Kathèkon

di ImperoColpisceAncora
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Patto ***
Capitolo 2: *** Uno: Sole ***
Capitolo 3: *** Due: Mare ***
Capitolo 4: *** Tre: Fulmine ***
Capitolo 5: *** Quattro: Nave ***
Capitolo 6: *** Cinque: Stelle ***



Capitolo 1
*** Prologo: Patto ***


L'inizio di “Kathèkon” è liberamente tratto dai primi capitoli di Saint Seiya: Next Dimension di Kurumada-sensei.
La maggior parte dei personaggi, indi per cui, appartengono a lui e lui soltanto.
Questo prologo è ambientato nel 1990, dopo la fine della seconda Guerra Sacra. I dodici Gold Saints hanno perso la vita di fronte al Muro del Pianto, Seiya costretto su una sedia a rotelle, è rimasto colpito dalla spada invisibile di Hades che entro tre giorni gli trafiggerà il cuore, uccidendolo.
Shun - unico tra i Bronze a tornare incolume ad Atene - e Saori si recano sull’Olimpo, inizialmente da Artemis, poi presso Chronos. Il loro intendo è quello di alterare il flusso del tempo ed evitare lo scontro con Hades, tornando all’epoca della prima Guerra Sacra.









Prologo:
[Patto]











Guardare in abissi di nulla.
Sentire il peso del tempo districarsi in spazi infiniti e minuscoli assieme, percepire l'immensità di tutto ciò che esiste concentrarsi in un'unica entità; è un po' come morire.
Il suo potere, qualcosa che la mente umana non può comprendere. Qualcosa che terrorizzerebbe anche il più coraggioso.
Eppure, questa, è l'unica via.
Stringe i denti, rovesciando lo sguardo in quel lago che è l'universo intero ed anche molto di più. Il tempo, di ogni cosa, che crea altri spazi. Altre dimensioni.
Ma in tutto questo, tra scorci iridescenti di altri mondi; c'è anche ciò per cui è lì.
Vite. Vite che non esistono più.
Minuscoli bagliori nati e spenti in un battito di ciglia, nel gelido infinito che le si staglia di fronte. Mere nullità, forse, se paragonate ad esso. Ma questo a Saori non importa.
Per la prima volta si sente in grado di ignorare il resto e lasciarsi muovere dal proprio egoismo.
Sa bene che se stringesse davvero un patto con lui, lo farebbe prima di tutto per se stessa.
Perché anche se ha cercato di dimenticarlo, illudendosi -per anni- di essere fatta dello stesso marmo in cui è scolpita la gigantesca statua di Athena al Santuario, sotto le spoglie della dea c’è sempre stata Saori. Se lo è ricordata solo troppo tardi; vegliando il corpo immobile di Seiya, vinto dalla spada di Hades. Ascoltando il silenzio sovrano nelle Dodici Case, trovandosi a rincorrere ricordi dorati dove ormai, regna solo la polvere.
Sorride.
La verità è che rivuole indietro Seiya. Che rivuole indietro tutti.
I Cavalieri. Gli uomini.
Quelli morti per salvarla; quelli disposti a scontarsi contro i propri compagni, i propri allievi e a morire nell' infamia. Quelli sacrificatisi per lei ancora prima che prendesse coscienza del suo essere Athena, morti nell'inganno, senza che potesse mai chiamarli per nome.
Saori capisce solo in parte le motivazioni che li animavano; è sempre difficile comprendere la ragione profonda per cui delle persone siano disposte a sacrificarsi con tanta dedizione, sopprimendo anche il loro essere uomini. Lei non c'è riuscita. Non completamente, almeno. E la sua presenza in quel luogo, ne è la conferma.
Chiude gli occhi; ascoltando il vento scivolare tra le fenditure delle rocce, negli anfratti della montagna sacra, per poi disperdersi in prossimità del lago, dove ogni cosa tace.
Dietro di lei avverte il respiro lievemente accelerato di Shun; l'armatura intaccata dalle frecce delle Satelliti, il Cosmo in espansione per captare possibili minacce.
Deve mettere in conto la possibilità di perdere anche lui tra gli abissi del tempo e perdersi a sua volta. Ma questa è la cosa che meno la preoccupa, come se nel suo cuore albergasse già la certezza di potercela fare.
A tormentarla sono le conseguenze.
Perché ogni cosa ha un prezzo, di valore equiparabile al servigio reso. Un prezzo che Chronos ha ponderato accuratamente. E per Saori è strano scoprirsi a non desistere nemmeno di fronte a un simile compromesso.
Se riuscisse a stabilire un accordo con Hades, comunicando con la sua coscienza umana all'epoca della prima Guerra Sacra, le sofferenze accumulate in quegli anni si sgretolerebbero, rimanendo confinate solo nei suoi ricordi.
Tutto tornerebbe come un tempo, un tempo che lei non ha mai conosciuto veramente. Ma accettare il volere di un dio nemico per cambiare il destino, per opporsi alla morte, non salverà il mondo. Non è una scelta giusta. Non c'è niente di corretto nel combattere contro qualcosa di così naturale come la morte.
Per questo, una decisione simile, non la può prendere in quanto dea. Ma solo in quanto essere umano, abbracciando il desiderio egoistico che muove la sua determinazione.
Ed è ironico comprenderlo lì, al cospetto di uno degli dei più antichi e potenti, alle pendici del monte Olimpo. Mentre indossa le Sacre Vestigia della dea Athena.
Ironico e spaventoso. Perché la tentazione di spogliarsene e gridare che ora è solo Saori, è talmente pressante da risultare quasi vitale.
Tuttavia sa che se lo facesse, ogni cosa crollerebbe.
Deve mantenere il suo ruolo di fronte a Chronos. Mentire.
Deve farlo per i suoi Saints.
Per Seiya.
Per se stessa.
Deve chiudere gli occhi e fingersi Athena ancora una volta.
“Accetto.” Dice inflessibile e il mondo sembra raggelarsi.
“Bene. Avrai tre giorni, allora. Non uno di più, non uno di meno.” La voce di Chronos è un brivido disperso in profondità infinite, ma lei non si lascia intimidire. Avanza, verso le sponde, mentre lo spazio sopra il lago si dilata, delineando i contorni vibranti di una clessidra.
“Se non tornerete in tempo, mi prenderò la vostra vita e il patto sarà rotto.”
Ecco.
La scelta è fatta.
Athena Areia è affogata nell'anima di Saori Kido. Ma questo nessuno lo saprà mai.
Afferra la mano di Shun, inguainata nell'armatura così com'è la sua. Bronzo contro oro, il calore della pelle che si perde tra il gelo del metallo. A legarli solo un bracciale di fiori, intrecciato da una dea dal cuore umano.
“Non lasciare la mia mano, Shun. Non lasciarla per nessuna ragione.”
Poi, il passo nel vuoto è brevissimo.
E tutto diventa luce e tempo e spazio.







****

Salve fandom di Saint Seiya. Con questo prologo l’Impero si augura di aver attirato la vostra attenzione e di rivedervi da queste parti prossimamente.
Per ora andata in pace.
E che il Cosmo sia con voi!

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Capitolo 2
*** Uno: Sole ***










Uno:
  [Sole]  











                                                                                                                                              Santuario, 1992




Ha mani di scultore il sole di Grecia.
Un impronta decisa e un po’ appassionata, che sa modellare il corpo e -a volte-  anche l’anima.
Per questo ad Aiolia di Leo piace tanto.
Non c’è un filo di vento quella mattina, tutto è assorbito dai raggi caldi. Un po’ troppo per qualcuno, ma non per lui.
L’armatura, scolpita di luce, è più leggera del solito.
Un passo dietro l’altro, scende gli ultimi gradini. Ascolta i rumori dell'Arena. Il cozzare di pugni e le grida, arrivano fin lì. Vibranti e densi, rimangono sospesi nell'aria.
Sorride. Tutto sembra ritornato come un tempo. E allo stesso modo, ogni cosa è cambiata.
Socchiude gli occhi, mentre il sole lo inonda. Pensando che, forse, sono stati proprio i suoni della vita e quel calore, a mancargli di più.
Con un sospiro, si lascia il perimetro dell'Arena alle spalle. Scivola oltre l’ombra di alcune colonne che si ergono aliene nel suolo dismesso.
Sa che è lì che Mu lo sta aspettando. Tra le rovine lasciate dalla Guerra Sacra.
Ma quando intercetta la sua sagoma dorata, non può trattenersi dal far scorrere lo sguardo al di là del Cavaliere. Sul gruppo di bambini schierati  in silenzio, di fronte a lui.
Li guarda e gli sembrano piccolissimi. Minuscoli, quasi.
In realtà, non dovrebbero avere meno dell'età che aveva lui, quando divenne allievo di suo fratello. Ma non è più abituato a vedere bambini, e ai suoi occhi appaiono tutti troppo piccoli, troppo fragili.
Lì, in piedi, sguardo basso e mani nervose, sperduti in un luogo che neanche conoscono.
Si chiede se tra loro ci potrebbe essere veramente un futuro Cavaliere. E gli sembra impossibile.
Si avvicina, mentre la sua ombra va a fondersi a quella del compagno.
“Dunque, sono questi.”
I bambini alzano lo sguardo su di lui. Aiolia vede i loro occhi farsi immensi, mentre qualcuno arretra di qualche passo.
Mu sorride. “Sembrerebbe di sì. Sono arrivati tutti quanti oggi.”
Aries ha uno sguardo delicato, movenze leggere. Eppure la sua armatura è possente. Le corna sulle sue spalle, sporgono avanti, in un monito muto. Monito che quei bambini sembrano aver colto perfettamente.
“Sapete perché siete qui?” Le parole di Aiolia risuonano come un ruggito.
I bambini abbassano la testa, incassandola nelle spalle, quasi volessero scomparire. Nessuno risponde.
“Vi ho chiesto se sapete perché siete qui.”
Di nuovo silenzio.
Il Leone, allora, si fa più vicino. Passa davanti ad ognuno, lentamente.
Li guarda bene, cercando di mandarsi a mente tutti i loro tratti. I loro colori.
Sono una decina, i più grandi non superano il metro di altezza. Alcuni hanno le spalle tremanti, altri trattengono il respiro avvertendo il suo sguardo attento su di loro.
Aiolia sta per allontanarsi ancora, per parlare con Mu, quando nota che due di loro si tengono per mano.
Uno piccolo, il più piccolo forse, stringe la mano di un’altro bambino. Aiolia pensa che è talmente gracile che potrebbe spazzarlo via con un soffio.
“Perché gli stai tenendo la mano?”  
Il bambino non dice niente, ma la sua stretta sembra farsi più decisa.
Sono terrorizzati. Non ti risponderanno.
Il pensiero di Mu è un tocco sulle spalle, pacato come la sua voce.
Aiolia vorrebbe ascoltarlo, davvero. Ma non può andarsene sapendo che quei bambini che non osano nemmeno rispondergli, dovranno affrontare allenamenti massacranti. Non può andarsene senza aver visto almeno un lampo di coraggio nei loro occhi.
Così fa un’altro passo in avanti.
“Dico a te, rispondimi!” Afferra il piccolo per le spalle. Lo scuote appena, attento a non fargli male, ma sente che tra i bambini si alzano gemiti spaventati.
Sta quasi per lasciare la presa, quando delle dita nervose gli afferrano il braccio, stringendosi sull’armatura. Un presa che sembra il battito d’ali di una farfalla.
Una testa rossa si è appesa al suo braccio, cercando di tirarlo con tutte le sue forze.
“Lascialo stare! Lascialo stare, mostro!”
Per un attimo Aiolia rimane immobile.
Mostro.
Ha affrontato tanti nemici nella sua vita ma, che ricordi, nessuno si è mai rivolto a lui chiamandolo così.
Lascia la presa stupito, e dietro di sé sente la risata leggera di Mu.
Il bambino è rimasto attaccato al suo braccio, con gli occhi chiusi. Aiolia cerca di levarselo di dosso, ma lui comincia a scalciare.
“Non toccarmi! Non toccarmi!”
Le braccia dorate di Mu, lo afferrano da dietro, salde.
“Calmati” gli sussurra  “Non vogliamo farti del male”
Poi lo solleva piano, staccandolo da Aiolia.
Il piccolo si irrigidisce, ma quando Aries lo appoggia a terra sembra rilassarsi un po’.
Aiolia aggrotta le sopracciglia e guarda il compagno inginocchiarsi davanti al bambino, la sua testa non arriva nemmeno all’altezza del petto del Cavaliere.
“Io sono Mu. Tu come ti chiami?”
Gli occhi del bambino scorrono sugli intarsi dell’armatura, sulle corna dorate, diffidenti. Poi, però, indugiano sul suo viso. Sul quel sorriso morbido e accondiscendente.
“Mi chiamo Enif”  Lo dice tutto d'uno fiato, facendo zufolare la “f” finale. Un suono strano, goffo.     
“Dimmi Enif, perché pensi che vogliamo farvi del male?”
Il bambino distoglie lo sguardo. “Avete quelle cose addosso” dice a bassa voce “Sono spaventose"
Il sorriso di Mu si allarga e Aiolia, dietro di loro, prende un respiro profondo.    
“Si chiamano armature, Enif. E non vi faranno alcun male.”
“E allora perché le avete?”
“Perché servono per proteggere i nostri corpi. Noi siamo Cavalieri”
Enif sgrana gli occhi e apre la bocca. “Cavalieri?! Come quelli delle leggende?”
“Più o meno. Siamo i Cavalieri incaricati di proteggere la dea Athena”
“Una dea? Davvero?”
“Sì. E voi, tutti quanti, siete stati portati qui per diventare come noi”
Tra i bambini si alzano mugolii sorpresi. Confabulano tra loro come se si dovessero confidare chissà quali segreti. Agitano le manine minuscole, arricciano il naso, corrugano la fronte.     
Aiolia li guarda dall'alto e improvvisamente -anche se non sa per quale assurda ragione-, ha voglia di conoscere il loro nomi. Di sapere quanti anni hanno. Da dove vengono.
“Allora?” Chiede  Mu in un sussurro, accostandosi a lui silenzioso come un fantasma “Cosa ne pensi?”
Lui alza le spalle, si allontano di qualche passo, assieme, lasciando i bambini a discutere tra loro.
“Sono piccoli. Molto piccoli”
“Hanno l’età che avevamo noi”
“Ma sembrano ancora più piccoli…” dice e si morde un labbro, guardandoli di sottecchi. “Pensi davvero che bambini così, potrebbero spaccare pietre con la forza delle loro sole mani, o fendere la terra o fermare un’inondazione, o…”
Il gesto di Mu lo blocca. Gli sorride, Aries, come ha sorriso al bambino dai capelli rossi.
“In loro è stata  solo percepita una particolare predisposizione per lo sviluppo del Cosmo. Questo certo non significa che diverranno tutti Saints, ma un parte di loro potrebbe effettivamente indossare un’armatura, un giorno.”
Aiolia abbassa il capo, lasciando che alcune ciocche scomposte gli ricadano sugli occhi. Non dice niente, ma con Mu spesso e volentieri non c’è bisogno di troppe parole.
“So che è difficile, Aiolia. Ma è ciò che dobbiamo fare. È la volontà di Athena.”
“Io non ho mai insegnato niente a nessuno… Non saprei da dove cominciare… E poi, con un bambino…”
Il sorriso morbido di Mu torna a tendersi, stavolta con una punta d’ironia che illumina in modo del tutto peculiare i suoi tratti delicati.
“Avanti, se sta sopravvivendo Shaka…”
Aiolia non trattiene una smorfia divertita. Il pensiero del sommo Virgo, alle prese con il suo nuovo allievo, non può che restituirgli il buon umore.
“Già, vorrei proprio fare una capatina alla Sesta Casa…”
“Comunque sia, è curioso che gli emissari del Santuario abbiano raccolto così tanti bambini…”
“Athena ha  insistito perché le ricerche di nuovi Saints e il loro addestramento divenisse una priorità assoluta… E questo coinvolge per forza di cose anche noi Gold Saints.”
Aiolia sbuffa. “Non discuto certo gli ordini della divina Athena… Ma non vedo perché tu debba esserne esonerato. Fra tutti sei quello che ha più esperienza in fatto di bambini…”
Mu si sistema l’elmo sul capo, scostando i lunghi capelli dal viso. “Proprio per questo… Io mi devo già occupare di Kiki. E della riparazione delle armature…”
Il Leone d’oro lo squadra. “Sarà… Ma io non so assolutamente come gestire un bambino…”
“Potresti sempre farti consigliare da Aiolos…”
È strano sentire quel nome arrivare alle labbra di Mu con tanta naturalezza. E quando succede un lieve sorriso non può che increspare le labbra di Aiolia. Perché ora non c’è più solo il ricordo. Un tempio vuoto e un’armatura senza padrone. Ora è diverso.
“Farò del mio meglio… Se questa è la volontà di Athena…”
Mu gli sorride, di nuovo, poi si piega un poco per catturare il suo sguardo.
“Piuttosto” dice, facendoglisi più vicino “immagino che abbia ricevuto anche tu la convocazione per il Chrysos Synagein…”
Aiolia sapeva che sarebbero arrivati a parlare di quello fin da quando lo ha visto in lontananza, tra le rovine.  Lo sapeva, ma ora vorrebbe poterlo pregare di tacere. Di non chiedergli nulla.
Si ferma a guardare l’orizzonte immobile e gli da le spalle.
 “Sì, l’ho ricevuta.” Ammette, mentre una strana sensazione di vuoto lo invade.
Il sole illumina ogni anfratto del Santuario, un abbraccio di luce e calore.
Eppure c’ è qualcosa in lontananza, oltre il mare. Oltre quei riflessi cangianti che brillano sul filo piatto dell’acqua. Una calma così irreale.
“Com’è possibile, Mu?”  La  voce di Aiolia si fa roca e bassissima.
“Quel Cosmo, seppur neonato e irregolare, era un Cosmo d’oro…” C’è una fatica che non gli appartiene nella sua voce, schiava del peso che ogni parola sembra avere.
“Così pare. Ed è innegabile che l’esplosione di un simile Cosmo, sia uno dei motivi  della nostra convocazione…”
Aiolia apre la bocca per ribattere, ma poi la richiude e rimane in silenzio. Non sa come dirglielo. Non sa se deve. E Mu, come sempre, capisce.
Gli si avvicina leggero, appoggiandogli una mano sulle spalle inguainate d’oro.
“Siamo tutti egualmente stupiti, Aiolia. Primi fra tutti il nobile Kanon…”
“Gli hai parlato?”
“Certo. Mi sono recato alla Terza Casa subito dopo averlo percepito… Era molto sorpreso. È salito immediatamente al Tredicesimo Tempio per chiedere di potersi recare a Zante.”
Aiolia stringe in denti. “Anche Aiolos voleva andare.” Lo sibila quasi, pentendosene subito dopo. “Voleva andare ma io ho insistito perché non lo facesse…”
Non lo vede, ma sa che il volto di Mu si è oscurato appena.
“Non capisco perché debba essere Aiolos ad andare da lui.” prende un respiro profondo, fissando lo sguardo nel mare  “E non capisco perché non sia tornato, neppure dopo una cosa simile…”
“Se fosse tornato, ti staresti lamentando del contrario.” La voce di Mu risuona secca e decisa. Molto simile al tono del guerriero che ha conosciuto nella desolazione dello Jamir.
“Ormai sono passati più di sedici mesi, Mu. È suo dovere di Gold Saints presiedere alla casa di Gemini… Se non ha intenzione di rinunciare alla sua carica, deve tornare.”
“Come tutti noi, farà ciò che Athena gli richiederà.”
Leo sta per rispondergli, quando una vocina acuta ma decisa, li fa voltare entrambi.
È il bambino dai capelli rossi. Se ne sta a qualche metro da loro e li guarda con aria sospettosa.
“Dicci pure, Enif” Lo esorta Mu, con un sorriso pacato così diverso dall’espressione che sino ad un istante prima troneggiava sul suo volto.
Il bambino abbassa lo sguardo, improvvisamente titubante. “Beh, ecco volevo sapere come si fa ad avere le cose… le armature” si corregge “che avete voi.”
Aiolia non sa se essere divertito o seccato da quella domanda, ma lascia che sia Mu a rispondere.
“Non c’è esattamente qualcosa da fare.” Dice Aries  “Occorre semplicemente essere dotati di un… potere che corrisponda al nostro.”
Enif si azzittisce per qualche secondo, poi i suoi occhi si illuminano.
“Tipo… ruggire, come fa lui?” Chiede tutto concitato, indicando Aiolia con un dito.
E Leo ha la certezza che quel bambino non gli piaccia per niente.



