Through
the
paper and the pain
Talvolta, è difficile
conferire il vero nome ad un
sentimento, soprattutto se sgradito e ci si abitua a ricacciarlo in un
angolo
della nostra coscienza, sforzandoci di non considerarlo, ogni qualvolta
che si
ripresenta davanti a noi: ciò che non ha nome, si sa, incute
sì più paura, ma
finisce per rappresentare un’idea talmente astratta, da non
costituire
un’effettiva minaccia alla nostra tranquillità,
specie comparandola alla vita
frenetica che siamo, spesso, costretti a condurre.
Leggendo quel nome, Ludwig si era
trovato in questa
situazione: era stato facile, in fin dei conti, soffocare
nell’odio
giustificato dal tradimento e dalle numerose umiliazione subite, tutto
ciò che
Feliciano aveva rappresentato per lui negli anni precedenti:
l’italiano era
stata la prima persona (o, per meglio dire, nazione) che gli si fosse
mai
affidata totalmente, seguendolo con un’ammirazione goffa e
gentile, che, pur
risultando pericolosa per entrambi su un campo di battaglia, aveva
vagamente intenerito
il suo animo chiuso e diffidente. Era questo che Ludwig aveva negato
durante
ogni singolo giorno dell’anno passato: la ferita che
l’italiano aveva scelto di
infierirgli proprio quando era più debole e prossimo alla
sconfitta, non si era
ancora rimarginata, ma, al contrario, continuava a bruciare, negandogli
quella
pace che tanto si struggeva a cercare nel sonno. Il sentimento che
aveva così
sovente evitato di riconoscere, preferendo annegare lentamente nella
paura
della pioggia e nelle veglie notturne sempre più confuse,
era un dolore così
puro e limpido, da rendere insopportabile il solo soffermarsi su di
esso per un
tempo più lungo di un respiro.
Era bastato il solo nome
dell’italiano a costringere
Germania a fronteggiare tutto questo, e lui si sentiva, ancora, come
trafitto
da quegli occhi così feroci e consapevoli: nudo, svuotato e
terribilmente solo,
davanti a quel ridicolo foglio di carta segnato da numerose
cancellature,
provava la medesima fitta martellante al petto, che, immancabilmente,
era
tornata a visitarlo durante ogni assalto in trincea, tra il sibilo
angosciante
dei proiettili ed il rombo dei cannoni.
Hallo, Ludwig.
Non mi azzardo a
scrivere “liebe”, perché so che non
l’avresti ritenuto appropriato, e quasi mi
pare di indirizzare una lettera ad un'altra nazione, e sentire la tua
voce
ammonirmi di mantenere un tono freddo e distaccato.
D’altronde, come mi
sta ripetendo anche mio fratello, non si rivolgono parole
gentili alla
persona che si è minacciata sul terreno di guerra,: ma un
ignobile traditore
come me, se ha avuto il coraggio di voltare le spalle al suo alleato,
può
permettersi di prendere qualche libertà rispetto alle
consuetudini epistolari,
non ti sembra?
Ti scrivo in nome della
nostra amicizia, perché è questa
che sto cercando disperatamente di salvare: ciò che le altre
nazioni si
dimenticano troppo spesso, o che, forse, neppure sanno, è la
differenza tra
l’alleanza, stretta per dovere nei confronti del popolo che
abbiamo giurato di
servire e proteggere con la nostra stessa nascita, ed il vero,
autentico
affetto che non vede né politica, né confini
geografici.
Quel giorno, tra le colline,
ho aperto gli occhi perché
così ha voluto la mia gente. Troppe voci mi pregavano di
destarmi. Quel giorno,
ho suggerito ad un tedesco di suicidarsi, piuttosto che continuare a
seminare
orrore per l’Europa, cercando di ignorare chi fosse
realmente: Feliciano Vargas
non avrebbe mai potuto puntare
la
pistola contro un amico, e questo lo sai, Ludwig.
Ho rotto la nostra alleanza,
ma la nostra amicizia non
morirà mai: se ne è reso conto anche Friedrich
Overbeck, intitolando a noi questo
quadro (l’originale di quello che ho
dipinto per te). L’ha compreso un semplice essere umano.
Spero che un giorno
possa capirlo anche tu.
Ti amerò per
sempre.
Feliciano,
Der Verrater
Le parole scritte dal giovane
italiano lambirono lentamente
le orecchie di Ludwig, cavalcando il suono di una voce che non aveva
più udito
dal giorno dell’armistizio: il susseguirsi fitto delle vocali
pronunciate in
modo curiosamente allungato, e delle liquide arrotate con
più garbo di quello
che imponeva la sua lingua, crearono una melodia ricca e familiare,
così
intima, perché lui solo, in quel momento, poteva sentirla,
così dolorosa e
straordinariamente desiderata. Per qualche strano motivo, che neppure
lui
stesso riuscì a spiegarsi fino in fondo, Germania
sollevò lo sguardo dalla
lettera, rivolgendolo al quadro di Feliciano che ancora giaceva sulla
scrivania: gli occhi della ragazza dai capelli bruni, che ora capiva
essere la
rappresentazione dell’Italia, erano socchiusi, lasciando che
le ciglia
sfiorassero la pelle del viso, così come soleva fare, un
tempo, il suo alleato.
