì davanti, quasi pensando di tornare al piano di sopra senza degnarlo di un minimo di attenzione.
Ma c’era un motivo più che valido per arrivare a quest’ora della notte, e nella sua voce c’era qualcosa di strano.
Aprii lentamente, e quando la sua figura mi si stagliò contro ebbi quasi paura.
Era distrutto.
La sua moto era non parcheggiata male, direttamente lasciata così sul prato, distesa.
Lui era conciato peggio di come se fosse reduce da una sbronza bella grossa: occhi cerchiati da profonde occhiaie, capelli scompigliati, vestiti mal ridotti, e un’espressione sul viso che gridava aiuto.
“Entra.” Riuscii solo a dire, con un groppo in gola.
Chiusi la porta dopo che lui aveva riportato quel suo dolce profumo tra le solite quattro mura di casa mia, e lo feci accomodare sul divano.
“Hai bisogno d’acqua? Cos’è successo?!” stavo quasi alzandomi per andare in cucina, quando lui mi afferrò il braccio e bisbigliò: “no ti prego, resta con me!”
Io vidi nei suoi occhi la paura, e mi sedetti vicino a lui. Gli feci segno di parlare.
“Mia madre e mio fratello. Sono all’ospedale.”
Io sgranai gli occhi, incredula.
“Hanno avuto un incidente. Jared non si è fatto quasi nulla, qualche graffio qua e là, ma niente di serio. Mia madre invece si è fratturata un braccio e non mi vogliono dire se c’è altro. L’hanno avuto qualche ora fa e sono stato tutto il tempo in ospedale. I medici stanno facendo quei fottuti accertamenti, e io non so che cazzo ha mia madre! – alzò la voce, e strinse le mani a pugno – Tomo è arrivato in ospedale dieci minuti fa, e mi ha intimato di andarmene via. Dovunque, ma via da lì. Mi ha detto che ero scioccato e che stare là mi avrebbe portato solo altro dolore. Non volevo andare via, no! Volevo stare con mia madre e con mio fratello! Volevo prendere a calci quel medico che non mi diceva nulla, volevo fare tutto, ma non andare via. Andare via poi per cosa? Tornare a casa a pensare e ripensare cosa stesse succedendo in ospedale? No! Non avrei resistito un’ora! Anzi, sarei stato peggio! E così ho pensato.. – mi guardò, ma che dico? Mi trapassò con i suoi occhi – mi dispiace Helena. Davvero. Non sarei dovuto venire. Ma tu sei la persona che sento più vicina dopo loro tre. E.. mi dispiace, vado via!”
Tentò di alzarsi, ma gli afferrai il braccio e lo feci risedere.
“No, Shannon, no. Non te ne andare. Non mi dai alcun fastidio. E poi sei instabile, ti faresti del male a quest’ora della notte con una moto in questo stato. Hai fatto benissimo a venire da me!” come se non fosse successo niente, come se fossimo rimasti ancora a qualche settimana prima, gli sorrisi, e gli accarezzai una guancia.
“Ma.. quello che è successo con la tua amica.. mi dispiace! Non dovevo! Quando l’ho vista avevo pensato di rifarmi con lei, perché tu mi avevi dato buca. Sono stato stupido, sono stato un animale! Ho rovinato t..”
Lo bloccai, prima che potesse continuare.
“E’ acqua passata adesso. Sono stata io l’esagerata. Alla fine c’hai solo provato con una donna, è normale no?! Basta però. Hai cose più importanti a cui pensare. E non hai rovinato niente, sono ancora tua amica, e sarò qui con te come tu sei stato con me nel mio momento del bisogno.”
Gli sorrisi. Lui mi guardò per l’ennesima volta negli occhi.
Erano lucidi.
“Helena, ho paura. È la prima volta in vita mia, ma ho fottutamente paura che possa capitare qualcosa di brutto a mia madre.”
Io mi commossi insieme a lui, e mi spostai sul divano. Gli feci segno di poggiarsi con la testa sulle mie gambe, e lo fece. Con forza si aggrappò al tessuto del mio pantalone, e lo sentii tremare.
Iniziai ad accarezzargli i capelli.
E senza neppure accorgermene, dalla mia bocca iniziarono ad uscire le loro parole.

 
No warning sign
No Alibi
We're fading faster
than the speed of light
 
Took our chance
Crashed and burned
No we'll never ever learn
 
I fell apart
But got back up again and then
I fell apart
But got back up again yeah..
 
We both could see
Crystalclear
That the inevitable end was near
 
Made our choice
Trial by fire
To battle is the only way we feel alive
 
And I fell apart
But got back up again and then
I fell apart
But got back up again and then
I fell apart
But got back up again
 
Way oh
 
So here we are
the witching hour
The quickest tongue
to divide and devour
Divide and devour
 
If i could end the quest for fire
For truth, for love, for my desire
my desire...
 
And i fell apart
But got back up again
 
Way oh
 
I fell apart
I fell apart
I fell apart
I fell apart
I fell apart
 
But got back up again...

 
 
Lo sentii addormentarsi, mentre una sola lacrima cadde dal suo viso, fino a raggiungere la mia gamba
Continuai ad accarezzargli la testa per tutta la notte, senza fermarmi mai.
In quel momento, io e Shannon fummo legati dal dolore.
In quel momento, io e Shannon condividevamo qualcosa.
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6: It's the moment of truth. ***


Buonasera a voi che ancora mi seguite!
Prima di tutto, vi ringrazio: ringrazio chi mi segue e mi recensisce con regolarità, chi mi recensisce raramente e chi mi segue in silenzio.
Thanks! :D
Per seconda cosa, spero che questo capitolo vi piaccia! E' leggermente più corto degli altri, anzi in realtà è uno di transizione tra due capitoli importanti. 
Vabbè, lascio a voi la parola! Buona lettura :3 


Capitolo 6: It’s the moment of truth.
 
 
FROM YESTERDAYYYYYYYYYY.
Spalancai gli occhi, neppure dopo due minuti che li avevo chiusi.
Ero stata tutta la notte sveglia a vegliare su Shannon, non riuscendo a dormire per paura che potesse lui svegliarsi e trovarsi solo a contrastare l’ansia per la madre.
Non si era svegliato, anche se il suo sonno era stato movimentato e si era agitato per tutto il tempo.
Presi da terra il telefono di Shannon che probabilmente era scivolato dalle sue tasche, e lessi sullo schermo lampeggiante: Chiamata in arrivo. Tomo.
Prima che potesse svegliare anche lui, iniziai a premere dei tasti a caso su quell’affare complicato, fino a quando non si aprì la conversazione.
“Shannon?! Shannon stai bene?!”
“Tomo?!” riuscii solo a rispondere io, sottovoce, tenendo gli occhi fissi sulla faccia della persona distesa sul mio divano.
“Helena?! Helena sei tu?!” disse lui, decisamente sollevato.
“Si sono io! Shannon è con me, a casa mia, ora sta dormendo.”
Lui sospirò, ancora più sollevato. In sottofondo sentivo un via vai di persone e un chiacchiericcio flebile, accompagnato a volte dall’aprirsi e chiudersi di una porta.
“Per fortuna! Ti ringrazio Helena, l’hai salvato! Sono stato tutta la notte in pensiero, ma non volevo chiamarlo per non farlo preoccupare!”
L’hai salvato!
Quelle semplici parole mi si ripetevano nella testa. Io avevo fatto cosa?!
“Ma io non ho fatto nulla!” dissi, cercando di tenere sempre un tono della voce basso.
“Invece si! Ti dirò poi.. Adesso stammi a sentire: ci sono delle novità sulla madre.”
Brutti pensieri mi frullarono in testa, e deglutii cercando di mandar giù un groppo che mi si era formato in gola.
Fu inutile, ovviamente.
“Con..” la voce mi si spezzò, ma mi ripresi subito. Dovevo essere forte, almeno io. Per Shannon. “Continua.”
Chiusi gli occhi, per la prima volta tranciando il contatto visivo che avevo con il batterista. Ne sarebbe uscito distrutto se fosse successo qualcosa alla madre.
“Sta bene.” Disse, tutto d’un fiato. Io sorrisi, e potei tornare a guardare Shannon.
Non dissi nulla, e Tomo continuò.
“Dire che sta bene non è proprio corretto: ha comunque un braccio fratturato e due costole incrinate, graffi sparsi qua e là, e una contusione, ma è un miracolo in confronto a quello che poteva accadere. I medici erano così misteriosi perché pensavano che qualche pezzo di vetro fosse penetrato più profondamente degli altri e fosse arrivato ai polmoni. Se fosse stato così, l’unica cosa possibile da fare sarebbe stata un’operazione e, ovviamente, fare un’operazione così vicino ai polmoni è pericolosissimo. Constance non respirava bene, e avevano pensato a questo. In realtà era per colpa delle costole, facevano pressione sui polmoni che non riuscivano a dilatarsi bene. E in realtà anche per lo shock, quella donna se l’è vista proprio brutta!”
Sospirai.
“Meno male che invece è andata così, basteranno solo cure e riposo per farla rimettere in sesto. Ma Jared invece?! Come sta?!”
Cercando di fare il meno rumore possibile, mi alzai e andai in cucina, per fare il caffè.
Ero stanca, e se non ne avessi bevuto un po’ sarei crollata.
“Jared sta bene. È solo preoccupato per la madre. Ha qualche graffio qui e lì anche lui, ma non è nulla di che. In realtà la grande sfortuna di Constance è stata che l’airbag non si è aperto in tempo, e quindi non ha attutito l’impatto. Jared è incazzatissimo pure per questo, sta già chiamando gli avvocati per iniziare la causa contro l’uomo che li ha fatti uscire di strada e contro la fabbrica dell’auto. È irriconoscibile, cammina avanti e indietro per l’ospedale, stringendo nervosamente il suo telefono, e persino quando è davanti la madre non riesce a sorridere davvero. In realtà è furioso con se stesso, penso di avere la colpa di tutto e di aver ridotto lui la madre in questo stato.”
Non sapevo più che dire. In quei casi non esistono parole giuste o appropriate, quindi riuscii solo a versare un po’ di caffè nella tazzina. Distrattamente avevo fatto la macchinetta grande, e me ne accorsi solo dopo.
Io e Tomo eravamo in totale silenzio, fino a quando non sentii Shannon agitarsi sul divano. Si stava svegliando.
“Tomo, vado a controllare Shannon. Credo che verrà al più presto in ospedale appena saprà le novità. Gliele comunicherò io stessa subito!”
“Grazie Helena, grazie ancora.”
Sorrisi per l’ultima volta, prima di chiudere la conversazione.
Riempii un’altra tazzina, e la portai in soggiorno.
Shannon era seduto ancora sul divano, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani che gli coprivano la faccia.
“Ben sveglio.” Dissi io, attirando la sua attenzione.
Mi sorrise, e io mi avvicinai porgendogli il caffè.
“Ha chiamato Tomo – la sua testa si rialzò di scatto verso di me - .. buone notizie!”
Gli feci bere con calma il caffè, lasciai la tazza sul tavolino e gli riportai, parola per parola, tutto quello che mi aveva detto Tomo.
Lo vidi rinascere e, inaspettatamente, mi abbracciò.
Le sue braccia erano strette intorno a me, il suo respiro sul mio collo.
Grazie, grazie e grazie.Mi ripeteva piano all’orecchio.
Non ero proprio sicura che li stesse dedicando tutti a me, ma mi piaceva quella vicinanza che in quel momento c’era tra noi.
“Devo andare all’ospedale. – Disse, ad un certo punto. – vieni con me!” si allontanò ma non lasciò la presa sul mio corpo, anzi mi prese le spalle con le mani e mi sorrise, con una nuova luce negli occhi.
“Io?! Ma io non c’entro nulla!”
Lui mi guardava speranzoso, e ribatté dicendo. “No tu c’entri. Sei tu che mi hai aiutato.”
Non accennava minimamente a lasciare la presa sui miei occhi.
“Vatti a mettere qualcosa addosso, io intanto mangio che sto morendo di fame.”
“Lo faccio solo perché sei instabile e non ti posso lasciare guidare” dissi io, sorridendo. Si alzò dal divano, e si diresse in cucina. Io feci lo stesso, deviando però verso il piano di sopra.
“Ah, e prima che me ne dimentichi, che cos’è quella cicatrice che hai sul collo?!” io mi bloccai con il piede destro sul primo gradino delle scalinate, e senza girarmi, con tono neutro, dissi: “Una cicatrice.”
Prima che potesse pormi altre domande, salii velocemente i gradini.
 
 
Eravamo in macchina, io al volante e lui al posto del passeggero.
Stavamo in silenzio, come era successo per quasi tutto il viaggio, quando lui disse: “Mi dispiace.”
Io guardavo attentamente la strada, mentre lui aveva gli occhi che vagavano fuori dal finestrino, con il braccio che si faceva portare dal vento e l’altra mano che batteva sulla gamba a ritmo della musica alla radio.
“Di cosa?!” chiesi distrattamente.
“Di averti svegliato nel bel mezzo della notte e di averti addossato i miei problemi.”
“Siamo amici no?! – dissi io, senza scompormi troppo – e gli amici si supportano nel momento del bisogno. E poi avevo un conto in sospeso per una febbre a quaranta, ricordi?” gli sorrisi, mentre sentivo lui ripetere a voce non troppo bassa la parola amici.
“E a proposito, non mi avevi detto che eri Echelon!” disse lui, girandosi finalmente verso di me.
Risi. “Se mi trovi grassa non c’è bisogno che mi definisci uno Scaglione. Puoi dirmelo e mi metto a dieta!”
Lui sgranò gli occhi, mentre io feci una curva a sinistra che portava dritta all’ospedale.
“Ma sei scema?!” disse lui, e io parcheggiai. “Echelon è il nome dei nostri fan. Ieri sera mi hai cantato Alibi, perciò te l’ho chiesto. E comunque, non ti trovo affatto grassa!”
Scendemmo insieme dalla macchina, e prima di rispondergli ci pensai un attimo.
“Non lo so se sono Echelon o no, so solo che le vostre canzoni mi fanno stare bene.”
Lui sorrise. “Allora sei Echelon.”
Mi disse, prima di girarsi e di fiondarsi nell’edificio alle sue spalle.
 
 
“Helena, vuoi entrare un attimo?!” mi disse Jared, vedendomi seduta con Tomo fuori. Fece anche un gesto al mio compagno per farsi seguire.
Appena Shannon aveva raggiunto la stanza indicata dall’infermiera, io mi ero fermata nel corridoio e avevo cercato una sedia dove riposarmi.
Tomo, vedendomi sola, mi aveva raggiunta, aggiungendo che “voleva lasciare alla famiglia un momento per stare insieme, loro tre, da soli.”
Quello che mi era più strano da concepire era vedere Jared con bende e cerotti ovunque. Ne aveva uno persino sopra il suo sopracciglio destro.
E poi c’era quell’ombra scura nei suoi occhi che quasi faceva paura.
Non era il solito Jared sicuro di sé, non aveva più quella luce negli occhi, quel grido di guerra; al contrario, era tutto spento.
“Che devo fare?” chiesi sottovoce a Tomo, che invece di rispondermi fece spallucce, mi prese sottobraccio e mi trascinò nella stanza.
La stanza era abbastanza grande, e soprattutto luminosa.
Mi faceva un certo effetto stare lì dentro: gli ospedali non mi erano mai piaciuti.
“Buongiorno..” dissi entrando, e due paia di occhi, di Shannon e di Constance, si girarono verso di me.
Jared si posizionò vicino al fratello, fissando la madre.
Io e Tomo ci posizionammo di fronte alla donna, al centro dello spazio tra il letto e la parete. Mi sentivo a disagio, fuori luogo in un certo senso, quindi presi come punto di riferimento Tomo che più o meno si trovava nella stessa mia situazione, anche se lui molto probabilmente conosceva la donna molto ma molto meglio di me.
Constance era messa davvero male, dovevo ammetterlo.
Eppure sorrideva, sorrideva con amore ai figli che si prendevano cura di lei, al figlio maggiore che la guardava a braccia conserte sorridendole di rimando, e a quello minore che con sofferenza ricambiava i suoi sguardi, senza sorridere, mentre gli stringeva la mano sinistra e, lento, gliel’accarezzava.
Non avevo mai visto Jared così.. così umano.
In quel momento capii che lui nascondeva i suoi sentimenti dietro quella parete di altezzosità ed egocentrismo. Mi sentii un’intrusa: che diritto avevo io di vedere quel suo lato tenero, quel suo lato che lui voleva nascondere a qualunque estraneo gli si presentasse davanti?
Abbassai la testa, iniziando a guardarmi le unghie della mano sinistra.
Cercavo semplicemente di passare inosservata, quasi come se in quel piccolo quadretto familiare non ci fossi, ma in realtà ottenni l’effetto contrario: Constance cercò di tirarsi su, ignorando le proteste del figlio, e iniziò a parlare.
“Tu sei Helena, giusto? – mi sorrise – piacere Constance, la madre naturale di questi due e quella acquisita di Tomo!” quest’ultimo le fece l’occhiolino e il suo sorriso si allargò.
No, mi ero sbagliata. Lui non era assolutamente nella mia stessa situazione, anzi.
“Si, sono io. Piacere.” Cercai di rilassarmi, con scarsi risultati.
“Ho sentito parlare di te.” disse lei, scoccando un’occhiatina al figlio maggiore.
“Spero bene!” risposi io, ridendo.
“Certamente.. – si girò verso gli altri tre – ci potreste lasciare un attimo sole, per piacere?” Shannon e Tomo si mossero immediatamente, mentre Jared ebbe qualche esitazione. Guardò prima me, poi la madre, poi di nuovo me, per poi alzarsi ed andare via a passi veloci.
Perché voleva rimanere sola con me?
Spostai il peso della gamba da destra a sinistra, e lei quasi in risposta si portò con la mano non ingessata i capelli dietro l’orecchio.
Intanto, l’orologio sul muro vicino alla finestra ticchettava energicamente il passare dei secondi.
“Sai.. – iniziò lei, dopo quel minuto di silenzio che mi era sembrata un’eternità – mi dispiace se mi sono presa questa confidenza con te! Ti chiederai cosa mai vorrò.. in realtà nulla. Solo ringraziarti. Shannon – inziò la nuova frase con un sospiro – è impulsivo. E ringrazio il cielo che stanotte sia venuto da te, e che non abbia fatto qualcosa di stupido, come suo solito. Perché lui è specializzato nel commettere cose stupide quando è in questi stati d’animo. Grazie, grazie infinite.” Prese un lungo respiro, e capii quanto quelle semplici parole le fossero costate. Ricordai le sue costole incrinate, mi avvicinai e le feci segno di tranquillizzarsi.
“L’ho già detto a Shannon, non ho fatto nulla di così straordinario.”
“No, invece. L’hai salvato da se stesso.” Replicò lei, e anche quella volta fece uno sforzo non indifferente.
“Shhh.. non si preoccupi!” dissi io, andandole ad aggiustare il cuscino sotto la testa, mentre lei si coricava. “Ora si riposi!”
Stavo per uscire dalla porta, quando lei disse, prima di chiudere gli occhi: “E’ la prima volta che Shannon corre da una donna per essere supportato. Non sottovalutare questo gesto, vuol dire che ci tiene davvero a te.”
Aprii la porta e uscii fuori, sorridendo.
 
