In un nuovo mondo

di _montblanc_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 39: *** Capitolo 38 ***
Capitolo 40: *** Capitolo 39 ***
Capitolo 41: *** Capitolo 40 ***
Capitolo 42: *** Capitolo 41 ***
Capitolo 43: *** Capitolo 42 ***
Capitolo 44: *** Capitolo 43 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 
Stavo perdendo la percezione del mio corpo. Qualsiasi appiglio fisico mi stava sfuggendo dalle mani, mentre precipitavo nel vuoto più assoluto. 
Era come se qualcosa stesse risucchiando la parte più profonda di me, come se stessi venendo trascinata lontano.
«N… Vuoi… mdn…en…trare nel…?»
L’eco di una voce lontana mi attraversò la mente per un istante, ma non riuscii a cogliere il senso di ciò che mi stava dicendo; prima che me ne rendessi conto era già svanita nel nulla e tutto si era colorato di nero.
Un ricordo? Cosa stai dicendo? Chi sei? Non riesco a vedere.
Era un suono ovattato, confuso, come se qualcuno tentasse di parlarmi mentre affondavo sempre più profondamente negli abissi del mare.
Stavo galleggiando nel nulla, non avvertivo più alcun limite fisico, non riuscivo a distinguere me stessa dallo spazio che mi circondava.
Ma io… che cosa stavo facendo? Poco fa non… poco? Poco cosa? Da quanto stavo…?
Per quanto tentassi di radunare i miei pensieri, essi finivano per dissiparsi nell’oblio della mia coscienza, quasi come se stessi cercando di afferrare la sabbia con le mani, ma questa continuasse a spargersi intorno a me e venisse trascinata via.
Improvvisamente un colpo fortissimo mi attraversò completamente e una lunga scossa elettrica si diramò in ogni direzione, fino a pizzicarmi la punta delle dita. 
Le dita? Una mano? Il mio corpo…!
Un sospiro strozzato abbandonò le mie labbra mentre l’immagine, a tratti familiare, di un freddo e profondo cerchio rosso che mi osservava da lontano, si accartocciò su se stessa fino a sparire completamente dalla mia mente.
 
***
 
Aprii gli occhi di scatto.
Presi automaticamente una grande boccata d'aria, che mi bruciò fastidiosamente la gola, mentre agitavo le braccia nell’avvertire quella spiacevole sensazione di vuoto causata dall’idea del cadere.
La luce del sole, che in quel momento mi apparve più brillante che mai, invase improvvisamente il mio campo visivo, provocandomi una dolorosa fitta alle tempie e costringendomi a richiuderli ermeticamente.
Rimasi così per qualche secondo, ascoltando soltanto il suono del vento che, ininterrottamente, mi sfiorava leggermente le guance e accarezzava le fronde degli alberi che sembrava si ergessero tutt'intorno a me.
Automaticamente, spostai le mani intorno al mio corpo, avvertendo l'erbetta umida solleticarmi le dita e bagnarmi i vestiti. Sotto di essa la durezza del terreno mi fece capire che non ci sarebbe stato modo di scampare al terribile mal di schiena che mi avrebbe perseguitato nei giorni seguenti.
Feci un respiro profondo, sentendo l’aria gonfiarmi il petto e calmare la sensazione di caos che percepivo nella mia mente, quasi come se qualcuno avesse preso i miei pensieri, li avesse mescolati e capovolti sotto sopra, trasformandoli in una poltiglia non ben definita.
Dove mi trovo?
Aprii nuovamente gli occhi, questa volta lentamente, lasciando che si abituassero alla calda luce del sole che brillava alto nel cielo e cercando di mettere a fuoco gli oggetti che mi circondavano. 
Intorno a me, come avevo ipotizzato precedentemente, non c’era altro che alberi posizionati l’uno accanto l’altro, che mi impedivano di scorgere cosa ci fosse al di là di quell'imponente muro verde.
Soltanto la piccola area intorno a dove mi trovavo era libera dalla loro presenza, ricoperta soltanto da un leggero strato di erba che in alcuni punti brillava leggermente, umida, a causa della luce che si rifletteva su di essa.
«Mi trovo in un prato…» mi risposi mentalmente, continuando a guardarmi intorno alla ricerca di qualcosa che mi fosse familiare in quel luogo «Come accidenti ci sono finita su un prato?!».
Non era sicuramente la prima volta che capitava che mi svegliassi senza essere sicura di chi fossi, dove e in quale era geologica mi trovassi – anzi, era una cosa piuttosto frequente dopo i miei strategici sonnellini pomeridiani-, ma era la prima volta che al mio risveglio mi trovavo sdraiata su di un campo mai visto prima. Beh, dubitavo che ci fossero molte altre persone a cui era capitato di vivere un’esperienza simile, almeno per quanto riguardava quelle con una vita piatta e monotona come la mia.
Mi misi seduta, accompagnata da un suono piuttosto raccapricciante proveniente dalla mia colonna vertebrale che, non troppo felice della sistemazione su cui l’avevo costretta a stare per chissà quanto tempo, mi informava con una molto poco gentile fitta alla schiena che non se ne sarebbe dimenticata presto.
Passandomi le dita sulle tempie, nel vano tentativo che questo alleviasse almeno un po’ l’irritante dolore che stava tamburellando senza pietà il mio cervello, ripercorsi velocemente i miei ricordi, sperando di capire come fossi finita in una situazione simile: ricordavo di trovarmi in casa e di aver sentito degli strani rumori provenienti dall’esterno della mia camera. La cosa non mi aveva esattamente rassicurata, dato che quel pomeriggio la mia famiglia si trovava fuori. Chiedendomi se il mio vecchio gatto obeso avesse organizzato una festa clandestina nell’altra stanza, ero andata a vedere quello che stava succedendo. Ripensandoci a posteriori, la mossa non era stata delle più astute… eppure avevo visto abbastanza film horror da capire che in quelle situazioni non era proprio il caso di lanciarsi di faccia verso il possibile pericolo! Purtroppo io non brillavo per la mia capacità di prendere decisioni intelligenti o sensate e dopo essere uscita dalla stanza avevo… avevo…?
Corrugai leggermente la fronte, mordicchiandomi il labbro inferiore, decisamente perplessa: non mi veniva in mente nient’altro.
Che avessi battuto la testa da qualche parte? Con una mano mi tastai i capelli alla ricerca del presunto bernoccolo/contusione/possibile trauma cranico che avrebbe dovuto trovarsi lì da qualche parte se la mia ipotesi fosse stata corretta, ma non sembrava esserci nulla di strano. A parte la situazione in cui mi trovavo, s'intende.
Mi costrinsi all’ennesimo respiro profondo della giornata, tentando di radunare qualsiasi frammento di calma possibile ed evitare di farmi venire un esaurimento nervoso prima del tempo.
«Ok… tutto bene, tutto apposto!» cercai di tranquillizzarmi «Facciamo il punto della situazione: non so dove mi trovo, non so come ci sono arrivata… non mi dispiacerebbe farmi in fretta una doccia, magari».
In effetti, quest’ultimo punto non era esattamente considerabile come una delle priorità, ma una macchia marrone molto sospetta spiccava in bella vista sulla mia maglietta – maglietta che, tra l’altro, non ricordavo di avere, ma in quel momento quale fosse il mio outfit era l'ultimo dei miei problemi- e speravo fortemente si trattasse di fango; l'idea di poter essermi rotolata nel sonno sul grazioso souvenir di un qualche amabile cagnolino non mi allettava particolarmente, anzi, non mi allettava affatto.
Faticosamente mi alzai, con la stessa grazia di un leone marino mummificato, i postumi dell’aver dormito fra le rocce ben impressi in ogni singola porzione della mia pelle.
Massaggiandomi una spalla nel vano tentativo di svegliarla dal torpore che la avvolgeva, cominciai a camminare senza una meta precisa o una qualche idea su cosa sarebbe stato meglio fare. Volevo credere che prima o poi sarei riuscita a raggiungere un luogo vagamente familiare che mi avrebbe aiutato a capire dove mi trovassi. Perché sarebbe successo, vero? Dopotutto, quanto lontano potevo essere finita se non mi ricordavo nemmeno di essere uscita di casa?
Intorno a me era un susseguirsi di alberi enormi – veramente troppo enormi per gli standard della mia città, il cui concetto di vegetazione si limitava ad una specie di parchetto di qualche metro, composto per la maggior parte da cemento e bottiglie abbandonate-, cespugli piuttosto tetri e ancora alberi enormi. Non volevo nemmeno fermarmi a pensare a chissà quanti insetti mi stessero guardando dall’ombra delle loro tane in quel momento, pronti per uscire dai loro nascondigli e lanciarsi contro il mio povero corpo indifeso e dolorante per sottopormi a chissà quale malvagità.
Mi portai mani al petto, accarezzandomi le braccia per cercare di aumentare almeno un po’ la mia temperatura corporea, ma probabilmente avrei ottenuto il medesimo risultato se avessi tentato di abbracciare una confezione di polaretti.
Stavo già cominciando a maledire la mia idea di andarmene a zonzo totalmente a caso per una foresta sconosciuta: sarebbe stato molto meglio rimanere nel campo ad aspettare che qualcuno venisse a cercarmi piuttosto che perdermi, rischiare di essere sbranata da qualche vecchio orso o di cadere in un crepaccio; o di cadere in generale, visti i rami che continuavano a sbucare a tradimento dal terreno minando il mio, già precario, equilibrio.
Mi fermai, lasciando dondolare sovrappensiero un piede nel terriccio che ricopriva quell’area, guardandomi intorno nella speranza di trovare un punto di riferimento: le mie capacità di orientamento non erano propriamente il massimo, ma intorno a me tutto continuava ad essere perfettamente identico, non importava quanto continuassi a camminare. Non mi aspettavo mica di trovare un cartello segnaletico, un'insegna neon o qualcosa del genere lì, in mezzo al nulla, ma un vago indizio che stessi andando nella direzione giusta non mi sarebbe dispiaciuto; o almeno un qualche cambio di scenario che mi avesse dato l’idea di star effettivamente muovendomi nello spazio e il tempo.
«Allora…» mi sforzai di pensare, cercando di resuscitare dei vaghi ricordi di una cosa che avevo sentito dire durante l'ora di geografia «Era a nord o a sud che cresceva il muschio?».
Sospirai, scocciata; saperlo non avrebbe cambiato nulla e io mi ero inequivocabilmente persa, inutile continuare a negarlo. La situazione cominciava seriamente a farsi preoccupante e non pensavo sarei riuscita a mantenermi a lungo in quello stato di calma interiore forzata, il cuore che cominciava a battermi più veloce nel petto a causa dell’ansia crescente.
Proprio nel momento in cui mi stavo pizzicando un braccio, sperando di risvegliarmi dalla situazione assurda in cui mi ero ritrovata, mi parve di scorgere un'ombra tra gli alberi; una sagoma dalle fattezze piuttosto umane, a parer mio.
Sobbalzai leggermente per la sorpresa e poi strinsi gli occhi, cercando di mettere a fuoco la figura apparsa improvvisamente nel mio campo visivo: non riuscivo a distinguerla chiaramente dato che era piuttosto lontana rispetto a dove mi trovavo e la poca luce che riusciva a farsi spazio fra le fronde degli alberi non rendeva le cose più facili.
Inizialmente il mio sesto senso – o almeno quella specie di intuito tarocco che possedevo- mi suggerì che forse era il caso di andarsene, e anche abbastanza velocemente. Cominciare a vedere ombre nel mezzo di una foresta non mi pareva esattamente una buona cosa.
Tuttavia, quel giorno, il mio istinto di sopravvivenza aveva deciso di chiudere definitivamente i battenti, quindi cominciai ad muovermi verso di lei: tanto peggio di così non poteva andare! Anche se effettivamente a rigor di logica era molto meglio continuare a passeggiare in un bosco da sola piuttosto che rischiare di farlo inseguita da un potenziale serial killer; ovviamente il pensiero non sfiorò minimamente il mio cervello, già troppo impegnato a concentrarsi sul non farmi finire con la faccia a terra per colpa del terreno accidentato. Ero veramente pessima nel multitasking.
«Ehm… mi scusi?» cominciai, schiarendomi poi la voce, un po’ roca a causa del tempo passato senza che la utilizzassi «Credo di essermi persa, no… mi sono completamente persa e non so che fare…».
Più mi avvicinavo, più avevo la sensazione che la mia meta si facesse più lontana. 
Dopo qualche minuto di camminata mi fermai, accigliata: nonostante avessi percorso diversi metri l'ombra si trovava ancora nello stesso punto di prima, decisamente troppo lontana rispetto a quello che mi sarei aspettata.
Ma che stava succedendo?! 
Era vero che la mia percezione spazio-tempo lasciava piuttosto a desiderare, ma persino a una come me cominciava a sorgere qualche dubbio se per percorrere una quindicina di metri ci stavo impiegando mezz'ora; forse avevo veramente preso una qualche botta in testa, una piuttosto forte.
«Mi può aiutare?» tentai di nuovo, sperando di smuovere un minimo il cuore della persona che mi stava osservando, di impietosirla e fare in modo che mi desse mano ad andarmene da quello strano luogo. Insomma, gli avevo pure dato del lei! Non mi poteva abbandonare così! Nessuna persona sana di mente avrebbe abbandonato una povera giovane donzella spaventata e confusa in mezzo al nulla, vero?
E invece lo fece… l’ombra scomparve. Volatilizzata nel nulla ancor prima che me ne rendessi conto. Molto d’aiuto, grazie.
«Se ne è andato!» mormorai incredula, sbattendo irritata un piede sul posto e facendo sollevare una leggera nuvoletta di terra col mio movimento brusco «Mi ha mollata in mezzo a una foresta!».
Sussurrando diversi appellativi molto poco carini nei confronti della figura che mi aveva appena abbandonata, della società crudele e di qualsiasi altra cosa mi potesse venire in mente in quel momento - persino verso la bidella infame che nascondeva la carta igienica durante l’intervallo-, indietreggiai, decidendo saggiamente che era arrivato il momento di ritornare sui miei passi e di aspettare che qualcuno mi venisse a cercare; o almeno, quello sarebbe stato il piano, ma qualcosa mi colpì con forza alla nuca e, prima che me ne rendessi conto, il mondo aveva cominciato a perdere le proprie fattezze di fronte ai miei occhi, venendo avvolto dall’oscurità.
Dovevo ammettere che la giornata non era esattamente partita nel migliore dei modi.
 
Angolino dell'autrice: 
Ciao a tutti! Ho deciso di provare a cimentarmi nella scrittura di una fanfiction sulla mia principale fissa del momento, Naruto ( ennesimo tentativo di una lunga serie di storie lasciate a marcire in una cartella non ben definita del mio computer). La mia fantasia in ambito di titoli lascia sempre molto a desiderare, ma spero che vi piaccia e buona lettura!
Piccolo aggiornamento dal futuro: considerando che ho cominciato a scrivere questa storia nel lontanissimo 2011 e che, grazie al cielo, voglio almeno sperare che il mio stile di scrittura abbia subito un minimo di miglioramento rispetto ad allora, sto cercando di riscrivere i vari capitoli. Per quando riguarda la struttura della storia e lo sviluppo della trama, quello non subirà cambiamenti ( anche se adesso ci sono delle cose che avrei organizzato in tutt'altro modo), ma voglio almeno rendere la scrittura un po' più vicina a ciò che sono adesso. 
Per quando riguarda i nuovi capitoli ho ancora intenzione di scrivere una conclusione, presto o tardi ( anche se ormai, in realtà, le opzioni sono tardi o tardissimo), ma per il momento sono consumata da un terribile blocco dello scrittore che mi tiene ancorata alla metà della stesura del capitolo 42. Comunque abbiate fede in me, non ho intenzione di lasciare inconclusa questa storia!

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 
Quando ripresi conoscenza ero piuttosto certa di non trovarmi più nel mezzo di una foresta: avvertivo qualcosa di morbido sotto di me e, sicuramente, non si trattava del terreno umidiccio e fangoso su cui mi ero risvegliata qualche tempo prima.
Senza, ancora, azzardarmi ad aprire gli occhi, cominciai a tastarmi piano la nuca, sibilando per il dolore quando le dita ne sfiorarono la parte appena superiore al collo: quella strana figura nel bosco avrebbe anche potuto essere più delicata quando mi aveva colpit-
Mi tirai a sedere di scatto, gli occhi spalancati a causa del ricordo, sentendo le molle del letto cigolare in segno di protesta a causa del movimento improvviso - e anche il mio corpo non sembrava essere stato esattamente contento della mia decisione, visto lo scricchiolio inquietante che aveva emesso-.
Il punto era che qualcuno mi aveva tramortita e portata in qualche strano posto non bene identificato e questo... beh... non andava affatto bene; tutto in quella situazione non andava affatto bene, persino io e il mio discutibile istinto di sopravvivenza ce ne rendevamo conto.
Mi strinsi le mani al petto, l’ansia crescente, cominciando a guardarmi intorno e cercando di farmi un’idea generale della situazione: mi trovavo su uno strano lettino, avvolta tra delle coperte dal colore verde vomito - scelta parecchio discutibile, a parer mio-, che mi ricordavano quelle degli ospedali; in effetti anche l'odore nauseante di disinfettante e malato che aleggiava nell'aria era parecchio simile.
D'istinto mossi freneticamente le gambe per liberarmi dalle lenzuola ingarbugliate che mi fasciavano il corpo, impedendomi i movimenti, e appoggiai i piedi a terra, rabbrividendo appena a causa del contatto della pelle con le gelide mattonelle che ricoprivano il pavimento. 
Intorno a me non c’era molto: la luce fioca proveniente da una lampada a lato della stanza si rifletteva contro la sagoma di un vecchio armadio, che aveva passato sicuramente momenti migliori, poggiato esattamente contro la parete opposta a quella dove si trovava il letto. Per il resto vi erano soltanto due porte in legno e una piccola finestra, da cui non riuscivo a scorgere l’esterno, dato che era sembrava essere ormai scesa la notte. 
Mi morsi le labbra, soffermando lo sguardo su quest’ultimo particolare: forse avrei potuto lanciarmi da lì, sperare che la forza di gravità non funzionasse su di me o che in quelle ore di incoscienza avessi sviluppato l’abilità di volare e darmi ad una fuga disperata.
Mentre cercavo di limare i dettagli del mio, sicuramente molto efficiente, piano di fuga, la porta si aprì. Non feci in tempo a capire chi stesse cercando di entrare, che la suddetta persona corse subito via, lasciando dietro di sé solo l’eco di passi veloci che si allontanavano.
Rimasi per un attimo immobile, gli occhi puntati verso la porta, ora socchiusa, e il respiro bloccato, quasi nel timore che con il minimo rumore avrei finito per spezzare quel momento di stasi e si sarebbe scatenato il finimondo - con gente incappucciata che si lanciava dal soffitto brandendo dei mitra e parlando di aramaico-.
Dire che ero confusa sarebbe stato un eufemismo: non capivo se stessi sognando, se fossi sotto l'effetto di qualche strana sostanza sconosciuta all’uomo o se fossi impazzita definitivamente. Conoscendomi, quest’ultima opzione era di gran lunga la più probabile.
La domanda principale, quella che mi ronzava in testa sin dall’inizio, era sempre la stessa: che diamine stava succedendo?! 
Continuavo a ripetermi che dovevo sbrigarmi a planare fuori da quella maledetta finestra e improvvisarmi uno scoiattolo volante, ma qualcosa continuava a tenermi ancorata a quel luogo.
Forse chi mi aveva portata lì sapeva dirmi cosa mi era successo, forse si trattava di un semplice ospedale. Ma quale persona sana di mente si mette a tramortire gente a caso in mezzo alle foreste!?
«Ti sei svegliata» constatò una voce femminile, facendomi sobbalzare; non mi ero minimamente resa conto dell'arrivo di nessuno... maledetto sesto senso tarocco.
Per un istante la mia mente venne attraversata da ogni scenario possibile, dall’essere stata sequestrata da una qualche setta religiosa che voleva immolarmi in nome del loro culto, al rapimento alieno, agli illuminati con tutti i loro triangoli, o a qualche scienziato pazzo pronto a dissezionarmi e a trasformarmi in un portabottiglie.
Quello che vidi, tuttavia, era ben oltre ogni mia possibile aspettativa, facendomi spalancare la bocca in una maniera decisamente poco intelligente.
Sulla soglia della porta si stagliava un’imponente figura, i tratti appena celati dalla luce soffusa, che comunque non mi impedì di riconoscerla all’istante; i capelli biondi, legati in due codini bassi, le ricadevano sulle spalle, fasciate soltanto da una canotta grigia che a malapena riusciva a contenere il suo... seno stratosferico; sul serio, aveva la mia ammirazione come donna, avrei dovuto chiederle qualche consiglio a riguardo… 
A quel punto dire che mi venne un colpo era poco...  rischiai letteralmente l'infarto,  strozzandomi con la mia stessa saliva e saltando via con la grazia di un pinguino zoppo, scivolando con un piede su un lembo di coperta e finendo con il sedere a terra, giusto per concludere quella magnifica dimostrazione di acume.
Le mattonelle non attutirono minimamente la mia caduta e non la resero minimamente piacevole, limitandosi a inviare un brivido di freddo lungo tutta la mia schiena, che tuttavia fui troppo occupata per poter registrare.
Sulla soglia della porta, con uno sguardo che potevo definire solo come profondamente allibito, si stagliava il Quinto Hokage in tutta la sua… la sua… non riuscii a trovare un aggettivo adatto per esprimere cotanta magnificenza, ma sprizzava aria da persona veramente importante da tutti i pori; e se prima avevo avuto ancora qualche dubbio circa la mia salute mentale, ora potevo tranquillamente affermare che era ormai andata a farsi benedire e che ero pronta per essere internata da qualche parte.
«Che cosa ti è successo?» chiese, decidendo saggiamente di non pronunciarsi sulla mia ridicola performance, mentre avanzava verso di me. 
A proposito di cosa? Del fatto che mi fossi appena praticamente abbattuta da sola? Dell’uomo - sempre che non fosse stata una donna, qui siamo per le pari opportunità- che mi aveva quasi spaccato il cranio? O del fatto che mi fossi svegliata sdraiata all'aperto, in un luogo non ben identificato? Perché nelle ultime ore me ne erano successe di cose particolari e non facilmente spiegabili.
Nonostante tutto, dovevo ammettere che quella le superava tutte di gran lunga: era il Quinto Hokage? Seriamente?! Era un cosplayer dannatamente bravo o qualcosa del genere? Un sosia? Era uguale! Perché accidenti il mio probabile rapitore era vestito come uno dei Kage di Konoha? Che strano fetish era mai questo?!
«Ehi?» l'oggetto che aveva dato origine ai miei pensieri deliranti cercò di catturare la mia attenzione, agitando una mano di fronte alla mia faccia, che probabilmente aveva perso qualche sfumatura di colore negli ultimi minuti.
«M-ma chi… i-io?» balbettai impacciata, inciampando su ogni lettera possibile, l’espressione poco intelligente di una persona che stava veramente cercando di capire cosa le stava succedendo, ma che non ci riusciva.
Per quanto continuassi a sforzare la mia mente a ripercorre uno dopo l’altro tutti gli avvenimenti che mi avevano condotta fino a quel momento, non riuscivo proprio a capacitarmi del motivo per il quale mi trovassi seduta su un pavimento scomodo e ghiacciato a intrattenere una conversazione con Tsunade… o chiunque ella fosse.
Lasciai correre lo sguardo sulla figura che mi si stagliava davanti, gli occhi che cominciavano a brillarmi per l’emozione. Stavo parlando con il Quinto Hokage! 
No, Ambra, stai calma, Ambra... respira e comportati per una buona volta come la persona logica che non sei: obbiettivamente parlando non può essere… però… persino la sua voce…!
Ero combattuta tra il mio stato di confusione e perplessità e uno strano senso di euforia interiore che risultava sempre più difficile da ignorare.
Probabilmente avevo di nuovo esagerato con Naruto e cominciavo a subirne le conseguenze con delle allucinazioni... sicuramente suonava molto più credibile di Yay! Che bello! Sono finita nel mondo di Naruto! cosa che non mi sarebbe dispiaciuta ovviamente, ma che non era il primo pensiero che avrebbe dovuto attraversare la mente della persona sana che volevo credere di essere.
«Vedi qualcun altro in questa stanza?» ribatté lei stizzita, mettendosi le mani sui fianchi e i capelli biondi dondolarono leggermente seguendo il suo movimento.
Ok, forse era il caso di ricomporsi; avevo come la sensazione che non le stessi facendo esattamente una buona impressione.
Mi alzai in piedi, spolverandomi i vestiti con le mani alla bell’e meglio e, con un fare che non definirei propriamente femminile, mi schiarii rumorosamente la voce; per poi partire in quarta con uno dei miei tipici discorsi senza capo né coda, che più volte mi avevano portato ad uscire vittoriosa dalle interrogazioni al liceo. Dopotutto, se i professori non riescono a capirti, non possono nemmeno dimostrare che tu abbia detto qualcosa di sbagliato; magari la stessa tecnica mi sarebbe tornata utile per uscire da quella situazione.
«Ehm… no, ci siamo solo noi due… haha» risatina isterica «Beh, i-io? Veramente non mi ricordo assolutamente nulla… insomma, ero nel bosco e poi c’era quella figura strana e non riuscivo ad avvicinarmi. E poi sono stata colpita… o almeno credo. Ma è stato doloroso! Non riesco nemmeno a toccarmi la testa, dice che è grave? Riuscirò a sopravvivere?!» senza attendere che rispondesse continuai il mio monologo, ignorando totalmente i suoi tentativi di intervenire nel discorso «Comunque poi mi sono svegliata in questo posto e qualcosa è sfrecciato davanti a quella porta, che ansia… e è comparsa lei, sono inciampata e… e…» presa dal gesticolare nell’enfasi nel discorso agitai una mano di fronte al mio campo visivo e il mio cuore perse un battito.
Oh- porca- miseria! Cos'era quella lunga striscia rossa che spiccava sulla mia pelle. Era... sangue? Non lo era vero? No, mi sembrava proprio esserlo…
«Noo!!» urlai stringendomi la mano e il “Quinto Hokage” sobbalzò leggermente sul posto, sorpresa da quella reazione improvvisa «Oh mio Dio! Oh Santo Jashin!!».
La donna continuava ad osservarmi con espressione interrogativa, probabilmente chiedendosi che cosa stesse succedendo di fronte ai suoi occhi.
«Suvvia, è solo un taglietto… guarirà in fretta» tentò di dire, notando la fonte della mia angoscia, vagamen- decisamente perplessa.
«Sto morendo… sto per morire!» continuai totalmente in panico, senza riuscire a staccare gli occhi dalla ferita, oltremodo allarmata.
Quand'era successo? La prima volta che mi ero svegliata non era lì; forse me l'ero fatta quando chiunque-fosse-stato mi aveva colpita. Io... la vista del sangue mi creava dei problemi. Molte cose mi creavano effettivamente dei problemi, ma quella soprattutto.
«Non è niente, abbiamo già controllato le tue ferit-» provò nuovamente "l’Hokage" senza ottenere alcun risultato. 
«Mondo crudele! Ma che cosa ho fatto di male?! Volevo soltanto finire in fretta i dannati esercizi di matematica!» esclamai disperata.
In mia difesa potevo solamente dire che non è facile per una persona controllarsi di fronte alle proprie fobie, soprattutto visto lo stress che quella giornata aveva causato al mio unico neurone.
«ADESSO BASTA!» il suo urlo squarciò l'aria, accompagnato dal tonfo del suo piede contro il pavimento, che si sgretolò letteralmente sotto di lei, formando una leggera fossa fra le mattonelle lucide, ora incrinate. 
Era possibile una cosa del genere? Con cosa accidenti si dopava quella donna!? Se ci avessi provato io sarei finita con qualche osso fuori sede e il gesso a tempo indeterminato.
Speravo per lei che la sua assicurazione coprisse anche gli scatti d’ira improvvisi ai danni dei poveri arredamenti indifesi.
«C-che cos…?» mormorai con un filo di voce, totalmente basita da quello che era appena successo e continuando ad alternare occhiate confuse fra il suo piede e la sua faccia, su cui ora era affiorata un’espressione molto poco rassicurante. 
«Chi sei? Cosa fai nel mio villaggio!?» cominciò a chiedermi con insistenza, una vena che le pulsava nella tempia in maniera alquanto sinistra, in un modo che non credevo possibile.
«La prego… non mi uccida!» la implorai, dando una molto poco dignitosa manifestazione del mio coraggio e diventando quasi un tutt'uno con la parete.
Lo sapevo che avrei dovuto lanciarmi dalla finestra quando ne avevo ancora l’occasione!
«Non ho la minima idea di come io sia finita qui, mi creda!»  pigolai, coprendomi il volto con le mani, sperando che quello bastasse per mimetizzarmi con l’ambiente circostante e passare inosservata.
«Beh, sicuramente non si tratta di una ninja…» avvertii improvvisamente dire da una voce maschile.
Timorosa sbirciai da sotto lo scudo di braccia in cui mi ero rintanata come una vongola e quello che vidi fu... Kakashi Hatake. 
Qualcuno aveva deciso di organizzare il Lucca comix in quella stanza ed io non ne ero stata informata?
Cercando di darmi un po’ di contegno mi alzai, senza distogliere lo sguardo dalla figura del nuovo arrivato, non riuscendo a capacitarmi di quanto una persona potesse essere simile ad un personaggio di un anime. I capelli argentati, a dispetto di ogni forza di gravità, ondeggiavano in aria, come se avessero vita propria.  Il coprifronte, che utilizzava a mo’ di benda, copriva il suo occhio e, insieme ad una specie di maschera, impediva di scorgergli chiaramente il volto. 
Aprii la bocca e la richiusi più volte, totalmente spiazzata e senza sapere da dove cominciare per dare un ordine di senso compiuto a tutto quello che avrei voluto dire.
Iniziai a torturarmi le mani cercando di evitare che strani pensieri prendessero forma nella mia testa - che si sapeva, non era affidabile-. 
«Vorrai sapere dove ti trovi» constatò allora "Kakashi", notandomi boccheggiare, mentre chiudeva il libro che teneva fra le mani - cosplay molto fedele, non c'era che dire-. 
Io mossi leggermente il capo in un tentativo di assenso, avvertendo però una fitta al cervello, che mi ricordava molto poco amorevolmente del colpo che avevo preso tempo prima.
«In questo momento ti trovi nell’ospedale del villaggio della Foglia e io sono l’Hokage» spiegò la Godaime, portandosi una mano sul petto, come per sottolineare la sua importanza.
«C-certo… capisco» mi limitai a rispondere, sollevando appena un sopracciglio, scettica. Forse per il momento sarebbe stato meglio assecondarli e vedere dove tutto quello mi avrebbe portata.
«Come va la testa? E’ stata una bella botta» chiese a quel punto “Kakashi”, indicandosi il capo con una mano.
«Mmm, mi fa un po’ mal-aspetta.» mi bloccai, osservandolo sospettosa «Come fa a saper- è stato lei a colpirmi? Era lei la persona nella foresta?».
«Effettivamente sì. Ero stato inviato per verificare la presenza di un estraneo nel territorio del villaggio e-» cominciò a spiegare lui, ma lo interruppi prima che potesse continuare, puntandogli contro un dito accusatore.
«Ma non lo sa che è pericolosissimo colpire la testa delle persone in quel modo?! Avrei potuto riportare dei seri danni cerebrali o morire per la caduta ed essere sbranata dagli inset-!» le parole mi morirono in gola notando lo sguardo affilato del suo unico occhio visibile, che mi fece sospettare non avesse esattamente gradito la mia interruzione.
«Avevo soltanto intenzione di assicurarmi che non fossi un possibile pericolo per il villaggio, ma improvvisamente hai cominciato ad indietreggiare, andando a sbattere contro un ramo di un albero, per poi cadere a terra come un sacco di patate» spiegò semplicemente in lui, stroncando sul nascere ogni mia possibile protesta e facendomi abbassare il capo, sconfitta. In effetti una cosa del genere era proprio da me.
«Ad ogni modo…» riprese a parlare l’Hokage, che fino a quel momento era rimasta in silenzio ad ascoltarci «Kakashi ti ha poi portata all’ospedale di Konoha ed è venuto ad informarmi della tua presenza» concluse lei, per poi tornare ad osservarmi con fare indagatore «Quindi, rispondi. Chi sei? Che cosa ci facevi nel mio villaggio?»
Per quale motivo mi sentivo colpevole e sospetta anche se non avevo fatto nulla di male? Era una sensazione simile a quando prima di uscire da un negozio cominciava a salirmi l’ansia all’idea che potesse partire qualche allarme nonostante non avessi rubato nulla.
«Mi chiamo Ambra» cominciai, notando subito, con disappunto, la loro espressione perplessa nel sentire il mio nome. Che poi uno che si chiama “Kakashi” ha veramente poco da giudicare!
«Vengo da una citt-un villaggio parecchio lontano da qui, non penso conosciate il suo nome, non è particolarmente famoso» spiegai in una mezza verità, cercando di essere il più vaga possibile «Probabilmente ho sbagliato strada e mi sono persa in mezzo alla foresta. Volevo chiedergli di aiutarmi, ma poi sono svenuta e mi sono risvegliata qui» conclusi, sperando con tutto il cuore che si facessero bastare quello che gli avevo detto e non mi facessero ulteriori domande; nascondere le cose non era esattamente una delle mie doti migliori e non mi sembrava ancora il caso di raccontare loro quello che mi era successo realmente ed essere internata chissà dove.
«Mmm…» fece semplicemente Tsunade, lanciando una strana occhiata a Kakashi, di cui non riuscii a comprendere il significato «Capisco. Per il momento puoi trascorrere qui la notte, domani decideremo sul da farsi» annunciò lei.
«M-ma io…» avevo ancora una valanga di cose da chiedere, non poteva mollarmi lì in quel modo.
«E’ deciso.» disse semplicemente, frenando le mie proteste.
Dopodiché la donna si voltò e lasciò rapidamente la stanza, seguita dall’altro ninja, come se entrambi avessero una gran fretta di andarsene. 
«Ciao eh… » feci imbronciata, praticamente al nulla, osservando la porta chiudersi dietro di loro con un tonfo leggero.
Mi mossi verso la finestra, dando un'occhiata a che cosa ci fosse dall’altra parta del vetro: il buio rendeva i confini dell’ambiente alquanto vaghi e non riuscivo a determinare bene quanta distanza ci fosse da lì al suolo. Forse dovevo scartare l’idea di improvvisarmi colomba e rischiare di distruggermi completamente l’osso del collo.
Senza molto altro da fare mi rimisi sotto le coperte, con uno strano sogghigno che si era fatto strada sul mio volto.
Sapevo di dover rimanere ancorata alla realtà, sapevo che tutto quello che stavo vivendo probabilmente era frutto di una qualche contorta allucinazione – forse causata dal colpo preso sul collo-, ma che male c’era nel fantasticare un po’ ora che ero rimasta sola? Se mi trovavo veramente nel mondo di Naruto…!
Affondai il viso fra le mie mani, cercando di soffocare la risatina stridula che mi era sfuggita dalle labbra al solo pensiero.
Se fossi stata veramente nel mondo di Naruto sarebbe stata una tremenda figata! Se c'erano loro significava che anche che l’Akatsuki era lì da qualche parte e… non avevo idea di come avrei fare a incontrarli, se fosse stato vero – e forse non sarebbe stata nemmeno la cosa più saggia da fare-, ma già l’idea di trovarmi nel loro stesso universo bastava per farmi rigirare nel letto come un’anguilla in preda alle convulsioni.
 
Lontano da quella stanza, i passi di una donna dai capelli biondi risuonavano per un lungo corridoio, il mento appoggiato fra le dita e l’espressione pensierosa.
«Che cosa ne pensa?» chiese l’uomo che si trovava con lei; per un secondo i suoi capelli argentati sembrarono risplendere a causa della luce della luna, che si era infiltrata da una finestra, riflettendosi su di essi.
«E’ sospetta» sentenziò semplicemente lei, sollevando lo sguardo, senza però fermarsi «Darò un’occhiata agli archivi insieme a Shizune per vedere se riesco a scoprire qualcosa su di lei. Ho lasciato delle guardie di fronte alla sua camera, se proverà a fare qualcosa di sospetto verrò informata immediatamente» rivolse, infine, uno sguardo nella sua direzione «Per il momento, sei congedato».
Kakashi si limitò ad annuire e, così come era venuto, scomparve, confondendosi con l'oscurità che avvolgeva quel luogo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
Era una giornata soleggiata a Konoha: il cielo, di un azzurro intenso, sovrastava le stradine del villaggio, che in quel momento sembrava brulicare di vita; il sole brillava alto, offuscato soltanto dalla presenza di qualche nuvola sporadica che, placidamente, galleggiava nell’aria.
Dei bambini si stavano rincorrendo lungo una via, ridendo e strillando parole senza senso, occupati in chissà quale gioco. Poco più in là alcuni ninja, coprifronte in bella vista, erano seduti in un chiosco e chiacchieravano animatamente fra loro riguardo l'esito di qualche missione. 
Nello stesso momento, poco lontano dal villaggio, camminavano a passo spedito due figure avvolte da dei mantelli neri, sui quali spiccavano dei disegni di nuvole rosse, il leggero suono di una campanella che accompagnava il loro passaggio.
«Quanto manca ancora, Danna?» domandò uno dei due, un pizzico di irritazione fra le sue parole dato che, per colpa di un imprevisto, erano stati costretti a dirigersi in fretta e furia verso il villaggio della Foglia. Inoltre, mentre fino a poco tempo prima erano riusciti a procedere piuttosto velocemente grazie ad una delle sue opere, una volta giunti in prossimità del villaggio erano stati costretti a muoversi a piedi, in modo da non attirare l’attenzione di possibili guardie nelle vicinanze; era stato ordinato loro di mantenere un basso profilo e questo non faceva che rendere tutto più noioso, almeno a parere dell’artista.
Nonostante non ricevette alcuna risposta, il biondo non si diede per vinto; infondo il suo partner non era mai stato un gran chiacchierone e si era ormai abituato ai silenzi tombali che spesso riceveva come risposta ai suoi tentativi di conversazione. 
«Mi sembra strano che tu sia uscito dalla tua marionetta per svolgere questa missione...» commentò lui, osservando il corpo del giovane ragazzo dai capelli rossi che camminava al suo fianco; nonostante fossero partner da diverso tempo, era la prima volta che vedeva il suo vero aspetto, solitamente celato all’interno della sua tetra marionetta.
Nuovamente Sasori si limitò ad ignorarlo. Ovviamente.
«Siamo molto loquaci stamattina, eh? C’è forse qualcosa che ti preoccupa?» lo punzecchiò Deidara, un sorrisetto divertito che gli increspava le labbra, perfettamente consapevole di star urtando i nervi del compagno di squadra. 
«Falla finita.» lo ammonì lapidario il rosso, che quel giorno sembrava avesse a disposizione persino meno pazienza del solito; non che, in condizioni normali, fosse l’incarnazione della socialità.
Da quando il loro leader gli aveva ordinato di lasciare Hiruko al covo per svolgere quella missione non aveva potuto fare a meno di insospettirsi; il capo dell’Akatsuki non aveva voluto rivelare il motivo della sua decisione e il continuo blaterare del proprio collega non lo aiutava a ragionare. Non riusciva proprio a capire la sua scelta: se avessero dovuto combattere sarebbe stato più avvantaggiato con la sua marionetta… c’era decisamente qualcosa di strano in quella storia.
 
Era appena l’alba quando vennero a svegliarmi.
Solitamente avrei ritenuto illegale anche la sola idea che qualcuno osasse chiamarmi ad un orario simile, ma quando mi ero ritrovata ai piedi del letto due energumeni con una stazza da far invidia all’armadio alle loro spalle, avevo saggiamente deciso di tenere per me le mie lamentele.
«Sono stata mandata per accompagnarla dalla signorina Tsunade» disse una voce femminile, facendomi sobbalzare.
Sulla soglia della porta, senza che mi fossi minimamente resa conto del suo arrivo, si trovava Shizune. Sì, Shizune, proprio lei, con il suo bel kimono e i corti capelli scuri; cominciava ad essere sempre più difficile imporre al mio cervello di rimanere con i piedi per terra…
Sentendo il mio stomaco protestare sonoramente mi resi conto che, effettivamente, era da quando ero arrivata in quel posto che non avevo toccato cibo. Forse era quello il motivo per cui per un attimo TonTon, il maialino rosa che stringeva la segretaria di Tsunade fra le braccia, mi apparve tremendamente invitante. La suddetta creatura dovette aver percepito i miei pensieri, perché si spinse maggiormente verso il petto della donna, rabbrividendo.
Speravo soltanto che avessero un McDonald o un Burger King da quella parti, necessitavo di cibo e di calorie poco salutari, nel più breve tempo possibile.
Pochi minuti più tardi lasciammo la piccola stanza d’ospedale, ormai diventata alquanto noiosa e claustrofobica per i miei gusti: ero chiusa lì dentro da decisamente troppe ore, senza poter fare altro che osservare le monotone pareti bianche della camera e contare fantomatiche pecorelle che saltellavano oltre altrettanto fantomatiche staccionate.
«Grazie per i vestiti comunque!» dissi dopo un po’ a Shizune, seguendola fuori dalla camera, mentre dietro di noi i due armadi – che per comodità chiameremo Pedro e Patrizio- procedevano silenziosi, mettendomi vagamente ansia con la loro aura intimidatoria, neanche ci trovassimo nel bel mezzo di una marcia funebre.
Purtroppo i miei indumenti, ormai sporchi e non più definibili come tali, erano ufficialmente passati a miglior vita; in compenso un’inserviente me ne aveva dati alcuni da utilizzare come ricambio: si trattava di una semplice maglia bianca, piuttosto lunga e non molto aderente e un paio di pantaloncini scuri. Era molto semplice, in effetti, ma mi piaceva: faceva molto ninja a modo suo. Non che avessi smesso di sospettare di quel posto, sia chiaro! O almeno era quello che continuavo a ripetermi.
La donna si limitò a fare un cenno con il capo, per poi richiudersi nel suo silenzio tombale, interrotto soltanto dai nostri passi lungo il corridoio. Mi sembrava di ricordarla vagamente più amichevole… forse anche lei, come me, non era una persona molto mattiniera e stava tentando con tutte le sue forze di non addormentarsi per strada in modo scomposto.
Quando, finalmente, uscimmo all’aperto, un’ondata di aria fresca mi travolse, insieme ad uno stupore tale da farmi spalancare letteralmente la bocca, neanche davanti a me fosse appena transitato Madara in bikini, ballando la polka.
Addio razionalità, è stato per poco tempo, ma è stato bello averti conosciuta, almeno per una volta nella vita
Fui travolta da così tanti sentimenti diversi allo stesso tempo, che fu estremamente difficile trattenermi dal mettermi a saltellare sul posto, eccitata quasi come una bambina a Natale di fronte ad un giocattolo nuovo e, per l’emozione, mi feci sfuggire un urletto strozzato, che fece sussultare leggermente Pedro e Patrizio; i due non sembrarono apprezzare particolarmente la cosa dato che mi guardarono come se avessi appena sputato e conseguentemente ballato sulle spoglie della loro amata nonna – insomma, non ne erano esattamente felici-.
In quel momento, però, tutti i neuroni del mio cervello erano troppo impegnati anche solo per poter fare caso all’espressione di morte e fastidio che avevano stampata in faccia: quella era Konoha! QUELLA ERA LA VERA KONOHA! Non era possibile ricreare in nessun modo uno scenario simile, soprattutto di tali dimensioni!
Il cuore aveva preso a battermi all’impazzata nel petto e centinaia di pensieri si agitavano confusamente nella mia mente - insieme ad una serie di scenari futuri con me nelle vesti di una ninja fantastica, dagli strabilianti poteri-, mentre mi guardavo intorno estasiata, continuando ad inciampare ad ogni passo sui miei stessi piedi.
Né Shizune né i nostri poco affabili accompagnatori sembrarono molto inclini ad assecondare il mio improvviso entusiasmo e Patrizio, per nulla intenzionato a lasciarmi gironzolare qua e là a mio piacimento, mi afferrò per un braccio, cominciando, senza tante cerimonie, a strattonarmi verso il palazzo dell’Hokage. A giudicare dalla sua faccia, in quel momento, stava mettendo in discussione tutte le sue scelte di vita, chiedendosi come fosse finito a trascinarsi, a mo’di cesta di arance, una ragazzina decerebrata per le strade del suo amato villaggio.
«Ma io voglio andare a mangiare il ramen!» pigolai per l'ennesima volta, cercando di divincolarmi dalla sua presa ferrea «Ho fame! Voglio vedere il villaggio! Questo è sequestro di persona, voglio il mio avvocato!» continuavo a blaterare, agitandomi qua e là come una foca impazzita; purtroppo io e la forza avevamo lo stesso rapporto che Hidan aveva con la stabilità mentale, perciò non ottenni molti risultati oltre quello di urtare i nervi delle persone che mi circondavano e di attirare lo sguardo curioso di qualche passante. Se mi fossi trovata nel mio mondo probabilmente qualcuno si sarebbe fatto un paio di domande vedendo una ragazzina trascinata via a forza da due loschissimi energumeni nel bel mezzo di una strada, ma lì nessuno sembrò porsi il minimo problema e continuarono a procedere tranquillamente con la loro vita. Molto utili, grazie mille, mi ricorderò di voi.
«Mi dispiace, ma prima di tutto dobbiamo scortarti dalla signorina Tsunade» mi spiegò irremovibile Shizune, che continuava a procedere a passo spedito di fronte a noi.
«Questo è abuso di potere…» borbottai ma, abbastanza sicura di non essere in grado di abbattere tre ninja addestrati avendo come unici oggetti contundenti a disposizione un paio di sandali – la situazione non sarebbe cambiata anche se avessi avuto fra le mani Excalibur-, cercai di darmi una calmata, tentando di ignorare le sonore proteste del mio stomaco che ormai era diventato praticamente la colonna sonora del mio personaggio. Avrei dovuto rassegnarmi e pensarci più tardi, magari soffermandomi su quesiti ben più importanti come "cosa accidenti ci faccio a Konoha?!".
Per queste ragioni non riuscii a vedere molto del villaggio, se non il tratto di strada che collegava l'ospedale al palazzo del Quinto Hokage: c’erano diverse bancarelle qua e là, in cui la gente si radunava a piccoli gruppi, venditori di cibo, case e decisamente troppa vegetazione per i miei gusti.
Diversamente da quello che mi aspettavo non c’era nulla di particolarmente diverso dal luogo in cui ero cresciuta, se non la mancanza di tecnologia e la presenza di persone che se ne andavano in giro con una scelta di abbigliamento, almeno a parer mio, piuttosto discutibile, alcune di esse con delle armi in bella mostra che sospettavo non fossero fatte di plastica. 
Come avevo già avuto modo di vedere nell'anime e anche nel manga, il luogo dove eravamo diretti si trovava al di sotto della parete rocciosa in cui erano scolpiti i volti degli Hokage di Konoha, dall’aspetto vagamente inquietante per chi, come me, li osservava dal basso. Mi ci sarei volentieri fatta una foto davanti, ma la mancanza di strumenti adatti e la situazione in cui mi trovavo mi impedirono di soffermarmi su quel pensiero per più di qualche secondo.
Una volta entrati nel palazzo ci trovammo di fronte ad un’immensa scalinata che portava verso i piani superiori. Deglutii a vuoto.
«Abbiamo appuntamento con l’Hokage qui sul pianerottolo vero?» nessuna risposta «Io allora vado con l’ascensor-».
Sospettai che non avessero nessun ascensore – o forse avevano semplicemente smesso di ascoltarmi dopo la duecentesima volta che li avevo implorati di lasciarmi mangiare qualcosa- dato che Patrizio procedette a passo spedito verso i gradini, trascinandosi dietro la mia povera persona; se non altro la presa ferrea che aveva sul mio braccio mi evitò di rompermi l’osso del collo verso metà scalinata, quando le mie gambe avevano deciso di smettere di svolgere il loro lavoro, facendomi inciampare più volte su una serie di gradini. Cominciavo finalmente a capire il motivo per cui Tsunade fosse dotata di polpacci marmorei spacca pavimenti, considerando che probabilmente era costretta a farsi quella scarpinata tutte le mattine – io al posto suo non ne avrei avuti nemmeno più, di polpacci-.
Arrivata finalmente in cima e con un paio di polmoni da sostituire – speravo soltanto fossero ancora in garanzia-, non ebbi nemmeno il tempo di pensare a riprendere fiato che mi condussero di fronte ad una grande porta dall’aspetto massiccio, che si rivelò essere l’entrata dell’ufficio della Godaime. Finalmente, speravo soltanto che non la tirasse tanto per le lunghe o le sarei morta sulle mattonelle per la fame e la stanchezza – non ero abituata a simili scatti di vitalità, sopratutto a quell’ora del mattino-.
Oltre la porta vi era una semplice stanza quadrata, con le pareti attraversate da grandi finestre e da delle enormi librerie piene di fogli e scartoffie, che probabilmente giacevano lì a marcire da secoli or sono. Al centro della stanza vi era posta una scrivania, ricoperta da altrettanti documenti, nella quale, in tutto il suo splendore - se così poteva essere definito-, risiedeva il Quinto Hokage, un'espressione decisamente più cupa rispetto a quella del giorno precedente - forse aveva appena perso tristemente tutti i suoi soldi in qualche losca scommessa. Sempre detto che il gioco d’azzardo faceva male-.
«… buongiorno!» esclamai dopo qualche secondo, rompendo l’atmosfera di silenzio che era scesa fra di noi, sperando di accelerare i tempi e di potermene andare finalmente a fare un giro per il villaggio.
«Buongiorno…» rispose lei, con un tono di voce così funereo che persino quello di Itachi, a confronto, sarebbe sembrato quello di una bambina iperattiva.
Teneva il mento sulle mani intrecciate, mentre i gomiti erano saldamente appoggiati alla scrivania. Quella posizione le dava un'aria piuttosto seria e tenebrosa, che non si addiceva molto all’idea che avevo del suo personaggio e la cosa non mi metteva esattamente a mio agio; beh, anche Pedro e Patrizio in piedi dietro di me ad alitarmi sulla testa contribuivano a farmi salire un pochino l’ansia.
«Perché sono qui?» tentai nuovamente, dato che non mi sembrava molto intenzionata a mandare avanti la conversazione. Eppure era stata lei a farmi portare lì in fretta e furia! Se non aveva niente da dirmi io avrei avuto molte altre cose da fare piuttosto che stare in quel posto a fissare la sua faccia afflitta.
La mia domanda in qualche modo parve sortire l’effetto desiderato, perché sembrò riscuotersi dallo stato di trance in cui si trovava fino a poco prima.
Posò i palmi sulla scrivania e si alzò dalla sedia, che gigolò fastidiosamente alle sue spalle, strisciando sul pavimento; raccolse un foglio e fece qualche passo verso di me.
«Ieri, dopo aver lasciato l’ospedale, ho controllato fra le liste dei ninja ricercati…» cominciò, continuando a rigirarsi il pezzo di carta fra le dita, rimirandolo.
«Quindi?» domandai io, tranquilla; considerando che fino al giorno prima io non esistevo nemmeno in quel mondo, sapevo che non poteva aver trovato qualcosa su di me.
Fece un altro passo in avanti, con un’espressione sempre più torva, come se si aspettasse che dovessi rivelargli chissà quale magica informazione. Che fosse un tentativo per mettermi sotto pressione e spingermi a confessare le mie malvagità, dato che le sue ricerche non avevano portato a nulla? Che strane tecniche contorte avevano a Konoha per ottenere informazioni dalla gente! Però dovevo ammettere che aveva un che di positivo il fatto che con lei non ci fosse Ibiki Morino in persona a dargli una mano.
Occhieggiai Tsunade, perplessa, in attesa che rinunciasse a qualsiasi cosa stesse tentando di fare, ma lei rimase immobile ad osservarmi con aspettativa.
Fino a prova contraria io non ero una ninja, non avevo mai avuto un villaggio da tradire e sicuramente non mi era mai capitato di andare in giro a commettere qualche reato – se non scaricare film illegalmente da internet ma suvvia, era una cosa che facevano tutti!-. 
«Quindi» fece lei, riprendendo le mie stesse parole «Cosa ne dici di questo?» fece, con tono di sfida, mettendomi davanti alla faccia quello che era il contenuto del foglio.
La prima cosa che attirò il mio sguardo fu la foto di una giovane ragazza, dall’aria altezzosa e sicura di sé; guardava l’obbiettivo quasi con sfida e sembrava essersi messa in posa per essere fotografata. Da quello che riuscivo a vedere era impegnata in un combattimento: tra le mani stringeva una grande falce con una catena, che stava usando per difendersi da un ninja, almeno due volte più grande di lei. I capelli biondi, leggermente mossi, erano schiacciati da un cappellino blu e ondeggiavano intorno a lei, dandogli tutto tranne che un’aria di pericolosità. 
Accanto alla foto erano appuntate diverse informazioni, ma non ero in grado di decifrarne la scrittura – cosa strana dato che parlavamo la stessa lingua-. L’unica cosa che riuscii a capire era che si trattava di una ninja traditrice di un qualche villaggio, anche se a giudicare dal suo aspetto sembrava una normalissima ragazzina dal volto infantile. Non ci si poteva proprio fidare di nessuno, in quel mondo.
«E… cosa c’entra questo come me? Non l’ho mai vista prima d’ora, quella» chiesi confusa, riportando lo sguardo verso l’Hokage.
Qual era il senso di mostrarmi qualcosa del genere? Sperava avessi informazioni su quella ninja? Per quale motivo pensava potessi conoscerla? Non l’avevo mai neanche vista nell’anime, probabilmente non era altro che un’inutile comparsa.
Di tutta risposta l’Hokage si limitò ad inarcare un sopracciglio, come se fosse qualcosa di ovvio, che avrei dovuto capire da sola. 
Corrugai leggermente la fronte, riportando lo sguardo sul foglio per capire se mi fossi persa qualcosa per strada; anche se fosse stato così ero abbastanza sicura di non riuscire a sbloccare magicamente l’abilità di leggere i loro ideogrammi.
«Non riesco a capire…» ripetei nuovamente, dopo quale minuto in cui avevo sperato che l’illuminazione mi cogliesse – invano-.
«Perché continuare a bluffare arrivati a questo punto?» mi incalzò Tsunade, facendo un altro passo verso di me.
Cominciavo ad avere il sospetto che ci fosse andata giù pesante con il sakè, quella mattina.
«Per quale motivo dovrei bluffare? Non ho la più pallida idea di chi sia quella tipa!» esclamai, perplessa, per poi sospirare profondamente «Ora, se non c’è altro, io me ne andrei volentieri a mangiar-» ma non feci in tempo a voltarmi che la Godaime aveva afferrato uno dei miei polsi con una mano, interrompendo il mio tentativo di uscire da quella situazione, della quale ci stavo capendo sempre molto meno. Alle mie spalle sentii Pedro e Patrizio portare una mano verso le loro armi, facendomi rabbrividire.
«Ahi, mi fa male!» squittii, sentendo la sua salda presa contro la mia pelle «Non ho davvero idea di cosa voglia, non c’è bisogno di mettersi a sfogare la sua rabbia su di me! Si compri una pallina anti-stress o qualcosa del genere!» le consigliai, con le lacrime agli occhi per il bruciore al polso – il manga non scherzava quando parlava della sua forza- e per l’improvvisa piega che avevano preso gli eventi.
Come diamine ero finita in quella situazione? Cosa avevo fatto di male? Per quale accidenti di motivo l’Hokage di Konoha si era messa in testa che fossi collegata a chissà quale ninja traditore?
Mugugnai qualche imprecazione, sentendo la presa stringersi maggiormente, così tanto che pensai che mi si stessero per sbriciolare le ossa.
«Hai intenzione di continuare a negare l’evidenza?» ruggì lei, irritata con me per delle ragioni che proprio non riuscivo a comprendere «Non so se si tratti di una qualche forma di amnesia o se tu stia solo fingendo, ma come capo di questo villaggio non posso ignorare i tuoi crimini!».
«Perché non ne discutiamo civilmente, per favore?!» mugugnai io, tirando il braccio verso di me, ma non riuscendo a liberare la mano.
«Il tempo delle discussioni è finito nel momento in cui hai tentato la fuga, Fuko Yamamoto» affermò lei irremovibile e alle mie spalle sentii la porta della stanza aprirsi, mentre dei ninja - tanti ninja, troppi ninja- facevano il loro ingresso, come se Pedro e Patrizio non fossero una presenza già abbastanza opprimente di loro.
Mi si gelò il sangue nelle vene quando vidi le maschere che indossavano: prima di allora non avevo mai pensato potessero risultare così spaventose - infondo vi era ritratto sopra il muso di un gatto- eppure l’aura omicida che le circondava le rendevano tutto tranne che piacevoli da ritrovarsi improvvisamente alle spalle.
Per quale diamine di motivo tutti quegli anbu si stavano avvicinando a me con delle spade affilate? Non è che avessi tentato chissà qualche fuga rocambolesca, poi! Che esagerati che erano a Konoha, avrei potuto fare ben di peggio - come colpire la Godaime con Patrizio, rovesciare la scrivania, per poi gettarmi dalla finestra con una risata malvagia, portandomi via tutte le sue scorte di sakè-.
Deglutii a vuoto, mentre cercavo di riordinare i miei pensieri, probabilmente gli ultimi se le cose fossero continuate in quel modo; l’Hokage si era rivolta a me con il nome di “Fuko Yamamoto”, probabilmente la nukenin di cui mi aveva appena mostrato la documentazione. Per quale motivo pensava fossimo la stessa persona? Eppure non ci assomigliavamo minimamente! Inoltre perché, se aveva intenzione di attaccarmi sin dall’inizio, si era sprecata a portarmi fino a lì? Temeva che se mi fossi trovata in mezzo alla gente mi sarebbe preso un raptus in stile Kakuzu e avrei fatto fuori qualche abitante del suo villaggio? Io?! Che l’unica cosa che avrei mai potuto eliminare sarebbe stata me stessa, cadendo nella doccia?
Accidenti, non andava affatto bene, persino io me ne rendevo conto. Dovevo trovare un modo per andarmene da lì, una qualche fuga intelligentissima e spettacolare… lo sapevo che mi sarei dovuta lanciare dalla finestra quando ne avevo ancora l’occasione!
L’ostacolo più grande era Tsunade: continuava a tenermi il braccio, impedendomi qualsiasi movimento con la sua forza disumana e io sicuramente non avevo intenzione di tranciarmelo o rompermelo in modo epico per liberarmi. Inoltre, anche nel caso fossi riuscita a divincolarmi dalla sua presa, ero piuttosto sicura che con le mie fantastiche doti da atleta non sarei riuscita a seminare uno squadrone di anbu addestrati. Che poi, con la forza che mi ritrovavo, una volta arrivata alla finestra probabilmente, invece di spaccarla e riuscire a lanciarmi di sotto, mi ci sarei spiaccicata sopra indegnamente, come una mosca.
Più ci pensavo e ci ripensavo, più ogni possibile scenario si concludeva con me, morta contro il pavimento, in una pozza di sangue. Era finita, lo sentivo… il mio secondo giorno a Konoha sarebbe stato anche l’ultimo, la mia solita fortuna!
Chiusi gli occhi, mostrando a tutto il mondo quello che era il mio grande coraggio. Sinceramente, in quel momento, l’impressione che avrei potuto dare agli altri era l’ultimo dei miei pensieri, stavo per essere uccis-
«Lasciatela.» ordinò qualcuno, la voce roca e profonda.
Spalancai gli occhi, voltandomi automaticamente verso la fonte di quelle parole. Sul davanzale della finestra, accovacciato come una tigre in attesa di balzare sulla propria preda – posizione che faceva molto ninja, a parer mio-, c’era un uomo che non avevo mai visto prima – un’altra inutile comparsa?-, avvolto da un mantello nero; i capelli corvini ricadevano in modo scomposto sulle sue spalle, mossi leggermente dal vento, lasciando intravedere una piccola cicatrice che gli percorreva lo zigomo. Gli occhi, viola – e probabilmente non stava indossando delle lenti a contatto-, brillavano minacciosamente, puntati verso l’Hokage, quasi come se volessero incenerirla. Era… un alleato? Sinceramente in quel momento avrei accettato volentieri anche la mano serpentosa di Orochimaru pur di uscire da casino in cui mi ero ritrovata.
Gli anbu si voltarono verso la direzione del nuovo arrivato, pronti all’attacco, mentre Pedro e Patrizio continuavano a puntare la spada contro la mia schiena.
«Chi sei tu?» tuonò Tsunade, che non appariva molto contenta da quell’interruzione, bloccando momentaneamente con un gesto della mano l’attacco dello squadrone.
Un sorriso divertito, ma allo stesso tempo inquietante, affiorò nel viso del nuovo arrivato.
L’uomo non rispose alla domanda, limitandosi a socchiudere gli occhi e, prima che potessi rendermi conto di quello che stava succedendo, mi ritrovai fra le sue braccia, il polso improvvisamente più leggero, libero dalla presa dell’Hokage.
Feci in tempo solamente a scorgere la figura della Godaime contro la scrivania e quella degli anbu che si accingevano ad ucciderci quando, con un rapido gesto delle mani, lasciò cadere nella stanza una specie di pallina di carta, che esplose in una nuvola di fumo densissima.
Minimamente turbato dalla mancanza di visibilità - e non prestando particolare attenzione al fatto che fossi in procinto di sputare a terra i miei stessi polmoni a causa di quella strana sostanza che aveva invaso la stanza- corse verso la finestra e, senza neanche avvertirmi, si lanciò oltre di essa.
Dopo un primo momento di confusione generale in cui tutto mi sembrò procedere a rallentatore venni investita da un terribile senso di vuoto, che mi fece accapponare la pelle e rivoltare lo stomaco.
«I-io soffro di vertigini!» gli urlai nelle orecchie, lanciandogli le braccia al collo e piantandogli una testata molto poco gentile contro le clavicole, nel vano tentativo di non perdere l'equilibrio e spiaccicarmi malamente al suolo come dell'amabile sterco di piccione.
Dopo un istante di smarrimento, dovuto ai miei schiamazzi sconnessi e isterici, l’uomo riacquistò la sua stabilità e, con una grazia che non riuscivo a spiegarmi, cadde perfettamente in piedi, tranquillissimo, neanche fosse reduce da una passeggiata mattutina in mezzo ai fiori e alle farfalle.
«Direi che è il caso di andarsene» constatò pacato, lanciando un’occhiata agli anbu che si stavano precipitando verso di noi, in maniera molto poco amichevole.
L’uomo misterioso iniziò a correre, con una velocità che non credevo potesse essere raggiunta da un essere umano, tenendomi stretta fra le sue braccia - a cui mi ero arpionata come un gatto spaventato- e senza mostrare il minimo segno di fatica.
«D-dove stiamo…?» tentai di chiedere a fatica, a causa dell’aria che sferzava contro il mio viso per la rapidità con cui ci stavamo spostando, facendomi lacrimare gli occhi e trasformando i miei capelli – che in quel momento mi apparvero vagamente più chiari di quello che mi ricordavo, ma non avevo tempo per soffermarmi su un simile pensiero- in un nido di vespe indistinto.
«Per il momento, molto lontano da qui» rispose semplicemente lui, entrando all’interno di una foresta.
 
Nello stesso istante i due membri dell’Akatsuki erano giunti davanti al palazzo dell’Hokage, attirati dall’improvviso trambusto che aveva scosso il villaggio, giusto in tempo per scorgere un uomo correre via in tutta fretta, fra le sue braccia quello che pareva essere proprio il loro obbiettivo.
«A quanto pare siamo arrivati tardi, uhm» constatò Deidara, portando un dito all’apparecchio meccanico che copriva il suo occhio sinistro; questo gli permise di allargare il suo campo visivo, andando ad inquadrare perfettamente il viso della ragazza in questione. 
«E’ proprio lei, ”Fuko Yamamoto”» confermò al compagno di squadra «Insieme allo stesso tipo dell’altra volta. L’avevo detto che dovevamo farlo esplodere quando ne avevamo l’occasione, uhm» aggiunse, un sorrisetto che gli increspava il volto nel notare l’impazienza e la frustrazione del marionettista accanto a lui.
Il rosso aggrottò impercettibilmente le sopracciglia, infastidito dalla piega che stava prendendo la loro missione: fino a che Fuko fosse stata da sola non ci sarebbero stati problemi, ma con l’arrivo di quel tipo la faccenda si faceva più seccante e loro erano già in ritardo sul piano di marcia; e lui odiava far aspettare le persone…
«Che facciamo, Danna?»  domandò allora il biondino, portando le mani verso le borse fissate saldamente ai suoi fianchi «Il leader non sarà molto contento che il suo prezioso obbiettivo ci sia stato portato via sotto il naso, sopratutto dopo tutta la fatica che ha fatto per farlo arrivare qui».
«Sbrighiamoci a seguirli» rispose brusco l’altro, voltando lo sguardo nella sua direzione «Non dobbiamo lasciare che si allontanino troppo, lei è troppo instabile e non possiamo permettere che il suo contenitore venga danneggiato».
«Ricevuto» si limitò a dire Deidara con un sorrisetto, lanciando davanti a sé una scultura a forma di uccello; dopo aver composto un sigillo con le mani essa si ingigantì, pronta per trasportarli; non avevano più tempo di pensare al non dare nell’occhio.
«Andiamo a riprendercela, uhm» affermò il biondo, salendo assieme al compagno con un balzo sulla sua opera, che sbatté le grandi ali, spiccando il volo.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3 
 
Il ragazzo che aveva fatto irruzione all’interno del palazzo del Quinto Hokage mi lasciò andare soltanto quando fu completamente sicuro di aver seminato i nostri inseguitori. Per quanto mi riguardava io avrei smesso volentieri di farmi sballottare qua e là come un sacco di patate anche qualche chilometro prima, ma lui non era stato della stessa opinione – e non aveva avuto neanche tutti i torti dato che, appena mi aveva posata a terra, ero finita per inciampare su una radice. Odiavo sempre di più la natura-. 
Mi guardai intorno: ci trovavamo nel mezzo di una foresta – che novità, era da quando ero arrivata a Konoha che la flora di quel luogo mi perseguitava-, dove gli alberi erano così alti da impedirci di scorgere il cielo; le loro folte chiome catturavano i raggi del sole, impedendogli di attraversarle e gettavano una sinistra atmosfera di oscurità tutt’intorno a noi, nonostante fosse ancora pieno giorno. Come se non bastasse, migliaia e migliaia di insetti ronzanti, dalle dubbie forme e probabilmente ancora sconosciuti alla scienza, volavano ovunque, pericolosamente vicini al mio corpo.  
«Sei andata fuori di testa?!» sbottò allora l’uomo, prendendo finalmente parola e mettendo fine al silenzio imbarazzante che era calato fra di noi, la voce alterata «Che ti è saltato in mente di farti vedere a Konoha?» aggiunse poi, accompagnando le sue parole con degli esagerati gesti delle mani – e allontanando, per mio grande sollievo, una sottospecie di libellula rugosa che stava per sconfinare nel mio spazio vitale-.  
, probabilmente era vero, la mia sanità mentale era gravemente compromessa – lo avevo intuito quando mi ero risvegliata all’interno di un anime-, ma non era proprio piacevole sentirselo dire da uno sconosciuto a caso; sconosciuto che, tra l’altro, mi aveva appena sollevata come una cesta di arance e si era lanciato giù, senza neanche avvertirmi, da un palazzo - da un cavolo di palazzo! Potevo morire malissimo!- finendo per coinvolgermi in una gara di corsa improvvisata con un gruppo di Anbu assetati di sangue; certo, con molte possibilità mi aveva anche salvata dall’essere uccisa senza un motivo apparente, ma per colpa sua avevo quasi perso dieci anni di vita ed ero piuttosto sicura che, dopo tutto quello sballottamento, il mio stomaco avesse cambiato posizione con quella di qualche altro organo.  
«Ehm… so che potrebbe non essere molto carino da dire visto che mi hai appena aiutata, ma…» cominciai, vagamente a disagio, riavviandomi compulsivamente una ciocca di capelli ribelli – ultimamente facevo fatica a controllarli- dietro l’orecchio «… chi sei?». 
Mi era capitato un numero indicibile di volte di dimenticarmi della gente che conoscevo e di trovarmi in situazioni imbarazzanti in cui degli sconosciuti – almeno a parer mio- mi salutavano per strada e cominciavano con me lunghe conversazioni sui bei tempi andati senza che io avessi minimamente idea di chi fossero; tuttavia, almeno in quell’occasione, ero piuttosto sicura di non aver mai visto neanche da lontano il ninja che mi si parava davanti, anche perché sarebbe stato un incontro che persino la mia memoria da pesciolino rosso avrebbe fatto fatica a rimuovere. C’era anche da dire, però, che in quel momento non ero al massimo della lucidità mentale, i miei ragionamenti non erano propriamente attendibili e la fame non aiutava di certo nell’impresa - ma vedevo sempre più improbabile l’idea di riuscire a raggiungere da lì un McDonald strategico, visto come stavano andando le cose-.  
«… stai scherzando, vero?» chiese lui di rimando dopo qualche istante, sbigottito.  
«Ehm... n-no?» balbettai, accennando poi quello che nella mia testa sarebbe dovuto apparire come un sorrisino affabile, nel tentativo di rendere l’atmosfera meno pesante - o almeno provandoci, probabilmente sembrò più il principio di una paralisi facciale-.  
Non volevo ferire i suoi sentimenti di povero ninja che si era appena messo nei casini con Konoha per salvarmi, ma non avevo la minima idea di quello che stesse dicendo. 
L’atmosfera che aleggiava tra di noi era diventata a dir poco insostenibile dopo quello scambio di battute e lo sguardo che mi rivolse era così intenso che per un attimo temetti di prendere fuoco sul posto – non me ne sarei nemmeno sorpresa più di tanto, non sarebbe stato di certo il primo a mettersi a sparare fiamme dagli occhi, in quel mondo-.  
«Sono stati quelli dell’Akatsuki?» domandò allora sospetto, avanzando verso di me di qualche passo «Ti hanno fatto il lavaggio del cervello o qualcosa del genere?» ipotizzò, prendendomi il viso tra le mani e sporgendosi verso di me in modo decisamente preoccupante, sotto il mio sguardo oltremodo inquietato dalla sua vicinanza. Cos’era quella improvvisa scena random da Shōjo manga? 
«L’Akatsuki?» gli feci eco io, confusa «N-no. Non li ho mai incontrati». 
Purtroppo avrei voluto aggiungere; beh, da una parte era stata anche una fortuna dato che se me li fossi trovata veramente davanti probabilmente non sarei stata lì per raccontarlo - sia perché mi avrebbero annientata nel giro di qualche secondo, sia per l’infarto che mi sarebbe venuto a causa di tutta quella magnificenza-. 
«Non riesci a ricordare assolutamente nulla di me?» continuò lui, senza muoversi da quella posizione che stava diventando sempre più imbarazzante e premendo le dita contro le mie tempie, per poi spostare le mani sulla superficie della nuca, facendomi sussultare quando incontrarono la ferita ancora fresca che avevo alla testa.  
Se quello era un tentativo di rimettermi a posto il cervello non stava minimamente funzionando, anzi, avrei gradito ritirasse in fretta i suoi tentacoli dalla mia faccia – non che fosse una brutta visione eh, ma non mi sentivo esattamente in vena, dopo quella giornata devastante, di intraprendere un’avventurosa storia d’amore con una comparsa a caso nel bel mezzo di un bosco. Beh, in realtà se con me ci fosse stato un certo dinamitardo biondo  avrei anche potuto farci un pensierino. Ogni riferimento a cose o persone era puramente casuale-. 
«No, non ti ho mai visto prima» ribadii nuovamente, arretrando un po’ nel tentativo di mettere un po’ di spazio fra di noi.  
Con mia grande sorpresa divincolarmi dalla sua presa non fu affatto complicato – signorina Tsunade, dovrebbe imparare da lui- e mi lasciò tranquillamente riprendere la distanza che desideravo. 
«Credo che tu mi stia confondendo con qualcun’altra» affermai, annuendo come per dare maggiore veridicità alle mie parole «Vedi, anche là al villaggio di psicopatici mi hanno scambiata per una certa F-qualcosa. Comunque non sono io, non la conosco nemmeno» provai a spiegare, mentre lui aggrottava la fronte.  
Perché mi guardavano tutti in quel modo quando negavo di essere una ragazzina che non avevo mai neanche sentito nominare prima? Che problemi avevano?! C’era un’epidemia di rincretimento generale in giro per quel mondo di cui non ero a conoscenza, per caso? 
«Che tu sia Fuko non c’è alcun dubbio, non potrei mai scambiarti con nessun’altra» mi contraddisse lui, facendomi inarcare un sopracciglio. 
Invece sei completamente fuoristrada... 
«Mi dispiace, ma non sono la ragazza che pensi.» ripetei, vagamente esasperata dalla sua insistenza «Il mio nome è Ambra Ricci e vengo… beh, da un luogo piuttosto lontano da qui. Sono una studentessa a tempo perso e non mi è mai capitato di essere una ninja o cose simili. Magari!». 
Nonostante la mia accuratissima spiegazione non sembrò convincersi di ciò che gli avevo appena detto, almeno a giudicare dall’espressione da “quanto sakè ti sei scolata ieri sera?” che mi stava rivolgendo. Tzé, per chi mi aveva presa? Non ero mica come quell’Hokage degenere di Konoha! 
Cominciava a diventare piuttosto snervante il fatto che nessuno volesse credere a quello che dicevo; insomma, potevo anche capire che non ero il massimo dell’affidabilità, ma almeno il mio nome riuscivo a ricordarmelo!  
«Hai detto che ti chiami Ambra, giusto?» ripeté lui, dopo qualche attimo di silenzio, pensoso «In vita mia non ho mai sentito un nome del genere…» fece tra sé e sé, portandosi una mano al mento e guadagnandosi un’occhiata profondamente offesa da parte mia – anche se probabilmente apparsi più come una sottospecie di chihuahua imbronciato-.  
Aveva parlato quello della patria dei nomi normali! Volevamo forse ricordare che Minato e Kushina – pace all’anima loro- avevano chiamato loro figlio come un ingrediente del ramen? O che il significato del nome del temibilissimo Vendicatore era “scoiattolo”? Sarei potuta andare avanti all’infinito con esempi di quel tipo! 
«Non ti azzardare più a insultare il mio nome!» lo avvertii, puntandogli il dito contro minacciosamente, piuttosto certa che non avrei potuto comunque fargli molto, oltre che provare a simulare qualche attacco ninja visto nell’anime e finire per ferire me stessa nel tentativo. Avevo già abbastanza complessi su come mi chiamavo di mio grazie ad alcuni simpaticissimi compagni di classe che adoravano tormentarmi per cose a caso – solo perché il mio nome non era diffuso quanto quello degli altri non voleva mica dire che fossi un alieno o che ci fosse qualcosa che non andava in me! Erano le loro menti limitate a non riuscire a coglierne l’indiscussa magnificenza-; non avevo proprio bisogno che ci si mettesse anche lui. 
«Ok, ok…» sospirò, scuotendo la testa e alzando le mani in segno di resa, capendo che così non saremmo arrivati da nessuna parte «Puoi spiegarmi per filo e per segno tutto quello che ti è successo prima che ci incontrassimo? Ho bisogno che mi aiuti a capire» domandò poi, con tono fastidiosamente accondiscendente.  
Feci per aprire bocca, pronta a lanciarmi in un appassionatissimo resoconto delle mie ultime ventiquattro ore di improbabili vicissitudini, ma il borbottio infastidito del mio stomaco squarciò l’atmosfera, riecheggiando tutt’intorno a noi in modo alquanto imbarazzante. 
«… da quanto tempo non mangi?» chiese a quel punto lui, senza preoccuparsi di nascondere il sorrisino di scherno che gli stava increspando le labbra. 
Finalmente una domanda sensata! 
 
Qualche ora più tardi – un tempo infinito per una che, come me, era dotata della stessa pazienza che Sasuke avrebbe mostrato di fronte alla testa di Itachi- ci ritrovammo in un villaggio piuttosto affollato.  
Era ormai scesa la sera, ma le stradine erano illuminate da diverse lanterne, che davano a quelle vie una leggera sfumatura dorata e accogliente, riflettendosi sui volti dei passanti che, per mia grande gioia, mi superavano senza nemmeno degnarmi di un’occhiata; entrando in quel villaggio, infatti, ero stata colta dalla leggera ansia che l’Hokage potesse aver messo una taglia o cose simili sulla mia testa e che, appena mi fossi mostrata in un luogo pubblico, la gente avrebbe cominciato a uscire da ogni dove per attaccarmi – stare in quel mondo mi stava facendo diventare vagamente paranoica; cominciavo a capire perché la maggior parte delle persone che ci vivevano non erano mentalmente molto stabili-. 
Mi trovavo poco più indietro rispetto a Ryu, questo era il nome dell’uomo misterioso, che procedeva a passo spedito di fronte a me, quasi come se fosse stato in quel villaggio centinaia di volte e lo conoscesse come le sue magiche tasche ninja, mentre io continuavo a guardarmi intorno spaesata, di tanto in tanto inciampando sui miei stessi piedi, attirata da ogni minimo dettaglio che mi si presentava davanti. Non avevo fatto in tempo, mio malgrado, a fare un po’ di sano turismo a Konoha e questa volta non avevo intenzione di lasciarmi sfuggire la possibilità di esplorare un po’ quel posto, così diverso dalla città a cui ero abituata. 
«Ehi!» esclamai ad un tratto, per richiamare la sua attenzione «Anche Fuoko è una ninja come te, giusto?». 
«Fuko» mi corresse lui, per l’ennesima volta in quella giornata, voltandosi poi nella mia direzione «Sì, lo è» confermò, portando una mano all’interno del suo mantello e tirandone fuori un coprifronte sotto la mia espressione accigliata; non era scomodo andarsene in giro con un affare di metallo di quella dimensione appeso sotto un’ascella? Io non sopportavo nemmeno di tenere il cellulare in tasca – anche se effettivamente sarebbe stato molto utile averlo con me in quel momento. Se non altro per farmi qualche selfie panoramico qua e là e dimostrare di non essere totalmente impazzita una volta tornata a casa. Perché ci sarei tornata, no?-. 
«Questo coprifronte è suo?» chiesi, gli occhi che cominciavano a luccicare quando mi permise di toccarlo. 
«No, l’ho strappato via da un cadavere di una vecchia trovato a terra e me lo sono tenuto come souvenir. Non fare complimenti, te lo regalo» 
Per un attimo temetti veramente che se ne sarebbe uscito con una risposta del genere – infondo i ninja erano bestioline dalla moralità piuttosto discutibile-, ma per fortuna si limitò ad un innocente cenno di assenso. 
Una volta appurato che non fosse stato trafugato da chissà quale cadavere potevo finalmente concedermi un momento di sano fangirleggiamento – cosa che mi era risultata parecchio difficile nelle ultime ore-: avevo sempre desiderato vedere un vero, vero coprifronte – non una delle tristissime imitazioni che vendevano alle fiere del fumetto-, ma quando lo presi fra le mani non potei a fare a meno di domandarmi come accidenti facessero i ninja a combattere con quel macigno appeso alla faccia – o ero io che avevo la stessa composizione muscolare di budino?-.  
Percorsi con le dita la fredda superficie, soffermandomi sul taglio che spiccava al centro e che attraversava il simbolo del villaggio della Nuvola, un sorrisetto ebete stampato in faccia; per qualche strana ragione avevo un’infinita passione per i ninja traditori: tutta colpa di Kishimoto che continuava a bombardarmi di cattivi sexy che mettevano in discussione i miei principi morali. 
Quando, dopo qualche minuto, sollevai il viso, fui attraversata da una sensazione indescrivibile, come se improvvisamente tutte le mie certezze si fossero sbriciolate. Il mio sguardo si era posato di sfuggita sulla vetrina di un negozio di alimentari, ma l’immagine che avevo scorto con la coda dell’occhio non mi apparteneva; si trattava della ragazza di cui avevo visto la foto nell’ufficio dell’Hokage, che in quel momento ricambiava il mio sguardo con la bocca spalancata oltre ogni limite umano.  
Più che il senso di sconvolgimento per l’essermi ritrovata improvvisamente in un corpo che non mi apparteneva, per un attimo prevalse il sentimento di turbamento nei miei stessi confronti, per non essermene resa conto prima. Ora capivo perché l’Hokage si fosse arrabbiata così tanto: era palese che quella ragazza fosse Fouk-Fiko-Fuko, o come si chiamava! 
Come avevo fatto a non accorgermi di essere qualcun’altro? Insomma, alla faccia della piccola distrazione! Era vero che da quando ero arrivata a Konoha non avevo visto uno specchio neanche da lontano – era già tanto che nella tristissima stanza d’ospedale in cui mi avevano ricoverata ci fosse stato un letto in effetti-, ma quello non era esattamente un piccolo cambiamento che poteva passare inosservato; non si trattava di una frangia più corta o di un brufolo spuntato a tradimento sulla fronte, non c’era assolutamente nulla di me nell’immagine che ricambiava il mio sguardo spaesato… e poi avevo anche il coraggio di prendermela se qualcuno non notava il mio nuovo taglio di capelli! 
Avanzai qualche passo incerto verso il negozio e il mio riflesso fece la stessa cosa, con le mani serrate attorno al coprifronte, finché non arrivai a toccare la vetrina con la punta del naso.  
Per quale motivo ero così? Che cosa diamine significava? Non solo non mi trovavo nel mio universo, ma nemmeno nel mio corpo?! 
«C’è qualcosa che non va?» mi chiese Ryu, che aveva assistito in silenzio alla lenta dipartita dei miei poveri neuroni. 
Boccheggiai per qualche istante, incapace di formare una frase di senso compiuto e indicai la vetrina del locale, che lui osservò perplesso, tentando di capire cosa mi turbasse tanto dell’assortimento di mochi che vi era esposto. 
«Io non sono Fuko!» riuscii finalmente ad articolare, continuando a indicare indispettita l’immagine che mi si parava davanti, giusto per continuare a negare l’evidenza «I-io… mi chiamo Ambra… e… e… insomma! Questa qui... questa tizia... sembra poco più di una bambina! Io non sono così! Io...» cominciai a blaterare, per poi riportare lo sguardo sconvolto verso il riflesso della biondina dai tratti infantili, che mi stava fissando di rimando con i suoi occhi violetti ben spalancati – già, violetti… era una cosa possibile? Non è che aveva qualche patologia strana che mi avrebbe portata alla morte di lì a poco, vero?-, piuttosto simili a quelli del ragazzo, ma in quell’istante avevo troppi pensieri in testa per poter notare una cosa simile. 
L’uomo scosse la testa con un sospiro, e alcuni ciuffi castani gli finirono sul viso «Sì, sì. Ho capito» acconsentì lui, probabilmente stanco di continuare a discutere con il mio singolo neurone esaurito «Ora ti porto a mangiare qualcosa e poi potremmo discutere con calma di quello che sta succedendo, ok?» propose, appoggiandomi le mani sulle spalle e spingendomi delicatamente via da quel negozio, mentre io mi limitavo ad annuire distrattamente, cercando ancora di processare quello che era appena successo. 
Così come mi aveva detto, Ryu mi portò in un piccolo ristorante, meno affollato rispetto alla parte del villaggio in cui ci trovavamo poco prima, le cui pareti erano completamente rivestite da del legno color miele. Mi fece sedere ad un tavolino abbastanza appartato rispetto agli altri e, dopo aver ordinato qualcosa che nemmeno compresi, troppo concentrata nel cercare di dare una spiegazione logica a quello che era appena accaduto, prese posto davanti a me. 
«Non ti ricordi chi sei, giusto?» chiese conferma lui, che finalmente cominciava ad accettare la cosa. 
«Io so chi sono! Solo che in questo momento sono qualcuno che non dovrei essere!» provai a spiegare, ancora nel pieno della confusione, risultando molto più contorta di quanto avessi effettivamente desiderato. 
 
«A quanto pare la tecnica ha funzionato, eh Danna?» fece Deidara al suo compagno, il capo abbandonato contro il muro di pietra alle sue spalle.  
Non aveva mai sentito parlare di un jutsu del genere – e sinceramente, fino a poco tempo prima, non aveva nemmeno idea che una cosa simile fosse possibile- e aveva assistito alla cerimonia con non poche perplessità, ma a quanto pareva il loro leader aveva fatto centro. 
Il duo di artisti si trovava seduto al di sopra di alcune vecchie casse di legno in un vicolo poco trafficato, al sicuro dagli sguardi indiscreti dei passanti e protetti dall’ombra, che avvolgeva le loro figure.  
Poco prima il dinamitardo aveva modellato un piccolo ragno d’argilla, facendogli seguire la coppia all’interno del locale; in quel preciso momento la sua opera si trovava al di sotto del tavolo in cui il loro ignaro obbiettivo stava comodamente seduto e questo permetteva loro di ascoltare indisturbati la loro conversazione. Si sarebbero limitati a pedinarli fino a che non fossero stati sufficientemente lontani da quel luogo abitato, per poi poter agire indisturbati ed evitare di attirare l’attenzione dell’intero villaggio su di loro. Meno persone notavano quella ragazza, meglio era. 
«Mi sono risvegliata in mezzo alla foresta di Konoha e mi sono detta: ”Beh, non è un male, infondo è sempre stato il mio sogno”, ma poi l’Hokage mi aizzato contro un gruppetto di Anbu e tutto è degenerato...» stava sbraitando la ragazza, una certa isteria nel tono di voce. 
«Sognavi di risvegliarti in mezzo alla foresta di Konoha?» fece eco l’altro, scettico, sollevando un sopracciglio nel sentire quelle parole.  
«No. Il mio sogno era quello di poter entrare in questo mondo!» ribatté la ragazza, aprendo le braccia per indicare lo spazio intorno a lei, come per sottolineare il concetto, il viso del compagno sempre più turbato «Non ne ho parlato con nessuno a Konoha perché temevo che mi avrebbero presa per pazza, ma dubito di poterti farti un’impressione peggiore di quella che ho già fatto, quindi posso anche dirtelo» in realtà moriva semplicemente dalla voglia di parlarne con qualcuno «Vedi, da dove vengo io questo mondo è solo un... un manga! E anche un bellissimo anime aggiungerei!» rivelò lei dopo qualche secondo di studiata suspense, con fin troppa enfasi nel tono di voce, come se avesse appena svelato il segreto ultimo della natura. 
«Cosa?» chiesero all’unisono Deidara e Ryu, oltremodo confusi da quelle parole. 
«Fa’ silenzio.» lo ammonì Sasori con sguardo fermo, concentrato su quella strana conversazione; dovevano essere pronti a intervenire in caso cominciasse a farsi sfuggire troppe informazioni, soprattutto se queste riguardavano la loro organizzazione. Il loro capo li aveva avvisati che, per qualche motivo che non aveva voluto ben specificare, possedeva numerose conoscenze su di loro. 
«Un manga può essere definito come una sorta di… libro con delle immagini? Mentre un anime in prati-». 
«So che cosa sono, vai avanti» la interruppe l’altro, facendole segno di proseguire, per capire dove volesse andare a parare con quella spiegazione a dir poco improbabile. Tra i vari scenari che aveva provato a immaginarsi, questo era qualcosa che andava completamente fuori da ogni possibile previsione. Quella ragazzina stava dicendo la verità? Stava delirando? Poteva fidarsi delle sue parole? Soltanto perché aveva il suo corpo e il suo chakra non voleva dire che si trattasse necessariamente di un alleato. Non sapeva a chissà quale tecniche e torture l’organizzazione poteva averla sottoposta, non poteva permettersi di abbassare la guardia. 
«Questo in particolare si chiama “Naruto” e racconta di questo mondo, dell’Akatsuki e così via. Io… lo so che suona strano ed è qualcosa di completamente impossibile... ma per qualche motivo mi ci sono ritrovata dentro» spiegò, per poi rivolgere un’occhiatina perplessa all’uomo di fronte a lei «Per questo conosco già la maggior parte dei personag-, delle persone di questo posto, però... non ti ho mai visto prima » ammise, studiando la figura che si trovava di fronte a lei, nel tentativo di richiamare qualche possibile ricordo che le stava sfuggendo «E nemmeno Fuko». 
«… dimmi di più» la invitò l’altro a continuare dopo qualche attimo di silenzio. Era possibile avvertire una certa perplessità nel suo tono di voce, ma la ragazzina non ci fece particolarmente caso e andò avanti con la sua parlantina. Deidara era piuttosto sicuro che Sasori non avrebbe gradito i suoi modi di fare quando se la sarebbe trovato davanti. 
«Beh, la storia è per lo più incentrata su Naruto Uzumaki, in cui è sigillato lo spirito della volpe a nove code e sui suoi compagni di squadra: “Sasuke Uchiha”, lo psicolabile fratello di Itachi, che poi va da Orochimaru e pianta casini, e “Sakura Haruno”, una fastidiosa oca con crisi di inferiorità che detesto, in particolare da quando ha ucciso Sasori. In modo del tutto improbabile, vorrei aggiungere. Se non avesse avuto la corsia preferenziale dei protagonisti non sarebbe mai, MAI successo. Ah! Sasori è un membro dell’Akatsuki, è un marionettista! E’ praticamente un genio in tutto quello che fa» cominciò a raccontare fin troppo velocemente Fuko, assorbita completamente da quell’argomento che l’appassionava così tanto, senza dare un vero e proprio senso logico alla cascata di parole che uscivano dalla sua bocca. 
Il marionettista in questione aggrottò le sopracciglia, turbato, perdendo per un attimo l’indifferenza che da sempre lo caratterizzava. Sakura Haruno? Ucciso? Che cosa stava dicendo quella mocciosa? 
«Senti, senti Danna, ti farai ammazzare da “un’oca con crisi di inferiorità”!» lo sbeffeggiò il biondo in tutta la sua solidarietà, citando le stesse parole che aveva usato la ragazzina. 
«Ti consiglio di chiudere quella bocca, se ci tieni alla tua vita» lo minacciò di rimando il rosso, assottigliando lo sguardo, ma nemmeno il suo tono di voce gelido riuscì a scalfire minimamente il compagno. 
«… facevi più paura da dentro la tua marionetta, uhm» constatò semplicemente l’altro, le braccia incrociate mentre alzava un sopracciglio scettico, per poi tornare a concentrarsi su quella conversazione surreale. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Piccola informazione di servizio: da qui in poi i capitoli devono essere ancora revisionati, quindi perdonate l'orrore che ne seguirà, sono stati scritti veramente tanto tempo fa.

Capitolo 4: 
La ragazza osservò un uomo passare accanto al proprio tavolo e andare a pagare il conto, mentre quella che sembrava essere la sua fidanzata lo aspettava all’uscita, un sorriso stampato sulla faccia. Il cibo faceva sempre quell’effetto, soprattutto il cibo pagato da altri, constatò la bionda, annuendo fra sé e sé. Sperava proprio che il suo nuovo compagno di avventure avesse intenzione di fare lo stesso, perché lei non aveva nemmeno un portafoglio – non che la situazione fosse diversa da quella di sempre, per quanto riguardava questo punto-.
Riportò ben presto l’attenzione su Ryu che, fino a quel momento, era rimasto in uno stato di religioso silenzio, la mente occupata da diversi pensieri.
- Ora tocca a me spiegarti un po’ di cose.- esordì all’improvviso, facendola sussultare, quasi sorpresa di sentire nuovamente la sua voce. Il moro appoggiò ordinatamente le bacchette di fronte a lui, intrecciando le mani e puntando gli occhi su quelli di lei, che automaticamente deglutì a vuoto, come se l’altro le stesse per rivelare chissà quale arcano segreto.
Quelle bacchette erano state un problema: la ragazza aveva dovuto farsi spiegare più volte come utilizzarle e solo dopo molti tentativi, la maggior parte di essi decisamente disastrosi, era finalmente riuscita a mangiare qualcosa, in modo alquanto goffo, schizzando qua e là il brodo della zuppa che ora ricopriva il loro tavolo in tante, piccole goccioline.
- Qualche mese fa io e Fuko ci siamo imbattuti nell’Akatsuki. Ho subito pensato che fosse molto strano: per quanto ne so e, ovviamente, le informazioni in mio possesso non sono molte, non avevano mai mobilitato l’intera organizzazione per un singolo obbiettivo. Solitamente una squadra è più che sufficiente e, dopo quello che ho visto, direi che le voci sono più che fondate. Doveva essere qualcosa di molto importante, qualcosa per cui non potevano permettersi di fallire.- iniziò, lo sguardo perso in un ricordo lontano – Non avevamo la minima speranza e ci hanno sopraffatti. Si sono presi Fuko, mentre io sono riuscito a scappare. Probabilmente non rientravo minimamente nelle loro mire e me l'hanno lasciato fare. Da allora l’ho cercata dappertutto, anche se le speranze di trovarla viva erano poche. Questo fino a che un mio contatto non mi ha avvertito della tua presenza a Konoha, l’altro giorno. Ed eccoci qui.- concluse, con un cenno della mano. 
- … Avete incontrato tutti i membri dell’Akatsuki? Veramente?!- chiese l’altra quasi… emozionata, sbattendo gli occhi meravigliata e dondolando le gambe intrecciate sotto il tavolo, la sedia che scricchiolava a causa del suo movimento.
A quanto pare non aveva dato molta importanza alla parte della storia in cui il ragazzo sosteneva che l’avessero attaccata e rapita. Infondo, dal suo punto di vista, ciò  non la riguardava minimamente.
-  Non so che idea tu ti sia fatta, ma… lo sai che sono un gruppo di assassini mentalmente instabili, vero?- le fece notare Ryu, infastidito – Che non si fermerebbero a pensare di risparmiarti solo perché sei poco più di una ragazzina?-.
- Lo so benissimo!- esclamò l’altra, gonfiando una guancia – Ma… non so come spiegarlo… li ho sempre trovati molto… interessanti.- ammise, grattandosi imbarazzata la nuca, un po’ infastidita dalla diversa sensazione che i capelli mossi di Fuko le davano contro la propria pelle.
- … sono un gruppo di assassini mentalmente instabili- ribadì lui, indurendo lo sguardo e contemporaneamente Deidara, a metri di distanza, sbuffò sonoramente. 
- Da quello che mi pare di capire neanche Fuko era esattamente l’incarnazione di un Santo, sai?- esclamò lei incrociando le braccia al petto. Prima che Ryu potesse prendere di nuovo parola per difenderla, continuò – E poi la mia opinione non vale per tutti, alcuni fanno veramente paura...- ammise, rabbrividendo leggermente al solo pensiero. 
- E chi, di grazia?- domandò l’altro, volendo capire fino a che punto arrivassero le conoscenze in suo possesso. Forse avrebbero potuto anche aiutarlo a riavere la sua vera Fuko.
- Per primo direi Itachi Uchiha. Non mi fraintendere, è bello da star male. Però l’idea di finire in una delle sue illusioni non mi è mai piaciuta!- spiegò – Poi c’è Kisame, il suo compagno di squadra. Beh, basta guardarlo in faccia per capire cosa c’è che non va. Assomiglia ad una specie puffo gigante dalle tendenze assassine... e i puffi sono già inquietanti di loro.- annuì, con un’espressione davvero terrorizzata – E per finire c’è Kakuzu. Bé, lui neanche tanto, infondo è un tipo abbastanza interessante. Però... non vorrei veramente averlo vicino durante uno dei suoi scleri omicidi. Nessuno lo vorrebbe.- concluse scuotendo la testa. 
Deidara socchiuse appena la bocca, spostandosi un po’ sulla loro sistemazione di fortuna.
- Questa qui sa veramente tutto di noi, come aveva detto il capo- sussurrò stupito – Hai sentito Danna? Non riesci a spaventare nemmeno una come lei!-  schernì poi il compagno, che gli affibbiò un’altra delle sue occhiatacce raggelanti alla Sasori. Ormai non avevano il minimo effetto.
- Sta sbandierando in giro informazioni su di noi, dovremo intervenire il prima possibile.- si limitò a dire, cercando di ignorare il biondino che, quel giorno, stava riuscendo ad irritarlo più del solito. Forse era proprio tutta quella situazione che lo faceva innervosire, non riusciva ancora a capire bene ciò in cui aveva cominciato ad addentrarsi. 
- Tutti gli altri ovviamente sono soltanto delle personcine adorabili, allora!- la prese in giro Ryu, decisamente scioccato dalla sfacciataggine della ragazza che si ritrovava di fronte. Era incredibile il modo di cui parlava di quei mostri umanoidi, lei… non si rendeva conto di quello che potevano veramente fare.
- Si.- affermò Fuko, per ripicca, con un sorriso a trentasei denti, incrociando le braccia al petto e facendo spalancare letteralmente la bocca al suo interlocutore.
Nel vicolo poco lontano da lì riecheggiò una risata.
- Ti trova adorabile!- esclamò Deidara agitando una mano. Non stava prendendo molto seriamente quella missione, decisamente.
- Ha detto la stessa cosa di te.- gli fece notare l’altro, piccato. 
- Comunque.- Ryu sentì il terribile bisogno di cambiare discorso, o avrebbe finito per arrabbiarsi con una persona che non era chiaramente in sé – Ciò che intendevo dire era che, molto probabilmente, è opera loro se ti ritrovi qui, così, in questo stato.- provò ad ipotizzare, senza togliere lo sguardo dalla ragazzina.
- E non è una buona cosa?- domandò lei ingenuamente, inclinando leggermente la testa. 
- No, direi di no. E’ una cosa disastrosa- sospirò, scuotendo il capo e passandosi una mano fra i capelli.
Quella tipa era un caso irrecuperabile… riavere indietro Fuko sarebbe stato più difficile del previsto. Però aver recuperato il suo corpo era già qualcosa.

Respirai a fatica cercando, nel mentre, di non perdere precocemente un polmone, le mani appoggiate sulle ginocchia, stanca e scioccata per quello che avevo appena fatto. Che il moro aveva appena fatto, per l’esattezza, io ero solo una povera una vittima innocente che si era ritrovata coinvolta – aah, la triste storia della mia vita-.
Tanto per cambiare ci trovavamo in uno spazio aperto in mezzo ad una foresta – non avevo mai visto tanta vegetazione quanto in quei giorni- e il continuo frinire delle cicale scandiva i secondi che passavano, riecheggiando tutt’intorno a noi e spezzando il silenzio insieme al mio respiro affannato.
Quello stupido di Ryu mi aveva presa improvvisamente sulle spalle, senza avvertirmi di quelle che erano le sue intenzioni, ed era uscito come un razzo dal locale, senza che io e i negozianti ci accorgessimo di quello che era successo – e probabilmente il piano era proprio questo-.
- Io non sono una ladra!- gli sbraitai contro, una volta che mi fui ripresa dal trauma, agitando le mani. 
Ci trovavamo precisamente in una piccola radura, occupata da un grande lago cristallino, sulla cui superficie spiccava il riflesso pallido della luna. 
- Fammi capire.- borbottò, senza nascondere il cipiglio irritato che aveva assunto – Non ti sconvolgi se ti parlo di aggressioni e rapimenti, ma ti preoccupi per una cosa simile?- mi fece notare, come se si trattasse di una cosa da niente. I ninja avevano una morale tutta loro. Non che io potessi parlare.
- Già.- sbuffai indispettita, incrociando le braccia in modo molto maturo. 
Non avevo intenzione di arrivare lì e diventare una ladra, ero già ricercata per crimini che non avevo nemmeno commesso, non… non era da me. Senza chiedermi niente, poi! 
- Torna là e paga subito tutto.- gli intimai, tentando di apparire ferma e risoluta, realizzando che effettivamente, essendo al verde, non avrei potuto fare molto a riguardo.
- E con quali soldi, di grazia?- mi chiese con un sorrisino ironico, facendomi sbuffare ancora, irritata. 
Se avessi saputo che anche lui non aveva un soldo sin dall’inizio, avremo potuto trovare una soluzione. Mi sarei persino proposta di lavare i piatti, se fosse stato necessario. Nessuno mi avrebbe detto niente e ci avrebbero offerto da mangiare, no? … No? Forse, a volte, ero un po’ troppo ottimista.
Ad ogni modo, quel tipo cominciava a darmi abbastanza motivi da poter aspirare alla mia lista nera – già molto affollata-. 
- Comunque, che ci facciamo qui?- domandai, decidendo di sorvolare sul discorso “ladri” visto che, dati i nostri punti di vista discordanti, sembrava non ne saremo venuti a capo in nessun modo.
Non sembrava ci fosse molto da fare nei dintorni, anzi, il posto era piuttosto isolato e lontano dalla civiltà. Per questo non mi spiegavo quale sarebbe potuta essere la nostra prossima mossa, in un posto che sembrava il set perfetto per girare il film horror del secolo.
- Dormiamo.- mi informò tranquillamente lui, per poi appoggiare uno zainetto a terra e utilizzarlo a mo’ di cuscino, sdraiandosi fra l’erbetta umida. E io non avevo proprio dei bei ricordi del mio ultimo incontro con l’erbetta umida e il fango. No, decisamente esperienze che non tenevo a ripetere. C’erano delle ragioni se avevo evitato i gruppi scout come la peste per quindici anni di vita. Ambra era una creatura di città, Ambra non apprezzava la natura, in nessun modo. Categoricamente.
Guardai tutto ciò che mi circondava in un modo così truce, che persino Sasuke mi avrebbe dato una pacca sulla spalla. Probabilmente no, probabilmente era troppo preso a cercare di provare ancora più odio verso tutto e tutti, a partire da Itachi.
Ad ogni modo, non esisteva che io mi sdraiassi tra quelle erbacce, tra lo sterco equino e di chissà quale altro essere vivente, dove ad attendermi vi erano decine di insetti che non aspettavano altro che una povera donzella come me sconfinasse nel loro territorio per poterla sbranare nel sonno. Già me li immaginavo, esseri con migliaia di antenne, zampe e pungiglioni, che salivano sul mio corpicino pronti ad uccidermi.
Rabbrividii. No, assolutamente no, non se ne parlava. E il corpo di Fuko era d'accordo!
Un venticello leggero mi scompigliò i capelli, che mi caddero scomposti sul viso, gelandomi le ossa.
- Ehi?- esclamai ad un tratto, colta da un’illuminazione, mentre con le mani cercavo inutilmente di riscaldarmi le braccia e di tenere lontano il freddo che cominciavo ad avvertire. Con l’arrivo della notte la temperatura aveva cominciato ad abbassarsi. Di queste cose l’anime e il manga mica ne parlavano.
Di tutta risposta ricevetti un grugnito, che volli personalmente interpretare come un “Sì, oh affascinante Ambra, dimmi tutto quello che vuoi. Sono pronto a rispondere ad ogni tua domanda”.
- Fuko dove portava il coprifronte?- chiesi curiosa, mentre tornavo a stringerlo tra le mani, la luce della luna che si rifletteva su di esso.
- Uhm… sul collo...- bofonchiò con voce impastata, girandosi su un fianco e cominciando a russare sonoramente. A quanto pareva era stata una giornata parecchio intensa anche per lui.  In effetti, ora che ci pensavo, mi sembrava di essere sveglia da un’eternità, anche se riuscivo ancora ad avvertire la stretta di Tsunade sui polsi. Aveva bisogno di darsi allo yoga o al buddismo.
Mi sedetti titubante a terra, soltanto dopo molti discorsi di auto convincimento morale su come fosse il primo passo per avvicinarmi ad essere più ninja - quelli funzionavano sempre-, guardandomi intorno e avvertendo la spiacevolissima sensazione del bagnato che si diffondeva attraverso i miei vestiti, facendomi rabbrividire ulteriormente. Non ci potevo mettere la mano sul fuoco che non sarei morta congelata prima di raggiungere l’alba. Anzi, in quel momento, in realtà, mi sarebbe veramente piaciuto mettercela la mano sul fuoco, per risolvere il suddetto problema. Ma anche io riuscivo a comprendere che accendere un falò in mezzo ad una foresta equivaleva a mettersi correre nudi per il villaggio, urlando di essere dei criminali ricercati.
Intorno a me soltanto alberi verdi, erbacce verdi, cespugli verdi...
Perché era tutto maledettamente verde in quel posto? Persino le coperte dell’ospedale in cui mi ero risvegliata il giorno prima erano del medesimo colore!
No, scusate, non tutto. C’erano anche due figure con dei mantelli neri a nuvole rosse che spezzavano la monotonia di quel luogo. 
Beh, menomale, oserei dire. Non mi era mai piaciuto il verde. Tutti i mali del mondo avevano quella tonalità, a partire dalle zucchine. Mai capito chi riusciva a mangiarle e ad esserne felice.
Infondo, però, il verde era anche il colore della speranza, no? No, era osceno senza margine di discussione.
Ma stavo divagando.
Spostai lo sguardo sul coprifronte che tenevo fra le mani: sembrava quasi risplendere in mezzo a tutta quella oscurità. Com’era bello! Altro che quello che quella versione tarocca avevo comprato ad una fiera tempo prima!
Me lo legai al collo – Hidan sarebbe stato d’accordo con me-, attenta a non soffocarmi con le mie stesse mani – sapevo di esserne capace-,  per poi tornare a guardarmi intorno con sguardo vacuo, indecisa sul da farsi.
Verde, verde, verde, nero con nuvole rosse, verde, verd-?
No, ferma un attimo… cos’avevo appena detto?
Attraversai con lo sguardo la linea immaginaria che avevo percorso poco prima e andai molto vicina allo strozzarmi con la mia stessa saliva. Le gambe mi tremarono leggermente: probabilmente sarei caduta a terra senno fossi già impegnata ad essere, come dire, seduta.
Nero a nuvole rosse… o l’Akatsuki! L’AKATSUKI?!
La mia mascella si spalancò in modo sovraumano vedendo i due camminare nella nostra direzione, il colore del mio viso che probabilmente era passato dal “Bianco cadaverico” al “Rosso semaforo”. 
Accidenti, non ero pronta per questo! Mi ci sarebbe voluta una lunga e intensa preparazione psicologica e fisica per reagire in modo quasi contenibile davanti a loro. 
Lo sapevo, ne ero certa, lo sentivo chiaramente: tra poco avrei cominciato a sbavare, senza il minimo ritegno.
Il primo si tolse con un veloce movimento delle mani il cappuccio, tanto per fare un po’ di scena probabilmente. I suoi lisci capelli biondi sembrarono svolazzare in aria per un’eternità, prima di cadere ad incorniciare il suo splendido viso, dal quale spuntavano due meravigliosi e azzurrissimi occhi, grandi e magnetici. La cappa dell’Akatsuki fasciava perfettamente il suo corpo bellissimo e... ok, forse lo stavo lodando un po’ troppo, ma che ci potevo fare se amavo Deidara alla follia dalla prima volta che era apparso nell’anime? 
Anche l’altra figura si abbassò il cappuccio, svelando il suo volto, mai scalfito dal passare del tempo. La pelle era a dir poco perfetta, quasi inumana, così chiara da creare un contrasto con i capelli rossi. Le sue labbra si incresparono in una specie di sorriso, più simile ad un ghigno che altro, soddisfatto, probabilmente dalla mia espressione poco intelligente e priva di pudore. 
Purtroppo, l’apparizione del rosso, fu l’ultimo colpo alla mia dignità e mandò a farsi benedire ciò che restava del mio auto-controllo, mandandomi in pappa il cervello. 
Non riuscii a rendermi conto di quello che stavo facendo: era come se fossi mossa da una forza superiore. La mia razionalità aveva appena dato le dimissioni.
Con la stessa grazie di un coniglio in punto di morte, iniziai a saltellare/correre verso Sasori, con le lacrime agli occhi per la felicità. 
- Dannaaa!!! Sei vivo!- esclamai contenta, mentre, con un balzo finale, mi avvinghiavo come una piovra al suo corpo. 
Probabilmente sarebbe stata l’ultima cosa che avrei fatto nella mia vita, ma almeno sarei morta felice.