Aiolos si stupisce sempre di quanto possa essere caldo il sole di Grecia. Non lo ricordava così.
Così immenso e totalizzante. Un abbraccio che non esclude nessuno, stringendo fin quasi a soffocare.
Guarda il cielo e si chiede se da qualche parte anche lui lo stia guardando.
Sospira, sfregandosi le mani con una punta di ansia. È strano, non ricorda di essere mai stato ansioso in passato.
L’ombra del Tempio si staglia sul pavimento di marmo, irradiato dal sole. Uno spicchio di tenebra che irrompe nella luce, come ha ricordare  la sua presenza. Sempre e ovunque.
Il giovane eroe scuote la testa. Non dovrebbe lasciarsi trascinare da queste cose. Non ora che è tornato ad essere il Saint di Sagitter. Non ora che ha l’onore di poter servire ancora una volta la dea Athena. Non ora.
“Aiolos!”
Quando lo chiama, Seiya di Pegaso, ha una voce calda e prorompente, come il sole. E lui non può fare altro che salutarlo benevolo.
Il Bronze Saint gli si avvicina a grandi falcate. Indossa una tunica sgualcita e delle vecchie protezioni di metallo, intaccate in più punti. Le tempie imperlate di sudore e il fiato irregolare, sono chiari segni di un allenamento appena conclusosi.
Anche se Aiolos non lo nota, i suoi occhi sono colmi di riverenza. Lo vede baciato da una luce irreale, Seiya.
E non può che commuoversi ogni volta che gli parla.
“Sono venuto a salutarti” dice, sperando di non risultare troppo presuntuoso “domani riparto per il Giappone, così…”
Aiolos fa un cenno col capo incoronato d’oro. Oro sulle ali, sul petto, sulle spalle. Oro ovunque.
“Bene,  ma sappi che dovrai passare anche a salutare Aiolia o si offenderà…”
Seiya porta un braccio dietro la nuca e ridacchia. “Sì, sì lo farò…”
“Quanto starai via?”
“Non molto, spero. Lady Saori vuole che mi prenda un periodo di pausa… Dice che le mie condizioni fisiche sono ancora da monitorare…”
“Athena è saggia”
“Sì… Suppongo di sì…”
Anche sul volto di Aiolos affiora un generoso sorriso. E il giovane Bronze pensa che così sembra ancora più splendente.
“Prenditi tutto il tempo che ti serve, Seiya.”
Lui abbassa il capo, un poco incerto. “Beh, a dir la verità non so se in questo momento sia proprio il caso di allontanarsi da Santuario… Insomma la manifestazione di quel Cosmo e…”
Una mano coperta d’oro si posa sulle sue spalle. Seiya sussulta quasi, quando alza il capo e  il volto di Sagitter troneggia su di lui in tutta la sua lucentezza.
“Non temere amico mio. Noi Gold Saints, sapremo dissipare il mistero di quel Cosmo senza alcuna difficoltà. Tutto si stimerà nel migliore dei modi.”
Seiya lo guarda stupito. Aveva un certo timore di toccare quell’argomento con lui, ma il tono rassicurante e la tranquillità di Aiolos lo fanno quasi vergognare di aver dubitato della sua serenità.
Aiolos di Sagitter è stato scelto dalle stelle perché si ergesse eroe fra gli eroi. Il suo bagliore, la sua fede, non saranno mai offuscati da niente e nessuno.
Sorride Seiya, un’ ultima volta, e dopo essersi congedato corre giù per la scalinata candida, inghiottito dalla luce. Una luce vera.
Aiolos prende un respiro profondo.
Lo ha fermato in tempo. Prima che aggiungesse dell’altro.
Serra gli occhi, perché il riflesso abbagliante del sole è diventato troppo fastidioso. L’armatura imbevuta di calore, sembra ustionare la pelle.
Si ritira nell’ombra, Sagitter. Lasciando che il bagliore delle sue vestigia stemperi almeno un poco.
Non può permettere che qualcuno gli parli di lui.
Non ora.
Perché quando pensa a lui, il peso delle stelle gli toglie il fiato. E si ritrova quasi ad odiare tutto quell’oro che lo ricopre.
Sei come il sole, Aiolos.
La sua voce lo fa rabbrividire.
“Dimmi, allora…” sussurra fra sé, tornando a guardare il cielo che -ne è certo-, in qualche modo gli unisce ancora “come fa ad esistere un sole dove non vi è più una luna?”



I raggi del sole illuminano la Tredicesima Casa, scacciando le ombre della notte.
Saori allunga una mano, lasciando che la luce la accarezzi. Ma non basta questo per allontanare le altre ombre. Quelle che le attanagliano il cuore e le avvelenano la mente. Attimo dopo attimo.
Si scosta con un gesto nervoso una ciocca di capelli lucenti dal volto e lascia che lo sguardo spazi per ogni anfratto del Tempio.
Le sembra tutto così innaturale: le bianche colonne, il silenzio, la pace. Soprattutto la pace.
Lei è Athena,  però, la pace non dovrebbe sembrarle una cosa tanto strana.
Socchiude gli occhi e pensa alla grande statua eretta in suo onore: Athena è calma, il suo sguardo è pieno di saggezza. È lo sguardo di chi sa di non avere nulla da rimproverarsi.
Ma è soltanto lo sguardo di una statua.
Respira profondamente, cercando di riflettere sugli ultimi avvenimenti. Quel Cosmo d’oro che si è rivelato improvvisamente. Vibrante e incontrollato, si è espanso come un grido.
Che sia...
Stringe i pugni, Saori, rivolgendosi un muto rimprovero.
Non è il momento di lasciarsi travolgere dai dubbi e dalla paura. Athena non dovrebbe essere preda di simili sentimenti. E anche se lo fosse, saprebbe come nasconderlo.
Sbatte più volte le palpebre per tornare alla realtà. Relega le ombre del cuore in un angolo, lontano, poi sorride e si prepara alla nuova giornata. Come Athena. Come Saori.
Si è già calata nella sua parte, quando le tende di lino si scostano per lasciar trapelare l’elmo dorato del Pontefice.
Tra i fruscii delle sue vesti di porpora le si avvicina con la maestosità che lo ha sempre contraddistinto, ma che Saori ha imparato a conoscere solo da poco.
Fa una breve riverenza  e si porta al suo fianco. Lì,  dove la luce del sole squarcia le ombre proiettate dalle colonne.
“Athena, vi trovo bene quest’oggi”
Lei fa qualche passo in avanti. Sotto i piedi scalzi il pavimento di marmo è fresco e piacevole.
“Tu, invece, come stai, Shion?” Chiede piano, guardandolo con dolcezza.
Il Pontefice sussulta appena, anche lui ha iniziato a conoscere da poco la giovane Athena e quest’attenzione nei suoi confronti lo trova sempre impreparato.
Vorrebbe rispondere semplicemente “bene”, ma sa che sarebbe perfettamente inutile.  Lo sguardo di una dea sa scrutare nei cuori degli uomini con la stessa naturalezza con cui li guarda in viso. Perciò Shion china il capo e serra le labbra.
“Perdonatemi divina Athena, ma sono preoccupato…” ammette, stupendosi di quanto debole risuoni la sua voce.
“È raro che un nuovo Cosmo d’oro si mostri quando ancora tutte le Dodici Case sono presiedute dai loro custodi…  Ma ciò che mi turba maggiormente è il silenzio delle stelle…”
Saori lo guarda, invitandolo a continuare.
“Sono notti che scruto il cielo senza scorgervi nulla. Le stelle tacciano, divina Athena. Sono silenti, come mai prima d’ora.”
Saori trema, celando il proprio turbamento. Nel suo animo conosce il motivo di quel silenzio, ma sa di non poterne parlare al Pontefice.
“Siamo all’alba di un nuovo mondo: il nostro compito è quello di interpretare ogni singolo avvenimento e prepararci per quello che verrà…” esita per un istante prima di aggiungere “Non dobbiamo aver timore”
Shion l’osserva, scorge un’ombra nei begli occhi della Dea ma non chiede. Se vorrà metterlo a parte delle sue preoccupazioni l’ascolterà; ma per ora, in quanto semplice uomo al cospetto di una divinità, preferisce restare in silenzio.
“I vostri Cavalieri non provano timore, lo sapete bene”
“Sì” mormora malcelando un sorriso.
“Che cosa avete intenzione di fare per quel Cosmo dorato?”
“ Devo assolutamente sapere a chi appartiene, Shion”
Il Pontefice fa un cenno di assenso. “Incaricherò uno dei Golds Saints di trovarlo. Avete qualche preferenza, mia Dea?”
Saori specchia lo sguardo in quello di Shion. “Forse” dice, ma non aggiunge altro.
Il Pontefice la osserva in silenzio. Vorrebbe proporle un altro argomento, ma sa che finirebbe solo per turbarla.  La dea Athena ha un cuore immenso, e forse quello della sua incarnazione umana è ancora più grande.
China il capo e sta quasi per allontanarsi quando la voce di Saori, rompe ancora il silenzio.
“Credi che presenzieranno tutti al Chrysos Synagen?”
Shion fissa l’orizzonte che si allarga oltre le colonne candide. “Lo spero, divina Athena… Posso soltanto sperare”



Il sole è sorto da pochi istanti e Shaka sta per raggiungere il giardino, pronto a meditare come tutte le mattine, quando un lieve, appena percettibile cambiamento di energia richiama la sua attenzione.
Si ferma, lasciando che i biondi capelli ricadano morbidamente  sulle spalle e lungo la schiena.
Resta in ascolto, sente lo squilibrio diventare sempre più forte e infine avverte un rumore di passi, un po’ troppo affrettati per i suoi gusti.
Si volta, ormai ha capito di chi si tratta, e trattiene un sospiro.
“Buon... Buongiorno” saluta sbadigliando rumorosamente.
Shaka scuote impercettibilmente la testa, osservando con attenzione il suo nuovo allievo: per la sua età è alto, il fisico è longilineo e scattante; il viso espressivo è reso più interessante dai vispi occhi grigi.
Nonostante tutti i buoni propositi si avverte che è intimorito, impacciato e forse anche un po’ troppo impulsivo. Shaka capisce che dovrà lavorare molto più di quanto ha previsto, ma cerca di cogliere il lato positivo di quest’ultima considerazione che tuttavia fatica a trovare. Non è nemmeno sicuro che un giorno potrà indossare delle sacre vestigia, eppure non può sottrarsi a un ordine di Athena.
Dunque preferisce fare buon viso a cattivo gioco e ordina:
“Andiamo in giardino”
Naos fa per alzare gli occhi al cielo, pur essendo al Santuario da solo un giorno non sopportava l’idea di continuare a meditare, meditare e ancora meditare, ma la voce del suo maestro lo ferma:
“Non alzare gli occhi al cielo”
“Non…”
“E non mentire”
“C’è qualcosa che potrò fare in pace?!” si lascia scappare pentendosene subito
Shaka sorride, un sorriso che fa tremare le gambe di Naos, e risponde:
“Certo, puoi meditare e imparare a espandere il tuo cosmo”
Il bambino reprime il desiderio di picchiare la testa contro tutte le colonne della Sesta Casa e trascina i piedi fino al giardino. Si lascia cadere sull’erba, sospirando e prova a incrociare le gambe nella posizione del loto, ma il risultato è talmente goffo che riesce solo a cadere di lato.
Shaka si limita ad avvicinarglisi e a correggere la sua posizione.
“Fa male…“ si lascia sfuggire Naos.
“Col tempo diventerà tutto più facile. Ora chiudi gli occhi e prova a concentrarti”
“E se dovessi addormentarmi?”
“Fossi in te scarterei quest’idea” dice sedendosi di fronte al bambino.
Naos non risponde e Shaka entra in uno stato di meditazione profonda. Avverte tutto del suo allievo, il sentirsi irrequieto e spazientito, insieme al desiderio di non deluderlo e ad ogni minuto che passa comincia a vederlo con occhi diversi... Finchè il rumore di un borbottio non lo riporta alla realtà.
“Hai fame?”
“Io…”
“Non è certo il mio stomaco quello che brontola”
“Ho fame” ammette Naos.
“Alzati e va a fare colazione, riprenderemo dopo il tuo addestramento”
Il bambino lo guarda incredulo per qualche istante, poi decide di non perdere quella concessione.
Sgranchisce le gambe stanche e formicolanti, poi si rimette buffamente in piedi e corre all’interno della Casa. Shaka si alza a sua volta per seguirlo, quando avverte una risata alle sue spalle.
“Non ci credo, gli hai concesso di mangiare…”
“Mi ritieni così severo Ikki?”
“Severo no” risponde affiancandolo “Solo... Un po’ duro di polso”
“Dunque severo”
“Non essere puntiglioso... Posso conoscere il tuo allievo?”
Prima ancora che possa rispondere, Ikki entra nella Sesta Casa. Shaka sospira rassegnato e lo segue, temendo il peggio: infatti lo ritrova in compagnia del bambino che ha appena finito di mangiare, mentre stanno parlando come se fossero vecchi amici.
“Cosa state tramando voi due?”
“Tramare? Shaka non essere tanto sospettoso, ho solo parlato un po’ con Naos” poi si rivolge al bambino sorridendo e chiese “Allora siamo d’accordo?”
“Eccome!”
“Magnifico” risponde alzandosi in piedi e raggiungendo Shaka “Buon lavoro, maestro”
“Verrai questa sera?”
“Potrei anche rispondere di no ma credo proprio che verrò…”
Shaka sorride impercettibilmente, poi si rivolge a Naos:
“Allora, sei pronto?”
“Sì” risponde correndo verso il giardino.
“Naos non correre”
“Va bene…”
“ Appunto, e perché sei arrivato in giardino correndo?”
“Beh non hai detto “non correre adesso”, soltanto non correre…”
“Comincio a capire cosa può averti detto Ikki”
Naos sorride con aria furba e si siede nella posizione del loto chiudendo gli occhi.
La giornata trascorre senza altri incidenti, dopo una cena frugale Naos raggiunge il suo letto e crolla sfinito dalla stanchezza. Shaka invece non ha ancora sonno, perciò decide di recarsi ancora in giardino e sedersi sotto gli alberi di Sala.
Appoggia la schiena contro il tronco e sospira, in quel sospiro è concentrato tutto il dolore e la malinconia dei ricordi che ritornano spesso a tormentarlo.
“Pensi ancora a quel giorno?” domanda la voce di Ikki.
“Non ti ho sentito arrivare”
“Significa che sto migliorando... Ma non hai ancora risposto alla mia domanda”
Shaka stringe per un momento le mani, poi si rilassa e mormora:
“Sì, penso ancora a quel giorno. E’ stato solo grazie all’ottavo senso che mi sono salvato, altrimenti non sarai mai sopravvissuto all’Athena Exclamation…”
Dopo un momento di profondo silenzio, Ikki si schiarisce la voce guardando il cielo:
“Penso che sia arrivato il momento di mettere da parte il passato. Capisco la tua frustrazione, è la stessa che ho provato io quando ci siamo scontrati per la prima volta. Pensi di avere la situazione sotto controllo…”
“Non è da me!”
Ikki non riesce a trattenere un sorriso:
“C’è sempre una prima volta. Quella volta, nonostante tu abbia dato il meglio di te, hai fallito ma non ti sei arreso e hai continuato a combattere anche di fronte al Muro del Pianto. E’ a questo che devi pensare e che deve spronarti a migliorare”
Shaka sorride, posando la sua mano sulla spalla di Ikki:
“Sono le parole che avevo bisogno di sentire, adesso so che quel giorno ho fatto la cosa giusta... Ora sono io che chiedo una cosa a te, smettila di rimproverarti per come andarono le cose con Hades. Fermarti e non colpire Shun era la cosa giusta da fare, non hai niente da rimproverarti”
Il Cavaliere di Phoenix pondera in silenzio la gravità di quelle parole, mentre i pensieri di Shaka si spostano sulla Terza Casa. Ikki coglie quel lieve cambiamento che turba l’animo dell’amico e domanda:
“Stai pensando a lui?”
“Mi chiedo se tornerà al Santuario”
Ikki torna col pensiero al passato, al momento in cui si è scontrato per la prima volta col Cavaliere di Gemini e a quando invece sono state le sue parole a spronarlo nei momenti di difficoltà. Ripercorre ogni istante, come una lunga serie di fotogrammi e scuote la testa dubbioso:
“Non lo so, potrebbe essere tanto un bene quanto un male. E se non riuscisse a venire a patti con se stesso?”
Shaka china il capo, i lunghi capelli ricadono sul viso, serra per un momento le labbra nervoso.
La domanda di Phoenix ha colto nel segno.
“E’ vano cercare di divinare adesso il futuro, che è sempre oscuro e in movimento. I sentimenti che albergano nel suo cuore  sono a noi celati, com’è giusto che sia. Voglio pensare che sia riuscito a placare il profondo dolore che lo tormenta. Se sarà necessario sarà la divina Athena a giudicarlo, chi meglio di lei può scrutare nell’animo di ogni Cavaliere? Arrogarci un compito che non ci spetta ci rende solo superbi e la superbia non è un sentimento che si addice a un uomo giusto e retto”
Ikki fissa il viso del Saint di Virgo con una smorfia di disappunto. Sa che il suo discorso è come sempre perfetto, senza una pecca.
“Sai perché non ti sopporto?” Domanda.
“Lasciami indovinare…”
“Perché vuoi sempre avere l’ultima parola”
“E come sempre dopo che ho parlato, tu non sai cosa dire”
“Esatto”
“Adoro i momenti come questo…”
Ikki ride divertito, poi rimane a guardare le stelle. Non l’ammetterebbe mai, nemmeno sotto tortura, ma anche lui adora quei preziosi momenti.













****
 

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Capitolo 3
*** Due: Mare ***


Due:
[Mare]










Il cielo è nero. Muove passi ciechi sulla spiaggia, guidato solo dal brusio del mare. I piedi affondano nella sabbia, senza rumore.
Saga si chiede se sta sognando. Se lo chiede spesso, ultimamente.
Un sogno infinito a cui sarà costretto per l’eternità.
Prende un respiro profondo e l’aria gli artiglia la gola; mentre un battito ritmato gli squassa il petto. Il dolore della vita.
Allora ha la certezza di essere sveglio. Sveglio, ma comunque condannato.
A volte è come se un sottile strato di ghiaccio gli attagliasse l’anima. Come se delle scaglie sottili gli si conficcassero nel cuore. Vede le lacrime appannargli la vista, ma mai superare il confine delle sue ciglia. Non riesce a piangere. O forse sarebbe meglio dire che non se lo permette. Che diritto avrebbe di farlo?
Assassino, sobillatore, traditore. E due volte risorto. Salvato da una volontà divina troppo caritatevole.
Stringe i pugni, Saga. Lascia che le unghie incidano sui palmi in una presa ferrea.
Si odia, per la propria in gratitudine. Per la propria debolezza. Per aver abbandonato Kanon ancora una volta.
Ma non riesce neppure ad immaginarsi sotto l’ombra del timpano della Terza Casa. Sulle bianche scalinate. Sotto il cielo dello Star Hill. Non può.
Mia Dea, perché? Perché avete salvato anche me?
Improvvisamente si sente sporco. Odora di umido e cenere, di morte.
Ha la tentazione di gettarsi in mare. Lasciarsi cullare dai flutti e chiudere gli occhi. Per sempre.
Ma poi, nella sua mente, si spalanca uno sguardo smeraldino. Un nome sussurrato all’ombra degli ulivi, accarezzando fili di grano.
E tutta la sua determinazione vacilla. Perché anche se se ne vergogna, è soprattutto la speranza di poterlo rivedere, a tenerlo in vita. Scorgerlo da lontano, magari. Uno spicchio di sole nelle tenebre del suo cuore, gli basterebbe.
Non si merita di più. E forse non meriterebbe neppure quello. Lui, il suo assassino.
Saga affonda i denti nel labbro inferiore. Il capo si fa pesante e un senso di nausea lo fa piegare su se stesso.
Porta le mani alla testa, a premere sulle tempie.
Che cosa ti dirò? Come potrò anche solo guardarti?
Sta per perdersi ancora una volta nei meandri della sua coscienza, quando qualcosa nell’aria cambia. Un senso di vertigine e poi un brivido.
Il vento, ad un tratto, si è fatto più forte. Un mugolio sommesso che si alza dal mare, con disperazione.
Ed è allora che lo sente. Di nuovo.
Simile ad un’esplosione, non è caldo come ci si aspetterebbe ma gelido e corrosivo. Di una violenza inaudita, si innalza all’orizzonte, travolgendo qualunque cosa.
Un Cosmo d’oro. Di questo ne è certo.
Il mare si increspa sino ai suoi piedi. E Saga pensa che quel Cosmo sembra quasi rispondergli.
Un richiamo, nel buio della notte.



