Tentativi

di EmmaAlicia79
(/viewuser.php?uid=104354)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come incasinarsi la vita in due mosse ***
Capitolo 2: *** Panico ***



Capitolo 1
*** Come incasinarsi la vita in due mosse ***


“In generale, non sono brava nelle relazioni interpersonali, ma penso di aver acquisito una certa esperienza in questo campo con la mia famiglia. Dovendo mettere comunque in piazza ogni magagna della stessa, probabilmente faremmo una versione “extended” della trasmissione di Magalli. In un libro della Littizzetto ho letto un bellissimo proverbio che recita più o meno così: se tutti scendessero per strada e si scambiassero le loro croci, ognuno tornerebbe a casa con la propria. E’ comunque vero: in ogni famiglia, dove più, dove meno, ci sono i famosi “scheletri negli armadi”, non come a Wisteria lane, ma in certi casi ci avviciniamo.
Taccio dei casi in cui si lede la fisicità della persona coinvolta, ma per il resto non è che stiamo messi bene: la Sig.ra U. sembra rifiorita da quando il marito è morto: è una vedova felice e si è trovata anche lo spasimante, a 80 anni suonati (questo può dare adito a sospetti); la negoziante S. ha una sorella svanita che ogni tanto scappa di casa, e deve essere sorvegliata costantemente; le sorelle F. sono una più matta dell’altra, ma non lo danno a vedere.
Il fatto è che a volte non te lo puoi impedire, viene fuori da sé: la costante vicinanza con la persona o le persone in questione e i continui litigi, discussioni, urla, pianti e lacrime, fanno sì che la sopportazione scenda a livelli minimi e la saturazione sia invece al massimo, per cui o si scoppia (e qui le conseguenze sono molteplici) oppure, e questa forse è la soluzione migliore, si cambia aria. Cambiando aria, però, ci lasciamo dietro strascichi che forse non si possono rattoppare, coinvolgendo anche persone che c’entrano e non c’entrano…”

E qui Emma si fermò: si rese conto che di tutto quello che aveva in testa aveva fatto un gran minestrone e il risultato non era dei migliori. Il problema era mettere nero su bianco quello che sentiva, e non era facile: le parole hanno vita propria e se non le tieni a bada, se ne vanno per conto loro. Chiuse il pc con uno scatto e si alzò dalla sedia. L’intento di scrivere una sorta di diario per quella sera era sfumato. Non poteva farci niente: non riusciva a mettere giù quelle sensazioni così personali: scriverle sarebbe stato come confessarle al mondo, anche se non era quello lo scopo. Da sempre poi ad Emma succedeva che, se scriveva nei dettagli di qualche sensazione oppure di qualche sentimento, gli stessi sfumavano dal suo cuore, come se dalla penna o dalle dita potessero trasferirsi sullo schermo del computer o sulla carta e da lì non uscire più. Era sconcertante ed Emma, a volte, quando le succedeva qualcosa di positivo, per scongiurare questo rischio, anche se le prudevano le dita dalla voglia di scrivere, non lo faceva.
I sentimenti si appiattivano, le sensazioni sfumavano, si ritrovava svuotata, e non era assolutamente questo che voleva. In quel caso, però, la tentazione era stata troppo forte e ci aveva provato.
Raggiunse il frigorifero per prendersi una birra fresca nonostante non facesse eccessivamente caldo, anche se erano gli inizi di maggio. Era assetata. Era come se tutte le parole affannate che aveva buttato giù poco prima le avesse pronunciate e adesso avesse la gola secca. Controllò l’ora, erano appena le nove e mezzo. Si accese una sigaretta e pensò con un sorriso che rappresentava proprio l’immagine della quasi trentenne single del terzo millennio: pochi amici, impiegata in un lavoro che non le dava più emozioni ma in compenso molte ansie, automunita, single e sovrappeso.
Prese il cellulare, aprì lo sportellino e come al solito non c’erano messaggi per lei.
Per forza, le sue migliori amiche erano impegnate con i propri fidanzati ed era impensabile che stessero sempre a sua disposizione per ascoltare le sue lamentele. Inoltre, era un tipo molto timido, per cui se nessuno le chiedeva di parlare delle sue beghe, non era di certo lei a partire per prima. Sentì le chiavi nella porta: il suo coinquilino stava rientrando. Finalmente: qualcuno con cui scambiare due chiacchiere.
Gustavo era, secondo il parere di Emma, semplicemente un mito: aspetto fisico nella norma per un quarantenne “e qualcosa”, anzi, forse più in alto della media, dolce, simpatico, intelligente, molto caustico nei suoi commenti (tendenti a volte al pettegolezzo). Quella sera però era particolarmente nero.
“Ciao. Gus.”
“Oh Emma, ciao”
“Tutto bene?”
“Da Dio”, rispose, prendendo del prosciutto dal frigo.
“Non sembrerebbe, però. Che hai?”
“Niente, le solite beghe con Mariano”, farfugliò con una fetta di prosciutto in bocca.
“Non sembrano le solite, sembri particolarmente incazzato stasera”, disse Emma, accendendosi un’altra sigaretta e preparandosi ad ascoltare i problemi del suo amico con il suo ragazzo. Anche in questo, Emma si inseriva alla perfezione nel ritratto della single tipo del 2000: il suo amico, purtroppo per l’universo femminile, ma principalmente purtroppo per lei, era gay. Il suo ragazzo, Mariano, era il traino della coppia: quello che Mariano diceva, era legge, e Gustavo in genere ubbidiva come ipnotizzato. Quella sera, evidentemente, qualcosa era però andato storto.
“Il punto, con lo stronzo, è che o si fa quello che vuole lui, oppure si fa quello che vuole lui ugualmente…”
“Gus, però te l’avevo già fatto notare più di una volta: non è una novità…”
“Ah, sì? Me l’avevi già fatto notare? E quando? Non me ne ero accorto!”
“Gus…”
“Anche tu con i “te l’avevo detto”… Che palle! E’ possibile che tutti veniate fuori solo dopo con queste frasi? Non è che potreste insistere un po’ di più prima? Prima che mi crolli il mondo addosso…”
Porca miseria: crisi nera.