Deidara: 
Rimasi veramente di stucco quando vidi l’espressione "scioccata" della ragazza nel momento in cui notò la nostra presenza. In realtà non ero ben sicuro di come poter descrivere quell’ammasso di emozioni confuse, tante erano le sfumature che stavano esplodendo nel suo volto.
L’ultima volta che l’avevo vista era stato due mesi prima, quando il nostro capo aveva interrotto la caccia dei Jinchuuriki per andare a prelevarla. La cosa mi era subito parsa alquanto sospetta, ma ci era stato spiegato che il rituale era di massima importanza e che non potevamo perdere tempo se volevamo evitare l’intrusione di altri - ad esempio da parte del traditore coi serpenti-. Non che questo genere di cose mi interessassero particolarmente, ma finché non ostacolavano il mio apprezzamento dell'arte non avevo ragione di non partecipare alla missione.
Sembrava veramente cambiata da allora. Beh, in effetti, per quanto potesse sembrare impossibile, si trattava in tutto e per tutto di un’altra persona. 
L’ultima volta la mocciosa aveva cominciato ad attaccarci e, per quanto potesse essere abile, contro l’intera organizzazione non aveva avuto la minima speranza sin dall’inizio. Che sciocca che era stata, avrebbe potuto limitarsi ad arrendersi – anche se allora non ci sarebbe stato alcun divertimento e avremo dovuto sorbirci le lamentele insoddisfatte dello zombie albino-.
Ora, però, ci stava osservando con uno sguardo che definirei...trasognante? Non lo sapevo, sembrava sul punto di svenire da un momento e l’altro. Forse il trasferimento aveva portato a qualche controindicazione.
Mi voltai verso Sasori no Danna per un secondo, ma fui costretto a riportare subito la mia attenzione verso l’obbiettivo. 
Si era alzata e, con la stessa espressione inebetita di poco prima, ci stava correndo in contro: a quanto pare non aveva imparato la lezione.
Mi stavo preparato allo scontro, quando…
- Dannaaa!!! Sei vivo!- cinguettò contenta, fiondandosi sul diretto interessato. 
Lasciai cadere le mani lungo i fianchi, sbigottito, non sapendo ciò che sarebbe stato meglio fare, continuando ad occhieggiare la strana “coppia” che si era formata di fronte ai miei occhi.
La diretta interessata si era praticamente ancorata al corpo del mio partner, strofinando il viso contro l’incavo del suo collo, mentre l’altro sembrava fosse morto sul colpo.
Aaaah… 
Mi passai una mano sul viso, esasperato, cercando di trattenere l’impulso di ridere che si faceva sempre più forte in me: non avevo mai assistito ad un Sasori con un’espressione non indifferente o di morte sul volto, mai, neanche una volta da quando ero arrivato nell’Akatsuki.  A quel punto non credevo neanche che potesse avercela un’espressione, quindi, dopo quello che vidi, fu impossibile per me non cominciare a ridere. 
Sasori era basito. Totalmente basito.

Sasori: 
Quando si era alzata e si era lanciata nella nostra direzione mi ero preparato allo scontro:  non mi sarebbe di certo servita Hiruko per neutralizzare quella ragazzina e conoscevano ormai tutte le sue abilità. La giudicai una mossa veramente stupida da parte sua.
Ad ogni modo mi aspettavo sin dall'inizio che avremmo dovuto combatterla prima di riuscire a portarla al covo e continuare con il programma, ma, evidentemente, mi sbagliavo. 
- Dannaaa!!! Sei vivo!- strillò, venendo verso di me, cogliendomi leggermente di sorpresa. 
Se non fosse stato per le parole del capo che in quel momento erano risuonate nella mia testa, probabilmente, l'avrei attaccata. 
- Assecondatela.-. 
Questo ci aveva detto prima che il suo ologramma sparisse dalla nostra vista, lasciandoci liberi di incominciare la nostra nuova missione e di dirigersi a Konoha, dove sembrava fosse finito il corpo. 
Non avevo la minima idea di che cosa volesse fare, ma restai fermo, combattendo con tutti quegli impulsi che mi suggerivano un contrattacco. Non ci avrei messo molto a colpirla ed allontanarla.
Come aveva detto Pain, però, dovevamo assecondarla, portarla dalla nostra parte e ottenere la sua collaborazione. Non so per quale ragione ci era stato detto che i metodi tradizionali non avrebbero funzionato.
Non riuscì a prevedere, però, le sue vere intenzioni. 
Quella mocciosa mi stava abbracciando. Un gesto così inutile, che non avevo nemmeno preso in considerazione.

Fuko: 
Mi sembrava di essere in paradiso. Era come se, durante un concerto, fossi riuscita a lanciarmi sul cantante gnocco che tutti amavano, senza essere poi portata via dalle guardie di sicurezza e internata a vita. Un miracolo, in pratica. Mancava poco che partisse il coro dell'alleluia e discendessero i puttini con le trombe dal cielo.
Quella era ufficialmente la giornata più bella della mia vita, Hokage incazzati senza motivo con me, inseguimenti Anbu e furti a parte.
Strofinai ancora il volto contro il collo del rosso, innaturalmente freddo, avvertendo i suoi capelli solleticarmi la fronte e il tessuto ruvido della cappa fra le dita. Perché non mi aveva ancora allontanata a calci? Il mio momento idilliaco unico ed irripetibile era finito qualche momento prima. Non che avessi intenzione di cominciare a lamentarmene, s'intende! Solo, non mi sembrava una reazione da lui.
- Allontanatevi da lei!-. 
Probabilmente, se il tono decisamente poco amichevole di Ryu non mi avesse riportata con i piedi per terra, non mi sarei scollata da Sasori per il resto dei miei giorni - molto pochi, a giudicare dall'occhiata che mi aveva lanciato il diretto interessato quando decisi finalmente di farlo-. Beh, anche la consapevolezza della terribile figura in cui mi ero esibita contribuii a questo.
- S-scusa...- mugugnai imbarazzata, coprendomi il volto con le mani ed allontanandomi da lui.
Mi sarei tanto voluta andare a sotterrare in Alaska, dove nessuno avrebbe più nemmeno potuto trovare i miei resti.
- Forse ti è sfuggito, ma è stata lei ad avvicinarsi per prima, uhm- gli fece notare Deidara indicandomi, sorridendo ad un Ryu piuttosto alterato.
Osservai di sottecchi il bombarolo, mordendomi l'interno della guancia: avrei dovuto abbracciare anche lui finché potevo. Tanto probabilmente sarei morta malissimo di lì a pochi minuti, al diavolo le figure di merda! - tanto avevo già quindici anni distrutti a causa loro-.
Senza che me ne potessi rendere conto, cosa che ormai accadeva troppo spesso ultimamente, Sasori mi scansò senza degnarmi di altre attenzioni, preparandosi allo scontro. 
- Fermo Danna!- lo bloccò Deidara, mentre il suo sorriso si allargava sempre di più – A questo ci voglio pensare io, uhm, abbiamo un conto in sospeso dall'ultima volta.- disse, portando le mani delle borse che aveva fissato alla vita. Il suono delle bocche che cominciavano a impastare l'argilla mi raggiunse forte e chiaro. 
- Fai in fretta. Siamo già in ritardo a causa di tutti questi contrattempi. Sai bene che odio far aspettare le persone.- rispose semplicemente l’altro, mentre si voltava di nuovo verso di me, una strana espressione negli occhi. 
Che avesse paura che gli saltassi addosso in modo animalesco un’altra volta? Che volesse uccidermi?
L'oggetto dei miei pensieri si limitò ad afferrarmi saldamente per il braccio, e, dopo aver mugugnato un - Muoviti.- a denti stretti, mi aveva trascinata a qualche metro di distanza da dove i due avevano ormai cominciato il loro scontro.
Guardai verso di Ryu, consapevole che, per quanto avrebbe potuto nascondere una chissà quale abilità sorprendente, non sarebbe resistito a lungo contro il biondino. Tra l'altro non riuscivo a comprendere perché si stesse dando tutto quel da fare per Fuko... chi era per lui? La sua ragazza? Un'amica d'infanzia? Sua cugina? Sua nonna?
Un’esplosione mi fece sobbalzare, riportandomi improvvisamente alla realtà e provocandomi un fastidiosissimo fischio ai timpani. 
Sinceramente - come immagino ogni persona normale-, era la prima volta che assistevo a qualcosa del genere. I miei occhi continuavano a muoversi  freneticamente cercando di seguire i movimenti dei due ninja, ma questi continuavano a cambiare schemi di combattimento e le esplosioni causate da Deidara mi rendevano difficile capire cosa stesse effettivamente succedendo.
Sarà che mi spaventavo persino per il rumore dei fuochi d'artificio, sarà che ero dichiaratamente una codarda, ma in quel momento avrei veramente voluto andare il più lontano possibile da quel luogo e... magari sarei ritornata più tardi. Magari non sarei ritornata proprio. Inoltre, la probabile condanna a morte che pendeva sopra la mia testa non mi rendeva particolarmente entusiasta di vedere cosa avrebbero voluto fare quelli dell'organizzazione una volta che saremo rimasti soli. Deidara, Sasori... vi ho amati.
Dando per l’ennesima volta prova del mio immenso coraggio e intraprendenza, feci dietro-front, pronta per mettere almeno una decina di chilometri tra me e quel posto. Quasi quasi ne avrei approfittato anche per andarmi a scusare nel locale in cui avevo involontariamente fagocitato cibo a scrocco, magari mi avrebbero offerto un lavoro e mi sarei sistemata lì. L'ottimismo era la risposta giusta.
- Non ci pensare nemmeno.- fece una voce gelida alle mie spalle, facendomi rabbrividire. Con o senza Hiruko restava alquanto spaventoso.
Ma lo amavo comunque! 
Tornai al suo fianco, o meglio, a qualche metro di distanza da lui, piuttosto abbattuta, limitandomi ad osservare quello che stava succedendo. 
Ryu era in netto svantaggio ed era abbastanza chiaro: aveva numerose scottature sulle braccia e sulle gambe, numerosi strappi sui vestiti e il suo viso era sporco di... rosso. 
Inspirai profondamente... sapevamo tutti che bastava una goccia di sangue per farmi dare di matto, ma in quel momento ero più concentrata sul fatto che il ragazzo con cui ero stata fino a quel momento rischiava seriamente di morire per colpa... mia, almeno così credevo.
- C-che cosa volete da noi?- riuscii a dire dopo aver convocato praticamente tutto il mio coraggio, voltandomi verso il mio interlocutore. In realtà sarei voluta apparire molto più risoluta e minacciosa nel dirlo, ma era già tanto che fossi riuscita ad esprimere il concetto senza impappinarmi ad ogni consonante.
- Vuoi unirti all’Akatsuki?- domandò di rimando lui, senza distogliere lo sguardo dal combattimento. Si stava visibilmente spazientendo.
Vuoi unirti all’Akatsuki? VUOI UNIRTI ALL'AKATSUKI?! Certe cose non si chiedevano così! Non ci si poteva mettere un minimo di introduzione tipo “Ehi, ciao! Ma lo sai che anche se non sei una ninja e non sai un emerito cippolo di come ci si comporti in una battaglia saresti un membro eccellente nell’Akatsuki? Eh? Che ne pensi?”?.
Se lo faceva in modo così diretto e, sopratutto, ad una che non desidera altro nella vita - ognuno merita di avere le proprie ambizioni-, questa, poverina, rischiava l’infarto. Ed io non ero Kakuzu, a me ne bastava uno per rimanerci secca.
Sì! Per Jashin, sì! Prendetemi e fate pure di me quel che volete!
C-cioè no... ovvio che no! Mi stavano praticamente accoppando Ryu davanti alla faccia senza tentare di nasconderlo - beh, cosa mi aspettavo da loro?-. 
Scossi la testa, cercando di non farmi prendere come mio solito dalle emozioni: avevo, evidentemente, ancora dei seri problemi a capire che quello che stava succedendo in quel momento era piuttosto reale e se Ryu fosse morto, tale sarebbe rimasto. E Fuko probabilmente si sarebbe arrabbiata con me.
- Accetterò soltanto se...- oh mio Dio stavo veramente cercando di dettare legge con Sasori? - S-se.. se lo risparmiate...!- conclusi, il tono di voce che si era fatto sempre più basso per la paura di essere marionettata o qualcosa del genere. A proposito... dov'era Hiruko?
L'espressione che fece Sasori mi fece desiderare di non essermi mai neanche permessa di rubare il suo prezioso ossigeno - sempre che a lui servisse, s'intende-.
Cosa accidenti mi era saltato in mente? Perché qualcuno che avrebbe potuto stendermi con il movimento del mignolo del piede sinistro avrebbe acconsentito a-?!
- Bene, è solo una perdita di tempo.- osservò lui. 
Ero proprio un'idiota, era ovvio che non avrebbe mai accett- davvero?! 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5: 
Era un po' come trovarsi su un aereo, ma senza aereo. In effetti, sarebbe stato più corretto dire: era simile alla sensazione che si prova mentre si tenta di domare un tappeto volante - a chi non era mai capitato?-, instabile e sospeso a troppi metri da terra - non sapevo precisamente dire quanti, la mia percezione spaziale lasciava parecchio a desiderare-.
Ad ogni modo, in quel momento mi trovavo sopra un qualcosa che non riuscivo a descrivere se non rischiando di passare per una pervertita. E io non lo ero... cioè, un po' lo ero - infatti continuavo a sperare che a nessuno venisse voglia di frugare fra le fanfiction che avevo fra i preferiti del mio computer, mentre non c'ero-, ma non a tal punto da poter affermare di trovarmi, dopo solo poche ore che l'avevo conosciuto, appesa con tutte le mie forze all'uccello di Deidara.
Il problema è che io mi trovavo veramente sul suo uccello, ma non quello che molti di voi si staranno figurando adesso - voglio far finta di non far parte del gruppo di persone che ha fantasticato, almeno una volta nella vita, sul penzolo del povero, innocente, artista fallito-.
Ciò a cui mi riferivo realmente, era l'augello d'argilla - o pennuto, se preferite- che stava trasportando noi, giovani membri dell'Akatsuki dalla belle speranze, in un luogo che nessuno mi aveva ben spiegato quale fosse - era anche vero che non l'avevo nemmeno chiesto, ma la faccia con cui mi guardava Sasori avrebbe smorzato persino l'entusiasmo del maestro Gai. Cosa non facile, a parer mio-.
Comunque, tutto ciò sarebbe anche potuto essere definito come "una figata colossale", se non fossi stata troppo impegnata a pregare tutti gli apostoli, Sant'Acatemera e persino Jashin-sama, di evitare possibilmente che una corrente d'aria ci facesse schiantare al suolo o che un fulmine - o una meteora- decidessero di far colpo su di noi, nel modo meno metaforico possibile.
Inizialmente mi ero concentrata sulla compagnia: infondo, se avessi prestato attenzione allo stile con cui i capelli di Deidara fluttuavano a causa del vento o alla posa da "faccio finta di fregarmene, ma, in realtà, me ne frego veramente " che aveva assunto Sasori da quando eravamo partiti, avrei dimenticato la mia particolare situazione di morte imminente. Purtroppo persino io riuscivo a capire che, se li avessi fissati con quell'occhio da pesce lesso per tutto il tempo, avrei finito per rivelarmi come la stalker fissata che ero e questo loro non dovevano saperlo.
A quel punto avevo deciso che avrei potuto concentrarmi sul paesaggio - infondo eravamo pur sempre in un mondo, a me, tutto nuovo- : anche in questo caso, purtroppo, nonostante il suggestivo cielo albeggiante e le nuvole di un colore così rosa che mancavano all'appello soltanto i pony arcobaleno svolazzanti, non c'era poi molto da vedere.
Così mi trovavo lì, praticamente paralizzata dalla paura - non che se non lo fossi stata avrei tentato di muovermi-, con più o meno la stessa ansia che mi era salita quando, ingannata da una mia amica, ero finita sul Katun a Mirabilandia - era stata l'esperienza più brutta della mia vita. O almeno credevo. Ero svenuta poco dopo la partenza della giostra-.
Stavo per partire con una delle mie convintissime filippiche mentali sul fatto che questa sarebbe stata soltanto una prova per dimostrare di essere una vera ninja, almeno a livello spirituale, quando il biondo dai capelli ondeggianti prese parola.
- Allora, che cosa ne dici della mia arte?- fece all'improvviso e io mi sentii come un uomo a cui la propria ragazza ha appena chiesto se, per caso, è ingrassata. In pratica, in una situazione di estremo pericolo, dove tutto quello che avresti potuto dire si sarebbe, inevitabilmente, rivoltato contro di te : se mi fossi complimentata troppo per l'opera di Deidara, infatti, Sasori si sarebbe arrabbiato e se, invece, non avessi mostrato almeno un minimo di entusiasmo riguardo al suo lavoro, il bombarolo non me l'avrebbe perdonata.
Ad ogni modo non mi sarebbe dispiaciuto se la sua arte - o il suo uccello, come volete chiamarlo- volasse un po' più in basso, o se non lo facesse e basta.
- S-stupenda, davvero! Vederla dal vivo è... travolgente, da tutti i punti di vista.- esclamai, un sorrisino isterico che mi affiorava sulle labbra.
Così travolgente che avevo lo stomaco praticamente rovesciato dal verso sbagliato. Avranno avuto un bagno all'Akatsuki? Un momento... loro ci andavano mai, in bagno?
Per quanto mi riguardava volevo solo mettere i piedi a terra nel minor tempo possibile e legarmi ad un albero, fissato saldamente al suolo, senza muovermi più.
- Visto Danna?- esordì, soddisfatto, sorridendo – L'unico che non riesce a riconoscerlo, qui, sei tu.- lo schernì. 
Mossa molto intelligente quella di provocare Sasori mentre ci trovavamo sospesi nel vuoto, non c'era che dire. Sperai soltanto che quel coso avesse un paracadute d'emergenza o qualcosa di simile.
- Hai ancora il coraggio di chiamare "arte" questa roba, Deidara?- fece lui velenoso, calcando particolarmente sul nome dell'altro – La vera arte perdura nel tempo, conservando la propria bellezza.- spiegò, con una punta di enfasi nelle sue parole – Non lo credi anche tu?- esordì poi a bruciapelo, rivolgendomi la sua attenzione e coinvolgendomi nuovamente in una causa a cui non volevo proprio partecipare. Anche se speravo di sbagliarmi, quella domanda apparentemente innocente sottintendeva una lunga serie di significati non proprio piacevoli. Come: “ Attenta a quello che dici se non vuoi fare una brutta fine - ovvero un volo di 9000 metri-.”. 
Il silenzio sarebbe andato bene come risposta? Per quello che ricordavo Sasuke riusciva a mandare avanti intere conversazioni, in quel modo.
- Stai cercando di influenzarla, uhm- notò contrariato Deidara – Dovresti lasciare che sia lei a decidere, senza metterle pressione. E poi si è già pronunciata: ha detto che trova la mia arte “stupenda”, uhm.- continuò, sogghignando. 
- Soltanto perché glie l’hai domandato per primo.- commentò l'altro, neutro. 
- Avresti potuto svegliarti prima,allora, invece di continuare a guardare il mondo con tutto quell'astio- lo rimbeccò – Lo sai che rispetto la tua arte, ma la mia è, semplicemente, migliore.- quelle parole gli fecero guadagnare un’occhiata omicida dal rosso. 
- Cosa?- avvertii chiaramente un'ondata di ostilità in questa, se così poteva essere definita, domanda. 
- L’arte è un momento di effimero splendore.- recitò il biondino, ogni singola parola traboccante di puro orgoglio. 
L'espressione che aveva Sasori in quel momento, al suo posto, mi avrebbe fatto rimangiare tutto in quattro e quattr'otto. Continuavo a chiedermi come fossi sopravvissuta all'abbraccio.

Atterrammo molto tempo dopo, decisamente troppo per i miei gusti.
Per tutto il tragitto Deidara non aveva fatto altro che provocare e punzecchiare il rosso, già a corto di pazienza - e tutti noi sapevamo che non era un tipo paziente di suo-.
Per un attimo avevo seriamente temuto che iniziassero a combattere sopra il "volatile", ma per fortuna Sasori non aveva ceduto all’impulso di uccidere il bel dinamitardo e nessuna rissa era scoppiata fra i due. Nonostante questo si erano portati via vent'anni della mia vita terrorizzandomi in quel modo.
Se non fossi stata lì con loro, ma dietro un computer, a mondi di distanza dalla possibilità di essere schiantata a terra da un'esplosione, probabilmente avrei anche seguito con interesse quello che si erano detti, ma purtroppo in quel momento le mie priorità erano state altre. 
Quando l’opera di Deidara raggiunse il suolo, lui, da grande cavaliere quale era, saltò giù - con un vero salto da ninja!-,lasciandomi a fissarlo dall'alto della sua scultura come un cane che era stato appena mollato in autostrada, sotto la pioggia. Se avessi tentato anche io un balzo simile, mi sarei sfracellata a terra e rotta il naso, come minimo. 
Fortunatamente Sasori, vedendo l’espressione da cucciolo bastonato che gli rivolsi, anche se titubante - o molto probabilmente soltanto schifito -, mi porse una mano per aiutarmi a non ammazzarmi nella discesa. Da come mi guardava sembrava temesse che gli saltassi addosso da un momento all’altro: confidavo che fosse abbastanza grande da riuscire a metabolizzare, nel tempo, un trauma del genere - mai che un improvviso contatto fisico minasse, ancora maggiormente, alla sua sanità mentale-.
- Puoi anche lasciarmi adesso.- il suo tono indifferente mi riportò alla realtà. 
Senza neanche rendermene conto ero rimasta attaccata alla sua mano, probabilmente guardandolo in modo adorante e decisamente stupido - diciamo la mia espressione standard quando li osservavo-. Speravo soltanto di non aver sbavato, o almeno, non eccessivamente. L'unica cosa di cui ero certa era che non mi sarei mai più lavata il punto con cui l'avevo toccato.
- S-scusa!- balbettai imbarazzata, lasciando a malincuore la sua dolce e tenera manina, più o meno gelida come una piastrella del bagno. 
Sperai di essermi soltanto immaginata l'occhiata strana che mi aveva rivolto a quel punto e che non si fosse veramente accorto della tonalità preoccupante raggiunta dalla mia faccia.
- Aaah, l'amore~- il tono canzonatorio di Deidara, che aveva assistito alla nostra scenetta, non contribuì di certo la mia situazione. Mi ero dimenticata per un attimo della sua esistenza.
- N-non... non è così!- esordii, ancora più rossa, agitando le mani freneticamente - Non lo vedo in questo modo, non vedo nessuno di voi in questo modo!-.
Pessima bugia, fosse per me avrei celebrato il matrimonio con tutti loro - no dai, magari Zetsu e Tobi ce li risparmiavamo- anche subito, ma questa rientrava fra le cose che era meglio che continuassero ad ignorare di me. Non sapevo, però, se sarei stata in grado di nasconderlo molto bene se avessi incontrato Hidan. Dio mio... Hidan, quella lingua dovrebbe essere illegale.
Il biondo sollevò un sopracciglio.
- E come ci vedi, uhm?-.
Non potevamo sbrigarci ad andare dovunque dobbiamo andare, e basta?!
Sospirai, convogliando tutte le mie energie mentali.
- Beh... come personaggi del mio anime preferito, semplice.- spiegai, con fare solenne – Ah! Un anime è...-.
- Ce l'hai già detto- mi liquidò, per poi darmi le spalle e cominciare a camminare, lasciando cadere il discorso. Meglio così.
Questa volta fu il mio turno di inarcare un sopracciglio: quand'era successo? Non avevo una memoria così infallibile da metterci la mano sul fuoco, ma ero abbastanza sicura di averne parlato solo con Ryu.
Scossi le spalle - in effetti, non me ne poteva fregare di meno- e trotterellai dietro i due, che stavano ormai cominciando a distanziarmi.

Minuti di silenzio imbarazzanti e qualche metro più tardi arrivammo nei pressi di un'immensa struttura rocciosa, ai piedi di una grande montagna.
Stavo cercando di capire se quei due avessero deciso di farmi fare un giro turistico, quando Deidara cominciò a fare degli strani movimenti con le mani - cose da ninja suppongo-: la terra, allora, iniziò improvvisamente a tremare e, proprio quando stavo per gettarmi al suolo urlando "UN TERREMOTO!", il grande masso che si trovava di fronte a noi prese a levitare - al diavolo le leggi della fisica!-, rivelando l'entrata di una caverna. Ah, logico. Mi chiedevo come avessi fatto a non pensarci prima.
All'interno nella grotta era buio pesto e rischiai più volte di cadere prima che i miei occhi riuscissero ad abituarsi al cambio di luce e a permettermi di scorgere, almeno vagamente, le fattezze del terreno su cui stavo camminando. Cosa eravamo venuti a fare in quel posto tetro e umidiccio?
Mi sfuggì quasi un urletto quando, in mezzo alla caverna, si materializzò - nel vero senso della parola- senza preavviso, una specie di figura arcobalenizzata. Ok, forse non era l'aggettivo giusto da usare - e probabilmente non era nemmeno italiano- : guardandola meglio era evidente che si trattasse di un ologramma, precisamente uno di quelli che utilizzavano i membri dell'Akatsuki durante i rituali di estrazione dei Jinchuuriki.
Non è che avevo un demone dentro di me e non ne sapevo niente, vero? Perché allora non ci sarei proprio entrata lì dentro, non di mia spontanea volontà.
Nonostante i colori improbabili della proiezione e le fastidiose interferenze che percorrevano la figura, l'identità della persona che si trovava davanti a me era piuttosto chiara: Pain, ovvero quello bello coi piercing e le manie di grandezza.
- Deidara, Sasori.- fece a mo’ di saluto ai due ragazzi – Ambra.- finì poi, puntando il suo sguardo dritto verso di me. Automaticamente, sentendomi chiamata in causa, mi portai sull'attenti e ci mancò poco che non me ne uscissi con un "SISSIGNORE, CERTO SIGNORE!". 
Rabbrividii, non per la sua bellezza accecante - dato che l'ologramma non mi permetteva di distinguere chiaramente il suo corpo- ma per i suoi grandi occhi viola, che parevano scrutarmi l'anima. Vederli attraverso uno schermo era un conto, ma dal vivo facevano impressione. Non sembrava nulla che potesse esistere realmente in natura - però anche il masso che se ne stava svolazzando a qualche metro da noi, effettivamente, non era esattamente una cosa che si vedeva tutti i giorni-.
- Spero che tu abbia apprezzato la scorta che ho mandato da te.- iniziò, la voce profonda, riscuotendomi dai miei pensieri - Dalle informazioni in mio possesso ho pensato che avresti, gradito- calcò particolarmente sull'ultima parola, ignorando il fatto che gli altri due si trovavano proprio alle mie spalle e stavano sicuramente ascoltando tutto - e non c'era proprio alcuna ragione di sbandierare in faccia ai diretti interessati quali fossero i miei personaggi preferiti-.
Annuii, imbarazzata, sentendomi parecchio in soggezione. E adesso chi lo sentiva Deidara? Ma sopratutto, per quale motivo Pain si scomodava a mandarmi delle persone che io avrei gradito? Non mi sembrava molto nel suo stile ed ero parecchio sicura che all'Akatsuki avessero faccende molto più importanti da sbrigare, piuttosto che venire a recuperare un'adolescente sperduta - nella loro lista di cose da fare prima di conquistare il mondo, s'intende-.
- ... Quindi?- domandai, vedendo che non si decideva ad avviare il discorso – Perché mi trovo qui?-. 
"Qui" intenso sia come caverna sperduta sia in senso più ampio, come universo che non dovrebbe esistere.
- Abbiamo utilizzato una particolare tecnica...- cominciò il leader dell'Akatsuki, lo sguardo viola ancora fisso sul mio - Questa ha permesso il trasporto della tua anima, ma non del tuo corpo, in un mondo... diverso. Abbiamo selezionato un contenitore che ritenevamo... appropriato e abbiamo effettuato il trasferimento-.
Aprii la bocca per parlare, ma Pain anticipò la mia domanda.
- Il corpo di Fuko Yamamoto è risultato idoneo per molti fattori, a partire dalla possibilità di ricorrere a chakra di diversa natura. Una particolarità che ti tornerà molto utile, in battaglia-.
Rimasi per un attimo in silenzio, cercando di elaborare ciò che mi aveva spiegato.
- Ma Fuko è...?-.
Entrando il suo corpo l'avevo uccisa o qualcosa del genere?
- Si trova nel tuo vero corpo, al tuo posto- rispose semplicemente, facendomi sbarrare gi occhi.
- COS- c'è un nukenin di livello S in casa mia?!- sbottai, incredula.
Quella mi sterminava la famiglia... mi distruggeva la reputazione! Avrei veramente preferito non ritrovarmi ad essere una ricercata una volta tornata a casa mia. Piuttosto... sarei tornata?
- Non è un motivo per allarmarsi- affermò tranquillamente, per poi cambiare discorso - Non dovresti chiedermi il motivo per il quale sei stata convocata?-.
In realtà avrei preferito domandare in prestito un telefono - sempre che ne avessero uno- per chiamare a casa e spiegare la situazione, ma effettivamente anche quello mi interessava.
- ... Perché la mia pura passione e il mio sentimento sincero per questo anime vi ha colpiti?- tentai, ma lui scosse il capo.
- Tu hai un potere molto particolare, Ambra, a cui noi siamo interessati.-.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6: 
L'eco delle parole di Pain si spense lentamente, rimbalzando da una parete all’altra della grotta in cui ci trovavamo. 
Tutto era immobile: persino il tempo si era fermato. Soltanto il lento gocciolare dell'acqua, che si era formata a causa dell'umidità di quel luogo lungo le pareti, spezzava il silenzio mistico che ci avvolgeva. Speravo soltanto che non crollasse tutto da un momento all'altro a causa delle infiltrazioni moleste.
Eravamo rimasti tutti con il fiato sospeso, in attesa che venisse rivelata la natura del mio fantomatico "potere particolare" che aveva attirato la loro attenzione a tal punto da sbattermi da un universo ad un altro. Beh, in realtà l’unico che sarebbe potuto rimanere col fiato sospeso oltre me era Deidara, in quanto Sasori probabilmente stava facendo altro - sconosciuto a noi comuni mortali- e Pain lo sapeva già. 
- Il potere del vuoto.- rivelò, infine, quest’ultimo, dopo una studiatissima pausa ad effetto, come se, soltanto sentire quelle parole avesse reso tutto più chiaro.
LO SAPEVO! Finalmente potevo dire di avere un potere veramente grandioso e dal potenziale distruttivo per... che cos'era il potere del vuoto? Il nome non mi ispirava molta fiducia: era un riferimento alla velocità con cui ci mettevo a svuotare i pacchetti delle patatine o i barattoli di caramelle? Perché conoscevo gente che mangiava persino più di me e non mi pareva di averla ancora incrociata in quel mondo. E poi non era carino dire ad una ragazza che la sua massima abilità consisteva nel prosciugare tonnellate cibo - mi rendo conto che stavo facendo tutto da sola-.
- ... E-eh?- corrucciai la fronte, confusa, mettendo definitivamente fine all'atmosfera solenne che si era venuta a creare. Pain metteva decisamente troppi silenzi solenni fra un monosillabo e l'altro per i miei gusti.
- Il potere del vuoto ti rende in grado di fare quello che a noi non è stato possibile.- iniziò, finalmente, a dire – Con il giusto allenamento sarai in grado di aprire dei veri e propri varchi spazio-temporali che potrai usare in battaglia o per rapidi spostamenti.-.
Ah... una specie di teletrasporto dal nome altisonante. L'avessi saputo prima mi sarei evitata volentieri tutte quelle sgridate dagli insegnanti per i numerosi ritardi a scuola.
- Wow, forte...- esordii, cercando ancora di elaborare il tutto - Ma a dire il vero non mi è mai capitato di aprire un varco spazio-dimensionale. Cioè, credo che me ne sarei accorta se...-. 
- Non è una cosa che può capitare.- mi interruppe lui, correggendomi – E' necessario uno specifico allenamento per essere in grado di controllare una tecnica del genere, Ambra.- la parola allenamento così vicina al mio nome non mi piaceva - Ad ogni modo è già avvenuto precedentemente, anche se a livello inconscio. Durante il processo di trasferimento della tua anima hai rilasciato una notevole quantità d’energia,  che ha creato uno squarcio nello spazio e ti ha trasportata nei pressi di Konoha. Non era previsto che accadesse-. 
Aaaah, ora mi tornavano un po' di cose. Non mi spiegavo, infatti, perché l'Akatsuki mi avesse trasportata lì per poi mollarmi come un sacco di patate in un campo e tornare a prendermi soltanto in seguito. 
Bene, ricapitolando: Pain mi aveva presa, in seguito ad una chissà quale intuizione, mi aveva trapiantata in un corpo di qualcuno che probabilmente ora si trovava con la mia famiglia, estremamente incazzato e confuso, e mi aveva gentilmente spiegato che avevo un potere che non sapevo usare. Perfetto, tutto liscio come l'olio. Sicuramente, vista la mia grandissima forza di volontà e inclinazione ad allenarmi - più o meno abilità che conoscevo solo di nome- avrei fatto passi da gigante. Probabilmente nel giro di massimo una settimana mi avrebbero rispedito a casa a calci. Se avessero deciso di non insabbiare il tutto ed eliminarmi, sia chiaro. Davvero Pain si era scomodato a fare tutto quel casino per prelevare una ragazzina col potere tarocco? A cosa gli servivo?
- Ho raccolto delle informazioni interessanti sul tuo mondo- probabilmente il diretto interessato aveva colto l'espressione perplessa che avevo al momento - Mi risulta che tu sia a conoscenza del nostro futuro-.
Mi sentii estremamente importante nel sentire quelle parole.
- Quale sarà il destino che spetterà alla nostra organizzazione?-.
Oh, stava diventando via via più loquace, evidentemente anche lui era in grado di portare avanti una conversazione come un comune mortale. Sasori avrebbe dovuto prenderlo come modello di riferimento.
- Eeeehm...- cercai disperatamente un modo carino per dirlo, ma in ogni caso il risultato non sarebbe stato piacevole - Beh, diciamo che entro poco tempo non saranno molti quelli che potranno dirsi membri dell'Akatsuki.-. Suonava decisamente meglio di "morirete tutti malissimo, uno dopo l'altro".
Lui si limitò a prenderne atto, senza apparire minimamente turbato da quello che gli avevo rivelato.  
– Il motivo per il quale ti trovi qui è impedire che questo accada.-. 

Sasori era ritornato - con mio grande disappunto- all'interno di Hiruko, risultando, se possibile, ancora più inquietante - e già prima non era esattamente l'incarnazione di un orsetto coccoloso-. Sicuramente non avrei più tentato di abbracciarlo, almeno fino a che fosse stato lì dentro: conoscevo bene le capacità di quella marionetta e non ci tenevo proprio a sperimentare di prima persona l'efficacia dei suoi veleni.
Volteggiai nuovamente su me stessa, ammirando per l'ennesima volta il capo che mi ondeggiava intorno, seguendo i miei movimenti. Il tipico mantello nero a nuvolette rosse dell'Akatsuki avvolgeva il mio corpo: probabilmente se Fuko non fosse stata persino più piatta di Sakura non sarei sembrata una bambinetta che aveva appena rubato l'accappatoio del padre.
Ad ogni modo ero euforica: ora potevo considerarmi un vero e proprio membro dell'organizzazione, seppur senza anello; Orochimaru aveva ben deciso di tenerselo per sé, come ricordo dei bei vecchi tempi andati - quella maledetta serpe smagrita!-.
-  ... Smetti di sghignazzare in quel mondo, uhm- fece irritato Deidara, notando l'ennesima espressione raggiante che gli avevo rivolto. 
- Sono felice!- borbottai in mia difesa, per poi sorridere in modo ancora più losco  – Ehi, giusto per curiosità... quand'è la prossima volta che vi riunirete per sigillare appassionatamente qualche demone tutti assieme?-. Che voleva dire: "Quand'è che sarò in grado di vedere Hid- gli altri?". Non avevo secondi fini, eh! Sarebbe stato scortese non presentarmi a Hid- a tutti gli altri ora che ero entrata nel loro gruppo!
L'artista sbuffò, lasciando ondeggiare il ciuffo.
- Che ne so!- scosse le spalle -Quando uno di noi riesce a catturarne uno, suppongo. Cos'è quella faccia, hai intenzione di assalire anche me adesso, uhm?- mi punzecchiò, continuando a non comprendere il motivo per cui sembrava che stessi per spiccare il volo da un momento all'altro. 
- Guarda che se non fosse intervenuto Ryu avrei abbracciato anche te.- sottolineai, offesa - Non è stata mica un'aggressione, era una semplice dimostrazione d’affetto. Non calcolata, per l'esattezza. Avrei veramente dovuto non farlo. No, dovrei proprio smettere di parlarne e di ricordare quell'episodio. Non torniamo più sull'argomento, ok? -. 
Sperai che Deidara avesse compreso, attraverso questo sensatissimo sproloquio, il mio dramma interiore e che, da persona matura qual'era, avesse deciso di chiudere la questione. Ovviamente il "persona matura" non era parte del suo personaggio.
- Questo perché sono uno dei tuoi personaggi più graditi, uhm?- ammiccò lui, rinfacciandomi ciò che aveva rivelato al mondo Pain, poco tempo prima – Chi sono gli altri? A parte Sasori, ovviamente. Come ci hai dato modo di verificare-.
 Se non fosse stato il mio idolo e, sopratutto, più forte di me da ogni possibile punto di vista l'avrei... l'avrei guardato male. Come solo io sapevo fare.
- ... H-Hidan- ammisi, dopo qualche momento di esitazione, sospirando nel vedere che non aveva intenzione di lasciarmi in pace.
A proposito: non vedevo l’ora di incontrarlo. Lui si che sapeva portare con stile la cappa dell’Akatsuki! Anche se avrei preferito che non portasse null- cioè, andiamo pure avanti con la storia.
– E' possibile che decida di sacrificarmi a Jashin se tento di abbracciarlo? Anche stringergli la mano come una persona qualunque mi andrebbe bene-.
- Probabilmente.- concordò lui, senza alcuna delicatezza. E anche i miei sogni di gloria in cui mi spupazzavo l'albino senza rischiare la morte andarono in frantumi.
Sopra di noi il calore del sole si fece ancora più intenso, cominciato a farsi insopportabile, imbacuccati com'eravamo in mezzo a quella landa desolata. Non ero abituata a vedere così poca civiltà intorno a me.
Camminavamo da diverso tempo, senza una meta precisa. O meglio, probabilmente i due conoscevano perfettamente il posto in cui ci stavamo recando, solo che, come prima, non mi ero premurata di chiederlo. L’avrei scoperto più tardi, non c'era fretta. 
- Così il mio compito è quello di impedire che veniate ammazzati...- sospirai, dopo diversi minuti di silenzio, la mano sotto il mento – Non ho la minima idea di come fare, sinceramente...- aggiunsi, occhieggiando Sasori piuttosto preoccupata. 
Purtroppo il primo a crepare sarebbe stato proprio il bel rosso dallo sguardo mortale.
Avrei dovuto impedire, in qualche modo, lo scontro tra lui, Sakura e quella vecchia bacucca di sua nonna - in realtà mi stava anche simpatica ma, ehi, non si uccidono così i miei personaggi preferiti!-. Come avrei potuto farlo? Se mi fossi messa a combattere con una delle due, Sasori sarebbe riuscito a sbrigarsela senza morire male? Forse se le avessi private dell'antidoto...
- Che stai facendo?-. La domanda di Deidara mi riscosse dai miei pensieri, facendomi perdere tutte le idee geniali che vorticavano nella mia testa. Non molte veramente... però dare la colpa a lui mi faceva sentire meglio.
- Cerco di trovare un modo per salvare Sasori.- risposi solamente, pronta per ritornare a perdermi nei meandri dei miei pensieri. 
- Parlami dell'oca con crisi di inferiorità- intervenne allora il diretto interessato, che fino a quel momento si era tenuto in disparte.
L'oca con crisi di inferiorità? Rabbrividii appena, realizzando che quei due erano stati abbastanza vicini da poter ascoltare la conversazione che avevo avuto con Ryu il giorno prima - che si fossero nascosti sotto il tavolino o avessero preso le sembianze di una delle cameriere?-.
Lo sguardo di Hiruko bastò a farmi gelare il sangue nelle vene e a concentrarmi su ben altri, più imminenti, questioni. 
- Non è che potresti uscire da lì dentro, per favore? Almeno quando mi parli- provai, da dietro le spalle di Deidara – Sei inquie...-. 
- No.- mi stoppò lui – La risposta alla mia domanda- insistette, a corto di pazienza.
- O-ok ok! Ma non ti arrabbiare!- piagnucolai, agitando le mani - Succederà in una grotta, dopo aver sigillato uno dei demoni. Incontrerai tua nonna, Chiyo. Lei e Sakura Haruno, del villaggio della Foglia, ti uccideranno.-.
Detto questo la marionetta riprese a muoversi, sovrappensiero. Probabilmente avrebbe tentato di salvarsi da solo piuttosto che far affidamento sulle mie dubbie capacità ninja.
- L’oca troverà anche un antidoto ai tuo veleni grazie a Kankuro, un marionettista che tenterà di fermarti e che tu non ucciderai del tutto!- aggiunsi poi, ricordandomene e sperando veramente che quelle informazioni potessero tornargli utili. 

Dopo diverse ore di cammino - sì, ore, decisamente troppe per una che, come me, non faceva altro che percorrere la distanza computer-frigorifero-bagno per tutto il giorno-, ci fermammo in un punto non ben definito di quello spazio desolato. Qua e là delle sterpaglie facevano capolino dalle fenditure del terreno, vi erano qualche sasso e pochi alberi dall’aspetto decisamente malaticcio. Per quanto un albero potesse sembrare malato, s’intende. 
- Che facciamo qui?- chiesi, contemporaneamente a Deidara. No, neanche lui sapeva quale sarebbe stata la nostra meta, questo mi faceva sentire meno stupida.
Fu allora che Sasori pronunciò le stesse parole che mia madre aveva recitato, sconvolta, dopo aver sbirciato il mio peso sulla bilancia. 
- Iniziamo il tuo allenamento.-.
E io che pensavo che non avesse il senso dell'umorismo! ... Perché mi guardava come se credesse veramente a quello che diceva?
Sospirai, cercando di vedere il lato positivo della cosa: se era l'Akatsuki a seguire il mio percorso sarei diventata una ninja talentuosa in quattro e quattr'otto.
- ... Chi mi allena?-. 
- Io.- affermarono automaticamente, in coro, i due ragazzi, per poi scambiarsi uno sguardo truce. 
- Ci penso io.- rimarcò Deidara. 
- Non credo proprio: l'unica cosa in cui sei portato sono le tue ridicole esplosioni e non è questo ciò di cui ha bisogno.- sottolineò l'altro – Le tue abilità nel combattimento ravvicinato lasciano molto a desiderare.-. 
Il biondino sbuffò, ferito nell'orgoglio, ma ben consapevole di ciò che gli era stato detto. 
- Che cosa dovrei fare?- chiesi ancora, intimorita dalle possibili torture a cui mi avrebbero sottoposto di lì a poco. Non ero esattamente una persona che resisteva allo sforzo fisico. Né avevo la volontà per diventarlo. Un allenamento ninja di quelli che intendevano loro era decisamente fuori dalla mia portata.
- Iniziamo dal controllo del chakra.- affermò il mio nuovo maestro, ma si fermò, notando Deidara che lo stava bellamente scimmiottando. Evidentemente il rosso era troppo maturo per dare peso ad una cosa del genere, e continuò indisturbato – Devi riuscire a concentrare il chakra sui piedi e a salire su quell’albero. E’ il minimo che un ninja debba saper fare... devi concentrarti.- mi suggerì poi, vedendo il mio sguardo smarrito. 
Camminare su un albero era il minimo? Probabilmente se qualcuno, nel mio mondo, l'avesse fatto, avrebbero gridato "al miracolo!" e la notizia si sarebbe diffusa a macchia d'olio in tutti i continenti. L'albero e la persona in questione sarebbero stati santificati e onte di seguaci ammirati sarebbero giunti da ovunque per potersi fare almeno un selfie nel luogo tanto decantato.
- Non posso iniziare col camminare sull’acqua?- provai speranzosa.
Improvvisarmi Gesù Cristo mi sembrava molto più sensato che cominciare a sfidare dall'oggi al domani la forza di gravità: ero piuttosto sicura che, anche se a loro facevano un baffo, le leggi della fisica su di me funzionassero eccome. 
- Vedi dell’acqua da queste parti?- mi fece notare, con tono vagamente ironico - speravo che quest'improvvisa ondata di simpatia stava a significare che mi aveva ormai perdonato per lo spiacevole incidente dell'abbraccio non desiderato-. 
Ad ogni modo mi sembrava proprio che dovessi prenderlo come un no.
Osservai dal basso l'albero che, a quanto pareva, sarebbe stato il mio compagno di avventure per le prossime ore: perché sembrava essere dieci volte più grande di uno normale? Il fatto che non si sarebbe frantumato subito sotto il mio peso mi rassicurava, ma cadendo da quell'altezza mi sarei come minimo polverizzata l'osso del collo. Ne avevo uno solo e ci tenevo molto che restasse così com'era.
- Mi prendi tu se cado, vero?- chiesi, cercando di sorridere in modo convincente, ottenendo solo una smorfia tremolante - ... vero?-.
Lo sguardo che mi lanciò - ormai comunicavamo così- sembrava urlare : “Se cadi finisci allo spiedo sulla coda della mia marionetta.”. Speravo di aver colto male quello che voleva dirmi - infondo non ero mai stata brava a interpretare i pensieri della gente-.
- ... Ci pensi tu Deidara, vero?- mi rivolsi, allora, al biondino che se ne stava in disparte, offeso dalle precedenti affermazioni di Sasori. 
- Uhm...- si limitò a mugugnare e probabilmente stava per "no" - sarei stava veramente grata se avessero cominciato a parlarmi come delle persone normali-. 
- Fallo e sono pronta a concederti un abbraccio!- gli offrii, allargando le braccia come per rimarcare il concetto. 
- No, non ci tengo, grazie.- si rifiutò, trattenendo a stento una smorfia di disgusto. 
Mi faceva piacere come nessuno dei due tentasse minimamente di nascondere la propria avversione nei miei confronti. Non erano questi i modi con cui ci si rivolgeva ad una bella donzella come me!
- Cattivo!- mugugnai in modo infantile, incrociando le braccia al petto – Ignorare così i miei sentimenti di amore nei tuoi confronti!- sbottai, senza rendermene neanche conto. 
Dopo aver realizzato la cosa cercai di mantenere la mia espressione sicura, come se non sentissi il disperato bisogno da lanciarmi ora, dall'albero.
- S-siamo praticamente degli sconosciuti.- esordì lui, preso per un attimo alla sprovvista.
 Sembrava quasi... imbarazzato? Volevo vederla così, mi sarei sentita meno sola nel mio dolore.
- Dimentichi che io ti conosco perfettamente.- ammiccai, realizzando solo in seguito quanto quella frase suonasse da stalker compulsiva – Ti pregooooo!- cominciai a cantilenare, fino a portarlo al cedimento. Le mie tecniche di infantilismo dilagante avevano sempre l'effetto desiderato. 
- Hai intenzione di muoverti?- intervenne allora Sasori, mettendo fine al nostro teatrino. 
Guardai nuovamente l'albero dopato.
- Ok, ok…- sospirai rassegnata, passandomi una mano fra i capelli. 
Tanto, se avessi rischiato di cadere, ci sarebbe stato Deidara a prendermi, vero?... Vero? La mia fiducia un po' vacillava...
A quel punto chiusi gli occhi, sentendomi anche tremendamente stupita, e provai a concentrarmi - e già di questo non era semplice-. 
Concentrarsi? Una cosa che non avevo praticamente mai fatto in tutta la mia vita! Non credevo neanche di averla mai pronunciata quella parola! Come la parola “Onomatopeico”... ma chi aveva bisogno di dire “Onomatopeico”? Perché avevano inventato un termine se nessuno lo utilizzava? 
- Hai sentito? Era un suono “Onomatopeico”!-, ma chi cavolo si metteva a dire una cosa del genere? 
No, aspetta… stavo divagando…
Cercai di nuovo di richiamare la mia attenzione, ma con scarsi risultati. 
“ Onomatopeico”, se fosse un verbo sarebbe stato tipo “ Onomatopetizzare” o meglio “Onomapeizzare”…  non vedo come sarebbe stato possibile impiegarlo all'interno di una frase.
- Ti stai concentrando seriamente?-. Sasori troncò di netto il flusso dei miei pensieri. 
- Ma certo, certo!- assicurai, scuotendo le mani, per poi ritornare alla posizione di poco prima. Ovvero: seduta a gambe e braccia incrociate con gli occhi chiusi, in stile “posizione da yoga” o da "Buddha alle prime armi". 
Dovevo smettere di pensare e concentrarmi sul mio corpo. Dovevo trovare il chakra di Fuko, ma sembrava veramente ben nascosto. 
Intorno a me vigeva un assoluto silenzio, tant'è che per un attimo ebbi il dubbio che mi avessero mollata lì, da sola, a fare la cretina seduta davanti ad un vegetale. Aprii un occhio giusto per controllare e, appurato che i due non mi avevano piantata in asso, ripresi a meditare.
Ci vollero almeno una decina di minuti prima che riuscissi finalmente a sentire qualcosa: purtroppo si trattava del mio stomaco che brontolava. 
- Concentrati!- mi rimproverò nuovamente il mio insegnante - che in realtà non faceva nulla-, per l'ennesima volta da quando avevo cominciato quel processo malsano. All'accademia non mi sembrava che gli altri ninja ci avessero messo così tanto per imparare a controllare il chakra. 
Corrugai le sopracciglia, provando veramente, con tutta me stessa - più o meno- a riuscire nell'intento. Finalmente avvertii seriamente qualcosa, qualcosa di strano a cui non avevo mai fatto caso e che sembrava scorrermi nelle vene.
Beccato! 
Potevo avvertire chiaramente ogni suo singolo filamento – cosa ovvia dato che, effettivamente, si trovava dentro di me-.
- Ci sono! Ci sono!- pensai, trionfante – Ora basta concentrarlo nei piedi, no?- pensai ottimista, cercando di spingere tutta l’energia verso il basso. 
Non era affatto facile come l'avevo fatta sembrare, però. Era come se quella strana energia si dimenasse contro il mio volere, ignorando ogni mio tentativo di dominarla. Si agitava qua e là, sfuggendo al mio controllo e minando alla mia pazienza - non che ne avessi molta, anzi, solitamente io ero una di quelle persone che pretendono di avere tutto e subito-.
Quello stupido chakra, tra  l'altro non mio, iniziava a darmi veramente sui nervi. Mi morsi il labbro inferiore, cercando di trattenere gli insulti, parecchio volgari, che minacciavano di uscire dalla mia boccuccia di rose. 
- Bastardo di un chakra selvatico...- sibilai a denti stretti. 
Continuava a dimenarsi e a disilludere la mia concentrazione, già parecchio precaria. E non era facile per me rimanere in quello stato. Per quanto un chakra possa avere capacità di iniziativa. 
All’ennesimo tentativo fallito mi arresi, dando una chiara prova di tutta la mia volontà e determinazione. 
Sbuffando mi alzai, maledicendo quella dannata energia in tutte le lingue che conoscevo – mica tante a dire il vero-. Iniziai a percorrere a grandi falcate la prateria, scagliando via in malo modo ogni povero e indifeso sasso che aveva la sventurata idea di finirmi tra i piedi, sotto lo sguardo sconcertato di Deidara e quello inespressivo di Sasori. 
- Non ci riesco, è inutile!- sbraitai indignata – Non mi vuole dare retta!-. 
- Ci hai messo poco ad arrenderti, uhm?- notò il biondo, con un sorriso divertito stampato sulle labbra – Ed io che ero qui pronto a prenderti.-. 
Mi fermai, cercando di riacquistare un minimo di auto-controllo. Odiavo gli allenamenti, odiavo sforzarmi, odiavo non riuscire nelle cose nonostante mi ci stessi impegnando. In più, odiavo fare le cose che odiavo. 
Incrociai le braccia al petto, cercando di trovare una soluzione ai miei problemi. 
Il chakra non voleva starmi a sentire...perché? Non lo stavo facendo nel giusto modo? Eppure mi stavo concentrando! Forse mi disubbidiva perché non ero Fuko? O ero solo un’incapace? Optai per l’ultima opzione. 
Non ci sarei mai riuscita, punto. Potevo vivere anche senza il controllo del chakra. Infondo, non è che servisse poi tanto ai ninja, giusto? No? No. Probabilmente, anzi, sicuramente, era uno delle cose fondamentali. 
- Sasori, cosa devo fare?- piagnucolai, demoralizzata. 
- Riprova e concentrati.- ripeté lui, palesemente annoiato dalla situazione in cui si trovava. 
Certo, probabilmente stava pensando al fatto che il fare da baby sitter ad una ragazzina talmente poco dotata non rientrasse fra le sue mansioni. Forse stava anche cercando un modo per togliermi di mezzo e, dato l’espressione omicida che mi stava riservando in quel momento, ero sicura che l’avesse già trovato.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7: 
La notte arrivò presto, insieme ad un vento gelido che si portò via gli ultimi brandelli della determinazione che mi aveva portata avanti sino a quel momento - in realtà, anche l'aura minacciosa del marionettista aveva contribuito a non farmi mollare subito l'allenamento. Non ero ancora pronta per scoprire quello che mi avrebbe fatto in caso di fallimento-.
Nel cielo, che si era ormai tinto di un pesante blu scuro, spiccava la luna, che aveva ricoperto l'atmosfera di soffusa luce azzurrognola. Ora che non vi era l'interferenza tipica delle luci della città, era come se fossi circondata da un'enorme manto di stelle, che risplendevano in modo alquanto suggestivo. Non sapevo se dipendesse dal fatto che non fossi stata mai abbastanza lontana dalla civiltà per poterle veramente vedere o se fosse l'effetto manga a rendere tutto migliore, ma fu uno spettacolo che mi lasciò veramente a bocca aperta. E distrusse definitivamente la mia concentrazione - come altre centinaia di cose fino a quel momento, a dire il vero, fra cui i muscoli che cominciavano a intorpidirsi e i malaugurati insetti che mi scambiavano per un autogrill e decidevano di farsi una sosta su di me-.
- Io non ce la faccio...- borbottai per la centesima volta, lasciandomi cadere su un fianco e ritirandomi poi subito in piedi, schifata. Ancora l'idea di rotolarmi in mezzo alla terra e a chissà-cos'altro-ci-abitava-lì-in-mezzo, era un po' troppo per me.
Cercai di pulirmi i vestiti alla bell'in meglio, lasciando vagare il mio sguardo nei dintorni e notando, solo allora, la mancanza di un certo individuo che pensavo avesse il compito rimanere lì a supportarmi.
- Dov'è Sasori?- chiesi, voltandomi verso Deidara: il biondino se ne stava appollaiato su una delle sue sculture d'argilla e svolazzava pigramente poco lontano da me, tenendomi d'occhio. Probabilmente anche lui avrebbe volentieri passato il suo tempo  a fare altro - e avevo la sensazione che avesse a che fare con la sua arte-, piuttosto che a fissarmi mentre facevo finta di meditare, ma almeno non mi aveva ancora mollata lì come il mio presunto maestro.
Lui scrollò le spalle. 
- Non ne ho idea.- fece, per nulla interessato alla faccenda – Ma è normale, ogni tanto scompare.-. 
Ah, buono a sapersi...  il rapporto fra me e il rosso era proprio iniziato alla grande.

Deidara: 
Quella ragazzina... era un’incapace. 
Ci era stato spiegato che nel suo mondo non aveva mai avuto a che fare con cose di questo tipo e che, molto probabilmente, le ci sarebbe voluto del tempo prima che riuscisse a controllare perfettamente il suo nuovo corpo, ma la sua determinazione non l'avrebbe portata da nessuna parte. Non si stava minimamente applicando ed erano ore che continuava a distrarsi per un nonnulla con una velocità che non pensavo fosse umana. Doveva ritenersi molto fortunata che Sasori non l’avesse ancora avvelenata: lui odiava aspettare e i suoi tempi erano decisamente troppo lenti per i suoi standard. Sospettavo che fosse questo il motivo per cui se ne fosse andato a farsi un giro, lasciandola a me. Io, però, non avevo alcuna intenzione di immischiarmi: il rosso aveva voluto occuparsene e, adesso, sarebbe stato un problema suo.
Aprii la zip della mia borsa, tirando fuori del pane che avevo rimediato nell'ultimo villaggio che avevamo attraversato, accigliandomi nel notare il suo sguardo illuminarsi. 
- DeiDei~- cantilenò allora lei, facendomi quasi rabbrividire – Me lo dai un pezzettino?- chiese poi, sbattendo le ciglia in modo decisamente esagerato, probabilmente nel tentativo di corrompermi.
- No.- la mia risposta le arrivò, secca – E non chiamarmi “DeiDei”, è orrendo. Dovresti portare più rispetto a chi è più grande ed esperto di te, uhm.-.
Ci conoscevamo da meno di due giorni e lei cominciava a storpiare il mio nome: non ero a conoscenza di quanto e cosa sapesse su di me, ma si era sicuramente fatta un'idea sbagliata sul sottoscritto se pensava che potesse comportarsi come le pareva.
- Hai soltanto quattro anni in più di me! Uuhm... tre se consideriamo che Fuko ne ha sedici, in effetti.- notò, avvicinandosi un po' e continuando ad osservarmi con uno sguardo da... cucciolo bastonato. 
Pensava che sarebbero bastate un po' di moine per convincermi?
- Sono comunque più grande di te. Per non parlare in termini di abilità. Poi la tua posizione nell'organizzazione è del tutto infer-.
- Tre anni non sono tanti!- protestò, interrompendo il mio discorso e arricciando le labbra in modo infantile, le braccia incrociate sotto il petto.
Stentavo a credere che Pain fosse veramente convinto che il futuro dell' organizzazione dipendesse da quella ragazzina: in quel caso saremo stati spacciati, senza  ombra di dubbio. Non ero particolarmente interessato al destino dell'Akatsuki - in primo luogo, non ci sarei nemmeno voluto entrare-, ma avrei volentieri evitato di morire, almeno nell'immediato futuro.
- Resti sempre poco più che una bambina, in confronto a me.- la sbeffeggiai, ridacchiando appena della sua espressione imbronciata. Non era sicuramente qualcosa che esisteva in quel mondo, questo era poco ma sicuro. 
- Sei crudele, DeiDei!- sbuffò infastidita lei, usando di nuovo quel terribile soprannome che non riuscivo a concepire da dove le fosse uscito - che fosse un'usanza della sua gente o qualcosa del genere dare nomignoli in quel modo? No, dubitavo che esistessero persone con un senso del gusto così orrendo-.
Come se non avesse sentito nulla di quello che le avevo appena detto - probabilmente, aveva semplicemente deciso di ignorarlo-, tornò a sorridere – Allora, me ne dai un pezzettino? Sto morendo di fame! E guarda che, se non mangio, rischio di svenire e, se svengo, rischio di cadere e di sbattere la testa contro qualcosa di potenzialmente fatale, per poi morire dissanguata. Se io muoio poi morirai anche tu, perché non ci sarà nessuno pronto a salvarti dalla tua testardaggine!- concluse lei, soddisfatta, puntandomi un dito contro - perché poi?-, in uno strano tentativo i ricattarmi. Quella mocciosa non aveva proprio capito nulla di come andavano le cose, lì.
- Lo sai che se Pain non mi avesse proibito di ucciderti saresti già esplosa in mille pezzi, vero?! A quel punto saresti sicuramente più interessante, da osservare- le feci presente, scendendo dalla mia scultura con un balzo, irritato – Prendi. Non te ne darà di più, anch'io sono affamato.- la avvertii, allungandogli metà del mio panino e voltando lo sguardo altrove. Per fortuna Sasori non c'era. 
- Oh, ma grazie DeiDei!- esclamò lei tutta contenta, buttandosi di slancio su di me, facendomi quasi sfuggire il pane che avevo fra le mani e perdere l'equilibrio. Non riuscivo ancora a capire come avessi fatto a non reagire in tempo.
In effetti fu così veloce che non me ne resi neanche conto: non sapevo se avesse delle abilità nascoste da qualche parte o se, stupidamente, avevo abbassato la guardia a tal punto, ma ormai era fatta; così come era successo con Sasori, la ragazzina, all'improvviso, senza un motivo apparente, mi aveva lanciato le braccia al collo, premendo forte il proprio petto contro il mio e sfiorandomi la guancia con il viso. 
Per un attimo non seppi come reagire e rimasi immobile, il fiato letteralmente sospeso, scioccato da quel gesto che a lei pareva tanto normale: inizialmente l'avevo sbeffeggiato per la sua reazione, ma cominciavo veramente a capire perché Sasori ne fosse rimasto così sconvolto.
Sapeva tutto di noi e di cosa facevamo, eppure... non sembrava darci troppo peso: ci trattava come persone qualunque. Non riuscivo nemmeno a ricordarmi l'ultima volta che qualcuno mi avesse afferrato in quel modo e...  non riuscivo a capire se la cosa mi facesse piacere o mi infastidisse.
Che cosa stavo dicendo?! Era ovvio che lo trovassi insopportabile e irritante, così come lei. Ma dove eravamo andata a pescarla, quella lì? 
- Hai intenzione di staccarti?!- borbottai, oltremodo scocciato, sentendo il suo sbuffo solleticarmi il collo. 
- Antipatico! Non vado mica in giro ad abbracciare chiunque, dovresti ritenerti fortunato che questa donzella abbia scelto proprio te!- mi informò, allontanandosi da me di qualche passo, e facendomi la linguaccia in modo veramente molto maturo – I tuoi capelli hanno un buono odore, lo sai?- disse a bruciapelo, facendomi sussultare.
- Mi hai annusato i capelli?!- sbottai, sdegnato.  
Lei annuii, tutta gongolante e dopo un attimo di silenzio, prima che potessi cominciare a dirgliene quattro, qualcosa sembrò balenarle in mente e si mise a ridere. Da sola. Non era normale.
- Che hai adesso?!- domandai, mentre lei tentava di asciugarsi le lacrime che le si erano formate agli angoli degli occhi. 
- Sai...- mugugnò, rischiando di soffocarsi – Mi sono ricordata di una storia che ho letto tempo fa...-.
... E quindi?
- Di che parlava?- chiesi, mentre lei cercava di calmarsi. Vista la sua reazione a riguardo non ero certo di volerlo sapere.
- Di te...- iniziò, dopo un respiro profondo – E di Sasori.-.
C'erano delle storie su di noi? Vedendo la gente che ci abitava, probabilmente anche il mondo da cui veniva non era esattamente l'incarnazione della normalità.
- Quindi, cos’è che ti fa tanto ridere?- borbottai. Inutile, non riuscivo a capirla. 
- Eravate innamorati.-. 
Rischiai di strozzarmi con la mia stessa saliva nel sentire le sue parole e il panino mi andò di traverso.
- COSA?!- feci io, rabbrividendo al solo pensiero, dopo qualche colpo di tosse. 
Io e il Danna...insieme?! Non ero gay! E sicuramente non mi sarei mai messo con uno come lui!
Lei rise, trovando evidentemente il tutto estremamente divertente – Poi lui ti annusava i capelli e diceva che avevano uno buono odore. Tu arrossivi e poi vi baciat...-. 
- ZITTA! Non voglio sapere altro!- la bloccai, facendola sghignazzare – Sappi che questo non succederà mai e poi mai! Assolutamente!- la informai, ancora mezzo sconvolto – Ma che razza di storie girano nel vostro mondo, su di noi? Non hanno il minimo fondamento.-.
- Certe cose sono all’ordine del giorno. La coppia che più mi nausea di più è quella di Itachi e Kisame. E’ più forte di me, non riesco proprio a vederceli insieme.- raccontò, rabbrividendo, ed io con lei. 
Il pesce con l’Uchiha? Era un’idea alquanto raccapricciante e bastava a farmi accapponare la pelle. 
- Tu non sei normale.- le feci presente. 
- Grazie!- rise lei - Non me l'ha mai detto nessuno!- fece ironica, per poi abbassare un attimo lo sguardo, sulla sua parte di panino, mordendosi le labbra come una bambina.
- Quando avrò impedito che veniate ammazzati, o meglio, nel remoto caso che ci riuscissi, dovrò tornare nel mio mondo?- chiese, tornando a guardare verso di me. 
Aveva smesso di ridere. 
- Non lo so...- risposi scuotendo le spalle. Che altro avrei dovuto dirle? Qualsiasi fossero i suoi problemi, non mi riguardavano. Noi dovevamo solo tenerla d'occhio e assicurarci che facesse quello per cui era stata convocata.
- Spero di no.- mugugnò lei, dopo un’attenta riflessione – Però...-.
Alzai un sopracciglio, sconcertato, osservandola mentre era presa da chissà quali pensieri.
- Non ti piace casa tua?- domandai, vagamente incuriosito. Soltanto vagamente, non mi interessava. Era solo per fare conversazione: con Sasori ero costretto per ore al silenzio. 
- No, cioè si!- si contraddisse lei – Amo questo posto! Però sono preoccupata per quello che sta facendo Fuko... la vera Fuko. A casa mia. Non mi sentirò tranquilla fino a quando non potrò vederla con i miei occhi...-.
E dopo qualche momento di silenzio, quando cominciavo a sospettare che si aspettassi che le dicessi qualcosa, cambiò di nuovo discorso: quella ragazza aveva un carattere più volubile del contabile immortale.
– Mi insegni ad usare il chakra?- esclamò infatti, mentre avvolgeva le mani intorno al mio braccio. Tutto questo suo bisogno di contatto fisico mi sconcertava. 
Poi... come c’era arrivata a questo discorso? Non riuscivo a trovare un filo logico - sempre che ci fosse-.
- Sasori no Danna ti ha già spiegato come fare. Con il tempo diventerà un abitudine.- dissi semplicemente io, ma lei non si diede per vinta – Eddai! Ci deve essere un trucchetto o qualcosa del genere! Tipo un tutorial su youtube!- protestò, scuotendomi appena. 
... Yucosa?
- No, non c'è.-.
- Non posso riuscirci, allora!- sospirò lei, demoralizzata, scalciando via un sasso con fare abbattuto.
Già, nemmeno io, in realtà, avevo tante aspettative a riguardo.
Mi sorpresi quando, dopo che ebbe finito di mangiare, si rimise seduta vicino all’albero senza dire nulla. 
- Che fai?-.
- Mi alleno, semplice.- rispose lei, con l'ennesimo sorriso – Per distruggere Fuko nel caso facesse macelli nel mio mondo!- aggiunse poi ghignando. 
- In questo momento Fuko saresti tu- le feci notare, ironico. 
- Allora per distruggere la bellissima e dolce Ambra.- si corresse lei, in un chiaro esempio della sua modestia.

Fuko: 
Dovevo impegnarmi. Dovevo assolutamente farcela. 
Se quella ragazza avesse deciso di mettersi a fare casini... sarebbe stato un problema e sarei dovuta essere in grado di fermarla. Per non parlare di quelli dell'Akatsuki! Pain aveva un sacco di aspettative nei miei confronti e non volevo proprio essere la causa della sua delusione. 
Tentando di motivarmi, cominciai a richiamare la concentrazione per focalizzarmi sul chakra. 
Come prima lo sentivo agitarsi dentro di me, come un mare in tempesta: dovevo riuscire a dominarlo, in qualche modo. Cercai di rilassarmi e calmare i suoi movimenti, se si agitava così era più difficile da modellare a seconda delle mie esigenze. 
Una volta che l’energia, non so come, si fu stabilizzata, iniziai a spingerla verso i piedi poco per volta - o almeno questa era l'idea-, dato che prima, provando a spostarlo tutto insieme, avevo fallito miseramente. 
Anche io a forza di sbagliare cominciamo a capire come funzionava. Con i miei tempi, ma ci riuscivo. 
Per un attimo sembrò divincolarsi, ma riuscii a riprenderne il controllo prima che si disperdesse del tutto e dovessi ricominciare dal punto di partenza. 
Nonostante la notte avesse raffreddato l'ambiente, sentii un rivolo di sudore scorrermi dalla fronte per tutta la guancia, ma non ci feci molto caso, presa dalla lotta contro l'energia di Fuko - glie ne avrei dette quattro, appena avrei avuto l'occasione-. 
Quando ebbi la sensazione di averlo veramente concentrato sui piedi, aprii lentamente li occhi, cercando di non pensare ad altro che non fosse il sempreverde - sinceramente non ero mica tanto sicura che si trattasse veramente sempreverde... - che mi si stagliava davanti.
La corteccia, minacciosa, sembrava quasi giudicarmi mentre mi avvicinavo ostentando finta sicurezza, ascoltando il vento che continuava a fare frusciare le sue foglie, sopra di me.
- Deidara prendimi se cado.- pensai disperatamente, mentre prendevo la rincorsa per salire sull’albero.
Lui, da brutto vegetale che era, continuava a scrutarmi con ostilità: solo perché era più grande di me credeva di potermi spaventare? Sì, ci riusciva, ma non avrei permesso che se ne rendesse conto. Insomma! Avevo una dignità anche io e perdere con un vegetale sarebbe stato quanto meno denigrante.
Iniziai a correre verso l'oggetto dei miei pensieri, mantenendo il chakra nella stessa posizione di prima - o almeno, tentando di farlo-. 
Quando vi arrivai, un piede dopo l’altro, un passo alla volta, con mia grande sorpresa, riuscii ad arrivare fino a che la sua chioma lo rendeva possibile.
Non riuscivo a crederci: ce l’avevo fatta sul serio! Avrei potuto mettermi a ballare la danza della felicità seduta stante! Allora non ero proprio un’incapace come avevo pensato fino a quel momento?! 
- DeiDei, hai vist-.
Presa dai miei deliri mentali non mi accorsi di aver rilasciato il controllo del chakra fino a quando non sentii i miei piedi staccarsi dalla corteccia dell’albero. Giusto... la concentrazione. Punto fondamentale.
- Oh...merda!- imprecai, mentre mi preparavo all’impatto con il terreno, che non sarebbe stato alquanto piacevole - se sarei sopravvissuta abbastanza per ricordarmelo-.
Altrimenti... che morte stupida.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8:
Sembrava che tutto stesse avvenendo a rallentatore: la corteccia dell'albero che si allontanava dai miei piedi, le fronde, scosse dal vento, che si stagliavano sopra di me e si facevano sempre più lontane... oh, perfetto, ero arrivata in quel mondo da un paio di giorni e avevo già trovato il modo per eliminarmi con le mie stesse mani. In modo terribilmente stupido, per giunta.
Questa frase andava letta nel modo più sarcastico possibile: in quel momento mi stavano passando per la mente così tante imprecazioni che persino Hidan si sarebbe scandalizzato - peccato che non sarei durata abbastanza da poterlo verificare-.
Ovviamente, essendo la fortuna una delle mie più grandi caratteristiche, avevo perso la concentrazione nel punto più alto dell'albero e avevo la sensazione che, cadendo da quella distanza, non me la sarei cavata semplicemente con qualche acciacco o con un paio di bernoccoli.
Avevo sentito dire che, nei momenti che precedono il trapasso, tutta la tua vita ti passa davanti; nel mio caso nessun filmato rocambolesco sulle mie intense vicissitudini cominciò a scorrermi davanti, ma continuai a tenere gli occhi puntati verso l'albero sopra di me: avevo la terribile sensazione che mi stesse sbeffeggiando alla grande. Lui avrebbe continuato a vivere la sua vita statica e legnosa e io mi sarei presto trasformata nel suo concime.
Se fossi stata veramente un personaggio di un anime, qualcuno avrebbe come minimo fatto partire la musica drammatica -  e i miei fan si sarebbero disperati nell'assistere a tale fatalità-, ma purtroppo, a quanto pareva, ero destinata a restare una di quelle comparse inutili di cui tutti avrebbero presto dimenticato l'esistenza. Almeno non avevo rischiato di uscire dal mio personaggio ed ero rimasta sfigata, con onore, fino alla fine.
- Presa.- una voce maschile mi raggiunse all'improvviso e avvertii una presa salda intorno al mio corpo.
Mi voltai per capire cosa fosse successo e cozzai contro il petto di Deidara, che mi aveva afferrata senza il minimo sforzo e, con i capelli che fluttuavano in modo tremendamente scenico - i venditori di shampoo avrebbero pagato oro per averlo come testimonial- atterrò con grazia al suolo. Se avessi provato a simulare ciò che aveva appena fatto lui, probabilmente, sarei sembrata una specie di elefante zoppo in piena crisi d'identità.
- DeiDei!- esclamai, incredula, mentre il cuore ricominciava a battere normalmente a man mano che la consapevolezza di non essermi ancora trasformata in cibo per piccioni si faceva strada in me. E la cosa era positiva.
- Come mai così sorpresa, uhm?- sogghignò lui, ironico -  Te l’avevo detto che ti avrei presa.- mi ricordò – Sono un uomo di parola.- recitò poi con fare solenne, allentando la presa e lasciandomi appoggiare i piedi a terra - non avevo più intenzione di lasciarla, avevo già appurato che il volo non faceva per me-.
Rimasi imbambolata ad osservarlo, ancora confusa per la lunga serie di eventi che si erano susseguiti a catena, senza lasciarmi il tempo di elaborare bene ciò che mi stava succedendo. Però ero lì, ero ancora viva e il mio osso del collo non si era trasformato in un puzzle. Questo era molto più che positivo!
- Grazie!- sbottai all'improvviso, lanciando le braccia al collo del ragazzo che mi aveva appena evitato una bruttissima fine, sentendolo sbuffare infastidito contro i miei capelli.
- Possibile che tu esista soltanto in funzione degli abbracci?- fece lui piccato, senza tentare minimamente di nascondere il fatto che non apprezzare la mia presa da koala. Ma io non badai a quello che diceva: al suo contrario non ero abituata a mettere a repentaglio la mia vita ed era solo merito suo se stavo ancora respirando. E poi che cavaliere rifiuterebbe mai in questo modo le effusioni di una giovane donzella nel fiore degli anni?
- Preferiresti che ti baciassi o qualcosa del gener-uh, no, non intendevo...!- mi bloccai, avvampando vistosamente e maledicendomi in tutte le lingue del mondo per non riuscire mai a pensare prima di prendere parola. Solitamente, almeno, non ero così spudorata da dispensare proposte di baci con così tanta leggerezza - io non l'avevo mai neanche dato un bacio!-.
Anche Deidara si irrigidì leggermente nel sentire la mia affermazione, aumentando ancora di più il desiderio che avevo di risalire sull'albero e finirmi con le mie stesse mani.
- Cosa state facendo?-. 
Per fortuna la voce atona e inespressiva di Sasori pose fine al momento di imbarazzo dilagante nel quale eravamo caduti.
Come se mi fossi scottata, scostai le braccia dal collo del biondo e ci voltammo entrambi nella direzione opposta, evidentemente a disagio e colti in un momento a cui nessuno avrebbe mai dovuto assistere.
Improvvisamente il campo desolato in cui ci trovavamo divenne molto interessante e mi concentrai con esagerata enfasi nello studio di una crepa che si trovava proprio accanto al mio piede.
- E-ehm...- mugugnai, rendendomi conto che qualcuno doveva pur dire qualcosa se non volevamo continuare a starcene in piedi in mezzo al nulla a non fare niente- Ehm...Ah! Sì, giusto!- scossi la testa e feci un passo verso il rosso - Ci sono riuscita!- esclamai contenta, aprendo le braccia - Sono riuscita a cader- cioè, no... a salire sull’albero!-.
Ora... non è che mi aspettassi che Sasori si unisse a me nella mia danza della felicità o che si sprecasse in chissà quali complimenti altisonanti sulle mie fantastiche abilità ninja, ma almeno avrebbe potuto dirmi che ero stata brava e lodare il mio impegno. E invece mi rivolse uno sguardo che demolì del tutto il mio entusiasmo. Maledetto Sasori che proprio non ne voleva sapere di uscire dal suo personaggio nemmeno per qualche istante!
- Vai a riposarti, domani dobbiamo rimetterci in marcia. Abbiamo aspettato fin troppo.- aggiunse, deprimendomi ulteriormente. A quanto pareva, durante la sua passeggiata, doveva aver dimenticato il cuore da qualche parte.
 
Il giorno seguente, quando mi svegliai, mi resi conto che non mi trovavo più nel fetido terreno nel quale, a malincuore, mi ero addormenta la notte precedente. No, la superficie su cui ero sdraiata sembrava parecchio liscia e levigata e tutt'intorno a me il suono del vento era parecchio forte. Sembrava quasi come quando...
Spalancai gli occhi, realizzando la cosa, e mi tirai a sedere di scatto, lanciando quasi un urletto spaventato nel constatare che i miei dubbi erano più che fondati: mi trovavo, infatti, sulla scultura volante di Deidara, a non so quanti metri da terra.
La luce del sole, decisamente troppo vicino e luminoso per i miei gusti, mi punse fastidiosamente gli occhi, costringendomi a schermarmi la vista con una mano.
- Era ora che ti svegliassi, uhm...- osservò Deidara, seduto poco lontano da me.
- Uuuhmg... avreste potuto avvisarmi...- sbiascicai, ancora mezzo addormenta, senza trattenere uno sbadiglio.
Scoprire  all'improvviso di aver lasciato il mio amato terreno non aveva reso il risveglio propriamente piacevole... forse però avrei potuto rimediare dormendo giusto altri cinque minuti - o anche altre cinque ore, l'allenamento del giorno prima mi aveva devastata. E poi ero quasi morta!-.
Rallegrata da tale consapevolezza tornai nella posizione di prima, decisa a riprendere l'attività che avevo bruscamente interrotto a causa di forze maggiori.
Effettivamente, a occhi chiusi, starsene sospesi nel vuoto non faceva neanche poi così paura, sembrava quasi di essere trascinati dalle onde del mare.
- Hai intenzione di rimetterti a dormire?!- sbottò il biondo, rendendosi conto di ciò che volevo fare – Non ci pensare neanche!- mi avvertì, avvicinandosi e cominciando a scuotermi per una spalla, in modo alquanto fastidioso per una che era ancora sospesa nel suo beato dormiveglia - dove la percentuale di veglia era minima-. 
Mugugnai scocciata, girandomi dall'altra parte e agitando una mano a caso, per tentare di scacciarlo: odiavo quando le persone mi negavano i miei meritatissimi cinque minuti in più di riposo.
- Che c’è?- borbottai scocciata, vedendo che non sembrava proprio intenzionato a lasciarmi stare, rifilandogli un'occhiataccia. Probabilmente l'amabile compagnia di Sasori l'aveva reso immune da certe cose e il mio tentato sguardo omicida non ottenne l'effetto sperato, anzi, non fece altro che fargli increspare le labbra in un sorriso. Alzai un sopracciglio, indispettita: si stava prendendo gioco di me?
- Siamo quasi arrivati, ormai- mi informò, il ciuffo che svolazzava libero intorno al suo viso a causa della velocità con cui ci stavamo muovendo.
- Arrivati dove?- chiesi, rimettendomi, tristemente, seduta - non osavo nemmeno immaginare che forma avessero i miei capelli. O meglio, i capelli di Fuko. Avremo continuato a barboneggiare ancora per molto? Avevo decisamente bisogno di farmi una doccia-.
- Al Villaggio della Sabbia-.
Per poco non mi tirai un pugno da sola con la mano con cui mi stavo strofinando gli occhi, sorpresa, sotto la sua espressione sconcertata.
Stavamo andando al Villaggio della Sabbia?! Eravamo già a quella parte di storia?! Io non avevo ancora avuto modo di pensare a come salvare Sasori e... pensavo di aver molto più tempo per elaborare almeno una strategia degna di tale nome! Non chissà cosa ma... comunque una vaga idea su come procedere.
- COME?!- sbottai, guadagnandomi un suo sguardo perplesso a causa dell'eccessiva enfasi con cui avevo pronunciato quella parola.
Tentai di ricompormi per non fargli una impressione peggiore di quanto non avessi già fatto - C-cioè, ehm...- colpi di tosse strategici per darsi un tono- Stiamo già andando a catturare il Jinchuuriki per caso?-.
- Esatto, qualche problema?-.
La mia espressione sconcertata e afflitta doveva aver parlato da sola visto come mi stava guardando in quel momento. Purtroppo ero sempre stata il tipo di persona alla quale si leggeva tutto in faccia - non so cosa avrei dato per avere la poker face di Sasuke. No, magari proprio quella di Sasuke no-.
- Non ho ancora... ehm... una strategia per evitare la morte di Sasori e...- provai a spiegare, ma il biondo bloccò sul nascere il mio delirio esistenziale.
- Danna è grande e grosso, sa badare a se stesso.- fece lui tranquillo, minimamente preoccupato dall'eventualità che qualcuno potesse effettivamente accoppare il suo partner. 
Peccato che una vecchia e un'idiot-... una giovincella di belle speranze, nel giro di poco tempo, l'avrebbero ammazzato alla grande e io non avevo un briciolo di possibilità di riuscire a scamparla contro una delle due. La nonnetta di Sasori sarebbe stata in grado di farmi a fette nel giro di cinque secondi netti. E persino Sakura, per quanto tremendamente scarsa e inutile, mi avrebbe ridotto in poltiglia.
Cosa avrei dovuto fare? Se avessi chiesto ai due di rimandare la cattura di Gaara rischiavo seriamente di stravolgere il corso degli eventi e, magari, sarebbe stato Deidara quello a rimetterci le penne. Cambiando la storia non avrei più saputo come muovermi e beh, la conoscenza di quello che sarebbe accaduto era praticamente il mio unico vantaggio. Vantaggio che non sapevo proprio come usare a mio favore.
Avevo bisogno di un piano, e subito. Un'idea geniale magari, di quelle che ti fanno sembrare una persona importante che sa quello che sta facendo. Non era esattamente la mia descrizione.
Anche nel caso che avessi deciso di utilizzare “Quella” non sarei andata molto lontana, anzi, probabilmente avrei finito per inciampare e caderci sopra, ferendomi in maniera più o meno fatale. Ah! Con "Quella" non mi stavo riferimento al fantomatico potere del vuoto - anche perché l'avrei chiamato "Quello" e comunque non sapevo usarlo-, ma ad un'arma che Pain mi aveva fornito insieme alla cappa e che, a quanto pareva, era appartenuta a Fuko.
Non sapevo bene come definirla: apparentemente era una falce argentata con una sola lama - a differenza di quella di Hidan -, tuttavia, applicando una piccola quantità di chakra, poteva allungarsi oppure trasformarsi in una catena. Una sorta di falce/nunchaku, diciamo.
In quel momento si trovava sigillata all'interno di una piccola pergamena - in sintesi: non avevo voglia di tenerla in mano per tutto il tempo-, nascosta in una delle tasche interne della cappa dell'Akatsuki - svelato l'arcano su dove tenessero le loro armi-.
Ad ogni modo, anche ponendo caso che fossi riuscita ad estrarre la falce - cosa improbabile, visto che avevo dimenticato totalmente i sigilli che mi aveva spiegato Pain -, sarei stata più un pericolo per me stessa, che per gli altri: la prima - e unica- volta che l'avevo presa fra le mani, per l'euforia, mi ero quasi decapitata - poi non ero più tanto euforica-.
Quando all'orizzonte cominciò a delinearsi il profilo dei primi edifici del Villaggio della Sabbia, Deidara convenne che fosse il caso di scendere a terra e procedere a piedi, in modo che le guardie non ci potessero individuare - io non ci avrei mai pensato e mi sarei fatta beccare nel giro di qualche istante-.
- La tua energia negativa è opprimente, uhm- fece Deidara, mentre io continuavo a mugugnare afflitta, cercato di capire cosa accidenti sarebbe stato meglio fare. Pensare sotto pressione era decisamente peggio che pensare e basta e io non ero nemmeno tanto brava in quello.
- Sei sicuro che quell’argilla ti basti, Deidara?- intervenne allora Sasori, che per tutto il viaggio si era tenuto in disparte, rimanendo in silenzio - comportandosi come al solito, insomma-. 
- Ovviamente.- ribatté l'altro, sicuro. 
Giungemmo poco dopo alle porte del villaggio e, nonostante sapessi cosa mi stava attendendo, non riuscii a evitare di avvertire una stretta allo stomaco nello scorgere i cadaveri delle guardie, eliminate prima del nostro arrivo. Automaticamente mi portai una mano alla bocca, inorridita e nauseata dalla presenza del sangue e dai corpi riversi nei dintorni: essendo io una persona normale, non avevo mai visto un morto - un morto morto male, per l'esattezza- così da vicino e... beh...  non era uno spettacolo che ti lasciava indifferente. E il mio stomaco non l'avrebbe sopportato a lungo. In aggiunta, il fatto che queste persone fossero state uccise per aver tentato di proteggere il loro villaggio da noi mi provocava una fastidiosissima stretta al petto. Non ero per niente sicura che, nonostante all'Akatsuki queste scene fossero all'ordine del giorno, sarei mai riuscita ad abituarmi.
Continuai a camminare, cercando di mantenere lo sguardo dritto davanti a me, evitando di fare caso a ciò che mi circondava e ripetendomi mentalmente che non erano altro che disegni e non delle vere persone. Seguendo questa logica avrei potuto dire la stessa cosa di Deidara e Sasori ma, se quest'ultimo fosse veramente morto, i sensi di colpa mi avrebbero distrutta. Come al solito i miei ragionamenti non avevano né capo né coda.
Per la fretta che avevo di lasciare quel posto non badai particolarmente al discorso fra Sasori e quella che doveva essere una delle sue spie e tirai un sospiro di sollievo quando finalmente ce lo lasciammo alle spalle - e io fui di nuovo libera di tornare alle mie macchinazioni-.
- Non funzionerà mai...- borbottai afflitta fra me e me, scartando l'ennesimo piano che mi era balenato in mente. Nulla di geniale, purtroppo.
- Ma come siamo melodrammatiche!- Deidara rise della mia faccia, totalmente rilassato e tranquillo, come se stesse per andare a fare un aperitivo al mare piuttosto che scontrarsi contro una delle forze portanti.
- DeiDei, prestami un po' della tua tranquillità...- lo implorai, dopo l'ennesimo sospiro depresso.
- Fa parte del mio carattere, uhm.- affermò lui, orgoglioso. 
Ma non del mio. Io ero il tipo di persona a cui l'ansia saliva per ogni minima cosa, sia che si trattasse di una verifica o di andare a comprare il biglietto dell'autobus. Avrei dovuto cominciare a prendere lezioni di yoga quando ne avevo ancora la possibilità.
Era tutta colpa di... di Pain, ecco! Era lui che mi aveva sbattuta lì, mettendomi la vita di Sasori e degli altri sulle spalle! Per colpa sua stavo utilizzando più energia in quei giorni che, solitamente, in un anno intero!
No, in realtà il povero ragazzo arancione non aveva fatto niente - anzi, glie ero piuttosto grata di avermi portata in quel mondo-, però avevo bisogno di trovare un capro espiatorio.
Era inutile! Ogni prospettiva del mio futuro finiva con me, sanguinante a terra e prossima al trapasso e con Sasori, perforato da parte a parte da decisamente troppe spade per sperare di sopravvivere. 


Sasori:
Non riuscivo a capirla.
Quella mocciosa continuava a sprecare il suo tempo cercando di elaborare una strategia per, come aveva detto lei, "salvarmi": non ero uno sprovveduto, avevo affrontato centinaia di battaglie prima di allora e la prossima non sarebbe stata certamente diversa. La sua preoccupazione era del tutto irrilevante e il suo aiuto non necessario. Le informazioni riguardanti la mia presunta "morte" futura erano state più che sufficienti, al resto avrei pensato io.
E invece era lì, che continuava a lamentarsi in modo tremendamente fastidioso. Era veramente una bambina.
Da quando Deidara aveva dato inizio alla missione si era messa seduta a terra e aveva iniziato a esercitarsi sulla manipolazione del chakra. 
Non avevo particolari aspettative nei suoi confronti, ma occuparmi del suo allenamento era una missione che mi era stata affidata e non potevo tirarmi indietro. Se non altro sembrava più motivata rispetto al giorno precedente.
Per quanto riguardava la concentrazione, però, la situazione non era molto diversa: manteneva la propria posizione per poco tempo e poi, come se non potesse farne a meno, i suoi occhi si aprivano per controllare la situazione del mio compagno.
- Aaaah!!- sbottò ad una tratto, prendendosi la testa tra le mani – Non riesco a stare tranquilla con DeiDei che combatte!-.
In realtà non riusciva a stare tranquilla in generale. Quella non era che una mera scusa.
- Sa badare a se stesso.- mi limitai a rispondere  - La tua preoccupazione è energia sprecata. Concentrati sul tuo allenamento se vuoi ottenere qualcosa-.
Perché, poi, avrebbe dovuto mettere a repentaglio la sua vita per degli sconosciuti? Prima di conoscere questa fantomatica lei ero convinto che il piano del nostro Leader facesse acqua da tutte le parti, ma, a quanto pareva, esisteva veramente una persona talmente stupida da essere disposta a farlo. Senza che avessimo dovuto minacciarla, come avevo invece previsto io.
La osservai dall'interno della mia marionetta mentre lei iniziava a percorrere a grandi passi, avanti ed indietro, il luogo in cui ci eravamo appostati.
- Com’era...allora...vediamo...- mugugnò fra sé e sé, cominciando a fare strani gesti con le mani. 
Non avevo mai visto nulla del genere, ma speravo vivamente che non stesse provando a comporre dei sigilli.
 
Fuko:
Ok, niente panico. Niente panico.
Non mi ricordavo minimamente come fare per evocare "Quella" - chiamarla in questo modo mi dava la sensazione di avere un'arma segreta super potente-.
Continuavo a muovere le dita come Pain mi aveva mostrato - o almeno, come io avevo capito-, ma c'era qualcosa che non andava visto che la mia arma non si decideva a uscire da quel maledetto rotolo. Non sapevo se stessi sbagliando la sequenza o proprio la posizione delle mani, ma non stava funzionando.
- Sasori, tu te li ricordi?- chiesi al rosso, sperando in un miracoloso aiuto del pubblico.
- Che cosa?- domandò lui, a sua volta. Effettivamente non doveva essere chiaro ciò che stavo tentando di fare.
- I sigilli di attivazione della pergamena- spiegai, agitando il rotolo che avevo fra le mani. Magari shakerandolo avrei ottenuto maggiori risultati... magari bastava agitarlo per fare uscire la falce - per sicurezza aumentai la velocità con cui lo stavo muovendo-.
- Allora erano proprio dei sigilli, quelli che stavi cercando di fare...- borbottò fra sé e sé il rosso, preso da chissà quali elucubrazioni mentali a cui non avrei mai avuto accesso.
Gli rivolsi uno sguardo interrogativo, ma lui non diede alcun segno di vita: era già tornato ad osservare la battaglia.
Quello non mi rendeva le cose più facili: fra Deidara che combatteva contro Gaara a qualche metro da noi e Sasori con un piede nella fossa, non ero nello stato psicologico adatto a combinare qualcosa di buono.
Capendo che continuare a deprimermi non avrebbe salvato proprio nessuno, ripresi il mio allenamento con il chakra: ormai avevo capito come fare per concentrarlo dove volevo, ma non riuscivo a mantenere molto il controllo - probabilmente a causa della battaglia che stava avvenendo in quel momento e che continuava a mimare alla mia, già scarsa, capacità di concentrazione-.
Avrei proprio voluto vedere come, in battaglia, sarei riuscita ad utilizzarlo: a meno che i miei nemici, mossi dalla pietà, non mi avessero concesso minimo dieci minuti per concentrarmi, la vedevo dura. Inoltre, per quanto potessi allenarmi a farlo, dubitavo seriamente che sarei riuscita a sconfiggere qualcuno a forza di camminare sugli alberi.
Forse era il caso di provare a cambiare esercizio... e forse mi era appena venuta una bella idea - almeno nella mia testa appariva così-.
Mi alzai in piedi, lo sguardo sicuro. Non osai nemmeno immaginare ciò che Sasori stesse pensando di me - probabilmente nulla, visto che considerava la mia presenza alquanto superflua-.
E mossi le mani.
- - Taiju: Kage Bunshin no jutsu!- esclamai, forse con troppa foga, in una perfetta imitazione di Naruto. 
Si trattava di una delle poche tecniche di cui avevo memorizzato i sigilli, insieme al Rasengan. Per una lunga serie di motivi, però, mettevo in dubbio la mia possibile riuscita in quest'ultima tecnica: persino Naruto ci aveva messo... troppi episodi di tempo.
Inizialmente pensai di aver sbagliato qualcosa, ma ben presto avvertii una strana sensazione, come se il chakra si stesse staccando dal mio corpo per prendere la forma di qualcosa, o meglio, di qualcuno.
Mi voltai orgogliosa per controllare il mio operato, pensando, per un attimo, di non essere poi un così tale fallimento come ninja.
- C-che cosa sarebbe questa cosa?-.
Ciò che vidi mi lasciò di sasso: accasciata al suolo, la pelle bianchissima, c'era un essere informe... una specie di barbapapà albino. Sembrava quasi che qualcuno si fosse dimenticato un grande pentolino di latte sui fornelli per circa due anni di troppo.  
Beh... se lo si guardava con attenzione, girando la testa di 180° e socchiudendo gli occhi, magari controsole... quasi quasi era possibile notare un ciuffo di capelli biondi che rimandava a quelli di Fuko. Ad ogni modo la mia "copia" sparì troppo in fretta per poterlo realmente verificare.
Feci un respiro profondo: non potevo arrendermi proprio ora, la vita di Sasori dipendeva dai miglioramenti che avrei fatto in quei giorni - perché avrei fatto miglioramenti, vero?-.
Dove avevo sbagliato? Non avevo utilizzato abbastanza chakra?
- Taiju: Kage Bunshin no jutsu!- ripetei nuovamente, cercando di controllare il flusso di chakra che fuoriusciva dal mio corpo e di non lasciarlo andare allo sbaraglio come prima.
Questa volta, al posto dell'abominio bianco, creai una creatura con due protuberanze inferiori - probabilmente delle gambe, con un po' di fantasia- che gli permettevano persino di sorreggersi in piedi. Aveva il viso un po’ smunto, due occhiaie che potevano fare invidia persino a Gaara e ricordava vagamente un alieno che non toccava cibo da un paio di secoli... però era già un grande passo avanti rispetto a prima! Peccato che scomparve subito in una densa nuvola di fumo bianco. 
- Taiju: Kage Bunshin no jutsu!-. 
La copia aveva preso un po’ di colore, ma aveva ancora un aspetto veramente delicato. Probabilmente perché non aveva un minimo di spessore e assomigliava più ad un foglio di carta che altro - in mia difesa, potevo dire di aver sempre preferito il 2D al 3D-.
- Taiju: Kage Bunshin no jutsu!-. 
Dov'era la sua gamba sinistra?!
- Taiju: Kage Bunshin no jutsu!-. 
Oh... un Picasso! Magari potevo rivenderlo e diventare milionaria.
- Taiju: Kage Bunshin no jutsu!-. 
Non volevo evocare un albero! Accidenti...perché quel tronco aveva gli occhi? Erano occhi, vero? 
- Taiju: Kage Bunshin no jutsu!-. 
Quando la vidi mi spaventai veramente. 
Dopo quella lunga serie di opere improbabili mi ci volle un attimo per capacitarmi che, effettivamente, davanti a me c'era una persona, anche abbastanza vispa, che mi assomigliava. Ebbe una durata vitale di 5 secondi netti, ma quella era solo una mera quisquilia.
- Ci sono riuscita!- esclamai contenta del risultato, saltellando sul posto.
C'erano molte cose che andavano decisamente migliorate - come, per esempio, fare in modo che le due braccia avessero, come minimo, la stessa lunghezza-, ma per il momento ero più che soddisfatta. 
- Hai visto Sasori?- feci io, agitando una mano nella sua direzione – Sono stata brava, eh?- .
Mi sarebbe bastato un complimento piccolo piccolo, non ero avida - cioè, lo ero, ma con Sasori mi dovevo adattare-.
- Non ti stavo guardando.- disse semplicemente lui, spezzandomi il cuore per l'ennesima volta. 
Addio momento di gloria! 


- Eh... alla fine non è stato niente di che!- esordì soddisfatto Deidara, finalmente di ritorno dalla battaglia, senza mostrare il minimo segno di stanchezza sul suo volto. E non sembrava nemmeno essersi reso conto di essere tornato con un pezzo in meno - un pezzo importante, a meno a parer mio, a cui io sarei stata quantomeno affezionata-.
Senza troppa fatica - almeno per lui, al suo posto io sarei morta una trentina di volte- era riuscito a catturare Gaara, che ora giaceva, inerme, avvolto nella coda di una delle opere del biondino.
- Disse l'uomo senza un braccio.- recitai io, cercando di non concentrarmi sul suo arto... o meglio, sul suo non-arto.
Mi chiedevo come fosse possibile che non fosse ancora morto dissanguato: il sistema immunitario dei ninja era qualcosa che andava al di là della comprensione umana.
Non aveva nemmeno voluto che glie lo fasciassi: o meglio, non aveva accettato le fasce che gli avevo allungato, abbastanza schifata - col cavolo che avrei mai messo le mani su un arto strappato, anche se si trattava del suo-.
- Un’altra parola e vai a piedi, uhm.- fece lui stizzito, facendomi ridacchiare. 
Effettivamente, finché la sua arte volava basso e non si agitava troppo, era abbastanza comoda da utilizzare, sopratutto se ci evitava, come in quel momento, una bella scampagnata in mezzo al deserto - anche se la dovevo condividere con un mezzo cadavere -. 
Ma io avevo un altro rosso per cui disperarmi: non avevo uno straccio di idea. Non ero riuscita a creare più di una copia in salute - salute si fa per dire-. Non mi ricordavo minimamente i sigilli che dovevo comporre per usare “Quella”. 
In sintesi: Sasori stava per morire e di questo passo ci sarebbe riuscito alla grande - e probabilmente, la mia presenza, l'avrebbe reso ancora più facile-. 
- Ricominci a deprimerti?- sbuffò Deidara, vedendo la mia espressione accigliata. 
- Sto continuando a pensarci, ma... non so proprio come salvare ‘Ri-senpai.- borbottai a braccia conserte, mentre lui scoppiava in una fragorosa risata e Sasori, da dentro Hiruko, mi lanciava un’occhiataccia - o almeno così supposi, era difficile interpretare la mimica facciale di una marionetta-. 
- A quanto pare non sarò più l’unico ad avere un soprannome ridicolo- sghignazzò Deidara, guardando divertito il proprio partner – Dico bene, ‘Ri-senpai?-. 
Non so quale forza trattenne il rosso dal farlo fuori seduta stante. Probabilmente la stessa forza che aveva mantenuto il biondo in vita fino a quel momento.
- Perché proprio "‘Ri-senpai"?- chiese invece il marionettista, facendomi praticamente spalancare la bocca, in modo molto poco raffinato- era la prima volta che mostrava un vago interesse per qualcosa che non fosse... no, non l'aveva mai mostrato per niente da quando ci eravamo conosciuti-. 
- Perché Sasori è troppo lungo e poi mi sono resa conto di averlo sempre pronunciato male. Senpai era troppo triste ed impersonale per conto suo, perciò ho aggiunto anche il “Ri”. E’ molto semplice, però è carino.- spiegai con fare intellettuale, spiegando gli arguti ragionamenti che mi avevano condotto alla risposta. 
- Non riesco a seguire la tua logica.- sbuffò lui, quasi infastidito. Quasi. Il suo tono era stato meno monocorde del solito.
Sogghignai, mettendo su la mia migliore espressione da cucciolo bastonato - dubitavo che funzionasse, ma non faceva mai male usarla-. 
- Posso chiamarti così?-. 
- Fa come preferisci.- mi concesse, facendomi esultare. 
Eravamo totalmente circondati dalla sabbia, che si espandeva in ogni direzione, come se non avesse mai una fine. Il sole era sorto da diverso tempo ed ora brillava sopra di noi, rendendo il caldo insopportabile. 
Per la prima volta da quando ero riuscita ad averla,desiderai di togliermi la cappa dell’Akatsuki e, sopratutto, quel benedetto cappello-lampadario - che mi chiedevo chi avesse progettato- che non faceva altro che rendere tutto più scomodo: non potevi fare un movimento che di ritrovavi subito uno di quei pennacchi – o  pezzi di carta, o qualsiasi cosa fossero- negli occhi. Capivo che serviva per celare le nostre identità, ma in questo modo nemmeno noi riuscivamo a vedere un accidenti di quello che ci circondava.
E, come se non bastasse, ad ogni folata di vento mi ritrovavo ricoperta di sabbia dalla testa ai piedi. 
- Non esiste un’alternativa un tantino più estiva a questa cosa?- chiesi, cercando di arrotolarmi le maniche - Si muore di caldo!-.
Nemmeno la presenza di due ninja potenzialmente letali ed estremamente fatali poteva scoraggiare la mia tendenza a lamentarmi.
Deidara mi lanciò qualcosa che, non so ancora spiegarmi come, riuscii ad afferrare al volo - anche se per poco non fui io a volare giù dalla sua opera-. 
Avendo appurato che non ero ancora saltata in aria e che, quindi, non si trattava di un dei suoi ordigni, aprii le mani per vedere che cosa fosse e mi venne quasi da piangere. 
- DeiDei!!- esclamai contenta, senza parole. 
- Almeno servirà a tenerti la bocca chiusa per un po’.- borbottò semplicemente lui – Avevi detto che avevi fame, no?-. Io annuii contenta e l'ennesimo pennacchio mi trapasso la cornea - cominciavo a capire perché Itachi stesse perdendo la vista, col passare del tempo-. 
Felice come una pasqua presi a mangiarlo - non c'era nulla che riusciva a impennare il mio umore quanto il cibo-, ma ben presto la mia serenità fu stroncata da un nuovo arrivo. Ah... in effetti avevo la sensazione di essermi dimenticata qualcosa.
- Fermi!- ordinò qualcuno, un qualcuno con una voce a me nota. 
Kankuro si stagliava dietro di noi con un'aria che doveva risultare minacciosa, ma tutti quei segni che aveva sul viso mi impedivano di prenderlo sul serio - non capivo il suo bisogno di disegnarsi un'autostrada viola sulla faccia-.
- Chi è quella persona?- mi chiese Sasori. 
- Kankuro.- iniziai, una volta finito di masticare – Uno dei fratelli di Gaara.-. 
- Capisco.-.
- Come fai a conoscere il mio nome?- sbraitò il marionettista, mentre estraeva delle pergamene. 
Scrollai le spalle: era meglio che non gridassi ai quattro venti di sapere tutto di loro.
Anche se avrebbe fatto parecchio figo e la mia immagine sarebbe stata avvolta da un alone misterioso. Tutti avrebbero pensato che fossi una ninja potentissima e distruttiva. Ah, come sarebbe stato bello! 
– Deidara, tu prosegui insieme a Fuko.- disse Sasori, la voce roca e tombale, riscuotendomi dai filmini mentali che mi erano partiti. 
Sospirai, vagamente demoralizzata: avrei veramente voluto assistere a quella battaglia.
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9:
- Fai attenzione e non ammazzarlo o rischi di stravolgere la storia.-.

