Un treno verso il futuro.

di Helena Corvonero
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** UN NUOVO INIZIO ***
Capitolo 3: *** UNO STRANO BUONGIORNO ***
Capitolo 4: *** ORARI E DOVERI ***
Capitolo 5: *** SOSPETTI ***
Capitolo 6: *** SFIDA IMPOSSIBILE ***
Capitolo 7: *** Il FATTORE RON ***
Capitolo 8: *** UN'IMPORTANTE LEZIONE DI VITA - PROTAGONISTI I MALEFICI NARGILLI ***
Capitolo 9: *** LA SERATA (DIMENTICATA) ***
Capitolo 10: *** NON ERA ***
Capitolo 11: *** TEMPO ***
Capitolo 12: *** CICLO ***
Capitolo 13: *** INCUBI ***
Capitolo 14: *** LEZIONI DI SORRISO ***
Capitolo 15: *** UNA TAZZA DI TE' E DUE CUCCHIAINI DI ZUCCHERO -Parte Prima ***
Capitolo 16: *** UNA TAZZA DI TE' E DUE CUCCHIAINI DI ZUCCHERO -Parte Seconda ***
Capitolo 17: *** QUADRI ***
Capitolo 18: *** CADERE IN TRAPPOLA ***
Capitolo 19: *** BIBLIOTECA ***
Capitolo 20: *** CADERE AI SUOI PIEDI ***
Capitolo 21: *** DOLORE ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


Angolo dell’autrice:
 
Ciao a tutti!
Eccomi alle prese con l’ennesima, entusiasmante e malinconica Dramione.

Nonostante io odi usare questi nomignoli per una coppia (come Zanessa, Drarry o Brangelina) ormai mi sono abituata a farlo.
Ne ho già scritta un’altra, di Dramione, ma il mio amore per questa coppia –o precisiamo, per Draco – non è ancora sazio.
Così ho deciso di scriverne un’altra, e ‘sta volta con un lieto fine.
 
Perché mi ostino a scrivere solo su questi due personaggi?
Beh, è che in Hermione mi riconosco, e di Draco mi innamoro, o meglio, mi innamoro del bel ragazzo che mi ricorda, bello e stronzo, il classico prototipo dello sciupa femmine misterioso.

Beh, il titolo ancora questa storia non ce l’ha, per cui quello che ho messo ora è provvisorio. Da piccola iniziavo a scrivere le storie a partire dal titolo: non ne ho mai finita una. Poi un giorno una donna meravigliosa mi ha detto che il titolo dovrebbe essere l’ultima cosa a essere scritta, come la ciliegina sulla torta.
E così sono qui, a presentare una storia senza titolo, che parlerà dell’unica cosa che la Rowling e il mondo vogliono far capire che è davvero invincibile: l’amore.
Buona lettura,
 
L’autrice.
 
 
 
 
 
 
 
                      
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
PROLOGO
 
Sono le 10.50.
Siamo in ritardo.
Controllo di nuovo il mio orologio.
10.52. Siamo decisamente in ritardo.
 
“Dai, Hermione, sbrigati!”
Sorrido tra me e me: è passato tanto tempo, eppure sentirmi chiamare per nome mi fa ancora un certo effetto.
“Sai com’è, mi sbrigherei anche, ma questa valigia peserà almeno trecento chili!”

E allora il bel biondino che mi aspetta alla fine della rampa di scale che conducono al binario sbuffa e viene ad aiutarmi.
Lo sento mormorare una cosa del tipo: “Pesa un sacco! Ma ti sei portata dietro la biblioteca?”. Questa volta, solo questa volta, però non rispondo, perché questa mattina d’autunno il mio cuore scoppia di felicità: finalmente non ci sono più differenze, non cambia nulla tra di noi, anche se qualcuno si ostina ancora a pensare che il sangue che ci scorre nelle vene è diverso.
Siamo finalmente liberi di essere noi stessi, sciolti dalla rete con cui ogni persona che si ferma a giudicare ci ha oppresso.
 
Mi sembra meraviglioso, quasi un sogno, ma è la realtà: quel ragazzo biondo e magro è mio.
E’ il ragazzo  con cui passo i giorni, le notti, con cui mi addormento e mi sveglio, èil mio ragazzo. Il mio Draco.
Un brivido mi risale veloce la schiena. Soprattutto quando mi rendo conto che lo consideravo tale. Mio.
Eppure anche per una ragazza pratica e obbiettiva come me innamorarsi è una nuova avventura, di cui non si sa nulla. E’ buttarsi nel vuoto, trattenere il respiro e scoprire che qualcuno ti prende.
Per cui ormai è un’abitudine sorprendermi a pensare a Draco come mio.
Ed è proprio lui, già arrivato in cima alle scale, a ridestarmi da queste fantasticherie, con un tono tutt’altro che romantico:
“Ma cosa fai lì a guardare nel vuoto? Sbrigati che siamo in ritardo, quante volte te lo devo dire?!”
Così ritorno in me e corro in cima alle scale.
Appena ho il tempo di guardarmi intorno il mio cuore si ferma: siamo di nuovo a King’s Cross e il nostro treno parte al binario 9.
Anche Draco probabilmente pensa la stessa cosa, perché per un attimo ha lasciato perdere il treno, le valigie e il ritardo, e mi cinge dolcemente la vita.
Siamo entrambi voltati verso una colonna, che di particolare non sembra avere proprio niente, esattamente come tante altre, che segna i binari 9 e 10.
Sento l’impulso di allungare la mano e sfiorare il muro, voglio farlo per accertarmi che sia tutto vero, ma mi trattengo: in fondo la prova è nella mia tasca, no? Tengo sempre la mia bacchetta con me, e in questo momento posso sentirla concreta attraverso la stoffa del jeans.
 
“E’ strano non esserci, vero?” chiedo in un soffio.
Draco annuisce e mi sorride malinconico; aspetta una manciata di minuti prima di ricordarmi dolcemente che dobbiamo proprio andare, o il treno sarebbe partito senza di noi.
Ma quella colonna, quel passaggio verso Hogwarts, verso il binario 9 e ¾  mi fa scattare qualcosa, un desiderio. Il desiderio di ricordare. E così, da questo momento torno indietro; ricordare com'è cominciato il viaggio più importante della mia vita, il viaggio che intraprendo salendo su quel treno.

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Capitolo 2
*** UN NUOVO INIZIO ***


CAPITOLO 1_ UN NUOVO RITORNO

“Oh miseriaccia! No!”
“Ron! Ma insomma! Non ce la fai a stare cinque secondi senza combinare qualche disastro?” Gli chiesi scocciata mentre con uno svolazzo di bacchetta aspiravo dalla pergamena tutto l’inchiostro che Ron vi aveva rovesciato.
Lui sbuffò, e quando ebbi finito si rimise a lavoro.
In realtà non era colpa sua, in quel periodo eravamo tutti abbastanza agitati:
erano gli ultimi di agosto, e ci stavamo mettendo in pari con i compiti che ci avevano assegnato per le vacanze.
Ovviamente io li avevo già finiti, ma una ripassata in più non fa mai male. E poi quell’anno avremmo avuto i M.A.G.O.
 
Ma procediamo con ordine.
All’inizio di luglio era arrivata a chiunque l’anno prima avesse frequentato, o avesse dovuto frequentare, il settimo anno a Hogwarts una lettera in cui la neo-preside Minerva McGranitt invitava gli studenti a ripetere l’anno, visto le lezioni non si erano svolte regolarmente.
I libri e il resto sarebbero stati offerti dalla scuola, che nonostante avesse bisogno di costante manutenzione e necessitasse di altri soldi, preferiva ancora una volta mettere l’istruzione dei suoi allievi davanti a tutto il resto, dedicando una buona parte dei fondi donatigli dal Ministero o da altri donatori esterni all’acquisizione del materiale scolastico.
Ovviamente eravamo maggiorenni ed eravamo liberi di scegliere, ma praticamente tutti tornarono a scuola, in parte per loro volontà, in parte perché obbligati dai genitori. Certo, con alcune eccezioni: c’era chi si credeva troppo importante per passare un altro anno a scuola (un esempio? Cormac McLaggen o Pansy Parkinson); c’era chi purtroppo era morto durante la guerra –a loro era stata dedicata una grande statua in pietra nel cortile – e quindi non poté tornare a scuola; e pochi la iniziarono a frequentare solo in parte, come Harry. Mi spiego meglio: Harry, il Ragazzo Sopravvissuto, era fondamentale per rimettere in sesto la comunità magica, e il Ministero richiedeva la sua presenza in varie occasioni, ragione per cui doveva assentarsi da Hogwarts, anche per intere giornate.
Fortunatamente i Weasley erano stati obbligati a tornare a scuola da un’irremovibile signora Weasley, e anche Luna, Neville e quelli dell’Esercito di Silente erano tornati. Quanto a me, volevo completare la mia istruzione, superare i M.A.G.O, conseguire il diploma per capire meglio cosa avrei voluto fare dopo Hogwarts.
Forse Scrimgeour aveva indovinato, avrei studiato Magisprudenza: mi attraeva molto approdare al Ministero, magari lottare per qualcosa di giusto, come i diritti degli Elfi Domestici, o contro la discriminazione verso i babbani.
A questo proposito: ovviamente tutte le leggi e i decreti messi in vigore durante il dominio di Voldemort furono ritirati. Non ci sarebbe stato nessun censimento dei nati babbani, e anche l’imponente statua ‘dedicata’ a loro al Ministero era sparita.
Andava tutto bene, si poteva camminare tranquillamente, in totale libertà, parlare con i purosangue senza che ti guardassero male, non c’erano più razzismi o distinzioni.
Era tutto più facile.
Ovviamente mi ero dimenticata di una famiglia in particolare, che faceva dei suoi ideali il suo stile di vita, che non avrebbe abbandonato le proprie idee obsolete e offensive nemmeno dopo la caduta di Lord Voldemort: i Malfoy.
 
E me lo ricordai proprio sull’Espresso per Hogwarts, quando qualcuno si schiarì rumorosamente la voce dietro di me.
“Ehm, ehm, mezzosangue, ti vuoi spostare o aspetti un invito scritto?”
Chiese qualcuno che ben conoscevo con un tono saccente.
Ero in fila davanti al carrello dei dolci, e aspettavo pazientemente ormai da dieci minuti, in attesa di comprare un pacchetto di Bolle Bollenti.
Mi stavo dedicando alla lettura della biografia non autorizzata di Harry Potter che Rita Skeeter aveva pubblicato ignorando le minacce di Harry di farle causa.
Ero arrivata proprio al capitolo “Harry Potter ed Hermione Granger: tutto ciò che volevate sapere sulla coppia”.
Era così pieno di scemenze che iniziavo a credere che anche un libro scritto da un babbuino sarebbe stato più fedele alla versione dei fatti.
Tuttavia, preferivo rileggere il libro della Skeeter per tutta la vita più che dovermi girare a parlare con Malfoy.
Così semplicemente lo ignorai.
Ma, come tutti sanno, Malfoy non è il tipo che accetta di essere ignorato.
Sentii dita ossute che mi picchiettavano la spalla.
“Ehi sorda di una Mezzosangue, ma ti vuoi girare?”
Non reagii. Iniziai invece a contare fino a dieci, in un tentativo di far scemare la rabbia che piano piano si stava impossessando di me.
Uno.
Due.
Tre.
“Ma cosa c’è di tanto interessante in quello stupido libro da impedirti di toglierti dalle palle?”
Quattro.
Cinque.
Sentii il rumore del respiro del viscido verme sempre più vicino al mio collo.
Sei.
Si era alzato in punta di piedi, evidentemente voleva spiare cosa stessi leggendo.
Sette.
“Ah. Ora mi è chiaro.”
Otto.
Nove.
“Non ti vuoi girare perché stai leggendo il romanzino d’amore sulla storiella romantica tua e di Potter? Mi dispiace di averti disturbato allora, continua pure a illuderti Granger, ma sappi che nemmeno quello sgorbio con la cicatrice ti vorrà mai”
Respirai a fondo.
E, senza arrivare al mio dieci, chiusi i libro con uno scatto secco, e mi girai fulminea.
“Che.cosa.vuoi.?” gli chiesi come un automa.
“Santo cielo Granger, che eri una cretina lo sapevo già, ma speravo che almeno ci sentissi bene. Togliti dai piedi, chiaro?!”
Una vocina maligna nella mia testa mi chiese ‘Secondo te il libro è abbastanza pesante da causargli una perdita di memoria se glielo sbatti in testa?”
Ghignai tra me. Quella prospettiva non era male.
Poi la mia parte diplomatica, come al solito, prese il sopravvento.
“Questa è una fila, Malfoy. Hai presente che cos’è una fila?”
Continuai a parlare prima che potesse rispondermi.
“Di solito in una fila, ci si mette uno dietro l’altro, aspettando che arrivi il proprio turno. Bene, tu sei dietro di me, quindi aspetti”.
E mi girai tornandomene al libro.
Ma la pace così tanto desiderata durò ben pochi istanti.
“Cosa? Io dietro di te?! Ahah, ma ti senti? Io dopo di te non starò mai. Mai. Senti, te lo dico un’ultima volta, lentamente, così magari capisci: il fatto che il Signore Oscuro è stato sconfitto dal tuo amato Potter, non cambia il fatto che il sangue che ti scorre nelle vene è sporco, e che non sarai mai alla mia altezza.”
Okay, al mio tre, sbattigli il libro in testa.” Era di nuovo la vocina maligna.
Ma dubitavo che anche una bella botta potesse fargli cambiare opinione.
Così mi limitai a guardarlo male per qualche istante, scuotendo la testa amaramente: che tristezza che ci fosse ancora qualcuno che usasse questi metodi per affermarsi superiore ad un altro. Era proprio un peccato.
E così, visto che ormai era quasi il mio turno e non avrei dovuto aspettare molto tempo lo lasciai passare, facendogli credere di aver vinto questo match: e lui, proprio come un bambino che vince una scommessa contro un suo amichetto, si avviò ghignante verso il carrello.
Ma se credeva che questa fosse una vittoria, che vincere significasse chiamarmi Mezzosangue e non cambiare il proprio modo sbagliato di pensare, beh, allora si sbagliava.
Non stava vincendo, anzi, aveva perso. Anche perché ero convinta che una qualche coscienza ci fosse dentro di lui, e speravo tanto che non lo facesse dormire la notte per i sensi di colpa. Tutto ciò non glielo dissi, ma sperai ardentemente che lo leggesse nel mio sguardo di disapprovazione.
 
 

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Capitolo 3
*** UNO STRANO BUONGIORNO ***


CAPITOLO 2_ UNO STRANO BUONGIORNO
 
 
“Ehi Herm, perché ci hai messo tanto?”
Ron mi accolse con sguardo indagatore, come d’altra parte fecero tutti quelli nel nostro scompartimento. Beh, sempre i soliti: Luna, Neville, Ginny, io, Ron ed Harry.
“Davvero ci ho messo così tanto?” Chiesi masticando una gomma.
“E’ che c’era davvero tanta fila” mi giustificai facendo spallucce, guardando fuori dal finestrino.
Lanciai il pacchetto di Bolle Bollenti a Ginny, che da brava giocatrice di Quidditch la prese al volo nonostante il mio tiro maldestro, dividendolo con suo fratello e Neville.
Mi sedetti di fianco a Harry, che sembrava sonnecchiare, desiderosa di tornare alla mia lettura. Invece il Prescelto si stiracchiò, svegliandosi dal suo torpore: poverino, era davvero stanco in quei giorni, le occhiaie scure sotto i suoi occhi verdi ne erano la conferma.
“Allora, di che parla di bello quel libro?” mi chiese sarcastico tra uno sbadiglio e l’altro.
“Ah… le solite cose…” gli risposi con tono distaccato, cercando di sembrare troppo concentrata per parlare. La verità era che quel libro era un disastro, e non appena Harry l’avesse scoperto avrebbe strangolato Rita Skeeter con le proprie mani. Non che mi dispiacesse, ma in quel periodo volevo un po’ di pace per riprendere il mio ritmo di studi: non volevo finire al tribunale a testimoniare in favore del Ragazzo Che E’ Sopravvissuto dopo che era stato mandato ad Azkaban perché aveva ucciso la Skeeter.
Così, sembrando il più possibile disinteressata alle chiacchiere dei miei amici, affondai il naso nel libro, appoggiando la testa contro il finestrino.
Quando riemersi dalla lettura mi accorsi che eravamo ormai arrivati: riuscivo a vedere il Lago Nero.
Il viaggio verso Hogwarts fu come tutti gli altri anni: Luna che parlava di creature sconosciute a chiunque fosse sano di mente, Ron che parlava con Neville a proposito della cena, ed Harry e Ginny che parlavano di Quidditch, e io che ascoltavo un po’ tutti.
La cena però non fu affatto come negli anni precedenti: nessuna voce profonda aveva interrotto la cena parlandoci di ideali, della morte, della paura o di Voldemort. Si era invece levata alta una voce acuta e ferma, carica di emozione ed affetto per i giovani che aveva davanti, quella della professoressa McGranitt, che riassunse un po’ la situazione: “Ragazzi e ragazze, bentornati a Hogwarts. Come molti di voi sapranno già, chi l’anno scorso ha frequentato il settimo anno è stato invitato a ripeterlo, poiché i Mangiamorte insediati qui hanno impedito il regolare svolgimento delle lezioni. In oltre molti sono scappati o hanno smesso di frequentare, e altri invece non l’hanno nemmeno iniziato: per cui il nostro corpo docenti –appoggiato dal Ministero della Magia- ha deciso di riproporvi di completare la  vostra istruzione per permettervi di superare i M.A.G.O. e noto con piacere che la maggior parte di voi è tornata. Per quanto riguarda la Battaglia che c’è stata… Beh, sono sicura che tutti gli insegnanti si uniranno a me in un applauso, per ringraziare. Ringraziare voi, senza i quali Hogwarts probabilmente non sarebbe in piedi.” Si concedette una pausa, poiché la voce le tremava, scossa un po’ dalle lacrime, mentre tutti, studenti e insegnanti applaudivano.
“Nonostante ciò –riprese con vigore- sappiate che nessuno, e dico nessuno, qui dentro sarà trattato in modo diverso. Ad Hogwarts non ci sono mai stati favoritismi, non crediate che quest’anno sarà diverso: gli studenti sono tutti uguali, non importa che valorosi eroi possiate essere. E ora, prima di presentarvi il nuovo insegnante di Difesa contro le Arti Oscure –che mi sembra che molti di voi abbiano già riconosciuto- vi chiedo un minuto di silenzio, in onore di chi è caduto per permetterci di stare insieme, questa sera, in questa sala.”
Tutti chinarono il capo solennemente . Tra gli studenti e gli insegnanti regnava il silenzio: era indifferente a quale casa si apparteneva, tutti avevano qualcuno a cui indirizzare i propri pensieri in quel minuto.
Tonks, Lupin, Fred, Piton…
Vidi che le lacrime solcavano varie guancie, in particolare tra i Grifondoro.
Invece Harry, seduto vicino a me, guardava lontano, con la testa alta e gli occhi lucidi, probabilmente pensando a Silente o a Piton…
“Grazie –continuò la McGranitt tirando su col naso- e ora, passiamo a cose più allegre. Dopo tante riflessioni abbiamo convenuto che il nuovo insegnante di…” si dovette interrompere perché stava già partendo un applauso, ma si limitò a guardare affettuosamente chi batteva le mani, chiedendo un po’ di silenzio.
“Dicevo. Abbiamo convenuto che il nuovo insegnate di Difesa Contro le Arti Oscure non poteva essere che un uomo che ha combattuto al nostro fianco, un uomo valoroso e umile, che ha fatto per tanto tempo parte dell’Ordine della Fenice.”
Fu costretta a urlare il nome mentre il nuovo insegnante diventava tutto rosso e cercava di non sorridere a tutto quell’apprezzamento, poiché tutte le Case si erano alzate in piedi ad applaudire: “Aberforth Silente!”
Solo qualche Serpeverde si lamentava del fatto che non voleva uno che fino a poco prima gestiva un pub come insegnante; tutto il resto della sala era entusiasta: tutti avevano visto le prodezze di Aberforth durante la Battaglia Finale.
E poi, diciamolo, Aberforth ricordava Silente in maniera impressionante, e nonostante il suo carattere burbero riusciva a trasmettere una parte di quella tranquillità che suo fratello era solito infondere a chi gli stava accanto.
La McGranitt ci mise un paio di minuti a zittire gli studenti, e nonostante loro continuassero a mormorare il sorriso non smetteva di illuminarle il volto: nel suo sguardo si poteva intravedere l’amore che provava verso i suoi studenti, pari all’amore di una madre per i figli.
“Bene. A quanto pare siete d’accordo con la nostra decisione! Quest’anno non ci sarà nessuno contro cui combattere, ma abbiamo ritenuto lo stesso giusto fornirvi un insegnasse che avesse avuto esperienza vera, che avesse combattuto: o qualcuno preferisce che venga assunto Allock?” Fischi giocosi di disapprovazione si sparsero tra i tavoli: la McGranitt non era la sola ad odiare profondamente quell’idiota codardo.
“E ora, a dormire. In camera troverete delle sorprese di benvenuto, ma nonostante questo domani vi vogliamo puntuali qui per potervi distribuire il nuovo orario.  Buonanotte”
Detto questo tutti gli studenti si incamminarono allegri verso i dormitori, curiosi di vedere le sorprese che avrebbero trovato.
Non fu nulla di speciale, ma ad ogni modo trovare una scatola di cioccolatini o di  caramelle sul proprio letto ti faceva sentire a casa.
A ognuno era toccato un assortimento diverso: a me delle Cioccorane. Ron aveva avuto una gran sfortuna: gli erano capitate solo gelatine tutti i gusti più uno, e purtroppo nessuno di quelli che aveva mangiato avevano un sapore decente: questo determinò il suo malumore per parecchi giorni. Harry non si poteva lamentare: stecche di liquerizia e caramelle Mou.
Nonostante i miei continui sollecitamenti ad andare a letto abbastanza presto visto che la mattina dopo avremmo dovuto svegliarci presto, restammo alzati fino a tardi: io perché volevo ripassare un po’ per sicurezza e poi perché dovevo scrivere a mamma e papà che l’arrivo era andato tutto bene (già, fortunatamente loro erano tornati come sempre, li avevo trovati e avevo annullato l’incantesimo di memoria). Harry mi convinse che doveva spedire alcuni Gufi a Kingsley Shakebolt, nuovo Ministro della magia, e per cui acconsentii affinché restasse alzato; Ron purtroppo non riuscì ad accampare una scusa decente per stare sveglio, ma mandarlo a dormire come una mamma cattiva, nonostante il giorno dopo ero sicura che avrebbe fatto fatica ad alzarsi, mi sembrava una cattiveria, così restammo tutti in Sala comune, come quando eravamo piccoli, e ben presto le lettere e i compiti furono dimenticati: ci ritrovammo a parlare fino a tardi di Hogwarts, di Aberforth, di Voldemort…
 
