Through the paper and the pain

di Scribak
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Through the paper and the pain

Non occorrono lunghi anni per cimentare, in una persona, l’avversione verso un determinato oggetto: sia essa l’espressione del nemico vittorioso sul campo di battaglia, il tic snervante di un’altra nazione, seduta sistematicamente all’altro capo del tavolo durante le riunioni europee, o, più banalmente, un rumore insistente, talvolta bastano pochi secondi per radicare nella nostra mente quest’impressione di odio viscerale talmente a fondo, da non riuscire più a liberarcene.

Ludwig lo aveva recentemente provato sulla propria pelle, segnata dal profilo lucido e biancastro di numerose cicatrici in via di guarigione: la Seconda Guerra Mondiale si era appena conclusa da un anno, periodo di tempo che l’aveva visto impegnato tanto quanto lo era stato nelle trincee e nel fango in precedenza. Il tedesco non aveva esattamente quello che potremo definire una considerevole quantità di tempo per rimuginare sulle ultime sconfitte subite: il suo popolo richiedeva un’attenzione costante, fragile com’era alla stregua di un convalescente ancora segnato dalla malattia. Non avrebbe sorpreso nessuno, d’altro canto, che una qualsiasi nazione, recentemente sconfitta e, per di più, in simili condizioni, desse, a lungo andare, segni di un certo nervosismo: eppure, proprio Ludwig notava, sempre più stizzito, man mano che passavano i mesi, l’influenza che esercitava sul suo umore il minimo cambiamento riportato dall’ambiente che lo circondava. La pioggia, in particolare, sembrava tenerlo in suo potere, rendendolo tanto intrattabile da determinare l’allontanamento dei suoi sottoposti durante gran parte delle giornate autunnali di Francoforte, dove ora risiedeva –si fa per dire- stabilmente.

Il suo rumore cadenzato e mormorante gli riportava alla memoria le più vive e sgradevoli impressioni del lungo conflitto, a partire da quelle vissute in uno dei tanti campi di concentramento in cui aveva espiato volontariamente gli ultimi mesi di guerra: ed il fatto che le gocce di pioggia scorressero lungo le enormi vetrate della sua spaziosa villetta proprio nello stesso identico modo delle lacrime sui volti dei prigionieri, in tremolanti e sgomenti angoli, non faceva che accrescere il senso di soffocante oppressione che continuava ostinatamente ad asserragliargli il petto.

Il tedesco giaceva mollemente su una poltrona di pelle, percependo appena il freddo che essa si accaniva a trasmettergli, nonostante si fosse avvolto in una spessa coperta. Dopo aver cercato, invano, di trovare una posizione confortevole al suo riposo, si era risolto a stare steso sulla schiena, la testa abbandonata contro il duro pomello di legno del bracciolo che spuntava da sotto il cuscino della poltrona. Con gli occhi azzurri socchiusi, sbirciava regolarmente verso una pila di documenti, che, frusciando mestamente su un piccolo tavolino, reclamava la sua piena attenzione. Affari di stato, cui la nazione non riusciva, quel pomeriggio, a dedicarsi, inchiodata al soffice calore del suo nido di coperte dal ticchettio insistente della fredda pioggia di Francoforte e dalla malinconia da essa portata.

Stringendo un lembo della coperta tra le mani, Ludwig sprofondò ulteriormente in un pacifico oblio, raggiungendo quello stato sospeso tra il sonno e la veglia, che reca tanto conforto e, parimenti, disperazione ai febbricitanti nelle notti invernali. Tra i più remoti recessi della sua coscienza, il ragazzo si affannava a cercare un’immagine rassicurante o, per lo meno, non deprimente quanto i suoi ricordi più recenti: il sorrisetto vagamente compiaciuto del fratello Prussia e quello raro e misurato di Kiku erano guide sicure verso un riposo di pochi minuti, bastevole a renderlo di nuovo abbastanza cosciente da permettergli di sfuggire alle spire tenebrose della sua malinconia.

