A Walk Though the Underworld - Le Tre Cantiche

di Temari
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inferno; Accidia; Apatia [O. Ritsu] ***
Capitolo 2: *** Inferno; Accidia; Insofferenza [T. Shinobu] ***
Capitolo 3: *** Inferno; Accidia; Alienazione [U. Akihiko] ***
Capitolo 4: *** Inferno; Lussuria; Prostituzione [M. Yoh] ***
Capitolo 5: *** Inferno; Lussuria; Passione [H. Yoshiyuki] ***
Capitolo 6: *** Inferno; Lussuria; Contatto Fisico [Y. Takafumi] ***
Capitolo 7: *** Inferno; Gola; Appagamento [T. Misaki] ***
Capitolo 8: *** Inferno; Gola; Problemi di Peso [O. Ritsu] ***
Capitolo 9: *** Inferno; Gola; Appetito [K. Hiroki] ***
Capitolo 10: *** Inferno; Avarizia; Guadagno [I. Ryuuichirou] ***
Capitolo 11: *** Inferno; Avarizia; Accortezza [K. Nowaki] ***
Capitolo 12: *** Inferno; Avarizia; Cinismo [K. Shouta] ***
Capitolo 13: *** Inferno; Ira; Cecità [T. Misaki] ***



Capitolo 1
*** Inferno; Accidia; Apatia [O. Ritsu] ***


Salve a tutti! =D
La raccolta che vado ad iniziare prende spunto da questo contest (a cui partecipo e a cui manderò una delle fic che comporranno la raccolta, fic che non pubblicherò subito ovviamente) in cui la tematica principale è la Divina Commedia. Utilizzando - o cercando di utilizzare - tutti e 51 i prompt dati, scriverò una flashfic per ogni prompt, con i personaggi delle opere Junjou Romantica e Sekai-Ichi Hatsukoi.
E' un pò un suicidio... ^^; Speriamo bene! *incrocia le dita*

Si parte con Sekai-Ichi.

Disclaimer: mi appartiene solo quello che scrivo.

Ja ne,
Temari


A Walk Thought the Underworld

§ Le Tre Cantiche §



 

 
Cantica dell'Inferno


- Accidia -


[Apatia - 461 parole]


        Qualcosa non andava con il suo bambino.
        Ne era certa.
        Le ci era voluto un po' per accorgersene, sebbene potesse sembrare insensibie da parte sua realizzarlo solo adesso, perché, sì, Ritsu era in quello stato da più di qualche giorno... e lei non ci aveva dato molto peso, all'inizio - fra la ricerca di una nuova casa, le pratiche di vendita di quella precedente, i documenti per il ritiro da scuola di Ritsu, l'impacchettare le loro cose, il trasloco e l'ambientarsi in un altro paese... beh, la sua attenzione si era focalizzata altrove.
        Ma ora che le acque si erano calmate, Kaori aveva notato il cambiamento nel suo bambino (anche se ormai aveva quindici anni, sarebbe sempre rimasto tale) e non aveva potuto fare altro che preoccuparsi. Non aveva mai visto Ritsu così distante, con lo sguardo perso nel vuoto, ignorando tutto e tutti.
        Apatico.
        Era una parola che non si addiceva per nulla ad un ragazzo tanto gentile e sensibile... vederlo così le spezzava il cuore, anche se non sapeva quale fosse il motivo di quell'improvviso rinchiudersi in se stesso; probabilmente aveva nostalgia del Giappone, della casa in cui era cresciuto, era più che comprensibile... eppure Kaori non era convinta che fosse quella la ragione.
        ... Gli mancavano i suoi amici? Anche quella era una possibilità, ma da che ne sapeva, si erano scambiati gli indirizzi di posta elettronica, quindi non aveva problemi per contattarli - certo, non era come vederli di persona ma era meglio di nulla...
        Allora cosa? Cosa aveva un tale potere sulla psiche di Ritsu...?

       
Kaori improvvisamente era arrivata ad una conclusione che finalmente sembrava spiegare tutto: non si trattava di qualcosa, ma di chi!
        Il suo bambino aveva nostalgia di qualcuno, una persona speciale. Una persona a cui teneva più delle altre, talmente tanto che il non averla più vicino gli provocava un dolore tanto forte che la sua mente, d'istinto, l'aveva trasformato in apatia.
        Per non soffrire tanto da spezzarsi il cuore...
        Improvvisamente, sentiva l'irrefrenabile desiderio di stringere il suo piccolo Ritsu in un abbraccio, stringerlo a sé e dirgli che sarebbe andato tutto bene, che poteva lasciarsi andare perché vederlo così distante dal mondo le faceva male...
        Il suo bambino, che aveva compiuto un doloroso passo verso l'essere adulto.








Nota: Il nome della madre di Ritsu è ovviamente inventato ^^

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Capitolo 2
*** Inferno; Accidia; Insofferenza [T. Shinobu] ***


Salve a tutti! =D
Non ho molto da dire a riguardo di questo capitolo, solo che si passa a Junjou... per la precisione alla coppia Terrorist - prima volta che ci scrivo, quindi... ^^;

Ja ne,
Temari


A Walk Through the Underworld

§ Le Tre Cantiche §





Cantica dell'Inferno


 

- Accidia -
 

[Insofferenza - 501 parole]

        C'era un motivo se Risako e i suoi genitori avevano iniziato a chiamare Shinobu 'terrorista': era sempre stato il classico rompiscatole (affettuosamente parlando), un bambino che ti toglieva ogni briciolo di forza fisica e mentale con le sue continue ed insistenti richieste. Il fatto che Risako fosse di almeno dieci anni più grande e che i loro genitori non fossero più così giovani, quando era nato Shinobu, aveva con molta probabilità contribuito a che il ragazzino diventasse viziato e dittatoriale.
        Prima con loro, poi con il resto dei suoi parenti ed infine, con il resto del mondo.
        Un vero e proprio terrorista.
        Con un'ottima memoria e quindi con un'ottima (o spaventosa, a seconda di che ruolo si giocava) capacità di provare risentimento verso chi gli negava qualcosa.
        Inoltre, Shinobu non stava mai fermo, aveva energia da vendere - che sfruttava negli sport quali la corsa e il nuoto, nei quali era piuttosto portato - ed una parlantina sciolta, sebbene tagliente... eppure, anche se andava perfettamente bene a scuola, aveva sempre quell'espressione contratta e corrucciata di chi proprio non voleva essere dov'era—era profondamente insofferente, quasi a disagio a volte sembrava sul punto di iniziare a correre senza intenzione di fermarsi, solo perché voleva andarsene per un po'.
        Quella era stata la ragione per cui suo padre aveva deciso di lasciare che Shinobu andasse a studiare per qualche anno in Australia... credeva che passare del tempo lontano da casa, libero dagli occhi forse troppo vigili della famiglia, avrebbe placato quell'inquietudine.
        Ed in un certo senso aveva funzionato: durante quei tre anni, Shinobu era stato in grado di dimenticare
—le responsabilità dell'essere figlio del direttore del dipartimento letteratura dell'università Mitsuhashi, sua sorella che spesso (troppo spesso) lo prendeva spudoratamente in giro sfuttando il divario di età che li separava... era stato in grado di dimenticare per un po' persino il marito di sua sorella... quello per cui aveva preso un'enorme cotta ma che sapeva non sarebbe mai approdata a nulla.

        Per tre anni (anzi due anni, dieci mesi e venticinque giorni), Shinobu aveva scordato cosa volesse dire essere insofferente, cosa significasse desiderare di essere altrove più di qualsiasi altra cosa
—questo finché, poco prima del suo ritorno in Giappone, Risako durante una telefonata gli aveva riferito (senza nemmeno troppa tristezza) che lei e suo marito avevano divorziato per incompatibilità di carattere.
        Da quel momento, il 'terrorista' non aveva smesso un attimo di controllare spasmodicamente ogni calendario ed ogni orologio che gli capitava sott'occhio, pianificando nei meandri della sua mente dittatoriale di intrappolare Miyagi Yoh appena possibile e costringerlo ad accettare i suoi sentimenti e Shinobu stesso.
        Con le buone o con le cattive.