Il colonnato della Tredicesima Casa sembra interminabile. Di quel bianco iridescente che acceca lo sguardo e ingoia un po’ tutto.
Un tempo Aiolos si sentiva parte di quella luce. I passi che conducevano alla presenza del Pontefice non avevano peso. Così come il suo cuore. Sorrideva, il giovane Sagitter, consacrato nell’oro.
Ma ora si trascina per quel corridoio con una fatica che non gli appartiene, affogato in un’ armatura troppo pesante per le sue spalle.
Le ali di Sagitter che davano l’impressione di potergli far spiccare il volo, lo ancorano al suolo.
Vorrebbe spogliarsi di tutto e chiudere gli occhi. Urlare.
E questi pensieri lo spaventano. Non sono i pensieri di un Saint.
Davanti a lui si staglia la pesante porta di legno e intarsi d’orati che delimita l’accesso alla Sala del Pontefice. Aiolos appoggia le mani su quella superficie ruvida, espandendo il suo Cosmo come per chiedere il permesso di entrare. Deve soffocare ogni debolezza, ora. Ingoiare quell’ansia sottile che gli puntella il cuore.
Serra gli occhi color del cielo e li riapre subito dopo, posandoli sul mondo con sguardo fermo e limpido. Lo sguardo di un tempo. Lo sguardo che tutti si aspettando da Aiolos di Sagitter.
Poi, basta una piccola pressione dei suoi palmi perché la porta si spalanchi.
Il tappeto scarlatto scorre sino allo scranno candido su cui siede il Pontefice. Il volto celato dall’ elmo d’oro, le spalle appena irrigidite sotto i paramenti della sua veste cobalto, in una tensione che gli è innaturale.
Poco più a destra vi è la sagoma delicata di Athena. Cinta nel suo Cosmo immacolato, assiste in silenzio all’avanzata del Cavaliere, stringendo tra le mani lo scettro di Nike.
Aiolos prova sempre una strana sensazione nel vederla lì, tra di loro. La Dea infante per la quale ha sacrificato la propria vita. La bambina che ha stretto al petto con quante più forze avesse, lottando contro i suoi stessi compagni. È così cresciuta da allora, che rendersi conto di essere quasi suo coetaneo è estraniante.
Aiolos era rimasto indietro, immobile e incorruttibile, per poi essere catapultato in un mondo accelerato che riconosce a stento. Il tempo lo aveva abbandonato, continuando a fluire su tutti gli altri, affossando vecchi sentimenti e speranze, per darne vita a nuovi.
Gli occhi luminosi di Athena, però, sembrano una delle poche cose a non essere cambiate. L’ultimo riflesso di vita che ha potuto vedere, prima di affondare nell’oblio. E guardandoli ora, si sente un po’ meno fuori luogo. Tanto che per un attimo ha l’illusione di essere tornato il Saint di una volta.
Piega un ginocchio dorato al petto, Sagitter, inchinandosi di fronte agli scalini marmorei che portano allo scranno.
“Divina Athena. Pontefice” li saluta a capo chino.
Cala un breve silenzio, poi la voce lieve di Saori raggiunge il Saint.
“ Aiolos…” Il suo tono racchiude sempre una nota morbida quando lo chiama per nome. Ed il suo sguardo si fa liquido, nel soffermarsi sul volto del Cavaliere a cui deve la propria esistenza. L’ eroe, il ragazzo, sacrificatosi per lei ancora prima che potesse adempiere al suo ruolo di Athena.
“ Alzati pure, Aiolos...”
Il cozzare metallico delle piastre d’oro dell’armatura del Saint, è l’unico suono per qualche istante.
“Ti abbiamo convocato per assegnarti una missione, Aiolos di Sagitter” dice infine il Pontefice, puntellando i gomiti sui braccioli di pietra. Fissa il suo sguardo invisibile sul giovane che un tempo scelse come suo successore, dando l’impressione di stare riflettendo attentamente sulle parole che sta per pronunciare.
“ Riguarda il Cosmo dorato che si è rivelato”
Aiolos alza lo sguardo, senza nascondere il proprio stupore.
“Credevo che il Chrysos Synagein fosse stato convocato per questo…”
“Non ti sbagli. Ma io e la divina Athena crediamo che sia indispensabile trovare il proprietario di quel Cosmo il prima possibile”
Il Gold Saint fa un cenno di assenso col capo.
“Come saprai il Cosmo si è espanso a partire dall’ arcipelago delle isole greche… E da lì inizierai le tue ricerche”
Aiolos si incupisce. Quel Cosmo d’oro è risuonato ancora. Nella notte più densa, si è acceso come una fiamma nell’oscurità, dando l’impressione di poter illuminare il mondo con la sua furia. È un potere giovane, eppure calibrato. Di una freddezza tale, da raggelare l’anima.
E Aiolos, avvertendolo, non ha potuto che pensare a lui. Quell’amarezza che ha preso corpo in una violenta esplosione, gelida come la morte, gli ricorda la sua disperazione.
Corruga la fronte, abbassando per un attimo le proprie difese.
C’è un lieve rumore di passi, uno spostamento d’aria appena percepibile e quando Aiolos alza di nuovo lo sguardo, gli occhi di Athena lo catturano. È scesa dalla scalinata marmorea per fermarsi a pochi centimetri da lui. Il volto niveo ombreggiato da una nota di tristezza.
“So cosa ti tormenta…” sussurra senza distogliere lo sguardo dal suo.
Aiolos rimane sbigottito dalla sua empatia e quella voce delicata distrugge ogni argine innalzato della sua coscienza. Lascia che la sua Dea gli legga dentro, abbandonandosi alle sue parole.
“ Anche io, percependo quel Cosmo, ho pensato a Saga…” Le sillabe del nome che Aiolos non ha la forza di pronunciare, si conficcano nel suo cuore in un dolce strazio.
“So quanto desideri aiutarlo… essergli accanto… Credo che la rivelazione di questo Cosmo sia presagio del suo ritorno…” sorride Athena, tanto luminosa da far impallidire i bagliori dorari dell’armatura di Sagitter.
“La tua nobiltà è grande, Aiolos… questi tuoi sentimenti ne sono un’ulteriore prova…
Sei la nostra stella più splendente e solo la tua luce può guidare i tuoi compagni oltre le ombre delle incomprensioni… Per questo ho deciso di affidarti una simile missione… Sono certa che trovare il proprietario di quel Cosmo, ti porterà più vicino a ritrovare lo stesso Saga…”



In una piccola isola persa nel Mediterraneo, un bambino cammina su un sentiero diretto verso la scogliera.
All’apparenza sembra un bambino come tanti, ma quel bambino stanotte ha fatto un sogno. Che forse era sogno, ma sogno non era.
Tic, tac... Tic, tac...
Il bambino si ferma, respirando l’aria che sa di ulivo a pieni polmoni e sorride. Rivede la ruota fermarsi davanti a sé, si sente forte, potente...
Tic, tac... Tic, tac...
Il bambino sussurra una filastrocca, non sa dove l’ha imparata ma la snocciola come se la conoscesse da sempre, mentre dentro di sé cresce una cupa soddisfazione:
Per primo viene il patto,
il tempo per secondo,
terza è la falce che con un colpo distrugge il mondo...

Poi l’urlo di un gabbiano che vola in picchiata verso il mare lo riscuote. Si guarda intorno smarrito, chiedendosi perché si trovi vicino alla scogliera.
Sospira ridendo della sua sbadataggine e, attirato dal rumore del mare, decide di finire la sua passeggiata prima di tornare in città, di tornare dal capitano.
Il capitano è l’uomo che si occupa di lui da quando è nato, è la persona che dovrebbe essere più vicina a un padre ma è anche ciò che può essergli più lontano. E’ un uomo severo, che pretende da lui molto più di quanto il suo fisico gli consenta. Ma Vega non si lamenta, lavora alacremente, teme le percosse ed esegue ogni ordine in silenzio, come un burattino.
Non si pone domande sul passato, né sui genitori: è un orfano, la sorte non è stata generosa con lui, ma in fin dei contri potrebbe anche esserci di peggio...
E quando tutto diventa impossibile da reggere, dentro di lui attinge ad una forza segreta, invisibile, che gli da l’energia per non arrendersi.
Va avanti giorno dopo giorno, e ogni volta che il sole tramonta sente affievolirsi la speranza che la sua vita possa cambiare. Sempre uguale, sempre piatta come l’orizzonte del mare che osserva dalla nave prima di dormire.
Deciso a non farsi sopraffare dalla tristezza, risale l’ultimo tratto del sentiero, pronto a gridare tutta la sua rabbia contro il mare, ma ammutolisce.
Davanti a lui si trova un uomo mai visto prima, voltato di spalle. Dalla tensione dei muscoli sembra molto concentrato. Lo guarda sempre più interessato: è alto, sembra quasi un gigante ai suoi occhi.
Veste in modo semplice, i lunghi capelli biondi sciolti sulla schiena ampia e solida, il volto cesellato, tratteggiato da lineamenti scultorei.
Sembra quasi una divinità, pensa Vega colpito.
Eppure c’è come una nota stonata in quella perfezione: più lo scruta più sembra non cogliere nessuna emozione in lui; è come se fosse una statua...
Il bambino non riesce a staccargli gli occhi di dosso, si sente come ipnotizzato.
Qualcosa in lui lo affascina, lo attira come il miele con le api, e allo stesso tempo lo incatena al suolo rendendolo incapace di muoversi.
Chi è quell’uomo?
Una voce nella sua mente gli sussurra di andarsene, ma Vega non gli da ascolto e continua a studiare lo sconosciuto. Per un attimo ha l’impressione che un peso enorme gravi sulle sue spalle, e si porta senza volerlo la mano al cuore. Anche lui ha dentro di sé lo stesso peso, l’impressione di essere in qualche modo sbagliato.
Vattene...
Il bambino sta per voltarsi e obbedire a quel comando, ma all’ultimo decide di seguire l’istinto e fa un passo avanti, calpestando un ramo secco.



E’ il breve momento dell’aurora, le stelle sono appena tramontate oltre la linea dell’orizzonte e il sole non è ancora sorto. L’aria è fresca e il silenzio è rassicurante, da un senso di protezione, di invisibilità.
Quello di cui ora Kanon ha bisogno.
E’ uscito in silenzio dalla Terza Casa per raggiungere l’Arena, con indosso solo un paio di pantaloni e delle fasce a proteggergli le mani e gli avambracci. Il petto è nudo, ma non sente freddo, ne ha fin troppo nel cuore per avvertirlo.
Lascia che il suo cosmo si espanda e si concentra, pronto per allenarsi. Ha bisogno di forzare al massimo il suo corpo, di sentire ogni muscolo tendersi per il dolore, di essere stremato per non fermarsi a pensare.
Perché a volte la Terza Casa gli sembra maledettamente troppo silenziosa, troppo piena dell’essenza di suo fratello.
Ma lui non c’è, non riesce a sentirlo, non sa nemmeno se tornerà al Santuario e dentro di sé, forse è questo a ripugnarlo di più, non sa esserne grato o se soffrirne.
Sta per sferrare il primo colpo, quando una stretta dura come l’acciaio si serra sulla sua mano.
Apre gli occhi e riconosce la figura familiare del Cavaliere dell’Ottava Casa.
"Non ti ho sentito arrivare"
"Eri così concentrato... Preferisci distruggere l’Arena o parlare con un vecchio amico?"
"Da quando sei così disponibile all’ascolto?"
Milo si siede sul più basso dei gradoni di pietra, scostandosi una ciocca di capelli dal viso e replica:
"Solo Camus può permettersi di rivolgersi a me con tanta ironia, tienilo bene a mente. Avanti, ti ascolto. Si tratta di lui, vero?"
"E di chi altri?" Replica Kanon retorico, sedendogli accanto.
Fissa in silenzio l’orizzonte, da cui si scorgono le luci del mattino, prima di riprendere a parlare.
"Mi sono sempre chiesto, dal momento in cui mi scontrai con Ikki nel Santuario Marino, fino a che punto ero certo di conoscere mio fratello... E anche me stesso... Pensavo di essere una persona migliore ma in realtà mi sono macchiato di colpe gravissime"
"Ma hai percorso fino in fondo la strada dell’espiazione"
"Non mi basta!" Esclama Gemini, alzando improvvisamente la voce.
Milo non si scompone, posa una mano sulla sua spalla e mormora:
"Ti ascolto"
"Fui io a instillare in mio fratello il desiderio di potere, prima che mi imprigionasse a Capo Sounion, fui io a sobillarlo, a risvegliare la sua parte oscura, a spingerlo a cercare di uccidere Athena. Non posso perdonarmelo, per quanto ci provi non ci riesco... Ogni minuto mi chiedo: se fossi stato un uomo migliore, più retto, le cose sarebbero andate diversamente? E come se non bastasse ecco che un altro dubbio mi dilania: quanto mi sono sbagliato su mio fratello? Dicono sempre che due gemelli hanno gli stessi pensieri, condividono le stesse emozioni tanto sono vicini in corpo e spirito... Ebbene, ogni momento che lo guardavo mi sentivo lontanissimo da lui. Siamo lontani come il giorno e la notte, se c’è una cosa che ci unisce è il male che abbiamo compiuto. Adesso comprendi il mio dolore?"
Il Cavaliere di Scorpio trattiene un sospiro, si sente per un attimo fuori posto. Non si sente la persona più adatta per affrontare dubbi esistenziali come quelli, ma non può nemmeno lasciare un amico in difficoltà.
"Forse avresti dovuto rivolgerti a Mu o Shaka"
"Se avessi voluto un sfilza di acutissimi giri di parole mi sarei rivolto a loro. Ma ho bisogno di un parere diretto, Milo."
"E l’avrai se è questo che desideri. Se avessi dubitato del tuo pentimento e della tua rettitudine di certo non ti avrei chiamato per primo Cavaliere di Gemini. Kanon, è da tanto di quel tempo che ci conosciamo che ormai ne ho perso memoria, credimi se ti dico che il male che albergava nel tuo cuore è stato estirpato..."
Rimane in silenzio per qualche istante, è un silenzio pesante perché sa che ora dovrà pronunciarsi su di lui. E parlare di chi un tempo si finse il Pontefice, ingannando e uccidendo i suoi stessi compagni non è affatto semplice, perché più si cerca di guardare nel suo animo più si è incapaci di distinguere la luce dalle tenebre; si è come di fronte ad uno specchio che assorbe le immagini e le restituisce scarne di ogni abbellimento, che pone di fronte a verità che non si è in grado di comprendere e accettare.
"Per quanto riguarda lui" sussurra infine Milo “credo che sarebbe comunque arrivato a compiere le azioni di quella notte maledetta. C’è sempre stata una parte malvagia nel cuore di tuo fratello, come nel cuore di ogni altra persona in questo mondo. Non esistono creature in cui non alberghi il male, tutti possediamo un lato oscuro che nasce dalla somma dei nostri lati più fragili e innocenti. Ciò che fa la differenza è saperlo contrastare, non cedere. E lui ha ceduto, certo, ma questo significa che abbia una natura propriamente malvagia. Quello che ha fatto per redimersi è di fronte ai nostri occhi, chiaro come uno specchio d’acqua. Tutti ricordiamo come ha aiutato Seiya nei momenti di difficoltà, come si è sacrificato per avvertire la divina Athena dell’attacco di Hades, il suo dolore quando gli chiese di ucciderla. Se fosse stato un uomo malvagio, divorato dalla cupidigia e dalla sete di potere, non avrebbe esitato a colpire; invece non l’ha fatto. Credo che in questo momento tuo fratello sia dilaniato dai dubbi e dai rimorsi… e al suo posto, chi non lo sarebbe ?"
Respira profondamente, pronunciare quel discorso l’ha sfibrato. Kanon gli rivolge un sorriso debole, ma pieno di gratitudine: erano quelle le parole di cui aveva bisogno.
Si stira sciogliendo la tensione che fino a quel momento l’ha sorretto e cerca di alzarsi, ma è incerto sulle gambe e rischia di cadere; è la presa salda dell’amico a sostenerlo.
"Non sapevo di farti quest’effetto..." mormora divertito "Devo essere dotato di un fascino innegabile, non c’è Saint che non cada ai miei piedi..."
"Milo..."
"Hai visto? Sono riuscito a farti sorridere"
Kanon scuote la testa divertito, il Cavaliere di Scorpio ha colpito nel segno.
"Hai intenzione di allenarti ancora?"
"Credo che farò ritorno alla Terza Casa, non vorrei che lui potesse tornare e non mi trovasse..."
"Allora ti accompagno, sono di strada"
"Per l’Ottava o l’Undicesima Casa?"
"Che domande..." borbotta Scorpio, incamminandosi verso il Santuario.
"Ancora non mi hai risposto"
Milo gli rivolge uno dei suoi sorrisi enigmatici e affretta il passo. Kanon si volta e guarda l’orizzonte: sa bene che lui non tornerà così presto, ma non vuole farsi trovare impreparato quando arriverà quel momento. Anche se non l’ammetterà mai, sa che avrà bisogno del suo aiuto e questa volta non ha intenzione di negarsi. Sono fratelli, dopotutto, nel bene e nel male.
Sono qui, ti sto aspettando...



Sul bordo di un’ampia scogliera che si getta a precipizio nel mare blu, Saga lascia che lo sguardo si perda nell’ammirare il Fiore del Levante.
L’isola descritta secoli prima dal grande Omero non è cambiata nei secoli, la sua bellezza quasi selvaggia è rimasta immutata: le alte scogliere, la folta vegetazione, il mare che ribolle e schiuma contro le rocce, nell’aria il profumo dolce dei cedri che si mescola a quello degli ulivi e l’odore intenso della pioggia che sta arrivando, portata da nubi nere che si avvicinano minacciose.
Qualsiasi uomo rimarrebbe stregato, estasiato da quel trionfo di colori e sensazioni, ma non lui. Si sente troppo esausto, svuotato.
Ha cercato di non tornare al Santuario, di espiare ogni singola colpa; ma nonostante tutto quelle domande lo tormentano come le grida delle Erinni che fanno impazzire gli assassini: come mi guarderà, come si presenterà, che cosa mi dirà?
Stringe i pugni, cercando di tornare alla realtà; quando qualcosa attira la sua attenzione. Il rumore di un ramo spezzato lo mette in guardia.
Si volta pronto per attaccare, ma davanti a sé non c’è nessun nemico: è un bambino dalla pelle ambrata, il viso incorniciato da capelli color del sole e grandi occhi cielo.
Per un istante la sua mente torna al passato, sembra... lui.
Il modo in cui inclina la testa per osservarlo meglio, le labbra increspate in un sorriso appena accennato, la tensione delle piccole spalle che tradisce la sua preoccupazione...
Ti ricordi quel giorno, Saga? Domanda una voce dentro di lui.
Ricordi, tu ricordi cos’hai fatto... Ricordi il suo sguardo fiducioso, il suo sorriso...
Saga respira dolorosamente, ricorda tutto.
Lo ha ucciso. Anche se non è stato lui a calare il colpo mortale è come se l’avesse fatto, anzi quello che ha commesso è peggiore.
E’ stato così vigliacco da architettare il male ma non da commetterlo, non ha avuto il coraggio di guardarlo negli occhi e vederlo morire. E ora il suo ricordo si mescola alla paura di doverlo rivedere.
Maledice quella notte che l’ha divorato dentro, maledice sé stesso.
Per quanto potrà continuare a fuggire?
E se si lasciasse andare per sempre, abbandonandosi all’oblio, che male ci sarebbe?
Preferisce non rispondere a quella muta domanda e ne rivolge un’altra al bambino:
"Chi sei?"
Il piccolo trasale, la voce dell’uomo è gentile ma autoritaria, lo invita e costringe a rispondere al tempo stesso.
"Mi chiamo Vega..."
Gli hanno insegnato che non si fanno domande a un adulto, tuttavia non riesce a trattenersi e sussurra guardandolo negli occhi blu:
"Perché sei qui?"
"Sto cercando una persona..."
Il bambino gli rivolge uno sguardo pieno di speranza e un pò furbo:
"Posso aiutarti, io conosco bene l’isola..."
Saga malcela un sorriso, l’espressione di Vega è così simile a quella di lui che gli procura un tuffo al cuore, e un’altra pugnalata trafigge il suo animo.
"Sei sicuro?"
"Io sono nato qui"
"E sia"
Comincia a camminare lungo il sentiero che porta verso l’entroterra, mentre il bambino lo segue con passo rapido. Restando in silenzio Saga prova a espandere il suo Cosmo, ma non avverte nulla.
Sorride amaramente, a dire il vero non avverte nulla nemmeno dentro di sé. Non sta progredendo molto...
"Ah..."
Saga si volta, afferrano il bambino per un braccio, appena prima che cada a terra.
"Credo che quella radice si trovi lì da almeno qualche secolo"
"Poteva anche palesare la sua presenza" risponde Vega
Saga non capisce se il bambino sia più seccato per essere inciampato o imbarazzato per averlo fatto davanti a lui.
"Ti sei fatto male?"
"No, no…"
"Cammina davanti a me"
Vega non osa replicare e si porta un passo avanti all’uomo, dandosi ripetutamente dello stupido per essere inciampato in modo tanto goffo.
"Chi è la persona che stai cercando?"
Non ottenendo risposta il bambino alza la voce:
"Ti ho chiesto chi stai cercando!"
Saga trattiene un sospiro, anche lui si comportava allo stesso modo, non c’era verso di sfuggire a una sua domanda. Si aggrappa al presente come un naufrago ad una zattera e risponde:
"Saprò chi è quando l’avrò trovata"
Per una frazione di secondo Vega è tentato dal domandare che razza di risposta sia quella, ma poi preferisce mordersi la lingua e camminare in silenzio. C’è qualcosa in quell’uomo che lo affascina e al tempo stesso lo intimorisce, ogni volta che prova a guardarlo negli occhi rabbrividisce: come possono due occhi tanto belli sembrare vuoti?
Le ore trascorrono velocemente, Vega guida Saga attraverso la città, l’uomo si guarda intorno, evita volutamente il contatto con le persone e quando finalmente ritornano in riva al mare sembra esausto.
Nessuno dei due si muove per qualche minuto, mentre le prime gocce di pioggia cominciano a cadere e il vento soffia sempre più forte.
"Dovremo rientrare"
Vega fa spallucce fissando il cielo:
"E’ una pioggia passeggera, qui piove spesso"
Poi si alza e corre sugli scogli, spingendosi vicino alla riva incurante delle onde che si gonfiano e schiumano. Ama sfidare le forze della natura, lo fa sentire vivo, invincibile. Saga alza lo sguardo su di lui e lo chiama:
"Aio..."
Si blocca, come può aver pronunciato quel nome?
"Cos’hai detto? Alza la voce, non riesco a sentirti!" grida il bambino per sovrastare le onde.
"Vega" mormora Saga alzandosi e avvicinandosi al mare, sembrandogli ancora più stanco.
Il bambino sorride saltellando:
"Come?"
Saga lo guarda preoccupato. L’equilibrio di Vega è precario, la pietra è resa scivolosa dalla pioggia che cade sempre più fitta mentre il mare diventa più minaccioso.
"Torna indietro!"
Vega non avverte il suo richiamo, si sente un Dio e vorrebbe osare di più, dominare quella massa d’acqua informe, anzi dominare il tempo e lo spazio...
Senza rendersene conto si avvicina pericolosamente ad uno scoglio coperto dalle alghe e mette un piede in fallo; cade battendo il fianco e l’urto con la roccia gli spezza in fiato.
Allunga invano le braccia per aggrapparsi ma scivola e cade in mare.
Saga lo vede cadere e senza pensarci due volte si precipita in acqua, nuota contro la furia delle onde verso il bambino che rischia la vita.
Vega lotta disperatamente per restare a galla, ma le sue deboli forze non possono contrastare l’energia dell’acqua. Si sente trascinare verso il basso, sente il sapore del sale nei polmoni e si rende conto che non vedrà più sorgere il sole.
Chiude gli occhi recitando una preghiera e lascia che la corrente scuota il suo piccolo corpo spingendolo verso gli scogli. Ma all’improvviso una stretta salda lo afferra, riportandolo a galla; Vega avverte l’aria nei polmoni e si aggrappa a quell’ancora di salvezza lasciandosi riportare a riva.
Quando finalmente, dopo una lotta che pare interminabile, è in salvo, si accascia sugli scogli e sputa l’acqua di mare. Si guarda intorno con i capelli appiccicati al viso e i vestiti che tirano sulla pelle infreddolita, cercando disperatamente Saga.