E così, come da me previsto, la mattina dopo ci svegliammo con delle occhiaie che avrebbero fatto paura a Dracula.
Mi rigirai nel letto, cercando di riposare altri cinque minuti, consapevole però che una volta che mi sveglio, è davvero impossibile che mi riaddormenti.
Così mi alzai in piedi stiracchiandomi per bene e mi avvicinai alla finestra davanti al mio letto.
Guardai fuori: le colline erano illuminate da una luce tenue, quasi timida, azzurrina. Evidentemente doveva essere l’alba. Guardai il cielo, per essere certa di non sbagliarmi: potevo scorgere ancora uno spicchio di luna, che sembrava immergersi dietro le colline per lasciare posto al sole che, dalla parte opposta, sorgeva sovrano. Rimasi magnetizzata e restai a guardare finché il sole non sorse del tutto: era così bello poter vedere due corpi celesti così diversi insieme. Il sole e la luna, il giorno e la notte, la luce e le tenebre.
Improvvisamente il mio senso pratico si impadronì di me: l’alba?
Perché diavolo mi ero alzata così presto?
Ero certa di essere andata a letto davvero poche ore prima, e nonostante questo il mio corpo aveva deciso di iniziare a lavorare prima del previsto.
Beh, visto che mi ero svegliata così presto, tanto valeva approfittarne.
Indossai accuratamente la solita divisa, e silenziosamente mi avviai in Sala Grande.
Mi accorsi dell’orario solo quando passai davanti all’orologio dorato in Sala Comune: le sei e un quarto. Pensavo di essermi svegliata prima.
Ad ogni modo arrivai in Sala Grande praticamente correndo, certa di trovare già il mio orario affisso alla parete come tutti gli altri anni: e fu esattamente così.
Constatai con gioia che la mia prima ora sarebbe stata trasfigurazione con la neo-preside McGranitt, a seguire Difesa Contro le Arti Oscure e Pozioni.
Non si accennava a un’ora di Antiche Rune fino a giovedì. Peccato: la sera prima avevo impiegato tanto per ripassare per bene la materia!
Mi sedetti accigliata al solito tavolo già apparecchiato e imbandito di ogni genere di leccornia, continuando a guardare il mio orario sorseggiando un tè.
Fui interrotta dalla professoressa McGranitt, accompagnata da altri due studenti.
Quando vidi chi erano i ragazzi che le camminavano accanto per poco non mi soffocai dal ridere con il tè: alla sua destra c’era Emma James* di Corvonero, e alla sua sinistra Draco Malfoy, tutto disordinato. Stava cercando di infilarsi la camicia nei pantaloni –la cui cintura era slacciata – aveva una scarpa in mano, mentre con l’altra cercava di sistemarsi i capelli e tra i denti reggeva la cravatta: aveva decisamente l’aria di qualcuno appena buttato giù dal letto.
“Buon.. buon giorno Professoressa!” cercai di dire evitando di ridere in faccia all’impiastro biondo.
“Ah, signorina Granger, bene bene, stavo cercando proprio te. Mi fa piacere che le sue abitudini mattiniere l’abbiano portata proprio qui, altrimenti sarei stata costretta a venire a cercarti nel suo dormitorio.”
“E’ successo qualcosa professoressa?” chiesi accigliandomi: se la McGranitt era evidentemente così determinata a trovarmi, anche a costo di cercarmi nei dormitori, voleva dire che era importante.
“No, no, signorina Granger, niente di grave, non preoccuparti.
 “Però vorrei chiederti di venire nel mio ufficio.
“Ah, prima dovremo fare una deviazione per andare a prendere  Zacharia Smith di Tassorosso nel suo dormitorio, visto che nemmeno lui si è svegliato ad un orario adeguato” aggiunse guardando Malfoy di sbieco.
Detto questo, la professoressa si avviò a passo di marcia verso le cucine, dove si trovava la Sala Comune di Tassorosso, evidentemente decisa a sbrigarsi per arrivare nel suo ufficio il prima possibile.
Non potei ribattere poiché dovetti quasi correre, insieme agli altri due ragazzi, per stare al passo con la McGranitt.
Dopo aver recuperato un altrettanto confuso e addormentato studente, ci dirigemmo in fretta verso la torre in cui si trovava l’ufficio della neo-preside.
Ma prima di entrare in quello studio assai familiare, mi presi il gusto di guardare Malfoy, ancora tutto scombussolato, dall’altro in basso e chiedere con aria innocente “Svegliato male stamattina eh, Dracuccio di mammina?”
Sarò anche una sporca Mezzosangue, ma quando certe occasioni si presentano mica me le lascio sfuggire…
 
 
 
 
*Emma Jones è un personaggio di mia invenzione, e senza un importante ruolo nella storia: l’ho creata solo per avere un’altra Caposcuola; potete anche dimenticarvi il suo nome perché non la rincontreremo praticamente mai.
 
 

 

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Capitolo 4
*** ORARI E DOVERI ***



CAPITOLO 3_ ORARI E DOVERI

“Bene ragazzi, sedetevi” iniziò la McGranitt una volta nel suo ufficio, indicandoci quattro sedie davanti alla sua scrivania.
“Lo so che è un orario un po’ particolare per una riunione, ma avevo bisogno di parlarvi prima che cominciassero le lezioni.
Come sapete già dai rotoli di pergamena che vi ho fatto arrivare sull’Espresso per Hogwarts ieri mattina, voi quattro siete stati scelti per diventare Capiscuola: uno per ogni Casa, due maschi e due femmine.”
Si interruppe per lanciare un’occhiataccia a Malfoy, che a bassa voce aveva mugugnato qualcosa del tipo: “Ed è sicura che la Granger sia una ragazza, professoressa?”
“Certamente saprete che il Caposcuola è una figura oltremodo importante, e abusare del potere e della fiducia che vi sono stati affidati sarebbe un atto di grande scorrettezza. Ovviamente potrete togliere punti, segnalare agli insegnanti comportamenti scorretti, restare in giro per il castello fino a tardi.
Ma se da una parte vi vengono concessi questi agi, dall’altra vi vengono affidate responsabilità maggiori.
Per un Caposcuola farsi sorprendere a fare qualcosa di scorretto significherebbe una punizione più grande che per un altro studente.
Solo voi rispondete delle vostre azioni, e nel caso a commettere un’infrazione alle regole veniate sorpresi con qualche minorenne, sarete voi a pagare per lui o per lei.
Se credete che tutte queste responsabilità non siano alla vostra portata – e qui uno sguardo severo fu destinato a Malfoy- ditelo ora.”
Nessuno fiatò.
“Molto bene, allora continuiamo con il programma di quest’anno…”

Dopo una noiosa mezz’ora passata a discutere dei doveri dei capiscuola e dei prefetti, la McGranitt acconsentì a lasciarci tornare alla nostra colazione.
Proprio mentre uscivo però sentii: “Signorina Granger, rimani un attimo qui per favore”.
Sospirai, aspettai che gli altri uscissero e mi sedetti su una delle quattro sedie davanti alla scrivania della Preside.
Lei stava armeggiando con dei fogli, e per una buona manciata di minuti non mi parlò.
Poi mise da un lato i fogli, si sistemò gli occhiali in un tipico gesto che le avevo visto fare tante volte, e incrociò le dita: “Allora Hermione, probabilmente sai già perché ti ho trattenuta”.
Non dissi nulla: non ne avevo davvero la minima idea.
“Penso che nessuno meglio di te potrebbe essere adatto al ruolo di Caposcuola, ma devi capire che sei al settimo anno, l’anno più impegnativo… Non è che stia dubitando che tu non ce la possa fare però… Questo è un anno particolare e come Caposcuola dovresti farmi un rapporto scritto una volta ogni undici giorni, e aggiungendolo ai tuoi doveri da Prefetto e al fatto che frequenti il doppio delle lezioni di tutti gli altri… Insomma Hermione, non vorrei che ti stressassi.”
Vedendo che stavo aprire la bocca per replicare continuò rapidamente.
“So benissimo che non è mai successo che tu abbia avuto un crollo, ma i M.A.G.O. sono molto più difficili dei G.U.F.O. e in passato altri Caposcuola hanno rifiutato l’incarico a causa dello sforzo eccessivo. Per cui ti chiedo di rifletterci: verrai qui giovedì prossimo alle sei per comunicarmi la tua scelta. E ora, torna pure alla tua colazione”. Disse liquidandomi con un gesto della mano.
“Ma io so già..”
“No, signorina Granger –mi interruppe- voglio che ci pensi. Ci vediamo alla prossima ora.”
Uscii senza replicare, con la bocca spalancata.
Ero sicura che sarei riuscita benissimo a gestire il tutto, e mi avrebbe fatto anche molto piacere.
Ero appena scesa dalla scalinata a chiocciola che conduceva all’ufficio del Preside quando incontrai Malfoy.
“Cos’è quella smorfia Granger? La McGranitt ti ha appena detto che sei troppo brutta per restare a scuola?”
Quel colloquio mi aveva particolarmente inacidito, e non persi l’occasione per infastidirlo: “Ti piacerebbe. Tu cosa fai qui? Spiavi? O sei venuto a chiedere un permesso speciale per andare a trovare papino ad Azkaban?”
“Come… come osi?”
“Ma stai zitto Malfoy, ti abbiamo salvato la vita, e non una sola volta, sarebbe ora di mostrare un po’ di riconoscimento.”
“Cosa?! Ric..” era troppo sconvolto per formulare una frase “Stupida Mezzosangue!” Estrasse la bacchetta dalla tasca, ma quando la alzò era ormai troppo tardi: l’avevo disarmato prima che potesse anche solo pensare un incantesimo.
Lasciai cadere la sua preziosa bacchetta a terra e contemporaneamente gli puntai la mia contro. Stavo già pensando all’incantesimo trasfigurante che l’avrebbe fatto diventare un furetto, quando lo guardai negli occhi: vi vidi qualcosa di strano, non so, ma qualunque cosa fosse mi stupì, perché mi fermai per un attimo, come interdetta, con la bacchetta ancora in mano puntata verso di lui.
Quando però vidi che si stava chinando per raccogliere la sua mi ripresi: probabilmente se avesse avuto la possibilità di scagliare un altro incantesimo non l’avrei passata liscia.
Così, sempre con un incantesimo trasfigurante, mi limitai a fargli diventare i capelli color petrolio.
Corsi via in tempo per sentirlo urlare: “Questa me la paghi, schifosa Mezzosangue!”
“Suvvia Malfoy, un po’ di originalità: questa l’ho sentita troppe volte!”


Dopo essermi lasciata alla spalle il Serpeverde raggiunsi Ron e Harry in Sala Grande.
“Ehi Hermione! Dove sei stata finora?” mi chiese Harry dopo che mi sedetti al suo fianco. Almeno lui sembrava essersi accorto che mi ero assentata, al contrario di Ron che fissava il suo orario come in preda a una paralisi.
“Oh, ero nello studio della McGranitt che aveva riunito tutti i capiscuola per dirci un po’ cosa fare quest’anno…”
“E allora perché hai quella faccia triste? Sembra che ti sia morto Grattastinchi”
Ron stranamente non intervenne nemmeno quando sentì il nome del mio gatto, che tanto odiava.
“Oh, beh… Malfoy…C’ho litigato” borbottai mentre masticavo una cucchiaiata di cereali.
“E da quando ti importa di quello che dice Malfoy?” chiese Harry con tono di chi la sa lunga, guardandomi negli occhi.
Deglutii rumorosamente.
Ron intanto fissava il foglio nella stessa identica posizione in cui era quando ero arrivata. Il tost davanti a lui era insolitamente intatto.
“Ma sta bene?” chiesi a Harry preoccupata  indicando Ron con un cenno del capo.
“Oh, si, non ti preoccupare” mi rispose Harry tagliando corto.
“Tu piuttosto. Mi dici veramente che hai?” Capii che questa volta non avrei potuto non rispondere, così gli raccontai la verità, nonostante il mio orgoglio fosse davvero ferito: “No, è che.. dopo la riunione la McGranitt mi ha trattenuta, mi ha detto che sarei perfetta come caposcuola però…”
“Però?” mi incalzò lui.
“Però non lo so. Mi ha detto di pensarci. E anche quando le ho detto che non avevo bisogno di tempo e che volevo diventarlo mi ha detto di no. Mi ha detto che secondo lei potrei stressarmi… Non so Harry, secondo me non è sicura nemmeno lei di volermi far diventare una caposcuola” Terminai abbassando la voce alla fine della frase.
“Oh, non dire sciocchezze Hermione” disse Harry dolcemente cercando di rassicurarmi: “Vedrai che tut..” ma fu interrotto da Ron che per la prima volta nella mattinata parlò.
“Per le mutande di Merlino!” E dopo questa breve affermazione si richiuse nel suo silenzio.
Stavo per chiedere se avesse problemi con l’orario quando vidi una cosa che per poco non mi fece andare di traverso i cereali. Iniziai a ridere come una matta, e quando indicai ai miei due amici il motivo della mia improvvisa allegria, iniziarono anche loro a sbellicarsi dalle risate.
Pochi metri più avanti c’era Malfoy, scortato come al solito da due ragazzini di Serpeverde che solitamente lo consideravano una divinità; tuttavia questa volta sembrava che anche loro si trattenessero dalle risate: i capelli del loro capo erano di un imbarazzante grigio topo, con accenni qua e là di macchie grigie e bionde.
Nonostante sapesse di essere deriso e additato da tutti gli studenti di Grifondoro e in gran parte di Corvonero e Tassorosso, Malfoy si limitò a uscire furioso dalla Sala Grande, mandando occhiate che avrebbero potuto incendiare un albero verso di noi. Era evidente che avesse cercato di far tornare i capelli del loro colore, peccato che quando Hermione Granger fa qualcosa la fa per bene: infatti avevo usato un incantesimo un po’ diverso dagli altri, che permetteva di essere rimosso solo con un’apposita formula. Un semplice finitem incantatem avrebbe semplicemente peggiorato le cose.
Ron, che sembrava essere riemerso dal suo mutismo, mi disse con un gran sorriso “Credo proprio che quest’anno ci sarà da divertirsi.”
Fui totalmente d’accordo con lui.
“Ron, ma cos’è che è successo?” Chiesi approfittando del buonumore passeggero.
Quella domanda cancellò il sorriso che pochi istanti prima gli illuminava il volto.
Rispose Harry per lui, con una smorfia sul volto: “E’ colpa dell’orario. Quest’anno abbiamo davvero pochissime lezioni insieme. Mi pare solo trasfigurazione ed erbologia. Abbiamo tutti e tre orari diversi.” Ron grugnì, come a voler approvare ciò che aveva detto Harry.
In effetti era vero. Guardai la tabella con tutte le lezioni che mi ero presa l’impegno di frequentare: era davvero fittissima. Mi chiesi se ce l’avrei fatta e per un attimo mi prese il panico.
Poi mi portai la mano al petto, e sentii sotto la maglia la catena alla quale era appeso il Giratempo, probabilmente l’oggetto più prezioso che avessi.
Fui tentata di farlo girare, più e più volte, per poter tornare indietro. Fino a che punto però, non lo sapevo. Volevo tornare nel passato, rifare tutto, ma il gira tempo non mi sarebbe servito.
Andare indietro, ricominciare da capo, era facile, ma l’impresa era andare avanti.
E come a volermi ricordare che il presente scorreva veloce verso quel difficile futuro gli studenti iniziarono ad alzarsi dai tavoli, avviandosi verso la prima lezione di quell’anno.
La mia prima ora era Trasfigurazione, con Serpeverde.
Oh sì, ci sarebbe stato da divertirsi.

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Capitolo 5
*** SOSPETTI ***


CAPITOLO 4_  SOSPETTI
 
Era arrivato giovedì. Tre faticosi giorni erano passati.
Forse i più faticosi di tutti quelli che avevo passato a Hogwarts.
Sembrava che il corpo docenti si fosse messo d’accordo sotto ordine della McGranitt per farmi lavorare il più possibile e di conseguenza dimostrarmi la pesantezza che un ulteriore incarico avrebbe potuto avere su di me.
Ma avevo deciso, ero determinata: alle sei in punto di giovedì fui davanti alla porta dell’ufficio della Preside.
Veramente ero arrivata con almeno mezz’ora d’anticipo, ma non avevo osato entrare, volendo attenermi come mio solito agli orari esatti prestabiliti.
Quando sentii i rintocchi provenienti dalla Torre dell’Orologio che segnavano le diciotto, bussai.
Mentre sentivo quei tocchi forti causati dalle mie nocche contro il legno secolare della porta mi sentii quasi vibrare, invadere da quel rumore profondo.
Improvvisamente mi sentii piccola piccola, davanti quel portone grande, come se fosse l’accesso alla tana del lupo.
Mi venne voglia di scappare, poi fortunatamente la voce familiare della McGranitt disse “Avanti” e tutte le mie paure e le mie fantasie sparirono.
Entrai.
Come al solito mi sedetti sulla sedia davanti alla scrivania della Preside.
Guardai lo studio, sempre nella mia parte di Cappuccetto Rosso, che però entra a casa della Nonna e si guarda intorno, un po’ spaesata, cercando di ricordare.
Il lunedì precedente ero troppo presa dalla mia nuova carica di Caposcuola per poter fare mente locale. Era come mi ricordavo quando vi ero entrata anni prima, quando c’era ancora Silente: nulla era stato spostato.
C’erano ancora strani marchingegni che però avevano smesso di funzionare, il trespolo di Fanny lì nell’angolo era vuoto, diversamente dai quadri appesi alle pareti: tutti i presidi erano lì, alcuni curiosi altri assonnati. Solo due facevano eccezione: il grande dipinto esattamente dietro alle spalle della Preside, quello in cui avrebbe dovuto esserci Albus Silente, e quello alla sua destra, in cui avrebbe dovuto esserci Severus Piton. Entrambi erano vuoti.
“Allora signorina Granger, come sono andati questi primi giorni?”
“Benissimo” mi affrettai a rispondere, cercando di mascherare il più possibile quanto in realtà fossero stati faticosi.
“Hai preso una decisione?”
“Sì, sì: io sarei onorata di diventare Caposcuola, e penso che ciò non influirebbe sul mio rendimento scolastico e nemmeno renderebbe più faticoso l’inserimento a scuola.”
La McGranitt chinò il capo, si sistemò gli occhiali e sorrise.
Un sorriso strano però, come a voler dire ‘io ti ho avvisato’.
Ci fu un minuto di silenzio poi continuò: “ Benissimo, se ritieni che sia la cosa migliore per te mi fa molto piacere. Penso che il nostro colloquio si possa chiudere qui, allora. Tutte le istruzioni le sai… la prossima riunione dei Capiscuola è qui, nel mio studio, fra otto giorni: voglio un rapporto scritto sui comportamenti riscontrati. Buona giornata Hermione.”
Stavo per congedarmi con un ‘arrivederci’ quando qualcuno bussò.
“Ah, bene bene. Avanti” disse la McGranitt con un tono tra il compiaciuto e il sorpreso.
Entrò Malfoy, che  quando mi vide fu sorpreso quasi quanto me di vedere lui.
Stavamo entrambi per chiedere ‘cosa ci fai tu qui?!’ quando la Preside, dopo aver fatto materializzare una sedia accanto alla mia disse:
“Siediti, signor Malfoy, capiti a fagiolo”
Il Serpeverde, al quale evidentemente non piaceva di essere ‘capitato a fagiolo’, si sedette di fianco a me con una smorfia.
Mi alzai.
“Arrived..”
“No, signorina Granger, non occorre che te ne vada, già che sei qui ne approfitto.” Mi interruppe la McGranitt prontamente.
“Vi ho convocati entrambi per un motivo comune: siete due studenti particolari, entrambi siete i più adatti della vostra Casa per essere Capiscuola.
Però, per motivi diversi, ritenevo giusto dovervi chiedere personalmente se vi sentiste in grado di affrontare un simile impegno. Vi ho dato tre giorni per riflettere, ed entrambi mi avete dato una risposta positiva. O almeno così suppongo. So che la signorina Granger ha accettato, tu, signor Malfoy?”
“Eh.. Sì, sì…”Rispose in fretta il biondo, quasi rosso in viso: sembrava che la McGranitt mi avesse appena detto un segreto di cui avrebbe dovuto imbarazzarsi.
Si vergognava forse del fatto che la McGranitt non fosse sicura di volerlo far diventare Caposcuola? Mi sembrava strano, tuttavia non pensavo al fatto che anche io mi ero vergognata a raccontarlo a Harry.
La Preside continuò con un tono severo.
“Bene. Visto che entrambi mi avete dato risposte positive è necessario mettere in chiaro una cosa: la Guerra è finita. Non ci sono più discriminazioni o divisioni.
Non voglio più vedere dispute tra Grifondoro e Serpeverde. Sarete considerati i responsabili in ogni caso. Sarà meglio per voi andare d’accordo. Non tollererò più un episodio come quello di lunedì scorso nel corridoio adiacente al mio ufficio. Ne insulti riguardanti la propria Casa di appartenenza o lo stato del proprio sangue. Sono stata chiara?”
L’aveva detto con un tono così rigido, che penso che sia io che Malfoy ne fummo intimoriti.
Ci sbrigammo ad annuire entrambi, certi che la Preside non avrebbe ammesso repliche.
“Bene, e ora, scusatemi ma ho da fare. Buona serata ragazzi.”
Uscimmo dallo studio in rigoroso silenzio, solo io mentre varcavo la soglia dell’ufficio, mi ricordai di mormorare un timido “Arrivederci”.
Quando la porta si chiuse alle nostre spalle restammo lì, immobili, con le facce di chi ha appena ricevuto una sberla.
Poi dissi, sempre sottovoce come per paura che la McGranitt mi potesse sentire: “Beh… devo andare…”
Malfoy si limitò ad annuire. Poi scosse la testa e se ne andò.
Appena arrivata in Sala Comune mi ripresi: i sorrisi dei miei amici mi fecero ricordare che ero diventata Caposcuola. Scherzammo tutta la sera, che passò più in fretta di quando avessi voluto.
 
 
 
La mattina seguente a svegliarmi per bene ci fu come prima ora Difesa Contro le Arti Oscure, col nuovo professor Silente.
Entrammo tutti in classe come un sorriso, nonostante ad accoglierci in classe invece del solito ‘buongiorno’ ci fu un grugnito di saluto da parte dell’insegnate.
Dopo che tutti prendemmo posto, Aberforth iniziò a parlare, illustrandoci i migliori metodi per uccidere un vampiro.
Personalmente non trovai la lezione interessante: avevo già letto il capitolo del libro riguardante i vampiri l’anno precedente, quando avevo dovuto imparare più incantesimi possibili contro le Creature Oscure poiché, essendo  in viaggio alla ricerca degli Horcrux, non sapevo contro che cosa avremmo dovuto combattere.
Dopo un’ora di  Antiche Rune con Tassorosso ci fu Storia della Magia, con Serpeverde.
Avrebbe dovuto esserci anche Harry, ma sfortunatamente era stato chiamato a Londra, per inaugurare la Gringott dopo la ristrutturazione. Ron invece aveva erbologia con Corvonero: lo immaginai a trapiantare piante vicino a Luna, che probabilmente lo stava convincendo che nella terra si trovavano le abitazioni di qualche strana creatura invisibile.
Mi sedetti di fianco a Neville, che mi accolse con un gran sorriso.
“Hey, Hermione! Come stai?”
“Ciao Neville. Bene, insomma, è un po’ faticoso… a te come va?”
“Ah, beh, se fai fatica tu con lo studio immagina io… comunque volevo chiederti se potevi prestarmi…” ma fu interrotto dal professore: “Paciock, Granger! Insomma, basta parlare! Siete al settimo anno, avete gli esami! Sarà meglio prestare un po’ di attenzione! Poi da lei, signorina proprio non me l’aspettavo. E ora, passiamo alla lezione…”
Sbuffai: non ne potevo più di sentirmi dire ‘da te non me l’aspettavo’. Perché tutti si aspettavano così tanto? Poi avevamo solo detto due parole!
Eppure la McGranitt me l’aveva detto: non avrei potuto permettermi distrazioni quell’anno.
Cercai di recuperare durante l’intera ora, alzano la mano e rispondendo alle domande che il professor Ruf faceva alla classe: guadagnai anche dieci punti per Grifondoro.
Mancavano dieci minuti alla fine della lezione quando sentii un fastidioso chiacchiericcio provenire dall’angolo in fondo alla classe.
Anche il professore se ne accorse, perché riprese i Serpeverde, che però continuarono a parlare ignorando come al solito il docente.
Guardai scocciata nella loro direzione: ma che c’era di tanto divertente in una lezione di storia?
Avrei dovuto aspettarmelo: a essere divertente non era la lezione, bensì Draco Malfoy che, accerchiato da quelli della sua Casa, stava sguazzando nella sua popolarità.
Ogni volta che apriva bocca, ma ero troppo lontana per sentire cosa dicesse, quelli vicino a lui si mettevano a ridere e lo guardavano ammirati.
Peccato che ero in secondo banco, e a furia di girarmi il professore se ne accorse e tolse cinque punti a Grifondoro a causa ‘della mia continua voglia di disturbare la lezione’.
Ma non mi arrabbiai più di tanto: ero troppo interessata a scoprire cosa stavano confabulando i Serpeverde.
Continuavano a sghignazzare, e vidi Zabini che dava una gomitata a Malfoy e m’indicava.
Mi accigliai e gli mandai uno sguardo carico di disprezzo. Anche Neville iniziò a guardarsi indietro, per vedere cosa stessi guardando, e ciò attirò nuovamente l’attenzione del professore, che nuovamente ci riprese, causando ovvie risate da parte del gruppo di serpi.
Ero così infuriata che stavo per perdere il controllo.
Fortunatamente c’era Neville che mi intimava di stare calma; guardai il mio orologio da polso: mancavano due minuti alla fine dell’ora.
Mi girai un’ultima volta verso quel tavolo: tutti alternavano lo sguardo da me a Malfoy, che dopo una manciata di secondi a guardarmi serio, annuì ghignando.
Fortunatamente la lezione finì, impedendo al professor Ruf di togliere altri punti a Grifondoro a causa della mia scarsa attenzione.
Mentre mi giravo a prendere i libri notai con la coda dell’occhio che Malfoy era accerchiato dai compagni di casa, che gli davano pacche sulle spalle o scuotevano la testa, come se fossero increduli per qualche fatto bizzarro.
Mi strinsi nelle spalle: finché non mi disturbavano direttamente potevo anche ignorarli.
Mi incamminai svelta verso i sotterranei: mi aspettava  un’ora di pozioni e poi mi sarei potuta sedere esausta in Sala Grande per godermi il meritato pranzo.
Stavo proprio varcando la soglia quando Neville mi fece girare prendendomi per la maglia con un cipiglio preoccupato e fece un cenno indicando qualcosa davanti a noi: Draco Malfoy, in tutta la sua arroganza, avanzava sicuro verso di noi, con uno strano sorriso sul volto.