“Gus, cacchio, non è che ti posso legare alla sedia: hai quarant’anni “e qualcosa”, sei grande e vaccinato, e di queste cose te ne dovresti accorgere tu per primo: non sei un pischellino alle prime armi con l’amore… E comunque chi è anche che ti avrebbe sparato il  “Te l’avevo detto?” ”
“Nicola…”
“E da quand’è che ti confidi con tuo fratello? Dovevi essere proprio disperato…”
“L’ho incontrato nel locale dov’ero.. E comunque c’hai ragione pure tu, però lì per lì non è che te ne accorgi: l’amore non è né statistica né matematica, non è una scienza esatta: solo sbagliando si impara…”
“E nemmeno sempre.. Comunque, dai, dimmi che ti è successo…” chiese Emma schiacciando la sigaretta nel posacenere.
“Va bè… avevamo fissato di trovarci alla solita pizzeria per mangiare un boccone insieme, poi dovevamo rientrare ognuno a casa propria... Non voleva nessuna “distrazione”, lui, stasera. Lui domattina si alza presto…”
“Gus, non voglio avere la cronaca dei bioritimi di Mariano!”
“Che palle fai! Comunque, ci troviamo alla pizzeria, ci sediamo, ordiniamo, tutto nella norma, facciamo un brindisino, ad un certo punto lui fa: “Domenica siamo con Andrea e Valerio””
“E chi sono questi?”
“Due amici suoi… Comunque, il punto è che io gli avevo detto che domenica avrei lavorato, che era fondamentale per me, un po’ di soldi in più fanno sempre comodo, anche in vista della convivenza…”
Questo fatto della convivenza rattristava molto Emma: come avrebbe fatto senza gli sbalzi di umore di Gus, le sue paturnie e le sue chiacchiere? Praticamente, era come guardarsi allo specchio… Le sarebbe mancato però anche il suo sorriso, il suo affetto, e il suo appoggio nei momenti bui, che da quattro mesi che stava lì erano stati tanti, e altri ne sarebbero venuti… Senza contare che avrebbe dovuto trovare un altro coinquilino, ed era una scocciatura non da poco: un altro come Gustavo non lo avrebbe trovato più. Ma da come stava procedendo il racconto del ragazzo, il rischio convivenza tornava ad essere remoto…
“… E quindi glielo faccio presente” continuò Gustavo “ e lui sai che dice? “Va bè, prendi libero”, ma con un’aria, un’aria, Emma…”
“A presa di culo?”
“Appunto… Allora gli dico “Prendi libero una sega!”
“Gustavo!”
“Oh, così gli ho detto… Comunque, a quel punto, lui si incazza di brutto e comincia a dire che lui per me c’è sempre e io per lui mai, che sta facendo un sacco di sacrifici per noi e io sto sempre lì a lamentarmi, che per una volta potrei essere un po’ più elastico… Sì sì, ha detto proprio così: elastico.. A quel punto non ci ho visto più e gli ho vomitato addosso tutto quello che mi passava per la testa!”
“Oddio Gustavo, no..”
“Appunto… Insomma, gli ho detto che mi ero rotto, che non era vero un cazzo quello che aveva detto, che il culo per noi me lo sono sempre fatto io, che lui è Attila, dove passa lui non rimane nulla e che si deve sempre fare come dice lui e che io a quel punto ne avevo abbastanza! Mi sono alzato, ho preso il cappotto al volo e ho fatto per uscire… travolgendo mio fratello che era lì che aspettava un tavolo…”
“Ed è li che è partito il “te l’avevo detto”…”
“infatti… solo che me lo dice dopo due anni che me l’aveva detto… Sai, non sono Pico Della Mirandola, tendo a dimenticare le conversazioni dopo un paio di settimane che sono avvenute…”
“Scusa, e dopo due anni che non vi parlate l’unica cosa che ti dice è “Te l’avevo detto”?”
“Boh. Probabilmente essendo la pizzeria piccola ha assistito a tutta la scena da “dietro le quinte””
“Scusa, fammi capire… Tu ti alzi incazzato come una iena, travolgi tuo fratello e, invece di un “Scusa… Oh Nicola, ciao! Che bello vederti””Ciao Gustavo, come va?” o qualcosa del genere – non sono molto brava in drammaturgia -, lui come un oracolo ti spara quella frase?”
“Sì e anche con il tono di chi te lo fa cadere dall’alto… Non ho fatto in tempo a dire nulla prima perché è stato così repentino… E non gli ho dato il tempo di dire altro perché sono fuggito via dalla rabbia che mi era presa…”.
E qui, inaspettatamente, Gustavo si mise a piangere.
In quattro mesi che abitavano insieme, Emma l’aveva visto ubriaco, felice, entusiasta, oppure fuori dalla grazia di Dio, ma non gli era mai successo di vederlo piangere… Non era il gay da film, il tipo moooolto sensibile, fantastico arredatore di interni o stilista o pubblicitario o qualsiasi professione stereotipata affibbino ai gay nei film, cosa che nell’intento di rappresentarli li rende ancora più discriminati che mai. Gustavo era un uomo semplice, e se in quel momento stava piangendo voleva dire che la situazione era seria.
“Dai Gus, non fare così… Vedrai che fra un po’ Mariano ti chiama e sistemate tutto come sempre” disse Emma poco convinta, dato che, con tutta la buona volontà che ci poteva mettere, a lei Mariano proprio non piaceva…
Emma continuò nella sua concione abbracciando l’amico.
“Dai calmati, Mariano è così… E’ un po’ kapo ma è una brava persona, di sicuro si sta rendendo conto della cazzata che ha fatto e fra un po’ ti telefona e ti chiede scusa… Su, Gus, non piangere più…”.
Il pianto sommesso dell’amico era infatti diventato un singhiozzare disperato.
“Non è per lui che piango, Emy, cioè anche per lui…” spiegò Gustavo cercando di prendere fiato “Stavo piangendo per le parole di mio fratello…”.
“Vedrai che si sistema tutto anche con lui. Guarda, adesso ti preparo una camomilla doppia, anzi tripla, e me la bevo anch’io, così andiamo a letto e vediamo se in due riusciamo a dormire una notte intera… Nel caso, c’è sempre la Nutella come misura di emergenza!” esclamò Emma, strappando a Gustavo un debole sorriso fatto solo con le labbra, e non col cuore, ma era già qualcosa.