Ricordi, tu ricordi cos’hai fatto... Ricordi il suo sguardo fiducioso, il suo sorriso...
Ricorda, Saga ricorda tutto e non desidera più vivere, vuole pagare per le colpe commesse, vuole dormire per sempre. Si abbandona alle onde, lasciando che la forza del mare faccia di lui ciò che meglio crede e sente in lontananza la voce di Vega che lo chiama disperato.
Ricordi, tu ricordi cos’hai fatto...
Sta per chiudere gli occhi e lasciarsi annegare quando un’energia potente lo attraversa, passando in ogni fibra del corpo.
Cerca di contrastarla ma è incapace, non può contrastare quel Cosmo, il suo Cosmo.
Perché mi stai salvando? Lasciami morire!
Ma la forza del Cosmo è più forte della sua volontà di uomo, si impadronisce di lui, gli impone di nuotare per salvarsi. Bracciata dopo bracciata lo obbliga a lottare contro il mare e trascinarsi verso la riva.
Finalmente raggiunge gli scogli esausto e si lascia cadere sulla fredda pietra.
Sente due mani aggrapparsi al suo petto e una voce chiamarlo disperato, apre gli occhi e lo vede.
E’ la sua voce a chiamarlo, i suoi occhi a piangere per lui. Si perde a guardare il viso angelico, si lascia avvolgere dalle ali e dalla luce dorata che scaturisce dal suo dolcissimo sorriso.
Il gelo del suo cuore si ritira come neve di fronte al sole primaverile, si sente vivo.
Mi sei venuto a salvare... A salvare me, che sono un assassino...
Poi sussurra una silenziosa domanda e in quelle parole ripone tutte le sue deboli speranze:
Possiamo ricominciare da capo, Aiolos?
La pioggia che punge sul suo volto lo riporta brutalmente alla realtà: sbatte più volte le palpebre e mette a fuoco la persona che ha di fronte, accorgendosi che si tratta del piccolo Vega.
Socchiude gli occhi, avvertendo una fitta di dolore attraversargli l’animo. Non è stato lui a salvarlo, di nuovo il gelo e il vuoto diventano padroni della sua anima.
Solo un pensiero gli da sollievo. Non ha fallito completamente: ha portato alla luce un neonato Cosmo dorato.
Adesso guarda Vega con occhi diversi, con gli occhi di un Saint e la sua somiglianza con lui finalmente comincia ad avere un senso.
"Apri gli occhi, apri..."
Avvolge il bambino con uno slancio improvviso e lo stringe a sé:
"Sto bene" lo rassicura.
"Cosa... cosa ho fatto?" Domanda lui spaventato.
"Niente di male..." niente che Aiolos non avrebbe fatto, anche per uno come me, considera amaramente prima di aggiungere "Ma se verrai con me ti spiegherò ogni cosa..."
Vega si scosta una ciocca di capelli dal volto e abbozza un sorriso:
"Il capitano si arrabbierà molto"
"Il capitano, parli di tuo padre?"
"Non ho un padre né una madre..." mormora rabbuiandosi "Il capitano è l’uomo per cui lavoro..."
Saga fissa il mare per un momento, poi risponde con aria sicura:
"Non penso che il capitano solleverà obiezioni. Riesci ad alzarti?"
"Sì, credo di sì..."
L’uomo si alza in piedi e gli tende la mano, aiutandolo a rialzarsi, poi si incamminano incuranti del freddo e della pioggia verso Zante, per raggiungere il piccolo porto.
I pensieri di Saga volano al Santuario: è ormai inevitabile, dovrà farvi ritorno. Dovrà rivederlo.
Ti ricordi quel giorno, Saga?











***
Per qualunque dubbio, critica, parere sappiate che l'Impero è a vostra disposizione...

Ci rendiamo conto della lunghezza di questo capitolo e che i diversi "salti" da una situazione all'altra possano aver reso difficoltosa la lettura... Tuttavia, per ragioni di trama, ci è stato impossibile evitarli... Abbiate fiducia, però, il prossimo capitolo sarà meno complesso.


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Capitolo 4
*** Tre: Fulmine ***


Tre:
   [Fulmine]















        
Una nuova scarica si infrange nel buio. La luce inghiotte tutto, ed è un po’come se il mondo si smaterializzasse. Bianco, silenzioso.
Ma dura solo un istante.
Il fulmine, così veloce e violento, si dilegua in un batter d’occhio, quasi non fosse mai esistito.
Il cielo torna nero, la pioggia cade ancora. Un ticchettio simile ad un respiro.
E l’uomo aspetta; nascosto tra le foglie, accucciato nel fango.
Sente i suoi occhi su di sé. Come la pioggia. Li sente, ma rimane immobile. Le spalle appoggiate alle rocce e gli occhi chiusi.
Una goccia scivola sulle guance. Cade. Si infrange a terra, in un’altro tic.
Ed è a quel punto che l’uomo si muove. Esce dai cespugli, scrollandosi di dosso l’acqua.
Ha il capo coperto e in mano qualcosa di artificiale e metallico. Qualcosa che sa uccidere, emettendo un gran frastuono.
L'uomo punta l’oggetto in avanti, stringendolo per l’impugnatura. Distorce la bocca in una smorfia disgustata. “Demone” sibila.
E il demone sotto la pioggia, capisce che è ora che arriverà il tuono.
Ma non vuole sentirlo. Non dopo il lampo. Non fra tutti quei ticchettii.
Silenzio. Luce e silenzio.
Serra le palpebre, più forte. Corruga appena la fronte e lo lascia andare.
All’inizio è solo un palpito debole. Poi si fa più deciso, si allarga simile a increspature d’acqua.
Lo sente, luminoso e bollente, tanto da ustionare l’anima.
Non c’è più né la pioggia, né la terra. Ci sono stelle. Migliaia di stelle e pianeti, che vorticano su loro stessi. Strade luminose nel buio del nulla.
“Ora” sussurra.
Ed è come se l’universo si contraesse. Uno spasmo di fuoco isterico. Un grido.
Poi tutto esplode nella luce.
Bianco.
Silenzio.
Quando riapre gli occhi piove ancora; ma l'uomo incappucciato non c'è più.
 


Ancora poco tempo e la nave sarà pronta a salpare, considera Aiolia percorrendo in silenzio il perimetro dell’Arena.
Si sente combattuto fra il desiderio di salire alla Nona Casa e la paura che lo tiene incatenato al passato.
La voce si è sparsa per tutto il Santuario, rapida come una scintilla che si trasforma in un incendio: il Saint di Sagitter è stato incaricato di trovare il misterioso proprietario del Cosmo d’Oro che ha risuonato dalle cupe tenebre.
Il Saint di Sagitter: il più forte, il più saggio, il più splendente fra i Cavalieri di Athena...
Forse perché la sua morte precose gli ha risparmiato il dolore di macchiare il suo animo puro...
Il Cavaliere di Leo stringe i pugni, pentendosi immediatamente, poi un altro pensiero gli attraversa la mente: Aiolos è suo fratello, non è solo il Saint di Sagitter. Eppure...
Potesse almeno dare la colpa di tutto a Saga, sarebbe molto più facile.
Sospira e costringe la sua mente a fermarsi, e si volta verso i gradoni: non ha bisogno di indovinare chi l’ha raggiunto perché lo conosce fin troppo bene.
Dopotutto è pur sempre suo fratello.
Anche se in quel momento sembra essere soltanto il Cavaliere di Sagitter, bellissimo in quell’immobilità stagliata contro il sole dorato.
Per un istante, uno solo, desidera corrergli incontro come quando era bambino ma poi si rende amaramente conto che non potrà mai più farlo. Adesso c’è un enorme divario a separarli, e non sono solo quelle scalinate.
Dalla sommità dell’Arena, anche Aiolos di Sagitter fissa in silenzio suo fratello.
Non ci vuole molto a capire quanto tempo è passato, lo può leggere sul viso di Aiolia che ormai è un uomo, mentre lui è ancora prigioniero di quel corpo da ragazzo, con indosso un’armatura che sente sempre meno sua.
Ancora una volta si rimprovera in silenzio, conscio che quei pensieri non si addicono a un Saint.
Ti prego, non guardarmi in quel modo. Non tu, fratello...
Aiolia, sale agilmente i gradoni, fermandosi a pochi passi da lui e Aiolos constata che un tempo non avrebbe mai alzato la testa per fissarlo negli occhi.
Un tempo, prima di morire...
Un pesante silenzio, carico di aspettative, grava su di loro dilatando quel momento. E’ Aiolia a rompere il silenzio, con la sua voce ferma, calda e decisa: una voce da uomo, nota Aiolos.
“Sei pronto a partire?”
No...
“Volevo salutarti” mormora come se fosse la cosa più normale del mondo, come se fossero quelle le parole giuste da pronunciare
Aiolia trattiene un sorriso a metà fra il divertito e l’amaro.
“Hai deciso da dove comincerai le tue ricerche?” chiede, come un attore consumato che conosce a memoria il copione da recitare
“Dall'isola di Gyaros, così mi è stato consigliato dal Pontefice... Troverò il proprietario di quel Cosmo, ne sono certo. L’ho promesso alla Divina Athena”
Le avevi promesso anche la tua vita se è per questo...
Il Cavaliere di Leo distoglie per un istante lo sguardo, mentre sente le labbra bruciare, come se avesse davvero pronunciato quelle parole.
Aiolos è tentato dall’allungare la mano e sfiorare il viso del fratello, ma è consapevole che adesso quel gesto sarebbe inappropriato: non è più lui il maggiore fra i due...
“Sii prudente”
“Non mi accadrà niente”
Il Saint di Sagitter si pente immediatamente di quello che ha appena detto, Aiolia lo fissa negli occhi, più di quanto dovrebbe prima di sorridere con aria indulgente:
“Ne sono certo”
E non c’è più bisogno di dirsi niente. Leo guarda il fratello allontanarsi andando incontro alla luce del sole,  sente le guance bagnarsi e il sapore del sale sulle labbra.
Non doveva andare così: non erano quelle le parole da dire a chi è appena tornato dalla morte, ad un fratello tanto rimpianto e mai dimenticato. Sente il cuore battergli dolorosamente in petto e si costringe a lasciare l’Arena per fare ritorno al Santuario, sentendo sulle spalle tutto il peso della colpa.
Ancora una volta si rende conto che il tempo non ha cambiato nulla: non sarà mai all’altezza di Aiolos di Sagitter, il più splendente fra i Cavalieri di Athena.



Dell’isola di Gyaros, Aiolos ricorda l’odore pungente di pesce, le vele bianchissime e luminose che puntellano l’orizzonte, simili a perle galleggianti. Le reti di iuta, intrecciate a mano e lasciate asciugare al sole. Il vociare della gente, che si alza come nebbia sulle banchise.
Ma tutto quello che ha davanti ora, è un porto deserto. Relitti di piccoli pescherecci sono abbandonati al largo. Gli alberi maestri affiorano dall’acqua come bracci spezzati di un qualche bestia marina e lo schiumare del mare è l’unico suono.
Muove qualche passo sulla banchisa, striata dalle ombre rossastre del tramonto. Stringe le dita sudate sulle cinghie di cuoio attaccate allo scrigno dorato del cloth di Sagitter.
Resti ammuffiti di pesci e crostacei sono sparsi lungo il ponte. In lontananza il grido strozzato di un gabbiano solitario che scivola sul pelo dell’acqua per poi riprendere subito quota, come se dal mare si levasse un pericolo misterioso.
Aiolos si passa una mano fra i capelli, aggrottando la fronte.
Prima di arrivare a Gyaros, tutti i suoi pensieri erano rivolti alle parole della sua Dea, ed indirettamente a lui.
Le rivelazioni di Athena lo avevano confortato e allo stesso tempo incuriosito, tanto da fargli scordare il peso di quella missione. Di fargliene dimenticare quasi il senso.
Un volta arrivato sull’isola, si era immaginato di scorgere il volto di Saga, tra i colori e il vociare della gente.
Immaginava che gli sorridesse e che i suoi occhi di quel blu così intenso e profondo, si illuminassero come un tempo; mentre teneva per mano un bimbo dai i suoi stessi colori marini.
Ecco, gli avrebbe detto, questo è il bambino dal Cosmo dorato. Ora torniamo assieme, tutti assieme, al Santuario. E li restiamo per sempre.
Aiolos scuote il capo, come a scacciare quella visione a cui il suo cuore è legato con sciocca disperazione.
Si vergogna dei suoi stessi pensieri; ma al contempo è stanco di nascondersi dietro ad un volto che non sente più suo, un volto che si è tramutato in una maschera falsa e grottesca. Aiolos odia mentire, specialmente a chi gli è caro; specialmente ad Aiolia. Quella mattina, vedendolo, era stato veramente in procinto di lasciarsi andare. Di rivelargli tutte le sue angosce, e quelle stupide speranze che lo avevano carezzato dopo le parole di Athena. Ma non lo aveva fatto.
Svestire la propria maschera dinnanzi a lui, significa mostrargli un sé stesso troppo lontano dal Saint luminoso e incorruttibile che ancora popola i ricordi di Aiolia. E Aiolos non può sopportare la sua espressione delusa. Non la sua, no.
La realtà è fredda e buia, avvolta in un mistero che -si era illuso-, potesse appartenere solo al passato.
Fa qualche passo in avanti, scostando con la punta del sandalo il lembo sgualcito e impolverato di una vela, rimasto impigliato tra le assi del ponte.
C’è odore di paura e odio, nell’aria. Un sentimento stagnante che impregna ogni anfratto di quell’ isola silenziosa. E il pensiero del Saint non può che andare a quel Cosmo dorato.
Che la sua furia sia davvero la causa di un simile scenario?
Quando torna a rivolgere lo sguardo verso l’orizzonte, davanti a lui c’è un uomo. Fermo a una decina di metri, sottile e bianco come un fantasma. Lo guarda, con le labbra tremanti e gli occhi sgranati.
Il Saint ingoia i propri pensieri e abbozza un sorriso in sua direzione, avvicinandoglisi lentamente. Solo quando vede distintamente i tratti del suo volto emaciato, nota che su una spalla porta una vecchia baionetta.
“Salve” lo saluta, cercando di non far trapelare altro che sicurezza dalla propria voce.
L’uomo china la testa su un lato, come per squadrarlo meglio.
“Chi sei?”
Sagitter allarga il sorriso, comprensivo. “Mi chiamo Aiolos, vengo da Atene” dice vago, eppure attento a non risultare troppo ermetico.
“E non sei troppo giovane per far tanta strada da solo?”
Per un attimo un velo di stupore si dipinge sul volto di Aiolos. Si era quasi dimenticato di come il suo corpo apparisse agli occhi degli altri. E ancora più facilmente si dimentica che un ragazzo della sua età dovrebbe avere una famiglia e una vita normale.
“Ah, sì beh… I miei genitori sono venuti a mancare quando ero piccolo, vivo solo da tempo e sono abituato a viaggiare per conto mio…”
L’uomo sembra scrutarlo con sospetto, ma non ribatte. Allunga il collo, gettando un’occhiata furtiva alle sue spalle “ Di un pò… quel… quel coso che ti porti appresso… è d’oro vero?”
Il Cavaliere scrolla le spalle con calibrata indifferenza “Non direi, no… è solo una patina…” Vede la fronte del suo interlocutore corrugarsi e i suoi occhi farsi curiosi e sottili, e decide che è più saggio cambiare argomento “Piuttosto…  Non è che lei saprebbe dirmi cosa è successo in questo porto?”
A quella domanda il volto dell’ uomo sembra congelarsi in una smorfia tirata. Con la mano destra si stropiccia il volto, spostando la baionetta da una spalla all’altra. Poi chiude le palpebre e scuote il capo con aria grave.
“Non è bene parlarne qui” dice quasi sottovoce, come se qualcuno potesse origliare la loro conversazione “Non così allo scoperto… Tu sei straniero e non puoi saperlo, ma non è bene…”
“Capisco… Posso chiederle il suo nome?”
L’uomo  fa scivolare le mani nelle tasche logore “Mi chiamo Tito” ribatte velocemente, guardandosi attorno con aria circospetta . “Senti… vuoi venire alla taverna della Signora Galene, in paese… Lì al chiuso è più… sicuro, direi”
Aiolos gli rivolge un nuovo sorriso “Molto volentieri, ho viaggiato per ore e avrei davvero bisogno di mangiare qualcosa…”



Dietro il vetro appannato, Aiolos guarda le nuvole scure inghiottire le stelle.
Nella taverna dai muri di cotto, le persone si stringono ai tavoli bisbigliando fra loro di storie che sembrano appartenere ad un altro tempo.
Ha appoggiato il cloth in un angolo, coprendolo con la sua giacca perché non attirasse troppi sguardi. In quel villaggio di pescatori radicano paure che iniettano paranoie e sospetti viscerali, alimentarli anche nel più banale dei modi, potrebbe essere pericoloso.
“Ecco a te, ragazzino…”
La voce rauca e stanca di Tito lo distoglie dai suoi pensieri. L’uomo gli fa scivolare un piatto di Pitakìa davanti, dandogli una lieve pacca su di una spalla.
Aiolos sorride, come sempre “Grazie mille… non doveva disturbarsi…”
Lui scuote la testa e si lascia cadere sulla sedia vicina “Non farti problemi… Prima, quando ti ho incontrato al porto, non devo essere stato molto cortese con te… Ma di questi tempi non posso che essere nervoso…” dice, poi rivolge un gesto ampio alla sala “Lo siamo tutti quanti…”
Aiolos lancia uno sguardo  veloce agli uomini seduti ai tavoli attorno “Ho notato… E anche se non capisco quale sia il problema, immagino che centri con la baionetta che si porta appresso…”
Tito prende un respiro profondo e si inumidisce le labbra. “ Quello che sto per dirti, ragazzino, ti sembrerà assurdo… Ma ti assicuro che è tutto vero”
Lancia uno sguardo fuori, come a richiamare immagini che si raccolgono oltre la piccola finestra, nella notte.
“L’ho visto con questi miei occhi… e il sangue mi si è raggelato nelle vane, pensavo di non riuscire più a muovermi, di non riuscire più a tornare a casa…” la sua voce diventa un bisbiglio roco  “ Ma sono stato fortunato, io.”
Aiolos poggia i gomiti sul tavolo, allungandosi verso l’uomo. “Che cosa ha visto?” Chiede fermo e accondiscendete, e Tito deglutisce a vuoto, mentre i suoi occhi rimangono fissi sulla finestra.
“È un demone…” sibila, ed è come se quelle parole gli si fossero incastrate in gola. Come se stesse lottando con il suo stesso corpo per farle uscire. “Un vero demone”
Il cuore di Aiolos perde un battito. Ha l’impressione di cadere, inghiottito da una voragine invisibile.
Quel Cosmo dorato ha davvero…?
Nella sua testa iniziano a vorticare ricordi che credeva di aver dimenticato.
Gli occhi di Saga, più bui della notte. Un palpito dorato che si fa tenebra e odio. Gelo e morte.
No, ti prego, no.
Le mani di Sagitter tremano appena, ma l’uomo di fronte a lui non sembra notarlo.
“Oggi è il mio turno di guardia” continua con la voce di chi e orgoglioso della proprio condanna “E non mi tirerò indietro. Andrò in quel maledetto bosco, ancora. E gli sparerò. Gli sparerò, lo giuro. Cosicché questa maledettissima storia finisca per sempre.”
Aiolos si tende sulla sedia “Dove… dov’è che esattamente si trova questo…” fa una breve pausa, cercando altre parole, ma non le trova “… questo demone? Lei lo sa?”
Tito corruga la fronte e il suo volto si fa scuro “Perché me lo chiedi?”
La risposta viene da sé, spontanea e limpida.  “Perché sono qui per quel demone”
Cala un lungo silenzio. Lo sguardo di Aiolos rimane immobile, fisso in quello del suo interlocutore.
Non è lo sguardo di un ragazzino, pensa Tito senza abbandonare i suoi occhi. Ma è diverso anche da quello di un qualsiasi uomo. È come se venisse da un altro tempo. Un tempo di miti e leggende, in cui una sola volontà poteva cambiare ogni cosa.
Se fosse stato una situazione diversa, Tito avrebbe preso quel ragazzino per il bavero della maglia e lo avrebbe scrollato, per farlo tornare con i piedi per terra.
Ma da quando lo aveva visto su quel ponte distrutto, ergersi come un vessillo tra gli scheletri delle navi, tinto dai riflessi rossi e oro del sole che sprofondava nel mare; aveva capito che era diverso. Diverso da chiunque altro avesse mai incontrato.
Per questo, ora, non può che abbassare lo sguardo sulle proprie ginocchia e bisbigliare “Si nasconde nelle grotte della pineta, a qualche chilometro dal porto…”
Aiolos fa un cenno col capo, e chiede, quasi con dolcezza: “È  stato sempre lui a…?”
“Sì, qualche notte fa… La banchisa è stata spazzata via”
“In che senso?”
Tito intreccia le braccia sul petto e respira rumorosamente “Altri uomini erano andati nelle grotte a cercarlo. Si sono tenuti a distanza di sicurezza, ma quando lo hanno puntato con i fucili, lui ha alzato un fascio di luce che dalla pineta è arrivato fino alla spiaggia, distruggendo tutto… Gli uomini sono riusciti a mettersi in salvo”
Fa una pausa, e con il mento indica un ragazzo seduto poco più  avanti.
“Uno è il padre di Kosmas… È ancora a letto con una gamba rotta e qualche costola fratturata… Domani starebbe a lui il turno di guardia, e Kosmas si è offerto di farlo al suo posto”
Serra i denti, i suoi occhi si fanno sottili come due fessure “Ma non ci sarà nessun turno di guardia domani. Stanotte metterò fine a tutto con le mie stesse mani”
E mentre le labbra di Tito si stringono sull’ultima sillaba, un fulmine bianco e prorompente illumina il cielo nero, in un bagliore raggelante.
Subito dopo la prime gocce iniziano a cadere, intonando una melodia di ticchettii.