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Capitolo 6
*** SFIDA IMPOSSIBILE ***




Angolo dell’autrice:
eilà, cari lettori! Sono felice di informarmi che oggi pomeriggio ho avuto un colpo di genio che mi ha portato a dare una svolta a questa storia.
Il capitolo è abbastanza corto e rileggendolo non era proprio come avrei voluto: secondo voi è un po’ troppo strano l’atteggiamento dei protagonisti?
Quello di Draco ha un suo perché, ma non volendo cadere nell’OOC, chiedo il vostro parere!
Un bacione

A.
 
 
 
 


CAPITOLO 5_  SFIDA IMPOSSIBILE
 
 
 
Chi non ci conosceva bene, quella mattina avrebbe pensato che Draco Malfoy, Neville Paciock e io fossimo buoni amici che si salutavano amabilmente scambiando quattro chiacchiere a fine lezione.
 
Devo ammettere che le nostre mascelle a vedere l’ultimo erede dei Malfoy che con un amichevole sorriso –che mai aveva presagito qualcosa di buono- si dirigeva verso di noi, si spalancarono così tanto che sembravano potessero toccare terra.
Il Serpeverde stranamente non commentò lo stato catatonico in cui sembravamo essere precipitati e si diresse sicuro fino a noi agitando la mano in segno di saluto.
 
Avevo gli occhi ridotti a due fessure mentre mi frugavo la mente, cerca di una plausibile spiegazione alla cortesia del biondino.                                                                                     
Neville invece continuava a girarsi, come a voler provare che i saluti della subdola serpe non erano indirizzati a noi, bensì a qualcuno probabilmente dietro le nostre spalle.
In poche falcate Malfoy ci raggiunse e raggiante salutò come se niente fosse:
“Hei!”
Neville era troppo impegnato a rivedere in un flashback tutti i sei anni di cattiverie gratuite che aveva subito a causa di quel figlio di Mangiamorte per rispondere.
Gli feci un cenno con la testa e poi andai al dunque: “Cosa vuoi Malfoy?”
Lui parve sinceramente offeso dal mio tono poco cordiale.
“Ma nulla Granger, volevo salutarvi e chiederti se mi potevi prestare i tuoi appunti, visto che durante quest’ora sono stato un po’ distratto.”
“Me ne sono accorta…” bofonchiai a bassa voce mentre cercavo gli appunti nella borsa.
Mentre armeggiavo nella tracolla , Malfoy indicò con fare quasi premuroso Neville, che aveva ancora lo sguardo perso nel vuoto, con un cenno della testa: “Ma sta bene?”
Lo guardai scettica: “Cos’hai tu, piuttosto?”
Il biondo inarcò un sopracciglio e, sforzandosi di essere gentile, sorrise: “Niente davvero, grazie per l’interessamento”.
Guardai il ragazzo come se venisse da un altro pianeta e, desiderosa di mettere fine a quella conversazione al più presto, gli consegnai i preziosi appunti.
Mi aspettavo che una volta nelle sue mani, il Serpeverde li strappasse, li bruciasse o qualcosa di simile.
Lui si limitò a ringraziare e a metterli nella borsa, e dopo un saluto a cui entrambi non rispondemmo, uscì dall’aula.
 
 
 
 
  
 
 
 
****
 
 
Draco Malfoy appena entrato nella Sala Comune dei Serpeverde si accasciò su una poltroncina e, schifato, buttò  per terra gli appunti di quella sporca Mezzosangue.
Sperava che non gli avessero infettato i libri, i germi della Nata Babbana.
Si prese mentalmente un appunto per fare in modo che qualche elfo li pulisse al più presto.
Sospirò rumorosamente: tutti quei sorrisi gli avevano dato alla testa.
Un ghigno apparve poi sul suo volto diafano: vedere la faccia di Paciock quando li aveva salutati però non aveva prezzo.
Sembrava che quell’imbranato avesse avuto una paralisi.
Non se l’aspettava, che fare il simpatico fosse così stressante.
Si era dovuto trattenere più volte per non mandare frecciatine ai due Grifondoro.
La reazione della Granger, invece, se l’era aspettata eccome.
Fortunatamente era un buon attore.
 
 
****
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Mi sedetti in Sala Grande sfinita: avevo passato l’intera ora di pozioni a rivedere la scena in cui Malfoy, gentilmente, salutava me e Neville.
Ron e Harry, di fianco a me, avevano già iniziato a mangiare.
Mi buttai anch’io sul cibo, accorgendomi sul momento di quanto fossi affamata.
Salutai Neville, poco distante, che con una faccia seria mi indicò il tavolo dei Serpeverde: Draco Malfoy sventolava una mano nella mia direzione.
“Ma cos’ha quello, qualcuno mica l’avrà confuso?”
Anche Ron si era girato a guardare la scena, e Harry lo seguì subito dopo, imitato da una buona parte di curiosi Grifondoro, che si chiedevano perché la più viscida serpe di Hogwarts mi salutasse allegro.
Sbuffai: “Ti giuro che c’ho pensato Ron, ma quando ci ho parlato non era affarro fuori di sè…”
Harry rovesciò il succo di zucca sul suo piatto: “Quando ci ha parlato? Da quando in qua Malfoy parla con noi?”
“Beh, oggi a fine di Storia della Magia si è diretto da me e Neville tutto cordiale e ha chiesto i miei appunti.”
“Come minimo li avrà buttati…” mugugnò Ron tra un boccone e l’altro.
“Credo anch’io… Ma sembrava davvero strano. Non ci ha insultato o robe simili, è stato…gentile” ammisi tristemente.
“Non è che gli hanno rifilato un filtro d’amore?” intervenne Harry dubbioso, continuando a mandare sospettose occhiate al tavolo dei Serpeverde.
“Oddio, no! Spero di no, ma non mi sembra… non era romantico, solo affabile!” Squittii con un tono di voce un po’ troppo alto, non volendo nemmeno prendere in considerazione l’idea.
Mi girai per l’ennesima volta verso il tavolo: Draco Malfoy ghignava compiaciuto, e fui certa che sapesse quanto il suo gesto ci avesse mandato in confusione.
Un pensiero mi balenò nella mente: che l’avesse fatto proprio per quello?
 
  





 
 
****
 
 
Al tavolo dei Serpeverde la tensione era palpabile: ognuno cercava di comportarsi normalmente, guardando esclusivamente il proprio piatto, ma ciascuno studente si stava crogiolando nella curiosità e moriva dalla voglia di alzare la testa verso il tavolo dei Grifondoro.
A tutti era parso strano il comportamento di Malfoy quella sera, in particolare ai suoi compagni di Casa.
Ma Draco Lucius Malfoy non era uno di quelli che si curava di ciò che pensavano gli altri: lui aveva una missione da compiere, e per il momento il piano da lui abilmente architettato stava andando benissimo.
Gli studenti dell’ultimo anno lo guardavano ammirati e allo stesso tempo sarcastici: possibile che facesse sul serio?
Era nota a tutti la passione del Serpeverde verso le scommesse, ma nessuno pensava che si sarebbe spinto tanto in là.
E nessuno pensava che ce l’avrebbe fatta.
 
 
 
 
 Quella mattina, come d’abitudine, gli studenti di Serpeverde, anziché seguire la lezione, avevano preso in giro chiunque fosse in aula (professore compreso) fino alla fine delle lezioni.
Durante Storia della Magia, si sa, nemmeno le prese in giro erano riuscite a svegliare gli studenti di Serpeverde dal torpore che li prendeva durante le lezioni del professor Rüf.
E quale metodo migliore per attirare l’interesse su di sé se non una bella scommessa? Improvvisamente l’atmosfera in aula si era scaldata e Draco Malfoy era stato sfidato dai suoi compagni a compiere una cosa che non si sarebbe mai sognato di fare: conquistare la Granger entro le vacanze di Natale.
Era un impresa impossibile, si sapeva, purtroppo però nel vocabolario del biondo quella parola non era compresa.
E così, mentre Blaise Zabini raccoglieva le scommesse (quelli che credevano che il ragazzo ce l’avrebbe fatta erano il quadruplo di chi credeva il contrario: era evidente che non conoscevano minimamente Hermione Jane Granger) l’erede dei Malfoy aveva iniziato quella che sarebbe stata una lunga e ripida scalata verso le vette del cuore della Mezzosangue.
Non si immaginava minimamente quanto ardua sarebbe stata l’impresa e mentre a cena, continuando a recitare la sua parte, guardava gli occhi castani e profondi della Grifondoro un brivido lo scosse per tutto il corpo: ebbe la sensazione che la ragazza gli avesse appena letto l’animo. Distolse in fretta lo sguardo come quando si guarda per troppo tempo il sole, e si ripropose di conquistarla il prima possibile per mettere fine a quell’assurda pagliacciata.

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Capitolo 7
*** Il FATTORE RON ***


CAPITOLO 6_ IL FATTORE RON
 
Il familiare brusio che caratterizzava la fine della cena ad Hogwarts era fortunatamente molto lontano da me.
Ero in biblioteca, a studiare.
Lo so, la mia dedizione allo studio rasentava i limiti della follia (o almeno a detta di Ron), soprattutto perché avevo passato il pomeriggio a fare la medesima cosa, ma dovevo controllare delle fonti.
E sinceramente le facce estenuate dei miei amici non erano un invito a restare con loro: in quel periodo l’aria a Hogwarts era davvero tesa.
Insomma, tra gli esami di metà trimestre e il campionato di Quidditch che iniziava, Ron, Harry e Ginny erano fortunati se riuscivano a trovare un po’ di tempo per dormire.
Ed era per quello che, mentre ero china sui libri e pensavo a un modo per aiutarli senza far copiare loro nulla, decisi di passare la mattinata seguente a ripassare con loro il programma scolastico.
Non volevo assolutamente che copiassero –dopo tanta fatica ad abituarli a ragionare col loro cervello- volevo che capissero per bene, in modo da non avere problemi in futuro, quando non ci sarei stata più io a bisbigliargli le risposte.
 
Quell’argomento mi intristiva non poco: quando non ci sarei stata più.
Non mi piaceva pensare che non ci sarei stata.
Era impossibile credere che il Magio Trio, dopo aver vissuto più Odissee di quante Ulisse stesse potesse solo immaginare, si separasse.
Il mio futuro era nebbioso come la nebbia nelle sfere magiche della Cooman.
Non era in dubbio la mia carriera: ero certa che, qualunque strada avrei seguito, avrei cercato di percorrerla al meglio, dando il massimo.
Il problema era dove? Con chi?
Insomma, avrei seguito altri studi –non riuscivo ancora a immaginarmi fuori dal contesto scolastico- o mi sarei buttata subito sul tirocinio?
E poi, sarei restata in Gran Bretagna? Di sicuro il Ministero aveva bisogno di nuovi impiegati, nuovi auror, ma avevo sempre sognato di respirare una nuova aria, per capire com’era il mondo fuori dall’Inghilterra.
E poi… tutto questo era un grande piano, un grande spettacolo di cui io ero la protagonista, al di fuori del luogo e del tempo, ma… sarei stata da sola?
Harry, Ron, Ginny, Luna, Neville… avrei perso tutti quanti?
Ero certa di mettere la carriera davanti a tutti, però pensare di separarmi dai miei amici, coloro con i quali ero cresciuta, diventando la persona che sono adesso, era terribile.
E una futura relazione non era contemplata.
Si, beh, certo. C’era Ron.
Non è che fossimo animati da un amore che superava ogni ostacolo. C’era stata una fiamma, l’estate precedente: il sentimento che mi aveva scaldato per tanti anni, quel timido e tenero amore che avevo scoperto di condividere con il giovane Weasley mi colmava di felicità.
Ma dopo una serie di casti baci e di silenzi espliciti non sapevo che fare.
Non potevo dire di essergli indifferente, come lui non lo era a me, ma non ne avevamo mai parlato, e da quando eravamo tornati a scuola non sembrava che importasse più. Mi dispiaceva, certo, perché Ron era più di un fratello. Per lui provavo un sentimento diverso da quello che provavo per Harry, totalmente opposto, ma non credo che di poterlo chiamarlo amore.
Mi ripetevo che col tempo si sarebbe risolto: che il tempo sarebbe stato la chiave di tutto. Quel maledetto tempo che bisogna sempre concedere ma che non si fa mai trovare quando serve. Ci tenevo a Ronald, tanto. Spesso lo guardavo di nascosto: percorrevo con gli occhi il suo viso, dai capelli rossi, alla mascella, soffermandomi sugli occhi. E ogni volta cercavo dentro di me qualcosa, qualche segno. Ma era cambiato ciò che provavo: guardandolo, quel sorriso spontaneo che mi appariva sul volto quando i nostri occhi s’incontravano, non compariva più.
Ormai le pergamene erano state abbandonate, e io me ne stavo appoggiata col gomito su un grosso librone che probabilmente era più vecchio della professoressa McGranitt quando una voce mi fece sobbalzare:
 
“A digiuno, stasera, Granger?”


Sapevo già chi era prima che la luce tenue delle candele illuminasse il volto magro e pallido di Draco Malfoy. Era strisciato fin lì senza farsi sentire, la sua voce era come il sibilo di un serpente e la sua figura slanciata si era accomodata sulla sedia di fianco alla mia con un’eleganza inverosimile: sì, si poteva dire che quel ragazzo fosse un degno erede di Salazar.
 
“No, Malfoy, mi mangio i libri.”
Replicai scettica, indicando con un cenno del capo un tramezzino quasi finito poggiato su un libro alla mia destra.
“Ah, fantastico… magari ti capitasse tra i denti anche qualcosa di ammuffito…”
Rispose a bassa voce, ma per sfortuna lo sentii, e gli regalai  una delle mie occhiate inteneritrici, collaudate tante volte con Harry e Ron.
 
“Ma che cavolo vuoi, Malfoy?”
“Nah, volevo solo provare l’ebbrezza di starmene qui, zitto zitto, ad annusare vecchi libri insieme a te.”
Alzai teatralmente gli occhi al cielo e chiusi il libro davanti a me con uno scatto, sperando di farlo sobbalzare come lui aveva spaventato me: purtroppo senza risultato.
Avrei voluto rispondergli per le rime, facendogli passare la voglia di scherzare, ma si sa, le risposte perfette non vengono mai in mente al momento giusto.
Finii per dire esasperata: “Ah, fa’ come ti pare. Tanto me ne stavo andando.”
Non avevo intenzione di starlo a sentire, o di alzare la voce con lui in biblioteca.
 Presi il libro su cui stavo studiando e mi avviai verso l’uscita accampando una sfrontatezza e disinvoltura che non erano da me.
Ma senza che potessi far nulla il Serpeverde mi prese per un braccio, ritirando la mano subito dopo, come se si fosse scottato.
Mi girai e gli chiesi veementemente: “Ma si può sapere cosa vuoi?”
Lui chiuse un secondo gli occhi e strinse i denti. Una ruga di concentrazione gli solcò la fronte.
Poi aprì di nuovo gli occhi, che puntò nei miei e allora qualcosa cambiò.
Non saprei dire cosa, il suo tono era nuovo, così come la sfumatura dei suoi occhi: tutto mi rimandava l’immagine di un ragazzo dannatamente determinato.
“Voglio parlare.”
 
 
 

****


 
 
Alcuni metri più in altro, in una certa Casa Comune addobbata rosso e oro, in cima a una torre, un ragazzo con i capelli rossi scosse la testa, come per scacciare una mosca.
“Cosa c’è Ron?”
A parlare era stato il Ragazzo Che E’ Sopravvissuto, che con gli occhiali storti sul naso alzò la testa dal compito che stava scrivendo.
“No… Nulla. E’ solo che…”
“Dio, Ron, ma cosa ti impedisce di finire le frasi quando le inizi? Fai sempre così negli ultimi tempi!” Questa voce scocciata invece apparteneva Ginny, che accoccolata su una poltrona, giocava con i capelli neri del Prescelto.
Harry  si rivolse prima alla sua ragazza: “Dai Ginny, non essere così cattiva…”
e poi al suo amico: “Su, Ron, cosa succede?”
“Non lo so. E’ Hermione…”
Ginny e Harry si scambiarono un’occhiata d’intesa: l’argomento era stato affrontato tante volte, sia con l’uno sia con l’altra, senza mai arrivare a una soluzione.
“E’ strana, vero?” Chiese a Harry.
“Sì, sono preoccupato anch’io.”
Entrambi si rivolsero alla Grifondoro: “Tu ne sai nulla?”
Lei scosse la testa sconsolata: “No, davvero. Non mi ha parlato di nessun problema, ma si capisce che qualcosa la turba.”
“Secondo me è colpa mia, la assillo sempre con i compiti.” Disse Ron a bassa voce, quasi più a se stesso che agli altri due.
A prendere in mano la situazione fu il ragazzo dagli occhi verdi, la cui fronte era segnata da una famosa cicatrice: “No, Ron, non dire così. Tutti noi la assilliamo con i compiti, ma non è quello. L’abbiamo sempre fatto, in tutti questi anni. E’ solo una crisi passeggera, sono sicuro. Magari dovuta a un’incomprensione. Sapete com’è Hermione, probabilmente non riesce a capire il perché di qualche cosa e non tornerà serena finché non l’avrà appurato. Sono certo che ora è in biblioteca, a cercare risposte”.
Annuirono tutti convinti: non tutti ci credevano, ma era rassicurante rifugiarsi nell’idea che non era colpa loro se la ragazza era turbata.
E tutti e tre tornarono a ciò che stavano facendo, ignari di quanto Harry avesse davvero ragione.

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Capitolo 8
*** UN'IMPORTANTE LEZIONE DI VITA - PROTAGONISTI I MALEFICI NARGILLI ***


Angolo dell’autrice:
 
Ehi gente!
Lo so che tutte starete aspettando di sapere cosa di dicono Hermione e Draco, ma credo che dovrò tenervi sulla corda ancora un po’….^.^
Non lo faccio per essere crudele (beh, solo un pochino, Muahahah XD) ma volevo far presente che in questa storia nessun personaggio viene dimenticato, e per cui questo capitolo sarà dal punto di vista di qualcuno che non vediamo da un po’!
Non vi preoccupate, l’atteso discorso è già bello e finito, sarà postato il prima possibile!

Un bacione,
l’Autrice
 
 
 
CAPITOLO 7
 
UN’IMPORTANTE LEZIONE DI VITA - PROTAGONISTI I MALEFICI NARGILLI
 
 
Le gocce di pioggia scorrevano veloci lungo la grande finestra di vetro nel bagno delle ragazze.
Era interessante guardare quei piccoli puntini fatti d’acqua che, grazie alla forza di gravità, colavano giù, lungo le pareti, lungo i muri.
Spesso le gocce, nella loro caduta, incontravano altre gocce, e allora si univano, formandone di più grandi.
Affascinava, questa unione istantanea, quel loro formare qualcosa di più grande ed essere la stessa cosa allo stesso tempo.
 
A guardare quello spettacolo c’erano due figure, totalmente diverse.
Una era una ragazza dalla pelle rosata e lunghi capelli biondi, aveva grandi occhi chiari e le sottili sopracciglia bionde inarcate le conferivano un’espressione costantemente stupita. Portava orecchini particolati, fatti con lunghe piume rosso fuoco; al suo collo era appesa una collana fatta di conchiglie.
Sulla divisa nera era appuntato uno stemma con sopra un grande corvo.
L’altra figura era sempre una ragazza, ma decisamente diversa: incorporea, con gli occhiali e i capelli scuri tenuti insieme da due code.
Aveva sul viso un’espressione contrariata e alternava lo sguardo dalla ragazza di fianco a lei alla finestra.
Quando parlò il suo lato era lamentoso: “Allora? Cosa stiamo aspettando?”
Luna Lovegood si girò verso di lei, sorpresa: “Stiamo guardando. E’ il momento migliore per vedere le migrazioni dei Gorgosprizzi”.
Mirtilla Malcontenta alzò teatralmente gli occhi al cielo, e dopo aver emesso un lungo lamento si gettò in un gabinetto.
Luna restò lì, indifferente alla reazione del fantasma, per dieci minuti.
Si girò solo quando una ragazza dai capelli castani entrò di corsa in bagno, precipitandosi verso il lavandino e sciacquandosi la faccia. La sua espressione era tirata e agitata. La sua testa era scossa da un piccolo tremito.
“Oh, ciao Hermione”.
“C-ciao Luna…”
La Grifondoro chiuse gli occhi e respirò sonoramente; depose la borsa per terra e poi si sedette a gambe incrociate per terra, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e prendendosi la testa tra le mani.
La Corvonero si sedette per terra di fianco all’amica, e le poggiò una mano sulla spalla.
“Va tutto bene?”
“Sì…no, no, invece no! Non va affatto bene!”
Hermione continuava a tenersi la testa tra le mani e gemeva.
Luna iniziò ad accarezzarle i capelli: “Vuoi parlarne?”
“No, no, grazie Luna… sto bene.”
La Prefetta prese un bel respiro e sorrise alla Corvonero. Si alzò, sempre continuando a sorridere e dopo aver salutato uscì dal bagno.
“Hermione! Hermione, aspetta!”
Luna scosse la testa, certa che non l’avesse sentita.
Mirtillla Malcontenta era spuntata dietro di lei, e guardava la porta del bagno che si chiudeva con un’espressione strana, stupita e divertita allo stesso tempo.
“Ma cosa le è preso?”
La ragazza non rispose.
Era ovvio che Hermione stesse mentendo solo per non far preoccupare gli altri. Lei era così: si teneva tutto dentro per non angustiare chi le stava accanto, certa che prima o poi, se faceva finta che il problema non ci fosse, sarebbe davvero sparito.
Ma Luna sapeva che, a tenersi tutto dentro, prima o poi scoppiava.
E per vedere il ‘grande scoppio’ dell’amica non avrebbe dovuto aspettare a lungo.
 
