Alone in the dark

di Leopimpa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alone in the dark ***
Capitolo 2: *** Visita notturna ***
Capitolo 3: *** The little object's happiness ***



Capitolo 1
*** Alone in the dark ***


 Nell’oscurità respiravo debolmente, come se l’aria oltre ad aprirmi i polmoni aprisse quei ricordi, recentissimi,ancora troppo vicini di una breve vita che anche in quel medesimo istante stava bruciando di un fuoco lento e perpetuo, insaziabile. Che forma aveva la mia anima? Da due anni bruciava, senza però consumarsi, come se il suo sadico compito fosse quello di rendermi atrocemente tormentato ogni istante di quello che ormai era un breve conto alla rovescia. La mia morte spegnerà quel fuoco oppure gli permetterà di divorare il mio esile corpo in eterno? Ero seduta sul letto, nuda con le gambe incrociate. Mi piaceva quella posizione, esprimeva quell’affetto che provavo verso me stessa, nello stesso istante in cui pensai ciò mi resi conto di essere la sola a provare affetto verso Misa, tutti gli altri, mi trattavano bene solo per scopi di lucro oppure per obiettivi altrettanto oscuri. Non volevo nemmeno essere protetta dagli abiti, intendevo fronteggiare il dolore di petto , senza protezioni immergendomi in quella sofferenza totale e incondizionata, nulla mi doveva risparmiare, non c’era posto per la pietà c’era invece uno spazio enorme che si espandeva sempre di più. Quell’incolmabile vuoto, più insaziabile del fuoco stesso, che si cibava dei miei ricordi, di quei pochi anni sereni che avevo trascorso prima della morte dei miei genitori. Nessuna malattia è veramente incurabile, e nel mio caso la cura esisteva ed era più potente di qualsiasi farmaco: Light Yagami,il mio tutto, il mio credo, il mio dio. Per lui avrei rinnegato me stessa infliggendomi il doppio del male che già subivo, e se mi avesse chiesto di rincarare la dose avrei assaporato la sua voce meravigliosa che solleticava i miei timpani per poi umiliarmi ancora di più, godendo fra le lacrime del suo meraviglioso, sadico, perverso sorriso. Quella era la mia cura, il mio nutrimento e quella sera ero veramente affamata. Tokyo era oppressa da una coltre pesante di nubi, il pensiero del temporale che stava per giungere mi donava un misero istante di serenità, secondo un proverbio cinese infatti c’è chi aspetta la pioggia per non piangere solo. Mi Piaceva la pioggia,  mi riportava indietro nel tempo, a quegli uggiosi pomeriggi che trascorrevo sulle ginocchia di mio padre, bevendo cioccolata e scrutando di tanto in tanto il paese immerso nella foschia, la sua voce mi attraversava lievemente e mi raccontava che la vita non era come quel cielo, che fra i regali che mi aveva fatto era il più unico e meraviglioso, che certo sarebbero capitate anche quelle giornate ma con la mia dolcezza e con il mio sorriso sarei riuscita a riportare il sole nella mia vita e in quelle degli altri. Questo è il motivo del mio comportamento che talvolta può essere scambiato per frivola superficialità. I miei genitori erano soliti mentirmi, e ciò che diceva mio padre sulla vita era la più grossa menzogna che avessi mai sentito. La porta scricchiolò debolmente, il mio cuore ebbe un sussulto subito dopo. Light?? Speravo con tutto il cuore che fosse lui e in quei pochi secondi in cui girava la chiave nella toppa, la mia mente galoppava, me lo immaginavo sorridente dietro quella porta, che entrava abbracciandomi, per poi sfiorarmi le labbra con un dolce bacio. Invece era solo l’aria che entrava dalla finestra del pianerottolo, quel vento gelido che spingeva contro la porta. Mi acciambellai come una gattina esausta, mentre mormoravo con un filo di voce “Meriti questo e infinitamente di più, Dio!”