- Dici che mi darà retta?- chiesi a Deidara, ma non ottenni altro che una scrollata di spalle.
A causa di una tempesta di sabbia ci eravamo rintanati in una stretta cavità, bassa e sporca.
- Taiju. Kage Bunshin no jutsu!- dissi ad un tratto.
La mia fedelissima copia comparve al mio fianco, però, dato che già stavamo abbastanza stretti prima, sia io che Deidara finimmo schiacciati contro le pareti della grotta. No, chiamarla così era un’esagerazione.
- Ma cosa combini?!- sbraitò il biondino non appena l’altra me, o l’altra Fuko a seconda dei punti di vista, sparì.
Mi limitai a guardarlo, sorridendo. L’espressione arrabbiata di lui fu presto sostituita da una interrogativa.
- Cosa stai facendo?- chiese esasperato.
- Hai gli occhi, o meglio l’occhio, veramente azzurri.- gli feci notare inclinando la testa di lato, per poi prendere a sghignazzare.
- Ti è venuta in mente un’altra storia su di me e Sasori innamorati?- borbottò lui con un sopracciglio inarcato e la faccia disgustata.
- No, tu e Itachi.- lo corressi, facendolo impallidire notevolmente.
- Perché sempre con gli uomini...?- fece lui afflitto.
Forse perché porti i capelli lunghi e molti fraintendono il tuo essere maschio?
Tenni questo pensiero per me, per paura che decidesse di tagliarseli.
Non lo avrei mai ammesso, ma a me i suoi capelli piacevano da impazzire. Era già tanto che non gli fossi ancora saltata addosso. Anzi, veramente, l’avevo già fatto un paio di volte, ma non nel modo che intendevo io. Non credevo, però, che mi sarei riuscita a trattenere una volta che mi fossi ritrovata Hidan davanti. Lui era così bello e muscoloso... Bè, forse era meglio che tenessi per me questi pensieri osceni.
- Eh eh eh...- ridacchiai pensando all’albino.
Sentii Deidara sospirare pesantemente. Ormai aveva rinunciato persino a chiedermi cosa avevo.
Poverino! Mi faceva un po’ pena a dire il vero.
- Ehy, DeiDei?- lo chiamai io, una volta che mi fui ripresa.
Non attesi una sua risposta.
- Mi sto annoiando.- spiegai.
- E io che ci devo fare, uhm?- borbottò lui.
No, non ci arrivava. Effettivamente, non poteva arrivarci.
- DeiDei?- lo chiamai nuovamente.
- Cosa?- fece lui. Stava perdendo la pazienza.
- Posso farti le trecce?-.

Sasori:
Ero in ritardo. In tremendo ritardo.
Era vero che odiavo far aspettare le persone, ma mi stavo divertendo troppo a combattere contro quel burattinaio.
Sconfiggere le marionette che io stesso avevo creato era stato un gioco da ragazzi, ma davvero molto molto divertente.
Quando trovai finalmente Deidara e Fuko mi si presentò davanti uno scenario veramente raccapricciante, persino peggiore di quando li avevo trovati avvinghiati. O meglio, lei era quella avvinghiata, ma lui non stava ostentando minimamente resistenza.
Questa volta trovai un Deidara completamente disteso sulla sabbia, il viso premuto di lato da una mano della ragazza seduta a cavalcioni su di lui che cercava di limitare i suoi movimenti.
Con l’altra mano, invece, stava intrecciando i capelli dei dinamitardo, il quale continuava a sbraitare insulti verso la mocciosa.
- Cosa state facendo?- borbottai io – Qualche giochino sadomaso o cosa?-.

Fuko:
Ok, questa era difficile da spiegare.
Era una posizione abbastanza equivocabile in effetti, ma determinata com’ero a raggiungere il mio obbiettivo –fare le trecce a Deidara- non avevo badato a convenevoli.
Quando mi accorsi di com’ero messa, praticamente semi sdraiata su di lui, arrossii violentemente.
- Scendi!- sbraitò il bombarolo che si dimenava sotto di me.
Si era rivelato incredibilmente facile immobilizzarlo dato che con me aveva abbassato la guardia a zero.
- ‘Ri-senpai!- esclamai allora, ancora rossa in viso – E’ andato tutto bene?- chiesi, ignorando le proteste del biondo
Lui annuì.
- L’ho lasciato vivo, ma morirà entro tre giorni.- spiegò, anche se ovviamente già lo sapevo – Ora mi puoi spiegare cosa stai facendo a Deidara?-chiese nuovamente.
- Le trecce.- dissi con un sorriso, mostrandogli l’unica che ero riuscita a fare fino a quel momento.
In effetti il continuo muoversi del biondo non mi aveva di certo aiutata nell’impresa.
- Le trecce...- commentò lui piccato.
- Già!- esclamai io – Tu hai i capelli troppo corti, ma lui è perfetto!- aggiunsi con un sorriso a trentasei denti.
- Scendi mocciosa!-.
Solo allora mi voltai verso Deidara.
- Che c’è?- chiesi.
- Che c’è? CHE C’E’? Ma sei scema o cosa, uhm!? Scendi immediatamente o ti faccio esplodere!- sbraitò con una vena che gli premeva sulla fronte.
- Non arrabbiarti!- feci io gonfiando le guancie – Se fossi stato fermo non avrei dovuto bloccarti!- gli ricordai.
Ri-cominciò a dimenarsi, sputando insulti a destra e a manca.
- Sei un po’ scarso nei combattimenti ravvicinati, eh DeiDei?- domandai io ghignando.
- Maledetta ragazzina!- fece lui cercando di spintonarmi via, ma era impossibile. Una volta che mi avvinghiavo a qualcosa era difficile scollarmi di dosso.
- Dovremmo andare.- mi fece presente Sasori.
- Di già?- sbuffai io abbandonando tristemente la mia posizione.
Deidara si alzò, sciogliendo la treccia che gli avevo fatto con tanto impegno e riservandomi un’occhiata carica di odio.
- Ti donava, Deidara.- disse ironico Sasori, mentre cominciava ad avviarsi.
- Ah, ah, ah...- fece il biondo imitando una risata – Sei proprio un simpaticone, Danna.- lo rimbeccò per poi affiancarmi.
Ghignando in un modo veramente sinistro allungò un braccio verso di me, cingendomi per le spalle.
- Me la pagherai cara, ragazzina...- sussurrò, con gli occhi che scintillavano.
- Smetti di molestarla.- fece Sasori vedendo la scena.
- Non la sto molestando!- borbottò Deidara staccandosi – Semmai era lei quella che mi molestava prima.-.
- Ti stavo pettinando...- lo corressi io – Sei tu quello che non stava fermo!- aggiunsi incrociando le braccia al petto.
- Non mi stavi pettinando, mi stavi torturando!- sbraitò lui offeso – Ed io che ti do anche le cose che mi porto da mangiare.- sbuffò poi.
- Ah...oh, bè...- balbettai facendomi piccola piccola – Forse mi sono comportata un po’ male con te DeiDei...- iniziai – Un po’ molto male.- mi corressi vedendo una sua occhiataccia – Ma non lo farò più, promesso! Mi perdoni?- domandai mettendo su lo sguardo più cuccioloso del mio repertorio.
- No.-.

Arrivammo alla grotta diverso tempo dopo; Deidara e Sasori a piedi ed io, com’era diventato d’abitudine ormai, su una delle opere del bombarolo.
Davanti a noi si stagliava un enorme masso, con sopra applicato un sigillo. Quando questo si alzò, rivelando una grande apertura sulla parete roccioso, vedemmo Pain.
- Siete in ritardo.- notò – Ambra, non c’è bisogno che rimani qui. La tecnica ci impegnerà per tre giorni e tre notti. Puoi utilizzare due giorni per allenarti, ma poi devi ritornare all’interno della grotta, perché la probabilità che dei nemici si avvicinino al nostro nascondiglio è molto alta. Ho manipolato il sigillo in modo che ti permetta di entrare.- mi disse poi, liquidandomi fin troppo velocemente per i miei gusti.
Quando uscii da quel luogo angusto e deprimente, mentre la roccia richiudeva il passaggio alle mie spalle, finii in acqua.
Mi ero completamente dimenticata della presenza del fiume fuori dalla grotta ed ero stata presa alla sprovvista.
Per mia grande fortuna, una delle poche cose nelle quali eccellevo, era il nuoto.
Senza molta difficoltà tornai a galla.
Allora, facciamo il punto della situazione.
Un ninja per poter camminare sull’acqua deve semplicemente concentrare il chakra sui piedi, come quando si sale sugli alberi.
Chiusi gli occhi, escludendo dalla mia mente ogni interferenza estranea. Non appena riuscii a percepire l’energia scorrere dentro di me la spinsi verso le mani e con quelle mi issai fuori dall’acqua.
Certo che, però, la cappa dell’Akatsuki limitava veramente molti movimenti.
Non appena fui abbastanza fuori passai il chakra sui piedi e mi alzai completamente.
Ok, sicuramente l’acqua era più scivolosa degli alberi a cui ero abituata – poi abituata è un parolone dato che ci ero salita una volta sola e avevo anche rischiato di restarci secca-, ma tutto sommato andavo abbastanza bene.
Ora bastava rimanere concentrati ed allenarsi, peccato che io fossi negata nel riuscire a fare due cose contemporaneamente.
Mi tolsi la giacca, ormai completamente inzuppata d’acqua, dato che con quella ogni gesto risultava dieci volte più faticoso del normale e la appoggia su una delle pietre che spuntavano dal fiume.
Mi venne da piangere all’idea di avere solo mezzo panino come fonte di sostentamento per i prossimi due giorni.
Però, non ci dovevo pensare.
Dovevo usare quel tempo per trovare un piano e distruggere l’oca.

Deidara:
Guardai la sagoma di Fuko – o forse dovevo chiamarla Ambra? Stavo cominciando a confondermi- che usciva dalla grotta.
Mentre la roccia richiudeva il passaggio, un tonfo e il rumore degli schizzi ci raggiunse.
Era caduta. In effetti, ora che ci pensavo, nessuno le aveva insegnato a camminare sull’acqua.
Sentii una morsa stringermi il cuore. Perché mi stavo preoccupando tanto per una mocciosa come lei che non sapeva fare altro che combinare guai? Per quanto me ne importava poteva cavarsela benissimo da sola...
- Mi chiedo se sia saggio mandarla fuori per contro suo...- borbottò Sasori, la voce distorta dato che, come sempre, era rinchiuso all’interno della sua marionetta.
- Ti stai preoccupando per lei, Danna?- lo punzecchiai io, sollevato dal fatto che non ero l’unico.
Effettivamente, se anche uno come Sasori cominciava a percepire qualcosa di umano era veramente strano.
- La state sottovalutando.- disse il capo – Quella ragazza ha molto più potenziale di quanto vi possiate aspettare.-.
Detto questo prese a comporre dei sigilli, facendo comparire il Re dell’Inferno davanti a noi, la statua umanoide.
Io e Sasori salimmo alle nostre postazioni, mentre gli altri membri dell’organizzazione si materializzavano nella grotta.
Dopo qualche ordine del capo cominciammo con l’estrazione del demone tasso.
Sembrava andare tutto bene, fino a che dei tonfi fuori dalla caverna cominciarono a ripetersi frequentemente.
- Che figata!- esclamò chiaramente Fuko.
- Che sta facendo?- fece Kisame aprendo un occhio.
- Si allena.- rispondemmo in contemporanea io, Sasori e Pain.
Un tonfo più forte fece vibrare le pareti della caverna, facendo cadere diversa polvere e piccole rocce.
- Quella vi seppellisce vivi.- fece notare lo squalo a me e Sasori, ma smise di parlare ad un’occhiataccia di Pain.
I rumori continuavano, mettendo a dura prova la nostra concentrazione.
Ad un tratto, però, questi cessarono.
Tirai un sospiro di sollievo.
- La quiete prima della tempesta...- mormorò Sasori.
Infatti, poco dopo, un’esplosione risuonò attorno a noi, seguita dal rumore dell’acqua.
Era caduta di nuovo.
- Che cazzo era questo?!- sbraitò allora Hidan, con la sua solita finezza di sempre – Le hai insegnato a fare le tue ridicole esplosioni Deidara-chan?- fece poi.
- Sta zitto Hidan.- lo ammonì Kakuzu.
A fatica mi trattenni dal rispondere male all’albino e cercai di concentrarmi sulla tecnica.
Sarebbero stati tre giorni veramente lunghi.

Fuko:
Sono un genio, un fottutissimo mito.
Ma come si faceva ad essere così intelligenti?
Ce l’avevo fatta. Non sapevo spiegarmi come, ma ce l’avevo fatta.
Componendo sigilli a caso ero riuscita finalmente a trovare la combinazione perfetta per far comparire “Quella”.
Ora era tra le mie mani, a risplendere sotto i raggi del sole, bellissima e letale.
Era così lucida che non mi andava molto di toccarla, ma tanto avrei dovuto allenarmi.
Iniziai a sventolarla qua e là, mimando degli attacchi da combattimento.
Era troppo pesante per le mie braccia e, ogni cinque secondi, mi fuggiva di mano, conficcandosi nelle pareti rocciose che mi circondavano.
Speravo solo che non crollasse tutto.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10:
Il sole stava ormai tramontando dietro le maestose pareti rocciose che mi circondavano. Il cielo prese a farsi sempre più scuro.
Io, però, non demordevo.
Mi sarei allenata ininterrottamente ed avrei raggiunto lo stesso livello ninja di Sakura Haruno. Questo era poco ma sicuro.
Rovistando nella borsetta ninja -?- che portavo legata ad un fianco scoprii di possedere delle carte bomba.
Non riuscii a trattenermi, fu più forte di me.
Ne attaccai una ad un kunai, sperando che non decidesse di esplodere proprio in quel momento.
Una volta che ebbi completato l’operazione la scagliai con tutta la forza nella parete opposta a quella nella quale i membri dell’Akatsuki stavano lavorando.
Ci mancava solo che fossi io ad ucciderli tutti.
Questo, non appena raggiunse l’obbiettivo scoppiò.
Il rumore assordante mi perforò i timpani e mi fece venire un accidente e perdere la concentrazione.
Ovviamente finii in acqua.
Non avrei più usato una carta bomba per il resto della mia vita.
Ripresi ad allenarmi con la falce, divertendomi da impazzire.
Era troppo strana: ogni volta che concentravo il chakra sulla mano, a seconda di come lo facevo, questa cominciava ad allungarsi oppure prendeva la forma di una catena.
Controllarla non era molto facile, anche perché mi sfuggiva sempre.
Con il passare del tempo, quando ormai intorno a me era notte fonda e solo la luce blu della luna riusciva ad illuminare qualcosa, iniziai a notare qualche miglioramento.
Innanzitutto non cadevo più: all’inizio, data la scivolosità del terreno-?- nel quale camminavo finivo sempre per terra, o meglio, in acqua.
Seconda cosa: la falce non mi pesava più molto sulle braccia e riuscivo a tenerla correttamente, senza sbandare qua e là.
Soddisfatta si me mi andai a raggomitolare sulla roccia più grande che avevo trovato nei dintorni, e mi coprii con la cappa dell’Akatsuki, ancora fradicia.
Fu la dormita più scomoda di tutta la mia vita.

L’indomani fui risvegliata dal mio stomaco, che aveva preso a lamentarsi molto sonoramente.
Senza il minimo ritegno finii il panino di Deidara e ripresi con gli allenamenti.
Ri-trovare la giusta combinazione per evocare “Quella” fu parecchio complicato, ma alla fine, come avevo fatto il giorno prima, ci riuscii.
Ripresi ad agitarla in tutte le direzioni possibili, inventandomi mosse che potevo far invidia a quelle del tekken.
Era troppo divertente saltare da tutte le parti.
Avevo scoperto infatti che, applicando molto chakra sui piedi, riuscivo ad andare molto in alto.
Ridacchiando come una pazza psicopatica continuai con questo allenamento, se tale poteva essere definito, fino a che un’idea brillante mi balenò in testa.
Sakura riusciva a distruggere l’ambiente circostante semplicemente caricando il chakra nelle mani e rilasciandolo al momento dell’impatto, giusto? Se bastava solo quello potevo farcela persino io.
Guardai la roccia sulla quale mi ero addormentata con sfida, mentre caricavo il pugno di energia.
Me l’avrebbe pagata cara per avermi fatta dormire così scomoda quella notte.
Sicura come non lo ero mai stata nella mia vita presi la rincorsa e mi preparai a scagliare il pugno.

Deidara:
Tutto procedeva bene. Fuko sembrava essersi fermata, o almeno, aveva smesso di fare tutto quel rumore.
Con tutto quel silenzio estrarre il demone sarebbe stata una passeggiata.
-PORCA MISERIA CHE DOLORE!- urlò ad un tratto la ragazza, facendomi sobbalzare.
Che cosa aveva combinato?

Fuko:
Mi guardai la mano, che stava passando velocemente dal rosso acceso al viola scuro.
Sentivo il sangue pulsarmi delle vene, mentre una fitta dolorosa mi attraversava.
Mi morsi la lingua per non mettermi a strillare come un’ossessa, iniziando ad insultare qualsiasi cosa mi passasse a tiro.
Che dolore! Faceva terribilmente male!
Ci mancava solo che mi rompessi la mano il giorno prima dello scontro con Sakura. Che sfiga però!
La mossi piano, ma una sorta di scarica elettrica mi travolse di nuovo.
Non mi ero mai rotta nulla fino ad allora, perché avevo dovuto cominciare proprio in quel momento? E perché la roccia non si era fatta neanche un graffio.
Perché dovevano capitare tutte a me?!
Da quel momento in poi non riuscii più ad allenarmi, perciò passai il resto del tempo a disperarmi sul fatto di essere solo una palla al piede per l’organizzazione.
Quando si fece buio decisi che era il caso di entrare nella grotta.
Non dovetti fare nulla anche perché, una volta che vi fui davanti, la roccia che copriva l’entrata di alzò per conto suo.
Dopo aver indossato la cappa dell’Akatsuki feci il mio ingresso e mi andai a sedere in un angolino, per non dare fastidio.
Sperai con tutto il cuore che non avessero notato la mia presenza, ma non fu così.
- Com’è andato l’allenamento?- mi chiese Pain, socchiudendo appena gli occhi.
- Bene.- feci io sorridente.
Se la fortuna girava dalla mia parte, almeno per una volta, nessuno avrebbe notato che mi ero rotta una mano.
- Cos’era quell’urlo di dolore, prima?- domandò nuovamente.
No, evidentemente non girava dalla mia parte.
- Bè...- balbettai cercando una scusa che reggesse – Ho rischiato di finire allo spiedo sulla falce.- spiegai infine.
Allora il capo decise di non fare più domande e riprese a concentrarsi sul suo lavoro.
Rimasi accovacciata, le mani nascoste sotto il grande mantello –chiamiamolo così- ad osservare –sbavare- sul profilo ologrammato-?- di Hidan.
Certo che sarebbe stato veramente stupendo poterlo incontrare di persona.
Il mio sguardo si posò poi su Deidara che, effettivamente, era bellissimo quando ostentava concentrazione.
Avrei potuto dire lo stesso di Sasori se non fosse stato rinchiuso dentro Hiruko.
Probabilmente, dopo ore e ore passate a guardarli mi appisolai, e anche per diverso tempo dato che quando mi svegliai tutti se n’erano già andati.
Cavolo, avevo dormito per una giornata intera!
Mi alzai, stropicciandomi gli occhi ancora impastati dal sonno. Una profonda fitta alla mano mi ricordò tutto quello che era successo. Mi trattenni a stento dal mettermi a piangere.
- Ma tu dormi sempre?-.
La voce sarcastica di Deidara mi raggiunse.
Si trovava seduto sopra a Gaara o, almeno, sul suo cadavere. Già, poverino, ormai era bello che andato.
Forse avrei dovuto portare un po’ più rispetto ad un morto...Ma tanto poi sarebbe ritornato in vita, no? Bé, se Sasori riusciva ad ammazzare la vecchietta forse no. Certo che la storia così sarebbe stata veramente bella che distorta!
- ‘Ri-senpai?- chiamai con la voce tremolante, non appena scorsi il rosso.
- Cosa c’è, Fuko?- rispose lui pazientemente voltandosi appena verso di me.
– Mi dispiace tanto!- esclamai sconsolata, avvicinandomi ai due.
- Che hai combinato?- fece il biondo vedendomi in quello stato pietoso, cioè, più pietoso delle altre volte.
- Mi sono rotta una mano...- ammisi, mentre lui cominciava a ridere sbraitando cose del tipo “E questa dovrebbe proteggerti?!”.
Davvero, davvero molto solidale il biondino...
Sasori invece rimase ad osservare la ferita a lungo, poi, senza dire nulla, uscì dalla sua marionetta.
- Cosa stai facendo?!- esclamai, un po’ in trance dato che vederlo in forma “umana” era sempre abbastanza traumatico. Era così...bello!
- Fammi vedere.- disse.
Mi prese la mano tra le sue con un’estrema delicatezza, mentre il mio cuore iniziava a battere all’impazzata.
Sentivo che mi sarei sciolta da un momento all’altro: ero io o stava diventando tutto dannatamente caldo?
- Adesso giochi a fare la crocerossina, Danna?- fece Deidara una volta che si fu ripreso.
In effetti Sasori aveva preso a tirare fuori delle garze e aveva iniziato a arrotolarmele sulla mano.
- Così dovrebbe andare.- m’informò alla fine del suo operato – Cerca di non fare movimenti bruschi, altrimenti potrebbe iniziare a farti male.- mi consigliò, mentre si infilava dentro Hiruko –che cosa brutta detta così!-.
Rimasi per un attimo interdetta, ad osservarlo con sguardo vacuo mentre tornava ad essere la fredda marionetta di sempre.
- Grazie!- esclamai una volta che mi fui ripresa. Effettivamente la mano non mi faceva più male.
Come aveva fatto?!
- Sta cominciando ad esserci parecchia gente la fuori.- fece Deidara ad un tratto, facendomi sobbalzare.
Tra poco sarebbe successo. Io contro Sakura. Ce l’avrei fatta? Ne sarei uscita viva?
L’ansia cominciava a salire ad ogni secondo che passava, mentre una morsa d’angoscia mi stritolava lo stomaco.
Mi sentivo persino peggio di quando un mio insegnante decideva di interrogarmi proprio il giorno in cui non avevo fatto i compiti. Era una sensazione terribile.
- Tu dovresti stare più calma.- disse Deidara vedendo che cominciavo a sudare freddo.
- Non ci riesco.- sbraitai iniziando a percorrere a grandi passi l’intera grotta – Sakura mi ucciderà!- piagnucolai poi chiudendomi a palla.
Potevo finalmente dire di avere un piano, ma non potevo certo sperare che funzionasse. Non ero un genio come Shikamaru! Se mi mettevano pressione il mio cervello poverino non ce la faceva!
Rimasi accovacciata su me stessa, immaginando ogni genere di tortura alla quale sarei stata sottoposta fino a quando il rumore della roccia che si sgretolava non mi raggiunse.
Approfittando dell’intensa nube di polveri che impediva la visuale mi avvicinai a Deidara e Sasori, cercando di darmi un minimo di contegno.
Misi in piedi la miglior maschera di sicurezza del mio repertorio e mi preparai al peggio.
Sentivo il cuore battermi a mille, così in fretta che temevo che a breve mi sarebbe venuto in infarto.
Davanti a noi c’erano la vecchia Chiyo, Sakura, Naruto e Kakashi, che ovviamente mi riconobbe.
Sasori, al mio fianco, guardava intensamente sua nonna; Bè, infondo era la prima volta che la rivedeva dopo vent’anni.
Io e la rosa ci guardammo in cagnesco o almeno io lo feci, ma non è che lei mi stesse guardando amorevolmente.
Quell’ochetta da quattro soldi avrebbe osato far fuori Sasori. Non potevo permetterlo.
- Maledetti...- borbottò Naruto digrignando i denti – Dove credete di essere seduti?!- urlò, mentre gli occhi cominciavano a farsi rossi.
Perché parlava al plurale se c’era solo il bombarolo sopra Gaara?
Perdeva il controllo facilmente, il ragazzo.
- E’ lui il Jinchuuriki?- mi chiese Deidara.
Io annuii.
- Me ne occuperò io.- ci informò Sasori.
Sentii Deidara sospirare, poi disse:
- Forse quello che ti sto per dire ti farà arrabbiare.- iniziò – Ma voglio combattere io stesso il Jinchuuriki.- concluse, mentre il rosso gli rivolgeva una delle sue storiche occhiatacce omicide.
- Ognuno di noi si prende il suo, non fare il presuntuoso Deidara.-.
- La mia arte ha bisogno di essere sottoposta a costanti stimoli.- fece il bombarolo – Oppure non riuscirò più ad apprezzarla. E lui sembra perfetto per la mia arte.-.
- Continui a considerare le tue esplosioni “Arte”?- borbottò Sasori – L’arte è qualcosa che resiste alla prova del tempo, bene e con grazia. La vera arte è la bellezza eterna.-.
Iniziavo ad annoiarmi...
- Dici? Danna, la vera arte è qualcosa che fiorisce un attimo prima di appassire, uhm.- lo rimbeccò l’altro.
Sospirai. Eravamo alle solite.
- Non credo che questo sia il momento per...- iniziai.
- Evidentemente non riesci a capire cosa sia la vera arte.- fece il rosso.
- Guardate, non è proprio il caso di...- tentai.
- Quello sei tu Danna!- lo contraddisse il biondo.
Mi stavano chiaramente ignorando.
- Per favore potete evitare di...-.
- L’arte è la bellezza eterna!-.
- Ti sbagli! E’ un momento di effimero splendore!-.
- La volete fare finita per una buona volta!?- esclamai sull’orlo di una crisi isterica – Non sono invisibile potete anche far finta di starmi ad ascoltare!- aggiunsi.
L’unica volta che finalmente riuscii ad ottenere la loro attenzione fummo interrotti da un Naruto piuttosto furioso.
- Smettetela di prenderci in giro!- urlò, tirando fuori una pergamena, dalla quale comparve uno shuriken gigante, che ci scagliò contro.
Senza nemmeno voltarsi a guardare Sasori lo parò con la coda di Hiruko. Che forza!
- Non ti mettere in mezzo Fuko.- disse quest’ultimo.
- Mettiti in mezzo, invece!- lo contraddisse Deidara – Spiegagli che cos’è la vera arte!- fece, mentre Sasori mi guardava come per dire “Provaci e la prossima che verrà colpita dalla mia coda sarai tu!”.
- Ripensandoci questi sono discorsi tra artisti, quindi, io credo che me ne rimarrò zitta e buona.- esclamai, tirandomi fuori da quella bruttissima situazione che si era creata.
- Stai cercando di farmi arrabbiare?!- chiese minaccioso Sasori a Deidara, riprendendo la loro artistica conversazione.
- E’ proprio per questo che ti ho detto che ti avrebbe fatto arrabbiare!- borbottò l’altro.
- Dovresti saperlo cosa succede quando mi arrabbio...- continuò facendomi venire i brividi.
Come faceva Deidara a rimanere così impassibile davanti a tutte quelle minacce di morte?! Non ne avevo mai sentite tante tutte in una volta!
- Per me la vera arte...- sospirò quest’ultimo alzandosi dalla comoda sedia che era ormai diventato Gaara – Sono le esplosioni.- concluse, facendo apparire una delle sue solite maestose opere. Non glie l’avrei mai detto, ma sembravano quasi dei Pokémon.
- E’ completamente diverso dal tuo patetico show di burattini.-.
Ok, se le cercava.
Infuriato da quest’ultima affermazione Sasori scagliò la coda di Hiruko contro di lui, che la evitò abilmente, salendo sul suo pennuto.
Se non fosse stato per il rosso che aveva avuto il buon senso di spostarmi prima di attaccare sarei sicuramente diventata uno spiedino.
Guardai Deidara che si allontanava, preoccupata, mentre Naruto e Kakashi lo seguivano velocemente.
Come se non fosse abbastanza chiaro che intendeva portarsi il Jinchuuriki a farsi una bella passeggiata lontano da lì...
- Maledetto Deidara, fa sempre di testa sua.- borbottò infuriato Sasori.
- E’ fatto così, lo sai.- feci io scrollando le spalle – Comunque ‘Ri-senpai, ti prego: qualsiasi cosa dirò non contraddirmi, ok?- chiesi supplicante.
Ci mancava che mi demolisse il piano ancor prima che venisse attuato.
- Va bene.- concesse lui.
Bene, era giunto il momento.
Piano stermina Sakura e salva Sasori: iniziato.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11:
Il silenzio era sceso all’interno della grotta nella quale ci trovavamo.
Tutti continuavano a scambiarsi sguardi carichi di odio -tra me e Sakura- e di qualcosa che non riuscivo a capire -tra Sasori e sua nonna-.
Dovevo solo farmi coraggio. Ora era il momento di capire se tutti i miei sforzi erano serviti a qualcosa.
Se il mio piano andava bene si o no.
Presi un respiro profondo e, con più sicurezza possibile cominciai a parlare.
- Credo che seguirò Deidara in modo da riuscire a separare il Jinchuuriki da quell’altro coi capelli argentati.- iniziai rivolgendomi a Sasori– Spero di riuscire a cavarmela velocemente. Oggi devo incontrare Orochimaru e quell’altro lì, l’Uchiha...com’è che si chiama, aspetta...- mormorai pensierosa, mentre qualcosa sembrava scattare in Sakura.
- Sasuke!- esclamò o, più che altro, urlò.
- Già, Sasuke Uchiha!- dissi battendomi il pugno su una mano, trattenendo a stento un urlo di dolore dato che era quella rotta – Lo conosci? In effetti, per quanto mi ha detto, viene da Konoha anche lui.- feci.
- Era il mio compagno di squadra.- disse l’altra – Tu conosci Orochimaru?- mi chiese.
- Già.- annuii io, mentre Sasori, al mio fianco, mi rivolgeva un’occhiata dubbiosa – Perché?-.
Evidentemente non aveva capito nulla di quello che stavo facendo. Speravo solo che stesse zitto e buono.
- Devo farti delle domande.- annunciò la rosa, fin troppo determinata.
- Mi dispiace, ma non ne ho il tempo adesso.- la liquidai con un leggero movimento della mano.
Iniziai a camminare, diretta verso l’uscita della grotta.
Se mi fossi messa a correre sarei sicuramente inciampata e caduta, rovinando tutto l’alone misterioso che mi stavo costruendo intorno con tanto impegno e fatica.
- Cosa credi di fare?!- disse Sakura bloccandomi il passaggio.
Trattenni a stento un’imprecazione. Mi mancava pochissimo per raggiungere l’esterno della grotta, il mio obbiettivo.
Bé, ovviamente sapevo che Sakura mi avrebbe fermata, ora dovevo solo trovare il modo di sorpassarla e uscire.
- L’ho già detto prima.- borbottai osservandola.
Su quella specie di gonnellina che portava c’erano due tasche: in quale erano contenuti gli antidoti?
- Non te lo permetterò.- mi assicurò lei.
- Dici?- domandai ironica, incrociando le braccia al petto – E cosa farai, di grazia?- feci, imitando il tono che solitamente Ryu utilizzava con me –non mi ero mica dimenticata di lui-.
Lei digrignò i denti.
Forse non si riteneva all’altezza di combattere contro la mia regale persona dato che, secondo lei, ero una psicopatica dell’Akatsuki con abilità sovraumane. Mi stava sopravvalutando, ma era meglio così infondo. Se continuava a temermi come avversaria sarei stata piuttosto avvantaggiata.
Il rumore della coda metallica di Hiruko che si schiantava poco lontano da noi ci risvegliò dal nostro intenso studiarsi a vicenda.
Sasori aveva attaccato sua nonna.
- Chiyo baasama!- la chiamò Sakura, preoccupata.
Guardai Sasori, che mi rivolse un’occhiata abbastanza eloquente.
Solo allora capii.
Questa era la mia possibilità: si era distratta.
Senza farmelo ripetere due volte corsi verso l’uscita della grotta e concentrai il chakra sui piedi.
- Fai attenzione ‘Ri-senpai!- urlai, sperando che mi avesse sentita.
Corsi a perdifiato il più lontano possibile da lì, nella direzione opposta a quella che teoricamente Deidara aveva preso.
Sentii i passi di Sakura che si avvicinavano.
Ce l’avevo fatta! Avevo completato la prima fase del piano senza problemi.
Velocemente afferrai un kunai e lo scagliai contro alla rosa, che lo evitò facilmente.
Allora mi bloccai: ormai eravamo abbastanza lontane.
Cercai di non mostrarmi fin troppo stanca, anche se in quel momento mi sarei tanto voluta sedere a terra a riprendere un po’ di fiato.
Io non ero abituata a certi scatti, mi ero quasi giocata un polmone.
Infilai lentamente la mano sotto la cappa dell’Akatsuki, prendendo la pergamena che conteneva “Quella”.
Osservai gongolante la sua espressione preoccupata, mentre mi guardava fare i sigilli – che, da brava ninja che ero, avevo imparato a memoria-.
Presto comparve tra le mie mani la mia dolce e tenera falce, che la sorprese non poco.
Era un’arma così insolita?
- Ti interessa così tanto quel Sasuke Uchiha?- domandai, mentre un ghigno si faceva strada sul mio volto –Non dirmi che sei innamorata di lui? Effettivamente, devo ammettere, che è veramente bello.- feci, mentre la sua espressione si incupiva.
Perché continuavo a farla arrabbiare?!
- Però...- dissi schioccando le labbra – Ha qualcosa che non mi convince. Il suo essere perennemente incazzato col mondo intero, ad esempio. Non riesco a capire come una persona possa credere di esistere solo in funzione della vendetta...Patetico!-.
A quest’ultima parola Sakura scattò, come se qualcosa in lei si fosse mosso.
Caricò il pugno, con così tanto chakra che potevo riuscire chiaramente a vedere la nuvoletta azzurra circondarle la mano.
Parai il colpo con la falce, però venni sbalzata parecchio indietro.
Era molto forte.
Sentivo ancora l’onda d’urto spandersi per tutta la mia arma fino a farmi tremare addirittura le braccia.
Dopo un piccolo momento di pausa riprese ad attaccarmi, l’espressione sempre più furiosa.
- Non ti azzardare a parlar male di lui, non lo conosci!- urlò, mentre un altro sonoro colpo rischiava di perforarmi la faccia.
Ancora mi chiedo come, forse fu grazie all’istinto di sopravvivenza, riuscii a scansarlo e mi allontanai da lei di qualche metro.
Non stava scherzando: era veramente arrabbiata.
- Eeeeh?- feci io sorridendo – Ho toccato un tasto dolente per caso? Ti devo ricordare che sono passati più di due anni dall’ultima volta che hai visto Sasuke? Io lo conosco molto meglio di te.- annunciai, mentre una goccia di sudore le scorreva l’ungo lo zigomo.
- Come fai a saperlo?- domandò lei.
- Oh, so molte cose su di te Sakura Haruno.- dissi io, gongolandomi del fatto che stavo facendo veramente un’impressione figa – O forse dovrei chiamarti “Fronte spaziosa”?- aggiunsi con un ghigno.
Un nuovo impeto di rabbia la attraversò mentre si lanciava all’attacco.
Purtroppo, questa volta, riuscì a centrarmi in pieno il fianco con un poderoso calcio.
Mi lasciai fuggire un gemito di dolore, mentre, con un brusco movimento delle braccia, le scagliavo contro la mia falce.
Lei la evitò, tornando nuovamente ad una distanza di sicurezza. Sembrava fin troppo soddisfatta del calcio che mi aveva dato per i miei gusti.
Era vero che mi ero ripromessa di non farle più male del dovuto, ma quell’oca stava mettendo a dura prova la mia pazienza.
Anche se, in effetti, non sarei stata in grado neanche di toccarla ora come ora.
Mi portai una mano sul punto dove ero stata colpita, che aveva preso a pulsarmi dolorosamente.
Bé, sempre meglio lì che in faccia.
Ancora mezza stordita dal colpo –non ero abituata ad essere picchiata- non mi accorsi che la ragazza aveva iniziato a correre verso di me.
Fu molto, troppo, veloce. Dopo aver caricato il pugno lo spinse violentemente contro il mio zigomo, senza darmi neanche il tempo di poter contrattaccare.
Volai letteralmente via, spinta dalla forza prorompente di quella ragazzina, e caddi in acqua.
Annaspai verso la superficie, mentre alcune lacrime sfuggivano dal mio controllo. Non mi piaceva affatto essere colpita in quel modo.
Quando uscii fuori dall’acqua la ragazza era ancora nello stesso punto di prima, che sorrideva soddisfatta.
Questo non fece altro che farmi arrabbiare –cerchiamo di non essere volgari, dai- di più.
Non appena riuscii a mettermi in piedi mi sfilai la cappa e la lanciai in malo modo su una roccia che si trovava poco distante da me.
Non riuscivo a capire come facevano gli altri a combattere con quella cosa addosso: era impossibile farlo!
Mi toccai appena lo zigomo, ma ritrassi subito la mano: faceva malissimo!
Impugnai saldamente la falce.
- Tutto qui?- feci io – Non penso che riuscirai a “salvare” Sasuke a suon di pugni, mia cara. Ti sarai potuta anche allenare come una matta, ma resterai sempre una palla al piede per Naruto e gli altri.- annunciai, mentre una vena cominciava a pulsarle in fronte.
Volete sapere perché continuavo a farla arrabbiare? Bé, sinceramente, era la stessa cosa che mi stavo chiedendo io in quel momento. Era più forte di me, non riuscivo a fare altro che insultarla.
Forse speravo che distraendola a parole si sarebbe dimenticata di ridurmi in poltiglia...
Vedendo che la ragazza non reagiva fui io quella che partii all’attacco: mi ero veramente stufata di stare ferma a prenderle.
Caricai la falce e, saltando, mi avventai su di lei.
La mia arma taglio in due la superficie dell’acqua.
Facendomi forza la alzai nuovamente e iniziai a sferrare dei colpi verso di lei.
Non riuscivo a prenderla, era troppo veloce.
Rischiai nuovamente di beccarmi un pugno su un occhio, ma, alla fine, riuscii ad evitarlo.
Approfittando del piccolo momento di smarrimento della ragazza trasformai la mia falce in una catena, e l’arrotolai attorno al suo braccio.
Con una forza che non credevo di avere la spinsi a terra.
Iniziò a sferrarmi dei calci che, non riuscendo ad evitarli da lì, mi costrinsero ad abbandonare quella posizione vantaggiosa e ad allontanarmi da lei.
Dovevo trovare in fretta una qualche mossa spettacolare per poter raggiungere la seconda fase del mio piano.
Ma cosa dovevo fare?! Era troppo per me! Io non avevo combattuto neanche una volta fino a quel momento.
Concentrare il chakra sui piedi mi teneva troppo impegnata per permettermi di ragionare in modo lucido.
Tornai all’attacco, più disperata che speranzosa.
Accidenti, l’Hokage aveva fatto veramente un buon lavoro, anche se non lo avrei mai ammesso.
Parai un suo pugno e cercai di farle perdere l’equilibrio falciandole –letteralmente- le gambe.
Sakura lo schivò, saltando con un balzo sulla lama della mia arma.
Sorrisi mentre con una piccola quantità di chakra la trasformavo in catena e la arrotolavo lungo tutto il suo corpo con una velocità tale che non se ne rese conto.
Questa volta non sarebbe scappata.
Con uno strattone la feci cadere e, grazie al chakra che la falce emanava, non finì in acqua.
- Allora.- inizia, mentre le catene le stringevano mani e gambe, avvinghiandosi a lei come un serpente – Dove l’hai nascosto quel benedetto antidoto?- chiesi, mentre sbarrava gli occhi dalla sorpresa.
- Come fai a...?- disse, cercando di dimenarsi dalla presa che le bloccava ogni movimento.
Per una attimo la fissai inebetita: come accidenti avevo fatto a riuscirci?
Poi mi riscossi dai miei pensieri, maledicendomi mentalmente.
Era esattamente così che i “Buoni” fuggivano dalle trappole dei “Cattivi”, quando ormai erano in procinto di essere uccisi.
Già, perché i loro nemici invece di sbrigarsi ed ammazzarli stavano lì a contemplarli per ore e ore mentre quegli altri fuggivano a gambe levate.
Li avevo sempre odiati quando facevano così. Insomma, tu passi tutto il tempo cercando di uccidere una persona e quando riesci finalmente a prenderla non l’ammazzi?! Non riuscivo a capirlo...
- Se permetti...- feci iniziando a frugarle nelle tasche.
Nonostante lei si dimenasse con tutte le sue forza non c’era nulla che poteva fare: adoravo Pain per avermi regalato un’arma così meravigliosa.
Trovai le due siringhe nella seconda tasca della gonna che indossava –non era scomodo combattere vestire in quel modo?-.
Soddisfatta me li rigirai tra le dita, mentre lo sguardo della rosa si faceva più determinato. Iniziò a ribellarsi violentemente alla stretta della mia falce e, per un attimo, riuscì persino ad allentare la presa.
Non potevo aspettare oltre.
Concentrai tutto il chakra che potevo sul palmo della mano, fino a quando non fu così tanto che il vetro delle siringhe si ruppe.
Il liquido, che probabilmente doveva essere quello dell’antidoto, mi sporcò le mani che ripulii in fretta e furia nei vestiti –magari ero pure allergica a quella roba-.
Fase due:completata.
Dopodiché, dato che probabilmente a breve sarebbe riuscita a liberarsi per conto suo ritirai le catene, che ripresero la loro vecchia forma tra le mie mani.
Senza badare a convenevoli Sakura mi ricominciò ad attaccare, ancora più determinata e potente di prima.
Paravo i colpi a fatica e, ad ognuno, venivo sbalzata via dalla sua terribile forza.
Iniziavo a non capirci più niente: troppi attacchi da parare, troppo forti per essere parati.
Le spalle cominciavano a farmi male e anche la mano, che fino a quel momento era rimasta nella soglia del “sopportabile”, ora era sottoposta a fitte dolorose.
Mi beccai un calcio negli stinchi e un pugno nello stomaco, così violento che rimasi senza fiato.
Stordita dal colpo che mi risuonò per il corpo non potei schivare un diretto destro di Sakura, che mi colpii l’unica guancia che fino a quel momento era rimasta illesa.
Venni sbalzata via e sbattei la schiena contro una parete di roccia, che mi fece gemere per il dolore.
Sentivo le lacrime che premevano contro gli occhi, minacciando di scendere da un momento all’altro.
Però non potevo.
Dopo alcuni respiri profondi mi rialzai.
Non le avrei dato la soddisfazione di vedermi piangere, quello l’avrei fatto più tardi.
- Se ci sarà un più tardi...- pensai preoccupata.
Dalla piega che aveva preso lo scontro non potevo certo dire che me la stavo cavando egregiamente.
Fino a quel momento io non ero neppure riuscita a darle un pizzicotto mentre lei mi aveva presa parecchie volte.
- Lascia che ti dica una cosa.- iniziai, colta da un lampo di genio – Vuoi... veramente... incontrare Sas’ke, no?- chiesi, annaspando alla ricerca di aria, per poi alzare gli occhi al cielo: dovevo smettere di chiamare l’Uchiha minore in quel modo!-.
Dopo il pugno allo stomaco non riuscivo a respirare bene, iniziavo a sentirmi male.
- Tra dieci giorni devi andare al ponte del cielo e della terra nel villaggio dell’erba...- spiegai – A mezzogiorno. Ci sarà una spia di Orochimaru...- conclusi, sperando con tutto il cuore di averle dato le informazioni giuste.
Infondo, se Sakura non combatteva contro Sasori non credevo che ne sarebbe stata informata. Non potevo rischiare che la storia venisse stravolta in quel modo assurdo o non avrei avuto più punti di riferimento ai quali aggrapparmi.
- Sasuke sarà in un covo lì vicino.-.
Quest’ultima affermazione accese il suo interesse.
- Perché me lo dici?- chiese sospettosa.
- Perché sei abbastanza, e dico abbastanza non molto, bravina...- feci, disgustandomi delle mie stesse parole.
Dovevo fare in modo che l’Hokage la mandasse insieme a Naruto da Sasuke.
Non feci in tempo a riprendermi dall’ultima scarica di colpi che Sakura mi venne incontrò.
Parai un suo pugno con la falce, fermandole il braccio con le catene.
- Muori se mi concedi cinque minuti di tregua?!- sbottai infuriata, mentre la allontanavo con una spinta – Fammi riprendere fiato!-.
Non parve cogliere la mia supplica e continuò a scagliare pugni e calci: non sapeva fare proprio nient’altro?!
Parai tutti quelli che potevo e mi presi altri cinque o sei pugni, uno dei quali nella tempia, che cominciò a sanguinare.
Ci mancava solo quello.
Sentii la goccia scendermi lungo tutto il profilo di viso, nauseandomi.
- Quello non è sangue, non è sangue, non è sangue....- continuavo a ripetermi in testa.
Ci mancava solo che le svenissi come un baccalà davanti solo per aver visto quel liquido rosso percorrermi il viso.
Sospirai.
Tra poco sarebbe successo, me lo sentivo. Già cominciavo a vedere macchie nere ovunque e le gambe si facevano sempre più instabili.
Che brutta fine...Da quando ero lì non facevo altro che rischiare di morire...

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12:
Il vento soffiava incessantemente attraverso le fronte degli alberi, provocando un continuo fruscio di foglie che si scontravano tra loro.
Tutto sembrava apparentemente normale, come se fosse una giornata qualsiasi.
Peccato che, nascosti da quella finta calma, c’erano ninja in ogni dove pronti a scannarsi tra loro.
Ed io ero quella che stava venendo decisamente più scannata degli altri.
Dopo una scarica di pugni ruzzolai nuovamente in acqua, rischiando di perdere la falce dalle mani per il dolore.
Quando riemersi l’Haruno mi mollò un calcio nel collo, così forte che per un attimo temessi che me l’avesse rotto.
In realtà, in quel momento, avrei dovuto ringraziarla.
Già, perché se cinque minuti prima stavo rischiando di svenire ora lei mi aveva bella che svegliata.
Grazie Sakura per avermi picchiata così violentemente.
Cercai di assestarle qualche colpo di falce, riuscendo solo a strapparle leggermente il bordo della gonna.
In compenso lei ebbe il tempo di mollarmi un altro pugno nella tempia.
Accidenti non ero un pungiball!
Mi alzai nuovamente in piedi, guardandola con odio.
Mi si erano pure messe a fischiare le orecchie.
Ok, forse era il caso di inventarsi qualcosa alla svelta dato che a breve non sarei stata più in grado di muovermi. Mi faceva male tutto!
Sospirai, esasperata.
Avevo una voglia matta di trapassare quel suo faccino soddisfatto con un rasengan, ma, purtroppo, quella mossa non rientrava tra le mie capacità.
L’unica cosa che sapevo fare era creare una copia sana ed altre malaticce. Probabilmente sarebbero state inutili.
La falce sparì in una nuvoletta di fumo e ritornò all’interno della pergamena.
La riposi nella borsa ninja che portavo sul fianco destro e presi un kunai.
Certo, con quello avrei fatto sicuramente poco, ma ormai non avevo più la forza di reggere la mia arma prediletta quindi era inutile.
Ricominciammo il combattimento: la situazione era nettamente peggiorata.
Non avendo più nulla con cui parare i colpi non potevo fare altro che stare ferma a prenderle, anche se stessi provando a colpirla con tutte le mie forze.
Era inutile, c’era una distanza abissale di abilità e forza tra di noi.
Bé, infondo ero scusata: quello era il mio primo combattimento.
Dopo un’epica caduta all’indietro, con tanto di testata finale su una roccia non riuscii più ad alzarmi.
Il dolore attraversava ogni singolo filamento del mio corpo, dalla testa alla punta dei piedi. Ogni singola parte di me stava male.
La vidi avvicinarsi a me caricando il pugno con una notevole quantità di chakra, troppa a dire il vero.
Non riuscivo a muovere un muscolo e la vista cominciava a farsi sempre più sfocata.
Chiusi gli occhi, aspettando il peggio.
Fu come se il tempo si fosse bloccato.
Mi sentii in un certo senso sospesa in quella dimensione scura e tetra – e anche bella vuota- che era la mia mente.
Galleggia nell’oscurità, fino a quando non avvertii di aver appoggiato i piedi su qualcosa di solido, una specie di pavimento.
Non è che ora scoprivo di avere anch'io un demone confinato nello stomaco, vero?
Mi guardai intorno, spaventata. Ero morta?
Tutt’intorno a me non c’era nulla, o meglio, non si vedeva nulla.
Fu allora che comparve e, per la prima volta, la vidi.
Davanti a me, come se fosse stata un fantasma, si materializzò una ragazza, ma non una qualsiasi, ero io.
Era proprio la me stessa che avevo dovuto abbandonare per entrare in quel mondo, il mio vero corpo.
Riconoscevo i capelli, castani e scompigliati, che ricadevano sulle spalle, lisci come la seta.
Gli occhi, dello stesso colore, mi fissavano con una punta di curiosità, ma anche di sorpresa. Le labbra erano socchiuse e si muovevano, come in cerca delle giuste parole da dire.
- Tu sei me!- urlammo in contemporanea, fulminandoci con lo sguardo.
Seguì un momento di silenzio, nel quale ci scrutammo con sfida.
- Ridammi il mio corpo.- feci, cercando di essere più sicura di quanto ero in realtà.
- Guarda che non è una mia decisione stare qui.- ribatté indicandosi disgustata.
- Taci!- borbottai io, infuriata – Stai zitta! Non hai la minima idea di quello che sto passando io! Tu almeno hai avuto la fortuna di finire nel corpo di una bellissima e intelligente ragazza! Io, invece, mi ritrovo dentro ad una Nukenin così piatta che a momenti c’ha una conca al posto del petto!- sbraitai, perdendo tutto ciò che restava del mio auto-controllo – Sei bassa, con dei capelli che al minimo accenno di umidità esplodono! Quindi non hai alcun diritto di sparlare del mio corpo dato che io, che sono più piccola di te, ho un aspetto molto più maturo!-.
Continuavo a urlarle contro frasi insensate, mentre lei, da brava ascoltatrice che era, prese a sbadigliare.
- Senti un po’ miss modestia!- fece lei durante una delle mie pause – Pensi che a me faccia piacere finire nel corpo di una che non è abituata a fare nulla dalla mattina alla sera?! Così pigro che al primo accenno di fatica cede? Se ti interessa non sono felice per niente!-.
Ci osservammo in cagnesco per un po’, riprendendo fiato.
Poi, come se non fosse successo nulla ci sorridemmo.
- Comunque io sono Ambra.- mi presentai allungandole la mano.
- Io sono Fuko, piacere di conoscerti!- rispose lei stringendola.
- Che ci facciamo qui?- le chiesi –eh no, non mi ero affatto dimenticata del luogo angusto nel quale mi ero materializzata-.
- Non le ho la più pallida idea.- fece scuotendo la testa – Penso che in un qualche modo siamo riuscite a stabilire un contatto.-.
Io annuii. Ero d’accordo con lei.
- Ma come è successo?!- domandai – Stavo per essere uccisa quando...- iniziai, ma un lampo di luce bianca trafisse l’oscurità intorno a noi, e mi risucchiò al suo interno.
Aprii gli occhi di scattò e sprofondai in acqua.
Ci volle un po’ per realizzare quello che stava accadendo.
Vedevo la superficie farsi sempre più lontana, mentre l’aria cominciava ad essere richiesta a gran voce dai miei polmoni.
Risvegliandomi dallo stato di trance nel quale ero caduta iniziai a sbracciare verso l’alto, fino a quando non riuscii a riemergere.
Annaspai alla ricerca d’aria e poi, quando finalmente mi sentii meglio, mi guardai intorno, allibita.
Dove cavolo era finita Sakura?!
Mi rimisi in piedi, guardandomi intorno circospetta.
Non c’era da nessuna parte sembrava quasi essersi volatilizzata nel nulla.
Titubante indossai la cappa dell’Akatsuki e mi diressi velocemente verso la grotta dove avevo lasciato Sasori, temendo che la rosa fosse andata ad aiutare la vecchia Chiyo.
Quando fui vicino all’entrata vidi una persona che usciva. Era Sasori ed era vivo.
- ‘Ri-senpai!- esclamai, attirando la sua attenzione.
Mentre avanzavo verso di lui, le braccia aperte e l’espressione inebetita, potei notare i diversi cambiamenti del suo volto.
Dall’indifferente passò velocemente al sorpreso, al dubbioso ed infine allo sconcertato.
Gli buttai le braccia al collo, avvinghiandomi come un polipo al suo petto.
- Sei vivo! Sei vivo! Sei vivo!- iniziai a canticchiare saltellando.
Attese che mi riprendessi dal mio momento di blackout mentale.
- Che è successo?- mi chiese calmo, guardandomi.
Io inclinai la testa di lato, senza capire.
Una scarica di dolore mi attraversò la colonna vertebrale ricordandomi di ogni singolo colpo che avevo incassato.
Evidentemente non dovevo essere messa molto bene.
- Preferisco sorvolare sulla cosa...- mormorai imbarazzata, cercando di sfuggire dal suo sguardo indagatore – ‘Ri-senpai, allora, hai accoppato la vecch-cioè, com’è andato il combattimento con tua nonna?- chiesi.
- Il mio veleno l’ha paralizzata e adesso non è più in grado di muoversi.- spiegò tranquillo, cercando di divincolarsi dalla mia presa. Ovviamente non ci riuscii.
Si stava troppo bene in quella posizione, per cui non l’avrei mollato tanto facilmente.
- Stavo venendo a cercarti.- m’informò – Infondo non ho avuto molto tempo per allenarti e temevo che...- poi si bloccò, vedendo la mia espressione emozionata.
- Ti sei preoccupato per me!- esclamai felice.
- Non ho detto questo.- mi contraddisse lui, mentre io mi lanciavo a capofitto in un altro dei miei abbracci- Ad ogni modo, vuoi spiegarmi cos’è successo?- domandò, lanciando un’altra occhiata alle mie diverse ferite.
- Diciamo che l’oca si è divertita a pestarmi.- borbottai io imbarazzata – Però sono riuscita ad immobilizzarla e a impossessarmi degli antidoti.- feci orgogliosa delle mie capacità –Poi, bè, si è liberata e... me l’ha fatta pagare...-.
- Avevo progettato di andare a prendere il Jinchuuriki, ma vedendo come ti sei ridotta...- iniziò lui.
- No!- lo bloccai io – Stravolgerai la storia se ora provi a catturare Naruto!- esclamai preoccupata.
E non avevo ne abbastanza forza fisica ne psicologica per essere pestata anche da Kakashi e company.
- Infatti non ne avevo alcuna intenzione.- disse lui – Andiamo, ti porto al covo.- fece, cercando nuovamente di staccarmi da lui – Durerà ancora per molto?!- chiese spazientito.
Non udendo alcuna risposta passò all’azione.
Con un dito prese a picchiettarmi sul fianco leso, facendomi rabbrividire per il dolore.
- Basta!- lo implorai allontanandomi.
- Possiamo andare adesso?- fece.
No, la pazienza non rientrava tra le sue qualità.

Più tardi, all’interno di una fitta foresta, Sasori mi stava mostrando l’entrata di uno dei “covi” dell’Akatsuki.
Nessuno sarebbe riuscito a trovarlo senza sapere esattamente la sua posizione.
Attaccato ad una radice di un albero, nascosto tra le fronde di un cespuglio, c’era un sigillo simile a quello applicato sulla roccia che copriva l’entrata della grotta.
Il rosso fece qualche gesto e, subito dopo, nel terreno, si aprì una lunga scala, avvolta nel buio.
Scendemmo lentamente dato che io inciampavo ad ogni gradino.
Quando arrivammo finalmente infondo Sasori accese delle luci mentre il passaggio che avevamo percorso si richiudeva alle nostre spalle.
Al contrario di ogni mia aspettativa il covo era deserto.
- Ne abbiamo diversi, sparsi per i vari paesi.- spiegò Sasori – Non sono molto utilizzati solitamente, non abbiamo molto tempo per riposarci tra una missione e l’altra.-.
Mi portò in una camera, composta da due semplici letti accostati alle pareti, un armadio ed una scrivania.
Tutto sembrava essere ancora nuovo, come se non ci fosse mai stato mai nessuno.
- Puoi usare il mio letto, non ho bisogno di dormire.- mi disse Sasori.
- Grazie!- risposi sorridente, mentre mi sdraiavo sul materasso.
Per quanto mi riguardava potevo morire lì.
Era comodissimo!
Mi accorsi solo allora, che fino a quel momento, non avevo desiderato altro che farmi una bella dormita.

Sasori:
- Dovrei controllarti le ferite.- dissi, ma ormai non mi ascoltava più: si era già addormentata.
La osservai: il viso era ricoperto da grandi lividi violacei, mentre quello vicino all’occhio destro era quasi nero. Sulla tempia aveva una piccola ferita dalla quale era uscito molto sangue, che ora le si era incrostato al volto.
Per il resto non potevo vedere se avesse o no altri lividi, ma dalla reazione che aveva avuto quando le avevo toccato il fianco sicuramente ne aveva diversi.
Aggiungendo pure la mano rotta non era al massimo della forma.
Perché si era ridotta così per uno come me? Perché tutti si sacrificavano per gli altri?
- Sono contenta, mio nipote non è diventato un essere completamente malvagio. Ti importa di quella ragazzina, vero? E’ da lei che stai andando, giusto?-.
Le parole che mia nonna mi aveva rivolto prima che abbandonassi la grotta mi risuonarono in testa.
Perso nelle mie riflessioni mi accorsi dell’arrivo di Deidara solo quando quest’ultimo iniziò ad urlarmi nelle orecchie.
- Danna, ma allora sei vivo, uhm!- sbraitò.
Mi voltai ad osservarlo: aveva perso anche l'altro braccio.
- Wow! Deve averti fatto arrabbiare veramente molto per farsi ridurre in quello stato.- osservò il bombarolo divertito, cercando di nascondere la scintilla di preoccupazione che per un attimo ero riuscito a scorgere chiaramente nei suoi occhi.
- E’ stata pestata dall’oca con crisi di inferiorità.- spiegai – Ma per quanto mi ha detto tornando qui è sparita.-.
Mi osservò stranito.
- Che significa “sparita”?- domandò, mentre goffamente cercava di togliersi la cappa dell’Akatsuki con i denti.
Non risposi.
- Dovresti fartele riattaccare da Kakuzu.-.
- Oh, grazie Sasori! Sei un vero genio, non ci avevo pensato!- fece sarcastico lui – Peccato che in questo momento sia in missione chissà dove, uhm.-.

Fuko:
Quando mi svegliai il dolore non si era minimamente attenuato.
Mi sentivo a pezzi come se mi fosse passato sopra un carro armato.
Mi voltai su un fianco e per poco non urlai. Nel letto accanto al mio c’era Deidara.
Per un attimo avevo creduto che si trattasse di un fantasma. Mi portai una mano al cuore che in quel momento aveva preso a battermi furiosamente: mi aveva fatto venire un colpo!
Il biondo dormiva profondamente, i capelli sparpagliati per il viso, sciolti dalla coda che era solito farsi.
Se non fosse stato per le due braccia mancanti mi sarei anche potuta mettere a sbavare.
Cercando di fare meno rumore possibile mi alzai dal letto, che cigolò sinistramente.
In punta di piedi raggiunsi il bagno che si trovava nella stanza accanto.
Tutto sommato non aveva nulla di anomalo: c’era un lavandino con accanto un armadietto, un water ed una vasca rettangolare che occupava la maggior parte dello spazio.
Quando mi guardai allo specchio mi venne da piangere: ero orrenda! Sembravo uno zombie in decomposizione!
Il viso era completamente a pois, delimitato solo da una lunga striscia rossa che mi partiva dalle tempia.
Ok, dovevo trattenermi. Quello non era realmente sangue, mi ero rovesciata per sbaglio addosso della pittura. Si, doveva essere sicuramente così.
Combattendo contro la nausea –non era facile riuscire ad ingannarsi per conto proprio- chiusi a chiave la porta ed aprii il rubinetto della vasca.
Per quale motivo l’acqua era verde?
- Speriamo solo che non sia radioattiva...- pensai mentre mi ci infilavo dentro.
Assaporai per un po’ la sensazione del calore che mi avvolgeva il corpo, poi iniziai a pulirmi dai residui di sangue/pittura.
Non appena mi fui data una ripulita mi asciugai e ri-indossai gli abiti che portavo prima appuntandomi mentalmente di chiederne di nuovi a Sasori e Deidara.
Dopo aver rimediato un paio di cerotti all’interno dell’armadietto ed essermeli incollata alla faccia –almeno così i lividi erano meno evidenti- uscii dalla stanza.
Ancora mi facevano un po’ male le ossa ma, tutto sommato, mi sentivo più calma e rilassata.
Dato che non avevo voglia di tornarmene a letto andai a cercare la cucina o, almeno, un ripostiglio dove tenessero la roba da mangiare.
Anche se Sasori mi aveva detto che non ci andava mai nessuno qualche rimasuglio di biscotti scaduti o anche di carne in decomposizione ci doveva essere per forza. O almeno così speravo.
Dopo aver girato un po’ a zonzo per il covo mi imbattei in una stanza abbastanza spaziosa, ma completamente avvolta nell’oscurità.
Riuscivo a vedere a mala pena il contorno di un tavolino al centro e, accostato al muro, quello che doveva essere una specie di frigorifero vicino a diversi scaffali.
Ma c’era qualcos’altro lì dentro.
Non riuscivo a scorgerlo chiaramente perché era completamente buio, ma potevo giurare di vedere una sagoma scura chinata vicino ad uno dei mobili, che si muoveva furtivamente.
Trattenni il respiro, cercando di avvicinarmi di soppiatto.
Non riuscivo a capire cosa fosse. Era un animale?
Ad un tratto il mio piede si appoggiò una un’asse incrinata del pavimento, che emise uno scricchiolio abbastanza forte da svelare la mia presenza.
La sagoma scura si alzò, di scatto, voltandosi verso di me.
Il volto, illuminato dalla fioca luce di una candela che teneva stretta tra le mani, mi comparve davanti all’improvviso.
Gli occhi, violacei, mi scrutarono attentamente, mentre un ciuffo dei capelli gli cadeva ribelle sul volto.
Non capii più niente.
- AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!- urlai, spaventata dalla comparsa improvvisa di quell’uomo.
L’individuo in questione con un balzo degno di un vero ninja, mi raggiunse, coprendomi la bocca per impedirmi di urlare.
- Smettila cazzo! Se continui ad urlare sveglierai Kakuzu e lui si incazza sempre se non lo si lascia dormire in pace!- mi sussurrò nell’orecchio.
No questo era troppo! Non ero pronta, non così! Era troppo vicino, troppo vicino! Non riuscivo più a ragionare: il cervello mi stava andando in pappa! Si stava sciogliendo!
Il suo petto premuto contro la mia schiena. Un braccio che mi cingeva la vita, tenendomi leggermente sollevata. La sua mano che mi copriva le labbra, con una presa forte, ma non dolorosa.
Era troppo schiacciato su di me! Stavo per scoppiare, era come se mi potessi incendiare da un momento all’altro. Il cuore continuava a battere contro il mio petto, come se all’improvviso gli fossero spuntate le ali. Mi serviva più aria, mi sentivo come se stessi soffocando.
Ad un tratto qualcuno accese la luce.
Sasori, Kakuzu e Deidara erano sulla soglia della porta e ci fissavano.
Sasori assunse un’espressione indescrivibile, un misto di sorpresa e disgusto. Deidara, invece, era semplicemente sbigottito. Intervallava occhiate veloci da Hidan a me e da me a Hidan. E poi c’era Kakuzu che, come aveva detto l’albino, era veramente incazzato nero.
- Che cosa le stai facendo, Hidan!?- urlò, mentre lo osservavo terrorizzata.
No, non lì, non in quel momento. Se gli prendeva uno dei suoi attacchi isterici omicidi eravamo tutti morti.
Il bombarolo aprì e richiuse la bocca più volte, senza riuscire a trovare le giuste parole per esprimersi.
Sasori, invece, dopo aver assunto un’espressione veramente inquietante gli ordinò di lasciarmi.
- Scusa, ma tu chi cazzo sei?- domandò Hidan, senza mollarmi.
- Sono Sasori.- gli fece presente lui continuando a guardarlo molto, molto male.
Evidentemente quelli dell’Akatsuki erano abituati a vederlo in modalità “dentro Hiruko”.
Hidan inclinò la testa da una parte confuso.
- Ti ricordavo diverso...- mormorò, mentre altri brividi mi attraversavano la colonna vertebrale.
Doveva smettere di parlarmi così vicino all’orecchio o non rispondevo delle mie azioni. Tra poco, se qualcuno non mi avrebbe fermato, gli sarei saltata addosso e, questa volta, non mi sarei limitata ad un semplice abbraccio, ma me lo sarei spupazzato dalla testa ai piedi. Chi se ne importava se mi sacrificava a Jashin?!
Finalmente Hidan decise di mollare la presa e mi appoggiò al pavimento.
Ero arrivata in extremis, le ginocchia non mi reggevano più perciò Sasori fu costretto a raccogliermi.
Mi portò, accompagnato da un Deidara piuttosto confuso, nella loro camera mentre potevo ancora sentire chiaramente Kakuzu prendersela con Hidan. Poverino, non era neanche colpa sua! Ero io la matta isterica che aveva preso ad urlargli contro!
- Cosa ti stava facendo?- chiese Deidara, mentre io mi afflosciavo sul letto del rosso, con un’espressione traumatizzata.
- Troppo vicino...non pronta...- balbettai, mentre il ricordo della scena mi faceva arrossire fino alla punta dei capelli.
I due mi fissarono allibiti, non riuscendo a capire ciò che stavo dicendo.
- Deve averla pestata veramente forte l’oca con crisi d’inferiorità.- fece notare il biondo a Sasori, che annuì pensieroso.
- E’ meglio che le dia una controllatina.-.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Ciao! Scusate se non ho risposto alle recensioni: lo farò sta sera.
Ora sono di fretta, quindi vi lascio al capitolo, baci e grazie a tutti quelli che mi seguono :)

Capitolo 13:
- Non fare i capricci ragazzina, esci da qui!-.
- Noooo!-.
- Muoviti!-.
- Scordatelo!-.
- Guarda che ti faccio esplodere!-.
- Ho detto di no!-.
- E allora esplodi!-.
Il rumore di un’esplosione si propagò per tutto il covo, facendo tremare pesino le pareti della costruzione.
Era passato un giorno dalla notte in cui avevo incontrato in modo molto ravvicinato Hidan e, da allora, mi ero categoricamente rifiutata di uscire da quella stanza.
Riaprii gli occhi: Deidara aveva fatto saltare in aria il letto di Sasori, meglio comunemente definito come il mio letto.
- E adesso dove dormo!?- sbraitai.
- Non è una cosa che mi riguarda, uhm.- fece scrollando le spalle – Ora fuori!- mi ordinò indicando la porta.
- No!- risposi secca, girandomi dall’altra parte.
- Esci immediatamente! Non puoi rimanere chiusa qui dentro!- continuò ad urlare il biondino.
- Perché no!?-.
- Perché no!-.
In quel momento Sasori comparve sulla soglia della porta.
- Cos’hai fatto esplodere questa volta, Deidara?- chiese, come se una cosa del genere fosse all’ordine del giorno.
- Il tuo letto.-.
Al contrario di ciò che mi aspettavo il rosso non ebbe alcuna reazione, ma si limitò ad osservarmi.
- Cosa sta succedendo qui?- chiese calmo.
- Non vuole uscire dalla stanza!-.
- Mi vuole fare uscire dalla stanza!-.
Sasori sbuffò: evidentemente dovevamo sembrare abbastanza ridicoli.
- Che fastidio ti da se Fuko rimane qui?- domandò a Deidara.
- Questa ragazzina mi opprime, sembra un’anima in pena!- spiegò indicandomi – Mi angoscia vederla rannicchiata sul letto blaterando frasi del “E’ accaduto troppo in fretta, dovevo prepararmi psicologicamente”.-.
Sospirai.
L’incontro con Hidan mi aveva lasciata leggermente traumatizzata e avevo deciso di non uscire da lì fino a quando lui e Kakuzu non se ne fossero andati.
Speravo che ciò avvenisse presto dato che erano venuti in questo covo solo per riattaccare le braccia al bombarolo.
- Sei crudele DeiDei!- borbottai con le guancie gonfie – Non ti disturbo mai mentre lavori l’argilla!- aggiunsi.
- La tua sola presenza qui mi disturba!- controbatté – Non so se l’hai notato ma hai come un alone scuro che ti circonda!-.
- Perché non vuoi uscire, Fuko?- intervenne allora Sasori, a cui rivolsi un’espressione da cucciolo bastonato.
- Perché là fuori c’è Hidan!- risposi, sporgendo il labbro all’infuori.
- E allora?!- sbraitò Deidara.
- E allora non riuscirò a controllarmi se mi ricapita tra le mani!- esclamai rossa in viso – Forse non l’avete notato ma io sono una ragazza, un’adolescente tra l’altro! Non sono immune al fascino maschile!-.
- Ah, allora è per questo...- commentò piccato Sasori, mentre Deidara sollevava un sopracciglio.
Stava per aggiungere qualcosa quando fummo interrotti.
- Che cazzo succede qui?- chiese il soggetto dei miei pensieri fermandosi davanti alla soglia della camera.
Si stava asciugando i capelli con un asciugamano, che in quel momento era appoggiato alle sue spalle.
I capelli, ancora bagnati, ricadevano scomposti sul volto, mentre alcune goccioline d’acqua gli scendevano sul petto muscoloso.
Il fatto che in quel momento non indossasse altro che un paio di boxer non mi aiutò affatto.
Già sconvolta dalla sua comparsa improvvisa non riuscii a mantenere il controllo.
- Vieni dalla mamma!- esclamai iniziando a correre verso di lui, le braccia aperte e l’espressione inebetita.
I due ninja, però, furono più veloci: mentre Deidara mi afferrava per le spalle, impedendo i miei movimenti, Sasori sbatteva violentemente la porta in faccia all’albino.
Povero, alla fine era sempre lui quello che veniva trattato male dagli altri.
- Noooooo!! Hidanuccio!!- piagnucolai, cercando di divincolarmi dalla presa ferrea del biondo – Non te ne andare!!-.
- Smettila di agitarti, torna in te!- mi urlò Deidara in un orecchio, facendomi risvegliare.
Quando mi accorsi di quello che era successo mi accovacciai in un angolino della stanza, a deprimermi.
Che figuraccia!
- Ecco cosa intendevo quando ti dicevo che aveva un alone scuro che la circondava.- disse Deidara indicandomi, mentre Sasori mi osservava infastidito.
- Fuko, non è il caso...- iniziò – Hidan non è proprio la persona adatta per te.- tentò.
- Già, è pazzo! A quello non glie ne frega niente di nessuno tranne che del suo Dio immaginario.- lo appoggiò il biondo.
Sembravano due genitori che proibivano alla figlia ribelle di vedere un ragazzo.
- Ma a me piace Hidan!- piagnucolai io – E’ così bello!- aggiunsi.
- Bé...Devi ammettere che ci sono persone migliori nell’Akatsuki in quanto a fascino.- fece pavoneggiandosi.
- Ti stai riferendo a te?- chiese Sasori guardandolo storto.
Sospirai tristemente. C’ero andata vicina, solo pochi passi e avrei potuto spappolarmi contro di lui, contro il suo corpo muscoloso e perfetto...
Lasciai cadere la testa sulle ginocchia.
- Guardate che lo so com’è fatto Hidan.- borbottai scocciata – E’ proprio questo a renderlo così figo!- conclusi.
- Torno a lavorare l’argilla...- annunciò Deidara schifato lasciando la stanza, portando via qualche oggetto.
- ‘Ri-senpaaai!- chiamai io.
- Cosa c’è Fuko?- chiese pazientemente, bloccandosi sulla soglia della porta.
- Dove vai?- domandai curiosa.
Della serie “Facciamoci i cazzi degli altri”.
- Devo riparare Hiruko, l’ultimo scontro l’ha danneggiata.- spiegò, lasciando la stanza.
Ero sola, completamente abbandonata a me stessa.
Strinsi le ginocchia al petto e vi appoggiai la testa.
Mi sembrava che fosse passata un’infinità di tempo dall’ultima volta che ero rimasta per conto mio.

“ Gli studenti si spintonavano e correvano per uscire dall’edificio scolastico. Dopo cinque lunghissime ore di studio non vedevano l’ora di andarsene da lì.
Poi c’era chi, pur volendosene andare come gli altri da quel posto muffoso, non poteva farlo.
Già, perché, ogni giorno, alcune ragazze, decisamente molto lecchine, tentavano di attaccar bottone con l’insegnante dell’ultima ora, per potersi assicurare un voto più alto. Guarda caso le mie migliori amiche facevano parte di questa categoria.
Quando finalmente riuscivo a trascinarle fuori da lì ormai non c’era più nessuno e noi percorrevamo -in silenzio, chiacchierando o, la maggior parte delle volte, litigando- la stradina per arrivare alla fermata dell’autobus per conto nostro.
Era una piccola discesa, accidentata, delimitata da folti alberi e cespugli che crescevano ai lati di essa.
Avevo sempre odiato fare quella strada a causa della miriade di insetti che si divertivano a venirci addosso e per lo zaino, sempre troppo pesante.
Non pensavo che, adesso, a distanza di pochi giorni, quei momenti potessero mancarmi così tanto.”

Deidara:
- Deidara-chan, che fai, giochi con il pongo?- rise Hidan, lanciandomi per l’ennesima volta un’altra delle sue frecciatine.
Mi alzai: ero veramente stufo di sopportarlo e, se non se la sarebbe fatta finita, l’avrei sicuramente fatto saltare per aria.
Raccattai alla bell’in meglio le mie cose e andai dritto nella camera che condividevo con quella ragazzina petulante. Preferivo di gran lunga dover convivere con un’anima in pena che con quello zombie irritante.
Quando vi arrivai trovai il maestro Sasori accovacciato a terra, accanto ad una Fuko che pareva piuttosto addormentata.
- Ci stai provando, Danna?- lo provocai, mentre gettavo la mia argilla esplosiva sulla scrivania e mi sedevo.
Lui mi ignorò totalmente, tornando ad osservare la bella addormentata.
Vista così, raggomitolata su se stessa nell’angolo della stanza, sembrava proprio una bambina. I capelli ricci e spettinati, le ricadevano sulle spalle. Il viso, ancora segnato dal suo ultimo combattimento era attraversato da piccoli linee argentate.
- Sta...?- cominciai confuso.
- Stava piangendo.- disse Sasori, andandole a spostare una ciocca di capelli che le era finita sugli occhi.
- Perché?- chiesi sedendomi accanto a lui.
Eppure non mi era mai sembrata triste. Ogni volta che era insieme a me e Sasori -praticamente in ogni attimo della giornata- sprizzava allegria da tutti i pori ed era sempre con il sorriso sulle labbra. Anche quando se ne stava rannicchiata nel suo letto a borbottare frasi sconnesse, non sembrava essere veramente triste o preoccupata per qualcosa.
Vederla così mi fece un effetto parecchio strano, non ne capivo il motivo. Non riuscivo a capire perché, sia io che il rosso –che in teoria non avrebbe dovuto poter provare sentimenti- ci preoccupassimo così tanto per lei, che non era altro che una mocciosa.
Che me ne importava se piangeva? Perché me ne importava?!
- Non ho capito molto di quello che stava dicendo...- ammise Sasori, passandosi una mano tra i capelli – Ma sembrava abbastanza angosciata.-.
Che fosse depressa per Hidan? Che quello stronzo le avesse fatto qualcosa l’altra sera? Se era così allora me l’avrebbe pagata cara: era la volta buona che l’avrei fatto esplodere. Mi sarei vendicato per tutte le sue provocazioni, finalmente!
- Non credo che sia per Hidan.- m’informò Sasori.
- Adesso sei pure veggente Danna?- feci scorbutico.
- No, ma è facile capire quello a cui stai pensando in base alle tue espressioni.- controbatté il rosso, con la sua solita indifferenza di sempre.
Gli riservai un’occhiataccia. Come si permetteva di leggermi nel pensiero?
Un rumore mi riscosse.
Fuko aprì piano gli occhi. Mise diverso tempo per metterci a fuoco e, quando lo fece, sobbalzò leggermente.
- Cosa ci fate qui?- sbadigliò stropicciandosi un occhio, ancora mezza addormentata.
- Stavo aiutando Deidara a raccogliere alcuni pezzi d’argilla che gli sono caduti a terra.- spiegò Sasori, lanciandomi un’occhiata della serie “Contraddicimi e muori”.
- G-già!- lo appoggiai io.
Lei parve rifletterci su, poi si alzò in piedi, stiracchiandosi.
- DeiDei, ho fame!- esclamò, facendomi sbuffare.
Quella ragazzina stava dando fondo a tutte le mie scorte di cibo.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14:
Le giornate passavano veloci al covo dell’Akatsuki e, finalmente aggiungerei, Kakuzu e Hidan avevano levato le tende.
Pain ci aveva comunicato che noi tre saremmo rimasti al covo in modo che Sasori potesse allenarmi “seriamente”.
Non chiedevo altro: l’idea di cominciare una nuova missione così presto non mi andava molto a genio.
Ancora non mi ero ripresa completamente dall’ultima battaglia.
E così eravamo segregati in quel posto fino a data da destinarsi.
In quel momento io me ne stavo spaparanzata sul divano –Sasori aveva convenuto che era meglio che mi riprendessi completamente dall’ultimo scontro prima di cominciare con l’allenamento-, Deidara stava inventando qualche nuova scultura d’argilla e il marionettista stava contemplando il vuoto molto intensamente.
- Hai dormito bene stanotte?- mi chiese ad un tratto Sasori, mentre il biondino si riscuoteva dalla sua creazione.
- Già, tutto apposto Fu?- domandò quest’ultimo.
Rivolsi loro un’occhiata confusa: erano diversi giorni che continuavano a pormi sempre le stesse domande.
- Si.- risposi titubante io, cercando di capire dove volessero andare a parare.
- Niente di insolito o anomalo...- iniziò il rosso.
- Di cui ci vuoi parlare?- concluse Deidara.
Scossi la testa, ridendo. Era incredibile come fossero sincronizzati quei due a volte.
- Tutto normale.- assicurai con un sorriso, che mi rimangiai immediatamente vedendo le loro espressioni funeree.
- Che cosa ho detto?- domandai preoccupata.

Deidara:
Scambiai una veloce occhiata d’intesa con Sasori.
Quella mocciosa non voleva dirci nulla sulla fonte delle sue preoccupazioni.
Da quel giorno, durante la notte o nei momenti in cui si appisolava nei posti più impensabili del covo, l’avevamo sorpresa più volte a piangere.
La cosa che più mi faceva arrabbiare era che, ogni volta che le chiedevamo se aveva fatto un incubo o cos’altro lei rispondeva di aver sognato pony arcobaleno. Che razza di animali erano?!
Preso com’ero a scervellarmi sull’identità di quegli animali dalle dubbie origini non mi accorsi di aver rovinato la mia scultura d’argilla. Perfetto, ora dovevo ricominciare d’accapo!
- Sei sicura che vada tutto bene Fu?- tentò nuovamente il rosso.
Lo guardai storto: da quando aveva cominciato a chiamarla “Fu”? Era un diminutivo che io avevo inventato e che solo io potevo utilizzare!
- Ve lo già detto e ripetuto.- borbottò – E’ tutto ok!-.
- Sicura, sicura, Fu-chan?- feci io, lanciando al rosso un’occhiatina trionfante.
Ora il soprannome che le avevo dato era molto più bello del precedente. Era veramente artistico!
- Ma cos’avete?!- chiese lei alzandosi dal divano – Sembrate due mammine apprensive.- ci fece notare, mentre apriva e richiudeva il frigorifero. Ovviamente non vi aveva trovato nulla: Kakuzu era troppo tirchio in fatto di cibo.

Fuko:
Iniziavo veramente a preoccuparmi. Quei due continuavano ad assillarmi con domande strane e decisamente molto sospette. Perché? Cosa importava loro di quello che sognavo la notte?
Combattendo contro il borbottio del mio stomaco che si faceva sempre più insopportabile –Deidara non aveva più nulla da darmi- decisi di andare in camera. Non avrei sopportato il loro interrogatorio ancora a lungo.
Appena svoltai per lo stretto corridoio che attraversava il covo collegando tutte le stanze mi scontrai contro qualcosa o meglio, qualcuno.
- Scusaaa...- mormorai iniziando a massaggiarmi il naso.
Allora mi venne un dubbio: se Sasori e Deidara erano in cucina e oltre a loro, teoricamente, non ci doveva essere nessuno contro chi ero andata a sbattere?
Quando alzai lo sguardo restai a bocca aperta.
Occhi neri come la pece, capelli del medesimo colore legati in una coda bassa, il volto segnato da due strane strisce dalle dubbie origini. Il grande Itachi Uchiha era davanti a me, con Kisame al seguito.
- I-I-I-Itachi Uchiha!- esplosi allora, dopo alcuni attimi di tentennamento.
Ma Sasori non aveva detto che non veniva mai nessuno in quel covo? Per quale cavolo di motivo erano tutti lì?!
- Ehy, ci sono anch’io!- tentò Kisame, ma io lo ignorai bellamente.
Dovevo ammettere che era l’unico personaggio dell’Akatsuki che non mi era mai piaciuto, non tanto per il colorito bluastro ma per quelle specie di branchie che gli attraversavano il viso.
- Ti ammiro!- esclamai afferrando la mano di Itachi, che mi rivolse uno sguardo dubbioso – Nessuno avrebbe mai fatto quello che hai fatto tu pur di difendere i propri ideali. Ti ammiro!- continuai esaltata.
Ci mancava veramente poco e mi sarei messa a saltellare sul posto ed a scodinzolare.
- Che cosa succede?- chiese Deidara raggiungendomi.
Non appena si accorse della presenza dell’Uchiha gli assestò un’occhiataccia con i fiocchi, carica di rabbia e rancore.
Mi staccò da lui e mi fece allontanare di qualche passo.
- Devi smetterla di assalire ogni persona che ti ritrovi davanti!- fece.
- Non l’ho aggredito!- sbuffai incrociando le braccia al petto – Non ho mai aggredito nessuno, veramente!-, mentre lui mi guardava divertito.
- Ti devo ricordare della tua prima reazione quando hai visto Sasori? Di quando ti ho salvata dalla caduta e tu mi hai quasi soffocato? Dei tuoi scleri ogni volta che ti ritrovi Hidan davanti?- cominciò.
- Che esagerato!- lo rimbeccai- Mi sono limitata a stringergli la mano...- ribattei piccata – E non mi pare di aver assalito Kisame.-.
- Questo perché ti fa paura...- rise il bombarolo – Lo stesso motivo per cui non ti sei avvinghiata anche a Kakuzu.-.
Gonfiai leggermente le guancie, offesa, per poi tornargli a sorridere.
- Ti adoro!- esclamai avvinghiandomi a lui che sbuffò.
- Ci risiamo...- borbottò –Nessuno ti ha mai fatto notare che sei leggermente lunatica, uhm?-.
- Non essere geloso DeiDei...- feci io ghignando –Lo sai che tu e Sasori siete i miei preferiti.- lo rassicurai.
- Chi ti ha detto che sono geloso, mocciosa?!- borbottò il bombarolo irritato.
Gli feci la linguaccia per poi scappare lontano da lui.
Se lo conoscevo bene mi avrebbe fatta saltare per aria di lì a pochi istanti.
Infatti, come avevo predetto, poco dopo il rumore di un’esplosione mi raggiunse ed era veramente molto vicino.
- Non mi dire che ti sei arrabbiato veramente, DeiDei?-.
- Certo che mi sono arrabbiato!- fece lui, mentre cercava nuovamente di farmi esplodere.
- Suvvia, non c’è bisogno di prendersela tanto!-.
- Katsu!-.

Sasori:
Quei due sembravano proprio dei bambini.
Osservai Itachi e Kisame andarsene nelle loro stanze, mentre quest’ultimo chiedeva all’altro delle spiegazioni sul comportamento di Fuko.
Quello che aveva detto all’Uchiha mi aveva incuriosito parecchio: in effetti non c’era da stupirsi che lei conoscesse molte cose di lui che noi non potevamo minimamente immaginare.
Ultimamente mi ero ritrovato a riflettere su questo molte volte: nonostante lei sapesse tutto di noi, di tutte le persone che avevamo ucciso senza l’ombra di rammarico, perché si impegnava così tanto per proteggerci?

Fuko:
- Basta!- esclamai trafelata accasciandomi ad una parete – Non ce la faccio più!-.
- Mi fermo solo perché a causa tua ho sprecato metà della mia argilla esplosiva, uhm.- fece sedendosi accanto a me.
- Ammettilo sei stanco pure tu!- lo punzecchiai.
- Sei completamente fuori strada ragazzina, uhm.-.
Lo osservai: pochi giorni fa non avrei minimamente immaginato di potermi ritrovare in una situazione del genere e, ora che ci pensavo, erano successe tantissime cose in poco tempo.
Probabilmente non avrei mai pensato di poter vivere tutte queste avventure, mai.
- A cosa stai pensando?- mi chiese Deidara, facendomi tornare alla realtà.
Mai imparato a farti una bella padellata di affari tuoi?
- Non si chiedono queste cose ad una ragazza!- borbottai incrociando le braccia al petto, mentre lui sollevava un sopracciglio, divertito – A proposito, perché tu e Sasori siete così opprimenti ultimamente?- domandai.
- Bé...ecco...- iniziò lui, guardando ovunque tranne che verso di me.
Con un cenno del capo lo invitai a proseguire.
- Il fatto è che...- continuò, ma era come se stesse cercando di trovare in fretta una scusa da appiopparmi.
- Fuko posso parlare un attimo con te? Ho un messaggio da riferirti.-.
La voce di Itachi mi raggiunse, facendomi alzare la testa di scatto, sorpresa.
- E perché dovresti farlo, uhm?- fece infastidito Deidara.
- Certo...- assicurai io titubante, ignorando le numerose proteste del biondino.
Mi condusse nella stanza che condivideva con lo squalo, che in quel momento sembrava essersi volatilizzato nel nulla. Meglio così: era vero che mi faceva paura quel coso!
Itachi si chiuse la porta alle spalle, per poi rivolgere lo sguardo su di me.
- Allora?- chiesi curiosa, incrociando le braccia dietro la schiena.
In effetti in quel momento stavo cominciando a farmela sotto; Chiusa in una stanza con lui, al quale bastava un dito per poterti rinchiudere nelle sue illusioni dove poteva torturarti per giorni senza che nessuno se ne accorgesse.
Deglutii, sperando con tutto il cuore di essere solo una persona molto, molto paranoica.
- Il capo vuole che ti riferisca un messaggio.- fece mentre io tiravo mentalmente un sospiro di sollievo.
Ero comunque pronta a distogliere lo sguardo se solo avessi visto l’ombra di uno scintillio rosso nei suoi occhi. Anche se, sinceramente, quello avrebbe potuto farmi fuori con o senza Sharingan.
- Alcuni giorni fa, durante il tuo scontro con Sakura Haruno, sei riuscita ad aprire un varco spazio-dimensionale...- iniziò.
- Eeeeeh?- esclamai sorpresa.
- Questo varco ha inghiottito la tua avversaria, trasportandola a Konoha. Fino a questo momento sei riuscita a creare dei varchi che conducano fino a quel villaggio, perciò, il capo, vorrebbe che tu riuscissi ad estendere i tuoi limiti.- concluse, ignorando l’espressione poco intelligente che probabilmente si era fatta strada sul mio volto.
- Ma io non ho fatto nulla...- mormorai, per poi sobbalzare, sorpresa.
Quando avevo incontrato Fuko, la vera Fuko, era stato in quel momento che ero riuscita ad evocare il mio potere? Era per questo che l’oca era sparita? Non me ne ero neanche resa conto, come facevo ad estendere i miei limiti?
- Scusa...ma queste cose non avrebbe potuto dirmele di persona pochi giorni fa?- domandai.
- In effetti si.- disse lui indurendo lo sguardo – Era solo un pretesto per poterti portare qui.-.
Mi strozzai con la mia stessa saliva. Cosa voleva dire “Un pretesto per portarti qui”? Cosa aveva intenzione di farmi?
- Non essere spaventata, non ti farò del male.- mi rassicurò lui vedendo la mia espressione smarrita – Devo solo parlarti di una cosa.-.
Annuii impercettibilmente, mentre la voglia di scappare si faceva sempre più insistente. Avevo paura che mi catturasse in una delle sue illusioni o, magari, di esserci già finita.
- Riguarda mio fratello, Sasuke.- annunciò, risvegliando la mia curiosità – Ti sarei grato se non gli rivelassi nulla.-.
- Ah!- esclamai io calmandomi – Bé...potrei anche farlo, però...- iniziai.
- Cosa?-.
- Bé, ecco, tecnicamente io sono qui per impedire che voi veniate ammazzati, quindi...- feci – Probabilmente arriverà un momento in cui dovrò parlargliene...-.
La sua espressione si fece più dura, facendomi rabbrividire.
Ecco, adesso attivava lo Sharingan e mi accoppava. Uccisa da un personaggio che non era neanche il mio preferito. Che ingiustizia! Avrei preferito saltare in aria con una bomba di Deidara!
- Ascoltami!- esclamai preoccupata – Le cose non andranno come vuoi tu! Sas’ke se ne sbatte altamente della pace! Poi, una volta che ti avrà ucciso e che avrà scoperto la verità deciderà di distruggere Konoha!- spiegai, per poi mordermi la lingua.
Dovevo chiamarlo Sasuke, non Sas’ke! Era veramente una brutta abitudine la mia...
- Capisco...- disse semplicemente lui, senza cambiare espressione.
Come faceva ad essere così freddo? Lo sapevo che ci era rimasto male, era palese! Non mi sarebbe dispiaciuto offrirgli una spalla su cui piangere anche se, probabilmente, non l’avrebbe mai fatto.
- Scusami...- mormorai imbarazzata dalla mia mancanza di tatto – E’ che ho sempre sognato di dirlo...- pensai a voce alta.
- Dire cosa?- chiese lui.
- Lasciamo perdere...- ridacchiai agitando una mano.

Deidara:
Per una volta L’Uchiha e lo squalo si erano rivelati utili.
Erano riusciti a reperire – solo Dio sa come- alcuni schedari su Fuko, o meglio, sulla vecchia se stessa.
Dopo che Itachi l’aveva portata via ignorandomi completamente avevo trovato Sasori nel salotto che parlottava a bassa voce con Kisame. E già questo, di per se, non è un buon segno. Infatti i due non si rivolgevano mai la parola se non per motivi strettamente necessari. Bé, infondo il rosso non rivolgeva quasi mai la parola a nessuno...
- Vieni qui, Deidara.- mi chiamò lui porgendomi dei fogli.
Li afferrai e, incuriosito dal fatto che sopra di esso c’era scritto a caratteri cubitali “Ambra Ricci”, presi a sfogliarli.
Mi bloccai alla prima pagina dove, in bella mostra, era attaccata una foto di quella che doveva essere Fuko prima di arrivare qui.
La prima cosa che notai fu il suo sorriso, dolce come quelli che era solita rivolgermi, che le increspava le labbra rosee. Aveva due grandi occhi color cioccolato, illuminati da una scintilla di divertimento. I capelli, castani e lisci, arrivavano a sfiorarle la vita.
Però, non fu quello che mi lasciò a bocca aperta: indossava un costume, e che costume!
Era a due pezzi, semplicemente nero, e fasciava alla perfezione il suo corpo, molto diverso da quello che aveva ora.
Sedeva tranquilla su della sabbia stringendo tra le mani, con fare possessivo, un piccolo libricino.
Era così...artistica...
- Se per favore ci fai la cortesia di non sbavare ed andare avanti con i fascicoli...- borbottò Sasori alzando gli occhi al cielo, facendomi rinvenire.
Che cosa stavo facendo?! Mi ero messo a fantasticare su quella mocciosetta? Com’era possibile che l’avessi definita “Artistica”?! Bé, avrebbero anche potuto cercare di metterci un’immagine che la ritraesse un po’ più “vestita”!
Cercando di mascherare lo smarrimento che quella foto mi aveva causato andai avanti.
Nella seconda pagina c’era scritta la sua data di nascita, la sua città natale ed altre inutili informazioni.
Continuai a sfogliare pigramente i fogli senza trovare nulla di particolarmente interessante.
Lo chiusi osservando incerto le espressioni degli altri due.
- Bé?- chiesi dopo alcuni attimi di silenzio.
- Attento che il tuo entusiasmo rischia di soffocarci...- fece ironico Kisame togliendomi i documenti dalle mani.
- Che fai?- domandai cercando di riprenderli.
Mi sarebbe piaciuto leggerli più attentamente in modo da avere qualche arma da utilizzare contro Fuko nel caso fosse diventata insopportabile.
- Sarebbe meglio che questi non finiscano tra le sue mani.- spiegò – Forse non gradirebbe scoprire che...-.
- Scoprire cosa?- la sua voce ingenua mi trafisse.
Mi voltai.
Era sulla soglia della porta, accanto all’Uchiha.
- Niente, niente, non ti preoccupare gioia.- rise Kisame nascondendo goffamente i fogli dietro la schiena.
“Gioia”?.
Rivolsi all’uomo blu uno sguardo sconcertato, come pure Sasori. Persino Fuko storse il naso sentendo quel nomignolo ed Itachi, solitamente impassibile ed inespressivo, assunse quasi un’aria dubbiosa –quasi-.
- Mi devo preoccupare?- chiese la ragazza guardandomi.
Scossi la testa.
- Va tutto bene.- le assicurai.
Perché volevano nasconderle quei fascicoli? C’era qualcosa d’importante scritto sopra di cui non mi ero accorto?

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Salve :)
Prima di cominciare con la storia volevo ringraziare le persone che mi seguono: sono arrivata a 60 recensioni *_* Non mi era mai capitato prima! Grazie mille a tutti!
Ora, questo capitolo probabilmente rovinerà tutto - grande ottimismo-. Mi dispiace, ma per quanto lo abbia riscritto varie volte è uscito così. Non mi convince per niente...
Spero di rifarmi col prossimo, non mi abbandonate!
Baci e buona lettura :)

Capitolo 15:
Deidara:
- Deidara posso dormire con te?-.
La sua domanda mi raggiunse, chiara e determinata, facendomi sobbalzare.
Mi voltai verso di lei, abbandonando per un momento la lavorazione della mia opera d’arte.
- Come scusa?- chiesi, credendo di aver capito male.
- Posso dormire con te, per favore?- ripeté nuovamente, facendomi sbiancare.
Ma che razza di domande erano?!
- Sei impazzita?- borbottai.
Di tutta risposta lei indicò il suo letto, o meglio, di ciò che ne restava da alcuni giorni.
Già, poteva anche essere che fossi stato io a farlo esplodere, ma non poteva pretendere di dormire con me solo per una ragione del genere!
- Non puoi continuare a dormire sul divano come hai fatto fino ad adesso?- dissi.
Lei scosse la testa.
- Non ci penso nemmeno con Kisame che gira per il covo di notte!- sbraitò rabbrividendo.
Bé, non la biasimavo.
Quella notte, quando si era svegliata un attimo, si era ritrovata davanti Kisame e le era venuto un accidente.
- Ti prego DeiDei!- piagnucolò lei – Solo finché lui e Itachi non se ne vanno!- propose congiungendo le mani in segno di preghiera.
Sbuffai ed annuì, mentre il suo volto si faceva raggiante.
- Grazie!- esclamò.

Fuko:
Dopo aver ottenuto quello che volevo mi diressi saltellando verso la stanza in cui Sasori stava rinchiuso praticamente tutto il giorno.
Bussai alla porta e lui uscì poco dopo, ma non nel modo in cui mi aspettavo.
Tristemente constatai che era tornato dentro Hiruko.
- Sei pronta?- mi chiese, la voce di nuovo rauca e cavernosa.
Io annuii, cercando di mostrarmi abbastanza entusiasta.
Si ricominciava con gli allenamenti, evviva...

Sasori mi condusse fuori dal covo, in una pianura dove la foresta si attenuava. Effettivamente era simile al primo campo dove mi ero allenata.
Non appena fummo arrivati, prima che potesse dire o fare qualcosa, esclamai:
- Voglio inventare una mia tecnica personale!-.
Lui mi fissò, dubbioso.
- Che tecnica?- chiese.
Io mi limitai a scrollare le spalle.
- Una figa.- risposi.

Deidara:
- Mi acquattai alla parete opposta alla loro e notai piacevolmente che Sasori e Fuko se ne stavano andando.
Aspettai che l’entrata del covo si richiudesse e corsi in soggiorno, con i documenti di “Ambra” tra le mani.
Li sfogliai, con più calma di quando l’avevo fatto il giorno precedente.
Non c’era veramente nulla di interessante lì dentro.
Diceva che era nata in Italia, che frequentava il liceo e bla...bla...bla...
Solo allora lo vidi.
“Potere: Suggestione”
Ecco perché non volevano che lo leggesse; Pain l’aveva ingannata.
Il potere della suggestione era molto raro tra le persone, se non unico.
Il possessore di questa abilità aveva la capacità di piegare qualsiasi cosa al suo volere. In pratica, poteva realizzare ogni suo desiderio con un po’ di allenamento.
Ne avevo sentito spesso parlare, ma non avevo mai incontrato nessuno che ce lo avesse.
Lei non ne era a conoscenza e quindi era facile ritorcerglielo contro.
Il capo aveva deciso di tenerglielo nascosto e l’aveva spinta ad auto-convincersi di avere il potere del vuoto, un’abilità molto importante, ma non pericolosa come l’altra.
Lei, così credendo, aveva finito per entrarne in possesso.
Che incredibile abilità! Se solo l’avesse saputo avrebbe potuto diventare il ninja più potente del mondo.
Ora capivo il motivo per cui Pain l’aveva voluta nell’Akatsuki. Con un membro del genere dalla sua parte tutto era possibile.

Fuko:
Il sole sembrava come scomparso dietro a dei fitti nuvoloni grigi, che non promettevano nulla di buono. Il cielo si era oscurato, mettendomi una tristezza tremenda. Odiavo quando di giorno il cielo diventava così buio...era angosciante!
- Cosa stai facendo?- mi richiamò un Sasori abbastanza spazientito.
Sto guardando il cielo con espressione attonita.
- Scusa ero distratta!- feci agitando una mano, per poi ritornare in posizione.
Mi misi davanti ad un albero, uno dei pochi della zona, e iniziai a comporre dei sigilli.
- Super Super Kawaii Impact!- dissi, mentre del fuoco mi circondava la mano.
Con forza lo premetti verso il tronco dell’albero, per poi aumentare la sua potenza utilizzando l’elemento del vento.
Ovviamente non ottenni altro che di raschiare leggermente l’arbusto.
- Uffa!- borbottai gonfiando le guancie.
- Che nome...ehm...originale...- fece Sasori.
Ignorando il suo commento tornai alla carica, concentrando più chakra.
- Super Super Kawaii Impact!- strillai portando via un po’ di corteccia.
Bè, già era qualcosa.
Sorrisi soddisfatta verso il mio Senpai, con uno sguardo più che eloquente.
Doveva assolutamente farmi almeno un complimento!
- Bé?- chiese lui – Il tuo obbiettivo iniziale non era quello di abbatterlo?- domandò ricordandomi di ciò che gli avevo detto poco prima.
Ridacchiai istericamente, mentre tentavo nuovamente di estirpare l’albero. Però, accidenti, era parecchio resistente!
Andammo avanti così fino a sera, quando finalmente riuscii a portargli via metà della corteccia e questo, non riuscendo più a reggersi, cadde al suolo alzando una fitta nube di polvere.
Saltellai verso Sasori, vittoriosa.
- Finiamola qui, per oggi.- disse semplicemente, lasciandomi spiazzata.
Non mi faceva neanche un complimento piccino picciò?
Probabilmente fu grazie alla mie espressione da cucciolo bastonato che gli rivolsi che mi concesse un:
- Almeno alla fine l’hai abbattuto.-.
Bé, probabilmente non potevo pretendere di ottenere altro da lui.