A saperlo, avrebbe almeno prestato a Hermione la sua collana!
 
 
***
 
 
 
Faceva freddo.
Hermione Granger camminava veloce con i libri stretti al petto, nel vano tentativo di accumulare un po’ di calore.
Correva per il parco deserto più in fretta possibile, per arrivare in Sala Comune e sedersi davanti al camino prima che il suo naso diventasse un pezzo di ghiaccio.
Davanti a lei, il suo alito formava nuvolette bianche che si dissolvevano veloci.
Doveva strizzare gli occhi per vedere bene la sagoma del castello: la nebbia era così fitta che nascondeva tutto dietro al suo grigio mantello.
Attraversò il portone d’ingresso appena prima che iniziasse a piovere. Si fermò un momento a guardare dietro di sé per riposarsi e poi ripartì spedita per la Sala Comune.
Era passato un giorno da quando Malfoy le aveva chiesto di parlare.
Beh, non è che glielo aveva proprio chiesto. Più che altro l’aveva preteso.
Le aveva dato appuntamento quella stessa sera, e poi se n’era andato veloce com’era arrivato, senza dare nemmeno il tempo a Hermione di rifiutare: o almeno di chiedergli dov’era il luogo dell’appuntamento.
Da allora lui si era comportato normalmente: non aveva traumatizzato Neville salutandolo amichevolmente a fine lezione, non le aveva restituito gli appunti e non aveva parlato a nessun Grifondoro. Tutto nella norma.
Era per quello che si era rifugiata nel parco per studiare: nulla era meglio dello studio per distrarsi. Solo che anche mentre scriveva due rotoli di pergamena sul modo migliore per sconfiggere una chimera non riusciva a non scervellarsi sul perché. Non capiva.
E quando Hermione Granger non capiva il mondo si fermava.
Lei si isolava, stando lontano da tutto ciò che potesse deconcentrarla, socchiudeva gli occhi per avere più chiara la situazione e poi faceva mento locale su tutte le informazioni che aveva.
Di solito bastava poco per arrivare alla risposta, ma quella volta no.
Aveva rivisto più volte tutti i momenti in cui aveva parlato con Malfoy nell’ultimo periodo:
gli insulti quotidiani che le rivolgeva quando la incontrava, tutte le frecciatine, e poi quell’ora di Storia della Magia.
Rivisse le risate e il comportamento dei Serpeverde durante quella lezione, certa che la risposta fosse lì, ma non riuscì a trovare nessun comportamento anomalo.
Avevano riso, l’avevano indicata e poi Malfoy l’aveva guardata, annuendo.
Perché? Perché aveva annuito?
Probabilmente avevano detto qualche cattiveria su di lei e il ragazzo si era detto d’accordo.
Allora perché –perché?- dopo lui si era presentato a lei e Neville cordialmente?
Non riusciva a venirne a capo, e dal lungo sforzo ne ricavò solo un gran mal di testa e un senso di incomprensione ancora più grande.
Si convinse che si stava decisamente preoccupando troppo, e che in ogni caso le risposte le avrebbe avute quella sera stessa. Durante il loro incontro gli avrebbe chiesto tutto,.
Se mai ci fosse stato, l’incontro.
 
Era proprio mentre vagliava l’opportunità di rifugiarsi nel suo dormitorio e non uscirne fino al giorno successivo per evitare eventuali umiliazioni incontrò Luna, tutta trafelata, che correva verso di lei.
“Hermione!”
“Sì, Luna, sono qui, non correre, non vado da nessuna parte.”
Mentre l’amica si avvicinava, poteva notare i lunghi capelli biondi che ondeggiavano contro la sua schiena e la collana fatta di conchiglie rimbalzarle sul petto. Un sorriso le si aprì involontario sul volto: l’aspetto particolare dell’amica le risultava familiare e piacevole. Si era abituata a vedere addosso alla Corvonero oggetti portafortuna e ammennicoli vari, e dopo aver superato la barriera di diffidenza che tutti erigevano davanti a ‘Lunatica’ Lovegoog, era facile affezionarcisi.
 
“Oh, Hermione! Stavo cercando proprio te!”
“Dimmi tutto, Luna.”
Questa riprese fiato, e si appoggiò una mano sul petto per far rallentare la velocità a cui la corsa aveva esortato il suo cuore a battere.
“Ieri, in bagno, te ne sei andata prima che potessi parlarti.”
“Oh, scusa, ma andavo di fretta…”
“Già, ho notato. Ascolta Hermione, lo so che c’è qualcosa che non va.”
La Grifondoro stava per dire che non c’era nulla che non andasse, ma la furba Corvonero l’anticipò: “Lo so, Hermione, non sono sciocca. E so altrettanto bene che non ne vuoi parlare. Però devo dirti lo stesso una cosa: per qualunque cosa ci sia al tuo orizzonte, prima di gettare l’allarme e battere in ritirata, cerca di vedere che cosa c’è dietro. Certo, sii prudente, sempre, ma fidati. Credi.”
Hermione era a bocca aperta. Aveva già appurato il talento di Luna di capire situazioni che nemmeno lei riusciva a comprendere, e si chiese se sapesse qualcosa del presunto ‘appuntamento’ che si era data con Malfoy.
Luna la guardava dritto negli occhi e poi, dopo aver controllato che non ci fossero sguardi indiscreti, con fare cospiratore le si avvicinò e le sussurrò all’orecchio: “Sai, i Nargilli , sono sempre in agguato per tenderti una trappola. Tieni questa collana, ti proteggerà dalle creature del male.”
Si sfilò la collana di conchiglie e gliela mise in mano: annuì, certa che Hermione avesse capito quanto quegli esseri potessero manipolare le persone per vendicarsi.
Continuò ad annuire e dopo poco si allontanò saltellante verso il suo dormitorio, felice di aver protetto la sua amica da eventuali brutti episodi.
Hermione rimase lì, con la collana in mano e la bocca spalancata: ad un certo punto scoppiò a ridere.
Il malumore di prima se n’era definitivamente andato.
Si avviò sorridente verso la Sala Comune di Grifondoro, e prima di varcare il ritratto della Signora Grassa si mise al collo la collana donatale da Luna: chissà, magari l’avrebbe protetta anche da Malfoy!

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Capitolo 9
*** LA SERATA (DIMENTICATA) ***


Angolo dell’autrice:


Eilà, lettori!
Questo capitolo è venuto un po’ lunghetto, per cui ho rimandato il ‘discorso’ al prossimo u.u
Lo so, lo so, sono perfida a tenervi sulle spine, ma non me la sentivo di appesantire questo capitolo ancora di più.
E’ tutto,
adios!

Bacioni

 
P.S.
Se volete lasciare qualche recensione in più non mi offendo mica…XD
 
 
 
CAPITOLO 8
LA SERATA (DIMENTICATA)
 
 
 
Era arrivata la sera.
Cioè, la sera in cui io e Malfoy avremmo dovuto vederci per un appuntamento.
Per parlare.
Non so perché, ma solo a pensarlo mi veniva un brivido lungo la schiena.
Mi emozionava pensarci. Che sciocca.
Nella mia testa pensavo a quel momento come a La Sera, con le iniziali maiuscoli. All’Appuntamento e Al Discorso.
Riemersi dalle mie fantasie scuotendo la testa e riprendendomi con il mio solito sarcasmo freddo e distaccato:
E’ inutile che ti agiti tanto per questo Appuntamento e per questa Serata, come vuoi considerarla tu. Fatto sta che per il momento di appuntamenti non si vede nemmeno l’ombra. Sai com’è, quando si ha un appuntamento si presume che ci si vada ad un certo orario. Eppure no, il tuo caro Malfoy ha voluto spiccare d’originalità anche ora: niente orario. Né luogo. Wow! E come ti farà capire dove o quando vi dovete vedere? Magari si materializzerà proprio qui, davanti a te, in mezzo a una nuvoletta di fumo, con un sonoro ‘puff’!”
A volte era un po’ troppo dura, ma la voce acuta della mia coscienza aveva decisamente ragione.
Ormai la cena era finita da un pezzo, e durante il suo svolgimento Malfoy non mi aveva degnata di un’occhiata, o comunque non mi aveva fatto intendere di ricordarsi di avere un incontro insieme a me.
Era davvero troppo strano il suo comportamento ed ero certa che quella sera avrei saputo il perché: considerare la possibilità che non ci saremmo visti –e che quindi non avrei avuto le mie agognate risposte- mi infastidiva. E non poco.
E così mi ero accoccolata su una poltrona in Sala Comune, rifiutando gentilmente le offerte delle mie amiche di andare a dormire, usando la scusa che dovevo studiare, attendendo un qualche segno, qualche messaggio da parte del Serpeverde.
Intanto che io leggevo e aspettavo qualcosa che forse non sarebbe accaduto mai, l’orologio ticchettava lontano, ricordandomi che il tempo continuava a scorrere.
 
 
 
 
****
 
 

Un po’ di metri più in basso, nei sotterranei di Hogwarts, la Sala Comune dei Serpeverde era dominata dalla più totale apatia.
Per la prima volta nella storia della scuola, i Serpeverde erano accumunati non dall’odio verso i Grifondoro, ma verso il maltempo britannico.
Chi giocava pigramente a scacchi, chi con malavoglia finiva il compiti per il giorno successivo, tutti guardavano fuori dalla grande finestra: dava sul Lago Nero, e si potevano vedere piccole goccioline che si tuffavano sulla superficie increspata dell’acqua.
 Nessuno fiatava, non volava nemmeno un insulto, e il blocco di passività maggiore era forse emanato da un complesso di cinque studenti situati presso il grande divano al centro della Sala Comune: Pansy Parkinson, che seduta sul bordo del divano giocava ammaliata con i capelli biondi di Draco Malfoy, il quale era steso lungo tutto il divano con la testa appoggiata sulle gambe della compagna. Il suo sguardo di ghiaccio vagava annoiato lungo il soffitto coperto di moquette verde, anche se era evidente che stesse pensando ad altro.
Sulle poltrone davanti a loro sedevano scompostamente due ragazzi corpulenti con la cravatta snodata e il maglione pieno di briciole: Tiger e Goyle erano dell’idea che una serata infruttuosa come quella non potesse essere impiegata in altro modo se non rimpinzandosi dei vari dolcetti che colmavano sempre i vassoi in argento sui tavoli della sala Comune. A volte lanciavano con la coda dell’occhio sguardi al loro ‘capo’, come per vedere se la situazione fosse cambiata o meno: come per vedere se il mondo si fosse mosso mentre loro trangugiavano con la massima passione i loro amatissimi biscotti.
Infine, sul tappeto verde e argento finemente ricamato, stava seduto con un’eleganza che lasciava trasparire in che ambiente di classe fosse cresciuto, Blaise Zabini.
Appoggiato con la schiena contro il divano, reggeva  sulle ginocchia un libro scolastico che pareva molto consumato e il suo sguardo, scuro come la notte e vischioso come la pece, saettava dal testo ai compagni.
Sembrava sempre che fosse sul punto di parlare: alzava la testa dal suo libro, una ruga gli solcava la fronte e dopo un forte respiro apriva la bocca.
Ma non ne usciva nessun suono. Si limitava a guardare intensamente l’erede dei Malfoy spaparanzato sul divano come a voler attirare telepaticamente la sua attenzione.
Scuoteva la testa e poi ritornava al suo libro.
La giornata era passata così, nella sala Comune più temuta di Hogwarts, in cui, si diceva in giro, si passassero le ore ad architettare piani malefici e continui bordelli: voci che, ovviamente, i diretti interessati non si davano pena di smentire. Era meglio far credere alle altre case che i pomeriggi venissero passati a infrangere ogni sorta di regola piuttosto che ammettere la normalità della noia che si respirava nell’aria.
 
 
Sarà forse perché le mani di Pansy avevano massaggiato talmente tanto la sua nuca che i capelli erano stati spinti così in profondità da punzecchiargli il cervello, sarà perché il ticchettio della pioggia era snervante, o sarà perché la vista di Tiger e Goyle che mangiavano come due troll avrebbe fatto ribrezzo perfino a Grop, fatto sta che Draco Malfoy di punto in bianco scattò su come una molla, facendo sussultare tutti quelli vicino a lui.
Pansy ritirò le mani dai suoi capelli a una velocità disumana come se si fosse scottata, il suo volto tirato trasudava preoccupazione. Tiger fece un piccolo balzo sulla poltrona e diede una gomitata a Goyle, che non aveva visto lo scatto del biondino, essendo troppo occupato a mangiare: ma che aveva risposto con le rime all’amico che gli aveva infilato il gomito tra le costole.
Blaise aveva alzato lo sguardo per nulla stupito, anzi, forse era perfino un po’ divertito.
Draco Malfoy si alzò in piedi bruscamente e si portò la mano alla fronte con un sonoro schiocco: si girò verso i suoi compagni, ognuno dei quali aveva lo sguardo di chi aspetta spiegazioni per  un gesto così inaspettato.
“E’…è che ho dimenticato un libro!”
La sua voce aveva un che di insicuro, ma i suoi occhi erano impenetrabili e distaccati: se anche le sue parole avrebbero potuto risultare false, nessuno avrebbe mai messo in discussione ciò che i suoi occhi esprimevano.

“ Co…cosa? Ma sei diventato matto?”
La prima a reagire fu la Parkinson, e anche l’unica, visto che Tiger e Goyle sembravano brancolare nel buio e Zabini, che sul volto aveva uno strano sorriso, non si accennava a riemergere dal suo libro.
“Un libro? Dove?!”
La ragazza si era alzata in piedi, e nonostante di fianco a Draco sembrasse ancora più bassa, aveva un aspetto pauroso. Le braccia incrociate al petto e il caschetto nero che le sfiorava il collo ondeggiando ogni volta che muoveva la testa, le conferivano un tocco ancor più inquietante.
Ma Draco Malfoy non era il genere di persona che gettava le armi appena incontrava un ostacolo: “ Già. Un libro. Pozioni. Nel parco. E sai com’è Piton, se per domani non ho fatto i compiti è capace di togliere cinquanta punti a Serpeverde…”
Esagerava. Ne era conscio, ma non era il momento di apparire tentennante, soprattutto quando tutta la sala Comune li stava guardando.
“Ma è tardissimo! Ti beccherai una punizione e probabilmente anche una polmonite: non hai visto che tempo c’è?! E poi come hai fatto a dimenticare un libro al parc…”
Ma il giovane Serpeverde non ascoltò nemmeno la fine della frase: era già uscito di gran carriera dalla Sala Comune.
 
“Draco…” sussurrò debolmente Pansy Parkinson, guardando la porta dalla quale era appena uscito il suo compagno di Casa.
Debolmente, troppo debolmente, per Tiger e Goyle, che si erano già ributtati sul cibo.
Debolmente, troppo poco debolmente, per Blaise Zabini, che si era seduto sul divano con un ghigno in faccia.
“Cos’hai da ridere, tu?” Gli chiese scontrosa mentre si sedeva di fianco a lui.
“No, nulla…” rispose il moro sempre meno capace di nascondere il suo sorriso.
Gettò un’ultima occhiata alla porta che la ragazza vicino a lui continuava a fissare confusa e speranzosa allo stesso tempo, la stessa porta dalla quale era uscito pochi istanti prima il ragazzo che quella mattina gli aveva prestato il libro che stava studiando: Pozioni Avanzate.
 
 
 
***
 

 
“Hermione! Hermione Granger!”
Alzai la testa dal mio libro: dal ritratto della Signora Grassa era appena sbucato un ragazzino del primo anno, dai capelli ricci e scuri. La sua faccia era una maschera di terrore.
Si guardava intorno e chiamava il mio nome.
“Eccomi! Sono io!”
Il ragazzino mi guardò: la sua testa tremava.
“C-c’è M-m-malfoy f-f-fuori… Vuo-le pa-pa-rlarti.”
Gli posai una mano sulla spalla.
“Va tutto bene?” gli chiesi con un cipiglio preoccupato.
“S-sì…c-cioè, n-n-no.”
Non smetteva di balbettare e tremare, così lo presi per la spalla e lo feci sedere su una poltrona davanti al fuoco scoppiettante  e gli feci raccontare cos’era successo. Scossi la testa, esasperata, e dopo averlo mandato a letto mi precipitai fuori dal ritratto a passo di marcia.


 
***
 

Dopo aver corso per tutto il castello e aver salito più di quattrocento gradini fino a quel maledetto covo di Grifondoro, Malfoy si era appoggiato con le spalle al muro per riprendere fiato.
Ma come aveva fatto a dimenticarsene? Si era tanto preparato per questo appuntamento, in cui finalmente avrebbe fatto capitolare la Granger, e poi se ne era dimenticato?
Ovviamente non doveva tentennare, o far vedere che aveva corso per un incontro con una mezzosangue.
Prese un respiro: bene, era arrivato fin lì. E proprio in quel momento sorgeva un nuovo problema: davanti a lui, in un quadro, c’era una signora grassa con le braccia incrociate e uno sguardo pieno di odio.
La Signora Grassa non aveva intenzione di farlo entrare, nemmeno se si fosse messo in ginocchio.
Ma allora come avrebbe potuto parlare con la Granger? Anche se avesse avuto la parola d’ordine non l’avrebbe mai fatto entrare.
E fu allora che gli vide due ragazzini tenersi per mano e scendere una rampa di scale lì vicino.
Si avvicinò a loro con l’aria più severa e cattiva che un ragazzo di diciassette anni potesse accampare.
“Vi sembra l’orario di girovagare per la scuola?!” chiese sorprendendo i due ragazzi davanti a lui.
La ragazzina aveva emesso uno squittio, e dopo aver lanciato uno sguardo disperato al ragazzo di fianco a lei era corsa via.
Quest’ultimo era rimasto davanti a Draco senza il coraggio di guardarlo negli occhi.
Aveva capelli scuri e ricci, e sulla sua divisa brillava lo stemma di Grifondoro: perfetto.
“Come ti chiami?” Abbaiò il Serpeverde.
“D-d-d-avid J-j-ones”.
Il ragazzino tremava come una foglia.
“Bene, Jones. Sei di Grifondoro, vero?”
Lui fece di sì con la testa, incapace di aprir bocca.
Malfoy, ghignando, si chinò leggermente sulle ginocchia, per arrivare alla sua altezza, e con voce melliflua disse:
“Sono esattamente le undici e venti, Jones. Di sicuro non l’orario più adatto per fare cose sconce in giro per la scuola.”
Alla parola ‘sconce’ David iniziò a tremare ancora di più, scuotendo la testa.
Ma il Caposcuola continuò imperterrito: “ A causa di questo tuo comportamento verranno tolti trenta punti a Grifondoro. E se non vuoi che lo dica alla Preside e ti faccia espellere, vai a chiamarmi subito Hermione Granger. Devo discutere con lei i provvedimenti da prendere nei tuoi confronti.”
Vedendo che il povero ragazzino –traumatizzato- non si accennava a muoversi gli gridò: “Sbrigati! O maledico tutta la tua famiglia!”
Il povero David corse via alla velocità della luce.
Malfoy ignorò lo sguardo severo della Signora Grassa e ghignò: certo, minacciare uno del primo anno per fargli chiamare la Mezzosangue non era certo il modo migliore per far capire che era arrivato, ma a mali estremi, estremi rimedi.
Si era appena appoggiato al muro aspettando la Granger quando il quadro si aprì, facendo uscire una ragazza della sua età,  con un maglione largo addosso e i capelli castani scompigliati.
Aveva le braccia conserte e lo sguardo pieno di disprezzo: Hermione Granger era davanti a lui, ed era sicuro che non gli avrebbe concesso più di un paio di minuti per recitare la sua parte.

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Capitolo 10
*** NON ERA ***


Angolo dell’autrice:
salve gente!

Volevo mettere in chiaro una cosa: Draco non si è ricordato dell’appuntamento di Hermione non a causa di una strana forma di amnesia temporanea, ma perché non gli importa nulla! Per cui fate un passo indietro, non immaginate i nostri protagonisti già cotti: ci sarà ancora tanta strada da fare!
Ah, un’ultima cosa: alla fine di questo capitolo, Malfoy potrà sembrare un po’ vacillante, ma non preoccupatevi, ho già pronto il prossimo capitolo, in cui tornerà alla carica spolverando argomenti che avevamo trattato e messo da parte(come i doveri dei Capiscuola, che non ho certo dimenticato!)

Buona lettura!
 
(eh sì, eccoci col famoso discorso!!!)
 
L’autrice
 
 
CAPITOLO 9
NON ERA
 
 
 
 
Eravamo lì, faccia a faccia, e nessuno dei due aveva l’intenzione di muoversi.
Io ero a braccia conserte, arrabbiata per il meschino modo in cui Malfoy aveva trattato quel ragazzino (punirlo era stato corretto, ma non in quel modo!) e lui guardava con una particolare attenzione le sue scarpe, come se potessero suggere le parole giuste da dire.
Ma le parole giuste non c’erano.
C’erano solo le risposte.
Arrivai subito al dunque, scandendo bene le parole:
“Allora Malfoy, che-diamine-ti-è-preso?”
Le sue scarpe sembravano molto più interessanti di me: i suoi occhi cupi non le abbandonavano per un istante.
Aspettai una manciata di minuti e tornai alla carica.
“Rispondi!”
Parlare al muro sarebbe stato più proficuo.
“Lasciami citare una frase che mi ha dedicato all’inizio dell’anno uno dei ragazzi più boriosi che abbia mai conosciuto: ‘ che eri un cretino lo sapevo già, ma speravo che almeno ci sentissi bene’! Ti suona familiare?”
Silenzio. A quanto pare il mio tono della voce era troppo basso.
Così lo alzai.
“No, Malfoy, ora alzi la testa e trovi il coraggio di guardarmi in faccia e darmi delle spiegazioni, o le bellissime scarpe firmate che tanto attraggono il tuo sguardo faranno una brutta fine. Ma cos’hai in questi giorni? Disturbi di multipla personalità? Qualcuno ti ha confuso? O hai preso una botta in testa?
Sai, non sapevo che avere un padre condannato a marcire ad Azkaban per il resto dei suoi giorni potesse danneggiare così tanto la salute mentale.”
Speravo che la frecciatina su quel Mangiamorte di Lucius Malfoy l’avrebbe indotto a parlare, o come minimo ad alzare lo sguardo e insultarmi, invece niente. I suoi occhi però, notai, si assottigliavano sempre di più. Sembrava che volesse trattenersi.
Così feci di tutto per farlo scoppiare.
Non per cattiveria o per altro, ma perché dopo aver passato notti intere a scervellarmi sul perché si comportasse così, non sopportavo di ottenere solo silenzio ad un ‘appuntamento’ che, per lo più, aveva organizzato lui. Per quanto insignificante potesse essere la  cosa, non mi tornava.


“Prima fai il carino a lezione, mi saluti, e poi mi chiedi di parlare. Cos’è, una nuova strategia per far venire infarti ai Grifondoro? Oppure per colpire alle spalle quando meno me l’aspetto, eh?
Sono rimasta ad aspettarti finora, ti rendi conto? E solo perché avevi detto che mi avresti spiegato il perché di questi dannati comportamenti, e quindi ora, caro il mio spocchioso Serpeverde, degnati di rispondermi.”
 