 

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Capitolo 3
*** Inferno; Accidia; Alienazione [U. Akihiko] ***


Salve a tutti! =D
Allora, finalmente ho deciso quale sarà il prompt che userò per il contest da cui questa raccolta prende spunto, quindi gli altri posso andare avanti a scriverli e postarli senza problemi.
Con questa flash termina la trilogia dell'accidia ^^

Ja ne,
Temari


A Walk Through the Underworld

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Cantica dell'Inferno


 

- Accidia -
 

[Alienazione - 431 parole]

        Alcuni pensavano che fosse un fatto incredibile, quello di essere cresciuto all'estero. Fantastico, addirittura.
        In verità chi la pensava così era piuttosto sciocco, secondo Usami Akihiko... era un pensiero da ingenui, da persone che non si soffermano a ragionare su cosa possa significare veramente—lui non era nato in Giappone (bensì in America), ma i suoi genitori avevano detto che era giapponese... eppure per i primi dieci anni della sua vita ha vissuto in Gran Bretagna, un paese che si trovava dall'altra parte del mondo; un paese dove tutti lo etichettavano sempre come 'il ragazzino con gli occhi a mandorla' o 'il piccolo samurai', nonostante la sua padronanza di quella lingua straniera fosse al pari di quella di qualsiasi altro bambino inglese (se non addirittura superiore).
        Quel paese ad Akihiko piaceva—anche se pioveva spesso, anche se il cielo era spesso coperto di nuvole grigie, anche se i suoi amici e compagni di classe lo prendevano in giro, anche se sapeva di distinguersi da tutti gli altri.
        Perché quella era l'unica casa che aveva conosciuto.

        Tornare in Giappone, dopo dieci anni all'estero, era stato come trasferirsi per la prima volta: per lui era la prima volta... si era sentito come se gli avessero strappato le radici e l'avessero trapiantato in un vaso troppo piccolo... i primi giorni era stato come soffocare continuamente.
        Akihiko, poi, aveva imparato il giapponese, la sua lingua madre, in modo completamente diverso dagli altri suoi coetanei - aveva avuto un'insegnante privato di madrelingua inglese, che aveva studiato e vissuto in Giappone, ma il modo in cui gli aveva insegnato aveva avuto uno stampo anglosassone che poco si addiceva ad una lingua come quella che doveva imparare... inoltre l'unica persona con cui poteva fare pratica era stato Tanaka e senza la possibilità di parlare con altri, non era stato facile...
        Probabilmente era anche per quello che spesso i suoi compagni di classe, in Giappone, lo fissavano in modo strano, come se a parlare non fosse un loro connazionale ma uno di quegli 'stranieri' e quindi, più di una volta, lo avevano lasciato in disparte.
        In fin dei conti - prima che incontrasse Hiroki - si era sentito come un pesce fuor d'acqua. Un alieno.
        Né inglese, né giapponese.
        Solo un ragazzino di origini giapponesi ma con modi occidentali.

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Capitolo 4
*** Inferno; Lussuria; Prostituzione [M. Yoh] ***


Salve gente! =D
E' passato un po' ma ho avuto da fare con vari contest... comunque finalmente mi sono messa ed ecco qui il nuovo capitolo della raccolta!
A voi! ^^

Ja ne,
Temari



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§ Le Tre Cantiche §





Cantica dell'Inferno
 

- Lussuria -

[Prostituzione - 692 parole]

        Miyagi Yoh era pentito.
        Per la terza volta in meno di dieci minuti, un profondo sospiro gli sfuggì dalle labbra - fortunatamente Kamijou era impegnato con le sue lezioni al momento, quindi nessuno poteva tirargli addosso libri o un qualsiasi altro oggetto contundente imponendogli di fare silenzio... certo, era anche vero che essendo da solo, Miyagi non poteva scaricare il suo lavoro al suo giovane assistente...
        Sospirò di nuovo.
        Chi gliel'aveva fatto fare, di dare quel compito per casa ai suoi studenti? Ah, già... Kamijou.
        Bevendo un sorso di caffè dalla tazza che aveva sulla scrivania, tirò a sé l'ennesimo foglio dell'ennesimo studente - non si prese nemmeno la briga di leggerne il nome - e si mise a leggere senza il benché minimo interesse lo svolgimento sul tema che aveva proposto: 'La vita reale e l'ispirazione che ne trae lo scrittore.'

        " Se si trattasse solo di 'ispirazione', non ci sarebbe alcun problema no? Dopotutto, non può capitare a chiunque di trovare qualcosa particolarmente illuminante che ci fa pensare "Ah, potrei fare anche io una cosa simile"... questo qualcosa può variare da persona a persona: un'immagine, una frase, un libro, un colore, un modo di condurre la propria vita.
        In genere trovo che chi ha la capacità di instillare un'idea o, in questo caso, di fornire ispirazione ad un completo sconosciuto meriti rispetto. Che uno scrittore riesca a trovare degli spunti per il proprio lavoro osservando i comuni esseri umani, trovo sia un fatto già di per sé meraviglioso—è come se queste persone, che hanno il dono di creare mondi fantastici con il solo uso delle parole, ci dicessero che noi tutti siamo speciali, ognuno a modo nostro.
        In breve, trovo che sia molto positivo.
        Non è però un pensiero che vale in assoluto, soprattutto per quanto mi riguarda...
No... perché gli scrittori che si permettono di rubare l'identità e il nome di persone che conoscono con la scusa dell'ispirazione, trasformandole in qualcosa che non ha nulla del loro carattere originale, facendo fare a queste povere anime tutto ciò che questi scrittori vogliono.... beh, lo trovo deprecabile! Non si tratta di semplice ispirazione! Si tratta di furto dell'identità e, soprattutto, si tratta di prostituzione vera e propria!!
        Questi scrittori di infima fibra morale che sfruttano in certe maniere i poveri nomi di persone innocenti (e ribadisco, persone a loro ben note, persone che addirittura vivono con loro!!) nel modo che a loro più aggrada...!!! Mi fa infuriare!! E ancora di più quando scrittori egoisti hanno la sfacciataggine di usare come scusa al loro comportamento deprecabile frasi come "Lo faccio perché è il mio hobby, mi permette di dar libero sfogo alle mie fantasie e perché ne ho voglia"...!!
        Non li sopporto, non li sopporto proprio!!
        Maledetti ladri, maledetti, prostituiscono a quel modo le povere identità di persone comunissime e non importa loro nulla dei traumi che creano nella psiche delle loro vittime!!!!!!! "

        Miyagi finì di leggere, notando vagamente in un angolo della mente che la calligrafia nella seconda parte del componimento era piuttosto angolosa - segno che chi aveva scritto era frustrato o furioso per qualche motivo -, ma gli ci volle  qualche secondo affinché le parole che gli erano scorse sotto gli occhi prendessero un senso compiuto.
        "Hahahahah!!!!!" scoppiò a ridere rancorosamente, rischiando perfino di rovesciare la sedia su cui era seduto, prima di leggere il nome dello studente che aveva consegnato quel compito: Takahashi Misaki. "Questo ragazzo è un genio, hahah!!" commentò, prendendo poi in mano la penna rossa e scrivendo un bel 100 nell'angolo in alto a destra del foglio. "Questo è per l'originalità, Takahashi-kun!"




 



Nota: Sì, Miyagi qui è il professore di Letteratura di Misaki - anche nell'anime, nel secondo episodio, si vede Miyagi alla cattedra ^^

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Capitolo 5
*** Inferno; Lussuria; Passione [H. Yoshiyuki] ***


Salve a tutti! =D
Dopo un piccolo periodo di pausa, sono qui con il prossimo capitolo di questa raccolta mista.
Ho dovuto pensare per un po' a che personaggi/o utilizzare perché ero piuttosto indecisa... alla fine ho detto "Vada per Hatori!" :3

Nota: il tutto accade prima che Tori si confessi a Chiaki.