 
“Stasera hai da fare?” chiesi a Shannon, mentre stava prendendo la sua moto che da ore era distesa sul mio prato.
“Mi devo fare una bella doccia, mi cambio, mangio qualcosa e torno all’ospedale da mia madre. Però.. no, poi potrei avere un po’ di tempo. Perché?” mi chiese, curioso.
“Perché ti vorrei parlare di una cosa!”
“Va bene.. torno stasera, ok?”
“Certo!” gli risposi.
Mi avvicinai al cancello e glielo aprii, così da lasciarlo passare.
Mi fece un occhiolino, infilò il casco e mise in moto, uscendo dalla mia proprietà.
Avevo uno strano vuoto nello stomaco, in realtà era anche un po’ di paura.
Ce l’avrei fatta?
 
 
Guardai l’orologio. Erano le otto e mezza.
Quando ero tornata, si erano fatte le undici. Per fortuna era domenica, così non avrei avuto problemi al lavoro.
Dopo una notte insonne, mi riposai per un’oretta e mi rimisi in sesto.
Rassettai la casa, e pranzai.
Venne a trovarmi anche Kristen nel primo pomeriggio, le spiegai cosa era successo e cosa avevo intenzione di fare.
“Wow.. se vuoi raccontare tutto a Shannon ci tieni sul serio. Non ti posso dire nulla in più che fatti forza!”
Si, ci tenevo. E si, quella sua visita mi aveva fatto bene.
Adesso ero più tranquilla, ero più sicura di quello che volevo fare.
Aspettai la sera guardando la televisione e ascoltando un po’ di musica, e così anche quelle ore volarono via.
Erano proprio le otto e mezza, quando guardai l’orologio. E proprio dopo aver visto l’orologio, il campanello aveva suonato.
Feci un gran respiro, mi avvicinai alla porta ed eccolo lì, Shannon, che reggeva il casco della sua immancabile moto sotto il braccio.
“Ehilà Moonlight.” Entrò in casa lasciandomi perplessa sulla soglia.
“Sono stato da mia madre. Hanno smesso di imbottirla di farmaci, per fortuna!” concordai con la sua affermazione, mentre mi avvicinavo al divano.
Mi sedetti a gambe incrociate, e senza fare complimenti lui prese una delle caramelle alla fragola sul tavolino.
“Sono stata tutta la giornata a pensare a cosa mi dovevi dire. Ora sto scoppiando di curiosità! Ci togliamo questo pensiero?” rise, togliendosi il cappotto e sedendosi sulla poltrona di fronte a me.
“Sai.. oggi tua madre mi ha fatto pensare. – a questo punto lui alzò un sopracciglio –  E io soprattutto ho pensato. E ho capito che il tuo gesto di venire da me, questa notte, è significato molto di più di quello che potrebbe sembrare. Eh.. beh, ho deciso che questo tuo gesto deve essere ricompensato. Tu hai dato fiducia a me e io voglio darne a te.”
“Helena, cosa stai cercando di dirmi?” chiese lui, ora perplesso.
E’ il momento della verità. Voglio raccontarti tutta la mia storia, Shannon.” 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7: Breaking the habit. ***


*Accoglie i vari buuuuuu e i fischi della folla*
Lo so , faccio schifo. Se potessi starei io per prima nella folla a dirmi buuu! (?)
E' inutile inventare scuse, ho avuto un blocco. Mi mettevo davanti al pc e boh, rimanevo come una scema. Word mi sembrava un buco nero da cui non sarei più uscita (????).
No vabbè, la smetto di sparare minchiate! 
Allllllllllloooooooooooora questo è il capitolo che tanto aspettavo, semplicemente perché questo ha dato vita a tutta la FF. Il titolo è una canzone dei Linkin Park, e l'ho messo perché l'idea della storia mi è venuta vedendo il video! Le frasi sottolineate, sono le citazioni della canzone stessa.
Che dire più, questo capitolo è molto depressivo, preparatevi una sacca per vomitare. 
Ringrazio chi mi segue ancora e non mi ha ancora sputato in un occhio, anche se con molta probabilità lo farà stasera e boooh, chi mi ha recensito e anche chi non l'ha fatto, e anche a chi non sbatte altamente della mia FF e quindi manco leggerà mai questi ringraziamenti, totalmente inutili.
*Sparge amore*
Buona lettura adesso, la smetto xD Spero che il capitolo vi piaccia, nonostante tutto ((:

Capitolo 7: Breaking the habit.

 
 
“Non ti devi sentire costretta.” Dissi ad Helena, che era seduta di fronte a me ad occhi bassi.
Ero stato tutta la giornata con il pensiero fisso di lei che mi sussurrava con una strana espressione “ti vorrei parlare di una cosa”. Veder tramontare il sole era stato un sollievo, perché sapevo che finalmente avrei saputo quello che aveva da dirmi.
Ma adesso, trovandomela di fronte, avevo una strana sensazione.  
Improvvisamente, non mi interessava sapere, perché ero sicuro che sarebbe stato qualcosa di poco piacevole.
Ne ero stato certo, quando mi aveva aperto la porta: Helena non portava il suo solito foulard.
Era la prima volta che vedevo il suo collo senza quel solito accessorio, almeno la prima volta che succedeva per sua volontà. Avevo visto la sua cicatrice la notte prima, ma ero piombato in casa sua nel bel mezzo della notte e lei non aveva avuto il tempo necessario per pensare a coprire quel segno sul suo collo. Ma in quel momento era stato tutto programmato, non era una visita a sorpresa.
E ero sicuro che Helena fosse una persona che non tralascia i particolari, e quella scelta doveva dire per forza qualcosa.
“Non mi sento costretta. Tu mi racconti tante cose di te, mentre io sto zitta e sul mio passato non sai nulla. Voglio raccontarti tutto, perché ora sei un mio amico, non poco importante aggiungerei, e te lo meriti.”
Amico.La nostra amicizia era nata così in fretta per altro. Però si, sentivo che c’era un qualche legame tra noi.
La guardai, e per la prima volta mi sembrava.. indifesa.
La donna imbattibile e forte che mi si era presentata fino al giorno prima davanti non la vedevo più, vedevo solo una ragazza cresciuta troppo in fretta, una bambina stroncata dal peso di troppe battaglie perse, da qualcosa di troppo più grande di lei che da lì a poco mi sarebbe stato rivelato.
Avevo bisogno di sedermi vicino a lei e di abbracciarla, ma mi trattenni a aspettai prima che lei mi raccontasse tutto.
“Da dove comincio? Mmm..” iniziò a giocare con le mani, togliendo lo smalto bianco pezzetto dopo pezzetto.
“Che ne dici di iniziare dal principio?” la incitai. Era in evidente difficoltà.
“Dai dinosauri o proprio dal Big Bang?” cercò di allentare la tensione, con scarsi risultati.
Io risi, ma non dissi nulla.
Prima di ricominciare a parlare, prese un lungo respiro, e abbassò la testa.
“I miei genitori erano molto ricchi, e io sono nata in un ambiente con regole precise e protocolli di comportamento. Ti potrà sembrare strano, ma esistevano ancora all’epoca dei miei genitori persone così, e dire che la loro mentalità era pressoché giurassica, è dire poco. Non giocare con le bambine povere mi dicevano, quando avevo solo sei anni. Quando ne avevo dodici, studiavo in casa, perché andare nella scuola pubblica è disonorevole, per persone come noi. A diciotto mi ritrovai a festeggiare con ragazze che mia madre mi imponeva come amiche, perché noi ricchi dobbiamo stare con i ricchi, non si tratta di sentimenti o sciocchezze del genere. Io le odiavo. Erano ragazzine che si atteggiavano ad adulte quando non lo erano. Il mio pensiero rimase lo stesso, per tutti i venticinque anni che stetti con loro. Non riuscirono a plagiarmi, almeno mentalmente. Praticamente facevo tutto quello che mi dicevano loro, perché ero sicura che tutto quello che mi dicevano lo dicessero per me, per il mio bene. Però quando passavo tra le altre persone e vedevo le ragazze povere ma felici, mentre io ero sola con il mio denaro, ci rimanevo male e sognavo una vita come la loro. Vedevo le coppiette innamorate girare per le strade mano nella mano, spensierate, e io che non conoscevo neppure una ragazza che veramente mi stesse simpatica, figuriamoci un ragazzo. Così passai la prima parte della mia vita, sognando una vita diversa. Poi, il cambiamento, a venticinque anni. Venne a trovarci un amico di famiglia, con il suo bellissimo figlio. Arnold.
Prese una pausa, e fece un altro lungo sospiro. Ormai la mano destra era completamente senza smalto, e passò alla sinistra.
“Se non vuoi continuare, non lo fare.”
“No. Allora.. Arnold era gentile, divertente, un ragazzo perfetto. I miei genitori ne approfittarono, perché notarono un certo interesse in me per quel ragazzo, quel ragazzo ricco che a loro andava bene per questo, e iniziarono a creare degli incontri. Se dico creare, intendo che mi dicevano di fare una certa cosa, e lui mi aspettava in un certo luogo dove ci incontravamo. E ovviamente io non sapevo nulla, e iniziai a pensare che fosse tutto opera del destino e queste cose qui. Loro complottavano alle mie spalle, e io lo scoprii tempo dopo quando ormai era troppo tardi per tornare indietro. Tutto mi sembrava stupendo, era semplicemente una stupida ragazza innamorata dell’idea dell’amore. Fu questo che mi fregò. Io pensavo di amarlo, e pensavo che lui amasse me. Pensavo di conoscerlo, anche. Passò il tempo, e dopo i primi mesi decisi di uscire davvero con lui, e quella serata mi sembrava magica. Non era nulla di speciale, ma sentivo di non dover invidiare nulla alle coppie felici che avevo sempre ammirato, perché adesso lo ero anche io. Era questo il mio problema, quello che mi appannava la vista e mi costringeva a non vedere le cose che non volevo vedere. Era il concetto di essere innamorata e di stare con qualcuno, che amavo, tanto da non farmi capire più quello che stava succedendo ad un passo da me.
Due anni dopo, lo sposai. Fui affrettata, impulsiva, ma pensavo che fosse l’uomo perfetto per me. I miei genitori furono i primi a mettermi l’idea in testa del matrimonio, senza che me ne accorgessi, e io in tutto quel tempo fui semplicemente la loro ingenua pedina. Era una bellissima domenica d’agosto, quel giorno, e fu una cosa davvero organizzata bene, curata nei minimi particolari. La torta era gigante, l’abito meraviglioso. Un matrimonio perfetto per un marito che, mi sembrava, perfetto.
Ci fu la banda a suonare, ci fu tanto champagne, ci furono i bambini a portare le nostre fedi e ci fu il riso. Tanti balli, tante strette di mano, tanto.. tutto. La notte facemmo l’amore, come da tradizione. Fu.. l’unica volta che lo riuscii a definire così.”
“Vuoi qualcosa da bere, per riprenderti un po’?” non sapevo cosa dire, e mi aspettavo da un momento all’altro una crisi isterica di pianto, che non arrivava.
“Si. Prendimi qualcosa di forte, per piacere.”
Corsi in cucina, e aprii lo sportello degli alcolici. Non mi importava l’etica o qualunque cosa mi dicesse che quella non era una cosa buona, ma anzi presi come mi aveva detto lei qualcosa di abbastanza forte da confonderle un po’ le idee. Non volevo vederla così, sentivo la sua sofferenza e volevo togliergliene un po’.
Rovesciai il liquido trasparente nei due bicchieri, e prima di posare la bottiglia pensai che, invece, poteva servircene altro.
Portai il tutto nel salotto, e dopo aver poggiato la bottiglia sul tavolo, gli porsi il suo bicchiere.
Lo guardò, lo agitò un po’ e ne sentii l’odore.
Finalmente alzò lo sguardo, che da quando aveva iniziato a parlare aveva tenuto basso.
Cointreau. Ottima scelta. Abbastanza alcolico per la situazione.” Fece un sorrisetto diabolico, e iniziò a berne lunghi sorsi.
“L’alcol è un mio caro amico.” Dissi io, sorridendo al suo stesso modo, mentre me ne tornavo al mio posto e iniziavo a bere.
“Abbiamo una cosa in comune, guarda un po’!” mi sedetti, e  ritornai alla posizione di prima.
Lei aveva già finito il suo bicchiere, ma non vidi segni di cedimento nei suoi occhi.
“Molto meglio, moooooooooolto meglio. – cambiò posizione sul divano, e poi tornò a guardarmi – dov’ero arrivata? .. Ah sii! Alloooooora.. sembrava che tutto andasse bene, almeno i primi giorni. Mi comprò una casa gigante, dove andammo a vivere subito insieme. Aveva un giardino bellissimo pieno di mimose e di rose, e io ci passavo ore e ore a curarle e a fotografarle! Si, perché dopo essermene andata da casa dei miei, la prima cosa che feci fu comprarmi la macchina fotografica che mia madre aveva sempre definito inutile. In una settimana già terminai il primo rullino, e andarlo a sviluppare fu una gioia immensa per me. Tutto degenerò, però, un mesetto dopo il nostro ritorno dalla luna di miele. Eravamo stati invitati ad una festa, e mi sentivo una regina con quel lungo vestito nero che avevo comprato per l’occasione. Avevamo appena finito di cenare, e stavamo degustando la torta che lo chef aveva cucinato, buonissima aggiungerei. In quel momento, il figlio del signore da cui eravamo stati invitati, scese in compagnia di un amico. Mentre stavano varcando la soglia di casa, lo zio, seduto alla nostra destra, lo richiamò.
“Junioooor! Mai una volta che ti vedessi con una ragazza, eh? Dove vai di bello? Suuu non fare il timido, diccelo.”
Il ragazzo non rispose, assunse solo un’espressione disgustata.
L’uomo, decisamente ubriaco, si alzò dalla sedia e gli andò incontro. “Perché non mi rispondi? Eh? E levati quell’espressione dalla faccia, altrimenti te la faccio levare io!” lo prese per il colletto, e poi lo lasciò spingendolo leggermente.
“Se solo tu non puzzassi come un barbone, me la toglierei!”scoppiò lui.
Il padrone di casa si accorse che la situazione andava degenerando, e si alzò.
“Brutto bastardo,  non ti azzardare a mai più a rivolgerti a me con questo tono!” lui non cambiò espressione, e il padre finalmente lo raggiunse.
“Su, lascialo stare. Junior, tu sparisci.” Lo prese per il braccio e lo tirò verso il tavolo.
“Vai, sparite tu e la tua amichetta! Andate ad un incontro per persone come voi o non vi fate vedere in giro per paura di contagiare qualcuno?” stava per girarsi, quando il ragazzo rispose: “Beh, a te t’hanno già contagiato! È per questo che non accetti che io ammetta si essere omosessuale, potrebbero scoprire che lo sei anche tu?”
In quel momento il padre si girò nervoso, e schiaffeggiò il figlio. Tutti rimanemmo a bocca aperta, e un silenzio tombale scese nella stanza.
“MA COME SI PERMETTE?” urlai io, alzandomi in piedi. Tutti si girarono verso di me, compreso Arnold. “Non solo quell’ubriacone di suo fratello sta umiliando quel povero ragazzo davanti a tutti, ma lei lo schiaffeggia pure? Si vergogni!”
Arnold si alzò con me, mi prese per mano, mi trascinò di fronte al padrone di casa e disse: “Noi togliamo il disturbo.”
Per tutto il viaggio in macchina sentii l’adrenalina scorrere a mille, e mi sentii soddisfatta come mai in vita mia. Mio marito non parlava, e io pensavo fosse solo arrabbiato quanto me con quella gentaglia.
Aspettavo orgogliosa un suo complimento, un suo questa è la donna che amo, ma non ci fu nulla. Arrivammo a casa, finalmente, e pensai di andarmi a togliere subito quel vestito da dosso, ma neppure entrati, lui mi fece girare e mi schiaffeggiò.”
Io sgranai gli occhi e guardai la sua espressione furiosa senza poter muovere un muscolo.
Sentivo di poter impazzire, sentivo di poter distruggere ogni cosa, sentivo di poter picchiare qualcuno tanto la rabbia che sentivo bollire dentro. Ma non feci nulla, semplicemente perché sentivo che non era quello di cui lei aveva bisogno.
Appoggiai la testa alla mano destra, e la sentii improvvisamente pesare troppo per quel mio semplice gomito.
“Dovrei essere io quella che ha il crollo nervoso, non tu!” disse lei, ridendo. Non era indifesa, era molto più forte di quanto immaginassi.
“Posso anche non continuare, se vuoi.” Aggiunse, seria.
“Adesso si invertono i ruoli? No, puoi andare avanti.” Mi misi comodo, il peggio doveva ancora venire.
“Mmm.. lui mi schiaffeggiò e io caddi a terra, paralizzata. Chi era quell’uomo? Cosa ne aveva fatto di mio marito? Queste furono le prime cose che pensai, prima che lui aprisse bocca.
Tu sei mia moglie, e parli solo quando te lo dico io. Tu fai quello che dico io, se te lo dico io, come te lo dico io. Non voglio iniziative personali, o scatti improvvisi di amore verso quegli scarti della natura. Capito, tesoro?
Io sgranai semplicemente gli occhi, e lui mi disse di non avere paura, perché se gli avessi obbedito, non mi avrebbe fatto nulla.
In quel momento ebbi paura di lui, per la prima volta. Mi iniziai a chiedere chi avessi sposato, quale persona schifosa fosse e quale stupida fossi io.
Non gli parlai tutta la notte, mentre lui si comportava normalmente.
L’indomani andai dai miei genitori, a chiedere aiuto. Lo sai cosa mi dissero? Lo sai? Cosa gli hai fatto per farlo arrabbiare? Mi crollò il mondo addosso. Tutto quello in cui avevo creduto, su cui avevo deciso di fondare la mia vita, mi crollò sotto i piedi. Immagini quel momento dell’adolescenza quando i tuoi genitori si trasformano da eroi a persone totalmente normali, e questo ti sconvolge l’esistenza? Bene, questo a me è successo in età adulta, ed è stato molto ma molto più doloroso.”
Mentre lei parlava, gli e mi riempii un altro bicchiere. Iniziava ad essere tutto fuori dal comune.
“Grazie.. – bevve un po’, per poi trattenere il bicchiere tra le mani mentre continuava a parlare. – ce la faccio.. questa non è ancora la parte peggiore. Allora.. dopo aver mandato a quel paese i miei, tornai a casa. Quando lui mi chiese cosa avessi, io gli dissi semplicemente che avevo bisogno di un po’ di tempo per riflettere su quello che aveva fatto, perché ormai non sapevo neppure più chi fosse. Lui sai cosa rispose? Mi diede un altro schiaffo. Ancora più potente. E mi disse testuali parole, che ormai è come se me le fossi incise con il fuoco nel cervello. Tu sei di mia proprietà, e decido io se puoi anche solo pensare o no. Adesso te ne vai a letto e dormi, e tutto tornerà come prima. Io semplicemente ci berrò su, e farò finta che non hai fatto niente. Capito? Tu non decidi quando andartene, sono io che decido quando passare alla prossima puttana. In quel momento capii di aver fatto la più grande cavolata di tutta la mia vita. Sapevo di non poter nulla contro di lui, quindi continuai a fare la brava moglie, mentre dentro di me l’odio si accumulava e cresceva a dismisura. Continuava a picchiarmi, una sera si e una no, in proporzione a quanto era ubriaco. Fu così che iniziai a bere, perché non mi faceva sentire dolore. Fino a quando una sera non volle per forza fare sesso con me, anche se io mi rifiutavo, e lui mi costrinse. Quella volta mi decisi ad andare alla polizia, quando.. beh, quando scoprii di essere incinta.”
Non ci potevo credere. Era davvero.. troppo.
Non sapevo più per cosa valesse la pena combattere, o cosa io dovessi gridare. Libertà o bambino, bambino o libertà? Scelsi il bambino. Pensavo che con un figlio sarebbe cambiato, mi avrebbe trattato diversamente. Ingenua, eh? Per i primi mesi di gravidanza fu davvero così. Iniziò a comprarmi un sacco di regali, e io continuavo ad essere distante. Fino a quando.. – si scolò in un solo sorso tutto l’alcool che rimaneva nel bicchiere, e sbatte gli occhi due volte – fino a quando, una sera, quando io ero incinta al sesto mese, lui tornò a casa ubriaco fradicio, e mentre stavo uscendo dalla camera mi iniziò a picchiare. Così, senza motivo. Io..”
Le mancò il fiato.
“No, basta, non ce la fai.” Le dissi io, allo stremo della mia sopportazione.
“No. Stasera non ti sto raccontando semplicemente la mia vita. Stasera mi sto liberando da un’abitudine. Dall’abitudine di aver paura di Arnold, dopo tutto questo tempo. Da quella di odiare ancora il genere maschile. Da quella del rancore, da quella della paura del suo semplice nome. Arnold Arnold Arnold. Vedi, mi sto liberando. E devo concludere, per liberarmi completamente.”
Io annuii, arrendendomi. Non potevo fermarla.
“Io mi difesi e lo attaccai, lui cadde all’indietro, e io mi diressi fuori dalla porta. Lui prese da non so dove un coltello, mi rincorse, e al margine delle scale mi fece questo. – puntò il dito sulla sua cicatrice – io, spaesata, andai all’indietro, e caddi dalle scale. Non saltai neppure un gradino, neanche uno. Al terzo o al quarto prima della fine, persi conoscenza. Quando mi svegliai, ero in ospedale, con Kristen al mio fianco. Mi aveva chiamato più e più volte, si era preoccupata ed era venuta a trovarmi perché, fortunatamente, era nella mia stessa città. Io potevo rimettermi mentre.. per.. per il mio bimbo.. non ci fu nulla da fare. Aborto spontaneo. Quel figlio era stata la mia unica speranza, e l’avevo persa. Di Arnold non ci furono notizie, fino a quando non lo identificarono con un uomo che la notte stessa in cui era scappato fuori casa, vedendomi a terra insanguinata, era stato investito da un camion.”
Non resistetti più, mi alzai e mi andai a mettere vicino a lei. Le afferrai le mani, e le rigirai tra le mie.
“Quando tornai dall’ospedale, diedi fuoco a tutte le foto, tutti i regali, ogni cosa. Vendetti la casa, e ne comprai un’altra più piccolina, nella stessa città di Kristen, che mi era sempre piaciuta. – si guardò soddisfatta intorno – Arnold mi lasciò tutta la sua eredità, una parte l’ho data in beneficienza, un’altra sta in banca, e un’altra.. – sorrise – l’ho investita nel mio studio fotografico, un anno dopo la perdita del mio bambino. Di quella vecchia casa, portai via solo una cosa.”
Si alzò un attimo, per andare in una cassaforte nascosta dietro un poster, che aprì con il pendente del suo bracciale. Ne prese la sua prima macchina fotografica, e me la mostrò. Io sorrisi, vedendola felice. Richiuse il tutto, per poi tornare da me.
“Beh, questa è la mia storia. Deprimente, brutta, e quant’altro, ma la mia storia.” Dopo quel fiume di parole che le erano uscite dalla bocca, finalmente iniziò a piangere. Erano due lacrime, ma significavano più di quanto potessero sembrare.
“Vieni qui.. – la presi tra le braccia, e la strinsi forte al mio torace – non avere paura, ci sono io adesso qui con te.” lei si aggrappò a me, e ci distendemmo sul divano.
Ironia della sorte, la sera prima lei aveva consolato me, e ora io consolavo lei.
Stemmo tutta la notte così, stretti l’una all’altra