 
***
 
Cercare di parlare alla Granger mentre ti sputa contro tutte l’odio che prova verso di te non è facile.
Draco Malfoy lo sapeva bene.
E sapeva che non poteva permettersi di rispondere alla domanda che la Mezzosangue gli stava ponendo.
Doveva trovare un’alternativa: qualcosa che la facesse vacillare, che la zittisse –maledizione, che le facesse chiudere quella dannata bocca!
C’era una sola risposta che poteva porre fine a tutto ciò, che Draco avrebbe voluto evitare per non sembrare ridicolo –specialmente a se stesso- e che avrebbe voluto tenere in serbo per un momento più romantico (per quanto un momento con la ragazza che aveva vinto il premio per ‘secchiona più insopportabile dell’anno’ potesse essere romantico).
Aveva già programmato di aggirarla con un bel discorso che la inducesse a vedersi di nuovo, senza tuttavia dirle il perché di tutta quella messinscena.
Aveva programmato ogni minuto da passare con lei, dai primi sguardi ‘timidi’ fino ad arrivare a farle confessare i suoi problemi con Weasley, farglielo dimenticare, consolarla, e poi astutamente farla cadere ai propri piedi.
E tutto ciò entro la data massima del primo novembre.
Ma fu costretto a sfoderare il suo asso nella manica, appellando a sé tutta la serietà di cui era capace, e notò con una certa soddisfazione che ebbe l’effetto sortito:
“Perché mi sono innamorato di te”.
 
 
***
 
 
 
Non era.
 
 
Draco Malfoy non era molte cose.
Non era leale.
Non era disinteressato.
Non era altruista.
Non era il ragazzo che avrei voluto accanto a me, non era dolce senza doppi fini, non era scherzoso, poiché le sue battute ferivano ogni maledetta volta, sempre più a fondo.
Non era una persona disponibile ad aiutare, a meno che non fosse per il proprio tornaconto.
Non era una persona che sorrideva.
Non era bello (forse l’intero corpo studentesco femminile di Hogwarts potrà non essere d’accordo su questo punto –anzi, sicuramente-. Ma io per bellezza intendo una scintilla nello sguardo, una risata contagiosa: quelle piccole caratteristiche uniche che differenziano ogni persona. Certo, per essere attraente, lo era eccome: ammetto che avevo dei problemi di salivazione ogni volta che ero in sua presenza).
Non era costante; poteva interessarsi a qualcosa, volerla con tutto se stesso per poi abbandonarla appena che l’aveva ottenuta.
Non era rispettoso: verso i professori, i compagni, la scuola.
Non era corretto.
Non era coraggioso: mandava sempre avanti gli altri, e poi, se il terreno era sicuro, arrivava lui.
Non era amato. Bramato, magari, ma amato… no. Se lo fosse stato, se fosse cresciuto in un ambiente in cui lo circondavano di amore, probabilmente non sarebbe mai stato così.
Non era modesto: ogni scusa era buona per esaltare i suoi successi e mettere in ombra gli altri.
 
 
 
E soprattutto, non era sincero.
E fu per questo che quando mi disse che s’era innamorato di me, guardandomi negli occhi con una determinazione sconcertante, mi misi a ridere.
Una risata viscerale, con un che di cattivo, che mi saliva da dentro: lui feriva con le parole? La mia arma era la risata.
Gli risi in faccia, non mi trattenni, nemmeno quando vidi il suo petto gonfiarsi e i suoi occhi assottigliarsi ancora di più.
Credo di averlo sorpreso ancora di più di quanto lui sorprese me con quella dichiarazione.
Era un buon attore, ottimo, ma mai e poi mai avrei creduto a una menzogna del genere. Pensava che dopo sette anni di odio e cattiverie gli avrei creduto?
Nemmeno Gilderoy Allock all’apice della sua carriera sarebbe riuscito a far spacciare una notizia del genere per vera.
Quando mi ricomposi il viso di Malfoy era una maschera di freddezza.
Ero ancora scossa dalle risate, e mi tenevo una mano sulla bocca e una sulla pancia, dolorante per colpa delle troppe risa.
Il Serpeverde mi lanciò uno sguardo velenoso: “Ah, non mi credi Granger?”
Dal suo tono di voce sembrava che fosse stato punto sull’orgoglio.
“Non mi credi?” riprese “Allora.. beh, ti farò…”
Aprì la bocca un paio di volte, a vuoto.
Poi, vedendo che il mio sorriso si allargava sempre di più, si avvicinò con aria inquietante -apparendo ancora più pallido e malefico, sotto la luce debole delle torce-  e prima di andarsene a passo di marcia verso i dormitori di Serpeverde.
mi sibilò “Vedrai!”.
Rientrai in Sala Comune scambiando uno sguardo ironico con la Signora Grassa, e portandomi una mano al petto: sì, la collana di Luna mi aveva davvero portato fortuna!

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Capitolo 11
*** TEMPO ***


Angolo dell’autrice:
Ehy gente, mi fa piacere che mi recensite in tanti: è bello anche vedere nuovi recensori, oltre ovviamente, a ringraziare quelli che mi seguono dall’inizio!
Non ho molto da dire su questo capitolo, non è di particolare importanza:

mostra come Malfoy sia determinato a vincere la scommessa, e di come la routine ‘hogwartsiana’ vada avanti, tra partite di Quidditch e riunioni di Capiscuola.
E’ un capitolo un po’ lunghetto, ma l’ultima parte la dovevo proprio mettere: dal punto di vista di uno dei miei personaggi preferiti! (L’ho messa per spiegare come potrebbe apparire la ‘storia’ tra Draco e Hermione a qualcuno di totalmente estraneo alla vicenda).
Bacioni a tutti,
l’autrice
 
CAPITOLO DIECI
TEMPO
 
 
Quella piccola vittoria mi fece sorridere per tutta la mattinata seguente.
Certo, il perché del comportamento di Malfoy non l’avevo scoperto–era ovvio che non provasse nulla verso di me- ma vederlo impallidire e correre via furioso era una soddisfazione davvero troppo grande.
Entrai in Sala Grande con il sorriso sulle labbra e non guardai nella direzione dei Serpeverde per non dare soddisfazione al biondino.
“Buongiorno ragazzi!”
“Mmm..’Giorno Herm…” mi  salutò Harry, interrotto a metà frase da un sonoro sbadiglio.
Ron, con la testa appoggiata sulle braccia, a loro volte appoggiate sul tavolo, mugugnò qualcosa di incomprensibile.
“Come mai così stanchi?”
Credevo di aver fatto una domanda normale e più che giustificata, visto le occhiaie e il pallore dei miei amici.
E invece, appena la pronunciai, come se fosse stata una parola d’ordine,
accaddero varie cose contemporaneamente: Ginny guardò verso di me con sguardo preoccupato e scosse energicamente la testa, mentre quelle di Ron e di Harry scattarono verso la mia direzione, improvvisamente ridestate dal dormiveglia mattutino.
“Come mai così stanchi, chiede lei, come mai così stanchi?!” Ron gridò con una voce acuta e isterica: a quanto pare non era una novità, perché gli altri studenti seduti intorno a lui iniziarono a parlare con altre persone o si limitarono ad alzare gli occhi al cielo e a puntare il loro sguardo sulla colazione.
Intervenne Harry, poggiando una mano sul braccio di Ron, che sembrava così indignato da voler andarsene dalla Sala.
Il Prescelto chiuse gli occhi con fare saggio, e per un momento sembrò che tutta la tavola dei Grifondoro trattenesse il fiato.
Dopo pochi istanti li riaprì, puntando le sue iridi verdi nelle mie.
Quando parlò, la sua voce era stentorea…
“Hermione, sei una ragazza sveglia e inoltre la mia migliore amica. Conoscendoti so quanto poco ti interessi, ma questa volta ero sicuro che lo sapessi.
E’ uno degli eventi più importanti della nostra vita.
Oggi pomeriggio ci sarà la più importante sfida, che metterà in discussione tutto il nostro futuro in base al… ”
…come ogni volta che si parlava di…
“Quidditch.”
 
 
Dopo aver scoperto che il pomeriggio il Grifondoro avrebbe giocato contro il Tassorosso  la seconda partita del campionato di Quidditch e dopo essermi sorbita il monologo di Ronald che elencava in quanti casi le seconde partite avessero influenzato l’intero corso del campionato, mi chiusi in un silenzio muto, restia a ricevere un’altra lezione sulla storia del Quidditch.
Era uno sport che davvero non capivo.
Se fosse stata l’ultima partita, avrei compreso. E magari anche la prima.
Ma la seconda?!
A distrarmi dalle mie incomprensioni sullo sport più amato di tutta la scuola arrivò un gufo dal piumaggio scuro, nel becco reggeva una lettera.
La aprii, e non appena gliela tolsi dal becco l’uccello volò via.
Era della McGranitt, annunciava che quella sera ci sarebbe stata la riunione dei Capiscuola: dovevamo trovarci nel suo studio alle sette e mezza.
Ripiegai la lettera e la infilai nella mia agenda: mi voltai per andare a lezione appena in tempo per vedere altri tre gufi dal piumaggio scuro volare via, ognuno proveniente da un tavolo diverso.
 
 
 
Quella sera, alle sette e un quarto, mi trovavo davanti alla grande porta dello studio della Preside. Un po’ in anticipo, ammetto, ma solo perché volevo sottoporre alla professoressa un paio di idee che mi erano venute.
Bussai alla porta, e quando la voce aspra e familiare della McGranitt mi invitò ad entrare la spalancai. Avevo già iniziato a parlare quando le parole mi morirono sulla punta della lingua: seduto su una sedia davanti alla scrivania c’era Draco Malfoy.
“Buonasera, signorina Granger. Vedo che il signor Malfoy non è l’unico a cui piace arrivare presto.”
“Ehm, in realtà, professoressa…” tentai di iniziare, ma lei mi interruppe.
“Siediti, siediti cara!”
Mi accomodai con malgarbo sulla sedia che mi era stata indicata, tentando di sedermi sul bordo più lontano da Malfoy, il quale mi rivolse un sorriso.
Io ricambiai con un grugnito ‘alla Ron’.
La professoressa McGranitt si schiarì la voce e disse: “Il signor Malfoy era venuto qui per sottopormi alcune idee riguardanti l’allargamento della biblioteca, ma suppongo che anche lei sia qui per esporre alcune idee, o sbaglio?”
Appena sentii la parola ‘biblioteca’ associata alla parola ‘Malfoy’ inarcai un sopracciglio. Ma mi affrettai a spiegare: “No, professoressa, ero solo arrivata in anticipo…”
A queste parole fu la Serpe ad alzare un sopracciglio. Avevo mentito, lo so, ma non volevo parlare delle mie idee in sua presenza. Anzi, non volevo proprio parlare, in sua presenza.
Sì, la mia bugia sarebbe stata evidente anche a sasso, ma la McGranitt ebbe l’accortezza di non insistere: “Ah, bene, mi sono sbagliata.”
Rivolse a entrambi un sorriso, anche se i suoi occhi tradivano un’ombra di preoccupazione. Poi guardò il suo orologio da polso e disse:
“Oh, ma sono già le sette e mezza! Sarà meglio che sistemi la stanza per l’arrivo dei nostri ospiti!”
E con un sol colpo di bacchetta fece sparire le librerie e i tavolini che occupavano lo spazio, sostituendoli con un tavolo rotondo e cinque sedie.
Poi qualcuno bussò, e la riunione ebbe inizio.
 
 
 
Si svolse tutto facilmente, anzi troppo: finimmo prima del previsto, visto il totale assenso alle idee proposte. Ed era questo che mi risultava strano: il totale assenso.
Da quando Malfoy era d’accordo con solo una delle idee proposte che non riguardassero esclusivamente dei benefici per Serpeverde?
Uscii dalla studio della professoressa con la testa tra le nuvole, e quasi non mi accorsi che qualcuno si era piazzato davanti a me, impedendomi di procedere verso i dormitori di Grifondoro.
“Buonasera, Granger” mi salutò Malfoy con un ghigno sulla faccia.
“Ciao Malfoy…” dissi a bassa voce, girandomi dall’altra parte per prendere un’altra strada.
Ma la Serpe mi prese un braccio e mi fece voltare: io mi dimenai, e ritrassi il braccio alla stessa velocità con cui lui ritrasse la mano.
Il suo tono era duro, quando mi chiese: “Allora?”
“Allora cosa?”
“Ci hai riflettuto?”
“Ma su cosa?”
“Sul fatto di uscire con me.”
“Ma sei scemo? Non mi pare che tu me l’abbia mai chiesto, ma hai fatto bene: ti sei risparmiato altre umiliazioni.”
“Io non mi umilio, e nessuno può umiliarmi.”
“Sì, certo certo, è vero Malfoy, tu sei il capo indiscusso del mondo, sei perfetto e non ti può succedere nulla. Ora scusami, ma devo andare a ripassare Antiche Rune per domani…”
Mi ero già girata quando mi sbarrò nuovamente la strada: iniziava a stancarmi questo suo comportamento.
“Quindi non mi credi!” La sua non era una domanda: era un’esclamazione a voce molto alta.
“No. Non crederai mai a una sola parola che mi dirai.”
“Mai?”
“Mai.”
“Beh, dovrai ricrederti, Mezzosangue.”
“ E in che modo, se permetti?”
“Uscendo con me.”
“Oh, smettila Malfoy, non ne posso più dei tuoi scherzi. E ora lasciami passare.”
“Esci con me…” disse con voce quasi disperata quando mi si parò davanti per l’ennesima volta, impedendomi di passare.
“Ora smettila!” urlai. Tirai fuori la bacchetta più velocemente di quanto fece lui.
“Tanto lo sappiamo che non i farai nulla.” Disse con tono beffardo.
“Oh, io non ci scommetterei…” Però non scagliai nessun incantesimo, volli avere la soddisfazione di vedere che, di sua volontà, e con sguardo triste, si metteva da parte, spalle al muro, per lasciarmi passare.
Lo guardai negli occhi per un’ultima volta, prima di avviarmi a passo spedito verso il dormitorio.
 
 
 
 
***
 
 
 
Erano le otto e quaranta, e la professoressa McGranitt sedeva alla sua scrivania reggendosi la testa tra le mani.
Aveva sentito tutto il dialogo tra Hermione Granger e Draco Malfoy.
Le dispiaceva che tra due dei suoi studenti ci fosse così tanto astio e rancore.
Certo, era comprensibile: Malfoy era stato educato secondo i principi della sua famiglia –quindi quelli di Voldemort-, aveva aiutato a costruire un impero che si basava sulla paura e sulla distruzione; ma ora era tutto finito.
Bisognava concedere sempre una seconda possibilità.
Ed era felice di averla concessa a Malfoy: lui era cambiato. Ed era stato soggetto alla più grande punizione –o meglio, beneficio- che gli potesse capitare.
Si era innamorato.
Innamorato dell’incarnazione stessa di tutto ciò che un tempo era stato suo compito distruggere. Il ragazzo si era innamorato di Hermione Granger, che aveva sempre considerato, insieme agli altri fedeli di Tom Riddle, come una ‘sporca mezzosangue’ e null’altro.
Sperava che ora si fosse reso conto di quanto quella ‘definizione’ andasse male per la Grifondoro: sperava avesse colto la sua generosità, disponibilità ad aiutare, intelligenza e astuzia, sperava che avesse visto la sua bellezza.
Sperava fosse andato oltre ‘la sporca mezzosangue’.
La professoressa sperava che tutto ciò fosse vero, che si fosse innamorato realmente, anche se era un sogno quasi irrealizzabile.
E anche a Hermione doveva sembrare così, visto come era stata trattata gli anni precedenti: non era da biasimare quando rispondeva male a Malfoy o lo rifiutava.
 
Era una situazione difficile, che la Preside non comprendeva appieno.
Era certa che solo il tempo avrebbe aggiustato le cose.
Anche se la determinazione di Malfoy la faceva vacillare: se c’era una cosa che aveva capito dalla sua studentessa, era che aveva bisogno di tempo per riflettere sulle cose.
Un tempo che Malfoy non era disposto a concederle, a quanto pare: reggeva in mano il calendario, e stava guardando quante riunioni le aveva proposto di fare.
Una alla settimana: erano troppe, lo sapeva, ma l’aveva convinta sottoponendole problemi che si riuscivano a risolvere solo parlandone in un breve arco di tempo.
E alla Grifondoro non sarebbe piaciuto.
Inoltre, non si sarebbe potuta rifiutare, saltando più di tre incontri, o le sarebbe stato tolto il suo incarico da Caposcuola.
Era una situazione intricata, nella quale, si ripeteva, non doveva metter mano.
Le dispiaceva sinceramente per la situazione in cui era capitata Hermione: costretta a vedere per più di un’ora dopo l’orario scolastico, Draco Malfoy, una volta a settimana.
Sospirò, e l’unica cosa che poté fare, fu mandare quattro gufi dal piumaggio blu scuro ai quattro Capiscuola, per avvisarli della prossima riunione.
 
 

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Capitolo 12
*** CICLO ***


Angolo dell’autrice:
Salve gente!
Lo so, è da un po’ che non ci si sente, è che tra greco e latino tra poco ci lascio le penne.

Per farmi perdonare aggiorno con un capitolo bello lungo.
La fine è stata dura da scrivere perché..
Vabbè, il perché non ve lo dico, leggete: chissà se qualcuno indovina.
Bacioni e a prestissimo.

l’autrice.
 
 
 
CAPITOLO UNDICI
CICLO
 
 
Avevo il ciclo.
Era uno di quei dannatissimi cinque giorni in cui avevo letteralmente la luna storta.
Non mi andava né di essere magnanima, di perdonare gli sbagli commessi, dare seconde opportunità, far copiare o sorridere a qualunque essere (appartenente al regno animale, vegetale o minerale) mi si parasse davanti.
Che volete che dica: capita.

Per cui quella mattinata di fine ottobre non saltai di gioia quando il biondo energumeno figlio del Mangiamorte che al secondo anno aveva aiutato Voldemort a tornare in vita quasi uccidendo la mia amica Ginny, che il quinto anno aveva aiutato la Umbridge a distruggere l’ES, e che due anni dopo aveva lottato al fianco di Colui-che-ormai-si-può-nominare-perché-è-morto per distruggere qualsiasi cosa a cui tenessi (me compresa), mi si avvicinò con fare amichevole.
Non conoscevo la tattica con cui generalmente attraeva le ragazze (burrobirra? Pantaloni attillati? Sorriso smagliante?), ma sicuramente avvicinarsi pericolosamente con un ghigno passandosi la mano tra i capelli e poi dirigersi improvvisamente verso l’altra parte dell’aula, non avrebbe  mai funzionato.
O per lo meno con me. Sono certa che altre ragazzine sarebbero cadute a terra solo sentendolo respirare.
A me piacevano i valori di una persona, non certo il modo in cui camminava o chissà che altro.
Per cui restai lì, impalata, con un sopracciglio alzato, anche dopo che Malfoy si sedette elegantemente su una sedia in fondo alla classe.
Mi trascinai con fare stanco al banco in seconda fila, vicino a Harry, che mi aveva tenuto il posto.
“Ciao Harry” dissi con voce impastata.
“Herm! Come mai quest’aria cadaverica?”
Lo fulminai con lo sguardo e stavo per spiegargli come funzionava il corpo di una ragazza quando la Professoressa McGranitt entrò in classe.
L’ora passò velocemente, e altrettanto velocemente mi dileguai una volta suonata l’ora, volendo evitare altre ‘sfilate’ del Serpeverde, che più che attraente lo facevano sembrare confuso.

E il mio umore ebbe un drastico calo a pranzo, quando un gufo dalle scure piume si posò vicino al mio piatto di zuppa.
Mi presi la testa con le mani e cominciai a gemere.
Ron mi posò una mano sulla spalla e con fare premuroso chiese:
“Cos’è successo, Herm?”
Io alzai la testa di scatto: “Cos’è successo? Cos’è successo?! Riunioni, riunioni, riunioni! Ecco cosa! E tutto per colpa di quel dannato idiota, che non si vuole rassegnare! Oh, qualcuno gli dice di no, povero caro? Ebbene, lui sfinisce! Ecco come si porta tante ragazze a letto: impone loro la sua presenza costantemente, che lo vogliano o no!”
A un certo punto, come accade spesso quando parlo velocemente e sono molto arrabbiata, le parole si ingarbugliarono, incomprensibili, così finii per borbottare qualcosa tra me e me, lanciando maledizioni a Malfoy  a mezza voce.
Ron, che per tutto il tempo mi aveva guardato con aria allibita, si girò verso Ginny, che con aria tranquilla mangiava il suo pollo.
Quando intercettò lo sguardo spaventato e preoccupato del fratello, che del mio discorso non aveva capito una parola, scosse la testa e scandì mutamente con le labbra la parola ‘ciclo’.
Come una parola d’ordine, sia Ron che Harry, che per tutto il tempo aveva seguito lo scambio di battute, si girarono puntando interessati lo sguardo sui loro piatti.
Io non feci caso al loro imbarazzo –che puntualmente scatta appena sentono la parola che indica quella cosa che, inevitabilmente, accade alle donne una volta al mese e con cui loro non vogliono avere assolutamente a che fare- e mi diressi invece a passo di marcia fuori dalla Sala Grande, appena dopo aver scarabocchiato qualche riga alla McGranitt per dirle che ci sarei stata e averle affidate al gufo.
 
 
 
Quella sera, aiutata dall’oscurità che seguiva il tramonto, uscii dal castello, per godermi un’ora di pace prima della cena.
Mi sedetti sul prato, stringendomi nel mantello, poco prima della capanna di Hagrid.
 
“Granger”.
 
Oh, no, no, no, no, no, no… non anche lì!
Una voce inconfondibile mi era appena arrivata alle orecchie, disturbando quella che avrebbe dovuto essere un’ora di relax.
Mi girai di scatto: un ragazzo biondo dagli occhi plumbei era a qualche metro da me.
“Malfoy!” dissi, con un tono a metà tra l’incredulità e la rassegnazione.
Il sopracitato ragazzo inarcò un sopracciglio –e non potei non notare un cambiamento nei suoi occhi, animati improvvisamente dallo scherno, cosa che non annunciava nulla di buono- e parlò:
“Wow, Mezzosangue, ricordi il mio nome! Eppure non si direbbe, visto che ogni volta che ti incontro scappi o ammutolisci.”
Incontro? Ogni volta che mi incontri? Più che incontri casuali, i tuoi mi sembrano agguati! Inizi davvero a farmi paura, furetto…”
“Cosa stavi facendo qui? Una bella passeggiatina per il gusto di togliere un po’ di punti alla tua Casa?”