Ja ne,
Temari


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§ Le Tre Cantiche §


Cantica dell'Inferno
 

 [Passione - 493 parole]

        Si conoscevano da quando erano bambini, lui e Yoshino.
        Ancora si ricordava la prima volta in cui gli aveva rivolto la parola—era stato facile ingraziarsi quel ragazzino ingenuo: era bastato piazzarglisi davanti mentre scarabbocchiava su un foglio e dirgli "Mi piace il tuo disegno.", nemmeno con un tono troppo amichevole a dirla tutta, e Yoshino lo aveva accecato con un sorriso enorme mentre un rossore imbarazzato gli aveva ricoperto il viso.
        Era stato un po' un colpo di fulmine, per quanto lui non credesse a certe cose e, comunque a quel tempo, non ci sarebbe stato modo per capire. Erano troppo piccoli.
        Un'amicizia con Yoshino era piuttosto complicata da portare avanti perché, per quanto fosse un ragazzino con cui era facile andare d'accordo, richiedeva anche molte attenzioni... non che Chiaki lo facesse apposta, ma Hatori si trovava inevitabilmente a doversi prendere cura di quel ragazzino impacciato la cui unica virtù degna di nota era disegnare—a Yoshino piaceva viaggiare con la fantasia e tutto quello che immaginava, lo metteva su carta.

        A volte lavorava per giorni interi ad un solo disegno, non lo metteva da parte prima che fosse perfetto - ogni tratto, ogni personaggio, ogni colore al posto giusto - e Hatori in cuor suo ammirava la dedizione e la passione che il suo amico d'infanzia metteva in ogni pagina che produceva (prima per hobby, poi come lavoro vero e proprio) e, in un certo senso, invidiava quelle stesse pagine che troppe volte lo privavano delle attenzioni del ragazzo - dell'uomo - che amava.

        Quella sensazione di lontananza che qualche volta lo sopraffaceva quando non vedeva Chiaki per giorni interi - anche settimane intere perché, pur se avrebbe preferito farne a meno, non era l'editore esclusivo di Yoshikawa Chiharu: aveva altri mangaka di cui occuparsi - spariva magicamente quando finalmente andava in quell'appartamento e lo vedeva chino sulla scrivania con il pennino in mano ed un'espressione di assoluta concentrazione sul volto...
        Le occhiaie, i vestiti stropicciati, le mani ricoperte di cerotti, le macchie nere sul naso dove aveva passato le dita sporche di inchiostro, le sopracciglia corrugate, i capelli da lavare che gli ricadevano sugl'occhi—ogni piccolo dettaglio dell'aspetto di Chiaki rifletteva l'impegno e le energie che investiva nel fare ciò che amava di più, e poterlo osservare da così vicino era di per sé un miracolo per cui ringraziava il cielo ogni giorno.
        La passione di Yoshino era la sua passione.
        In fondo, se Hatori aveva deciso di fare l'editore di manga, era stato solo per rimanere al fianco del suo primo e unico amore—anche se doveva condividere lo spazio nel cuore di Chiaki con i manga.

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Capitolo 6
*** Inferno; Lussuria; Contatto Fisico [Y. Takafumi] ***


Salve a tutti! =D
E' passato un po' dall'ultimo aggiornamento di questa raccolta ^^; Beh, ora sono qui!
Qui si parla di un personaggio col ruolo da 'cattivo' perché anche loro hanno un ruolo - prima volta che scrivo su Yokozawa, eh!

p.s. Finito con il gruppo della 'Lussuria'!! ^w^

Ja ne,
Temari


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Cantica dell'Inferno

 

[Contatto Fisico - 426 parole]

        Era sempre stato amore? O era nata prima l'amicizia...?
        A dire la verità, nessuno dei due. Era stata la pura e semplice attrazione fisica a spingerlo ad avvicinarsi: le spalle larghe, i capelli scompigliati, gli occhi che celavano profondo disagio e confusione, l'aura carismatica che si nascondeva sotto la superficie di un bagaglio emotivo un po' troppo pesante... tutto di Masamune aveva contribuito a catturare il suo sguardo fin da subito.

        Aveva deciso il momento stesso in cui i suoi occhi avevano incontrato quelli dell'altro che l'avrebbe avuto.
        E' così, la sua amicizia - inizialmente - aveva avuto doppi fini.
        Non ci volle molto, però, affinché l'attrazione fisica si trasformasse in qualcosa di più... benché nessuno dei due fosse molto affettuoso con gli altri o si prestasse ad entrare in contatto fisico con altre persone (tramite strette di mano o gesti casuali di altro tipo), Takafumi aveva iniziato a bramare intensamente ogni minimo tocco delle mani di Masamune e soprattutto, voleva quelle carezze solo per sé. Non sopportava di vedere la persona che aveva iniziato ad amare - sì, amare... proprio lui - andarsene e sparire dietro la porta del suo appartamento con qualcuno diverso ogni sera.
        Non quando tutto ciò che desiderava era essere lui stesso a confortare Masamune.
        Non quando desiderava essere lui il suo conforto.
        Fu per quel suo desiderio che, una volta presentatasi l'occasione, Takafumi stesso aveva deciso di fare il primo passo
—sfilare la camicia dalle spalle dell'altro, baciare la pelle chiara del torso sotto di lui, slacciare la cintura e sbottonare i jeans di Masamune, infilare la mano sotto la stoffa dei boxer e dargli piacere.
        Fu per quel suo irresistibile bisogno di sentirlo suo che, contrariamente alla sua natura, aveva lasciato all'altro il controllo, limitandosi a ricambiare quelle labbra aggressive e quasi violente nel modo in cui lo baciavano senza dargli tregua e gli rompevano i capillari lungo il collo, facendo sbocciare macchie violacee senza battere ciglio; limitandosi a godere appieno del tocco ruvido e disperato delle mani di Masamune che bruciavano la sua pelle al loro passaggio; limitandosi ad immagazzinare in un angolo della mente la sensazione di Masamune che si muoveva sopra e dentro di lui, il sapore della sua bocca impregnata di tabacco e alcool, l'odore pungente del suo corpo.

        Fu per quella sua brama che, anni dopo, si ritrovò ad osservare Masamune scompigliare gentilmente i capelli castani di Onodera con un sorriso, un peso grande quanto un macigno al posto del cuore mentre si rendeva ancora una volta conto che in verità lui non aveva mai avuto il vero Masamune.
        Era sempre stato di un altro.


 

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Capitolo 7
*** Inferno; Gola; Appagamento [T. Misaki] ***


Salve a tutti! =D
Si inizia la tripletta della 'Gola'!


Ja ne,
Temari


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§ Le Tre Cantiche §



Cantica dell'Inferno

 

- Gola -

[Appagamento - 952 parole]

        Ultimamente Misaki aveva iniziato a pensare che, oltre ad occuparsi delle faccende di casa (quelle che poteva fare alla sua età, per lo meno, per via della sua altezza e forza fisica) sarebbe forse stato il caso di rendersi più utile; dopotutto, ora che erano solo lui e suo fratello non potevano fare altro che contare l'uno sull'altro e il ragazzino si sentiva in colpa nel vedere quanto impegno Takahiro ci mettesse per portare avanti tutto da solo - tra il lavoro, la loro contabilità, l'assicurarsi che il suo adorato fratellino non avesse problemi scolastici, le restanti faccende e il cucinare... beh, Misaki non poteva che rimproverarsi per il fatto che non faceva altro che causare problemi e non essere poi così utile.
        Per ciò Misaki aveva deciso di sollevare suo fratello dall'obbligo di cucinare.
        Un po' alla volta, aveva iniziato a fare pratica
in un primo momento lo aveva fatto in segreto, mentre suo fratello era a lavoro o la sera dopo che Takahiro se n'era andato a dormire, perché sapeva che altrimenti l'altro glielo avrebbe proibito: troppo pericoloso per un bambino di otto anni, con il rischio che si ferisse con i coltelli o che si scottasse o che mandasse a fuoco l'appartamento (Misaki si era dato dello stupido per aver pensato una cosa simile - non era così incapace da rischiare davvero di incendiare casa!).
        Ed in ogni caso, qualcosa era già in grado di fare: gli onigiri.