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Capitolo 8
*** Capitolo 8: Fiducia. ***


Buonasera :3 Finalmente pubblicoooooooooooooo! Sto avendo un blocco con questa FF che è una cosa orrenda!! -.-
Comunque, ringrazio   __Alibi_Echelon92 ,  FromYesterday e Parawhore_Echelon, che hanno recensito il capitolo precedente *^*
E la mia Annamaria che mi segue, mi incita e mi ha aiutato, ascoltato e supportato negli scleri per questo capitolo u.u
E anche quelli che mi seguono in silenzio.
Adesso vi lascio in pace, buona letturaaaaaaaaaaaaaaa! :D

Capitolo 8: Fiducia.


Quella mattina mi svegliai bene, ma bene sul serio.
Mi sentivo in pace con me stessa, con gli altri, con il mondo.
Mi sentivo in pace persino con il mio passato.
E poi mi ritrovai tra le braccia di Shannon e.. per una volta, per la prima volta nella mia vita, mi sentii in un posto sicuro. In un piccolo rifugio. Ed era una sensazione bellissima.
Il telefono di Shannon iniziò a squillare, e come un deja-vu risposi a Tomo.
“Pronto Shannon? Ma dove sei finito? La smetti di scomparire tutte le notti?” sbuffò.
“Tomo, tranquillo, Shannon è con me.”
“Helena? Sei proprio tu? Ma sta diventando un’abitudine?” lui scoppiò a ridere, tranquillizzato. Sentii Shannon svegliarsi, e io gli passai il telefono.
“Tomo, ti vuole.” Feci per alzarmi, ma lui mi fermò.
“Non scappo, vado a darmi una sistemata e a lavarmi i denti, sono indecente la mattina.”
Lui sorrise, e poi prese il cellulare. Io salii in fretta le scale, e andai in bagno.
Mi lavai velocemente, e mi cambiai. Così ero accettabile.
Scesi di nuovo di sotto, e trovai Shannon che frugava in cucina.
“Se vuoi qualche biscotto, è la credenza vicino al frigorifero.” Lui si girò a guardarmi, dapprima sorpreso e poi sorridente. Si avvicinò al mobile che gli avevo indicato, e cacciò una busta di biscotti al cioccolato.
“Va tutto bene? Tomo ti ha dato buone notizie?”
“In realtà non me ne ha date. Mi ha detto semplicemente che mia madre era preoccupata per me, e mi aveva chiamato per tranquillizzarla.” Iniziò a masticare, e ritornò in soggiorno.
Lo seguii.
“Devi andare da lei?”
“No.. sapendo che stavo con te, è passata ogni preoccupazione. Credo che tu le piaccia.”
Ero compiaciuta per quelle parole.
Lo seguii sul divano, e lo guardai prendere i biscotti più grandi dalla busta come fosse un bambino. Mi fece ridere.
“Grazie Shannon. Grazie davvero.”
Con le dita a mezz’aria, ricoperte di briciole dei biscotti, e la bocca piena, si girò verso di me.
“Di cosa?” riuscii a dire, mentre cercava di mandare giù il biscotto.
“Di avermi ascoltato. Di avermi tenuto tutta la notte compagnia. Di..”  mi fermai un attimo. Lo guardai negli occhi, e presi coraggio. “Di farmi iniziare a credere ancora negli uomini, soprattutto.”
“Quando vuoi! Shannon riesce sempre a dare alle donne quello che vogliono, sempre!”
Lo guardai storto.
“Shannon è anche un idiota, non dimentichiamolo!”
“Povero.. Po-ve-ro. Viene sempre trattato male, lui. E non se lo merita, non se lo merita proprio!” disse lui, scuotendo prima la busta di biscotti, poi sbirciandoci dentro, e poi accartocciandola e buttandola sul tavolino.
“Ok, inizio ad aver paura!” ridemmo insieme.
“Che vogliamo fare oggi?” chiese lui, improvvisamente energico.
In quel momento, lo feci d’istinto, poggiai la testa sulla sua spalla e mi accoccolai al suo braccio.
“Per adesso voglio stare così. Solo un altro pochino, poi ti lascio libero. Però.. voglio stare così. Non mi sono mai sentita così bene in vita mia.” Chiusi gli occhi, e aspettai una sua risposta. Probabilmente, era sorpreso da un mio scatto così evidente di bene nei suoi confronti. Ero sempre stata, più o meno, sulle mie.
Però inaspettatamente mi accarezzò i capelli.
Fummo in silenzio per un poco, prima che lui aprisse bocca.
“Quando vuoi, mi racconti una cosa? Una cosa bella, però.”
Lo guardai senza togliere la testa dalla sua spalla.
“Spara. Cosa vuoi sapere?”
“Voglio sapere come hai conosciuto la tua amica.. Kristen, ecco. Lei è sempre così presente nella tua vita, nella tua storia. Se vuoi, me lo racconti?”
Mi rizzai, e feci un sorrisone a trentadue denti.
“Ma certo! E me lo chiedi? Amo parlare di Kris!” mi misi a gambe incrociate, un po’ come la sera prima. Ma era tutto diverso. L’argomento era diverso, l’atmosfera era diversa, il legame con Shannon era diverso. Anche io, un po’.
Mi sentivo.. rinata.
Si, come un seme che, dopo un inverno di intemperie e di freddo, con la primavera riesce a sbocciare e a schiudersi.
Mi ero schiusa. E adesso, mi sentivo anche più forte.
Mi sentivo più sicura, mi sentivo pronta a fare qualcosa di buono della mia vita.
E tutto questo, grazie a Shannon. Tutto questo, grazie alla serata precedente.
“Allora. Ti ricordi quando ti ho detto che i miei genitori non mi facevano avere amiche? Che mi sentivo sola e così via? Beh io lì avevo Kristen. Ma in un certo senso non c’era.”
“Eh?” lui mi guardò stranito.
“Nel senso che lei non stava nella mia stessa città. Abitavamo lontane, e non ci potevamo vedere tutti i giorni. La distanza, che brutta cosa.” mi fermai un attimo, mi alzai e andai a prendere una cosa nel cassetto della scrivania di fronte a me.
“Sapevo che metterne lì un pacco sarebbe stato intelligente”. Aprii la scatola di cioccolatini e la posizionai sulle gambe di Shannon. “Accomodati pure!”
Gli scoccai un occhiolino e mi riposizionai come prima.
“Lasciamene uno di quelli bianchi. Mi piacciono molto di più di quelli al cioccolato fondente.” Lui mi guardò strano, e mentre mi porgeva proprio quello che stavo indicando disse: “Sai, abbiamo molte più cose in comune di quanto credessi.”
Presi il dolcetto dalle sue mani e lo rigirai tra le mie.
Lo mangiai in fretta, per poi tornare al mio racconto.
“Io e Kristen ci conoscemmo a tredici anni. Un giorno ero stanca di casa mia. Mia madre non mi voleva far divertire. Ero una bambina vivace, allegra, che voleva scoprire il mondo. E per lei non era una cosa buona. Un pomeriggio, mi sgridò perché mi ero strappata il vestito nuovo rincorrendo una farfalla in giardino. Può sembrare stupida come cosa, ma ne vedevo pochissime e quelle poche volte ne rimanevo incantata. Mi davano un senso di.. libertà. Si, libertà. Quella che io non avevo. E quando mia madre la cacciò e mi sgridò, mi arrabbiai. Fu una delle poche volte che mi ribellai prima di tutta la storia di Arnold. Te l’ho detto, pensavo che loro facessero le cose per il mio bene e quindi non mi opponevo.
Comunque, senza il suo permesso, uscii e andai nel parco vicino casa mia. Non era poi una così grande fuga, ma l’adrenalina che mi scorse quel giorno per tutto il corpo era una cosa del tutta nuova per me. Comunque, nel parco, dopo aver giocato e aver girato per un po' di tempo, mi rattristii. Mi sentivo in colpa.
Mi sedetti su una panchina, di fronte ad un’enorme fontana. Mi mordevo il labbro e mi torturavo le mani pensando a cosa avrebbero detto i miei genitori al mio ritorno. Arrivò questa ragazzina, mi si sedette vicino e mi stese la mano. Sono Kristen, piacere. Mi sto annoiando, giochiamo insieme? Fui un po’ diffidente. Chi era quella sconosciuta? Che voleva da me? Alla fine mi arresi e giocai con lei. Mi fece dimenticare ogni cosa, e quando se ne andò sorridente, con la madre, mi disse Vedi? Ce l’ho fatta a toglierti quel brutto broncio dalla faccia! Non avevo mai trovato una persona come lei. Era speciale.
Alla fine mia madre non si era neppure accorta che me n’ero andata. Erano passate due ore e, probabilmente, aveva pensato che fossi stata per tutto il tempo nella mia camera a scontare la punizione. Da quel momento andai al parco tutti i giorni. Volevo vederla e stare con lei. Però non si faceva vedere. Un giorno. Due giorni. Una settimana. Passò un mese intero e di lei nessuna traccia. Un pomeriggio, di maggio se non sbaglio, quel giorno che mi ripromisi di andare per l’ultima volta a cercarla, eccola spuntare. Mi salutò con la mano appena mi vide, e ci sedemmo sulla stessa panchina.
Perché non sei venuta più?Le chiesi io, subito.
Io non abito qui. Abito in una città a tre ore da qui, e ci vengo una volta al mese per visitare mio nonno.Fui così dispiaciuta nel sentire quelle parole. Tre ore? Perché? Perché non potevamo essere vicine? Perché non potevamo avere un’amicizia normale?
Eppure non mi lamentai. Passammo anche quel pomeriggio insieme, e tornai a casa felice. Dovevo aspettare solo un mese, e poi l’avrei rivista.
Fu così che passarono due anni. Ogni volta era una gioia stare con lei, e una tristezza tornare a casa pensando di dover aspettare altri ventinove giorni, per vederla. Però stavo bene, finalmente non mi sentivo più sola, e avevo qualcuno su cui contare e a cui raccontare tutto quello che mi accadeva.
Nei suoi occhi non c’erano gli occhi delle ragazzine altezzose che conoscevo. Nei suoi occhi, c’era una luce e un’allegria contagiose.
Il difficile fu alla fine di questi due anni. Le morì il nonno. Quando mi parlava di lui lo chiamava Mino, nonno Mino. Lo so, sembra strano, ma lui aveva origini italiane. I suoi genitori si trasferirono in America perché in italia le condizioni erano pessime. Lui era, comunque, il nonno con cui era cresciuta e a cui voleva un bene dell’anima. Fu un colpo durissimo per lei. Molto tempo dopo, mi disse che la mia presenza l’aveva aiutata non a superare, ma a sopportare il dolore per questa perdita. Mi commossi. Non mi sembrava di aver fatto mai nulla di speciale per lei, in confronto a quello che lei faceva per me.” Presi un altro cioccolatino.
“Ti starai chiedendo perché fu più difficile. Beh.. essendo morto il nonno, lei non sarebbe più venuta nella mia città. Quando me lo disse, l’abbracciai e piansi. L’unica cosa che avevo nella mia vita, me la stavano portando via. Alla fine l’unica cosa che potemmo fare, fu scambiarci gli indirizzi. E da lì iniziammo a inviarci lettere appena ci arrivava la risposta dell’altra. Mi ricordo che avevo proprio un cassettino che avevo riempito con le buste per le lettere bianche. Non potevamo fare altro. I viaggi per i suoi genitori erano sempre stati faticosi, ma la madre l’aveva sempre e solo fatto per l’amore verso il nonno. E adesso che non c’era più, nessuno se la sentiva di fare ancora e ancora avanti e indietro ogni mese. Non per me, soprattutto.
Tutto quello che avevo erano quelle lettere, che custodivo gelosamente. Le rileggevo nei momenti di solitudine, e le riponevo nel mio nascondiglio sotto il letto.
Io e Kristen abbiamo fatto questo per anni. Fino a quando non compì diciotto anni, e mi venne a trovare lei. L’abbracciai così a lungo. Non ho mai abbracciato così a lungo qualcuno.. – a parte stanotte, pensai – .. e fui felice, tanto, quella giornata.
Purtroppo, tra una visita e l’altra, passavano mesi. I miei genitori non mi permettevano di andare da nessuna parte. Quando mi sposai, la invitai e mi fece da damigella d’onore. È l’unica cosa che non rimpiango, di quella giornata.
E da quel giorno ci vedemmo più spesso, perché lei viaggiava tanto, e io finalmente potevo raggiungerla quando Arnold era via. Il resto non è nulla di speciale, e in parte già lo sai. Quando morì Arnold, io andai a vivere nella sua stessa città. Io assistetti alla nascita della sua libreria, e lei del mio studio fotografico. Fiiiiiiine!”
“Wow..” riuscì a dire Shannon.
“Cosa c’è?”
“Hai mai pensato di scrivere qualcosa?”
Io risi. “Lo sai che mi disse la stessa cosa Kristen, quando le inviai la terza lettera? Disse che sarei stata una bravissima cantastorie.”
Lui però non fece lo stesso.
“Sono serio, Helena. Sei brava, davvero. Anche ieri sera, quando hai fatto quel discorso.. mi hai affascinato. E poi dici cose filosofiche.. – prese un momento, poi rise – si, avresti potuto fare la cantastorie!”
 