Quando ritornammo al covo notai Deidara che camminava avanti ed indietro per il corridoio.
Quando mi vide si comportò in modo molto strano: la sua espressione passò dallo stupito all’imbarazzato.
- Che succede?- chiesi avvicinandomi a lui, che mi osservò in modo indescrivibile.
Mi parve di sprofondare nell’ intenso sguardo azzurro che mi rivolse e mancò quasi che non mi si sciolsero le ginocchia.
- Che...cosa...c-c’è?- balbettai imbarazzata distogliendo lo sguardo, mentre probabilmente il mio viso si tingeva di rosso.
Lui mi osservò dubbioso, incrociando le braccia al petto.
Ok, non ce la facevo più. Se non la smetteva di fissarmi così rischiavo seriamente di impazzire. Già che me ne stavo andando in iperventilazione.
- Che hai, Deidara?- domandò Sasori che aveva assistito alla scena.
- Devo parlarti, Danna.- annunciò il bombarolo portandoselo dietro, per poi rinchiudersi con lui nella nostra camera.
Rimasi lì impalata, come un baccalà, ad osservare la porta.
Che crudeli che erano! Andarsene a parlare di chissà cosa per conto loro! Non si fidavano di me per caso?
Ferita dal loro comportamento mi spalmai sul divano mettendo su la peggior espressione imbronciata del mio repertorio quando si degnarono tornare.
- Non c’è alcun bisogno che ti offendi.- fece Deidara guardandomi, mentre io gli lanciavo un’occhiataccia.
Distolsi lo sguardo dal suo, sbuffando.
- Cattivi...- mugugnai a denti stretti.
- La bimba fa i capricci?-.
La voce di Kisame mi raggiunse, accentuando notevolmente l’odio che provavo verso di lui.
“Bimba”? “Bimba” a chi?!
Lo osservai torva.
Se solo avesse mollato quella dannata spada da qualche parte avrei potuto usarla per mozzargli la testa. E poi gli avrei fregato pure l’anello!
Sogghignai.
Morivo dalla voglia di farlo, ma, probabilmente, viste le mie discutibili capacità ninja la testa me la sarei decapitata per conto mio.
- Prima era solo un sospetto, ma adesso non ho più dubbi.- iniziai tagliente– Il tuo cervello è veramente sottosviluppato come quello di un pesce.-.
Probabilmente se non fosse stato per il tempismo di Itachi nel richiamare Kisame la mia testa sarebbe rotolata per il pavimento della cucina, insieme alle altri parti del corpo che lo squalo si sarebbe divertito a tagliuzzare.
- Non ti ho mai sentito rispondere male a qualcuno.- osservò Deidara una volta che le acque si furono calmate.
- Già...- sospirai io – A quanto pare mi sto rammollendo.-.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Prima di lasciavi alla lettura vorrei dirvi che questo:
http://www.youtube.com/watch?v=jnHVUF-Pd3A è il video a cui si riferisce Fuko durante il capitolo.
Bé, non ho altro da aggiungere.
Spero che questo capitolo vi piaccia :)

Capitolo 16:
Dopo aver rischiato di lasciarci le penne nel rispondere male a Kisame decisi di scomparire dalla vista di quell’omuncolo blu per almeno qualche ora.
Non che avessi paura, figuriamoci! Cosa mai avrebbe potuto farmi quel puffo assatanato? A parte farmi a pezzettini e darmi in pasto ai suoi squali s’intende.
Bé, ok, forse questo bastava per terrorizzarmi a morte, ma ciò non avrebbe impedito al mio ego masochista di rispondergli male. Già, iniziavo a sospettare di esserlo.
Nonostante rischiavo più o meno ogni giorno l’osso del collo da quando ero arrivata in quel mondo continuavo ad adorare il fatto di essere lì. Se questo non è masochismo...
Fatto sta che decisi di andarmi a fare un bagno, possibilmente lungo e rilassante.
Fregai una maglietta del bombarolo e mi rinchiusi nella stanzetta, sola con i miei pensieri.
- Dan, jo, dan, dan, jo, dan, jo! Dan, jo, dan, dan, jo, dan, jo! Dan, jo, dan, dan, jo, jo, dan, jo, dan, jo, Jo, dan, jo, dan, jo, dan, dan, jo! – iniziai a canticchiare, neanche troppo a bassa voce.
Era una canzoncina stupida che una volta avevo visto in un video dell’Akatsuki. Inutile dire che me n’ero subito innamorata e non avevo fatto altro che cantarla per tre mesi di fila, per la gioia immensa delle mie amiche.
- Otoko, on’na, otoko, otoko, on’na, otoko, on’na da! Otoko, on’na, otoko, on’na, otoko, otoko, on’na desune?- continuai, mentre mi infilavo nell’acqua bollente della vasca.
Speravo con tutto il cuore che le altre persone che si aggiravano per quel covo non badassero alle mie continue stonature agghiaccianti.
Quando mi fui completamente lavata e rilavata decisi che era il caso di uscire di lì, se non volevo decompormi o rischiare di morire affogata.
Stavo uscendo dall’acqua quando la porta di spalancò, facendomi sobbalzare.
Oh, merda...
Sulla soglia comparve Sasori che, all’inizio, non si accorse nemmeno della mia presenza.
Quando mi notò la sua espressione passò dal disinteressato ad un misto di scioccato/sorpreso.
Arrossii fino alla punta dei capelli.
Ma almeno poteva degnarsi di fare retro front ed andarsene dal bagno! Mi bastava anche che distogliesse lo sguardo! Però non poteva rimanere lì a fissarmi come un baccalà!
Accecata dall’ira afferrai il primo oggetto che mi capitò tra le mani –in questo caso una bacinella- e glie lo sferrai dritto in mezzo agli occhi.
- Brutto pervertito!- sbraitai.
Non so come, forse grazie all’istinto omicida che mi aveva pervasa in quel momento o forse a Jashin-sama, lo beccai in pieno, un attimo dopo che, risvegliandosi dallo stato di trance in cui era caduto, aveva mormorato uno:
–Scusa.-.
Una volta ricevuta la batosta decise bene di uscire dalla stanza.
Che vergogna...

Deidara:
Me ne stavo tranquillo a perfezionare una delle mie creazioni quando i toni soavi di Fuko attraversarono tutto il covo, facendo tremare persino le pareti.
- Brutto pervertito!-.
Ok, forse avevo sentito male.
“Pervertito” a chi?
Curioso mi affacciai dalla porta della camera che condividevo con la ragazzina.
Davanti al bagno, con una bacinella stampata in fronte, Sasori giaceva immobile.
Persino quando quell’affare si staccò, cadendo sul pavimento, restò lì, fermo come una statua.
- Danna?- chiamai.
Niente, sembrava essersi imbambolato.
Mi avvicinai a lui e gli agitai una mano davanti agli occhi.
- Fuko...nuda...vasca...-.
Questo fu tutto quello che riuscii a capire, prima che la porta si spalancasse di botto.
Sulla soglia, con un’espressione decisamente infuriata e le guancie più rosse dei capelli di Sasori, c’era Fuko.
- Tu...maniaco...- borbottò in direzione della marionetta.
Che mi fossi perso qualcosa?
Questo si allontanò di qualche passo, riprendendo la sua espressione di sempre.
- Non ti preoccupare, sono abituato a vedere donne nude quando creo le mie marionette.- spiegò.
Non credevo che...
- E questo dovrebbe rassicurarmi?!- urlò lei, spaccandomi un timpano.
Ecco, appunto.
- DeiDei!- mi chiamò allora – Fallo esplodere! Ti prego, fallo per me!- mi supplicò, lanciando al rosso un’occhiata di fuoco.
- Non ti sembra di esagerare?- domando quest’ultimo.
- Proprio per niente!- fece lei – Almeno potevi girarti da un’altra parte invece di continuarmi a guardare come un maiale in calore!-.
Fermi un attimo. Quella era veramente Fuko? Quel esserino dolce e gentile che non faceva altro che abbracciare le persone? Sembrava un altra persona...
- Già Danna, non si fanno queste cose, uhm.- risi io, ricevendo un’occhiataccia coi fiocchi dall’interpellato.
- La situazione è già abbastanza precaria senza che ti ci metti con le tue battutine.- mi fece presente – Cosa devo fare per farmi perdonare?- chiese.
Lo osservai, sbalordito. Sasori che implorava perdono?
Fuko sembrò soppesare la risposta, critica.
- Prostrati ai miei piedi, baciami le scarpe e forse posso decidere di chiudere un occ-...no, anzi!- si corresse per conto proprio, per poi proseguire con un ghigno che non prometteva nulla di buono – Ammetti che l’arte di Deidara sia superiore alla tua!-.
Sogghignai. E adesso cosa farai, Danna?
- Non lo farò mai.- rispose allora lui, piccato.
Era ovvio che non l’avrebbe fatto.
Fuko, gonfiò le guancie, in una perfetta imitazione della mocciosa che era in lei.
- Allora dimmi che mi vuoi bene.- disse sorniona, cogliendolo di sorpresa.
Era ovvio che non avrebbe fatto neanche questo...
- Ok, ok. Ti voglio bene...- mormorò, quasi impercettibilmente, dopo alcuni istanti di silenzio.
Sapevo che non avrebbe...cosa?!
- Anch’io te ne voglio ‘Ri-senpai!- esclamò felice Fuko.

Fuko:
Fu più tardi che l’imbarazzo tornò a farsi strada in me: quel giorno avrei dormito con Deidara!
Per quanto cercassi di dimostrarmi il più disinteressata possibile anche a me faceva effetto questa cosa, insomma, non avevo mai dormito con un ragazzo prima!
Se solo ci pensavo sentivo mancarmi la terra da sotto i piedi. Per l’amore di Jashin!
L’unico pensiero che mi portava avanti era che non avrei sopportato un’altra notte con il terrore di ritrovarmi Kisame accanto.
Ero seduta in un angolino del soggiorno, quando sentii Sasori parlare con il bombarolo: dovevo ammettere che ultimamente stava diventata abbastanza attivo, a volte andava addirittura in giro per il covo!
- Che cos’è questa storia che dormirete insieme, Deidara?- chiese il rosso.
- Me l’ha chiesto lei, sai, per la storia di Kisame...- rispose semplicemente l’altro.
- E tu le hai detto di si? Insomma, non potevi andarci tu a dormire sul divano?-.
- No è il mio letto, ci mancherebbe!- borbottò.
Certo che era veramente generoso..
- Senti Deidara, senza tanti giri di parole, se provi a toccarla ti faccio fuori.- spiegò pacato il rosso.
Sentii il biondo sbuffare sonoramente.
- A volte penso che tu ti stia innamorando di lei, uhm.- rise, facendomi sobbalzare.
Sasori innamorato di me? Ma fammi il favore! E’ più probabile che Kakuzu faccia mangiare di sua spontanea volontà i suoi preziosi soldi a Zetsu, ed è tutto dire...
Il rumore di un tonfo mi riscosse dai miei pensieri.
- Adesso te la sorbisci tu l’ira di Kakuzu, Danna. Sai quanto costerà chiudere quel buco?!- esclamò Deidara.
Sogghignai, divertita.
Probabilmente Sasori aveva distrutto qualcosa: strano, solitamente cercava di trattenersi dall’uccidere il bombarolo.
Andai in cucina, per verificare i danni.
Su una delle pareti, a poca distanza da dove si trovava in quel momento Deidara, c’era un cratere immenso dal quale continuavano a cadere dei pezzi di intonaco.
- Cosa è successo?- domandai facendo finta di niente.
- Sasori in preda ad una crisi di gel...- cominciò, ma si fermò per schivare un coltello che Sasori gli aveva lanciato amorevolmente, per poi andarsene a rinchiudersi nella stanza delle marionette –iniziavo a pensare che lì dentro progettasse un piano per farci fuori tutti nel modo più doloroso possibile-.
- Dovresti smetterla di farlo arrabbiare.- lo rimproverai, mentre andavo a fregargli uno dei biscotti che stava sgranocchiando –l’unico alimento che mi tirava avanti da diverso tempo-.
- E tu dovresti smetterla di mangiare le mie cose.- mi rimbeccò lui infastidito.
Lo liquidai agitando una mano.
- Chi ha fatto quel buco sul muro?-.
Kisame aveva fatto la sua comparsa, un ghigno stampato in volto e la spada appoggiata su una spalla: non riuscivo a capire il motivo per cui non la lasciasse nella sua camera...se la portava sempre dietro!
- Deidara ha fatto arrabbiare Sasori.- spiegai, mentre il biondo sbuffava infastidito.
- Non l’ho fatto arrabbiare è lui che se la prende facilmente.- fece irritato.
- Kakuzu vi ucciderà!- rise Kisame contento, facendomi rabbrividire.
Non c’era che dire: come nostro compagno dell’Akatsuki era veramente solidale!
Ignorai il suo commento e mi diressi verso Deidara:
- Vado a nanna, ‘notte DeiDei!- lo salutai per poi ritirarmi nella camera.
Ovviamente sarebbe stato troppo imbarazzante dire una frase del tipo:
- Caro, non pensi che sia l’ora di andare a dormire?-.
- Hai ragione tesoro, dammi un attimo e arrivo.-.
No, decisamente no. Non eravamo una coppia di sposini.
M’infilai sotto le coperte e venni investita in pieno dal dolce profumo del bombarolo: lo adoravo! Non avevo mai sentito un odore più buono di quello e, probabilmente, lui si era accorto che doveva piacermi visto che passavo almeno due ore al giorno annusandolo –quando non si ha niente da fare bisogna pur sempre trovare i propri svaghi-.
Chiusi gli occhi, viaggiando nei ricordi di quegli ultimi giorni.
Era vero che mi mancavano la mia famiglia e i miei amici, ma stare in quel mondo...era una vera figata!

Deidara:
Decisi di andare a dormire molto più tardi, insomma, era pur sempre una ragazza, era imbarazzante!
Non che un artista affascinante come me non fosse abituato a dormire con delle donne, anzi, ma con lei era diverso!
Non era una di quelle che mi portavo al letto senza nemmeno conoscerne il nome, no, lei era Fuko e non era un giocattolino!
Ok, dopo questo potevo affermare chiaramente che mi stavo rimbambendo.
Mi passai una mano tra i capelli, esasperato: quella mocciosa avrebbe finito per farmi impazzire! Ma chi si credeva di essere?! Arrivava qui e sconvolgeva le nostre vite!
Entrai piano nella stanza, cercando di non svegliarla.
Sbuffai.
Era rannicchiata come un neonato in una metà del letto, gli occhi chiusi ed il respiro regolare.
- Lo so che non stai dormendo.- esordii facendola sobbalzare.
Non era affatto una brava attrice.
Mi sorrise stancamente, per poi tornare alla posizione di poco prima.
- Come hai fatto ad accorgertene?- sussurrò piano.
- Se ne sarebbe accorto chiunque, uhm...- affermai io, togliendomi il coprifronte e slegandomi i capelli – Adesso ti sniffi pure le mie coperte?- domandai ironico, vedendo il suo viso premuto contro il lenzuolo.
Arrossì leggermente, per poi farmi la linguaccia.
- Lo sai che mi piace il tuo profumo!- esclamò indignata.
Sbuffai, sdraiandomi accanto a lei.
Nonostante cercasse a tutti i costi di dimostrarsi smaliziata non le riusciva affatto bene: si vedeva lontano un miglio che anche lei era a disagio per quella situazione.
Ben gli stava: infondo era stata lei l’artefice di tutto!
- Ma non hai caldo?- le chiesi.
In effetti la temperatura al covo era parecchio elevata, ma lei continuava a dormire sotto le coperte.
- Si!- disse lei.
- E allora perché dormi così?-.
- Perché senza coperte mi sento...scoperta!- spiegò impacciata, facendomi inarcare un sopracciglio.
Era inutile: non sarei mai riuscita a capirla!

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17:
Fu il risveglio più bello di tutta la mia vita.
Quando aprii gli occhi sentii di essere appoggiata su qualcosa di duro, non sul comodo materasso nel quale mi ero addormentata la sera precedente.
Ripresi pian piano possesso del mio corpo e fui pervasa da una miriade di sensazioni: la prima era il calore. Era come se questo lambisse ogni singola parte di me, come quando si entra in una vasca piena di acqua bollente. Però non faceva male, era qualcosa di piacevole.
Solo dopo diversi minuti notai di essermi praticamente sdraiata sopra Deidara, che mi stringeva delicatamente la vita con una mano.
Questo mi mandò in estasi totale: ero tra le sue braccia!
Riuscivo a percepire ogni suo singolo respiro accarezzarmi il viso e il movimento regolare del suo torace che mi cullava dolcemente.
Chiusi gli occhi, assaporando quel momento: e quando mi ricapitava più una situazione del genere!
Mi strinsi di più a lui, trattenendomi allo stento dallo sbavare: ci mancava solo che lo innaffiasi; Dopo col cavolo che decideva di dormire con me un’altra volta!
Purtroppo quel momento idilliaco durò ben poco dato che anche il biondino decise di tornare sul pianeta Terra – o come veniva chiamato quel mondo-.
Io, dimostrando per l’ennesima volta tutta la mia intelligenza, invece di staccarmi da lui feci finta di dormire. Eppure la sera prima mi aveva chiaramente detto che non ero brava a fingere di farlo!
Ci mise un po’ ad accorgersi che c’era qualcosa che non andava, ma poi, vedendomi stravaccata sopra il suo corpo lo sentì irrigidirsi.
Pensavo che mi avrebbe scostata dolcemente, cercando di non svegliarmi, ma purtroppo lui non era il principe azzurro e i suoi modi non erano...diciamo...dei più delicati.
Infatti mi prese per una spalla, cominciando a scrollarmi violentemente.
- Ehy mocciosetta dico a te! Sveglia! Non sono mica un cuscino, uhm!- mi urlò nell’orecchio.
Dopo cinque minuti buoni di shakeramento, ormai al culmine della sopportazione, mi scostai da lui.
- Potevi anche essere un po’ meno drastico...- borbottai massaggiandomi la spalla.
Lui mi fissò irritato.
- Perché eri sopra di me?- fece.
- E-e che ne so io!? Secondo te sono consapevole di quello che mi accade mentre dormo?!- sbraitai alzandomi dal letto ed uscendo dalla stanza.
Nonostante tutto, però, non mi era dispiaciuto affatto svegliarmi in quel modo.

Gli allenamenti procedevano a gonfie vele, o almeno così mi sembrava.
La mia tecnica super personale aveva fatto passi da gigante e, con mia grande soddisfazione, ero quasi riuscita ad abbattere un albero con un colpo solo –quasi-.
Avevo migliorato il mio Kage Bunshin no Jutsu ed ero arrivata addirittura a creare fino a cinque copie sane –un grande record per una come me!-.
Purtroppo il mio senpai aveva altri programmi.
- Vediamo come te la cavi con il combattimento ravvicinato.- disse un giorno, uscendo dalla sua marionetta.
Prego?
Mi si parò davanti.
- C-cosa intendi dire?- balbettai io preoccupata.
- Semplice, combattiamo.- rispose scrollando le spalle.
Ovvero, lui combatteva e io le prendevo, ma le prendevo di brutto.
Deglutii spaventata.
- Non ti ucciderò.- cercò di consolarmi lui, mentre prendevo a sudare freddo.
Nel mio ultimo scontro, quello con Sakura, non mi sembrava di essermela cavata tanto bene, anzi, dovevo ringraziare ogni santo del mondo –magari anche il grande Jashin-sama- per essere ancora in vita.
- Noooo...- piagnucolai disperata ricordandomi di tutte le batoste che mi ero presa quel giorno.
Purtroppo Sasori, ormai noto per la sua impazienza, convenne di aver già aspettato fin troppo e si scagliò contro di me.
Se non fosse stato per lui probabilmente mi avrebbe centrato in pieno con un pugno.
Tirai un sospiro di sollievo: si era fermato a pochi centimetri da me, ma almeno si era fermato.
- La prossima volta non sarò così buono...- fece, con un tono che mi congelò il sangue nelle vene.
Era la volta buona che decideva di avvelenarmi.
Con un salto mi allontanai dal rosso di qualche metro, distanza che lui pensò subito di annullare.
Mi venne vicino e, dopo aver caricato un pugno, si lanciò verso di me.
Lo parai goffamente con il gomito per poi passare al contrattacco.
Però non volevo colpirlo! Con tutta la fatica che avevo fatto per evitare che lo accoppassero non potevo mica mettermi a trucidarlo con le mie mani –non che ne fossi in grado-!
Perciò dirottai il mio pugno poco prima che potesse centrarlo dato che lui, con mia grande sorpresa, non si era mosso.
- Perché ti sei fermata?- mi domandò curioso.
- Non voglio farti male!- borbottai io.
- Non posso provare dolore, credevo che lo sapessi.- fece.
Certo, potevi sempre sbriciolarti ed andare in mille pezzi.
- Lo so, ma non voglio farlo lo stesso!- ribattei io sicura.
- Peccato...- disse semplicemente lui afferrandomi la mano e, con una spinta, mi fece cadere a terra.
Questo non era affatto leale! Cattivo! Io gli dicevo che non volevo fargli male e lui mi sbatteva al suolo come una triglia – non che le triglie si sbattessero al suolo-?
- Così è scorretto però...- borbottai alzandomi, ma lui era terribilmente veloce – o forse ero io ad essere tremendamente lenta-.
Per un soffio scansai un suo calcio e schivai goffamente un kunai – diciamo che mi eseguii una tripla rotazione aerea su me stessa che si concluse con me e il mio sedere a terra-.
Non sembrava importargliene molto di farmi male.
Continuai a schivare i suoi attacchi, senza sapere cosa fare. Insomma, io non volevo colpirlo, ma lui non sembrava condividere le mie stesse idee!
Cosa dovevo fare? Stare ferma a prenderle? No, mi ero stancata di farlo.
Era il momento di vendicarsi per l’episodio del bagno – no, non me ne ero scordata-.
Alla fine di tutti questi ragionamenti convenni che era inutile starmene lì impalata come un baccalà e decisi di utilizzare “Quella”.
Dopo aver composto i sigilli mi comparse tra le mani ed io iniziai a scagliarla contro di lui: ovvio che non riuscivo a prenderlo neanche di striscio.
Più cercavo di colpirlo e più mi auguravo con tutta me stessa di non riuscirci. Lo so, sono abbastanza complicata.
- Non ci stai mettendo abbastanza impegno.- mi fece presente Sasori dopo aver fermato la falce con una mano.
No guarda, non me n’ero proprio accorta.
Sbuffai, mentre, con una leggera pressione trasformai la mia arma in catene e cercai di catturarlo –magari la fortuna mi avrebbe assistito come con Sakura-.
Purtroppo ciò non avvenne e lui si liberò anche troppo facilmente dalla mia presa, spingendomi a terra per l’ennesima volta.
Stava diventando abbastanza fastidioso a dire il vero.
Afferrai la falce con la mano sinistra e iniziai a concentrare il chakra sulla destra.
- Super Super Kawaii Impact!- dissi e una sfera di fuoco si scagliò contro di lui, ma, ovviamente, la evitò.
Non che ne fossi particolarmente sorpresa: infondo Sasori era un ninja di altissimo livello ed io... bè, non ero neanche un ninja.
Poteva anche cercare di collaborare e starsene fermo, però!
Il combattimento continuò tra me che cercavo di non farmi ammazzare e lui che non ci metteva la minima fatica.
Mondo ingiusto!
Tentai più volte di utilizzare la mia tecnica, ma risultò completamente inutile.
- Taiju. Kage Bunshin no Jutsu.- feci, e le mie adorate copie si materializzarono accanto a me.
- BANZAI!- urlarono tutte in coro.
Tale madre, tale figlie. Infatti inciamparono tutte nello stesso sasso e caddero a mo’ di domino, scomparendo in una nuvoletta di fumo, sotto lo sguardo basito del mio insegnante.
Ok, non sapevo più cosa fare: le uniche due tecniche in cui riuscivo si erano rivelate completamente inutili.
Potevo sempre provare ad utilizzare le altre, quelle di cui, bene o male, riuscivo a ricordarmi i sigilli.
Però non credevo di riuscire a fare molto, visto che non le avevo mai provate prima.
Scrollai le spalle: tanto valeva tentare, peggio di così non sarebbe potuto andare.
Iniziai a comporre i sigilli della prima tecnica, quella che mi ricordavo meglio.
- Katon: Haisekishō ( Elemento fuoco: ceneri brucianti)!- dissi, prendendo un grande respiro.
Immediatamente sentii i miei polmoni farsi carichi di qualcosa di molto pesante, troppo a dire il vero.
Soffiai con tutto il fiato che avevo in corpo e, quando lo esaurii schioccai i denti.
La nube che si era formata non era molto grande, ma, quando scoppiò, fece lo stesso la sua porca figura.
Purtroppo io ero troppo impegnata per stare ad ammirarla.
- C-che...che roba è? Ma è pesantissima! Oddio mi viene da vomitare...- dissi fra un colpo di tosse e l’altro.
Sentivo i polmoni pieni di cenere e non era una sensazione piacevole: mi nauseava...
Solo quando mi fui ripresa notai che Sasori stava decisamente dalla parte opposta alla quale avevo scagliato la nuvoletta – era troppo pretendere che riuscissi a fare sia la tecnica che ad utilizzarla sul mio avversario-.
Dato che anche questa non aveva funzionato passai alla successiva.
- Katon: Gōkakyū no Jutsu (Elemento fuoco: tecnica della palla di fuoco suprema)!-.
Purtroppo non andò come avevo sperato in quanto le sue dimensioni raggiunsero a stento quelle di una nocciolina.
Sbuffai infastidita.
Bene, avevo finito le tecniche che conoscevo –lo so, lo so: non erano mica tante!-.
Ce n’era un’altra a dire il vero, ma farla sarebbe stato inutile.
Però morivo dalla voglia di provarci.
Dovevo assolutamente farlo!
- Katon: Zukokku ( Elemento fuoco: sofferenza istantanea)!- dissi con fin troppa enfasi, ma ovviamente non successe nulla.
Probabilmente perché non avevo composto i sigilli... dato che non avevo la minima idea di quali fossero.
Sasori mi rivolse uno sguardo interrogativo a cui risposi con un sorriso a trentadue denti.
- Ho sempre desiderato farlo!- spiegai impacciata.
- Finiamola qui.- concesse allora lui, esasperato, passandosi una mano tra i capelli e cercando di ignorare la mia espressione inebetita davanti a tale spettacolo. Un bellissimo spettacolo a dire il vero.
Ad ogni modo mi sentivo sollevata: quelle tecniche avevano impiegato molto più chakra di quanto ne usassi solitamente e non mi sentivo affatto bene.
Quando tornammo finalmente al covo me ne andai diretta a letto. Non perché avessi già sonno, ma perché era giunto il momento di cominciare la seconda parte dell’allenamento.
Probabilmente sarebbe tutto risultato completamente inutile, infondo, che ne sapevo di come fare ad evocare il potere del vuoto ed a estendere il mio raggio d’azione? Insomma, l’unica volta che l’avevo fatto mi era riuscito per caso!
Bé, almeno avrei potuto dire a Pain che ci stavo lavorando.
- Che stai facendo ragazzina, uhm?- fece Deidara, seduto dall’altra parte della stanza – ma non usciva mai di lì?-.
- Mi sto concentrando...- risposi a denti stretti, mentre sentivo la testa esplodermi.
Era veramente troppo per lei, che era abituata a rimanersene inattiva per la maggior parte del tempo.
Non l’avevo mai utilizzata così tanto come da quando ero arrivata in quel mondo.
Era una bella sensazione sentire i miei neuroni socializzare tra loro, sembravo quasi intelligente.
Che poi non riuscissero a capirsi era un’altra storia, mica si poteva pretendere tutto nella vita...
Ok, mi stavo distraendo.
Riportai la concentrazione al massimo –il mio massimo-, ma non succedeva niente di strano.
Ero una semplice ragazza che se ne stava in posizione da yoga sul letto con un’espressione completamente corrucciata.
Dov’era il potere del vuoto? Mistero...
Per un attimo sospettai che Pain avesse sbagliato persona: insomma, magari era venuto per prendere la mia vicina di casa e aveva sbagliato porta.
Rabbrividii al pensiero di ciò che avrebbe potuto farmi una volta che se ne fosse reso conto...
C’era da dire che, con o senza quel potere, ero comunque riuscita a salvare Sasori.
Mi schiaffeggiai per conto mio, sotto lo sguardo basito del bombarolo.
- Ahia...- protestai toccandomi la guancia lesa.
Dovevo imparare a dosare meglio la forza.
- Bene, questa è la volta buona. Mi devo concentrare!- feci, ma i miei pensieri se ne andavano sempre altrove.
Arrivai anche ad immaginarmi quanto potesse prendere fuoco bene Konan, la donna di carta. Mi sarebbe tanto piaciuto vedere la sua reazione davanti ad un accendino...
E poi c’era un dubbio che mi assillava da diverso tempo: era o non era la fidanzata di Pain?
- Mmmm...- mugugnai incrociando le braccia al petto.
Ce li vedevo davvero bene...
- Perché ti stai lamentando, Fu?- chiese Deidara irritato.
- Pain e Konan stanno insieme?- domandai a bruciapelo.
- Cosa vuoi che ne sappia?- sbuffò – Perché ti interessa? Non mi dire che stai cominciando a fantasticare pure sul capo?- mi punzecchiò con un sorriso.
- Bé, è bello anche lui, ma non è il mio tipo.- lo liquidai con un gesto della mano.
- E come sarebbe il tuo tipo?- fece, abbandonando completamente la lavorazione della sua opera.
Ci pensai un po’ su, cercando di capire cosa mi attirasse di un ragazzo.
- A me basta che sia bello.- risposi scrollando le spalle, per poi maledirmi mentalmente. Accidenti, mi ero fregata per conto mio!
- Allora anche Pain potrebbe essere il tuo tipo ideale?- sorrise lui.
- Considerando che, a parte Kisame e Konan, io trovo bello ogni singolo membro dell’Akatsuki la cosa è un po’ generica...- dissi.
- Anche Kakuzu?- fece disgustato.
Io sorrisi felice.
- Senza il burka è veramente figo.- spiegai solenne, guadagnandomi un’occhiataccia.
Sbaglio o poco prima avevo detto che mi sarei dovuta concentrare?

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18:
C’era un sole che spaccava le pietre.
Il vento, che avrebbe dovuto portare un po’ di sollievo a noi poveri passanti, era anch’esso afoso e rendeva l’aria irrespirabile.
Nonostante tutto il villaggio era abbastanza affollato: c’erano dei bambini che correvano ridendo, degli anziani che si erano radunati in cerchio per confabulare su chissà che cosa e gente che si affrettava per svolgere le ultime compere mattutine.

Il giorno prima...
Ero in camera e stavo sfogliando distrattamente un libro di cui ancora ignoro l’argomento –in quanto scritto in giapponese-.
Non prestai attenzione a Deidara che, a torso nudo entrava nella stanza e prendeva a frugare nell’armadio. Ormai mi ci ero abituata, più o meno. Diciamo che mi limitavo a implodere mentalmente in urletti striduli e quant’altro.
La cosa strana, però, era che, dopo aver passato una mezz’oretta buona all’interno di quel mobile in legno mi si parò davanti, l’espressione veramente irritata.
- Spogliati!- mi ordinò, facendomi sbiancare.
- E-ehm, ma cosa dici DeiDei?- balbettai imbarazzata – Insomma, non mi aspettavo una richiesta così improvvisa! Almeno prima portami a cena fuori!- tentai, mentre lui prendeva a tirarmi la maglia, unico indumento che indossavo in quel momento.
- Nooo!- feci cercando di fermarlo – Che cosa stai facendo DeiDei?!-.
Il caso volle che in quel momento un ignaro Sasori passò davanti alla soglia della porta, vedendo questa scena.
C’era Deidara, in boxer, che cercava di strapparmi via la maglia, mentre io mi dimenavo sotto di lui.
- Deidara...- cominciò adirato, facendoci sobbalzare.
Avevo un brutto, bruttissimo presentimento.
Questa volta il bombarolo sarebbe finito male.
- Non è come sembra, Danna!- protestò il biondo – La signorina qui presente mi ha fregato tutti i vestiti!- fece indicandomi.
Lo osservai dubbiosa, per poi guardare verso l’armadio.
Eh già, era bello vuoto...
Eppure non me ne ero accorta...
- Non ho più nulla da mettermi!- continuò Deidara – Quindi togliti subito quella maglia!-.
- Non puoi fare queste richieste ad una ragazza!- borbottai incrociando le braccia al petto.
- Come se avessi qualcosa da nascondere, uhm...- commentò a bassa voce lui, ma io lo sentii benissimo.
- Cosa hai detto?- sbraitai mettendomi in piedi e tirandogli violentemente in faccia la prima cosa che mi era capitata in mano –il libro-.
Questo però lo mancò e, se non fosse stato per il rapido riflesso di Sasori, che si era scansato, avrebbe colpito il rosso.
- Stai cercando di uccidermi?- chiese dubbioso.
- Comunque...- disse Deidara interrompendo la discussione – Mi sono veramente stancato! Domani andremmo a comprarti qualche vestito!-.

E fu così che in quel momento ci trovavamo a zonzo per il primo villaggio che ci era capitato a tiro, sotto il caldo afoso dell’estate.
Io indossavo un semplice mantello nero, con il cappuccio, che mi copriva dalla testa ai piedi. Ma l’aveva prestato Sasori, in un’instante di magnanimità, e, non potendo andare in giro per il villaggio con addosso solo una maglietta sformata del bombarolo, avevo accettato.
In quel momento, però, andare in giro nuda sarebbe stato veramente più piacevole.
Deidara, invece, indossava un maglia nera, senza maniche, sopra una a rete e dei pantaloni del medesimo colore.
Nonostante fosse il più svestito tra noi anche lui si lamentava per la temperatura di quel villaggio.
Il rosso, infine, portava anch’esso un mantello nero.
Lui era l’unico del gruppo che poteva allegramente affermare di stare bene vestito in quel modo.
Che invidia...avrei dovuto chiedergli di trasformarmi in una mezza marionetta...No, forse era meglio di no. Probabilmente Fuko avrebbe gradito, una volta ritornata nel suo corpo, di ritrovare tutti i suoi organi interni lì dove li aveva lasciati.
Il motivo per cui non indossavamo la cappa dell’Akatsuki era perché avevamo convenuto che, se fossimo andati in giro così, avremmo rischiato di essere fermati da qualche ninja di passaggio e la giornata shopping saltava.
Cosa che Deidara non avrebbe permesso...
- Ti ripeto che rubarli sarebbe molto più semplice...- ripeté per l’ennesima volta quest’ultimo, sventolandosi pigramente con una mano.
- E io ti ripeto che allora tanto valeva venire in qualità di membri dell’Akatsuki. Cosa siamo venuti a fare vestiti così in questo posto se ci mettiamo a rubare a destra e a manca?- borbottai io, rischiando l’evaporazione.
Anche solamente parlando prendevo a sudare.
- Kakuzu non ne sarà contento, uhm...- fece allora Deidara.
- Kakuzu non è mai contento quanto spendiamo i suoi soldi.- gli fece notare allora Sasori con il suo primo intervento della giornata.
- Se non voleva che li spendessimo non ce li avrebbe dati.- esclamai io, contenta che il rosso mi appoggiasse.
- Infatti non voleva darceli, è stato un ordine di Pain.-.
Seguirono degli attimi di silenzio, scanditi solo dal rumore dei nostri passi sul terreno.
Certo che era noioso andare a fare shopping con quei due.
Con le mie amiche non facevo altro che saltare allegramente da un negozio all’altro, discutendo di argomenti improbabili e senza senso.
Con loro fare questo sarebbe stato pressoché impossibile: uno perché Sasori, con l’entusiasmo che si ritrovava, non avrebbe fatto altro che deprimerci e due perché Deidara continuava a sottolineare quanto poco artistico fosse il design di quel luogo.
Cosa che ormai ripeteva dal momento stesso in cui vi avevamo messo piede.
Il primo negozio nel quale entrammo era minuscolo, quadrato e stracolmo di vestiti.
- Sbrigati.- mi disse semplicemente il bombarolo, dandomi una leggera spinta – Non ho intenzione di passare il pomeriggio richiuso in questo buco.-.
E poi era Sasori quello impaziente...
Velocemente presi un paio di vestiti e me li andai a provare dietro una piccola tenda che avrebbe dovuto –teoricamente- fungere da camerino.
Quando uscimmo da quel posto avevo gli occhi che sberluccicavano.
- Sono entrata nella taglia più piccola che avevano...- esclamai gongolando.
Non mi era mai capitato prima!
- Perché dobbiamo portarle noi le tue cose?- fece infastidito il biondino.
- Perché siete voi gli uomini fino a prova contraria. Fa come Sasori, almeno lui sta zitto.- risposi indicando il rosso, che non aveva neanche fiatato quando gli avevo consegnato le buste in cui erano contenuti i miei vestiti.
Dopo essere passati in altri negozi arrivò la sera.
Le luci per il villaggio si accesero, dandogli un aspetto veramente incantato.
Visto e considerato che, a parte Sasori, eravamo tutti stanchi, convenimmo che era il caso di trovare un posto dove dormire, prima di ritornare al covo.
Trovammo un piccolo albergo –si chiamavano così lì?- dove poter chiedere asilo.
Dopo aver pagato le stanze –come ci si aspetta da dei criminali corretti come noi- ordinammo anche la cena.
Fu allora che l’incantesimo che aveva reso tutta quella giornata splendida andò a farsi benedire.
Mentre ci nutrivamo –sotto lo sguardo disinteressato del rosso- Deidara adocchiò una delle cameriere.
Stavo mangiando tranquilla il riso al curry quando:
- Quella è proprio carina, uhm.- commentò lui sornione.
Cercando di ignorare la fitta al cuore che quella sola affermazione mi aveva causato bevvi un po’ d’acqua.
- Non ricominciare Deidara.- fece Sasori alzando gli occhi al cielo – Cerca di trattenerti ora che qui c’è anche Fu.-.
- E dai Danna, ma che ti costa lasciarmi un po’ di spazio?- si lamentò l’altro – Non ci capita quasi mai di poter avere dei giorni liberi. E poi a Fuko non importa, vero?- mi domandò, facendomi sobbalzare.
Provaci con quella e non uscirai più dal covo per il resto della tua vita!
- Fa come ti pare.- risposi scrollando le spalle, mentre il suo sorriso si accentuava maggiormente.
- Visto? – disse felice il biondo – Vado a conoscerla!- esclamò, prima di dirigersi da lei.
Lo guardai amareggiata, mentre iniziava a provarci senza il minimo ritegno con quella cameriera.
Trattenni una smorfia di disappunto: che aveva quella in più di me?
Bé, guardandole il petto era palese...Ma un uomo non può giudicare una donna solo in base a quello no?
Invece era proprio così! Mondo ingiusto!
- Guarda che così ti fai male.- disse Sasori togliendomi la forchetta dalle mani, che senza rendermene conto avevo preso a stringere convulsamente – Se ti dava fastidio potevi anche dirgli che per te non andava bene.- mi fece notare poi.
- Come se mi importasse di quello che fa Deidara, tzè...sinceramente può andare con chi gli pare, non deve mica renderne conto a me!- iniziai a borbottare incrociando le braccia al petto.
La verità era che ero gelosa, gelosa marcia delle attenzioni che il biondino stava riservando a quella lì.
- Pensavo che non ti piacesse.- disse allora sorpreso –no, sorpreso è una parola grossa- Sasori vedendo che avevo preso a sorseggiare del sakè.
Infatti non mi piace.
- Non è male.- risposi scrollando le spalle, mentre mi scolavo il secondo bicchiere.
Dopo un po’ che ti abituavi al sapore era anche buono.
Alla quarta tazzina iniziai a sentirmi un po’ strana.
Ero io o la stanza ondeggiava?
- Forse dovresti fermarti.- osservò il rosso, mentre io lo guardavo con espressione vacua.
- Non c’è problema.- gli assicurai continuando a bere.
Che male c’era? Ero solo al...quanti bicchieri avevo bevuto? Perché la stanza girava? Perché Sasori aveva i capelli rosa?
Mi portai una mano alla tempia che aveva preso a pulsarmi incessantemente.
- Vado a prendere un po’ d’aria...- annunciai stancamente, mentre mi dirigevo fuori dal ristorante/albergo.
I piedi sembravano muoversi automaticamente, come se non fossi io a comandarli.
Le luci appese qua e là mi confondevano: brillavano in maniera quasi accecante e cambiavano colore.
Non me ne ero accorta prima.
Poi c’era troppa gente per le vie di quel villaggio –com’è che si chiamava? Ce l’aveva un nome?- e mi venivano addosso in continuazione.
Camminai goffamente tra le persone, che mi riservavano spinte e sguardi di disapprovazione.
Cosa volevano? Era meglio se mi giravano a largo, io ero un membro dell’Akatsuki e potevo farli fuori con un semplice movimento delle dita. No, aspetta...quello era Itachi...No? Era lui si o no? Forse suo fratello? Com’è che si chiamava suo fratello?
Non me lo ricordavo.
Presa nei miei ragionamenti non mi accorsi di essere andata a sbattere contro qualcuno fino a quando non sentii un’imprecazione.
Davanti a me c’era un gruppetto di ragazzi, con la stessa stazza di un armadio.
Bé, o almeno era quello che pensavo. Non ero molto lucida al momento.
- Ti sei persa bella bambina?- chiese quello al centro, avvicinandosi a me.
L’odore acre dell’alcol mi pervase i polmoni, facendomi tossire.
Non ero l’unica ad essere leggermente brilla lì.
- Se vuoi possiamo aiutarti a trovare la strada di casa.- si aggiunse un’altro, dopo un lungo tiro dalla sigaretta che aveva in mano -Su, da brava. Vieni con noi.- ripeté, prendendomi il polso.
La testa continuava a rimbombarmi così forte che era difficile ordinare i pensieri.
- N-no...- mormorai, cercando di divincolarmi.
- Non ti faremo del male.- mi assicurò l’altro uomo, che fino a quel momento era rimasto in disparte – Vogliamo solo divertirci un po’. Ce lo fai questo favore, eh?-.
- Io non credo proprio.- disse qualcuno dietro di me, facendomi sobbalzare.
Due mani mi afferrarono delicatamente per le spalle, sottraendomi dalla presa di uno di quei brutti ceffi.
- Che vuoi ragazzino?- borbottò con fare minaccioso questo.
Quello che successe dopo fu troppo veloce per essere archiviato nella mia mente.
L’unica cosa che riuscii a registrare erano quei tre che scappavano, con un’espressione spaventata.
Sentii mancarmi la terra dai sotto i piedi, fino a quando non mi ritrovai tra le braccia di qualcuno.
- ‘Ri-senpai...- mugugnai io.
- Già.- fece lui cominciando a camminare.
Mi appoggiai al suo petto, facendomi dondolare dalla sua lenta andatura.
- Sei proprio una mocciosa.-.
Questa fu l’ultima cosa che sentii prima di addormentarmi.

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19:
Era una mattina come tante altre al villaggio della foglia, il sole era alto nel cielo e tirava una leggera brezza primaverile.
In uno dei negozi di Konoha, in quel momento, stava avvenendo la gara più entusiasmante degli ultimi duecento secoli.
Ambra vs Naruto. Chi avrebbe mangiato più ciotole di ramen?
Il ragazzo sembrava essere in vantaggio, ma lei non scherzava: lo avrebbe superato anche a costo della sua stessa vita. Avrebbe scalato una montagna innevata a piedi nudi pur di vincere.
- Il tempo è scaduto, Naruto è il vincitore!- esclamò eccitato Iruka, che non indossava altro che un leggero kimono rosa, ricoperto di rose e margherite.
La ragazza rimase spiazzata, osservando con tristezza e rammarico il suo piatto.
- Bravo Naruto!- esultò allora Sakura, tirandogli un pugno in piena faccia. Questa, con uno strano rumore, si staccò e finì tra le mani di un maestro Kakashi in bikini giallo fosforescente.
- Ti va una sfida, mio eterno rivale?- disse allora Gai in un costume Hawaiano – Tanto lo spirito della giovinezza ti sovrasterà!-.
Detto questo presero a giocare a pallavolo con la testa del povero Naruto.
Ambra, però, era troppo presa a guardare in cagnesco la ragazzina cingomma per potersene accorgere.
- Ti ucciderò! Come tu hai fatto con il mio adorato Senpai!- esclamò furiosa, mentre si lanciava su di lei.
- Non te lo permetterò!- fece quest’ultima, rifilandole un ponderoso pugno sulla guancia – Sei solo gelosa del fatto che Deidara abbia preferito me a te!- aggiunse, mentre il bel dinamitardo compariva alla sua destra, passandole una mano intorno alla spalla.
Allora l’oca prese le sembianze di quell’inutile cameriera del ristorante e le sorrise ammiccante.
- Mi dispiace Ambra, ma ho capito che provo per lei più della semplice attrazione.- le spiegò il biondo ridendo – Per questo ci sposiamo!-.

Aprii gli occhi di scatto, sobbalzando leggermente.
La prima cosa che capii era che si era trattato tutto di un sogno, mentre la seconda che avevo un mal di testa terribile.
Inoltre una strana nausea mi invadeva lo stomaco, rendendo quella situazione abbastanza fastidiosa.
Mi sentivo come dopo l’incontro con Sakura: completamente demolita. Come se fossi stata asfaltata da un treno.
Girai leggermente il viso di lato, cercando di capire in che luogo mi trovassi.
Era una stanza, più precisamente la stanza che avevo pagato e in cui avrei dovuto passare la notte.
Fin qui tutto bene, ero lì, ero viva..tutto pareva andare a gonfie vele...ma chi mi ci aveva portata?!
Tutto quello che mi ricordavo erano i capelli di Deidara che ondeggiavano ad ogni suo passo mentre, cingendole la vita, trascinava la cameriera nella sua camera.
Cos’era successo dopo?
Solo allora mi accorsi che c’era qualcosa di veramente strano, come se mi stessero perforando il cervello da parte a parte.
Mi voltai nella direzione dalla quale proveniva quella spiacevole sensazione e quasi non mi venne un infarto.
- ‘R-ri-senpai?- balbettai con il cuore che batteva a mille.
Trovarselo in camera di prima mattina non era una cosa da niente.
- Stupida.- disse semplicemente, facendomi sobbalzare.
Cosa accidenti avevo combinato la sera prima per meritarmi uno “stupida” da parte del marionettista?
- E-eh?- domandai, confusa.
- Ieri sera hai rischiato di essere violentata.- spiegò semplicemente, come se mi stesse raccontando di essere andando a pescare in riva al lago. Anche se, a dire la verità, non ce lo vedevo proprio in modalità “pescatore”.
- Forse sono ripetitiva ma...eh?-.
- Eri ubriaca e sei andata a zonzo per il villaggio; Poi ti sei scontrata con delle persone diciamo...poco raccomandabili.-.
Ma non era successo nulla, vero?
- E...quindi?-.
- Ti ho recuperata e ti ho portata qui.-.
“Recuperata”? Mi aveva preso per un sacco di patate?
Io avrei usato un termine del tipo “salvata”, però...infondo se non fosse stato per lui...
- Grazie!- esclamai alzandomi di scatto, per poi tornare a sdraiarmi sul letto, stordita.
Ero io o avevo dei martelli pneumatici che mi stavano trapanando il cervello?
- Ok...- fece Sasori – Vado a prenderti una bacinella.- disse vedendo che ero in procinto di vomitare anche l’anima.

Finalmente eravamo ritornati al covo e tutto –più o meno- era ritornato alla normalità.
- Dove accidenti sono le mie mutante?-.
La voce di Deidara risuonò tra le pareti, che ne prolungarono l’eco, rendendo veramente tutto molto fastidioso.
Mi massaggiai le tempie, cercando di trattenere una crisi di nervi.
Erano passati tre giorni da quando eravamo tornati. Tre giorni in cui il biondino non aveva smesso nemmeno per un secondo di cercare le sue fottute mutande.
Non voleva accettare il fatto di averle mollate in albergo e quindi doveva scassare le palle a noi comuni mortali. Già, perché secondo lui era tutto un complotto contro quel dannato pezzo di stoffa. Qualcuno doveva assolutamente avergliele nascoste!
- Hai visto le mie mutande, oggi?- domandò avvicinandosi a questa povera ragazza che non stava cercando di fare altro che dei semplici onigiri.
- Per la centesima volta DeiDei: io non ho la più pallida idea di dove siano le tue stupide mutande!- sbraitai, mentre una polpetta di riso mi scoppiava tra le mani.
Perfetto, si ricominciava d’accapo.
- Danna tu...- cominciò il bombarolo.
- Non ho visto le tue mutande, Deidara.- borbottò lui, già abbastanza irritato per la situazione.
Probabilmente non doveva andargli molto a genio il fatto di essere stato arruolato nella mia schiera di fidatissimi cuochi.
Dato che quando eravamo andati al villaggio – di cui ancora mi domando il nome- avevamo comprato tanti ingredienti e, dopo un’acuta osservazione del biondino, avevamo capito che non si sarebbero cucinati da soli io ed il mio fidatissimo senpai, c’eravamo dati alla cucina: io entusiasta lui...un po’ meno diciamo.
Bé, almeno non ero l’unica a non sapere come modellare quei maledetti cosini.
- E’ impossibile...- mormorò dopo alcuni tentativi.
- Eppure pensavo che tu fossi abbastanza abile con le mani...insomma...sei un marionettista!- lo punzecchiai io.
- E’ una cosa completamente diversa. Non farmi arrabbiare.- rispose semplicemente lui, con un tono così glaciale da far diventare la stanza più fredda del Polo Nord.
- Le mie mutande!- esultò Deidara armeggiando con i cuscini del divano – Eccovi, uhm.-.
- No, adesso me lo devi spiegare.- dissi io abbandonando per un attimo la mia promettente carriera da cuoca – Cosa caspita ci facevano le tue mutande lì?-.
- Deve essere stato l’altra sera, quando sono venuto a prendere qualcosa nel frigo.- fece lui, immerso nei suoi ricordi – Devono essermi scivolate via e io non me ne sono accorto.-.
Ok, non capivo il nesso.
Uno andava a mangiare qualcosa e si perdeva –tra l’altro senza minimamente notare nessun cambiamento- le mutande per strada? Ma insomma! Che significava?
Lo osservai, basita, mentre trionfante se ne andava dalla stanza.
Non riuscivo a capire...
Un grugnito infastidito mi risvegliò dal mio attuale stato catatonico.
Sasori, in bella mostra su una mano, teneva un perfetto onigiri.
- Ci sei riuscito!- esclamai estasiata.
Se ce l’aveva fatta persino lui, perché tutti i miei tentativi risultavano vani?
Il rosso sembrava quasi averci preso gusto a modellare quelle stupide pallette di riso, mentre io non ero ancora riuscita a farne neanche mezzo.
- Posso aiutarvi?- chiese allora Deidara, di ritorno dalla sua missione mutande.
- Se ti metti i guanti si.- dissi io – Non vorrei che slinguazzassi la nostra cena.-.
Questa affermazione parve irritarlo.
- Prego?- domandò avvicinandosi minaccioso – Chi slinguazzerebbe cosa?- fece.
Solo allora lo notai.
- Ti sei tolto la mascherina grigia!- esultai scostandogli il ciuffo dal viso – Wooooow!-.
Era strano vedergli entrambi gli occhi, non mi era mai capitato fino ad allora.
Erano troppo belli! Non avevo mai visto nulla di più azzurro!
- Fu...?- mi chiamò lui.
Lo osservai, confusa.
- Ti sei sdraiata sopra di me.- mi fece notare.
In effetti, in un momento di blackout mentale, mi ero avvinghiata a lui e l’avevo trascinato con me sul pavimento. Ciò, però, era completamente irrilevante; Che bisogno c’era di farmelo notare?!
- Scusa...- dissi alzandomi, senza smettere, però, di fissarlo con espressione inebetita.
- Cosa vuoi?- borbottò irritato.
- I tuoi occhi sono troppo belli!- esclamai io facendolo arrossire – Ah! Ti sei imbarazzato!-.
- Stai delirando, uhm.- borbottò lui alzandosi.
Ad un tratto però la puzza di bruciato mi fece trasalire.
No, non era possibile.
- Sasori non dirmi che è...?- chiesi, per poi rendermi conto che il rosso se n’era andato da diverso tempo.
Quel traditore...si era approfittato della mia distrazione per svignarsela!
Sobbalzai. Questo significava che la pasta che stavamo cucinando insieme agli onigiri era...
- La pastaaaaaaaa!!! No, no... la pasta!!!!-.

Deidara:
Fuko corse verso la pentola e senza spegnere i fornelli la tolse dal fuoco.
Ma dato che lo fece a mani nude...
- Che doloreeeeee, scotta, scotta, scotta!!!- piagnucolò lasciando la presa e provocando la rovinosa caduta della nostra cena per terra.
Naturalmente questa le finì sui piedi e il contenuto le si rovesciò addosso.
- OH MIO DIOOOOO!!- urlò lei.
Rimasi lì a fissarla, curioso, mentre saltellava per la stanza lanciando imprecazioni a destra e a manca.
Forse sarebbe stato il caso di intervenire, ma qualcosa mi tratteneva dal farlo. Guardarla in quelle condizioni era veramente esilarante.
Adesso la poverina si era accasciata a terra e gridava:
- Maledizione DeiDei vieni ad aiutarmi, bruciooo!-.
- Come non detto...- pensai.
Non sapendo cosa fare e sentendo il “bruciooo!” mi venne in mente solo un rimedio.
Un rimedio che avrebbe reso quella situazione ancora più divertente.
- Ma che cazzo fai!?- sbraitò Fuko dopo che io le ebbi versato addosso una pentolata di acqua gelata.
- Però adesso non “bruci” più, uhm...- sghignazzai.
- E' vero però che motivo c'era di farmi la doccia?!?-.
Aveva i capelli scompigliati ed incollati al viso e i vestiti grondanti d'acqua.
Non riuscii a trattenere una risata vedendola in quello stato.
- Ma cosa ridi???- mi chiese arrabbiata.
Però, prima che potessi rispondere con un:-mi sembri un topolino bagnato-, lei con la velocità degna di un ninja raccolse la pentola, la riempii, e me la tirò addosso.

Fuko:
- Hihihi...Sei buffo!- risi, prima di rendermi conto della stupidità dell’azione che avevo compiuto.
Infatti Deidara non ci mise molto a vendicarsi per l’affronto subito.
- Ma, ma...non è giusto!- mi lamentai agitandomi come su cane.
- Hihihi...Sei buffa!- mi scimmiottò lui.
- Ah si?- domandai io cercando di raccogliere la pentola, riempirla d'acqua e tirargliela addosso come aveva appena fatto.
Purtroppo io non possedevo la sua velocità, perciò il bombarolo mi anticipò infradiciandomi per la terza volta.
- DeiDei, e che cavolo, dammi il tempo!- mi lamentai.
Continuammo –continuò- a lanciarci contro secchiate d'acqua finché non scivolammo tutti e due a terra.
- DeiDei io ho fame...- constatai rialzandomi.
- Si anche io...- rispose.

E così, per cena, non mangiammo altro che le polpette di riso che Sasori aveva preparato prima di poter scappare via dalla mia supervisione.
Bé, sempre meglio di nulla.
Uno schiamazzo mi risvegliò dallo stato di trance nel quale ero caduta facendo zapping in tv.
Sulla soglia della porta, gli occhi sbarrati, Deidara mi osservava come se improvvisamente mi fossero spuntate tre teste.
- Cosa c’è?- chiesi ingenuamente guardandomi.
Mi ero sporcata con il riso? Avevo qualche insetto appiccicato addosso? Cosa stava succedendo?
- Perché Diavolo sei svestita in quel modo, uhm?- sbraitò indicandomi.
Lo guardai confusa.
Portavo una maglia nera, con lo scollo a V, che copriva esattamente quello che doveva coprire e mi permetteva di non indossare i pantaloni. Dato che avevo caldo avevo pensato che stare così sarebbe stato decentemente appropriato.
E poi non era mica la prima volta che mi vedeva con addosso solo una maglia, era capitato qualcosa di cui non ero stata informata?
- Non capisco...- borbottai confusa – Cosa c’è che non va?-.
- Dato che ti abbiamo comprato decine e decine di vestiti, per quale motivo continui ad andartene in giro mezza nuda per il covo, uhm?- fece lui infastidito.
Non mi sembrava di essere proprio definibile come “mezza nuda”.
- Guarda che non è che tu ti faccia qualche scrupolo nell’andartene in boxer qua e là.- gli rinfacciai, incrociando le braccia.
- Ma tu sei una ragazza!-.
- E che centra?-.
Inutile, non riuscivo a capirlo. Per quale motivo, così all’improvviso, si arrabbiava?
- Sai com’è, io sono un uomo!-.
Bene, quindi gli uomini potevano andare in giro anche nudi e noi donne – nel mio caso ragazze- no? Maschilista!
Non che ci tenessi particolarmente ad andare giro nuda, però...
- Fa caldo e quindi sto così!- conclusi, imbronciandomi.
- Mocciosa...- sbuffò lui, venendo a sedersi accanto a me – Poi è colpa tua!-.
Lo osservai, esasperata. Cos’aveva? Possibile che non riuscisse ad articolare frasi di senso compiuto?
- Adesso cos’ho combinato?-.
- E’ colpa tua...- ripeté più calmo- Se non riesco a controllare le mie reazioni.-.
“Controllare le mie reazioni”? Era incontinente? Soffriva di qualche disturbo gastro-intestinale?
- What?- domandai.
Il perché avessi cambiato lingua me lo chiedevo anch’io.
- In pratica...- disse, spostando lo sguardo su di me – Trovo che tu abbia un sorriso stupendo.- ammise, passandosi una mano tra i capelli.
Shock!
Mi portai una mano alla bocca che, sconvolta, si era spalancata.
- T-ti senti bene, DeiDei?- domandai preoccupata, cercando di capire quale potesse essere la fonte del suo momentaneo squilibrio mentale.
Per quale motivo mi aveva detto che avevo un sorriso stupendo? Non era da lui farmi dei complimenti, anzi! Il miglior complimento che mi aveva fatto era stato:
- Saresti perfetta da far esplodere, uhm-.
- Io...- iniziò il bombarolo, combattuto – Posso baciarti?-.
Probabilmente in quel momento il mio cuore smise di battere e collassò.
Deglutii a vuoto.
- P-p-prego?- iniziai a farneticare – I-insomma c-che cosa t-ti prende oggi!?-.
In quel momento le mie facoltà mentali erano scese ancora più in basso del normale e non riuscivo a formulare neanche un pensiero coerente.
Deidara-sorriso stupendo- bacio
Presa dai miei deliri mentali non mi accorsi che il biondino aveva appoggiato le labbra sulle mie.

Mi svegliai di soprassalto, con il fiato corto.
Il cuore mi batteva all’impazzata: ma che razza di sogno avevo fatto? Deidara che mi baciava? Bah...
Girai la testa di lato, scontrandomi con il petto del biondo, che si muoveva lento e regolare.
Ero ancora decisamente sconvolta per quello che era successo. Insomma, dovevo immaginarlo che il bombarolo non avrebbe mai potuto dirmi che avevo un sorriso stupendo! Peccato però...per un po’ ci avevo sperato.
Sospirai, cercando di regolarizzare il mio battito cardiaco.
Probabilmente gli onigiri mi erano rimasti indigesti...ecco perché avevo sognato Deidara che delirava.
Ecco spiegato tutto.
Ciò nonostante, forse a causa della mia insana passione per l’infilarmi in situazioni poco simpatiche e davvero molto imbarazzanti, la mattina decisi di verificare io stessa.
- DeiDei!- esclamai arzilla quanto un bradipo in coma, richiamando l’attenzione del biondo che, malauguratamente per lui, aveva deciso di svegliarsi nel mio stesso momento.
Mi strofinai un occhio, ancora mezza addormentata e mi gettai all’assalto.
- Pensi che il mio sorriso sia stupendo?- domandai con fare cospiratorio, scrutandolo attentamente.
Infondo avevo studiato psicologia; Teoricamente la mente umana non aveva segreti per me... potevo capire tutto anche solo dal modo in cui uno respirava, no?
Peccato che, a quanto pareva, non ero proprio tagliata per questo genere di cose...
Deidara mi rivolse un sorriso divertito.
- Stai ancora dormendo, Fu?-.
Sbuffai.
- Ovvio che no.- borbottai – Su, rispondi!-.
Mi rifilò uno sguardo dubbioso e fece per andarsene. Probabilmente non credeva che una domanda del genere meritasse una sua “regale” risposta.
Ma io non avrei lasciato perdere così facilmente e decisi di arpionarmi come un Koala al suo braccio.
- Che stai facendo, uhm?- chiese guardandomi male.
- E dai! Ti prego! Rispondi!- lo supplicai – Oggi ho fatto uno strano sogno e ho bisogno che tu mi dica che ho una faccia da schiaffi! Forza! Fallo!- sbraitai, alzando involontariamente il tono di voce di qualche ottava.
Mi chiesi se, per caso, qualche ninja che passava nei dintorni del nostro super segretissimo covo non avesse sentito il mio delirio di onnipotenza. Bah...tanto comunque non avrebbero trovato l’entrata incantata...
- Che genere di sogno hai fatto?- fece lui, ma lo ignorai.
- Ti pregoooo!- continuai io, facendolo sbuffare.
- Hai una faccia da schiaffi...- recitò allora quest’ultimo, mentre io mi staccavo da lui, profondamente ferita nell’animo.
Lo guardai come una persona guarda la playstation quando, tristemente, salta la luce e tutte le ore di gioco che hai sottratto alla tua nobile vita vanno perdute.
Lo guardai come si guarda la propria gatta vomitare sul pavimento della propria camera, nel momento stesso in cui si finisce di pulirla – non so se a voi è mai capitato, ma per me, che ho una gatta debole di stomaco, è una cosa abbastanza ricorrente-.
Insomma, gli rifilai un’occhiata triste, demoralizzata, arrabbiata e contemporaneamente offesa.
- Me l’hai chiesto tu!- si difese.
Scossi la testa, profondamente delusa dal suo comportamento, e mi ritirai in camera mia.
Come si permetteva di dirmi che avevo una faccia da schiaffi?

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20:
Era una mattina come tante altre al covo dell’Akatsuki. Bé, a dire la verità speravo che sarebbe stata una mattina come tante altre, ma, come al solito, Jashin non accolse le suppliche di questa sua povera devota.
Mi svegliai con una strana sensazione: era come se qualcosa mi stesse toccando il piede, in modo veramente fastidioso ed irritante.
Aprii piano gli occhi, metabolizzando la situazione.
La sera prima non avevo bevuto, questo era sicuro, e lo confermava il fatto che non avessi ne mal di testa ne nausea.
Anche la stanza nella quale mi ero svegliata era quella giusta e, sicuramente, non stavo dormendo dato che mi ero appena risvegliata da un sogno dove inseguivo Sasori con un retino acchiappa-farfalle in mano.
Però, anche se tutto sembrava essere apposto, per quale motivo avevo una strana sensazione?
Sapevo di non dovermi fidare del mio sesto senso tarocco, ma c’era veramente qualcosa che non andava.
A conferma della mia tesi arrivò il fatto che non riuscivo a muovermi, come se fossi stata legata.
Sollevai la testa, per scoprire cosa mi stava bloccando le mie mani.
Spalancai leggermente le labbra, sconvolta.
Quella era...argilla?

Il giorno prima...
- Sei un’isterica!-.
- E tu un artista fallito!-.
- Mocciosa!-.
- Emo!-.
A quest’ultima rivelazione Deidara strinse gli occhi, lanciandomi uno sguardo carico di odio.
- Non sei per niente carina, uhm.-.
- Figuriamoci tu!-.
- Stronza!-.
- Maiale!-.
- Non hai il minimo sex-appeal!-.
- Senti chi parla!-.
- Io sono molto più affascinante di te.-.
- Modesto! Dovresti portare più rispetto per chi lavora ogni giorno per salvare il tuo regale didietro!-.
- Non te l’ho chiesto io, uhm.-.
- Già, ma me l’ha chiesto Pain e quindi lo devo fare!-.
- Affari tuoi...-.
- Bastardo...-.
- Smettetela di litigare come tue mocciosi.- intervenne allora Sasori.
- E tu non ti intromettere!- sbottammo in coro, facendolo sbuffare.
Erano le cinque e trenta della mattina e noi eravamo svegli dalle tre – sempre della mattina, anche se per me è un’ora catalogabile come “di notte”- del giorno precedente.
Di conseguenza se io, normalmente, sono leggermente provocabile e Deidara è fastidioso e insopportabile, ora stavamo nettamente peggiorando.
Già, perché, convivendo con un terrorista ed uno scuoiatore di persone a tradimento, pian piano, si impara sempre di più del loro modo di essere.
Quando Sasori era l’epiteto della calma e della tranquillità – almeno con me-, Deidara era intrattabile e suscettibile la mattina presto, cosa che andava peggiorando se gli venivano sottratte ulteriori ore di sonno.
Io, invece, in quel modo mi trasformavo in una bestia mangia uomini. Non dormire equivaleva a rendermi isterica. Se diventavo isterica non riuscivo a controllare il fiume di parole che usciva dalla mia boccuccia di rose.
- Racchia...- mugugnò Deidara a bassa voce, certo che non lo avessi sentito.
Lo osservai con sguardo furente.
- Come ti permetti?!- feci offesa.
- Hai due occhiaie enormi, uhm.- rise lui incrociando le braccia al petto.
- Se non l’hai notato anche tu...- osservai io – Ridotto in quel modo sembri un travestito. Già che porti la matita...ora hai anche l’ombretto!-.
Ok, questo insulto faceva pena, ma era una cosa grandiosa per una che sta lottando con tutte le sue forze per reggersi in piedi.
- Katsu!- urlò, mentre un piccolo ragno d’argilla esplodeva poco distante da me, riducendomi un timpano in frantumi.
- Che cazzo fai!?- urlai adirata.
- Tu e Hidan sareste una bella coppia, uhm.- sogghignò lui, facendomi spalancare la bocca, sconvolta.
Lo sapeva che non volevo parlare dell’albino. Ancora l’incontro/scontro che avevamo avuto mi imbarazzava.
- Ora smettetela.- decretò Sasori, che camminava vicino a noi – Altrimenti ci penserò io a farvi chiudere la bocca una volta per tutte.- ci minacciò, mettendo in bella mostra la coda di Hiruko.
La missione che avevamo appena affrontato mi aveva distrutta, sia psicologicamente che fisicamente.
Eravamo dovuti andare in un villaggio a prendere una stupida pergamena; una cosa semplice a dire il vero, ma il viaggio era stato dannatamente stancante.
- Non è colpa mia se la barbie qui presente continua a dare aria a quella fogna...- borbottai io, stringendomi nella cappa dell’Akatsuki.
Sentì Sasori sbuffare, esasperato, mentre Deidara mi osservava furibondo.
- Aspetta soltanto che torniamo al covo e ti farò pentire di tutto quello che hai detto, mocciosa.- fece.
- Che paura...- sbadiglia stropicciandomi un occhio.

Ritornando al presente...
Perfetto...ci mancava solo una vendetta del biondino di prima mattina...Ed io che avevo in programma di andarmi a scusare con lui per tutte le cattiverie che gli avevo detto! Non ero in me quando avevo sonno!
Osservai un Deidara altamente gongolante ai piedi del mio letto con in mano una piuma, che, probabilmente, fino a poco tempo prima apparteneva al cuscino distrutto che giaceva inerme nel pavimento.
Per quale motivo aveva martoriato un povero cuscino per poter prendere una sola piuma?
- C-che cosa vuoi fare?- balbettai preoccupata, mentre un ghigno si faceva strada sul suo volto.
Allora si mosse, portando la piuma pericolosamente vicina al mio piede destro.
- N-non osare!- tentai di minacciarlo.

Sasori:
Il covo sembrava essere stato avvolto dal silenzio più totale.
Che bellezza! Ultimamente quei due ragazzini cominciavano davvero a essere fastidiosi.
Ma ora che dormivano non mi sarei dovuto preoccupare di nulla.
Amavo la notte e l’alba, in quanto erano gli unici due momenti della giornata in cui potevo lavorare in tutta tranquillità le mie marionette, senza gli schiamazzi di quei due bambini come sottofondo.
Era già abbastanza difficile quando c’era solo Deidara, con i suoi ridicoli concetti sull’effimero splendore, ma, ora che era arrivata anche Fuko, la situazione era nettamente peggiorata.
Non potevo più passeggiare tranquillamente che mi ritrovavo quell’arpia ancorata ad una mia qualche parte del corpo urlando frasi del tipo: “Ti adoro ‘Ri-senpai!”.
Inoltre, lei ed il bombarolo, sembravano intervallare momenti nei quali andavano completamente d’amore e d’accordo a momenti dove non facevano che insultarsi a vicenda, il che metteva a dura prova la mia pazienza, che già scarseggiava.
La cosa più fastidiosa, quella di cui ancora non riuscivo a capacitarmi, era che gli abbracci stritolatori di Fuko non mi dispiacevano.
- Buahahahahahahahahahah!- una risata isterica interruppe il silenzio religioso che fino a quel momento mi aveva circondato.
Perfetto, incominciava la giornata.

Fuko:
- Ahahahaha! N-no! T-ti prego...ahahaha...smettila!- risi, cercando di divincolarmi dall’argilla, mossa che risultò completamente inutile.
Deidara se la rideva di gusto, mentre malignamente continuava a solleticarmi il piede con quella dannata piuma.
- Per favore!- lo supplicai con le lacrime agli occhi, ma lui non demordeva.
Soffrivo il solletico, se non si era capito. Non riuscivo proprio a sopportarlo, era più forte di me.
Continuai a contorcermi come un’anguilla sul letto, schiamazzando peggio di una gallina in fin di vita, fino che il mio sguardo cadde su Sasori, sulla soglia della porta.
Ci fissava, chiaramente allibito.
- B-basta!- tentai, ma la mia richiesta fu soffocata dalla risata del biondino.
- Buongiorno...- sentii dire al rosso, mentre se ne andava da qualche altra parte, probabilmente molto lontano da lì.
Sicuramente si vergognava del fatto di avere due compagni del genere.

14:30. Temperatura: troppo alta.
Al covo dell’Akatsuki, l’organizzazione criminale più temuta del mondo, i membri più spaventosi in assoluto stavano dando il chiaro esempio di tutta la loro malvagità.
Deidara, terrorista di belle speranze, era spaparanzato sul divano, osservando con sguardo vacuo lo schermo della televisione, in attesa di ricevere l’ispirazione artistica da una qualche divinità –magari Jashin-.
Sasori no Danna, l’inventore delle marionette umane, sedeva su una sedia poco lontano da lì, guardando con fare disinteressato l’essere che si rotolava sul pavimento.
Quest’ultimo –cioè io-, noto anche con il nome di Fuko, giaceva spappolata al suolo, la fronte imperlata dal sudore.
- Il pavimento si è riscaldato.- osservai dopo un po’.
Feci qualche giravolta su me stessa, portandomi in un altro punto.
- Ora è di nuovo fresco...- sussurrai compiaciuta.
Purtroppo Kakuzu taccagno com’era si era rifiutato di fare impiantare l’aria condizionata nel covo e quindi, lì dentro, si moriva dal caldo.
- E’ insopportabile...uhm...- mugugnò Deidara sventolandosi con una mano.
- Sto evaporando...- lo appoggia io, che avevo cambiato nuovamente posizione.
Allora il biondino, ormai al limite della sopportazione, se ne fregò del suo orgoglio e si sdraiò accanto a me nel pavimento.
- Hai ragione, è fresco, uhm.- disse felice, ricevendo di tutta risposta un mugugno poco interpretabile.
- Sembrate dei mocciosi.- osservò Sasori, l’unico che in quel momento non sembrava soffrire.
- ‘Ri-senpai...?- chiamai io – Tu sei fatto di legno, giusto? Quindi sei fresco, no?-.
Avendo intuito dove volevo andare a parare si assicurò di non rispondermi.
Pigramente mi sollevai e, lentamente, mi avvicinai al rosso, per poi abbracciarlo.
- Mmm....mi aspettavo di meglio...- dissi, strofinando la guancia contro il suo viso – Sei temperatura ambiente.- borbottai, prima di ritornare alla posizione di poco prima.
Il caso volle che, in quello stesso momento, l’ologramma del nostro capo si materializzò nella stanza, constatando di persona il duro lavoro dei suoi “sottoposti”.
- Ciao...- lo salutai senza muovermi – Fa caldo dove sei tu?- domandai disinteressata, mentre una goccia di sudore mi scivolava dalla fronte.
- Ambra dobbiamo parlare.- disse in tono autoritario – In privato.- aggiunse, poco prima che potessi invitarlo a sdraiarsi con me e il dinamitardo sul pavimento.
Accidenti, che entusiasmo da paura!
Mi alzai e, di mala voglia, lo seguii in un’altra stanza del covo.
- Come vanno gli allenamenti?- domandò a brucia pelo, facendomi sobbalzare – Se ti stavi riposando sei sicuramente migliorata.-.
Credici...
- B-bè...- iniziai io – Ho imparato qualche nuova tecnica e...sono diventata più brava nei corpo a corpo.- spiegai, per poi riprendere a sudare.
L’importante era che non mi chiedesse...
- E il potere del Vuoto?-.
Ecco, appunto.
- Non sono riuscita a fare nulla per quello.- mormorai imbarazzata.
- Ad ogni modo, non sono venuto qui per questo.- fece– Hidan e Kakuzu hanno appena cominciato “quella missione”-.
Sobbalzai. Ovviamente avevo raccontato a Pain della triste fine di ogni membro dell’Akatsuki e, nonostante le mie proteste, aveva deciso di mandare comunque i due immortali.
Già, come se con il mio aiuto potessero fare qualcosa, illuso.
- Quindi devo partire anch’io, giusto?-.
- Si. Domani mattina, all’alba, dirigiti al Tempio del Fuoco, ti aspetteranno lì.-.
Feci in tempo ad annuire che la sua figura si era giù dispersa.
Sospirai, triste.
Non avevo la minima voglia di andarmene a zonzo per il Paese del Fuoco da sola, sopratutto con il caldo afoso che incombeva in questa stagione.
Poi, andare con Hidan e Kakuzu significa incontrare l’albino, cosa che, almeno per il momento, avrei evitato di buon grado.
Ma la cosa più terribile era che avrei dovuto abbandonare sia Deidara che Sasori...come avrei fatto senza di loro?

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21:
- ‘Ri-senpai mi mancherai tantissimo!- piagnucolai avvinghiandomi al rosso, che sbuffò esasperato.
- Si, si...- disse semplicemente lui, battendomi una mano sulla spalla.
- E io? Io ti mancherò?- domandai, osservandolo con uno sguardo da cucciolo bastonato.
Lui puntò i suoi occhi altrove, infastidito.
- Così, così.- rispose semplicemente, ma bastò questo per riempirmi il cuore di gioia.
- Ti adoro ‘Ri-senpai!- trillai, cominciando a saltellare.
- Deidara si offenderà se non vai a torment...abbracciare anche lui.- osservò allora.
Di mala voglia mi staccai dal rosso, per poi ghignare in direzione del biondino, che guardava disinteressato la scena appoggiato allo stipite della porta.
- Lo sai che mancherai anche tu, vero?- domandai sorniona, avvicinandomi a grandi passi.
- Lo so, uhm.- fece beffardo, mentre gli buttavo le braccia al collo.
Che buon profumo che emanavano i suoi capelli, come avrei potuto fare senza sniffarlo ogni giorno?
- La domanda è sempre quella.- dissi ad un tratto – Ti mancherò anch’io?-.
- Per niente, uhm.- rispose scorbutico– Forse un pochino, ma poco!- aggiunse poi vedendo la mia espressione affranta.
- Ti adoro DeiDei!- mi scimmiottò prima che potessi dire o fare qualcosa.
Lo osservai storto: la sua imitazione faceva schifo.
- Stavo per dire “Ti voglio bene DeiDei”.- borbottai, mentre il suo sorriso si accentuava.
Dopo questi saluti, depressa e per nulla eccitata del viaggio che stavo per intraprendere, mi diressi all’uscita del covo.
- Fate attenzione.- mi raccomandai triste, prima di andarmene definitivamente.
L’odore dell’erbetta umida e della vegetazione mi investii in pieno, facendomi lacrimare gli occhi.
L’aria era così calda che quasi non si riusciva a respirare.
- Si parte...che bello...-.

Ero sola, completamente sola. Così sola che cominciavo a soffrire la solitudine.
L’unica persona con cui potevo parlare era me stessa e, tra l’altro, non era per nulla divertente.
Avevo superato due villaggi in mezza giornata spinta dalla voglia di arrivare da Hidan e Kakuzu; Almeno avrei avuto qualcuno con cui intraprendere una conversazione.
- Che palle...- borbottai scalciando un sasso, che aveva osato intralciare il mio cammino.
Non ce la facevo più, volevo tornare indietro dai miei compagni di squadra ed abbracciarli forte forte.
Mi mancavano già...Ok, forse mi affezionavo troppo in fretta alle persone.
Persa com’ero nei miei pensieri non mi accorsi della presenza di qualcuno fino a quando quest’ultimo mi fu davanti.
- Ti ho trovata.-.

Deidara:
Camminavo avanti ed indietro per il covo, indeciso sul da farsi.
Era sicuro lasciarla andare a zonzo da sola per il Paese del Fuoco? Sarebbe stata bene? Avrebbe mangiato decentemente? Avrebbe incontrato qualche pericolo? E se doveva combattere? Lei non ce la poteva fare per conto suo!
Più cercavo di scacciare questi dubbi dalla mia testa più questi tornavano.
Non ero riuscito a distrarmi neanche con le mie creazioni d’argilla.
L’unica cosa divertente della situazione era Sasori, che, nonostante lottasse con tutte le sue forze per rimanere impassibile, ogni tanto lanciava occhiate preoccupate all’entrata del covo.
Probabilmente se non fossi stato troppo preso dall’immaginare scenari apocalittici su Fuko avrei iniziato a punzecchiarlo.
- Basta, mi sono stancato. Vado con lei, uhm.- dissi.
- Fermati.- fece lui – Il capo ci ha detto di farla andare da sola.-.

Fuko:
Oh, cazzo...Orochimaru!
No, sto scherzando, non era l’uomo viscido dai capelli setosi quello che mi si parava davanti.
- Ryu!- esclamai, sorpresa di vederlo.
Vi ricordate del bel ninja misterioso che era venuto a salvarmi dagli Anbu di Konoha? Bé, proprio lui, in carne ed ossa, ed anche abbastanza incazzato a dire il vero.
- Fuko.- borbottò lui – Per quale motivo ti sei unita all’Akatsuki?-.
Perché li amo!
- Non sono Fuko! Quante volte devo ripeterlo?- sbuffai infastidita, riprendendo a camminare.
- Ok, ok...Ambra, giusto?-.
- Wow. Te lo ricordi!- esclamai, per nulla entusiasta.
Avevo paura che potesse costringermi ad abbandonare l’organizzazione Alba.
Nonostante avessi accelerato il passo non voleva saperne di lasciarmi in pace.
- Dov’è Fuko, la vera Fuko?- domandò, incupendosi.
- Al mio posto.- spiegai con una semplice scrollata di spalle – Mentre io sono finita in questo mondo, nel suo corpo, lei è nel mio.-.
- Falla tornare qui.- disse, puntandomi un kunai alla gola.
Ma quando l’aveva tirato fuori?
Deglutii a vuoto, sentendo la lama fredda dell’arma premermi sulla pelle.
Deidara...Sasori...Help me!
- Fuko sembra essere molto importante per te.- osservai allora, cercando di non mettermi a urlare, implorando pietà.
Anche se sentivo che di lì a poco l’avrei fatto.
Io non ero certamente una persona definibile come “coraggiosa”. Anzi!
- Già.- disse con una scrollata di spalle – E’ per questo che la rivoglio.-.
- Mi dispiace, ma non sono io quella che ha deciso di trapiantarsi qui dentro. Non posso fare nulla al...r-riguardo.-.
La pressione sul collo si faceva sempre più intensa, forse era il caso di fare qualcosa.
Con una mano cercai di farmi strada all’interno del mantello, per prendere la pergamena. Lui, però, fu più veloce e me la bloccò.
Perfetto, ora si che sono nella cacca fino al collo.
- C-che vuoi?- borbottai preoccupata – Ti ho già detto che non posso fare nulla!-.
Il suo sguardo si fece più determinato.
- E allora ti ucciderò, non ho intenzione di farti usare il suo corpo come arma di quell’organizzazione da quattro soldi.-.
Ohi...Ohi...Non andava affatto bene! Questo mi ammazzava per davvero!
Dovevo fare qualcosa...dovevo assolutamente inventarmi qualcosa...
Dov’era finito il Ryu tanto gentile e simpatico che mi aveva salvata dagli Anbu? Mistero...
- Super Super Kawaii Impact.- pensai, e il corpo di Ryu venne sbalzato via, lacerandomi il coprifronte ed il collo con il kunai.
Forse non era stata proprio una bella mossa....
Bé, per fortuna la testa era ancora saldamente ancorata alle spalle.
Non andava molto bene però, da come sanguinava.
Oh cazzo...sangue...
La testa prese a girarmi vorticosamente.
La scossi determinata: non era il momento di lasciarsi impressionare.
Guardai Ryu che si alzava, impugnando saldamente il coltello dal quale colava un certo liquido rosso, che doveva essere sicuramente succo di pomodoro. Era ovviamente succo di pomodoro.
Repressi a stento un conato di vomito: no, non riuscivo a fregarmi per conto mio.
Cercai di distrarmi da quella bruttissima sensazione pensando cose del tipo: è la prima volta che uso quella mossa in un vero combattimento! E ci sono pure riuscita!
Solo allora venni colta dall’ispirazione: era la volta buona che potevo usare il potere del vuoto.
Bene, come dovevo fare?
L’uomo interruppe i miei pensieri, venendomi incontro.
- Suiton. Suiryūben(Frusta del Drago Acquatico)- disse componendo dei sigilli.
Davanti a me comparve un’immensa sfera d’acqua.
Con un salto schivai un forte getto che, con una forza peggiore di quella di Sakura, mandò in frantumi il terreno.
Devo trovare in fretta un piano...
Distratta com’ero dall’evitare le frustate di quello strano liquido mi accorsi di Ryu solo quando mi fu dietro.
- Suiton. Teppōdama (Sfere d'acqua solida)- recitò.
Qualcosa mi colpì violentemente alla schiena, facendomi fuggire un gemito di dolore e finii dritta contro il suolo.
- Che male...- piagnucolai massaggiandomi il punto leso, che aveva preso a pulsarmi.
Per quale motivo ero sempre quella che doveva essere pestata?
Mi girai su un fianco, evitando di striscio una frustata d’acqua. Il contraccolpo, però, mi travolse, facendomi ruzzolare per alcuni metri.
Feci in tempo a sollevare lo sguardo che un’altro getto stava venendo verso di me.
- Suiton. Suijinheki! (Muro Acquatico)- esclamai d’istinto, sollevano le mani a mo’ di scudo.
Una lastra d’acqua comparì davanti a me, parando il colpo.
Sospirai, sollevata.
Allora gli allenamenti con Sasori avevano dato qualche frutto.
Osservai il ninja, che a sua volta mi osservava.
Bene, avevamo capito che utilizzava tecniche acquatiche...perché accidenti mi mettevo a pensare come Shikamaru in un momento del genere?
Mi sollevai in piedi, cercando di riacquistare un minimo di dignità.
La cappa dell’Akatsuki, per fortuna, non si era fatta nemmeno un graffio. Non si poteva certo dire la stessa cosa per il mio coprifronte, che ora giaceva a terra, sfilacciato.
- Ora...o varco spazio-dimensionale...apriti, risucchia quest’individuo e portarlo nel paese più distante possibile da qui.- pensai, ma le mie suppliche non furono ascoltate.
Maledetto potere tarocco!
Rassegnata presi la pergamena ed estrassi la mia amatissima falce.
Dovevo trovare un modo per tramortirlo, non volevo mica ucciderlo! Un colpetto alla nuca e via.
Si...e quando mai ci sarei riuscita!?
La battaglia riprese, tra le tecniche di lui e il mio goffo modo di contrattaccare.
Bé, almeno non stava andando male come il combattimento che avevo avuto con la rosa. Diciamo che, quasi, riuscivo a tenergli testa.
- Mi sento potente.- pensai contenta, prima di essere centrata in pieno da un getto d’acqua.
Perfetto. Non potevo godermi un attimo di gloria che venivo miseramente atterrata.
Cercai di rialzarmi, ma era come se qualcosa mi stesse trattenendo al suolo.
Avevo mani e piedi incollati ad uno strano liquido appiccicoso, che mi faceva alquanto impressione in effetti.
- E’ finita.- disse Ryu, avvicinandosi.
- Che cavolo è ‘sta cosa schifosa!-borbottai, ignorando la sua frase minacciosa – Bleah!-.
Cercai con tutte le mie forze di sottrarmi da quell’impasto gelatinoso, ma invano.
Il mio cuore batteva all’impazzata, mentre il senso della morte di faceva strada in me, mischiato ad un moto di disgusto.
Non potevo morire, non così. Mi rifiutavo categoricamente di farlo!
Dovevo ancora salvare un sacco di persone! Non potevo lasciare che Hidan passasse il resto della sua eternità a marcire tra la cacca di cervo! O che Deidara si facesse saltare in aria come un petardo!
No, non l’avrei permesso! O, almeno, non in quel modo!
Se mi sarebbe toccato morire – ed ero pur certa che prima o poi sarebbe capitato- volevo che fosse per colpa di uno dei miei personaggi preferiti, non del primo Pinco Pallino che passava.
In quel momento alcune luci parvero squartare il cielo, dissipando i grandi nuvoloni che fino a poco prima volavano placidamente sopra di noi.
- Wow!- cinguettai stupita.
Mi sentivo strana, terribilmente strana, come se qualcosa si agitasse dentro di me.
Ryu si bloccò, guardando oltre le mie spalle, spaventato.
Che cazzo c’era dietro di me? Un mostro... un fantasma?
Non feci in tempo a voltarmi che una forte folata di vento mi attraversò.
Poi, le luci del cielo si fecero più intense, fino ad unirsi tra loro e ci inghiottirono.
Fui costretta a chiudere gli occhi a causa del forte vento che imperversava intorno a me.
Parve durare in eterno, o forse era il mio senso dello scorrere del tempo che lasciava altamente a desiderare.
Fatto sta che, una volta che aprii gli occhi, attorno a me non c’era più nulla: né Ryu, né gli alberi che fino a poco prima ricoprivano la zona.
C’eravamo solo io ed un immenso cratere che attraversava il suolo.
- Il mio potere...è un’immensa figata!- pensai estasiata.

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Capitolo 22:
Dopo aver schiacciato un pisolino di nove ore circa, assonnata –ero abituata a dormire molto di più-, ripresi il viaggio.
I villaggi si susseguivano, uno dietro l’altro, velocemente.
Solo quando le mie gambe cedettero mi accorsi che, sarà per la paura di ritrovarmi Ryu alle costole o per il semplice fatto che non ne potevo più di parlare per conto mio, mi ero messa a correre.
Storsi il naso.
Io che correvo? Ma quando mai?
Il jogging per me era, e sempre sarà, uno sport inutile, dove tu corri tanto per...
Un motivo che non ti può dare lo stimolo per farlo.
Un conto era se il tuo autobus se ne stava andando senza di te, e allora tu, giustamente, cominci a correre e a sbraitare contro il conducente del suddetto mezzo.
Oppure hai un assassino alle costole che brandisce una motosega e tu, chiamasi istinto di sopravvivenza, corri –non che mi fosse mai capitato-.
Ma correre per il semplice motivo di volerlo fare era una cosa che non stava ne in cielo ne in terra per una come me.
Bé, probabilmente era questo mio atteggiamento da ghiro che non mi permetteva di portare a termine nemmeno una delle tante diete che avevo coraggiosamente intrapreso durante la mia vita. Com’è che mi dicevano? Ah, si: “Ti serve più motivazione e forza di volontà”.
Qualcosa urtò il mio piede, risvegliandomi dai miei profondissimi pensieri.
Fu un attimo: il mio baricentro, già abbastanza precario, si spostò. Vidi il terreno farsi sempre più pericolosamente vicino alla mia faccia, fino a quando questa non ci si fu completamente spiaccicata sopra.
- Ma porca di quella tr...- iniziai infuriata, quando mi accorsi di non essere sola.
Quella cosa in cui ero inciampata non era un semplice sasso, ma una maceria, che un volta apparteneva probabilmente al Tempio del Fuoco.
Sparsi qua e là c’erano vari cadaveri pelati che, nonostante mi impegnassi, non riuscivo a distinguere.
Erano tutti uguali!
Ciò che però mi bloccò fu la presenza di un uomo, che poteva benissimo passare per uno che prendeva il sole, se non fosse stato sdraiato in un bagno di sangue con un paletto conficcato nel petto e un altro, che mi guardava disinteressato, con una cartina tra le mani.
-...Tr-trottola...- conclusi vagamente imbarazzata.
Ci mancava solo che mi vedessero in preda ad una crisi isterica.
- Trottola?- fece eco Kakuzu.
Ok, Ambra: prima di agire devi contare fino a dieci, così ti calmi e riesci a valutare la situazione in modo più critico e distaccato.
Uno...
Mi portai una mano al cuore: potevo giurare di averlo sentito fermarsi per alcuni istanti.
Due...
Feci un respiro profondo, provando a calmare i miei bollenti spiriti.
Tre...
Cercai di riattivare la comunicazione tra i miei già scarseggianti neuroni.
Quattro...
I miei neuroni erano decisamente andati in ferie.
Cinque...
Tentai di svagarmi osservando il paesaggio idilliaco che ci circondava: cadaveri a parte doveva essere stato un bel posto.
Sei...
Il tic all’occhio si faceva sempre più evidente.
Sette...
Incremento della salivazione.
Otto...
La situazione mi stava leggermente sfuggendo di mano.
Nove...
Il mio corpo aveva preso a muoversi da solo.
Dieci...
Stavo correndo come un’assatanata verso Hidan, con lo stesso fare di un leone che si sta per gettare sul grazioso coniglietto. Anche se qui i ruoli erano decisamente invertiti: il coniglietto demente che cerca di assalire il bellissimo leone –e che leone-.
Lo giuro, quella volta volevo veramente trattenermi.
Sul serio, non sto scherzando. Volevo evitare di aggiungere un’altra immane figura di merda alle mie già numerose performance.
Per fortuna, a smontare la mia parziale mancanza di attività celebrale, un piede rimase impigliato tra una macerie e l’altra, ed io, come poco prima, caddi di nuovo al suolo.
Perfetto, ero lì da pochi secondi e mi ero già sfracellata a terra per due volte.
Sicuramente l’impressione che avevo fatto loro era di una positività assurda. A breve si sarebbero messi ad implorare Pain per spostarmi definitivamente nel loro team.
Sollevai di poco lo sguardo, giusto per vedere che, effettivamente ne a Kakuzu che a Hidan era importato molto di quello che stavo facendo.
Il primo perché troppo impegnato a contemplare la cartina, mentre il secondo stava borbottando frasi sconnesse. Probabilmente pregava.
- Hidan, è arrivata. Vuoi finirla con tutte queste stupide litanie?- disse all’altro.
L’albino si alzò, di mala voglia, staccandosi il paletto dal petto.
Non riuscivo a capire come facesse a rimanere così impassibile: faceva male solo a guardarlo.
In quel momento, però, ero troppo impegnata a cercare di contenere i miei ormoni impazziti per pensare a quanto potesse soffrire.
- Lo sai che neanche a me fa piacere, ma fanno parte della mia religione.- borbottò, pulendosi il sangue che gli scendeva dai lati della bocca con la manica della cappa – Oh, ma sei tu! Che fai, non ti metti ad urlare come una pazza psicopatica oggi?-.
Sobbalzai: stava certamente parlando con la sottoscritta e, da quando avevo capito, non gli dovevo aver fatto proprio una bella impressione.
A stento nascondi l’espressione poco intelligente e parecchio inebetita che mi era comparsa sul volto: stava parlando proprio con me! Hidan! Quell’Hidan bellissimo sul quale avevo sempre sbavato!v - Sei apparso dal nulla, mi sono spaventata.- mi giustificai girandomi dalla parte opposta.
Non ero ancora pronta psicologicamente per quello. Fino a quel momento mi ero preparata a doverlo solamente osservare, ma parlarci era tutta un’altra cosa...
Vederlo mi faceva ancora un certo effetto, anche se la presenza di tutto quel sangue non rendeva l’incontro molto...bè...romantico diciamo.
Il viaggio riprese tra le chiacchiere insensate di Hidan, i miei deludenti tentativi di non saltargli addosso e le minacce neanche tanto velate di Kakuzu, che se ne andava in giro come se niente fosse con un morto in spalla.
Bah...contento lui...
- Bé, allora, cosa ne pensi di Jashin-sama, bimba?- chiese ad un tratto l’albino.
“Bimba”? Lui e Kisame si erano messi d’accordo per caso?
Certo che detto da lui, però, faceva tutto un altro effetto.
Altro che quella sogliola bluastra
- B-bé...non ci sono parole per esprimere cotanta magnificenza...- balbettai io, mentre il suo sorriso si faceva raggiante.
Non che avessi potuto dire altro...mi avrebbe subito sacrificata a quel suo strano Dio dalle dubbie origini.
Infondo mi piaceva proprio per questo suo strano e sadico modo di essere.
Arrivammo al bagno/punto di scambio troppo presto per i miei gusti; Non ero riuscita a prepararmi psicologicamente per entrare in un posto come quello.
- Io rimango fuori.- dissi semplicemente, già nauseata dal il fatto di essere davanti ad un obitorio improvvisato.
- Come vuoi.- disse semplicemente Kakuzu.
- Eh, no cazzo! Allora resto anch’io!- sbottò l’albino.
- Ma quanti anni hai?- borbottò l’altro con un tono tremendamente monocorde, guadagnandosi degli appellativi poco carini e decisamente molto coloriti dal compagno di squadra.
Compagni di squadra...
Sospirai guardando il cielo: Deidara e Sasori mi mancavano da impazzire! Anche se stare con Hidan –e Kakuzu- non era un’esperienza poi così terribile.

Nel frattempo al covo...
Deidara:
- Non trovi che questa sia meravigliosa, Danna?- domandai trionfante, mostrandogli una delle mie ultime creazioni.
- Si...- fece semplicemente lui, guardando palesemente altrove.
- E questo? Che dici di questo, Danna? Non pensi che questa volta mi sia superato, uhm?-.
- Si...-.
- Ammira il design bidimensionale di questa mia scultura d’argilla, Danna.- dissi fiero – Le linee dolci, ma allo stesso tempo decise...-.
- Si...-.
Sbuffai.
- Mi stai ignorando?!- sbottai alzandomi dalla sedia, con così tanta foga da ribaltarla.
- Si...-.
Era inutile cercare di instaurare una conversazione con lui quando era così preso dal guardare il vuoto...anzi, lui non guardava il vuoto, nossignore: rifletteva. O almeno così aveva sempre sostenuto.
Sospirai sconsolato, passandomi una mano tra i capelli, che mi si erano appiccicati al collo per il caldo.
Almeno quando c’era Fuko –anche se lo faceva solo per non rischiare di saltare per aria- qualcuno riconosceva quanto superiore fosse la mia arte. Lei si che mi dava almeno qualche soddisfazione!

Fuko:
Mi nascosi dietro a dei cespugli, attenta a non fare il minimo rumore.
Per il momento non mi restava da fare altro che aspettare.
Hidan avrebbe ucciso Asuma ed io non potevo farci nulla.
Non che quel barboso fumatore mi interessasse più di tanto ma, se potevo aiutare qualcuno a non venire scannato, l’avrei fatto volentieri.
Ora, però, dovevo concentrare le mie energie per proteggere quelli dell’Akatsuki, anche se questo voleva dire veder morire tante persone innocenti.
Pazienza, speravo solo che lo facessero il più velocemente possibile e nel modo medo doloroso che esistesse.
Cosa che Hidan, sicuramente, non avrebbe fatto.
Quando la battaglia tra l’immortale albino e quelli di Konoha cominciò, sentii il cuore stringersi in una morsa di angoscia.
Possibile che mi dovevo preoccupare tanto per degli sconosciuti? Perché accidenti dovevo farmi coinvolgere così emotivamente?
Non potei seguire ogni singolo momento dello scontro dato che, probabilmente, svenni un paio di volte e rischiai di vomitare lo striminzito panino con cui avevo fatto colazione quando Hidan si mise a leccare il sangue di Asuma.
Che cosa rivoltate...
Fatto sta che, quando Pain chiamò i due per andare a sigillare il due code, il mio aspetto doveva sfiorare livelli catastrofici.
- Quel bastardo! Non poteva darci almeno un altro minuto?- borbottò per l’ennesima volta Hidan, seccato dal fatto di non aver potuto dare la morte a degli “eretici”.
Li seguii in silenzio, ancora traumatizzata dalla morte di quell’uomo.
Me lo sentivo...a breve avrei vomitato...
- Piantala di comportarti come un moccioso, Hidan!- lo riprese Kakuzu – Anche la mocciosa si comporta in un modo più maturo del tuo.-.
Possibile che per lui fossimo tutti dei “mocciosi”?
- Tzé...-.
Wow...il tirchio mi aveva appena fatto un complimento...che gioia!
Fui costretta a mettermi una mano davanti alla bocca per reprimere un altro conato di vomito.
Jashin, quanto mi sentivo uno straccio...
- Sembri un cadavere.- mi fece notare allora molto allegramente Hidan.
Lo fulminai con un’occhiataccia, che però non doveva essere molto convincente dato che, nonostante avesse una boccaccia, la sua sola presenza mi mandava il cervello in tilt.
- Non mi dirai, bimba, che la battaglia ha urtato la tua sensibilità?- continuò ghignando – Oppure Deidara-chan e Sasori ti hanno ingravidata?-.
Inciampai sui miei stessi piedi a causa dello shock provocato da una tale affermazione, per poi cadere a terra, sbattendo per l’ennesima volta la bocca sul terreno.
- Oh, è caduta!- sghignazzò l’albino.
- Chi sarebbe stata ingravidata da chi?!- sbottai allora, balzando in piedi – Per chi mi hai presa?!- feci poi puntandogli un dito contro.
- Bé, infondo sei una donna no?- domandò, lasciando scivolare casualmente lo sguardo dalla faccia al seno – O almeno così sembra.-.
Tzé...come se ci fosse qualcosa lì...
Non riuscivo a trovare le parole giuste per esprimere il concetto in un modo non troppo volgare.
Fatto sta che alla fine la frase che uscì fu questa:
- Non sono mica una puttana! Con DeiDei e ‘Ri-senpai contemporaneamente poi?!-.
- Guarda che si fa!-.
- Ma ho quindici anni!-.
- Che cazzo centra? Io alla tua età...-.
- Non mi interessa un fico secco di tutte quelle che ti sei portato a letto alla mia età!-.
- Se non la smettete immediatamente vi faccio fuori-.
Kakuzu aveva appena fatto il suo primo intervento nella conversazione.
Mi tappai immediatamente la mia boccuccia di rose, con la promessa solenne di non riaprirla fino a quando non fossi ritornata al covo.
Hidan era immortale, quindi non poteva ucciderlo. Io però...
- Vai al Diavolo Kakuzu!- borbottò l’albino – Ti stavo dicendo, bimba, che il sesso può anche essere praticato con più persone...-.
- Lo sapevo già! Ma non è un’esperienza che, almeno momentaneamente, voglio sperimentare!-.
- Ti farò ricredere- ghignò lui, mentre io impallidivo notevolmente – Ci penserò io questa notte a tenerti sveglia, gattina-.
Ok, almeno il soprannome l’aveva cambiato.
Deglutii, cercando di ignorare il suo sguardo su di me.
Per quanto la sua proposta potesse mandarmi in estasi totale, non potevo accettare. Insomma, ce l’avevo anch’io un codice morale! Anche se...infondo non l’avrebbe mai scoperto nessuno...no! Non era possibile che stessi veramente valutando l’idea!
Sentii qualcosa appoggiarsi sulla mia spalla e, quando realizzai che, in effetti, si trattava del braccio di Hidan, sentii il cuore esplodermi.
Passai velocemente dal pallido “sto per vomitare” al rosso psichedelico “oh mio Dio, ora muoio!”.
- S-s-s-s-s-s-sta-c-cati...- tentai, ma non ottenni altro che di fargli stringere di più la presa.
- Hidan piantala!- lo riprese allora Kakuzu.
- Perché cazzo dovrei farlo?- sbottò lui.
- Ma non vedi?- fece l’altro – L’hai quasi ammazzata.- disse indicandomi, o, almeno, indicando il mio corpo penzolante, che, alla fine, non aveva resistito ad una tale vicinanza.

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Capitolo 23:
Era notte, faceva freddo e pioveva a dirotto.
Io ero stanca...molto stanca...e affamata...decisamente affamata.

Poco prima...
Hidan e Kakuzu erano immobili, seduti su una pietra, concentrati sull’estrazione del demone, mentre io stavo cercando di partorire uno straccio di piano per riuscire a sopravvivere all’incontro.
- Tajuu. Kage bunshin no jutsu!- dissi e la mia copia comparve di fronte a me.
- Che c’è?- sbadigliò strofinandosi un occhio.
Sospirai, esasperata: non sembrava messa meglio di me.
- Devi aiutarmi a fare un piano.- spiegai risoluta, mentre la sua espressione si faceva sconcertata.
- Non credo che chiedere aiuto ad un’altra te stessa risolva qualcosa, ma se ci tieni-.
Bé, infondo due teste erano sempre meglio di una, no? Anche se era della stessa testa che stavamo parlando.
- Per me dovremmo immobilizzare Choji ed Ino. Poi ci portiamo a spasso Shikamaru. Hidan e Kakuzu dovrebbero farcela contro Kakashi senza delle interferenze.- iniziò lei – Accoppato il primo turno, forse, possiamo sperare di riuscire contro i rinforzi-.
- Certo me stessa, certo...- feci – Il tuo piano avrebbe senso se sapessi come fare ad immobilizzare quei due ninja inutili e se fossi abbastanza forte per sconfiggere quella testa di rapa!-.
- Ma tu non ragioni mai, eh?- borbottò scocciata – Pain ci ha portate qui per il nostro potere. Dovresti sfruttarlo ogni tanto invece di farti bastonare.-.
- Lo farei pure se sapessi controllarlo!-.
- E allora impara! Tanto te ne starai tre giorni qui senza fare nulla!-.

E così, armatami di una buona dose di pazienza – dopo aver fatto sparire la mia copia irritante- mi ero data alla meditazione.
Ovvero: ero stata seduta per tre ore di fila senza cavare un ragno dal buco.
L’unica cosa che avevo sentito durante questo lungo lasso di tempo era stato un lungo grugnito di Hidan, che non ero riuscita ad interpretare.
Mah...
Ad ogni modo ero fiera di me: nonostante fossi stata colta da un impetuoso desiderio di chiedere ai miei due provvisori compagni immortali di salutarmi Deidara e Sasori ero riuscita a trattenermi.
Sorrisi: stavo facendo gradi passi. A breve sarei riuscita a controllare i miei istinti affettuosi verso di loro.

All’interno del covo dell’Akatsuki, intanto...
Deidara:
Quando il capo ci aveva chiamati a sigillare il demone, per un attimo, avevo creduto di vederla.
Ovviamente questo non era possibile: la mocciosa non aveva ancora imparato a, come direbbe lei, “ologrammarsi”.
- Ambra è arrivata?- chiese ad un tratto il capo, attirando la mia attenzione.
- Si.- rispose Kakuzu, prontamente.
- Ambra? Ma la gattina non si chiamava Fuko?- borbottò invece Hidan, facendomi trasalire.
G-gattina?
- Gattina?- chiese infatti Sasori, che, solitamente, si teneva in disparte durante queste “conversazioni”.
L’albino annuì.
- Credevo che voi due vi foste dati da fare con lei, invece...- ghignò – Non preoccupatevi, rimedierò io ai vostri errori. Sembra una bambina, ma sotto sotto, sicuramente, anche lei avrà un lato selvaggio.-.
- Hidan!- sbottammo in coro io, Sasori, il capo e Kakuzu.
Quest’ultimo aggiunse anche un “Taci!”.
- Che cazzo c’è adesso?- sbraitò scocciato.
- Ha quindici anni!- risposi, infuriato.
- Me l’ha detto anche lei.-.
- E’ piccola!- aggiunse Sasori.
Probabilmente, se non fossi stato troppo preso dall’odiare Hidan con tutte le mie forze gli avrei lanciato un’occhiata sorpresa: stava diventato davvero loquace ultimamente!
Se solo pensavo che Fuko, quella Fuko, fosse in balia di un mostro del genere...
- Dovresti trattare Ambra con maggior riguardo considerando che la tua vita è nelle sue mani.- disse il capo, risoluto.
- Sono immortale.- borbottò l’albino.
- Questo lo so.- rispose l’altro – Vorrei usare le sue stesse parole per renderti più chiaro il concetto di come passerai il resto della tua immortalità: “ Hidan finirà a marcire in tanti piccoli pezzetti tra la merda di cervo e quella di altri animali ignoti che popolano la foresta incantata del clan Nara”.-.