In quel momento, Ludwig comprese
tutto, sorridendo
involontariamente alle due giovani nazioni: certo, il dolore e la
vergogna non
potevano essere cancellate da una sola, breve lettera, eppure, un tenue
sollievo pervase il tedesco, che, posata la tela, si alzò
dalla sedia con nuova
energia.
Le sue dita corsero allo stoppino
della lampada lì accanto,
spegnendola: l’oscurità avvolse il ragazzo, mentre
quest’ultimo, facendosi
strada tra i pesanti mobili di quercia, si diresse verso una delle
vetrate
della sala, coperta da una spessa tenda di velluto.
Con un gesto deciso, Ludwig
tirò da una parte i due lembi di
tessuto, illuminando la stanza di una luce grigia e fresca,
curiosamente
vibrante. Pioveva ancora, a Francoforte, eppure il lieve sorriso che si
era
disegnato sulle sue labbra non vacillò: il ticchettio delle
gocce d’acqua portò
con sé i ricordi di mesi passati nel freddo e nella miseria,
ma il ragazzo era
animato da un nuovo, potente pensiero.
Feliciano aveva vinto le sue paure,
se erano mai esistite,
ed aveva aperto gli occhi per la sua gente, preferendo passare per un
traditore, piuttosto che venir meno al suo dovere. Aveva dimostrato un
coraggio
che mai il tedesco aveva sospettato che avesse, e, tuttavia, era
rimasto sempre
lo stesso ragazzo. Era divenuto più forte, quando lui era
più debole; si era
reso conto della follia dei suoi superiori, mentre lui, invece, aveva
preferito
rinchiudersi dietro un cancello di filo spinato, non per stare vicino
al suo
popolo, ma per puro disgusto del nazismo.
Il sorriso di Ludwig si spense,
lasciando il posto ad
un’espressione sorpresa: portandosi una mano al viso, si rese
conto che una
lacrima aveva rigato lentamente la sua guancia.
La mascella del tedesco si contrasse
in modo deciso, mentre
volgeva gli occhi al cielo, incontrando lo stesso, identico
grigio-azzurro
delle sue iridi; la sua mente aveva acquisito nuova chiarezza, come se
le
parole di Feliciano avessero sollevato in un turbine inizialmente
confuso, i
suoi pensieri, per poi dar loro un ordine migliore. Eppure,
c’era ancora un
angolo della sua coscienza che, nella pace e tranquillità
che si stavano
insediando in Germania, continuava a lavorare febbrilmente, ritornando,
impazzito, sulla conclusione della lettera appena letta.
Ho rotto la nostra alleanza,
ma la nostra amicizia non
morirà mai…Ti amerò per sempre.
Ed a quelle parole, Ludwig si sentiva
pronto a risollevare
la testa e le spalle con la sua antica fierezza. La Germania era pronta
a
rinascere.
Angolo dell’autore
La fanfiction, incredibilmente
rispetto i miei soliti
canoni, continua: ho cercato di seguire i consigli datimi nelle
recensioni, ma,
nonostante le numerose revisioni al capitolo, credo che le parti
introspettive
siano ugualmente lunghe ed intricate. Mi scuso anche nel caso non vi
sia
piaciuta la lettera scritta da Feliciano: mettersi nei panni di un
personaggio
rivisitato in una chiave così diversa dal solito
è piuttosto difficile, ed io,
del resto, non ho una grande capacità di immedesimazione.
Per quello che
riguarda, invece, la fanfiction in sé, credo che
conterà ancora uno o due
capitoli, e spero di inserire al più presto anche tutti gli
altri personaggi
menzionati nell’introduzione. Non penso di dover aggiungere
altro, se non i
dovuti ringraziamenti ai recensori (Suigintou, nena92 e
Catherina Earnshaw,
cui cercherò di rispondere singolarmente) e chi ha
incredibilmente messo la
storia tra le preferite e/o seguite (Mareike Tiaycia,
GreenKiller,
GingerTrickster e Kuro_Renkinjutsushi): mi auguro di non aver
deluso le
vostre aspettative con questo secondo capitolo. A presto, con la
continuazione
della storia :)
Arianna F. alias Scribak
N.B. Qualche nota di chiarimento
è d’obbligo: innanzitutto,
Friedrich Overbeck, il pittore citato da Feliciano nella lettera,
è l’autore
del celebre dipinto “Italia e Germania”,
attualmente conservato presso la “Neue
Pinakothek” di Monaco di Baviera. Secondariamente, per quello
che riguarda le
parole in tedesco, mi sono dovuta affidare principalmente a traduttori
on-line,
pertanto non sono sicura che le lettere, in Germania, comincino
effettivamente
con “liebe” (traduzione letterale di
“caro”); l’appellativo, inoltre, con cui
Feliciano firma la lettera (ossia “Der Verrater”,
letteralmente “il traditore”)
richiama sempre la fanfiction cui ho accennato nel capitolo scorso.
Vorrei
spiegare, infine, l’espressione usata da Italia in
riferimento a Ludwig (“Ti
amerò per sempre…”): desidero solo
chiarire che non l’ho inserita a scopo Yaoi,
come si potrebbe facilmente pensare. Molto più banalmente,
non ho trovato una
sostituta degna del sentimento così profondo e forte che
lega Feliciano a
Germania, che, credo, vada al di là dell’amicizia
o, addirittura, dell’amore,
inteso quale passione romantica.
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