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Capitolo 2
*** Visita notturna ***


La finestra si spalancò con un violento tonfo,un soffio di vento gelido mi strinse fra le sue fauci, mentre avvolgeva le mie narici e mi scompigliava i capelli, si impossessava di ogni singola cellula del mio corpo. Iniziai a tremare convulsamente. Solo in quell’istante realizzai che ero nuda, e subito dopo conclusi sorridendo che non me ne importava nulla. Feci scorrere le dita sulle braccia, che al tatto erano praticamente identiche alla scorza di un agrume e inspirai profondamente il profumo della pioggia. Mentre chiudevo le imposte mille spilli gelati precipitarono sul marciapiede. Vedendolo sopportare quella lenta e continua tortura, lo invidiai con tutte le mie forze. Tutti lo calpestavano, ci gettavano cartacce i più maleducati addirittura ci sputavano sopra, ma lui rispondeva con gelida indifferenza, perchè era impermeabile incorruttibile e soprattutto non provava sentimenti. Quanto avrei voluto rubare la sua anima indifferente e dargli la mia!Poi però immaginai il marciapiede lagnarsi ogni volta che qualcuno lo calpestava e scoppiai a ridere, era una risata amara, ma mi sforzai di renderla più lunga possibile, per dare al mio volto la possibilità di non essere solcato solo dalle lacrime. Decisi di farmi una doccia bollente, non mi importava molto del mio corpo, della mia pelle, tanto non avrei mai avuto l’onore (o meglio l’orrore) di vedere rughe sul mio volto, dato che avevo venticinque anni e la morte mi era talmente vicina da non farmi provare alcun senso di colpa. Ad un tratto però sentii dei rumori troppo violenti per provenire dall’esterno. La luce diventò tremula. Poi, il nulla. Buio. Respirai a fatica, dovevo accendere la luce e vedere il volto di chi si mi stava giocando questo brutto scherzo, dissi a me stessa che chiunque fosse stato l’avrei ucciso. Mi feci coraggio, dopotutto io ero in possesso dell’arma più potente e terribile del mondo e se fossero stati ladri avrei provato una perversa soddisfazione, una goduria impagabile, se era un ladro approvava l’operato di colui che mi aveva portato via i miei genitori, fra tutti i criminali che quotidianamente giustiziavo passare giornate intere a giustiziare migliaia di luridi sciacalli cerebrolesi mi faceva sentire viva, soddisfatta. Quella gioia momentanea mi sarebbe costata il nulla dopo la morte, la distruzione della mia anima, ma non mi importava. Inspirai profondamente e scostai la tenda violentemente. Mi ritrovai di fronte un personaggio assolutamente bizzarro: Indossava pantaloni neri ornati di catene, borchie pressoché dovunque, capelli biondi, e una tavoletta di cioccolato in mano. Quale ladro troverebbe il tempo di mangiare cioccolato durante una rapina? Una vampata di rabbia mista ad umiliazione mi infiammò il volto. “Che ci fai in casa mia?” sibilai sforzandomi di mantenere la calma “Mi sottovaluti a tal punto da pensare di poter fare razzia in tutta calma per di più sgranocchiando cioccolato?” Lui non si scompose, continuava ad affondare i denti sudici nella tavoletta di cioccolato, sporcandosi anche gli angoli della bocca, come un bambinetto ingordo. “Amane vestiti non vorrai che Yagami veda che sei stata uccisa senza vestiti, potrebbe pensare che mi sono aprofittato di te” Mi guardò disgustato “A parte che non sei il mio tipo, le ragazze facili mi danno la nausea,senza contare che tu sei anche il secondo Kira quindi anche se so bene che ti piacerebbe non se ne fa niente” Lo guardai incredula, con gli occhi vitrei, incapace di spiccicare parola. “Quello che fai mi fa proprio schifo e poi avrei dei grossi problemi con Near ; anche se vincessi, il fatto che gli altri mi pensino caduto in una tale bassezza farebbe di me un perdente.” La mia mente era paralizzata, non riuscivo a elaborare un discorso di senso compiuto, speravo che Light arrivasse in quell’istante e ponesse fine a quell’incubo, ma quando mai