Fuko:
- Ugh!-.
Perfetto...ci mancava pure il singhiozzo!
Chi Diavolo mi stava pensando in un momento del genere?
Scossi la testa, esasperata.
Non riuscivo a fare nulla, era inutile.
- Se vuoi riuscirci devi volerlo, uhm.-.
Le parole di Deidara mi risuonarono in testa.
Mi ricordavo che, allora, gli avevo rifilato un’occhiata dubbiosa ed uno “Ma hai bevuto oggi?”.
Ora, però, dato che la disperazione cominciava a farsi sentire la sua frase assumeva senso.
Fino ad allora sentivo di dover usare quel potere; Forse, per evocarlo, dovevo volerlo veramente. Ok, stavo ufficialmente delirando. Forse era ora di andare a dormire dopotutto.
Mi diedi uno schiaffo, così forte che il rumore sembrò riecheggiare intorno a me.
- Ahia...- piagnucolai passandomi la mano sul punto leso.
Ma quand’è che avrei imparato a dosare la mia forza? O meglio, quella di Fuko?
Una volta che mi fui ripresa dal colpo tornai alla meditazione.
L’acqua aveva smesso di scendere dal cielo e piccole goccioline cadevano dalle foglie degli alberi che circondavano quel luogo, tintinnando contro il terreno.
- Potere del Vuoto. Ti prego, aiutami! Ne ho bisogno! Devo salvare Hidan e Kakuzu! Ti pregoooo!- pensai intensamente – Ti supplico! Se non mi aiuti tu sono nella cacca fino al collo! Ho bisogno di te!-.
In quel momento, davanti a me, comparve un cerchietto luminoso.
Sorrisi estasiata: sembrava quasi una lucciola.
Allungai le mani verso di lui, che, con mia grande sorpresa, non si spostò.
Non appena lo toccai questo si adatto alle mie mani, prendendone la forma.
Incuriosita presi a tirarne i lati, fino a che non divenne grande come uno specchio.
- Vediamo...- mormorai tra me e me – Mostrami Konoha!-.
Subito, al posto della luce intensa che fino a poco prima emanava, apparvero le figure degli Hokage, scolpiti nella pietra.
- Che figata!- esultai – Un po’ più vicino!-.
L’immagine si allargò fino a quando non fu completamente spiaccicata contro il viso del terzo Hokage.
Infilai la mano nello specchio improvvisato: con mia grande sorpresa, invece di sbatterci contro, lo attraversai.
Sentendo la fredda pietra toccarmi la mano mi spaventai, ma poi, pian piano, mi abituai a quella strana sensazione.
Sogghignai pensando alla gente di Konoha che vedeva un braccio sospeso nel nulla accarezzare la fronte di quel vecchietto decrepito.
Allora era così che funzionava il potere del Vuoto: io lo imploravo e lui arrivava? Perché accidenti non era venuto subito quando combattevo contro Ryu?
Se ci ripensavo mi venivano i brividi: quello era quasi riuscito ad uccidermi...
Passai gli altri due giorni e mezzo in quel modo, allenandomi ad evocare e controllare il mio potere a distanza – e non era una cosa affatto facile-.
Dovevo smaniare come una matta, agitando le braccia quasi fossi posseduta, per cercare di dargli la forma che desideravo.
Mi toccava fare dei movimenti esagerati ed assurdi e, sicuramente, avrei preferito farmi ammazzare piuttosto che mostrarmi agli altri durante quei balletti ridicoli.
Quando finalmente Hidan e Kakuzu si risvegliarono dallo stato di trance io ero ai limiti della sopportazione.
Tre giorni passati ad allenarmi no stop – tranne qualche oretta in cui riuscivo ad appisolarmi-. Tre giorni in cui l’unica persona con la quale avevo parlato era stata la mia Kage Bunshin – e non era per nulla simpatica!-.
Insomma, ero felice di non essere più sola!
- A pezzetti tra la merda di cervo?- borbottò Hidan non appena rinvenne – Mi hai preso per un concime?-.
Soppressi a stento una risata, voltandomi dalla parte opposta.
La sua espressione era un qualcosa di impagabile: un misto di sorpresa, sconcertamento ed incazzatura.
- Cazzo ti ridi!?-.
- Hidan smettila di lamentarti ed andiamo.- ordinò Kakuzu, alzandosi dalla sua postazione – Già, dimenticavo.- fece allora – La cicatrice che hai sul collo è bruttissima, coprila.-.
Così dicendo lanciò all’albino il suo coprifronte, che aveva perso quando gli avevano mozzato la testa.
Certo che era un po’ strano dirlo...
Lo osservai ammirata: non tutti potevano vantarsi di aver perso la loro testa e di essere ancora vivi.
Hidan era un figo, su questo non ci pioveva.
Nonostante tutto, però, preferivo tenermi ad una debita distanza di sicurezza: casomai gli prendesse di volermi violentare ero pronta.
Non credevo che Kakuzu avrebbe intrapreso una lotta all’ultimo sangue contro l’albino pur di salvarmi.
Anzi, più che altro gli avrebbe intimato di sbrigarsi o forse avrebbe addirittura girato un filmino che avrebbe poi venduto su internet. Esisteva internet in quel mondo?
Scossi la testa: quella non era una delle fan fiction demenziali che ero solita leggere. L’avaro non avrebbe mai fatto una cosa simile, no?
Fu così che mi affiancai al super pazzo omicida fissato con i soldi.
Fui tentata più volte di chiedergli se avesse per caso bisogno di qualche goccia di collirio, visto il rossore del suoi occhi, ma decisi di tenere la bocca chiusa: dovevo ricordarmi che non avrebbe faticato molto per farmi fuori.
- Perché mi stai così vicina?- domandò ad un tratto.
Lo osservai confusa, per poi capire cosa intendeva.
Persa nelle mie constatazioni non mi ero accorta di essermi praticamente spiaccicata contro di lui: mancava solo che lo prendessi a braccetto e che cominciassimo a saltellare per il sentiero incantato.
- Sto mettendo quanta più distanza possibile tra me e Hidan.- spiegai con fare cospiratorio, in modo che l’albino non potesse sentirmi.
Anche se, probabilmente, non poteva importargliene di meno: era troppo preso a pulire la sua preziosa falce a tre lame per degnarci della sua presenza.
Sogghignai: Hidan sarà anche bello e tutto, ma la mia arma era cento volte più carina della sua!
- Fa come ti pare.- disse semplicemente, mentre, con un sorriso da ebete, gli davo il chiaro esempio di tutta la mia sanità mentale.
- Tendo a sbarazzarmi delle persone che non mi vanno a genio.- disse dopo un po’.
Povero illuso, come se non lo sapessi!
C’è da dire, però, che nonostante ne fossi a conoscenza, dopo quell’affermazione, presi a sudare freddo.
- Ehm...ti sto particolarmente antipatica?- domandai preoccupata per quello che sarebbe potuto accadere di lì a poco.
- Se stai zitta no.-.
- Allora rimango in silenzio.- assicurai tappandomi la bocca con fare solenne.
Ci mancava solo che gli dessi una ragione per sterminarmi. Inimicarsi Kakuzu mentre ero in missione con lui non era certo una bella mossa date le sue notevoli capacità ninja.
Non riuscivo ancora a capacitarmi di come quelli di Konoha avessero fatto ad uccidere uno come lui.
La solita fortuna dei principianti...
Sospirai.
In quanto a fortuna, per sopravvivere a quell’incontro, me ne sarebbe servita tanta...davvero davvero tanta.

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


Capitolo 24:
Alberi, alberi, massi, alberi, terreno spoglio, alberi, dosso, ancora alberi.
Certo che come panorama lasciava decisamente a desiderare!
Me lo appuntai mentalmente: casomai Pain decidesse di concedermi delle meritate ferie questo non era un posto adatto per una vacanza.
Sbuffai.
In quel momento avrei preferito sorbirmi le continue, starnazzanti, proteste di Deidara contro il design essenziale e per nulla artistico di quel luogo piuttosto che il silenzio tombale che regnava religioso tra noi tre.
- Ritornando al discorso del sesso...- cominciò Hidan, facendomi pentire immediatamente di quello a cui avevo pensato.
Il silenzio era oro in confronto ad una discussione del genere.
E poi perché Diavolo l’albino voleva affrontare un discorso simile con una quindicenne? Non sapeva pensare ad altro? Sembrava quasi un adolescente in preda a crisi ormonali!
Però, tutto sommato, restava un figo pazzesco.
Soppressi a stento una risatina malefica: e pensare che, se avessi voluto, avrei potuto benissimo spupazzarmelo dalla testa ai piedi senza alcun problema! Non tutti potevano avere questo privilegio...mi sentivo potente!
- Sul serio Deidara-chan e Sasori non ti hanno nemmeno sfiorata?- fece – No cazzo...ma dico? Sul serio?- qui proruppe in una risata sinistra ed agghiacciante – Che idioti! Ma cos’hanno in testa?-.
Aspettai che finisse di sghignazzare per solo Jashin sa cosa prima di prendere parola.
- ¬Non mi hanno minimamente toccata...- assicurai, prima che scoppiasse in un’altra fragorosa risata.
Perché cavolo rideva poi? Era inutile, non riuscivo a comprenderlo!
- Da Deidara-chan me lo aspettavo, ma Sasori...-.
- Kakuzuuuu...- piagnucolai, in cerca di un sostegno morale.
- Avevi detto che saresti stata zitta.- mi freddò lui, rivolgendomi una di quelle occhiate che mi rimarranno impresse per sempre nella memoria.
- S-scusa!- balbettai osservandomi intensamente i piedi.
Paura...
Avanzai qualche passo verso sinistra, cercando, nel modo più inosservato possibile, di mettere una leggera distanza tra me e quello psicopatico.
Purtroppo, il fato, il destino o come cavolo volete chiamarlo ce l’aveva con me. Si, decisamente mi odiava a morte.
Andai a sbattere contro qualcosa di duro e, purtroppo, non era il bel sempreverde che si stagliava ai lati del sentiero che stavamo percorrendo, ma la spalla di Hidan.
- E che cazzo!- mugugnai a denti stretti, abbastanza forte da consentire all’albino di sentirmi.
- Come fai a saperlo?-sghignazzò guardandosi – Ho forse la cerniera aperta?-.
Spalancai la bocca, scioccata, tornando rannicchiata vicino a Kakuzu.
Come faceva ad essere così perverso?

- Continuo a seguirvi da sopra.- dissi semplicemente, prima di eseguire una delle mie nuovissime tecniche.
La lastra luminosa che avevo utilizzato il giorno precedente per osservare Konoha prese la grandezza di un tappeto e io mi ci sdraiai sopra, mentre questo iniziava a sollevarsi nel cielo.
Strabuzzai gli occhi, sconvolta.
Fino ad allora mi ero tenuta a una distanza di più o meno un metro da terra.
Ora che ero salita così in alto, stare spaparanzata sul vuoto non mi faceva molto piacere.
Questa tecnica consisteva in una specie di specchio volante che, una volta che mi ci mettevo sopra, si trasformava in una scatola, che mi avvolgeva completamente. Mentre io, da lì dentro, potevo osservare tutto quello che mi accadeva intorno, gli altri non riuscivano a vedermi.
Da qui il nome: “Tecnica della scatola invisibile”.
Già, in quanto a fantasia facevo schifo, ma sicuramente non ci sarebbe stato niente di più azzeccato.
Scommetto che morite dalla voglia di sapere come io, ragazzina inetta ed incapace ninja, sono riuscita ad inventare una tecnica del genere per conto mio, eh?
Anch’io mi sono sorpresa in effetti: era successo per caso.
Mentre mi spremevo le meningi nel trovare un modo di nascondermi da Shikamaru e gli altri mi era apparsa la lastra ed io, da brava osservatrice, avevo subito notato che non ci si riusciva a sprofondare dentro.
Era come se il potere del Vuoto avesse assecondato il mio volere...ok, una cosa del genere era impossibile.
Scossi la testa, cercando di concentrarmi su quello che accadeva.
Il mio piano, se tale può essere definito, consisteva nell’aspettare il momento giusto per spedire da qualche parte Choji ed Ino, per poi combattere contro Shikamaru. Per fare questo, però, non potevo assolutamente permettere che i ninja di Konoha sospettassero della mia presenza, o il genio avrebbe trovato un altro piano da attuare. Ed io non ero intelligente come lui, mi ci erano voluti tre giorni per ideare un modo –neanche tanto efficiente dovevo ammettere- per poter sperare di farcela.
Certo che quelli dell’Akatsuki, grandi e grossi com’erano, avrebbero anche potuto cercare di salvarsi per conto loro! Infondo avevo detto a Pain quello che succedeva!
Anche se, a dire il vero, raccontargli la sua fine era stato un pochino imbarazzante.
Lo giuro, io volevo prenderlo sul serio quello scontro! Infondo, teoricamente, sarebbe stata una delle più importanti battaglie della storia di Naruto, no? Invece...
Non avevo fatto altro che ridacchiare come una pazza psicopatica: già, perché io tentavo di trattenermi – giusto per avere un po’ di tatto-, ma ciò che ne era uscito pareva il verso di una gallina in punto di morte.
Insomma, alla fine del racconto – omettendo la parte dove si convertiva a buono- ero scoppiata e mi ero messa a ridergli apertamente in faccia, sottolineando le varie scene ridicole – ad esempio quando lui veniva martellato al terreno come un chiodo- e mandando a quel paese tutti i miei buoni principi di mostrarmi una persona normale.
Ma ritorniamo alla missione...possibile che non riuscissi a dimostrarmi concentrata neanche nei momenti cruciali?
Abbassai lo sguardo: Hidan stava dicendo qualcosa a Kakuzu che, per dirla con termini non proprio “educati”, non se lo cagava di striscio.
Sospirai, trattenendo a stento le goccioline di bava che minacciavano di scendermi dai lati della bocca.
Per l’amore di Jashin...quant’era bello quando non potevo sentire di che parlava!
Continuai a galleggiare nel cielo per un bel po’.
A dire il vero cominciavo veramente a stancarmi...non c’era nulla in quel posto, accidenti!Neanche un piccolo negozietto di souvenir...un chiosco di cibi vari...un bagno! Nulla! Era completamente deserto!
Il rumore di un esplosione mi riportò alla realtà: toh! Avevano cominciato!
Osservai Hidan e Kakuzu fare esattamente ciò che Shikamaru voleva che facessero.
Un momento! Ora che lo osservavo bene...la sua testa aveva la forma di un ananas!
Colta da quest’incredibile intuizione mi persi qualche passaggio dello scontro.
Ero troppo presa dal guardare con fare stupito la sua chioma che ondeggiava qua e la per pensare al fatto che, volente o nolente, mi sarebbe toccato dare inizio al piano prima o poi.
Ma poco importava in quel momento! Io ero... scioccata!
Avevo sempre paragonato la testa di Shikamaru a quella di una rapa...invece...era palesemente un ananas! Ma io dico, si può?
Una passa tutta la sua vita con la certezza assoluta che la capocchia di un tizio che nemmeno esiste è fatta con una certa forma e appena lo incontra capisce di aver sbagliato.
Per tutto quel tempo...mi ero illusa! Si, mi bruciava ammetterlo, ma io...Ambra Ricci...rapita da un’organizzazione criminale perché ritenuta molto potente e potenzialmente fatale al nemico, mi ero sbagliata!
Non c’era nulla di più terribile! La mia esistenza era appena stata sconvolta da una tale atrocità, come potevo combattere!? No, non potevo farlo...la delusione era ancora incisa nel mio cuore, come una ferita profonda e dolorosa...che non si sarebbe mai rimarginata del tutto...
Se solo pensavo a tutte le volte che avevo detto:
- Guarda...la testa di Shikamaru ha la forma di una rapa!-.
E invece...
Strinsi i pugni, cercando di farmi coraggio.
Dovevo salvare Hidan e Kakuzu...dovevo riuscire a sopportarlo. Stringere i denti ed andare avanti. Il tempo mi avrebbe aiutato a dimenticare e anch’io, presto o tardi, sarei riuscita a voltare pagina.
Sorrisi: si, ce la potavo fare. Anche se il vuoto che ormai mi attanagliava il corpo era insopportabile.
Dovevo salvare il duo immortale. A qualsiasi costo! Anche se avrei dovuto ammettere che la pettinatura del genio ricordava un ananas!
Bene, ora che ero riuscita a riprendermi un po’ dallo shock subito, potevo dare inizio al piano!
- Metticela tutta Ambra!- mi incitai – Fight!-.
Con una leggera virata la scatola che mi conteneva si avvicinò a terra. Gli altri non si erano ancora accorti di me.
Bé, certo...questo era più che logico. Erano tutti concentrati su Kakuzu che veniva trapassato da parte a parte del Mille Falchi di Kakashi.
Volai indisturbata tra i vari personaggi, cercando di non soffermarmi sulla chioma di Shikamaru perché, altrimenti, avrei finito per mandare a quel paese lo scontro e mi sarei messa ad implorarlo di andare dal parrucchiere e farsi dare la forma di una rapa.
Arrivai da Ino poco dopo.
Era così presa dallo scontro che non si accorse di me neanche quando uscii dal mio nascondiglio.
La biondina, che, non capivo come facesse a vedere oltre lo spesso ciuffo che gli ricopriva l’occhio - un giorno l’avrei chiesto a Deidara- era rannicchiata dietro ad un grosso albero e aspettava il suo momento di entrare in scena.
Ovvero di correre urlando come una pazza isterica a Choji e Shikamaru di scappare. Già, azione degna di una vera ninja, non c’è che dire.
Se non si era capito, non provavo molta simpatia verso di lei, anche se, tutto sommato, non ne avevo più ragione.
Mi ricordavo di aver provato un’antipatia profonda verso di lei nei tempi in cui Sasuke era il mio unico amore, durante la prima serie.
L’amore nei confronti di quest’ultimo, però, si era pian piano trasformato in odio quando avevo scoperto cos’avrebbe fatto a Deidara che, da subito, era entrato nelle mie grazie.
In sintesi: nonostante cercassi disperatamente di disprezzare quello stupido Uchiha, alla fine, dato che era un bel pezzo di ragazzo, non ci riuscivo del tutto.
Mi diedi un’altra sberla, cercando di risvegliarmi dai miei inutili pensieri.
Solo quando realizzai che il rumore della manata contro la pelle era stato così forte che avrebbero potuto sentirlo benissimo fino a Konoha era troppo tardi: ormai il danno era fatto ed Ino si era accorta della mia presenza.
Mi osservava sconvolta e spaventata, come se temesse che la sua vita potesse finire da un momento all’altro.
In effetti anch’io che non ero un ninja scaltro, capace ed intelligente riuscivo a capire che la mia posizione era vantaggiosa: lei, a terra, la schiena contro l’albero...le possibilità di fuggire erano minime.
Però, molto probabilmente, con me come avversaria sarebbe riuscita ad aggirarmi con una semplicità tremenda. Infondo, il massimo che avrei potuto farle in quel momento era lo sgambetto.
- Yo!- la salutai facendo uno strano gesto con le mani – in stile rapper-, tentando di allentare l’atmosfera tesa che si era creata tra noi.
Questo, o almeno era ciò che avevo pensato in quel momento, avrebbe dovuto darmi un’aria abbastanza cool. Purtroppo, non ottenni altro che di procurarmi un crampo al dito.
Con una velocità incredibile –probabilmente standard per un ninja, ma per me era impressionante- afferrò un kunai, alzandosi in piedi.
Indietreggiai di un passo e, con un’espressione abbastanza perplessa – era la prima volta che l’avrei fatto e non sapevo bene come sarebbe andata- iniziai ad agitare le mani come un’ossessa.
Indurì la sua espressione e si lanciò all’attacco, finendo dritta dritta tra le braccia della mamma.
Di sua spontanea volontà si lanciò in un vuoto spazio-dimensionale, di cui si accorse troppo tardi per poterlo schivare.
Ammirai la sua figura sparire davanti ai miei occhi, non prima d’aver lanciando un urlo così acuto che le possibilità che gli altri non l’avessero sentita erano minime.
Chissà dove l’avevo mandata? Magari avrebbe anche incontrato Ryu!
Sospirai...era stato veramente troppo facile! C’era qualcosa che non andava o forse...era semplicemente la quiete prima della tempesta.
Già perché ammesso e non concesso che sarei riuscita a far sparire anche Choji, probabilmente, Shikamaru avrebbe pensato a darmele per entrambi i suoi compagni di squadra.
- Ino!- sentii chiamare qualcuno, ma non sapevo dire chi.
- C’è qualcun’altro oltre loro.- fece un’altra voce.
Wow! Che intuizione!
Persistente com’ero, però, decisi di non farmi ancora vedere.
Mi vergognavo...ecco...
Insomma...se fossi uscita allo scoperto in quel momento gli occhi di tutti sarebbero stati puntati su di me e sarebbe stato veramente imbarazzante.
- Stai in guardia, potrebbe attaccare da un momento all’altro-.
- Cosa facciamo Shikamaru?- chiese l’altro.
- Dobbiamo scoprire le sue abilità.-.
Non ci sarebbero mai riusciti, perché le mie così dette “abilità” erano nulle. Non sapevo fare un fico secco, ecco!
Scossi la testa, con un tale impeto da sbatterla più volte contro la superficie dell’albero dietro al quale mi ero nascosta.
Un albero che non aveva un bell’aspetto a dire il vero...sembrava che la sua ora sarebbe giunta presto.
Peccato...mi stava simpatico –per quanta simpatia possa provare per un vegetale s’intende-.
Con una furtività degna di un ninja zompettai di albero in albero, in modo da portarmi più vicina al mio prossimo obbiettivo: il ragazzo “robusto”.
Sorrisi...sentivo che anche questa volta mi sarebbe andata sicuramente bene. Infondo, che poteva farmi?
Rotolarmi sopra fino allo spasmo?
Scossi la testa, divertita: sarebbe stato un gioco da ragazzi.
Probabilmente, se in quel momento avessi deciso di attivare qualche neurone, mi sarei accorta del mio insolito ottimismo.
Credevo alla legge di Murphy: se qualcosa poteva andar male, l’avrebbe fatto sicuramente, ma non mi consideravo una persona pessimista. Diciamo che ero realista.
Non mi sarei mai messa a dire: “Il compito di matematica mi andrà sicuramente bene, sono preparata!”, perché sapevo benissimo che un tale avvenimento non si sarebbe mai verificato neanche se mi fossi messa a studiare seriamente per il resto dei miei giorni.
Anche se questo, ora come ora, non c’entrava nulla.
Ritornando a quel momento: ero ottimista. Si, per la prima volta –e probabilmente l’ultima- della mia vita sentivo che ce l’avrei fatta.
Illusa.
Cominciai a roteare le braccia, modellando, silenziosamente, il vuoto spazio-dimesionale che l’avrebbe dovuto inghiottire.
- Choji, attento!- gridò Shikamaru, accorgendosi dell’improvvisa voragine splendente che si era formata accanto a lui.
Troppo tardi.
Il vuoto gli afferrò una gamba, facendolo cadere.
Nonostante opponesse resistenza sarebbe stato tutto inutile: l’avrei preso.
Non avevo tenuto in considerazione, però, la sua strana capacità ninja.
Infatti, fece quello che non mi sarei mai potuta – anzi, se avessi ragionato un pochino l’avrei anche potuto fare- immaginare: si ingrandì, mandando in mille pezzi il mio varco.
Oh cavolo...si era liberato!
Lo osservai, basita, mentre, insieme al compagno, cercava di dare una spiegazione a quello che stava succedendo.
- Ino è stata inghiottita da uno di quei “cosi”?- fece la mia preda tornando a dimensioni normali.
Io, però, non lo stavo ascoltando: ero troppo sconvolta...avevo fatto cilecca! Insomma... io! Non mi era mai capitato...cos’avrei fatto ora? Dovevo riprovarci? E se non avesse funzionato di nuovo? Stavo andando in confusione totale.
Il rumore di un fulmine che si abbatteva poco lontano dal mio nascondiglio mi fece sobbalzare.
Kakuzu aveva sferrato un attacco, ma Kakashi, spuntando dal nulla era riuscito a pararlo.
Bene, allora la storia non era ancora compromessa del tutto.
Mi feci forza e, il più veloce possibile, cercai di aprire un’altro vuoto accanto a Choji, che lo schivò abilmente.
- La gattina è entrata in azione.-.
Ok, questo era certamente Hidan, anche perché non ce lo vedevo bene Kakuzu a chiamarmi in quel modo.
- Sta mirando a te, Choji.- fece Shikamaru con fare cospiratorio.
- Me ne sono accorto- rispose quest’ultimo – Che dobbiamo fare, Kakashi-sensei?- domandò.
- Sto cercando di individuarlo, ma non ci riesco. Non avverto la sua presenza.-.
Allora signor Kakashi, punto uno: “individuarla” e, punto due...ok, non c’era un punto due...
Aprii un altro varco, ma schivò anche questo.
- Io mi toglierei di lì, Fuko.- disse ad un tratto Kakuzu che, nonostante si trovasse abbastanza lontano da me, riuscivo a sentire chiaramente.
La mia espressione si fece confusa.
Come faceva ad avermi individuato se Kakashi e gli altri –che erano molto più vicini-, non ci erano riusciti? Ma soprattutto...che significava “Io mi toglierei di lì, Fuko?”.
- Katon. Zukokku!- disse.
Oh...ora capivo...ed ero veramente nella cacca fino al collo.
Una fiammata dalle dimensioni gigantesche, presto, fuoriuscì dalla bocca di uno dei mostri dello psicopatico, inghiottendo qualsiasi cosa intralciasse il suo cammino.
Ed io ero proprio nella sua traiettoria.

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


Salve!
Scusate se non ho risposto alle recensioni, ma sono di fretta!! - si mette in ginocchio invocando pietà-.
Grazie a tutti quelli che hanno recensito!
Buona lettura :)

Capitolo 25:
Il fuoco inghiottì ogni cosa, tranne quello che avrebbe dovuto effettivamente inghiottire.
Gli alberi –persino il mio adorato nascondiglio- vennero catturati e ridotti in cenere.
Con un movimento veloce mi portai sopra ad una lastra creata con il potere del vuoto –per quale motivo riuscivo a fare una cosa simile non riuscivo a capirlo- e mi ci incollai per bene con il chakra: sembrava di stare in piedi su una tavola da surf e, sicuramente, con la velocità con la quale dovetti salire in aria, sarei caduta come un baccalà tra le fiamme roventi se non l’avessi fatto.
Purtroppo, tale esposizione, fece in modo che quelli di Konoha potessero squadrarmi dalla testa ai piedi per benino.
Perfetto, operazione “passare inosservati” fallita miseramente.
Planai, con neanche troppo grazia, vicino ad un Hidan molto ilare ed un Kakuzu di cui non potevo leggere l’espressione.
- Potevi darmi anche il tempo di reagire al tuo “avvertimento”- borbottai offesa, mentre lui mi freddava con uno sguardo, facendomi desiderare ardentemente di aver tenuto la bocca chiusa.
- Sto zitta, sto zitta.- assicurai con un sorriso tremolante – Però dovrei farti sapere che, mentre Kakashi ti fulminava ti ha portato via un po’ di sangue con una siringa. Il loro piano è quello di fare in modo che Hidan lo ingerisca e che ti sacrifichi a Jashin, o una roba del genere.-spiegai, prima di richiudermi nel mio mutismo.
- Bene- rispose semplicemente.
Lo osservai, infastidita.
Bene? BENE?! Un grazie costava troppo mettercelo?!
Per ovvie ragioni, però, preferii tenere questi pensieri per me.
- Quindi il piano A è andato a puttane?- s’inserì allora Hidan.
Il suo intervento mi colse di sorpresa dato che, sconvolta dall’attacco lanciafiamme di Kakuzu, mi ero dimenticata della sua presenza.
Lo osservai ammirata per diverso tempo prima di capire che, se avessi continuato in quel modo, avrei cominciato a sbavare come una lumachina.
Intontita da quella vicinanza non riuscii a dire altro che:
- Probabilmente si.-.
- Si passa al piano B?- chiese curioso.
Bé, ovviamente... altrimenti non ne avremmo creato uno, no?
Nonostante le capacità intellettuali dell’albino lasciassero molto a desiderare non riuscivo a fare a meno di pensare: “Ma che petto muscoloso!”.
- Passiamo al piano B.- acconsentii, l’espressione ancora inebetita.
Prima di arrivare in quel posto, il luogo dove si sarebbe svolto lo scontro, avevo rivelato al duo immortale il mio piano e, almeno Kakuzu, mi aveva aiutata un po’a sistemare le varie toppe e ad inventarne uno di riserva –effettivamente si era dimostrato parecchio schietto nell’ammettere di non confidare nelle mie capacità-.
Dunque, questo fantomatico piano B, non avrebbe coinvolto solamente me, ma anche loro.
Ormai mi ero resa conto da tempo che sperare di poter agire da sola andava oltre le mie scarse capacità.
- Iniziamo.- disse Kakuzu, mentre noi lo affiancavamo.
Quello sarebbe stato il momento perfetto per far partire la tremenda colonna sonora che risuona ogni qual volta un membro dell’Akatsuki fa la sua apparizione.
Anche se, a dire il vero, il timore che potevano causare Hidan e Kakuzu – quest’ultimo maggiormente- spariva del tutto quando si puntava lo sguardo su di me.
Non si dovrebbe giudicare una persona dalle apparenze, ma, dato che nel mio caso l’aspetto del corpo –tra l’altro non mio- rispecchiava perfettamente anche tutte le mie capacità ninja nascoste –molto nascoste- non potevo biasimare chi mi giudicava un’incapace.
L’albino partii all’attacco contro Kakashi che, fino a quel momento, si era limitato a parlottare a bassa voce con Shikamaru senza distogliere lo sguardo da noi.
Il Copy ninja lo schivò abilmente e, tra i due, cominciò un’estenuante lotta all’ultimo sangue.
Nel frattempo Kakuzu aveva eseguito dei sigilli e, il mostriciattolo che conteneva il chakra del fulmine, iniziò a lanciare vari attacchi verso i due ninja rimasti, costringendoli a dividersi.
Perfetto, fino a qui tutto bene.
Con un balzo non proprio degno di un vero ninja – in quando quella sottospecie di scaldamuscoli che ogni membro dell’Akatsuki portava si era impigliato al terreno e mi aveva fatto leggermente finire col muso per terra- mi parai davanti a Choji.
Quest’ultimo, vedendo che avevo estratto “Quella”, eseguì alcuni sigilli che tramutarono le sue braccia in dei “cosi” enormi; Ma erano veramente enormi! Giganteschi, mastodontici!
- Fight!- mi incitai, partendo all’attacco.
Purtroppo quel giorno i miei graziosi scaldamuscoli non parevano volermi assecondare e, dopo essersi impigliati su un rametto, provocarono la mia rovinosa caduta con tanto di facciata finale sul manico della falce che, posso assicurarvi, faceva un male cane.
Il grassone che fino a quel momento se ne stava all’erta con uno sguardo determinato, vacillò, osservandomi interdetto.
- Fuko...- disse Kakuzu che non aveva impiegato molto tempo nel mettere alle strette Shikamaru.
Non seppi come interpretarlo: stava cercando di accertarsi se, effettivamente, il mio nome si pronunciava in quel modo? Era preoccupato del fatto che potessi essermi fatta male? Per la riuscita o meno del piano, magari? O, forse, stava pensando che ero veramente un caso senza speranza – o almeno così mi lasciava intendere il suo tono di voce-?
- Sono caduta...- piagnucolai, come se non fosse abbastanza evidente.
- Tirati su.- mi ordinò, piccato e coinciso come al solito, eliminando dal suo tono di voce l’esasperazione che avevo percepito chiaramente mentre mi chiamava per nome – che non era neppure il mio-.
- Shikamaru!- fece il mio avversario, vedendo che il suo compagno stava per passare a miglior vita per soffocamento, cominciando a correre verso Kakuzu.
Illuso, non l’avrei sicuramente lasciato passare.
Senza che se ne accorgesse trasformai la mia bellissima arma in una catena e feci in modo che si arrotolasse per la sua –corta aggiungerei- gamba, facendo cadere a terra anche lui.
- Visto Zu-Zu, l’ho bloccato!- esclamai esaltata, prima di accorgermi di quello che avevo, effettivamente, detto ad alta voce.
No, non era la mia immaginazione. Quello che era balenato negli occhi di Kakuzu –solo per un momento- era stato shock puro. Sconvolgimento all’ennesima potenza.
- Zu-Zu?- sputò senza cercare minimamente di nascondere il disgusto che gli provocava quel nomignolo.
- Perdonami!- lo implorai tappandomi la bocca – Credevo di averlo solo pensato.- cercai di giustificarmi.
Fu un momento.
Il mio cervello entrò in stand-by e l’immagine del volto di Kakuzu fu ben presto sostituita da quello di tanti cricetini colorati che correvano qua e la.
Una voce femminile ed esaltata risuonò in sottofondo:
“ Ecco le uova di pasqua degli Zhu Zhu Pets! Fuori c’è un peluche tutto da coccolare e dentro trovi tante sorprese! I criceti degli Zhu Zhu Pets! E il cioccolato è buonissimo! Uova di pasqua Zhu Zhu Pets!”.
Scossi la testa, cercando di tornare al presente.
Com’era possibile che mi venissero in mente gli Zhu Zhu Pets in un momento del genere? Va bene che erano pucciosi e quant’altro, ma mi sembrava un momento parecchio critico per mettermi a fantasticare!
Mi alzai da terra vedendo che Choji stava facendo la stessa cosa.
- Sono io la tua avversaria.- feci, in un modo che avrebbe dovuto sembrare minaccioso, ma che passò per un rantolio sconnesso.
Fermi tutti! Era la mia occasione! La mia “chance”!
Senza pensarci due volta agitai le braccia, rischiando di ferirmi a morte con la falce che tenevo in una mano.
Il grassone, pensando che lo stessi attaccando, indietreggiò, finendo dritto dritto nella mia trappola.
Un varco spazio-dimensionale si aprii dietro di lui.
Come aveva fatto la prima volta il suo corpo si ingrandii.
Eh no, mio caro! Questa volta mi sono preparata psicologicamente!
Allargai anch’io il varco, tentando di farcelo entrare ma, cavolo, non gli sembrava il caso di mettersi un po’ a dieta?
Tra l’altro non era affatto facile controllare il mio potere, stava veramente mettendo a dura prova la mia pazienza.
Irritata oltre la soglia della sopportazione mi avvicinai a lui a passo di marcia, caricai la falce dalla parte del manico e la schiaffai con tutta la forza che avevo contro la sua fronte, ripetutamente.
- Staccati!- sbraitai – Ho detto staccati, bastardo!-.
Continuai a colpirlo in testa, sperando che mollasse la presa ai lati del mio – e sottolineo mio, quindi nessuno lo può toccare senza esplicito consenso- varco.
- Giuro che se non ti stacchi ti mozzo lo mani!- bluffai, ma, a quanto pareva, non funzionò.
- Molla!- ripetei tirandogli l’ennesimo colpo in faccia – Brutto ciccione che non sei altro!- urlai, prima di tapparmi la bocca mortificata.
- Cosa?!- sbraitò lui, livido di rabbia.
Preso dalla foga del momento non si accorse di aver staccato le mani dal varco fino a quando non vi ci fu tirato dentro, ma ormai era troppo tardi.
Mi voltai trionfante verso Kakuzu, con un sorriso a trentasei denti.
- Raikiri!- gridò qualcuno dietro di me, facendomi sbiancare.
Mi voltai di scatto, spaventata.
Lui era troppo vicino ed io ero troppo confusa per pensare a come evitarlo.
Ergo, feci la prima cosa che mi venne in mente: mi accovacciai a palla un momento prima che il Mille Falchi di Kakashi potesse trapassarmi come aveva fatto con Kakuzu.
Infondo io, al contrario di quest’ultimo, mi dovevo accontentare del mio unico cuore e questo, molto probabilmente, non avrebbe retto ad un colpo del genere.
Mi chiesi se, per caso, Kishimoto si fosse accorto della mia presenza nel suo manga e stesse cercando di accopparmi.
Ora capivo: se la mia sfiga si era centuplicata da quando mi ritrovavo in quel mondo era colpa del sadico mangaka. Si, doveva essere così.
Presa nei miei profondissimi ragionamenti non mi accorsi che l’argenteo, avendomi mancata, aveva rivolto il suo attacco all’avaro che fu costretto ad abbandonare il corpo di Shikamaru e a saltare qualche metro più in là.
Probabilmente neanche a lui doveva far piacere essere trapassato da parte a parte da quella tecnica.
Osservai Hidan che, in quel momento, era molto impegnato nel seguire un Kage Bunshin, brandendo la sua falce a tre lame e ridendo istericamente.
- Ma che figo...- sussurrai estasiata, dopo essermi affiancata nuovamente a Kakuzu –nonostante fosse un serial killer professionista fissato coi soldi mi sentivo abbastanza al sicuro accanto a lui-.
- Ti riferisci ad Hidan?- domandò palesemente annoiato.
Accidenti a me che non sapevo tenere la bocca chiusa!
Lo osservai, interdetta, cercando di mugolare qualcosa che potesse reggere come scusa.
- Non c’è bisogno che rispondi. Non mi interessa.-.
Lo guardai storto: prima mi faceva le domande e poi non voleva neanche sentire le risposte...mah!
L’albino impiegò poco tempo nel mozzare la testa a quella copia e, alla fine, ci rimase pure male.
Povero...
Quando si riprese dallo shock si avvicinò a noi, con un sorriso furbo che gli attraversava il volto.
- Ho voglia di squartargli l’addome, strappargli le interiora e sacrificarlo al grande Jashin-sama.- ghignò, mentre un brivido mi percorreva tutta la colonna vertebrale.
- Così farai morire di paura la mocciosetta.- lo informò Kakuzu, smontando tutto l’entusiasmo del compagno, che aveva continuato ad elencare potenziali modi per fare a fette Kakashi.
Ora, non che quest’ultimo mi stesse particolarmente a cuore ma, poverino, che aveva fatto di male per essere trattato così? A parte tentare di uccidermi s’intende...
Lo osservai mentre, preoccupato, fissava uno Shikamaru agonizzante che annaspava alla ricerca di aria.
- Mi sto veramente rompendo le palle di questa situazione.- si lamentò l’albino, appoggiandosi la falce sulla spalla.
Forse avrei dovuto farlo anch’io invece di starci appoggiata sopra a peso morto, come se fosse una stampella. Almeno mi avrebbe dato un’aria più inquietante.
- Ora ci pensiamo noi.- annunciò Kakuzu ad un tratto, scambiandosi uno sguardo d’intesa con l’altro.
- Si gattina, non ti preoccupare!- ghignò – Gli spaccheremo il culo anche da parte tua.-.
- ...grazie...- sorrisi titubante, facendomi da parte.
Non mi rimaneva altro che sperare che quelle modifiche avrebbero cambiato la loro triste sorte.
Infondo, senza le interferenze di Choji ed Ino per loro sconfiggerli sarebbe stata una passeggiata vero? Vero?! Vi prego, ditemi che ho ragione io!
Anche se la pettinatura di Shikamaru era a forma di ananas non cambiava il fatto che alla fine restava un genio.
Era risaputo che poteva riuscire a costruire dei piani fantastici nonostante le situazioni in cui si ritrovava non erano delle più “favorevoli”.
A me invece servivano come minimo quarantotto ore di anticipo per poter inventare qualcosa.
Dunque, nonostante potevamo sembrare avvantaggiati numericamente, sarebbe servito a qualcosa?
Chiusi le mani in segno di preghiera.
- La prego Jashin-sama, salvi questi tre poveri innocenti da morte certa! -.

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


Capitolo 26:
Un caldo afoso incombeva nell’aria, emanato dai lunghi raggi del sole che, maestoso, risplendeva alto nel cielo.
Sarebbe stato un bel momento per fare un picnic da qualche parte ma, purtroppo, non ero nella situazione adatta per mettermi a pensare a cose “futili” come quelle.
Perfetto, erano arrivati i rinforzi.
Ovviamente quest’affermazione va letta nel modo più sarcastico che potete.
Insomma, quello che veramente pensavo era: “ Oh no, cazzo! I rinforzi!”.
Kakuzu e Hidan non sembrano essere particolarmente spaventati dall’arrivo di così tante persone, forse perché non sapevano quanto erano forti.
Fatto sta che, dato che Kakashi e Shikamaru erano appena stati sconfitti, forse eravamo in vantaggio.
Con sconfitti non intendo “uccisi”, no, per questo non avevano fatto in tempo.
Infatti a causa dell’arte del legno di Yamato i due nukenin erano stati costretti ad allontanarsi.
- Kakashi-sensei!- esclamò Sakura preoccupata che, per mia grande gioia, rivedevo.
Subito andò a verificare la condizione dei suoi compagni.
- Sono ancora vivi!- disse in modo professionale– Ma in pessime condizioni, devono essere trasportarti all’ospedale immediatamente.-.
- Non erano solo in due?- chiese Yamato che, in quel momento, sembrava volesse trapassarmi con lo sguardo.
- Dove sono Ino e Choji?- domandò invece Naruto, accorgendosi della loro assenza.
Il gruppo di Konoha si guardò intorno, cercando di individuare il corpo degli altri due membri mancanti. - Forse...- sussurrò l’Haruno – Forse è stata lei.- disse guardandomi.
Di tutta risposta le sorrisi trionfante.
Non potevo certo affermare che mi fosse mancata, anzi, sinceramente avevo sperato con tutto il cuore di non rivederla mai più.
- Quella volta, durante lo scontro con l’Akatsuki, è stata lei quella ad utilizzare il Jutsu del teletrasporto che mi ha riportata a Konoha.- spiegò agli altri.
- La prossima volta mi prodigherò affinché tu finisca in un posto freddo e sperduto.- borbottai, così piano che non poté sentirmi.
Mi ricordavo bene cos’era successo l’ultima volta che l’avevo fatta arrabbiare, non sarei caduta due volte nello stesso errore.
- Potrebbe aver fatto la stessa cosa con Choji e Ino.- ipotizzò la rosa – Cosa facciamo capitano Yamato?- domandò poi.
La ragazza aveva fin troppo intuito per i miei gusti.
- Sai.- chiamò lui – Tu trasporta Kakashi e Shikamaru all’ospedale di Konoha. Noi dobbiamo ritirarci, combattere contro loro sarebbe troppo rischioso. Se sono riusciti a sconfiggere senza problemi Kakashi...-.
- Non possiamo andarcene come se nulla fosse!- protestò il Jinchuuriki.
- Naruto calmati! Loro mirano a te, se finissi nelle loro mani...- tentò, ma inutilmente.
- Non me ne importa nulla!- lo interruppe – Non possiamo farli andare via così! Hanno ucciso Asuma e...guarda come hanno ridotto il maestro Kakashi e Shikamaru!-.

In quel momento, in un posto sperduto e introvabile, due figure camminavano lungo un corridoio di pietra, illuminato appena dalla luce fioca di alcune candele.
La prima era avvolta in un lungo mantello nero, il cappuccio chinato sul viso, che impediva di scorgerne l’identità. Due ciocche di capelli castani, abbastanza lunghi, le ricadevano liberi lungo le spalle e rimbalzavano ad ogni suo passo.
La seconda figura, quella di un uomo, camminava alla sua destra.
I capelli argentei erano legati in un codino e sul viso portava un paio di occhiali, che gli davano un’aria professionale.
Osservava in modo sospettoso la persona accanto a lui che, a quanto sembrava, si trovava completamente a suo agio.
- Allora Kabuto...- iniziò affabile lei – La smetti di guardarmi o vuoi che ti lasci una foto ricordo?-.
L’uomo in questione si irritò: il suo tono di voce, così maledettamente tagliente e velenoso, gli aveva dato terribilmente fastidio.
Chi si credeva di essere quella ragazzina?
In lei poteva quasi giurare di vedere Sasuke Uchiha in persona: stessa sicurezza e stessa caparbietà.
Sarebbe stata difficile da controllare, questo lo sapeva bene anche Orochimaru.
Allora perché il signore dei serpenti aveva insistito tanto per averla? Perché si era spinto così in là, arrivando addirittura ad utilizzare quella tecnica?
Kabuto aveva sempre saputo e condiviso la passione che il suo signore aveva per i jutsu proibiti, ma utilizzare quello era stato un vero azzardo.
Era risaputo che occorresse un grande dispendio di energie e, se fosse stata una persona normale a utilizzarla, allora sarebbe certamente morta.
Anche se era stato Orochimaru in persona ad eseguire quella tecnica, aveva rischiato grosso. Era arrivato al limite.
- Allora, ci vorrà ancora molto per arrivare?- chiese lei, senza far trasparire nulla dal suo tono di voce – Se Orochimaru o quello che è ci teneva così tanto a vedermi poteva scegliere un posto un po’ meno lontano, no?-.
Si, era effettivamente una ragazzina irrispettosa come quell’Uchiha.
- Il serpente ti ha mangiato la lingua Kabuto?- ridacchiò lei – Ti ho fatto una domanda, gradirei una risposta.-.
- Porta pazienza, Ambra.- la ammonì lui, facendole storcere il naso.
- Non chiamarmi così.- sbuffò, seccata – Anche se mi trovo in questo corpo preferisco che si usi il mio nome: Fuko.-.
Dopo quell’affermazione, tra i due, scese il silenzio, scandito solamente dal rumore dei loro passi.
Fuko, così pretendeva di essere chiamata, era abbastanza seccata da quella situazione.
Quel viscido verme di Kabuto la trattava come se fosse una bambina e lei non lo sopportava.
Si appuntò mentalmente che lo avrebbe ucciso alla prima occasione.
Per il momento, però, doveva fare la buona ed aspettare: aveva bisogno di Orochimaru per poter tornare nel suo corpo.

Fuko:
La luna, chiara e luminosa, aveva preso il posto del sole e, insieme a centinaia di stelle, brillava incontrastata nel cielo.
Per fortuna, a sostituire il caldo afoso che fino a poco tempo prima aveva lambito i nostri corpi, soffiava un fresco venticello.
- Mi dispiace...- mormorai piano io, dondolando tra le braccia dell’avaro che, a passo di marcia, avanzava tra la sterpaglia di quel luogo – Mi dispiace veramente tanto!- ripetei a voce più alta, veramente mortificata.
- Non è delle tue scuse che abbiamo bisogno, Fuko.- mi fece presente Kakuzu – Ci serve una cartina.-.
- Ma si può sapere dove cazzo ci hai portati?- domandò irritato Hidan, spostando lo sguardo su di me.
Lo osservai, sentendo gli occhi farsi carichi di lacrime.
- M-mi disp...-.
- Dillo un’altra volta e ti assicuro che l’averci portati qui sarà l’ultima delle tue preoccupazioni, mocciosa.- affermò tagliente l’altro, facendomi morire le parole in gola.
Non sapevo se definirmi più terrorizzata da quella frase o dal fatto in se di ritrovarmi tra le sue braccia.
Probabilmente per entrambe le cose.
Nonostante avessi sperato che fosse l’albino a trasportarmi, alla fine, questo si era rifiutato categoricamente di farlo e mi aveva liquidato con:
- Non c’è divertimento se indossi i vestiti-.
Di conseguenza, nonostante Kakuzu avrebbe preferito trainarmi per una caviglia con i suoi tentacoli, era stato costretto a sopportare il peso di tale fanciulla.
Probabilmente vi state chiedendo cos’è successo, anzi, credo che, a grandi linee, abbiate afferrato il concetto: eravamo stati miseramente stracciati.
Naruto era stato irremovibile e aveva deciso di battersi con noi mentre Sai aveva trasportato con degli strani mostriciattoli di inchiostro i due feriti a Konoha.
Era cominciato lo scontro e...Hidan era stato tagliato in due metà da una tecnica dell’uomo legnoso, il Jinchuuriki aveva trapassato un cuore di Kakuzu e Sakura, non so ancora per quale motivo –probabilmente per vendetta- mi aveva spaccato entrambe le gambe.
Non sapevo ancora com’era successo ma, nonostante all’inizio le stessi tenendo testa, per una piccola distrazione – causata dal disgusto totale che avevo provato nel vedere l’albino fatto a fette- era riuscita a colpirmi.
Le era bastato un solo pugno per fratturarmi entrambe le gambe ed io, che non sapevo più cosa fare, creando un vuoto spazio-dimensionale avevo portato me e i miei due compagni molto lontano da lì. Così lontano che non avevamo la minima idea di dove fossimo finiti.
Hidan era stato ricucito da un Kakuzu piuttosto seccato da quell’interruzione ma, dato che era una persona intelligente aveva capito che, se non ce ne fossimo andati, saremmo finiti male – o almeno io e il Jashinista non avremmo fatto una bella fine-.
- Mi disp...- cominciai pensando a quello che ci era capitato, ma un’occhiata assassina di Kakuzu mi fece rimangiare quello che stavo per dire – Non volevo che finisse così...- dissi, osservandomi le gambe che, penzolanti, facevano un male cane.
Non appena ci eravamo resi conti di esserci materializzarti nel mezzo del nulla avevo provato ad aprire un altro varco, ma non ci ero riuscita. Eravamo bloccati lì.
Continuammo a vagare nella sconfinata pianura per diverso tempo prima di riuscire a scorgere un villaggio in lontananza.
- Era ora...- borbottò Hidan, massaggiandosi una spalla.
Lo guardai, incantata: i capelli, argentei, sembravano brillare sotto la luce blu della luna, esaltando il suo viso e i suoi bellissimi occhi viola.
Mi tappai prontamente la bocca, reprimendo l’urletto stridulo che aveva minacciato di sfuggirmi dalle labbra.
Probabilmente gli immortali lo interpretarono più come un rantolio di dolore che altro.
Mi dispiaceva veramente di essere soltanto una palla al piede per quei due e, probabilmente, se avessi avuto una pala a portata di mano mi sarei andata a seppellire da qualche parte, in modo da non costringerli più a sopportare la mia presenza.
Non doveva finire in quel modo, accidenti! Per colpa mia avevano quasi rischiato l’osso del collo! Bè, era anche vero che era per merito mio che erano ancora vivi...
Il villaggio dove eravamo capitati era veramente orribile: per la strada, decine e decine di persone ubriache vagavano senza meta e l’odore di alcol si propagava tutt’intorno a noi.
- Ma che bel posticino...- fece ironico Hidan.
- Non iniziare a lamentarli.- lo ammonii l’altro – Siamo solo di passaggio.-.
Pochi metri più avanti ci ritrovammo di fronte ad una piccola locanda illuminata, che, a quanto sembrava, era il posto più raccomandabile di quel luogo.
Al suo interno si respirava un’aria completamente diversa: le persone chiacchieravano allegramente e l’odore acre dell’alcol era sostituito da un leggero profumo alla vaniglia.
Sorvoliamo sul fatto che io odiassi con tutto il cuore quell’odore, dato che, solo respirandone un po’, sentivo la testa farsi tremendamente pesante.
I miei pensieri vennero interrotti da Kakuzu che, senza rendersene conto, sbatté violentemente le mie gambe contro lo stipite della porta, incurante del fatto che per poterci passare entrambi avrebbe dovuto attraversarla mettendosi leggermente di lato.
Trattenni a stento un urlo di dolore, che avrebbe fatto impallidire anche il miglior esorcista.
- Va tutto bene, tutto bene...- iniziai a farneticare, cercando di auto-convincermi – Non fa male, non fa affatto male!- continuai, sotto lo sguardo divertito di Hidan che, a quanto pareva, aveva una soglia del dolore un po’ troppo alta per poter comprendere come mi sentissi in quel momento.
Con le gambe a pezzi, letteralmente. Mi facevano così male che ero stata tentata di chiedere all’avaro di amputarmele – poi avevo desistito temendo che accogliesse le mie suppliche-.
- Desiderate, miei cari?-.
Una voce acuta e gracchiante richiamò la nostra attenzione.
Era una signora anziana, così magra che sembrava essere in procinto di sgretolarsi.
I capelli, pochi e bianchi come il latte, erano raccolti in una crocchia scomposta, tenuta ferma da una fascetta da cameriera.
Rabbrividii: indossava un corto vestitino nero, attillato che, purtroppo per noi, lasciava veramente poco spazio all’immaginazione.
La gonna, ricoperta da un leggero strato di tulle, rimbalzava ad ogni suo passo, alzandosi fin troppo per i miei gusti.
Era uno scenario veramente raccapricciante.
- Dove siamo?- domandò il tesoriere dell’Akatsuki scatenando la risata ilare da parte della nonnetta.
- Ma nel mio albero, sciocchini.- disse, agitando una mano con noncuranza.
S-sciocchini?
Mi tappai la bocca con una mano, cercando di trattenermi dal mettermi a ridere seduta stante.
Prima che Kakuzu potesse dire che, effettivamente, intendeva il nome del villaggio in cui ci trovavamo lei prese parola:
- E’ l’unico locale del paese, tesorini, ed è anche molto economico.- .
Mi sfuggii un singhiozzo, mentre gli occhi prendevano a lacrimare.
Non sarei riuscita a trattenermi per molto.
Kakuzu abbassò lo sguardo su di me: probabilmente pensava che fossi in procinto di morirgli tra le braccia.
- Potrei anche concedervi uno sconto.- aggiunse la nonnetta, soffermandosi sull’albino che, incurante della situazione, si osservava intorno, svagato.
Non appena notò che la vecchietta lo stava fissando si voltò verso di lei, che ricambiò lo sguardo con un occhiolino.
Trasalii.
Perfetto, avevamo anche beccato la nonnetta pedofila! Ok che Hidan era bello, anzi, dire semplicemente così era una bestemmia. Lui era un figo pazzesco, stratosferico, incomparabile!
Aveva dei muscoli che ti facevano girare la testa solo a guardarli e volevamo parlare della sua lingua?
Insomma... se non fossi stata troppo presa a disgustarmi quando aveva preso a slinguazzare il sangue di Asuma probabilmente mi sarei messa a sbavare. Perché si, dovevo ammetterlo, nutrivo un debole per lei – dire così non faceva proprio un bell’effetto-.
Però, infondo, c’era un limite a tutto. Non pensava di essere un po’ troppo stagionata per provarci con un ragazzo come lui? Suvvia, a breve il Signore se la sarebbe venuta a prendere!
- Non siamo venuti qui per riposarci.- rifiutò Kakuzu, ignorando le proteste dell’albino.
- Potrei aggiungerci un pasto gratuito.- sorrise lei, continuando a lanciare occhiate lascive verso la sua preda.
Le lanciai un’occhiataccia: ma si poteva essere gelose di una vecchietta? Insomma, non credevo che Hidan se la sarebbe filata più di tanto. Infondo sembrava più morta che viva! Non che conoscessi i gusti sessuali dell’albino, s’intende. Per quanto ne sapevo poteva anche essersela spassata con dei cadaveri.
La mia espressione passò dal “leggermente frustrata” al “decisamente disgustata”.
- Affare fatto!- intervenne allora l’uomo dei miei pensieri, risvegliandomi dalle mie riflessioni sulla sua presunta “necrofilia”.
La vecchia, contenta – probabilmente credeva di essere riuscita a persuaderlo attraverso il suo incredibile sex-appeal- ci fece pagare le stanze, dove ci scortò subito dopo.
- Per qualsiasi cosa...- sguardo civettuolo verso Hidan – Sono nella stanza accanto- soffiò, lasciandoci finalmente soli.
Quando la porta si chiuse io, che ero stata abbandonata come un sacco di patate sul letto, presi a ridere convulsamente, sbattendo una mano sulle coperte.
- Se stai per morire avvertimi che provvedo subito a sacrificarti a Jashin-sama.- sorrise l’albino, andando a posare la falce accanto ad una delle pareti verdi vomito.
- Questo posto costa troppo per la sua scarsa qualità.- intervenne allora l’avaro, infastidito.
Povero, chissà quanto gli era costato spendere i suoi amati soldi!
Mi osservai intorno, curiosa: ero semi-sdraiata su un letto matrimoniale. La parete opposta, era attraversata da una grande finestra, coperta da una lunga tenda bianca che, non appena Hidan se ne accorse, andò ad aprire.
Trattenni a stento un grido di paura: il “panorama” dava su un ampio giardino. Non ci sarebbe stato nulla di male se al centro del cortile non ci fosse stato un pozzo... un pozzo fin troppo simile a quello di The Ring.
Distolsi lo sguardo, temendo che, prima o poi, una mano bianca e cadaverica potesse far capolino da lì dentro.
Il bagno, isolato dal resto della camera solo grazie ad una tendina, era decisamente piccolo, quadrato e compatto.
Solo allora mi accorsi che, effettivamente, c’era qualcosa che non andava.
- Perché c’è un solo letto?- domandai, confusa.
- Perché le altre stanza costavano troppo.- spiegò semplicemente Kakuzu – Ora togliti i pantaloni.-.
- P-prego?- balbettai, rossa in viso.
- Ti devo visitare le gambe.-.
Tirai un sospiro di sollievo.
Ok, forse Hidan non era l’unico a cogliere sempre il doppio senso della situazione.
- Su, da brava gattina, togliti i pantaloni....- mi canzonò quest’ultimo, avvicinandosi.
Probabilmente, in quel momento, dovevo aver assunto tonalità psichedeliche.
- B-bè i-io n-n-non credo prop-rio che sia il c-caso!- iniziai impacciata, agitando le mani.
Non esisteva che mi spogliassi di fronte a loro due!
- Hidan perché non vai a farti un giro?- gli consigliò l’altro.
Ero io che non avevo capito bene o quella non era una vera e propria domanda?
- Proprio ora che cominciavo a divertirmi!- si lamentò lui melodrammatico, uscendo.
Chissà... magari sarebbe andato a far compagnia alla signora anziana. Lei sarebbe stata sicuramente contenta!
- Ora puoi toglierti i pantaloni.- ripeté l’altro.
Che dovevo fare? Non me ne andava proprio di svestirmi davanti a lui...
Mi lanciò un’occhiataccia raggelante, che cancellò ogni mio dubbio.
- V-va bene...- mormorai, cercando, goffamente di sfilarmi gli indumenti.
Non ce la facevo, era più forte di me, a breve sentivo che sarei morta per l’imbarazzo.
Come se non bastasse Kakuzu, che probabilmente non si era accorto di tutto il mio disagio, prese a tastarmi le gambe.
Mentre per lui, probabilmente, era una cosa normale a me sembrava leggermente un vecchiaccio pervertito.
Effettivamente avrebbe formato una bella coppia con la nonnetta di poco prima. Infondo, l’età c’era no?
Anche se quest’ultima preferiva il suo compagno di squadra.
Spalancai la bocca, sconvolta.
Il triangolo no! Non l’avevo considerato!
- Fai in fretta!- lo pregai – non mi ero mica dimenticata di quello che mi stava facendo-.
- Sono abituato a curare gli arti quando vengono amputati.- mi fece presente – Posso sempre staccarti le gambe e ricucirtele, ci metterei molto di meno.-.
Fatto sta che, alla fine, l’unica cosa che poté fare fu una sottospecie di ingessatura di fortuna, che non alleviò di molto il dolore.
Quando anche l’albino tornò dovemmo affrontare il problema “dormire”.
Il letto era uno e noi dovevamo starci in tre.
- Io non ci dormo vicino a Kakuzu!- disse prontamente l’albino, anticipando un mio: – Penso che andrò a dormire nella doccia-.
L’avaro gli scoccò un’occhiata indignata.
Povero, nessuno lo voleva vicino!
- Io non ho problemi.- mormorai afflitta, dato che lo sguardo seccato del tesoriere si era posato su di me.
Sinceramente io ce li avevo i problemi, eccome se ce li avevo.
Hidan proruppe in una risata agghiacciante.
- Allora tu stai in mezzo.- sbiascicò tra un singulto e l’altro – Però fai attenzione, Kakuzu è un morto di figa. Chissà da quanto tempo è che non tocca una donna!-.
Sentii qualcosa appoggiarsi sulla mia spalla.
- L’ho appena fatto.- fece l’altro, la voce atona.
- Ad ogni modo, attenta ai suoi tentacoli.- mi sussurrò all’orecchio l’albino, mentre ci sistemavamo sul letto.
- Ma dove vuoi che li metta i suoi “tentacoli”?- sospirai io, esasperata.
- Eh, appunto!- rise lui.
Mi passai una mano sul viso, sempre più sconvolta di prima.
Effettivamente, dormire nella doccia – o anche nel pozzo che occupava il giardino- sarebbe stato più piacevole.

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


Capitolo 27:
Passai una notte di puro terrore.
Non appena mi misi sotto le coperte mi voltai su un fianco, dando le spalle all’albino – sicuramente non sarei riuscita a dormire avendocelo davanti-.
Era davvero troppo per me.
Già il fatto che mi stesse a meno di un metro di distanza non aiutava l’attività già precaria dei miei neuroni.
Non appena lo feci che anche Kakuzu si mise steso su un fianco, puntando i suoi occhi fissi su i miei.
Presi a sudare freddo.
Nel buio della stanza le sue pupille verdi spiccavano come due fari, terrorizzandomi.
Non sarei riuscita a chiudere occhio se mi osservava in quel modo.
Optai per sdraiarmi a pancia in su, ma, prima che potessi farlo, due braccia mi afferrarono da dietro.
Non feci in tempo a pensare “Sono in paradiso!” che Hidan prese a sussurrarmi all’orecchio:
- Oh, grande Jashin-sama, si! Oggi ucciderò tutti gli eretici che vuole. Si, li sbudellerò senza pietà, non si preoccupi. Cazzo se li sbudellerò!- seguii una risata agghiacciante – Li trapasserò da parte a parte fino a trasformarli in scolapasta umanoidi!-.
Deglutii a vuoto, rabbrividendo.
Perfetto, ci mancava solo che l’albino parlasse nel sonno.
Intrappolata in quella sottospecie di abbraccio non potevo muovermi e non mi restava che continuare a fissare le iridi di Kakuzu, in attesa che quest’ultimo decidesse di lasciarsi andare tra le braccia di Morfeo.
Cosa che non avvenne.
Si, avete capito bene.
Passai la notte fissando l’avaro nelle palle degli occhi con Hidan che mi urlava nelle orecchie che avrebbe sicuramente ucciso degli eretici.
Arrivata ad un certo punto, purtroppo, mi era anche venuta la ridarella perché mi ero immaginata come potesse essere quella situazione vista da fuori.
Così, in preda agli spasmi e con le lacrime agli occhi, arrivò la mattina.
Di conseguenza mentre io – e anche Kakuzu nonostante cercasse di non darlo a vedere- sembravamo due bradipi nel pieno del letargo – i bradipi vanno in letargo?- Hidan era fresco e riposato come una rosa.
Partimmo subito dopo aver consumato la colazione, se tale si può definire un bicchiere scarso di latte, nonostante l’anziana signora aveva insistito tanto perché rimanessimo.
- E’ ritornato il tuo potere?- mi domandò Kakuzu ad un tratto.
Incredibile ma vero: in quel villaggio, se tale può essere definito uno sprazzo di cemento con quattro edifici in croce, non c’era neanche l’ombra di una cartina che ci potesse dire dove ci trovavamo e quindi eravamo bloccati lì.
Gli lanciai un’occhiata assonnata.
- Boh...- sbadigliai, scrollando le spalle.
- Ma che cazzo hai stamattina?- fece allora l’albino, notando che, a breve, mi sarei addormentata tra le sue braccia –alla fine era toccato a lui portarmi -.
Non appena mi aveva sfiorata – nonostante mi fosse rimasto appiccicato per tutta la notte- ero stata colta da un tremendo capogiro che sarebbe finito con me che volavo via perdendo sangue dal naso se non fossi stata così rimbambita da cadere a terra. Si, abbandonando ogni qualsivoglia sprazzo del mio –ormai scarseggiante- orgoglio, ero caduta ai suoi piedi.
Infondo, chi avrebbe potuto resistere a cotanta magnificenza?
- N-non ho dormito molto.- balbettai, rivolgendo lo sguardo altrove.
Non potevo guardarlo in faccia ad una simile vicinanza ed uscirne incolume.
Strinsi i pugni: dovevo trattenermi.
Il sole era sorto da poco e, per strada, sonnecchiavano placidamente diversi uomini ubriachi.
Certo che era proprio un bel posto...
- Io ho dormito come un sasso.- sorrise lui ed io ne rimasi abbagliata.
Era troppo pretendere che io potessi resistere ad uno spettacolo del genere di mattina presto.
Solo allora me ne resi conto, la verità era così sconvolgente che per un attimo rischiai di esserne travolta.
Io...non ero ancora saltata addosso ad Hidan! Non l’avevo fatto, mi ero trattenuta!
Nonostante ci avessi pure dormito insieme non mi ero avvinghiata a lui come una cozza – in compenso lui aveva provveduto a rimediare-!
- Suppongo che tu ti stia concentrando per creare un vuoto spazio-dimensionale...- constatò l’avaro.
- G-già!- risposi, tornando in me.

Nel frattempo in una delle stanze di uno dei covo di Orochimaru una ragazza era sdraiata comodamente sopra un letto.
Poche ore prima aveva finalmente incontrato quel vecchio bavoso del serpente.
Era curiosa di scoprire come facesse una persona del suo rango a sopportare quel rammollito di Kabuto.
Effettivamente, doveva avere proprio una gran forza di stomaco.
Insieme alla serpe, con la faccia di chi avrebbe preferito trovarsi ovunque tranne che lì, aveva incontrato anche Sasuke Uchiha.
Come aveva avuto modo di appurare stando a casa di Ambra il ragazzino dai capelli neri-bluastri non era un tipo molto alla mano.
Convincere lui sarebbe stata certamente l’impresa più difficile, ma sperava, perlomeno, di avergli fatto una buona impressione.
Non perché gli piacesse, nossignore: trovarsi un ragazzo, in quel momento, era l’ultima delle sue priorità.
Non che il piccolo Uchiha fosse brutto, anzi, era veramente un bel pezzo di ragazzo, forse un po’ troppo fissato con la vendetta per i suoi gusti.
Il motivo per cui voleva attirare la sua attenzione era perché sperava che, dopo aver accoppato Orochimaru, la reclutasse nel suo team.
Fuko non nutriva grandi speranze nella vecchia serpe: nonostante lui gli avesse promesso di farle incontrare Ambra a patto che lei entrasse tra le sue fila ci credeva veramente poco.
Aveva accettato solo per incontrare Sasuke: infatti lui, con la sua maniacale ossessione verso il fratello, l’avrebbe condotta dritta dritta nell’Akatsuki e lei sarebbe andata a riprendersi il suo vecchio corpo, con la forza se necessario.
Bene, ora non restava fare altro che lasciarsi fare il segno maledetto e aspettare la morte di Orochimaru.

Fuko:
L’atmosfera familiare del covo ci – mi- travolse, ricordandomi di come mi erano mancati i miei due compagni di squadra, che, ora, si trovavano proprio davanti a noi.
Ce l’avevo fatta...oh si se ce l’avevo fatta! Yahoo! Mi sentivo fiera di me!
Quando li vidi mancò poco che starnazzassi al suolo e, strisciando, mi precipitassi ad abbracciarli.
Ma io ormai ero maturata, no? Ero in grado di controllare le mie reazioni adesso.
Si, certo...non ci credevo neppure io.
- Andavate da qualche part...-.
A smorzare la mia domanda, Hidan, mi mollò a terra come un sacco di patate, facendomi sbattere le gambe così violentemente che ci mancò poco che non mi mettessi a piangere come una bambina, tirando delle bestemmie che avrebbero fatto anche impallidire l’albino.
- Pesi più di quello che sembri gattina.- si lamentò, scavalcandomi senza tante cerimonie.
Lui e Kakuzu mi sorpassarono, senza neanche salutare i due artisti, e si diressero chissà dove.
Ora, non che mi aspettassi abbracci, bacini e strette di mano tra loro, ma un “ciao” sarebbe stato come minimo educato.
- Che ti sei rotta questa volta?- mi domandò il rosso, sentendomi piagnucolare.
- Le gambe...- dissi indicandole – L’oca non mi ha presa in simpatia.-.
- Ancora quella lì?- ridacchiò il biondino, molto solidale.
Gonfiai le guancie, incrociando le braccia al petto.
- Guarda che fa male!- gli feci presente, ma non parve cogliere il mio dolore.
Sbuffai: non mi aspettavo mica che si precipitassero da me tutti preoccupati, ma un minimo di interessamento ci stava.
Senza proferire parola mi trascinai, letteralmente, in camera per poi issarmi sul letto.
- Questa volta mi ero preparata in modo che Kakuzu non potesse chiedere di spogliarmi.- ridacchiai, più rivolta a me stessa che ai due che, allibiti, mi osservarono.
In effetti, in previsione di un’altra visita, avevo indossato un paio di pantaloncini corti.
Infondo era sempre meglio di girargli attorno in mutande, no?
- Kakuzu ha allungato i tentacoli, uhm?- fece sconvolto Deidara.
Ce l’avevano tutti con i suoi tentacoli? Per quale motivo?
- No, diciamo che si è solo limitato a “visitarmi”.- spiegai, mimando delle virgolette – AHIA!- urlai – ‘Ri-senpai cerca di essere più delicato!-.
- Se stai ferma sarebbe più facile.- sbuffò esasperato il marionettista, mentre mi liberava dalle garze.
Rabbrividii: le gambe di Fuko erano terribilmente nere.
- Se il mio bellissimo corpo venisse ridotto in questo modo come minimo collasserei...- mormorai sovrappensiero, pensando alla vecchia me.
Chissà cosa stava facendo Fuko in quel momento?
- Fu, tu sei narcisista?- chiese ad un tratto Deidara.
Sospirai pesantemente, irritata.
Andava sempre così: dopo un po’ che la gente mi conosceva, mi poteva quella domanda.
Ma io dico...perché?!
- No che non sono narcisista!- sbottai indignata – Me lo dicono sempre ma, insomma! Se sono bella non è colpa mia!- poi mi bloccai – Perché me lo chiedi?-.
Il biondo rimase interdetto per qualche istante.

Deidara:
Forse lo faceva inconsciamente o forse era davvero stupida, fatto sta che a quanto pareva non se ne era mai accorta.
- Perché non usi mai termini molto “modesti” per descriverti. Probabilmente tu devi avere un bel corpo se ti lamenti in continuazione del fatto che Fuko sia piatta, uhm.- dedussi.
Effettivamente, da quando era lì, ogni volta che si ritrovava davanti allo specchio assumeva un’espressione sconsolata, affranta e depressa.
- Eh?-.
- Bé, di questo te ne sei accorto quando hai visto la foto.- mi fece notare Sasori.
Gli rifilai un’occhiataccia: teoricamente lei non avrebbe dovuto essene informata.
- Quale foto?- domandò, infatti, lei.
- Già, quale foto Danna?- la appoggiai, mentre lui si rendeva conto del terribile errore che aveva commesso.
- Foto?- iniziò lui vago – Quale foto? Io parlavo di Poto.-.
- Poto?- fece eco lei.
- Il suo...cane.- mi inventai di sana pianta, guadagnandomi due occhiate dubbiose.
- ‘Ri-senpai, hai un cane?- chiese Fuko titubante.
- E’ morto.- spiegò Sasori – Deidara l’ha fatto esplodere.-.
- Ma non è vero!- sbraitai io, ma il suo sguardo mi fece ricredere – Ah...già...lo stavo confondendo col gatto.-.
- ‘Ri-senpai, hai un gatto?- domandò lei, ancora più confusa di prima.
- Si.- rispose – Si chiamava Pante, è morto anche lui.-.
- Che gli è successo, uhm?- domandai curioso.
- Si è strozzato mangiando il canarino.- borbottò irritato dal mio intervento.
- ‘Ri-senpai, hai un canarino?-.
- Si.-.
- Come si chiamava?-.
- Non aveva un nome. Il gatto l’ha mangiato prima che potessi pensarci-.
Arrivati a questo punto non riuscivo quasi più a trattenere le risate.
Fuko osservava Sasori basita, mentre questo cercava di ostentare disinteresse quando si vedeva benissimo che era a disagio.
- Per non parlare dei pesci ros...- iniziai, ma una poderosa occhiataccia del rosso mi smorzò le parole in gola.
Come non detto...

Fuko:
La sera arrivò presto.
Hidan e Kakuzu se n’erano andati nel pomeriggio per prendere parte ad una nuova missione.
Poverini! Erano appena tornati e già dovevano partire!
Era in quei momenti che mi sentivo orgogliosa del mio essere un’inetta: almeno potevo starmene senza far nulla!
Sasori era stato così gentile da costruirmi due stampelle di legno e, finalmente, dopo due giorni – uno e mezzo veramente- potevo tornare a camminare per conto mio.
Zompettavo per il covo cercando di imparare ad utilizzare quei “cosi” quando una strana voce proveniente dal salotto attirò la mia attenzione.
Quel tono terribilmente deprimente e monocorde poteva appartenere ad una sola persona.
- Pain!- esclamai stupita, vedendolo in piedi, rigorosamente arcobalenizzato, davanti ai due artisti che lo ascoltavano attentamente – Cosa ci fai qui?-.
I tre si voltarono verso di me, facendomi trasalire.
Cosa accidenti avevano da guardare?
- Sei riuscita a “salvare” Hidan e Kakuzu.- iniziò dopo alcuni attimi di silenzio il mio capo.
Io annuii, sospettosa.
- Brava.- disse allora, sconvolgendomi.
Brava?
Mi veniva quasi da piangere! Fino a quel momento nessuno pareva apprezzare i miei sforzi!
- Grazie!- sorrisi, tutta gasata.
- Ho una brutta notizia.-.
Tutto l’entusiasmo che avevo provato fino a quel momento venne totalmente demolito da quell’affermazione.
Lanciai uno sguardo confuso a Deidara che, appena mi vide, prese a fischiettare, ostentando indifferenza.
Sasori, invece, mugugnò qualcosa del tipo: - Vado a sistemare le mie marionette- prima di scomparire oltre la soglia della porta, seguito a ruota dal biondino.
Perché mi sembrava che avessero fretta di andare da lì?
- Orochimaru ha reclutato Fuko.- spiegò a bruciapelo, facendomi spalancare la bocca.
Fuko? La vera Fuko? La Fuko che in quel momento si sarebbe dovuta trovare a casa mia con il mio corpo? In quel momento era con quella viscida serpe smagrita di Orochimaru?
- Non fare quella faccia disgustata.- mi riprese il capo.
Già, probabilmente la mia espressione era passata dal “Cheeeee?” al “No, non voglio che il mio corpo respiri la stessa aria di quel mostro!”.
- Perché Fuko è qui?- chiesi spaesata – Insomma, non doveva trovarsi nel mio mondo?-.
- Orochimaru ha utilizzato una tecnica per riportarla in questo mondo. Anche lui si era interessato molto a te, per il tuo potere.-.
Perfetto, quindi, se non fossero venuti loro a prendermi ci avrebbe pensato la brutta imitazione di Lord Voldemort? Dovevo ammettere che ero sinceramente felice che loro l’avessero battuto sul tempo.
- E-e quindi che....- balbettai, incapace di articolare una frase di senso compiuto.
Che si faceva? Come stava Fuko? Come stava la mia famiglia?
- Probabilmente ora tenteranno di arrivare a te.- continuò a spiegare il mio capo – Dovrai fare molta attenzione quando uscirai per le missioni.-.
Deglutii.
Il solo pensiero di ritrovarmi faccia a faccia con quel tizio e il suo lecchino mi dava il voltastomaco: era una sensazione che faceva accapponare la pelle.
Feci un respiro profondo, cercando di trovare il lato positivo della faccenda.
- Pain!- lo chiamai esaltata, dopo poco – Se lei è qui significa che posso ritornare nel mio corpo?-.
Quello si che sarebbe stato un buon motivo per buttarmi tra le braccia della serpe.
- Si, ora che si trova qui posso farlo, ovviamente se la riesci a portare da me.- disse risoluto.
Ci mancò poco che non balzassi addosso alla sua figura incorporea.
- Pain, ti voglio così bene che potrei mettermi a piangere!- cinguettai, senza il minimo senso del pudore, saltellando sul posto.
- Ambra, tu stai già piangendo.- mi fece notare cinico – Ad ogni modo penso che sia arrivato il momento di spiegarti una cosa.-.
Sbuffai, palesemente seccata.
Possibile che ogni volta che mi ritrovavo felice lui trovava subito un modo per smontarmi?
- Riguardo cosa?- chiesi, sospetta.
Non è che gli era venuta l’idea di rispedirmi a calci dove non batte il sole a casa mia, eh?
- Riguarda il tuo potere, c’è una cosa che non ti ho detto-.

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Capitolo 29
*** Capitolo 28 ***


Capitolo 28:
Deidara:
- Secondo te come reagirà, Danna?- domandai perplesso al rosso che, in quel momento, stava lavorando su un “ammasso di legno non ben identificato”.
Erano diversi minuti che avevamo lasciato Fuko e Pain soli in quella stanza e ancora non avevamo percepito neanche un urletto isterico da parte della ragazzina.
Questa era una cosa veramente preoccupante.
- Non lo so.- rispose Sasori, armeggiando con uno strano coltello.
Non riuscivo a capire come facesse a dimostrarsi così tranquillo e freddo anche in una situazione del genere. Era una cosa veramente irritante.
Probabilmente, avrebbe finito per odiarci. Si, doveva sicuramente essere così.
Non le avevamo raccontato la verità e avevamo anche preteso che lottasse per salvarci.
Effettivamente l’idea di ingannarla non era stata delle migliori, ma il capo aveva ritenuto che fosse meglio così.
Dicendole che poteva fare quello che voleva soltanto desiderandolo, infatti, temeva che lei potesse mandare a quel paese l’organizzazione e fare di testa sua.
Ora invece, dopo che – secondo il capo- lei si era affezionata a noi, non avrebbe più potuto farlo.
- EEEEEEEEEEEEH?!-.
Il suo urlo sconvolto risuonò per tutte le pareti del covo.
Io e il marionettista rimanemmo in ascolto, cercando di capire cosa stava facendo in quel momento.
L’unica cosa che riuscimmo a sentire furono i suoi passi “leggiadri” e, dopo poco, il rumore di una sedia che si spostava.
Insospettito uscii dal mio nascondiglio – per una volta il rosso mi aveva concesso di entrare nella sua stanza- e mi diressi dalla cucina, da dove sentivo provenire dei rumori sospetti.
- Fu, tutto bene?- domandò il rosso che mi aveva seguito.
Ci affacciammo dalla porta: la ragazza era china sul tavolo, la testa appoggiata sulle mani.
Stava...piangendo?
Non feci in tempo a muovere un passo che la ragazzina si voltò verso di me.
- Secondo voi posso far comparire un gelato?- mi chiese ingenuamente, lasciandomi spiazzato.
- Un gelato...- ripetei, cercando di accettare se, effettivamente, avesse detto proprio quella parola.
Lei annuì, convinta.
- Non un gelato qualsiasi però!- fece, con tono cospiratorio – Ne voglio uno gigantesco, ricoperto di panna e con una ciliegina sulla cima! Ho sempre desiderato mangiarne uno così!- esclamò trasognante.
Vidi Sasori passarsi una mano in faccia, esasperato.
Quasi sobbalzai vedendo che, semi nascosto sotto il suo palmo, un sorriso increspava le sue labbra.
Sbuffai: ora mi erano anche venute le visioni! Maledetta mocciosa!
- Uffa, ma non ci riesco! E ti pareva che anche questo potere era una ciofega?- sbottò la biondina, alzandosi di scatto dalla sedia – E per di più adesso Fuko sta con Orochimaru e, oddio, con quello stupido Uchiha che prima uccide Itachi e poi lo vuole vendicare, ma io dico?- iniziò a borbottare, percorrendo a grandi passi la cucina – E tra poco DeiDei si farà esplodere e se ci riesce Tobi gli fotterà il posto. Quel maledetto lecca-lecca gigante...Non mi sembra che stia andando proprio nulla come voglio io!-.

Diverse settimane dopo...
Fuko:
Ero nuovamente da sola.
Pain aveva mandato Sasori e Deidara a catturare il Tricoda ed io ero stata mollata al covo che, potevo giurarlo, non era mai stato così vuoto e freddo.
Che tristezza...neanche mangiare tutte le schifezze possibili ed immaginabili che ero riuscita a trovare là dentro mi aveva messo di buonumore.
Guardai affranta la superficie del tavolo ormai ricoperta da bicchierini di vetro e scodelle.
Avevo dato fondo alle nostre scorte ed in più mi toccava anche ripulire.
- Che palle però!-.
- Ambra-chan, ciao!- mi salutò qualcuno, facendomi eseguire un triplo salto mortale dalla sedia che avrebbe costretto anche l’indifferenze signore delle marionette a complimentarsi con me una volta tanto.
Atterrai accanto al muro – probabilmente se non fosse stato per le stampelle che avevano attutito la caduta le mie gambe rotte non mi avrebbero sorretta-, su cui mi schiacciai il più possibile una volta che individuai la fonte del suono.
Davanti a me, senza la cappa dell’Akatsuki – ovvio dato che non era ancora crepato nessuno- ed una ridicola maschera arancione c’era Tobi, o meglio, c’era la versione rincitrullita di quello che un tempo veniva chiamato Madara Uchiha. Ovvero il personaggio per eccellenza che più mi faceva paura.
- Oh porca di una miseria...- sussurrai, neanche tanto piano.
Il fatto che fosse riuscito a venirmi così vicino senza che me ne accorgessi mi doveva dare da pensare: o io ero veramente scarsa come ninja o lui era dannatamente abile sotto quella finta maschera da imbecille.
- Non essere spaventata!- iniziò lui.
- O-ok, fino a che ha la voce da idiota va tutto bene!- pensai sollevata, ma non potei fare a meno di arretrare nuovamente, quasi volessi entrare dentro al muro.
- Tobi is a good boy.- mi rassicurò, ma ciò non fece altro che spaventarmi maggiormente.
Terrorizzata a morte – prima mi compariva alle spalle e poi pretendeva di instaurare un dialogo - afferrai la prima cosa che mi capitò a tiro – un piatto - e glie lo scagliai contro.
Nonostante quello gli fosse passato attraverso io non mi rassegnai e cominciai a tirargli addosso tutte le stoviglie che avevo a portata di mano seguite a ruota dalle sedie, il tavolo e il divano – come avevo fatto a sollevarlo non lo sapevo neanche io...sarà stato l’stinto di sopravvivenza-.
Dopo che gli ebbi rivoltato contro l’intera mobilia della cucina lui era ancora illeso mentre io ero distrutta per lo sforzo.
- Davvero Ambra-chan, calmati!- tentò, ma in quel momento il mio cervello non faceva che dirmi di scappare.
Mi guardai intorno, smarrita: non c’era niente che potessi usare per malmenarlo.
Solo allora mi venne l’illuminazione.
Di corsa presi a frugare in un cassetto e ne tirai fuori una mannaia da cucina – la mia mannaia da cucina, tra l’altro-.
- C-cosa vuoi fare con quella?- domandò preoccupato, come se non sapesse che io sapessi – gioco di parole- che lui era Madara e che non potevo fargli un fico secco.
Determinata come non mai partii all’attacco contro di lui che, per schivarmi, mi lasciò aperto un passaggio.
Come un fulmine percorsi la distanza cucina- uscita del covo nel modo più veloce che potessi fare con due gambe rotte ma, proprio quando pensai di essere salva, qualcosa mi si parò davanti. Qualcosa di dannatamente simile ad un cavolo con la faccia.
L’urlo che piantai fu così forte che Zetsu fu costretto a tapparsi le orecchie.
Arretrai nuovamente rischiando, per altro, di spaccarmi il collo cadendo dalle scale.
In quel momento, dalla parte opposta del corridoio, arrivò anche Tobi.
- Sono fottuta...- pensai terrorizzata.
Dando sfoggiò delle mie grandi capacità ninja voltai le spalle alla pianta umanoide – non era lei che mi preoccupava- e mi rivolsi verso Madara incrociando le dita fino a formare una croce.
- Vade retro! Vade retro, Satana!- cercai di esorcizzarlo.
- Ma sta bene?- sentii chiaramente dire dalla parte bianca di Zetsu che, probabilmente, doveva trovare la situazione molto esilarante dato che si era messo a ridere senza il minimo tatto.
Io me la stavo per fare addosso dalla paura e lui sghignazzava senza ritegno? Era deciso: quella pianta andava estirpata. E dire che, almeno da disegno, Zetsu mi stava simpatico!
- Esci da questo corpo!- continuai, ignorando l’altro membro dell’Akatsuki.
Ci mancava solo che cominciassi a tirargli contro l’acqua santa e stavamo apposto.
- Calmati! Sono venuto solo perché volevo conoscerti!- m’informò Tobi, la voce ancora, per fortuna, strana ed acuta.
- Io sono Ambra, molto piacere.- mi presentai, velocemente – Ora ci conosciamo. Quella è la porta, fai attenzione sulla via del ritorno, dovunque tu voglia ritornare.-.
Detto questo girai i tacchi e mi andai a chiudere in camera mia: magari avrebbe afferrato il concetto e si sarebbe deciso a levare le tende.
Ovviamente no dato che mi seguì persino lì dentro.
Bé, almeno, ora che avevo vicina la mia falce mi sentivo più tranquilla: anche se, molto probabilmente, l’unica cosa d’effetto che avrei potuto fare era usarla per tagliarmi la gola per conto mio.
- Ambra-chan! Non devi avere paura di me!- ripeté per l’ennesima volta.
- Tobi is a good boy!- conclusi per lui, in un’imitazione veramente scarsa.
Ok, mi ero pure messa a prendere in giro Madara Uchiha, io non stavo bene. Ero proprio masochista.
Tobi mi lanciò un’occhiata confusa da sotto la maschera – o almeno credo-.
Bene, ora mi rinchiudeva in un illusione e mi pestava a morte. Grandioso!
Puntai lo sguardo altrove, cercando di pensare a qualcosa di più piacevole al fatto di avere un Uchiha potenzialmente assassino a meno di due metri di distanza da me.
Mi soffermai sulla scrivania dove, in bella mostra, risiedeva un po’ dell’argilla esplosiva di Deidara: chissà, magari avrei potuto lanciargliela addosso per distrarlo...No, probabilmente sarei riuscita solo a rovinare il parquet.
- Allora? Cosa c’è?- squittii.
Quasi quasi aprivo un vuoto spazio-dimensionale e mi ci lanciavo dentro.
- Non devi per nessuna ragione uscire dal covo.-.
Le parole del capo mi risuonarono nella testa, ricordandomi della stupida promessa che avevo fatto pensando: - Ma che cosa mai potrebbe accadermi?-.
Non potevo prevedere di rimanere chiusa dentro alla mia camera con Madara Uchiha.
Il fatto che Tobi fosse andato a chiudere la porta a chiave doveva seriamente mettermi in allerta.
Probabilmente avrei dovuto pensare ad una cosa del tipo:
- Questo qui mi fa nera! Mi tortura con lo sharingan!- all’incirca.
Ma non riuscivo a pensare ad altro che:
- Brutto vecchio maniaco pervertito! Ora questo mi stupra!-.
Deglutii a vuoto.
Stare con Hidan mi aveva reso un po’ troppo incline a fare sempre, e dico sempre, certi pensieri.
Mi misi dietro al letto di Deidara, tentando, inutilmente, di riacquistare un po’ di sicurezza.
- Ambra...- iniziò, facendomi sobbalzare.
Cazzo no! Il tono di voce serio no!
Il cuore prese a pulsarmi così velocemente che, se non avesse pensato lui a sterminarmi, sarei morta per conto mio d’infarto.
Tentai inutilmente di calmarmi.
Quello mi uccideva. Quello mi faceva completamente fuori.
- Perché fai quella faccia?- mi domandò, alludendo probabilmente alla mia espressione alla: “Urlo di Munch”.
Io scossi la testa, senza sapere cosa dire.
“ La prego, non mi ammazzi ora! Perché non ci prendiamo un té con le tazzine con cui ho cercato di ucciderla?”.
- Il motivo per cui sono venuto è Itachi.- annunciò – Tu sai del mio piano, giusto?- mi chiese e, senza aspettare che rispondessi, continuò – Dunque, capirai che, con Itachi in vita, attuarlo non sarà possibile. Il motivo per cui ho ordinato a Pain di richiamarti qui è quello di preservare la vita dei membri dell’Akatsuki, ma devi lasciare che Itachi muoia per mano di Sasuke.-.
- Ma povero Itachi!- esclami involontariamente, alzando il tono di voce di qualche ottava.
L’occhiata che mi rivolse era palesemente chiara: - Tieni più alla tua o alla sua di vita?-.
Ciò provocò una mia lenta – e neanche tanto- ricaduta.
Da “persona spaventata ma che cerca di tirare avanti in qualche modo” passai a “persona decisamente terrorizzata che non sa più cosa fare per salvarsi la pelle”.
Mi dispiaceva per Itachi, insomma, povero cucciolo! Io non volevo che morisse!
Dato che, però, infondo lui lo voleva fare e Madara mi avrebbe uccisa se non glie lo avessi permesso probabilmente era il caso di lasciare che il destino facesse il suo corso.
Ma non potevo semplicemente girarmi da un’altra parte mentre quel povero Uchiha – l’unico di quella stramaledetta famiglia che non odiavo- si decidesse a tirare le cuoia.
- Cosa rispondi?- mi domandò seriamente incuriosito il lecca lecca, che nel frattempo si era comodamente seduto sul mio letto.
- Pesano gli anni, eh?- ridacchiai io, prima di schiaffarmi una mano sulla bocca.
Perché cazzo avevo detto una cosa del genere?
Il fatto che l’Uchiha non si mi avesse ancora malmenata con l’attaccapanni che risiedeva placidamente accanto a lui dopo un’affermazione del genere era, in un qualche modo, rassicurante.
O lui, prima di venire qui, si era fatto un intruglio di camomille e tisane, si era preso del valium, aveva dei tappi alle orecchie o era la volta buona che il mio potere funzionava.
Si, certo! Da quando in qua mi succedeva? Era ovvio che Madara doveva essersi fatto una lunga doccia di pazienza.
- Prego?-.
- Ignorami, sono stupida. Credimi, sono veramente un’idiota.- sospirai io, passandomi una mano sulla faccia.
- Ci credo.- mi assicurò, guadagnandosi una mia occhiata adirata che, probabilmente, in confronto a quelle che mi stava lanciando lui da sotto la maschera, era uno sguardo alla Bambi.
Che fai brutto imbecille prendi per il culo?
Mi limitai ad annuire, incassando, silenziosamente – almeno per una volta- il colpo.
- Allora?- m’incitò, incrociando le braccia.
- Allora cosa?- ripetei io, scocciata.
- Hai intenzione di aiutarmi?-.
- Oh...la cosa di Itachi...- mormorai, ricordandomene improvvisamente.
Bè, secondo me, mio caro Madara, questo non è il modo giusto per rapportarsi con il mondo.
Perché fare una guerra? Perché riunire tutti i bijuu se essi sono stati accuratamente divisi in passato?
Insomma, ci sarà un motivo se quel povero Cristo con il Rin’negan – l’antenato di tutti gli shinobi- li aveva divisi, no?
Il fatto che lui si fosse alzato, mi terrorizzò a morte.
Se stava venendo verso di me non era, evidentemente, per vedere chi dei due era più alto – anche perché era palese che lui mi sovrastasse largamente-.
Zompettai goffamente sulle stampelle, cercando di allontanarmi dalla sua figura opprimente mentre, involontariamente, cominciavo a lanciare sguardi smarriti per la stanza.
Non c’era nulla di vivo che sarebbe potuto venire in mio soccorso lì dentro e nutrivo seri dubbi che Zetsu venisse a salvarmi.
Dove accidenti erano Deidara e Sasori quando mi servivano? Anzi, per quale cavolo di ragione sparivano proprio nel momento del bisogno?
Mentre ero occupata a lanciare imprecazioni contro i due artisti non mi accorsi che Tobi mi era arrivato decisamente troppo vicino.
- Calmati e dammi una risposta.- mi ordinò, mettendomi una mano sulla spalla.
Non feci in tempo a pensare a cosa quell’azione avrebbe potuto portarmi che avevo già fatto la cazzata, tanto per cambiare.
Mi dissi solo:
- Cavolo! Ora è tornato un corpo solido!- prima di tirargli un’immane “stampellata” nei gioielli di famiglia.
Si, avevo appena castrato Madara.

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Capitolo 30
*** Capitolo 29 ***


Capitolo 29:
Covo di Orochimaru...
La ragazza dai lunghi capelli castani incrociò le braccia al petto, inarcando, sdegnata, un sopracciglio.
Rimase ad osservare il vuoto mentre, dietro di lei, riecheggiavano i passi di Sasuke Uchiha.
- Quel brutto bastardo di un Uchiha!- pensò lei sdegnata, voltandosi verso la figura del ragazzo che si allontanava.
Che aveva in testa quello scoiattolo dai capelli sparati? Come osava ignorarla?
Senza perdersi d’animo lo raggiunse, tirandolo per il kimono, se tale poteva essere definito quel “coso”...
Assomigliava più ad un accappatoio di Rocco Siffredi, ecco.
La ragazza sbuffò: stare nel corpo di Ambra le faceva venire in mente strane cose.
Era veramente irritante avere un accesso completo ai suoi ricordi dato che questi, la maggior parte delle volte, influenzavano la sua personalità.
Sasuke lanciò un’occhiataccia irritata – o almeno così pensò lei, dato che lo sguardo del moro non faceva trasparire nessuna emozione- alla sua mano, per poi alzare gli occhi verso i suoi.
Probabilmente pensava che così l’avrebbe intimorita.
Fuko sbuffò, sorreggendo il suo sguardo.
Voleva fare a chi rideva prima? L’avrebbe accontentato, ma almeno doveva ascoltare ciò che lei aveva da dirgli.
- Allora, Sas’ke.- ridacchiò lei, rimarcando per bene il soprannome che era solita usare la proprietaria di quel corpo – Ho un patto da proporti.-.
Il ragazzo in questione se ne fregò altamente e, dopo essersi liberato dalla sua presa, ricominciò a camminare.
- Senti un po’ brutta testa di cazzo, ma chi ti credi di essere?!- urlò adirata Fuko, facendolo fermare – Oh, no! Che ho fatto? Ho dato della “testa di cazzo” ad un Uchiha!- fece sarcastica lei – Ora mi ucciderà!- continuò, con voce piagnucolosa.
Sasuke incassò il colpo senza fiatare e riprese a camminare, facendola arrabbiare ancora di più.
Se qualcuno le avesse detto una cosa del genere gli avrebbe come minimo spezzato la colonna vertebrale in due parti.
Come faceva lui a rimanere così indifferente?
Bene, era veramente arrivato il momento di giocarsi il tutto per tutto. Il suo ultimo asso nella manica. Se non riusciva a convincerlo con quello era veramente fottuta.
- Ascoltami e ti parlerò del motivo per cui Itachi ha sterminato il tuo clan, quella notte.-.
Lo sguardo dello scoiattolo valse più di mille parole.
- Bingo.- pensò, schioccando le labbra.

Fuko:
Oh...ooh...
Ero così sconvolta che persino imprecare mi risultava difficile, figuriamoci formulare un pensiero coerente.
Ok, avevo dato una grande randellata a Madara lì dove non batte il sole e l’avevo colpito in pieno.
Il fatto che ancora non avesse detto nulla a parte un mugolio soffocato non mi rasserenava affatto.
Questo significava che: primo gli avevo fatto male e secondo mi ero appena scavata la fossa con le mie stesse mani.
Improvvisamente l’idea di tagliarmi la gola con la mia falce divenne molto più allettante dell’essere sharingata per solo Dio sa quanto tempo dal grande Uchiha.
Quando la sofferenza di quest’ultimo parve appianarsi – nonostante avesse cercato di rimanere impassibile si vedeva lontano un miglio che essere colpiti lì faceva male- portò la sua attenzione su di me.
Sollevai appena lo sguardo – dalla falce alla sua maschera- giusto per scorgere una lucetta rossa brillare nella fessura arancione.
Ok, manteniamo la calma.
- AAAAAAAAAAAH!- iniziai ad urlare, prendendo a correre per la stanza – AAAAAAAH!- sbraitai, cercando di aprire la porta che, essendo stata chiusa a chiave, non si apriva ovviamente – AAAAAAAAH!- continuai, riprendendo la mia folle corsa per la camera, compiendo percorsi arzigogolati e parecchio insensati.
Non preoccupatevi, non mi ero definitivamente ammattita.
Stavo cercando di...temporeggiare. Si, speravo che così Madara ci avesse messo più tempo a decidere come farmi secca.
Mi fermai qualche secondo più tardi – dannata resistenza- annaspando alla ricerca di aria.
- Hai finito?- domandò lui inarcando un sopracciglio - d’accordo, questo non potevo dirlo. Diciamo che, col tono di voce che aveva usato, l’”alzata di sopracciglio” ci stava bene-.
Gli osservai le scarpe, indecisa sul da farsi.
Purtroppo non avevo molta scelta.
- La prego non mi uccida! Non era mia intenzione colpire sua eccellenza l’Uchiha in persona! Ok, forse un po’ volevo colpirla, ma non lo volevo fare veramente! No, cioè...cerchi di capirmi!- cominciai a sbraitare senza, però, guardarlo negli occhi.
Avevo una brutta, bruttissima, sensazione.
Rimasi inchinata – si, faceva male ammetterlo ma mi ero prostrata di fronte ad uno schifoso Uchiha- per quella che mi parve un’eternità.
Non sentendo alcun cenno di vita provenire dal mio interlocutore – la botta che aveva preso gli aveva causato un ictus?- sollevai lievemente lo sguardo.
Non l’avessi mai fatto.
In un secondo mi ritrovai intrappolata in quello che pareva essere una vera e propria occhiata di fuoco.
Venni percossa da un brivido tremendo ricordandomi che, effettivamente, quel bagliore l’avevo già visto una volta. Di persona.
La volta che ero svenuta per poi rinvenire nel mondo di Naruto.

“ Stavo tranquillamente scarabocchiando numeri senza senso in un foglio sperando di riuscire a trovare la soluzione di quel dannatissimo problema di geometria quando uno strano rumore di passi mi fece sobbalzare.
Mi alzai lentamente dalla sedia, cercando di captare qualche segno di intrusione.
Effettivamente non doveva esserci nessuno a casa mia in quel momento e dubitavo che il mio gatto potesse camminare con un passo così pesante.
Mi maledissi in tutte le lingue del mondo quando mi accorsi di aver mollato il cellulare in cucina.
Non avevo via di fuga a parte la finestra però, sinceramente, di buttarmi dal terzo piano non me ne andava più di tanto. Anche perché fuori faceva freddo e, casomai fossi sopravvissuta alla caduta, sarei morta per congelamento.
Bé, sempre meglio che essere trucidati da un serial killer.
Un altro rumore mi fece gelare il sangue nelle vene.
Ok, quello non me l’ero sicuramente immaginato.
Veniva dalla cucina.
Come facevo a dirlo poi, da dentro la mia camera, era un mistero.
Il più silenziosamente possibile aprii le ante del mio armadio e disertai da lì dentro quella sottospecie di tubo di ferro su cui si appendevano i vestiti – avete presente di che cosa sto parlando?-.
Sempre meglio quello come arma che niente.
Effettivamente avrei anche potuto decidere di accoltellare il presunto intruso con una penna ma ci sarebbe stato troppo spargimento di sangue per i miei gusti.
Tentai di uscire dalla stanza facendo meno rumore possibile ma, a quanto pareva, la mia cara maniglia arrugginita non lo voleva sapere proprio di assecondarmi. Fatto sta che un suono agghiacciante – che poteva far invidia persino alla colonna sonora di psyco - annunciò che la cretina aveva appena aperto la porta.
Deglutii sperando con tutto il cuore che il serial killer fosse sordo o che ,quantomeno, fosse troppo preso ad ammirare i vari quadri della cucina per sentire il fracasso che stavo facendo in quel momento.
Effettivamente dopo tutto il casino della maniglia ero solo inciampata sul gatto e avevo ribaltato un bonsai dalla mensola, nulla di che.
Questo si era anche spiaccicato al suolo e si era frantumato a terra con tutto il vaso e annessa imprecazione da parte della sottoscritta.
Poi ero finita con un piede nel secchio – fortunatamente vuoto- in cui mia madre solitamente metteva l’acqua per lavare i pavimenti e per toglierlo avevo mollato un calcio al muro da cui era venuto giù un pezzo di intonaco.
E pensare che la mia camera distava solamente due metri dalla cucina: probabilmente avrei demolito la casa se fosse stata un po’ più lontana!
Fatto sta che, ormai completamente fuori dalla missione “passare inosservati” mi diressi a passo spedito verso la mia meta, ormai convinta di essermi solo immaginata che ci fosse qualcuno.
In quel momento la mia preoccupazione più grande era come spiegare ai miei genitori il perché di tutto quel casino in corridoio.
Purtroppo però, per la prima volta in tutta la mia vita, scoprii che il mio intuito aveva fatto centro.
Appena lo vidi rimasi leggermente perplessa – ma solo “leggermente”: che cazzo ci faceva Madara Uchiha con il suo deretano spiaccicato sul tavolo dove io mangiavo ogni santo giorno? Non c’era più rispetto al giorno d’oggi...
Pian piano i miei neuroni parvero svegliarsi dal torpore che da sempre li contraddistingueva e cominciarono ad avanzare dei “perché?” quantomeno più sensati.
Come era entrato a casa mia? Perché era entrato a casa mia? Perché e come Madara Uchiha che, teoricamente, sarebbe dovuto essere il personaggio di un anime era a casa mia?
Ok, quello non era Madara ma un cosplayer che aveva sbagliato il luogo di ritrovo.
Mi affacciai leggermente dalla soglia ignorando il suo “Hey!” che avrebbe dovuto farlo passare per un giovincello.
Purtroppo non c’era nessun “Deidara/Sasori/Hidan” in vista.
Peccato...
- Che cavolo guardi?- borbottai rivolta all’arancione che, senza il minimo ritegno, mi stava squadrando da capo a piedi.
Il suo sguardo si soffermò sulla mia arma e per un attimo pensai che si fosse spaventato.
No, ovvio che no.
Se la rideva il bastardo! Anzi, sogghignava.
Come facessi a saperlo? Intuito femminile, ecco...
- Questa è casa mia...- gli feci presente, vagamente spaventata dal fatto che il mio cellulare si trovasse tra le sue mani.
- Lo so.- rispose lui, come se fosse la cosa più scontata del mondo.
- E quello è il mio tavolo.- tentai nuovamente, indicando il mobile su cui si era seduto.
Questa volta si limitò ad annuire, irritandomi ancora di più.
- Senti un po’...coso arancione...- cominciai, cercando di contenermi.
- “Coso”?- fece eco lui.
Io annuii.
- Se per te non è di troppo disturbo, potresti “gentilmente” staccare il tuo sedere dal mio tavolo e dirigerti verso la porta?-.
- Ambra, vuoi entrare nel mio mondo?-.”

Mi svegliai molto tempo più tardi, anche se, sinceramente, non mi ero nemmeno accorta di essermi messa a dormire.
Non appena cominciai a riprendere coscienza, ovvero quando iniziai a passare pigramente dallo stato dormi a quello del veglia, cominciai ad avvertire dolore ovunque come se fossi stata perforata da centinaia di aghi.
Ok, in parole povere mi sentivo uno schifo e la testa mi faceva ancora più male di quando mi ero ubriacata – maledetto Deidara!-.
Cercai di ricordarmi cosa accidenti mi era capitato: presa dalla disperazione mi ero lanciata contro il muro, frantumandolo e lasciandoci impressa la forma di me in fuga? Ero stata pestata a sangue da Madara? Mi ero chiusa tra le ante dell’armadio tentando di mimetizzarmi con l’ambiente circostante?
Le possibilità, ora che ci pensavo, potevano essere infinite: per quanto mi ricordavo potevo anche essermi messa a fare bungee jumping dal lampadario della camera.
Chissà perché, mentre tiravo fuori le più assurde motivazioni, continuavo a respingere un’idea che, fondamentalmente, pareva essere la più azzeccata.
Eppure il solo pensare di poterci pensare mi faceva paura.
Io non ero assolutamente stata sharingata da Madara, altrimenti me ne sarei ricordata no?
Oh cavolo, ci stavo pensando!
Mi alzai di scattò dal letto, sentendo ogni singola vertebra della spina dorsale farmi male, costringendomi ad una terribile caduta con intreccio finale tra le coperte.
Coperte? Come ci ero finita su un letto?
Cercai di sollevarmi ma, a quanto pareva, in quel momento avevo la stessa forza fisica di un budino gelatinoso.
Rimasi lì, la guancia spiaccicata contro il freddo pavimento e le gambe ancora sul letto, intrecciate tra le varie lenzuola del letto di Deidara.
- E morì così...- annunciai solenne, con una tonalità di voce che sarebbe stata perfetta se accompagnata da una colonna sonora drammatica – Io, Ambra Ricci, sto per informarvi delle mie ultime volontà. Io...- iniziai, ma dei passi poco distanti da me mi fecero sobbalzare.
Madara era ancora lì? Stava aspettando che mi svegliassi per darmi il colpo di grazia?
Accidenti! Messa in quel modo non riuscivo a vedere nulla!
- La smetti di dire idiozie?- fece infastidito qualcuno, afferrandomi per la vita e sollevandomi dal pavimento.
Eh si, dopo giorni di lontananza e solitudine mi ritrovavo finalmente tra le braccia del mio adorato Deidara.
La felicità fu così forte che per un momento mi dimenticai di essere ridotta peggio di un foglio di carta masticato da una capra – paragone decisamente strano- e approfittai di quella posizione per lanciargli le braccia al collo e spingerlo sul letto.
- DeiDei, sei proprio tu!- esclamai in un tono così dolce che non mi sarei sorpresa di vedere cuoricini fuoriuscire dalla mia testolina.
Lo sentii sbuffare, probabilmente infastidito dalla posizione che, effettivamente, era alquanto equivocabile.
Effettivamente da quando ero arrivata lì mi ritrovavo sempre in situazioni equivocabili.
Ma ero troppo contenta per pensarci: a breve mi sarei messa a scodinzolare.
Dopo cinque minuti buoni in cui l’artista non disse nulla – forse sperava che finisse tutto in fretta- iniziò a cercare di spingermi via.
- Fu, staccati!- disse irritato – Guarda che ti faccio esplodere!- mi minacciò.
Controvoglia abbandonai la mia posizione strategica e mi lasciai cadere a peso morto accanto a lui.
- Allora, cosa ti è successo, uhm?- domandò curioso – Che ci facevi infondo alle scale?-.
Infondo alle scale? Madara aveva anche cercato di rimuovere il cadavere – certo che poteva nasconderlo in un luogo un pochino più appartato-? O io avevo tentato disperatamente la fuga?
- Oh... diciamo che sono stata pestata a sangue da Maaaaaa...- cominciai, per poi ricordarmi che, forse, sarebbe stato il caso di tenermelo per me.
Effettivamente non sapevo neanche se mi avesse pestata a sangue o meno.
- Da Maaaaaa?- m’incitò lui, voltandosi verso di me.
- Dal manico della mia falce.- conclusi solenne.
Lui inarcò un sopracciglio.
- Non credevo che il manico della tua falce avesse spirito d’iniziativa.- mi punzecchiò, con la faccia di chi non credeva a una sola parola di quello che aveva sentito.
- Sarebbe stato più intelligente se tu avessi detto che sei caduta dalle scale.- mi fece notare qualcuno, qualcuno con i capelli rosso fuoco.
- ‘Ri-senpai!- cinguettai, tentando di andare ad abbracciare anche lui.
Proprio mentre stavo per alzarmi dal letto, però, la mia colonna vertebrale fece un suono terribile e, per un momento, pensai che si fosse staccata.
No, non volevo diventare un’invertebrata.
Placidamente mi rimisi sdraiata.
- La mia schiena!- piagnucolai affranta.
- Si può sapere che cosa è successo mentre eravamo via?- chiese Sasori, avvicinandosi.
- Q-quello che hai detto tu prima!- risposi impacciata, anche se, ovviamente, nessuno dei due mi volle credere.
- Sai...- iniziò Deidara, con un ghigno che non prometteva nulla di buono – Sei stata incosciente per diversi giorni. Dovevi venere quanto era preoccupato Danna.- lo prese in giro ma, prima di poter aggiungere qualcosa, si ritrovò la mia mannaia puntata alla gola.
Deglutii, incapace di proferire parola.
Probabilmente mi ero spaventata più io dell’artista.
- A proposito, cosa ci faceva questa sotto il tappeto della cucina?- domandò il marionettista, spostando il coltello.
- E perché il divano si trova in corridoio?-.
- Ah!- urlai, presa alla sprovvista dalla cruda realtà.
Questo era difficile da chiarire.
- Mi...mi era venuta improvvisamente voglia di cambiare l’arredamento ma...poi...poi la mannaia ha avuto il sopravvento e....-.
Cosa caspita stavo dicendo? Il sopravvento su cosa?
- Fu-chan...- scandì bene Deidara, calcando bene sul “chan” – Lo sai che non sai mentire, vero? Aspetta un attimo... che stai facendo?- disse, alludendo probabilmente alla mia espressione super concentrata.
- Vi sto suggestionando.- spiegai determinata – Non sentite l’irrefrenabile voglia di sorvolare su questo argomento?- chiesi speranzosa.
- No.- risposero i due in coro.
E ti pareva....