Nel silenzio che seguì, Emma preparò la camomilla fumando l’ennesima sigaretta, Gustavo andò a prepararsi per la notte e, quando la camomilla fu pronta, la sorbirono in silenzio in cucina, gustando la quiete dopo la tempesta e fumandosi uno spinello in due… Il fornitore ufficiale della famiglia era Gustavo che in quei momenti però controllava il cellulare ogni due minuti smanettandoci sopra. Emma lo lasciò fare, tanto… come aveva pensato prima? Era come guardarsi in uno specchio… Non se la sentiva perciò di stigmatizzare i comportamenti dell’amico, li riconosceva troppo come suoi…
Finita la camomilla e lo spinello, Gustavo disse che se ne andava a letto, perché gli era montato un mal di testa micidiale. Emma seguì l’esempio dell’amico non prima di aver fatto un altro tentativo con il computer, naturalmente andato a vuoto.
Per quella sera apparentemente Mariano non chiamò, anche se ad Emma sembrò di sentire nella notte una voce concitata provenire dalla stanza di Gustavo, ma probabilmente era solo immaginazione.
Prima di addormentarsi, Emma pensò che mai come quella sera aveva avuto prova che l’amore è veramente un sentimento universale: prescinde dal sesso delle persone e dal legame che le unisce: se davvero te lo deve mettere in quel posto, lo fa, e basta.


La mattina seguente Emma era in ufficio senza voglia di lavorare come da un anno le succedeva costantemente: come al solito, la tensione si tagliava col coltello: troppe pressioni interne, troppi problemi e soprattutto troppo lavoro e troppo poco personale per svolgerlo…
Durante la pausa pranzo, chiamò Gustavo per sapere se c’erano novità, e non ce n’erano. L’umore dell’amico era ai minimi storici: era fatalmente depresso… Emma cercò di rassicurarlo per quanto poté, poi tornò al lavoro. La giornata scorse lentissima, non le passava più… Appena riuscì a liberarsi, scappò a casa, decisa a preparare una cenetta terapeutica per l’amico.
Arrivata sotto il portone, si sentì chiamare, si voltò e si trovò davanti nientepopodimeno che il Sig. Mariano in persona, lo stronzo egoista che aveva fatto piangere il suo amico. L’atteggiamento di Emma nei suoi confronti in quel momento non era esattamente neutrale…
“Ciao Emma”
“Ciao Mariano” rispose Emma, nascondendo le chiavi in borsa, cercando di inviare un messaggio subliminale al nemico, in modo che capisse che LEI non l’avrebbe fatto di certo salire.
“Senti, c’è Gustavo in casa?”
“Ti ringrazio per avermi chiesto come va. Comunque, in caso te lo fossi scordato, il ragazzo di Gustavo sei TU, sei TU che dovresti sapere se c’è o non c’è, dato che in teoria dovresti passare la maggior parte del tuo preziosissimo tempo con lui,”chissà perché, con lui il “TE” toscano non le veniva “TU che dovresti dirlo a me, TU che stai investendo tutto su di voi, TU che…”
“Emma…”
“… Che c’è!” esclamò la ragazza , senza fiato.
“Lo so che ieri sera ho fatto una cazzata, so anche che Gustavo pensa che io mi senta superiore a lui, e inoltre so anche che – conoscendolo – Gustavo adesso starà controllando il cellulare ogni pochi minuti per vedere se gli ho scritto o se ha perso una mia chiamata…”
“Perché? Non l’hai fatto? So che fino alle una non è successo perché mi sono sentita con Gustavo, ma speravo, mi illudevo che perlomeno nel pomeriggio la coscienza ti rodesse almeno un po’ e che avresti alzato il culo per chiamarlo, per farti sentire!”
“Senti, ne dobbiamo discutere per forza in mezzo alla strada?”
“Sì, perché Primo: non ho intenzione di farti salire a prescindere; secondo: se ti facessi salire e Gustavo fosse in casa, scoppierebbe il finimondo; Terzo: non ti ho certo chiamato io, e quarto… non lo so, ma insomma, non voglio che tu salga!”
“In questo caso, perché non ne parliamo davanti ad un tè caldo?”
Freddino quel giorno faceva freddino, non c’erano altre vie di uscita, ché se Gustavo fosse rientrato in quel momento sarebbe stato un macello, per cui Emma accettò.
In un locale vicino, davanti ad un bel tè fumante, Emma chiese a Mariano il perché della sua comparsata.
“Capiscimi, Mariano, ti avrò visto sì e no cinque volte, stasera mi capiti fra capo e collo così, trattandomi come se fossimo amiconi, cosa che non siamo… La cosa mi è sembrata un tantino ipocrita… Tanto più che – te lo puoi immaginare – Gustavo sta da cani, e io non posso vederlo così”
“Hai ragione Emma, purtroppo sono un tipo impulsivo… Stavo girando con l’auto sotto casa vostra, per capire se avevo il coraggio di salire, ma non ce l’avevo….”
“Non hai detto che sei impulsivo?”
“Dipende dai frangenti…”
“Mah… Prosegui, su” lo esortò Emma un po’ impaziente, soffiando sul tè bollente e pregando di cavarsela presto: la speranza della cenetta per l’amico non era ancora svanita del tutto.
“insomma ti ho vista e ho avuto l’idea di parlare a te… Perché se avessi parlato a Gustavo, sarebbe andato tutto a puttane… E’ ancora troppo presto…”
“Troppo presto per cosa?”
“Troppo presto in generale: Per quanto tu sia di parte, lo sai bene che quando Gustavo è incazzato non ragiona…”
“A parte che Gustavo non è che è incazzato, è semplicemente molto triste e stanco, e comunque dovresti dire a lui quello che vuoi dire a me… Cos’è poi che mi vuoi dire?” lo esortò di nuovo Emma, guardando l’orologio, nel chiaro intento di far capire al belloccione lì davanti che l’ora era tarda.
“Voglio che tu chieda a Gustavo di sposarmi!” esclamò Mariano con tanto di sorriso Durbans stampato sulla faccia abbronzata.
Emma cadde dalle nuvole.