        Dopo diversi tentativi, finalmente Misaki era deciso a fare il suo debutto come cuoco della residenza Takahashi!
        Era venerdì, e ciò significava che sicuramente Takahiro sarebbe arrivato a casa portando con sé del ramen da asporto, come era loro consuetudine. Quella sera però, avrebbe servito il suo primo tentativo di pietanza fatta con le sue mani
—Agedashi tōfu. Era un tantino nervoso, ad essere onesti... sperava che fosse buono e che piacesse a suo fratello, ci teneva davvero.
        Così una volta tornato a casa da scuola, il ragazzino se n'era andato al supermercato vicino casa con il foglio con gli ingredienti da comprare: 
tōfu, katakuriko, olio da frittura, daikon, salsa di soia, erba cipollina e brodo per tagliolini. Finita la spesa, si era affrettato a rincasare e a mettersi ai fornelli.
        La prima cosa da fare (secondo la ricetta che aveva trovato) era scolare il
tōfu, così Misaki diligentemente aveva messo il panetto su un piano inclinato e l'aveva lasciato lì per qualche minuto, avvolgendolo poi in carta assorbente e lasciandolo riposare per quindici minuti; poi aveva preso il coltello e, facendo molta attenzione, aveva tagliato il tōfu a cubetti e, dopo aver messo la katakuriko in un piatto, ci aveva passato i cubetti sopra in modo che fossero ben ricoperti.
        "Fin qui, nessun problema..." aveva pensato Misaki, passandosi il dorso della mano sulla fronte. "... Se nii-chan sapesse che sto per friggere qualcosa, gli prenderebbe un colpo, a-haha..." per sentendosi un po' in colpa nel fare tutto di nascosto, lo studente delle elementari aveva messo da parte l'insicurezza ed aveva proceduto con la parte più delicata.
        Prendendo il wok (e ringraziando che tutte le pentole e padelle fossero alla sua 'altezza'), l'aveva messo sui fornelli - dopo essere salito sullo sgabello appositamente posizionato - e ci aveva versato l'olio, accendendo il fuoco ed aspettando che andasse in temperatura. Aveva poi iniziato a friggere il
tōfu, immergendo i cubetti impanati uno alla volta senza girarli troppo ed aspettando che fossero di un bel dorato, tirandoli poi fuori con un mestolo forato e depositandoli su della carta assorbente; nel frattempo che il tōfu fritto si raffreddava, Misaki aveva grattugiato il daikon e l'aveva mescolato ad un po' di salsa di soia, tagliando poi l'erba cipollina a parte.
        Infine aveva messo tutto su un piatto, unendo al
tōfu il daikon e l'erba cipollina e versandoci sopra del brodo caldo.

        Misaki aveva appena finito di preparare la tavola, quando la porta d'ingresso si era chiusa e la voce di Takahiro si era fatta sentire, "Misaki! Sono a casa... prova ad indovinare che c'è per cena?" aveva detto. Misaki aveva sollevato gli occhi al soffitto perché ogni settimana suo fratello diceva sempre la stessa cosa.
        "Bentornato, nii-chan." aveva risposto comunque il ragazzino, "Non saprei... ramen?"
        "Esatto!! Come hai fatto ad indovinare?" aveva chiesto Takahiro, sorpreso.
        "Forse perché ogni volta è così...?" aveva pensato Misaki, sarcastico, ma aveva finto ignoranza ugualmente. "Fortuna?"
        Takahiro non aveva ribattuto, ma era entrato in sala da pranzo con le ciotole da asporto (si era già tolto la giacca all'entrata) e la prima cosa che aveva notato era stato il disastro
in cucina: sembrava che fosse passato un reggimento. "Misaki?" aveva chiesto, incerto sul come reagire.
        Gettando un'occhiata nella stessa direzione, Misaki si era passato una mano dietro la nuca con una risata nervosa ed aveva risposto, "Uhm... ecco, ho provato a cucinare... mi sembrava ingiusto che dovessi fare tu anche quello, nii-chan, così..." aveva concluso, lasciando in sospeso la frase, "Ah! Ma poi pulisco, non preoccuparti! Oh! Sono stato attento e non mi sono fatto male né altro!" si era affrettato a dire per rassicurare suo fratello.
        Poi era andato a prendere il piatto con il
tōfu fritto e l'aveva porto a Takahiro, "Vuoi assaggiarlo?" aveva chiesto insicuro.
        "... Certo." aveva risposto il più grande, con un sorriso, decidendo di lasciare da parte le preoccupazioni, per il momento. Aveva preso un cubetto con le mani e l'aveva messo in bocca, masticando attentamente per un minuto e poi, "Mh! E' davvero buono, Misaki! Bravo! Come primo esperimento è riuscito piuttosto bene, hai del talento...!" aveva detto, anche se in verità era un po' insipido.
        Misaki - contento e fiero di se stesso - aveva sfoderato un sorriso da mille watt, accecando Takahiro
il suo impegno era stato ripagato, ora non doveva più sentirsi in colpa: avrebbe imparato a cucinare meglio di uno chef!!



 



Note: Per la ricetta, Agedashi Tōfu.

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Capitolo 8
*** Inferno; Gola; Problemi di Peso [O. Ritsu] ***


Salve a tutti! =D
Anche se sono presa a leggere '
Inheritance', ho voluto approfittare subito dell'idea che mi è venuta per questo capitolo invece di rimandare col rischio di dimenticarmene - cosa già successa parecchie volte...
Qui c'erano veramente tanti candidati tra cui scegliere e non è stato facile.

Ja ne,
Temari

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Cantica dell'Inferno




[Problemi di Peso - 779 parole]

