E' solo un sogno?

di aaarg
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** uno ***
Capitolo 2: *** due ***
Capitolo 3: *** tre ***
Capitolo 4: *** quattro ***
Capitolo 5: *** cinque ***
Capitolo 6: *** sei ***
Capitolo 7: *** sette ***
Capitolo 8: *** otto ***



Capitolo 1
*** uno ***


Aprì gli occhi. Il sogno che aveva fatto l’aveva svegliata di soprassalto. Andrè ferito all’occhio, questo sì era reale, era successo solo pochi giorni prima. Ma il resto? Lui che a causa di quella ferita diventava quasi cieco, lei con la tisi. Una notte d’amore, Andrè ferito mortalmente, il suo cuore straziato dal dolore di perderlo per sempre, César morto anche lui. E infine lei, morta fucilata mentre ordina ai suoi soldati ribelli di sparare alla Bastiglia, felice di morire per riunirsi al suo amato Andrè. Ma via! questo non era reale, era solo un sogno, un brutto sogno!

Si alzò dal letto per affacciarsi alla finestra. Passando davanti allo specchio della sua toilette le cadde lo sguardo sulla sua figura: era sudata e con un’espressione sconvolta, da uccellino impaurito, che non si addiceva per nulla al Comandante delle Guardie Reali. Ma non riusciva a cambiare espressione.
Aprì la finestra. Dunque era così. Il sogno almeno in quello non mentiva: non era Fersen che amava, ma Andrè. Il suo Andrè, l’amico di infanzia, il compagno di giochi, l’attendente, l’uomo che le era stato sempre accanto, che aveva sacrificato un occhio per lei e per il quale lei era stata a un passo dal commettere un omicidio a sangue freddo. L’uomo la cui morte, seppur solo sognata, le aveva straziato il cuore.

Non avresti dovuto lasciarmi sola!” queste parole le risuonavano nella testa.

E ora che questa verità le si era finalmente palesata, cosa avrebbe dovuto fare? Come fare capire ad Andrè i suoi nuovi sentimenti? E soprattutto, lui cosa sentiva per lei? Non voleva mostrarsi ridicola facendo la svenevole come certe dame a Corte, ma il suo comportamento sinora era stato decisamente troppo riservato, poco adatto a far capire a chiunque che lei fosse innamorata di qualcuno.

Con chi confidarsi? Non aveva mai sentito la necessità di parlare con qualcuno, aveva sempre avuto Andrè che senza nemmeno le parole sapeva cosa dirle. Ma di certo questa volta avrebbe dovuto fare a meno di lui... Sorrise a questa idea “Ciao Andrè. Volevo chiederti, sai… mi sono innamorata di un uomo e non so proprio come farglielo capire!”. No, assolutamente un’idea da scartare!  

La piccola Rosalie? Nemmeno a parlarne. A parte che non le sembrava il caso di andare fino a Parigi per fare due chiacchiere con lei su queste questioni, le era sempre sembrato che la dolce ragazza avesse una cotta per lei. “Sai Rosalie, sono innamorata di Andrè. Come faccio a farglielo capire?” già immaginava il pallore e i pianti (di gioia?) di Rosalie alla notizia. No grazie, di lacrime ne abbiamo già abbastanza a questo mondo, non aggiungiamone altre!

Se doveva guardarsi intorno si rendeva conto che in fondo la gente alla fine trova sempre l’occasione per manifestare i suoi sentimenti. La Regina con Fersen in fondo un’occasione deve averla avuta e colta al volo. Ma lei? Ah, se avesse capito prima cos’aveva nel cuore avrebbe potuto approfittare del momento in cui Andrè, molto cavallerescamente, aveva dichiarato di essere stato contento di aver perso lui l’occhio al posto suo. Era così bello in quel momento, da baciare!

Suvvia ma cosa vai a pensare Oscar! Questo matrimonio non s’ha da fare! Oddio parlo già di matrimonio, quando non so nemmeno se l’uomo che amo mi ricambia! E poi un matrimonio è impossibile. Io sono nobile, lui è un servitore: questo tipo di legami possono vivere solo nella clandestinità…. Ma io non voglio questo… sarà forse meglio soffocare questo sentimento allora, e lasciar credere ad Andrè che mi struggo d’amore per Fersen. È più semplice soffrire senza la certezza dell’amore, piuttosto che, essendo ricambiati, soffrire per non poter vivere quest’amore alla luce del sole. Occhio non vede, cuore non duole”. O no?

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Capitolo 2
*** due ***


Ecco il nuovo capitolo, meno ironico del primo ma così m’è venuto! In questo capitolo in realtà si ripercorre parte dell’anime, un fil rouge che cercherò di mantenere in quanto compatibile col fatto che questi due giovanotti non devono arrivare al 12 luglio 1789 per dichiararsi il loro amore!
Ringrazio tutti per le recensioni e in particolare Amoreterno a cui chiedo perdono per l’involontario “furto”!
Quindi leggete, criticate, commentate e, se vi piace, fatemelo sapere! Grazie!
 
 
Due
O no?” si addormentò con questa domanda. E con quella stessa domanda si svegliò davanti alla finestra aperta. Non si era accorta di essersi seduta sulla poltroncina che teneva lì vicino. In realtà non si era accorta di niente, neanche di essersi addormentata. Il sogno della notte e tutti i suoi tormenti sembravano meno terribili con la luce di quel bel sole che sorgeva proprio di fronte a lei.

In fondo, si disse, che fretta c’era di fare o dire alcunché circa i suoi sentimenti? Andrè non sarebbe certo andato via da qualche parte e c’era da affidare il Cavaliere Nero, alias Bernard Chatelet, alla giustizia del Re. Un ladro e un violento, questo Bernard, che aveva reso cieco il suo André.

E da quando, di grazia, André è diventato tuo, Comandante Oscar?” si domandò tra il serio ed il faceto.
André è tanto bello e bravo che sicuramente avrà infranto molti cuori e magari avrà pure una compagna, una fidanzata, una ragazza del popolino che si sta struggendo per lui” si disse, e un sentimento nuovo, gelosia?, si fece strada nel suo cuore. Si rese conto solo in quel momento che non sapeva nulla della vita privata del suo amico, il quale invece sapeva tutto di lei.

Ecco, decise che quello sarebbe stato un buon punto di partenza  per intavolare un discorso e capire per chi battesse il cuore del bell’André. Chiedergli che facesse, dove andasse quando era libero, quando non era con lui, ora che era stato fugato ogni dubbio sul fatto che André non era il vero Cavaliere Nero. Ricordò come fosse stata male solo all’idea che Andrè fosse il Cavaliere Nero, gli incubi – maledetti incubi! – che aveva avuto al solo sospetto e come fosse stata sollevata nello scoprire che le sue assenze erano dovute alla sua partecipazione ad alcuni incontri di cittadini che parlavano di politica. Ma dubitava ancora adesso che lui ci andasse proprio ogni sera. Certo, André l’aveva portata a quelle riunioni di sovversivi, ma dubitava che passasse proprio tutte le sere e i suoi giorni di libertà (almeno quei pochi che lei gli consentiva) in un covo di nemici del re. Magari, chiedendoglielo senza usare quel tono di accusa che aveva usato l’ultima volta avrebbe ottenuto di sapere la verità.