 
 
“Shannon, dove mi porti?” chiesi, guardando fuori dal finestrino.
“A casa mia.”
Lo guardai.
“Uhmm..”
“Che c’è?” disse, distogliendo lo sguardo dalla strada per guardare me.
“Pensa a guidare.. – gli rispostai il viso, facendo pressione sul mento con l’indice – ..mi chiedevo, ecco, perché stessimo andando a casa tua.”
Lui aggrottò le sopracciglia, e disse: “Non c’è un motivo preciso. Mi va così.. – poi fece una risata trattenuta – .. e poi, voglio vedere tu e Jared che litigate!”
“Stupido.. – scossi la testa – ma quindi ci sono anche lui e Tomo?”
“No, per adesso stiamo solo io e te. Ti voglio far vedere delle cose. Poi andiamo a casa di Jared e facciamo una cena, tutti insieme. Viene pure mia madre e la moglie di Tomo. E’ uno zuccherino! E.. – si fermò un momento, poi riprese – ho invitato anche Kristen, se non ti dispiace.” Era da un po’ che non la sentivo, infatti. Forse voleva farmi una sorpresa.
“Non mi dispiace, assolutamente no.”
 
 
Arrivammo a casa di Shannon poco dopo, e ne rimasi incantata. Era bellissima, ordinata, e luminosa. Era raffinata. E poi c’erano tantissime foto sparse per la casa. Fatte bene, per giunta.
“Ma c’è qualcuno in famiglia appassionato della fotografia?” chiesi, prendendo in mano una foto di uno Shannon piccolo e paffutello.
“Si.. io, in realtà.”
Mi girai di scatto e gli puntai il dito contro.
“Tu, Shannon Leto, hai la passione della fotografia e non me l’hai mai detto?” ridussi gli occhi a due fessure.
“Ehmm.. non.. c’è.. stato mai modo, uffa!” mi fece ridere ancora una volta per il suo atteggiamento da bambino.
“Mi hai fatto venire qui per parlarmi un po’ di te allora! Mmm.. bene, ci sto!” salì le scale, e mi portò nella sua stanza.
“W-O-W!” esclamai, scandendo ogni lettera appena entrata nella camera.
Una batteria, un’enorme e bellissima batteria, era posizionata al centro della stanza, circondata dal letto, dalla scrivania, da vari poster e da tante foto, soprattutto.
Mi avvicinai, e la iniziai a sfiorare con le dita.
“Tu non mi avevi detto di avere una passione per la batteria, invece!” mi raggiunse.
“Non ce l’ho, infatti. Però ho sempre sognato di suonarla!” guardai quello strumento con occhi che mi brillavano.
Mi portò davanti un armadio. Lo aprì con delle chiavi, ed ecco diversi modelli di macchine fotografiche e obbiettivi.
Rimasi a bocca aperta.
“Si, ma aspetta. Prima o poi approfondiremo tutto. Voglio farti vedere tanti pezzi di me, prima di andare a cenare.” Mi portò davanti alla scrivania, e prese un’agenda.
Era vecchiotta, e me la passò.
“Apri e leggi, su.”
 

Volgiamo che la nostra musica e le nostre idee parlino per noi. Al giorno d'oggi la gente si interessa più su CHI sia che su COSA sia.

 
E ancora:
 

L'amore è una bella sensazione, ma quando è schiacciato ti senti vuoto.
È per questo che si dovrebbe sempre avere una musa nella vita come la musica.

 

Girai pagina, curiosa:
 

Non dimenticate mai la vostra infanzia, contiene i ricordi più belli.

 
Aprii l’agenda a metà, e lessi a caso:
 

A volte di notte guardo verso il cielo e mi chiedo 'come cazzo sono arrivato qui' ed è semplice, amore per la musica e dedizione.

 
Un foglietto sporgeva dalla pagina successiva, lo afferrai e lessi:
 

Dillo, dimmelo
Automatico, immagino, credo
Credo, credo, credo.

 
Ma questa è The fantasy!” dissi, sorpresa.
“Si. Mio fratello non sapeva come finire la canzone, e lesse queste parole che gli piacquero. Se mi chiedessi come mi sono venute in mente, non lo saprei dire. Appena ho qualche pensiero in testa, apro questa agenda e scrivo. Mi libera l’animo, e mi sento meglio quando quello che penso, lo riesco a fissare su carta. So che non sbiadirà, che non si cancellerà, neppure con il tempo.”
“E poi ero io la scrittrice!” dissi, senza staccare gli occhi da quelle pagine sbiadite.
Mi sfilò l’agenda di mano, e la rimise a posto.
“Dai su, non c’è tempo!”
“Ma nooooo! Voglio leggere, e daiiii!” lui mi prese per mano, e mi trascinò via.
“Te lo farò leggere, prometto! Però ora andiamo, su!”
Continuai ad osservare tutte le foto, anche mentre scendevamo di corsa le scale.
“Una cosa da sapere prima di uscire da questa casa: non nominare mio padre, lui non è mai stato presente nella mia vita. Ci ha abbandonati, soli con nostra madre, quando eravamo bambini. Ci siamo presi cura a vicenda, fin da quand’eravamo bambini. Loro sono la mia famiglia, e senza di loro non sarei nulla. Lo dico a te, perché voglio raccontarti di me, ma non è che vado a sbandierare ai quattro venti i miei sentimenti. Jared è il primo vero grande amore della mia vita. Io e lui, viviamo in simbiosi. Ho successo, ha successo. Crollo, crolla. E viceversa. È una cosa strana, ma è così.”
Prima di uscire dalla porta, mi sorrise.
Io ero ancora un po’ sorpresa.
Non tanto per quello che mi aveva detto. Lo sapevo che il loro legame era speciale. Ma più perché me l’aveva detto. Shannon aveva deciso di fidarsi completamente di me, e ne fui davvero entusiasta.
 
 
Il cellulare vibrava nelle mie tasche.
“Hel? Grazie! Sei già da Shannon? Mi state aspettando?”
Shannon capì che stavo parlando con lei, si girò e continuò la sua discussione con il fratello.
“Si, siamo qui. Ti sei persa?”
“Si. Cioè no. L’indirizzo è giusto, sono sicura. Ma sto davanti la casa con scritto Leto sul cancello ma nessuno mi risponde. Anzi, non c’è segno di vita. Non c’è una luce accesa!”
Ridacchiai.
“Sei andata a casa di Shannon, ma noi stiamo da Jared. È la casa a destra! Poi ero io il danno eh?”
Sbuffò, e chiuse il telefono.
“Sta arrivando!”
Vidi Jared alzarsi, ed andare vicino alla porta.
Lo guardai dubbiosa, lui mi fece segno di zittirmi, e poi guardò dallo spioncino. Sentimmo suonare il cancello, e lui l’aprì. Ma non accennava ad aprire la porta.
Si accostò di nuovo allo spioncino, e non appena vide che Kristen stava per bussare aprì la porta.
La vedemmo spalancare gli occhi e la bocca.
Jared ridacchiò, e poi disse Buonasera con voce sensuale e sguardo ironico. Tutti ridevano, e io andai a salvare la poverina che era rimasta pietrificata alla porta.
“Spostati Jared – lo scansai, e poi guardai in faccia lei – su, entra dentro.”
Si riscosse, e vidi il piccolo Leto gongolare.
Disapprovai, ma non dissi nulla. Non ero a casa mia, dopotutto.
 
 
Chiacchierammo un po’, bevendo un aperitivo, e poi cenammo la squisita cena di Costance e Vicky. Quest’ultima, una nuora acquisita della prima praticamente, era la moglie di Tomo. Una donna combattiva, forte, saggia, ma anche gelosa.
Era dolcissimo il modo preoccupato con cui aveva guardato Tomo quando mi aveva salutato. Ma poi lui, conoscendola troppo bene, l’aveva guardata e le aveva fatto passare ogni preoccupazione. Questo era amore, caspiterina.
Una cosa che notai, in tutta la serata, fu.. che Kristen e Jared erano in sintonia. Ridevano e scherzavano, e parlavano. Tanto.
Kristen era già di suo socievole e sociale, ma non mi aspettavo da lui una reazione così.
A fine serata, diedi una gomitata a Shannon.
Lui mi guardò stranita.
Guarda quei due.Dissi a bassa voce. Lui vide il fratello e mi riguardò.
A fine serata, prima che ce ne andassimo, mi venne vicino e mi sussurrò all’orecchio, provocandomi un leggero brivido: “La tua amica mi sembra una tipa a posto. E se.. li facessimo incontrare qualche altra volta per vedere come si trovano?”
Io annuii, sorridendo. Dopo tutte le delusioni di Kristen, perché non provare a farla stare con una persona che, a parte l’altezzosità e la poca modestia, era buona?
 
 
 
“Ciao Cris!” salutai il mio assistente che stava andando via.
Guardai l’orologio. Avremmo dovuto chiudere mezz’ora prima, ma come al solito c’eravamo dilungati.
Stavo finendo di sistemare, quando qualcuno tamburellò alla porta.
“Siamo chiusi, torni domani.”
“Sicura?” Mi girai, e Shannon con il suo giubbotto di pelle e i suoi occhiali da sole mi fissava a braccia conserte appoggiato al muro.
“Per te si, faccio uno strappo alla regola!” mi rigirai, continuando ad ordinare la scrivania.
“Tra quanto stacchi?”
“Spengo le luci e ho fatto.” Mi aspettò, fermo così, mentre giravo per lo studio a premere gli interruttori della luce.
Alla fine, mi misi il cappotto e andai da lui. “Che si fa stasera?”
“Ti porto a conoscere una persona.” Mi porse il casco, e ci incamminammo alla moto.
Come ogni volta, mi strinsi a lui per tutto il viaggio, ascoltando il dolce battito del suo cuore.
Entrammo in un locale, uno di quelli dove si fanno i party dopo le feste.
Era ancora presto, e infatti tutto era in preparazione.
Mi accompagnò alla postazione dj, e incontrammo un uomo biondo.
“Helena, lui è Antoine. Antoine, lei è Helena.” Ci stringemmo le mani, e lui mi squadrò.
Alzai il sopracciglio, e guardai Shannon.
“Non è lui, è un suo amico quello di cui ti parlavo prima.”
Mi indicò un uomo. Bello, alto, con i capelli biondi e gli occhi azzurri. Aveva un sorrisetto bastardo, e un fisico d’atleta.
“Lui è Evan. Può lanciarti come scrittrice Helena, se tu gli dai del materiale.”
Io lo guardai a occhi sgranati.
“C.. co.. cosa?”
“Voglio che ci provi. Lui ti dirà oggettivamente se sei in grado, o no. Ti prego, fallo per me. Abbi fiducia in me. ” Lo guardai negli occhi, nelle sue iridi mezze verdi, mezze gialle, quel giorno. Non riuscivo a dirgli di no, cavolo!
“Ok .. – lui esultò – però..”
“Però cosa?” mi chiese lui, impaziente.
“Voglio che mi insegni a suonare la batteria, in cambio.”
Lui acconsentì, e io sorrisi. 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9: Indispensabile. ***



Buonasera e buona domenica. Lo so, sto pubblicando di rado, e mi scuso infinitamente! ç_ç
Purtroppo stiamo arrivando alla fine.. e boh, spero che il capitolo piaccia ancora a qualcuno! 
Ringrazio _Alibi_Echelon92 e FromYesterday che sono le uniche due che ancora seguono la FF.. e vabbè, non so che dirvi! 
Buona lettura u_u 

Capitolo 9: Indispensabile.
 

I successivi tre mesi da quella sera passarono velocemente, quasi senza che me accorgessi. Mi ritrovai lì, sullo sgabello della batteria di Shannon, a vedere i suoi occhi speranzosi, nel silenzio tombale della camera che aspettava solo che io parlassi e rispondessi alla sua proposta, ripercorrendo velocemente tutti gli avvenimenti che mi avevano portato a quel momento. Eppure, le cose successe in quell’arco di tempo erano tantissime, altrettante quelle che cambiarono.
Ma andiamo per ordine.
Il primo cambiamento importante era che Jared e Kristen iniziarono a fare coppia fissa.
Io e Shannon non facemmo nulla, perché si scambiarono da soli i numeri di cellulare e iniziarono ad uscire insieme già dal giorno dopo. Tra loro si creò un rapporto speciale. Il fratello mi disse che Jared era stato ferito tante volte, e vederlo così felice con una donna lo rincuorava.
Così iniziai a pensare che era proprio quello che li legava: erano stati delusi entrambi così tante volte, e in modo così doloroso, che i loro cuori si erano spezzati. Ed era proprio per queste ammaccature, che riuscivano a combaciare perfettamente.
Io ero talmente tanto felice per loro. Soprattutto per Kristen.
Vedevo sorriderla, con un sorriso ancora più splendido di quello di prima.
E Jared.. beh, Jared, dopotutto, era una buona persona. Iniziai ad entrare in confidenza anche con lui, in quelle sere in cui uscivano tutti insieme, con Tomo e Vicky anche, e andavamo in giro in divertirci.
Sembravamo essere tornati all’adolescenza: un gruppo di amici che passa le serate divertendosi, lasciandosi alle spalle i problemi della vita di tutti i giorni, e facendo le ore piccole.
Infatti andare al lavoro, per me e per Kristen, era sempre una sfida, perché da un momento all’altro potevamo addormentarci.
Nel weekend, Shannon ci portava dal suo amico Antoine, che io continuavo a non sopportare e da cui mi tenevo alla larga il più possibile, e ci faceva vedere i suoi spettacoli. Praticamente tutto il gruppo odiava andare a quelle festicciole in discoteca. Jared e Kristen scappavano via a metà serata, mentre Tomo e Vicky restavano con me per non lasciarmi sola. Fino a quando non li guardavo, ridevo e dicevo: “Potete andare, non c’è bisogno che stiate qui.”
Loro mi guardavano grati, cercavano di dissuadermi ma dopo due o tre tentativi si alzavano, e, a spallate e a permesso che andavano al vuoto nella musica ad alto volume della discoteca, si facevano spazio tra la folla fino ad arrivare alla porta e all’aria gelida delle notte autunnali.
Fu proprio nella mia seconda serata agli after party di quei due, che conobbi Evan al di fuori dell’ambito lavorativo.
C’eravamo già incontrati due volte, e leggendo qualche mio pensiero scritto così, sul momento, aveva detto che il mio stile gli piaceva e che era disposto a lavorare con me.
Ma mi era sembrato sempre un tipo sulle sue, uno distaccato e anche un po’ egocentrico. Però quella sera, quando venne al mio tavolo con una bevanda e con un sorriso che toglieva il fiato, non potei non fare un passo indietro e rivalutarlo.
Era gentile con me, e mi spiegò che rispettava e amava la sua veste da professionista, e da tale doveva comportarsi.
Pensai che fosse davvero una cosa intelligente.
Non ci saremmo scambiati, però, più di quelle due o tre frasi, se Shannon non si fosse ubriacato. Ad un certo punto, girai lo sguardo e me lo trovai davanti. Stava venendo verso di me, era inciampato in qualche cosa, e senza riuscire a fermarsi mi era caduto addosso. Solo dopo qualche tentativo riuscii a farlo sistemare sull’altra sedia accanto alla mia.
“Shannon? Shannon?” la sua testa oscillava fastidiosamente da destra e a sinistra, una volta dopo l’altra, fino a quando non mi fece innervosire così tanto da prenderla con due mani e da far puntare gli occhi di lui nei miei.
“Cosa hai bevuto? Quanto?” lui era intontito, gli occhi erano arrossati e lucidi. Iniziai a tremare dalla paura, stava decisamente male. Cercai di prenderlo in braccio per portarlo fuori e chiamare un’ambulanza, ma arrivò Antoine con un bicchiere in mano, mezzo vuoto, da cui fuoriusciva l’alcool a mano a mano che il dj camminava, tanto era forte il suo vacillare.
“Dove lo porti? Lui sta con me!” disse, a fatica.
Lo guardai storto, e ancora provai ad alzare Shannon.
“Lascialo! Dobbiamo continuare a festeggiare io e lui.” Non lo ascoltai neppure in quel momento.
Però, il batterista, con un ultimo briciolo di forze, mi tirò a sé e mi disse, buttandomi addosso tutto il suo alito puzzolente: “Unisciti a noi, e bevi! Tu sei abituata, no? Tanto io comunque non ho intenzione di uscire da qui!”
Mi sentii offesa da quelle parole, e in quel momento, mentre facevo di tutto per aiutarlo, sentire che mi diceva quelle parole mi fece imbestialire.
Antoine, fece il resto. Mi porse il suo bicchiere, e mi fece l’occhiolino per invitarmi a bere.
Io, invece, lo afferrai e gli rovesciai il contenuto in faccia.
“Prendi un accendino e datti fuoco.”
Mi girai e uscii di fretta dalla discoteca, spingendo chiunque mi si parasse davanti.
A sorpresa, Evan mi seguì. Ero senza macchina, dato che ero venuta con quella di Shannon, e lui mi offrì un passaggio.
Lo accettai, e per far sbollire la mia rabbia, lui iniziò a parlare.
Inizialmente erano discorsi di poco conto, mi fece tante domande sulla mia professione e sui miei hobby. Poi mi parlò della sua vita, di come prendeva ispirazione da ogni cosa e da come la natura per lui fosse una scoperta continua.
Avrebbe voluto fare il geologo, mi diceva, se la vocazione per la letteratura e la scrittura non l’avesse chiamato.
Quell’uomo mi sembrò perfetto. Era intelligente, sensibile e pure bello.
Non mi sentivo completamente a mio agio con lui, ma continuai ad ascoltare la sua voce dolce e gentile parlare di tante cose, una dopo l’altra. E ci fermammo fuori casa mia, in macchina, a parlare per tanto altro tempo ancora. Si fecero le quattro, tra una parola e un’altra. Quando me ne accorsi, sobbalzai e lo salutai.
Avevo troppo sonno per restare ancora lì, e il pensiero di Shannon continuava a tormentarmi. Avevo bisogno di dormire.
Lo salutai, mi girai verso lo sportello della macchina, e prima che potessi scendere lui mi tirò e mi baciò.
Era un bacio semplice ma intenso, sentivo che mi stringeva sempre di più il braccio a cui si era aggrappato, e quando riuscii a collegare le diverse cose mi staccai e lo guardai con occhi spalancati, per poi scendere dalla macchina ed entrare velocemente in casa.
Mi sentivo stordita, stanca, confusa. Era successo tutto troppo in fretta, e non riuscivo nemmeno più a distinguere cosa fosse frutto della mia immaginazione o cosa no. Presi subito un sonnifero nel reparto medicine nel salotto, mi fiondai in camera mia, e mi misi a letto. Per fortuna mi addormentai subito, senza lasciarmi il tempo di pensare.
 