qualcosa nella mia vita va come dovrebbe? “MMello….” Sussurrai digrignando i denti. Lui mi guardò divertito “Misa-misa, avevo saputo che eri più bella che intelligente, ma la situazione è più disastrosa di quanto pensassi… soprattutto perché a causa del tuo cervello di gallina ho perso ben dieci minuti sulla mia tabella di marcia, ho dieci minuti in meno per godermi la mia vittoria, in compenso questi minuti si sono aggiunti alla tua vita, ma adesso basta fare regali, ti ucciderò e poi incastrerò Yagami prima di Near” Mi sventolò sotto il naso il mio quaderno, estrasse una biro, e svitò il tappo che emise un sinistro cigolio. Puntò la penna sul quaderno, mentre io lo fissavo con gli occhi sgranati. Anche lui alzò gli occhi. “Hai vinto” gemetti piano. Permettimi almeno di morire dignitosamente. Uscii dalla doccia e mi infilai l’accappatoio, presi il reggiseno appeso all’attaccapanni e estrassi un frammento del quaderno e due bacchette. “Evidentemente sei stato informato male sul mio conto” Dissi con voce suadente. “ahahaha ma fai apposta? Ammesso che tu riesca a scrivere su quel francobollo, la domanda è…. Con cosa scriverai??? Ahahah” Scuotendo la testa iniziò a scrivere. Non potevo arrischiarmi ad affrontarlo, mi avrebbe immobilizzata e dopo aver terminato di scrivere il nome si sarebbe vendicato aggiungendo cause della morte molto dolorose così con tutta la forza che avevo lanciai una bacchetta che fece un triplo salto carpiato con avvitamento prima di colpire la biro e farla cadere a terra. Subito la afferrai, ma lui estrasse un coltellino e uno stuzzicadenti e dopo essersi tagliato tentò di scrivere il mio nome col sangue. Lessi con piacere il suo nome, ma improvvisamente dalla biro non uscì più inchiostro. Tentai di inseguirlo, per riprendermi il quaderno, ma scivolai sul pavimento bagnato perdendo terreno. In quell’istante il mio cellulare squillò, ma ancora intontita dalla botta premetti il tasto sbagliato e rifiutai la chiamata. Era Light. Posseduta completamente dall’ira scesi le scale e vidi Light due rampe più giù, mentre Mello era ormai arrivato all’ingresso, che trovò chiuso. In pochi secondi lo raggiungemmo, ma un attimo prima era riuscito a forzare la serratura, appena uscito, sparò ad un camion fermo al semaforo, e ucciso il conducente salì a bordo della vettura. Light mi trascinò per un braccio “Light quando quel semaforo sarà verde Kira avrà perso, sarà tutto inutile” “No, non accadrà, dannazione!!” Gridò e trascinandomi iniziò a correre verso il retro del camion, con due calci lo aprì e senza che Mello se ne accorgesse entrammo. Nel retro del camion c’era un ottimo climatizzatore, impostato sulla modica temperatura di meno venti gradi sottozero per conservare quei quintali di carne appena macellata che quello sventurato uomo stava portando a destinazione…….

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Capitolo 3
*** The little object's happiness ***


 “Dannazione!” un’occhiata veloce e tagliente come una katana, amara come la solitudine, disperata come la sua meravigliosa follia. “Sbaglio o tu dovresti custodire il Death Note? Invece non fai altro che assillare tutti con i tuoi inutili problemi che tu stessa ti crei, dato che tu a differenza del sottoscritto non hai nulla da fare!” Mi lasciai sfregiare da quelle parole, ma non provai nessun dolore, solo un leggero fastidio paragonabile ad un ago che punge una crosta ormai troppo spessa. Lo fissai attonita, dai suoi occhi non traspariva alcun sentimento umano, erano gelidi e calcolatori eppure così dannatamente belli… il freddo tutto d’un colpo mi avvolse, succhiandomi lentamente le forze. Ma io non potevo lasciarmi sopraffare, non prima di…. “Dammi il tuo Death Note” Sibilai. Fece finta di non sentirmi, mentre cercava di ripararsi dai brividi che lo stringevano nel loro fatale abbraccio. Mi avvicinai e dopo averglielo strappato di mano dissi fra me e me “Spero tanto di non avere un secondo