“Cioè… Scusa, fammi capire bene… Ieri sera litigate, Gustavo se ne va di corsa, prendendo di striscio suo fratello, l’avrai visto… Non lo chiami per tutto il giorno, ieri sera poi gli hai detto cose terribili, e adesso lo vuoi sposare?”
“Sì”
“Come sì!” esclamò Emma ormai esasperata. “Sentimi bene: se vuoi prendere per il culo lui, liberissimo, a me dispiace un casino ma in fondo sono fatti vostri, che tu poi venga però a prendere per il culo me mi pare un tantino eccessivo! Dov’è poi che lo sposeresti, in Spagna?” chiese Emma sarcastica.
“Sì” Di nuovo quel “sì!” serissimo che deve aver mandato in bestia Gustavo più di una volta.
“Ascolta Mariano” disse Emma calmissima ormai prossima a saltargli al collo per definire il problema una volta per tutte “parliamone seriamente. Poniamo che io davvero faccia da Cupida per voi due, glielo dico, poi cosa pensi che succeda? Lui ci crede, va in estasi, organizzate tutto e, alla prima telefonata di lavoro che ricevi mandi tutto all’aria dicendo che sarà per un’altra volta, perché sarà così che succederà, sai? Gli attori sono diversi, ma è un film che ho già visto!”
“Non succederà!”
“Ah, no?”
“No, perché ieri per la prima volta ho avuto paura di perderlo per le mie stronzate. Se ieri sera ti sembrava che guardasse il cellulare per vedere se l’avevo chiamato, ti faccio presente che stava solo rifiutando la anzi le mie telefonate (sai, il ragazzo mette la vibrazione quando non vuole essere disturbato). Sul tardi, poi, sono riuscito a parlarci, ma mi ha praticamente attaccato in faccia. Non era mai successo prima: doveva essere proprio stufo! E adesso che non lo chiamo avrà certamente il cellulare fisso in mano”
“Quindi, l’hai chiamato fino a ieri sera ed oggi mai: perché?”
“Perché avevo deciso che era meglio parlargli di persona”
“E dopo che hai fatto questa bella pensata, sei diventato irreperibile”
“Sì, ero venuto per parlargli, poi però ho incontrato te…”
“E hai pensato bene di mollare la patata bollente alla sottoscritta! Ma lo sai che sei un bel pezzo di…”
“Emma, per favore, non essere volgare!”
Emma non ne poteva più.
“Parlo come mi pare, tesoruccio! A parte questo, tu aspetti di scatenare ‘sto casino prima di renderti conto che Gustavo è l’uomo della tua vita? Stammi a sentire, bello mio, non puoi pretendere di comandare anche in questo caso. Tiri la corda fino a farla consumare e poi pensi a ripararla quando è già rotta? Con un exploit degno di Raffaella Carrà pensi di sistemare tutto in una volta? Quando sareste stati in Spagna, se andava bene lo sposavi e poi lo mollavi lì mentre tu ti facevi tutta la movida madrileña o catalana o quel che sarebbe stato, oppure tornavi di volata in Italia per una qualsiasi cacchio di emergenza al lavoro? Te” finalmente le era uscito il “TE” “personalmente non ti conosco, ma un altro come te l’ho conosciuto bene… la vostra vita è il lavoro, non avete altro che quello… poveretti voi, aggiungerei. Comunque, io glielo dico, a Gustavo, ma a modo mio; non puoi chiedere altro, mi spiace. E grazie per il tè” concluse Emma alzandosi lasciandogli il conto da pagare, tanto i soldi gli uscivano dalle orecchie.
Mentre camminava furiosa, un pensiero però le balzò alla testa: avrebbe dovuto litigare più spesso con Mariano: non era mai stata così spigliata prima di allora.
La cena ormai era andata, il tempo per un aperitivo veloce e casalingo c’era, però. Emma decise di parlare a Gustavo mentre si bevevano un Coca e Martini sul divano. Più Martini che Coca, a dirla tutta: un po’ d’alcool in più in quel frangente non ci stava comunque male.
Emma si impappinò più volte, perché in fondo un po’ si vergognava della sfuriata fatta a Mariano, ma Gustavo la stette ad ascoltare in silenzio mentre beveva il cocktail. Era tornato tardi dal lavoro, ed era esausto, ma Emma non ne poteva più e al primo momento buono lo placcò. Appena finito di parlare, Emma si tirò indietro sul divano e attese che l’Uomo Del Monte Gustavo si pronunciasse. Era lei confusa per prima, non sapeva quali reazioni avrebbe avuto l’amico, se si sarebbe incazzato con lei o con Mariano. Con Gustavo non si poteva mai dire. Era proprio un bell’uomo, non nel senso classico del termine, ma aveva un profilo volitivo, e la testa rasata e la barba incolta gli davano un aspetto vissuto. Emma non sapeva dire se era innamorata di quel tizio, se era solo affetto fraterno o che altro: il sentimento era strano, si sorprendeva ad osservarlo mentre leggeva il giornale o mentre si preparava da mangiare e provava un misto di tenerezza e qualcos’altro.
“Emma, è tutto?” chiese Gustavo insolitamente pensieroso.
“Sì, Gus, è tutto. Prima che tu parli, però ti devo chiedere scusa in anticipo per avere fatto il grillo parlante versione incazzata con Mariano. Dopotutto, non me l’avevi chiesto. Solo, e perdonami se te lo dico di nuovo, mi è sembrato così arrogante e così egoista, che lì per lì mi sono messa nei tuoi panni ed ho reagito a modo mio, cioè nemmeno poi tanto a modo mio, ma insomma…”
“Che vuoi dire?”
“Lascia stare, ora non importa… Piuttosto, dimmi che ne pensi, sempre che tu voglia dirmelo…” sussurrò Emma.
“Emy, Emy… Se non ne parlo con te, con chi ne devo parlare?” disse Gustavo prendendole il mento tra il pollice e l’indice e scuotendole leggermente la testa.
“Non so, non sei obbligato…” rispose Emma, un po’ turbata.
“Tranquilla, se non ne volessi parlare non lo farei… Tipico di Mariano, cercare di sistemare tutto con un coup de theatre così. Non mi sarei aspettato niente di meno da lui, ma adesso mi ha proprio stufato”
“Eh?” disse Emma incredula. In fondo, aveva pensato che Gustavo, dopo una proposta del genere, sarebbe corso tra le braccia di Mariano.