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Capitolo 31
*** Capitolo 30 ***


Capitolo 30:
Il rumore dei miei passi riecheggiava tutt’intorno a me, spezzando il silenzio surreale che mi avvolgeva.
Saltavo di ramo in ramo, cercando – con scarsi risultati- di mantenere intatta la forma che avevo dato qualche ora prima ai miei capelli.
Il vento continuava a frustarmi il viso, impedendomi di riuscire nel mio intento.
Probabilmente mi sarei dovuta dedicare maggiormente all’ascolto di ciò che mi accadeva intorno, anche perché ci sarebbe potuto essere qualche altro ninja in quella foresta. Anzi, i ninja c’erano sicuramente anche se me ne stavo bellamente infischiando.
Forse, però, sarebbe il caso di andare con ordine.
Quella mattina il mio adorato capo, Pain, era venuto a trovarci al covo.
Era spuntato all’improvviso – un po’ come sempre d’altronde- e se n’era uscito con l’enigmatica frase che avevamo concordato qualche settimana prima.
- Lo scoiattolo ha accoppato il serpente- aveva dichiarato con tono solenne – con il suo solito tono diciamo-.
Semplice e lineare per una che, come me, sapeva a cosa si stesse riferendo.
“Sasuke aveva trucidato Orochimaru” più o meno.
Per chi, come Deidara e Sasori, non aveva la più pallida idea di quello che poteva stare a significare poteva solo sospettare che il nostro capo si fosse fatto un bicchierino di cianuro prima di venire da noi.
Però fin qui tutto bene: Orochimaru era schiattato.
Un problema in meno in quel mondo di psicopatici.
Come avevamo deciso tempo prima, quando gli avevo spiegato della morte dei membri dell’Akatsuki, non avevamo dato ulteriori dettagli a nessun’altro componente dell’organizzazione.
Infatti, se avessimo comunicato una notizia del genere agli altri, Deidara si sarebbe impuntato come una primadonna e sarebbe andato a combattere con il giovane Uchiha.
C’era però una cosa che non avevamo previsto: il nostro piano iniziale era far finta di nulla e lasciare che il vendicatore si facesse gli affaracci suoi in giro per il mondo ma, a quanto pareva, aveva portato Fuko con sé.
Questo significava che, volente o nolente, mi sarebbe toccato incontrarlo per potermi riprendere il mio corpicino.
Maledissi mentalmente quella ragazza: non solo aveva deciso di unirsi a quel relitto umano di Orochimaru, ma ora giocava alla vendicatrice insieme a quell’idiota di uno scoiattolo.
Doveva veramente odiarmi molto...
Persa nei miei pensieri mi accorsi dell’enorme ramo che avevo davanti solo quando ci sbattei la faccia contro.
- Che maleeee!- mi lamentai, cadendo a terra.
Mi toccai il viso cercando di capire se, per caso, qualcosa si fosse alterato.
A parte i capelli scompigliati, però, sembrava andare tutto bene.
Mi alzai in piedi sistemandomi la cappa dell’Akatsuki che, per la caduta, si era completamente ricoperta di terra.
Sbuffai, stanca.
Stavo correndo ormai da troppo tempo e iniziavo seriamente a dubitare che sarei riuscita ad incontrare il team Hebi in quel modo.
Non avevo neanche la più pallida idea di dove potessero essere e, a quanto pareva, il mio piano non stava dando dei grandi risultati.
- A proposito del mio piano...- mormorai fra me e me sciogliendomi i capelli – Come cavolo fa Itachi ad averli sempre perfetti?- borbottai, legandoli più stretti.
Effettivamente l’idea di trasformarmi nella marmotta – sia santificato quest’ultimo per avermi insegnato un tale Genjutsu, anche se probabilmente non pensava che l’avrei utilizzata per rintracciare il suo adorato fratellino - era stata veramente un’idea fantastica.
Peccato che, a quanto pareva, nonostante fossi uguale a lui facevo molta difficoltà a muovermi nel suo stesso modo.
Insomma, diciamo che, più che altro, parevo la sua versione effeminata.
Ripresi a camminare tranquillamente: era inutile affaticarsi inutilmente correndo qua e là dato che, molto probabilmente, il team si trovava dall’altra parte del mondo.
Dunque tanto valeva prendersela comoda e pensare ad un modo per approcciarsi delicatamente a Sasuke: sicuramente, una volta che incontrati, avrebbe tentato di uccidermi – e ci sarebbe anche riuscito-.
Perciò, se volevamo sperare in un finale un tantino meno sanguinolento, dovevo inventarmi qualcosa.
- Fermati Itachi!- disse qualcuno, facendomi bloccare.
No cavolo! Non era possibile!
Mi voltai lentamente, sperando con tutto il cuore che il mio presentimento si rivelasse sbagliato.
Deidara, sopra ad una delle sue opere d’arte, mi osservava con uno sguardo carico di odio. Metteva i brividi.
Deglutii, cercando di darmi un contegno.
Possibile che tra tutti gli idioti che c’erano a quel mondo proprio lui dovevo incontrare in quel momento?
- Cosa vuoi, Deidara?- domandai, ostentando indifferenza.
Cosa che mi riusciva alquanto difficile.
- Ti mostrerò quanto la mia arte sia superiore alle tue abilità, uhm.- sorrise lui, senza staccarmi gli occhi di dosso.
Spalancai la bocca, con tutta la grazia che solo un Uchiha può metterci nel compiere un tale gesto.
Già, peccato che io non ero un Uchiha, quindi, più che un bellissimo ragazzo senza macchia e senza paura, sembrava un ippopotamo obeso che sbadigliava.
Ma questi erano dettagli...
Infatti, nonostante l’occhio di Deidara fosse allenato per distinguere un Genjutsu dalla realtà, non era riuscito a vedere che non ero veramente Itachi.
E questa, già di per se, era una tremenda soddisfazione: significava che le mie abilità di creare illusioni erano nettamente migliorate da un mese a quella parte.
Infondo era stato Itachi, a parer mio il più bravo “genjutsiano” al mondo a insegnarmi una tecnica del genere.
- Non mi sembra il caso di combattere.- tentai, ma sapevo che era inutile cercare di dissuaderlo: se quello si metteva qualcosa in testa era impossibile fargli cambiare idea.
- Cos’è, hai paura?- ghignò lui.
Cazzo si! Non puoi immaginarti quanto!
Avrei preferito cospargermi di philadelphia e andare a farmi mangiare dai topi – giusto per fare un esempio- piuttosto che affrontarlo.
- Perché dovrei?- feci semplicemente, scrollando le spalle.
Ok, forse questo gesto non era molto da Itachi. Stavo andando decisamente OCC.
Il biondo digrignò i denti: sapevo benissimo quanto fastidio gli dava l’atteggiarsi da esseri superiori degli Uchiha. Li odiavo anch’io per lo stesso motivo.
Mi diedi un pugno nella gamba, che, appena guarita, continuava comunque a farmi male, per darmi una svegliata- : quello non era il momento adatto per distrarsi.
O mi facevo venire in mente qualcosa – tipo un piano geniale alla Shikamaru- o rischiavo di saltare per aria, con tutto il mio piano e i miei buoni propositi.
- Ma dove cazzo ‘sta ‘Ri-senpai quando serve?- pensai guardandomi intorno –Ehm... dove si trova Sasori?- chiesi titubante.
Per quale caspita di motivo non lo aveva fermato? Bé, probabilmente perché non poteva importargliene di meno di dove andasse il suo collega artista.
- Non è una cosa che ti riguarda, uhm.-.
Eh si che mi riguarda! Sono o non sono una vostra compagna di squadra?!
Ok, in quel momento non lo ero...
Deidara infilò le mani nei marsupi che portava ai fianchi e già questo, di per se, era un pessimo presagio.
Voleva cominciare a combattere ed io ero nella cacca fino al collo. Anzi, vi ero già immersa fino alla punta dei capelli.
Nonostante mi fossi trasformata in Itachi non ero dotata di sharingan e, molto probabilmente, questo lo avrebbe fatto insospettire.
Sempre che fossi riuscita a vivere abbastanza a lungo perché se ne accorgesse.
- Perché sempre a me?!- sospirai sconsolata, passandomi una mano sulla faccia in un modo tremendamente OCC.
Probabilmente, se Itachi mi avesse visto in quel momento, avrebbe pensato lui stesso a uccidermi per aver infangato il suo buon nome. Lui non aveva espressione e io lo stavo facendo decisamente troppo emotivo.
Per quale accidenti di motivo mi distraevo sempre quando finivo in situazione di questo tipo?!
Forse Pain si era veramente sbagliato con me: il potere della suggestione, come mi aveva spiegato e come io credevo di aver capito, faceva avverare i desideri.
Bene, sembrava uno spasso eh? Ecco appunto: perché accidenti non andava nulla come volevo io? Il mio capo aveva veramente confuso la mia abitazione con quella di una vicina?
Dovevo andarmene di lì e subito.
Feci retro front, pronta a correre all’interno della foresta. Se fossi uscita dal suo campo visivo avrei potuta creare un vuoto spazio-dimensionale e sarei potuta scappare.
- Katsu!- urlò Deidara e, qualcosa si schiantò proprio davanti a me, esplodendo – Non mi sembri molto informa Itachi, la tua malattia sta peggiorando, uhm?- sorrise lui.
Spalancai la bocca, sconvolta e sdegnata: era venuto a combattere con lui pur sapendo della malattia che aveva?
- Hai intenzione di approfittarne?-.
L’espressione che mi rivolse valeva più di mille parole: era venuto a cercare l’Uchiha proprio perché, sapendolo indebolito, sperava di riuscire a vendicarsi una volta per tutte. O almeno questa fu la mia interpretazione: per quanto fossi brava a leggere le persone poteva aver tranquillamente detto: “Ora vado a farmi un bel piatto di pasta con il po-po-po-po-po-po-pomodoro”.
Ad ogni modo...povero Itachi! Ma perché tutti volevano ucciderlo?
Arretrai di qualche passo, continuando ad osservare il biondino che, dall’alto dei cieli -?- mi sovrastava.
- Questa non è affatto una buona idea, DeiDei!- pensai affranta.
Cosa sarebbe successo se al posto mio avesse trovato veramente l’Uchiha? Sarebbe stato ucciso ovviamente. Nonostante ammirassi molto le abilità dell’artista non poteva fare nulla contro un avversario del genere.
Forse, prima di partire, avrei dovuto veramente chiedere a Pain di procurarmi delle lenti allo sharingan...
Ok, questo non c’entrava nulla.
Deidara partì all’attacco: questa volta erano bombe guidate.
Ne schivai una goffamente, saltando di lato.
Quelle cose erano veramente veloci e le mie gambe, mezze intorpidite, erano ancora troppo indebolite per muoversi correttamente.
Perché accidenti avevo deciso di andare da Sasuke così impulsivamente? Eppure Pain me l’aveva detto che non mi conveniva partire subito! Perché non ascoltavo mai quello che la gente mi diceva?
Iniziai a correre inseguita da delle bombe guidate di Deidara.
Se continuava così era la volta buona che mi ammazzava.

Deidara:
Ghignai.
A quanto pareva la malattia di Itachi era più grave di quello che pensassi: lo indeboliva a tal punto che non sembrava essere nemmeno più lui.
L’unica cosa che non capivo era il motivo per il quale non stesse utilizzando lo sharingan invece di affaticarsi così.
Pensava che potesse sconfiggermi senza utilizzarlo? Si sbagliava di grosso: gli avrei dimostrato quanto valeva la mia arte e cosa succedeva a chi osava sottovalutarla.
- Katsu!- dissi e le bombe esplosero, centrandolo in pieno.
Trattenni il fiato fino a quando la nube di fumo non si disperse.
Al suolo, al posto del corpo di Itachi, c’era solo un tronco.
Aveva usato la tecnica della sostituzione?
L’Uchiha si trovava poco più in là e continuava a fissarmi con quello sguardo strano di poco prima.
Non riuscivo ad interpretare quell’espressione.
Solitamente si mostrava sempre freddo e indifferente, eppure adesso c’era qualcosa di diverso.
Sembrava in un certo senso preoccupato per qualcosa.
Aveva finalmente capito quanto fossi superiore?
Era arrivato il momento di utilizzare il mio asso nella manica.

Fuko:
Non sapevo come, ma ce l’avevo fatta.
C’ero andata troppo vicina per i miei gusti: ancora qualche secondo e ci sarei rimasta secca.
Non ne potevo più di quella situazione: non volevo farmi uccidere ma neanche mettermi a combattere contro di lui.
Inoltre non mi avrebbe certamente permesso di scappare.
Stavo letteralmente affogando nella merda – scusate la volgarità-.
Bé, infondo, fino a quando erano bombe guidate andava bene: l’importante era che non utilizzasse il...oh cavolo!
Il biondino aveva cominciato a mangiare l’argilla.
Mi leggeva nel pensiero o cosa? Non era possibile che avesse deciso di utilizzare il c3 Karura così presto! Ed io che speravo che finisse il chakra alla svelta utilizzando le bombe guidate!
Non aspettai che iniziasse a sputare argilla – anche perché mi avrebbe fatto decisamente schifo- che cominciai a scappare.
Vidi che mi stava seguendo, da sopra la sua civetta.
Quando oltre a lui, ci si mise anche il suo clone gigante, io ero già allo stremo delle forze.
A breve i miei polpacci – e il mio cuore- sarebbero esplosi.
Però non potevo neanche creare un varco dato che lui mi stava seguendo.
- C-cosa devo fare adesso?-.

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Capitolo 32
*** Capitolo 31 ***


Ringrazio con tutto il cuore rlt per l'idea: mi hai salvata, non sapevo che scrivere *_*
Buona lettura^^

Capitolo 31:
Opzione numero uno: tornare me stessa e spiegare tutto a Deidara sperando che la prenda bene – cosa a cui credevo veramente poco- e mandando a quel paese il piano.
Opzione numero due: affrontarlo senza fargli ne farsi eccessivamente male.
Opzione numero tre: chiudere gli occhi e sperare che mi uccidesse in fretta e in modo indolore.
In un certo senso, in quel momento, mi sentivo come una gazzella che scappa disperatamente da un tirannosauro – in stile Jurassic Park-.
Una gazzella tremendamente goffa e senza un minimo di grazia, ma pur sempre una gazzella.
Il fatto problematico era che, mentre io stavo esaurendo tutte le mie energie, al clone di Deidara bastava fare un passo per percorrere distanze lunghissime.
Continuavo a correre, zigzagando tra alberi per distrarre il mio inseguitore che, ovviamente, non poteva farsi fregare da un trucchetto del genere.
- Ah!-.
Improvvisamente un Pino mi spuntò davanti, tagliandomi la strada e causando la mia irrimediabile facciata contro di esso – ed eravamo arrivati a due in un giorno solo-.
Senza opporre minimamente resistenza mi lasciai scivolare per tutto il tronco dell’albero, bruciandomi all’inverosimile il corpo, fino ad accasciarmi al suolo.
Mi portai una mano alla fronte dove probabilmente mi si era infilzata una scheggia: se andava bene mi sarei ritrovata entro sera con la cicatrice di Harry Potter.
Ricordandomi improvvisamente che Itachi non sarebbe rimasto arrotolato su se stesso tra le radici di un arbusto gigante a disperarsi, decisi che era il caso di ricomporsi.
Sotto lo sguardo incredulo di Deidara e quello vitreo del suo clone mastodontico ripresi a correre per la foresta, ovvero: mi voltai inciampando nella cappa dell’Akatsuki, feci un passo e rischiai di ammazzarmi a causa degli scaldamuscoli, inciampai su un sasso, su un tronco e per finire caddi in una pozzanghera.
Mi trascinai esanime per qualche altro metro, le ginocchia ormai sbucciate e martoriate, i vestiti grondanti e puzzolenti – perché si, dove tutta quella faticaccia puzzavo anche-.
Itachi mi ammazzava, oh se mi ammazzava: non osavo pensare a cosa mi potesse aspettare una volta che la marmotta ne fosse venuto a conoscenza.
Sempre se riuscivo ad arrivare viva fino a quel momento...
Che brutta fine per una che non voleva fare altro che dare una mano!
Già, dato che non avevo visto neanche l’ombra di un quattrino da quando ero entrata nell’Akatsuki nessuno poteva dire che lavoravo per lei. Davo semplicemente una mano.
Ovvero: mi facevo in quattro per persone che avrebbero potuto salvarsi benissimo per conto proprio.
Ma tanto, perché scomodarsi se c’è qui una scema che può sporcarsi le mani al posto loro?
Ma non polemizziamo, era arrivato il momento giusto per provarci.
Forse la mia idea poteva anche essere stupida, anzi, era sicuramente una cosa stupida, ma purtroppo non ero riuscita a partorire un’idea migliore.
Non ero sicura di quello che stavo per fare, ma non avevo altra scelta, no?
Dovevo assolutamente fare qualcosa per impedire a Deidara di colpirmi, sapete, mi sarebbe piaciuto tirare avanti per qualche altro annetto.
Lui volava fuori dalla portata del c3 Karura in modo da non essere colpito dunque, tutto quello che dovevo fare, era avvicinarmi a lui il più possibile e bloccarlo.
A come ci avrei pensato al momento: dovevo sbrigarmi a fare qualcosa o saltavo per aria.
- Taiju. Kage Bunshin no jutsu!- dissi, componendo i sigilli.
Cinque Itachi comparvero al mio fianco e si divisero in varie direzioni, pronte ad attaccare Deidara – o meglio, a prenderle da lui-.
Il biondino, per nulla spaventato da una mossa del genere, creò delle bombe guidate e le fece esplodere una ad una.
Preso com’era ad osservare la sua opera d’arte fiorire – per una volta ringrazia che fosse così fissato- riuscii a prenderlo alle spalle.
Per un attimo ero stata colta dal panico: non avevo calcolato che, per riuscire ad arrivare da lui, dovevo saltare veramente in alto.
L’unica cosa che mi venne in mente fu di utilizzare un albero a mo’ di catapulta: per una volta la fortuna parve girare dalla mia parte – era anche ora- e con un po’ di fatica riuscii a raggiungere la sua altezza.
Ma Deidara non era così stupido da non accorgersi di aver qualcuno alle spalle che aveva appena gridato: - BANZAI!!!- a squarciagola.
Insomma, persino se avesse avuto due paraorecchie giganti al pelo di Yeti sarebbe riuscito a sentirmi chiaramente.
Ma che dire? Non capita tutti i giorni di fare un salto del genere, volevo anche un po’ godermi l’attimo.
Deidara infilò una mano nel suo “sacchetto per l’argilla esplosiva” e la scena parve cominciare ad andare a rallenty.
Lui che estraeva una statuetta d’argilla e si preparava a lanciarla ed io che, ancora in volo in stile “superman” gli bloccavo il braccio, dirottando l’ordigno da tutt’altra parte.
Lui che mi osservava arrabbiato.
Io che venivo presa dal panico perché non sapevo cosa cavolo fare per bloccarlo e che mi rendevo conto che, ancora sotto effetto della spinta della catapulta, non riuscivo a controllare i miei movimenti.
Lui che vedeva Itachi avvicinarsi sempre di più fino ad arrivargli praticamente ad un centimetro di distanza.
Io che desiderai ardentemente di ammazzarmi quando sentii le sue labbra toccare le mie – no, non perché avesse l’alito pesante o perché baciasse terribilmente male, ma perché, volente o nolente, ero ancora Itachi-.
Questo era palesemente impossibile: tra tutti i punti in cui potevo colpirlo – vedi testata sul naso, dito in un occhio- perché eravamo finiti così?!
Probabilmente per Deidara quello fu uno dei più grossi shock della sua vita: stava volando via a causa dell’onda d’urto della bomba con la quale aveva appena tentato di far saltare in aria l’uomo che stava baciando – sottolineo che l’uomo in questione era uno di quelli che più odiava al mondo-.
D’altra parte io avevo passato la fase di “scetticismo” ed ero passata alla fase “E quando mi ricapita più?”.
La bomba che gli era sfuggita di mano aveva colpito in pieno l’ala del suo pennuto gigante ed ora stavamo decisamente precipitando, sotto lo sguardo del clone.
Bene, per me la storia poteva anche finire così.
Avevo baciato Deidara, fine. Potevo morire lì.
Quindi addio, grazie per avermi sostenuto in questi momenti di svalvolamento cronico e di fortuna avversa.
La storia di Ambra Ricci finisce qui – colonna sonora malinconica-.
Au revoir!
Si, vi piacerebbe.
Purtroppo per voi Deidara, riprendendosi dallo shock mi aveva scansato in malo modo ed aveva provveduto a creare un’altro pennuto dove lui era salito lasciando me, povera innocente fanciulla, a precipitare insieme alla sua vecchia scultura che, sicuramente, sarebbe esplosa in un sonoro problema una volta toccato il suolo.
Non c’era altra scelta, dovevo fare una cosa a cui mai avrei pensato di poter arrivare quella mattina quando, per precauzione, avevo deciso di portarla con me.
Sfoderai “quella” come ogni eroina negli anime sfodera il suo medaglione/bracciale/anello per trasformarsi e la puntai verso un albero – si, imitai un trucchetto che Sasuke aveva utilizzato nello scontro con Deidara-, trasformandola in una lunghissima catena che si arrotolò ad un ramo.
Con la vitalità di un bradipo mi lasciai trascinare in salvo mentre l’esplosione risuonava proprio sotto di me, sollevano un polverone pazzesco.
Fu allora che me ne resi conto: si, ero allergica alla polvere e no, non era questo a cui stavo pensando.
- Chance...- sogghignai, aprendo in fretta e furia un varco spazio-dimensionale e lanciandomici dentro.
Al frastuono dell’esplosione si sostituì la solita aria di calma e tranquillità che aleggiava nel nostro covo.
- Sono salvaaa!- piagnucolai, dando una sonora “mentata” contro il parquet.
Probabilmente attirato dal rumore che avevo fatto cadendo al suolo Sasori spuntò in fondo al corridoio, con un’aria parecchio arrabbiata.
Quando vide Itachi sdraiata sul pavimento ricoperto di terra, foglie, graffi che ridacchiava istericamente dicendo: - La verginità delle mie labbra se n’è andata!- rimase interdetto.
- Non è come sembra.- feci solenne mettendomi seduta – Un secondo, por favor!- chiesi – non domandatemi perché in spagnolo-, per poi sciogliere il sigillo che mi dava l’aspetto dell’allegra marmotta.
Basta. Piano A per ritrovare Fuko: fallito miseramente. Ed io che pensavo che quella fosse una delle idee migliori che il mio cervello avesse mai elaborato.
Il rosso fece per dire qualcosa, ma si bloccò e, scuotendo la testa, tornò da dove era venuto.
- Non voglio saperlo.- annunciò perplesso, sparendo dalla mia vista.

Quando arrivò la sera anche Deidara fece il suo grande ritorno: per tutto il restante pomeriggio non avevo fatto altro che torturarmi con l’idea che avesse potuto decidere di farla finita.
Insomma, doveva essere rimasto veramente traumatizzato per quello che era successo per poter continuare a vivere serenamente la sua vita da criminale.
Quando lo vidi scendere le scale mi schiaffai una mano in faccia – o meglio, sulla bocca- rivivendo “l’idilliaco momento” di poco prima.
- Che hai? Ti fanno male i denti, uhm?- borbottò scontroso ritirandosi in camera nostra e sbattendo la porta.
- Oggi non ne entra uno normale...- sentii dire a Sasori, quasi con tono sconsolato.
Feci per raggiungere il rosso quando il bombarolo, come una furia, uscì dalla stanza.
Presa dal panico accelerai il passo, fino a trovarmi a correre disperata verso la cucina.
Sarebbe troppo imbarazzante se avesse saputo che avevo combinato.
Riuscii ad arrivare sulla soglia della porta, ma Deidara mi bloccò per un polso.
- Dove sei stata questa mattina, uhm?- mi domandò, freddandomi il sangue delle vene.
Troppo, troppo imbarazzante.
Già che facevo fatica a guardarlo in faccia dopo quello che era accaduto...
- Ehm...mi sono allenata ad una nuova tecnica...- buttai lì, sperando che abboccasse all’amo.
- Dove?-.
- Nel solito campo dall’allenamento.-.
- Quando questa mattina sono uscito non ti ho vista, uhm.-.
- Vado in bagno anche io ogni tanto...-.
Rimanemmo a fissarci per qualche istante, quando Sasori intervenne.
- Che cosa è successo Deidara?- domandò, lanciandomi un’occhiata sospettosa.
- Non sono affari tuoi, Danna!- lo rimbeccò quasi...imbarazzato?
Oh bé, chiunque sarebbe stato imbarazzato a raccontare una cosa simile.
- Oggi è successa una cosa molto strana...- cominciò il rosso, osservandomi nuovamente.
No, se diceva che ero ritornata travestita da Itachi era la fine!
- Fu è...- iniziò, ignorando i miei numerosi segnali che gli intimavano di stare zitto.
Ovvero: saltellavo sul posto facendomi segno di tenere la bocca chiusa. Ok, sembravo più una che affogava che altro.
Ad ogni modo non potevo permettergli di spiattellare la verità in faccia a Deidara in quel modo.
Senza pensare alle conseguenze della mia azione – no, state tranquilli, non mi volevo mettere a baciare anche lui- feci un saltello, scrollandomi dalla presa di Deidara, mollando un calcio negli stinchi al rosso.
Quando il mio piede toccò la sua gamba realizzai che, si, essendo una marionetta era fatto di legno.
Morale della favola: lui, senza minimamente provare dolore, mi lanciò un’occhiata scettica, mentre io venivo percossa da un brivido di dolore così forte che solo Jashin può sapere cosa mi ha trattenuta dal bestemmiare seduta stante.
- ‘Ri-senpai...shhh...- mugugnai ancora dolorante, sperando che almeno decidesse di cogliere la mia supplica.
- Fu è...?- lo invitò a proseguire Deidara, ignorando il mio teatrino.
- Oggi Fu è riuscita a padroneggiare una tecnica senza uccidersi...- fece risoluto alzandosi, per andare a dedicarsi al suo passatempo preferito: utilizzare i corpi di persone ormai andate per costruire delle maxi barbie di legno.
- Io vado a dormire, uhm.- fece il biondo irritato dopo pochi secondi.
- Vengo anch’io!- squittii seguendolo – Allora...è successo qualcosa?- domandai curiosa.
- Cosa ti fa pensare che sia successo qualcosa?!- urlò spaccandomi i timpani.
- Il fatto che tu sia decisamente più irritabile del solito, per esempio?-.
- Ho semplicemente passato una brutta giornata.- rispose scorbutico.
Era peggio di una donna che aveva le sue cose.
- Invece io ho passato una bellissima giornata...molto...intensa.- sospirai trasognante, sedendomi sul letto.
- Buon per te.-.
- DeiDei?- trillai.
- Che c’è?- fece esasperato lui, voltandosi verso di me.
- Sei carino quando sei arrabbiato!- sorrisi, sorprendendolo.
Credo che sia stato in quel momento che, per la prima volta, mi resi conto di essermi beccata una bella cotta per lui.

Vera Fuko:
- Oddio...- mugugnò la ragazza, disgustata dalla scena che si ero ritrovata ad osservare poco tempo prima – Questo proprio non volevo vederlo.-.
Incrociò le braccia cercando di reprimere il brivido di disgusto che le aveva attraversato la spina dorsale.
Stava cercando di ignorarlo da un po’ di tempo ma, ogni secondo, l’immagine di quei due che si sbaciucchiavano attraversava la sua mente.
Aveva passato l’intera mattina a setacciare la foresta per conto di quello stupido scoiattolo quando finalmente lo aveva trovato.
Il problema era che in quel momento stava...
Scosse la testa: doveva veramente smettere di pensarci.
Arrivò finalmente all’albero dove si sarebbe dovuta riunire al suo team.
- Che faccia terribile!- sogghignò Karin, l’altra odiosa ragazza del gruppo, che dava l’impressione di essersi asciugata i capelli in un frullatore.
- Saresti così anche tu se avessi assistito alla scena a cui ho assistito io...- borbottò ignorandola, diretta verso il piccolo Uchiha.
Juugo e Suigetsu – quest’ultimo solo perché stava “idratando il suo corpo”- rimasero in silenzio mentre lei si apprestava a raccontare tutto.
- Ho visto Itachi.- disse risoluta, guadagnandosi tutta la sua attenzione – Tuo fratello stava baciando una persona di sesso confuso.-.
Quella fu la prima volta che poté notare, con piacere, un piccolo cambiamento nella sua espressione apatica di sempre.
Da “completamente disinteressato a ciò che gli accade intorno” a “leggermente sconvolto”.
Fu una tremenda soddisfazione.

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Capitolo 33
*** Capitolo 32 ***


YATTA! Ce l'ho fatta a postare un nuovo capitolo :D - vedetelo come un regalo di Natale leggermente in ritardo-.
Mi dispiace per l'immenso ritardo, ma non riuscivo proprio a scrivere cose decenti ultimamente.
Bé, spero che vi piaccia.
Baci :)

Capitolo 32:
- Ambra, vuoi entrare nel mio mondo?-.
Osservai perplessa Madara che, tranquillo, non accennava proprio a volersi spostare dal mio tavolo.
Ricapitolando: ero in camera mia a studiare – o quanto meno, cercavo di farlo- quando uno strano rumore mi aveva spaventata. Ero andata a vedere cosa stava succedendo – demolendo il corridoio, anche se questo è solo un inutile dettaglio- e mi ero ritrovata davanti ad un personaggio di un anime. Perfetto.
Tobi/Madara, o chiunque fosse quel tizio dall’aspetto leggermente ridicolo – anche se un po’ inquietante a dire il vero-, mi aveva appena proposto di entrare nel suo mondo e ora si stava guardando intorno, svagato. Non che ci fosse molto da vedere, tra l’altro.
- E-eh?- mormorai confusa dopo diversi minuti, interrompendo quella strana atmosfera solenne che mi aveva circondata.
L’aria si era fatta così tesa e pesante che non mi sarei affatto sorpresa di sentir partire una qualche colonna sonora dark mentre fuori cominciavano a risplendere tuoni e fulmini.
- Vuoi entrare nel mio mondo?- ripeté, con lo stesso tono di voce di uno che ti invita a fare un giro in bicicletta al mare.
Mi grattai la nuca con un fare decisamente molto animalesco – e poco intelligente direi-, cercando di capire cosa stava succedendo.
Optai per porgli la domanda più scontata.
- Ma tu sei veramente Madara?- sbottai allora, ancora in stato di shock – credetemi, vederlo dal vivo faceva veramente effetto-.
No guarda, sono una guerriera Sailor.
- Si.-.
- Sicuro, sicuro?-.
Lui annuì.
- Tu non esisti.- feci piccata, sollevano un sopracciglio con fare sdegnato.
- Sono qui.-.
Effettivamente aveva ragione, era proprio lì, davanti a me.
Per un attimo fui tentata di toccarlo/mettermi a fargli il solletico, giusto per vedere se si trattava di una proiezione, ma, per la mia incolumità, mi trattenni.
Feci un lungo sospiro – così lungo che probabilmente pensò che stessi spirando-, tentando di calmarmi ed analizzare lucidamente la situazione.
Ma si sa... io non ero – sono- portata per queste cose, quindi il mio tentativo di dimostrarmi una persona intelligente fallì miseramente.
Iniziai a molleggiare sulle gambe, trattenendomi dal saltellare sul posto, quasi avessi le molle ai piedi.
Eppure quella volta ci avevo provato sul serio a fare un qualche ragionamento logico! Avevo persino cercato di convincermi che tutto stesse accadendo nella mia testa, ma non aveva funzionato.
Infondo era più normale il fatto che mi fossi addormentata studiando piuttosto che quello di incontrare il personaggio di un anime in casa propria.
Alla fine, però, non potei fare a meno di guardarmi intorno emozionata, chiedendomi dove tenesse nascosti gli altri membri dell’Akatsuki.
Chissà...magari prima o poi li avrebbe tirati fuori dal buco per lo sharingan! Infondo ci teneva di tutto lì dentro!
Inoltre morivo dalla voglio di saltargli addosso e strappargli quella dannata maschera una volta per tutte, giusto per vedere chi era veramente quel cretino che ci si nascondeva dietro.
Avrei tanto voluto chiedergli perché avesse scelto proprio quella di maschera – e sopratutto perché arancione-, dato che non avrebbe spaventato neanche...bè, neanche me.
Ma sopratutto, la domanda che più tenevo a fargli era...dove caspita eri quando Sasuke uccideva Deidara, eh? O meglio...dov’eri quanto si suicidava? Perché non l’hai fermato?! Come aveva potuto permettere che un tale capolavoro di ragazzo finisse in quel modo orribile? Battuto da uno scoiattolo?
Ok, forse queste erano un po’ più di una domanda sola.
- Loro non sono qui.- disse ad un tratto, facendomi storcere il naso.
- Loro chi?!- esclamai confusa, dando il chiaro esempio dell’attività funesta dei miei neuroni.
Il fatto che riuscissi a vedere il suo sguardo allibito mi doveva dare a pensare: o me lo stavo immaginando – cosa molto probabile- o avevo detto qualcosa di infinitamente stupido – e anche quest’ipotesi non era da scartare-.
In ogni caso lui decise di non rispondere, lasciandomi con quel terribile dubbio amletico.
- Posso toglierti la maschera?- domandai dopo qualche secondo di silenzio.
L’educazione prima di tutto.
- Vuoi entrare nel mio mondo?- ribadì lui, senza scomporsi minimamente.
- Hai evitato la mia domanda!- gli feci notare, con l’aria di chi ha detto la cosa più intelligente del mondo.
- E tu la mia.- rispose semplicemente, inclinando leggermente la testa – E io te l’ho fatta per primo.-.
Sbuffai, sconfitta.
- E cosa ti aspetti? Che ti rispondo subito?-.
Mica potevo decidere di cambiare mondo così, su due piedi!
Prima di tutto avrei dovuto valutare i pro e i contro della faccenda – e i pro erano nettamente superiori-, poi dovevo decidere cosa portarmi. Il mio iPod avrebbe funzionato lì? E il mio computer? Non potevo vivere senza di lui!
Non avevo mai pensato tanto in vita mia: a breve il mio povero cervello sarebbe saltato in aria e i miei neuroni avrebbero alzato la bandiera bianca.
Scossi la testa: era impossibile per me mettermi a ragionare di punto in bianco!
- Cosa vuoi fare Ambra?- mi domandai – Oh, bé...non penso che ci sarebbe nulla di male se per qualche tempo mi trasferisco là. Potrebbe non ricapitarmi più una situazione di questo tipo...però...come faccio a sapere che lui non è un pervertito che mi vuole trascinare in un qualche strano posto per farmi chissà quali strane cose?!-.
Osservai l’arancione, circospetta.
- Non sono queste le mie intenzioni.- mi assicurò lui – Altrimenti l’avrei già fatto-.
Non so per quale malsana ragione, ma quell’ultima frase mi mise i brividi – e non in senso positivo-.
Se lui era veramente Tobi – e non un Pinco Pallino qualunque- era forte, ma tanto tanto forte.
E se fosse stato veramente intenzionato a fare certe cose io sarei stata già morta, ma tanto tanto morta.
- Ok, per me va bene.- risposi tranquilla dopo qualche istante, più convinta che mai – Ma voglio assolutamente incontrare Deidara...e anche Sasori ovviamente. E se oggi ti senti particolarmente di buon umore cerca di infilarci anche quel fig...ehm, Hidan.-.
- Allora, cosa devo fare?- aggiunsi poi, vedendo che non accennava a muoversi.
Cosa devo fare per poter incontrare quei fighi?
L’arancione si alzò dal tavolo – finalmente aggiungerei- e si mise davanti a me.
Ora che lo osservavo meglio...era veramente alto. Chissà se questo valeva per tutti gli Uchiha?
In pochi secondi eseguì dei sigilli ed evocò una pergamena, sotto il mio sguardo incredulo.
Probabilmente, se io ci avessi provato, mi sarei solamente fatta venire un crampo alle mani.
- Che roba è?- borbottai sospetta, mentre lui prendeva a srotolarla.
- E’ un contratto.- spiegò – Quando arriverai nel mio mondo dovrai fare delle cose, questo serve per assicurarmi che tu le esegua senza tirarti indietro.-.
- Lo devo firmare?-.
- Si.-.
- Cerco una penna...- tentai.
- Con il sangue.-.
- Ovviamente.-.
Bene, sorvolando sul particolare che, effettivamente, non mi piaceva proprio la vista del sangue, come caspita facevo a farmelo uscire?
Insomma, non avevo mica tanta voglia di strapparmi la pelle del dito a morsi!
Una puntura alla mano mi risvegliò dallo stato di trance in cui ero caduta.
Sobbalzai: Madara stava spappolando il mio dito contro la pergamena e dal polpastrello stava uscendo...ehm...inchiostro rosso?
Una volta terminato il processo mi schiaffai il dito in bocca: non era stato minimamente piacevole.
Come accidenti facevano i ninja a fare evocazioni con tanto nonchalance?
E poi come aveva fatto a bucarmelo?
Tutto sommato non c’era da stupirsene: probabilmente era pieno di armi dalla testa ai piedi.
- Ora devo cancellarti la memoria.-.
Chissà che tipo di armi si portava die...cosa?
- Prego?!- borbottai stizzita.
- Non posso trasportare il tuo corpo insieme a me, rischieremo che venga danneggiato e non possiamo permettere che il tuo potere venga perso.-.
- Non capisco cos...potere?-.
- Un mio subordinato trasporterà la tua anima nel mio mondo. Abbiamo già provveduto a preparare un nuovo contenitore per te.-.
- C-contenitore?-.
Ci capivo sempre di meno, ma ero sicura che quel poco che ero riuscita ad afferrare non era molto rassicurante.
- L’anima di questa persona verrà trasportata al tuo posto e sarebbe un problema se accedesse a questo ricordo. Ti devo cancellare la memoria.-.
Spalancai la bocca, sdegnata: quello non c’era scritto sulla pergamena!
Effettivamente non mi ero neanche posta il problema di leggere quel pezzo di carta...
Accidenti a me, ma quanto ero idiota?!
Aspetta un attimo, perché il buco di quella maschera arancione brillava di rosso?
S-sharingan? Stava utilizzando lo sharingan su di me?
Era come se Madara stesse entrando nella mia testa: ero completamente ipnotizzata, non riuscivo a muovere nemmeno un dito.
Tutto ciò era incredibilmente fico!
- ITACHI, CHE TU SIA MALEDETTO!- urlò qualcuno, facendomi sobbalzare.
Immediatamente la pupilla rossa di Tobi venne sostituita dal muro bianco della mia camera.
Battei gli occhi diverse volte, affranta: speravo con tutto il cuore che fosse stato solo un sogno.
Per le più consunte mutante di Jashin, come avevo fatto ad essere così stupida?!
Stavo per sbattere violentemente la testa contro il muro in preda alla disperazione quando le urla di Deidara si accesero:
- Muori! Muori, muori, muori, muori!- continuava a ripetere.
Persino da lì, a qualche stanza di distanza, riuscivo chiaramente a percepire l’alone di odio emanato dal biondo.
Erano passati già due giorni e ancora non gli era passato...
Poteva almeno evitare di sbraitare così a quell’ora del mattino! Per colpa sua mi ero anche svegliata!
- E io che miravo a dormire fino all’ora di pranzo!- pensai sconsolata.
Seguì la sua voce, fino a ritrovarmi di fronte alla porta del bagno, stranamente socchiusa.
- DeiDei...va tutto bene?- domandai accigliata.
Non mi sembrava proprio il caso di irrompere nella stanza: chissà in quale attività era immerso in quel momento?
Per quanto ne sapevo poteva aver cominciato a costruire bamboline voodoo o a fare qualche strano giochino sadomaso.
Insomma, quelle cose che avrei preferito non sapere. Non tanto per le bambole...
Pochi secondi dopo la porta si spalancò, facendomi lanciare un grido di paura – tanto per cambiare io ero la solita cretina che urlava per tutto-.
- D-DeiDei, cos’è quella schiuma che ti sta uscendo dalla bocca?- feci scioccata, appiattendomi contro il muro del corridoio.
Ci mancava solo che gli prendesse un ictus e stavamo apposto!
- Dentifhericjoo- rispose lui, sputacchiando bolle e bava un po’ ovunque.
Disgustoso...
Effettivamente non avevo capito nulla di quello che aveva cercato di dirmi.
- Guarda che la schiuma da barba te la devi mettere sulle guancie, non in bocca.- feci, senza tentare minimamente di trattenere il mio disappunto.
Insomma, a diciannove anni certe cose avrebbe dovuto anche saperle!
- E’ dentifricio Fu!- ripeté, dopo aver spuntato nel lavandino, fregandosene del mio sguardo allibito.
Veramente disgustoso...
- Perché ti stai lavando i denti? Non ti ho mai visto farlo...-.
Non che controllassi cosa faceva Deidara in bagno, eh!
- Niente che ti riguardi, uhm.- rispose con la sua solita cordialità – Ad ogni mod...-.
Il biondo si bloccò, impallidendo notevolmente, poggiando lo sguardo alle mie spalle.
Mi pietrificai anch’io: cosa accidenti c’era dietro di me? Un...ragno?
Terrorizzata mi voltai di scatto, pronta per uccidere quell’insipida – può un ragno essere insipido?- creatura che aveva osato avvicinarsi a me.
Quello che vidi, però, ebbe un impatto ancora maggiore.
No, non era un ragno e neanche un grosso millepiedi peloso quello che si parava di fronte a me. Sinceramente sarebbe stato meglio ritrovarmi un insetto davanti piuttosto di lui. Piuttosto della marmotta.
Dietro di me sentii Deidara deglutire rumorosamente, mentre io spalancavo la bocca in un modo poco femminile.
- ITACHI!- esclamammo all’unisono, shoccati.
Lui perché reduce di un incontro ravvicinato –decisamente ravvicinato- con il moro.
Io perché se si veniva a scoprire la verità “dell’incontro ravvicinato” avrei dovuto cambiare continente – se non proprio mondo-.
Sempre che fossi riuscita a farlo prima di essere uccisa.
Possibile che tutto quello che facevo in quel mondo era rischiare di morire? Stava diventando abbastanza stancante!
- Ita...I...Itach...- iniziai a balbettare, nella confusione più totale.
Cosa dovevo fare? Come potevo uscire viva e vegeta da quella situazione?
L’unica via di fuga che mi si presentava davanti era lo scarico della vasca – di quello del water non se ne parlava-, ma, per quanto Fuko potesse essere magra, non ci sarebbe mai passata. Bé, potevo sempre liquefarmi come Suigetsu per entrarci. Peccato che non sapessi farlo.
Avrei potuto lanciare Deidara contro la marmotta e tentare una fuga roccambolesca, ma probabilmente tutto ciò che sarei riuscita a fare sarebbe stato sbattere il mignolo del piede contro lo stipite della porta e uccidermi con le mie stesse mani.
- Uchiha...- ripeté minacciosamente il biondino alle mie spalle, iniziando ad emanare un’aura spaventosa.
Non andava bene, non andava bene per niente! Ora quello lì si faceva ammazzare!
Mi serviva un’idea geniale... e subito!
Senza tante cerimonie mi lanciai - in stile placcaggio da rugby- su Itachi, il quale, con mia grande sorpresa, non si mosse e si fece trascinare via.
- ‘Ri-senpai, inibiscimi DeiDei!- urlai al rosso, che stava osservando indifferente la scenetta, accanto a Kisame.
- Come?- domandò Sasori, senza scomporsi minimamente.
- Credo che abbia detto di inibirlo.- tentò lo squalo, ghignando – effettivamente non ero mai riuscita a vederlo serio-.
- Onegai!- lo pregai continuando a trascinarmi dietro la marmotta, ormai arrivata all’uscita, tirando fuori una delle poche parole giapponesi che conoscevo.
- Io non sono gay!- urlò Deidara, ma la sua voce si spense non appena giungemmo fuori dal covo.
Solo allora lasciai la cappa di Itachi e mi piegai in due, ansimando per lo sforzo – non era da me mettermi a correre a quell’ora del mattino-.
- ‘Ri-senpai dovrebbe riuscire a trattenerlo.- dissi tra me e me, tentando di riprendere fiato.
- Perché dovrebbero trattenerlo?-.
La sua domanda giunse alle mie orecchie con la stessa intensità di una coltellata in pieno petto.
Lo osservai, spiazzata.
E ora che gli dicevo? O meglio...non è che sapeva già tutta la storia ed era venuto per giustiziarmi? Infondo avevo infangato in modo inimmaginabile il suo buon nome di Uchiha!
- E’ quasi primavera...- osservai io con nonchalance, tentando di cambiare argomento.
Mi maledii subito dopo: bastava guardarsi intorno per capire che di primaverile non c’era nulla lì! Gli alberi erano completamente spogli e le foglie secche ricoprivano internamente il terreno.
Bé, infondo Itachi non era un tipo che si soffermava sui dettagli, no?
- Sta per cominciare l’inverno.- disse invece, guadagnandosi una mia occhiata affranta.
Non me lo sarei mai aspettato da lui! Chi era diventato, un mister perfettino?
- Senti Itachi-sama...- iniziai, promuovendolo di grado – Ci sono cose che è meglio non sapere, credimi!- gli assicurai, solenne.
Per fortuna parve lasciar correre – povero ingenuo, non aveva idea di quello che avevo fatto-.
- Sono venuto in questo covo per parlarti.- annunciò, tornando improvvisamente serio.
Non che prima si stesse sganasciando dalle risate, ma quantomeno aveva un’aria decisamente più rilassata.
- Parlarmi? Di cosa?- feci confusa.
Avevo fatto qualcos’altro di terribilmente stupido che aveva urtato la sua persona? Sinceramente non riuscivo ad immaginarmi niente di peggiore del bacio yaoi.
- Riguarda mio fratello.-.

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Capitolo 34
*** Capitolo 33 ***


Scusatemi, sono di nuovo in ritardo ç_ç
Bé, allora... dedico il capitolo alla mia adorabile Onee-chan dato che, senza di lei, non sarei mai riuscita a scrivere nulla. Mille grazie per il tuo aiuto *O*
Ora vi lascio alla lettura, baci^^

Capitolo 33:
Fuko non si era mai trovata in una situazione di quel tipo. Tutto sommato era anche abbastanza normale: chi poteva raccontare di essere stata rapita da un’organizzazione criminale che, per non si sa quale ragione, l’aveva trapiantata – letteralmente- nel corpo di una ragazzina nullafacente a tempo perso?
Dire che era confusa era dir poco: non ci capiva più nulla.
Un bel giorno, senza nessun preavviso, si era ritrovata in un corpo che non le apparteneva – e già questo, di per se, era abbastanza destabilizzante- e in un mondo nel quale, a quanto pareva, la vita scorreva in un modo molto diverso da quello a cui era abituata.
Non c’erano ninja che venivano addestrati fin da piccoli a combattere per il bene del villaggio, non c’erano Kage o missioni. Non c’era niente di niente.
Ma quando erano iniziati i suoi guai? Quand’è che era iniziata la sua lenta discesa verso l’oblio?
Più ci pensava e più le veniva in mente un solo nome: Ambra.
Quella dannata ragazzina irritante, nullafacente, piaga, odiosa, petulante... Avrebbe voluto ridurre il suo corpo in un ammasso di fratture scomposte!
Cosa accidenti aveva di speciale? Perché mai l’Akatsuki, l’organizzazione più forte – probabilmente- di quel mondo, era arrivata a tanto pur di averla?
A parte un’ossessione morbosa verso di loro s’intende.
Ancora si chiedeva cosa accidenti ci trovasse in quel mucchio di assassini professionisti.
Effettivamente lo sapeva dato che poteva chiaramente vedere tutti i suoi ricordi, ma non riusciva a capirla.
Era così Ambra, un individuo strano e imprevedibile, dai gusti improponibili e una buona dose di masochismo che le scorreva nelle vene. Ed era il suo problema principale.
Era colpa sua se era stata trapiantata in quel corpo così diverso dal suo e se si era ritrovata sballottata qua e là da una dimensione all’altra.
Era colpa sua se aveva dovuto accettare di allenarsi con quel pedofilo di Orochimaru che, a quanto sembrava, aveva una gigantesca fissazione per uno scoiattolo che godeva della stessa sfera emotiva di un caffèlatte.
Era sempre colpa sua se si era dovuta sorbire quella viscida e petulante sottospecie di devota crocerossina di Kabuto.
E come se il tempo passato nel covo di Orochimaru non fosse stato già abbastanza traumatizzante di suo aveva anche dovuto allearsi con una delle persone che odiava di più in quel mondo.
Sasuke Uchiha alias il ragazzo perfetto che una ragazza sana di mente non vorrebbe mai conoscere.
Tale adorabile ragazzo – che non aveva una vita sociale a quanto sembrava- passava tutto il suo tempo ad allenarsi per – da quello che le dicevano i ricordi di Ambra- poter uccidere suo fratello che altri non era che un povero martire incompreso.
Certo che in quel mondo era tutto decisamente complicato. Anzi, era un casino vero e proprio.
Era proprio per tutta questa serie di motivi che aveva deciso di concedersi un bagno – possibilmente lungo e rilassante- almeno per una volta.
Non ce la faceva più a reggere le chiacchiere insensate di Karin e l’assoluto mutismo dell’Uchiha – che era ancora peggiore del blaterare di quell’oca dai capelli rossi-.
Si avvolse nel grande accappatoio bianco che aveva trovato nella sua stanza e si diresse a passo spedito verso la sua meta.
Per non si sa quale ragione lo scoiattolo aveva deciso di fermarsi a riposare in quella specie di albergo e Fuko aveva intenzione di godersi quella piccola sosta al massimo.
Non era mai stata una persona pigra, ma quel corpo non era abituato a muoversi più di tanto e, visto che era stata costretta a camminare a lungo, iniziava ad avere segni di cedimento e lei non poteva permetterselo.
Doveva tenersi sempre pronta nel caso avessero scovato qualcuno dell’Akatsuki.
Doveva trovare i loro nascondigli.
Doveva trovare Ambra e fargliela pagare per tutto lo stress che stava accumulando in quel periodo.
Eppure non desiderava altro che una vita tranquilla!
Era vero che era una nukenin ed aveva fatto fuori qualche persona, rubato qua e là, ma, tutto sommato, che aveva fatto di male per ritrovarsi nel corpo di una psicolabile del genere? Non riusciva a spiegarselo.
Con un gesto secco aprì la porta scorrevole e se la richiuse alle spalle.
Si guardò intorno: quel posto era completamente fatto di legno.
Si augurò mentalmente che Sasuke non si facesse sfuggire una palla di fuoco suprema, o non ne sarebbe sicuramente uscita viva.
Si spogliò, soppesando l’idea di fare un qualche scherzo a Sasuke, giusto perché ultimamente non succedeva nulla di interessante.
Già, la sua vita era alquanto deprimente.
Con grande gioia vide che non c’era nessuno a farsi un bagno.
Meglio così: non ce l’avrebbe fatta a reggere i monologhi di quella piattola di Karin.
Ancora non riusciva a capire quale accidenti fosse il suo problema: sembrava perennemente arrabbiata con il mondo intero – ovviamente Sasuke escluso-. Che avesse perennemente il ciclo?
Entrò lentamente in acqua, cercando di scrollarsi di dosso la sua aura negativa.
Infondo non era successo nulla di così grave.
Era solo in un altro corpo, tutto qui. Infondo Orochimaru cambiava corpi più spesso di quando si cambiasse le mutande, di cosa si doveva preoccupare lei?
Purtroppo questi pensieri furono interrotti da un sospetto movimento dell’acqua che la fece andare subito in allarme.
Cosa accidenti era stato? Eppure credeva di essere da sola!
Si guardò intorno: non vedeva nessuno eppure riusciva chiaramente a sentire la presenza di un’altra persona.
Non era Karin: lei non era certo una che passava inosservata e comunque, se fosse stata lei, non aveva alcun motivo di nascondersi.
- Devo ammettere che non mi aspettavo così tanta roba...- fece una voce dietro di lei, una voce che riconosceva molto bene.
- Che cazzo ci fai qui dentro Suigetsu?!- strillò lei, mollando un pugno in piena faccia al ragazzo, che aveva appena ripreso consistenza umana dopo essere emerso dalle calde acque delle terme.
Questo si schiantò contro il bordo opposto della vasca, liquefandosi nuovamente.
- Brutto maniaco!- gli urlò contro, per poi correre via, raccogliendo l’accappatoio che si era tolta poco prima.
- Guarda che questo è il bagno degli uomini!- gridò lui di tutta risposta, ma il suo urlo si spense una volta che si fu chiusa la porta alle spalle, così violentemente da far tremare l’intero edificio.
Solo allora si accorse che, effettivamente, Suigetsu aveva ragione.
Era entrata nel bagno degli uomini.
Persa nei suoi pensieri non si era minimamente accorta di aver sbagliato porta.
E ovviamente tutto questo era successo per...
- MALEDETTA AMBRA...E’ SEMPRE COLPA SUA!!-.

Ambra:
Trattenni a stento uno starnuto. Che qualcuno mi stesse pensando?
Scrollai le spalle: probabilmente era Deidara che mi stava insultando in tutte le lingue del mondo per avergli impedito di saltare al collo della marmotta.
- Riguarda mio fratello- disse l’Uchiha, mentre un leggero venticello – alzatosi improvvisamente in quel momento- iniziò ad accarezzargli i capelli in un modo veramente molto scenico – mai che capitassero a me certi momenti di gloria!-.
Mi voleva parlare di Sasuke, era ovvio.
Scossi la testa, sbuffando.
Mi dispiace caro il mio Itachi, ma devo ammettere che oramai stai diventando veramente troppo prevedibile.
Sul serio: la dovresti piantare con questa tua morbosa fissazione verso tuo fratello, infondo lui ti odia.
Anche se questo era ciò che lui desiderava.
Ma era masochista o cosa?
Uno stormo di uccelli si levò in volto da un albero, mentre l’Uchiha si apprestava a prender parola – probabilmente si era rassegnato al fatto che non gli avrei risposto e che avrei continuato a studiarlo a lungo con la mia espressione dubbiosa-.
- Ho sentito che ha ucciso Oroch...-.
- NON PARLARE O MORIREMO TUTTI!- urlai con tutto il fiato che avevo nei polmoni, coprendo il suo discorso.
Ci mancava solo che Deidara sentisse ciò che aveva fatto il suo adorato fratellino e potevamo completare l’opera.
Era già abbastanza depresso per aver baciato la marmotta.
No, non poteva sopportare altro. Il suo orgoglio da artista fallito era stato già stato abbastanza ferito.
- Capisco.- disse lui, socchiudendo gli occhi – Quindi è per questo che Pain ha preferito tenerlo nascosto. Sei stata tu a chiederlo?- domandò – anche se dal suo tono di voce sembrava più un’affermazione- per poi riportare l’attenzione su di me.
- Ehm... non c’è una domanda di riserva?- tentai, deglutendo.
Non mi piacevano per niente quegli occhi così scuri.
Non mi piaceva per niente il fatto che guardassero me: sembrava che mi trapassassero da parte a parte e che potessero capire tutto quello che mi passava per la testa.
Non mi piaceva il fatto che potessero diventare rossi da un momento all’altro.
Dovevo ancora riprendermi dall’ultimo incontro con Tobi per poter reggere un altro Uchiha e il suo dannato sharingan.
- Pr-preferirei che non ne facessi parola con nessuno e che chiedessi al tuo amico tonno di fare lo stesso...- feci – Per favore...- aggiunsi subito.
Non ero mica così impudente da mettermi a dare ordini ad un Uchiha io...
- E’ stato per evitare la morte di...-.
- Deidara.- sussurrai io, spaventata dal fatto che il suddetto bombarolo potesse sentirmi – Non ti illudere, Sas’ke non è così forte da batterlo, è stato lui che ha deciso di farsi saltare in aria!- aggiunsi, cominciando a stra-parlare – E se ha ucciso quello psicopatico di Orochimaru è stato solo perché era arrivato al limite nel suo corpo!- conclusi, per poi riprendere a respirare.
Ero così presa dal mio delirio di onnipotenza che mi ero persino dimenticata di farlo.
Ma non ci potevo fare nulla: odiavo Sasuke dal profondo nel cuore e non potevo sopportare che fosse visto come “il più forte e figo dell’anime”!
La marmotta, che non si era scomposta nemmeno un secondo durante la mia scenata, riprese a parlare:
- Non sono venuto qui solo per questo.-.
Lo osservai, stupita: che questo fosse il tanto atteso colpo di scena?
Ghignai, iniziando a fantasticare per quale strana ragione era qui.
Chissà: magari era venuta a farmi un’ultima richiesta in punto di morte della serie “Proteggi Sasuke da Madara” oppure voleva donarmi una parte del suo potere come aveva fatto con Naruto.
Storsi il naso: non mi andava molto di ingoiare uno dei suoi corvi.
Solo allora notai che, accanto a lui, c’era qualcuno.
Era completamente avvolto da un mantello nero, con il cappuccio che impediva di poter vedere quell’individuo in faccia.
Da dove accidenti sbucava quella persona? Era sempre stata lì o era appena arrivata?
Alternai sguardi perplessi dalla figura nera a Itachi, cercando di capire chi si trovasse accanto a lui.
Era qualcuno dell’anime? Lo conoscevo? Perché era lì?
L’affermazione che seguì mi ghiacciò il sangue nelle vene.
- Lei viene dal tuo mondo, Ambra.-.

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Capitolo 35
*** Capitolo 34 ***


Evviva! Sono di nuovo in ritardo é_é
Perdonatemi ma non ci riesco proprio a fare la persona puntuale T^T
Ok, non sto qui a stressarvi; Grazie a Nyaa - come al solito ormai- per il suo immenso aiuto *W*
Baci e al prossimo capitolo^^

Capitolo 34:
- Lei viene dal tuo mondo, Ambra...-.
Il sole venne momentaneamente oscurato da delle nuvole, mentre il vento riprese a soffiare, agitando le fronde degli alberi.
Il mio sguardo in quel momento non era sconvolto, no.
Sembravo solamente una che aveva appena visto Orochimaru ballare la lap dance su un palo… nudo; E con nudo intendo completamente nudo, con tutti i suoi serpentelli che ballonzolano qua e là.
Ok, questo faceva abbastanza schifo come paragone.
- L-lei... è... cosa?- mugugnai, senza preoccuparmi di nascondere il mio stupore.
Lei veniva dal mio... mondo? Lei? Quella figura nera? Mondo? Il mio? Insieme? Akatsuki? Itachi? Sasuke? Vendetta? Bacio? Travestito?
Non ci capivo più niente. Era persino peggio di quando mi ero ubriacata a suon di saké – e dire che non mi piaceva!-.
Troppi pensieri da elaborare, troppi pochi neuroni per poterlo fare.
No, non potevo farcela. Se continuavo a ragionare così intensamente il mio cervello sarebbe scoppiato.
Lo sentivo: era questione di secondi.
Stava per avvenire la seconda esplosione più catastrofica dopo il Big Bang.
No, forse no. Infondo non era tanta la roba che sarebbe esplosa.
- Calmati Ambra.- m’intimò l’Uchiha, che era rimasto ad osservare la mia performance.
- C-calmarmi?!- balbettai, con un fastidioso tic all’occhio – E-e chi l’ha detto che sono agitata?-.
Lui mi osservò con la sua tipica espressione superiore che pareva urlare:
- Io so tutto… io sono Itachi Uchiha…-.
Bé, in realtà la sua espressione non era molto diversa da quella che aveva di solito – se espressione poteva essere definita-, ma dovevo pur distrarmi in qualche modo, no? Interpretare la sua mimica facciale poteva essere una buona opportunità per farlo.
Con quella rivelazione scioccante mi aveva tolto almeno dieci anni di vita e tutti i ricordi della mia giovinezza.
Accidenti! Ero troppo vecchia per poter reggere tali colpi di scena!
- Ma...Itachi...davvero viene dal mio mondo?- chiesi, sperando che si trattasse di uno scherzo.
- No, ti stavo solo prendendo per il culo!-.
Solo Jashin sa quanto avrei pagato – sorvoliamo sul fatto che in quel mondo non avevo un centesimo- perché dicesse quelle parole.
Invece non rispose.
Bastardo di un Uchiha che non ha altro da fare del traumatizzare ragazzine innocenti.
Posai lo sguardo sulla figura. Non si era ancora mossa.
Che era venuta a fare quella lì nel mio mondo? Voleva forse soffiarmi il posto?
Inoltre il fatto che non accennava a dire o fare nulla doveva lasciarmi da pensare: che stesse progettando di attaccarmi di sorpresa?
Dovevo tenermi pronta; Ma perché Itachi l’aveva portata lì?
Sbuffai: stavo cominciando a ragionare come un ninja vissuto, ciò non era da me. Assolutamente.
Tutta colpa di Sasori che passava ore a insegnarmi cose potenzialmente inutili. O meglio, potevano anche essere utili se solo fossi riuscita ad impararle.
Purtroppo tutto quello che sapevo fare era aprire vuoti spazio-temporali e deviare il mio nemico.
Sempre meglio di nulla: infondo a me combattere non piaceva.
Si, scappare si addiceva di più al mio personaggio. Anche se, tecnicamente, era il mio avversario ad andarsene.
Persa nei miei deliri mentali non mi accorsi che Itachi aveva appoggiato una mano sulla spalla della figura, cercando di richiamare la sua attenzione.
Deglutii a vuoto, preparandomi all’ennesima sconvolgente rivelazione.
Chi era costui? Un uomo o una donna?
Effettivamente la marmotta aveva utilizzato un “lei” per riferirsi a quella roba nera, ma non sapevo in che rapporti si trovavano quei due…
Mi presi la testa tra le mani: ancora troppi pensieri tutti insieme.
Il rumore di una bolla che scoppiava mi fece sobbalzare.
Cosa… Diavolo...?
Solo allora la figura si mosse, come se si fosse appena destata dal...
- Ah... ma che bella dormita!- esclamò all’improvviso, mentre con una mano prese a strofinarsi gli occhi.
Stava...dormendo...
In piedi...
Mentre Itachi ed io stavamo avendo una conversazione quasi seria...
Nemmeno io ne sarei stata capace…
- Allora? Siamo arrivati, ‘Tachi-kun?- domandò con la voce impastata.
Egli, minimamente sorpreso – e quando mai lo avevo visto sorpreso?-, mi indicò con un cenno della mano.
Cenno che mi fece perdere altri dieci anni di vita.
Infondo era stato lui quello che aveva detto che gli bastava solo muovere un dito per portare la sua vittima in una illusione, no? Non doveva fare certi giochetti con me!
La figura portò la mano con la quale si stava strofinando il viso sul cappuccio e, con un movimento lentissimo, quasi come se trovasse gusto a prolungare la mia agonia, se lo tolse, permettendomi di vederla.
Era una ragazza, sicuramente più piccola di me.
I suoi capelli erano dello stesso biondo di Fuko, ma le ricadevano spettinati sulle spalle, leggermente schiacciati da uno strano cappellino a forma di gatto che portava in testa.
Appena coperti da quest’ultimo spuntavano due occhi di uno strano colore… un misto tra il grigio e l’azzurro.
Non sembrava poi così pericolosa, ma non c’era da fidarsi del mio sesto senso.
- Io sono Camilla, ma preferisco Cami- sorrise allora lei, mentre io continuavo ad osservarla sospettosa – E tu sei Ambra giusto? Ambra-Nee-sama!- esclamò poi, lasciandomi di stucco.
- N…nee-sama?- balbettai, perplessa.
Ma chi era quella lì?
Quella ragazza era decisamente un po’ troppo moe per i miei gusti… ma da dove erano andati a pescarla? E poi non bastavo io nell’Akatsuki? Li stavo facendo così disperare da dover chiamare qualcun altro?
Un momento: che mi volessero sostituire? O peggio… eliminare? Non servivo più a niente e quindi mi rispedivano a casa a calci? Sempre che avessero intenzione di rimandarmici a casa. Date le loro capacità ci avrebbero messo meno di un secondo a farmi fuori e ancora meno a far sparire i miei resti.
- Da oggi lavorerai in squadra con lei.- cominciò a spiegare Itachi col suo solito tono entusiasta, indicando l’esserino al suo fianco, che nel frattempo aveva preso ad osservarsi intorno, spaesato.
- Non ci penso nemmeno a stare con una mocciosa, uhm.- sbuffai incrociando le braccia al petto, in una perfetta imitazione di Deidara.
Non volevo essere sostituita. Io bastavo ed avanzavo.
- Se lo farai potrei sorvolare sullo spiacevole avvenimento dell’altro giorno…- continuò, ignorandomi.
- Ma quale avv…?- cominciai, ma poi capii, all’improvviso; E fu come ricevere una mazzata dritta sui denti, o meglio, un pugno in faccia da una Sakura abbastanza incavolata.
- Oh Santo Jashin!- pensai sudando freddo, mentre probabilmente il mio viso raggiungeva tonalità disumane.
Cazzo! Ma perché accidenti lui doveva sempre sapere tutto? Cos’era un esper per caso?
- Stai parlando di quell’avvenimento, vero?- balbettai spaventata, dopo qualche istante, ignorando lo sguardo accigliato della ragazzina che, evidentemente, non stava capendo molto della situazione.
Ovviamente Itachi non fece nulla.
Ora… non che pretendessi un chissà quale gesto affermativo da lui, ma almeno un cenno del capo, un battere le ciglia a random, un occhiolino strategico… niente.
Bé, è anche vero che si dice “chi tace acconsente”.
Non mi restava altro da fare che…
- Oh… ma guarda! Mi sono fatta una nuova amica!- sorrisi io, in modo veramente poco convincente, iniziando ad avvicinarmi – Nami, vieni qui!- feci io, allungando le braccia verso di lei.
- Veramente è Cami… non Nami.- protestò la ragazzina.
- E’ lo stesso…- borbottai ma, ad un’occhiataccia del sommo Itachi, ritornai all’espressione inebetita di poco prima – Come hai detto già tu, Camilla, io mi chiamo Ambra. Spero che ti troverai bene nell’Akatsuki.-.
- L’importante è che giri ad almeno dieci metri di distanza da ciascun membro, se non vuoi incorrere in una brutta fine…-.
Questi pensieri decisi di tenermeli per me, infondo non volevo sembrarle più invasata di quando non fossi.
O meglio, di quanto non avessi già dimostrato.
In più il fatto che si fosse avvinghiata al mio braccio, osservandomi ammirata, mi faceva sentire veramente importante.
- Ambra-Nee-sama, non vedo l’ora di essere allenata da te!-.
Le era bastato pronunciare quelle parole per farmi morire di overdose di felicità.
Io? Allenare lei? Finalmente stavano cominciando a capire il mio potenziale!

Un’esplosione risuonò per tutta la pianura, facendo tremare la terra.
Alcuni alberi si spezzarono e, con un tonfo sordo, si riversarono al suolo.
La polvere, che si era alzata, mi impediva di guardarmi liberamente intorno e, a dire il vero, era abbastanza irritante.
Già che non ero molto brava a manifestare le mie abilità ninja in condizioni normali, figuriamoci se riuscivo a percepire i movimenti dei miei nemici senza nemmeno poterli osservare!
All’improvviso, nascosta dalla cortina di fumo, uscì lei.
Con un balzo non molto atletico la evitai, soltanto per pochi centimetri, e cercai di colpirla con “Quella”.
Ella la parò con un colpo di kunai e con l’altra mano mi afferrò per un braccio, facendomi battere la schiena a terra.
Le mollai un calcio cercando di sbilanciarla, ma non ottenni altro che di storcermi la caviglia.
Era fatta di titanio o cosa?! Bé, poco importava: il coltellino che teneva tra le mani era abbastanza preoccupante, anche perché, da quella posizione, mi avrebbe potuta trapassare facilmente. E io non ci tenevo proprio a fare la fine del tonno infilzato dal grissino!
Con la poca concentrazione che avevo esercitai del chakra sulla falce, trasformandola di catena.
Lei allora, sorpresa, si staccò da me con un balzo, andando a finire qualche metro più in là.
Mi misi in ginocchio, tenendomi una mano sul fianco e annaspando alla ricerca d’aria.
- Ehy… perché non facciamo cinque minuti di pausa?- domandai io, con il respiro spezzato.
- Sei proprio una pigrona Nee-sama!- mi riprese lei con le mani sui fianchi – Non riuscirò mai ad arrivare al tuo livello in questo modo!-.
Accidenti a me quando mi era venuta l’idea di accettare la sua proposta di allenarci, stava prendendo tutto fin troppo seriamente!
Tra l’altro, anche se forse non se n’era accorta, il mio livello l’aveva già surclassato alla grande.
Iniziavo seriamente a dubitare di poterle insegnare qualcosa.
Possibile che i miei momenti di gloria non potessero durare per più di mezzo secondo?! Kishimoto si divertiva così tanto a smontarmi?
Non lo sapevo, ma una cosa era certa: quella tipetta mi avrebbe dato filo da torcere.
Ora che ci pensavo… forse era il caso che cambiassi casa e mestiere…
Sarei diventata una contadina! Si, avrei imparato a materializzare con il mio potere germogli di soia e ne avrei fatto la mia fortuna!
Suonava anche bene: Ambra Ricci, contadina professionista!

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Capitolo 36
*** Capitolo 35 ***


Capitolo 35:
Era appena scesa la sera e, fuori dal covo, tutto sembrava immobile.
A spezzare quel silenzio religioso, quasi irreale, era il cigolio delle molle del letto che, in un modo abbastanza inquietante, scandiva quegli attimi.
- D-deiDei… - mormorai col fiato spezzato – N-non…ugh!-.
- Stai ferma Fu… non ci entro!- fece lui di tutta risposta, mentre una goccia di sudore gli scendeva per la fronte.
I suoi capelli mi solleticarono il collo, mentre il suo viso si faceva sempre più vicino.
No, questo era troppo, non potevo sopportarlo.
Con una mano strinsi l’orlo della coperta, cercando di trattenermi.
Stavo per scoppiare… no, non potevo più resistere!
Feci un respiro profondo, cercando di isolare il dolore, prima di urlargli praticamente in un orecchio:
- DeiDei, ma sei scemo o cosa?! Lo vuoi togliere quel gomito dal mio stomaco o no?!-.
Il biondo, di tutta risposta, mi trapasso una costola.
- Se non lo avessi notato non è che io mi stia divertendo Fu, uhm!- protestò lui, aggrottando le sopracciglia – Se non ci entro, non ci entro!-.
- Non è una buona ragione per sdraiarti su di me!-.
- E allora vai sul divano!-.
- No…-.
- Ti vorrei far presente che questo è il mio letto, quindi ho più diritto di starci di te!-.
- Ma io sono arrivata per prima!-.
- Non fare la mocciosa!-.
- Quindi vuoi più bene a lei che a me?- sbottai disperata, guadagnandomi un’occhiataccia.
Un sonoro russare ci distolse dal battibecco e, quasi in contemporanea, ci girammo verso la fonte del nostro dolore.
Eccola, mentre dormiva comodamente spaparanzata sui 2/3 del nostro letto: Camilla, alias Nami.
La “New entry” dell’Akatsuki, colei che voleva soffiarmi il posto.
Era per colpa sua se ci trovavamo in quella spiacevole situazione.

Qualche ora prima:
Avevo temporeggiato. L’avevo fatto in ogni modo possibile, ma ora non c’erano alternative.
Di buon grado – cosa che non avevo mai fatto prima- avevo accettato di allenarmi con lei.
Tornando, poi, le avevo presentato ogni singolo vegetale che si ergeva in quel territorio, rallentando, almeno di un po’, la nostra andatura.
Avendo finito le cose a cui poter fare riferimento ero passata al cielo, indicandole le costellazioni – o meglio, inventandomele di sana pianta- che da quel punto si vedevano benissimo.
In seguito mi ero messa a parlarle del tempo, peggio delle vecchiette che, quando ti si siedono accanto nell’autobus, non ti danno nemmeno un attimo di tregua, sparando a raffica le loro considerazioni su quanto il mondo stia andando a catafascio.
Stavo cominciando a discutere su quanto fosse piacevole il vento che soffiava di notte – e ero sulla buona strada di proporle di dormire in tenda- quando lei aveva posto la fatidica domanda:
- Quando mi porti al covo?-.
- Brutta bastarda, sei così impaziente di sbattermi fuori a calci?-.
Ovviamente questo pensiero decisi di tenermelo per me.
Anche perché ero sicura che Itachi si era appostato da qualche parte per spiarmi. Brutto stalker di una marmotta!
Pensare che lui sapeva quello che avevo combinato con Deidara mi faceva venir voglia di prendere fuoco ed emigrare in Alaska.
Persa nelle mie serie considerazioni mentali mi accorsi di essere arrivata davanti all’entrata del covo solo quando presi in faccia l’abete che aveva il compito di nasconderlo parzialmente. Dolore.
- Ehm… Nee-sama, ti sei fatta male?- cinguettò Nami preoccupata.
- Ti piacer… no, tranquilla, tutto apposto!- sorrisi, cercando di controllare il mio istinto omicida.
Accidenti! Stare con un gruppo di mercenari aveva una brutta influenza su di me…
- Si passa per di qua.- spiegai, indicandole la lunga scala che cominciava ad apparire di fronte a noi.
Quando entrammo, il covo era stranamente tranquillo.
Sasori doveva aver trovato un modo per azzittire Deidara o, probabilmente, data l’infinita pazienza del rosso, l’aveva direttamente ucciso. Se non altro potevo sperare che il tonno gigante avesse avuto l’accortezza di fermalo ma, ora che ci pensavo, Kisame gli avrebbe dato volentieri una mano ad eliminare il biondo – o una pinna, a seconda dei punti di vista-.
Nami si guardavi intorno, svagata, quasi come se non si rendesse conto di poter essere uccisa da un momento all’altro.
Bé, infondo anche io me ne andavo sempre in giro abbastanza tranquilla.
Effettivamente il fatto che riuscissi a trovarmi a mio agio in un covo di assassini psicopatici doveva darmi da pensare.
Infondo però, se avessero voluto uccidermi – anche se ero sicura che ci fossero stati dei momenti in cui l’avevano desiderato ardentemente- l’avrebbero fatto molto tempo prima.
- Ehm… Ambra-Nee-sama?- mi chiamò l’esserino.
- Cosa vuoi Nami?- borbottai io, osservandola di sottecchi.
- Veramente è Cami…- mi ripeté nuovamente lei, affranta.
- E’ lo stesso ti dico! Cosa c’è?-.
- Perché perdi sempre quando combatti contro Sakura?- domandò, pungendomi sul vivo.
Io mi fermai di colpo rischiando di farmela finire addosso, ma in quel momento me ne fregai altamente.
Si era permessa di dire che io – poco importava del come ne fosse venuta a conoscenza- avevo sempre perso con quel chewingum ambulante?! Era cieca o non si era accorta che l’ultimo scontro lo avevo quasi vinto io?!
- Nami?- tuonai, fulminandola con un’occhiataccia – Si da il caso che io le abbia sempre permesso di vincere. Davvero pensavi che quell’oca con crisi d’inferiorità fosse capace di sconfiggermi?!-.
- No, ora che ci penso è impossibile! Nessuno può perdere contro quella lì.- ridacchiò, deprimendomi ulteriormente.
Calma Ambra… mantieni la calma… ucciderla qui, davanti alla tua camera, non è una buona idea.
Se non altro perché dopo ti tocca ripulire i resti del suo corpicino. Pensa a quanto sangue potrebbe esserci.
- Comunque…- borbottai, cambiando discorso - Questo è il covo in tutto il suo splendore…- trillai – Se ci sono delle crepe nei muri non ci fare caso, ogni tanto i MIEI compagni di squadra tentano di uccidersi a vicenda, ma nulla di che…-.
L’avrei spaventata così tanto che mi avrebbe pregata in ginocchio di riportarla a casa sua; Io mi sarei liberata di lei e avrei di nuovo avuto quelli dell’Akatsuki tutti per me. Si, era un piano perfetto!
- Sai, capita che ogni tanto a qualcuno di loro prenda il raptus e gli venga voglia di ammazzarti, quindi la tua vita è in pericolo 24 ore su 24.- continuai, per poi osservarla di sottecchi, per vedere la reazione che le mie parole avevano suscitato.
- Certo, mi pare normale.- rispose lei, senza smettere di sorridere.
La osservai, basita.
Potevo capire che, stando con Itachi, ormai era abituata a essere circondata da gente che voleva ucciderla - dato che, a quanto sembrava, tutti in quel mondo ce l’avevano con quella povera marmotta-, ma non era possibile che fosse completamente indifferente alle minacce di morte.
Non lo ero io che, da quando ero arrivata, ne ricevevo a raffica!
- In questa stanza ci dormiamo io e DeiDei, mentre ‘Ri-senpai se ne sta rintanato nel suo laboratorio a SQUARTARE la gente – spiegai, mostrandogli la camera.
Nonostante mi stessi impegnando a spaventarla non riuscivo a ottenere nessuna reazione particolare da parte sua.
Ero solo io quella che trovava raccapricciante l’idea che ci fosse una stanza in quel covo dove le persone venivano trucidate e trasformate in armi da combattimento? Mah…
- E quale sarà la mia stanza?- domandò ingenuamente lei, facendomi sogghignare.
Al massimo ti prepariamo una cuccetta fuori dal covo.
- Ehm… questo potrebbe essere un problema…- borbottai, facendo finta di riflettere – cosa che non mi riusciva molto bene-.
- Deidara può andare a dormire sul divano- intervenne la voce monocorde di Sasori, appoggiato sul muro, poco più in là. Quando era arrivato?
- Io non vado a dormire sul divano, uhm.- protestò allora il biondo, spuntando dalla cucina – Comunque Fu, devi spiegarmi cosa c’entri con Itachi.- fece, assottigliando gli occhi.
Deglutii.
- Riguarda la questione “dello spiacevole evento dell’altro giorno” di cui parlavate prima, Nee-sama?- domandò allora Nami, facendomi sobbalzare.
Che brutta, bruttissima situazione…
- M-ma cosa dici?- ridacchiai io istericamente, pistandole un piede – Ad ogni modo… perché io devo essere sempre l’ultima a essere informata delle cose?!- protestai, indicando Nami.
Potevo tollerare che si fossero dimenticati di dirmi che avevano acquistato un pesciolino rosso ma quell’esserino biondo e moe era troppo evidente per poter essere semplicemente ignorato.
- Ne abbiamo discusso all’ultima riunione, se non mi sbaglio sei stata tu a dirmi che non ti interessava minimamente di quello che facevamo durante le nostre “sedute spiritiche”- spiegò il marionettista.
Ok, forse il rosso non aveva tutti i torti, però…
- Allora vado a dormire nel divano con DeiDei!- mi offrii, riprendendo il discorso di poco prima.
- Io non ci dormo lì, uhm!- protestò allora il biondo – Tantomeno con te…-.
- Ma nessuno ha ancora riparato il letto di ‘Ri-senpai?- chiesi, ignorando completamente il suo ultimo intervento. Infondo erano secoli che i resti di quello che una volta era stato il letto del rosso giacevano in un angolo della stanza.
- Mi sono persa…- ammise allora Nami, alternando sguardi fra di noi – Il letto? Non stavamo parlando di…-.
- Ci hai presi per dei carpentieri?- protestò il bombarolo, abbastanza scocciato.
- Bé, Sasori è bravo con il legno no? Può sempre costruirle una culla.- proposi, scrollando le spalle.
No, aspetta, forse quello era Yamato.
E poi era già tanto che mi fossi astenuta dal proporre che andasse a dormire nella famigerata cuccia, fuori dal covo -molto lontano, possibilmente-.
- Perché una culla e non un letto?- si lamentò la diretta interessata.
- A me basta dormire con DeiDei.- sorrisi io cambiando nuovamente discorso e facendo rabbrividire il biondino.
- Quello che hai detto non c’entra assolutamente con la domanda che ti ho fatto, Nee-sama.- mi fece notare lei, indignata.
- Non essere così pignola!-.
- State zitte… entrambe…- ci riprese Sasori, che fino a quel momento si era limitato ad ascoltare – anche se ero sicura che avrebbe preferito mille volte trapassarci entrambe con un oggetto affilato e, possibilmente, avvelenato-.
- La soluzione è semplice.-.
Fine flashback.

Semplice? Forse per lui che, in questo modo, era riuscito a liberarsi della nostra presenza che definiva “Assillante” e “Completamente superflua”.
La cosa positiva in tutto ciò era che potevo felicemente stare attaccata a Deidara senza che lui mi guardasse come se fossi l’essere più disgustoso sulla faccia del pianeta.
Poi, il fatto che probabilmente nessuno di noi due sarebbe riuscito a chiudere occhio per tutta la notte e che l’indomani ci saremmo – io almeno- ritrovati maculati – peggio dei Dalmata- di lividi per tutto il corpo era soltanto un dettaglio superfluo. Infondo non si può ottenere tutto dalla vita, no? Dai, vediamola così.
- Fu, sei sveglia?- mi chiamò il biondo.
- Ti basta aprire un occhio per scoprirlo DeiDei…- borbottai seccata.
Diciamo che non ero dell’umore giusto per parlare in quel momento.
Se non altro perché il “dolce” peso di Deidara sul mio corpo mi stava leggermente uccidendo i polmoni… o almeno ciò che ne restava dopo due ore e mezzo che ci ritrovavamo più uniti di un ringo.
- Fu, seriamente, ti devo chiedere una cosa.- continuò, con un tono di voce veramente lugubre.
Era in quelle situazione che mi sarebbe veramente piaciuto godere della sfera emozionale di un Uchiha.
Così mi sarei limitata ad un muoversi leggero e completamente inosservato di un sopracciglio piuttosto dell’espressione terrorizzata che avevo in quel momento.
Avevo bocca e occhi così spalancati che sembrava che qualcuno avesse utilizzato la mia faccia come una tavola da stiro – strano paragone-.
Ecco, me lo sentivo. Ora sarebbe tornato sulla questione “Itachi”.
Cosa mi inventavo? Perché accidenti avevo dimostrato di sapere qualcosa anche se dovevo passare per quella che non sapeva una mazza di quello che stava accadendo – cosa che il più delle volte era vera-?
Potevo tirar fuori la storia del semplice “non voglio che vi ammazziate tra di voi, infondo il mio lavoro è impedire che voi crepiate”, ma ci avrebbe creduto?
No, non era così stupido. O forse si? Forse una via di mezzo.
Ecco! Mi ero nuovamente persa nel mio “Pensare a raffica senza filo logico”.
- Fu?- disse il dinamitardo, cercando di richiamarmi – Possibile che non riesci a prestare attenzione a qualcuno per più di mezzo secondo, uhm?-.
- Non ci faccio apposta!-.
- Ed è questa la cosa che più mi preoccupa.-.
Silenzio.
Perché accidenti ora non parlava?
Potevo capire quanto fosse imbarazzante quel discorso – io in primis avevo voglia di fare qualsiasi cosa tranne che di parlarne- però…
Attesi qualche altro minuto – forse secondo… la mia concezione dello scorrere del tempo è molto soggettiva- e, quando finalmente mi convinsi che il discorso era morto lì, lui riprese parola.
- Fu, hai visto i miei calzini?-.
Silenzio. Questa volta da parte mia.
- DeiDei…seriamente…SEI UN IDIOTA!- gli urlai in faccia, alzandomi di scatto, facendolo cadere dal letto.
E io che non facevo altro che logorarmi interiormente e consumarmi a forza di cercare di pensare in modo logico a quel discorso. E io che mi preoccupavo in quel modo! Lui…lui era… non riuscivo a trovare nemmeno un aggettivo abbastanza offensivo da rivolgergli in quel momento!
- Che ho fatto adesso, uhm?- protestò lui, massaggiandosi la nuca – se non altro ero riuscita a farli leggermente male-.
- Basta! Me ne vado a dormire nel divano!- sbraitai ancora, scendendo dal letto e andandomene, con passi pesanti, verso la porta.
- Deidara non sei altro che un idiota! Brutto imbecille! Mi hai fatto venire un infarto per niente!- continuavo a pensare.
I calzini? I CALZINI? Perché accidenti doveva perdere i calzini in un momento simile? Maledetto!
E ora mi sarei ritrovata a dormire completamente sola nel divano della cucina col terrore che qualche fantasma, o peggio, un Kisame a caso spuntasse dal nulla illuminando la stanza con la sua dentatura perfetta, che aveva la stessa potenza luminosa di una palla da discoteca!
Ma non era questo a infastidirmi di più… ciò che veramente non riuscivo a sopportare, ciò che in quel momento mi stava spingendo a prendere a testate il muro era: perché accidenti avevo permesso che Deidara e Nami si ritrovassero a dormire da soli nello stesso letto?!

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Capitolo 37
*** Capitolo 36 ***


Capitolo 36:
La mattina, al covo dell’Akatsuki, era sempre un momento idilliaco.
Solitamente, non appena il sole spuntava all’orizzonte e le pianure venivano sommerse dalla sua luce, nell’aria già risuonavano dolci parole.
- Brutto bastardo che non sei altro! Maiale pervertito! Idiota! Effeminato! Artista fallito!-.
- Chiudi quella bocca mocciosa, uhm!-.
- E tu chiudile tutte e quattro!-.
- Veramente una è già…-.
- NON MI INTERESSA!-.
Io e il biondino ci guardammo in cagnesco, separati solamente da un tavolo –credetemi, se non ci fosse stato quello a dividerci, lo avrei sicuramente colpito con… qualcosa-.
- Non so quale sia il tuo problema femmina isterica, ma molla immediatamente la mia argilla, uhm!- continuò, cercando di fare un passo verso di me.
Certo, la sua argilla voleva!
Non gli importava di certo dei sentimenti di una piccola e indifesa “femmina isterica”!
E io che avevo passato la notte insonne pregando che le sue mani restassero a cuccia, che ero rimasta tutto il tempo a cercare di carpire ogni singolo rumore proveniente da quella stanza – e per fortuna era solo il russare di Nami-!
Quanto lo odiavo! Quell’idiota impenitente! Quel… quel…
- Dammela!-.
- No!-.
- Ora!-.
- Scordatelo!-.
- Fu!-.
- Maniaco! Approfittatore!- continuavo a urlargli contro, completamente rossa in viso – e stavolta era per la rabbia-.
Più pensavo a lui e Nami che condividevano lo stesso letto… più pensavo di essere stata messa da parte in quel modo… era come se il mio cuore stesse per scoppiare!
- Oggi la bimba morde- osservò Kisame, a lato della stanza, ghignando.
- Fa silenzio o ti squamo!- feci io di rimando, senza distogliere gli occhi da quelli del bombarolo, che non aspettava altro che mi distraessi.
Mi sentivo proprio come in uno di quei film Western, dove i due tizi con il cappello da cowboy stanno uno davanti all’altro, pronti a premere il grilletto, accompagnati da una colonna sonora struggente.
- Ma si può sapere qual è il tuo problema?! Razza di psicolabile che non sei altro!- chiese irritato Deidara.
Psicolabile… digrignai i denti.
- Il mio problema? IL MIO PROBLEMA SEI TU! IDIOTA!-.
- IDIOTA? NON SONO IO QUELLO CHE STA URLANDO SENZA MOTIVO!-.
- NON STAI URLANDO? ALLORA, ILLUMINAMI, COSA STAI FACENDO, DEI-DA-RA-SAN?!-.
- OH… HAI ANCHE IMPARATO A SILLBARE, MA CHE BRAVA!-.
Sentii chiaramente Sasori sbuffare, infastidito.
Poverino… e dire che era stato l’unico che la notte prima si era degnato di dirmi qualcosa vedendomi in quello stato – non che di notte ci fosse tanta gente sveglia-! Anche se, in effetti, mi aveva semplicemente ordinato – neanche domandato- di allontanarmi da lui perché il mio sguardo da cucciolo abbandonato lo irritava.
Ma quelli erano dettagli… Ecco, mi ero deconcentrata!
Quell’attimo di distrazione, infatti, mi era stato fatale: Deidara si era avvicinando pericolosamente,cercando di riprendersi la sua argilla.
- Restituiscila, Fu!- ordinò lui, cercando di strapparla dalla mia presa.
- Scordatelo!- feci io, tirandola verso di me.
Vidi Sasori, con la coda dell’occhio, che se ne andava - probabilmente- molto lontano da lì, dove sarebbe riuscito a non sentirci.
- Muori traditore!- ringhiai dando il chiaro esempio di tutta la mia femminilità, cercando di affibbiargli un calcio agli stinchi in modo da fargli perdere l’equilibrio.
Però, dato che quella con il baricentro inesistente ero io e che nemmeno da sdraiata riuscivo a non cadere, mi sbilanciai all’indietro, non appena il mio piede si sollevò da terra.
Non c’è che dire, gli allenamenti del marionettista che mi avrebbero dovuta trasformare in una ninja temibile e spietata erano stati veramente efficaci!
- Cazz…- feci, mentre l’argilla mi sfuggiva di mano.
Quello che successe dopo fu troppo veloce perché riuscissi a capirci qualcosa.
So solo che sentii Deidara lanciarsi – letteralmente- su di me, facendomi volare all’indietro di qualche metro, mentre dietro di lui l’argilla esplodeva.
Il boato risuonò nell’aria e per un attimo sembrò che mi stesse scoppiando il cervello – o almeno quel poco che ancora ne rimaneva-.
Mi strinsi il più forte possibile al dinamitardo, dimenticando momentaneamente di essere in collera con lui e di volergli staccare la testa a suon di legnate, terrorizzata.
Sembrò durare una vita anche se, in realtà, furono solo pochi istanti – avevo una concezione del tempo da far schifo-.
Probabilmente ora vi aspetterete una scena del tipo:
- Stupida, saresti potuta morire!- esordì il biondo, guardandomi intensamente negli occhi.
L’azzurro cielo e l’intenso ametista si incatenarono per pochi secondi, dato che abbassai subito lo sguardo, mortificata.
- Mi dispiace! Mi dispiace di essere stata così infantile e irresponsabile! E’ che… che vederti con Nami… mi fa male!- piagnucolai io, stringendomi al suo corpo scolpito da anni di duro allenamento.
- No, Fu…- mi bloccò lui -Sono io quello che si deve scusare…-… e via dicendo.
Questo, però, non avvenne.
Io non ero una persona dotata di ciò che viene comunemente definito come “autocritica” e non avrei mai ammesso di aver commesso un errore nemmeno sotto tortura – forse in quel caso si…- ; ciò valeva anche per Deidara che, dato il suo terribile orgoglio, non aveva nemmeno la minima idea di cosa significasse scusarsi.
Non appena mi fui calmata e tutte le rotelle del mio cervello ebbero ripreso la loro quotidiana routine, scansai in malo modo il ragazzo, esordendo con un:
- Santo Jashin! Ho ammazzato Kisame!-.

In quel momento, molto lontano da lì.
- E quindi vorresti la ragazza?- domandò un uomo dalla discutibile maschera arancione, scrutando – probabilmente- il nemico con fare sospettoso.
Le sue parole si spensero nel buio della foresta.
- Esatto. Diciamo come… pegno di fiducia.- rispose l’altro dopo qualche attimo di silenzio.
Il cappuccio copriva completamente il suo volto, ma alcuni ciuffi argentei cadevano liberi sulle sue spalle – Non lo ritieni giusto?-.
Giusto? Probabilmente Madara in quel momento riteneva che di “giusto” nella loro discussione non c’era stato assolutamente nulla: l’aveva attaccato, ricattato e pretendeva anche di stringere un’alleanza con lui.
L’avrebbe sicuramente fatto fuori in un’altra occasione, ma in quel momento non poteva permettersi di compiere passi falsi o…
- E sia.- acconsentì allora l’arancione, voltandosi dalla parte opposta e cominciando ad allontanarsi – Ma se cerchi di…-.
- Non preoccuparti- sogghignò l’altro interrompendolo – Non le torcerò nemmeno un capello. Ora siamo alleati.-.

Ambra:
- Per fortuna che Kisame-senpai si è spostato in tempo!- sorrise Nami, sorseggiando una tazza di tè.
Già… per fortuna…
Non potevo nemmeno immaginare la faccia di Pain nel momento in cui gli avessi detto che io, venuta lì appositamente per parare il deretano a tutti, avevo fatto fuori uno dei membri più validi dell’organizzazione. Mi avrebbe sicuramente fatto fare qualche giochino strano con i suoi paletti magici – non pensate male, eh!-, trapassandomi le mani da parte a parte.
Però, se avevo fortuna – come no-, non avrebbero lasciato nessuna cicatrice…
Questo si che mi rassicurava!
- Per fortuna che qui qualcuno ha aiutato LEI a scansarsi, uhm.- borbottò Deidara, vicino a ciò che restava del divano – era la prima volta che distruggevo qualcosa all’interno del covo con un’esplosione-, abbastanza contrariato.
- Non ti ho ancora perdonato, sai!- gli feci notare gonfiando le guancie, in modo veramente maturo.
Non bastava certo che mi avesse salvato la vita per farmi dimenticare della terribile notte che avevo trascorso! Era una questione di principio…
- Onee-sama, perché non andiamo fuori ad allenarci?- propose la mia “allieva”, osservandomi con i suoi grandi occhioni innocenti.
Vacci da sola e restaci, se vuoi ti aiuto anche a piantare le assi per costruirti una cuccia.
- Guardami bene… ti sembra la faccia di una che ha voglia di allenarsi?- borbottai funerea, mostrandogli il mio volto cadaverico, attraversato da due profonde strisce nere.
Per concludere in bellezza quella giornata ci mancava solamente un bel pestaggio violento! Giusto per ricordarmi di quanto inetta e fuori luogo fossi io in quel mondo… l’avevo detto io che dovevo trovarmi un altro impiego!
Nami era proprio…
- UN MOMENTO!- urlai, alzandomi di scatto dalla sedia, così velocemente da ribaltarla.
Non badai nemmeno allo sguardo basito di Deidara e quello preoccupato di Nami – non si era ancora abituata ai miei cambi repentini- tanto ero presa dal contemplare la mia genialità.
Io… io… ero appena riuscita a risolvere l’arcano! Ce l’avevo! Ero riuscita a farlo! Quel dannato piano su cui mi ero scervellata fino a quel momento!
- Nami, mia musa ispiratrice!- sorrisi inebetita, prendendole una mano – Ora noi due ci andiamo a fare una bella passeggiata al chiaro di luna, che ne dici?- proposi, facendole l’occhiolino.
- Onee-sama… non è nemmeno mezzogiorno…- mi ricordò lei, smontandomi immediatamente.
Poco importava però in quel momento… ero troppo felice. Finalmente sapevo come riuscire a salvarlo!

37 metri di distanza dal covo più tardi…
- C-cosa facciamo qui, onee-sama?- mi chiese Nami che, alla fine, avevo dovuto trascinare lì con molta poca grazia.
Probabilmente pensava che avessi trovato qualche strano modo per debellarla dall’organizzazione – non era mica stupida, aveva capito subito quanto fossi possessiva-.
- Nami! Nami… nami… nami…- ridacchiai io, scuotendo la testa, cercando di creare un po’ di suspance -anche se stavo veramente morendo dalla voglia di informare qualcuno del mio lampo di genio-.
- Onee-sama…- ripeté lei, inclinando la testa di lato – Io mi chiamo Cam…-.
- LO SO COME TI CHIAMI! Comunque…- dissi dopo un lungo respiro, continuando a sorridere – Non vuoi sapere perché siamo qui?-.
La sua espressione era un misto di “E’ quello che ti ho appena chiesto” con un accenno di “Mi sta cominciando a fare paura”.
Nami si limitò ad annuire, mentre una folata di vento tremendamente scenica si apprestava a precedere il mio trionfale discorso.
- E’ il mio momento!- mi dissi, totalmente gasata.
Purtroppo, però, prima che potessi fare qualcosa, la leggiadra brezza che fino a poco prima aveva mosso delicatamente i nostri capelli, sollevando qualche foglia caduta, aveva già smesso di soffiare.
Bastardo di un Kishimoto… non pretendevo tanto, ma almeno un attimo di gloria poteva concedermelo!
- Dicevo…- continuai abbastanza irritata, dopo essermi schiarita la voce – Ho in mente un piano per salvare un membro dell’organizzazione, ma senza di te non riuscirei a combinare nulla. Potresti aiutarmi?-.
L’espressione determinata della ragazza mi fece capire di avere il suo completo appoggio.
Potevo farcela: grazie a lei e un pizzico di fortuna – quella non guastava mai- sarei riuscita ad aggirare facilmente ogni ostacolo; o almeno così pensavo, o meglio, speravo…

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Capitolo 38
*** Capitolo 37 ***


No, non sono morta. Si, ci sono ancora… e bé, vi siete accorti da soli che sono anche più in ritardo del solito <-- disse colei che aveva progettato di finire la ff per l’estate.
Questo capitolo, tra l’altro, avrei dovuto postarlo il 29 luglio per il compleanno di una mia amica… ma me ne sono successe di tutti i colori – tra l’altro mi sono spaccata l’anulare destro e mi hanno fatto una fasciatura così grande che ad ogni lettera mi portavo via metà tastiera-.
Sono consapevole che non ve ne importa XD
Dunque, questo capitolo, anche se in tremendo ritardo, lo dedico a titti_chan: non so cosa ne sia uscito fuori, tu apprezza il gesto O.o
Buona lettura :) – si spera-.

Capitolo 37:
“Quella giornata era così afosa che persino Kisame stava cominciando a puzzare di fritto misto.
L’umidità era sparita del tutto e l’aria era così densa che si aveva la sensazione di nuotarci dentro.
- Fa veramente caldo, eh?- osservò il suddetto tonno, spostando il peso della sua Samehada sull’altra spalla.
- Capitan ovvio.-.
No, Itachi non rispose con queste esatte parole – altrimenti il suo personaggio si sarebbe rivoltato nella tomba-, anzi, è più corretto dire che non rispose affatto.
- Vorrei proprio capire per quale motivo il capo ci ha convocati in un posto desolato come questo…- fece Kisame, continuando la sua conversazione a senso unico – parlare con un cactus avrebbe sortito lo stesso effetto-.
Avevano ricevuto poco tempo prima, infatti, l’ordine di recarsi in quella landa desolata, che distava almeno 9 giorni di viaggio dal villaggio più vicino.
Forse quello poteva anche essere un posto molto strategico, in cui potevano riunirsi indisturbati, ma l’assenza di alberi – e quei pochi che c’erano, probabilmente, erano passati a miglior vita da un bel pezzo- e il terreno arido e secco a causa della mancanza di acqua lo rendevano un luogo decisamente poco ospitale.
Pochi minuti più tardi vennero raggiunti da Konan e Pain, che portava sulle spalle una strana “sacca” nera.
- Cosa significa?- domandò Itachi, formulando il suo primo intervento della giornata.
- Ambra l’ha portata qui.- spiegò semplicemente Konan, facendo un cenno verso l’ammasso scuro, che aveva cominciato a muoversi.
Lentamente, dalle pieghe del mantello, emerse il volto di una ragazzina, con dei ribelli ciuffi biondi che spuntavano qua e là dal cappuccio.
- Che ne dobbiamo fare?- ghignò il blu, stringendo quasi automaticamente la presa sulla sua spada.
- Dovrete portarla con voi ed allenarla. A quanto pare il suo potere è in qualche modo simile a quello della suggestione.- intervenne Pain, mentre Nami intervallava occhiate perplesse fra i due gruppi dell’Akatsuki.
Non aveva capito molto di quello che era successo fino a quel momento, anzi, si poteva anche dire che non era proprio sicura di cos’aveva fatto prima di essere stata gettata a terra come un sacco di patate.
Sapeva soltanto che poco prima – o forse erano passati persino dei giorni- si era risvegliata su qualcosa di freddo e umido, probabilmente un pavimento di pietra.
Davanti a lei c’erano due figure che era sicura di non aver mai visto prima ma, in un qualche modo, sapeva che le dovevano risultare familiari.
La prima era una donna, dai capelli blu, decorati da un origami.
A causa del buio non era in grado di seguire il suo sguardo, ma riusciva chiaramente a percepirselo addosso.
Infine c’era un uomo, i cui occhi l’avevano catturata fin dall’inizio.
Non aveva mai visto nulla del genere.
Ciò che era successo dopo lo ricordava a tratti ma, non appena aveva alzato lo sguardo verso i due nuovi individui si era – in un certo senso- risvegliata da quello stato confusionale nel quale era precipitata fino a quel momento.
- Probabilmente la sua esistenza è nata da Ambra stessa.- concluse quello che l’aveva portata fino lì.
Ora che lo guardava meglio notò che il suo volto era completamente ricoperto dai piercing – se così potevano essere definiti quei bastoni di metallo che lo trapassavano praticamente in ogni punto-.
Doveva essere sicuramente uno di quei punk convinti che si divertivano a ridurre il loro corpo peggio di un quadro di Picasso.
Il tizio davanti a lei, se non fosse stato per le due autostrade che gli attraversavano la faccia, sembrava essere abbastanza apposto.
Soltanto qualche ora più tardi – quando i ricordi sarebbero cominciati a riemergere- Nami si sarebbe messa a ridere scoprendo che “il tizio apposto” aveva sterminato il suo intero clan – meno uno-.
L’aveva fatto per buoni motivi, certo,ma aveva pur sempre trucidato la sua famiglia a suon di macete e occhiatacce.
Infine soffermò il suo sguardo su colui che riusciva ad eclissare l’anormalità di ogni altro essere vivente di quel pianeta.
Pelle blu che pareva presentare i residui di un tuffo in un secchio di vernice, dentatura ottenuta probabilmente dopo anni e anni di utilizzo della carta vetrata al posto dello spazzolino… ebbe il suo primo incontro con Kisame. Ma perché quella cosa aveva le branchie?
In quel momento anche la mummia con la forma di un gelato gigante che stringeva in una mano non era niente a confronto del suo aspetto.
Nami poteva giurare che, non appena l’aveva guardato, aveva sentito partire in sottofondo la colonna sonora dello “Squalo”.
Sperava solamente che, agli occhi del sommo pesce, non sembrasse una foca indifesa.