Sospirai, felice che fosse almeno tornato il solito, antipatico, borioso, Malfoy.
“ Non sono affari tuoi, Malfoy”.
“Dio mio Granger, ma come mai voi Grifondoro siete tutti dannatamente uguali? Vi hanno fatto con lo stampino? Ma nessuno sa dare una risposta diversa? Ogni volta che chiedo una semplice informazione mi rispondete sempre nello stesso modo…”
“Forse perché, effettivamente, non ti riguarda!”
Lui alzò teatralmente gli occhi al cielo e poi indicò con un cenno della testa il prato: “Posso sedermi?”
Non risposi,  e lui interpretò il mio silenzio come un consenso.
Notai come contrasse le labbra appena le sue mani vennero a contatto con l’erba bagnata dalla pioggia.
La sua smorfia però sparì, sostituita dal solito ghigno quando mi parlò: “Ascolta Granger, ho due biglietti per le Sorelle Stravagarie, vengono a Londra questo weekend, e credo anche di riuscire a ottenere un permesso dalla McGranitt per farci uscire da Hogwarts. Allora, ci stai?”
Non risposi.
Mi presi la soddisfazione di tenerlo sulle spine.
E infatti, dopo pochi secondi che non rispondevo, lui chiese con tono spazientito: “Allora?”
“Mmm…”
“Rispondi!”
“Fammici pensare un attimo…”
“Vieni o no?!”
“No.”
Lui si alzò di scatto in piedi, irato.
“Perché no? Perché non vuoi uscire con me?”
“Mi sembrava di avertelo spiegato più volte…”
“Ma cazzo, ho i biglietti per le Sorelle Stravagarie! Sono costate una fortuna!”
Alzai le spalle.
Lui si mise le mani nei capelli.
E poi urlò. Scommetto che anche i ritratti nell’ufficio della Preside sentirono.
Un urlo ben fatto, lo ammetto.
Trasudante di impotenza, rabbia e irritazione.
Quando smise di urlare, ansimava.
“Cavolo Malfoy, il tuo urlo resterà nella storia. Anche un gargoyle, se fosse stato qui, avrebbe perso l’udito.”
Mi guardò: e nei suoi occhi c’era solo odio.
Non so spiegare, ma nonostante tutto, sembrava si trattenesse. Ed era già abbastanza spaventoso così..
Fatto sta che mi si avvicinò velocemente, in poche falcate fu davanti a me: mi respirava sulle labbra.
Quando parlò lo fece a voce bassa, la sua voce era roca e tremante.
“Mezzosangue, io non ho più voglia di aspettare e starti dietro.
Se mi dici di no te ne pentirai.”
In qualsiasi altro momento l’avrei sfidato, magari estraendo le bacchette, ma in quello no, e forse fu meglio. Ero troppo stanca per un duello, e inoltre a causa del ciclo avevo mal di testa.
Mi limitai a soffiargli in faccia le due lettere che non voleva sentirsi dire. Poi mi allontanai e me ne andai con aria indifferente.
 
 

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Capitolo 13
*** INCUBI ***


Angolo dell’autrice:

Ma saalve!
Allora, aggiorno presto, perché oggi a lezione ho avuto un’illuminazione, e appena sono tornata a casa mi sono messa a scrivere.

Ho aggiornato velocemente, in compenso il capitolo non è molto lungo  >.<
Eh, mi dispiace, ma questa volta va così!
Lo so che vi starà venendo il latte alle ginocchia: siamo al dodicesimo capitolo e ancora tra questi due non c’è stata una scintilla!! Ma nemmeno a pagarla!
Eeeh, ammetto che la sto tirando e la lunga, ma voglio dire:

Hermione e Draco si odiano da sette, lunghi anni, è possibile che una mattina si alzino, si vedano e si piacciano?!
Secondo me no, deve essere un processo mooolto lento.

(avevo già fatto un discorso del genere? Se sì, perdonatemi, ma la mia memoria fa invidia a uno scolapasta.)
Comunque, don’t worry: ormai ci siamo.
Se siete pazienti e aspettate il prossimo capitolo… sarete ricompensati!
Ora vado, che questo discorsetto sta diventando più lungo del capitolo.

Bacioni
 
L’autrice.
 
P.S.
Ah, mi dimentico sempre, ma questa volta non posso non farlo:
un grazie speciale a chi mi recensisce e a chi segue questa storia,
in particolare a JeyMalfoy_.
Grazie cara, è sempre un piacere vedere che recensisci ogni capitolo
 
 
 
CAPITOLO DODICI
INCUBI
 
 
Ero rannicchiata su una delle poltrone della Sala Comunque quando sentii l’orologio suonare le cinque. Di mattina.
Avevo una coperta ammucchiata ai piedi, un libro sul grembo e la testa abbandonata contro lo schienale.
I miei occhi guardavano fissi fuori dalla finestra le montagne, rischiarate dalla luce tenue dell’alba.
Le palpebre erano pesanti, tuttavia non avevano intenzione di chiudersi per lasciarmi riposare anche solo un’ora prima dell’inizio delle lezioni.
Ormai ero così abituata a quel rituale, al silenzio della scuola dormiente, alle braci del fuoco che man mano si spegneva nel camino, da dimenticare il fastidio di alzarmi così presto.
Era da più di una settimana che mi svegliavo a quell’ora. La causa?
Incubi.
Mi era passata la voglia di andare a dormire, perché sapevo che non sarebbero state le braccia di Morfeo ad accogliermi per cullarmi fino al mio risveglio.
Sarei stata circondata da visioni terribili, e la mia paura di riviverli ritardava il mio addormentamento. E tutto ciò non faceva che aumentare le occhiaie la mattina seguente.
Il brutto era  che questi incubi avevano un fattore comune: l’impotenza.
Si svolgevano tutti secondo lo stesso schema: qualcuno soffriva, e io non potevo fare nulla.
E c’era sempre Malfoy, una luce diabolica negli occhi che, in un angolo, allungava la mano verso di me.
Sapevo che era la chiave di tutto: che se avessi preso quella mano sarebbe tutto finito, ma non riuscivo mai a muovermi.
Restavo inchiodata a guardare i miei amici che se ne andavano, dimenticandomi, o i miei genitori che piangevano perché non ero mai con loro.
O peggio, che venivano torturati.
Era una cosa atroce, e mi svegliavo sempre sudata, con le lacrime che mi bagnavano il cuscino.
La cosa più brutta era Malfoy che non muoveva un dito per fermare tutto quel dolore, che sembrava essere proprio opera sua: si limitava a scuotere la testa, ghignando, ripetendo sempre la stessa frase ‘te ne pentirai’.
Era terribile.
 
Per di più sembrava che fosse cosciente di ciò che la notte sognavo, di come soffrivo, perché ogni volta che lo incontravo si limitava a ghignare, nello stesso modo.
Cioè, ghignava nel solito modo, come faceva da quando lo conoscevo. Ma ero così ossessionata dagli incubi che mi sembrava lo facesse apposta.
Una volta passai la notte in biblioteca a fare ricerche su ricerche, per vedere se esisteva un incantesimo con cui si manipolavano i sogni. Avevo fatto ricerche e ricerche sulla Legimanzia, chiesto più volte a Harry come si sentiva quando Voldemort manipolava la sua mente mentre dormiva, ma non ero arrivata a niente. Nessuna risposta.
Pian piano nella mia mente diventava sempre più palese la soluzione, ma proprio non volevo accettarla.
Non volevo. Non volevo arrendermi.
Ma fu mentre guardavo l’alba decisisi: avrei preso quella mano.
Avevo il presentimento che, altrimenti, quegli incubi non sarebbero finiti mai.
 
 
 
****
 
 
Si era svegliato presto quella mattina. Troppo presto.
Come d’altronde succedeva da un po’ di tempo a quella parte.
Era sdraiato sul divanetto della Sala Comune, e guardava fuori dalla finestra: il lago era illuminato da quella tenue luce che precede il sorgere del sole.
Aveva fatto un altro dannato incubo, ecco cosa.
E ciò che lo faceva infuriare era che era sempre lo stesso.
Ormai i giorni passavano, era la seconda settimana di novembre, e con la Granger nemmeno un progresso.
Era come convincere un leone a diventare vegetariano: impossibile.
I giorni che scorrevano erano diventati un’ossessione: aveva tappezzato la sua stanza di calendari, e su ogni  giorno c’era una grande croce rossa.
La stessa cosa sulla sua agenda: ogni giorno era segnato con un’enorme ‘X’.
Aveva praticamente perso ogni speranza di conquistarla, e con essa la speranza di vincere la scommessa.
Nell’incubo era steso per terra, sui fogli strappati dei calendari, e davanti a lui tutti i suoi compagni che lo additavano e ridevano. I loro volti erano maligni, e c’era una voce che serpeggiava tra di loro, che diceva che non riusciva a portare a termine nulla, nemmeno una stupida scommessa.
E in un angolo la Granger, che sorrideva cattiva, a braccia conserte, dandogli le spalle. Non muoveva un dito per venire verso di lui, non gli porgeva la mano, per aiutarlo ad alzarsi.
Lui non le avrebbe mai porto la mano per aiutarla, se la situazione fosse ribaltata, ma non si diceva forse in giro che la Granger era tanto magnanima quanto secchiona? Si sarebbe aspettato che l’aiutasse.
Era talmente disperato che ogni volta che la vedeva avrebbe voluto sorriderle, provando magari a convincerla con la gentilezza, e invece ciò che riusciva a fare era solo un ghigno distorto.
Quella mattina quando entrò in classe si trascinò verso il suo solito banco, occhi rossi e camicia stropicciata: si buttò sulla sedia con malgarbo e appoggiò la testa al banco, desiderando solo che qualunque prof ci fosse in quell’ora gli concedesse almeno un minuto di riposo.
Quando sentì dei passi, veloci e decisi, che sembravano dirigersi verso di lui, stava già pensando alla scusa più buona da usare, nel caso si trattasse di un professore che si lamentava del suo comportamento: era meglio ‘Scusi prof, ho passato la notte in bianco perché mi manca mio padre e per cui non riesco a tenere gli occhi aperti’ o ‘mi spiace prof, ma ho passato tutta la sera in biblioteca a fare una ricerca per Difesa contro le Arti Oscure e sto crollando dal sonno’ oppure  ‘Mi congratulo professore, lei è uno dei pochi che ha una voce così vellutata da riuscire a farmi assopire anche durante una lezione così interessante’?
Non fece in tempo a trovare una risposta che una voce acuta e familiare –troppo familiare- disse: “Alzati Malfoy, dobbiamo parlare”.
 
Il ragazzo chiamato in causa alzò la testa, aprì gli occhi, ancora impastati dal sonno e si stupì.
In primo luogo perché era la Granger a parlargli e secondo, perché aveva delle occhiaie che facevano a gara con le sue.
Si alzò senza un rumore, senza una parola, e seguì la ragazza fuori dall’aula.
Uscirono proprio mentre entrò il professor Silente, che li guardò con fare interrogativo.
Velocemente la Mezzosangue snocciolò una giustificazione che probabilmente si era già preparata. Malfoy era talmente assonnato e poco interessato che colse solo qualche parola, del tipo ‘caposcuola’ ‘parlare’ ‘organizzarci’ e ‘turni dei Prefetti’.
Il professore fece un segno di assenso e entrò in classe.
I due studenti si diressero lontani dall’aula, e quando la Granger si fermò bruscamente in mezzo a un corridoio Malfoy, che le camminava dietro guardandosi le scarpe, per poco non le sbattè contro.
Quando alzò gli occhi verso la ragazza era certo che li avrebbe trovati illuminati dalla luce della vittoria, e invece no.
Erano sfuggenti, spaventati, e non si soffermavano sullo stesso oggetto per più di pochi secondi.
Quello che disse, poi, lo stupì ancora di più: era certo che lo avesse chiamato per dargli la batosta finale, per dirgli di smetterla di guardarla come un’anima in pena, tanto non avrebbe accettato.
Invece scandì le seguenti parole, scelte con cura e precisione: “Ho riflettuto a lungo, e ho deciso di uscire con te, perché credo sia l’unico modo per scoprire cosa c’è sotto, visto che so perfettamente che non lo fai per amore. Così smetterai anche di  comportarti in maniera tanto strana.”
E prima che se ne andasse a passi veloci, poté sentirla mormorare: “E, magari, finiranno anche quei dannati incubi.”
 

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Capitolo 14
*** LEZIONI DI SORRISO ***


Angolo dell’autrice:
Ehy gente, perdonate gli eventuali errori di battitura, ma vado di fretta che voglio aggiornare!
Ecco il fatidico appuntamento: ditemi che ne pensate!
Un bacione,
 
io.
 
 
CAPITOLO TREDICI
 
LEZIONI DI SORRISO
 
 
 
“Sicura di non voler nemmeno qualcosa da bere?”
Era almeno la quinta volta che glielo chiedeva, lo sapeva bene, ma era l’unica cosa da dire che gli veniva in mente.
Lei l’aveva guardato, alzando gli occhi dalla tovaglia e aveva scosso la testa.
Gli occhi castani erano trasudavano scetticismo e incredulità.
Draco tornò a guardarsi e attorcigliarsi le mani, sudate, sotto il tavolo.
Era decisamente il peggior appuntamento della sua vita, poteva ammetterlo, e la Granger di certo non aiutava.
Stava seduta davanti a lui, come una statua di sale, senza dire una parola, sopracciglia alzate e sguardo... vuoto.
Era così strano. Sembrava assente.
Eppure aveva fatto tutto alla perfezione: il giorno prima si erano accordati –o meglio, lei gli aveva intimato- che fosse un appuntamento breve, indiscreto e semplice.
Lui aveva prenotato il locale, appena fuori Hogsmeade, durante la giornata in cui avevano il permesso di uscire fuori dal castello, e quel pomeriggio si erano trovati al punto prestabilito per poi andare insieme fino al ristorante.
Ovviamente Draco si era vestito elegante, come da Manuale-Malfoy, anche se, se non fosse stato un appuntamento solo allo scopo di vincere la scommessa, non si sarebbe mai messo in tiro per la Mezzosangue.
Lei non si era nemmeno degnata di mettersi qualcosa di carino: maglia a collo alto grigia, sciarpa, jeans e piumone.
D’altronde non poteva nemmeno biasimarla: faceva un freddo cane quella mattina. Altro che appuntamento romantico, era un appuntamento da Polo Nord: il vento era gelido e sicuramente sarebbe  nevicato entro sera.
Le pozzanghere erano ghiacciate, e l’alito formava nuvolette di fumo.
Si disse tra sé che sicuramente anche il maltempo aveva contribuito a rendere quell’appuntamento un disastro, sviando da sé tutte le colpe: erano in un tavolo davanti a una grande finestra, e l’unica cosa che potevano fare –visto che parlare non era un’opzione contemplata- era guardare quella grande finestra, e scoraggiarsi ancora di più.


“Sicura? Nemmeno una burrobirra? O una cioccolata calda?”
“No, grazie” rispose lei, glaciale.
Non poteva finire così. Doveva rimediare e ribaltare l’appuntamento rendendolo quantomeno piacevole. O avrebbe perso.
D’altronde era o non era Draco Malfoy?
Così prese coraggio e chiese, restando nella parte del ragazzo tonto che non ha capito che una coppia così non potrebbe mai andare avanti: “Qualcosa non va?”
Lo sguardo che gli rivolse era così acido che avrebbe potuto corrodere un muro di cemento.
Ma la sua voce lo fu molto di più:
“Sei scemo?! Seriamente furetto, sto iniziando a credere che qualcuno ti abbia confuso.”
Fece per aprir bocca ma lei lo anticipò: “ ‘Qualcosa non va?’ Questa è davvero buona. C’è che tutto non va, Malfoy, dalla prima cosa all’ultima!”
Alzò la voce: “Pensavo che avessimo chiarito che il luogo dell’appuntamento dovesse essere semplice e discreto! E assolutamente non doveva essere romantico!”
“Infatti!”
Hermione si alzò in piedi e rise amaramente, indicando la tappezzeria intorno a sé: “Mi sembra che tutto questo sia l’opposto di ‘semplice’ e ‘discreto’! Ma ti sei guardato intorno?”
Draco fece una smorfia, non potendo dissentire. In effetti non era un luogo molto adatto a un appuntamento al quale avrebbe portato una qualsiasi ragazza che gli interessasse.
Man mano che si guardava intorno era sempre più d’accordo con la Grifondoro: tutti i mobili erano bianchi, la tappezzeria era a fiori, l’insegna recitava a caratteri dorati ‘Lo scaldacuore’* e i muri erano coperti da centinaia e centinaia di librerie. Era per questo che l’aveva scelto: d’altronde l’abitat naturale della Mezzosangue non era la biblioteca?
“ Ma ti sembra? Siamo tu e io, non è che devi impressionarmi! Siamo sempre noi Malfoy, speravo che almeno cercassi di rendere questa uscita meno umiliante possibile! Avevo detto che doveva essere un posto in cui ti trovavi a tuo agio!”
“Qui mi trovo a mio agio!”
Era una menzogna di dimensione colossale, ma non avrebbe mai potuto portarla nei locali che frequentava, e nei quali si trovava a suo agio!
La ragazza sbuffò, accortasi anche lei della bugia.
Prese sciarpa e cappotto e si diresse verso l’uscita.
“Vieni Malfoy!”
Era decisamente il peggior appuntamento della sua vita.
 
 
****
 
Il volto serafico del Serpeverde si contorse in una smorfia non appena il signorino appoggiò il suo regale culo sulla semplice sedia di legno del locale in cui l’avevo appena trascinato.
Dovetti trattenere una risata: la faccia di Malfoy non era diversa da quella di John - l’uomo che gestiva ‘I tre manici di scopa’ da quando Aberforth aveva accettato il ruolo di insegnante- stupito fino all’inverosimile che il figlio di Draco Malfoy avesse messo piede nel suo locale.
Entrambe erano maschere di sorpresa mista a disgusto.
Mi alzai, lasciando da solo il mio accompagnatore al tavolo e andai al bancone a ordinare due burrobirre.
Quando tornai con le pinte in mano Draco mi lanciò uno sguardo interrogativo, e la sua voce –la stessa voce spocchiosa, insopportabile e cupa di sempre- diede voce ai suoi pensieri:
“Perché mi hai portato qui?”
Io sospirai e mi accinsi a spiegare, sincera: “Perché ho preso questo impegno, e visto che non ne sei capace tu, lo porterò io a termine.”
Stava per controbattere ma lo anticipai, come mio solito: “Inoltre ho detto ai miei amici che oggi pomeriggio sarei stata impegnata e se tornassi ora si insospettirebbero.”
“Che scusa gli hai fatto bere?”
“Ehm…” la mia voce vacillò: “Forse un giorno te lo dirò, ma… non ora.”
Pensavo insistesse argomento, e invece virò su un punto totalmente diverso:
“Perché lo fai?”
“Cosa?
“Restare qui, parlarmi. Prima avresti semplicemente potuto lasciarmi lì, e invece mi hai portato qui.”
“Allora, innanzitutto perché, come ho già spiegato, ho detto a Harry e Ron che non ci sarei stata per tutto il pomeriggio e perché poi…” alzai le spalle: “ Non so, voglio aiutarti.”
“Aiutarmi?”
“Già. Aiutarti.”
“Tu che aiuti me? Questa è bella!”
“Se fossi in te non farei il sarcastico.”
“E in cosa dovresti aiutarmi se si può chiedere?”
“A sorridere.”
“Come scusa?”
“Ecco vedi, tu non sorridi mai.”
“Oh, Granger, sorrido, e anche molto bene”.
E prima che potesse sfoderare uno dei suoi soliti ghigni o sorrisi ammalianti dissi:
“No, tu non sorridi. Il sorriso è sincero, e chiaro e aperto. Quando lo fai tu è sempre e solo per ottenere qualcosa.
“ E inoltre” aggiunsi “Alle ragazze piacciono quelli che sorridono!”
Lo sentii borbottare “In realtà alle ragazze piace qualcos’altro…”
Gli porsi la burrobirra, lui la prese, ma non mollai la presa.
“Ecco, in queste situazioni, magari, potresti ringraziare e fare un bel sorriso…” dissi pratica.
Di grazie nemmeno l’ombra, ma le sue labbra si contorsero in modo strano e alla fine più che un sorriso venne fuori una boccaccia.
Era ovvio che lo facesse apposta, ma era una delle espressioni più strane che avessi mai visto: iniziai a ridere, e il bicchiere che avevo in mano oscillò, facendo cadere alcune gocce a pochi centimetri da Draco, che guardava la pinta nella mia mano –poco distante dalla sua faccia- come se fosse un’arma di distruzione di massa.
Evidentemente anche a lui era venuto in mente che era il momento adatto per vendicarmi, ma non era da me; e poi la sua espressione era così buffa!
Finimmo per ridere entrambi e, quando smettemmo, entrambi uscimmo dal locale con un sorriso sulle labbra.
 
 
 
*E’ un locale inventato, mai stato citato nei libri di J.K. Rowling, e che ho inventato per far scorrere meglio la storia.
 
 

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Capitolo 15
*** UNA TAZZA DI TE' E DUE CUCCHIAINI DI ZUCCHERO -Parte Prima ***


Angolo dell’autrice:
Ehy gente! Come va?
Spero che il capitolo precedente sia piaciuto e abbia soddisfatto la vostra curiosità riguardo al fatidico appuntamento.

Vogliate scusarmi ma, per questo capitolo mi prenderò una pausa dal raccontare, anzi, sarà Hermione a prendersi una pausa.
Mi immagino già le vostre facce preoccupate che pensano ‘Questa è pazza’.
No, non vi preoccupate, era solo per annunciare che questo capitolo è ambientato nel presente.
A me piace moltissimo come è venuto fuori, spero riusciate a cogliere l’amore nella familiarità e nella concretezza delle loro azioni. Chissà se riuscite a capire il mistero della destinazione di Draco e Hermione dai pochi indizi che metto in questo capitolo.

A presto,
 
the writer.
 
 
 
 
 
CAPITOLO QUATTORDICI
UNA TAZZA DI TE’ E DUE CUCCHIAINI DI ZUCCHERO- Parte Prima
 
 
 
“Hermione, Hermione, dai svegliati”.
Scuoto la testa e mi volto dall’altra parte, come per allontanare la persona che vuole svegliarmi.
“Hermione, alzati! Devi venire subito!”
Mugugno qualcosa e mi rannicchio, cosa davvero difficile da fare sul sedile di un treno; la testa è appoggiata contro il freddo finestrino e il mio alito forma una nuvoletta di vapore.
Ma Draco non molla, e mi scuote per la spalla.
“Hermione, la casa va a fuoco!”
 
Apro gli occhi e mi alzo di scatto, pronta a sfoderare la bacchetta per spegnere l’incendio, ma tutto ciò che vedo è il corridoio del treno e gli altri passeggeri che dormono o leggono un quotidiano.
E davanti a me Draco, un ghigno sul volto, che scuote la testa dicendo: “Questo trucco funziona sempre.”
Gli sibilo qualcosa di davvero poco cortese e sto per sistemarmi di nuovo sul sedile quando lui mi prende per mano e mi trascina fuori dal vagone.
L’aria è fredda e, a causa dell’improvvisa levataccia, ho mal di testa. Fuori dai finestrini vedo scorrere veloce la campagna, le nuvole sono cupe e basse e il cielo è di quel colore tra il blu e il grigio che, chi ha passato le notti in bianco a causa degli esami conosce bene: manca poco all’alba. Saranno le quattro e mezza, cinque al massimo, posso metterci una mano sul fuoco.
Io ho gli occhi ancora impastati dal sonno e sono tutta intorpidita a causa della scomoda posa nella quale mi ero addormentata; Draco invece si muove a scatti, per chissà quale meta, come se avesse percorso la strada mille e mille volte.
Sono circa cinque minuti che mi trascina per il treno zigzagando tra i sedili quando mi accorgo che inizia a rallentare.
Ci fermiamo una volta arrivati al bar del treno.
Lui mi lascia una mano e si dirige al bancone: io gli lancio un’occhiata velenosa e mi accascio sullo sgabello di un tavolo.
Mi sostengo la testa con un braccio, e chiudo gli occhi; li apro solo quando sento il rumore della sedia che stride contro il pavimento e una leggera scossa al tavolo.
Mi raddrizzo e dico: “Mi hai bruscamente svegliata,  usando la barbara scusa che stavamo andando a fuoco, e poi mi hai fatto camminare per tutto il treno solo per mangiare qualcosa. E alle cinque di mattina?”
 