        Posando sulla scrivania la penna rossa e il 'name' che stava correggendo, Ritsu si stiracchiò sbadigliando, senza prendersi la briga di mettere una mano davanti alla bocca, e decidendo che aveva bisogno di una piccola pausa, si alzò dalla sedia e si diresse verso gli ascensori per scendere al piano terra dove l'area ristoro era più fornita e comoda rispetto a quelle disposte negli altri piani—il che era dovuto al fatto che una parte della hall dell'edificio era adibita ad area meeting.
        Mentre camminava, Ritsu notò con sommo disappunto che i pantaloni gli cadevano e per l'ennesima volta si rimproverò mentalmente per aver dimenticato di mettere la cintura, che da qualche tempo a quella parte era diventata molto più di un semplice accessorio (al contrario di come era sempre stata prima): aveva il compito di impedirgli di ritrovarsi in situazioni imbarazzanti, quali alzarsi in piedi e scoprire che avrebbe potuto sfilare i pantaloni senza nemmeno sfiorare i bottoni...
        Con un gesto di stizza, l'editore infilò un dito nel passante per la cintura e tirò in alto, lasciando lì la mano per evitare che succedesse di nuovo.
        Finalmente davanti al distributore automatico di vivande, si frugò in tasca e ne tirò fuori spicci a sufficienza per prendere appena un caffè in lattina. Sospirando, Ritsu infilò il denaro e premette il pulsante per la bevanda, "Niente snack nemmeno stavolta, a quanto pare, hah..." pensò andandosi a sedere ad un tavolino dell'area ristoro completamente vuota.
        Dopo non più di un minuto di tranquilla riflessione Ritsu si accorse che qualcuno si era seduto di fronte a lui, allo stesso tavolo nonostante i molti posti liberi, e che questa persona - una donna dai capelli castani che le superavano le spalle, occhi nocciola e labbra dipinte di rosso - lo stava fissando con uno sguardo che era a metà fra la compassione e la comprensione.
        "Lasciami indovinare... sei un editore di manga, vero?" fece la donna con un tono che lasciava intendere come più che una domanda vera e propria fosse un'affermazione posta per sembrare altrimenti. Pur incerto su come comportarsi con quella persona, che per i suoi gusti si stava prendendo un po' troppa confidenza, Ritsu annuì impercettibilmente e la donna distese le labbra in un sorriso, "E' piuttosto evidente, sai." commentò squadrandolo nuovamente, poi spinse appena verso di lui la scatola di una pasticceria che Ritsu non si era accorto di avere davanti, dicendo solo, "Avanti, prendine uno
—i bigné della Pasticceria Kumaya sono i migliori dei dintorni e tu sembri averne bisogno."
        Pur tentando di resistere, quando la donna seduta di fronte a lui alzò il coperchio della scatola, la vista di quel ben di Dio gli fece venire l'acquolina in bocca e suo malgrado la mano si mosse da sola. "Uh, grazie. Ma lei sarebbe...?" chiese Ritsu, mordendo il bigné e constatando che effettivamente era davvero buono.
        "Ah, non mi sono presentata vero?" disse la donna con una risata prima di continuare, "Sono Aikawa Eri, piacere."
        Ritsu annuì e finì di masticare il boccone, "Onodera Ritsu, piacere mio." rispose, "Per caso anche lei è un'editrice, Aikawa-san?" al cenno di assenso che ricevette, il venticinquenne aggrottò le sopracciglia e diede voce ai suoi dubbi, "Non lavora al quarto piano, vero? Non mi pare di averla mai vista..." disse, iniziando a temere che facesse parte della Sapphire.
        "No, no, sono al secondo piano
—al dipartimento letteratura." rispose Aikawa-san agitando una mano, prima di proseguire con un tono decisamente più cupo, "... Anche se il ritmo a cui sono costretta a sgobbare potrebbe far impallidire anche voi pivelli della sezione manga..."
        A quell'affermazione Ritsu poté quasi avvertire il colore sparire dal suo viso, seguito da un brivido di paura non appena vide lo strano luccichio negli occhi nocciola della donna seduta di fronte a lui. "... P-perché...?"
        "Dì un po', Onodera-kun, quanti chili hai perso da quando hai iniziato questo lavoro?" chiese Aikawa-san senza rispondere alla domanda che le aveva posto.
        Con voce esitante, Ritsu rispose, "Uhm... quattro? Cinque?" e trasalì di colpo quando la donna scoppiò a ridere. Era una risata priva di divertimento e con un pizzico di crudeltà al suo interno.
        "Pivello!... In dieci anni che faccio l'editrice in questa compagnia, ho perso più di venticinque chili, in totale!!" Aikawa-san rise di nuovo, "Devi lavorare sulla resistenza, Onodera-kun, o non sopravviverai nemmeno sei mesi, haha!!" disse, un tantino acida e sprezzante, alzandosi poi in piedi e allontanandosi da Ritsu.
        L'editore fissò la donna con occhi spalancati, "E' davvero una cosa di cui vantarsi o su cui fare a gara?!" si chiese, prendendo un altro bigné dalla scatola che era rimasta sul tavolo, "Questo posto è pieno di pazzi!" decise, scuotendo la testa, raccogliendo il resto dei dolci e dirigendosi verso l'ascensore per tornare a lavoro. 


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Capitolo 9
*** Inferno; Gola; Appetito [K. Hiroki] ***


Salve a tutti! =D
E' passato quasi un mese dall'ultimo aggiornamento... ma ho dovuto pensare parecchio a come affrontare l'argomento e a chi scegliere come protagonista, dato che andava bene più o meno chiunque... ^^
Con questo si conclude il terzetto della Gola!

Ja ne,
Temari


A Walk Through the Underworld

§ Le Tre Cantiche §



Cantica dell'Inferno

 

 [Appetito - 574 parole]

        L'ultima lezione della mattinata si era finalmente conclusa e con essa, era giunta la tanto attesa pausa pranzo.
        Arrivato davanti al suo ufficio, Hiroki si piegò appena di lato - attento a non far cadere la pila di libri e fogli che aveva fra le braccia - per poter usare il gomito e spingere in giù la maniglia della porta; una volta dentro, se la richiuse alla spalle col piede, si diresse verso la sua scrivania e appoggiò il suo carico con un tonfo sordo ed un sospiro di sollievo.
        Gettandosi di peso sul divano da due posti vicino all'altra scrivania, approfittò della calma per sgranchirsi la schiena e passare distrattamente una mano lungo la zona lombare, che ancora gli dava un poco fastidio: Nowaki non c'era certo andato giù leggero la sera prima... Certo, lui non si era lamentato ma, beh, nella foga del momento... Con una smorfia di disapprovazione rivolta a se stesso, Hiroki non poté fare a meno di biasimarsi—se l'era cercata.
        Solo allora si accorse che Miyagi non era in ufficio. Se fosse stato presente, infatti, il professore più vecchio non avrebbe mancato di fare uno dei suoi soliti commenti immaturi e degni di una denuncia per molestie sessuali.
        Scrollando le spalle consapevole che comunque sarebbe arrivato nel giro di qualche minuto, Hiroki allungò il braccio sinistro dal suo posto sul divano fino ad agguantare la sua ventiquattr'ore, posandosela sulle ginocchia ed aprendola per tirare fuori il bento preparato da Nowaki quella mattina. Facendo scivolare la valigetta a terra, tolse il coperchio dalla scatola ovale verde smeraldo e da lì staccò le bacchette dal loro posto nella  parte interna.
        A quanto pareva Nowaki gli aveva preparato del curry di wurstel e verdure e del riso con uova strapazzate e prezzemolo. Lo stomaco di Hiroki brontolò dalla fame, mentre il suddetto trentenne fissava il bento le sopracciglia aggrottate, "Idiota." commentò continuando a guardare il 'ti amo' scritto con il prezzemolo in cima al riso con un tic all'occhio destro. Con un lungo sospiro, alla fine il professore prese a mangiare il suo pranzo tentando di ignorare il leggero rossore che suo malgrado gli era sbocciato sul viso.

        La porta dell'ufficio si aprì poco dopo e Miyagi entrò barcollando verso la sua scrivania, gettandosi sulla sedia e spegnendo la sigaretta ormai finita nel posacenere.
        "Cibo..." Mugugnò allungando una mano per prendere
a sua volta il bento portato da casa; il professore si lasciò sfuggire un gemito di rassegnazione alla vista della scatola stracolma del cavolo in gran parte bruciato cucinato da quel suo ragazzino. Hiroki non lo invidiava per nulla, ma non aveva certo intenzione di dimostrare pietà verso quell'uomo che lo tormentava ogni santo giorno—il karma aveva modi contorti di agire.
        "Kamijou..." Arrivò la voce supplichevole di Miyagi, che lo guardava con occhi che chiedevano compassione, "Che ne dici di dividere il pranzo con il tuo povero superiore?" chiese avvicinandosi con la sedia a rotelle e allungando le bacchette verso il bento del più giovane, che però si allontanò senza cambiare espressione e continuando a mangiare.
        "Scordatelo. Hai il tuo, mangia quello." Fu la gelida risposta che ricevette.
        "Non credo di riuscire ad ingoiare altro cavolo per questa settimana..."
        "Non vedo come siano affari miei, Professore." Detto ciò, Hiroki finì il riso con le uova in due bocconi e ripose il bento nella valigetta, soddisfatto e finalmente sazio, "Buon pranzo, Miyagi." concluse alzandosi, prendendo i fogli da sopra la pila di libri sulla scrivania ed uscendo dall'ufficio per la prima lezione pomeridiana.




 



Nota: per le ricette nel bento di Hiroki, se vi interessa. ^^

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Capitolo 10
*** Inferno; Avarizia; Guadagno [I. Ryuuichirou] ***


Salve a tutti! =D
Rieccomi con questa raccolta. Questo capitolo è piuttosto corto, ma dato che ce ne sono stati di piuttosto lunghi, direi che bilancia il fatto che dovrebbero essere flash, haha!!
Ditemi se secondo voi sono rimasta IC perché è la prima volta che scrivo di Isaka... ^^;

Note: inizia il terzetto dell'Avarizia!