Un mese più tardi aveva recuperato le sue conoscenze su “Naruto” e sulla sua “presunta” vita prima di essere trasportata in quel mondo.
“Presunta” in quanto, a detta di Pain, tutto quello che lei sapeva era – molto probabilmente- una sorta di menzogna creata dalla distorsione che Ambra operava continuamente ed inconsciamente sulla realtà che la circondava.
Le aveva spiegato che la ragazza, forse senza nemmeno soffermarsi realmente su quel pensiero, poteva aver desiderato che qualcuno come lei finisse lì, per non continuare a sentirsi così diversa dalle persone che la circondavano.
- Poverina…- aveva pensato allora Nami – Non posso nemmeno immaginare cosa stia passando in questo momento!-.

Al covo dell’Akatsuki, in quel momento…
- DeiDei…- borbottò la ragazza sdraiata sul divano, agitato leggermente i piedi – Mi prendi un gelato?- domandò all’artista, impegnato a sventolarsi con una mano.
- Prenditelo da solo, Fu-.

Doveva allenarsi, doveva diventare una ninja degna di tale nome e poi incontrarla.
Forse quella che stava vivendo era un’illusione ma, in ogni caso, si sentiva in debito verso quella ragazza, voleva trovare un modo per aiutarla; e per farlo doveva esserne all’altezza, non doveva assolutamente infastidirla con la sua inesperienza.
Avrebbe sopportato i duri allenamenti di Itachi e le punizioni che le infliggeva Kisame se non riusciva a portare a termine i suoi compiti.
Doveva farlo per colei che le aveva donato la vita."

Ambra:
Inclinai la testa di lato, perplessa, mentre osservavo Nami che sembrava essersi immersa in un solenne flash back, in stile Holly e Benji.
Peccato che mentre loro facevano in tempo a rivivere la loro vita per intero, giocarsi la casa a poker e bersi una tazza di caffè senza che il pallone si muovesse da davanti il loro piede, pronto a essere scagliato in porta compiendo acrobazie che sfidavano le leggi della gravità, io ero pienamente consapevole dei minuti che passavano.
Minuti preziosi, tra l’altro.
- C’è nessunooooo?- cantilenai lamentosa, facendola sobbalzare – neanche le avessi appena rivelato che in realtà Sakura aveva un ruolo nell’anime-.
- CHI E’?!- cinguettò lei, facendo alcuni passi indietro e parandosi con le mani, terrorizzata.
Il lupo mangia frutta, che frutta vuoi?
- Esattamente la persona che trenta minuti fa ti ha portata qui…- borbottai funerea.
Trenta minuti in cui avrei potuto spiare di nascosto Deidara – anche se ero ancora arrabbiata con lui- e Sasori, sbavando senza ritegno.
Trenta minuti in cui il mio cervellino avrebbe potuto dimenticarsi ripetutamente del motivo per cui l’avevo portata lì. No, tranquilli, non era successo.
In quel momento mi parve veramente, per la prima volta da quando ero lì, di star prendendo parte ad una scena di un anime.
Da dietro le nuvole, improvvisamente, spuntò il sole, che illuminò entrambe le nostre figure, in piedi l’una davanti all’altra.
La prima aveva lo sguardo totalmente concentrato sulla ragazza davanti a lei, quasi pendesse dalle sue labbra, mentre la seconda, un sorrisino di superiorità che le attraversava il volto, si apprestava a parlare.
- Ho trovato un modo per salvare l’insalvabile, per fare l’impossibile… ho risolto il mio dubbio amletico: si può fare o non si può fare? Ovvio che si può fare!- cominciai a pavoneggiarmi io, senza dare peso al fatto che quello che stavo dicendo, effettivamente, non aveva alcun senso.
- D’accordo onee-sama…- mi assecondò Nami - Quindi?- mi incitò, un ciuffo di capelli che le ondeggiava davanti agli occhi in modo molto scenico.
- Guarda Catwoman che sei tu ad essere rimasta a fissare il vuoto fino ad adesso… pretendi pure che mi mangi il mio momento di gloria così in fretta solo perché ti sei ricordata della mia esistenza?!- pensai rifilandole un’occhiataccia che avrebbe spaventato persino… no, non avrebbe spaventato nessuno.
Mah… le ragazzine al giorno d’oggi non avevano più rispetto le persone che avevano un’età ormai avanzata come la mia…
- Non mettermi fretta!- borbottai infastidita – Lasciami vivere ancora per un po’ questa sensazione di onnipotenza, perché tanto non ricapiterà più!- pensai rassegnata, scuotendo la testa.
Sapevo benissimo, infatti, che non appena avessi pronunciato le fatidiche parole tutta la magia sarebbe finita… ed era una cosa altamente deprimente…
Sbuffai, conscia che continuare a temporeggiare non mi avrebbe portato a niente.
Avanzai verso di lei, accostando il viso al suo, in modo che nessuno potesse capire cosa le stessi dicendo – non si era mai troppo prudenti con una marmotta stalker nelle vicinanze-.
- Quello che ti sto per dire non va riferito a nessuno, ok?- le sussurrai nell’orecchio, con aria cospiratoria.
Altrimenti con la tua splendida testolina ci gioco a golf… sono stata abbastanza chiara?
- Puoi avere la mia parola!- fece lei di tutta risposta, determinata.
Perfetto.
- Tu vuoi salvare Itachi, non è vero?- le chiesi e, non appena ebbe annuito, continuai il mio discorso – Qualche tempo fa… Madara è venuto a trovarmi…-.
- Oh…-.
- Si… “oh” è il termine più adatto.- acconsentii – Anch’io ero abbastanza “oh” quando me lo sono ritrovata davanti. Ad ogni modo, per ovvi motivi, lui mi ha imposto di lasciar morire Itachi.-.
Era un vero bastardo! Minacciarmi in quel modo, traumatizzarmi, pestarmi - probabilmente- e lasciarmi come una cesta di mele infondo alle scale senza degnarsi nemmeno di riordinare tutto il casino che avevo fatto cercando di ucciderlo!
Non c’era più rispetto per le ragazzine innocenti – e che vanno in giro a castrare gente a random- al giorno d’oggi… Ok, stavo veramente cominciando a parlare come una vecchietta…
- Io ho le mani legate, ma a te non ha detto nulla giusto? Quindi puoi pensarci tu! Infondo… come avresti potuto saperlo?- continuai, spiegandole la mia geniale intuizione.
Come avevo fatto a non arrivarci prima?
Infondo “se la montagna non va da Maometto, Maometto va alla montagna”, giusto? Non che questo proverbio c’entrasse molto nel contesto…
Tutt’intorno a noi regnava un religioso silenzio, come se tutti fossero in attesa della risposta di Nami.
- Onee-sama…- mormorò lei, alzando lo sguardo su di me – Quello mi ammazza.- concluse, lapidaria.
“Ammazza”? Ma che termini esagerati usava!
Certo, non l’avrebbe presa molto bene, ma non sarebbe arrivato a tanto… o almeno credevo, o meglio, speravo.
Infondo sia io che Nami gli servivamo vive, no? Non sarebbe stato così accecato dall’istinto omicida dall’ucciderci per una sottigliezza di questo tipo!
Bé, avrebbe sempre potuto torturarci “no stop” nel suo sharingan, ma questi erano solamente dettagli… dettagli dolorosi, ma pur sempre dettagli.
Dimostrando tutta la mia maturità unii le mani in segno di preghiera e cominciai a piagnucolare:
- Ti prego! Se Madara deciderà di prendersela con te ti proteggerò io! Gli dirò che è stata tutta opera mia! Ti prego, almeno provaci!-.
Se ve lo state chiedendo in quel momento non ero disperata, no… quello era solamente l’unica speranza che mi rimaneva per sperare in un “Happy end”.
- Se Itachi crepa, Madara potrà fare i suoi porci comodi! Non lo possiamo permettere!- frignai ancora, cercando di far leva sui sensi di colpa – Per favore Nami, ho bisogno del tuo aiuto!-.
Queste parole sembrarono risvegliare qualcosa in lei.
Ero veramente una stupida… avrei potuto usarle prima invece di fare tutte quelle promesse – che in effetti avrei preferito non trovarmi a dover mantenere-.
Infondo in quel momento la disperazione mi avrebbe portata anche a far di Nami dell’incenso da offrire a Jashin per un po’ di fortuna.
Prima o poi mi sarei dovuta scusare con lei per il trattamento subdolo che le riservavo.
- C-cosa dovrei fare… esattamente?- mi domandò allora la moe-girl, lo sguardo fisso sui suoi piedi, pensierosa.
Riacquistato quel minimo di speranza e cercando di non pensare a possibili finali apocalittici a cui tutto ciò avrebbe potuto portare, presi parola.
- Ancora non sono sicura dei particolari...- dissi con una scrollata di spalle, guadagnandomi una sua occhiata sconvolta.
Infondo avevo avuto solamente cinque secondi di parziale lucidità, non si poteva pretendere troppo, no? - Speravo di ragionarci meglio con te…- mormorai imbarazzata.
In realtà, semplicemente, non sapevo dove sbattere la testa.
Però era stato già un successo l’arrivare a trovare qualcuno che potesse aiutarmi, no? No? Ok… forse mi ero davvero entusiasmata per poco.
- Tutto quello che mi è venuto in mente è di tramortire la marmotta, legarla e chiuderla in uno sgabuzzino, ma non credo che riusciremo mai a…-.
- Tramortirmi?-.
La voce calma ma allo stesso tempo spaventosa di Itachi mi gelò il sangue nelle vene.
Sia io che Nami sbiancammo, sorprese nella piena elaborazione del nostro piano malvagio.
Ci voltammo contemporaneamente verso la marmotta che, senza lasciar trasparire assolutamente nulla, era davanti a noi.
- ‘T-Tachi-kun!- balbettò Nami, mentre con una mano mi strattonava la cappa, in una tacita richiesta di aiuto.
- C-che bello vederti qui! I-io stavo… ehm… stavamo…- lancia uno sguardo d’aiuto alla mia compagna di sventure, ma lei lo evitò abilmente.
Guarda che se io vado giù, bella, tu vieni giù con me!
- Ehm… Nami mi stava… ehm…-.
- Raccontando una barzelletta e…-.
- Ho pensato che… che… che…-.
Per quale motivo del cavolo dovevano capitare tutte a me?
- Nami! Ma non dobbiamo continuare il nostro allenamento?- chiesi, una goccia di sudore che mi colava dalla fronte.
- G-giusto onee-sama, non possiamo mica starcene qui a poltrire! Dico bene ‘Tachi-kun?- gli sorrise lei, mentre lentamente iniziavamo a mettere qualche metro di distanza tra noi e la marmotta.
- Camilla, tu non te ne andare. Devo parlarti.-.
A quell’affermazione storsi il naso: quel “tu non te ne andare” implicava che io me ne andassi, vero? Cos’erano tutti quei favoritismi?
La ragazza sussultò appena.
- Mi spiace onee-sama, ne riparleremo più tardi.- mi disse accennando un sorriso di scuse, per poi avvicinarsi all’Uchiha.
Si, ero stata appena piantata in asso da un tizio in fin di vita e una ragazzina – non dimentichiamoci che era più piccola di me- di belle speranze.
Sapevo benissimo che il fatto che Itachi avesse scomodato la sua persona per andare a recuperare la suddetta ragazza avrebbe dovuto farmi intuire che sotto ci fosse qualcosa di losco. Soprattutto per il modo in cui mi avevano liquidato.
Tutto sommato, alla fine, l’unica cosa che il mio cervello riuscì a partorire fu l’idea che tra loro ci fosse un qualche intreccio amoroso. Nulla di più sbagliato, ma ormai tutti si erano rassegnati al mio sesto senso tarocco.
Ragion per cui me ne rimasi lì, ad osservarli mentre si allontanavano, formulando ipotesi potenzialmente insensate su cosa stessero andando a fare – e no, non includevano il dedicarsi ad un gioco da tavolo-.
Dopotutto Itachi – ignoravo se lo fosse anche Kisame o meno- per lei era ciò che Deidara e Sasori erano per me.
Non mi sarei sorpresa se il loro rapporto fosse diventato più profondo e avesse subito una drastica svolta romantica.
Se non altro così Nami sarebbe stata più motivata a volerlo salvare… ecco che lo facevo di nuovo! Dovevo seriamente smetterla di cercare di manipolarla così!
Intuendo che rimanere lì a rimirare il nulla con sguardo vacuo sarebbe stato alquanto inutile decisi di tornare al covo: lì almeno avrei potuto starmene senza far niente mangiando qualcosa e stando possibilmente stravaccata sul divano.
Ahh… era proprio dura la vita di un ninja!

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Capitolo 39
*** Capitolo 38 ***


Angolino dell’autrice:
Sì, sono ancora viva e no, non ho scusanti, perdonatemi. 
E’ passato un anno, lo so, ma non riuscivo proprio a scrivere questo capitolo e nemmeno ora, dopo tutte le varie versioni, ne sono pienamente soddisfatta. 
Tuttavia mi dispiaceva fermare la storia proprio ora, soprattutto considerando che non manca poi così tanto alla fine. 
Cercherò di essere più veloce con il prossimo aggiornamento.
Baci e buona lettura!

 
Capitolo 38
 
Con il termine “sfiga” si intende solitamente indicare una situazione di sfortuna, iella, un’entità che scandisce la vita di alcuni individui. In quel momento, però, potevo affermare con la massima sicurezza che se si ricercava questa parola su un dizionario sarebbe sbucato fuori il mio nome come sinonimo. 
In effetti era da diverso tempo che non mi sentivo propriamente la persona più fortunata sulla faccia della terra, ma fino ad allora non mi si era mai presentata davanti una situazione simile. 
Spostai nuovamente lo sguardo verso Pain, facendo un lungo sospiro, invocando la benedizione di qualsiasi divinità esistente per evitare di scoppiare in una reazione isterica poco consona alla persona vagamente importante che mi ritrovavo davanti – se non altro perché non ci tenevo proprio ad avere da lui qualche lezione sul vero dolore-. 
Dovevo mantenere la calma. Ero una persona civile ed educata. Non era il caso di peggiorare ulteriormente l’opinione che aveva di me.
«Cosa significa che Nami se ne è andata?»
 
***
 
La pioggia continuava a cadere incessantemente, riversandosi rumorosamente contro il terreno; grandi nuvoloni attraversavano il cielo, formando un’ombra sul paesaggio circostante, quasi completamente avvolto dall’oscurità nonostante l’ora del giorno.
Sotto di essa una figura dalla maschera a spirale osservava il cielo plumbeo, immersa completamente nei suoi pensieri. 
«Non si è verificata nessuna alterazione nel potere di Ambra e le condizioni dell’altra ragazza sembrano stabili»
Dopo pochi istanti si allontanò dalla sua posizione, rivolgendo l’attenzione verso “l’uomo” che stava pian piano emergendo dalla corteccia di un albero; il suo corpo sembrava come attraversato da una linea, che divideva la sua figura in due parti completamente differenti fra loro, avvolte ai lati da due grandi foglie.
«Sembrerebbe proprio che questo piccolo esperimento non abbia portato alcun risultato» osservò candidamente la parte bianca della figura, scrollando appena le spalle. 
«Ti aspettavi che lei reagisse in qualche modo una volta venuta a contatto con la fonte della sua origine?» fece invece la parte nera, la voce più cupa e tenebrosa rispetto a quella dell’altro. 
«Non ha funzionato, quindi…» si limitò a constatare Tobi, dopo alcuni istanti di silenzio, più rivolto a se stesso che all’altro «Torneremo semplicemente sui nostri passi. A questo punto potrebbe essermi utile per quella certa alleanza…»
«Non ci limiteremo a eliminare la ragazza?» domandò la metà nera di Zetsu, pregustando già sulla punta della propria lingua il sapore della giovane carne, mentre un fulmine attraversava il cielo, rompendo per un istante con il suo bagliore l’oscurità che li avvolgeva. 
«Si tratta solo di un effetto collaterale, no?» aggiunse questa volta la parte bianca, osservando l’uomo dal volto coperto.
«Non sarà necessario»
Tobi iniziò a camminare verso la fitta boscaglia che si estendeva tutt’intorno a quell’area, sistemandosi il cappuccio sulla testa «Potrebbe comunque spegnersi da un momento all’altro. Infondo la sua vita è soltanto una menzogna, nient’altro che una triste illusione di cui Ambra è padrona»

 
***
 
«La ragazza si trova con Kabuto Yakushi» ripeté Pain nuovamente, quasi come se volesse assicurarsi che il messaggio venisse fagocitato per bene dal mio cervello – persino lui aveva cominciato a capire che mi serviva del tempo prima di riuscire ad elaborare nuove informazioni- «L’Akatsuki ha stretto un’alleanza con lui».
«Alleanza? Con il galoppino di Orochimaru? Perché?!» sbraitai contro il suo ologramma, agitando le braccia con la stessa coordinazione di una salmone che cercava di risalire la corrente. Il tono pacato e piatto che continuava a utilizzare per rispondere alle mie domande mi stava facendo salire una terribile voglia di prenderlo a pugni, ma decisi saggiamente di trattenermi; anche perché tentare di pestare la sua proiezione non mi sembrava una mossa molto intelligente. 
Non che ce l’avessi particolarmente con Pain, no: lui era sempre stato gentile nei miei confronti – nei limiti dei suoi standard di gentilezza s’intende- e povera bestia… aveva già abbastanza problemi di suo; potevo benissimo capire che cercare di accontentare un’adolescente psicolabile non rientrava esattamente nel suo ideale divino, però…
«N-noi dovevamo… Itachi!» balbettai, confusa, miliardi di pensieri che vorticavano nella mia testa. Come diamine avrei fatto adesso? Non era possibile! Non poteva nemmeno essere considerata come una coincidenza quella! Solamente il giorno prima – no, non erano nemmeno passate ventiquattro ore- avevo deciso di chiedere a Nami di aiutarmi a salvare l’Uchiha e subito dopo era stata portata via da un… da un  maniaco dai capelli sbiaditi! – e con queste parole non mi stavo riferendo a Hidan-.
«La situazione di Uchiha Itachi non dovrebbe interessarti» mi fece notare l’arancione, senza scomporsi minimamente di fronte al mio stato confusionario. 
Chissà per quale strana ragione – che sospettavo derivasse dal mio, più che traumatico, incontro con Tobi-, ma il fatto che dovessi lasciare che l’Uchiha morisse malissimo era un concetto che avevo capito piuttosto bene. Ero consapevole che tentare di salvare la povera donnola equivaleva a condannarsi ad una fine lenta e, soprattutto, dolorosa; ma sapevo anche che non farlo avrebbe significato guerra certa – e io avrei sicuramente preferito evitare di ritrovarmi in un campo di battaglia simile, dato che per me era già difficile arrivare a fine giornata anche non facendo nulla-.
Pain decise a quel punto di sparire – nel senso meno metaforico possibile-, probabilmente ricordandosi di qualche piano malvagio da rifinire e di non avere il tempo di assistere a una mia crisi esistenziale – ne aveva già abbastanza di suo-.
Saggia scelta, per lui; e anche per me, visto e considerando che l’idea di insultarlo ed essere pronta ad affondarne le conseguenze – ovvero: essere infilzata da parte a parte da un paletto neanche fossi un tonno Riomare con un grissino- non era decisamente la mia massima aspirazione di vita. 
Mi abbassai sulle ginocchia, formando una sottospecie di palla depressa sul pavimento della camera e presi a rotolare maniacalmente su me stessa, finendo, molto probabilmente, per impanarmi con la polvere, visto che nessuno aveva mai osato prendere in mano una scopa in quel covo.
Dovevo pensare e anche in fretta; riuscivo quasi a percepire i miei poveri neuroni – o almeno quelli rimanenti- agitarsi nella mia testa, cercando di trovare una soluzione fattibile che portasse a meno morti possibili – e che magari comprendesse anche me nel conteggio delle persone rimaste in vita-. Cosa avrei dovuto fare? Dovevo lasciar perdere? Il mio coraggio mancante mi suggeriva di farlo, ma questo avrebbe voluto dire che la guerra sarebbe arrivata; e guerra voleva dire: fatica inutile per salvare quelli dall’Akatsuki, visto che dubitavo sarebbero sopravvissuti fino alla fine in un conflitto di quelle proporzioni. Inoltre, anche considerando la remota possibilità di una nostra vittoria, il futuro che ci si prospettava davanti non era decisamente uno dei più rosei. Dove cavolo era finito il mio meritatissimo happy ending? Perché diamine non mi ero posta questi problemi mesi e mesi prima, quando avevo accettato di prendere parte ai piani dell’organizzazione?!
Più pensavo e più mi accorgevo che non c’era assolutamente nulla che potessi fare; più me ne rendevo conto e maggiore diventava il desiderio di avere una bottiglia di sakè tra le mani; non per berla ovviamente – i miei ricordi sul dopo sbornia mi perseguitavano ancora-, ma per spaccarmela in testa e mettere fine alle mie sofferenze prima che ci pensasse qualcun altro di molto poco affabile.
«Santo Jashin! Per quale accidenti di motivo ho combattuto fino ad adesso?!» sbottai, al limite della sopportazione – e non soffermiamoci sul fatto che per “combattere” intendessi  il “ridursi ad un mucchietto di fratture scomposte e ad un cestello di sangue”-. 
Non pretendevo mica che tutta la sfera celeste ruotasse a mio favore, ma avrei veramente apprezzato che la Dea bendata ogni tanto si sforzasse di accennarmi un sorriso – o se non altro che smettesse di voltarmi le spalle-; sarebbe già stato più che sufficiente per mantenere stabile la mia, precarissima ormai, sanità mentale. 
Non era giusto che finisse così! Perché qualcuno doveva proprio morire? Se la storia dei miei poteri era vera – ormai ne dubitavo- perché non riuscivo a fare nulla? Perché non ero nemmeno in grado di usarli?!
Nami se n’era andata e Itachi rischiava, no, era condannato a morire; se non per mano del fratello schizzato – o che a breve sarebbe schizzato-, a causa della sua malattia; giusto… la sua malattia. Anche se fossi riuscita a salvarlo non potevo essere certa riuscisse ad impedire a Tobi di realizzare i suoi ideali contorti. Quello voleva dire che…
«Fu, ti è caduto qualcosa a terra?» intervenne il dinamitardo, vagamente perplesso, osservandomi dalla soglia della porta.
Fu un attimo, il mondo sembrò bloccarsi. Mi voltai verso Deidara che si trovava in piedi davanti a me, gli occhi che sembravano due zaffiri splendenti; mi immersi in quel mare di emozioni che soltanto la sua presenza riusciva a provocarmi, mentre il mio cuore veniva sollevato da tutte quelle preoccupazioni che gravavano su di lui e che minacciavano di schiacciarlo… ma anche no. 
Sarebbe stato veramente bello, ma non era proprio il momento adatto di lasciar spazio ad una scena da manga shōjo, né io ero così cretina da dimenticarmi di avere già un piede nella fossa – scavata rigorosamente dalle mie stesse mani-.
In effetti in quel momento il mondo sembrò bloccarsi sul serio, ma solamente per permettermi di voltarmi verso di lui con un’espressione che urlava “ma mi stai prendendo per il culo? Non vedi che sono prossima al suicidio, cosa diamine stai dicendo!?”.
Il biondo avanzò qualche passo verso di me, continuando ad osservarmi con l’aria di sufficienza che assumeva solitamente mentre mi parlava, squadrandomi dall’altro in basso con un cipiglio confuso.
«Allora perché ti stai rotolando sul pavimento come un ossessa, uhm?»
Sbuffai infastidita dal tono condiscendente che mi aveva rivolto, lanciandogli un’occhiataccia per la sua mancanza di tatto in una situazione delicata come quella; situazione di cui lui effettivamente non sapeva nulla, ma in quelle condizioni tendevo a prendermela con chiunque fosse a portata di mano.
«Non è per quello.» mi limitai a rispondere, tornando ad ignorarlo e richiudendomi di nuovo su me stessa nella posizione di poco prima, abbracciata dal tappetino di polvere che si era formata sotto di me.
«Ero così felice di essere venuta in questo mondo, perché deve finire tutto così…?» mormorai fra me e me passando, infine, alla fase della depressione assoluta; se in quel momento sopra di me si fosse formata una nuvola di pioggia non me ne sarei neanche sorpresa più di tanto considerando la piega che aveva ormai preso la mia vita.
Per un attimo sperai tantissimo che si trattasse di uno di quei tipici momenti clou che capitano sempre nei film, dove tutto sembra volgere per il peggio e, inaspettatamente, il protagonista riceve un aiuto dall’ultima persona che si sarebbe aspettata; Deidara non brillava di certo per le sue doti di intuizione e sensibilità, ma per un momento, osservandolo dal basso, nella mia bolla di tristezza e vulnerabilità, sperai che dicesse quel qualcosa che avrebbe rimesso apposto tutti i pezzi del puzzle e che mi avrebbe aiutata a capire come andare avanti.
«Cosa diamine stai blaterando, uhm?»
Grazie Deidara, menomale che ci sei tu a farmi sentire meglio.
«Non sto blaterando nulla.» feci, piccata, gonfiando le guance «Sto solo pensand-sì, io penso! Non fare quella faccia sorpresa!» lo bloccai, con un tono un tantino più isterico di quello che avessi voluto, prima che potesse anche solo provare a dire qualcosa sulla condizione dei miei poveri neuroni. 
Erano bastate un paio di parole e il mio stato catatonico era stato sostituito da un innaturale istinto omicida; era forse questo il potere dell’amore? La magia che ti faceva salire la voglia di prendere l’altro a pesci in faccia? Me lo aspettavo un tantino diverso…
«Comunque sono ancora arrabbiata con te.» gli ricordai, alzandomi in piedi e pulendomi alla bell’e meglio le gambe da cose sulle quali preferivo non indagare – Kakuzu avrebbe dovuto pensare seriamente di assumere una domestica. Tanto, in un posto del genere, sarebbe stata probabilmente uccisa prima di doverla pagare per il lavoro svolto-.
«Non ho fatto nulla, uhm»
«E invece sì! Tu mi hai tradita!» sbottai, puntandogli un dito contro con fare melodrammatico, vedendolo aggrottare le sopracciglia.
«Non ho idea di cosa tu stia parlando…» replicò esasperato, passandosi una mano fra i lunghi capelli – e io mi incantai per qualche secondo di troppo ad osservare quello spettacolo di magnificenza, ma queste sono che lui non doveva sapere-.
«Sei stato a letto con quella tipa!» lo accusai, incenerendolo con lo sguardo, la frase che suonava molto più fraintendibile di quanto avessi immaginato; si metteva a fare anche il vago lui! Mai che gli uomini si assumessero le loro responsabilità!
«C’eri anche tu con noi, uhm»
Ok, così però suonava ancora peggio di quello che avevo detto io; un’immagine raccapricciante cominciò a prendere forma nella mia mente e scossi la testa con foga per tentare di cancellarla – tanto ormai avevo perso qualsiasi speranza di apparire mentalmente stabile agli occhi del biondo-.
«Io me ne sono andata!»
«E’ stata una tua scelta, non prendertela con me mocciosa; e poi è il letto è mio, non vedo perché dovrei spostarmi.» sottolineò lui «In primo luogo dovresti essermi grata anche solo per averti dato il permesso di poterci dormire »
«Ancora con questa storia? Non mi sembra che tu ti sia lamentato di qualcosa con quella! E’ perché ha più tette di me? Guarda che questo corpo non è nulla in confronto al m-»
«Stai delirando» affermò piccato, stanco di avere a che fare con i miei sbalzi di umore improvvisi.
«Sì, hai ragione, sto delirando» gli concessi, facendo un respiro profondo per ritrovare una parvenza di calma; me la stavo effettivamente prendendo con lui  senza motivo, per sfogare le mie preoccupazioni sulla fine imminente del mondo.
«Però non ti perdono comunque» aggiunsi subito dopo, giusto per il gusto di avere l’ultima parola, dall’alto della mia maturità.
Deidara scosse la testa, mormorando fra sé e sé qualcosa sul perché gli toccasse stare dietro ad una ragazzina come me, dandomi le spalle per cominciare a trafficare con il contenuto dei cassetti della scrivania, in cui conservava alcune delle sue scorte di argilla.
«Esci?» domandai, vedendo che ne stava mettendo un po’ all’interno della sua borsa.
«Vado a sperimentare qualche nuova combinazione» spiegò semplicemente, ancora di spalle, mentre armeggiava con le sue cose «Dovresti allenarti anche tu ogni tanto, sai? Sasori no Danna sta praticamente marcendo, uhm» sogghignò voltandosi leggermente verso di me e lanciandomi un’occhiatina divertita da dietro la sua spalla, i capelli biondi che ondeggiarono al suo movimento.
Io scossi una mano, allontanando ogni possibile scenario che prevedeva impegno e fatica da parte mia «Poi ricordati di farmele vedere, giudicherò il loro livello di artisticità~» dissi solennemente, sentendo una fastidiosissima stretta al cuore nel notare il sorrisetto fiero sulle sue labbra e la luce che si era accesa nei suoi occhi; amava proprio la sua arte, su quello non c’era alcun dubbio. Per quanto mi riguardava io non ne capivo molto, ma vederlo tutto esaltato nel mostrarmi i suoi nuovi progetti finiva per contagiare anche me. Non potevo permettere che tutto quello finisse in tragedia.
«Ovviamente, uhm! Ti lascerò a bocca aperta» affermò sicuro, finendo di assicurare la borsa intorno alla sua vita «Allora a più tard-»
«DEIDEI!» sbottai io interrompendolo, il tono di voce più alto di qualche ottava, facendolo sussultare sul posto per la foga con cui avevo chiamato il suo nome; lui si limitò a spostare lo sguardo verso di me, fermo sulla soglia della porta, lanciandomi un’occhiata interrogativa.
«Ricordati di non combattere contro Sasuke Uchiha per niente al mondo» cominciai, cercando di non far trasparire fra le mie parole l’ansia che stavo provando in quel momento «Né ora né mai. Non devi nemmeno vederlo da lontano. Nel senso che anche se sentissi solo vagamente odore di scoiattolo devi immediatamente cambiare strada e-»
«Cosa c’entra adesso?» chiese lui, confuso dall’improvviso cambio di argomento.
«Assolutamente nulla, solo… non dimenticarlo. Visto che sei così impulsivo è bene che io te lo ricordi, ogni tanto» annuii solennemente, per dare più enfasi alle mie parole.
«Non ho bisogno di una bali-»
«Lo so, lo so» lo interruppi, non avendo la minima voglia di cominciare l’ennesima discussione sulla sua presunta maturità «Buona fortuna con le esplosioni e fai attenzione a non farti saltare in aria qualche pezzo» lo salutai infine con un sorriso, ondeggiando la mano.
Lanciandomi un’ultima occhiata dubbiosa il biondino lasciò infine la stanza, rinunciando a tentare di decifrare quello che mi passava per la testa in quel momento, diretto fuori dal covo.
Appena si fu allontanato a sufficienza mi lasciai sfuggire sospiro affranto, avvertendo un fastidiosissimo senso di angoscia, ansia e tristezza stringermi lo stomaco; avevo la sensazione che non sarei mai riuscita a vedere le nuove opere su cui stava andando a lavorare… aah, odiavo gli addii.
Non ero una persona famosa per il suo spirito di sacrificio o per la voglia di aiutare gli altri, assolutamente no; io stessa riconoscevo di essere piuttosto avida ed egoista e non ero proprio il tipo da immolarsi per il bene altrui in modo disinteressato o in nome di qualche causa maggiore. Nonostante questo, però, sapevo benissimo che non fare nulla e perdere tutto sarebbe stato molto peggio di qualsiasi altra cosa.
«Non mi resta altro da fare» ripetei ad alta voce, tentando di darmi coraggio con le mie stesse parole, spostando lo sguardo verso una delle pareti della stanza, così anonima e spoglia da aumentare maggiormente il senso di male cosmico che in quel momento pesava sulle mie spalle; l’avevo sempre detto che un po’ di colore lì non sarebbe stato male.

 
***
 
L’insolito gruppo stava percorrendo una piccola stradina che si snodava all’interno della fitta vegetazione che sorgeva tutt’intorno a quella zona montuosa.
Davanti a tutti vi era Sasuke, che continuava ad avanzare apparentemente incurante di ciò che gli accadeva intorno, focalizzato sul raggiungimento del suo unico obbiettivo di vita.
Dietro di lui, a lanciargli occhiate che Fuko aveva più volte definito come “prive di pudore” e “da attrice porno” vi era Karin, i capelli rossi che parevano ancora più accesi del solito a causa della luce del sole che si rifletteva su di essi; gli altri membri si trovavano, invece, diversi metri più indietro, procedendo senza la minima fretta.
Improvvisamente la ragazza dai capelli castani si fermò sul posto, sollevando lo sguardo verso l’alto come se riuscisse a scorgere qualcosa al di là di quella distesa azzurra che li sovrastava.
«Uhm, che c’è?» chiese Suigetsu, notando che aveva smesso di camminare, mentre riponeva nella borsa una delle riserve idriche che fino a poco tempo prima aveva continuato a sorseggiare, sperando servisse ad attenuare almeno un po’ il caldo insostenibile di quella giornata.
Anche Juugo rallentò la sua andatura, osservandola accigliato e il suo mantello ondeggiò leggermente a causa del movimento.
La ragazza rimase per qualche istante nella medesima posizione, senza dare l’impressione di averli sentiti, continuando ad osservare il cielo, come se fosse ipnotizzata da qualcosa.
«Ha cominciato a muoversi» mormorò fra sé e sé, assorta nei suoi pensieri, mentre gli altri due si scambiavano uno sguardo confuso.
Non riusciva a capire quella sensazione: stava diventando strana, o meglio, il corpo di Ambra era strano; era come se improvvisamente qualcosa avesse cominciato a bruciare dentro di lei e la spingesse ad andare verso chissà quale luogo, attraendola come un magnete.
Che fastidio… non vedeva l’ora di poter rimettere le mani sul proprio corpo, a costo di dover assistere nuovamente ad una scena orripilante come quella del bacio tra Itachi Uchiha e… no, non ci doveva pensare, le si sarebbe bloccata la crescita – non che questo fosse affar suo nella condizione in cui si trovava-.
«Niente, niente» rispose semplicemente, scuotendo la testa e tornando apparentemente se stessa «Adesso andiamo o il piccolo Sasuke finirà per perdersi» anche se probabilmente il più grande rischio che correva lo scoiattolo stando così lontano da loro era quello di venir assalito dalla donna isterica.
Quando i due ragazzi tornarono a muoversi Fuko arretrò di qualche passo e, assicurandosi che nessuno si accorgesse di lei, cominciò a correre al massimo della sua velocità nella direzione opposta, entrando all’interno della foresta.
Qualcosa le diceva che se non avesse trovato Ambra al più presto lei avrebbe finito per fare sicuramente qualcosa di stupido - o meglio, di più stupido del solito- e non aveva la benché minima intenzione di lasciarla andare incontro a morte certa con indosso il corpo che le apparteneva.

Ambra POV
«’RI-SENPAIII!» trillai spalancando la porta del suo laboratorio con molta poco grazia e finendo per farla schiantare con un tonfo sordo contro il muro opposto, a causa dell’eccessiva foga con cui l’avevo aperta; oops, speravo soltanto non avesse lasciato qualche segno o la prossima a cui sarebbe toccato collidere contro la parete sarei stata io, per mano di Kakuzu.
Cercando di non fare caso alle varie marionette – estremamente inquietanti a parer mio, soprattutto se pensavo che alcune di esse erano state costruite a partire da una matrice umana– che penzolavano praticamente da ogni angolo di quel posto, avanzai verso la figura di Sasori che stava intagliando qualcosa nella penombra – giusto per aggiungere ulteriore cupezza all’atmosfera-; ero piuttosto sicura che non facesse bene alla vista lavorare in un ambiente così scuro, anzi, che non facesse bene in generale dato che non mi sembrava particolarmente saggio mettersi a smanettare con un coltello nell’oscurità; che il suo corpo di legno fosse dotato anche di visione notturna fra i suoi mille accessori? Avrei dovuto chiederglielo una volta o l’altra.
«’Ri-senpai!» ripetei nuovamente con un tono di voce più controllato rispetto a prima, nonostante il primo tentativo di richiamare la sua attenzione non fosse andato a buon fine - ce ne fosse stato almeno uno, lì dentro, che mi calcolasse!-.
Avanzai ancora di qualche altro passo, facendo attenzione a non calpestare i vari pezzi di legna dalle dubbie sembianze che occupavano gran parte della superficie del pavimento, sperando che mi desse almeno la conferma di essersi accorto della mia presenza; cosa che sicuramente aveva fatto dato che lui era il magnifico Akasuna no Sasori che tutto vede e prevede e che io poco prima avevo praticamente scardinato una porta contro una parete.
«Cosa c’è? Immagino che tu non sia venuta qui per chiedermi di allenarti» constatò dopo qualche attimo di silenzio, senza sollevare lo sguardo da qualsiasi attività a cui si stava dedicando; cosa se ne faceva poi di tutta quella roba… ah, giusto, ci andava in giro ad uccidere la gente e a massacrare villaggi; che tenero.
«Pff-figurati!» ridacchiai, scuotendo una mano per sottolineare che una cosa del genere non avrebbe mai potuto attraversarmi la mente «Sono venuta per chiederti un favore!» affermai, invece, risoluta, puntando un dito nella sua direzione così, per aggiungere un po’ di enfasi in più.
La mia affermazione sembrò spegnersi nel vuoto, mentre il silenzio tornava a regnare fra di noi, interrotto soltanto dal suono del coltellino che raschiava con precisione il legno a cui stava lavorando, lasciando che le schegge in eccesso cadessero sulla superficie della scrivania.
In attesa che il rosso elaborasse ciò che gli avevo detto e valutasse se fossi degna di ricevere o meno una risposta – ormai mi ero abituata ai suoi tempi di conversazione- lasciai nuovamente vagare lo sguardo lungo la stanza, sperando con tutto il cuore che lì da qualche parte non ci fosse nascosto qualche cadavere; anche se ormai non avrei dovuto più sorprendermi di nulla.
«Che genere di favore?» chiese dopo un po’ lui, quasi sulla difensiva, neanche sospettasse che stessi per domandargli di vendermi sua nonna; no, forse la cosa non lo avrebbe disturbato particolarmente considerando che l’ultima volta che l’aveva vista l’aveva lasciata a morire.
Lo occhieggiai, sentendomi improvvisamente un po’ imbarazzata; speravo soltanto che non decidesse, dopo quella richiesta, di usarmi per allenarsi al tiro al bersaglio – non che non ci avesse già provato durante gli allenamenti-.
Deglutii, raccogliendo il mio coraggio.
«Lasciati abbracciare!» mi limitai a dire, aprendo le braccia per sottolineare il concetto.
Silenzio assoluto; questa volta si era persino fermato dall’intagliare ciò che presto sarebbe diventata probabilmente un’arma di distruzione di massa e non sapevo se la cosa fosse propriamente positiva.
Spostò lentamente lo sguardo verso di me, concedendomi finalmente un po’di attenzione.
«Di solito non ti fai alcuno scrupolo a farlo senza chiedermi nulla» osservò candidamente lui, facendomi sfuggire una risatina.
«Sì, ma ora sei armato» gli feci notare, indicando il coltellino che teneva in una mano, la cui lama scintillò inquietantemente per un attimo, colpita dalla luce proveniente dalla porta aperta; non ci tenevo particolarmente ad essere uccisa, trasformata in una delle sue marionette e passare il resto dei miei giorni a sputare cose appuntite, velenose e potenzialmente letali.
«E se mi rifiutassi?»
«Lo farei comunque»
«Lo immaginavo»
Sbuffai appena; non c’era alcun bisogno di fare il difficile in quel modo, avrei potuto chiedergli cose ben peggiori, come: indossa un gonnellino hawaiano e balla un tango con me!
Mi avvicinai di qualche altro passo alla sua figura, che si limitava ad osservarmi dal basso della sua postazione – non si degnava nemmeno di alzarsi!-, senza una particolare espressione in viso.
«Sto per abbracciarti, quindi non farti prendere da qualche strano riflesso ninja eh» lo avvertii nuovamente, occhieggiando il coltellino molto poco invitante che non si era ancora deciso di appoggiare – lui sì che sapeva come mettere le persone a proprio agio!-.
Senza aggiungere altro mi piegai verso la sua figura, lasciando che le braccia si avvolgessero intorno al suo collo, scansando appena con il loro passaggio qualche ciocca di capelli rossi; appoggiai una guancia contro il suo viso, socchiudendo gli occhi, che in quel momento avevano preso a pizzicarmi fastidiosamente.
Ora che ci pensavo era passata una vita dall’ultima volta che l’avevo tenuto in quel modo, anche perché la maggior parte del tempo che trascorrevamo insieme era durante gli allenamenti, in cui lui si limitava a pestarmi allegramente, sostenendo si trattasse di un modo per rendermi più forte - o meno debole, a seconda dei punti di vista-.
Abbracciare Sasori era sempre un’esperienza mistica: in lui era impossibile trovare la minima traccia di calore umano, per ovvi motivi, ma la superficie fresca del suo corpo trasmetteva una sensazione tutt’altro che spiacevole, che per qualche secondo riusciva a infondermi un senso di pace e tranquillità.
Mi strinsi un po’ di più a lui, sentendo il suo viso affondare contro la mia spalla mentre nascondevo il volta fra alcune ciocche dei suoi capelli, facendo un respiro profondo; aah, profumo dell’Ikea! No, stavo scherzando, non sapeva di legno fino a quel punto anzi, dovevo ammettere anche aveva un odore piuttosto piacevole.
Quella era esattamente una di quelle situazioni in cui mi sarebbe piaciuto tirar fuori qualche frase ad effetto molto incisiva ma, purtroppo, non mi venne in mente nulla di intelligente da dire – e addio, per l’ennesima volta, ad un nuovo momento di gloria mancato!-.
«E’ stato divertente» mi limitai, invece, a dire, senza spostarmi da quella posizione, con un tono di voce così basso che per un attimo sospettai non fosse riuscito a sentirmi.
«Che cosa?» domandò lui, sollevando appena il capo per incontrare il mio sguardo, ma io lo premetti nuovamente contro il mio petto con fin troppa foga, voltando il viso di lato e mordicchiandomi un labbro nel tentativo di riacquistare un po’ di autocontrollo.
«I-insomma, non mi devi rispondere, mi rovini tutta la suspance!» lo ripresi sbuffando, spostando una mano per andare ad asciugare le lacrime traditrici che avevano osato sfuggire al mio controllo; o almeno, quella era l’intenzione, ma prima che me ne rendessi conto Sasori aveva bloccato i miei movimenti, afferrandomi il polso con le sue dita.
Mi spinse leggermente all’indietro appoggiando una mano contro la mia spalla, in modo da poter sollevare finalmente il viso e guardarmi in faccia.  
«Tu stai-» cominciò lui, osservandomi vagamente interdetto nell’incontrare i miei occhi lucidi e le guance arrossate.
«M-mi è entrata solo della polvere negli occhi!» esclamai io, abbassando lo sguardo e sbrigandomi a cancellare le evidenze delle mie lacrime con una mano «Va tutto bene, il magico calore del tuo abbraccio ha sistemato ogni cosa» aggiunsi, sentendo il suo sguardo bruciare insistentemente contro la mia figura, mentre finivo di asciugarmi le guance.
«Non ho nulla del genere»
«Invece sì, io lo sento benissimo» ribattei, tornando finalmente a incrociare il suo sguardo con un sorriso.
Spostai la mano ancora stretta nella sua presa sulla sua testa, avvertendo alcune ciocche dei suoi capelli solleticarmi le dita, mentre mi abbassavo verso di lui.
«Fai il bravo» mi limitai a dirgli, accarezzandolo leggermente «Nei limiti dei tuoi standard, ovviamente».
A quel punto tirai indietro la mano, tornando in posizione eretta – la mia schiena fu molto felice di tale decisione- e lui lasciò andare il mio polso, senza però smettere di fissarmi; più lo guardavo e più i suoi occhi mi apparivano tutt’altro che disumani, attraversandomi da parte a parte come se riuscissero a leggermi nell’anima.
Per un attimo ebbi la sensazione che in quel momento avesse già capito ogni cosa, ma, anche se fosse stato così, lui non disse nulla a riguardo e io decisi saggiamente di non approfondire la questione.
Dopo qualche attimo di silenzio mi voltai finalmente verso l’uscita, decidendo che era arrivato il momento di togliere il disturbo.
«Grazie di tutto» conclusi infine, allontanandomi dalla sua figura.
«Voi donne amate proprio sprecarvi in cose inutili…» si limitò a commentare lui, tagliente, abbassando lo sguardo verso il coltello che teneva fra le mani in una strana espressione assorta, mentre io lasciavo che la porta della stanza si richiudesse alle mie spalle, per l’ultima volta.

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Capitolo 40
*** Capitolo 39 ***


Capitolo 39
 
Erano passati mesi da quando ero arrivata in quel mondo. Quanti? Non lo sapevo bene neppure io dato che avevo trascorso la maggior parte del tempo in compagnia di criminali, rinchiusa in una sottospecie di bunker, lontana diversi chilometri da quella parte di civiltà che, anche lì, riusciva a condurre una vita abbastanza ordinaria. 
Inoltre le varie missioni poco legali a cui avevo preso parte e gli allenamenti – quando non avevo nulla di rotto– con Sasori avevano occupato la maggior parte del mio tempo e l’idea di comprarmi un calendario non aveva mai sfiorato nemmeno l’anticamera del mio cervello; anche perché ero completamente al verde e, anche nella remota possibilità che avessi avuto soldi da spendere avrei preferito investirli altrove – come in cibo e sopratutto in bende, che facevano sempre comodo visto il genere di persone che solevo frequentare-. 
Ora che ci pensavo tempo prima mi era venuta la brillante idea di cominciare a segnare con delle linee sul muro della camera i vari giorni che passavo all’interno del covo – anche se faceva molto prigioniero, in effetti-, ma il fatto che Kakuzu avrebbe potuto uccidermi per aver osato scalfire una delle sue preziosissime pareti mi aveva portata saggiamente a desistere da tale intento. 
Ad ogni modo, a prescindere da quanto tempo fosse esattamente passato, mi stavo rendendo conto di stare avanzando inesorabilmente verso il capolinea. O meglio, mi sentivo come se presto sarei stata costretta a scendere dall’autobus in cui ero stata fatta salire per errore e senza biglietto, da un controllore antipatico e parecchio inquietante; ok, il paragone lasciava parecchio a desiderare, ma nella situazione in cui mi trovavo i miei neuroni non erano in grado di elaborare nulla di migliore. 
Non potevo fare altro che continuare a correre, così veloce da sentire le gambe andare in escandescenza ogni volta che le piegavo nuovamente per balzare da un ramo ad un altro, agitandole scompostamente in aria per schivare i vari ramoscelli che ostruivano il mio passaggio. Non ci tenevo particolarmente a sperimentare l’ennesimo incontro ravvicinato con qualche albero, più che altro perché l’impatto avrebbe potuto rallentarmi: ormai, dopo essere passata tra le mani –avrei aggiunto anche “gambe” dati i numerosi calci che avevo dovuto subire, ma la frase avrebbe potuto suonare parecchio equivoca- di Sakura, potevo sostenere di essermi abituata a ricevere batoste. Cosa triste, ma vera. 
Il vento continuava a frusciarmi tra i capelli, impedendomi di sentire chiaramente ciò che avveniva nello spazio circostante anche se, in effetti, non stavo propriamente prestando attenzione al mondo esterno, proprio come ci si poteva aspettare da una ninja di alto livello come me.
Mi pareva quasi di poter sentire Sasori sbuffare, esasperato dal fatto che, nonostante avesse tentato di darmi una formazione più o meno valida per sopravvivere, non fosse riuscito ad ottenere i risultati che si aspettava e dall’alto delle sue manie di controllo questo non andava affatto bene – non che avesse mai avuto chissà quale speranza nei miei confronti, era più che altro scocciato, almeno a parer mio, di dovermi fare da balia a tempo indeterminato -. 
Dove dovevo andare? Cosa dovevo fare? Non ne avevo ancora la minima idea e per il momento non volevo averla. Mi avrebbe soltanto causato un’ulteriore mole di depressione; di questo passo il mio umore avrebbe raggiunto i livelli di quello di Sasuke e, di ritrovarmi con gli occhi sanguinanti, a ridere come un matto, accusando persone a destra e a manca di avere ucciso qualcuno che, in realtà, avevo fatto fuori con le mie mani, non ne avevo proprio voglia. 
Scossi la testa, cercando di non perdermi in inutili pensieri come mio solito; dovevo sbrigarmi. 

Deidara POV
Quando rientrai nel covo il sole era ormai alto nel cielo e brillava talmente forte da risultare fastidioso, soprattutto per poter godere al meglio degli effetti di luce della mia arte. La temperatura aveva cominciato ad alzarsi e, dopo qualche ora di allenamento, avevo deciso che era arrivato il momento di concedermi una meritatissima pausa: probabilmente la pigrizia di Fuko stava cominciando a contagiare anche me oltre che Sasori, che a breve avrebbe cominciato a decomporsi per tutto il tempo passato segregato al covo nell’attesa che le ferite della ragazza guarissero.
Tuttavia, subito dopo aver messo piede all’interno della base avvertii che c’era qualcosa che non andava, come se l’aria si fosse fatta improvvisamente più cupa e pesante; c’era troppo silenzio. Decisamente. 
Assottigliai lo sguardo, insospettito da quel campo improvviso di atmosfera, fissando la porta della mia stanza, che quella ragazzina tendeva solitamente a lasciare spalancata - sia per pigrizia sia per la foga con cui si catapultava da una parte all’altra del covo in preda a chissà quale illuminazione-; in quel momento era stranamente chiusa. 
Erano mesi che non mi capitava di percepire un’atmosfera così tranquilla e pacifica – per quanto potesse essere definito pacifico uno dei principali luoghi di ritrovo di un’organizzazione criminale-, precisamente da quando la marmocchia era entrata nell’Akatsuki e aveva stravolto il nostro equilibrio, rovesciandolo e causando una lunga serie di disastri, presa dalle sue missioni kamikaze; da allora ogni giorno era stato scandito dalle sue urla, dai suoi schiamazzi e dalle sue lamentele che si levavano ogni qual volta Sasori provasse a insegnarle il minimo indispensabile per sopravvivere in quel posto – e quando scopriva che il cibo rimasto all’interno del frigorifero non avrebbe sfamato nemmeno uno di quei batteri abituati a vivere in situazioni estreme-. 
Il fatto, poi, che il rosso fosse proprio in piedi di fronte alla suddetta porta rendeva la situazione decisamente anomala.
Non che mi interessasse particolarmente sapere cosa stava accadendo, ovviamente; ero soltanto preoccupato che avessero distrutto anche il mio di letto, o che qualcuno avesse provato a frugare fra le mie cose e i miei progetti. 
Scesi gli scalini, mantenendo lo sguardo fisso verso la figura di Sasori. 
«Cosa c’è Danna, uhm? Che espressione cupa» domandai con un sorrisino strafottente, scrutandolo con attenzione. 
Il rosso si girò lentamente, i capelli scarlatti che gli coprivano leggermente gli occhi, rendendo la sua figura ancora più tenebrosa del solito, se possibile. 
Vedendo la scena che mi si parava davanti automaticamente deglutii a vuoto. 
Definirlo soltanto “furioso” sarebbe stato un eufemismo: sembrava così incazzato che non mi sarei sorpreso più di tanto se a breve fosse scoppiato in una di quelle furie omicide tipiche di Kakuzu. 
Ebbi l’impulso di allontanarmi di un passo, giusto per sicurezza, provando vagamente pena per la ragazzina: farlo arrabbiare in quel modo e sperare di uscirne indenni era veramente da stupidi, persino per una come lei che di ragionamenti e pensieri logici non aveva mai nemmeno sentito parlare. 
Per un attimo venni addirittura colto dal sospetto che dietro quella porta in legno, che incombeva su di noi come una presenza opprimente, vi fosse proprio il suo cadavere. 
«E’ andata via»
Nel sentire quelle parole aggrottai leggermente le sopracciglia, quasi sorpreso dal fatto che si fosse degnato di rispondermi.
«Cosa?»

Ambra POV 
Respiravo affannosamente in cerca d’aria, i polmoni ormai in fiamme, ritrovandomi a mangiare involontariamente qualche ciocca di capelli che, mossi dal vento, mi finivano praticamente ovunque. Potevo scommettere che se al mio posto ci fosse stato un personaggio qualsiasi, persino il più inutile, persino TenTen – che andava oltre l’inutilità-, la situazione sarebbe stata ben diversa: capelli fluenti che oscillano armoniosamente, la luce soffusa del sole che crea giochi di luce ed ombre sulla pelle perfetta, la figura elegante, i movimenti felini… 
Purtroppo io non ero nata aggraziata di mio e, considerando che stavo avanzando disperatamente qua e là come una specie di scimmia in preda alle convulsioni, non riuscivo ad ostentare una poi così grande eleganza. 
Appoggiai il piede su un ramo, in un movimento automatico, ma qualcosa questa volta andò storto: uno dei miei scaldamuscoli rimase impigliato in una sporgenza del legno e, mentre io mi spinsi avanti, ignara di tutto, quella mi tirò all’indietro e, con l’effetto di una molla, fui trascinata verso terra. 
Proprio in quel momento, davanti ai miei occhi, lo stesso albero dove avevo intenzione di saltare esplose – letteralmente- in mille pezzi, e mi feci scudo con le mani per evitare le schegge di legno che, come popcorn, cominciarono a schizzare qua e là nell’area circostante. 
Atterrai nell’erba con un tonfo sordo e il mio ginocchio finì per conficcarsi precisamente – quante percentuali c’erano?- contro una roccia che fuoriusciva dal terreno di quella pianura. Il dolore fu così lacerante che non riuscii nemmeno a lanciare un urlo decente, finendo per mugugnare insulti a denti stretti al mondo e alla vita in generale che complottava contro la mia povera persona. 
«PORC-cosa accidenti…!?» con le lacrime agli occhi e il ginocchio premuto contro il petto per tentare di fermare il sanguinamento, mi volsi verso le ceneri di quella che una volta era stata una povera quercia – rimarrà per sempre nel mio cuore- scorgendo, nascosta dal fumo che si era sollevato a causa dell’esplosione, una figura fin troppo familiare.
Sgranai gli occhi, la bocca e tutto quello che poteva essere sgranato in un’espressione di stupore allo stato puro: quella era…! 

Deidara POV
«Rispondimi! Cosa vuol dire che se ne è andata, uhm!?» sbraitai contro il rosso, in piedi nella mia stanza, in quel momento vuota e fredda, come se tutto quello che era successo in quei mesi non fosse mai avvenuto e io mi ritrovassi, improvvisamente, riportato con forza verso quella quotidianità che pensavo di desiderare.
C’era troppo silenzio, l’atmosfera era insopportabile: rischiavo di andare fuori di testa e il fatto che il marionettista non accennasse a darmi delle spiegazioni decenti diminuiva progressivamente la mia capacità di auto-controllo. 
Dopo un lasso di tempo che sembrò lunghissimo, quando ormai l’idea di distruggere tutto, senza un motivo preciso, era diventata più forte che mai, il rosso si degnò a prendere parola. 
«Non so dove sia andata. Probabilmente non tornerà»
Fu difficile trattenere il ringhio che risalì lungo la mia gola. 
«Cosa significa? E perché non l’hai fermata!?» chiesi ancora, continuando a non capire assolutamente nulla di quella situazione «Probabilmente è soltanto uscita per qualche missione e si è dimenticata di-»
«No»
Lo fulminai. 
«Articola.Una.Diamine.Di.Frase
Sasori scosse semplicemente la testa, voltandomi le spalle, come se quello bastasse a concludere la discussione, come se si trovasse di fronte ad un bambino che si rifiutava di capire; e io odiavo essere trattato con condiscendenza.
Come accidenti facevo a capire qualcosa se lui continuava ad alternare risposte che andavano da monosillabi a frasi che sembravano uscite da un stramaledetto oracolo?! Era troppo sperare in una comunicazione normale!? 
Senza la minima esitazione mi spostai di fronte al rosso, bloccandogli la strada lungo il corridoio.
«Te ne sei forse dimenticato? Siamo stati incaricati dal leader di occuparci di-» cominciai, irato.
«E’ per questo che ti stai scaldando tanto?»
La mia espressione si fece lievemente perplessa, non riuscendo a comprendere dove volesse andare a parare; lo sguardo completamente inespressivo del marionettista si limitò a rimanere fisso contro il mio.
«Cosa intendi, uhm?»
A quanto pare era troppo sperare che continuasse a sostenere il discorso; più del silenzio, quella volta, ad irritarmi fu il suo sguardo, fisso su di me, un leggero sogghigno a increspargli il volto quasi a suggerire l’ovvietà della risposta. 
Scossi la testa, cercando di ritrovare la calma che minacciava di sfuggirmi dalle mani da un momento all’altro.
 «Al Diavolo! Se non vuoi dirmi nulla, andiamo a prenderla!» sbottai, superandolo a malo modo – assicurandomi di assestargli una bella spallata contro quel corpo di legno di cui andava tanto fiero- e avviandomi verso l’uscita del covo.
Non sentendo alcun movimento mi voltai verso di lui: non si era spostato di un millimetro rispetto a dove si trovava poco prima. 
Lo sentivo: non sarebbe finita bene; avevo invocato l’auto-controllo troppe volte per i miei gusti quel giorno e di quel passo avrei finito per farlo saltare in aria insieme a quel maledetto posto. Avrebbe provato sulla sua stessa pelle che cos’era la vera arte
«Ho detto andiamo a prenderla. Muoviti, Danna»
«Non ho intenzione di farlo»
Non ci vedevo più dalla rabbia.
«Cos-perché?! Muoviti, dannazione! Tu e le tue maledette risposte del cazzo! Potrebbe essere in pericolo, potrebbe… dobbiamo… è nostro compito salvarla. Pensavo che…»
Mi ammutolii, incerto se continuare o meno, mentre Sasori si limitava a rivolgermi uno sguardo di superiorità, come se sapesse perfettamente quello che mi stava tormentando.
All’inizio di tutta quella storia non facevo altro che deridere il fatto che un tipo come il marionettista, dall’alto della sua compostezza e rigidità, fosse finito ad occuparsi della mocciosa, ma col passare del tempo me ne ero reso conto: i suoi modi erano cambiati, seppur non in modo così evidente; sembrava diverso, come se quando si trovava con lei quell’ultima briciola di umanità che giaceva sepolta da qualche parte dentro di lui riuscisse ad emergere. Mi ero immaginato tutto? Non potevo semplicemente credere che, in tutto quel tempo, lui non avesse provato nulla, per quanto disumano potesse essere diventato. 
«Le cose hanno cominciato a mutare e io non ho intenzione di assecondare questo cambiamento… tu sei disposto a farlo? Pensi di esserne in grado?»
«Non ho la più pallida idea di quello che tu stia dicendo, ma non è il momento per queste cose. Se non hai intenzione di venire, andrò da solo. Non ho bisogno del tuo aiuto e nemmeno Fuko, uhm» mormorai rabbioso, voltandomi e proseguendo per la mia strada a passo rapido. 
«E dove avresti intenzione di andare a cercarla?» mi canzonò e il malcelato tono di scherno in essa sottointeso non fece altro che aumentare il mio fastidio. 
Di tutta risposta presi dell’argilla dalla borsa, impastandola con rapidi movimenti delle mani e la scagliai contro l’entrata del covo. 
«Dovunque. La troverò» sibilai a denti stretti «KATSU!»
Mi feci strada verso l’esterno, fregandomene completamente di aver appena provocato danni irreversibili al covo, ora facilmente individuabile, e alle possibili conseguenze che ne sarebbero derivate.
Balzai sulla scultura d’argilla che avevo appena creato e, con un battito d’ali, essa fendette l’aria, sollevandosi da terra; il suono del vento nelle orecchie mi impedii di notare che il rosso aveva finalmente detto qualcosa, gli occhi rivolti verso il basso in un’espressione indecifrabile.
«Io non posso farlo. Ho ormai rinunciato alla mia umanità»

Ambra POV
La nuvola di polvere che l’esplosione aveva sollevato iniziò a posarsi sul terreno, con fin troppa lentezza a parer mio per le leggi della fisica, come se il tempo avesse cominciato a scorrere a rallentatore. 
Se fosse partita la pubblicità, troncando di netto la scena, non me ne sarei nemmeno sorpresa più di tanto: quello era uno di quei tipici momenti che aspetti sin dall’inizio, che non arrivano mai e che ti concedono solamente dopo un lungo periodo di sofferenza o, cosa ancora più insopportabile, dopo una serie infinita di filler. 
«N-non è possibile…» balbettai con gli occhi lucidi – non mi era chiaro se fosse per il dolore, per la polvere che mi riempiva i polmoni o per il momento toccante-, traballando nel tentativo di rimettermi in piedi nonostante la ferita al ginocchio.
«Sono venuta per ucciderti»
La sua affermazione, così chiara, determinata e concisa riecheggiò nell’ambiente circostante, amalgamandosi lentamente al suono del vento, che continuava a fischiarmi incessantemente nelle orecchie; sopra di noi un immenso nuvolone grigio galleggiò placidamente verso il sole, coprendolo e offuscando il paesaggio che ci circondava. 
«Ah» feci semplicemente, riportata brutalmente alla realtà da quelle poche parole «Bella cosa da dire dopo che finalmente siamo riuscite a ritrovarci eh. Complimenti per l’originalità. Non mi sorprende che stando con quel cretino degli Uchiha il tuo vocabolario si sia ridotto in questo modo» borbottai, l’espressione carica di disappunto e le braccia incrociate al petto, in un moto di indignazione – non tanto per la minaccia di morte, a cui ero abituata, quanto per il mancato saluto commovente che immaginavo ci saremmo scambiate-. 
Davanti a me, i capelli castani che ondeggiavano piano, il familiare nastro rosso avvolto intorno ad essi e con un’espressione decisamente poco amichevole che sembrava quasi stonare su di esso, c’era il mio corpo. Quello vero. Quello che aspettavo di riavere da decisamente troppo tempo; così tanto che vederlo addosso ad un’estranea non mi sembrava neanche poi così raccapricciante.
Di tutta risposta lei alzò il braccio, puntando verso di me una sottospecie di pugnale a tridente; forse era una mia impressione, ma non mi sembrava esattamente un invito ad abbracciarla o ad intavolare un qualche tipo di conversazione amicale con lei. 
«… in questo mondo dovreste iniziare a comprendere che la violenza non può essere la risposta ad ogni cos-»
«Stai zitta!» mi interruppe, facendomi sobbalzare appena per la sorpresa nel sentire il suo tono furioso. 
Il mio sguardo si fece comprensivo. 
«Sei in quel periodo del mese?»
Di tutta risposta qualcosa mi sfiorò la guancia, conficcandosi nel terreno dietro di me; qualcosa di parecchio affilato considerando lo squarcio che si era aperto al suo passaggio sul tessuto che mi copriva la spalla. Decisi saggiamente di non controllare i danni e di non soffermarmi sul fatto che avesse appena trucidato la mia amata cappa. 
«Non hai la minima idea di ciò che ho passato! E’ solo colpa tua se ho dovuto sopportare tutte quelle umiliazioni! Se ho dovuto accettare la proposta di quel verme di Orochimaru…»
«Guarda, per quello avrei preferito che avessi evita-aspetta!»
La ragazza si scagliò contro di me, con una rapidità che rispecchiava ben poco quelli che erano i soliti ritmi a cui il mio corpo era abituato – ovvero percorrere a passo di bradipo la distanza che c’era tra la mia camera e il frigorifero. Talvolta spingendosi addirittura fino al bagno-. 
Saltai di lato, tentando di mantenermi a distanza da lei e dalle sue armi molto poco invitanti, mentre allo stesso tempo cercavo di non inciampare per colpa del terreno accidentato sul quale ci trovavamo. 
«P-penso che se ne discutessimo con calma potremo anche trovare un punto di incontro… che non comprenda la morte di nessuna di noi»tentai, ma Fuko non badò alle mie parole – come più o meno tutti in quel mondo- e si lanciò nuovamente verso di me, con intenzioni decisamente poco cordiali dal modo con cui brandiva quei coltelli, le cui lame brillavano in maniera piuttosto sinistra sotto la debole luce del sole. 
Infilai una mano sotto la cappa dell’Akatsuki, scansandola di lato per raggiungere l’oggetto che desideravo; con un movimento del braccio aprii davanti a me una pergamena da cui, dopo la rapida composizione di alcuni sigilli – mi sentivo molto professionale nel farlo-, fuoriuscì, accompagnata da una piccola nube di fumo, la mia bellissima falce. 
La afferrai con una mano e parai uno degli attacchi della castana, il braccio tremante a causa della forza dell’impatto, riuscendo però a mantenere la mia posizione grazie al chakra concentrato sui piedi, che mi ancorava saldamente al terreno. 
«N-non pensi che fare del male al tuo corpo sia un tantino controproducente?» provai, cercando di fare appello al minimo di razionalità che doveva pur nascondersi lì da qualche parte dentro di lei. 
A giudicare dalla ginocchiata che diresse verso il mio stomaco non sembrava pensarla allo stesso modo; piegai all’indietro la schiena – e qualcosa scricchiolò in modo preoccupante-, facendo in modo che, a causa della forza che stava mettendo nell’attacco, si sbilanciasse in avanti, nel tentativo di farla cadere.
Lei non ne fu molto sorpresa – e nemmeno io in realtà, i miei piani non andavano mai a buon fine- e, appoggiando una mano per terra, fece una piccola capriola in aria, tornando poi in posizione eretta.
«Allora qualcosa la sai fare anche tu.» osservò lei, con una vitalità nel tono di voce che avrebbe fatto invidia a quella di Itachi, facendomi ridacchiare. 
«Eheh grazie! E’ stato ‘Ri-senp-Sasori ad insegnarmelo!» gongolai, mettendomi una mano dietro la testa, vagamente imbarazzata. 
Era da una vita – no, forse non era mai successo da quando ero arrivata lì- che nessuno si sprecava di esprimere un parere vagamente positivo nei miei confronti e il minimo segno di gentilezza mi rendeva molto più felice di quanto avrebbe dovuto.
«Non era proprio un complimento…» commentò lei alzando un braccio; un turbine di foglie originate da chissà dove avvolse il suo corpo, che scomparve nel nulla.
Battei appena le palpebre, interdetta, cercando di capire quello che era appena successo – il mio cervello non era in grado di dare un immediato senso logico ad eventi che si susseguivano così velocemente-; aveva usato il mio stesso potere? No, era diverso… ma dov’era finita, allora?
Non feci in tempo a voltarmi, avvertendo un movimento alle mie spalle, che qualcosa mi colpì dritto al viso; tuttavia, seppur completamente scoperta, senza difese e nonostante fossi stata centrata in pieno, non provai alcun dolore. Dopo aver percepito una lieve pressione sulla pelle, era come se avessi perso completamente coscienza di quello che stava succedendo e mi ero sentita risucchiare via. 
Spalancai gli occhi, riacquistando improvvisamente consapevolezza del mio corpo, rendendomi conto di essere spinta in avanti mentre la mia mano, chiusa a pugno, era diretta contro il volto di quello che, fino a poco prima, era stato il corpo che avevo occupato da quando avevo messo piede in quel mondo. 
Cominciavo a sentirmi vagamente confusa.

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Capitolo 41
*** Capitolo 40 ***


Angolino dell’autrice:
*sbuca dall'ombra temendo di ricevere pomodori o altri oggetti potenzialmente contundenti in faccia* Ehm... no, non sono morta e sono ancora dietro a questa storia malsana. Mi rendo conto che questo aggiornamento arrivi vagamente ( terribilmente) in ritardo e che molti mi abbiano data per dispersa, ma non ho intenzione di lasciare sospesa questa storia, quindi pian piano ritorno. Non darò la colpa alla maturità ( brutto periodo della mia vita xD) e all'inizio dell'università, sono soltanto lenta e pigra, perdonatemi *si prostra di fronte a coloro che ancora hanno la determinazione di seguirla... se ci sono* Beh... immagino che non siate qui a sentire le mie filippiche sul "potete uccidermi per il mio ritardo", ma che vogliate il capitolo. A vostro rischio e pericolo, quindi, vi auguro buona lettura!

 
Capitolo 40
 
Nella mia lunga esistenza - sono stati diciassette anni molto intensi dal mio punto di vista- mi era capitato spesso di non riuscire a cogliere le cose esattamente al volo: il mio cervello aveva dei ritmi tutti suoi e necessitava di tempo per adattarsi ad una nuova situazione, elaborarla e trovare un modo per reagire – solitamente sbagliato-.
Ero il tipo di persona che, se un ragazzo le ammiccava o le lanciava un occhiolino strategico, si domandava se, per caso, fosse stato centrato in pieno occhio da un moscerino, invece che sospettare ci fosse dietro qualche intenzione particolare.
Per queste ragioni potrete benissimo capire che, se fino ad un attimo prima stavo per ricevere un pugno in piena faccia dalla tizia che se ne andava in giro con il mio corpo e subito dopo mi ero ritrovata a terra, sopra di lei, con un altro aspetto, avevo tutte le ragioni del mondo per esserne quantomeno confusa.
Lo strabiliante senso ninja che Sasori aveva cercato di impiantare a forza - usando letteralmente la forza, nel modo meno gentile  e cavalleresco che potete immaginare- dentro di me mi stava praticamente urlando che forse sarebbe stato il caso di rialzarsi e mettere qualche metro - se non un intero continente- di distanza dalla ragazza che aveva appena tentato di farmi partire la faccia come una pallina da ping-pong, ma la mia testa aveva decisamente bisogno di un time-out per fare il punto della situazione.
Dunque, l'Akatsuki mi aveva portata in quel mondo per i suoi loschi scopi e la cosa mi avrebbe anche reso estremamente felice se non fossi stata immediatamente additata come pericolosissima traditrice dall’Hokage – cosa discutibilissima dato che avevo la stessa aura di pericolosità di un marshmallow- e poi lanciata dall’organizzazione in un campo di battaglia, quando nemmeno giocando a Tekken riuscivo a sopraffare il minimo avversario – e dubitavo seriamente che nella realtà bastasse premere tasti a caso per risolvere la situazione-. Avevano poi tentato di insegnarmi a evitare quantomeno di uccidermi con le mie stesse mani  quando impugnavo un'arma - cosa che a parer mio avrebbero dovuto fare prima di mandarmi allo sbaraglio contro Sakura- e nel mentre mi avevano chiesto gentilmente - letto nel modo più sarcastico possibile- di evitare che i membri dell'organizzazione venissero accoppati uno dopo l'altro come zanzare.
L'unico inconveniente era che, almeno da quello che avevo capito, siccome le tecniche di Pain non erano abbastanza powerful da prendere una persona da un universo e sbatterla in un altro, il povero portatore di rinnegan aveva dovuto trasferire la mia anima nel corpo di una tipa di quel mondo, selezionata secondo chissà quali requisiti – secondo me l’avevano estratta totalmente a caso-. Perciò fino ad allora me ne ero andata in giro con l'aspetto di quella ragazza, piatta come lo stomaco di una manta birostris – che sarebbe una semplice grossa manta, ma inserire il nome completo da un brivido intellettuale al racconto- e con venti centimetri di altezza in meno rispetto al mio corpo originale.
Improvviso colpo di scena, il buon vecchio Orochimaru riesce a utilizzare un jutsu più potente rispetto a quello a cui era ricorso Pain - infondo anche agli Dei pieni di piercing e di dolore capita di fare cilecca- e aveva riportato qui il mio vero corpo - il perché era ancora da determinare-. Corpo che avevo finito per incontrare proprio quel giorno, quando ero partita per la mia scampagnata suicida per evitare che Itachi facesse la più grande cavolata della sua vita – o almeno, di quella che gli restava-.
Dato che in quel mondo i problemi si potevano risolvere solo a suon di scazzottate o non erano contenti, mi ero ritrovata sul punto di prendere un pugno in faccia da lei e, prima che me ne rendessi conto, eravamo giunte al momento clou della vicenda: quando la sua mano aveva toccato la mia guancia mi ero trovata, di nuovo, catapultata all’interno del mio vero corpo, perdendo l’equilibrio e cadendo a terra - capitemi, un cambio di prospettiva così repentino ha un che di destabilizzante -.  Guardiamo il lato positivo: dopo tutti questi casini era bello essere di nuovo a casa!
Un terribile dolore alla pancia mi riportò nel mondo reale, facendomi improvvisamente mancare il fiato e il mio corpo si piegò automaticamente in avanti, annaspando in cerca di aria – finendo probabilmente per inalare qualche povero innocente moscerino che passava di lì-.
«M-ma perché proprio allo stomaco?» mormorai con un filo di voce e le lacrime agli occhi, mentre mi stringevo l’addome per tentare, invano, di arginare il dolore, appoggiando la fronte contro il terreno sabbioso; ero troppo presa ad affondare nella mia sofferenza per poter pensare obbiettivamente a quanti insetti avessi appena tirato una testata.
Fuko, la vera Fuko, quella piatta come la manta dal nome latino di prima, sembrava dotata di un senso ninja molto più sviluppato del mio – come tutti in quel mondo, d’altronde- e aveva deciso che non avrebbe avuto senso continuare a giocare alla cavallina in mezzo al nulla; ovviamente, invece di chiedermi gentilmente di spostarmi – e quando mai!-, aveva preferito colpirmi non appena mi ero distratta e provvedere da sola.
In qualche modo ero comunque felice che si fosse limitata ad utilizzare la mano e non un kunai potenzialmente letale, ma l’esperienza non era stata comunque la più piacevole che avessi vissuto. Poi avevano anche il coraggio di chiedersi per quale motivo in quel mondo ci fossero solo morte e distruzione! Magari avrebbero dovuto smetterla di crescere ninja incazzosi dal “ora ti stendo" così immediato.
Fuko balzò - un vero balzo che faceva molto ninja!- lontano da me, atterrando dopo un paio di capriole all'indietro, che secondo me erano solo per fare scena, a qualche metro di distanza.
Con un movimento della mano si tolse la cappa dell'Akatsuki e la gettò al suolo con aria "vagamente" disgustata – stolta! La sua piccola mente non era in grado di cogliere la potenza e la magnificenza intrinseca di quella veste-.
«Oh, non pensavo sarebbe stato così facile» affermò candidamente lei con un sorrisetto soddisfatto, gli occhi violetti che scintillavano di un qualcosa che non volevo nemmeno provare a decifrare – temevo stessero immaginando la mia morte- e il vento scenico che le scompigliava i capelli con grazia; mai che capitassero a me quei momenti magici.
Seguì qualche istante di silenzio, scandito soltanto dal fruscio del vento contro le chiome degli alberi che circondavano quell'area, e dalle imprecazioni che continuavo a ripetere sotto voce per il dolore allo stomaco, con una cadenza e una litania tale da sembrare fossi in procinto di evocare chissà quale creatura dall'oltretomba.
Non avrei mai dovuto abbassare la guardia in quel modo, poco prima: avevo finito per imparare, nel modo meno piacevole possibile, che in quel mondo mettersi a pensare alla propria vita non impedisce al tempo di continuare a scorrere normalmente intorno a te; aver visto Holly e Benji – che durante le partite, prima di colpire il pallone, potevano tranquillamente ricordarsi anche di quante volte loro amata nonna andasse in bagno durante la giornata senza alcun problema- non aveva decisamente giocato a mio favore.
L'unica cosa certa era che Sasori non sarebbe mai dovuto venire a sapere che mi ero incantata come un'idiota durante una battaglia o, dopo avermi guardata con la sua solita faccia che urlava “sarei dovuto rimanere a intagliare sedie a Suna”, avrebbe deciso di aumentare ancora le mie sessioni di allenamento. Cosa che probabilmente non avrebbe sortito il minimo effetto dato che, dopo tutto quel tempo, le mie abilità ninja erano ancora pari – se non inferiori- a quelle dei bambini che dovevano ancora iscriversi all'accademia. Cominciavo a sospettare di non essere propriamente portata per quel genere di cose...
Un rumore metallico vagamente preoccupante attirò la mia attenzione e voltai la testa verso di lei, senza tuttavia muovermi dalla posizione di palla di dolore in cui mi trovavo.
Il fatto che stesse tenendo un kunai tra le mani non voleva necessariamente dire che aveva intenzione di usarlo contro di me, vero?
Alla vista dello scintillio del sole sulla lama dell’arma – quella cosa era più affilata dei coltelli da cucina che mia nonna usa per i cenoni di Natale-, deglutii a vuoto, l’ombra del dolore del pugno che avevo appena preso che ancora mi stringeva l’addome.
Magari la vena da giardiniera che fino a quel momento era rimasta sopita dentro di lei si era improvvisamente destata alla vista del campo in cui ci trovavamo e aveva deciso di mettersi ad estirpare quelle antiestetiche erbacce; o forse si era semplicemente resa conto che era venuto il momento di radersi i baffi. A me andava bene qualsiasi opzione non prevedesse quella lama conficcata nel mio collo.
Mentre mi osservavo intorno per constatare che non c'era poi molto da estirpare nei dintorni lei decise di prendere parola. Avrei veramente preferito che non l'avesse fatto e si fosse limitata ad andarsene.
«Sai… il piano iniziale era quello di ridurti in fin di vita e di utilizzarti come merce di scambio per arrivare a parlare con il tuo capo per persuaderlo a farmi ritornare nel mio corpo» cominciò lei «E poi eliminarvi tutti,  nel modo più orribile possibile, per quello che mi avete fatto passare» aggiunse con un sorrisino molto poco rassicurante, rigirandosi il coltello tra le mani e studiandolo come se lo stesse vedendo per la prima volta «Ma ora non mi servi più».
Stava forse cercando di intimidirmi? Pensava bastasse così poco per spaventare me, Ambra Ricci, impavida guerriera dell'Akatsuki? Se era così, beh… ci stava riuscendo perfettamente!
Per sicurezza - ma solo per sicurezza, eh!- decisi che forse era il caso di smettere di contorcersi a terra per il dolore e di alzarsi in una posizione che mi permettesse se non altro di riuscire a fuggire se ce ne fosse stato bisogno; anche la vista di qualche formica sul terreno dove mi ero rotolata fino a quel secondo prima aveva contribuito a tale scelta.
«Sai» la scimmiottai io, dopo essere riuscita in qualche modo a riassumere una posizione vagamente eretta «Normalmente le intenzioni malvagie vanno rivelate PRIMA di colpire il tuo avversario, in modo che quest’ultimo abbia il tempo di pensare ad una via di fuga, liberarsi e tramortire il nemico. E’ questo il tipo di cliché che la gente vuole vedere».
«Non ho idea di quello che stai dicendo»
Sbuffai, scuotendo la testa, senza tentare di celare il mio disappunto: soliti ninja ignoranti.
«Con cliché si intende-»
«So che cosa sono. Ho vissuto al tuo posto fino a poco tempo fa, mi sono dovuta adattare»
«E’ stato divertente?»
«Volevo uccidere tutti»
«Ah.»
Lo sguardo che ci lanciammo non fu molto amorevole. O meglio, il suo trapelava omicidio da tutti i pori, io avevo soltanto l'aria di una che si era appena presa un pugno e che voleva passare a letto il resto della giornata, o comunque molto lontano da lì. Che poi, io sarei veramente dovuta essere molto lontano da lì, con Itachi per l’esattezza, alla ricerca della sua voglia di vivere; e invece ero bloccata in quel posto, con un agglomerato di odio e rancore - e non stavo parlando di Sasuke- che continuava a guardarmi come se avesse appena scoperto che ero stata io a bollire il suo amatissimo pesce rosso - in mia difesa potevo dire che mi era successo soltanto una volta e portavo ancora con me il peso di quell’errore-.
Accennai un passo in avanti e un rametto si spezzò sotto il mio dolce peso.
«Io… avrei tipo parecchia fretta di andare a fare altro. Non fraintendermi! Trovo molto stimolante continuare a fissarti nelle palle degli occhi in questa radura desolata, ma ormai abbiamo risolto tutto, no? Possiamo anche salutarc-»
«Ho detto che ti avrei uccisa»
«… e non era un modo metaforico per dire “ciao, come va?”. All’Akatsuki lo usano un po’ come un intercalare, quindi non gli ho dato molto pes-»
«Quindi ti ucciderò»
«Conosci anche qualche altro vocabolo?»
«Ti scuoierò viva»
«P-preferivo quello di prima»
Che ragazza simpatica! Aveva un umorismo che faceva quasi invidia a quello di Kakuzu nei suoi giorni no – ovvero in ogni singolo momento della sua esistenza-.
Ma non era quello il momento di cincischiare; le opzioni erano due: o tentavo di stenderla con le mie discutibilissime abilità ninja o ricorrevo alle mie magiche abilità oratorie; pensandoci, tra le due, la seconda mi aveva salvata più volte da qualche meritatissima insufficienza durante le interrogazioni al liceo, quindi decisi che doveva trattarsi della mia più spiccata qualità. Non c’era nessuno che potesse resistere al mio grandissimo carisma!
Mi schiarii la gola in modo molto poco professionale e alzai una mano dritta verso un punto imprecisato del cielo - tutti i protagonisti degli anime lo facevano almeno una volta nella loro carriera, che male c'era se ci provavo anche io?- pronta a sviscerare tutte le motivazioni per cui no, non c’era alcun bisogno di cominciare a massacrarsi a vicenda in una così bella giornata.
«Oh, piccola anima smarrita, apri bene le orecchie. Nel mio luogo d’origine c’è un detto: salva un amico e risparmia un nemic
«Sei pronta a conoscere il dolore?»
Gli lanciai un’occhiataccia piuttosto offesa e scocciata. Come aveva potuto troncare sul nascere il mio De Ambrus? Un’orazione che Cicerone stesso avrebbe potuto soltanto sognare di fare!?
«Per Jashin, Pain sei tu?»
Conosci il doloreTM era la frase preferita del leader dell’Akatsuki, non poteva mica mettersi a violare copyright con tutta quella leggerezza!
Non feci in tempo a palesare il mio disappunto che la ragazza si era già lanciata nella mia direzione, sollevando una leggera nuvoletta di terra alle sue spalle.
Per un attimo fui tentata di girarmi e cominciare a correre nella direzione opposta come se non ci fosse un domani – magari aggiungendoci anche qualche urletto isterico qua e là-, ma la consapevolezza di essere veloce almeno quanto una faina zoppa mi fece sospettare che, forse, non sarebbe stato molto utile – anche perché sapevo che sarei comunque inciampata prima di riuscire a percorrere anche solo un metro-.
Non avendo particolarmente altra scelta – i miei tentativi di buttarla sul pacifico erano stati brutalmente ignorati- afferrai Quella, la mia bellissima falce caduta a terra poco prima e mi preparai a ricevere il colpo – o se non altro a convincermi di esserlo-.
Avevo bisogno assolutamente di qualcosa: un diversivo, una manna dal cielo, un improvviso power-up, un panino col prosciutto, un…
«KATSU!»
Un cazzutissimo Deidara sarebbe andato più che bene – o un Katsutissimo Deidara, giusto per rimanere in tema-. Era anche più di quello che potessi sperare.
Una delle sculture del bombarolo esplose improvvisamente fra di noi, facendomi lanciare un urletto sorpreso, mentre Fuko si allontanava nuovamente con un salto, visibilmente irritata da quella intrusione. Le stava bene.
Qualcosa offuscò momentaneamente la luce del sole, gettando un’ombra sul paesaggio circostante e sollevai automaticamente lo sguardo verso il cielo: a questo punto esordire con “era l’uccello di Deidara” potrebbe suonare in modo alquanto fraintendibile, ma era veramente l’uccello di Deidara e non ero mai stata così contenta di vederlo.
Il biondo in questione scese dalla sua amata scultura di argilla, atterrando precisamente fra di noi, la cappa dell'Akatsuki che ondeggiò in modo molto scenico prima di tornare a fasciare il suo corpo.
«D-» cominciai, facendo un passo verso di lui, ma avvertii qualcosa stringermi le corde vocali, bloccando ogni suono. Confusa mi portai le mani alla gola, ma non sembrava esserci nulla di diverso dal solito.
Fuko si approfittò di quel momento di smarrimento per prendere parola, accennando qualche passo verso il dinamitardo.
«Deidara! Ho finalmente ritrovato il mio corpo!» fece la bionda, con un tono di voce decisamente troppo melenso per i miei gusti, puntando un dito verso di me «Aiutami a recuperarlo!».
Lo sguardo azzurro, a me tanto familiare, si spostò nella mia direzione, privo del solito calore che lo caratterizzava, come se stesse osservando una completa sconosciuta finita per sbaglio in mezzo al suo cammino e io mi ricordai drammaticamente che era la prima volta che mi vedeva con quell’aspetto.
Aah… avevo come la sensazione di trovarmi in una bruttissima situazione.

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Capitolo 42
*** Capitolo 41 ***


Angolino dell'autrice:
Heilà~ Stranamente non è passato un anno dall'ultimo aggiornamento, ma sono di nuovo qui ò.ò In realtà questo capitolo era già finito e completo più o meno da qualche mese, ma per una serie di motivi ( e cattivissimi esami universitari) non sono riuscita a pubblicarlo fino ad ora.
Spero che vi piaccia, buona lettura~~

 
Capitolo 41
 
Mi ero figurata più e più volte il momento in cui sarei ritornata, finalmente, nel mio corpo: fra festeggiamenti e celebrazioni varie avrei spiegato a Fuko cosa era successo, lei mi avrebbe perdonata – anche se, effettivamente, non è che io avessi fatto molto oltre ad essere trascinata qua e là come un prosciutto- e Deidara, accecato dalla mia naturale bellezza, mi avrebbe chiesto di sposarlo; Sasori ci avrebbe costruito una casetta in un posto tranquillo e saremo vissuti per sempre felici e contenti. Magari Pain mi avrebbe anche dato una promozione e aumentato lo stipendio… così, giusto perché gli andava - in mia difesa potevo soltanto dire che ognuno ha il sacrosanto diritto di farsi tutti i filmini mentali che vuole, senza che la gente stia lì a giudicarlo-.
Il punto era che, in quel momento, Deidara non mi sembrava esattamente in procinto di proclamarmi amore eterno sventolando un anello da ventiquattro carati e, piuttosto che parlare con Fuko implorando il suo perdono, le avrei volentieri sputato in un occhio - probabilmente finendo per centrare qualche innocente passante, infondo la mia mira era quella che era-.
Il fatto che Sasori non fosse lì, da una parte mi rincuorava - almeno avrei evitato di sperimentare in prima persona una lenta e dolorosa morte per avvelenamento da sostanze sconosciute ai comuni mortali- ma dall'altra, non era positivo. Fra lui e il bombarolo, infatti, era il primo a fare un po' più caso ai dettagli e a non lanciarsi alla cieca in battaglia e magari, sottolineo il magari, si sarebbe fatto qualche domanda prima di seguire le direttive di una biondina desiderosa di spargere sangue - il mio sangue, precisamente-.
Deglutii a vuoto, stringendo con più forza la falce che reggevo tra le mani, senza distogliere lo sguardo da quello di Deidara che, probabilmente, stava ragionando su quale esplosivo sarebbe stato meglio utilizzare per mettermi fuori gioco evitando, però, di sbudellarmi troppo.
Non era giusto! Quando ero io a chiedergli un favore mi guardava come se avessi appena improvvisato una danza hawaiana sopra la sua preziosa argilla; appena una tizia a caso, invece, se ne usciva con un “Deidara! Ho finalmente ritrovato il mio corpo! Aiutami a recuperarlo!" totalmente sospetto, lui non si faceva nemmeno due domande su cosa fosse successo prima che arrivasse.
Il vento aveva ripreso a soffiare, alzando la polvere dal terreno che ci circondava, che danzava pigramente intorno a noi prima di posarsi nuovamente al suolo, in un moto continuo. I raggi del sole apparivano e scomparivano ad intermittenza da dietro la sagoma dalla scultura di argilla dell'artista, che volava in cerchio sopra di noi, a diversi metri da terra.
Non riuscivo a parlare, nel senso meno metaforico possibile. Non era un "per l'emozione sono rimasta senza parole!”, ma era più un "cazzo! Perché ho la sensazione di avere un sasso bloccato lungo la trachea!?". Era come quando, mangiando un pacchetto di patatine, presa dal metterle in bocca con fin troppa foga non le masticavo bene e mi si infilzavano nell’esofago.
In condizioni normali avrei potuto cominciare a farneticare a caso su qualcosa, qualsiasi cosa - infondo chiacchierare a vanvera era una delle poche cose per cui ero portata- e cercare di fargli capire che si stava sbagliando, ma in quel momento non riuscivo ad emettere un singolo suono. Era come se qualcosa mi stesse letteralmente stringendo le corde vocali, paralizzandole. Quasi come se fossero sotto l'effetto di qualche... jutsu?
Spalancai gli occhi, realizzando la cosa, e spostai lo sguardo su Fuko che, alle spalle di Deidara, stava palesemente ridacchiano fra sé e sé; o meglio, un leggero sorrisino le attraversava il volto; considerando il livello di felicità presente in quel mondo era un po’
come se si stesse sbellicando dalle risate.
Quella lurida…  avevo un sacco di appellativi coloriti e molto poco amichevoli che avrei volentieri rivolto nei suoi confronti – e, alla fine di quella faccenda, nessuno gli avrebbe risparmiato il famoso sputo nell’occhio di prima; sempre se a quel punto sarei stata ancora abbastanza viva da produrre liquidi s’intende-, ma il movimento del biondo mi riscosse dai miei pensieri.
Deidara fece un passo verso di me e io ne feci quattro indietro, giusto per sicurezza. Se la matematica non era un'opinione, andando avanti in quel modo l'avrei seminato senza dargli nemmeno l'impressione che stessi fuggendo. Purtroppo avevo la sensazione che il biondo avrebbe agito prima che riuscissi a mettere fra di noi il mio desiderato chilometro di distanza - non volevo fuggire eh, era una ritirata strategica!- e il fatto che avesse infilato le mani nelle borse ninja che gli cingevano i fianchi non era esattamente rassicurante.
Se facevo finta di non sentire il suono delle bocche che impastavano l'argilla, con un po' di fantasia, potevo supporre che avesse perso il mio fantomatico anello e che lo stesse cercando con velata nonchalance. In quel momento gli avrei perdonato persino un affronto del genere... qualsiasi cosa pur di arrivare alla mattina seguente senza trasformarmi in un Picasso!
Scossi la testa, cercando di riportare la mia attenzione sulla situazione di morte imminente che stavo vivendo: era inutile pensare al futuro dato che, a occhio e croce, sarei stata cancellata dalla terra nel giro dei prossimi trenta secondi - per essere ottimisti-.
Prima di tutto dovevo trovare assolutamente un modo per andarmene da lì sulle mie gambe.
Purtroppo non ero nota per l'abilità di riuscire a pensare sotto pressione - in realtà, non ero nota per l'abilità di riuscire a pensare e basta. In effetti, non ero nota in generale-, quindi rimasi immobile, a bocca aperta, mentre tutti i miei neuroni vorticavano freneticamente per elaborare una strategia decente per uscirne viva.
Le mie possibili reazioni:
"Aprire un varco dimensionale senza che nessuno se ne rendesse conto - cosa a dir poco improbabile visto che per aprirne uno dovevo gesticolare come se fossi posseduta da un demone iperattivo- e fiondarmi al suo interno prima che Deidara mi potesse intercettare nel modo più doloroso possibile. Probabilmente ciò sarebbe successo prima ancora che il mio corpo avesse capito quale fosse il piano";
"Fare qualcosa che avesse fatto capire al biondino che stava sbagliando tutto. Come ballare. O muovermi in modo stupido - che più o meno, nel mio caso, era come ballare-. In questo modo avrebbe colto la mia vera essenza e... no, vista la mia solita fortuna l'avrebbe interpretata come una super tecnica dalla potenza devastante e mi avrebbe devastata a sua volta";
"Togliermi una scarpa e sperare di centrare Fuko e non il fantomatico passante di prima. In questo modo avrebbe sciolto la tecnica e io avrei potuto palesare la mia presenza. Se mi davano qualche minuto per perfezionare la mira e più di un paio di tentativi a disposizione, questo piano sarebbe stato un successone";
"Fingersi un albero o un altro elemento del paesaggio, sperando che il detto se non ti muovi non ti vede non funzionasse soltanto con i tirannosauri";
Vista la potenziale inefficacia delle soluzioni sopra elaborate, decisi di fare la cosa che mi riusciva meglio: rimasi ferma ad aspettare la mia ora, un'espressione sicuramente poco intelligente stampata in faccia; magari la mia buona stella, mai passata neanche per un saluto durante i miei primi diciassette anni di vita, quel giorno si sentiva in vena di rimediare.
Anche se non era facile ammetterlo io, Ambra Ricci, adolescente dalle grandi risorse profondamente nascoste, in quel momento ero spaventata quasi come se davanti a me ci fosse stato Lord Voldemort in persona, venuto per reclamare il mio naso.
Aprii di nuovo le labbra, cercando di verseggiare o di mimare qualcosa, ma il biondo decise che continuare a guardarci nelle palle degli occhi non avrebbe prodotto alcun risultato; estrasse la mano dalla sacca e io chiusi istintivamente gli occhi, in un riflesso ninja degno di tale nome, preparandomi a essere trasformata in un Art Attack. Sasori si sarebbe lasciato marcire nell'acqua, dandosi alla morte volontaria, piuttosto di rivelare al mondo che fossi una sua allieva.
Con mia grande sorpresa, però, non provai alcun dolore – o forse il mio cervello era collassato per la tensione prima di poterlo registrare-. L’unica cosa che riuscii ad avvertire fu il chiaro suono di un'esplosione e la pressione leggera dell’aria attraversare il mio corpo, scompigliandomi i capelli. Esplosione, tuttavia, ben lontana rispetto a quello che mi ero immaginata.
Con cautela socchiusi un occhio, cercando di capire se Deidara fosse stato contagiato dalle mie capacità di mira, giusto in tempo per scorgere Fuko che, sorpresa, si stava allontanando con un balzo all'indietro, portando le mani di fronte al corpo per proteggersi dall'onda d'urto. Onda d'urto che, per qualche strano miracolo, non aveva come obbiettivo quello di travolgere la sottoscritta.
La sensazione che avevo provato fino ad allora alle corde vocale sparì e, automaticamente, presi una boccata d'aria, appoggiando le mani sulle ginocchia e avvertendo qualche goccia di sudore scivolarmi lungo la guance e finire a terra. Non ero sicura di quello che era appena successo, ma il fatto che non fossi ridotta ad una chiazza di sangue sull'erba era sicuramente positivo.
«Sei viva?» nonostante la nota di scherno che aleggiava tra le sue parole, avvertii il calore della mano di Deidara contro la mia schiena, come se temesse fossi in procinto di stramazzare al suolo – cosa non molto lontana dalla realtà, in effetti-. Se non fossi stata troppo impegnata a cercare di non trapassare, mi sarei messa a gongolare per la sua preoccupazione - glie l'avrei rinfacciato più tardi, a quanto pare avevo ancora tempo da vivere a mia disposizione-.
«C-certo che sono viva!» sbuffai, dopo qualche colpo di tosse, asciugandomi le lacrime dagli occhi e rimettendomi in posizione eretta, tentando di darmi un minimo di contegno «Però… anche tu! Avresti potuto darmi qualche segnale che avevi capito quello che era successo!». Per colpa sua avevo passato i cinque minuti più snervanti della mia vita; e anche per colpa di Fuko, ovviamente. Per Jashin, non vedevo l'ora di usarla come sputacchiera!
La mia uscita sembrò non essere di particolare gradimento a Deidara che, tremendamente irritato dal fatto che non mi fossi buttata ai suoi piedi per glorificare la sua figura, cominciò a inveirmi contro – come sempre, d’altronde-.
«AH?! Dopo tutta la strada che ho fatto per venire a recuperarti è così che mi ringrazi, mocciosa?»
«Tzè, ringraziarti?! Ma se stavo per essere soffocata, fino a cinque secondi fa?!»
«Questo è perché sei un'idiota che si lascia intrappolare dalle tecniche più scarse! Se non fossi venuto a cercarti, la mancanza di ossigeno sarebbe stata l'ultima delle tue preoccupazioni!»
«Non parliamo di tecniche scarse signor "mi sono fatto strappare due braccia nel giro di tre episodi per seguire i miei impulsi artistici"!»
«COS-?! Non ho idea di quello che tu stia dicendo, ma è successo una vita fa e non centr-»
«COME!?»
Ok, avevo la sensazione che quella voce femminile non provenisse da Deidara - a meno che non avesse cominciato a praticare anche l'arte del ventriloquo- e sicuramente non era la mia, perché le cose che avevo intenzione di dirgli erano ben altre. No, ad interrompere l'amorevole scambio di opinioni fra me e il biondino era stata la voce, vagamente alterata, di Fuko, che teneva a ricordarci effettivamente della sua presenza – anche se l'unica che se l'era dimenticata era la sottoscritta, Deidara aveva dei sensi troppo ninja per distrarsi in quel modo-.
«Come hai fatto a capirlo?» ribadì lei che no, non sembrava essere per nulla contenta della piega che avevano preso gli eventi. Beh, casomai le fosse interessato, nemmeno io lo ero, visto e considerando che in quel momento sarei dovuta essere con Itachi, a fargli un bel discorsetto su quanto fosse bello continuare a vivere, invece che lì.
Sul volto del biondo si aprì un sorrisetto molto poco rassicurante.
«Non mi ha mai chiamato "Deidara", uhm» rispose, ostentando figaggine e riuscendoci perfettamente, mentre si voltava per fronteggiarla, accompagnato dal movimento del suo mantello, che sventolò in un modo terribilmente cinematografico: non mi sarei stupita se il biondo avesse cominciato, come se fossimo in uno shojo manga, ad emanare luce, circondato da rose e brillantini.
Oh DeiDei. Oh, mio eroe. Rendimi la madre dei tuoi figl-
«Anche il fatto che tu sia rimasta ferma a guardarmi con quella faccia da pesce lesso è stato d’aiuto» aggiunse poi, guardando per un attimo nella mia direzione.
Mi rimangiavo tutto quello che avevo pensato; praticamente aveva detto che si era reso che fossi io perché aveva colto la mia aura da idiota?!
Sapevo benissimo che il campo di battaglia era l'ultimo posto al mondo dove cominciare a discutere fra "compagni" ma si sapeva, io non ero molto brava a "cogliere il momento" e a capire che c'era un tempo ed un luogo per ogni cosa - professor Oak, mi scusi, devo venir meno ai suoi insegnamenti-. Quindi cominciai a sbraitare, senza farmi il minimo problema.
«OH, MA SENTITELO! Sarà  intelligente la tua di espressione! Al posto mio che avresti fatto?!»
«Sicuramente non me ne sarei stato fermo con gli occhi chiusi durante un combattimento, uhm »
Sensato, ma non gli avrei mai dato la soddisfazione di dargli ragione durante una discussione. Avrei continuato ad arrampicarmi sugli specchi con una tale maestria da lasciarlo senza parole, come solo io sapevo fare.
«Q-quello era... SI'! Mi stavo soltanto preparando ad usare la mia tecnica super segreta, sviluppata in mesi di duro lavoro all'oscuro da tutto e tutti e...» cominciai a blaterare, senza preoccuparmi di riprendere fiato tra una parola e l'altra.
«Se Sasori no Danna venisse a sapere che...»
«NON DEVE SAPERLO!»
L'isteria presente nel mio tono di voce aveva raggiunto picchi altissimi, a tal punto che persino Deidara capì che non c'era alcun bisogno di infierire oltre, mi sarei tirata verso il basso con le mie stesse mani.
«SE SAPESSE CHE HO CONSAPEVOLMENTE IGNORATO TUTTI I SUOI INSEGNAMENTI SOLO PERCHE' ME LA STAVO PRARICAMENTE FACENDO SOTTO DALLA PAURA NON AVREI PIU' IL CORAGGIO DI GUARDARLO IN FACCIA!»
«Se lo sapesse non ne avresti proprio più una, di faccia, uhm»
Mi portai automaticamente le mani al volto, per assicurarmi che fosse ancora al suo posto, facendogli inarcare un sopracciglio, perplesso.
«Comunque.» mise fine alla mia crisi da psicopatica, piccato, scostando con le mani il proprio mantello e cominciando ad impastare l'argilla per prepararsi al combattimento «Rimanderemo i tuoi ringraziamenti a più tardi, uhm».
Nel vederlo mettersi in posizione, Fuko piegò la schiena un po' in avanti, pronta ad attaccare. Dalla sua faccia sembrava stesse macchinando qualcosa e l'idea non mi piaceva per niente; o forse stava cercando di ricordare se avesse spento il gas prima di uscire di casa, non ero brava a interpretare le espressioni della gente.
«DeiDei, fa attenzione. Sembra che stia pensando a qualcosa» gli suggerii, cercando di riscattarmi dall'inutilità che avevo dimostrato fino a qualche secondo prima.
«Tutti pensano a qualcosa tranne te Fu, non credo che sia tutta questa grande rivelazione»
Ok, quello era un problema.
«Penso che dovrai disabituarti ad usare quel nome, sai, siamo già tutti parecchio confusi così senza che-»
«Stai indietro!»
Avvertii la pressione dalla mano di Deidara contro il mio petto mentre, con molta poca grazia, mi scansava da quella che, a quanto pareva, era la traiettoria di attacco di Fuko - la vera Fuko-. La vera Ambra era appena stata spinta in malo modo all'indietro per evitare di essere bucherellata.
La bionda, infatti, era scattata in avanti senza preavviso nella mia direzione, sguainando uno strano pugnale a tre lame, che reggeva con la mano destra. Non mi sprecai minimamente a chiedermi da dove l'avesse tirato fuori: ormai avevo ben capito che, una delle maggiori abilità dei ninja, consisteva nell'imboscare oggetti, possibilmente letali, in luoghi sconosciuti a noi comuni mortali, per poi tirarli fuori al momento opportuno – avrei dato qualsiasi cosa per imparare a farlo, mi sarebbe stato estremamente utile per capire come piazzarmi bigliettini addosso durante le verifiche di matematica- .
Non sapevo se essere grata a Deidara per avere appena impedito che la suddetta ragazza mi riducesse ad uno scolapasta o irritata per il fatto che non si fosse fermato a pensare, nemmeno per un secondo, che sarei riuscita a cavarmela da sola. Per il momento preferii seguire il consiglio che mi aveva sussurrato a denti stretti di stargli vicino e di non abbassare la guardia. Cerchiamo di essere chiari: anche se non me l'avesse detto non mi sarei sicuramente scollata dalle sue spalle; avevo più volte avuto prova di quello che mi poteva succedere se decidevo di combattere da sola in prima linea e non ci tenevo proprio a ripetere l’esperienza.
«L'Akatsuki ti sta ingannando, ma non lo vuoi capire?!»sbraitò lei, evitando facilmente un gruppo di ragni di argilla che Deidara gli aveva scagliato contro e che esplosero alle sue spalle, sollevando una cortina di fumo.
Fuko riemerse immediatamente dalla nuvola di terra che si era sollevata, i vestiti appena impolverati, brandendo due pugnali e dirigendosi verso il biondo «E' da quanto sei arrivata in questo mondo che non hanno fatto altro che mentirti, su ogni cosa. Io ho accesso ai tuoi ricordi, posso vederlo. Non lo capisci che sei soltanto un'altra delle sue pedine sacrificabili?!».
Probabilmente si riferiva Tobi/Madara/chiunque egli fosse, che si trovava dietro ogni cosa, a dirigere le fila dell’organizzazione; e sapevo benissimo che aveva ragione.
«Ma stai zitta, uhm!»la interruppe Deidara, schivando facilmente gli attacchi di lei e utilizzando alcune delle sue bombe guidate per mantenerla a distanza: uno scontro ravvicinato, mentre tentava anche di proteggermi, non doveva essere il massimo per lui, che già nel combattimento ravvicinato faceva abbastanza schifo di suo.
«Senti, se vuoi io posso mettermi in un angolino e non do fastidio a ness-» provai, ma la mano di Deidara si strinse intorno al mio avambraccio, tenendomi ferma dov’ero, alle sue spalle.
«Tu non vai da nessuna parte, uhm»
Ok… dovevo ammettere di essermi un po' emozionata nel sentire quelle parole, ma nessuno avrebbe mai dovuto venire a saperlo.
«Sei tu il suo obbiettivo, se gli lascio anche una sola piccola apertura sei finita»
Aah! Che bello sapere che nessuno nutriva la minima aspettativa nei miei confronti! Non che non avesse tutte le ragioni del mondo per pensarla in quel modo, ma odiavo il fatto di essergli soltanto di intralcio e di dover giocare alla principessa che ha bisogno di essere protetta. Era vero che avevo sufficienti capacità ninja da accopparmi da sola cadendo dalle scale, ma qualcosa l'avevo anche imparato in tutto quel tempo che avevo passato lì. Essere pestata da Sasori a ripetizione qualche frutto doveva pur averlo dato! O almeno volevo convincermi che fosse servito a qualcosa oltre che a catalizzare gli impulsi sadici del rosso...
Fuko corse dritta verso un albero, facendo qualche passo lungo la sua corteccia e saltando nella direzione contraria, lasciando che una delle due bombe di argilla si schiantasse contro di esso. Questa, inevitabilmente, esplose, piegando l'arbusto che, non riuscendo più a sorreggere il proprio peso, cadde a terra in un tonfo sordo. Sentii il cuore di un ecologista fermarsi.
L'altra bomba di Deidara riuscì a evitare la caduta dell'albero, anche se a fatica, e virò velocemente verso destra, pronta a seguire nuovamente il suo obbiettivo.
La ragazza continuava a correre nella direzione opposta, cercando, probabilmente, di elaborare un modo per liberarsi anche dell'ultimo ostacolo.
Fu proprio allora che il mio cervello partorì un'idea malsana; e siccome mi capitava di avere un’intuizione una volta ogni cento anni, pensai che dovesse trattarsi proprio di una buona idea. Un'idea geniale.
Fuko si stava muovendo diretta contro un altro albero per tentare di rifare la stessa cosa di poco prima, quindi non avevo molto tempo: considerando la velocità con cui si stava muovendo e la traiettoria... no, in realtà non calcolai nulla di tutto questo; preferii andare, come si suol dire utilizzando termini spicci, a braccio,  cercando di capire a occhio e croce dove si stesse dirigendo. Una volta che riuscii a farmi un'idea generale, cominciai a gesticolare come se non ci fosse un domani.
Ero già pronta a fare un passo avanti, esordendo con un “DeiDei, è finito il tempo in cui ero costretta a guardarti da dietro, non che fosse una brutta visione eh, ma da ora in poi combatterò al tuo fianco!”, ma le cose non andarono esattamente come mi ero immaginata – perché non ne ero sorpresa?-.
 Riuscii effettivamente ad aprire un varco dimensionale di quelli belli - quello, se non contavamo la lunga serie di sfortunati eventi che si erano susseguiti l'uno dopo l'altro, doveva essere proprio il mio giorno fortunato- e fui anche in grado di generarlo proprio davanti a lei.
Purtroppo però, sembrava aver già messo in conto un mio possibile intervento e, così come aveva fatto poco prima, saltò in aria, lasciando che la bomba guidata di Deidara finisse al suo interno, neutralizzando l'esplosione. Se il suo corpo mi avesse risposto con quella velocità quando ero io a possederlo, mi sarei evitata almeno la metà delle bastonate che avevo preso da Sakura. Speravo solamente di non aver trasportato quella bomba in qualche posto compromettente – tipo la faccia di Sasori o il gabinetto di Pain, non sarebbe stato molto carino-.
«Ma che-?! Che diamine, Fu! Avvisami se hai intenzione di fare qualcosa!» protestò allora il dinamitardo, scocciato dalla mia improvvisa intrusione nella SUA artistica battaglia, che non aveva molto di artistico, a mio modesto parere, dato che non stavamo facendo altro che osservare Fuko correre qua e là per una radura.
Stavo soltanto cercando di facilitargli le cose e lui se la prendeva con me!
«Sai com'è, qua dietro cominciavo ad annoiarmi » sbuffai, irritata «Stavo solo cercando di aiut-»
«Se vuoi aiutarmi rimani ferma e cerca di non farti uccidere, non ho bisogno del tuo intervento, uhm»
«... e per la precisione, durante uno scontro, non ci si dovrebbe mettere a discutere. Non potevi semplicemente prendere atto del mio impegno e far finta di non aver visto nulla!?»
Deidara non si degnò nemmeno di voltarsi nella mia direzione, ma dal suo tono di voce riuscii a capire benissimo quanto fosse stizzito.
«...non farmi lezioni su come ci si comporta in battaglia Fu, sei imbarazzante e fuori luogo»
«IMBARAZZANTE?!»
Al contrario di noi, Fuko si mostrò ben consapevole del fatto che ci trovassimo in mezzo ad una vera e propria rissa, l’ultimo posto dove mettersi a litigare e  si materializzò alle mie spalle, pronta a colpirmi.
Forse fu lo spirito di sopravvivenza che per un momento parve destarsi dal suo lungo letargo o forse fu merito di Sasori che durante gli allenamenti non faceva altro che tendermi agguati alle spalle ma, grazie anche a quella buona dose di botta di culo che ogni tanto capitava pure a me, riuscii in qualche modo a bloccare il suo pugnale con la lama della mia falce e, tirando indietro le braccia, a farle perdere la presa su di esso, sbilanciandomi un po' all'indietro.
La mia schiena finì per scontrarsi contro il petto di Deidara che, nel frattempo, si era voltato: notai la sua mano avvolgersi intorno alla mia vita e venni trascinata all’indietro, senza capire cosa stesse succedendo. Improvvisamente mi resi conto che di fronte a noi vi era una delle bombe guidate di Deidara - quando l'aveva creata?- pronta a scagliarsi contro la nostra avversaria che, a causa della foga con cui si era gettata verso di me poco prima, non aveva ancora ritrovato l’equilibrio necessario per poter schivare.
«KATSU!»
Quell'esplosione sembrò ancora più forte e spaventosa di quelle precedenti e, per un attimo, mi sorpresi di non vedere brandelli di Fuko cominciare a volare qua e là come fuochi di artificio; e ringraziai il cielo della cosa, dubitavo che il mio stomaco fosse pronto per una simile, idilliaca visione.
Deidara atterrò a qualche metro di distanza, lasciandomi riappoggiare i piedi a terra e rilassando leggermente la presa attorno al mio fianco senza, tuttavia, scostarsi del tutto, tenendosi pronto per un eventuale attacco.
Sarà che io ero abituata agli standard dei comuni mortali ma, almeno a parere mio, dopo essersi presa in piena faccia un'esplosione del genere non pensavo ne sarebbe uscita esattamente pimpante e reattiva. Al suo posto non pensavo ne sarei proprio uscita: probabilmente mi sarei semplicemente ridotta ad una poltiglia sanguinolenta destinata a passare il resto della sua esistenza come concime per prati.
Il soffio del vento dissolse velocemente la cortina di fumo misto a terra che si era venuta a creare in seguito all'attacco del dinamitardo, permettendoci di scorgere la figura di Fuko che, per il suo bene e quello della mia salute mentale, era ancora integra. Beh, più o meno diciamo.
Nonostante mi trovassi ad una certa distanza rispetto a lei riuscivo chiaramente a vedere le ustioni che le percorrevano le braccia,  che teneva strette sotto il suo petto; a giudicare dall’espressione che ci stava rivolgendo non dovevano essere particolarmente piacevoli.
Le mani, insanguinate – ma quale sangue!? Doveva essersi semplicemente sbavata lo smalto!-, stringevano con forza le aree in cui la pelle si era aperta, cercando di evitare la fuoriuscita di un'eccessiva quantità di... liquido rosso dalle ferite.
Era palese che, con le braccia fuori uso, non fosse in grado di proseguire lo scontro.
Inoltre, anche se a mio parere non sembravano gravi come le altre, aveva scottature sparse lungo tutto il corpo e  i vestiti, strappati e bruciacchiati in più punti, permettevano di scorgere una lunga serie di tagli che gli attraversavano la pelle. Insomma, immaginavo avesse passato momenti migliori.
Le avrei volentieri offerto delle bende, un cerottino o anche soltanto un fazzoletto - tutta quella vernice stava cominciando a farmi girare la testa-, ma temevo che se mi fossi avvicinata mi avrebbe fatto volare via la testa con un calcio rotante.
Sentii Deidara sogghignare alle mie spalle, soddisfatto per i risultati ottenuti dalla sua esplosione, accennando un passo verso di lei, evidentemente intenzionato a completare l'opera.
Istintivamente Fuko arretrò, mantenendo la stretta sulle proprie braccia, dalle quale sfuggirono alcune gocce di sangue, che gocciolarono contro il terreno.
«O-ok, forse ho fatto un errore di calcolo...» ammise a fatica, una goccia di sudore che le scivolava dalla tempia lungo la guancia, finendo per sparire dietro la scollatura «Non avrei mai pensato che proprio tu saresti riuscita a bloccare quell'attacco».
Quell'enfasi con cui aveva sottolineato il “proprio tu” non era stata molto gentile...
«… grazie»
A dire la verità persino io non ci avevo sperato nemmeno per un secondo, fino a quando mi ero ritrovata, effettivamente, a fermarla.
Almeno una gioia dopo tutto quel tempo me la meritavo; il destino - o qualsiasi cosa fosse la forza malvagia che remava contro la mia vita- era stato clemente per una volta, e mi aveva concesso qualche altra ora di vita. Per quanto ne sapevo sarei potuta morire cinque secondi dopo colpita da un ramo in testa, ma per il momento era meglio non pensarci.
«Ovviamente oggi ti avrei uccisa almeno un centinaio di volte se il tuo principe azzurro non fosse stato qui a proteggerti»aggiunse poi amareggiata, schioccando la lingua, senza tentare minimamente nascondere il suo fastidio.
Tale principe azzurro non sembrava aver gradito l'appellativo con cui si era rivolto alla sua persona e pareva avere proprio intenzione di chiuderle la bocca per sempre, vista la foga con cui aveva preso ad impastare l'argilla.
Fuko dovette averlo capito dato che aggiunse ancora più distanza fra di noi, guardandosi velocemente alle spalle, come per cercare una via di fuga; si lasciò sfuggire un sospiro spezzato, non mi era chiaro se fosse per l'esasperazione o per il dolore che stava provando, guardando nuovamente dietro di lei. Sembrava quasi come se fosse combattuta fra la decisione di fuggire e il continuare, seppur con minime possibilità, lo scontro. Non avrei mai capito il desiderio masochistico che avevano i ninja di combattere con onore, nonostante rischiassero la loro vita, fino all’ultimo respiro.
Sbuffai, carica di sentimenti contrastanti per quello che avevo intenzione di fare e allungai un braccio verso Deidara, per fermare i suoi movimenti.
«Ryu starà andando fuori di testa, forse dovresti andare a recuperarlo»gli suggerii, facendo un paio di passi in avanti e guadagnandomi uno stizzito "Hai intenzione di lasciarla andare?!" dal biondino, che non sembrava esattamente felice dell’interruzione.
Ad ogni modo, non avevo la minima intenzione di restare a guardare mentre la trucidava senza pietà di fronte ai miei occhi: anche se insopportabile e a portata di sputo, vedere una persona venir massacrata davanti a me non rientrava nella lista delle cose che volevo fare prima di morire. A meno che non fosse stata Sakura, in quel caso mi sarei preparata anche pop corn e trombette.
«Mio fratello si preoccupa sempre troppo»mugugnò la bionda fra se e sé, scuotendo la testa e illuminandomi, finalmente, su chi accidenti fosse il bel moro che, all'alba dei tempi, mi aveva salvato la vita all'interno del palazzo del Quinto Hokage. Erano mesi che quel dubbio mi tormentava.
«Non vi assomigliate per niente»
«Lo so»
Deidara non sembrava molto felice del fatto che ci fossimo messe, dal nulla, a fare conversazione; potevo percepire chiaramente l’occhiataccia, che mi stava rivolgendo, trapassarmi la nuca.
«La prossima volta non ti andrà così bene, Ambra» mi avvisò, scandendo fastidiosamente il mio nome, non risultando, tuttavia, molto credibile visto che pareva in procinto di collassare a terra da un momento all'altro; in quell'istante sussultò, come se fosse stata colta da un pensiero improvviso «Anche se probabilmente non ci sarà una prossima volta» si limitò ad aggiungere. Evidentemente, fra i suoi ricordi, doveva esserci anche il mio bellissimo piano suicida salva-Itachi. Effettivamente, non potevo contraddirla.
«Direi che è stato un piacere conoscerti, ma non lo è stato, per nessuna delle due» a quanto pareva l'esplosione non era stata sufficiente a fare emergere il suo lato gentile «E quindi, addio».
«Non c'è bisogno di gufarmela in questo modo, Fuko!» borbottai puntandole un dito contro, anche se ormai non era più in grado di vedermi visto che aveva cominciato a correre nella direzione opposta, scomparendo all'interno della fitta foresta alle sue spalle che, ben presto, ci impedì di scorgere la sua figura.
Chi fosse, quale fosse la sua storia o che cosa era successo mentre si trovava nel mio mondo... le centinaia di domande che volevo farle da quando avevo saputo della sua esistenza non trovarono mai una risposta.
Deidara, accanto a me, continuava ad osservarmi con espressione funerea, per nulla contento di come si era conclusa la vicenda.
«Forse dovresti spiegarmi un po' di cose, uhm» mi fece notare, le braccia incrociate, mentre mi squadrava con aria di sufficienza.
Ne erano successe così tante nelle ultime ore, che mi ero completamente dimenticata di essere praticamente fuggita dal covo dell'Akatsuki e di aver ignorato quello che Pain e Madara - praticamente i capi supremi- mi avevano ordinato, per intraprendere un'operazione di salvataggio improbabile.
«Eheh» risatina isterica priva del minimo sentimento di felicità «Forse dovrei, però... è una storia lunga e...» e non potevo raccontargliela, altrimenti non mi avrebbe mai permesso di andare a fare ciò che dovevo; e c'era un povero Itachi Uchiha in via di estinzione bisognoso di essere salvato, a qualsiasi costo. O la guerra avrebbe distrutto tutto quello che avevo fatto – o almeno, tentato di fare- fino a quel momento.
«Più tardi la ascolterò, uhm » affermò Deidara, senza smettere di scrutarmi con fare indispettito «Prima di tutto, non credi di stare dimenticando qualcosa?».
Sbattei un paio di volte le palpebre, confusa. Centinaia di possibilità mi attraversarono la mente, visto e considerando che tendevo a dimenticarmi di qualcosa un secondo sì e l’altro pure.
«… no. Sono abbastanza sicura di aver spento il fornello prima di essere uscita dal cov-»
«IDIOTA!»
«CHE HO FATTO!?»
Il biondo sbuffò, cercando di trattenere l’irritazione che percepivo chiaramente crescere in lui, secondo dopo secondo, scuotendo la testa.
«Mi chiedo grazie a chi tu stia ancora respirando, mocciosa»
Aaaaah... voleva che lo ringraziassi!
«Potrei dire la stessa cos- no, sto scherzando, metti via quell’argilla DeiDei!» deglutii osservandolo, profondamente inquietata, mentre inseriva nuovamente la mano in una delle sue borse per mettere via l’esplosivo. Quella abitudine che ognuno, in quel mondo, poteva minacciarti di morte ogni volta che voleva doveva finire.
Comunque non potevo dargli del tutto torto, non è che avessi fatto molto per impedire la sua morte – mi ero limitata a nasconderli dell’uccisione di Orochimaru da parte di Sasuke-.
«Certo che ti fissi proprio sulle piccole cose...» gli feci notare con un sospiro esasperato, mentre lui si limitava ad inarcare un sopracciglio.
«... saresti morta circa un centinaio di volte se io non-»
«SI', SI', questo lo abbiamo capito!»
Non c'era bisogno che tutti mi ricordassero di quanto fossi scarsa e che fossi viva soltanto per una lunga serie di situazioni improbabili e discutibili colpi di fortuna. Innanzitutto, anche il fatto che continuassi a rischiare di morire non era esattamente normale, ma nessuno sembrava volerlo prendere in considerazione. Il fatto che ormai il mio motto fosse diventato "E anche oggi si muore domani!" non mi sembrava proprio una cosa positiva.
Aggrottai le sopracciglia , sentendo le mie guancie scaldarsi appena, notando Deidara continuare a fissarmi con insistenza; sembrava proprio non volesse rinunciare al suo meritatissimo ringraziamento. Era sempre così maturo – non che io potessi parlare-!
«Uhmf… grazie, più o meno» borbottai abbassando lo sguardo, incrociando le braccia al petto e sperando di chiudere in fretta la questione.
Il biondino non sembrava pensarla allo stesso modo.
«Non mi sembri molto convincente, uhm»
«Aah, come sei pesante, mi sono già scus-»
«Fallo per bene.»
Sbuffai per l'ennesima volta, esasperata, sentendomi quasi come un’adolescente ribelle che viene oppressa dai genitori. Genitori veramente infantili se si fissavano in quel modo per una cosa del genere.
Sapevo che mi aveva appena risparmiato una fine lenta e dolorosa e gli ero veramente grata, ma esprimerlo a parole era... imbarazzante – pensandoci, una volta non mi facevo così tanti problemi nei suoi confronti; non capivo cosa fosse cambiato-.
Irritata ed esasperata dalla sua insistenza, in quel momento, mi venne l’idea di fare una cosa malsana; questo perché ero un'idiota, non pensavo mai alle conseguenze e a quanto veramente imbarazzata mi sarei sentita poi.
Quindi, senza dare a nessuno dei due il tempo di capire cosa accidenti mi fosse appena balenato nella mente, lo afferrai per il colletto della cappa dell'Akatsuki e, prima di potermene pentire e decidere di fermarmi per salvare ciò che restava della mia dignità, mi alzai in punta di piedi, avvicinando il mio volto al suo.
Avvertii la stoffa ruvida del suo mantello solleticarmi le dita, mentre gli sfiorai la guancia con le labbra, sentendomi avvampare di ogni sfumatura possibile, per poi ritornare alla posizione di partenza nel giro di mezzo secondo, come se nulla fosse successo - lo desideravo ardentemente-.
Distolsi velocemente lo sguardo, non volendo minimamente sapere che espressione avesse - la situazione era già abbastanza terribile così-.
«Grazie... per avermi salvato la vita» dissi, secca, le guancie ormai in fiamme e la voglia di lanciarmi contro la mia stessa falce che si faceva più forte ad ogni secondo che passava.
Ammetto che per un attimo avevo pensato di cambiare pericolosamente traiettoria ed approfittare di quel momentaneo black-out di sanità mentale per slinguazzarmelo un po', ma alla fine il senso di sopravvivenza aveva avuto la meglio. Mi aveva appena salvata la vita e io non avevo proprio intenzione di fargli cambiare idea.
Presa dalle mie elucubrazioni mentali su come avrei potuto raggiungere l'Alaska da lì e darmi alla pesca, non colsi bene il “La tua mira fa schifo come al solito, uhm” sussurrato da Deidara, né mi resi conto del suo viso che si piegava sul mio.