Poteva sondare  il terreno con Nanny. Ma no, lei era stata la prima ad essere preoccupata delle strane assenze del nipote... e mentre indossava la giacca – ma quando si era vestita? – si sorprese a ridacchiare alla scena che si era appena immaginata: “Nanny, sono innamorata di André, solo che non so come dirglielo, e, a dirla tutta, non so nemmeno se lui mi corrisponda o se sia impegnato con qualcun’altra. Tu che mi consigli?”. Immaginava la faccia allibita della cara vecchina. Capace che l’avrebbe inseguita col suo famoso mestolo per tutta la casa, inorridita dall’idea che la sua bambina avesse delle idee così poco convenzionali!

Ancora sghignazzando scese in sala da pranzo per fare colazione e rimase sorpresa nel vedere André che stava già seduto al tavolo assaporando un tè ad occhi chiusi. “E’ così bello…”, e gli occhi le si velarono, vedendo la ciocca che gli copriva l’occhio ormai cieco. In fondo era anche colpa sua se lui ora si ritrovava così. Se lei fosse stata meno avventata, un po’ più accorta e non si fosse fatta catturare! Il senso di colpa, la rabbia le fecero stringere i pugni e serrare le labbra per non piangere.

Fu così che la vide André quando aprì gli occhi. La sua Oscar, forte e decisa. Ma quella mattina aveva qualcosa di diverso nello sguardo. Tenerezza? No, impossibile. Lei non lo amava, amava Fersen, quel maledetto bellimbusto svedese, l’amante della regina. Ma era un’ombra, quella che vide negli occhi di lei, e nel tempo che ci mise a vederla era già sparita, sostituita dal solito sguardo serio e limpido del Comandante Oscar François de Jarjayes.

Ciao André, come stai?” – “Bene Oscar. Vieni, l’acqua è ancora calda nella teiera” – “No grazie, preferirei una cioccolata calda” – “La solita golosa! aspetta, vado a dirlo alla nonna” – “No André, rimani qua, fra un po’ arriverà certamente qualcuno per portarmela”.
Lui la guardò sorpreso. Non che Oscar avesse l’abitudine di farsi servire da lui a tavola, ma quando lui si era offerto di andare a chiedere qualcosa nelle cucine, lei non lo aveva mai fermato. Che avesse pietà di lui, ora che aveva un occhio solo? Il pensiero lo fece arrabbiare. “Cosa pensi Oscar? Che io non sia più capace di fare quello che facevo prima? Ho perso un occhio, mica il ben dell’intelletto!”. Si stava alzando per andare comunque nelle cucine, quando lei gli parlò. “Oggi chiamerò le guardie reali e farò portare in prigione Bernard Chatelet. E’ ora che tolga la sua ammorbante presenza da questa casa”. Che tono duro, pensò André. Il Comandante delle Guardie Reali non poteva accettare che qualcuno attentasse ai privilegi della corona e dei nobili. Era prevedibile che avrebbe fatto così. Eppure… cos’era quella malinconia nei suoi occhi, ora? “Sempre malinconica, da qualche tempo, Oscar. Le pene d’amore ti stanno consumando! Ma perché guardi da un’altra parte? Ci sono io, ti darei tutto il mio amore se solo tu schioccassi le dita!” Questo pensava André, non immaginando cosa si dibattesse veramente nel cuore di Oscar.

Senti Oscar – disse – vorrei che tu liberassi Bernard, in fondo ormai è stato smascherato, non potrà più tornare ad indossare i panni del Cavaliere Nero”*.
Cosa? André nonostante tutto non cerca vendetta???? Ma come? Quell’uomo lo ha irrimediabilmente menomato e non vuole giustizia? Ma io sì! Io voglio che paghi con la vita per ciò che gli ha fatto! Non c’entrano niente i suoi furti ai danni della nobiltà, voglio che André abbia la vendetta che si merita!” pensò, e il suo sguardo si fece duro. Gli disse che non poteva far finta di niente, che Bernard era un ladro e un violento. Lui le rispose dicendo che aveva fatto ciò che aveva fatto perché aveva degli ideali. E se ne andò commentando che lei era nobile e non poteva capire e che lui era uno sciocco a pensare che avrebbe capito.

Sei tu che non capisci André. L’altro giorno stavo per uccidere Bernard con la mia spada, non so quale santo mi ha fermata. E lo stavo uccidendo perché lui ha osato toccarti, ferirti. Sei tu il motivo della mia intransigenza. Ma se tu non vuoi questo, io farò quel che mi chiedi. Solo, non guardarmi in modo troppo trionfante quando lo farò, non potrei sopportarlo!”, questo pensava Oscar con le lacrime che inopportune si affacciavano nei suoi occhi mentre vedeva il suo amico allontanarsi.



C’è una certa Rosalie a Parigi….” iniziò.
 
 
 
 
 
 
 
*ovviamente libera citazione del dialogo dell’anime, che non si svolge peraltro in sala da pranzo… licenza poetica

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Capitolo 3
*** tre ***


Eccoci qua, un altro capitolo è arrivato. Vado spedita per il momento, ne ho già pronti altri: la Musa mi accompagna (uahahahah! Che megalomane!). Leggete e ditemi.
 
 
tre
 
 
Bernard era andato via. Lei lo aveva mandato da Rosalie, la cara piccola Rosalie, che per lei si sarebbe gettata nel fuoco. Prima di lasciarlo andare, Oscar ci aveva tenuto a dire all’ex Cavaliere nero che doveva la sua libertà ad André, il quale si era mostrato molto più uomo di lui, a suo parere. Ancora si domandava perché avesse avuto il bisogno di dire queste parole.
 
Tornò verso casa: ormai il sole era tramontato e non vedeva l’ora di farsi un bel bagno caldo e togliersi di dosso la polvere della giornata. Suo padre era rimasto molto deluso per il fatto che lei avesse dichiarato di essersi sbagliata nell’aver catturato Bernard, che lui non fosse il Cavaliere Nero. Per un momento aveva temuto di ricevere una delle sue famose sberle, ma il generale si era limitato a guardarla sospettoso. Una fortuna che non avesse alzato le mani: ormai lei faceva veramente fatica a tollerare i suoi modi rudi, non era più una bambina e, anche se dubitava che sui bambini si dovessero usare quei metodi, non riusciva più ad accettare supinamente tutto ciò che il padre decideva su di lei imponendoglielo a schiaffoni e temeva che un giorno o l’altro avrebbe reagito malamente.
 
Arrivata a casa, chiese che le fosse portata dell’acqua per il bagno e si chiuse in camera. Era stremata. La notte dormiva male, sempre quell’incubo, diventato ormai ricorrente, che la svegliava e l’inquietava. Ormai aveva capito che i suoi sentimenti nei confronti di André non erano assolutamente paragonabili a quelli che aveva creduto di provare per Fersen. Ogni volta che rivedeva in sogno la morte di André il suo cuore andava in mille pezzi e piangeva. Sì, piangeva tanto. Non era sudore quello che bagnava il suo volto, ma lacrime, calde lacrime piante non appena Andrè smetteva di vivere.
 