Ja ne,
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A Walk Through the Underworld
§ Le Tre Cantiche §



Cantica dell'Inferno

 

- Avarizia -

 
[Guadagno - 282 parole]
 
        Abbandonare il suo utopistico sogno di fare lo scrittore di romanzi aveva comportato dover sopportare una buona dose di amarezza nel constatare ciò che gli mancava per far avverare il suo desiderio... Era stato un duro boccone da mandar giù, ma davanti al palese talento di Akihiko, non aveva potuto fare altro se non abbassare il capo - per una volta sconfitto su tutta la linea e ridotto all'umiltà - ed incassare il colpo.
        Al contempo, aveva raggiunto una decisione altrettanto importante: avrebbe accettato l'offerta di suo padre e sarebbe diventato il direttore generale della compagnia nel giro di un anno.
        Se c'era qualcosa in cui sapeva di essere uno dei migliori all'interno di tutta la Marukawa, questo era il suo fiuto per i nuovi talenti—non a caso tutti gli scrittori di cui aveva letto, editato ed approvato le opere erano diventati in breve tempo dei nomi famosi... E molte erano state persone alla loro prima pubblicazione, al contrario di quello che avevano pensato le malelingue che gli giravano intorno.
        Era un editore molto esigente e se una prima lettura di un manoscritto che gli capitava davanti non lo interessava o non ne vedeva il potenziale, lo scartava senza pensarci due volte.
        All'età di venticinque anni, Ryuuichirou guardava indietro di dodici mesi e la sensazione di amarezza per aver perso il sogno che aveva coltivato fin da adolescente era svanita quasi del tutto, al suo posto c'era la consapevolezza di aver guadagnato qualcosa che altrimenti non avrebbe mai avuto con una vita da scrittore: il diritto di far fare agli altri tutto ciò che voleva. 
        Aveva guadagnato il controllo su tutte le persone che lavoravano in quella compagnia.
        La sua compagnia.
        E non c'era nessuno che potesse contraddirlo.



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Capitolo 11
*** Inferno; Avarizia; Accortezza [K. Nowaki] ***


Salve a tutti! =D
Pensavate mi fossi dimenticata di questa raccolta?? Ebbene--sì, è vero. XD
In un certo senso. Per un po'.
Comunque, l'importante è che sia di nuovo qui! :3

Note: 13,600
¥= circa 100€
         24,500¥= circa 180€... lasciate perdere i conti fatti un tantino a cacchio, ok? ^^"

Ja ne,
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A Walk Through the Underworld
§ Le Tre Cantiche §

 
Cantica dell'Inferno


- Avarizia -

[Accortezza - 676 parole]
 
        A quasi diciassette anni, Nowaki era ormai abituato a vivere da solo in un monolocale.
        Da oltre un anno provvedeva a se stesso meglio di quanto la quasi totalità dei suoi coetanei potessero affermare. D'altro canto, era cresciuto in un orfanotrofio, ed essendo stato uno dei bambini più grandi aveva dovuto prendersi cura di molti dei più piccoli ed aiutare con le faccende dato che il personale dell'orfanotrofio era sempre stato insufficiente per badare a tutti.
 
        «Tremila, cinquemila, seimila, settemil—» Nowaki interruppe all'improvviso il conteggio quando si accorse, con sommo orrore, di non aver più banconote in mano. Rimase a fissare il misero mucchietto di denaro e, a man mano che i minuti passavano, poteva sentire il colore letteralmente sparire dal suo viso... Non aveva abbastanza per pagare l'affitto di quel mese.
        Come aveva fatto ad essere così poco attento?! Come aveva fatto a non accorgersi di essere a corto di soldi?
        Eppure era sicuro di non aver speso nemmeno cento yen che non fossero strettamente necessari! Segnava sempre scrupolosamente tutte le sue spese, perciò sapeva di non aver usato più della solita somma di denaro.
        Allora com'era possibile?
        Aveva il cuore che rischiava di esplodere al pensiero di dover lasciare l'appartamento; sapeva che non avrebbe mai trovato un altro posto in cui vivere per soli 13,600¥ al mese... Soprattutto, non avrebbe mai trovato qualcuno di altrettanto comprensivo da lasciare un sedicenne vivere da solo senza alcun garante. Momoko-san, la proprietaria, era stata tanto gentile da non chiedergli la stessa cifra degli altri residenti perché aveva capito la sua situazione e gli era venuta incontro. Ma Nowaki era cosciente di come andavano le cose nel mondo, normalmente: quella era stata un'eccezione, non certo la regola.
        Inspirando ed espirando un paio di volte, Nowaki cercò di calmarsi e ricomporsi. Voltandosi verso il futon piegato in un angolo della stanza, allungò il braccio fino a toccare un box in plastica basso e lo trascinò verso di sé, rovistando fra i contenuti fino a trovare l'agenda in cui segnava tutte le sue entrate ed uscite; andando indietro una pagina alla volta fino all'inizio del mese, gli occhi blu scuro scrutarono ogni riga ed ogni cifra— «Ah, trovato...!» Esclamò con tono tutt'altro che trionfale.
        Il primo giorno del mese aveva spedito 24,500¥ all'orfanotrofio, come sempre, solo che si era preso l'influenza subito dopo ed era dovuto rimanere a casa per una settimana intera... Saltando così il pagamento settimanale di tutti e sei i lavori part-time che aveva.
        «Kusama-kun...!» Nowaki fece un mezzo salto nel sentire la voce di Momoko-san interrompere il cupo filone dei suoi pensieri. Non voleva farsi vedere... Si vergognava troppo all'idea di dover dire alla donna di non poter pagare. «Kusama-kun, ci sei?»
        Sospirando pesantemente, si alzò dal tatami e attraversò la stanza in tre passi, facendosi coraggio ed aprendo la porta. «Momoko-san...»
        «Oh, allora sei in casa, Kusama-kun! Cominciavo a temere che fossi uscito per uno dei tuoi part-time.» Disse la donna, rivolgendogli un sorriso, «Ho cucinato del sukiyaki, ma mio figlio se n'è dovuto andare a lavoro all'improvviso e mangiarlo da sola è uno spreco, che ne dici? Ti va di unirti a me?» propose.
        Nowaki non riusciva a guardarla in viso e dovette resistere la tentazione di tormentarsi le mani dall'imbarazzo e dal nervosismo. «E-ecco... Momoko-san... Ho una cosa da dirle...» mormorò infine, preparandosi già al peggio. «Non credo che potrò... Pagare l'affitto di questo mese...»
        «È perché sei rimasto a casa per quella brutta influenza?» Chiese Momoko-san con uno sguardo preoccupato. Al cenno di assenso di Nowaki, la donna sospirò, «Non potevi farci nulla.» disse, posando una mano sulla spalla del ragazzo più alto di lei di almeno una spanna e mezza.
        «... Avrei fatto meglio ad andare a lavoro lo stesso.»
        «Non dire assurdità, Kusama-kun, avevi quaranta di febbre e riuscivi a stento a restare sveglio. Non saresti potuto andare da nessuna parte.» Lo rimproverò la donna con cipiglio severo. I due non dissero nulla per qualche tempo, poi Momoko-san sorrise nuovamente, «Allora, quel sukiyaki? Non vorrai che si freddi, no?»
        Accogliendo con gratitudine la mano che gli scompigliò i capelli, Nowaki annuì con un piccolo sorriso. «Mmh.»
 

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Capitolo 12
*** Inferno; Avarizia; Cinismo [K. Shouta] ***


Salve gente! =D
Beh, la scelta per il prompt per questo capitolo è stata immediata, e l'idea per la one-shot pure... in realtà la cosa mi è un po' sfuggita di mano, haha!!
Con questo, termina il gruppo dell' 'Avarizia'.