 
Dopo quella sera e quel bacio io e Evan iniziammo ad uscire insieme. Non so come mi ritrovai ad uscire con lui, so solo che un giorno mi chiamò sul cellulare, e mi chiese di uscire. Senza preavviso, senza avermi detto come e chi gli avesse dato il mio numero, senza neanche dirmi quale fossero le sue intenzioni e senza neppure chiedermi quale fossero le mie.
Non so per quale motivo accettai. Forse, sentivo solo il bisogno di sentirmi desiderata, e sembrava che Evan lo facesse. Forse, sentivo il bisogno di appartenere a qualcuno, e pensavo che con lui tutto sarebbe stato così facile, tutto così.. perfetto.
L’unico problema fu che la relazione che si venne a creare tra di noi non era stabile. Non era fissa. Non ci sentivamo quasi mai, tranne quelle poche volte che lui mi chiamava e ci ritrovavamo in un bel ristorante fuori città a riempirci di parole.
Continuavo, però, a passare la maggior parte del tempo in cui non lavoravo con Shannon.
Il giorno dopo della serata in discoteca, trovai sul cellulare un numero esagerato di chiamate perse e di messaggi da parte sua, che mi diceva di essersi ritrovato in ospedale, ricoverato con Antoine, senza notizie da parte mia, portato da Jared che non sapeva né dove fossi né cosa fosse successo.
Inizialmente pensai di non risponderlo. Ero ancora un po’ arrabbiata con lui per quello che aveva detto. Ma poi cambiai idea, e arrivai alla conclusione che non era qualcosa di volontario, ma che era semplicemente ubriaco e non sapeva cosa stesse dicendo. Gli risposi di incontrarci ad un bar al centro, così avremmo parlato davanti una bella tazza di cioccolata calda.
Quando gli raccontai le cose successe il giorno prima, rimase incredulo a fissarmi. Mi chiese più volte scusa, e promise, più a se stesso che a me, che non avrebbe mai più esagerato con l’alcool.
Alla fine cambiammo subito discorso, e mi disse che per la serata aveva in mente una cosa. E per quanto morissi di curiosità, non mi disse nulla.
Ci affrettammo ad uscire dal bar, e fummo investiti dalla temperatura esterna.
Faceva freddo, troppo freddo per essere solo ottobre. E sebbene avessi un maglione e un poncho di lana da sopra, non riuscivo a sentire calore.
Mi rifugiai nella macchina di Shannon, e iniziai a pigiare bottoni a caso nel riquadro di fronte a me per attivare il riscaldamento. Quando Shannon mi vide, mi bloccò la mano e si mise a ridere.
“Dimmi, vuoi davvero rompermi la macchina?”
“Sto cercando di azionare il riscaldamento! Sto diventando un ghiacciolo!” risposi io, cercando ancora con lo sguardo quel maledetto pulsante.
“L’ho capito, la tua mano è freddissima.” Solo in quel momento mi accorsi che la sua mano calda stringeva delicatamente la mia. Perché il mio cervello andava così a rilento in quel periodo?
Intanto sentii l’abitacolo riscaldarsi, e sospirai di sollievo.
Shannon si sistemò sul sedile, e allacciò la cintura.
“Vedi, non era così difficile!” disse, girando le chiavi e mettendo in moto l’automobile.
 Mi sentivo così a mio agio con lui. Era naturale, come respirare. Non mi facevo domande, non mi aspettavo spiegazioni da lui, non volevo sapere perché mi aveva chiamata o cosa si aspettasse da un nostro futuro.
Un nostro futuro..
Come mi aspettavo il mio futuro con Shannon? E soprattutto.. cosa provavo per lui?
Quella domanda mi colse di sorpresa. Shannon era di più di un amico, lo sapevo bene, ma allora cosa? Allora cos’era per me?
Mi accorsi che ci eravamo fermati solo quando mi tamburellò le spalle, richiamando la mia attenzione.
“Siamo pensierosi, eh? Beh, meglio che ti muovi, c’è un po’ di cammino da fare.”
Scendendo dalla macchina, mi resi conto che eravamo lontani da.. tutto. Non c’erano case, non c’erano negozi, sembrava più un boschetto o qualcosa del genere.
“Dove mi porti?” dissi, raggiungendolo.
“Aspetta e vedrai.” Camminando, mi accorsi di avere più freddo di prima. Presi la manica destra, e l’allungai fino a coprire tutta la mano chiusa a pugno. Stavo per fare lo stesso con l’altra, quando Shannon mi fermò e la afferrò.
“Guanti no?” feci spallucce, e lui trascinò la mia mano, insieme alla sua, nella tasca del suo giubbino. Rimasi sbalordita da questo suo gesto, e sentii un piccolo brivido percorrermi tutta la schiena.
Ci ritrovammo a camminare, nel buio quasi totale della notte, a braccetto.
Lo sentivo sobbalzare quando, involontariamente, muovevo le dita e i polpastrelli gelati toccavano la superficie ruvida della sua mano calda. Ridacchiavo tra me ogni volta, e lui, sentendosi, si univa a me.
Arrivammo alla fine del boschetto, su una collinetta. Rimasi a bocca aperta, quando scorsi davanti a me il panorama di Los Angeles addormentata, illuminata dalle luci della città mischiate a quelle delle stelle.
“È.. meraviglioso.” Dissi, guardando a bocca aperta quel panorama mozzafiato.
“Non siamo venuti qui per questo..” disse Shannon, parlandomi sottovoce all’orecchio, anche se eravamo soli per migliaia di chilometri e nessuno poteva sentirci.
Il mio cuore batteva veloce, e dovetti deglutire più volte per far scendere giù il nodo che mi si era formato in gola.
Lui si allontanò, lasciando che la mia mano scivolasse fuori dalla sua tasca, tornando al freddo.
“Me l’ha fatto venire in mente Jared..” e si chinò fino a terra a raccogliere qualcosa.
“Non è un buon segno, allora.” Riuscii ad ironizzare io.
Mi ignorò volutamente, mi venne vicino e mi mise sul palmo della mano una pietra. Una comunissima pietra.
Prendi una pietra a tua scelta o un masso, a seconda di quanto è grande il problema e gettalo nel precipizio. E quando lo lanci, fai un urlo gutturale. Il guerriero dentro di te, lo spirito guerriero dentro di te. E appena lo lanci, urla e lascia andare questo particolare aspetto di chi sei, o qualcosa nella tua vita che ti affligge. E buttatelo alle spalle.” Mi sorrise, e si allontanò da me.
“Dovrei..?” chiesi, guardandolo.
Lui annuì, semplicemente.
Spostai la mia attenzione su quell’oggetto che stringevo tra le mani, e mi vennero in mente tutte le scene della mia vita. I miei genitori, tutte le cene a casa di persone che odiavo, tutti i momenti infelici, tutti i sogni infranti. Arnold. Tutte le sere che mi picchiò, tutte le notti che piansi per colpa sua, tutto l’odio che aveva fatto nascere e crescere in me, e la mia Sophie. Si, la bambina che mi sarebbe dovuta nascere da quel matrimonio costruito sulle bugie e sull’odio, sarebbe dovuta nascere una bellissima bambina. Una bellissima Sophie. E non era nata, ed era quella la cosa che mi faceva più male.
Mi cadde una lacrima sulla guancia sinistra, una sola lacrima. L’ultima, l’ultima lacrima che avrei versato per i fantasmi del mio passato, per i rimpianti e per le mie disgrazie. L’ultima lacrima, per la mia creatura che avevo amato anche se non aveva avuto mai la possibilità di nascere, mai la possibilità di vivere, mai la possibilità di rendermi felice. L’ultima lacrima, per la mia Sophie.
Presi la pietra, iniziai a correre, e urlando più che potevo, chiedendo ai miei polmoni un’ultima grazia, lanciai la pietra lontano, lontano da me, lontano dalla mia vita, lontano dai miei occhi e dalla mia mente.
Sentii un tonfo pesante e sospirai, finalmente libera.
Caddi sulle ginocchia, e alzai gli occhi al cielo. Ero rinata, ancora e ancora. Tutto grazie a Shannon, per l’ennesima volta.
Lui stesso mi raggiunse, mi si parò davanti, e mi chiese come stavo.
Io abbassai lo sguardo, puntai i miei occhi nei suoi, e solo dopo un attimo gli buttai le braccia al collo. Lo strinsi forte, forte, sempre più forte.
“Grazie.” Fu l’unica parola che mi riuscì ad uscire dalla bocca.
Shannon era diventato più che un amico per me, semplicemente qualcuno di cui non potevo fare a meno.
Era indispensabile.
 

 
Eccoci qui, a dicembre. Era il trenta del mese, e tutti si preparavano al Capodanno.
Il Natale quell’anno fu speciale. Io e Shannon ci scambiammo i regali: io gli regalai un bracciale e una collana cordinati, che gli avrebbero ricordato me durante tutto il tour, e lui mi regalò un telefono come al suo, un Blackberry. Io guardai quell’aggeggio un po’ contrariata, pensando che non avrei mai imparato ad usarlo.
Ancora pochi giorni, infatti, e i 30 seconds to mars avrebbero dovuto cominciare il nuovo tour. La locandina era pronta, finalmente, e diedi un appuntamento a Shannon per consegnargliela. Però lui, all’ultimo momento, cambiò idea, mandandomi un messaggio dove mi chiedeva di raggiungerlo a casa.
Senza troppi problemi, feci come mi aveva detto, e puntuale arrivai da lui.
Ormai nessuno si faceva più problemi per la mia presenza, era diventato naturale. Jared non era nemmeno più infastidito, ma anzi mi era grato per avergli fatto conoscere Kristen.
Kristen.. lei in quel momento non se la passava bene.
Era innamorata di Jared, e non voleva che lui partisse e la lasciasse sola. Lui le aveva chiesto di partire con lei, ma aveva rifiutato.
Lei a Los Angeles aveva la sua libreria, e non poteva abbandonarla dopo tutto quello che aveva fatta per costruirla. Gli disse che l’avrebbe aspettato, qualunque cosa fosse successa e qualunque tempo lui ci avesse messo per finire anche quel tour.
Lui le promise di tornare al più presto.
Fu una cosa decisamente romantica, anche se vedere lei piangere fu straziante.
Ma non volle arrendersi. Alzò la testa dalla mia spalla, si asciugò gli occhi, e decise che avrebbe resistito fino al suo ritorno.
Io iniziai a pensare che Shannon mi sarebbe mancato, e non poco.
Come avrei fatto senza di lui?
Salii veloce le scale che portavano alla sua stanza, da dove proveniva la sua voce che diceva di accomodarmi.
Lo trovai affaticato a preparare la valigia, buttandoci dentro panni a caso con una grandissima foga.
“Sei un idiota. Non si fa così.” posai sul comodino il foglio che avevo in mano, mi avvicinai a lui e lo scansai. Afferrai la valigia, rovesciai il contenuto sul letto, e iniziai a disporre prima i pantaloni, poi le maglie, tutti piegati con estrema cura e con un ordine preciso. Shannon si meravigliò, mi girò intorno, e mi diede un bacetto sulla guancia.
“Ah! Come farei senza di te mio angelo custode?”
Io sorrisi scuotendo la testa, e lo vidi avvicinarsi al comodino.
“Cos’è?”
Afferrò la locandina, e la ammirò con occhi luminosi.
“Tu sei una genia. Questo lavoro è meraviglioso!”
Avevo messo sullo sfondo una foto di loro tre, mentre stavano giocando e ridendo, con tutt’intorno i loro simboli piazzati sulla fotografia, la scritta gigante “30 seconds to mars” in alto, con i colori leggermente modificati e sotto, più piccoline, tutte le informazioni del tour.
Anni di grafica erano finalmente serviti a qualcosa.
“Si, mi piace. E a proposito..” rimise la locandina dove l’aveva presa, tornò vicino a me, e mi trascinò vicino alla batteria, costringendomi a lasciare il mio lavoro a metà.
“Siediti.” Disse, serio.
“Ok..” mi appoggiai allo sgabello della batteria, che tante volte era stato sede delle nostre ben riuscite lezioni.
“Ho bisogno di chiederti una cosa importante. – l’aria iniziò a farsi pesante, e sentii una fitta allo stomaco – vuoi.. vuoi venire in tour con me?”

 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10: Save me. ***


 

 
 
Ei ciao :3 Questa volta non vi ho fatto aspettare tanto, eh?!
*La sparano*
Ok, ok. Sono esaurita, oggi devo fare un sacco di cose quindi sto facendo una cosa contro il tempo. Ma ho trovato lo stesso il tempo di pubblicare, alla faccia di questo editor di Efp che non mi funzionava #FuckYeah.
Non mi perdo in chiacchiere, ringrazio quei pochissimi che mi seguono ancora, e dedico questo capitolo ad Annamaria :3 Sorpresa di Natale honey, sabato ci incontriamo e te la volevo fare LOL
Ah, ti dedico soprattutto una parte che capirai appena la leggerai *trollface*
 
Buona lettura e un ciao a tutti! Questo è l'ultimo capitolo effettivo, poi ci sarà solo un piccolo epilogo. Spero vi piaccia, all'epilogo farò dei saluti decenti!
Cià u.u
 
 
Capitolo 10: Save me. 
 