nome” Light sobbalzò, i suoi occhi ora erano tizzoni ardenti “Non fare sciocchezze” Disse gelido “Posa quella biro. Ora.” Disegnai una bella “M”, con tanto di ricciolo. Doveva essere una firma perfetta, la migliore che avessi mai fatto in tutta la mia vita. Scrivere il nome di qualcuno per ucciderlo, un meccanismo privo di qualsiasi logica umana, perverso e diabolico. E pensare che a sedici anni imbrattavo decine di fogli con la mia firma, scrivere il mio nome mi faceva provare una sensazione meravigliosa, quella di essere viva. Poi, forse per istinto di sopravvivenza nella mia mente si visualizzò un minuscolo braccialetto rosa, allacciato ad un braccio altrettanto minuscolo. “Misa” Il giorno della mia nascita mio padre aveva insistito con le infermiere per scrivere lui stesso il mio nome. Provai un’amarezza indescrivibile, ma la crosta resistette, mentre la mia mano scorreva rapida sul foglio. Ad un tratto sentii un dolore lancinante al volto, tutto diventò nero, riuscii solo a distinguere l’acre odore del sangue, lo stesso che mi aveva avvelenato i polmoni il giorno dell’assassinio dei miei genitori. Le tenebre che erano solite opprimermi ora mi avvolgevano cullandomi nel loro oscuro abbraccio, dondolavo in un tiepido mare nero che sembrava non avesse mai conosciuto la tempesta. Nelle sue placide acque riversai tutti i miei pensieri, tenni solo la certezza di esistere. Solo quella mi bastava. Pensai di essere morta ma subito realizzai che, anche se come mi aveva detto Rem non mi attendeva altro che il nulla, quella  non era la giusta punizione per un’assassina del mio calibro. Non era  una punizione, anzi  ero felice, felice di esistere e non pensare. Poi però una rete bianca mi catturò issandomi su di una nave. Iniziai a boccheggiare come un pesce. “Perché non posso restare qui per sempre?” Pensai rammaricata. La risposta la conoscevo bene: lì mi sentivo bene, e per una ragazza di nome Misa Amane questa è una colpa ancora peggiore di quella di cui si macchia quotidianamente. “Misa ti prego svegliati” Socchiusi gli occhi e ricordai ogni cosa. Ero fra le braccia di Light. Subito li richiusi, decisa a non svegliarmi da quel meraviglioso e immeritato sogno “Misa ho bisogno di te, ti prego svegliati!” Emisi qualcosa che doveva essere un lieve gemito “Grazie al cielo! Scusami tanto ma non vedevo altra soluzione per impedirti di commettere il più grosso sbaglio di tutta la tua vita!” Mi sfiorò appena le labbra con un bacio, come quella sera a casa sua. “Permettimi di fare il mio dovere ti prego” Sussurrai “Io esisto solo per servirti, sono nata per questo. Mi avevi implicitamente chiesto di togliere il disturbo e io, voglio, devo andarmene se è questo che desideri” “Taci ho già sentito abbastanza” Disse con tono seccato. “Dobbiamo fermarlo” Mi scostò una ciocca di capelli dal viso  “Vedrai che sarà costretto a fermarsi, sai prima di morire il conducente sembrava volesse dirigersi verso il distributore e mentre eri svenuta attraverso questa fessura ho visto che preso dall’euforia ha imboccato la tangenziale est che porta fuori città. Il prossimo distributore è fra trenta chilometri, quando ci saremo fermai ho già in mente qualcosa per tagliare la corda” Sfoderò uno dei suoi meravigliosi sorrisi perversi. Lo guardai intensamente, per fare il pieno di quella medicina prodigiosa. Come avevo potuto, anche solo pensare di togliermi tutto questo? Vedendo i miei occhi brillare prolungò quell’incantevole spettacolo. “Però” proseguì imbarazzato “Per quanto rapidamente possa esaurirsi la benzina… diciamo che sarà una gara a chi si esaurirà prima” “Cosa??’” Gridai. Mi sciolse un codino “Se non sbaglio si chiama Elementi di Biologia, sesto capitolo, diciassettesimo paragrafo. Il mio libro di scienze del liceo afferma che un uomo nelle nostre condizioni sopravvive in media dai venti ai venticinque minuti, tu hai l’aggravante di essere bagnata quindi facciamo pure quindici scarsi” In questi momenti