L’aria della sera è fresca, mitiga la calura estiva e porta con sé l’odore del mare misto a profumi di paesi lontani. Appoggiato contro una delle imponenti colonne dell’Ottava Casa, Milo lascia che il vento gli scompigli i capelli. Ripensa alle parole di Kanon e al'improvvisa partenza di Aiolos, chiedendosi cosa il destino abbia in serbo per tutti loro, quale sarà il prezzo da pagare per aver ritrovato la tanto sospirata pace.
E’un rumore di passi ad attirare la sua attenzione: alza lo sguardo e riconosce la figura di Aiolia.
Il Cavaliere di Leo sale i gradini con passo veloce, sul viso cerca invano di nascondere le tracce di un profondo turbamento.
Si ferma davanti all’ingresso della Casa di Scorpio e rimane in silenzio.
I secondi passano lenti, trasformandosi in minuti e l’impazienza di Aiolia aumenta.
“Vuoi lasciarmi passare?!”
“No” risponde serafico Milo.
“Come?”
“Mi sembra che tu non sia ancora sordo, ho detto no”
“Per piacere... concedimi di passare attraverso l’Ottava Casa”
“Dimmi perché”
Aiolia respira profondamente cercando di mantenere il controllo e risponde:
“Ho bisogno di... Oh insomma, non devo certo giustificarmi con te! Non vuoi lasciarmi passare? Benissimo, allora ritorno alla Quinta Casa!”
“Entra”
“Ma…”
“Vuoi entrare sì o no?”
Il Cavaliere di Leo sbuffa, ma preferisce non replicare. Segue il compagno all’interno dell’Ottava Casa, raggiungendo le stanze di Milo.
Scorpio si siede ad un piccolo tavolo e scosta con un piede dorato una sedia libera.
“Non ti facevo così cortese” commenta Aiolia, accetando il suo invito silenzioso.
“Non ringraziarmi, potresti pentirtene... Piuttosto, perchè sei più nervoso e intrattabile del solito?”
“E perché dovrei parlarne a te?”
“Preferisci parlarne con Aiolos? Oh ma che smemorato, tuo fratello è in missione... Vuoi del vino?”
“Credevo non bevessi”
“Di quando in quando, se proprio devo sopportarti, bevo volentieri anche del vino” replica alzandosi.
Aiolia si limita a sorridere, è talmente stanco che non trova la forza per ribattere e ne è dispiaciuto perché adora battibeccare con Milo. Quando si vede porge il bicchiere colmo di vino lo svuota in pochi sorsi.
“Vacci piano, vuoi ubriacarti per caso?”
Aiolia posa il bicchiere sul tavolo con veemenza, l’armatura sbatte contro il legno, producendo un rumore sordo.
“Hai intenzione di danneggiarla?”
“Questo legno di ultima categoria non rovinerà di certo la mia armatura”
“Non insultare il mio tavolo, gli sono molto affezionato”
“Da quando in qua sei affezionato a qualcosa che non sia Camus?”
“Micetto, vuoi perdere tutti i tuoi artigli in un colpo solo? Sto cercando di essere paziente, dunque parla”
Il Saint di Leo socchiude gli occhi per un momento, prima di mormorare:
“Si tratta di Aiolos”
Milo è sfiorato dall’idea di lasciare definitivamente il Santuario e ritirarsi a vivere in un eremo.
Mai desiderare quello che potresti ottenere...
“Accidenti a te, Camus” mormora sottovoce.
“Hai detto qualcosa?”
“Nulla. Ti ascolto...”
Aiolia gli lancia un'occhiata incerta, ma poi inizia a parlare "Mi sembra di essere intrappolato in un brutto sogno, ma non riesco a svegliarmi. Aiolos era la mia roccia, il mio punto di riferimento, il mio mondo. Ammiravo tutto di lui... Se non lo sentivo al mio fianco provavo qualcosa a cui allora non sapevo dare nome... Quando morì compresi che si trattava di dolore, puro dolore” sfiora con le dita il bordo del bicchiere ormai vuoto e apre la porta sul passato, un uscio che tiene sempre chiuso per non soffrire ancora di più “Tutto quello che pensavo, dicevo e facevo era in funzione di mio fratello. Per un suo sorriso avrei venduto anche l’anima. Aiolos era così bello quando mi sorrideva e mi guardava con quello sguardo speciale. C’era solo un’altra persona per cui lo riservava…”
Si interrompe brusco, allungando la mano verso la brocca di vino, ma Milo è lesto a sottrargliela.
“Lasciami bere…”
“Vorrei che riuscissi a tornare alla Quinta Casa sulle tue gambe… La persona di cui parli è… lui vero?” chiede sommessamente.
Aiolia fa un cenno col capo. “Sì” sussurra.
Quella singola sillaba risuona tagliente come la lama di un rasoio e il silenzio di Milo è un invito a proseguire.
“Mi chiedo perché abbia voluto recarsi solo nelle stanze del Pontefice, perché non abbia chiesto aiuto... Perché non abbia parlato con me, dannazione! Ero suo fratello, non un perfetto estraneo!”
“Eri un bambino, era suo dovere proteggere anche te. Se fossi morto al posto suo, Aiolos non se lo sarebbe mai perdonato”
“Quindi morire solo, con il conforto del cielo che non rispondeva alle sue preghiere, senza nemmeno la presenza di una persona cara al suo fianco è stato giusto?! E’ questo che vuoi dire?!”
“Per quanto possa sembrare riduttivo, di fronte all’immenso dolore che hai provato per la sua morte, tuo fratello ha salvato la divina Athena. Ha compiuto il dovere più grande che spetta a ogni Cavaliere, quello che ha fatto in quel momento era la cosa più giusta da fare”
“Lo so” mormora mentre le lacrime trattenute per troppo tempo gli rigano il volto “Dopo la sua morte mi sono sempre rimproverato per non avergli detto tante cose e adesso che lui è tornato... Non ci riesco, mi sento paralizzato. E’ come se fra noi ci fosse un divario a separarci, solo che lui è rimasto al di là della linea e io sono andato avanti. E’ lui ora il più piccolo fra noi, è così inconcepibile...”
Milo è colto alla sprovvista da quella reazione inattesa e sincera. Si alza e raggiunge il compagno, poi l’abbraccia impacciato. Aiolia posa la fronte contro il freddo metallo dell’armatura, nascondendo il viso.
“Adesso hai un ottimo motivo per farti beffe di me” mormora quando riesce a ritrovare la voce, asciugandosi il viso col dorso della mano inguainata d‘oro.
Milo gli rivolge un sorriso divertito prima di replicare:
“Lo terrò bene a mente, dunque ti converrà stare attento a non provocarmi... Come ben sai, non sono la persona migliore per poter dare dei consigli, però permettimi di dirti una cosa: prendi tempo, è quello che ti serve. Sono certo che anche Aiolos sia turbato, che voglia parlarti ma non riesce a rompere il silenzio che vi divide. Fa che la rabbia, il dolore, la confusione lascino spazio al sentimento che un tempo provavi per tuo fratello e allora sarai pronto per avvicinarti a lui”
Aiolia lo guarda negli occhi, grato, poi commenta:
“Non conoscevo questo lato saggio di te”
“Colpa del vino che mi scioglie la lingua e di Camus, lui e tutti quei suoi libri stanno avendo una pessima influenza su di me”
“Sei in grado di leggere?”
“Noto con dispiacere che cominci a stare meglio... Ad ogni modo sì, a differenza tua so leggere”
Il Saint di Leo ride divertito, senza più sentirsi in colpa, sotto lo sguardo del compagno che si finge arrabbiato.
 “Potrei restare ancora un po’ con te?” Domanda una volta calmo.
Milo alza gli occhi al cielo allargando le braccia, poi riprende la brocca del vino posandola al centro del tavolo:
“Mi faranno un monumento…” mormora sedendosi.
“Gra...”
“Non ti azzardare a dirlo”


Lo scroscio della pioggia investe qualunque altro suono. Le fronde dei pini si agitano come animate di vita propria, vergate dal vento. Tutto sembra essere inghiottito in un miasma cupo e bagnato. Un ammasso di forme che si stagliano vibranti nel buio.
L’uomo davanti a lui barcolla, affonda gli stivali nella fanghiglia umida e prende un respiro affannato. Tiene la tracolla della baionetta con entrambe le mani, issandosela sulla spalla una, due, quattro volte.
Aiolos vorrebbe chiedergli se va tutto bene, ma sa che non lo sentirebbe.
Lo sta seguendo in silenzio, sulle spalle il cloth di Sagitter e ai piedi i sandali di cuoio. Tito non gli ha chiesto nulla. Probabilmente ha notato la facilità con cui si muove sotto l’acquazzone, nonostante il peso che porta  sulle spalle e quell’ abbigliamento leggero; probabilmente ha notato molte altre cose. Ma non può esserci spazio per le domande, né per le risposte.
Aiolos si è limitato a seguirlo, rallentando il proprio passo per poter rimanere dietro di lui, in una tacita dimostrazione di rispetto.
Un altro fulmine squarcia il cielo. Il mondo sembra farsi bianco e lineare, per un istante. Le pareti delle grotte, i pini, il fango. Tutto ha contorni netti.
Tito allunga un braccio, fermandolo contro il petto di Aiolos. “Manca poco” dice, mentre la luce del fulmine si spegne sul suo volto, facendolo tornare un’indistinta macchia nera.
“Deve essere oltre quelle rocce, laggiù… quando piove è sempre lì…”
Muove qualche passo in vanti, piegandosi allo sferzare del vento; mentre il brontolio del tuono raggiunge il lampo in un eco gutturale e roco.
Ed è in quel momento che Aiolos lo sente.
Non proviene dalla pineta, però, non dalle grotte. Viene dal mare.  
Un dipanarsi avvolgente. Più che un’esplosione, una carezza, un richiamo delicato eppure vivido. Forte.
Un Cosmo. Un altro Cosmo dorato.
Splendente e puro; così diverso dal primo. Un Cosmo che in qualche modo, risuona molto simile al suo.
Aiolos trattiene il fiato, si appoggia alle rocce bagnate. Assieme a quell’abbraccio di caldo potere, lo raggiunge l’eco soffuso di un singulto strozzato. Apri gli occhi…
C’è la furia delle onde, poi. Una spiaggia.
Apri…
Uno sguardo marino. Un sorriso.
Possiamo ricominciare da capo, Aiolos?
“Saga…” Le labbra di Aiolos pronunciano quel nome da sole, e lui si porta una mano tremante alla bocca, quasi volesse carezzarlo.
Sente le ginocchia farsi molli; la voce di Tito che lo chiama, i suoi passi sull’erba bagnata.
Ma l’unica cosa che sembra contare è quel nome che gli esplode nell’anima. Quello sguardo.
“Saga…”
Quando le mani di Tito gli afferrano un braccio, il fulmine torna di nuovo. Bianco, potente, divora ogni cosa con il suo guizzo elettrico. Poi tutto si spegne.
Aiolos sbatte le palpebre, e si rende conto che l’uomo di fianco a lui sta tremando.
Alza lo sguardo, allora.
Sulle rocce davanti a loro si staglia una figura nera, immobile. Sembra completamente avvolta dal buio  e Aiolos, non riesce neppure a scorgere il bagliore dei suoi occhi.
Le mani di Tito lottano con la tracolla della baionetta, gli cade, la riprende dal suolo. Maldestramente la punta nell’aria, contro la figura, togliendo la sicura in un “clack” stridulo.



La schiena contro le rocce, lo sguardo fisso davanti a sé. Le gocce scivolano sulle palpebre, sulle ciglia, restituendogli la visione di un mondo liquido e sfumato.
Lo ha sentito. Quell’abbraccio caldo e luminoso che si è dipanato dal mare.
E ha sentito anche i due uomini, sotto la pioggia. Sotto le rocce.
Sta solo aspettando.
Sa che stavolta sarà più forte, più dirompente. Ma sa che non ha scelta.
Quando arriverà il fulmine, dovrà lasciarlo andare.
Per forza.



Aiolos non fa in tempo ad abbassare il braccio di Tito con uno scatto, che un’esplosione gelida e luminosa li investe. Un’esplosione di stelle.
Butta l’uomo a terra, ignorando le sue proteste e gli fa da scudo con il proprio corpo. Il suo Cosmo risponde a quell’attacco, accendendosi come una fiamma e proteggendoli entrambi.
Tito socchiude gli occhi per tentare di abituarli a quella luce schiacciante. Per un attimo pensa che il ragazzino sia stato arso vivo da quel fascio, ma poi si accorge che è lui ad emanare parte della luce che lo acceca.  È avvolto in un bagliore che ha i riflessi dell’oro.
C’è un rumore metallico, poi, di qualcosa di prezioso e pesante che si muove. Che tintinna.
E due ali d’oro si parano di fronte all’uomo lasciandolo a bocca aperta.
Ora il ragazzino non c’è più; al suo posto c’è il fulgore di un angelo, o un dio, non saprebbe dirlo con certezza.
Tito prova a rimettersi in piedi, ma non ci riesce. Si sente svuotato, apatico.
Sono venuto per il demone
Gli gira la testa. Gli alberi, le rocce tutto è preda della luce, come se il mondo fosse stato colpito da un fulmine eterno.
Aiolos fa un passo in avanti, per scorgere la figura da cui scaturisce quel Cosmo dorato.
Lo sente rispondere al proprio, con il chiaro intento di schiacciarlo.
Ricorda di aver già avuto a che fare con Cosmi appena nati; ma nessuno si è rivelato così ben calibrato. Nessuno, a parte uno.
Ti va di allenarci assieme, Saga?
Tanto lo sai già chi vincerà…
Sì? E chi vincerà?
Io.
Perchè mai dovresti essere tu a vincere?
Occhi come il mare. Un sorriso, sul volto di luna.
Perché vinco sempre…

Aiolos espande il suo Cosmo, ancora. Lambisce quello del suo avversario. Così esplosivo, così freddo. Arso di un oscuro istinto distruttivo.
Questa è la mia scelta, Saga.
Uno sguardo invisibile sotto l’elmo del Pontefice. Parole dure.
Ginocchia piegate. Un fremito. Non posso, non so niente sulle stelle... è Saga... è lui che... È lui.
Una voce che risuona spezzata e graffiante. Scura, troppo scura. Irriconoscibile.
Perché? Perché non io?! Ditemi il perché?!

Aiolos fa altri passi nel buio.
 “Non voglio farti del male”, dice con quanta più voce riesce a trovare in petto.
Il Cosmo avversario freme, lambito dal suo, crescendo ancora e ancora.
Cosa state facendo?!
Una daga d’oro. Una culla. Il pianto di una neonata.
Sangue, sangue sulla sua spalla, sul suo braccio.

I bagliori dei due Cosmi che si sfidano, acceca il paesaggio. Tutto è avvolto in quel potere ardente.
Non posso lasciarvelo fare!
Un movimento indistinto. Un sibilo. Un elmo doro che cade a terra.

Altri passi, sempre più vicino a quel Cosmo neonato che brucia con una violenza poderosa.
Ma tu sei… Saga?!
Occhi negli occhi. Il blu si è fatto oscuro come la notte, spento. Lontano.
Saga…?

Ora che mi hai visto in volto, anche tu dovrai morire.
Aiolos stringe le palpebre, muovendosi ad occhi chiusi.
Non si era accorto di nulla. Non aveva sentito nulla. Lui, il suo compagno. Il suo migliore amico.
Non si era accorto dello strazio che spaccava in due la sua anima tormentata.
È colpa mia… Mia.
I passi che lo separano dalla figura, sono sempre meno. Il suo Cosmo si incendia, quasi.
Se solo ti avessi teso la mano…
Se solo…
Poi arriva. Un’ altro fulmine. Si schianta tra i pini in un isterico balenio.
Ed è allora che Aiolos avverte il Cosmo del suo avversario esplodere.
Si espande nel cielo, travolgendo tutto.



Un bagliore simile ad un onda, si innalza dal mare, lambendo il Santuario.
Kanon si precipita fuori dalla Terza Casa, i bagliori dell’armatura di Gemini risplendono sotto i riflessi di quell’improvviso chiarore.
Sente il cuore martellagli nei timpani. Un brivido lo scuote.
Oltre il profilo delle colonne, stendardi candidi nella notte, l’orizzonte burrascoso è illuminato da  quell’esplosione assiderata.
Kanon si immobilizza, sotto il timpano della sua Casa, le labbra socchiuse, il respiro incastrato in gola.
Sente dei passi veloci, poi dalle scalinate sotto di lui, compare il volto teso di Mu, incorniciato dall' elmo d'oro.
“Kanon…” sussurra, come a trattenere quel moto di stupore e preoccupazione che lo ha spinto sin lì.
Lui non risponde, guarda il cielo con un'insistenza che ha le ombre della disperazione.
“Questo…”
Questo è il Cosmo di Gemini.



La pioggia viene come risucchiata via, spazzata in quel vortice di luce. Aiolos scosta le braccia dal volto, lasciando libera la visuale. Tutto è candido, quasi accecante.
Ha capito, Aiolos. Ha capito ogni cosa.
Sente il gelo di quel Cosmo, contrarsi d’innanzi a lui.
Abbassa lo sguardo ed è allora che lo vede.
Lì, in piedi, immobile. Non è un demone, no.
I demoni non esistono… Basta tendere loro la mano…
È un bambino.
I suoi capelli non sono biondi, lunghi e morbidi; ma scuri come la notte fradici e scomposti, appiccicati ad un volto infantile. Troppo, per essere così placido e statuario.
I suoi occhi non hanno riflessi marini, non sono profondi come gli abissi; ma vacui, del colore freddo dell’oro. Eppure...
Aiolos sente le guance rigarsi di lacrime. Calde, gli scivolano sul volto, senza un perché.
“Perdonami” sussurra  con voce rotta.
Cade in ginocchio, arrivando con il capo all’altezza del bambino che rimane immobile, inespressivo. Allunga le braccia dorate in avanti, cingendogli le spalle. Le ali di Sagitter piegate verso il suolo. Il copricapo prezioso, poggiato sulla fronte liscia e gelata del bambino.
“Perdonami”, dice ancora. E i singhiozzi lo scuotono, facendogli tremare le spalle.
“Perdonami…” Per non averti saputo salvare
Un respiro lieve. Freddo, come la notte e la pioggia.
“Non è a me che devi chiedere perdono…” La voce del bambino è atona, ma decisa.
Aiolos sussulta un poco, poi si scosta con gentilezza, per guardarlo in volto.
“Hai ragione… Anche se tu… gli somigli molto...” sussurra, passandosi il dorso della mano sugli occhi. Inspira.
“Ma ho deciso, ormai… Lo dirò a lui, a lui solo… Non mi tirerò più indietro… Non scapperò.”
Il bambino si volta di tre quarti per guardare la pioggia.
“Tu sei come me ”
Non è una domanda, è un’affermazione.
“Sì, io sono come te”
“E ce ne sono anche altri, non è vero?”
“Sì, molti altri…” Aiolos china il capo su un lato e aggiunge, con dolcezza “Non sarai mai più solo…”
Il bambino si volta verso di lui, senza fare rumore. Lo sguardo perso verso l’orizzonte buio.
“Come si chiama?”
“Cosa?”
“Il potere che abbiamo… come lo chiamate?”
Aiolos sorride, un sorriso disteso e sincero, dopo molto tempo.
“Lo chiamiamo Cosmo”
Il bambino rimane in silenzio come a ponderare quel nome, fissando qualcosa che ad Aiolos è invisibile. Il Saint gli si avvicina, posandogli una mano sulla testa.
“Quello che è accaduto… non è colpa tua… Il Cosmo è difficile da controllare… E quegli uomini…”
Il bambino non risponde. Lo sguardo inghiottito in un margine vacuo.
“Come ti chiami? ” Gli chiede infine Aiolos, caldo come il sole.
Il bambino poggia la testa contro la roccia bagnata e dura, lasciando che la pioggia scivoli ancora sul suo viso.
“Rigel. Io sono Rigel”
















*^*^*^*^*^*^

Emm... sappiamo cosa state pensando... Ma vi vogliamo rassicurare, non ci siamo fumate niente di strano... siamo così on nature.