Basta! Mi sto comportando come una donnicciola! Mio padre non ha fatto di me un soldato per farmi piangere ogni notte per qualcosa che non è mai successo! Devo prendere in mano la situazione e volgerla a mio favore!” – “Brava, così mi piaci. Ma, di grazia, da dove vorresti iniziare? In questo campo manchi assolutamente di esperienza e, diciamolo, hai poche informazioni sul tuo obiettivo. Non sai se troverai terreno favorevole, non sai nulla!” – “Oh beh, altre volte ho combattuto avendo molte meno informazioni, eppure ne sono venuta a capo. E poi le informazioni si possono sempre ottenere con la precisa arte dell’investigazione*. È fondamentale che io parli con André circa la sua vita privata, senza farmi distrarre da falsi problemi, come è accaduto l’ultima volta” – “Bene, brava. Sii diplomatica, mi raccomando: questa non è proprio una dote che ti appartenga, visto che l’ultima volta a cui tu fai riferimento invece di indagare hai litigato con lui sul destino di Bernard” – “Ah bene, ora infieriamo pure! E, vediamo, visto che tu sei così brava nella sottile arte della diplomazia, come consigli di iniziare?” Nessuna risposta. Fantastico! Ora parlava pure da sola! Oscar e François, da non credere!**
 
Uscì dalla vasca come una furia, bagnando tutto il pavimento. Si asciugò in fretta con l’asciugamano che le porgeva una sconcertata cameriera, e decise che invece della camicia da notte si sarebbe messa un paio di pantaloni comodi e una camicia e che sarebbe scesa a bere un goccio di brandy. Chissà, magari incontrava André…
 
Scese quindi, e andò dritta al mobile dove erano conservati i liquori più pregiati. Scelse un brandy spagnolo barricato, profumatissimo e corposo come piaceva a lei. Si sedette nella sua poltrona davanti al caminetto che, data l’ora ormai tarda, era quasi spento e chiuse gli occhi, assaporando il liquore. L’alcool le entrò nelle vene, scaldandole il corpo, e lei apprezzava quest’effetto: aveva sempre amato l’effetto del brandy nel suo corpo stanco, le dava una sferzata di energia e la rilassava contemporaneamente.
 
Stava lì, ancora chiedendosi da che parte cominciare quando sentì dei passi dietro di lei. André era lì sulla soglia. “Ho saputo che hai liberato Bernard. Ti ringrazio per avermi ascoltato. Ma… posso sapere come mai hai cambiato idea?”, disse André alle sue spalle. “Perché me l’hai chiesto tu!” pensò Oscar, che invece disse solo: “Ho fatto un accordo con lui, in cui si impegnava a restituire i fucili rubati a mio padre e a non indossare mai più i panni di Cavaliere nero, sicchè l’ho lasciato andare
Ma non era un ladro e un violento?
Ne sono convinta. Ed è anche un sovversivo, se è per questo.”
E quindi?
E quindi cosa André? Faccio quel che mi chiedi e non va bene, faccio di testa mia e mi viene rinfacciato che sono nobile e non capisco! Cosa vuoi da me?”, sbottò Oscar
Ho capito, hai voluto dimostrare a Bernard quanto è brava e magnanima la nostra aristocrazia. Ma brava, complimenti! E io che pensavo che tu avessi compreso che gli ideali per cui combatte sono più importanti di un furto di fucili!”, e detto questo Andrè se ne andò, lasciandola pietrificata.
 
“E brava! Veramente i miei complimenti! Vedo che sei diventata proprio brava nella diplomazia!” – “Eccola qua! E tu chi saresti? Oscar o François? Non infierire, prego! Certo che mi piacerebbe proprio capire che passa per la testa di André in questo periodo, si scalda con niente…” – “Scegli tu chi vuoi che io sia. Comunque sono d’accordo con te, André sta passando un periodaccio: che senta la nostalgia della sua bella?” – “Uff! come vorrei poterlo prendere a pugni come ai vecchi tempi! Con una bella scazzottata risolvevamo tutto! Oh, ma adesso vado da lui e lo prendo a schiaffi sul serio!” e, così pensando, Oscar si diresse spedita verso la stanza di André.
 
Arrivò lì, davanti alla porta e si fermò. Ma che stava facendo?
 
 
 
 
*va bene, va bene: lo so che la precisa arte dell’investigazione era ancora di là da venire! Altra licenza poetica, perdonatemi!
 
** l’idea l’ho rubata para para dal grande Camilleri e dal suo Montalbano Primo e Montalbano Secunno: diamo a Cesare quel che è di Cesare!
 
Cara Tetide, come vedi André continua a fraintendere, ma pure Oscar ci mette del suo! In fondo ho sempre pensato che il bravo attendente sotto la sua dolcezza doveva avere un carattere niente male anche lui, giacchè per stare accanto a Oscar non si poteva essere debolucci di carattere.
 
Grazie a tutti coloro che hanno rilasciato delle recensioni e, anche se non vi cito per nome, sappiate che le ho apprezzate tutte!

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Capitolo 4
*** quattro ***


Eccoci! Un capitoletto un po’ di transizione. L’ho rimaneggiato più volte ma alla fine mi esce sempre così. Si vede che è così che deve andare.
Forza che non dura ancora molto. A grandi linee la storia è già finita, bisogna solo limarla. Fatemi sempre sapere che ne pensate, i vostri consigli sono preziosi!
 
quattro
 
Era lì, con la mano a mezz’aria quando la porta si aprì. Le si parò davanti André, vestito di tutto punto, pronto a uscire.
Dove vai?” gli chiese senza pensare. “Non ti riguarda”, le rispose. “Vai dalla tua bella?”, continuò lei imperterrita, arrossendo improvvisamente. “E a te cosa importa?” rispose ancora lui, con malagrazia, non notando il rossore diffuso sul volto di Oscar. “Oh ma insomma André che hai? Sei improvvisamente arrabbiato con tutto il mondo! Non sei più un adolescente, che c’è?” – “Ripeto, non sono fatti tuoi. E ora, se non ti dispiace vorrei uscire” – “Eh no, mio caro, non te ne esci così! Mi spieghi cosa ti passa per quella testa?
 
Oscar, Oscar, lasciami stare! Non posso starti vicino, il solo vederti mi fa star male. Vorrei stringerti a me, baciarti, coccolarti come meriti… Saperti innamorata di un altro mi sta uccidendo. Vederti che pensi a lui e che cerchi un modo per non pensarlo mi ferisce! È meglio che pensi che ho una donna, piuttosto che sapere che vado a bere per non pensare a te. Allontanati da me, lasciami soffrire da solo, ti prego!” pensava l’uomo. “Nulla Oscar, davvero. Ho bisogno di uscire, tutta questa convalescenza mi ha stancato. Ora scusami. Ciao” rispose invece André, cercando di scostarla per uscire dalla sua stanza. Ma lei non arretrò di un passo.
 
Ora i loro corpi erano davvero a pochi centimetri l’uno dall’altro: Oscar poteva sentire il calore di André passare attraverso il sottile strato di cotone della sua camicia. E Andrè si sentiva scottare, era da tanto che non si trovava a distanza così ravvicinata da Oscar.
 “Mio dio come è caldo. E forte. – Oscar arrossì violentemente a questi pensieri -  e ora? Lo prendo davvero a pugni?” – “Ma certo! Che ideona! Prendere a cazzotti la persona che dici di amare? Sai, credo davvero che dovresti mostrarti un po’ più femminile” – “Ottima idea! E tu che sei un’esperta, mi dici come si fa?”. Eccola là, sparita di nuovo senza dare una risposta!
 
Ehm… Oscar…. Vorrei passare. Davvero, è piacevole stare qui sulla porta a chiacchierare con te. Però avrei un impegno” André la riscosse dai suoi pensieri. “Bene, ma sono ancora in attesa di sapere qual è questo impegno che ti costringe ad uscire di casa ad un’ora così tarda.” “Oscar, non sei la mia balia né mia madre… - Né mia moglie, pensò triste – quindi no ti devo rendere conto di nulla. Ci vediamo domani per andare a Corte come al solito.” Detto questo, André si infilò nel piccolissimo spazio libero tra Oscar e lo stipite della porta e se ne andò, lasciandola lì, interdetta.
 