Quel giorno, tuttavia, non poteva fare a meno di pensare a quel ragazzetto snello che l’aveva ferocemente tradito, ed all’unico momento in cui i suoi occhi, dello stesso colore cupo della resina d’una quercia, si erano spalancati, inchiodandolo con il fucile in mano su una collina del Piemonte. La nebbia era così fitta, così dannatamente opprimente.

Una forte scampanellata lo richiamò bruscamente alla realtà, facendolo rizzare con uno scatto in posizione seduta sulla poltrona. Respirando affannosamente per la sorpresa, aspettò che l’uomo al di là della porta se ne andasse, o, al contrario, suonasse nuovamente.

Quando il suono metallico del campanello risuonò nuovamente nel salotto, nient’affatto attutito dalla sottile tappezzeria, il tedesco buttò giù le gambe dalla poltrona con un sospiro, tendendo i muscoli della schiena sempre più magra e sottile. Scostata rabbiosamente la coperta dalle ginocchia, attraversò rapidamente il breve corridoio che separava il salotto dall’ingresso, lisciandosi i capelli all’indietro, in modo tale da offrire una vaga parvenza d’ordine.

La maniglia della porta gli trasmise una fitta di gelo alle dita intirizzite, che lo svegliò del tutto dal torpore mentre si sporgeva cautamente oltre l’uscio.

Un sorriso appena accennato rispose al suo sguardo vagamente scocciato e confuso: un ragazzo stava fermo sulla soglia della casa di Ludwig, stringendo al petto un grosso involto di carta da pacchi scura quasi completamente zuppo d’acqua.

-Guten Abend, Herr. Mi manda l’ufficio postale- disse il ragazzo, borbottando, poi, a mezza voce il nome di una via centrale di Francoforte ove risiedeva l’ufficio menzionato.

Il tedesco lo guardò con maggiore attenzione: non indossava una divisa da postino, al contrario, era infagottato in un lungo giaccone grigio, da cui spuntavano dei pantaloni alla zuava violacei ed un paio di scarponcini da ragazzo. Poteva trattarsi di un fattorino, al massimo di un garzone. Germania non poté fare a meno di notare che il ragazzo non aveva con sé alcun ombrello, lasciando che la pioggia gli inzuppasse i vestiti e gli incollasse i capelli sul collo.

-Potrebbe fare una firma sul registro, cortesemente?- chiese con voce gentile, porgendogli una cartelletta zuppa di pioggia.

Ludwig guardò quest’ultima, facendo saettare lo sguardo dal giovane al pacco che reggeva sotto braccio. Con un gesto rapido, quindi, prese il lapis ed il registro che gli porgeva, e, scarabocchiata una firma subito cancellata da alcune gocce di pioggia, si ritirò in casa, lasciando al ragazzo appena il tempo di scansare la porta, una volta ceduto il pacco.

La schiena premuta contro il muro, la nazione aspettò cautamente nella penombra, finché non riuscì ad udire il suono dei passi del garzone allontanarsi lungo il viale, che annetteva la villa alla caotica città tedesca. Mentre faceva ritorno all’atmosfera ovattata del salotto, si rigirò pensieroso il pacco tra le mani: l’indirizzo del mittente era stato vergato in un angolo con una grafia incerta e spigolosa, tanto da rendere inutile qualsiasi tentativo di decifrazione.

Il tedesco fece per buttarsi sulla poltrona, ma, all’ultimo, si bloccò, preferendo sedersi sulla sedia abbandonata dietro lo scrittoio dalla sera prima: strappò delicatamente la carta che avvolgeva il pacco, portando alla luce un grosso dipinto ad olio privo di cornice.

Ludwig inarcò le sopracciglia chiare, chiedendosi chi mai avrebbe potuto inviargli un’opera di così fine bellezza e per quale motivo. Pennellate morbide e uniformi avevano delineato sulla tela due figure femminili di evidente giovinezza, sedute su un muretto di pietra con le mani intrecciate le une tra le altre. L’espressione quieta e serena della ragazza dai capelli scuri, in particolare, spinse Ludwig a prendere il dipinto tra le mani per poterlo osservare da più vicino. Da dietro l’intelaiatura del quadro si staccò una busta bianca, che cadde sulla scrivania attirando lo sguardo del ragazzo.