 
“Si.. certo che si!” risposi automaticamente, ma mai prima di allora fui sicura della mia risposta.
Si, volevo andare assolutamente in tour con lui. 
Il suo sorriso si allargò, quel sorriso che mi scaldava il cuore, che mi penetrava, fino a toccarmi l’anima e a farla splendere.
“Fantastico!” mi afferrò il braccio, e mi tirò a sé. Mi strinse in un abbraccio. Mi strinse forte, mi strinse come mai aveva fatto.
“Così non mi lasci più..” mi sussurrò all’orecchio.
Perplessa, mi scostai in modo da guardarlo. La vicinanza con lui mi dava una strana sensazione, e il pensiero di me così stretta a lui mi mandava in confusione. Così, l’unica cosa che riuscii a dire fu: “Eh?” 
Lui ricambiò il mio sguardo, con uno altrettanto intenso, e mi rispose semplicemente: “Lascia perdere.”
Prima che potessi controbattere, mi lasciò e si diresse a gran passi verso il comodino.
“E questo.. – si abbassò, e frugò nel terzo cassetto, fino a cacciarne qualcosa – ..è per te.”
Mi diede un pacchettino, quadrato, rigido e sottile, di un blu scuro con una piccola coccarda bianca.
“Me lo hai già fatto il regalo di Natale.” Scherzai.
“Apri e stai un po’ zitta!” mi sedetti sul letto, scartai la carta blu, e ci trovai all’interno un disco. 
“Q..quest.. QUESTO è IL VOSTRO NUOVO DISCO!?!” dissi io, urlando di gioia. 
Lui si limitò semplicemente ad annuire, e io guardai quel regalo a bocca aperta.
“È troppo, troppo bello! Grazie grazie grazie!” iniziai a saltellare come una bambina.
“Ma ancora non l’hai sentito!” rideva insieme a me, seguendomi mano a mano con gli occhi mentre io gli giravo attorno.
“Sarà meraviglioso. Me lo sento. Ed è anche in anteprima vero? No perché non l’avete ancora pubblicato! Santo cielo, ho il vostro nuovo disco in anteprima! Ho il vostro nuo.. mmhhh mhhh!” intanto che io parlavo mi era arrivato da dietro e mi aveva tappato la mano con la bocca. 
Io mi dibattevo per liberarmi, e così mise l’altra mano sul mio ventre per bloccarmi ulteriormente. Spalancai gli occhi, sorpresa. Sentii un brivido attraversarmi la schiena,  e la superficie calda della sua mano sembrava attraversare il mio maglione e scaldarmi la pelle, fino a scottarla. Solo un attimo mi lasciò sconcertata, poi ripresi la mia solita aria di sfida e la mia solita grinta, e, in due mosse, che consistevano in una gomitata allo stomaco e in un giro per afferrare il suo braccio e portarglielo dietro la schiena, la situazione si ribaltò.
Io trattenevo lui da dietro, per quanto fossi più esile di lui.
“Ma come..?!” gli feci pressione dietro la rotula, ricordando improvvisamente tutti gli insegnamenti di Daniel, uno per uno, dopo tanto tempo in cui erano rimasti in un angolino della mia memoria a prendere polvere.
Shannon cadde in ginocchio, e gli poggiai un piede sopra la gamba destra per bloccarlo.
“Helena: uno. Shannon: zero.” Dissi, avvicinandomi al suo orecchio sinistro e sfiorandolo. Poi, scesi un po’ più giù e gli baciai la Triade che aveva tatuata sul collo.
Lo liberai, e iniziai ad esultare prendendolo in giro. Lui si girò, sedendosi per terra, e mi guardò sbigottito. 
“Cos’è quella faccia? Lo sai che ho fatto un corso di autodifesa, sono imbattibile!” portai le mani strette a pugno in corrispondenza della faccia, le misi una davanti un’altra e feci una buffissima smorfia che doveva assomigliare ad una di sfida.
“Mi hai colto solo alla sprovvista, non potresti mai battermi!” disse lui, poggiando le mani per terra e buttando la testa all’indietro, ridendo. 
“Si certo come no..” non riuscii neppure a finire di parlare, che me lo ritrovai dietro. Velocemente, mentre io mi giravo a guardarlo, scansò la valigia dal letto, che cadde per terra, annullando tutto il mio lavoro per piegargli i panni, e mi spinse. 
Finii stesa sul letto, e in un attimo fu sopra di me. 
Mi unì le gambe, e le bloccò con le sue aperte, e intanto afferrò i miei polsi e me li bloccò all’altezza della testa. 
Vista da una certa prospettiva, quella situazione sarebbe stata ambigua. Ma in quel momento, pensai solamente che dovevo battere Shannon.
“Allora, adesso che ne dici?” Alitò, ad un soffio da me.
Lo guardai storto, e mentre pensavo ad un modo per liberarmi, la porta si spalancò e Jared e Kristen entrarono ridendo. Però si bloccarono, non appena si accorsero del contesto in cui io e Shannon ci trovavamo.
Io mi schiarii la gola, e feci pressione sulle mani di lui per farmi liberare. Ma non accennò a muoversi.
“Scusate, vi abbiamo disturbato in un momento poco opportuno!” disse Kristen, trattenendo a stento le risate. 
“E finalmente si sono decisi questi due, eh!” disse Jared, spuntando da dietro alla fidanzata.
“Non è come sembra!” dissi, muovendo le dita. Ma, non cambiando nulla, riuscii solo ad imbronciarmi. “..è che tuo fratello è un idiota!” 
“Ah beh, questo si sapeva!”
Shannon finalmente si mosse, lasciandomi i polsi. 
“Senti chi parla!” disse, scendendo dal letto.
“Se voi avete finito.. – disse Kristen, ridendo ancora – ..vogliamo farci una foto, giù, tutti insieme.”
“Sai com’è, è quasi Capodanno e vogliamo immortalare questo momento. E poi stiamo per partire in tour, si apre un nuovo capitolo della nostra vita e.. beh.. vogliamo farci semplicemente una foto, non c’è bisogno di troppe parole. Quindi alzate il culo e scendiamo.” Aggiunse Jared.
Loro due iniziarono a scendere, e noi li seguimmo. 
Mi accorsi della presenza di Tomo e Vicky, che al mio arrivo non c’erano, e corsi incontro ad entrambi per abbracciarli. 
“Allora? Allora? Allora?” mi chiese Tomo, con occhi che brillavano.
“Cosa?” 
“Vieni con noi? In tour?” Sentii un improvviso silenzio nella stanza, come se tutti stessero aspettando la mia risposta.
“S..Si.” dissi, alla fine.
Lui sorrise e mi abbracciò, e non appena le nostre braccia si staccarono, Jared mi arrivò da dietro e mi pizzicò il fianco.
“E brava Helena, si è aggiunta al nostro team!” Tutti sorridevano, ma quello che più mi colpì fu quello di Kristen. Era un sorriso forzato, era un sorriso triste. Kristen..
Mi avvicinai, e le picchiettai sulla testa.
“Mi d..” stavo iniziando a dire, ma lei mi zittì.
“Non dire che ti dispiace, non c’è nulla per cui dispiacerti. Hai fatto bene ad accettare, è quello che ti senti di fare. Sono felice per te.” 
“Non è vero. Non sei felice.” Odiavo vederla così, e odiavo sapere che stava così per me.
“Siamo state tanto tempo lontane, siamo abituate, credi che possa cambiare qualcosa se stiamo lontane per un po’? Hai bisogno di Shannon presente fisicamente nella tua vita, hai bisogno di averlo accanto. Noi possiamo sopravvivere lontane, perché sono i nostri cuori ad essere vicini. Ci chiameremo, come sempre. E guai se non mi rispondi! – mi sorrise, questa volta davvero – ..e si che sono felice per te. È solo che adesso vai via tu, ma va via anche Jared.. ed è difficile, per me. Ma non è nulla. Vi amerò sempre allo stesso modo, e vi aspetterò, per tutto il tempo che starete in tour. Portatemi dei souvenir, però!” ridemmo insieme, e l’abbracciai.
Kristen era una persona così altruista. Le volevo bene, soprattutto per questo.
Jared ci raggiunse, e l’abbracciò da dietro.
Si abbassò a sussurrarle qualcosa all’orecchio, qualcosa che la fece immediatamente sorridere, e li lasciai soli, a godersi quel momento.
Mi avvicinai a Shannon, che invece stava osservando la scena seduto sul divano.
“Ah, l’amore!” disse, non appena mi fui seduta affianco a lui. “Credo di dovermi trovare una donna, sono l’unico solo in questa stanza."
Io presi un bicchiere di champagne dal tavolo, e ne bevvi un sorso.
“Non sei l’unico, caro. Siamo in due.” 
Si girò verso di me. “Sola? Tu hai Evan, cara.” C’era un qualcosa che si avvicinava all’ironia, nella sua voce.
“Ah, si, Evan..” dissi, prendendone un altro sorso.
“Ma come? Ah, si, Evan.. Se tu fossi la mia donna, non accetterei mai una cosa del genere.” Intanto si allungò verso il tavolo, per prendere a sua volta un bicchiere.
“Se fossi la tua donna, mi sarei già suicidata. – lui mi guardò sarcastico, e alzò il bicchiere in segno di resa. A mia volta, avvicinai il mio al suo e li veci scontrare, creando un flebile tintinnio. – e poi io non sono la donna di nessuno, in questo momento. Sono la donna di me stessa. Io e Evan non facciamo coppia fissa, ci siamo incontrati qualche volta ma non siamo arrivati a nulla. Prima o poi ci stancheremo e non ci chiameremo più. Sono certa che sia prima, che poi..” bevvi l’ultimo sorso, per poi poggiare sul tavolino il bicchiere vuoto.
“Non è quello che dice lui. Lui pensa che a momenti ti porterà via da me.” mi girai di scatto verso di lui, e mi vennero in mente le sue parole di poco prima. Così non mi lasci più..
Rimasi a bocca aperta, e prima di poter controbattere, lui si alzò e disse ad alta voce: “Ma non dovevamo fare una foto qui?!” così prese la sua macchina fotografica, e la posizionò con l’autoscatto su un mobiletto.
“Mettetevi in posa..” così ci posizionammo in fila, a partire da Vicky, Tomo, Jared e Kristen, fino ad arrivare a me. 
“Dieci secondi!” Quando la spia arancione iniziò a lampeggiare, scandendo il passare dei secondi, Shannon si lanciò verso di noi e si venne a posizionare vicino a me. Io gli posizionai la mano sul fianco, lui me la mise attorno al collo. 
Sorridi e basta, Helena. Pensai. E così feci.
Il flash ci investì, e prima che potessimo muoverci Shannon disse. “Altri due secondi, e c’è un altro autoscatto."
Così cambiammo leggermente posa, e aspettammo sorridenti il secondo flash.
Le foto erano venute bene, e così io presi la macchina e iniziai a scattarne altre, a tutti, fino a quando Shannon non me la sfilò di mano, e la passò a Tomo. 
“Scattaci qualche foto!” gli disse, facendomi l’occhiolino.
Alla fine Tomo prese gusto e ne scattò tantissime. Quando ripresi in mano la macchina fotografica e le vidi, mi piacquero tutte. Ma una in particolare mi rapì. Shannon mi teneva il braccio intorno al collo, io lo abbracciavo e gli baciavo la guancia. Lui aveva quel sorriso che amavo, lui aveva quel sorriso che mi scaldava anima e cuore. Lui aveva quel sorriso che mi rendeva felice.
Shannon, accanto a me, mi vide fermarmi. 
“Cosa c’è?!”
“Questa. La voglio sviluppare.” Avevo gli occhi che mi brillavano.
“Aspetta..” mi sfilò, per la seconda volta, quella macchina di cui mi ero appropriata, come ogni volta che toccavo una macchina fotografica, Reflex e non. 
 
 
Erano le otto, e stavo andando a prepararmi per il capodanno. Vestito rosso, tacchi non troppo alti, qualcosa di carino insomma. Per Shannon era inutile, ma avevo assolutamente bisogno di una doccia. E fattela insieme a me qua. Aveva detto. Era per caso impazzito?!
Però mi faceva ridere. Mi cadde un occhio sul  sedile del passeggero, dove c’era la borsa aperta. Sbucavano il cd che mi aveva regalato e la foto che aveva stampato per me, in pochissimo tempo. Sorrisi.
Quando mi fermai all’incrocio per il semaforo rosso, misi il cd nel lettore e premetti play. Fui distratta solo per un attimo, da una figura alla mia destra, non troppo lontana.
Quel profilo.. si, quel profilo mi era troppo familiare. 
Guardai più intensamente quella figura alta e bionda quando.. quando girò leggermente la faccia e vidi che era Evan. 
Sarebbe stato tutto naturale, insomma, viveva in quella stessa città, era probabile incontrarlo per le strade, se non fosse stato per tre piccoli particolari: una donna, bruna e alta, gli stava accanto, tenendo mano nella mano una bambina, e rivolgendo strane smorfie ad un bebè che era stretto dalle braccia dell’uomo.
Non è possibile, pensai. Poteva essere un’amica di vecchia data. Poteva essere una sorella, una cugina, una qualsiasi parente. Non doveva essere per forza.. 
Non finii neppure la frase. Mentre stavo per pensare ‘fidanzata’, quella stessa donna si allungò per baciarlo, e lui ricambiò sorridendo. 
Papà. Lessi sul labiale della bambina. 
Caddi in uno stato di trans. 
Di nuovo. Tutto accadeva ancora. Mi ero fidata di un uomo, e quello mi aveva mentito, ingannato, ferito. Avevo creduto che potesse andare, per una sola volta, diversamente. 
Non sentivo nulla. non vedevo nulla.
Non mi importava che ormai, quella famiglia felice si stesse allontanando.
Non mi importava del semaforo che ormai, era diventato verde.
Non mi importava degli automobilisti che mi stavano urlando contro e suonando il clacson dietro perché intralciavo il traffico.
Mi importava solo di una cosa: il mio cuore, le mie speranze, i miei sogni. Di nuovo in frantumi.
Un colpo di batteria, proveniente dal disco, mi fece risvegliare. Premetti automaticamente sull’acceleratore, e andai avanti, senza pensare.
Le parole della canzone, prima confuse e senza senso, iniziarono a prendere forma nella mia testa.
 
“Hang me down by the river bed, with the other dead.. I will die without a sound.
Hang me down by the river bed, with the other dead.. I will sing, mourn me down.
Save me.. save me.. save.. Oh Lord. 
Save me.. save me.. Again.”
 
Again. Again. Again.
Salvami ancora.
In quel momento, pensai ad una sola persona. In quel momento, tutto mi risultò chiaro. 
Capii quali erano i miei sentimenti.
Capii cosa volessi, in realtà, sin dall’inizio. 
Capii qual era l’unica persona che mi potesse salvare ancora, in quel momento.
Capii che c’era solo una cosa nella mia mente.
Shannon.
 
 
La casa sembrava silenziosa. Tutto intorno c’era il caos, ma nulla mi scompigliava lo stomaco più di quell’abitazione bianca, accogliente, quella che ormai era diventata come la mia seconda casa. No, anzi, la mia seconda casa era la persona che ci abitava dentro. 
“Shannon.. – dissi, con voce roca, quando rispose al citofono – aprimi.” Parcheggiai la macchina nel suo parcheggio, e corsi per arrivare davanti la porta di casa sua.
Mi fermai un attimo davanti quel campanello che mille e mille volte avevo suonato, ma che mi sembrava troppo freddo per il fuoco che ardeva dentro di me, in quel momento. Non avevo ben chiare le mie intenzioni, come non avevo ben chiare le parole da dire. Avevo solo bisogno della sua presenza, vicino, sempre più vicino. 
Avevo bisogno che lui mi salvasse, ancora. 
Prima che potessi bussare, però, la porta si spalancò davanti a me.
“Che ci fai lì imbambolata? Entra! – ad una mia esitazione, alzò un sopracciglio – che è successo? Perché non ti sei cambiata?” 
Così mi decisi. Non era una decisione dettata dalla ragione, in realtà. Fui presa dall’istinto, un istinto che mi diceva fallo, fallo e basta.
Gli poggiai una mano sul cuore, lo guardai dritto negli occhi che alla luce della luna risaltavano con il loro color nocciola, e lo spinsi dentro. Mi chiusi la porta alla spalle con un calcio, intanto che lo portavo sempre di più verso il divano.
“Ma che ca..” imprecò lui, con gli occhi sbarrati e lo sguardo confuso.
Quando il suo piede incontrò il tavolino alla destra del divano, smisi di spingerlo, e allungai semplicemente il collo. Lui capì le mie intenzioni, e riuscì giusto in tempo a scansarsi, prima che le mie labbra si poggiassero sulle sue. Finii per baciargli la parte sinistra del mento.
“Ma sei ubriaca?!” disse, afferrandomi i polsi e bloccandomi ad una certa distanza da lui.
“No, neanche un po’. Non ho bevuto nemmeno un goccetto.” 
“E allora che stai facendo?!” "Ti sto baciando Shannon. Sto facendo quello che non ho mai avuto il coraggio di fare. Sto facendo quello che volevi dall’inizio, no? Ora lo voglio io. Perché ne ho bisogno. Ho bisogno di te, Shannon. Ho bisogno di te sempre più vicino a me.” questa volta non mi dibattevo. Ero ferma, aspettando che lui si decidesse a fare qualcosa, semplicemente intromettendomi nella segretezza della sua anima, attraverso i suoi occhi. Lo fissavo, sempre più intensamente, e lui faceva altrettanto. Mi leggeva, e io leggevo lui.
“Che è successo?” ripeté, ancora. Era fermo, stava analizzando la situazione. Intanto mi lasciò i polsi.
“Niente di così importante.. ho solo scoperto che il genere maschile.. mm.. come dire?.. mi odia, ecco. Mi ingannano tutti. Mi illudono, e mi fanno del male. Tutti, tranne un’eccezione. La mia unica eccezione.” Puntai l’indice destro sul suo cuore, e senza emettere alcun suono, ma solo muovendo le labbra, gli dissi: Tu.
Indietreggiò di un passo, incontrando il divano.
“Faremo questa discussione un altro giorno. A mente lucida. Ora sei sconvolta, vatti a fare una dormita.” Accompagnò la frase con un gesto della mano per farmene andare.
“Solo se tu vieni con me.” risposi.
Lui non disse niente, si limitò solo a dimostrare il suo non approvare quel mio comportamento, scuotendo la testa. Fece per andarsene, ma lo bloccai.
“No, Shannon. Io so quel che voglio. Voglio te. Voglio essere tua, stanotte. Voglio essere la tua donna.”
Lui sobbalzò a quella frase. Poco convinto, sussurrò: “Non sai quel che dici..” 
Io capii che quello era il momento buono per agire, perché stava cedendo. “Lo so, eccome se lo so.. sono sicura di quel che voglio Shannon.”  
Lo vidi abbassare gli occhi, e persi le speranze. Smisi di fare pressione sul suo cuore, e abbassai lentamente la mano.
Prima che potessi però allinearla con il corpo e scomparire, lui l’afferrò, e la strinse.
“Io.. io..” non finì la frase, che lo tirai a me, e incollai il suo viso al mio. Oh, stupida impulsività. Avrei dovuto lasciargli finire la frase, lasciargli pronunciare quelle due semplici parole, e tutto sarebbe andato diversamente. Il nostro destino sarebbe cambiato.
Le sue labbra sapevano di buono, però. Erano calde, morbide, quasi invitanti.
Finii troppo presto quel bacetto innocente, il nostro primo bacio. 
Ma lui no, non si arrese. Avevo risvegliato qualcosa al suo interno, qualcosa di selvaggio addirittura, e niente poteva, adesso, fermarlo. Non che io volessi, per altro. 
Fu lui a riprendermi a sé, con una foga che mi fece rimanere di stucco. Con la mano sinistra, che appoggiò sulla mia schiena, teneva incollato il mio corpo al suo corpo. Con la mano destra, che aveva perfettamente infilato tra i miei capelli, teneva incollata la mia testa alla sua. 
Non era più un bacio tanto casto. Cresceva pian piano, perché entrambi ci lasciavamo travolgere dalla passione. Fino a quando non entrarono in gioco anche le lingue, che creavano strane danze che appartenevano a tutte le civiltà, esistite, esistenti e che sarebbero esistite. Lingue che si stringevano a vicenda e si lasciavano, per poi riprendersi ancora, che si assaporavano a vicenda.
Non era la prima volta che baciavo un uomo. Ma nessuno era come Shannon. 
Nessuno aveva la sua abilità, nessuno aveva la sua delicatezza che si associava in chissà quale modo a forza e grinta, nessuno sapeva così tanto di buono come Lui.
Le mie mani si posizionarono sul suo collo, e sentivo sotto le dita la vena più grande pulsare, scandendo i battiti del suo cuore. Mi sarei voluta fermare un momento, solo uno, per abbassarmi all’altezza del petto e appoggiarci il mio orecchio, così da ascoltarlo direttamente.
Ma era tutto così veloce, tutto così travolgente, tutto così bello, che era impossibile fermarsi.
Era il mio corpo a chiederne ancora. Era diventato un bisogno fisico, insieme a quello spirituale. 
Le sue mani esperte, fino a quel momento ferme, iniziarono a muoversi. Vorticavano sul mio corpo, accarezzandolo e facendolo rabbrividire.
Si fermarono sui due fianchi, solo un attimo, per poi arrivare al lembo del maglione e per poi infilarsi dentro. Erano calde, ed era un piacere averle a contatto con la mia pelle.
Arrivarono fino ai seni, li strinsero e iniziarono a giocarci. 
Mi staccai solo un attimo dalle sue labbra, a cui le mie erano improvvisamente diventate dipendenti, per poter far nascere un sorriso sul mio viso. Shannon mi sorrise di rimando, pizzicandomi il capezzolo contemporaneamente. 
Iniziai a camminare all’indietro, tirando il mio uomo con me.
Stavamo diventando una sola cosa, e questo pensiero mi piaceva.
Piano piano iniziammo a salire gli scalini, e a metà rampa io smisi di essere il giocattolo nelle mani del batterista, ma partii al contrattacco: gli alzai lentamente la maglietta, e gliela sfilai, lasciando correre le dita dal petto in giù, fino ad arrivare all’ombelico e a risalire. Sembrava un’eterna sfida, lui che ne lanciava una a me, io che l’accettavo e al termine ne lanciavo una a lui. Infatti, anche questa volta non volle ritirarsi, e mi sfilò il maglioncino e lo lanciò giù per le scale.
Le scarpe le avevamo già tolti da soli, quindi misi le mani sui bottoni del suo pantalone e iniziai a aprirli, uno ad uno, lentamente, mentre vedevo lui diventare impaziente e ne ridevo. 
Arrivammo in camera che eravamo solo in intimo, e ci sdraiammo sul letto abbracciati e ridendo. Rotolammo, e io bloccai il giro in modo da trovarmi sopra di lui. Mi misi a cavalcioni, e tra i capelli che mi ricadevano intorno al viso lo guardai. Era così bello. Come potevo aver vissuto vicino ad un angelo del genere, senza davvero capire i miei sentimenti per lui? Lo amavo, lo amavo talmente tanto che era semplicemente difficile dirlo, semplicemente spiegarlo.
Probabilmente, lui stava facendo qualche ragionamento del genere, e quando i suoi occhi finirono a fissare i miei, sembrò che il tempo rallentasse, solo in quell’istante. Fece un solo sorriso, un sorriso malizioso, e poi mise le mani sulla mia schiena in cerca del gancio del reggiseno. Quando lo trovò, io mi tuffai a baciare il collo su cui era tatuata la Triade. A baciarlo, con gran voglia. Con gran passione. Con grande amore, soprattutto. 
Sentii il gancio finalmente cedere alle mani di Shannon, e il reggiseno andare via, lasciandomi mezza nuda. Così, come una bambina dispettosa, diedi un morso a lui, che sembrò semplicemente goderne. 
Mi afferrò, mi alzò neppure pesassi venti chili, e ribaltò la situazione: lui sopra, io sotto. 
Fu così, che anche le nostre mutande lasciarono i nostri corpi, sfilate via con delicatezza ma con tanta impazienza, trascinate via dalle nostre gambe e lanciate via, perché intralciavano i nostri piani.
Eravamo nudi.
Corpo su corpo. Uomo su donna. 
Le nostre pelli si toccavano l’una con l’altra, si scaldavano nel freddo dicembre di quel capodanno, sembravano conoscersi già da tempo, e man mano che stavano sempre più vicine, sembravano prendere più confidenza.
Le mani non erano più incerte o delicate, ma stringevano il corpo dell’altro con forza, con impeto, con una smania crescente.
In quel momento, in cui l’ultimo giorno dell’anno volgeva al termine, dando benvenuto al primo giorno del nuovo anno con una serie di luminosi e rumorosi fuochi d’artificio, Shannon e io stavamo condividendo un amore. 
In quel momento, Shannon allargò la mia gamba destra, con decisione, mentre appoggiò l’altra mano sulla gamba sinistra, senza muoverla. Mi guardò, per chiedermi conferma. Mi stava dando un’ultima possibilità di fuga, un’ultima possibilità per cambiare idea. Ma io, convinta, misi la mano sulla sua e aprii anche l’altra gamba. Fu in quel momento, quando l’ultimo fuoco d’artificio rosso stava per scoppiare, che io e Shannon ci unimmo: due corpi, una sola anima. 
 