“Ebbrava! Complimenti vivissimi! Ora neanche a tirar pugni sei più capace!” – “oooohh, zitta! Non hai capito che lui ha davvero una donna che lo aspetta? Non hai visto che sguardo tormentato, quanta fretta nell’andar via? È stato un bel sogno, lui non sarà mai mio”. E a pensare queste cose, il suo cuore perse un battito e poi le sembrò che battesse in un modo strano. Le sembrava quasi una campana a morto.
 
****
Passarono i giorni, e a lei sembrò di vivere in una realtà parallela. Fersen era venuto a trovarla, aveva capito che era lei la dama misteriosa del ballo. Si erano detti addio. Lei aveva pianto, dando di sé uno spettacolo che ancora adesso non esitava a definire poco edificante. Piangere così, davanti a lui! Proprio come una donnicciola… Ma come ne sentiva il bisogno! Fersen sicuramente aveva pensato che le sue lacrime fossero per quell’amore impossibile, ed effettivamente visto da fuori poteva sembrare così. Ma in realtà lei piangeva per quel groviglio di sentimenti che stava provando, un miscuglio di sensazioni difficili da comprendere per chiunque, ma ancora di più per lei, da sempre educata a soffocare ogni debolezza. Era confusa, il comportamento di André si manteneva contraddittorio: un giorno era il solito, caro André e il giorno dopo sembrava evitarla come la peste. Certo lui era sempre lì, l’accompagnava dappertutto, ma lo sentiva distaccato. E non capiva. Non capiva nemmeno se stessa, veramente. I suoi dialoghi interiori non portavano a nulla. Ormai era chiarissimo che amava il suo attendente, ma ciò era sconveniente e inopportuno. E per di più lui evidentemente amava un’altra, con cui passava quasi tutte le sere. Per questo  piangeva Oscar, e a Fersen si spezzava il cuore al solo pensiero di essere la causa delle lacrime del suo migliore amico. E le disse addio.
 
Tornò in casa. “ma guarda che disastro hai combinato! Tutti i bicchieri rotti. Il tuo amato brandy per terra!” ma non aveva la forza di rispondere a se stessa. Era molto triste e confusa. E poi comparve lui “Posso fare qualcosa per te, Oscar?” “No”.
 
COME NO??? Ma dici sul serio?? Lui è l’unico che può fare qualcosa per te e tu lo mandi via? E tutte quelle idee sul trovare il momento giusto per dirgli i tuoi sentimenti? Ora penserà che ami ancora Fersen! Ma brava!”
 
Perché era stata così netta non lo capiva. Lui era l’unico che potesse fare qualcosa per lei e ancora una volta lo aveva respinto. E lui era andato da quell’altra.
 
Decise di smettere di crucciarsi. Basta! doveva tornare alla sua vecchia vita, anzi, doveva cambiare vita! Doveva tornare a vivere come un uomo, questi sentimenti da donnicciola l’avevano fiaccata! Chiese alla Regina di lasciare l’incarico di lasciare le Guardie Reali. Lei non capì, ma accettò. “Gran donna la mia Regina!”, pensò Oscar “peccato che tutti la giudichino così male”.
 
E poi accadde. Lei che diceva ad André che non avrebbe avuto più bisogno di lui (“Ma sei matta?” le diceva la sua vocina). Lui che le diceva quella frase “una rosa è una rosa…”, la baciava e le dichiarava il suo amore. Lei che non desiderava altro che sentire quelle parole… “peccato che mi abbia strappato la camicia per dirmelo!” - “Ma accidenti che bello sentire le sue labbra sulle tue, il suo corpo su di te! e allora perché l’hai fermato, tontolona? Perché poi gli hai permesso di andarsene?” – “perché era diventato violento” – “come se tu non sapessi difenderti, cara la mia verginella!” – “stai diventando impertinente” – “no, mia cara, sei tu che sei una sciocca: ti sei afflitta tanto, sogni ancora che lui muoia e ancora ti strazia quel sogno, e quando lui finalmente ti confessa il suo amore che fai? Lo lasci andare? Anzi, peggio, te ne vai **, facendogli intendere che non solo non ti è piaciuto ma che anzi vuoi dimenticare? E come fai a dimenticare il fuoco che ti ha acceso con un solo bacio?”. Questo pensava Oscar mentre passeggiava sulle spiagge bellissime della Normandia, dove si era rifugiata dopo quella sera. E non si capacitava di come potesse essersi allontanata tanto dal suo André proprio nel momento in cui aveva scoperto di amarlo.
 
Quando tornò a casa, era ormai decisa, avrebbe confessato i suoi sentimenti ad André. Ma lui non c’era ad aspettarla. L’aveva presa in parola. Se ne era andato.
 
 

** mi è stato fatto notare un errore geografico piuttosto grave. l'ho eliminato. perdonatemi pensando che il capitolo era stato scritto di notte!  
Ohi ohi! Il bell’André se ne è andato. Ma dove? Su che lo sapete!
 
Mariaantonietta, visto? il sogno era ricorrente ;)

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Capitolo 5
*** cinque ***


cinque
 
Per la prima volta era senza André.
 
Proprio come aveva voluto lei, in fondo. Ma la sensazione che provava non aveva niente a che fare con la sua ritrovata volontà di vivere come un uomo. Ma in fondo chi voleva ingannare? Quella decisione era durata giusto il tempo di lasciare il comando della Guardia Reale, di trattar male André e di perderlo per sempre. Quel tentativo di violenza, per quanto non giustificabile, per quanto contrario alla sua natura lei lo aveva da tempo compreso e perdonato. Non era stato facile, certo. Non lo era stato perché in quel momento lei si era resa conto non solo della sua condizione di donna (ma con  quella, in fondo stava ormai imparando a convivere e ad accettarla), ma della sua enorme fragilità. Non sarebbe bastata tutta la sua esperienza, tutta la sua preparazione da soldato: se Andrè avesse deciso di andare avanti lei non avrebbe potuto resistergli. Era questo che quella sera l’aveva spaventata, paralizzandola. Era questo che l’aveva tanto spaventata da costringerla ad andar via, in Normandia. Non era voluta andare ad Arras: quel posto le ricordava troppo le belle giornate passate in libertà con André, mentre lei aveva bisogno di pensare. Doveva capire cosa aveva nel cuore. Aveva capito di amare André, che il suo sentimento non era semplice amicizia. E lo aveva capito grazie ad un sogno. Ma nella sua assoluta impreparazione ad affrontare i problemi legati ai sentimenti, mentre meditava di fare una cosa, appena si trovava con lui faceva l’esatto opposto, esasperandolo. Arrivando persino, lei che aveva scoperto sentimenti femminili, reazioni femminili ad una presenza maschile, a rifiutare la sua femminilità e a dire di voler vivere come un uomo. Perché? Ancora non lo capiva. La visita di Fersen l’aveva stravolta per le sensazioni fortissime che le aveva dato, per la certezza che il conte non le comunicava più alcun sentimento che non fosse di amicizia, ma con il ricordo ancora molto vivido dello struggimento che egli per la prima volta le aveva causato.
Forse per fuggire a quella confusione di sentimenti aveva deciso impulsivamente di rifiutare la sua natura femminile. Troppo dolore provoca l’amore, troppa agonia, lenta e triste agonia.
Ma non c’era riuscita, nemmeno per quindici giorni, a illudersi. Lì in Normandia aveva infine capito che non si può sfuggire a quello che si è e a quello che si prova. Era tornata a casa per dirlo ad André, per fargli capire che davvero non ce l’aveva con lui, che gli voleva bene. No, che lo amava.  Ma lui si era stancato di aspettare, forse, o chissà magari per cercare di raccogliere i cocci della sua vita ed andare avanti senza di lei, e se ne era andato. Licenziato da attendente, era sparito.
E ora il suo, il loro cuore era spezzato.
 