Germania posò il dipinto, sempre più incuriosito, allungando una mano verso la lettera: la carta della busta era asciutta, riparata, evidentemente, dal fattorino, che aveva strinto al petto, senza volerlo, la parte del pacco in cui era nascosta.

La girò verso una piccola lampada, unica fonte di luce nella stanza, rabbrividendo involontariamente alla lettura del mittente. Una sensazione di gelo gli serrò la bocca dello stomaco, irradiandosi attraverso ogni singola vena e capillare.

Herr Feliciano Vargas

Angolo dell’autore

Salve a tutti i lettori. Se siete giunti fin qui, vuol dire che il primo capitolo di questa fanfiction non è poi così orribile come pensavo (e penso tutt’ora). Mi rendo pienamente conto del fatto che sia terribilmente malinconica, sebbene non sia mai mia intenzione scrivere racconti tristi o introspettivi (peccato che finisca sempre così); a parte questo, spero di avervi –si fa per dire- incuriosito. Credo che richiedere qualche recensione e/o critica costruttiva sia, a questo punto, abbastanza scontato. Per ora chiudo qui, con la promessa di postare presto il prossimo chap. Grazie per l’attenzione! :)

Arianna F. alias Scribak

P.S. Per quello che riguarda la scelta di Germania di trascorrere gli ultimi mesi di guerra in un campo di concentramento, così come l’allusione ad un suo ultimo incontro con Feliciano durante il periodo della Resistenza, sono entrambe riferimenti ad una mia fanfiction non ancora pubblicata (per non dire scritta). Mi auguro che non li troviate troppo azzardati.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Through the paper and the pain

Talvolta, è difficile conferire il vero nome ad un sentimento, soprattutto se sgradito e ci si abitua a ricacciarlo in un angolo della nostra coscienza, sforzandoci di non considerarlo, ogni qualvolta che si ripresenta davanti a noi: ciò che non ha nome, si sa, incute sì più paura, ma finisce per rappresentare un’idea talmente astratta, da non costituire un’effettiva minaccia alla nostra tranquillità, specie comparandola alla vita frenetica che siamo, spesso, costretti a condurre.

Leggendo quel nome, Ludwig si era trovato in questa situazione: era stato facile, in fin dei conti, soffocare nell’odio giustificato dal tradimento e dalle numerose umiliazione subite, tutto ciò che Feliciano aveva rappresentato per lui negli anni precedenti: l’italiano era stata la prima persona (o, per meglio dire, nazione) che gli si fosse mai affidata totalmente, seguendolo con un’ammirazione goffa e gentile, che, pur risultando pericolosa per entrambi su un campo di battaglia, aveva vagamente intenerito il suo animo chiuso e diffidente. Era questo che Ludwig aveva negato durante ogni singolo giorno dell’anno passato: la ferita che l’italiano aveva scelto di infierirgli proprio quando era più debole e prossimo alla sconfitta, non si era ancora rimarginata, ma, al contrario, continuava a bruciare, negandogli quella pace che tanto si struggeva a cercare nel sonno. Il sentimento che aveva così sovente evitato di riconoscere, preferendo annegare lentamente nella paura della pioggia e nelle veglie notturne sempre più confuse, era un dolore così puro e limpido, da rendere insopportabile il solo soffermarsi su di esso per un tempo più lungo di un respiro.

Era bastato il solo nome dell’italiano a costringere Germania a fronteggiare tutto questo, e lui si sentiva, ancora, come trafitto da quegli occhi così feroci e consapevoli: nudo, svuotato e terribilmente solo, davanti a quel ridicolo foglio di carta segnato da numerose cancellature, provava la medesima fitta martellante al petto, che, immancabilmente, era tornata a visitarlo durante ogni assalto in trincea, tra il sibilo angosciante dei proiettili ed il rombo dei cannoni.