“Sì, Emma, sono stufo marcio di questa situazione. La nostra storia procede sempre così: una battuta di arresto, la crisi, la clamorosa riconciliazione, e poi di nuovo il tran tran quotidiano fino alla litigata successiva sempre ad opera sua. Non voglio più niente del genere, voglio stare tranquillo, e basta”
“… E quindi?”
“E quindi domani lo chiamo, ci vediamo e lo mollo”
Emma rimase in silenzio per un po’: non sapeva cosa rispondere, e se effettivamente c’era qualcosa a cui rispondere: si sentiva parte di un gioco a cui non aveva voluto giocare, ma ci si era trovata tirata dentro da quel mollusco di Mariano e non aveva fatto altro che seguire il suo cuore.
“Gus…” mormorò Emma mettendo una mano sulla spalla dell’amico.
“Grazie di tutto, Emy” disse Gustavo alzandosi “Sono stanco, perdonami se non ceno ma domani sarà una giornata campale e vorrei dormire un po’. Buonanotte”
“Buonanotte, Gus, e scusami”
“Scusarti di che? Dormi serena, piccola”
Emma andò a letto con il famoso “ovosodo” del film, che non andava né su né giù. In quel momento si sentiva in parte responsabile della decisione di Gustavo. Appena prima di prendere sonno però si era autoassolta da ogni possibile accusa: se Gustavo aveva preso quella decisione, di sicuro ci stava meditando già da un po’.

Il giorno successivo Emma in ufficio fu sbadata e sprecisa, tanto che si beccò una ramanzina dal capo. La notte precedente si era perdonata il suo comportamento, ma alla luce del giorno non era più così tanto convinta. Da qualunque parte la rigirasse, sentiva che c’era il suo zampino nella decisione di Gustavo. Appena uscita dal lavoro, lo chiamò subito per cercare di rimediare, non si sapeva precisamente a cosa.
“Gus? Sono io”
“Ehi!” la voce sembrava tranquilla.
“Senti, ci ho rimuginato e credo che tu debba pensarci su ancora un po’…”
“Emma, te l’ho detto: non ne posso più, e non ti devi sentire in colpa se me ne sono accorto dopo una vita”
“Gus, non è questo, è che… Mentre ti raccontavo, ho un po’ gonfiato la cosa…”
“Scemotta che sei, me ne ero accorto da solo! Ho comunque colto il senso di tutto; tranquilla, non hai nessuna responsabilità, semplicemente “qualcuno” ti ha fatto versare nel vaso la goccia che lo ha fatto traboccare. Se ti può consolare, ti prometto che se capita a te, farò altrettanto!”
“Allora segnatelo sull’agenda, Signor Pico Della Mirandola, perché non credo che succederà tanto presto, purtroppo!”
“Sei tremenda! Mi sa che stasera non ci vediamo, ho fissato con Mariano, mi cambio qua e vado direttamente.”
“Non voglio sapere cosa vi siete detti al telefono, ma sappi che ti aspetterò in piedi!”
“Non pensarci neanche, stupida! Dormi che ne riparliamo domani”
“Ma…”
“Niente MA né PERÓ, quando torno voglio vederti a letto!”
“Ok, mammina: chiedimi se ho messo la maglia di lana…”
“Ciao, cretinetta”
“Ciao, Gus”
Emma era un po’ più tranquilla: il Gustavo che aveva sentito al telefono non era il Gustavo scanzonato di sempre, nonostante le parole allegre, ma non era nemmeno il Gustavo prostrato della sera fatidica, e di questo Emma si rallegrò.
Nonostante le raccomandazioni dell’amico, Emma non riusciva a prendere sonno. Alle due e mezzo si alzò per fumarsi una sigaretta, per vedere se il nervosismo si placava un poco, e vide che Gustavo ancora non era rientrato. Da una parte sperava nella “clamorosa riconciliazione”, come l’aveva chiamata lui, dall’altra sperava che Gustavo avesse chiuso una volta per tutte con quel bastardo; purtroppo, non lo si poteva definire altrimenti.
Tornò a letto, si rigirò un sacco di volte, aveva perso la cognizione del tempo; ad un certo punto, sentì le chiavi nella toppa della porta. Prudentemente, spiò dallo stipite di camera sua prima eventualmente di palesarsi, per capire più o meno come era andata dall’atteggiamento dell’amico. Appena Gustavo accese la luce nella sua stanza e il suo viso si illuminò, Emma rimase perplessa. La faccia di Gustavo era come assente, non esprimeva emozioni: era come se fosse tornato in quel momento dal lavoro e stesse per andare a farsi la doccia o in salotto a leggere o qualsiasi altra cosa facesse quando la situazione era, per così dire, tranquilla. C’era senz’altro qualcosa che non andava: non era normale in Gustavo. Con lui le opzioni erano due: poteva essere euforico o disperato, ma distaccato, quello mai.
Questo pensiero fece uscire Emma dal suo nascondiglio.
“Gustavo…”
“Ti avevo detto di non aspettarmi…” disse l’uomo con voce incolore; ecco cos’era: era ubriaco. In Gustavo, funzionava al contrario che con il resto del mondo: a lui la sbornia provocava una sensazione di vacuità, lo placava, e non provocava euforia né gli ispirava gesti impulsivi né depressione profonda.
“Ero andata a letto, ma non riuscivo ad addormentarmi, e poi quando ci stavo riuscendo sei arrivato te, e…”
“Scusami per aver disturbato il tuo sonno” rispose Gustavo appendendo la giacca nell’armadio.
“Oh, Gus, lo sai che non è questo che volevo dire… Ti va di raccontarmi com’è andata?” chiese Emma avvicinandosi a lui ed entrando nel fascio di luce.
“No, Emma non mi va” sospirò Gustavo togliendosi la scarpe.