Era lì, seduta sul suo letto, che pensava tutte queste cose, con le lacrime che le scendevano silenziose dagli occhi, e ricordava i vent’anni passati insieme, sempre insieme, le battaglie fatte da piccoli, le corse, i giochi. Tutto in quella casa, in quella stanza, le parlava di lui. Quel letto dove era stato consumato l’ultimo atto di quella storia urlava, chiedeva vendetta. Ma una vendetta dolce, la vendetta dei sentimenti troppo a lungo repressi e alla fine ribellatisi alla repressione.
 
Non sentì aprire la porta. Non vide la figura familiare che si avvicinava, che si siedeva sul letto, che la abbracciava. Ma appena fu avvolta da quell’abbraccio il suo odore la riportò indietro di vent’anni, no di trenta, trentatré anni e la lacrime silenziose diventarono singhiozzi. Pianse, Oscar. Pianse per tutto quello che le si agitava dentro e per quella confusione che era dentro di lei, per quel sentimento nuovo, vigoroso e terribile che provava per il suo amico di sempre, per averlo perso proprio quando avrebbe voluto averlo per sempre con sé, ricambiando ciò che da sempre lui provava per lei. E Nanny pianse con lei, perché lei sapeva, oh se sapeva! E aveva sofferto, vedendo il suo adorato nipote struggersi d’amore per la sua bambina, che non vedeva, non voleva capire. E aveva sofferto vedendo Oscar che piangeva nel sonno gridando “NOOO ANDREE’! NON E’ GIUSTO!” ogni notte, tutte le notti. E aveva sofferto vedendo quella camicia strappata, che Oscar le aveva portato dicendole di essersela strappata mentre si allenava di scherma, mentre lei sapeva che non era così, perché André le aveva confessato cosa aveva fatto, quando infine se ne era andato chissà dove. E aveva sofferto quando aveva visto Oscar tornare a casa con un’espressione nuova di serenità e convinzione che non aveva più da tanto tempo e poi aveva dovuto vedere quell’espressione scomparire per fare posto ad un’aria smarrita, nascosta subito da quell’atteggiamento indifferente che ormai da troppo tempo era la sua maschera. E aveva sofferto vedendole salire le scale per andare a salutare suo padre e sua madre, e fare ogni gradino con sempre maggiore fatica, curva, lei che era sempre stata dritta come un soldatino. E aveva sofferto nel vederla lì, seduta sul letto con quelle lacrime silenziose che le rigavano il viso, e non aveva resistito. La sua bambina aveva bisogno di conforto ora, e lei era lì per quello. E stava soffrendo nel sentirne i singhiozzi disperati, nel vederla piangere come non aveva mai pianto nemmeno da bambina, nemmeno quando il padre la picchiava rudemente, frustrato perché quella bimba bellissima non sarebbe mai stata un uomo.
E ora piangeva, la sua piccola Oscar. Ma non era più una bambina, era una donna fatta e piangeva per amore. E non sarebbero bastati i suoi biscotti a tirarle su il morale, come succedeva venti anni prima…
 
Alla fine Oscar si calmò, ma rimase ad assaporare l’odore di Nanny, quell’odore di lavanda che le piaceva tanto e che sempre, annusandolo a piene narici, aveva avuto il dono di calmarla. Non erano i biscotti a tranquillizzarla, no. Era il suo odore. Così diverso da quello di Andrè. Lui sapeva di sapone di marsiglia e cavalli.
 
Basta piangere Oscar. Ora devi sapere qual è la tua destinazione e poi, se la tua posizione te lo consentirà, la sfrutterai per cercare informazioni su André. E se non lo consentirà, troverai il modo di averle lo stesso, quelle informazioni. In fondo c’è un certo giornalista che ti deve qualcosa…” Così si disse, riscuotendosi dal torpore che l’aveva presa dopo quel pianto. Guardò Nanny, in quei vecchi occhi stanchi inondati di lacrime e tristezza e le disse semplicemente: “Lo troverò”. La vecchia governante le fece un cenno con il capo, si alzò e le dette un bacio sulla fronte, come faceva quando era bambina, e se ne andò.
 
****
 
“Comandante dei Soldati della Guardia Metropolitana”. Le si gelò il sangue nelle vene quando le comunicarono la sua nuova destinazione. Era il grado che ricopriva nel sogno e André era soldato in quel reggimento.
Ma André non si è arruolato, no, è solo andato via… Dove sei finito André???” si domandò Oscar, con una punta di panico.
 
****
 
Il giorno dopo prese servizio, un giorno prima del previsto, e nel vistare gli alloggi dei suoi nuovi soldati, lo vide. La gioia di vederlo si trasformò nel tempo di un solo respiro in puro panico. L’abitudine a celare i suoi sentimenti fece trasparire questa tempesta con una semplice alzata di sopracciglia, ma nel cuore di Oscar c’era l’inferno. “Lui è qui, è soldato della Guardia! Il sogno è realtà, allora? Oddio, devo fare qualcosa, non posso permettere che al mio André accada qualcosa di male!
 
Lo mandò a chiamare. Gli chiese perché si trovava lì, voleva convincerlo ad andarsene ma lui gli rispose che non era lì per lei, ma perché un suo amico, un tale Alain, lo aveva fatto entrare nelle Guardie Metropolitane, che nemmeno sapeva che lei sarebbe stata destinata lì. Le disse che lei ormai aveva rinunciato ai suoi servigi e che quindi lui era libero di fare ciò che voleva.
 
Ecco, di nuovo una discussione che finisce in litigio! Oh André ma che ci sta succedendo?”, si domandò Oscar. Se ne stava andando. No, non doveva andare via, non di nuovo, non in quel modo, non con quella rabbia in corpo. Doveva fare qualcosa. Lo fermò, prendendolo per la mano.
 
André aspetta. Ti devo dire un’altra cosa. Ero tornata a casa prima per dirtelo, ma non ti ho trovato
Beh mi avevi detto di non aver più bisogno…
Sì certo, - lo interruppe brusca, non aveva bisogno di ricominciare con le polemiche - ricordo quel che ti ho detto. Erano tutte sciocchezze.”
 
 
André la guardò stupefatto. Cosa voleva intendere? Voleva che lui tornasse a fare il suo attendente? Mai!
 