 
Non mi ero mai svegliata così.. così.. serena. 
Eppure avevo dormito veramente poco. Diciamo un’oretta, contando che erano le cinque. 
Ero troppo euforica per andare a dormire, quindi ero rimasta un po’ tempo a pensare, con gli occhi che fissavano la luna dalla fessura della finestra, con le braccia di Shannon che teneramente mi stringevano il bacino da dietro, e il suo respiro caldo sul mio collo. 
Mi ero addormentata bene, ma avevo dormito poco.
Fu quel tempo che passai a pensare che rovinò tutto.
Avrei dovuto semplicemente spegnere il cervello, o Shannon si sarebbe dovuto svegliare con me.
Ma invece stava dormendo profondamente, e non mi riuscì a fermare. 
Iniziai ad avere i sensi di colpa per quello che avevo fatto e per quello che avevo richiesto, e una domanda mi si insinuò nella testa, con prepotenza, senza lasciare spazio per altre cose. E adesso?! continuavo a chiedermi.
Cosa sarebbe successo?
I miei sentimenti erano chiari, ma quelli di Shannon? 
Iniziai a pensare che lui non si era mai fatto avanti con me. Lui non aveva mai voluto nulla. E lui non era un tipo da farsi scappare le cose che voleva prima di averle ottenuto.
Avevo una sola immagine nella testa, lui che si svegliava, che mi guardava, che assumeva un’espressione seria e addolorata, e che mi diceva che per lui ero solo un’amica, nulla più.
Sarei stata spezzata da una cosa del genere.
E purtroppo, il nostro rapporto non sarebbe mai più stato quello di prima. 
Come potevamo, in queste condizioni, andare in tour insieme?!
 
*Shannon*
 
Quella mattina mi svegliai grazie al sole che, infiltrandosi nella camera attraverso uno spiraglio della finestra, colpiva pigro i miei occhi, dissolvendo più velocemente quel senso di stordimento tipico del risveglio.
Insieme a lui, tutti i ricordi della notte precedente si fecero spazio nel mio cervello, rendendomi felice e facendomi sentire in pace con il mondo.
Ma un’ombra scura mi attendeva dietro questa mia felicità, regalandomi un indesiderato brutto presentimento.
Con gli occhi ancora chiusi, iniziai a muovere la mano sul lenzuolo, per trovare quella donna che aveva condiviso con me non solo il mio letto, ma anche il mio cuore.
Eppure non trovai nulla, solo il freddo del tessuto bianco.
Aprii gli occhi lentamente, e davanti a me non c’era nulla. 
Vedevo solo alcuni dei miei vestiti, da soli, sparsi per terra. 
Mi sedetti sul letto.
“Hel?” dissi, confuso.
Nessuna risposta.
“Helena?” urlai, più forte.
Ancora nulla. 
Solo allora, mentre stavo poggiando i piedi per terra per alzarmi, notai un foglio di carta accuratamente ripiegato sul mio comodino, con su scritto, in maiuscolo e con una grafia elegante e conosciuta, il mio nome.
Eccola, quella brutta ombra.
Mi decisi a prenderlo, e lo aprii con massima cautela. Sapevo cosa c’era scritto, lo sapevo  bene, ma non volevo accettarlo.
 
 
Non so come iniziare questo biglietto.
Non mi sembra appropriato un ‘caro Shannon’ o anche un semplice ‘Ei’.
Per questo la inizierò così, andando dritto al punto, senza girarci intorno: so che tutto quello che ti ho chiesto ha rovinato il nostro rapporto.
L’ho capito stamattina, l’ho capito quando mi sono resa conto che i nostri desideri erano differenti.
Non fraintendermi, non mi sono pentita di nulla.
Io non rimpiangerò mai’, no?
Non rimpiango di essere venuta da te, ieri sera.
 Non rimpiango di aver fatto con te quello che abbiamo fatto stanotte.
Rimpiango solo di aver perso una persona che per me era un amico, un amico indispensabile.
Però, ti ringrazio. 
Mi hai salvata, mi hai salvata ancora, mio Lord.
Si, ho ascoltato la prima canzone del vostro nuovo disco. Avete superato voi stessi, è meravigliosa. Vi auguro tanto successo, perché ve lo meritate.
Ti ringrazio perché mi sei sempre stato accanto, mi hai sempre aiutato, anche quando ancora non ci conoscevamo bene. Ti ringrazio per avermi dato fiducia, per avermi dato speranza, per avermi fatto credere di nuovo negli uomini.
Ti ringrazio perché sei la mia unica eccezione, come ti ho detto ieri sera.
 
Come stanno le cose, credo che avrai capito che non verrò più in tour con voi. Però, sappi che ti aspetterò, magari per tentare di ricreare il nostro rapporto. Tu continui ad essere lì, al centro del mio cuore, e difficilmente ne uscirai. 
Spero di sentirti presto, Shannon. 
Spero di aver facilitato la situazione, in questo modo.
Spero che non la prenderai male se, invece di affrontarti faccia a faccia, sono scappata via da casa tua come una ladra, raccogliendo le mie cose in silenzio e sono sgattaiolata via nel buio della notte. Ma non ce l’avrei fatta a dirti tutte queste cose parlandoti.
Mi dispiace, sono stata una codarda.
Spero che prima o poi, mi vorrai di nuovo accanto.
 
Sempre tua, Helena.
 
 
Presi un lungo sospiro, lasciando scivolare via il foglio, e portandomi le mani in faccia.
Avevo rovinato tutto.
Avevo pensato che lei mi amasse, per un attimo.
Avevo perso una delle persone più importanti della mia vita. 

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Capitolo 11
*** Epilogo. ***


Buonasera:)
Spero abbiate passato tutti delle belle vacanze. Vi auguro un ottimo 2012, vi auguro tutto il bene di questo mondo.
Ora passiamo alla FF.
E' l'ultimo capitolo, si. Doveva essere un 'breve epilogo' ma come al solito mi sono dilungata. Spero vi piaccia, comunque.
Beh, ho da fare alcuni ringraziamenti.
Un ringraziamento speciale va ad Annamaria, che da poco ho incontrato (LOL) e che mi ha appoggiato quando volevo abbandonare questa FF, mi ha tirato su e mi ha dato forza. Grazie Rhum, grazie :)
Un secondo ringraziamento va a CloyingCyanide, che ultimamente mi ha fatto tornare la voglia di scrivere, con le sue bellissime recensioni. Grazie.
Poi ringrazio chi mi segue e recensisce con frequenza, _Alibi_Echelon92, Parawhore_Echelon, Fromyesterday.
RIngrazio chi mi ha recensito: _EmTale_, RosaBuò, xcannibalglow, jessromance, LilaOnMars, VanEchelon, Arimi_chan, xxpakievxx. 
Grazie, anche chi mi ha seguito in silenzio.
Mi rivedrete presto, con una FF :) 
Adesso, buona lettura! 

 

Epilogo. 
A photograph of you and I.

 
“Bro, ho una bella notizia per te..” Jared mi aspetta con le mani dietro la schiena, e con un sorriso luminoso, che è in contrasto con quelle occhiaie profonde che gli incorniciano gli occhi color del mare.
Sono sette mesi, sette lunghissimi mesi, che abbiamo iniziato il nuovo tour, e non abbiamo avuto neppure il tempo di respirare.
Tra concerti e viaggi, tra alberghi e poltrone degli aerei, dormire non era sempre così scontato.
Dopo che Jared aveva messo finalmente su un po’ di chili, nel riposo della precedente pausa, adesso mi sembra averli eliminati di nuovo tutti, è scheletrico. Glielo dico sempre di mangiare di più, ma non mi ascolta.
Anche se la colpa non è tutta sua, dal momento che sia io che Tomo abbiamo perso qualche chilo, con tutta questa fatica.
Si schiarisce la voce, e attira nuovamente la mia attenzione.
“Questo è per te.”
Finalmente porta avanti le mani, e scopre due foglietti sottilissimi, due foglietti di quel formato che mi era così familiare.
Due biglietti aerei, non mi serve neppure vederli da vicino.
Sbuffo.
“Jared, mi avevi detto che potevamo avere un mesetto di pausa. Dove dobbiamo andare ancora? Messico, Londra, oppure per la cinquantesima volta nella tua bella Parigi? Ci stiamo consumando, avevi promesso di non esagerare, questa volta. Hai quasi perso la voce nello scorso tour, vuoi perderla anche in questo?”
Scoppio, dopo sette mesi di silenzio sull’argomento.
Sono diventato intrattabile, lo devo ammettere, ma ho bisogno di un po’ di calma e di relax. Questo tour sembra ancora più faticoso del precedente.
Lui mi guarda storto.
“Caro il mio fratellone.. – dice, enfatizzando con acidità l’ultima parola – questi non sono due biglietti aerei per un altro concerto. Non vedi che sono solo due? E Tomo? E Emma? E Vicky? Come possono essere solo due biglietti? Questi sono due biglietti per me e te, stupido. Sono per Los Angeles, volevo farti una sorpresa.”
Assumendo la sua solita aria di superiorità, che questa volta serve solo a celare la delusione, poggia i due biglietti sul tavolino della mia stanza e si gira verso la porta, per andare via.
“Cosa? Los Angeles? Torniamo a casa?” non ci posso credere. A casa. A casa con..
“Si, mi manca terribilmente Kristen. Non vedo l’ora di abbracciarla. E tu hai una questione da risolvere, no?!” mi dice, fermandosi un attimo, per poi riprendere il suo cammino.
Quando arriva davanti alla porta, si gira e mi dice:
“Il volo è per stasera. Domani intorno mezzogiorno stiamo lì. Avverti chi devi avvertire!” mi fa un sorriso abbastanza sarcastico, e se ne va, lasciandomi i biglietti nella stanza e lo stomaco sottosopra.
Finalmente mi decido a prendere il cellulare, e con una smania assurda cerco quel numero in rubrica, che ogni giorno mi aveva tentato, che ogni giorno mi ripromettevo di usare, ma che ogni giorno lasciavo lì, rimandando il momento del confronto.
Purtroppo, o per fortuna, era arrivato, e non restava che prepararmi.
Compongo velocemente il messaggio, con parole brevi e concise, e lo invio a quella voce nella mia rubrica che controllavo sempre, come se potesse essere l’unica prova concreta per i miei ricordi.
Non aspetto una risposta, ma mi spoglio velocemente e mi butto sotto la doccia.
Non resta che prepararmi.
Non resta che prepararmi finalmente all’incontro con Helena.
 
*Helena*
 
 
 
Mi ritiro a casa distrutta.
È un caldo venerdì di agosto.
Già odio questo periodo dell’anno perché odio il caldo, ma ci si mette anche che questo è periodo di matrimoni, e lo studio è pieno perché le persone devono ritirare le proprie foto.
Mi spoglio velocemente, con la testa pesante e la voglia di buttarmi sotto una bella doccia fresca.
Neanche il tempo di dirigermi verso la cucina per bere un bicchiere d’acqua, che la spia luminosa del telefono attira la mia attenzione.
“E se faccio finta di non averla vista?” chiedo, nel silenzio della casa.
Prendo l’ultimo sorso dal bicchiere, e lo lascio sul comodino.
Purtroppo, avevo dimenticato il cellulare in casa, e sicuramente Kristen mi aveva chiamato a casa.
Premo uno dei pulsanti, e la voce della mia migliore amica si espande in tutta la stanza.

 

Hel, sono Kristen. Non so perché non mi rispondi al cellulare, ma volevo sentirti! Hai ricevuto la notizia? Come l’hai presa? Come stai ora? Fatti sentire al più presto!
 

 
Perplessa, rimasi a fissare il telefono.
Notizia? Quale notizia?
Sto per comporre il suo numero, quando vedo il cellulare che mi aspettava nascosto dietro la pianta finta che ho lì da quando mi sono trasferita.
Muovo la testa in segno di disapprovazione nei miei stessi confronti, ‘Sbadata che non sei altro’ penso intanto, e lo afferro.
Quattro chiamate perse: Kristen.
Un messaggio ricevuto: Kristen.
Un messaggio ricevuto: Shannon.
Sobbalzo, leggendo l’ultimo nome.
Shannon.. Shannon.. Shannon.
Il suo pensiero non mia aveva mai abbandonato in tutto quel tempo, facendomi compagnia ogni singolo giorno, ogni singolo momento.
Eppure non mi aspettavo di ricevere un suo messaggio.
Perché?
Perché proprio in questo momento poi?
Indugio, guardando più e più volte quella semplice parola, quei semplici sette caratteri che posizionati in quel modo e in quell’ordine possono mandarmi in crisi.
E poi premo finalmente il pulsante centrale.

 
Domani torno a Los Angeles. Ti dirò poi quando starò per arrivare, intorno mezzogiorno comunque. Fatti trovare all’aeroporto per il sesto aereo. Non voglio scuse, ho bisogno assolutamente di parlarti. Fatti trovare, o troverò io te.
 

Rabbrividisco.
Lo incontro. Solo poche ore, e lo incontro.
Cerco con la mano la superficie del divano, e quando la trovo mi ci aggrappo e mi ci avvicino, così da potermi sedere.
Prendo un lungo sospiro.
Non devo agitarmi, non devo agitarmi.
Ma non posso fare altrimenti.
Sono sette mesi che aspetto questo momento, sette mesi che me lo immagino e non riesco a trovare la soluzione, non riesco a capire come andrà a finire.
Eppure è arrivato, e non posso sbagliare.
Non devo assolutamente perdere anche questa occasione.
Rispondo, veloce, a Shannon, ma prima di inviare cancello e riscrivo il messaggio più volte. Non mi piace nulla di quello che ho in mente, quindi senza perdere altro tempo rispondo nel modo più semplice possibile:

 
Ci sarò.