“Porco Giuda, Gustavo, ti vuoi fermare un minuto ed ascoltarmi?” Gustavo continuò a spogliarsi “Oggi mi dici che non ci sono problemi, che non sono responsabile della tua decisione, e adesso mi tratti come se ce l’avessi a morte con me!” Gustavo si fermò, alzò gli occhi e fissò i suoi. Nessuna parola, niente in più, semplicemente l’attirò a sé e la baciò. Sul momento, Emma rimase di sasso: era l’ultima cosa che si aspettava da chiunque in generale in quel periodo, ma da lui in particolare e in quel momento. Il suo secondo, immediato pensiero, però, fu che l’aveva sempre desiderato e si lasciò andare a quel bacio. Gustavo baciava normalmente, niente di trascendentale, ma era però la passione che ci metteva a renderlo tremendamente eccitante. Il bacio di Gustavo si trasferì poi sul viso e sul collo di Emma, la quale rispondeva alle sollecitazioni come doveva. Anche le mani di Gustavo cominciarono a muoversi sul corpo di lei, accarezzandola, leggere ma decise. Emma abbracciò le spalle forti di Gustavo, e gli tirò via la maglia, facendolo rimanere a torso nudo. Ben presto anche gli indumenti di Emma andarono a tenerle compagnia. Il ritmo stava crescendo, la temperatura nella stanza era salita alle stelle, i due non si rendevano più conto di niente, erano un’unica entità. Come se levitassero, si trovarono senza saperlo praticamente nudi sul letto di lui. La luna salutò questa coppia anomala facendo capolino ironica da una nuvola mentre sotto di lei due persone stavano facendo semplicemente l’amore, in qualsiasi forma lo si volesse intendere.



Eccoci qua... Primo capitolo... Ossignur, sono emozionatissima: è la prima volta che questa storia vede la luce "in pubblico", e sono terrorizzata dall'impressione che farà... Come specificato nell'introduzione generale della storia, qui su EFP ho pubblicato solo fanfiction e quindi questo è una specie di salto nel vuoto...  Non ho mai bazzicato il "reparto originali" del sito e non so quali siano le aspettative di lettori e lettrici. Spero che come inizio vi sia piaciuto e che lasciate un segno del vostro passaggio, soprattutto per farmi capire cosa ne pensate... Come detto, è una storia vecchia, tante cose sono cambiate nel frattempo, quindi mi fa un po' strano pubblicarla... Insomma, fatemi sapere ^_^! *** ANSIA ***

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Panico ***


Gustavo ed Emma si erano conosciuti circa due anni prima in palestra. Emma stava facendo il suo giro annuale di lezioni gratuite che tutte le strutture offrono agli inizi dei corsi per promuoverli. Esiste un tipo di persone che, per non spendere un centesimo, sfrutta questo periodo di intense offerte per fare un po’ di movimento “a gratis”. Emma, e non se ne vergognava affatto, era una di queste. Diceva sempre: “Con tutti i soldi che ci spillano, se non truffiamo un po’ anche noi, ci levano anche le mutande!”. Non faceva una piega…
Nella palestra in questione promuovevano in gran pompa un corso di kick boxing. Emma voleva provare perché le ispirava questo fatto della donna guerriera, dell’autodifesa e quant’altro (probabilmente stava facendo un mash up di più discipline orientali, ma non stiamo a sottilizzare: è l’entusiasmo che conta…). Alla reception le dissero che il corso stava giusto per iniziare, se voleva rimanere per dare un’occhiata…
Emma decise di rimanere, e in effetti per rimanere rimase, ma rimase anche estremamente affascinata dall’insegnante: un uomo adulto (per lei, gli uomini “adulti” erano quelli oltre i 35 anni e la sua stima l’aveva fatta bene), faccia non bella ma interessante, vissuta, testa rasata, fisico asciutto, non eccessivamente pompato, e sguardo molto penetrante. Niente di vistoso, pensò tra sé Emma, ma molto, molto interessante.

Emma comunque si concentrò anche sulla lezione e vide che procedeva spedita ma precisa, il maestro non perdeva un movimento degli allievi, e li correggeva dove sbagliavano, ma senza parlare. Spostava loro le braccia o le gambe nella posizione corretta, ma senza profferire parola. Si udiva solo la musica, vagamente stile New Age (ululati di cani, canne al vento fruscianti e rumori simili), che in una situazione cosiddetta “normale” avrebbe fatto venire sonno, o peggio, istigato al suicidio, ma in quel contesto, non si sapeva come, stimolava la concentrazione. Di contorno alla musica, si sentivano anche gli spostamenti d’aria che producevano gli allievi con i loro movimenti repentini, e i loro sospiri affannati. Infatti, stavano disputando dei mini-match a coppie, nel silenzio più completo. I loro movimenti, benché energici avevano comunque una certa grazia se osservati nel relativo ambito. Ogni movimento di uno era al tempo stesso conseguenza di un movimento precedente e causa di quello successivo dell’avversario, in un divenire molto affascinante. Questa l’impressione di Emma, che era ancora più decisa a provare a seguire una lezione, non solo per la disciplina, ma anche e soprattutto per il maestro.

Dato che era in giro per palestre per approfittare delle lezioni gratuite aveva con sé una borsa col necessario e si preparò nello spogliatoio con l’intento di seguire la lezione successiva. Si avvicinò alla stanza dove si svolgeva il corso e, timida com’era, non sapeva dove mettersi per non essere notata. Gli inconvenienti del voler per forza approfittare delle lezioni gratis…
Ad un certo punto, si sentì apostrofare da dietro:
“Ciao, sei qui per la lezione di prova?”
Si voltò e… Non ci poteva credere: era il maestro in persona che le rivolgeva la parola, la qual cosa la mandò nel pallone più totale!
“Sì, cioè… ero venuta sì, per questo, per il kick, poi ho anche visto la lezione precedente, mi è piaciuta e… insomma, eccomi qua!” Ce l’aveva fatta, aveva pronunciato una frase di senso compiuto e senza impappinarsi più di tanto.
“È la prima volta che pratichi kick boxing?”
“Sì…” rispose Emma sognante: il maestro aveva una bella voce: non limpida, ma bassa e roca, insomma, sensualissima!
“Allora, scusami, ma non puoi partecipare a questa lezione, è di livello avanzato: se fosse stata una lezione per principianti ti avrei rimediato un paio di fascette e dei guantoni, ma così no, è troppo pericoloso… Mi dispiace.”
Ma come?!?!? Era o non era una lezione gratuita?!?!? Se qualcuno si presentava non potevano certo mandarlo via… o sì? Ad ogni modo, ricordando i colpi energici della lezione precedente, Emma chiese:
“Quale livello era la lezione precedente?”