Hallo, Ludwig.

Non mi azzardo  a scrivere “liebe”, perché so che non l’avresti ritenuto appropriato, e quasi mi pare di indirizzare una lettera ad un'altra nazione, e sentire la tua voce ammonirmi di mantenere un tono freddo e distaccato. D’altronde, come  mi  sta ripetendo anche mio fratello, non si rivolgono parole gentili alla persona che si è minacciata sul terreno di guerra,: ma un ignobile traditore come me, se ha avuto il coraggio di voltare le spalle al suo alleato, può permettersi di prendere qualche libertà rispetto alle consuetudini epistolari, non ti sembra?

Ti scrivo in nome della nostra amicizia, perché è questa che sto cercando disperatamente di salvare: ciò che le altre nazioni si dimenticano troppo spesso, o che, forse, neppure sanno, è la differenza tra l’alleanza, stretta per dovere nei confronti del popolo che abbiamo giurato di servire e proteggere con la nostra stessa nascita, ed il vero, autentico affetto che non vede né politica, né confini geografici.

Quel giorno, tra le colline, ho aperto gli occhi perché così ha voluto la mia gente. Troppe voci mi pregavano di destarmi. Quel giorno, ho suggerito ad un tedesco di suicidarsi, piuttosto che continuare a seminare orrore per l’Europa, cercando di ignorare chi fosse realmente: Feliciano Vargas non avrebbe mai potuto  puntare la pistola contro un amico, e questo lo sai, Ludwig.

Ho rotto la nostra alleanza, ma la nostra amicizia non morirà mai: se ne è reso conto anche Friedrich Overbeck, intitolando a noi  questo quadro (l’originale di quello che ho dipinto per te). L’ha compreso un semplice essere umano. Spero che un giorno possa capirlo anche tu.

Ti amerò per sempre.

Feliciano, Der Verrater

Le parole scritte dal giovane italiano lambirono lentamente le orecchie di Ludwig, cavalcando il suono di una voce che non aveva più udito dal giorno dell’armistizio: il susseguirsi fitto delle vocali pronunciate in modo curiosamente allungato, e delle liquide arrotate con più garbo di quello che imponeva la sua lingua, crearono una melodia ricca e familiare, così intima, perché lui solo, in quel momento, poteva sentirla, così dolorosa e straordinariamente desiderata. Per qualche strano motivo, che neppure lui stesso riuscì a spiegarsi fino in fondo, Germania sollevò lo sguardo dalla lettera, rivolgendolo al quadro di Feliciano che ancora giaceva sulla scrivania: gli occhi della ragazza dai capelli bruni, che ora capiva essere la rappresentazione dell’Italia, erano socchiusi, lasciando che le ciglia sfiorassero la pelle del viso, così come soleva fare, un tempo, il suo alleato.

In quel momento, Ludwig comprese tutto, sorridendo involontariamente alle due giovani nazioni: certo, il dolore e la vergogna non potevano essere cancellate da una sola, breve lettera, eppure, un tenue sollievo pervase il tedesco, che, posata la tela, si alzò dalla sedia con nuova energia.

Le sue dita corsero allo stoppino della lampada lì accanto, spegnendola: l’oscurità avvolse il ragazzo, mentre quest’ultimo, facendosi strada tra i pesanti mobili di quercia, si diresse verso una delle vetrate della sala, coperta da una spessa tenda di velluto.

Con un gesto deciso, Ludwig tirò da una parte i due lembi di tessuto, illuminando la stanza di una luce grigia e fresca, curiosamente vibrante. Pioveva ancora, a Francoforte, eppure il lieve sorriso che si era disegnato sulle sue labbra non vacillò: il ticchettio delle gocce d’acqua portò con sé i ricordi di mesi passati nel freddo e nella miseria, ma il ragazzo era animato da un nuovo, potente pensiero.