Note: Ventenne!Kisa; qualche parola 'volgare' e tematica non proprio 'leggera'--rating passato ad Arancione. ^^"
          50,000
¥= circa 368€

Ja ne,
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A Walk Through the Underworld
§ Le Tre Cantiche §

 
Cantica dell'Inferno


- Avarizia -

[Cinismo - 823 parole]
 
        Shouta si chiuse la porta del bagno alle spalle, curandosi bene di girare la chiave nella toppa, vi si appoggiò con tutto il suo peso e si passò una mano fra i capelli, togliendo le ciocche che gli erano ricadute sugli occhi; erano umide di sudore e disgustosamente appiccicaticce... Schioccando la lingua contro il palato con fare adirato, Shouta resistette all'impulso di tirare un calcio al water per sfogarsi: a piedi nudi non sarebbe stata una grande idea, ed avrebbe finito col danneggiare solo se stesso.
        "Maledetto vecchiaccio col shota-complex!" Imprecò mentalmente, affondando le unghie nella carne mentre stringeva i pugni e digrignava i denti, gli occhi ridotti a fessure. Espirando violentemente, si staccò dalla porta e si diresse verso la vasca da bagno, iniziando a far scorrere l'acqua. «Ugh...!» Una fitta di dolore si fece sentire di nuovo non appena si piegò in avanti per girare il rubinetto; portandosi una mano alla base della spina dorsale, represse per la seconda volta il desiderio di calciare qualcosa.
        «Dannato bastardo!» Imprecò fra i denti, «Gliela farò pagare cara—non solo si è spinto molto più in là di quello che avevamo pattuito, si è infilato dentro senza aspettare che mi preparassi ed ha osato venirmi in faccia!!», disse, urlando l'ultima parte ed incurante di poter svegliare l'uomo dall'altra parte della porta.
        Dopo qualche respiro per calmarsi, il ventenne fissò lo sgabello ed il doccino vicini alla vasca... Non c'era speranza che riuscisse a sedersi su quel cazzo di sgabello, grazie al servizietto che aveva dovuto sopportare. «Sai cosa, non me ne frega. Al diavolo l'educazione!» Dichiarò, afferrando una saponetta ed una spugna ed immergendosi nell'acqua calda senza alcun rimorso.
        Rimase immobile per un minuto, lasciando che il suo corpo si abituasse all'elevata temperatura, e nel frattempo prese coscienza di tutti i segni che gli costellavano la pelle - resi ancora più evidenti dal calore dell'acqua -: traccie di morsi, lividi delle dita che l'avevano stretto fino quasi a bloccare la circolazione, mezze lune delle unghie che gli erano state affondate nella pelle—quel vecchiaccio pervertito si era davvero dato da fare... E non in senso positivo.
        «Tz'!» Con un moto di stizza, Shouta affondò la saponetta nell'acqua insieme alla spugna, le sfregò una sull'altra fino a che non si formò una buona dose di schiuma e prese a lavarsi, in modo meccanico e con più forza del necessario. Ancora gli sembrava di sentire la nauseante sensazione del respiro pesante ed umidiccio di quel dannato bastardo su di lui—fortunatamente si era rifiutato di lasciarsi baciare.
        Traendo un respiro e tappandosi il naso, buttò la testa sott'acqua un istante, risalendo con i capelli grondanti ed afferrando una bottiglia di shampoo, procedendo a lavarli per bene. Non vedeva l'ora di andarsene da quel maledetto Love Hotel.
 
        Se l'era presa comoda, in bagno - non voleva nessun rimasuglio di quell'uomo addosso (già i marchi erano troppo e non desiderava altro che sparissero il più in fretta possibile), così quando Shouta uscì con un asciugamano intorno alla vita, trovò il suo 'amante'—
        "Ch', non diciamo fesserie... Quello non è altro che un 'cliente'." Pensò, correggendosi mentalmente.
        —sveglio e steso a letto con una sigaretta accesa fra le labbra, incurante della propria nudità. Shouta non gli badò - ma si domandò a cosa aveva pensato esattamente mentre faceva sesso con quel tipo... Non avrebbe mai potuto eccitarsi con uno del genere, perciò doveva aver avuto di sicuro qualcun altro in testa -, raccogliendo le sue cose ed iniziando a rivestirsi senza dire una parola.
        «Kawaii ko-chan, che ne dici di un altro round?» Shouta si voltò a fissare l'uomo con espressione impenetrabile.
        «Puoi scordartelo.» Rispose atono, infilando la maglia a maniche corte sopra a quella a maniche lunghe (era una fortuna che non fosse piena estate, altrimenti avrebbe sicuramente attratto attenzione conciato così). «Hai fatto quel cazzo che hai voluto, ora vedi di pagarmi,» disse, afferrando la tracolla piena di libri e quaderni dell'università, «e sappi che la tariffa è il doppio.» concluse lapidario.
        Nulla si mosse per un minuto, «Kawaii ko-chan, non dirai sul serio.» chiese poi l'uomo steso a letto, le sopracciglia aggrottate alla richiesta.
        «Hai voluto scopare, anche se eravamo rimasti d'accordo solo per un pompino. Quindi non fare storie e sgancia i soldi.» Rispose Shouta, gli occhi ridotti a fessure. All'improvviso, si lasciò andare ad un ghigno tutt'altro che adorabile, «Oppure preferisci che vada alla polizia? Basta qualche strappo qua e là ed il gioco è fatto. O magari posso contattare tua moglie, eh?»
        L'uomo lasciò cadere la sigaretta accesa, ma pareva troppo scioccato per registrare il dolore della bruciatura sulla coscia. «Non sono più così 'kawaii', vero?» Commentò Shouta, con una risata cinica e vuota. «Ora, i miei soldi.» L'uomo allungò una mano leggermente tremante verso i pantaloni, ne estrasse il portafogli e gli consegnò 50.000¥ senza aprire bocca.
        Prese le banconote, si voltò e si diresse verso la porta della stanza, «Thank you~~ è stato divertente fare affari con lei, signor cliente~~» cantilenò canzonatorio prima di chiudersi la porta alle spalle.

 

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Capitolo 13
*** Inferno; Ira; Cecità [T. Misaki] ***


Salve a tutti! =D
Riporto in vita questa raccolta per una questione di casualità... dunque, come tutte/i sapete ieri è stato il compleanno del Lord e per questo ci tenevo a scrivere qualcosa per festeggiare--con un giorno di ritardo, ma eccomi qui!
Ora. Questa fic per quanto mi riguarda è tutt'altro che una delle mie migliori... è come se fosse un sogno confuso messo per iscritto sotto l'effetto di acido. LOL La mia idea iniziale era a MILLANTA anni luce da questo.
Avete tutto il diritto di riempirmi di insulti.

Note: Ambientata nel periodo di 'stacco' fra la prima e la seconda parte della storia--da cui però prende una piega diversa, ergo sappiate che ci sono 'what if' e conseguente leggero(?) OOC.

ps. Cavolo, devo rivedere tutti i capitoli precedenti... ._.

Ja ne,
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A Walk Through the Underworld
§ Le Tre Cantiche §


Cantica dell'Inferno

- Ira -
 
[Cecità - 1308 parole]
 
        Gettando un'occhiata al calendario, quella mattina prima di uscire, Misaki provò un forte desiderio di saltare le lezioni e restare a casa; spostando poi lo sguardo verso il piano superiore e, in particolare, soffermandosi sulla porta chiusa dello studio, non poté frenare un sospiro dall'oltrepassargli le labbra socchiuse. «Io vado, Usagi-san...» Mormorò, avvolgendosi una sciarpa leggera intorno al collo e chiudendosi la porta del salotto alle spalle prima di infilare le scarpe nel genkan ed uscire di casa.
        La giornata era soleggiata ma il vento che soffiava era ancora piuttosto freddo e pungente, gli ultimi strascichi di inverno tardavano ad abbandonare la città. Osservando il cielo terso, mentre si incamminava verso la stazione, Misaki pensò che sicuramente anche quel giorno doveva esserci stato un cielo così azzurro e privo di nuvole... Era successo in giugno, dopotutto—era anche vero che in estate gli acquazzoni improvvisi non erano così rari, ma no, era quasi certo che quella giornata fosse stata molto calda.
        Per tutto il tragitto verso l'università e verso l'aula di economia (prima lezione del mattino) aveva vagato in una sorta di trance, immerso nei pensieri.
        Ora era marzo... Otto mesi erano passati, e ancora i ricordi di quello che era accaduto erano sbiaditi e distorti. Sepolti in un angolo della mente. Lasciati in disparte. Solo ogni tanto trovavano il modo di riaffacciarsi proprio lì, dietro le sue palpebre pronti ad attenderlo quando serrava gli occhi ed abbassava le proprie difese.
 