Ma lei continuò, dicendo delle parole che alle sue orecchie suonarono come musica: “Vedi André, io ho sbagliato tutto. Non credevo che tu mi amassi, io mi ero convinta che tu avessi una donna qui a Parigi. Poi la situazione mi è sfuggita di mano, ho detto e fatto cose di cui non vado fiera, ti ho ferito e rifiutato proprio quando più avrei voluto averti accanto. Mi potrai mai perdonare per non aver capito subito i tuoi sentimenti, per ….” Ma non riuscì mai a finire la frase. André si stava avvicinando, pericolosamente. Sentiva il suo odore, sapeva di fumo alcol e cavalli – dov’era l’odore di sapone di marsiglia? – sentiva il suo alito su di lei. Il suo stomaco era in subbuglio, il suo cuore batteva all’impazzata. Lo vide alzare le braccia, cingerle la vita. Le sue mani sulla schiena, un brivido. I loro corpi ormai stretti, fuoco. Le loro labbra unite, oblio.
Fu un bacio casto che durò un’eternità, o forse solo un secondo. Poi non fu più casto, fu amore e odio, pace e vendetta, desiderio e lussuria. Poi fu solo amore, candido amore, innocente amore. E mentre le loro lingue si esploravano e si parlavano, lei volava, stretta tra le sue braccia era in paradiso. E André non credeva a quel che stava accadendo, non lo avrebbe mai creduto possibile dopo quella notte. Credeva che lei lo odiasse e invece gli aveva appena detto, nel suo linguaggio che lo amava. E quel bacio ne era il suggello. E anche Andrè ora volava nel paradiso degli amanti, delle anime belle e libere. E non voleva che finisse.
Ma finì.
Quando si staccarono, a fatica, l’uno dall’altro non ci furono parole, non furono necessarie. Tutto era chiarito, per le parole ci sarebbe stato tempo.
“Ora vado” disse André, guardandola con infinito amore, “non vorrei che i miei compagni pensassero male. Già non apprezzano di essere comandati da una donna, se sapessero i nostri rapporti mi massacrerebbero.”e nei suoi occhi si accese un filo di ironia che lo rese ancor più bello.
“Va bene”, disse lei, semplicemente, ricambiando il sorriso. Ma il suo cuore batteva in un modo che sembravano campane a festa.
 

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Capitolo 6
*** sei ***


 
 
sei
 
 
Il giorno dopo si presentò in caserma di buon’ora. La truppa avrebbe dovuto sfilare per rendere omaggio al nuovo capitano ma nessuno si presentò. Salvo André. Lui c’era e la guardava con tristezza. Disse a lei e al Colonnello D’Agout che le truppe non volevano essere comandate da una donna e non si sarebbero schierate. Lo mandarono in camerata. Lo sguardo che le lanciò prima di andar via fu penetrante. Le diceva “sono con te, sii forte!”. E lei fu forte, si presentò nelle camerate e sfidò i suoi uomini a duello. Inutile dire che vinse. L’uomo che l’affrontò era troppo rozzo, troppo pesante per avere la meglio sulla sua abilità e agilità. Gli uomini sfilarono, ma non erano ancora domi. Lo leggeva nei loro occhi, in quello di tutti tranne che di uno. Negli occhi di André leggeva solo amore. E lei doveva mostrarsi indifferente per non farsi scoprire, ma avrebbe voluto saltargli al collo e continuare il “discorso” del giorno prima.
 
Finita la rivista, fece chiamare André con una scusa. Accostò le tende della finestra che dava sulla piazza d’armi e lo aspettò appoggiata al muro sul lato destro della porta. Lui aprì e non la vide, ma lei subito lo prese per mano e lo trascinò a sé. Si appoggiò al suo petto e lui la abbracciò. Aveva capito che Oscar aveva bisogno di conforto, di essere rassicurata che tutto andava bene, che tutto sarebbe andato bene. Lei sprofondava in quel petto, aspirava il suo odore, se ne inebriava e dimenticava tutto, tutte le preoccupazioni e le ansie della giornata. Erano solo loro due, nessun altro contava. E ad un certo punto sue labbra iniziarono a baciare il suo André senza che lei nemmeno se ne rendesse conto. André non si fece pregare e ricambiò con entusiasmo quella passione, baciandola a sua volta con dolcezza e trasporto. Le loro bocche erano un tutt’uno, non avevano intenzione alcuna di staccarsi se non per il tempo necessario per mordicchiarsi un labbro e aumentare il desiderio dell’altro a dismisura. Le mani trovavano gli ostacoli delle divise ed entrambi sapevano di doversi limitare ad esplorare il corpo dell’altro senza poter approfondire il discorso. Ma già così, con le mani che avevano sbottonato i primi alamari per avere un migliore accesso al collo, che poi subito erano corse frenetiche sulla schiena, le sensazioni che entrambi si donavano erano da brividi. E i baci sul collo, oh Dio, i baci sul collo! Brividi si spandevano nel corpo di Oscar e si domandava perché avesse perso tanto tempo prima di accettare la sua natura femminile! E il fuoco che le bruciava dentro le faceva cedere le gambe. Avrebbe voluto stendersi, ma non era nemmeno da pensare una cosa del genere in quella stanza, in quella caserma.
Ma non era quello il posto adatto per proseguire quella danza. Solo la sua lunga esperienza le consentì di mantenere un minimo di razionalità in quel turbine di sensazioni per lei completamente nuove. Ed alla fine si staccò, arrossata e stravolta, con gli occhi accesi dal desiderio. E guardando Andrè rivide lo stesso desiderio, quello stesso desiderio che il fisico di lui non riusciva a mascherare e che lei  sentiva aderire al suo basso ventre. Un po’ questa eccitazione la imbarazzava, ma sentiva un tale desiderio erompere dalle sue viscere che non vedeva l’ora di poter sentirsi riempita dalla sua mascolinità e finalmente completarsi in un atto d’amore assoluto e infinito.
 
Dobbiamo parlare” disse Oscar.
Perché?” domandò André.
Perché devo spiegarti
Non devi spiegare nulla. Ci siamo mal compresi. Tu credevi che io avessi un’altra, io credevo che amassi Fersen. Ora però ci siamo trovati. Non mi interessa sapere altro.” E ricominciò a baciarla e a toccarla dappertutto sul collo. E Oscar buttò la testa indietro. E tutto fu di nuovo fuoco. Le mani di Andrè si fecero più ardite e arrivarono là dove non vi era dubbio della femminilità di Oscar. Lei sobbalzò, spalancando gli occhi per la sorpresa ed il piacere.
Ma “NO!” disse “no Andrè fermati, non possiamo andare oltre. Non ora, non qui…
A malincuore lui si fermò. Aveva ragione: era un rischio troppo grosso. I suoi commilitoni sarebbero stati capaci di linciarli sul posto se li avessero trovati in tali effusioni.
Non ti preoccupare André, troverò il modo. In fondo sono il Comandante!
Adoro quando sei così combattiva!” disse lui guardandola con amore e un pizzico di ironia.
Oohh, smettila! Ed ora va’ dai tuoi commilitoni a riferire i turni di guardia. Ti sei attardato anche troppo!” disse lei con un tono che voleva essere il suo solito tono risoluto ed invece era intriso di una dolcezza che lui mai nella sua vita le aveva sentito.
 