Scusateci per questo mistico stillicidio, condito da infinite seghe mentali e flash back allucinanti... Abbiamo chiesto ad Aiolos il nome del suo pusher, ma è restio a darcelo... Chiederemo a Saga.

Scherzi a parte, grazie per aver letto questo interminabile capitolo e per continuare a seguirci....


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Capitolo 5
*** Quattro: Nave ***




 Quattro:
 [Nave]













La nave beccheggia sulle onde del mare, ha lasciato Zante da poco meno di un’ora, diretta verso Rodorio.
Saga si trova lontano dalla luce del sole, sottocoperta, intento a fissare l’immensa distesa d’acqua blu attraverso il vetro di un oblò uguale a tanti altri.
Blu come i suoi occhi, gli occhi che bramano Aiolos e vorrebbero imprimerlo a fuoco nella sua mente, nel suo animo, ancora una volta...
Il pensiero del Chrysos Synagein lo trafigge freddo come la lama di un pugnale... No anzi, la lama di quella daga che in quella maledetta notte alzò a causa della sua volontà malvagia...
A causa della volontà di un Dio, cui non ci si può opporre...
Involontariamente si morde il labbro inferiore, quel Cosmo oscuro ha bruciato ancora, ne è certo ma è stato per un istante: un momento troppo breve per capire da dove provenisse.
Sente lo sguardo di Vega su di sé, ancora una volta non può fare a meno di pensare come la sua energia sia simile a quella di Aiolos ma allo stesso tempo diversa. Distoglie lo sguardo dal mare, incrociando gli occhi del bambino che lo sta osservando senza timore.
“Perché volevi morire?”
La domanda è diretta, il tono di voce sicuro, il Saint di Gemini rimane colpito prima di rispondere:
“Non ti capita mai di soffrire così tanto da non voler più provare dolore?”
“Se soffrissi così tanto eliminerei la causa del mio dolore” replica sicuro
... Terza è la falce che con un colpo distrugge il mondo...
Sul viso del bambino si dipinge un sorriso sinistro, ma solo per un istante. Saga lo guarda con attenzione, quasi volesse cercare di leggergli nell’anima, poi ribatte:
“E se fossi tu la causa del tuo dolore?”
“Non penso che accadrà mai una cosa del genere, io so bene quello che faccio”
Questa volta è Saga a sorridere, il suo è un sorriso amaro intriso di sensi di colpa e ricordi che tormentano il suo animo. Anche lui, a suo tempo, pensava le stesse cose.
Poi, invece...
Hai salvato me, il tuo assassino, perché? Come potrò guardarti negli occhi, io che non riesco nemmeno a gurdarmi allo specchio...
“Non essere mai troppo sicuro di te stesso o la caduta rischierà di non farti rialzare”
Per un momento teme di non essere stato capito, invece Vega annuisce in silenzio.
Quel bambino lo stupisce sempre di più, ogni istante che passano insieme, ha qualcosa di diverso...
Inevitabilmente gli ricorda Aiolos, anche lui è sempre stato diverso.
“Cosa ne sarà di me a Rodorio?”
“Andremo al Santuario, dove incontrerai la Divina Athena”
“E poi tu sarai il mio maestro?”
“Dipenderà dalla volontà di Athena”
Il bambino non sembra soddisfatto da quella risposta, sbuffa nervosamente e replica:
“Io voglio restare con te”
Saga gli scompiglia i capelli, stupendosi di nuovo di un gesto così intimo e così lontano da lui prima di mormorare:
“Presto capirai che la vita di un Cavaliere è una vita di sacrifici, spesso la nostra volontà deve piegarsi alle necessità e al volere di Athena, alla quale giuriamo fedeltà eterna”
“Ma se le hai giurato fedeltà eterna perché hai cercato di ammazzarti: cos’hai fatto di così terribile?”
Incredibilmente Saga ride, è una risata spontanea che nasce dal cuore, che non si concedeva da tanto tempo.
“Non demordi mai...”
“No”
“Ti prometto che se sarai mio allievo un giorno, quando sarai in grado di comprendere, ti racconterò ogni cosa”
Un sorriso entusiasta si allarga sul viso di Vega:
“Allora farò di tutto per diventare il tuo allievo” poi si stira pigramente, accoccolandosi contro il corpo del Saint “Quando arriveremo a Rodorio?”
“Manca ancora un po’ di tempo, devi pazientare”
“Se potessi farlo cambierei il tempo a mio piacimento” mormora
... Per primo viene il patto, il tempo per secondo...
“Parlami del Santuario”
“Sei curioso...”
“Il capitano diceva che ero una piaga”
“Spesso gli adulti mal tollerano i bambini... Il Santuario è il luogo in cui Athena risiede insieme ai suoi Saints, quando non si trovano in missione. E’composto da Dodici Case, tane quante sono i segni dello Zodiaco , e dalla dimora della Dea e del Pontefice”
“Il Pontefice?” domanda con occhi pieni di curiosità
“E’ la persona che veglia sulla Dea e controlla l’operato di noi Cavalieri; a suo tempo è stato anche lui un Saint. Di solito è Athena in persona a sceglierlo...”
“Come fa?”
“Athena è in grado di scrutare nell’animo dei suoi Cavalieri e scegliere il migliore fra essi...”
Quello che non ero io, pensa con tristezza.
“Com’è la Dea Athena?”
“Presto la conoscerai di persona, non essere impaziente”
Vega sbuffa giocherellando timidamente con una ciocca dei capelli di Saga, prima di riprendere a parlare:
“Tu che Saint sei?”
“Io sono un Gold Saint”
“Cioè?”
Saga cerca invano di togliere i suoi capelli dalle mani di Vega e dopo aver perso la piccola battaglia risponde:
“L’armatura che indosso è d’oro. Vedi, ad ogni Saint viene assegnata un’armatura, legata al suo Cosmo...”
“Il Cosmo?”
“L’energia che pervade il corpo e l’animo di un Cavaliere. Ogni Cosmo è legato ad una costellazione e ha potenza diversa: più il Cosmo ha potere, più nobile è l’armatura che indossa. Esistono armature di bronzo, d’argento e per l’appunto, d’oro”
Vega registra le spiegazioni di Saga, assorbendo il significato di ogni parola come una spugna. Le parole dell’uomo lo stanno trasportando dal grigio e sempre uguale mondo di Zante ad una nuova realtà, a qualcosa di straordinario che cambierà per sempre la sua vita.
Sente il cuore battergli più forte, come in preda ad una strana eccitazione, e non può fare a meno di chiedere:
“Qual è la tua costellazione?”
“Io sono il Saint di Gemini”
“E Aiolos?”
“Come?”
“Lo nomini tanto speso” replica candidamente “Credevo foste amici”
Credevo foste amici...
Eravamo solo amici, Aiolos? Siamo mai stati amici? Ah, se potessi...

Frena i suoi pensieri e si affretta, anche se a malincuore, a rispondere:
“Sì, eravamo amici. Aiolos era il mio migliore amico, condividevamo ogni momento, ogni pensiero...”
“E poi?” domanda percependo qualcosa di terribile
“E poi le circostanze ci hanno divisi per tanto, tanto tempo...”
Saga torna a fissare il mare, per un istante. Da un certo punto di vista ha detto la verità, ma allora perché si sente così male?
“E adesso?”
“Non lo so, giuro che non lo so... Sarà il Chrysos Synagein a decidere ogni cosa”
“Il Cirso Sina che?!”
“Il Chrysos Synagein, è il momento in cui tutti e dodici i Gold Saints vengono convocati al Santuario perché è accaduto qualcosa di straordinario”
“Allora io sono straordinario”
“Sei sfacciato, non c’è che dire...”
“Lo so”
Vorrebbe aggiungere qualcos’altro, ma la stanchezza comincia ad avere la meglio su di lui facendolo sbadigliare rumorosamente.
Saga lo avvolge nel suo abbraccio, facendogli posare la testa sulle sue gambe:
“Dormi, sei stanco”
“No...”
“Aio... Vega, dormi”
Il bambino prova a resistere, ma le palpebre si chiudono per la stanchezza e dopo pochi minuti Morfeo ha ragione delle sue proteste. Saga ritorna a fissare il mare attraverso l’oblò e si lascia sfuggire un sospiro: i suoi pensieri tornano sempre ad Aiolos, è inevitabile...
... “Stavolta vinco io” afferma con un sorriso sicuro
Saga scuote la testa, seduto sul manto erboso antistante l’Arena:
“Perché non ti arrendi? Ogni volta che ci provi perdi, lo sai meglio di me”
Aiolos gli si inginocchia davanti, fissandolo negli occhi ed esibendo un sorriso sbarazzino:
“Scommettiamo?”
Poi senza dargli il tempo di ribattere lo spinge a terra. L’amico è lesto a rovesciarlo e i bambini rotolano ridendo sul prato, finchè quel buffo duello non si chiude, ovviamente a favore di Saga che si trova sopra l’amico e lo guarda divertito.
“Arrenditi”
Aiolos cerca di liberare i polsi, poi sospira posando il capo sull’erba:
“Mai”...

Saga stringe le labbra, contraendo il viso in una smorfia di dolore, mentre la sensazione di avere Aiolos così vicino fa battere il suo cuore più forte.
Guarda Vega dormire profondamente e cerca di svuotare la mente.
Presto, molto presto tornerà al Santuario... E’ solo questione di tempo.



Aiolia si trova di fronte all’elegante ingresso della Tredicesima Casa, in attesa di quella che ritiene una punizione più che un incarico. Ogni fibra del suo essere rifiuta in modo spasmodico l’idea di diventare un maestro, ma come ben sa non può opporsi al volere della Dea, la sua natura di Cavaliere gli impone assoluta obbedienza.
Sospira e socchiude gli occhi, mentre i pensieri inevitabilmente scivolano su Aiolos: lui non avrebbe mai esitato di fronte a una richiesta di Athena. Ogni giorno che passa è sempre più insopportabile sostenere il confronto con il Saint di Sagitter.
E’ un lieve rumore di passi a riscuoterlo da quei pensieri, alza lo sguardo stupito e vede Marin muoversi verso di lui.
“Buongiorno nobile Aiolia”
“Buongiorno Marin” risponde sorridendo, prima di notare una piccola figura che cerca goffamente di nascondersi dietro la donna “Hai ricevuto notizie di Seiya?”
“Al monento ha intenzione di prendersi un periodo di meritato riposo”
“Tipico di lui”
La donna sorrise divertita sotto la maschera e replica:
“Dovresti essere più indulgente”
“Ma senti da che pulpito viene la predica, non sei forse stata tu...”
“E’ vero” mormora ricordando il passato
Il Saint trattiene un sospiro e la voglia di tornare alla Quinta Casa, si concentra invece sul bambino che lo sta fissando con grandi occhi sgranati e si rende conto che non è un bambino qualsiasi; è Enif, ricorda bene il loro incontro all’Arena e le parole che ha rivolto a Mu:
Io non ho mai insegnato niente a nessuno… Non saprei da dove cominciare… E poi, con un bambino…
Appunto, con un bambino: se non è mai stato capace di insegnare qualcosa, come può pensare di poter fare da maestro a un marmocchio della sua età?
Ma cos’è passato nella mente della divina Athena quando ha deciso di assegnargli un allievo?!
“Aiolia, ti presento il piccolo Enif” dice Marin lasciando la mano del piccolo
“Grazie” replica cercando di immaginare quale possa essere l’espressione della donna dietro la maschera
“E’ molto vivace...”
Anche questo...
Guarda negli occhi Enif e domanda:
“Sei pronto per diventare un Cavaliere di Athena?”
“Non lo so, non credo che potrei fare quello che fate voi” risponde il bambino con sincerità
“Cosa facciamo che ti spaventa?” chiede il Saint di Leo
“La guerra”
Lo sguardo sorpreso di Marin sotto la maschera è lo specchio di quello di Aiolia, che non può fare a meno di replicare:
“Ma i Cavalieri di Athena non fanno la guerra, si impegnano a mantenere la pace”
Enif scuote deciso la testa piena di capelli rossi come il sole al tramonto e ribatte:
“Ma se qualcuno cerca di fare del male voi lo uccidete, questo vuol dire fare la guerra. Io non credo che ci riuscirei... Penso che... Insomma vorrei parlare con quella persona, vorrei convincerlo a non fare più del male”
Congratulazioni, ho un allievo pacifista, sarebbe stato perfetto per Mu! Sarebbe stato perfetto per qualsiasi altro Saint, ma non per me. Io non volevo nessun allievo...
Il Cavaliere di Leo scaccia quel pensiero nei recessi della sua mente e si rivolge nuovamente al bambino:
“Coraggio, vieni con me. Arrivederci Marin”
“A presto” risponde la donna allontandosi
Aiolia non aggiunge altro e si dirige verso la Dodicesima Casa sentendo il rumore dei passi di Enif alle sue spalle, finchè non raggiungono la scalinata cosparsa dei petali delle rose di Aphrodite.
“Oh, che belle...”
“Sono contento che ti piacciano, ma è meglio non toccarle”
Il bambino alza lo sguardo e un’espressione stupita si dipinge sul suo viso:
“Ma quanti siete?” si lascia sfuggire
“Tredici” risponde il Saint sorridendo “Aiolia, complimenti per il tuo nuovo allievo: è così carino”
“Grazie” risponde cercando di ignorare l’ironia malcelata da Aphrodite “Enif, adesso andiamo”
“No voglio restare ancora qui” commenta concentrando la sua attenzione sul dodicesimo Cavaliere
I capelli biondi ricadono morbidamente sulle spalle, nascoste dall’armatura dorata, il viso dai tratti delicati è reso più interessante dai magnetici occhi azzurri che lo fissano con dolcezza.
Enif non crede di aver mai visto una persona più bella in tutta la sua vita.
“Come sei bello” si lascia sfuggire
Oh no, pensa Aiolia. Perché hai parlato?
“La bellezza è insita in ogni cosa che ci circonda...”
Ecco, adesso non lasceremo più la Dodicesima Casa...
Il Saint di Leo prova a non mostrarsi scortese e si rassegna ad attendere che Aphrodite finisca di parlare; magnanimamente il Cavaliere di Pisces scompiglia i capelli di Enif e mormora:
“Ora dovresti seguire il tuo maestro”
“Grazie”
“Dovere Aiolia”
“Perchè sento che ti stai divertendo?”
“Io? Andiamo, non potrei mai prendermi gioco del Saint di Leo in un modo così plateale” risponde cogliendo una rosa
Aiolia, sta calmo, non rispondere...
“Forza andiamo” dice prendendo Enif per mano.
“Potrò tornare?” domanda il bambino sorridendo “E’ così bello qui”
“No”
“Aiolia, non è il caso di essere tanto severo... Certo che potrai tornare, ogni volta che vorrai: a presto” mormora il Saint prima di entrare nella Casa di Pisces
Il Cavaliere di Leo si morde le labbra, reprimendo il desiderio di abbandonare Enif nelle mani di Aphrodite, e riprende a camminare sperando di raggiungere presto la Quinta Casa.
Ovviamente, per chissà quale beffardo volere del Fato, la sua volontà non si realizza.
L’aura fredda che pervade l’Undicesimo Tempio attira il bambino come le api col miele; Enif affretta il passo catapultandosi all’interno dell’edificio.
Aiolia lo rincorre intimandogli di fermarsi:
“Enif, dovresti chiedere il per...”
Un rumore secco interrompe il Cavaliere che guarda sconsolato il suo allievo.
Enif, a terra, scuote il capo confuso e sbatte più volte le palpebre cercando di capire cosa abbia bruscamente interrotto la sua corsa.
Rimane a bocca aperta nel vedere un uomo alto, con indosso un’altra armatura dorata, lunghi capelli rossi che ricadono sulle spalle e occhi color turchese che lo scrutano algidi.
Si sente rabbrividire e capisce che quel sentore gelido proviene dall’uomo davanti a lui. Sorride timidamente, ma il suo sorriso non viene ricambiato.
“Ahi...” mormora, allora, rialzandosi.
Camus fissa il nuovo arrivato in silenzio, studiandolo con attenzione, poi si rivolge verso il Saint di Leo e alza un sopracciglio con aria scettica.
“Immagino sia il tuo allievo”
Il bambino ruota lo sguardo dal Saint di Aquarius al suo maestro, non può fare a meno di notare quanto siano diversi.
“Immagini bene, Nobile Camus”
Se c’è del sarcasmo nella voce di Aiolia, Aquarius non coglie la provocazione. Rimane impassibile e torna a guardare Enif:
“Ricorda sempre di ascoltare il tuo maestro”
“S... sì...” mormora
Il Cavaliere si scosta e riprende a parlare:
“Potete passare”
Leo raggiunge Enif e lo sospinge con fermezza verso l’uscita della Casa. Una volta all’aperto, il bambino sente i raggi del sole accarezzargli la pelle e scacciare il gelo.
Si volta a guardare per un momento il Tempio e domanda:
“Perché fa così freddo là dentro?”
“E’ l’energia del Nobile Camus. Ogni Cavaliere, come potrai notare, ha una particolare energia che caratterizza anche la Casa che gli è stata assegnata”
Enif si volta, fissando negli occhi il suo maestro e chiede:
“Perché non sorride mai?”
Aiolia rimane in silenzio, spiazzato da quella domanda. Non si è mai chiesto perché Camus non sorrida ed ora che è costretto a pensarci non riesce a darsi risposta.
Per un momento è tentato dal liquidare la questione con un semplice “il Nobile Camus è fatto così” ma sa che non soddisferebbe il suo allievo. Men che meno potrebbe dirgli “bisognerebbe chiedere al Nobile Milo”... No, decisamente no.
“Andiamo, la strada per il Quinto Tempio è ancora lunga”
Enif lo segue in silenzio. Si chiede perché Aiolia non gli abbia risposto e decide che un giorno rivolgerà quella domanda allo stesso Aquarius.
Gradino dopo gradino, vede profilarsi davanti a sé un’altra Casa e questa volta sta attento a non affrettare il passo.
Lascia che Aiolia chieda e ottenga il permesso per passare e lo segue all’interno del Tempio, prima che la sua attenzione venga catturata da un altro Cavaliere.
“Enif...”
Il bambino non l’ascolta, rimane a guardare Shura incuriosito: è alto, imponente, i corti capelli contrastano con lo splendore dell’armatura che è diversa da quelle che ha visto fino a quel momento.
“Ma tu hai le corna!” esclama esterrefatto
Il Cavaliere di Leo desidera sprofondare sotto terra, Shura fissa il bambino con aria perplessa, inarcando un sopracciglio con aria scettica. Aiolia teme una reazione brusca, invece inaspettatamente il Saint si sfila l’elmo e si inginocchia porgendolo a Enif.
Il piccolo sfiora quello strano oggetto con aria incuriosita e domanda:
“A cosa serve?”
“E’ parte dell’armatura, serve a proteggermi durante un combattimento”
“Allora anche tu fai la guerra”
Shura guarda Aiolia sorpreso, il Cavaliere di Leo si affretta a prendere nuovamente il bambino per mano e lo conduce fuori dalla Decima Casa.
“Vediamo di non fermarci ad ogni Tempio per piacere”
“Ma è tutto così nuovo...”
“Mmh, Athena dammi la pazienza...”
Entrano nella Nona Casa, Enif si ferma incuriosito e la delusione si dipinge sul suo volto:
“Perché questa casa è vuota?”
“Il Cavaliere di Sagitter è in missione”
“Oh... Tu lo conosci?”
“E’ mio fratello maggiore”
“Davvero?” domanda sorpreso “Tu hai un fratello? Come si chiama, com’è fatto, co...”
“Ehi, una domanda alla volta” mormora sorridendo “Si chiama Aiolos, lo conoscerai molto presto, lui... E’ il migliore dei Cavalieri di Athena”
Lui è morto tanti anni fa, da quella notte è cambiata ogni cosa...
Enif percepisce un’ombra attraversare il viso di Aiolia, ha ancora molte domande da porgergli ma preferisce rimanere in silenzio e seguirlo fuori dal Tempio.
Gradino dopo gradino superano altre due case vuote e finalmente il bambino scorge altri due Saint, intenti a parlare.
“Non correre!”
Le parole di Aiolia non vengono ascoltate da Enif che inciampa e rischia di cadere a terra, solo la presa gentile ma salda di Shaka gli impedisce di cadere.
“Ti sei fatto male?”
“No... Che capelli lunghi che hai...”
“Ehilà micetto, è il tuo allievo?” domanda Milo sorridendo
“Lo vuoi per caso?” replica raggiungendoli
“Evitiamo di dare a Camus un altro bambino di cui occuparsi” commenta Shaka
“Come, cosa?!” esclama il cavaliere di Scorpio “Io non sono un bambino e poi cosa c’entra Camus in tutto questo discorso. Possibile che riusciate sempre e solo a parlare di lui?!”
“Ma senti chi parla...” replica Aiolia “Non mi dire che ti rechi all’Undicesima Casa solo per imparare a leggere”
Milo lo fulmina con lo sguardo, poi sorride ad Enif e mormora:
“Spero di rivederti presto”
Rimasti soli il Saint di Leo sente su di sé lo sguardo di Shaka.
“Credi che se la sia presa?”
“Milo non sa arrabbiarsi, la sua rabbia dura quanto un temporale. Prenditi cura del tuo allievo, ha l’argento vivo addosso”
Trattenendo un sospiro Aiolia riprende Enif per mano e finalmente raggiungono la Quinta Casa.
“Possiamo visitare anche le altre Case?” domanda il bambino entusiasta
“Assolutamente no” risponde Aiolia pensando al benvenuto che Death Mask avrebbe potuto riservare al suo allievo
“Perché il Cavaliere con la treccia ti ha chiamato micetto poco fa?”
“Il Caval... Ah, tu stai parlando del nobile Milo di Scorpio”
“A me non sembra nobile, non indossa nessuna corona”
Aiolia reprime il desiderio di tornare alla Tredicesima Casa e implorare Athena in ginocchio per affidare Enif a un altro maestro, si limita a esibire ciò che può assomigliare di più ad uno sguardo comprensivo e spiega:
“Nobile è il modo con cui un Saint si rivolge a un altro, lo imparerai presto”
Enif lo fissa in silenzio con i grandi occhi verdi, sembra poco convinto da quell’affermazione ma non dice niente.
“Vuoi visitare la Quinta Casa?”
“Ho fame”
“Benissimo, dimmi cosa ti piace”
“I dolci” risponde candidamente “Ma se non ce li hai non importa...”
Il Saint di Leo non può fare a meno di sorridere, e stavolta è un sorriso sincero. Per un istante quel bambino l’ha riportato indietro nel tempo, gli ha ricordato sé stesso quando cercava di circuire Aiolos che prontamente soddisfava le sue richieste fingendo di non aver capito le sue intenzioni.
“Andiamo a vedere, scommetto che un dolce lo troveremo”
“E poi torniamo dal Cavaliere con la treccia?”
“No”
Forse ha cantato vittoria troppo presto, il suo compito di maestro sarà più complicato di quello che pensa.