“Intermedio…”
Il maestro aveva assolutamente ragione: se al livello intermedio si tiravano quelle botte, al livello avanzato doveva essere una cosa tipo “Walker Texas Ranger”…
Emma decise quindi di non insistere, ma al pensiero di andarsene e non vedere più il maestro le venne un groppo in gola.
“Posso restare a guardare comunque?” chiese.
Il maestro le rivolse un sorriso decisamente amichevole “Certo che sì, guardare non è proibito…” e si avviò verso gli allievi che stavano arrivando per la lezione.
Emma lo guardò, e anche da dietro prometteva bene…
A prescindere dal maestro, la lezione le piacque e si segnò al corso, anche perché si svolgeva in un orario decente per i suoi ritmi lavorativi.
Il maestro si rivelò essere Gustavo, ma Emma non aveva ancora idea dell’orientamento sessuale del suo non ancora amico maestro di kick boxing.
Il corso, o meglio, Emma in quella palestra durò due mesi: non era fatta per darle: le prendeva e basta e dopo le lezioni arrivava a casa tutta pesta… e pagava, anche!
L’avventura nel kick boxing dopo sessanta giorni era quindi arrivata al capolinea, ma non il suo rapporto con Gustavo, che si era evoluto da semplice conoscenza ad una promettente amicizia.
Da inguaribile romantica qual era, Emma immaginava Gustavo che la aspettava sotto casa con un fascio di rose in mano, innamorato perso le dichiarava il suo amore e le chiedeva di sposarlo.
Ma, nonostante le fantasticherie, Emma non era innamorata di Gustavo: lo vedeva sfuggente, intuiva che c’era un lato della sua vita che Gustavo teneva ben nascosto, perlomeno a lei, e questo non avere le idee chiare le rendeva difficile innamorarsi di lui. In certi momenti era davvero molto spaesata: ad esempio, quando erano insieme e riceveva telefonate contraddistinte da una suoneria particolare si allontanava da lei con espressione colpevole lasciandola come una fessa in mezzo alla strada. Dopo pochi minuti si ripresentava col sorriso sulle labbra come se niente fosse successo.
Altre volte, se magari era uscito la sera precedente, aveva lo sguardo “all’orizzonte”, come diceva Emma, cioè non era concentrato sul momento presente, ma su qualche sua fantasia. Per carità, succedeva anche a lei, ma in presenza di altri aveva quantomeno la decenza di portare avanti la conversazione.
Decisamente, pensava Emma, ha una relazione…
Quanto aveva ragione! Anche se si sbagliava completamente sul sesso dell’altra persona…
Una sera, Emma doveva passare a prenderlo sotto casa sua, perché nella zona dove Gustavo viveva in affitto durante la notte ci sarebbe stata la pulizia stradale e lui quindi non poteva prendere l’auto. Emma decise di anticipare il suo arrivo di una decina di minuti: stranamente, era più che puntuale e per una volta voleva stupire l’amico con un arrivo in anticipo sui tempi.
Arrivò sotto casa di Gustavo ed i parcheggi erano quasi tutti liberi in previsione della pulizia notturna.
Si piazzò una decina di metri più indietro rispetto al portone di Gustavo, decisa a fargli una sorpresa. Emma fece appena in tempo a spengere il motore ed i fari che il portone si aprì e ne uscirono Gustavo ed un altro uomo (che poi si sarebbe rivelato essere Mariano), poco più giovane di lui. I due ridevano insieme e si fermarono davanti al portone. Dopo un altro scambio di battute (era troppo lontana per capire cosa si dicessero), Emma rimase a bocca aperta vedendo Gustavo e l’altro uomo che si baciavano.
Rimase di sasso, non per l’orientamento sessuale dell’amico, quanto per il fatto che lui non gliene avesse mai parlato (ad Emma, chi andava a letto con chi non importava assolutamente, le cose importanti erano altre), o meglio, che glielo avesse tenuto nascosto, il che era ben diverso.
Emma era profondamente delusa.
Lasciò andare via l’altro, attese una decina di secondi, uscì dall’auto e si avvicino quanto più compassata poté all’amico.
“Emy, ciao!”
“Ciao Gustavo… Carino il tuo amico…”
Queste semplici parole ebbero il potere di lasciare Gustavo senza parole, il che era tutto dire…
“Emma, senti…”
“Perché non me l’hai detto? O meglio” – come prima aveva pensato – “Perché me l’hai tenuto nascosto? Pensavi che non fossi all’altezza della situazione? Oppure… oppure… ti vergognavi di me? Non volevi presentarmi nel tuo giro? Devo esserne lasciata fuori perché sono etero?” Non si era nemmeno accorta di stare urlando.
Gustavo le piazzò una mano sulla bocca intimandole di stare zitta e la pilotò verso il portone; Emma si lasciò trascinare docile: dopo le grida si sentiva impotente: aveva solo voglia di piangere; si sentiva usata (magari lui usciva con lei solo quando non aveva altri impegni) e tradita (magari lui rideva di lei con i suoi amici).
La serata che seguì fu lunga: Emma sfogò tutta la sua amarezza per essersi sentita esclusa: pensava fossero amici veri. Ribadì il concetto che non era il fatto stesso dell’omosessualità di lui a sconvolgerla tanto: sarebbe stato lo stesso se lui non le avesse detto di avere un figlio segreto, o di avere una qualsivoglia relazione con qualsiasi sesso. Si era semplicemente sentita tagliata fuori. Lei della sua vita sentimentale gli aveva raccontato tutto, da parte sua di sicuro non gli aveva mai fatto domande specifiche perché non erano cavoli suoi, ma se lui fosse stato disposto a confidarsi, lei sarebbe stata ben contenta di ascoltarlo, anche se le avesse detto di essere un agente segreto in incognito o cose del genere. Il punto non era l’argomento tenuto nascosto, ma il motivo per cui era stato tenuto nascosto! Il problema era proprio quello ed Emma fece in modo di farglielo capire bene.
Gustavo raccontò di quando lo aveva detto per la prima volta a quelli che credeva essere i suoi amici: raccontò loro che si era messo con un ragazzo, e lo raccontava perché era felice e voleva condividere la sua gioia con coloro che considerava come dei fratelli. Queste stesse persone reagirono lì per lì in modo abbastanza freddo e distaccato, lasciando Gustavo un po’ amareggiato; dopodichè, nel corso dei mesi, chi più, chi meno, si allontanarono tutti da lui con varie scuse, ma la vera motivazione la sapevano bene tutti quanti.