-x-
 
        «—Misaki!! È più di un'ora che ti chiamo, dov'eri finito?!» La voce carica di angoscia e panico di suo fratello che gli faceva quasi fischiare le orecchie. «Devi venire subito qui!»
        Un continuo rumore in sottofondo che rendeva difficile capire quel che gli veniva detto... Non riusciva a capire dove si trovasse Takahiro. «—Ospedale...! Akihiko ha avuto un incidente... È piuttosto grave!»
        Quei secondi di terrificante sconcerto... Il sangue nelle vene congelarsi all'istante, il respiro bloccato in gola, le viscere pesanti con granito... Il cuore che parve smettere di battere.
        Non ricordava minimamente di aver fatto il tragitto verso l'ospedale; non ricordava di aver respirato fino al momento in cui non aveva posato gli occhi su suo fratello, nella sala d'attesa, quando per poco non era svenuto sul posto e un'infermiera aveva detto che si trattava di un attacco di panico. Non ricordava nulla delle ore di attesa durante l'operazione di Usagi-san.
        Sapeva di aver iniziato a singhiozzare quando, alla fine, Takahiro gli aveva detto che il peggio era passato e di aver aver pianto incontrollabilmente non appena gli fu permesso di vedere Usagi-san—il volto in parte bendato, così come le braccia, un collare rigido intorno al collo, un flebo attaccata al braccio e diverso altri macchinari che controllavano la condizione dell'uomo... Una pelle bianca come un cencio e un viso su cui mancava il sorriso sardonico che gli era familiare.
        «... Usagi-san...»
        La voce del dottore che sembrava arrivare da un posto lontano anni luce. «Mi dispiace, temo che la vista sia compromessa.»
 
-x-
 
        «Usagi-san...» Disse Misaki, a bassa voce, aprendo la porta ed entrando nella stanza completamente buia ad eccezion fatta per una lampada accesa alla scrivania, «Sono tornato.» Facendosi avanti lentamente, il ragazzo trattenne il respiro quando la sedia davanti a lui si girò, la luce fioca che illuminava appena i contorni del viso dello scrittore.
        «Misaki.» Arrivò la risposta, un tono caldo ed accogliente, accompagnato da un sorriso altrettanto caloroso. Allungando una mano verso di lui, lo scrittore lo invitò a coprire la poca distanza che li separava, «Bentornato.» disse, una volta che Misaki ebbe posato le punte delle sue dita sul palmo della mano distesa ed attirandolo verso di sé. «Com'è andata all'università?»
        «... Non lo so. Ho avuto la testa altrove per tutto il giorno.»
        «Mmh, e come mai? Non riuscivi a toglierti me dalla mente...?» Scherzò Usagi-san, con un piccola risata maliziosa.
        Misaki rimase in silenzio per qualche secondo, poi con un mezzo sorriso auto-ironico, rispose «Ora non farai che vantartene, ma... Sì, è così.» Invece delle parole auto-compiaciute che era sicuro di sentire, lo scrittore posò delicatamente una mano sul suo viso, portandolo più vicino a sé.
        «Ne sono lusingato, mio Misaki.» Gli mormorò a fior di labbra, prima di baciarlo con una tale dolcezza che il più giovane sentì le lacrime, che per tutto il giorno avevano minacciato di scendere, premere per uscire... Invece le ricacciò indietro a forza e chiuse gli occhi, ricambiando il gesto quasi con disperazione.
        «Usagi-san.» Il nome gli sfuggì senza che se ne accorgesse. «Usagi-san...» Racchiudendo il volto dell'altro fra le mani, Misaki strinse le palpebre con forza, tanto da vedere puntini bianchi formarsi, per poi farsi avanti nuovamente baciando lo scrittore e approfondendo il contatto... Trovando una certa dose di conforto nel sentire le loro lingue scivolare una sull'altra con passione crescente.
        Era tutto come sempre.
        Il solito calore, il solito brivido che solo il tocco di Usagi-san gli provocava, la stessa voce sensuale.
        Era ancora lì, con lui.
        —Eppure, la sensazione di inquietudine che l'aveva accompagnato dal mattino non se ne voleva andare.
        «Misaki, che c'è...?» La domanda fu come una scossa elettrica, che mise in moto tutto il suo essere... Le mani scesero fino alla camicia chiara e presero a sbottonarla in fretta, passando i polpastrelli lungo il petto esposto, tracciando un percorso casuale, che poi fu seguito anche con le labbra; le traccie delle cicatrici risalenti all'incidente erano flebili, quasi invisibili, ora che erano completamente guarite, ma la loro vista faceva sentire Misaki in colpa sebbene lui non fosse realmente colpevole di nulla.
        Un nodo in gola gli rendeva faticoso respirare.
        Baciò nuovamente Usagi-san, gli occhi serrati per non perdersi nelle iridi viola pallido desinate a non tornare a vedere—a vederlo. A quel pensiero, non riuscì a trattenere un singhiozzo, ma fece del suo meglio per non perdere il controllo sulle sue emozioni.
        «Haa... Misaki...?» Era un tono preoccupato e l'ultima cosa che Misaki desiderava era causare preoccupazioni allo scrittore, soprattutto in quel momento, in quel giorno.
        Senza rispondere lo studente si inginocchiò davanti ad Usagi-san e con movimenti bruschi e frenetici, gli slacciò la cintura dei pantaloni ed abbassò la zip, «I fianchi, Usagi-san...» mormorò poi con voce roca e tremante. Tolto l'impiccio degli indumenti, Misaki chiuse delicatamente la mano attorno all'erezione parzialmente formata del trentunenne, abbassando poi il viso e prendendola fra le labbra. «Ah! Misaki...!»
        Avvertendo il membro irrigidirsi, lo studente continuò a muoversi su e giù, gli ansiti ed i gemiti di Usagi-san che gli penetravano il cervello—calmando ed incendiando allo stesso tempo il suo cuore e tutto se stesso.
        «Nnh... Mnh!»
        «Misa—ki! Non solo... Ngh—io. Lascia che ti tocchi anche io.» Usagi-san gli poggiò una mano sul viso per attirare la sua attenzione e Misaki, sollevando lo sguardo sentì il petto stingersi e gli occhi riempirsi per l'ennesima volta di lacrime: il leggero rossore sulle guance e l'espressione carica di amore furono quasi troppo.
        «... No... Lascia che faccia io. Per favore.» Allungandosi verso l'altro, posò un altro bacio sulle labbra di Usagi-san e fu certo che lui poté avvertire la disperazione e il conflitto che si agitavano dentro Misaki. Quando il gesto venne ricambiato con un sorriso, il ventunenne tirò un sospiro di sollievo.
        La verità era che Misaki avrebbe davvero voluto lasciare che Usagi-san prendesse il controllo come faceva sempre... Ma per qualche motivo questo era il solo modo che aveva per cancellare l'angoscia che l'aveva accompagnato tutta la mattina.
        Doveva avere la prova che Usagi-san era davvero lì con lui, che respirava ed aveva un cuore che batteva.
        «Ah! Misaki!» Quello fu il solo avvertimento che ricevette dell'orgasmo dello scrittore, che si irrigidì ed inarcò la schiena sulla sedia, venendo fra le labbra di Misaki.
        Una volta ripreso fiato, il ventunenne gettò le braccia al collo dell'altro, nascondendo il viso nell'incavo della clavicola e mormorando «... Mi sembra un miracolo poter passare un altro anno con te, Usagi-san. Quando hai avuto quell'incidente, ho creduto fosse finita...», le lacrime che non poté più frenare che impregnavano il colletto della camicia sotto al suo naso. «Ti amo, Usagi-san, più di chiunque altro... Buon compleanno.»

 

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