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Capitolo 43
*** Capitolo 42 ***


Hellooo, quanto tempo~  Contro ogni aspettativa sono ancora viva! Più o meno.
Innanzitutto mi dispiace tantissimo per essere sparita per, ehm… tipo 3 anni ( non odiatemi, il mondo dell’università è malvagio), ma scrivere questo capitolo, per qualche strano motivo, è stato un parto. L’ho finito e ricominciato da capo un numero indicibile di volte ( ho tipo 20 versioni diverse salvate sul pc) e anche adesso non sono molto soddisfatta di quello che ne è uscito. Però ero sicura che se avessi continuato a rimuginarci sopra avrei finito per cambiare di nuovo idea e non ce la potevo proprio fare a ricominciarlo da capo per la centesima volta.
Detto questo, anche se non so se ci sia ancora gente che abbia voglia di sapere come finisca questa storia o che si ricordi ancora della sua esistenza ( spero che non siate tutti morti di vecchiaia nel frattempo D:), spero tanto che il capitolo vi possa piacere ( o almeno non disgustare troppo xD).
Piccola informazione di servizio: i primi capitoli di questa storia risalgono al lontanissimo 2011 e c’è un’enorme differenza ( spero positiva) fra il mio vecchio modo di scrivere e quello di adesso. Per questo motivo ( e anche perché ogni volta che dovevo andare a rileggermela volevo solo sbattere la testa contro il muro per l’orrore) sto pian piano revisionando i vari capitoli per renderli un po’ più decenti e meno raccapriccianti di quello che erano.
Chiusa questa parentesi, vi auguro buona lettura!
 
Capitolo 42
 
L’uomo dalla maschera a spirale si trovava seduto su un albero, celato dall’ombra della folta chioma, una gamba abbandonata lungo la dura superficie del ramo e l’altra piegata verso il petto; in silenzio si limitava a contemplare i dintorni, totalmente immerso nei suoi pensieri.
«Ci sono novità?» chiese ad un tratto, senza spostare lo sguardo.
«E’ stata raggiunta da Deidara» riferì Zetsu bianco, la cui figura era appena emersa dal terreno sottostante, che in quel momento gli avvolgeva la vita «A quanto pare quella ragazzina non si è resa conto della situazione in cui si trova se pensa di poter agire così incautamente» aggiunse, l’occhio socchiuso in un sorrisino che non prometteva nulla di buono.
«Non sarebbe ora di insegnarle un po’ di disciplina?» propose allora la parte nera, la voce roca e carica di aspettativa verso quel compito così invitante.
Tobi appoggiò le mani sulle proprie gambe, sollevandosi in piedi e voltandosi finalmente in direzione dell’altro, l’occhio rosso che brillava intensamente al di sotto maschera che gli celava il viso.
«No, quando arriverà il momento me ne occuperò io. Limitati come sempre a tenermi aggiornato sui suoi spostamenti» rispose semplicemente, ignorando del tutto il disappunto dell’uomo-pianta «Piuttosto, se si sta muovendo questo significa che è arrivato il momento. Farò meglio ad avviarmi» constatò fra sé e sé e, accompagnato ancora dall’eco delle sue parole svanì nel nulla, diretto verso quella particolare battaglia che non aveva la minima intenzione di perdersi.
 
***
 
Deidara era turbato; profondamente turbato… molto più di quanto non fosse disposto ad ammettere a sé stesso.
Da quando si era precipitato fuori dal covo per andare alla ricerca della ragazzina apparentemente dispersa – distruggendo anche l’entrata nel processo, ma questi erano solo dettagli-, le parole di Sasori avevano continuato a perseguitarlo, ripetendosi fastidiosamente all’interno della sua mente e aumentando la sua frustrazione a livelli inimmaginabili.
«Non so dove sia andata. Probabilmente non tornerà»
Cosa voleva dire che non sarebbe tornata? L’aveva vista proprio quella stessa mattina e non aveva notato nulla di strano in lei… rispetto ai suoi soliti standard, se non altro; forse passare così tanto tempo in sua compagnia aveva finito in qualche modo per sballare il suo senso di normalità, già abbastanza discutibile di suo.
«Te ne sei forse dimenticato? Siamo stati incaricati dal leader di occuparci di-» aveva cominciato a dire, prima che il marionettista lo interrompesse.
«E’ per questo che ti stai scaldando tanto?»
Per cos’altro altrimenti? Fra i due era il rosso a comportarsi stranamente a suo parere, dato che di solito era così ligio nel compiere i suoi doveri nell’organizzazione.
Sinceramente a Deidara non importava granché dei piani dell’Akatsuki, tant’è che non era nemmeno sicuro di sapere quale fosse precisamente il loro obbiettivo finale; l’unica cosa che apprezzava di farne parte era il fatto che gli desse la possibilità di scontrarsi con avversari sempre più forti, mettendo alla prova la propria arte. Ciononostante non ci teneva particolarmente a dare al loro leader una ragione per venire a reclamare le loro teste. Non che lo temesse ovviamente, ma...
«Le cose hanno cominciato a mutare e io non ho intenzione di assecondare questo cambiamento… tu sei disposto a farlo? Pensi di esserne in grado?»
Di cosa diamine stava parlando?! Per essere uno che aveva un cervello di legno ne faceva di discorsi contorti! Voleva andare a riprenderla proprio perché desiderava non ci fosse alcun cambiamento, per… non che a lui importasse qualcosa, stava semplicemente svolgendo il suo compito.
«DeiDei!»
Scosse la testa, oltremodo infastidito dall’improvvisa apparizione di quella mocciosa nei suoi pensieri. Ci mancava solo lei…
Non era una novità che la sua mente finisse per soffermarsi, forse un po’ più del necessario, sull’immagine della ragazza – anzi, gli capitava più spesso di quello che avrebbe desiderato, soprattutto negli ultimi tempi-, ma in quel momento gli provocò una fastidiosissima fitta al petto.
Non che ci fosse qualcosa di strano nel fatto che ogni tanto gli capitasse di pensare a lei, non significava assolutamente nulla: quella ragazza era così fastidiosa e invadente che piuttosto era impossibile non farlo. Si trattava del tipo di persona che, nel bene o nel male, lasciava il segno in coloro che finivano malauguratamente per incontrarla; inoltre, dato che non gli era mai capitato di imbattersi in qualcuno del genere prima di allora – grazie al cielo-, era più che normale che ne fosse rimasto in qualche modo colpito… in senso negativo, ovviamente!
Almeno questo era ciò che continuava a ripetere nella sua mente, cercando di auto-convincersi delle sue stesse parole, mentre il suo corpo, traditore, si abbassava verso la figura davanti a lui, quasi come se fosse attirato da un magnete.
Riusciva perfettamente a figurarsi lo sguardo compiaciuto di Sasori che lo osservava dall’alto in basso come se, sin dall’inizio, fosse stato consapevole di ogni singola cosa; lui e le sue dannate manie di controllare tutto e tutti!
Il biondo non avrebbe mai ammesso, neanche sotto tortura, che alla fin fine le parole del marionettista avevano cominciato ad assumere un senso all’interno della sua mente, mentre si rendeva conto che, suo malgrado, la ragazza aveva finito per attirarlo a sé molto più di quello che avrebbe mai potuto immaginare.
Aah, al Diavolo! In quel momento non voleva pensarci.
 
Ambra POV
Il mondo si era fermato e con esso tutti i miei neuroni – insomma, quelli rimasti se non altro-, colti probabilmente da uno svenimento collettivo a causa dell’improvvisa serie di informazioni che si erano ritrovati ad elaborare.
Mi parve di sentire il suono di arresto del mio cervello – potevo anche immaginarmi perfettamente la scritta Ambra.exe ha smesso di funzionare che dovevo avere stampata sulla faccia in quel preciso istante-, mentre me ne stavo lì, in piedi, immobile come una statua di marmo, il viso di Deidara che si inclinava verso di me.
Il vento che mi accarezzava la pelle, ora rossa e bollente, l’erbetta che mi pizzicava fastidiosamente le caviglie, il vago rumore di un ruscello che poco più in là attraversava la valle… non percepivo assolutamente nulla nello stato di disconnessione totale in cui mi trovavo, se non il suono sordo e incalzante del mio cuore, che stava martellando così forte contro il mio petto che temevo sarebbe presto schizzato fuori dalla gabbia toracica, con una maestria tale che persino Kakuzu si sarebbe fatto da parte, inchinandosi al mio cospetto.
In quel limbo di aspettativa e nervosismo in cui mi trovavo mentre le labbra del biondo si chiudevano sulle mie, i pochi i pensieri di senso compiuto che riuscivano a farsi spazio all’interno della mia mente oscillavano più o meno fra il “Minchia, se era ora!” e il “Santo Jashin, padre protettore di tutti gli psicopatici di questo mondo, fa’ che stamattina Fuko abbia avuto il buon senso di lavarsi i denti!”.
Bene. Allora. Dunque. Perciò! Manteniamo la calma, Ambra. Manteniamo. La. Calma. Questa non è un’esercitazione, siamo in stato di emergenza. Allarme rosso. Dobbiamo mostrargli il nostro fascino femminile e le nostre capacità di seduzione. Dobbiamo fargli vedere che siamo praticamente un’antologia del Kamasutra in moviment-uh, oh mio Dio, oh santo Jashin… Deidara mi sta baciando! Un bacio! Un bacio vero! Il mio primo bacio! Aaaah… no, devo restare concentrata!
Se volevamo proprio essere precisi, il giorno in cui avevo perso la verginità delle mie labbra si era trattato di un incidente, ero travestita da Itachi... ero un uomo in tutto e per tutto e la forza con cui avevo colpito di faccia il biondino aveva reso quell’esperienza tutto fuorché piacevole – le mie gengive avevano continuato a perdere sangue per la restante serata-; perciò per il bene della mia sanità mentale e anche di quella del bombarolo, avevo saggiamente deciso di archiviare quell’episodio e di considerarlo come mai accaduto; anche perché altrimenti piuttosto che baciarmi probabilmente avrebbe  preferito testare le mie abilità di volo lanciandomi giù da un crepaccio.
Dunque, quello che stava avvenendo in quel momento era decisamente, letteralmente, indiscutibilmente, il mio primo vero bacio. Con Deidara. Il vero Deidara. Della serie che se l’avessi raccontato in giro mi avrebbero fatta come minimo internare e avrebbero buttato via le chiavi nel fantomatico crepaccio di prima.
Non ero ben sicura di come, la sequenza degli eventi era stata troppo rapida e mi sentivo decisamente troppo intontita per mettermi a riflettere razionalmente sul perché la bocca del biondo si trovasse sulla mia, ma era successo; e per le più consunte mutande di Jashin, Kishimoto doveva aver fatto partire una colonna sonora di quelle belle e trionfali o non mi sarei potuta spiegare l’alleluia che in quel momento mi stava risuonando insistentemente nelle orecchie.
Sollevai incerta una mano, senza sapere bene dove si presumesse che dovessi collocarla in una situazione simile, decidendo poi di appoggiare le dita fra il tessuto ruvido della cappa che lo avvolgeva, nel tentativo di trovare un appiglio a cui sostenermi per evitare di cadere ai suoi piedi nel modo meno metaforico ed elegante possibile; venni colta da un profondo senso di soddisfazione nell’avvertire il cuore del biondo battere forte al di sotto di essa. D’altro canto, ero piuttosto sicura che la mia faccia ormai fosse talmente in fiamme che Itachi avrebbe potuto tranquillamente prendermi e usarmi come palla di fuoco suprema senza che nessuno si facesse domande a riguardo.
Avvertii le dita del biondo accarezzarmi la guancia rossa e accaldata per spostare alcune ciocche dei miei capelli dietro l’orecchio, facendo poi scorrere la propria mano sino alla nuca e spingendo il mio volto un po’ più in avanti, annullando maggiormente la distanza che ci divideva; avvertii per un secondo il suo respiro sul viso, le guance sempre più calde, mentre la punta della sua lingua incontrava la mia; un senso di gloria mi pervase e per un attimo mi sembrò che tutto fosse andato al suo posto: gli uccellini che cantavano, il cielo che si apriva maestosamente sopra di noi, la luce divina che ci avvolgeva e... poi tutto improvvisamente finì. Bruscamente, inesorabilmente, tristemente, miseramente.
Avevo sempre immaginato che dopo un’intensa sessione di “Frush frush. Slingu Slingu. Mlmlmlmlml.” - che nella mia testa era l’idea che avevo di un bacio- mi sarei ritrovata fra le braccia del mio amato e, con occhi carichi di lacrime e sentimenti positivi verso il mondo, ci saremmo proclamati amore eterno; magari in riva al mare, con qualche colonna sonora strappalacrime di sottofondo, un’orchestra di puttini mezzi svestiti sopra di noi e la luce della luna a dare quel tocco di atmosfera in più. E invece mi trovavo lì, gli occhi effettivamente carichi di lacrime, o meglio, grondanti di lacrime... di dolore misto a disperazione dato che, colta di sorpresa dall’azione del biondo avevo alzato di scatto il viso, finendo per provocare un dolorosissimo faccia a faccia (o in questo caso oserei dire: dente a dente) fra i nostri rispettivi incisivi, che lasciò entrambi confusi ed agonizzanti per diversi secondi. Beh, se non altro non si poteva dire che quel bacio non ci avesse lasciato senza fiato... letteralmente.
«Fuko... ma che cazzo...» furono le prime dolci e soavi parole che mi rivolse il mio amato dopo qualche attimo di smarrimento, sollevando il capo nella mia direzione, mentre io premevo le mani contro le mie labbra nel vano tentativo di placare quella terribile sensazione; avrei dato qualsiasi cosa in quel preciso istante per potermi accartocciare su me stessa e sparire nell’oblio del vuoto quantistico dell'infinito universo assoluto, senza lasciare la minima traccia – anche una buca sarebbe andata bene, comunque-.
«Non ci ho fatto apposta!» squittii imbarazzata, provando a difendere quel poco che restava del mio onore, il volto colorato da cinquanta sfumature di dignità perduta «Sei tu che mi sei saltato addosso all’improvviso e-e... mi hai colta di sorpresa e mi sono agitata!» cercai di articolare io infastidita dal suo sorrisetto divertito e gongolate, che avrei voluto profondamente far collidere contro la superficie della quercia più vicina - per fargli conoscere il vero doloreTM. Pain sarebbe stato fierissimo di me, a modo suo-.
«Sei proprio una bambina, uhm» mi sbeffeggiò con una risatina, sotto la mia espressione oltremodo sconvolta.
«Scusami tanto mio caro Latin Lover dei miei stivali per la mia inesperienza!» sbottai, profondamente ferita nel mio orgoglio da femme fatale mancata «La prossima volta farò meglio. N-non che voglio che ci sia una prossima volta eh, sia chiaro!» mi affrettai ad aggiungere appena realizzai quello che avevo detto, mentre lui si limitava a voltare lo sguardo, non sapevo se perché imbarazzato o semplicemente schifato da quella prospettiva. Anch’io ero piuttosto disgustata da me stessa effettivamente: avevo appena distrutto l’occasione d’oro della mia vita. Speravo almeno di non essermi fatta anche saltare via un incisivo nel mentre, dato che dubitavo di avere una qualche tipo di assicurazione medica, almeno considerando il mio umile status da dipendente di un’organizzazione terroristica – che poi non venivo neanche pagata, ero più una tirocinante malamente sfruttata che altro-.
Restammo in silenzio per qualche istante, lui basito e io in uno stato di contemplazione mistica della sua faccia e del perché della mia triste esistenza – insomma, più o meno quello che facevamo sempre-.
Il cielo si era leggermente scurito e il suono di un tuono che non prometteva nulla di buono squarciò l’atmosfera, aumentando maggiormente la consapevolezza di essere di nuovo nel mondo reale, ora riapparso prepotentemente intorno a me. Un vento gelido, che aveva cominciato a soffiare più forte, attraversò lo spazio che ci separava, sollevandogli appena i lembi della cappa dell’Akatsuki, che solo allora mi resi conto di non stare indossando; in effetti la mia era stata martoriata poco prima dal kunai della dolcissima Fuko, nella sua fretta di mettere due ere geologiche di distanza tra di lei, quel posto e quella situazione. Che invidia, quanto avrei voluto poter fare lo stesso anch’io
Stavo impiegando veramente tutte le mie forze per mantenere la calma – se non altro apparente- e non cominciare ad urlare istericamente, lanciare della sabbia negli occhi del bombarolo come diversivo a e darmi ad una fuga rocambolesca, in preda al panico per l’imbarazzo che improvvisamente aleggiava teso nell’aria.
L’azzurro del suo sguardo si spostò verso di me, quasi come se stesse cercando chissà qualche tipo di rivelazione mistica sul mio volto; o forse si stava semplicemente assicurando che non stessi per svenirgli davanti, cosa nemmeno tanto lontana dalla realtà. Purtroppo per lui dubitavo che nella mia faccia potesse trovare chissà quale magica rivelazione, visto e considerando che lo stavo fissando con la stessa espressione che avrei rivolto ad una statua del Buddha magicamente materializzatasi dentro la tazza del water di casa mia. No, quella sarebbe stato un fenomeno più facile da comprendere rispetto a quello che avevo appena vissuto. Ripensandoci probabilmente nulla di tutto quello che era successo era reale, dovevo essere morta poco prima schiantandomi contro qualche albero senza nemmeno rendermene conto e in quel momento mi trovavo in Paradiso, nel Nirvana, nella magica valle dei Teletubbies o dovunque si andasse dopo il trapasso.
Ad ogni modo non potevamo continuare così, quel silenzio mi stava dilaniando e il fatto che il biondo fosse così silenzioso non aiutava di certo. Dovevo dire qualcosa, qualsiasi cosa... ma cosa esattamente?! Di cosa si parlava di solito in un momento simile? La mia cavità orale ha molto gradito incontrare la tua? So che ho appena detto il contrario, ma sono a tua completa disposizione nel caso volessi riprovarci tipo subito adesso, magari? Quel tronco mi sembra molto invitante, sbattimici contro daddy? Di cosa si parlava in questi casi? Della vita? Della morte? Della situazione politica del paese? Non mi ero mai soffermata a pensare al dopo dato che non credevo avrei mai sperimentato un durante. Avevo sempre pensato che sarei morta sola, circondata da un mare di gatti, in un vecchio appartamento dalle tubature scricchiolanti e mezze ammuffite, proprio come la mia anima.
«E-ehm…» sbiascicai, il fiato spezzato neanche mi fossi appena fatta di corsa la distanza Sasuke-stabilità mentale, mentre cercavo di ricordarmi come si facesse a respirare e a formare frasi di senso compiuto, i neuroni che vorticavano furiosamente alla disperata ricerca di un argomento di conversazione «C-cosa ne pensi... della situazione climatica attuale?» la buttai lì, con una risatina nervosa che risuonò più come il lamento agonizzante di un violino arrugginito, sul volto un sorriso che pareva il principio di una paralisi facciale. Alla fine, avevo deciso di giocarmi la carta tempo, da secoli sacrosanto protettore delle persone che non sapevano di cosa parlare.
Evidentemente il biondino non si aspettava che la conversazione avrebbe preso una piega simile dato l’arco disumano in cui si esibì il suo sopracciglio, che sparì dietro l’ombra del suo coprifronte; grazie al cielo però decise di non infierire oltre – se non l'avessi conosciuto bene avrei pensato che anche lui stesse cercando disperatamente un modo per fuggire da quella situazione terribilmente disagiante-.
«Penso che stia per piovere, uhm» si limitò a osservare lui, indicando con un cenno del capo il cielo che, sempre più scuro, incombeva minaccioso sopra di noi, illuminato sempre più frequentemente da dei lampi «Sarebbe meglio trovare in fretta un riparo. Devi ancora spiegarmi cosa eri venuta a fare qui» aggiunse poi, facendomi strozzare con la mia stessa saliva.
Forse sarebbe stato meglio continuare col silenzio imbarazzante in effetti.
 
«Aaah… finalmente» sospirai sollevata, lasciandomi cadere come un sacco di patate contro la parete della rientranza rocciosa sotto cui ci eravamo rifugiati – per poi pentirmene il secondo successivo dato che era pur sempre una parete di rocce e mi avevano appena accarezzato molto poco gentilmente i reni-.
Alla fine il radar meteorologico del ninja si era rivelato corretto e ci eravamo ritrovati nel giro di pochi minuti ad annaspare nel mezzo del diluvio universale, cercando un posto strategico dove ripararci.
Feci scorrere le mani su alcune ciocche dei miei capelli, osservando turbata il rivolo d’acqua che fuoriusciva da essi: ero piuttosto sicura che una volta asciutti sarei rinata sotto forma del cugino It e non c’era nulla che potessi fare a riguardo.
In quel mondo potevano ballare sull’acqua e usare la gola a mo’di valigia per infilarci armi e mutande, ma nessuno aveva mai pensato alla possibilità di costruire un asciugacapelli. O forse l’avevano già fatto, ma Kakuzu si era rifiutato di comprarcelo – effettivamente era sorprendente che ci permettesse ancora di mangiare, una volta ogni tanto-. Volevo proprio vederli quando, a quarant’anni, avrebbero dovuto rinunciare alla loro amata vita da shinobi per colpa di una cervicale fulminante – Sasori era escluso da questa possibilità dato che poteva tranquillamente girare la sua testa a 360° in stile trottola, con una nonchalance tale che persino la bambina dell’Esorcista sarebbe impallidita a confronto-.
«Quante storie per un paio di gocce d’acqua, uhm» mi canzonò Deidara, sedendosi accanto a me e poggiando le braccia sulle gambe piegate «Durante una missione, che ci sia una tempesta o un uragano, non…» si lanciò in uno dei suoi sproloqui, con il tono da vecchio ninja vissuto che gli piaceva credere di essere.
«Scusa, in questo momento sembri troppo un pulcino bagnato, non riesco proprio a prenderti sul serio. Attento che ti cola il mascara» lo interruppi io, ridacchiando nell’osservare l’espressione profondamente irritata che era affiorata sul suo viso, avvolto in un amorevole abbraccio di capelli umidicci.
«Piuttosto, questo non è il momento romantico in cui presti il tuo mantello alla povera donzella infreddolita?» domandai io, sbattendo gli occhi in un modo che sarebbe dovuto risultare femminile e aggraziato, da affascinante cerbiatta qual’ero «Mi si sta gelando il culo» sottolineai. Oh, quali soavi parole!
«Così disse la povera “donzella” infreddolita» mi fece eco lui con un sorrisetto indefinito, poggiando il mento su una mano «Assolutamente no. Potevi evitare di distruggere la tua, Kakuzu andrà su tutte le furie quando lo saprà. Ah, a proposito» si bloccò, mettendo una mano all’interno del suo mantello, per poi lanciare verso di me quello che teneva nascosto al suo interno «Prendi».
E fu una bomba, fine. Morta per un esplosivo a forma di uccello. Se non altro il mio necrologio sarebbe stato creativo.
No, grazie al cielo non andò così; sarebbe stato piuttosto drammatico vista tutta la fatica che avevo fatto per riuscire a sopravvivere fino a quel punto.
C’era da dire che almeno, per una volta, presi effettivamente quello che mi era stato passato invece di lasciare che si schiantasse al suolo in una tristissima parabola. In faccia. Un classico. Ormai mi era successo così tante volte che cominciavo a sospettare che, intorno alla mia persona, esistesse un campo gravitazionale indipendente che attirava qualsiasi cosa entrasse nel raggio di un metro dal mio corpo. Probabilmente anche più di un metro considerando quella volta in cui, durante uno dei soliti battibecchi tra Sasori e Deidara, un pezzo di sedia era volato via ed aveva centrato perfettamente il mio naso… nonostante mi trovassi dalla parte opposta della stanza e mi fossi affacciata, soltanto per un istante, per controllare che non si fossero dimenticati della pentola di noodles che bolliva sul fuoco.
Ad ogni modo, staccato il misterioso oggetto dalla mia faccia, mi resi conto che si trattava della mia borsa ninja, quella in cui tenevo oggetti vagamente importanti – tipo i kunai, gli shuriken e le cartacce varie ed eventuali che mi dimenticavo sempre di buttare-. La stessa borsa che in quel momento avrebbe dovuto trovarsi attaccata al corpo di Fuko. Quella che non mi ero nemmeno resa conto di aver perso fino a quando non me l’ero ritrovata fra le mani. Per tutto quel tempo, infatti, non avevo fatto altro che pensare alla prematura dipartita della mia povera cappa e dei miei calzini viola preferiti, che avevo avuto la sventurata idea di indossare quella mattina e che, ero abbastanza sicura, non avrei mai più rivisto in vita mia.
Lurida Fuko che non mi da nemmeno un po’ di preavviso prima di riprendersi il suo corpo! Non è che pretendessi mi mandasse un’ambasciata alla porta del covo per avvisarmi, ma almeno un messaggino, una lettera o un piccione viaggiatore sarebbero stati apprezzati; se non altro, quel giorno, mi sarei buttata addosso uno dei vestiti inutili e distrutti che giacevano nelle più profonde recondità del mio armadio, evitando di perdere quelli che mi piacevano.
«Wooow DeiDei, come hai fatto a…?»
«Mentre pensavi che stessi per attaccarti, glie l’ho portato via. Credo sia rimasta bloccata per troppo tempo nel tuo cervello, perché non se n’è minimamente resa conto, uhm» aggiunse, distruggendo con le ultime parole ogni possibile vago sentimento di riconoscenza che, per qualche istante, potevo aver provato nei suoi confronti.
«Ahah… ma.come.sei.simpatico.» borbottai io funerea, aprendo lo zainetto che mi aveva passato e frugandoci dentro, per controllare di non essermi persa nulla per strada. Considerando che probabilmente di lì a breve sarei stata coinvolta in uno scontro mortale, avrei preferito evitare di ritrovarmi durante il combattimento ad infilare la mano nella borsa per afferrare qualcosa di potenzialmente letale e finire per colpire il mio avversario con un pacchetto di fazzoletti aromatizzati alla menta. Magari mi sarebbe andata bene e avrei scoperto che, un po’ come la kryptonite per Superman, il punto debole del terribile clan degli sharingatori seriali erano proprio i Kleenex.
«Cos’è quella reazione? Dovresti essermi grata… mi stai ascoltando almeno!?» cominciò, per poi interrompersi irritato nel vedermi completamente assorbita nel frugare fra i vari oggetti, senza prestargli la minima attenzione; e Deidara odiava essere ignorato, lo sapevo fin troppo bene.
«Queste parole mi danno un senso di deja-vu» risposi distrattamente io, interrompendo le sue proteste «Ti sarò grata per il resto della mia vita DeiDei, come sempre» continuai, il tono di voce completamente piatto e privo di sentimento
Deidara si limitò ad annuire, apparentemente soddisfatto della mia risposta, per poi riportare lo sguardo verso la pioggia che scrosciava incessantemente contro il terreno poco distante dai nostri piedi, rendendolo più scuro con il suo passaggio.
Mentre contavo distrattamente il numero delle carte bomba che avevo ancora a disposizione, il biondino decise di riprendere parola. Sinceramente avrei preferito mi rivelasse di essere Orochimaru e che poco prima, invece di baciarmi, stesse semplicemente cercando qualche strana pergamena all’interno della mia laringe.
«Non ho mai visto Sasori no Danna in quelle condizioni. Si può sapere cosa eri venuta a far-»
«OH GUARDA, E’ UN LIOCORNO! E’ UN MIRACOLO!» esclamai – praticamente urlai- interrompendolo, sentendo il sangue gelarsi nelle mie vene nel capire dove quella conversazione sarebbe andata a parare, indicando con fin troppa foga il nulla cosmico di fronte a noi.
«… un cosa?» ripeté perplesso Deidara, vagamente confuso da quell’improvviso scatto isterico, senza neanche scomodarsi di vedere se ci fosse effettivamente qualcosa; anche perché non ne aveva minimamente bisogno dato che sarebbe riuscito a percepirne la presenza da metri e metri di distanza, al contrario di me che tendevo ad accorgermi delle cose solo nel momento in cui ci sbattevo il naso.
«Un evento estremamente raro e magico, tipo quando pensi sia acqua, ma diventa vino-»
«So che cos’è un miracolo. Intendevo quello che hai detto prima, uhm»
«I liocorni? Non sai cosa sono?» tono estremamente sorpreso, avrei seriamente potuto darmi al teatro «Ho sentito dire che un tale, di nome Noé, ha messo una grande taglia sulla loro testa perché beh… non si vedono da nessuna parte e non si sa dove siano finiti. Gli servono per un qualche importante viaggio in barca. Non conosco bene i dettagli, ma so che oltre loro c’è un sacco di gente che deve partire»
Come se potesse mai credere ad una storiella del gener-
«Non me ne intendo di queste cose, è Kakuzu ad occuparsi delle taglie. Dovresti parlarne con lui» fece spallucce, agitando una mano con disinteresse, minimamente toccato dall’argomento.
«M-magari la prossima volta…»
Effettivamente sarebbe stato parecchio esilarante vedere il tesoriere di Alba andarsene in giro per il mondo a caccia di liocorni, ma avevo la sensazione che, una volta scoperta la verità, avrebbe provato a vedere cosa succedeva se cuciva la mia testa contro un muro – non quello del covo però, non ne avrebbe mai rovinato la verniciatura-.
Se non altro in quel modo ero riuscita a distoglierlo dal discors-
«Non pensare che non abbia notato il tuo patetico tentativo di cambiare argomento, uhm»
O anche no.
Avrei preferito si ricordasse di avere un cervello durante qualche combattimento mortale – tipo quello contro Sasuke, dove si era fatto saltare in aria totalmente a caso- invece che quando parlava con me; forse era la mia mancanza di materia grigia che lo stimolava ad utilizzare la sua, per compensare.
«Ero solo uscita a fare una pass-»
«Non ti ho mai visto camminare così tanto di tua spontanea volontà»
«Avevo bisogno di aria fresca e…»
«Tu detesti la natura»
«E’ che dovevo andare a riprendermi il mio corpo e-»
«In condizioni normali avresti implorato Sasori no Danna di aiutarti, uhm»
«Non volevo disturbarlo perché-»
Deidara si limitò a lanciarmi un’occhiata scettica nel sentire quest’affermazione. Non c’era bisogno che aggiungesse altro: era da quando ero arrivata in quel mondo che non avevo fatto altro che assillare il marionettista; ero abbastanza sicura che se non fosse stato impegnato a non essere più umano sarei riuscita a fargli spuntare i capelli bianchi per lo stress. Il fatto che improvvisamente mi facessi scrupoli verso di lui non era una motivazione plausibile, me ne rendevo conto persino io.
«Nutro sentimenti molto contrastanti nel sapere che mi conosci così bene…»
«Cosa stai andando a fare?» insistette ancora, vedendo che non mi decidevo a parlare.
«V-vado a caccia di donnole?»
«La verità
«Beh, a grandi linee questa sarebbe la verità…»
«Da quando non mi dici più tutto quello che ti succede, Fu?» sbottò, profondamente irritato, come se gli avessi recato chissà quale offesa.
«Mi chiamo Ambra!» obbiettai di rimando io, gonfiando una guancia «Tzé, non chiamare il nome di altre donne mentre ti trovi con m-» la mano di Deidara incontrò il muro di pietra alle mie spalle con fin troppa forza per i miei gusti, facendomi vagamente trasalire. Prima che potessi realizzarlo mi ritrovai intrappolata fra la parete e il corpo del bombarolo, il suo viso decisamente troppo vicino al mio per potermi permettere di ragionare lucidamente. Se quello era un tentativo di intimidirmi mi dispiaceva molto per lui; avrei potuto vivere per sempre in quella posizione senza il minimo problema. Non faceva male ritrovarsi coinvolta in qualche scena da Shōjo manga ogni tanto; non mi capitava praticamente mai e non mi sarei sicuramente lamentata di avere finalmente un po’ di meritatissimo fanservice.
«Wow, è stata una bella botta. Spero non ti sia fatto saltare via qualche dente della mano nella foga. Ahah, dente della mano. Fa così strano dirl-»
«Ambra»
«S-sì?»
L’espressione con cui mi stava guardando in quel momento mi fece desiderare di raggiungere lo stato liquido in moda da poter sparire oltre il muro di rocce: non capitava spesso di vederlo così serio; Deidara era sempre stato la rappresentazione vivente della sua concezione artistica: esplosivo, improvviso, intenso e repentino in ogni suo cambiamento di umore, vederlo così silenzioso metteva i brividi. O dipendeva forse dal fatto che mi stava praticamente alitando in faccia?
«D-deiDei, stai andando un po’ out of character. Perché vuoi saperlo così tanto?»
«Sei stata affidata a me e a Sasori no Danna e, per quanto non mi vada giù, sei una nostra responsabilità»
Ah. E io che speravo in una dichiarazione d’amore strappalacrime. Da quando era diventato così ligio al dovere verso l’organizzazione? Ero rimasta a quando non voleva nemmeno entrarci.
Sospirai, profondamente irritata «Scusa tanto, deve essere stato veramente orribile trovarsi fra i piedi una come me».
«Assolutamente sì. Perché diavolo il leader ha dovuto affidare proprio a noi un compito del genere? Sono un ninja, non un babysitter. Perché poi ha scelto proprio te? Non riesco a capirti, non sai fare nulla, non è passato giorno che non passassi senza infastidirmi…»
«… sei venuto fin qui per insultarmi?»
«Sono venuto fin qui perché tu mi p-» cominciò, bloccandosi nuovamente, per poi scuotere la testa, infastidito.
«P-?» gli feci eco, incitandolo a continuare.
P di cosa? Di “perturbi”, “pesti”, “posponi”, “palpi”? Quest’ultimo in effetti non sarebbe stato così improbabile, ma volevo sperare non si fosse mai reso conto di come mi avvinghiavo al suo corpo quando pensavo che si fosse ormai addormentato.
Deidara riportò lo sguardo su di me dopo qualche istante, deciso finalmente a parlare.
«Non so spiegarmi nemmeno io perché, ma tu mi-»
Fu un attimo. L’unica cosa di cui mi resi conto inizialmente fu il suono di qualcosa che lacerava la carne.
Senza che me ne fossi resa conto il braccio di Deidara si era spostato dalle parete alle mie spalle e si era piegato di fronte alla mia faccia, giusto in tempo per intercettare un kunai, che si conficcò sulla sua pelle, strappando la cappa dell’organizzazione. Nonostante quello il biondo fu rapido ad alzarsi in piedi, pronto a scattare in qualsiasi momento, togliendo, senza battere ciglio, l’arma dal suo corpo e lasciandola cadere a terra in un tintinnio che riecheggiò fastidiosamente all’interno del nostro rifugio d’emergenza.
Per quanto mi riguardava, io ero rimasta completamente immobile, seduta a terra, gli occhi sbarrati mentre mettevo a fuoco le fattezze della persona che ora ci si parava davanti, ferma in mezzo alla pioggia.
«Questo è completamente sbagliato. Non può succedere ora» riuscii soltanto ad articolare, pietrificata da quell’improvvisa apparizione.
Il viso parzialmente nascosto dal cappuccio del mantello fradicio, la mano appoggiata sulla katana bianca che ancora riposava nel suo fodero, fissato alla vita da quella strada cintura viola, ancora più orribile vista di persona; per qualche motivo, Sasuke Uchiha era lì.
Avrei veramente preferito un liocorno.

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Capitolo 44
*** Capitolo 43 ***


Hello~ No, non è un’allucinazione, ho finalmente finito di scrivere il nuovo capitolo, come al solito dopo un imbarazzante ritardo di... non ho nemmeno il coraggio di andare a leggere quale sia la data dell’ultimo aggiornamento. 
Ringrazio infinitamente chi ancora non ha perso le speranze per questa storia e continua a seguirla nonostante i miei continui, indecenti ritardi; mi spronate a non lasciarla perdere e continuare a scrivere dopo tutti questi anni.  
Per qualche strana ragione, questo capitolo è finito per essere decisamente più lungo del solito, spero vi piaccia e non vi annoi. 
Buona lettura!

Capitolo 43 

Piccole gocce d’acqua causate dall’umidità scivolavano lungo le rocce che costituivano le pareti dell’ambiente circostante, infrangendosi silenziosamente contro il terreno bagnato e scivoloso; si trattava di un’ampia struttura sotterranea, dominata dalla quasi completa oscurità tranne per la luce fioca di uno strano strumento presente al suo interno. 
Il centro di quella stanza era infatti occupato da un ampio e lungo cilindro dalle pareti trasparenti, collegato da una serie di fili ad un generatore che occupava gran parte dello spazio di quel laboratorio improvvisato. 
Al suo interno spiccava la figura di una ragazza, il colore del volto reso ancora più chiaro dalla luce che si rifletteva su di esso, gli occhi chiusi in uno stato di incoscienza.  
I capelli biondi galleggiavano intorno a lei nascondendole il volto, sul quale era possibile intravedere la sagoma di una maschera d’ossigeno che le permetteva di continuare a respirare all’interno del liquido in cui era completamente immersa ormai da diverso tempo. 
La pelle, laddove scoperta dalla sottile veste che indossava, era ricoperta da fili e sensori, che si diramavano sino all’esterno dello strumento e si ricollegavano ad altre apparecchiature in modo da registrare ogni minima variazione che avveniva al suo interno. 
Kabuto non aveva tempo da perdere: i suoi piani stavano procedendo senza alcun intoppo e nel momento in cui la guerra fosse finalmente iniziata non avrebbe più avuto modo di dedicarsi a quel suo piccolo hobby. Per questo motivo, anche a costo di dover forzare un po’ la mano sul fragile corpo che aveva a disposizione, doveva cercare di raccogliere quanti più dati possibili. 
«Non ho potuto mettere le mani sull’originale, quindi dovrò farmi andare bene questa imitazione» mormorò sovrappensiero fra sé e sé, il tono di voce incrinato da un amaro sentimento di insoddisfazione, mentre annotava velocemente una serie di numeri sul blocco di fogli che reggeva fra le mani, la pelle ricoperta da scaglie sottili che riflettevano innaturalmente la luce delle apparecchiature. 
Lo sguardo ambrato e rettiliano scorreva velocemente fra le varie valvole fissate al terreno, controllando i segnali vitali della ragazza e la percentuale delle sostanze presenti all’interno del serbatoio. 
Per quanto avesse sperato che Madara gli permettesse almeno di dare una rapida occhiata a quella vera era più che logico che, dall’alto della sua più totale mancanza di fiducia nei suoi confronti, non gli avrebbe mai permesso di avvicinarsi all’esemplare peculiare su cui era riuscito a mettere le mani – come biasimarlo d’altronde, al posto suo si sarebbe comportato nello stesso modo-. Inoltre, non si trovava certo nella posizione di poter avanzare chissà quali pretese nei suoi confronti e non voleva assolutamente rischiare di mettere a repentaglio quella nuova, precaria alleanza; al momento era la guerra imminente ad avere la priorità su ogni altra cosa, non poteva fare altro che limitarsi a rimpiangere silenziosamente la perdita di quell’opportunità.  
Ricordava bene delle volte in cui il maestro Orochimaru in passato aveva parlato della possibile esistenza di altri universi oltre il proprio -l’idea di essere gli unici esseri viventi in quello spazio sconfinato era già di per sé altamente improbabile, nient’altro che l'ennesima manifestazione della tipica arroganza degli uomini, convinti di trovarsi al centro di ogni cosa- e aveva elaborato numerose teorie al riguardo, portando avanti anche lo sviluppo di alcuni jutsu che gli permettessero di creare un contatto con ciò che vi era aldilà del conosciuto. Tuttavia, mai e poi mai avrebbe immaginato di poter arrivare così improvvisamente vicino ad una prova vivente di quelle speculazioni, ad un vero e proprio alieno proveniente da chissà dove.  
Eppure, qual era stata la brillante idea di “Madara”? Prendere il soggetto in questione e lasciarlo andare allo sbaraglio per i campi di battaglia, rischiando di danneggiare gravemente quella preziosa fonte di dati, per il solo scopo di mantenere in piedi il suo gruppo di fantocci; aveva deciso di ignorare totalmente le scoperte e i risultati che lo studio e l’analisi in laboratorio avrebbero potuto portare al loro mondo e alle loro possibilità future. 
Scosse la testa, cercando di scacciare via il fastidio che quei pensieri gli stavano procurando, l’ombra del cappuccio che pesava sul suo volto, celandolo alla vista. 
Tutto sommato l’arrivo della ragazzina bionda era stato un vero e proprio colpo di fortuna e aveva contribuito a migliorare notevolmente il suo morale: non aveva mostrato di possedere alcun tipo di potere e l'Uchiha, non avendone bisogno, gli aveva concesso di averla ed analizzarla, al semplice patto che gli riferisse qualsiasi eventuale risultato.  
Era stata proprio per un’idea di Kabuto che Madara aveva permesso di farla avvicinare così tanto all’altra ragazza; purtroppo il contatto con l’origine non aveva provocato alcuna reazione rilevante e quel piano era stato in fretta accantonato. 
Inizialmente lo scienziato aveva ipotizzato che Camilla, la ragazzina di cui si stava occupando al momento, non fosse altro che una persona qualunque, accidentalmente trasportata da Ambra (quello il nome del soggetto originale) in quell’universo, a causa di un mancato controllo dei suoi poteri. Da quelle poche informazioni che era riuscito a scucire a Madara aveva intuito che la ragazza non era minimamente in grado di controllare le proprie abilità, perciò non era da escludere che a livello inconscio i suoi poteri si fossero attivati spontaneamente per dare forma ai suoi desideri. 
Tuttavia, sin dalle prime osservazioni, era stato abbastanza chiaro che la ragazza era tutto, tranne che un comune essere umano: apparentemente possedeva dei ricordi di quella che era la sua vita prima che arrivasse lì, ma era sufficiente indagare un po’ più a fondo, fare qualche domanda appena più specifica, e le risposte che dava cominciavano ad essere sempre più vaghe, confuse, discontinue.  
Probabilmente i poteri di Ambra, a causa di un egoistico desiderio di avere qualcuno come lei in quel mondo, avevano portato alla creazione di un essere umano, o meglio, di qualcosa di molto simile ad esso, a cui era stata dato un nome, una parvenza di personalità e di una vita, forse mai realmente vissuta.  
«Creare dal nulla un essere umano stabile e completo...» mormorò affascinato lui, stringendo le mani sulla penna; le potenzialità del soggetto originali andavano oltre ogni sua più fervida immaginazione.  
Come faceva Madara a non capire l’importanza di quello che si era ritrovato fra le mani? Sarebbero bastati solamente un po’ di tempo e qualche ricerca in più e avrebbero potuto letteralmente stringere il mondo nel palmo delle loro mani... eppure, per quanto avesse provato a spiegarglielo, l’Uchiha non riusciva a vedere oltre il suo limitato e ottuso punto di vista e spostare lo sguardo al di là dei suoi piani. 
Non gli restava altra scelta che accontentarsi di quel guscio vuoto che gli era stato concesso. Il fatto che all’Uchiha non servisse significava, se non altro, che poteva disporre di lei come meglio credeva; con un pizzico di fortuna sarebbe riuscito a ricavarne un’arma da utilizzare contro il possessore dello sharingan e qualche informazione sul suo universo di provenienza.   
«O almeno così pensavo…» fece l’albino, poggiando il blocco di fogli e spingendosi indietro gli occhiali con le lunghe dita «Fino ad ora il suo corpo non ha risposto in modo particolarmente interessante. Nessun risultato degno di nota. Forse gli stimoli a cui è sottoposto non sono sufficienti». 
Se possibile avrebbe preferito evitare di finire per ucciderla involontariamente, ma sembrava non restasse altra alternativa se non quella di aumentare gli stimoli a cui era sottoposta se voleva sperare di ottenere qualche informazione rilevante. Dopotutto per raggiungere dei risultati era necessario correre dei rischi, era così che funzionava la ricerca scientifica e la sperimentazione. Certo, questo avrebbe potuto risultarle fatale e rendere vani tutti i suoi sforzi, ma questi erano imprevisti che si dovevano mettere in conto quando si svolgeva un esperimento di tale portata.  
«E’ ora di passare alla fase successiva» decise infine, spostandosi verso la parte opposta della grotta, il mantello che accompagnava i suoi passi svelti con un fruscio, sparendo nell’oscurità circostante. 

 Ambra POV 
Bestia di Satana ritorna nelle profondità infernali da cui sei emerso! 
Questo era tutto quello che riuscivo a pensare mentre fissavo sbigottita la figura che ci si stagliava davanti, troppo scioccata persino per assumere una qualsiasi tipo di espressione facciale, i muscoli del volto paralizzati in qualcosa che probabilmente non doveva star lasciando trasparire il mio grande acume. 
Alcuni raggi solari squarciarono la spessa coltre di nuvole che gravava pesantemente sopra di noi in quell’atmosfera cupa, abbracciando la schiena del ninja traditore di Konoha e accentuando il bagliore sinistro del suo sguardo, scivolando quasi minacciosamente lungo il corpo della katana che riposava contro il suo fianco.  
Tutto sembrava immobile, persino la pioggia che fino a poco prima scrosciava violentemente contro il terreno, oramai umido e fangoso, si era infine fermata, insieme al mio cuore, ogni tentativo di pensiero coerente e aspettativa verso il futuro. Tutto taceva in un silenzio così opprimente da darmi la sensazione che qualsiasi tipo di movimento avrebbe innescato una serie di traumatici eventi che ero sicura non essere ancora pronta ad affrontare. 
E’ finita, è finita, siamo spacciati, sono morta, ora muoio”  
Com’era possibile? Come accidenti era possibile?!  
Quanto poteva essere piccolo quel mondo per riuscire ad incontrare tutta quella gente nella stessa maledetta radura? Ero finita in qualche famosissimo luogo turistico di cui non ero a conoscenza?  
Tutto era cominciato con la comparsa Fuko, sbucata dal nulla, ma poco male: almeno avevo riavuto il mio corpo senza doverlo andare a cercare per ogni minimo anfratto dell’universo ninja; subito dopo, per grazia di Jashin, si era materializzato anche Deidara, che provvidenzialmente mi aveva risparmiato una fine lenta e dolorosa per mano della suddetta ragazzina.  
Fino a quel punto l’allegra vicenda poteva ancora essere liquidata semplicemente come una serie di fortunati eventi, una banalissima coincidenza, un casoPer una volta gli astri celesti avevano deciso di allinearsi in mio favore e la Dea bendata, mossa a pietà dalla mia sfiga dilagante, aveva deciso strizzare un occhio nella mia direzione dopo avermi palesemente ignorato per più di un decennio... o almeno così credevo; la triste realtà era che molto probabilmente non sarei mai arrivata a fine giornata: il Vendicatore in persona aveva deciso proprio quel giorno, proprio a quell’ora, di farsi una passeggiata fra quelle medesime fresche frasche, capitando – ma tu guarda che combinazione!- esattamente davanti alla stessa grotta in cui avevamo trovato riparo per via di un acquazzone improvviso.  
Quante possibilità c’erano di incontrare proprio lui, che in quel mondo era praticamente categorizzabile come una specie ormai in via di estinzione? Ero abbastanza sicura che ci fosse una più alta percentuale che mi capitasse di dissotterrare accidentalmente lo scheletro di un Dodo che di incrociare la sua stessa strada. 
Ero in un manga, era vero, ma c’era comunque un limite a certi cliché! Kishimoto doveva davvero star morendo dalla voglia di vedermi trasformata al più presto nell'opera d’arte “Donna che impatta su roccia, macchia di sangue su caverna” per architettare uno sviluppo così malsano; soprattutto quando al mio fianco si trovava Deidara, l’ultima persona che avrei desiderato stazionasse nello stesso emisfero di Sasuke, figurarsi nel suo campo visivo. 
Il biondino in questione, decisamente più consapevole della sottoscritta del fatto che non ci trovassimo su Holly e Benji e che la vita continuasse ad andare avanti anche mentre si era immersi nelle proprie elucubrazioni mentali, si mosse alla mia sinistra, la mano poggiata nella tasca che conteneva la sua amata argilla esplosiva, pronto ad agire.  
«A-aspetta, quello è Sasu-UGH!» provai a intervenire in uno sprazzo di lucidità mentale, alzandomi di scatto sulle gambe, senza considerare la parete di pietre che gravava pericolosamente sopra la mia testa e che quasi certamente aveva appena perforato qualche parte importante della mia corteccia celebrale... non che in quel momento ne stessi facendo particolare uso
«... quello è Sasuke Uchiha... il fratello scemo di Itachi...» mugugnai sofferente, le mani sul capo nel tentativo di evitare che si aprisse improvvisamente in due, mettendo precocemente fine a quello strazio. 
«Il fratellino di Itachi, uhm» ripeté semplicemente, un tono di voce che non prometteva nulla di buono; a giudicare dall’espressione velatamente intrigata che gli increspava le labbra non sembrava fosse sul punto di propormi di lanciargli le nostre scarpe negli occhi e darci ad una disperata fuga rocambolesca. 
Ripensandoci a posteriori, considerata la suscettibilità del biondino sulla questione, sarebbe stato meglio non menzionare la sua discendenza Uchiha; avrei potuto tranquillamente mentire sulla sua identità e spacciarlo per un cugino di terzo grado alla lontana di qualche personaggio estremamente secondario con una forma particolarmente violenta di infiammazione oculare e le cose magari avrebbero preso una piega migliore.   
Mi alzai nuovamente in piedi, evitando con cautela di infliggermi da sola il colpo di grazia contro il soffitto, per portarmi velocemente al suo fianco... o meglio, un po’ più indietro, alle sue spalle, ben nascosta e protetta dalla sua figura, improvvisamente molto rassicurante; non era certo mia intenzione usarlo come scudo umano, ma ero piuttosto sicura che se fosse partito il combattimento e il corvino avesse provato a sfilettarmi come aveva fatto come Tobi nella scena originale, io da terra non sarei più riuscita ad alzarmi. 
«Andiamocene» tentai di dirgli sottovoce inclinandomi verso di lui, la mano davanti alle labbra in modo alquanto losco «Se adesso apro un varco possiamo ancora-» 
«Quello sguardo... è proprio il fratello di Itachi, uhm» continuò lui, ignorando completamente i miei sentimenti di angoscia crescente «Potrebbe essere interessante» 
«O potrebbe essere un bagno di sangue! DeiDei, ascoltami! Dobbiamo davver-» 
«Lei dov’è?» 
A interrompermi questa volta – mai che qualcuno stesse a sentire fino alla fine quello che avevo da dire!- fu la voce di Sasuke, calma ma allo stesso tempo così glaciale che sentii chiaramente un brivido percorrermi lentamente la colonna vertebrale in modo molto poco piacevole, sempre più consapevole del fatto che no, non era tutto frutto di un’allucinazione collettiva: davanti a noi si era veramente materializzato il mentalmente-neanche-troppo-sano Scoiattolo Uchiha in persona.  
Lei?” pensai confusa, registrando distrattamente le sue parole dall’oblio di ansia e sconforto in cui stavo tristemente andando alla deriva; Itachi aveva cambiato sesso e nessuno mi aveva detto niente? Non aveva mai cambiato sesso e io l’avevo sempre scambiata per un uomo? Sasuke era impazzito definitivamente a causa di tutto quell’odio?  
«Quella mocciosa era una tua compagna? Ci siamo ripresi il corpo e l’abbiamo lasciata andare, uhm» ripose con un sorrisino Deidara, inclinando la testa in un moto di superiorità, tanto che potevo sentire il suo ego gonfiarsi e straripare da quelle parole «Non ne valeva la pena» 
«AH! Fuko!» esclamai allora io, sentendo chiaramente il click della lampadina del mio cervello.  
Qualche mese prima Pain era venuto a informarmi che per mia estrema gioia la biondina, dopo la morte di Orochimaru, aveva avuto la brillante idea di unirsi al gruppetto dell’Uchiha; effettivamente era più che comprensibile che vedendomi con il suo corpo si facesse qualche domanda. Magari, per una buona volta, la fortuna sarebbe stata dalla mia parte e mossa da sentimenti di amore e rispetto per il vecchio corpo dell’amata compagna mi avrebbe risparm- no, dallo sguardo cupo che ci stava rivolgendo – non che il suo repertorio comprendesse molti altri tipi di espressioni, s’intende- stava probabilmente soppesando quale atroce metodo di tortura sarebbe stato più efficace per farci confessare l’attuale ubicazione di Itachi; non che nessuno di noi la conoscesse in realtà, in quel mondo purtroppo non avevano ancora creato telefoni, mail, ninja-gram o cose del genere, quindi non era possibile stalkerare la vita degli altri in tempo reale. 
Beh, se non altro era già un miracolo che Sasuke non fosse arrivato poco prima, quando eravamo ancora alle prese con Fuko; non erano individui facilmente gestibili anche se presi singolarmente, insieme sarebbe stato... un momento, un momentoA proposito di compagni...  
Per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva, attirando un’occhiata di pietà mista a schifo da Deidara, nel ricordarmi che Sasuke non era solo nella sua allegra campagna di odio e distruzione contro il mondo, ma che durante il suo soggiorno da Orochimaru era addirittura riuscito a reclutare gente talmente disperata e mentalmente instabile da pensare che fosse una buona idea quella di dargli una mano nel risolvere i suoi problemi personali.  
Non riuscivo proprio a capire come funzionasse quel mondo: mentre io, una persona bella, intelligente, simpatica e dalle limitate tendenze omicide potevo contare sulla punta delle dita di una sola mano molto piccola le amicizie che ero riuscita a stringere nel corso della mia vita, lui tra un’occhiataccia truce e una minaccia di morte si ritrovava circondato da persone pronte e farsi ridurre a chewingum per il suo bene. Stavo forse sbagliando qualcosa nel mio approccio nei confronti del genere umano? 
Strizzai gli occhi, ancora mezza –completamente - nascosta dietro la spalla di Deidara, esaminando con ostentata nonchalance i dintorni: l’area era piuttosto spoglia, non sembravano esserci delle zone che potessero costituire dei buoni nascondigli o da dove fosse possibile monitorare la situazione; sembrava che Sasuke fosse effettivamente solo, ma considerando le mie abilità sensoriali avrei potuto essere seduta pacificamente sopra uno dei suoi “amici” senza nemmeno rendermene conto.  
In tutta onestà non mi sarebbe dispiaciuto incontrare Suigetsu, ero sempre stata una sua grande fan dagli albori della sua comparsa nel manga, ma avrei preferito succedesse in un altro contesto, un po’ più pacifico, magari di fronte ad una bella tazza d’acqua di quelle che gli piacevano tanto. Juugo, beh... nonostante fossi sicura che sotto sotto fosse una personcina affabile e a modo, lui e i suoi cambiamenti d’umore erano sempre stati un po’ troppo persino per i miei standard. Per quanto riguardava la Sakura 2.0 dai capelli rossi non volevo nemmeno sprecare il tempo di un pensiero su di lei; alla fine, anche se fosse stata lì, la sua presenza sarebbe stata inutile quanto l’idea di regalare a Gaara delle pinzette per sopracciglia.  
Ad ogni modo, la prospettiva che l’allegra brigata del corvino potesse raggiungerci da un momento all’altro gravava pesantemente sulle nostre percentuali di sopravvivenza e sul mio povero cuore, ormai prossimo all’autodistruzione a giudicare dalla velocità con cui stava martellando contro la mia cassa toracica. 
«Ha altri tre compagni oltre Fuko» sussurrai al bombarolo, ancora piegata verso il suo orecchio «Non mi sembra di vederli, ma di solito si muovono in gruppo» aggiunsi, concludendo mentalmente che quell’informazione gli sarebbe stata sicuramente più utile che a me; alla fine il ninja era lui, non potevo fare altro che sperare sapesse cosa stava facendo e affidarmi al suo metro di giudizio; per quanto improbabili suonassero le parole “giudizio” e “Deidara” nella stessa frase.  
Proprio mentre stavo per improvvisare una possessione sciamanica da parte di Wikipedia e lanciarmi in un’accuratissima descrizione dei suddetti personaggi, l’Uchiha, stancatosi di ammirare le nostre invidiabili silhouette in lontananza, scattò in avanti con una velocità tale che l'unica cosa che riuscii a registrare, un battito di palpebre più tardi, fu la luce riflessa sulla lama della katana che incombeva sopra di noi, pronta ad affondare un fendente sul corpo dell’artista, infrangendo qualsiasi regola fossi certa che la fisica prevedesse per lo spostamento di un essere umano nello spazio.  
Facendo più che onore al mio essere una ninja ormai stagionata lanciai un urletto stridulo con la stessa frequenza sonora di un'unghia trascinata contro la superficie di una lavagna, e chiusi automaticamente gli occhi, sperando soltanto che quella non sarebbe stata l’ultima volta. 
Per fortuna Deidara, con dei riflessi che facevano decisamente più shinobi dei miei, non si lasciò particolarmente impressionare dalla cosa, allungando rapidamente un braccio in avanti: le labbra che attraversavano innaturalmente il palmo della sua mano si aprirono, accompagnate da un suono inquietante, un misto di denti che scorrevano fra di loro e dell’argilla che veniva impastata, e un lunghissimo lombrico fuoriuscì dall’apertura, muovendosi velocemente verso l’arma del corvino in una spirale costrittiva; invidiavo terribilmente la sua prontezza di riflessi in situazioni simili; a volte, mentre non facevo nulla, dimenticavo persino come si facesse a respirare e deglutire la propria saliva senza rischiare di affogarci in mezzo. 
Sasuke, l’espressione calma e tranquilla come se si stesse dedicando alla raccolta di tartufi, spostò velocemente indietro la lama impedendo che la creazione dell’altro si avvinghiasse su di essa e portò invece in avanti la mano sinistra. Delle saette cominciarono a circondargli innaturalmente il braccio in un gorgoglio elettrico molto poco rassicurante, un suono che sembrava ricordare quello dell’eco in lontananza di uno stormo di uccelli. 
«KATSU!»  
Riuscii a registrare solo a malapena la voce decisa di Deidara rimbombare nella grotta, prima che venisse sovrastata dal violento suono di un’esplosione: il boato si infranse contro i miei timpani con la forza di un colpo di martello, lasciandomi la testa leggera e ronzante; un fischio fastidioso avvolse quella che era la mia percezione del mondo, riducendo ogni altro suono in qualcosa di lontano e indistinto. 
Per un millesimo di secondo l’espressione di Sasuke si fece vagamente sorpresa, nient’altro che un leggero barlume confuso nello sguardo illuminato dal bagliore dello scoppio, ma fu rapido a riacquistare la solita compostezza che lo contraddistingueva, piegando il suo corpo all’indietro in una linea innaturale ed evitando, con un aggraziato salto di gazzella all’indietro, l’onda d’urto che si era propagata velocemente intorno a noi, scontrandosi con le pietre della grotta e riducendola a niente più che ad un ammasso di macerie scomposte e polverose; una pesante coltre di detriti riempì l’aria circostante in una nube chiara mentre alcuni calcinacci venivano spinti in diverse direzioni. 
Solo allora, riaprendo lentamente gli occhi lacrimanti – per la polvere, ovviamente!-, realizzai di non trovarmi più al suo interno: il bombarolo, senza che me ne rendessi conto, mi aveva trascinata con lui nello spazio aperto della radura, le gambe fastidiosamente umide e appiccicaticce per via del fango pastoso e molliccio su cui mi aveva malamente lasciata cadere subito dopo. 
Dall’alba dei tempi avevo sempre odiato quando nelle storie i personaggi femminili esistevano solo in funzione dell’essere salvati o protetti, finendo per essere solo un peso morto per gli altri, ma in quel momento non riuscivo a pensare assolutamente a nulla, quasi come se non mi trovassi veramente lì e stessi osservando la scena come spettatore esterno. 
Non era certo la prima volta che finivo coinvolta in uno scontro improvviso, ma l’angoscia paralizzante della battaglia non era qualcosa a cui sarei mai riuscita ad abituarmi. Le situazioni da “muori o uccidi” che gli altri in quel posto vivevano con la stessa serenità mentale dello scendere in piazza a prendere un gelato e l’adrenalina che deriva dal percepire la propria vita in bilico sul filo del rasoio non facevano certo bene al mio povero cuore e non incoraggiavano sicuramente le mie capacità di reazione; insomma, non riuscivo nemmeno a salire sulle montagne russe, figuriamoci se sarei mai stata capace di lanciarmi di mia iniziativa in uno scontro all’ultimo sangue con un serial killer addestrato! 
L’idea di come quella battaglia potesse concludersi e l’immagine di Deidara che si trasformava in un gigante petardo colorato continuava a flashare ininterrottamente davanti ai miei occhi, senza che riuscissi nemmeno a pensare a un rimedio plausibile per evitarlo.  
E se avessi peggiorato tutto? E se mettendomi in mezzo avessi finito per accelerare le cose? Cosa dovevo fare? Come- 
«Oi» la voce del dinamitardo interruppe di punto in bianco la spirale di disperazione in cui mi stavo inesorabilmente affondando, il viso leggermente curvato verso di me e l’espressione aggrottata in un cipiglio scettico «Quel ragazzino ti fa così tanta paura? Aahche bambina...» aggiunse canzonatorio, occhieggiandomi con quel suo solito sorrisetto provocatorio, ben consapevole di quanto mi irritasse. 
«C-certo che no, ti pare?!» sbottai infastidita, spingendo con le mani sulle ginocchia per alzarmi in piedi, cercando di non fare caso alle proteste delle mie articolazioni indolenzite da tutto quel movimento improvviso «Piuttosto, è per te che sono preoccupata, quello lì è forte, sai?!» borbottai, puntando un dito contro la figura dell’Uchiha, che aveva preso nuovamente le distanze per analizzare meglio la situazione; effettivamente non era molto saggio lanciarsi di faccia contro un potenziale kamikaze, persino io ci sarei potuta arrivare. 
«Non è possibile che un mocciosetto viziato come quello possa competere con la mia arte, non c’è nemmeno bisogno di dirlo, uhm» assicurò lui, un senso di orgoglio sconfinato che trasudava da ogni singola parola «O non hai fiducia in me?» 
«So benissimo che puoi batterlo senza problemi!» ribattei, fin tropo velocemente, sentendo le guance bruciare fastidiosamente nel notare la soddisfazione farsi strada su quella sua faccia da schiaffi.  
Per quanto fosse irritante da ammettere di fronte al sorrisetto strafottente con cui mi osservava era vero, l’avevo sempre pensata in quel modo; anche quando avevo assistito a quella battaglia nell’anime ero sempre stata sicura che Deidara sarebbe stato in grado di batterlo se non fosse stato per la corsia preferenziale della trama riservata ai protagonisti. Ero sempre stata certa che se alla fine non si fosse lasciato accecare dalla rabbia decidendo di farsi saltare in aria a caso sarebbe riuscito a finirlo senza problemi. Maledetto Kishimoto!  
«Allora smettila boccheggiare in quel modo e mettiti al lavoro, abbiamo un nemico da abbattere, uhm» affermò, dandomi le spalle; i capelli e la cappa dell’organizzazione ondeggiarono in modo terribilmente scenico per via del movimento repentino e i raggi del sole circondarono la sua figura, conferendogli un’aura sbrilluccicante e alquanto suggestiva; emanava così tanta sicurezza e fiducia in sé stesso che per un attimo ne fui travolta anch’io e lasciai che contagiasse un po’ anche me, uscendo dal labirinto di forse e di ma che non mi avrebbero sicuramente portata da nessuna parte... oltre che qualche metro sottoterra s’intende; e io ero abbastanza sicura che nessuno lì avesse voglia di spendere soldi per organizzare un mio possibile funerale e sarei finita quasi sicuramente lasciata a marcire tra le lumache.  
«Ci sono delle domande che devo farti» affermò Sasuke, la punta della katana rivolta nella mia direzione che non prometteva nulla di buono.  
Innanzitutto, non lo sapeva che non era buona educazione puntare oggetti contundenti e potenzialmente letali verso gli sconosciuti? Non mi sembrava il modo migliore per mettere a suo agio qualcuno e intavolarci una conversazione; e poi... domande? A me, me medesima? Era perché pensava fossi l’anello debole del gruppo? Non aveva tutti i torti, però... 
«Non opporre resistenza e ti lascerò andare» concluse, lanciando un’occhiata disinteressata verso Deidara, come se accanto a me non ci fosse uno degli shinobi pluriomicidi più ricercati del mondo ninja, ma soltanto un moscerino ronzante e fastidioso; più o meno l’ABC del comportamento da adottare per fargli partire un embolo e fare in modo che l’artista ti inserisse direttamente nella sua lista nera, con conseguente uccisione immediata. 
«Quell'atteggiamento...» sibilò a denti stretti lui, il sorriso che si allargava sul suo viso in modo decisamente poco amichevole e una vena che cominciava a gonfiarsi sulla sua fronte per via della rabbia crescente, probabilmente immerso in flashback di guerra del non proprio piacevole primo faccia a faccia che aveva avuto con il fratello maggiore. 
«Non abbiamo la più pallida idea di dove si trovi Itachi!» intervenni allora io, prima che la situazione precipitasse ulteriormente «Nessuno nell’organizzazione conosce gli spostamenti degli altri, non avrebbe senso!» provai addirittura buttarla sulla logica, tale era il mio livello di disperazione, ma dallo sguardo disinteressato che ci stava rivolgendo ero piuttosto sicura che non sarei riuscita a smuoverlo nemmeno se avessi cominciato a recitargli a memoria la Divina Commedia improvvisandogli una danza folkloristica. 
«Se avete intenzione di opporvi, allora-» prima che il corvino potesse concludere la sua frase con una qualche minaccia di morte non proprio gradevole, Deidara mosse le braccia in avanti, lanciando dai palmi delle mani delle sfere bianche che sembrarono bloccarsi in aria per qualche secondo, contro ogni legge della gravità; l’argilla bianca si agitò, come se qualcosa stesse crescendo al suo interno, e si contrasse su sé stessa; i dispositivi presero la forma di alcuni uccelli dal tratto tipico che accumunava le sue creazioni, che partirono all’attacco fendendo l’aria, diretti verso il loro obbiettivo. 
«Sai cosa devi fare, uhm» si limitò a dirmi, raccogliendo le mani davanti al petto per formare un sigillo, lo sguardo impegnato a seguire i movimenti dell’Uchiha, pronto a cogliere la minima apertura nella sua guardia per poter passare all’attacco; in realtà erano soltanto un’esca: finalmente, dopo tutto quel tempo, potevamo mettere in atto la combo – speranzosamente- fatale che avevamo elaborato insieme qualche mese prima in un momento di noia generale. 
Feci un respiro profondo, cercando di riportare all’ordine i neuroni che impazziti vagavano senza scopo alcuno, e cominciai a muovere le mani scompostamente, nel solito modo che ormai cominciava a essermi sempre più familiare. 
«Super... hyper... shiny... combo!» sussurrai faticosamente, il sudore che mi scaldava le guance, colta però da un profondo senso di soddisfazione nel notare un varco aprirsi perfettamente alle spalle dell’Uchiha, la cui attenzione era ancora completamente polarizzata verso gli esplosivi manovrati a distanza da Deidara. 
«Ti ho già detto mille volte...» cominciò l’artista, le sopracciglia aggrottate sotto l’ombra del coprifronte, mentre con un semplice gesto della mano liberava altri esplosivi nel varco gemello che avevo appena aperto di fronte a lui «Che non lo chiameremo mai in modo tanto ridicolo. KATSU!» urlò, la voce già incrinata dal desiderio di vittoria, che gli stringeva già lo stomaco in una morsa carica di aspettativa; gli esplosivi attraversarono il passaggio creato di fronte a lui, ritrovandosi, un istante più tardi, alle spalle di Sasuke; prima che avesse tempo di rendersene conto si azionarono, avvolti da un bagliore. 
L’esplosione fu sorda e travolgente, non troppo ampia ma abbastanza potente da spazzare via qualsiasi cosa avesse avuto la sfortuna di ritrovarsi nelle sue vicinanze. L’onda d’urto parve riverberare attraverso ogni singolo osso e lungo i muscoli del mio corpo, pizzicando la pelle e lasciandomi le mani ricoperte da un leggero formicolio; se non altro questa volta avevo avuto il tempo di tapparmi le orecchie: ero abbastanza sicura che l’Akatsuki non offrisse alcuna forma di copertura sanitaria nello sfortunato caso capitasse che a qualcuno implodessero i padiglioni auricolari.  
«Si sta ancora muovendo... Fu!» mi avvertì Deidara, che non aveva abbassato la guardia nemmeno per un secondo, tornando nuovamente in posizione e generando altri esplosivi, questa volta di dimensioni ridotte, ma decisamente più veloci rispetto ai precedenti; le nuove armi si mossero verso l’Uchiha ancor prima che la nube di polvere sospesa nell'aria liberasse la nostra visuale, le ali che si agitavano veloci come quelle di un colibrì. 
«Mi chiamo Ambra!» ribattei piccata, troppo presa dalla tecnica per essere veramente irritata dal fatto che non si fosse ancora abituato ad utilizzare il mio vero nome, piegando un po’ la schiena in avanti e stringendo le palpebre per cercare di individuare la posizione del ninja di Konoha, nient’altro che un’ombra confusa dietro la coltre di terriccio e detriti che lo avvolgeva, pronta ad aprire altri varchi non appena avessi individuato anche solamente uno dei suoi sacri mignoli Uchiha. 
A fare per prima la sua apparizione, tuttavia, fu la sagoma di alcune creazioni ancora inesplose dell’artista, che dallo schiocco irritato della sua lingua contro il palato sembrò non esattamente gradire la cosa, bloccate e rese inefficaci dal chakra del fulmine del corvino, che in quel modo era riuscito a limitare i danni subiti. 
Con un gesto fluido balzò all’indietro e girò su sé stesso con una capriola, a mio parere parecchio inutile vista la situazione: non capivo l’esigenza che avevano i ninja di mettersi a fare di tanto in tanto acrobazie da circo durante i combattimenti, quando ci avrebbero messo la metà del tempo e della fatica limitandosi a spostarsi in modo normale; beh, onestamente anch’io se ne fossi stata in grado non avrei fatto altro che pavoneggiarmi della cosa, ma quelli erano dettagli... 
Il viso di Sasuke apparve finalmente dalla cortina di fumo, leggermente impolverato a causa dell’esplosione e le maniche del kimono bianco – pessima scelta di colore, a mio modesto parere, per uno che se ne andava in giro a sfilettare la gente senza pietà- erano leggermente bruciacchiate nella zona che gli fasciava le spalle, senza tuttavia nessuna ferita visibile; gli occhi, però, si erano tinti di un una tonalità di rosso sgargiante ed erano puntati dritti verso di noi.  
«Ambra!» 
«Lo so!» 
Distolsi gli occhi alla velocità della luce -non mi andava particolarmente di passare novanta ore a farmi infilzare dentro una qualche macabra illusione concepita da un altrettanto macabra mente malata- mentre agitando scompostamente le mani aprii un altro varco sotto il corpo del nostro avversario, nella zona in cui sarebbe finito inevitabilmente per atterrare per via della traiettoria del suo spostamento e collegai il varco a una grande pietra che poco più in là spiccava nella valle.  
«Tecnica della tagliola: trappola per orsi!» esclamai esaltata; avevo sempre voluto provare ad usare quell’attacco! 
Il corvino abbassò lo sguardo nell’avvertire il suo piede non raggiungere nessun tipo di appoggio e attraversare lo squarcio, rimanendo incastrato all’interno del materiale roccioso, i movimenti bloccati almeno per qualche istante. 
«Chiudi il varco e tagliagli la gamba, uhm» suggerì candidamente l’artista, con una tranquillità tale che sembrava mi avesse appena proposto di andare prenderci una tisana in allegria. 
«Cos- NO! Non posso!» balbettai agitata, lanciandogli un’occhiata allarmata per quella prospettiva; stavamo combattendo, era vero, ma non avrei mai potuto tranciargli un arto così all’improvviso! Insomma, non stava bene, non era molto carina come cosa! 
Il biondino sbuffò, irritato dalla mia esitazione, ma non disse nulla – probabilmente nemmeno lui si aspettava che sarei stata veramente in grado di farlo- e, senza perdere nemmeno un secondo, raccolse nuovamente le mani in un sigillo.  
Altri lombrichi esplosivi - non avevo idea di quando li avesse creati e fatti arrivare fino lì- emersero rapidamente dal suolo, avvolgendosi intorno al corpo del ninja prima che potesse reagire, stringendogli il busto e bloccandogli le mani in una morsa ferrea. 
«KATSU!» urlò nuovamente, innescando le sue creazioni, che travolsero completamente la sagoma del corvino, scomparsa dietro la luce chiara e accecante dell’esplosione e ingoiando tutto quello che lo circondava. 
«Ah-ah! Ecco cosa ottieni a guardami dall’alto in basso, uhm!» sbottò soddisfatto, il sorriso che gli attraversava il volto da parte a parte nel modo compiaciuto e vagamente maniacale a cui ormai ero abituata. 
Registrai a malapena le parole il mio compagno, completamente preso dal decantare le sue fantastiche capacità strategiche e a sottolineare la meravigliosa efficacia delle sue creazioni, lo stomaco aggrovigliato in un’emozione complicata; e... quindi? Finiva così? Era morto? Avevo appena preso parte all’uccisione di Sasuke Uchiha? Non mi era mai piaciuto particolarmente, però farlo saltare in aria mi pareva un po’ eccessivo... e cos’avrebbe detto Itachi? Oh no, come avevo potuto fargli una cosa simile?! Non sarei mai più riuscita a guardarlo in faccia! 
Dall’ombra creata dalla nebbia dell’esplosione emerse la figura di un tronco di legno, che cadde a terra con un tonfo leggero, spezzando il chiacchiericcio concitato di Deidara. 
«La tecnica della sostituzione!» sentii sbottare il biondino irritato, registrando che il suo ultimo attacco era andato a vuoto, quando, persa nei meandri dei miei pensieri, notai distrattamente un’ombra cominciare a ingrandirsi sotto i miei piedi, come se qualcosa fosse apparso alle mie spalle, bloccando i raggi del sole che si trovava dietro di me. 
«Amb-!» 
Mi voltai appena, sentendo i muscoli improvvisamente rigidi e pesanti ancorarmi al suolo, notando soltanto con la coda dell’occhio la lama della katana di Sasuke dirigersi verso di me, decisamente troppo vicina per i miei gusti 
Oh. Non sarei mai riuscita a schivarla, ero veramente morta. 
Mi preparai mentalmente all’impatto e chiusi lentamente gli occhi; era successo tutto così in fretta che non avevo avuto nemmeno il tempo di sentirmi spaventata, di vedere cose tipo la mia vita passarmi davanti in un’emozionante pellicola cinematografica di tutte le mie sfighe fino a quel momento o di riuscire a formulare un qualsiasi tipo di pensiero. Forse era meglio così, avrei evitato di lanciarmi in grida stridule poco eleganti e umiliare ulteriormente la mia persona. 
Sentii il suono di qualcosa che veniva lacerato e attraversato, il tintinnio della lama di metallo che affondava spietatamente su qualcosa, ma non ci fu nessun impatto e nessun dolore atroce improvviso a rivoltarmi le viscere come mi sarei aspettata. 
Spalancai gli occhi, sentendo qualcosa di caldo cominciare a scorrermi sulle guance, delle linee rosse che scivolavano lentamente sopra di me, gocciolando dalla figura che mi sovrastava. 
«Non farti fregare da un trucco così banale, idiota» sussurrò Deidara, con un sorrisetto incerto, la fronte piegata verso la mia e il busto inclinato in avanti, coprendo completamente la mia figura con la sua ombra. 
Spalancai gli occhi, sentendo il respiro bloccarmisi in gola con un suono strozzato che soppresse ogni tentativo di articolare qualcosa, notando la chiazza rossa allargarsi velocemente sul suo addome al di sotto della cappa strappata e sporcando inevitabilmente i vestiti, la punta della spada che emergeva innaturalmente dal suo corpo. 
«D-Dei-» balbettai, la mente che ruotava su stessa nel caos più totale «N-non dovevi metterti in mezzo, non-» 
«Non è niente, uhm. Una cosa del genere non bast-» 
La spada venne improvvisamente ritirata all’indietro, accompagnata dal suono strozzato e gutturale sfuggito dalle labbra di Deidara; avvertendo la debolezza pervadergli il corpo si piegò sulle ginocchia, premendosi la mano contro il fianco con un sibilio carico di aria e fastidio, i lunghi capelli biondi che cadevano come una tenda intorno al suo volto, imperlato da alcune gocce di sangue misto a sudore; automaticamente mi abbassai anch’io, poggiandogli le mani tremolanti sulle spalle, senza riuscire a fare o dire nulla, le vertigini che attanagliavano il mio corpo e un senso di nausea crescente. 
Alle sue spalle emerse la figura di Sasuke, che troneggiava su di noi, l’espressione torva a causa dell’ombra che rendeva ancora più taglienti i tratti del suo viso, risultando persino più imponente mentre ci osservava dall’alto della sua posizione, l’indifferenza mista a un leggero velo di superiorità che macchiava il suo sguardo scuro. 
«Umph, vi avevo detto di non fare resistenza» si limitò a ribadire, atono, calmo, come se davanti a lui non ci fosse nulla, come se non avesse appena squartato qualcuno con l’arma che reggeva fra le mani; il corvino spostò la katana di lato con un movimento repentino, scuotendo via il sangue che ne impregnava la lama, che dipinse il terreno in una linea macabra, penetrando nella fanghiglia e tingendola di una tonalità innaturale. 
Sentivo le spalle del biondo tremare leggermente sotto la pelle dei miei polpastrelli, appesantendo ulteriormente il macigno che gravava sopra il mio stomaco, il battito del mio cuore che si infrangeva furiosamente contro le mie orecchie.  
Cosa dovevo fare? Cosa dovevo fare? Cosa dovevo fare? 
«Non ho tempo da perdere» dichiarò semplicemente, spostando il braccio all’indietro, pronto a finire l’ostacolo che gli si parava davanti. 
Sentii Deidara cercare di alzarsi in piedi pronto a riprendere il combattimento, ma lo spinsi di nuovo in basso con le mani, impedendogli di muoversi; senza fermarmi a pensare a quello che stessi facendo mi spostai velocemente in avanti, mettendomi fra di loro. 
«Ferm-»  
Ignorai le sue proteste lasciandomi trasportare in avanti dall’impeto del momento, e mi lanciai senza troppe cerimonie come un koala verso il corpo del corvino annullando la distanza che ci separava, in modo da non rientrare nel raggio di attacco della sua spada - nella mia testa funzionava come strategia, ok?-. 
La reazione dell’altro non tardò ad arrivare e, prima che me ne rendessi conto, avvertii i polmoni svuotarsi d’aria mentre il suo piede affondava contro il mio addome in un calcio che non ero nemmeno riuscita a vedere e sentii muscoli intorno al mio stomaco contrarsi pericolosamente e le ossa scricchiolare in maniera poco rassicurante, quasi come mi stesse attraversando da parte a parte con quel colpo.  
L'impatto mi spinse all’indietro ma, barcollando sulle gambe tremolanti, mi impedii in qualche modo di cadere a terra, lottando con ogni singola forza che mi rimaneva per non rigettarmi addosso tutto il contenuto del mio corpo -ci mancava soltanto quello, sarebbe stato alquanto patetico e disgustoso-; se non avessi avuto l’adrenalina a mille a corrermi velocemente nelle vene e i sensi offuscati per il terrore sarei già stramazzata pietosamente al suolo senza la minima possibilità di fare altro. 
Prima di permettere alla mia mente di soffermarsi sui danni che calcio di Sasuke aveva inflitto al mio povero corpicino indifeso allungai la mano in avanti, impiegando ogni goccia della mia ormai precaria forza di volontà per poter riuscire a concentrarmi; in qualche modo avvertii il chakra scorrere nella direzione che desideravo e il tipico calore e il formicolio che lo contraddistingueva cominciò ad avvolgermi la mano. 
«Super Super Kawaii Impact!» urlai, con fin troppa enfasi, il nome della prima tecnica ninja che ero riuscita a creare quando ero arrivata in quel mondo, manipolando il chakra sul il palmo della mia mano e ottenendo, tristemente, nessun particolare risultato: mi ero appena resa conto che quella tecnica era stata concepita per un corpo e un tipo di chakra diverso da quelli che avevo attualmente, quindi ero letteralmente fregata, avevo fatto tutta quella scenetta totalmente a caso. Erano questi i sentimenti che provava Magikarp dopo che, con tutto il suo impegno di pesce incompreso, provava ad usare splash? In difesa della mia persona, se nel mio mondo mi fossi messa a farmi brillare la mano sarei stata acclamata come una divinità scesa in terra, era quel posto ad avere degli standard strani! 
Ad ogni modo, per fortuna, questo Sasuke non lo sapeva ancora considerando il cipiglio scettico con cui mi stava osservando a distanza attendendo che succedesse qualcosa, quindi potevo trovare il modo di sfruttare la cosa a mio favore. 
Approfittando di quei pochi istanti che separavano l’Uchiha dal rendersi conto dell’orribile figura in cui mi ero appena esibita piegai il viso di lato, voltandomi verso Deidara che si era ormai risollevato e mi osservava titubante, probabilmente interrogandosi sulla mia sanità mentale – o forse stava cercando un modo per andarsene di soppiatto facendo finta di non conoscermi-, la mano premuta sull’addome per rallentare in qualche modo l’emorragia, fin troppo tranquillo per uno che era stato appena infilzato brutalmente da parte a parte come una pellicola dell’Estathè dalla cannuccia; cosa mi aspettavo dalla stessa persona che non aveva praticamente fatto una piega neanche dopo che gli erano state strappate entrambe le braccia nel giro di un paio di episodi? 
Dovevamo aver passato veramente troppo tempo insieme perché quando il suo sguardo incontrò il mio fui sicura che avesse già capito quello che volevo fare. 
«Vedi un po’ di sopravvivere!» 
«Non ci pensare neanch- merda!» in un istante un varco squarciò prepotentemente lo spazio alle spalle di Deidara, come un rapido colpo di coltello che separò con un taglio netto lo scenario, allargandosi e avvolgendo la sua figura prima che potesse opporre resistenza, i movimenti rallentati di un secondo di troppo dal dolore della ferita; il blu agitato dei suoi occhi si puntò per un secondo verso di me, ma scomparve presto, avvolto dalla luce che si richiuse su sé stessa ricomponendo l’ambiente circostante, quasi come se lì non ci fosse mai stato nulla; non osavo nemmeno immaginare gli insulti che mi stesse lanciando dall’altra parte. Speravo soltanto di non averlo fatto materializzare sopra un cratere vulcanico o cose simili, sarebbe stato veramente triste... 
«Hai finito?» 
La voce di Sasuke suonò molto meno lontana di quello che mi aspettassi e solo allora mi accorsi della presenza accanto a me, un’aura pesante e minacciosa che mi incombeva addosso.  
Non feci nemmeno in tempo a voltarmi nella sua direzione; afferrò il polso della mano ormai libera dall’inutilissimo flusso di chakra luminescente e piegò l’arto all’indietro con una mossa rapida e calcolata, così velocemente che il dolore parve raggiungermi con qualche secondo di ritardo, un colpo di frusta inaspettato che sembrò polverizzarmi le ossa. 
Non mi dilungherò sulla serie di imprecazioni e frasi poco carine che rivolsi al Vendicatore, la sua discendenza e a qualsiasi altra cosa riuscissi a pensare in quei momenti di agonia e panico generale; avrei potuto scrivere un saggio di tre pagine con tutte le leggiadre parole che abbandonarono soavemente le mie labbra nel giro del minuto che seguì la rottura della mia mano.  
Tra il polso piegato in una direzione innaturale, l’osso che faceva capolino attraverso la pelle, il sangue colante e l’addome ancora straziato per il calcio che avevo incassato poco prima, caddi a terra come un sacco di patate, ormai oltre ogni mio possibile limite fisico e mentale; la testa aveva preso a vorticarmi talmente velocemente per via dell’agonia che continuare a mantenere gli occhi aperti cominciava a essere sempre più difficile, la coscienza che minacciava di sfuggirmi dalle mani in ogni momento, la vista e l’odore del sangue che aumentavano esponenzialmente la mia nausea di secondo in secondo. 
«Che teatrino commovente!» registrai a sento dal vortice di nausea e strazio che stavo sperimentando una nuova voce, femminile, fastidiosatrillare poco più in là, con un volume decisamente troppo alto rispetto a quello che la mia povera mente fosse in grado di tollerare e un’allegria non esattamente in linea con la mia situazione emotiva attuale. 
Piegai appena la testa di lato, sentendo la guancia affondare in modo poco piacevole sul terreno freddo e umidiccio, un misto di fango e sostanze che per il bene della mia precaria sanità mentale non gradivo approfondire, che si appiccicò fastidiosamente alla pelle e ai capelli, trasformandoli in un unico ammasso indefinito. 
Da qualche punto non ben identificato all’esterno del mio campo visivo notai apparire una figura sfocata, i capelli rosso fuoco che risultavano un vero e proprio pugno in un occhio per la mia mente annebbiata. 
«Non siamo riusciti a trovarla, certo che è veloce a scappare!» stava spiegando a Sasuke, più interessato a pulire la lama della sua katana che a quello che gli stava dicendo, dandole le spalle senza neanche troppe cerimonie «Juugo e Suigetsu sono rimasti indietro per controllare meglio la zona, ma non penso otterranno qualche risultato» 
«Non importa, non abbiamo più bisogno di lei» tagliò corto lui, riponendo nuovamente la lama nel fodero che gli cingeva la vita; anche da quell’angolazione quella cintura continuava ad essere veramente oscena
«C-certo Sasuke, come preferisci!»  
Ugh... non avevo nemmeno la forza di guardarla dal basso con il disgusto che si meritava, che fastidio.  
Occhieggiai, senza nemmeno riconoscerlo, il braccio che giaceva scompostamente di fronte a me in una posizione che ero abbastanza sicura nessun braccio avrebbe mai dovuto assumere nel corso della propria esistenza: se non altro, in qualche modo, si trovava ancora attaccato al suo posto, era già qualcosa... Da quando ero arrivata in quel mondo le mie priorità avevano subito un drastico cambiamento. 
«Occupatevi di lei» furono le ultime parole che riuscii a cogliere prima di cedere definitivamente alla pesantezza delle mie palpebre, arrendendomi all’oblio, che ormai appariva piuttosto invitante, lasciando che mi avvolgesse in una calda coperta silenziosa e rassicurante. Lo sapevo che quella mattina sarebbe stato meglio continuare a dormire. 

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