 
Non mi sento di scrivere altro.
Non c’è bisogno di scrivere altro.
Prevedo una brutta notte, quindi vado in cucina e prendo un sonnifero.
Salgo velocemente al piano di sopra, mi cambio per la notte, e mi distendo nel mio letto, aspettando che il farmaco faccia effetto.
Prego solo affinché vada tutto bene, e poi perdo conoscenza.
 
 
Ore 13:50.
L’orologio del mio cellulare segna quell’ora, ma mi sembra quasi impossibile che sia passata quasi un’ora e mezza dal mio arrivo all’aeroporto.
Eppure è così, e mi maledico per non essermela presa comoda.
Shannon mi ha avvertito che l’aereo avrebbe fatto tardi, ma io sono arrivata addirittura dieci minuti prima dell’orario che magari lui mi ha detto anche senza nemmeno rifletterci.
Intorno a me ci sono tantissime persone, e quando mi giro a guardarli trovo dei volti che ormai mi riconoscono, dopo tutto questo tempo che abbiamo condiviso.
Riconoscono i miei movimenti nervosi, il mio impaziente andare avanti e indietro.
Il mio fastidioso sedermi sulla panchina, per poi rialzarmi e risedermi, nel giro di neppure un minuto.
Ad un certo punto, mi è addirittura venuta voglia di fumarmi una sigaretta, a me, che non riesco a sopportarne neppure il profumo.
Ho squadrato ogni centimetro, ogni volto, ogni cosa o persona che mi sta intorno, almeno cinque volte.
Ma non posso fare a meno di distrarmi in questo modo, perché tutto quello che non voglio pensare è quello che succederà fra poco. Non voglio fare piani, preparare discorsi o crearmi delle aspettative. Sarebbe brutto dopo confrontarle con la realtà e rimanere delusi.
Sbuffo, e sarà la cinquantesima volta.
La tabella segna l’arrivo dell’aereo nella pista numero quattro.
Adesso di quello numero nove.
E adesso..
Le parole della pista numero sei cambiano, e segnano l’arrivo anche di quell’aereo.
Balzo in piedi, e per solo un secondo mi chiedo quando mi sia riseduta.
Ma senza neppure cercare una risposta, inizio ad allungare il collo ed alzarmi sulle punte per vedere il punto da dove dovrebbero sbucare le persone appena scese dall’aereo, in cerca di volti familiari.
Ma le persone mi si parano davanti, e riesco a vedere poco e nulla.
Sconfitta, mi giro, riprendendo la borsa che avevo lasciato come una stupida incustodita, e cerco il cellulare. Non so bene cosa mi aspetto di trovarci, ma spero in qualche notizia di Shannon.
Prima che io possa trovarlo, una mano mi pizzica il fianco e una voce familiari e così melodiosa mi dice: Ciao tesoro!”
Mi giro speranzosa, anche se già qualcosa mi dice che non è Lui.
E infatti, ecco spuntare il fratello, che è diventato più magro di prima, e addirittura sul suo volto sempre perfetto ci sono segni evidenti della stanchezza.
“Jared! Quanto mi sei mancato!” lo abbraccio, in un abbraccio tanto dolce che mi scalda, sebbene non ne abbia bisogno con questo clima.
Quando mi accorgo che queste non sono cose da me e Jared, mi stacco e mi schiarisco la gola.
“Cioè.. hmm.. è bello rivederti!” imbarazzata, faccio un passo indietro.
Lui ride. Sembrava sul punto di rispondermi con una delle sue battute,  ma inizia a squillargli il cellulare e lo prende dalla tasca.
Sorride.
“È l’amica tua. Mi aspetta in libreria. Ci vediamo dopo allora!” mi scocca un occhiolino e scappa via impaziente, trascinando la sua valigia.
Kristen non ha potuto lasciare la sua libreria a nessun’altro, e proprio oggi inoltre il fornitore sarebbe andato da lei, quindi anche chiudere per una mezz’oretta era escluso.
Ma.. ho dimenticato di chiedere a Jared del fratello!
Mi giro per richiamarlo, ma è già sparito.
Di questo passo non lo troverò mai..
Neanche il tempo di pensarlo, che qualcuno mi tamburella alle spalle.
Mi giro scocciata, e mi ritrovo davanti un uomo con gli occhiali da sole, una canotta larga, il pantalone con il cavallo basso, e un sorriso splendente.
Quell’uomo. Il mio uomo.
Rimango immobile, a fissarlo. Al contrario di Jared, non riesco a buttarmi tra le sue braccia, anche se è tutto quello che desidero, tutto quello che voglio.
Respira, Helena. Penso, ma non sono sicura di riuscirci.
Non riesco a vedere i suoi occhi, stupidi occhiali. Perché non se li toglie? Perché deve coprire continuamente quelle due meraviglie che ha nelle orbite?
Quasi leggendomi nel pensiero, se li sfila lentamente, e li appende alla maglietta.
“Ciao, Helena.”
La sua voce.
La sua bellissima voce.
Quanto mi è mancata, eh?! Quanto?
Finisco per balbettare nel tentativo di dire qualcosa, e lui semplicemente allarga le braccia e si avvicina, abbracciandomi.
Il suo profumo mi investe, e tanti ricordi riaffiorano nella mia mente, ricordi che avevo chiuso in un angolo remoto del mio cervello, in modo che non mi tormentassero con la consapevolezza che non erano realtà, ma sarebbero rimasti sempre e solo semplici ricordi.
Non resisto più, e lo abbraccio.
Lo stringo, sempre più forte, perché lo voglio avere accanto a me, perché non mi deve più lasciare. Chiudo gli occhi, e affondo la faccia nell’incavo del suo collo.
Potrei davvero rimanere sempre così, sempre tra le sue braccia, sempre in piedi tra le persone che andavano e venivano, fra quelle che invece di fermavano a scrutarci curiose.
Potrei rimanere così, ma evito, perché io e Shannon abbiamo questioni importanti di cui parlare, e rimandare è inutile.
Lo stringo solo un attimo, più forte, e poi mi stacco da lui.
Forse troppo presto, perché lo vedo un po’ deluso.
“Mi sei mancata.” Mi dice, con sguardo cupo.
“Anche tu.” Non sai quanto, Shannon, non sai quanto.
Mi limito a pensarle queste cose, e non a dirle. Forse è questo il mio errore: invece di comunicare con lui, invece di aprirmi e condividere i miei sentimenti con lui, li tengo per me.
“Avrai fatto molte ore di aereo, vuoi andare a mangiare qualcosa?” gli dico, dopo aver osservato le sue occhiaie.
“Con molto piacere. Ma prima possiamo passare da casa mia?” annuisco, e gli prendo una delle borse, dopo molte sue proteste ovviamente, e lo aiuto.
Per fortuna sono venuta in macchina anziché con qualche mezzo di trasporto, così lo aiuto a mettere tutto nel portabagagli e mi siedo al posto del guidatore: è troppo stanco per farlo anche guidare.
Infatti, non appena iniziamo a muoverci, lui butta la testa all’indietro sul sedile e chiude gli occhi.
Invece di fare battute o altro, mi sto zitta, per lasciarlo un po’ riposare.
Non c’è nessun silenzio imbarazzato o cose così, il nostro rapporto è sempre lo stesso, ci sentiamo a nostro agio l’uno con l’altra, come se non fossero passati sette mesi.
La strada per casa sua mi riporta alla mente l’ultima volta che ci ero andata, tanto tempo prima. I sentimenti, che avevo provato ancora e ancora, delusione, amarezza, rabbia, disgusto, odio, li sentivo tutti. E ancor di più sentivo quelli per Shannon, amore, speranza, paura, e soprattutto sorpresa, la sorpresa dell’amore stesso che avevo scoperto, semplicemente smascherato, per lui.
Lui non può saperle queste cose, perché non gliele ho mai dette.
Guardo di nuovo Shannon.
Sembra dormire. Sembra dormire come dormirebbero gli angeli.
Sorrido, e torno a guardare la strada.
Mi è mancato, si, troppo.
 
 
Ho appena scoperto che un’altra cosa che mi è mancata di Shannon. La sua casa.
Quelle pareti ormai così familiari, quei mobili così belli, quelle fotografie attaccate ovunque.
“Mm.. casa!” dice lui, sospirando e sorridendo, quando varca la soglia di casa.
Io ridacchio.
“Che c’è?” mi dice lui, guardandomi per la prima volta da quando ci siamo sciolti dal nostro abbraccio.
“Beh.. mm.. ecco.. stavo pensando più o meno la stessa cosa! Questa casa mi è mancata..”
Mentre parlo, rivedo i panni miei e di Shannon che quella notte di Capodanno volarono nella stanza, quel divano a cui ci eravamo appoggiati baciandoci, quelle scale che ci avevano portato alla sua stanza..
“Sembra che ti sia mancata più la casa che io! Che ingrata che sei!” ride, e poi lancia la sua roba vicino al divano.
“Ma lo sai che non è vero..” io controbatto, senza alcun accenno di risata o di scherzo nella mia voce.
“Allora.. – cambia discorso lui, come se non volesse rispondermi – che programmi hai per oggi?” non era lui a fare i programmi di solito?
“Parlare con te.” Dico, senza pensarci.
“Con te non si può prendere tempo, eh? E va bene, io devo farmi prima una doccia, però. Sono stanchissimo, e se non mi faccio un bagno freddo non posso fare nulla. – prende un attimo di pausa, e ritorna ad avere il solito ghigno malizioso – se vuoi, puoi venirtela a fare con me.”
Mi scocca un occhiolino.
“Sei un’idiota.” Scuoto la testa in segno di disapprovazione, e mi giro, puntando verso la poltrona che sta davanti alle scale.
“Ma non fare la puritana, tanto io ho visto nuda te, e lo sai bene, e tu hai visto nudo me, e lo so bene. E ci è pure piaciuto, per dirla tutta!”
Credo di essere diventata rosso pomodoro.
Ringrazio il cielo che lui non possa vedermi.
Sento solo i suoi passi che salgono le scale, e finalmente mi rilasso.
L’influenza che ha quell’uomo su di me è abbastanza fastidiosa.
Per passare il tempo, cerco una mentina o una caramella nella borsa. Non ne trovo, ma intanto trovo incorniciata la foto di me e di Shannon, che avevo lasciato lì e che mi ero rifiutata di appendere a casa, per non girare peggiorare la mia situazione.
Ho fatto bene a farla sviluppare, è davvero bella.
È quella foto fatta quando stavamo tutti insieme, il trenta di dicembre.
Rimango a contemplarla per un tempo indefinito, tanto, a giudicare dal fatto che ad un certo punto Shannon è arrivato da dietro e mi ha fatto prendere un colpo, già con i capelli asciutti e con un altro completo.
“Fammi vedere.. – si sporge, dopo avermi fatto saltare dalla paura per essere sbucato così all’improvviso, e vede l’oggetto che stringo nella mano destra – ma quella.. è la nostra foto!”
“Esattamente.. senza farlo a posta l’avevo nella borsa, che coincidenza!”
“Mm.. – fa il giro e si siede sul divano di fronte a me – allora, togliamo subito la questione da mezzo? Parla di quello che devi.”
Mi coglie sempre alla sprovvista.
 “Prima, aspetta, mi puoi spiegare una cosa? – io annuisco, e lui va avanti – come mai sei venuta da me, quella notte? Perché eri così sconvolta?”
Sorrido. “Colpa di quel bastardo del tuo amichetto, Evan.. – prima che lui possa dire qualcosa, riprendo a parlare – lo sapevi che era sposato? Lo sapevi che aveva anche due bambini? Una femmina e un maschio. Li ho visti in mezzo alla strada. Alla fine di lui non mi importava niente, l’ho capito subito. Mi importava solo che fossi stata ancora una volta tradita, illusa, ferita.”
“Mi dispiace.. non ne sapevo nulla, altrimenti te lo avrei detto prima che iniziavate ad uscire insieme.. non te lo dovevo far incontrare! Io volevo semplicemente che lui pubblicasse un tuo libro.. scusa..” è dispiaciuto, glielo si legge in faccia.
“Ah, ma non ti preoccupare. Un libro l’ho comunque scritto. E lo pubblicheranno a momenti. E ho anche parlato con lui. L’ho ritrovato in giro con la moglie e l’ho informata che il marito usciva con me. Ho informato lui che mi faceva schifo. È stata una grande soddisfazione, devo ammetterlo.”
“Cosa?” Shannon ha appena sgranato gli occhi.
“Affrontarlo.” Gli rispondo io.
“No, hai scritto un libro? Lo pubblicherai?” è sorpreso.
“Si.. ti avrei mandato la prima copia, anche se stavi ancora in tour.” Sorrido.
“Come l’hai chiamato?”
Una fotografia di me e di te. Come la vostra canzone. Come la nostra foto.”
“Hai parlato di noi?” dice lui, con gli occhi che gli brillano.
“Più o meno..” abbasso la testa.
“Lo voglio leggere. Ma prima dobbiamo sistemare un’altra questione. Che mi devi dire?”
Cerco di riorganizzare i pensieri, e inizio a parlare, senza davvero sapere quello che voglio dire, ma solo ascoltando il mio cuore.
“Quella sera.. beh, non dovevo assolutamente scappare via. Dovevo affrontarti, e mi dispiace. Sono stata una codarda. E quindi non voglio ripetere lo stesso errore. Shannon, io non ti voglio perdere. Non voglio che esci di nuovo dalla mia vita. E preferisco averti come amico, che non averti. Anche se la situazione è difficile.. non voglio perderti, te lo ripeto. E so che ha cambiato tutto quel mio gesto, che adesso ci può essere... imbarazzo ma.. lo possiamo superare. Voglio starti accanto, e voglio te accanto a me. Non importa, ci riuscirò.”
Sto per riprendere il discorso dopo aver sospirato, ma lui mi blocca.
“Helena, è più complicato di quello che è. Per te può esserci imbarazzo, per me è qualcosa di più difficile, qualcosa che non si può superare con l’abitudine. Le mie intenzioni non cambiano mai, quello che volevo è sempre lo stesso. Ed è differente da quello che vuoi tu. Non so se ce la faccio a stare con te..”
Sto per protestare, ma lui mi zittisce.
“Fammi finire. Non so se ce la faccio a stare con te, quando tu vuoi essere solo mia amica, e solo così mi vedi. Sembra facile da accettare, ma non quando sei tu quella persona che ama l’altra e non è ricambiata. Tu mi vuoi bene, e te ne sono grato, mi fa piacere, ma è il bene di una sorella. Il mio è un bene più grande, uno per una fidanzata, un’amante, una moglie, e non si può contenere, non si può ignorare con l’abitudine. Scusa.”
Lui si ferma, e aspetta una mia risposta.
Io sono esterrefatta, e lo guardo ad occhi sgranati.
Mi muovo, mi alzo, e prendo la borsa. Senza dire nemmeno una parola, giro i tacchi e faccio per andarmene.
“Dove stai andando?” mi dice lui, e mi raggiunge prima che io possa andarmene.
“Mi stai pigliando per culo? No perché ti informo che non è divertente.”
Lo guardo storto.
“Che stai dicendo Helena?” mi dice lui, confuso.
“Tu che stai dicendo! Io che ti voglio bene come una sorella, tu come si vuole bene ad una moglie, che storia è mai questa? Siamo a questo punto perché io ti amo e tu no, ecco perché. Perché tu mi vuoi come amica, io no. Perché per te quella notte ha significato la rottura della nostra amicizia, per me l’inizio del nostro amore. Quindi fai il serio per una volta, e non scherzare.” Giro la faccia, perché non lo voglio guardare. Non può ferirmi anche lui, non può.
“Ma io ti amo, Helena. Ti amo come non ho mai amato nessuno.”
Lo torno a guardare, per trovare sulla sua faccia un’espressione di scherno. Ma non c’è. C’è solo una perplessa, una sincera.
“Stai dicendo sul serio?” non ci credo. Non ci posso credere.
“Si che dico sul serio. Non scherzerei mai su questo.”
La borsa mi scivola per terra, e sento le gambe tremare.
“Quindi.. quindi tutto questo è stato inutile? Sette mesi di sofferenze, sette di lontananza, sette mesi senza te per niente? Per un’incomprensione?” sono ancora più incredula di prima.
“Temo di si..” lui sorride, e non smette di guardarmi.
“Sono una stupida.” Mi porto le mani alla faccia, e la copro.
“Si, lo sei. Ma meglio questo che.. tu che non mi ami o viceversa, no?” lui mi tamburella sulle dita, ma io non voglio muovermi.
“Non è questo. Sono stata male in tutto questo tempo. Non avevo voglia di fare nulla, anzi i primi giorni non volevo andare neanche al lavoro Shannon. E adesso scopro che se non fossi così.. idiota, non sarebbe successo niente!”
Fa un po’ più di pressione sui polsi e riesce a farmi togliere le mani dalla faccia.
“Dimmi.. hai una macchia del tempo?” mi dice, costringendomi a guardarlo negli occhi.
“Eh? No..” sono confusa.
“Beh, non possiamo fare niente per cambiare il passato. Per il presente invece c’è tanto da fare. E io lo voglio fare con te. Vuoi passare questo presente insieme, Helena?” mi sorride.
Io posso solo guardarlo, e vorrei urlargli di si, ma invece che parlare avvicino la faccia alla sua, e lo bacio.
Anche quelle sue labbra mi sono mancate.
Così grandi, piene, morbide, dolci.
Ancora una volta sanno di buono, ed è così bello baciarle.
“Ti amo Helena, ti amo. Ti amo. Ti amo..” mi dice, tra un bacio e l’altro.
“Ti amo Shannon.” Gli dico, staccandomi un attimo e guardandolo. “Ti amo davvero, come mai ho amato qualcuno.”
Mi abbraccia, e mi sento finalmente felice.
Ho lui, nella mia vita, nel mio cuore, nella mia anima, e non posso desiderare di meglio.
 

LoveShanimal.

 
 

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