Gustavo era rimasto solo.
Gustavo non voleva fare lo stesso errore.
Gustavo non voleva perdere Emma.
Gustavo le voleva troppo bene.
Gustavo la considerava una sorella e Emma, a discapito di tutto, in quel momento lo considerava come il fratello che non aveva mai avuto, anche se ci teneva a dissociarsi da quei cretini degli ex amici di lui il quale a sua volta, poverino, era convinto di aver fatto un errore lasciandoli andare, anziché pensare che avessero sbagliato loro, che se lo erano lasciati scappare.
Si chiesero scusa un sacco di volte, e alla fine per una cretinata scoppiarono in una bella risata liberatoria. Era stata una serata stancante, ma costruttiva, e i due avevano rinnovato la forte amicizia che li legava.
Da lì a pochi mesi ad Emma sarebbe successo quello che poi successe, e l’unico tetto dove riparare sembrò naturalmente essere quello di Gustavo.
Dai tempi del kick boxing Gustavo la intrigava: era molto misterioso, affascinante e introverso, ma non le piaceva al punto di innamorarsene naturalmente non corrisposta (come aveva scoperto quella famosa sera), il che sarebbe equivalso ad un suicidio sentimentale; ma con la convivenza, la semplice attrazione peraltro anch’essa senza speranza (idem come sopra) – come Emma sapeva bene – si era trasformata in una forma strana, bella e “stortignaccola” di amore.
Di questo Emma si era accorta la mattina successiva alla loro “notte folle”, quando si era svegliata nel letto di Gustavo, sola, ma con un post-it attaccato alla sveglia: “Torno presto, così parliamo. Un bacio. Gus”.
 L’abitudine di Gustavo di segnare l’ora sui bigliettini che lasciava in giro alla sua coinquilina in quel frangente si rivelò molto utile. Emma, ancora assonnata, con i capelli sparati da tutte le parti, in un letto non suo, cercava di raccapezzarsi su dove potesse essere il suo orologio. Dopo aver rivoltato il letto, si rese conto che c’era una sveglia a disposizione… Oh beh, l’orologio lo avrebbe cercato dopo. Quel giorno era sabato ed erano esattamente le dieci meno un quarto. Il biglietto era stato scritto alle nove, quindi era ancora presto per preoccuparsi. Preoccuparsi di che, poi? Nonostante Emma fosse ancora assonnata, mentre girava per la camera per raccogliere idee e vestiti, era pienamente consapevole del fatto che quella notte era stata “unatantum”, di sicuro Gustavo non aveva cambiato gusti nel vederla vestita col pigiamino celeste la sera prima… E allora perché? Si era lasciata andare tra le braccia dell’amico perché in fondo lo desiderava ma, ancora più in fondo, sapeva che per loro o meglio, per lei, non ci sarebbe stato posto. E allora, di nuovo… perché? Ah-ah: trovato! Ecco perché Gustavo si era comportato così: era ubriaco fradicio. Ubriaco lo aveva visto altre volte, ma non così tanto. Estraniato lo era come sempre quando era sbronzo, ma questa volta lo era di più, per cui una reazione diversa era perfettamente plausibile. Mentre aspettava che il bollitore fischiasse, Emma si era un po’ tranquillizzata. In fondo, non era successo niente di irreparabile, anzi: avevano usato le precauzioni, quindi incinta non era, avevano fatto qualcosa di bello che, ad occhio era piaciuto a tutt’e due (a lei di sicuro!), ed Emma aveva realizzato un suo piccolo sogno. Sì, decisamente quella notte era stata un guadagno. Adesso bisognava solo superare lo scoglio dell’imbarazzo, aspettare che Gustavo si calmasse per la fine della sua storia con Mariano (anzi, bisognava che, con calma, gli chiedesse come fosse andata la sera precedente), e poi avrebbero ripreso il solito tran tran di sempre.
Mentre Emma sorseggiava il suo thè, le chiavi girarono nella toppa della porta, ed entrò Gustavo. Al vederlo, Emma arrossì leggermente: le tornavano infatti in mente certe carezze della notte appena passata… Solo in quel momento notò che durante tutto il tempo in cui avevano fatto l’amore, non si erano detti neanche una parola. In compenso, che sguardi…!
Gustavo dapprima sorrise un po’ forzatamente poi, vedendo che Emma sorrideva di rimando, sorrise più genuinamente, le andò incontro e l’abbracciò. Lei rispose all’abbraccio, ancora leggermente imbarazzata sentendo sotto le mani i muscoli che l’avevano sostenuta durante la notte.
Sciogliendosi dall’abbraccio, Emma partì in quarta (o così, o nulla, e allora… così!):
“Senti Gus, ho pensato a tutto: so che non devo aspettarmi nulla, so che è stata una specie di botta e via con qualcosa in più e… detto così, è brutto, non è quello che volevo dire, cioè forse è successo perché eri più ubriaco di altre volte… insomma! – Emma non riprendeva nemmeno fiato - ... e so che non hai cambiato gusti nell’arco di una serata; ti ringrazio per le belle sensazioni e giuro che se vuoi non ne parlerò più però voglio solo che tu sappia che sono tranquillissima, sono una donna matura e non mi aspetto niente di più di quello che già mi hai dato, aspettiamo solo che passi questo momento strano, e poi torniamo ad essere la famiglia di prima!” Emma concluse la sua arringa con un sorriso stampato.
Anche Gustavo sorrideva, ma il suo era un sorriso triste.
C’era decisamente qualcosa che non andava.
Prima che Emma potesse elaborare qualsiasi pensiero, Gustavo semplicemente disse:
“Emma, io parto”

Eccomi col secondo capitolo di questa storia un po' "sui generis": ho aggiornato adesso perché sono arrivate anche per me le tanto sospirate ferie, e preferivo non lasciarvi troppo a bocca asciutta (???).
Ringrazio chi ha letto la storia e, se volete lasciare un commentino, anche solo per dire che la ff vi fa schifo, ne sarei felice!
A presto!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=762564