Chi mi conosce bene sa che il tono che ho appena usato, pacato e basso, precede uno sfogo  di rabbia.
E Draco mi conosce davvero bene: solitamente, infatti, annusa la tempesta in arrivo e mi blocca prima che io possa arrabbiarmi e strillare, facendomi calmare.
Questa volta, invece, mi guarda sarcastico, inarca le sopracciglia e spinge una tazza nella mia direzione.
“Bevi” dice lapidario, mescolando ciò che invece è nella sua tazza.
Io prendo in mano la mia, e lascio che il suo calore si trasmetta alle mie mani, poi vi scruto dentro: tè.
Guardo il liquido dorato e tengo in mano la tazza per un altro paio di secondi, prima di chiedere con tono scettico: “Hai messo lo zucchero?”
Draco, che stava bevendo il suo caffè guardando fuori dal finestrino, posa la tazzina e mi guarda, improvvisamente dolce, e mi risponde: “Secondo te, dopo tanto tempo, non so ancora che vuoi due cucchiaini di zucchero nel tè, altrimenti non lo bevi?”
Sorrido e mi porto la tazza alle labbra, decisamente meno scontrosa di prima.
I successivi minuti passano così, a guardare fuori quel mondo che scorre veloce, ignorando il tuo bisogno di star fermo, e a sentire il liquido caldo che accarezza la gola, regalando quel poco di intimità che è così difficile trovare quando sei lontano da casa.
Ingoio con il tè il groppo che mi sale in gola ogni volta che penso, a quella casa.
Anzi, a quelle case.
Che sono tante quante le persone che mi ci hanno accolte.
La casa dei miei genitori, la Tana, Grimmauld Place*, Hogwarts…
Mamma, papà, Harry, Ron, l’intera famiglia Weasley, l’Ordine…
Scuoto la testa, per scacciare tutti quei pensieri tristi e cerco di sorridere, perché la mia non è una fine.
Anzi, la nostra: è solo un inizio.
“Quanto manca, secondo te?”
Draco abbassa gli occhi alla sua tazzina e ci riflette un po’, forse perché anche lui pensa a tutto quello dal quale ci stiamo allontanando.
“Non so, davvero… Sicuramente un altro po’. Dovremmo essere quasi a metà.”
Annuisco, come se potesse consolarmi.
Per distrarre entrambi dai pensieri nostalgici gli chiedo: “Ti ricordi il nostro primo appuntamento?” e già prima di sentire la risposta mi  spunta un sorriso sulle labbra.
Anche Draco sorride, gli occhi illuminati dalla luce pallida della lampadina del bar: “Preferirei dire che mi sono dimenticato l’episodio e invece… me lo ricordo eccome! Dio, il peggior appuntamento della mia vita… Avrei potuto evitarlo…Se ci penso mi mangio ancora le mani.”
Allungo una mano sul tavolo, per prendere le sue, strette attorno alla tazza di caffè ormai fredda: “Ma no, alla fine non è stato così terribile…”
Il silenzio cala di nuovo, interrotto solo dal rumore delle ruote del treno contro le rotaie, e pian piano i nostri sorrisi svaniscono ma i nostri occhi continuano a guardarsi, mentre le menti vagano lontane.
Chissà quanto tempo passa, pochi minuti o forse ore, e il sole inizia a sorgere; lontano, alla fine dell’orizzonte un cerchio arancione si alza a vista d’occhio.
Ma io ignoro quello spettacolo e guardo Draco, illuminato dalla calda luce di una nuova giornata, che a sua volta guarda fuori.
Ci alziamo e, sempre in silenzio torniamo al nostro scompartimento, mano nella mano.
Con qualcosa di più caldo sulla pelle, negli occhi,
nel cuore.
 
 
 
 
 
*Magari a qualcuno potrà esser sembrato strano che Grimmauld Place venga ricordata da Hermione come ‘casa’, ma vedrete che anche questo piccolo mistero verrà svelato nel corso della storia…

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Capitolo 16
*** UNA TAZZA DI TE' E DUE CUCCHIAINI DI ZUCCHERO -Parte Seconda ***


Angolo dell’Autrice:
 
Ciao lettrici e lettori,
strano l’ultimo capitolo, eh? Sappiate che la storia rimane un mistero anche per me! :D
Comunque sono breve, volevo solo avvisare che questo  capitolo è di nuovo ambientato a Hogwarts, non più nel presente!
A presto,

 
l’autrice.
 
P.S.
Scusate gli eventuali errori, ma posto di fretta.
Ah, perdonate anche la scarsa dinamicità nei dialoghi, appena posso li sistemo!

 
 
 
CAPITOLO QUINDICI
UNA TAZZA DI TE’ E DUE CUCCHIANI DI ZUCCHERO – Parte Seconda
 
 
Quando l’appuntamento finì, breve e indolore, ci separammo.
Io tornai al castello, invece Malfoy rimase a Hogsmeade.
Era andata meglio di quanto sospettassi. E la cosa mi stupì non poco.
Entrai nella Sala Comune infreddolita, ansiosa di mettermi davanti al fuoco a leggere un pochino. Fortunatamente la passione di Harry e Ron per il Quidditch era così viscerale che nonostante il maltempo erano andati allo stadio ad allenarsi, in vista della partita contro Corvonero.
Mi acciambellai su una poltrona e iniziai a leggere.
Nonostante i miei occhi scorressero veloci, mi accorsi, ad un certo punto, di essermi persa. Non prestavo attenzione a ciò che leggevo; avevo la testa da un’altra parte: vagava tra le nubi scure, preannuncianti tempesta, o ancora più in là, verso Hogsmeade. Ripercorsi il pomeriggio, il pranzo con il biondino, la piacevole sensazione di sentirmi a disagio, poter dire ciò che volevo.
Mi scoprii a pensare che, dopo il primo impatto, il Serpeverde poteva essere simpatico.
Non parlava troppo, ascoltava bene. Sembrava interessato. E interessante.
Non credete che mi stessi facendo delle illusioni, o chissà che.
Non c’era stato nessuno romantico sfioramento di mani, il sole non era spuntato dalle nuvole illuminando il suo volto angelico, non mi ero sciolta guardando nei suoi occhi. Niente di tutte queste bambinate.
Chiusi il libro con uno scatto, come a voler schiacciare tra le pagine tutte le fantasticherie e mi avviai in Sala Grande per la cena.
 
 
 
****
 
Erano passati un paio di giorni da quando era uscito con la Mezzosangue e Draco Malfoy camminava baldanzoso per i corridoi di Hogwarts, pensando alla mossa successiva.
Il tempo passava, troppo velocemente, e doveva assolutamente riparare a tutte le occasioni che si era lasciato sfuggire. Il vento gelido di dicembre si avvicinava sempre di più ed era uscito con la Granger solo una volta. E da quel momento non si erano più parlati.
Analizzando l’appuntamento, nonostante l’orrendo inizio, era andato bene.
Sembrava che la Grifondoro si fosse sentita a suo agio.
Quindi, calcolò, avrebbe acconsentito a uscire con lui una seconda volta.
Sì, assolutamente, doveva chiederglielo il prima possibile.
L’avrebbe fatta capitolare, e sarebbe partito da quella sera stessa.
Alla solita riunione dei Capiscuola, con la McGranitt.
Se fosse per lui, l’avrebbe evitato, ma doveva imporle la sua presenza…
Sbuffò: quella scommessa si stava svelando più impegnativa di quanto aveva previsto. Non valeva tutta quella fatica.
La Granger non valeva tutta quella fatica.
Anche se, doveva ammetterlo, se non pensava alle sue origini Babbane e a tutto il resto, poteva addirittura risultare sopportabile.
Aveva una bella voce, calma e pacata, quando parlava. Diversa da quella acuta e petulante che utilizzava in classe e con i professori.
Anche a guardarla, non era poi così sgradevole. Certo, avrebbe potuto mettersi qualcosa di più adatto.
Con una smorfia si disse che si sarebbe dovuto abituare, visto che avrebbe passato del tempo con la ragazza.
Entrò nello studio della Preside nello stesso momento in cui suonarono i rintocchi delle otto.
 
 
 
****
 
Finita la riunione dei Capiscuola ero corsa nella Sala Comune dei Grifondoro, a studiare per un’interrogazione il giorno dopo.
Speravo di poter avere un po’ di pace, davanti al caminetto, invece no: sembrava che tutti i Grifondoro si fossero accordati per far baldoria proprio in quel momento, spronando i giocatori della squadra di Quidditch a far scintille, disintegrando gli avversari, l’indomani. Il risultato avrebbe determinato chi sarebbe passato alla finale.
Cercai di rintanarmi in un angolo, ma niente: nessuno dava segno di voler andare a dormire. Effettivamente erano appena le nove e mezza.
Io però non riuscivo a studiare e, indignata dalla confusione, me ne andai a dormire, rinviando il mio studio alla mattina successiva.
Misi la sveglia alle cinque e mezzo e così mi svegliai all’alba: nessun rumore, il silenzio mi circondava.
Felice di avere tutto il castello per me, scesi in Sala Grande a spizzicare qualcosa:
era strano vederla così vuota.
Era già tutto pronto per la colazione e mi sedetti al mio solito posto: spostandola, il rumore della panca fece eco. Non mi ero mai accorta dell’immensità della sala, non a caso chiamata Grande: mi guardai intorno, come una bambina.
Era una cosa fuori dal comune essere sola, visto che, comunque, qualcuno potevi sempre trovarci: un professore, qualche studente con buchi allo stomaco…
Invece quella mattina no.
Guardai il soffitto, dove potevo ancora veder le stelle. Fuori era buio, e solo qualche candela illuminava la sala.
Mi immersi nella lettura del brano di ‘Difesa Contro le Arti Oscure’ e non mi accorsi quando qualcuno, a passo felpato e veloce, si diresse verso di me.
Me ne accorsi –sobbalzando- solo quando la voce insidiosa e vellutata di Draco Malfoy mi arrivò alle orecchie: “Posso sedermi?”
Alzai lo sguardo, stupita che si volesse sedere al tavolo dei Grifondoro.
Misi via il libro e annuii.
Ci fu un minuto di silenzio, poi mi chiese: “Non parli molto di prima mattina, eh?”
Gli sorrisi: “No, non è questo. Mi stavo chiedendo come mai ti fossi alzato così presto.”
Sorrise a sua volta: “Non dormo molto bene, in questo periodo. Varie cose mi girano per la testa”.
Annuii, guardando il piatto vuoto davanti a me, certa che non fosse il momento giusto per parlarne.
Fu sempre lui a parlare di nuovo: “Ieri sera ti avevo cercato, dopo la riunione.”
“Ah, scusa, è che sono corsa in dormitorio…Dovevo studiare.” Risposi indicando con un cenno del capo il libro di fianco a me.
Lui  continuò a fissarmi, uno sguardo così intenso che era palese che stesse per parlare ancora: “Non è che mi eviti, Granger?”
Risi, incredula: “Ma no! Perché lo pensi?”
“Beh, non mi hai rivolto parola da sabato scorso.”
“Oh, mi dispiace… E’ che è una situazione un po’ strana, no? Voglio dire, non è che noi due abbiamo mai parlato tanto.”
“Non credi sia il momento di cominciare?” chiese.
Non risposi, così continuò: “Perché non ci prendiamo un caffè, una volta? In un locale che scegli tu, promesso!”.
Voleva uscire di nuovo. Io soppesai le parole e poi risposi a bassa voce: “Non bevo caffè.”
La mia obbiezione non scalfì minimamente le sue intenzioni: “Oh beh, allora cioccolata calda.”
Gli sorrisi: “Preferisco il tè.”
“E’ un sì?” mi chiese dubbioso, versandosi del caffè.
Io non risposi.
Lui si avvicinò un’altra tazza e ci verso del tè. Dopodiché ci mise tre cucchiaini di zucchero e me la porse.
Io la respinsi.
“Cosa c’è che non va?” mi chiese incredulo.
Scossi la testa, restia a spiegargli.
Alla fine cedetti: “E’ che… io bevo il tè solo se ci sono due cucchiaini di zucchero. Né più né meno. E’da pazzi, lo so ma è un’abitudine vecchia…”
Lui non disse niente, rimase imperturbabile, prese un’altra tazza, vi versò del tè e ci mise due cucchiaini. Mi porse la tazza.
Gli sorrisi e accettai.
“Sei strana, Mezzosangue.”
“Questo lo sapevamo, lo strano è che tu le segua.”
 

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Capitolo 17
*** QUADRI ***


Angolo dell’autrice:
salve gente, come va?
Allora, questo capitolo è mooooooooolto importante e ricco di eventi. E’ lunghissimo perché non me la sentivo di spezzarlo.

Ah, un’ultima cosa: questo capitolo è dedicato completamente a Draco e alle sue riflessioni.
A presto, un bacione.
 
L’autrice.
 
 
 
CAPITOLO SEDICI:
QUADRI
 
 
 
 
 
 
Draco Malfoy si dirigeva per l’ennesima volta verso l’ufficio della Preside.
Gli era arrivato un gufo, due giorni prima, che comunicava che sarebbe dovuto andare dalla McGranitt al più presto.
Aveva sbuffato: chissà di che aveva da lamentarsi, la vecchia.
Così quella sera aveva aspettato che la cena finisse e si era avviato verso lo studio.
A doverlo ammettere, gli piaceva camminare lungo i corridoi di Hogwarts: così intricati da parere un labirinto, non sapevi mai dove potevi andare a finire.
A volte, quando era sovrappensiero, si incamminava per quelle vie silenziose, senza una meta, e piano piano i problemi scivolavano via, la mente si svuotava.
Era una fredda serata di novembre, e la luce pallida delle torce sembrava ancora più spettrale.
Mentre camminava rifletteva: erano usciti un altro paio di volte, con la Granger, ed era andato tutto bene. Aveva fatto buona impressione, ne era certo.
D’altronde aveva la ricetta perfetta: stare ad ascoltare, annuire, non insultare i suoi amici e assecondarla.
Aveva fatto tutto ciò, per cui ormai doveva essere ‘cotta’ a puntino.
Passo dopo passo, respiro dopo respiro, era arrivato a destinazione silenzioso come un serpente (mi sembrava il paragone adatto n.d.a.). Si guardò l’orologio da polso. Era in anticipo, ma bussò lo stesso. Nessuno rispose.
Così si appoggiò alla porta, in attesa che la McGranitt arrivasse, provò addirittura ad aprire ma niente.
Si concentrò solo sul silenzio, nemmeno i quadri facevano rumore, l’unica cosa che sentiva era il suo respiro.
Un momento. Nemmeno i quadri facevano rumore?
Eppure sentiva due voci, provenire dallo studio. Ed era certo che non fossero persone. Premette l’orecchio contro lo spesso portone in legno, incurante dei guai che avrebbe probabilmente passato se la professoressa l’avesse trovato a origliare.
Le voci erano ovattate, tuttavia riusciva a capire bene ciò che dicevano.
La prima voce che udì con chiarezza chiedeva: “Perché stai ridendo? Sono così patetico?”
Il mago che aveva fatto questa domanda aveva una voce cupa e lamentosa, leggermente nasale, facilmente riconducibile a Severus Piton.
Albus Silente, la cui voce calda e familiare si sarebbe riconosciuta fra mille, replicò:
“Ma no, Severus, ma no. In primo luogo non rido ma sorrido.
E in secondo luogo non ti trovo affatto patetico, tantomeno il tuo racconto. E’ che ho fatto una scommessa molto interessante, e il suo esito mi incuriosisce sempre di più. Perché sai, le persone cambiano, e vedere la loro evoluzione è la cosa più interessante del mondo.
Oh, ma tu lo sai meglio di chiunque altro.
Su, continua a raccontare”.
 
 
Draco aveva gli occhi sbarrati. Possibile che sapesse?
Beh, era Albus Silente e vivo o morto che fosse, a quello non sfuggiva niente.
D’altronde era molto improbabile che parlassero proprio della sua scommessa, che più che con i Serpeverde, ora sembrava fatta con se stesso.
Probabilmente parlava d’altro.
Non si sentiva sicuro, però.
Così scappò via, chissà perché così agitato, come se qualcuno avesse detto un segreto che voleva portarsi nella tomba, così palese ma che non avrebbe voluto si scoprisse, nonostante già in tanti lo conoscessero.
Sparì tra i corridoi, inghiottito dal silenzio insieme al rumore dei suoi passi.
 
 
****
 
 
Draco si buttò sul letto solo molto tempo –e molti passi- dopo.
Turbato, così turbato da arrivare fino alla gufaia.
Era stanco, avrebbe voluto dormire, ma il suo cervello non riusciva a spegnersi.
E poi lui se lo chiedeva, il perché di tutta questa agitazione.
Anche se il vecchio balordo l’avesse saputo, che importanza aveva?
Era solo un quadro, solo un pezzo di tela inchiodato alla parete.
Eppure lo spaventaval’idea che lo dicesse a qualcuno.
Dio come era caduto in basso.
Draco Malfoy temeva che un vecchio bacucco in un quadro dicesse in giro che stava con la Granger per una scommessa.
Non avrebbe mai creduto ma forse è vero che non si conosce un limite alla follia.
Ma in cuor suo lo sapeva, il perché.
Non voleva che la Granger lo sapesse.
Perché… Perché? Perché ci teneva, sarebbe stata la risposta più ovvia.
Ma si sa, l’ovvio non è da Malfoy.
Però non riusciva a dormire, non riusciva a smettere di pensare alle parole di Silente, al suo ridacchiare sotto i baffi.
Assolutamente non doveva venirlo a sapere nessuno, in particolare la Mezzosangue.
Il perché era ancora da appurare.
E così cadde un sonno buio e profondo, senza sogni, cercando di trovare un’altra risposta, che sembrava scivolargli dalle mani come fumo.
 
Quando la mattina si svegliò, i raggi del sole penetravano forti attraverso l’acqua scura del Lago Nero.
Draco fece in tempo a pronunciare un’imprecazione tra i denti, infilarsi la divisa velocemente e scapicollarsi in Sala Grande sperando di trovare qualche rimasuglio di colazione prima di urtare contro qualcosa.
Beh, quasi, urtare.
Le vibrazioni negative che emanava la persona che gli intralciava l’entrata nella Sala lo fecero fermare a qualche metro di distanza.
Hermione Granger aveva le braccia conserte, i capelli in disordine, la bacchetta in mano e gli occhi molto più rossi di quanto Draco li avrebbe mai voluto vedere.
Il secondo dopo, senza nemmeno capire come, si ritrovò preso a pugni dalla ragazza, che menava le mani senza nemmeno centrare il segno, mentre le lacrime iniziavano a rigarle le guance.
Indietreggiò, mentre sentiva una voce forte e incrinata che gli urlava contro cose incomprensibili, a causa del pianto.
Fermò Hermione prendendola per le spalle, ma quando provo a sollevarle il viso –visto che lei lo teneva ostinatamente rivolto verso terra- si scostò e alzò la bacchetta.
Era furiosa.
E anche qui, il perché era da appurare. Draco iniziava a chiedersi se non fosse proprio un suo problema di intelligenza, visto che sembravano sfuggirgli così tante risposte.
Alzò immediatamente le mani, senza nemmeno provare a prendere la bacchetta: in quel momento le forze per combattere non le aveva, così come la voglia.
“Cos’è successo?” provò a chiedere alla ragazza, il cui corpo tremava, forse per l’ira, o per il pianto.
“Cos’è successo? Cos’è successo?!” chiese lei indignata, con una voce acuta, così simile a quella di Ron, settimane prima.
Sembrava che le parole si impigliassero nella bocca della ragazza, incapaci di uscire, talmente erano.
Poi uscirono, un fiume di parole, così svelte che si riuscivano a malapena ad acchiappare.
“E’ successo, razza di verme, che la tua banda di cari seguaci, sbavanti ammiratori della tua arroganza, sono venuti a riferire a me – e per di più quando ero da sola in biblioteca, che bel colpo basso!- parole davvero non molto gentili, che hanno giurato essere state pronunciate prima dalla tua bocca.
Vuoi che ti faccia un esempio? Eh?”
Draco avrebbe voluto fermarla, dirle che era un tranello, architettato da quei bastardi dei suoi compagni, che non volevano vincesse la scommessa.
“No, guarda, te le risparmio, ma erano così originali che sono certa che nessuno di quei dementi ci sarebbe potuto arrivare senza un piccolo suggerimento, no Malfoy?”
Il sopracitato intanto fissava il vuoto, decidendo chi e come punire per quella bravata.
“ E allora, bastardo narcisista e razzista che non sei altro, pensavo che magari potevo restituirti il favore, venendo a dirti personalmente ciò che penso di te.
Perché io sono una Grifondoro, e non sono così vile e codarda da mandare altri a insultare le persone, no, me ne occupo personalmente. Ma sono sicura che avevi ben altro da fare che venire a romperti le palle l’ennesima volta. E sono certa che in quel momento con le palle facevi ben altro…”
Malfoy, già deciso le punizioni per i colpevoli, aveva iniziato a chiedersi come mettere in modalità OFF la macchina Spara-Insulti-Granger.
“ Sei proprio un verme, lo so che come insulto non è un gran ché forte, ma è il più calzante che ho trovato. Voglio dire, prima fai tutto il simpatico, dici che vuoi uscire… Ma l’avevo capito che era un trucco, oh, l’avevo capito…”
Assaporò il rumore del silenzio nello stesso modo in cui assaporò le sue labbra.
La baciò, beh, più per necessità che per sentimento –come sempre, d’altronde- però già che c’era era un buon modo per dare una svolta ai suoi piani.
In cuor suo gioì quando vide che lei non si staccasse disgustata.
Non che fosse poi così contenta. Era più che altro una statua di sale.
E scommise che aveva anche gli occhi spalancati.
Ma insomma, quando mai le ricapitava? E lei giocava alla bella statuina.
Era senz’altro la persona più strana che avesse mai visto.
Così provò ad addolcirla, addolcire lei addolcendo se stesso.
E mentre il bacio si riscaldava, mentre si lasciavano andare, loro, insieme, capì che ci stava rimettendo più di quello che aveva previsto. Più di quanto fosse disposto.
Perché mentre la baciava gustava quel momento più di quanto si potesse permettere; si crogiolò nel piacere che provava a sentire quel caldo familiare propagarsi veloce nelle sue vene: era come un’esplosione improvvisa che gli confondeva il cuore e allo stesso tempo un’invasione lenta e dolce, che si prendeva possesso di lui senza che se ne accorgesse.
 
 
Assolutamente, non sarebbe mai dovuta venire a conoscenza di quella dannatissima - o benedetta, era ancora da appurare-  scommessa.

 

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Capitolo 18
*** CADERE IN TRAPPOLA ***


Angolo dell’autrice:
 
Hello!!
Lo so, questo capitolo è corto corto corto corto,

ma mi dispiace, ho l’immaginazione azzerata.
Spero piaccia lo stesso, perché comunque si concentra sulle riflessioni personali dei due protagonisti. Caduti in trappola.
 
Bacioni! 
 
L’autrice
 
CAPITOLO DICIASSETTE:
CADERE IN TRAPPOLA
 
 
 
Scappai. Lontano.
Un passo dopo l’altro, senza nemmeno accorgermene, senza nemmeno guardarmi indietro.
 
Scappai. Lontano.
Lontano da lui, da quel bacio, da quei dannati occhi e pensieri contorti.
Da i suoi pregiudizi, che per intere notti mi avevano tormentata, impedendomi di chiudere occhio, impedendomi di credere in me stessa.
Scappai da lui prima che i tocchi dell’orologio scandissero la mezzanotte e che la carrozza si ritrasformasse in zucca e i cavalli in topolini; scappai prima che finisse l’incantesimo.
Scappai da me stessa, perché sapevo che anche un altro solo secondo lì e sarei stata perduta, incapace di andarmene. Sarei caduta in trappola.
 
E andai da Hagrid.
 