Feliciano aveva vinto le sue paure, se erano mai esistite, ed aveva aperto gli occhi per la sua gente, preferendo passare per un traditore, piuttosto che venir meno al suo dovere. Aveva dimostrato un coraggio che mai il tedesco aveva sospettato che avesse, e, tuttavia, era rimasto sempre lo stesso ragazzo. Era divenuto più forte, quando lui era più debole; si era reso conto della follia dei suoi superiori, mentre lui, invece, aveva preferito rinchiudersi dietro un cancello di filo spinato, non per stare vicino al suo popolo, ma per puro disgusto del nazismo.

Il sorriso di Ludwig si spense, lasciando il posto ad un’espressione sorpresa: portandosi una mano al viso, si rese conto che una lacrima aveva rigato lentamente la sua guancia.

La mascella del tedesco si contrasse in modo deciso, mentre volgeva gli occhi al cielo, incontrando lo stesso, identico grigio-azzurro delle sue iridi; la sua mente aveva acquisito nuova chiarezza, come se le parole di Feliciano avessero sollevato in un turbine inizialmente confuso, i suoi pensieri, per poi dar loro un ordine migliore. Eppure, c’era ancora un angolo della sua coscienza che, nella pace e tranquillità che si stavano insediando in Germania, continuava a lavorare febbrilmente, ritornando, impazzito, sulla conclusione della lettera appena letta.

Ho rotto la nostra alleanza, ma la nostra amicizia non morirà mai…Ti amerò per sempre.

Ed a quelle parole, Ludwig si sentiva pronto a risollevare la testa e le spalle con la sua antica fierezza. La Germania era pronta a rinascere.

 

Angolo dell’autore

La fanfiction, incredibilmente rispetto i miei soliti canoni, continua: ho cercato di seguire i consigli datimi nelle recensioni, ma, nonostante le numerose revisioni al capitolo, credo che le parti introspettive siano ugualmente lunghe ed intricate. Mi scuso anche nel caso non vi sia piaciuta la lettera scritta da Feliciano: mettersi nei panni di un personaggio rivisitato in una chiave così diversa dal solito è piuttosto difficile, ed io, del resto, non ho una grande capacità di immedesimazione. Per quello che riguarda, invece, la fanfiction in sé, credo che conterà ancora uno o due capitoli, e spero di inserire al più presto anche tutti gli altri personaggi menzionati nell’introduzione. Non penso di dover aggiungere altro, se non i dovuti ringraziamenti ai recensori (Suigintou, nena92 e Catherina Earnshaw, cui cercherò di rispondere singolarmente) e chi ha incredibilmente messo la storia tra le preferite e/o seguite (Mareike Tiaycia, GreenKiller, GingerTrickster e Kuro_Renkinjutsushi): mi auguro di non aver deluso le vostre aspettative con questo secondo capitolo. A presto, con la continuazione della storia :)

Arianna F. alias Scribak

N.B. Qualche nota di chiarimento è d’obbligo: innanzitutto, Friedrich Overbeck, il pittore citato da Feliciano nella lettera, è l’autore del celebre dipinto “Italia e Germania”, attualmente conservato presso la “Neue Pinakothek” di Monaco di Baviera. Secondariamente, per quello che riguarda le parole in tedesco, mi sono dovuta affidare principalmente a traduttori on-line, pertanto non sono sicura che le lettere, in Germania, comincino effettivamente con “liebe” (traduzione letterale di “caro”); l’appellativo, inoltre, con cui Feliciano firma la lettera (ossia “Der Verrater”, letteralmente “il traditore”) richiama sempre la fanfiction cui ho accennato nel capitolo scorso. Vorrei spiegare, infine, l’espressione usata da Italia in riferimento a Ludwig (“Ti amerò per sempre…”): desidero solo chiarire che non l’ho inserita a scopo Yaoi, come si potrebbe facilmente pensare. Molto più banalmente, non ho trovato una sostituta degna del sentimento così profondo e forte che lega Feliciano a Germania, che, credo, vada al di là dell’amicizia o, addirittura, dell’amore, inteso quale passione romantica.

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