Quando la pineta è tornata buia e bagnata, la pioggia ha smesso di cadere e le sue lacrime si sono asciugate del tutto; Aiolos ha preso il bambino per una mano -fredda, umida, piccola- e l’ha portato fuori. Fuori dalla grotta, dalla foresta e poi fuori dal villaggio.
Nessuno ha fatto caso alla sua presenza, tutti parlavano di una luce bianca che aveva investito l’isola e si era spinta oltre l’orizzonte, fermando il temporale.
Nessuno sapeva che faccia avesse il demone. Neppure Tito lo aveva visto, accecato da quel chiarore aspro e totalizzante.
Quando la figura del Saint è emersa dall’oscurità ritrovata, l’uomo gli è corso incontro trafelato. Non gli ha domandato chi fosse il bambino con lui,  ma solo dove fosse il demone.
“È morto” ha risposto Aiolos.


Le pareti della nave ondeggiano con un movimento scostante e rude. C’è odore di muffa nella stiva, una macchia di umido divora le travi di legno del soffitto.
Aiolos sospira; quell’imbarcazione era l’unica che avrebbe attraccato al porto desolato del villaggio di lì a una settimana. E lui non voleva aspettare. Non a quel punto.
Con un movimento lieve si scosta i capelli dal volto, lasciando che il suo sguardo si posi sul bambino.
È seduto su una cassa a qualche metro da lui. Immobile e muto, così com’era sotto la pioggia. Lo sguardo vacuo ma sottile è sospeso nello spazio che li divide. È strano, pensa Aiolos, sembra perso in un qualche mondo invisibile eppure i suoi occhi sono concentrati e vigili.
“Rigel…” Lo chiama, pronunciando ogni sillaba del suo nome con attenzione, come per scoprirne l’effetto sulle labbra, nella voce.
Il bambino non si muove, ma il suo sguardo si posa su di lui.
“Mi chiedevo…” inizia il Saint con dolcezza “… mi chiedevo se ti interessasse sapere qualcosa su di me. Ad esempio…” inclina la testa su un lato “… il mio nome”
Nello sguardo di Rigel non prende corpo nessuna emozione.
 “Fuori dalla grotta, quell’uomo ti ha chiamato Aiolos” dice e la sua voce risuona è atona e pacata.
Aiolos rimane un poco interdetto, poi scrolla le spalle. “Sì, è il mio nome… Sono Aiolos”
Cala un silenzio pesante, il giovane Saint si ritrova a guardare quel bambino con un’insistenza che non ricorda di aver mai avuto. Ogni approccio di discorso cade nel nulla e anche quelli che gli sembrano i più sterili interessi, non si traducono in nessuna domanda.
Il bambino ha visto la sua armatura, sa che lo sta portando da qualche parte; ma non se ne interessa, come se la cosa non lo riguardasse.
Aiolos prende un respiro profondo, si appoggia alla parete dietro di lui e lascia che le sue dita sfiorino i bassorilievi dorati del cloth di Sagitter che ha di fronte.
“Sai cos’è questo?”
“ Il contenitore in cui hai riposto la tua armatura”
Il Saint si da mentalmente dello sciocco: se l’era tolta di fronte a lui, è ovvio che lo sappia.
“Si chiama cloth” spiega ugualmente. “Ce ne sono di diversi tipi, sai? Tanti quanti sono le armature”
Lo sguardo di Rigel non cambia.
“Un giorno ti potrebbe capitare di indossare una di queste armature…” continua il Saint“ Ed è bene che tu…”
“Perché?”
Quella domanda lo raggela. Lascia che i suoi occhi incontrino ancora quelli del bambino e li vede immersi nello stesso margine vacuo, tanto che è strano pensare di  non essersi immaginato quelle parole.
“Perché… chi possiede un Cosmo, spesso diviene proprietario di un’armatura… E viene insignito del titolo di Saint, giurando di combattere in nome della Dea Athena” carica le ultime parole di una certa enfasi, per testare la reazione del bambino; ma quando vede la sua espressione impassibile, si sente un po’stupido e infantile.
“Non ti interessa sapere queste cose, Rigel? Dove ti sto portando… Chi è la divina Athena… Sono cose che diverranno molto importanti per te, d’ora in avanti…”
Rigel sposta le mani di fianco alle cosce, puntellandole sulla cassa; poi il suo sguardo scivola in un punto imprecisato.
“Mi interessa sapere come ti devo chiamare”
Aiolos sgrana gli occhi, stupito “In che senso?… Il mio nome è Aiolos, pensav…”
Gli occhi di Rigel, così simili ai bagliori dorati delle sacre vestigia, si parano nei suoi, freddi come il metallo.
“Vesti un’un armatura d’oro” dice il bambino con decisione “Devi essere una persona importante, fra quelli come te”
Aiolos aggrotta le sopracciglia “Beh, sì, potremmo dire così…”
“Come ti chiamano gli altri?”
Ed è solo a quel punto che il ragazzo capisce. “Mi chiamano Nobile Aiolos di Sagitter” scandisce piano.
Il bambino china appena il capo all’indietro, in quello che potrebbe essere un gesto d’assenso.
“Nobile Aiolos ” ripete.
Aiolos scuote il capo, poggiando il gomito su un ginocchio. “Non sei costretto a chiamarmi così, non…”
“C’è qualcosa che vuoi sapere, Nobile Aiolos?”
Quella domanda rimane sospesa nell’aria rarefatta e pungente della stiva. Poi, il Saint sposta il suo sguardo in quello del bambino. Scorge una luce, seppur lontana e offuscata, farsi largo nei suoi occhi.
“ Dove sono i tuoi genitori?” Lo chiede così, a bruciapelo. La domanda che si era ripromesso di non fare. O al massimo di rivolgergli più avanti, con tutti i dovuto crismi, una volta arrivati al Santuario.
“Vivevano in un paese dall’altra parte di Gyaros” nessuna emozione, nessun tremore.
Aiolos deglutisce, sentendosi stranamente crudele, ma continua, come rapito da quelle risposte gelide. È come se il bambino gli chiedesse di mettere da parte tutto il resto e rivolgergli le domande che sente bruciare sulla lingua.
“Quand’è stata la prima volta che hai usato il Cosmo?”
“Davanti a loro, mesi fa”
Aiolos sa che dovrebbe fermarsi, ma non lo fa. Le sue labbra sembrano muoversi da sole e il suo cuore si fa pesante. “E cos’è successo?”
“Si sono spaventati e mi hanno chiesto di andarmene” Il volto di Rigel è marmoreo, lo dice senza nessuna particolare inflessione, con la stessa indifferenza con cui ha pronunciato tutte le altre parole.
Ma Aiolos ha il capo chino e non lo può vedere. Si morde il labbro inferiore e sussurra:
“Perdonami”
Silenzio. Poi, uno spostamento d’aria.
“Lo dici spesso”
Aiolos alza il volto e il bambino lo guarda chinando il capo su un lato.
“Anche sotto la pioggia…”
Il Saint socchiude gli occhi e sente il respiro farsi pesante, mentre quello sguardo si sposta su di lui, ma senza guardarlo veramente.
“Sì… io…”
“Saga…” Il bambino pronuncia quel nome in una frazione di secondo, e dalle sue labbra sembra prendere corpo un suono completamente diverso. “Saga… è la persona a cui chiedevi perdono?”
Aiolos spalanca la bocca, ma non dice niente. La voce gli rimane intrappolata in gola.
“… sì” è un sussurro roco che ricorda un rantolo, tutto quello che riesce a far uscire.
Il bambino, allora, abbassa gli occhi.
“Avevi pronunciato il suo nome, prima di usare il tuo Cosmo e indossare l’armatura”
“Io… avevo sentito la sua voce… Assieme a quel Cosmo che è esploso prima del tuo…”
Rigel rimane in silenzio e Aiolos prende un altro respiro prima di continuare.
“Lui è…”
“Una persona importante per te” conclude il bambino al suo posto.
Il Saint rimane interdetto per qualche istante, poi sorride. Il secondo sorriso, veramente sincero, che quel bambino è riuscito a fargli affiorare alle labbra.
“Sì… è così… E sai? Come ti ho già detto tu gli somigli molto… Sei un bambino molto sveglio per la tua età… esattamente come lo era lui… Mi lasciava sempre senza parole… proprio come riesci a fare tu…”
Rigel continua a fissare il pavimento, perso e allo stesso tempo attento.
“Ti rivolgi a me al maschile, ma dovresti farlo al femminile” dice con distrazione.
Aiolos sbatte le palpebre. Quelle parole hanno la leggerezza di una piuma, eppure il loro significato lo fa sprofondare “Cos… cosa?” chiede impacciato.
“Sono una femmina”
Il Saint di Sagitter spalanca gli occhi. “Ah… io, ecco…” Mentalmente si da dello stupido per non averlo capito prima ma allo stesso tempo, lasciando scorrere il suo sguardo imbarazzo su di lei, si domanda da cosa avrebbe dovuto capirlo.
“Io… ho dato per scontato che… Mi dispiace” conclude alla fine, boccheggiando.
Non si era mai trovato in una situazione simile. Tutti i bambini che aveva allenato, i futuri Gold Saints che avrebbero occupato le Dodici Case, erano maschi. Ma non poteva certo dire di non aver mai visto una bambina. La stessa Athena lo era -anche se forse troppo piccola-, e poi c’erano Marin e Shaina, e anche molte altre...
“Non hai nulla di cui dispiacersi, non capisco perché lo fai...”
Aiolos trasale, guardandola in tralice; sta per risponderle qualcosa ma si ferma. Scuote il capo, sconfitto.
Rigel è completamente diversa da qualunque bambino, maschio o femmina, che abbia mai incontrato. Forse neppure Saga reggerebbe il confronto.
“Perché non me lo hai detto prima?” chiede con una smorfia divertita.
“Tu non me lo hai chiesto”
“Certo, ma…” cerca le parole giuste e -di nuovo- non le trova “… Hai ragione” sbuffa in fine, sciogliendo la tensione del suo corpo.
Lascia scivolare il suo sguardo su di lei. Sul suo viso statuario e immobile. Sui suoi occhi abbassati, sulle spalle affogate nelle pieghe della maglia logora.
In Rigel ha avvertito il Cosmo di Gemini; lo stesso di Saga. Lo stesso di Kanon.
Sì, è così. La forza dei gemelli dalle immortali spoglie, è racchiusa in lei.
Eppure, a differenza di tutti coloro che l’avevano preceduta, Rigel è una femmina. La prima bambina a possedere un Cosmo dorato di cui Aiolos sia a consocenza.
Per un istante si chiede cosa diranno i suoi compagni, il Pontefice e la stessa Athena. Quali saranno le reazioni, i commenti. Ma poi scaccia qui futili pensieri, tornando a concentrarsi su di lei.
Sul dondolio della nave. Sul mare.
Su quel nome che sente sfioragli l’anima. Saga…
Si chiede cosa ne penserebbe lui, di quella bambina, e un sorriso gli affiora alle labbra.
Si immagina Rigel, all’ombra della Terza Casa, sotto lo sguardo marino di Saga. E il suo sorriso non può che allargarsi ancora di più.


Attorno alla nave, tra i flutti che si infrangono sulla prua, si muovono creature immortali. Alcuni hanno corpi impalpabili, leggeri come l’aria, del colore del mare e del cielo. Altri sono intessuti di stelle, di fuoco o di vento. Si agitano sul mondo, nello spazio; sussurrando di antiche guerre e rancori.
Aiolos non le vede, ma se lo facesse le chiamerebbe con l’appellativo che rivolge alla giovane donna dotata di un Cosmo leggendario, a cui ha giurato fedeltà.
Rigel le vede; ma non le chiama in nessun modo. Si nasconde ai loro sguardi. Ai loro richiami. Perché sa che per nessuna ragione al mondo deve lasciarsi scoprire.















*^*^*^*^*^*^

Abbiate pietà di noi. Tanta.
Possiamo discolparci solo per Enif, è una mina che vaga autonomamente. Il resto è colpa nostra… (*sguardi inquieti in direzione di Vega e Rigel*) Ma infondo, infondo non sono carini? (ç___ç)

Nel prossimo capitolo per la gioia di tutti (ma non la nostra) il Chrysos Synagein!! (Yesss!)

Ah, scrapheap_sama (ovvero metà dell’Impero) vi invita ad iscrivervi al Gold Saints Contest!… Più si è, meglio è!

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Capitolo 6
*** Cinque: Stelle ***


 

Cinque:
[Stelle]
 









 
Sguardi luminosi si aprono nel manto scuro del cielo. Una distesa di stelle, fulgide e irraggiungibili nel loro splendore. In confronto le luci artificiali di Atene, non sono altro che bagliori flebili avvolti dal buio, lontane, così  come lo è il resto del mondo.
Shion abbassa lo sguardo, tornando ad osservare l’Eclittica. Sul perimetro della Sala d’Oro si stagliano dodici colonne che sorreggono le statue dello Zodiaco. Le tenebre della notte si accalcano oltre il peristilio, cercando invano di insinuarsi in quel sacrario corroso dal tempo, ma ancora invalicabile.
Sono passati anni, secoli. I volti dei Saints che ora prendono posto di fronte alle colonne sono cambiati, ma in loro avverte lo stesso  nobile fulgore dei suoi vecchi compagni.
Tutto muta, e allo stesso tempo racchiude in sé la stessa essenza.
Shion guarda i giovani Cavalieri, inchinarsi al suo cospetto, vestiti delle loro armature d’oro.
Conosce i turbamenti dei loro animi.
La manifestazione di un altro Cosmo dorato, un timido abbraccio nella notte.
E ancora, il risuonare di un Cosmo del tutto simile a quello dei Saint di Gemini nella sua furia esplosiva.
Dopo anni e miracoli, il custode della Terza Casa torna a essere fonte di dubbi e inquietudini.
Ma Shion sa che stavolta sarà diverso.
Athena stessa ha letto l’animo di Saga, e in lui ha visto la luce di un Saint. Una luce corrosa dal dolore e dal senso di colpa, ma pur sempre degna di appartenere a Gemini.
L’animo di Saga ha trovato la stabilità grazie alle fede in Athena, come ha dimostrato durante la Guerra Sacra; eppure il rimorso straziante che lo lega ad Aiolos non gli da tregua. È stato quel sentimento a spingerlo a lasciare il Santuario.
Saga, il nobile Saga, non tollerava levarsi al pari del Cavaliere, dell’amico che lui stesso aveva condannato a morte.
Shion sa che i suoi rimpianti non riguardano il solo Aiolos, ma anche gli altri Saints coinvolti nel suo inganno, suo fratello Kanon, la divina Athena, e lui stesso. Un fardello difficile da sopportare, eppure ancora sostenibile.
È il tradimento nei confronti di Aiolos, l’amico al fianco del quale è cresciuto e ha lottato, a schiacciarlo più di ogni altra cosa. Forse perché lo stesso Aiolos, a differenza di Athena non ha saputo trovare le parole da rivolgergli, crogiolandosi nella paura di turbare il suo animo già provato.
Per un istante i suoi pensieri raggiungono un posto molto lontano e si sente rincuorato ricordando le parole che in quel momento Doko pronuncerebbe: deve avere pazienza, essere saggio ed equilibrato e aspettare un segno.
Prima o poi le stelle torneranno a parlargli, ne è sicuro. E’ solo questione di tempo.
Respira profondamente, sentendosi più vecchio di mille anni: tempo, maledetto tempo!
Sembra che non ce ne sia più di tempo, sente che qualcosa di imminente sta per avvenire ma non riesce a capire cosa sia...
Sii paziente, si ripete; e aspetta.
E prega che non sia troppo tardi.
 
 