 
 
 
Era una mattinata fredda d’inverno.
Tutto sembrava congelato, le parole i respiri e gli sguardi.
Persino il Platano Picchiatore era immobile, la neve sui rami.
Il sole era pallido ma egualmente splendete, non caldo ma scaldante, lontano ma così grande.
Così mi sedetti con grande soddisfazione su una poltrona vecchia e logora, davanti al caminetto della piccola ma accogliente capanna di Hagrid.
Non ebbi nemmeno il tempo di riordinare le idee che il guardiacaccia mi diede un enorme bicchiere di tè bollente.
Si sedette sulla poltrona davanti alla mia, che cigolò spaventosamente, ma lui non sembrò farci caso.
“ Allora Hermione, cosa è successo?”
Scordando che Hagrid era un professore e che io avevo appena saltato le lezioni avevo bussato alla sua porta di legno, totalmente incapace di pensare a un luogo migliore dove rifugiarmi da tutti i pensieri e le preoccupazioni che mi inseguivano.
Guardavo la sua faccia, rotonda e familiare, e dire che ero appena stata baciata dal figlio dell’uomo che l’aveva spedito ad Azkaban per svariati mesi, che aveva spiato Norberto e seguito le idee folli di Voldemort, non mi sembrava la cosa più adatta.
Così mi limitai a guardare il fuoco, e per svariati minuti non dissi nulla, aspettando che la sensibilità ben nascosta di Hagrid venisse a galla.
Non mi pose nuovamente la domanda, anzi, virò l’argomento su Harry e Ron.
Gliene fui grata, e iniziai a parlare, cosa che per molto tempo non mi fece pensare.
 
 
                                                                                                                    
 
 
****
 
 
 
Ce l’aveva fatta.
Aveva baciato la Mezzosangue.
Quindi aveva vinto.
Aveva vinto…?
Se lo chiedeva, Draco Malfoy, mentre sbatteva forte i libri di Trasfigurazione sul banco, con gran disturbo della professoressa McGranitt.
Sì, aveva vinto la scommessa.
Allora perché non era soddisfatto? Perché il Ghigno della Vittoria non nasceva sul suo volto?
Rifletté a lungo, e arrivò alla conclusione che doveva essere perché non aveva davvero vinto.
Per vincere doveva far cadere la Granger ai suoi piedi, e invece l’aveva solo baciata.
Non era caduta ai suoi piedi.
 
Non era caduta ai suoi piedi.
 
Aveva un che di amaro, questa frase, mentre continuava a ripetersela.
Non riusciva a mandarla giù.
Non era riuscito a conquistarla. A farla tacere, magari (che era già una grande vittoria personale, comunque).
 
 
Stava distrattamente seguendo la lezione quando si rese conto, un po’ in ritardo, di una cosa.
 
L’aveva baciata. Le sue labbra sulle sue, un sapore dolce in bocca, un meraviglioso ritmo nel cuore.
L’aveva baciata, oh, sì, l’aveva baciata.
Una Mezzosangue.
Lui, Draco Lucius Malfoy, aveva baciato una Mezzosangue.
E ci era arrivato solo un’ora dopo.
 
 
Era caduto in trappola.

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Capitolo 19
*** BIBLIOTECA ***


 
Angolo dell’autrice_
Ehilà!
Chiedo perdono per il tempo che ho fatto passare prima di aggiornare.
E’ che non è stato un gran periodo (tra problemi personali e verifiche verifiche verifiche) e non sapevo bene come andare avanti.
Spero però che questo capitolo vi piaccia. Personalmente non ne sono del tutto soddisfatta ma qualcosa doveva pur succedere!
A presto,
A.
 
 
 
CAPITOLO DICIOTTO:
BIBLIOTECA
 
 
Era metà dicembre, Hogwarts era bella e addobbata, il coro si allenava a cantare le consuete canzoni Natalizie, ogni ora era buona per una cioccolata calda.
Il termine della scommessa stava per scadere e c’era già chi, in dormitorio, additava Draco considerandolo già perdente.
Perché no, non aveva detto a nessuno che l’aveva baciata. Giustificava questo fatto a se stesso dicendo che non l’aveva propriamente conquistata.
Non lo faceva per poter avvicinarsi ancora un po’ alla Mezzosangue, capire bene cosa fosse successo, capire perché lo evitasse. No, assolutamente no. Non era da lui. Giusto? Se lo chiedeva spesso, senza voler davvero sapere la risposta, così come si chiedeva il perché Hermione Granger sembrasse sparita dalla faccia della Terra: non la riusciva più a incontrare. Non era normale: ogni ragazza che aveva baciato era andata in giro per la scuola a vantarsene.
Non gli sarebbe dispiaciuto sorprenderla in un corridoio, da sola, parlare e così, farla letteralmente innamorare (nel corso della sua carriera come latin lover, Draco si era accorto che le ragazze se non col sesso, si conquistavano parlando di sentimenti. E visto che con la Grifondoro la prima opzione non era applicabile, a mali estremi…).
Invece no. Non la vedeva tranne che durante i pasti, o ad alcune lezioni comuni –durante le quali lei si sedeva dall’altra parte dell’aula, ovviamente circondata dall’allegra brigata dei Grifondoro.
E quando la incontrò si pentì quasi di averlo sperato…
 
 
***
 
 
Non era un bel periodo, quello vicino alle festività natalizie.
I compiti si moltiplicavano, così come le verifiche, e si continuava ad andare avanti solo perché si sapeva che dopo la fatica ci si sarebbe potuto godere il meritato riposo.
Draco Malfoy era un capitolo chiuso, così come il bacio che c’era stato.
Non avevo intenzione di parlarne o di parlargli.
Avevo totalmente rimosso la cosa, restia a trattare l’argomento anche solo con me stessa, temendo di scoprire più di quanto volessi. Perché anche se non affrontavo l’argomento, ne ero consapevole: avevo lasciato una parte di me sulle sue labbra.
Ma non avevo la minima intenzione di andare a riprenderla.
 
Stavo andando in biblioteca, quella sera.
L’amavo: oltre che essere speciale perché appena entravo sentivo l’odore di libri e sentivo di essere a casa, era una tana. Un luogo sicuro, spesso vuoto e silenzioso, dove potevo scappare dalla realtà per immergermi in un’altra epoca, un altro mondo.
Mi dirigevo lì per l’ennesima volta, portando in mano un pesante libro che dovevo riconsegnare: la cena era appena finita, tutti gli studenti erano nelle loro Case Comuni, per cui ero certa di potermene stare un poco da sola.
L’ambiente era buio, le poche torce emanavano una luce fioca, ideale per i miei occhi stanchi.
Mi sedetti al solito tavolo, davanti alla grande finestra, e mi tenni la testa tra le mani.
Ad un certo punto sentii un rumore. Se era Gazza ero nei guai: era già la terza volta che mi facevo trovare in biblioteca dopo l’ora di chiusura, e nonostante fossi la Caposcuola la scusa del compito del giorno dopo non serviva più.
Mi alzai piano e con passi svelti mi diressi all’uscita, guardandomi alle spalle.
Forse avrei fatto meglio a guardare avanti, anziché indietro, poiché sbattei contro qualcosa.
O qualcuno. Stavo già per urlare dallo spavento quando una purtroppo nota voce esclamò: “Granger!”
Mi poggiai una mano sul cuore e dopo avergli fatto segno di tacere chiesi: “ Cosa diamine  ci fai qui?”
“ Perché parli a bassa voce?” replicò lui, usando un tono di voce normale.
“ Prima avevo sentito un rumore… Non vorrei fosse Gazza, visto che è già la terza volta che questa settimana che mi becca qui dopo la chiusura.”
Un ghigno apparve sulle sue labbra: “ Ma davvero Granger? Quindi è qui che vieni… e io che pensavo mi evitasti. Comunque sta’ tranquilla, non c’è Gazza: prima ho fatto cadere per sbaglio un libro, è quello il rumore che hai sentito.”
“ Perché dovrei evitarti?” chiesi spavalda, conscia che sapeva il motivo meglio di me.
Mi si avvicinò, bello e cupo, il pallido volto animato da un’evidente voglia di prendersi gioco di me.
“ Ma come… Non ti ricordi?” il suo tono di voce cercava di essere triste, ma era palese che fosse tutt’altro. Non risposi.
“ Quel nostro bacio” continuò “ Non ti ricordi che mi hai baciato?”
A quel punto fu inevitabile ribattere indignata: “Non sono io che ti ho baciato! Sei stato tu!”.
Ghignò: “Allora ricordi… Altrimenti avrei potuto rinfrescarti la memoria”.
Lo allontanai poggiandogli le mani sul torace: “No grazie, uno basta e avanza.”
Improvvisamente fu serio, le labbra una riga sottile: “Hai paura, Mezzosangue.”
Non era una domanda. “Di cosa?”
“  Di te.”
“ Di te, casomai.” Replicai, fingendomi confusa, nonostante avessi capito appieno ciò che volesse dire.
“ No, Mezzosangue, hai paura di te stessa. Hai paura che ti possa piacere, hai paura di perdere la tua diligenza, hai paura di poter perdere pezzi di te stessa.”
Mi sarebbe piaciuto rispondergli che ormai era tardi, pezzi di me li avevo già seminati lungo la strada ma stetti in silenzio, a guardarmi le scarpe.
Di colpo cambio di nuovo, come lui solo sapeva fare. Divenne dolce.
Mi alzò il meno con delicatezza, portandomi il viso all’altezza dei suoi occhi.
“Non avere paura…” sussurrò prima di avvicinare le sue labbra alle mie.

Sentii un dolore forte alla nuca e tutto divenne buio. Prima di svenire sperai soltanto che Malfoy mi afferrasse, che non mi lasciasse andare, che non mi lasciasse cadere.

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Capitolo 20
*** CADERE AI SUOI PIEDI ***


Angolo dell’autrice:
Ma buon salve a tutti!!
Lo so che magari la fine dello scorso capitolo vi ha un po’ scombussolati, ma in questo capitolo troverete tutte le risposte!
( e qualcosa in più, se avete un poco di immaginazione! ;))
Alla prossima!



L’autrice
 
 
 
CAPITOLO DICIANNOVE
CADERE AI SUOI PIEDI
 
 
 
 
 
 
Era una giornata cupa e fredda. Il vento sbatteva contro le finestre con la forza di un toro che vuole uscire dall’arena, facendole vibrare.
Draco Malfoy non era andato a colazione, quella sera, e aveva fatto male.
Molto male. Il perché l’avrebbe scoperto in seguito.
Al momento non voleva vedere nessuno di quei patetici esseri che venivano considerati suoi compagni di Casa.
Era sul suo letto, si passava una mano sugli occhi, cercando di riepilogare quello che era successo meno di ventiquattro in maniera oggettiva.
Aveva baciato la Granger, per la seconda volta. Ed era svenuta. Sembrava quasi ironico che ogni volta che la baciava si allontanava dalle sue braccia? Beh, la seconda volta non è che si era proprio allontanata; più che altro si era accasciata. La volta successiva avrebbe fatto attenzione a tenerla ben stretta.
La volta successiva.
Aveva pensato questa frase senza rifletterci: la volta successiva.
Davvero lui, Draco Malfoy, affermava che avrebbe baciato Hermione Granger una terza volta? E’ vero che non c’è due senza tre, ma… per la miseria, lui era Draco Malfoy! E durante l’ennesima volta che ci pensava, convenne che era l’unico pretesto per evitare la Mezzosangue. Ogni volta che pensava a lei, a come gli sarebbe piaciuto accarezzarle i fianchi, i capelli, baciarla, rinsaviva dicendo che lui era Draco Lucius Malfoy, e lei Hermione Granger. Non c’era un’altra obiezione. Solo questo. Solo i loro cognomi. Perché ormai la questione del sangue aveva dovuto metterla da parte, vedendo che fine aveva fatto fare a suo padre, rinchiuso ad Azkaban.
Solo in quel momento gli apparve quanto poco significato quei due nomi potessero avere, quando l’unica cosa che effettivamente desiderava era baciarla una terza volta. Era Draco Lucius Malfoy e… allora?
 
Andò avanti, ignorando il nodo che si era creato nella sua mente: lo scopo di quella ‘revisione’ dei fatti era far chiarezza, non ulteriori nodi.
Perciò: aveva baciato la Granger.
E la Granger aveva baciato lui, ammise con un certo orgoglio.
Ed era certo che quel bacio sarebbe potuto durare molto di più, se quegli idioti non avessero tramortito la Granger. E magari avrebbe davvero potuto conquistarla come si deve…
Anche se, effettivamente, lei era caduta ai suoi piedi. Certo, non come Draco avrebbe voluto.
La stessa frase l’aveva sghignazzata anche l’artefice dell’incantesimo, un semplice expelliarmus, che aveva fatto svenire la ragazza.
Sì, se lo ricordava perfettamente: mentre aveva visto la Granger che si afflosciava tra le sue braccia aveva sentito una voce roca che diceva “ Sarà l’unico momento in cui ti cadrà tra le braccia, sfigato! Ormai hai perso!” seguito da altre risate.
Aveva portato la ragazza in infermeria, dove una niente affatto preoccupata Madama Chips aveva promesso che in pochi minuti si sarebbe ripresa.
E allora era andato a cercare i bastardi.
 
 
 
 
****
 
 
Un piacevole profumo.
Ecco ciò che sentii.
Aprii gli occhi, coprendoli istintivamente con le mani, visto la luce che c’era nell’ambiente ahimè familiare in cui mi ero svegliata. L’infermeria.
Niente a che vedere con le luci soffuse in biblioteca.
Biblioteca. Bacio. Buio.
Richiusi gli occhi, intenzionata a capire l’accaduto.
Scartai l’ipotesi che fosse stato lo stesso Malfoy a farmi svenire, intuendo che doveva trattarsi di qualcuno alle mie spalle.
Stavo già facendo altre congetture che Madama Chips mi chiese se stavo meglio.
Aprii gli occhi per la seconda volta e la vidi riporre in un cassetto i sali che doveva avermi fatto annusare per rinsavire.
“Cosa è successo?” colsi l’occasione per chiedere.
“ Niente di grave cara,” disse con dolcezza, “ti hanno colpito con un expelliarmus. Fortunatamente stava studiando su un tavolo vicino al tuo il signor Malfoy, che ti ha portato immediatamente qui. Era un gruppetto di Serpeverde, che la Preside ha già provveduto a punire. Probabilmente era solo uno scherzo di cattivo gusto. Ora ti consiglio di andare a dormire, e domattina di fare una bella colazione. Ti sentirai meglio di prima!” Concluse con un sorriso.
Ero confusa.
Studio? Malfoy stava studiando su un tavolo vicino al suo?
Che mi ricordassi non stavamo studiando.
Che fosse una scusa fornita dal furetto per non ammettere che ci stavamo baciando?
Ero troppo stanca per arrivare a una conclusione, così chiusi gli occhi, rincuorata dal fatto che il giorno dopo avrei potuto chiedere informazioni a Malfoy stesso.
Prima di cadere tra le braccia di Morfeo vidi un ragazzo dai capelli neri che si sedeva sulla branda di fianco alla mia, lo stemma di Serpeverde brillante sulla divisa.
 
 
 
****
 
Li aveva trovati subito, sì, perché quella voce forte e cupa ce l’aveva solo un fumatore accanito come Charlie D. Face*.
Era andato da lui come una furia, e davanti a tutti gli aveva tirato un pugno.
“Idiota!” aveva gridato dall’alto al basso, “Cosa credevi di fare?”
Il pezzente sorrideva anche se gli sanguinava il naso. Sghignazzava, l’idiota.
“ Sei arrabbiato perché ti ho interrotto la festa, Malfoy!”
“ Stavo per prenderla!”
“ No, non ci riuscirai mai… e allora dovrai pagare.”
Aveva capito subito che c’era gente che aveva scommesso contro la riuscita della scommessa, e aveva individuato Charlie tra di loro. Ma non credeva che potesse essere così idiota da tramortire la Granger pur di non fargliela conquistare.
L’unico che aveva pagato, però, era lui, che tenendosi il naso sanguinante si diresse in infermeria imprecando e sghignazzando.
Se fosse stato meno irato e un tantino più lucido avrebbe pensato ad accompagnarlo in infermeria personalmente, ma era così arrabbiato che si era diretto in camera sua sbattendo la porta così forte da farla quasi uscire dai cardini.
 
 
 
 
 
* Charlie D. Face è un personaggio che ho inventato, e che da questo momento incontreremo solo un altro paio di volte.

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Capitolo 21
*** DOLORE ***


Ciao a tutti! Scusate il ritardo, ma ero in vacanza in un posto dove non avevo il computer, quindi aggiorno oggi, appena tornata e ne approfitto per augurarvi un buon duemiladodici! E anche una buona lettura! Spero che il capitolo vi risulti chiaro.
A presto,

l’autrice.
 
 
 
 
CAPITOLO VENTI
DOLORE
 
 
 
 
 
Cos’è il dolore? Quello fisico.  E’ uno schiaffo, un pugno, un calcio. Una fattura, una pugnalata… la lista sarebbe infinita. E’ un qualcosa facile da concepire, difficile da affrontare, che devi combattere. Qualcosa che accade al tuo corpo, e che non riesci a guarire solo con la volontà personale. Devi avere medicine giuste o una bacchetta.

E invece il dolore, non quello fisico, quello a livello sentimentale, cos’è?
E’ qualcosa di soggettivo, accade anch’esso dentro te e solo tu puoi decidere di guarirlo. E’ un qualcosa che ti piega in due, ti fa venire le lacrime agli occhi, ti fa mordere le labbra. E’ invisibile agli occhi degli altri, non c’è incantesimo o antibiotico che tenga. Ti piega in due, ti fa urlare come una bestia ferita o ti fa gemere, in un angolo.
Entrambi feriscono. Entrambi il tempo può guarire.
Entrambi, contemporaneamente, possono essere provati.
Purtroppo, entrambi possono annientarti.
 
 
 
 
Mi riposai per poco, forse dieci minuti, quando una mano leggera mi iniziò a scuotere dolcemente.
Aprii gli occhi: davanti a me c’era Madama Chips che mi esortava ad andare a dormire nel mio dormitorio. Mi misi a sedere, mi strofinai gli occhi e mi alzai per andarmene.
La brandina di fianco alla mia era vuota e provai un senso di solitudine per questo.
Un istante prima di addormentarmi avevo intravisto qualcuno sedersi su quel letto, qualcuno di Serpeverde. E avevo dormito non con l’impressione di essere osservata, ma vegliata.
Scossi la testa come per scacciare quegli sciocchi pensieri.
Attraversai il portone dell’infermeria e sentii dei passi dietro di me. Mi voltai con un sorriso, credendo fosse Malfoy.
Il sorriso si curvò istantaneamente quando fu chiaro che il ragazzo moro davanti a me non era chi avevo sperato, bensì colui che si era seduto vicino a me poco prima.
Anche lui si accorse del sorriso che pian piano si spegneva. Inclinò la testa di lato, come un volatile.
Era alto, non riuscii a veder chiaramente il colore dei suoi occhi perché era buio, e la luce delle torce era insufficiente, ma sicuramente erano scuri almeno quanto i capelli.
Mi disse, con voce roca: “ Ehi Granger, ti accompagno fino al dormitorio, così facciamo due chiacchiere!”
Corrugai la fronte e diedi aria ai miei pensieri quasi involontariamente: “Non so chi sei.”
Lui rise, niente affatto preoccupato del mio tono: “Ah, giusto, scusa, non mi sono preoccupato: mi chiamo Charlie D. Face. Sono Serpeverde.”
Non mi mossi di un passo, per niente incline alla conversazione: “ La D. per cosa sta?”
Lui rimase sbigottito. “ Cosa?”
“ La D. Hai detto che ti chiami Charlie D. Face. La D per cosa sta?”
Quando incrociai il suo sguardo mi resi conto che mi stavo comportando come una pazza. Ma qualcosa non mi piaceva, in quel ragazzo.
Scossi la testa e gli sorrisi: “ Scusa, è che sono stanca e non è stata una gran giornata. Non volevo farti il terzo grado…”
Sorrise a sua volta e iniziò a camminare verso la Sala Comune di Grifondoro: “ Figurati, immagino…”
“Ho visto che eri in infermeria, prima. Come mai?”
Sospirò: “ Ah, niente di grave. E’ che mi hanno tirato un pugno.”
Parve esitare: “Ed è proprio per questo che vorrei parlarti.”
Mi fermai: “Dimmi.”
Lui si guardò le scarpe: “ E’ un tipo violento, stai attenta.”
Ero sbigottita: “ Di che stai parlando?”
Lui alzò un sopracciglio e poi si accinse a spiegare: “Malfoy. Io non so come ti abbia convinta… Insomma, ti ha promesso metà dei soldi?”
Lo guardavo senza emettere suono. Non capivo. Allora lui continuò: “ Insomma, mi dispiace per quell’expelliarmus io volevo colpire lui, ma eravate ehm…” tossì “… così vicini!”
“Charlie spiegati.”
Respirò forte. Io invece non ci riuscivo più. Sembrava che l’aria nei miei polmoni si fosse congelata.
“ Hermione Granger, sei una ragazza intelligente e per bene, per cui lo sappiamo che stai fingendo. Insomma, non potresti mai metterti con uno come lui! E’ Malfoy! E io ti sto aiutando… Manca poco alle vacanze ormai ce l’abbiamo fatta!”
Indietreggiai, gli occhi spalancati: non capivo una parola di quello che diceva.
Lui aprì la bocca, formando una perfetta ‘o’.
Iniziò a balbettare: “C-cioè, tu d-davvero non ne sapevi niente? Quindi ce l’aveva fatta?”
“ A fare cosa?” Riuscii a dire con il tono più fermo che potessi accampare.
Lui mi guardò per un paio di minuti. Poi indicò un gradino di una rampa di scale lì vicino e disse: “Sediamoci.”
Con assai poca grazia mi ci gettai sopra.
“ Io credevo stessi al suo gioco! Davvero, non ci credo…”
“ Charlie, parla con più chiarezza!”
“ Allora. Come sai, tra noi Serpeverde, si usa molto fare scommesse…”
Mi guardò, aspettando un cenno. Io annui.
“ Ecco. E quest’anno avevano scommesso che Draco sarebbe riuscito a conquistarti entro le vacanze. Inizialmente non c’erano speranze, lo rifiutavi. Improvvisamente però, avete iniziato a uscire insieme. Io credevo che lui, disperato, ti avesse messo a conoscenza della scommessa e ti avesse offerto metà della vincita! Voglio dire, non pensavo fosse possibile che di tua volontaria scelta ti mettessi con lui…”
“Non stiamo insieme.” Dissi meccanicamente. “ E poi non avrei mai accettato, non m’importa del denaro.
Lui annuì, guardando nel vuoto: “Infatti questa teoria non quadrava molto. Comunque, dopo un po’ che andava avanti, che sembrava che lui ce la stesse per fare io mi dissi che non era giusto. Ti avrebbe ferita troppo, era una cosa barbara anche per un Grifondoro mezzosangue!”
Si tappò la bocca, pentito delle parole pronunciate.
Scossi la testa e lo incitai a continuare, così abituata da quelle parole da parte dei Serpeverde. Del Serpeverde.
“ E poi la storia finisce qui, ecco, perché dopo avergli detto più volte di fermarsi, di fermare la scommessa l’ho seguito. Ed ecco, in bibliotecavolevo stordirlo prima che fosse troppo tardi. Ma ho colpito te… mi spiace. Comunque appena sono tornato nel dormitorio Malfoy mi ha assalito e mi ha colpito. Ecco il perché ero in infermeria.”
Io non dicevo una parola. Tacevo. Quasi nemmeno respiravo.
“ Granger? Tutto bene?”
Non risposi.
Charlie si girò verso di me e mi mise una mano sulla spalla.
“ Ehi, stai bene?”
Annuii.
Mi alzai in silenzio, incurante del fatto che Charlie mi seguisse o no.
Silenziosa come chi non ha più parole, come chi dentro non ha più urla, non ha più forza per reagire. Silenziosa come le lacrime che mi scorrevano lungo le guance.
 
 
Charlie Double Face si alzò e sparì nel buio dei corridoi.

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