devo dire che il masochismo aiuta. Forse avrei dovuto gridare, disperarmi e strapparmi i capelli, ma rimasi impassibile “Ah interessante” Azzardai “Quindi la scenata con il Death Note è stata inutile” “Già nient’altro che un inutile spreco di energie” Disse impassibile. “In ogni caso se vuoi non andrà come dice la scienza” Ironizzai “Giusto, giusto tu sei dio quindi le leggi della fisica ti obbediscono, il freddo si scansa e…”Mi fulminò, anche se notai che gli era comparso un sorrisetto quasi impercettibile agli angoli della bocca. “Molto più semplicemente conosco un antidoto” Detto questo iniziò a sbottonarsi la camicia. Forse avevo le travegole, ma se era il freddo il responsabile di questa meravigliosa allucinazione mi sarei trasferita in Alaska al più presto! “A..aspetta” balbettai “E’ per quella faccenda di sommare il calore corporeo?” “Già” si limitò a rispondere. Lasciai cadere l’accappatoio e lo abbracciai con tutte le forze che mi restavano. Non avrei mai dimenticato quell’istante, anche se nei momenti di buio sconforto è proprio il ricordo  istanti come quello a fare più male. “Non devo pensare” dissi fra me e me. “Adesso non devo pensare” Chiusi gli occhi e mi convinsi la mia vita aveva avuto inizio in quell’istante, che prima non c’era stato nulla. “Prima quando ero svenuta hai detto delle cose bellissime” Sussurrai “Io HO BISOGNO  di te” Prima che potessi rendermi pienamente conto di  ciò che aveva detto le lacrime riempirono i  miei occhi, iniziai a singhiozzare senza motivo. “Anch’io” riuscii a dire fra le lacrime. “Anch’io e non sai quanto” mi appoggiò l’indice sul collo, poi iniziò a scendere. Ormai i miei non erano più brividi di freddo. “Pensaci bene” Le sue parole nelle mie orecchie risuonavano come una melodia dolce e perfetta. Lo guardai negli occhi così a lungo che mi parve di intravedere la sua anima. “Ha forse senso la vita di un assassino quando viene a mancare il suo obiettivo, la sua vittima predestinata?” Scossi lievemente la testa e aggiunsi “E che senso ha l’esistenza di un oggetto quando non può essere utile fino in fondo al suo possessore?” Mi lanciò un’occhiatina rapida e sfuggente, fu solo un effimero istante prima che le nostre labbra e i nostri corpi diventassero una cosa sola. “Siamo pazzi, dico sul serio” Dissi  ansimando. Lui scoppiò in una sinistra risata “Misa, la pazzia non esiste; esiste  solo gente straziata dalla noia e io appartengo decisamente a questa categoria” Gli sorrisi appena. Lui abbassò gli occhi, pensieroso. I miei occhi intanto percorrevano tutte le linee del suo viso, era perfetto, mi piaceva in ogni suo piccolo insignificante dettaglio… “Misa tu… tu ami?” Disse a bruciapelo “Intendo…. Tu…. Tu sei capace di amare qualcuno?” Mi guardai istintivamente il petto, temevo seriamente che il cuore potesse saltarmi fuori da un momento all’altro. Tutto ciò che riuscii a rispondere fu un timido “credo di si…” Se solo avesse saputo quanto soffrivo per lui, istante dopo istante, giorno dopo giorno… “Io…. Io non credo di esserne capace però per la prima volta dopo diciassette anni forse ho amato qualcuno” Avevo immaginato quel momento in ogni minuto libero della mia giornata, in tutti i modi e luoghi possibili, ma mai avrei pensato che la mia esistenza iniziasse ad avere senso nel retro di un camioncino a meno venti gradi sotto zero. “Io non so esattamente cosa provo per te,  Misa però sono felice che tu sia qui con me adesso, non vorrei essere con nessun’altra persona al mondo” Mi sedetti su di lui “Fammi tua” lo implorai con un filo di voce. Mi strinse violentemente i fianchi, poi mi costrinse a chinarmi su di lui. “Tu sei già mia, lo sei sempre stata e sempre lo sarai. Tu mi appartieni da sempre” Mi feci inebriare dal suono di quelle meravigliose parole, le uniche che avrei voluto sentire. Tutto ciò che riuscii a rispondere fu “Hai visto com’era semplice? Ora sono felice”

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