Le fiamme fatue che illuminano il quadrante della meridiana di pietra sono quasi tutte accese. Il simbolo di Gemini sembra scomparire, inghiottito dal riverbero degli altri fuochi.
Kanon vorrebbe tornate indietro, rifugiarsi nelle ombre della Terza Casa, lasciandosi sopraffare dai ricordi.
Ma non può farlo. Non ora che quell’armatura d’oro lo inchioda al volere delle stelle.
Esita, quando scorge in lontananza le statue marmoree dello Zodiaco brillare nella notte.
I Cosmi dorati dei suoi compagni, lo richiamano in un invito che allo stesso tempo è un monito.
Ancora pochi passi e la sua ombra si staglia tra le alte colonne bianche dell’Eclittica, allungandosi come gli artigli di una belva sotto i riflessi delle fiaccole che bruciano attorno al pavimento marmoreo.
La sua attenzione viene richiamata dalla voce Aiolia, non molto distante da lui, che sembra stranamente impaziente.
“Non...”
“Ritrai gli artigli, micetto. Per una volta cerca di ragionare…”
Il Cavaliere di Leo guarda Milo e replica seccato:
“Senti da che pulpito viene la predica”
“Fossi in te non direi una parola”
Aiolia respira profondamente e segue lo sguardo dell’amico, mettendo a fuoco la figura di Kanon che si inchina di fronte al Pontefice in segno di rispetto.
“Finalmente sei arrivato” mormora accennandogli un saluto
Una domanda aleggia nell’aria: dov’è tuo fratello?
“Aiolos non è ancora arrivato?” replica volutamente
Il Cavaliere di Leo sorride e scuote la testa.
“Arriverà, ne sono certo”
Kanon non ribatte, anche se ha avvertito tutto il peso delle parole non dette da Aiolia: arriverà, lui non è come tuo fratello.
Trattiene la voglia di lasciare la Sala d’Oro e si concentra sulla figura del Pontefice; ma una presa decisa e gentile, si posa sugli spallacci dorati della sua armatura.
 “Non temere, arriverà anche lui…”  mormora Scorpio in un sussurro. Kanon grato, sta per ringraziarlo, quando una voce lo interrompe.
“Milo…”
Il Cavaliere dell’Ottava Casa si allontana, sempre pronto a raggiungere il proprietario di quel richiamo.
Kanon lo guarda parlare con Camus e sorride.
“Incredibile vero? Il Saint di Aquarius chiama e Milo risponde” commenta Leo, ironico.
“Mi sembra che sia sempre stato così...”  poi rimane in silenzio per un istante prima di continuare “Ad ogni modo ne sono certo: arriveranno entrambi”
Aiolia trattiene il desiderio di ribattere: sa che dopo tutto quello che è accaduto è segno di immaturità continuare a non dare fiducia a Saga, ma il pensiero di sapere il Cavaliere di Gemini così vicino al cuore di suo fratello lo infastidisce esattamente come quando era bambino.
Alza lo sguardo verso le stelle, cercando di trovare una risposta.
“Non credo che ci diranno qualcosa, questa notte”
Il Saint abbassa lo sguardo incrociando quello di Mu.
“Le stelle rimangono in silenzio da molto tempo”
“O forse parlano ma siamo noi a non capirle” replica Kanon rapito dal cielo.
Sente gli sguardi dei due Saints su di sé, ma non aggiunge altro, i suoi pensieri sono tutti per il fratello. Si sente schiacciato dal peso della responsabilità e dell’attesa.
In quel momento un’energia potente lo distoglie da quelle cupe riflessioni, rischiarando la notte come fosse il più luminoso degli astri. Non ha bisogno di chiedersi a chi appartenga, perciò segue lo sguardo del Pontefice e degli altri Saint mentre l’eco dei passi del Cavaliere più luminoso di Athena si fa sempre più vicino; finché l’esile figura di Aiolos resa ancora più nobile dall’alata armatura d’oro si mostra in tutto il suo splendore.
Aiolos china il capo, rivolgendo un silenzioso saluto al Pontefice.
Il Saint di Leo, lontano dal fratello, non può che soffermarsi ad osservare il suo volto fiero. Ricorda di aver presenziato ad un unico Chrysos Synagein prima di allora, qualche anno dopo la morte dello stesso Aiolos, e vederlo lì con lui ora, gli toglie il fiato. Ricordi lontani e dolorosi assalgono Leo, andando a mischiarsi agli ultimi istanti passati con il fratello ritrovato, eppure sempre più distante.
In quel vortice di pensieri, Aiolia avverte Mu farsi avanti per parlare a nome di tutti i Saints:
“Nobile Aiolos, bentornato. La tua presenza ci fa supporre che tu abbia portato a termine la missione affidatati dalla divina Athena… Eppure, ora, un altro mistero turba i nostri animi… La scorsa notte abbiamo avvertito  il Cosmo di Gemini esplodere...”
Il Saint di Sagitter fa un cenno col capo “Non temete: quel Cosmo non apparteneva al nobile Saga, ma al bambino che ho portato con me dall’isola di Gyaros”
Aphrodite di Pisces si fa avanti con la grazia che lo contraddistingue “Dunque… il Cosmo d’oro che avvertivamo è lo stesso che la scorsa notte ha sprigionato il potere di Gemini e si è espanso sino a raggiungere il Santuario…”
“Esattamente”
“Un bambino?!” esclama Tauros intervenendo con foga “Un bambino è il proprietario del Cosmo che abbiamo sentito ardere fino a questo momento?”
Aiolos lascia che i suoi occhi scivolino sui volti di tutti i suoi compagni, prima di rispondere.Vede un sincero stupore dipingersi negli occhi di suo fratello e di Aldebaran, uno scintillio di pressante interesse in quelli di Angelo e Milo, e dello stesso Aphrodite. 
Poi si sofferma sullo sguardo affilato e attento di Camus; su quello pensieroso di Shura, che abbassa il capo, faticando ancora a guardare in volto l’amico di cui fu l’ingenuo carnefice.
Raggiunge il volto di Shaka, indovinando un certo turbamento celato dalla sua espressione eternamente placida. Ritorna a Mu, infine, che lo osserva con silenziosa comprensione, e finisce con l’inciampare sullo sguardo magnetico di Kanon. Gli occhi del Cavaliere della Terza Casa, sembrano essersi fatti liquidi a quella sua affermazione, e Aiolos non può che scorgervi i profondi riflessi marini che illuminavano quelli di Saga.
Vorrebbe chiedergli di non guardarlo, non in quel modo. Perché vedere Kanon così simile nell’ aspetto a Saga, vestito dell’armatura di Gemini, gli procura un tuffo al cuore.
Sospira, distogliendo lo sguardo. Sa che ciò che sta per dire provocherà un certo scompiglio, ma non può esimersi dal farlo.
“Più che altro…” sussurra, fissando un punto imprecisato del cielo “… una bambina”
Lo dice quasi con distrazione, ma la sua affermazione non può che accendere un coro di brusii ed esclamazioni sorprese.
“Un femmina?” sibila Cancer contrito “Non si è mai sentito di un Gold Saint donna!”
Aiolos inchioda il Cavaliere con uno sguardo ferreo:
“Eppure, al pari di tutti voi, ho avvertito chiaramente il Cosmo di Gemini in lei”
“Nobile Aiolos” interviene prontamente Shaka “Nessuno vuole mettere in dubbio la tua parola, tuttavia è un caso più unico che raro che sia una bambina a possedere un Cosmo dorato”
Il Saint di Scorpio si fa avanti con aria scandalizzata ed esclama:
“Ma, nobile Aiolos, sei davvero sicuro che si tratti di una femmina?!”
Il gelo pervade l’Eclittica e nel silenzio più completo risuona la voce ironica di Aiolia:
“Fino a prova contraria mio fratello è in grado di distinguere un bambino da una bambina”
Milo sta per replicare, quando un’occhiata di Camus lo raggela.
Sono secoli di tradizione quelli che i dieci Cavalieri sentono messi in discussione. Per quanto ognuno riconosca il valore dei Saints donna che con stoico fervore combattono al loro fianco, celando i loro volti dietro a maschere impassibili; faticano a spiegarsi come un Cosmo d’oro, peculiarità dei Dodici Gold Saints, la più potente casta dei Cavalieri di Athena, possa manifestarsi in una donna che per conformazione fisica e attitudine è solitamente più debole e meno incline alla lotta di un uomo.
Ma il disegno delle stelle, così come le grandi imprese di cui qualunque essere umano può essere capace, non vanno mai messi in discussione; ed è con questo pensiero che  Mu di Aries prende la parola.
“Cavalieri se è davvero la bambina che il nobile Aiolos ha portato al Santuario a possedere il Cosmo di Gemini, allora verrà addestrata come un Gold Saint” dice, mettendo in luce un dogma che nessuno si sente di contraddire.
Poi, la voce del Pontefice, risuona nella Sala d’Oro. “Il Cavaliere di Aries ha parlato saggiamente… Lasciamo che sia la Divina Athena a giudicare la piccola. Piuttosto,  nobile Aiolos, io sono certo di aver sentito un altro Cosmo ardere…”
Il giovane Sagitter non trova le parole per replicare; anche lui lo ha avvertito chiaramente. Un Cosmo che gli era parso così simile al suo e aveva portato con sé la voce di Saga, la persona che ora, desidera vedere più di ogni altra cosa al mondo.
Ogni fibra del suo corpo soffre per il dolore della sua assenza, e trema al pensiero che il Saint di Gemini possa non presentarsi.
Il Cavaliere della Nona Casa legge negli sguardi dei suoi compagni il suo stesso dubbio.
E’ conscio del fatto che gran parte di loro è convinta che Saga non verrà, ma sa anche che nessuno osa parlare: forse per rispetto verso Kanon, verso il Pontefice... O verso di lui.
I suoi occhi si fermano a fissare quelli di Aiolia; conosce fin troppo bene il fuoco che arde nel  suo sguardo.
Avanti fratello, parla...
E il Saint di Leo non tradisce quella muta aspettativa:
“Arrivati a questo punto, credo sia inutile continuare ad aspettare...”
E’ Shaka, con tono pacato, a interromperlo e concludere per lui; forse per risparmiargli l’ingrato compito di ferire maggiormente il proprio fratello.
“Con tutto il rispetto, nobile Aiolos, nobile Kanon, Sommo Pontefice e voi tutti Cavalieri di Athena: anche se mi duole dirlo non abbiamo nessun motivo di credere che Saga di Gemini arriverà veramente”
Aiolos non è in grado di ribattere, sente che il Saint di Virgo ha colto nel segno svelando quella che è la sua paura più profonda. L’attesa di Saga lo sfianca, il pensiero di rivederlo assorbe ogni fibra del suo essere e l’idea che non arrivi lo getta in un abisso di disperazione.
Il Pontefice scivola silenzioso fra i Gold Saints ormai schierati sotto le statue che ne raffigurano  le costellazioni, per fermarsi al centro dell’Eclittica. Un’ultima volta, rivolge il suo sguardo invisibile all’orizzonte; poi la sua voce grave permea l’aria.
Ed è in quello stesso istante che lo sentono.
Un Cosmo dorato, nobile e sconfinato, dotato di una forza tale da disintegrare l’intera via lattea.
Un pesante mormorio pervade la sala. Kanon, sotto la statua dei due Gemelli celesti, non può che sorridere, sentendosi improvvisamente leggero.
Aiolos avverte i battiti del proprio cuore farsi più veloci e istintivamente lascia che il suo sguardo abbracci l’ingresso della Sala d’Oro, impaziente.
E come per magia, la figura di Saga privo della sua armatura, emerge nella notte simile a quella di un dio.
“Perdonate il ritardo”
 
 
 
Il corridoio, illuminato dalle luci fioche delle lampade ad olio, si staglia simile ad  un sentiero pallido tra le ombre delle colonne.
Vega muove qualche passo incerto nel Tempio, guardandosi attorno con circospezione.
Saga gli ha intimato di aspettarlo lì, in silenzio, e senza toccare nulla. Ma c’è un’atmosfera arcana in quel luogo, una sacralità che sembra appartenere al mito e allo stesso tempo sente famigliare.
Scrolla le spalle, confuso. Sta per lasciarsi scivolare contro una parete, quando nel buio del corridoio scorge la figura di un bambino .
È appoggiato ad una colonna con una staticità che ricorda quella delle statue, il volto congelato in un espressione che pare immutabile. Un’espressione che Vega non ha mai visto sul viso  di un suo coetaneo.
Che sia il possessore di un altro Cosmo? Si chiede con una punta di fastidio.
Non potendo trovare alcuna risposta gli si avvicina a passi lenti e cadenzati, ostentando un’aria di finta indifferenza.
“Ciao… Come ti chiami?” .
Il bambino continua a fissare i capitelli di fronte a lui con sguardo vuoto.
“Rigel” dice ed è strano credere che abbia parlato.
Vega lo guarda stranito, prova a volgere lo sguardo nella sua stessa direzione, stancandosi presto di osservare l’indefinito, poi domanda:
“Perché sei qui?”
“Per vedere la Dea Athena, mi hanno detto”
I timori di Vega trovano conferma. L’idea che all’improvviso ci sia qualcun altro di straordinario oltre a lui gli è difficile da accettare. Respira profondamente e riprende a parlare:
“Chi te l’ha detto?”
“Il Nobile Aiolos di Sagitter”
Un sorriso divertito si allarga sul volto di Vega. Aiolos di Sagitter, il migliore amico di Saga: niente affatto male come inizio.
“Quindi sarà il tuo maestro...”
L’espressione del bambino non cambia “Non lo so”
“Non sei di molte parole, vero?”
“Può darsi di no”
Vega conta fino a dieci alzando gli occhi al cielo: Nessuno, fino a quel momento, è riuscito a metterlo in difficoltà con le parole; eppure quello che Rigel dice, o meglio non dice, lo fa sentire uno stupido.
“Da dove vieni? Io provengo da Zante, è stato Saga di Gemini a trovarmi” mormora senza enfatizzare volontariamente il nome del Saint.
Rigel poggia il capo contro la colonna, rovesciandolo appena al’indietro.
“Vengo da Gyaros” spiega incolore.
“E...?”
Finalmente il bambino si volta verso di lui, ha occhi vacui eppure taglienti; non sembrano soffermarsi su Vega, ma piuttosto trapassarlo.
“Non c’è nessun E…
Vega si sente tremare, per un istante ha l’impressione che lo sguardo di Rigel possa scrutarlo sin dentro l’anima, ma la paura se ne va rapidamente lasciando il posto ad un sorriso sfacciato:
“Sono così insopportabile?”
Il bambino dai capelli neri, inarca appena un sopracciglio e l’altro accoglie quel gesto come una sorta di miracolo.
“Non ho detto questo”
Vega si passa una mano sugli occhi, combattuto fra il desiderio di andarsene e quello di scuotere Rigel per le spalle fino a ottenere una reazione, sempre ammesso che possa averne una.
Calcia un sassolino per sfogare il malumore e commenta:
“Sei veramente puntiglioso”
“Puntigliosa…”
“Come?”
“Sono una femmina”
“Aspetta un momento…” mormora Vega incredulo.
Fissa il bambino -o meglio la bambina- con attenzione, lasciando che il suo sguardo scivoli sul petto invisibile tra le pieghe della maglia scura, fino a scendere senza imbarazzo al cavallo dei pantaloni; ma il messaggio trasmesso dagli occhi è diverso da quello che Rigel gli ha comunicato.
Continua a osservarla per qualche minuto, prima di scuotere la testa:
“Se lo dici tu ci credo. Però ti assicuro che non sembra proprio… Insomma, se guardi me si capisce chiaramente che sono un maschio… Tu, invece… Beh, a capire che sei una femmina non ci sarei mai arrivato da solo!”
Rigel rimane in silenzio, come se quella frase non l’avesse neppure sentita. E lui si ritrova a sbuffare, puntellando le mani sui fianchi.
“Insomma, possibile che non ci sia nulla capace di scuoterti?! Ti ho appena detto che sembri un maschio e tu cosa fai? Niente! C’è tanta vita in te quanta ce n’è in quella colonna di marmo contro cui sei appoggiata!”
Dopo aver pronunciato quelle parole si morde la lingua, pentito. Non ha pensato che Rigel possa essere spaesata come lo è lui?
Con una buona dose di immaginazione si convince che sia possibile.
“Scusami, sono fatto così: spesso mi arrabbio per dei motivi futili. Se non vuoi dirmi nulla hai le tue buone ragioni...”
Rigel si stacca dalla colonna e fa qualche passo in avanti, rivolgendosi a lui con aria pacata ma distaccata
“C’è qualcosa in particolare che vuoi sapere?”
Vega le tende la mano, soddisfatto di aver ottenuto una piccola reazione, e domanda:
“Vuoi essere mia amica?”
La bambina socchiude gli occhi, chinando il capo su un lato. Il suo sguardo si sofferma sulla quella mano tesa, quasi fosse uno strano fenomeno da catalogare. Poi, allunga il braccio e gliel’afferra.
“Come vuoi”
Vega sospira, socchiudendo gli occhi: si aspettava un , magari accompagnato ad un pizzico di convinzione; ma in fondo quella risposta è sempre meglio di niente.
C’è qualcosa in Rigel che l’attira come una calamita: non sa cos’è ma vuole scoprire di cosa si tratta.
Anzi deve, prima che il tempo giochi a suo sfavore.
“Riuscirò a farti parlare, se decido di fare qualcosa nessuno può distogliermi dal mio obiettivo”
“Io parlo”
“Stento a crederti, tu sillabi” ribatte seccato
“Rispondo solamente alle tue domande”
“Sì, da questo punto di vista hai ragione...” resta in silenzio per un istante, prima di cambiare repentinamente discorso “Com’è Aiolos?”
“Forte…” Rigel fa una pausa come a riflettere su quello che sta per dire “…triste” aggiunge poi.
“Anche Saga è triste, è come se dovesse nascondere qualcosa...”
“Il Nobile Aiolos mi ha parlato di Saga…” sussurra la bambina con distrazione.
Vega sorride, un sorriso sottile: i suoi pensieri erano giusti. Quello che Saga ha fatto, qualsiasi cosa sia, deve riguardare da vicino Aiolos.
“Cosa ti ha detto?”
“Che gli deve chiedere perdono”
Vega la guarda stupito. Vorrebbe porle un’infinità di domande, ha bene in mente ciò che Saga gli ha raccontato sulla nave, ma non trova le parole giuste. Ha bisogno di raccogliere i pensieri, gli serve tempo.
La frustrazione lascia spazio al sollievo: in fondo di tempo ne ha quanto ne vuole.
 
 
 
Come guardi negli occhi chi hai ucciso?
Saga non sa rispondere a una simile domanda, e -forse- non sarà mai in grado di farlo.
Per questo lascia che il suo sguardo si soffermi solamente sul profilo celato del Pontefice.
Un guizzo veloce e obbligato in direzione di Kanon che lo osserva con un sorriso quasi irriverente, lo stesso che gli rivolgeva un tempo.
Sta attento, Saga, a non dare un più ampio respiro al proprio sguardo, così da non scivolare in fallo. Così da non doversi difendere dall’accecante bagliore di Sagitter, poco più in là.
Sa che è una triste mediazione, una trovata futile forse, irrispettosa nei confronti dello stesso Aiolos; ma non può che aggrapparsi a un simile stratagemma per riuscire a rimanere in quella Sala d’Oro. La stessa che, anni prima, aveva occupato in quanto usurpatore e traditore, nascondendosi dietro l’elmo del Pontefice.
La vista gli si annebbia e il mondo sembra sprofondare nello stesso abisso in cui lui stesso è precipitato; ma dura solo un istante.
Saga ha riflettuto attentamente e ha scelto. Ha scelto di tornare. Poiché questo è il volere di Athena e il suo dovere di Saint.
Tutto il resto è ombra e tale -fino a che sarà necessario- dovrà rimanere.
“Benvenuto Saga di Gemini…”
Il saluto carezzevole di Shion è una mano tesa tra quegli sguardi indagatori.
Il Pontefice, prima vittima del suo oscuro desiderio di potere, lo invita a prendere posto accanto al fratello, al cospetto della statua di Gemini.
Saga muove passi pesanti sotto il cielo stellato. Privo delle sacre vestigia, tra i suoi compagni dorati, si sente inadatto e nudo; ma non può che pensare a quanto sia perfetto Kanon, vestito dell’armatura di cui lui avverte la mancanza.
Guarda Kanon soltanto. Il fratello, il gemello da lui stesso imprigionato; primo fra tutti a scorgere la sua doppia natura. Eppure ancora in grado di sorridergli come se niente fosse accaduto.
Mentre copre la distanza che lo separa dalla statua di Gemini, ostenta un’imperscrutabilità che negli anni si è rivelata essere la sua migliore maschera.
Spera che nessuno noti il tremore della sua anima. L’inadeguatezza e lo smarrimento che sente pervaderlo. Forse li immagineranno, ma non vuole permettere che vedano.
Sarebbe come ammettere che nessuno degli sforzi compiuti per ritornare ad essere degno del titolo di Saint abbia valore.
Con questi pensieri raggiunge la statua di Gemini; ma passando al fianco di Aries, primo custode delle Dodici Case, non può che notare il suo sguardo comprensivo. Mu, come Kanon, gli sta sorridendo. Un sorriso sincero e limpido. E vedendolo, la determinazione di Saga si accende di nuovo vigore. 
Con sicurezza si schiera al fianco del gemello, al pari degli altri dodici Gold Saints.
La spalla coperta d’oro di Kanon sfiora gentilmente la sua, lasciandogli avvertire quel senso di completezza e gioia che prova nel sentirlo accanto a sé.
Bentornato al posto che ti spetta, fratello mio.
 


Lo sguardo di Aiolos segue i passi di Saga attraverso l’Eclittica, imprimendosi nell’anima ogni suo movimento. Sa che non lo guarderà. Che farà di tutto per non incrociare i suoi occhi; ma non può che comprenderlo.
Lo conosce abbastanza per immaginare cosa si agiti nel suo cuore.
Saga. Pelle di luna e mani d’eroe.
Il suo profilo sembra scolpito nel marmo, il volto algido di una statua dalle fattezze divine. Ma ai suoi occhi è sempre parso più di un semplice essere umano.
E ora la visione di lui è ancora più lontana e irreale.
È e non è lo stesso Saga che ricordava: il tempo ha sublimato la sua bellezza, rendendolo un uomo. Lui, invece, è rimasto ancora un ragazzino e questo lo fa sentire inadeguato: non desidera che gli occhi di Saga si posino su quel corpo ancora acerbo.
E’ grato all’armatura che lo protegge, celandolo al suo sguardo.
Sente il cuore battere più forte, teme che anche Saga possa avvertire quel suono cupo che rimbomba nella sua testa.
E poi arriva il dolore: sordo, bruciante. Come la rabbia che sente crescere dentro di sé.
Eri suo amico, avresti dovuto capire cosa albergava nel suo animo.
Avresti dovuto aiutarlo...
E’ colpa tua...
Aiolos abbassa per un momento lo sguardo.
E’ colpa tua...
In quel momento vorrebbe rinunciare a tutto, persino all’armatura che indossa, solo per avere un momento –ancora un momento- per dire le parole che sente bruciare sulle labbra.
Io non sono un eroe, non ho voluto io tutto questo onore che grava sulle mie spalle.
Non volevo dare vita al suo inferno.
Il tempo di formulare quel pensiero nella mente e sente un sapore amaro salirgli in bocca.
E’ un Saint devoto ad Athena, come può solo dar voce a quei sentimenti?
Alza di nuovo gli occhi color del cielo lasciandoli scivolare sulla figura di Saga, che ha ormai raggiunto Kanon, e lascia che ogni emozione sia nuovamente sopita.
Possiamo ricominciare da capo, Saga?
   
 
 
 
 
 
 
 
 
^*^*^*^*^*^
 
Non lasciatevi trarre in inganno, questo è un parto non un capitolo…
Ringraziamo F13 per le sue delucidazioni in tempo reale (datate circa un secolo fa) sui passati CS… Sapere che l’ultimo di cui si ha memoria (fonte Episode G) è stato più che altro un’incontro di lotta libera tra Death e Aiolia, ci ha dato il coraggio di portare avanti il nostro.
 
Detto questo, spieghiamo alcune cosette:
 - Uno: a nostro avviso non è che i Gold siano maschilisti, sono solo tradizionalisti e la notizia del sesso di Rigel li ha lasciati un po’ così: ?__?
Sappiamo che un ipotetico Gold donna fa questo effetto anche voi, ma approfondiremo la cosa con una certa vena critica. E speriamo di convincervi.
- Due: Kanon, avendo il Cosmo e le facoltà di un Saint di Gemini, ha sostituito il fratello in sua assenza. L’armatura appartiene comunque a Saga.
- Tre: Non essendoci fonti più precise riguardo a un CS, siamo andate un po’ ad istinto… Supponiamo che Athena non prenda parte alla “riunione” in quanto il tramite tra lei e i Saints è incarnato dal Pontefice stesso.
- Quattro: Non è che i Gold (Aiolia escluso) ce l’abbiano con Saga, lui si è riscattato pienamente durante la Guerra Sacra… Il problema è sorto nel momento in cui se ne è andato dal Santuario, perché -in fondo- lui era (è) un Saint con precisi doveri e la sua *sparizione* non è piaciuta molto.
- Cinque: Sì, Vega odierà Rigel. Profondamente.

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