*****
Ma purtroppo per molti giorni l’occasione non si presentò. André era soldato da troppo poco tempo per poter usufruire di licenze, e nelle serate libere di lui, lei era subissata dagli impegni che suo padre e il Generale Bouillé le imponevano. E Oscar non poteva rifiutarsi: era stata nominata da troppo poco tempo per poter dire di no. Così passò un mese e salvo gli incontri fugaci nell’ufficio di lei non c’era stato molto altro.
Un giorno avevano rischiato seriamente di essere scoperti. Erano in armeria per fare l’inventario delle armi quando, piegatisi contemporaneamente per raccogliere un sacchetto di polvere da sparo che era caduta da una mensola, le loro mani si sfiorarono. Una scossa li pervase, gli occhi si annebbiarono e senza nemmeno accorgersene si ritrovarono avvinghiati le mani nelle mani, le braccia di lei piegate indietro, prigioniere di un abbraccio forte che non ammetteva repliche. Lei si ritrovò spalle al muro, premuta dal corpo di lui che nel frattempo aveva lasciato la presa delle mani per passare alle natiche, sollevandola e facendo passare le gambe di lei intorno ai suoi fianchi. Oscar intanto aveva cinto il suo collo con le braccia e si teneva stretta a lui, mentre passava una mano fra i suoi capelli bruni. La passione li aveva presi e li aveva fatti già volare in alto…. Fu un rumore a salvarli. Un barattolo caduto, o forse un fucile, chissà,  li avvisò che stava arrivando qualcuno. E quando Alain si presentò sulla porta, trovò Andrè accosciato davanti all’armadio delle munizioni che dettava il numero delle palle di fucile e di pistola presenti nell’armadio ad un’Oscar intenta a trascrivere i numeri su un foglio poggiato ad un tavolino lì vicino. Entrambi gli davano le spalle e non sembravano aver fatto altro che l’inventario delle armi fino a quel momento.
Ma Alain non era andato lì per passatempo. Era arrabbiato, quell’omone alto che aveva preso André sotto la sua ala protettrice. Senza convenevoli disse “Comandante, hanno portato via Gérard Lassalle. Lo hanno portato al tribunale militare e lo processeranno perché ha venduto il suo fucile. Perché Lei lo ha denunciato.
Oscar si girò stupefatta, e così anche André. “Cosa vorresti dire Alain? Io non ho denunciato nessuno
 
Lui la prese e la trascinò di peso fuori, nella piazza d’armi e la sfidò a duello. Alain non era come l’altro soldato, riflettè Oscar, era molto più abile….
 
 
 
Ebbene, per ora finisce qui. In realtà non so se continuare. Non mi pare che questa FF abbia riscosso grande successo ma non me ne cruccio. È nata come un esperimento, lo sfogo di un momento ed è bene lasciare spazio a chi è più dotato ed ispirato di me. Grazie a chi mi ha seguito.

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Capitolo 7
*** sette ***


Scusatemi tutti per lo sfogo dell’ultima volta. E’ stato un periodaccio, davvero molto, molto triste. La voglia di scrivere è tornata. Vediamo se vi piace il seguito: è breve ma intenso. Mancherò per un po’. Ci vediamo a settembre.
 
 
Sette.
 
Era arrivata a casa prima, quella sera. Finalmente, dopo aver sistemato le cose con Lassalle era riuscita a prendersi una piccola pausa.
Mentre a cavallo si recava a casa aveva ripensato agli ultimi avvenimenti: il tenero rapporto che stava crescendo tra lei e André, le difficoltà di farsi accettare dalla sua nuova truppa, i duelli – già due – sostenuti per questo. E poi, quando tutto sembrava sistemarsi quell’aggressione ad André. Avrebbe voluto farli fustigare tutti, quegli ignoranti puzzolenti che avevano osato tendere un agguato a tradimento al suo André, solo perché avevano scoperto che lui era stato al suo servizio! Ma lui, ancora una volta l’aveva fatta desistere dai suoi propositi. Si rendeva conto che se avessero scoperto che oltre a dei trascorsi lavorativi vi era anche un rapporto amoroso, davvero i soldati della Guardia lo avrebbero linciato. No. LI avrebbero linciati.
Ma alla fine non tutti i mali vengono per nuocere e Oscar aveva approfittato della circostanza per concedere ad André qualche giorno di licenza. Sorrideva al pensiero. Finalmente avrebbero potuto stare un po’ insieme senza preoccuparsi troppo di farsi vedere insieme. In fondo a Palazzo Jarjayes era perfettamente normale vedere Oscar e André insieme da soli. Anche sparire insieme da soli lì non era considerato strano.
Era in camera sua quando sentì il cavallo di Andrè arrivare. Si affacciò e lo vide entrare nella stalla. Rientrò. “E ora, mia bella? Che si fa? Lo sai che se andrai da lui succederà un patatrac, ma se non vai gli spezzerai il cuore” - “Lo so lo so! Ma non ti preoccupare, preferisco di gran lunga il patatrac al suo cuore spezzato! Mi sacrificherò!” – “Ti ci vedo, riflessa in quello specchio: hai proprio la faccia di chi si sta sacrificando!
 
Con un leggero sorriso, una bottiglia del suo Brandy preferito e due bicchieri si avviò di nascosto verso la stanza dell’amico. Ma era da lì che provenivano quelle voci che sentiva? Pareva di sì. Una era di Nanny. L’altra, le rare volte che riusciva a infilare una parola, era di André. La governante stava dicendo “… farmi preoccupare così, screanzato senza cuore! Neanche farmi sapere dove vai! E dopo tanto tempo ricompari con una divisa addosso! Ci mancavi tu a fare il militare in questa casa! Ma che ti è preso?
“nonna…”
zitto e fammi parlare! Dicevo…. Ah sì! SCREANZATO!...” ma fu interrotta dalla voce di Oscar che chiamava: “Nanny, Nanny, dove sei? Nanny? Ah sei qui. Ciao André, bentornato. Nanny, mia madre desiderava un po’ della sua tisana per dormire”, disse la ragazza sperando che fosse vero, giacchè quello era l’orario in cui effettivamente sua madre prendeva la tisana. La vecchietta schizzò via, non prima di aver mandato un’ultima minaccia al nipote (“con te facciamo i conti dopo!”).
 
Appena si chiuse la porta, si ritrovò fra le sue braccia, le labbra di lui su quelle di lei, che ricambiava il bacio con un trasporto di cui solo pochi giorni prima non si sarebbe creduta capace, le labbra di lui sul collo di lei, le mani esigenti che la cercavano e la esploravano.
I bicchieri e il brandy furono in qualche modo poggiati su un tavolo e presto vi finirono anche i loro indumenti.
 
Dopo fu solo un volare nel cielo, in lidi sconosciuti e lontani. Sapevano di Arras, di Oceano, di monti e di laghi, ogni ondata di piacere era una vetta inesplorata, ogni bacio una goccia di miele, ogni carezza assenzio e oblio. Per tutta la notte furono solo Monsieur e Madame Grandier, dopo quel giorno per tutta la vita lo diventarono. Era un viaggio di sola andata, entrambi lo sapevano, ma nessuno dei due ci voleva rinunciare. Troppo avevano vissuto, troppo avevano sofferto prima di potersi abbandonare, prima di potersi abbeverare alla sorgente della vita. Niente e nessuno ormai avrebbe potuto separarli. Mai nessuno.
 
Era ormai quasi mattina. Nanny non si era più fatta vedere, per fortuna. Lei era tra le braccia del suo André, con la testa poggiata in quello che aveva già battezzato “il suo angolino”, nell’incavo dell’ascella, finalmente appagata, ed anche un po’ imbarazzata da tutto il trasporto dimostrato alla sua prima esperienza. C’erano dettagli che non immaginava (il leggero dolore la prima volta, il sangue), ma forse lui invece se lo aspettava, perché sul letto sopra le lenzuola c’era una coperta che non era di quella casa, quasi una cerata militare, sicchè non avevano lasciato tracce sospette. Pensava queste cose (“ma l’animo pratico non ti lascia mai?”, le disse la sua vocina) e assaporava la sensazione di dolcezza e serenità che gli dava quell’uomo. Il suo uomo. Il suo André.
E poi vide il sole fare capolino. A breve la casa si sarebbe risvegliata e non sarebbe stato saggio farsi trovare nell’ala destinata alla servitù. Gli diede un bacio. “Ehi bell’addormentato, devo andare o saranno guai per entrambi. Ti aspetto in sala da pranzo per la colazione” - “mmm…” rispose lui con il sorriso più dolce e sereno del mondo stampato sulla sua faccia.
 
 
Eccoci qua! È successo il patatrac! Che succederà ora?

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Capitolo 8
*** otto ***


Otto
 
Ciò che accadde dopo fu amore, solo e soltanto amore. Certo, c’erano le incombenze del lavoro, ma erano parentesi tra un incontro e l’altro. Ogni occasione era buona per incontrarsi e amarsi, o quanto meno per scambiarsi un bacio al volo. I soldati forse avevano intuito qualcosa ma avevano accettato ormai quel compagno silenzioso e tranquillo e quel comandante strano, una donna sì, ma assolutamente degna di essere seguita ovunque, forte e decisa, onesta e leale nei loro confronti. Alain, lui sì, lui sapeva. Nessuno gliel’aveva detto ma sapeva. Li aveva visti quel giorno nell’armeria a scambiarsi effusioni lascive. E quello non aveva fatto altro che aumentare la sua rabbia per quello che pensava fosse stato il tradimento del comandante nei confronti della truppa e di Lassalle in particolare. Proprio per quel motivo era arrabbiato, non solo il comandante li tradiva ma se la spassava pure sotto il loro naso con il suo ex attendente. Gli era caduta la spada di mano quando li aveva visti aggrovigliati l’uno contro l’altra, ma per fortuna loro non avevano capito che il rumore proveniva da lui. Ma dopo, aveva dovuto ricredersi, il comandante non era affatto un cattivo elemento ed anzi, aveva fatto liberare Lassalle e si era anche per quello guadagnata la stima sua e degli altri soldati. E ora vedeva che André era più sereno. Ed era contento per il suo amico.
 
Ma Oscar non era soddisfatta. Quel continuo nascondersi, quel continuo cercare nascondigli e scuse per vedersi e amarsi non le piaceva. Non voleva essere la solita donna nobile che se la spassava con il suo servitore. No lei si sentiva Madame Grandier, lo era, anche se nessun sacerdote avrebbe potuto per il momento consacrare la loro unione. Per il momento, sì, perché qualcosa le frullava per la testa da un po’.
 
André, domani sei in licenza” gli annunciò Alain. André alzò gli occhi sorpreso, non l’aveva chiesta e non sapeva il motivo di tale privilegio, ma non disse nulla.
 
Il giorno dopo, si alzò presto e uscì dalla caserma. Per tutto il giorno precedente non gli era stato possibile parlare con Oscar, per capire se l’idea della licenza era sua o se vi erano altri motivi, così decise che all’ora in cui i suoi compagni si alzavano per iniziare le incombenze giornaliere, e gli altri rientravano dalle ronde notturne, lui sarebbe uscito dalla caserma e sarebbe andato a palazzo Jarjayes. Lì, forse, avrebbe avuto qualche risposta.
Ma, uscito dal portone della caserma trovò Oscar in borghese ad aspettarlo. La vide e quell’immagine per un attimo si sovrappose a quella di una ragazzina di 14 anni che, appoggiata ad un albero, sfidava un coetaneo solo per dimostrare di non essere seconda a nessuno. Ma la donna che lo guardava era molto diversa da quella ragazzina. Più disillusa, forse, ma più matura e forse quasi serena. “Oscar…” “André, vorrei che venissi con me, quest’oggi. Ho preso anch’io un giorno di licenza” – “Ma, non si insospettiranno?” – “E di cosa? Ormai sanno tutti che ci conosciamo da anni e che tu hai lavorato per la mia famiglia. Vieni con me per favore. Sali a cavallo e seguimi”.
 
Oscar che chiede per favore, questo sì che è un evento!”, si ritrovò a pensare André, confuso e disorientato come mai, mentre seguiva oscar addentrarsi dentro Parigi. Ad un certo momento sembrava che stesse andando a casa di Bernard e Rosalie, ma poi avevano cambiato strada. Il quartiere era lo stesso, ma le case erano più dignitose, di una borghesia leggermente più agiata. Di fronte ad un palazzo in condizioni più che dignitose Oscar si fermò e scese da cavallo. Gli chiese (“ancora per favore? Sarà mica impazzita?”) di seguirlo. Salirono due piani e si fermarono davanti a una porta.
Oscar era avanti a lui e gli dava le spalle quando iniziò a parlare. “André, io…. Io vorrei poter vivere il nostro rapporto alla luce del sole ma non posso. Sto piano piano cercando di lasciare casa mia, di andarci sempre di meno, lo avrai notato. Con tutti gli impegni, veri e presunti, del mio nuovo ruolo di Comandante della Guardia ho avuto buon gioco nel farmi vedere sempre di meno a Palazzo Jarjayes. Grazie a Rosalie e Bernard ho preso in affitto sotto altro nome questo appartamento. Se mi ci troverò bene il proprietario si è detto anche disponibile a venderlo.” Si girò “André ecco… io… vorrei che questa fosse casa nostra. Lo so che avrei dovuto coinvolgerti nella scelta, chiederti se fossi d’accordo, ma in due avremmo destato sospetti. E comunque se tu non vuoi, io non voglio tornare in ogni caso più a casa mia…” lì, sul pianerottolo, incurante dell’impressione che avrebbe dato a chi avesse visto un uomo baciarne un altro (almeno in apparenza tale) André prese tra le braccia Oscar e la baciò. Fu il bacio più dolce e appassionato che mai si scambiarono. Quando si staccarono lui aveva le guance rigate di lacrime. “non avrei mai creduto che tu avessi voluto tanto. Che avresti voluto rinunciare a casa tua…” le disse. Lei, per tutta risposta si girò, aprì la porta e gli disse “vorrei che mi portassi dentro come se fossi la tua sposa, perché, vedi, io mi sento da tempo tua moglie”. Lui, sempre più felice, non credendo ancora a quello che le sue orecchie avevano sentito, la prese in braccio senza esitare, varcò la soglia della loro nuova casa, della loro nuova vita e chiuse la porta con un piede, sbattendola.
 
Oscar sussultò. Aprì gli occhi. I cannoni avevano ricominciato a sparare, quindi. E André non c’era più. Solo il giorno prima lo aveva amato per la prima volta e lo aveva perso. E lei era stata ben felice di mettersi davanti ai cannoni mentre sparavano. Sapeva che sarebbe stata un facile bersaglio. Lo voleva. La sua vita senza di lui non aveva senso. La sua vita avrebbe potuto essere diversa, come quella di quel sogno assurdo che aveva fatto,  dopo esser stata colpita, dopo essere stata portata via dalla battaglia, dopo essere stata messa a terra, dopo aver dato gli ultimi ordino ad Alain ed ai suoi uomini. Quando aveva chiuso gli occhi e li aveva riaperti su un mondo parallelo, su quello che avrebbe potuto essere e non era stato… poi vide il suo Andrè che lo  aspettava, disse solo “Addio” sentì una voce – Rosalie?- che gridava il suo nome, ma non voleva rispondere, voleva solo andare da André. E se ne andò.
 
Ecco qua. In realtà non volevo finire oggi, ma la chiusura (che già mi frullava per la testa da un po’) mi è venuta così, di getto, e non mi è sembrato che ci stesse male. Spero che, anche se non all’altezza di altre, certamente più belle e meglio scritte, un po’ questa storia vi abbia fatto compagnia. Ringrazio tutti coloro che mi hanno letta e seguita. Era la mia prima FF, non so se ne seguiranno altre ma è stata una bella esperienza. Grazie ancora. E ciao!

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