Of tapestries and friendships di BelleAmie (/viewuser.php?uid=139729)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Of bloodlines and presents ***
Capitolo 2: *** Of Hippogriffs and Harry ***
Capitolo 3: *** Of Demons and Whiskey ***
Capitolo 1 *** Of bloodlines and presents ***
Of bloodlines and presents
Pagina 89
edizione italiana di
Harry Potter e l’Ordine della Fenice:
‹‹Stiamo
cercando di rendere
questo posto adatto a ospitare degli esseri
umani,›› disse Sirius, agitando una
mano per mostrare la cucina lugubre. ‹‹Nessuno
abita qui da dieci anni, da quando
è morta mia madre, a meno di contare il suo vecchio elfo
domestico, e lui è
matto… non pulisce niente da secoli››.
*
Tutta
quella storia di pulire Grimmauld Place numero 12 si era rivelata, nel
corso di
un paio di giorni, un’ardua impresa. In primo luogo, era
sconfinata; in secondo
luogo, era infestata di tutta una serie di piccole
mostruosità che amavano
annidarsi nei capelli; in terzo luogo, la signora Weasley, pur avendo
sbolognato anche ai figli l’onere delle pulizie, non faceva
che aggirarsi nervosa
in uno stato di costante ‘supervisione’. Il
suo nervosismo peggiorava quando c’era Sirius
nei paraggi; ed essendo
Sirius il padrone di casa, era un miracolo che alla signora Weasley non
fosse
ancora venuto un colpo.
Per la
prima settimana era riuscita a tenere Ginny lontana da
quell’uomo curioso, che
dal canto suo aveva passato gran parte delle sue giornate in una quieta
reclusione, parlando solo alle riunioni dell’Ordine o
immergendosi in qualche
conversazione con Ron ed Hermione; poi la sua missione di
riassestamento della
casa dei Black si era rivelata un’arma a doppio taglio,
perché quando Sirius le
aveva detto che sarebbe salito in libreria a dare una spolverata ai
libri e la
caccia qualche Doxy, Ginny si era accodata senza dire
un’altra parola, e la
signora Weasley si era dovuta limitare a pulire lo studio accanto,
lanciando
ogni tanto un’occhiata in libreria per accertarsi che Ginny
fosse ancora tutta
intera.
Erano in
libreria già da un’ora a spolverare gli antichi
tomi lì contenuti. C’erano enciclopedie
di venti volumi, romanzi, testi che parevano provenire dal Medioevo,
prime
edizioni di opere rinomate della letteratura magica come Le
novelle di Potto
il cavaliere e, nascosti dietro a tomi più
imponenti, anche qualche libro
Babbano.
‹‹Roba
mia,›› aveva detto Sirius, cupo; ma Ginny era
riuscita a strappargli un sorriso
quando aveva tirato fuori una copia della rivista settimanale La
Tua Motocicletta,
data 14 marzo 1974, dal tomo ‘R’ di
un’enciclopedia.
Sirius
non parlava molto, ed era effettivamente un po’ strano, come
le aveva detto Ron
in confidenza; ma non sembrava malvagio. A Ginny dava
l’impressione, in qualche
momento fugace, di essere della stessa razza dei suoi fratelli gemelli,
solo
con quasi vent’anni di più sulle spalle e
più di un decennio di Azkaban nella
testa. Era un miracolo che ragionasse ancora: e Sirius ragionava molto
bene.
Ripulendo la libreria, aveva dimostrato di aver letto una buona
porzione di
quei libri; e, ogni tanto, citava a memoria versi di questo o quel
libro.
Inoltre, Ginny non aveva potuto evitare di notarlo, Sirius era anche
piuttosto attraente.
Ogni tanto, lanciando qualche occhiata, le pareva di vedere da qualche
angolazione come doveva esser stato da giovane, e il dato era uno solo:
Sirius
doveva essere stato molto bello, da giovane. Questa
commistione di
fattori fecero sì che, dopo un’oretta trascorsa
insieme, Ginny si sentisse
molto affascinata da quel peculiare, taciturno essere umano; e mentre
la sua
stima in Sirius cresceva, le veloci visitine di controllo della madre
risultavano sempre più sgradevoli.
Fu mentre
ripuliva uno dei cassetti superiori della libreria, vicino al soffitto,
che
scovò un grosso oggetto ovale e molto duro, rotolato in
fondo al cassetto.
Usando uno straccetto lo ripulì alla meglio da quelli che
parevano un paio di
decenni di polvere, e l’oggetto si rivelò un pezzo
di pietra levigata e
smaltata.
‹‹Ehi,
questo deve valere un sacco di soldi,›› disse,
quando sulla sua superficie, di
un color verde profondo, apparvero delicatissimi intarsi
d’oro e il luccichio
di gemme preziose. ‹‹E’ un… uovo?››
Sirius,
che con qualche giro di bacchetta stava dando una spolverata ad una
pila di
libri sparsi sulla scrivania centrale, si girò di scatto.
‹‹Tu
guarda,›› disse, con un tono di educata sorpresa.
Ginny glielo consegnò e lo
guardò mentre lo studiava. Poi Sirius tirò fuori
la bacchetta e gli diede un
colpetto. Metà dell’uovo si sollevò in
aria, galleggiando ad una trentina di
centimetri dalla metà inferiore, tutta ricoperta di velluto
rosso, e dal fondo dell’uovo
emerse un piccolo grifone d’oro, corpo di leone e testa e ali
d’aquila. Fece un
volo aggraziato attorno all’uovo, si posò sulla
cima della calotta superiore e
fece un piccolo, adorabile ruggito. Quindi riprese il volo e
andò a sistemarsi
nel suo letto di velluto. La metà superiore
dell’uovo calò, e il grifone fu
nascosto alla loro vista.
‹‹Era
da
tanto che non lo vedevo,›› disse Sirius,
impensierito. ‹‹Fu un regalo di mio
zio Alphard quando seppe che ero finito a Grifondoro. Credo che lo
abbia trovato
molto divertente,›› soggiunse, con il fantasma di
un sorriso sulle labbra. ‹‹Ho
sempre sospettato che a farlo sparire fosse stato mio fratello. Regulus
era un
idiota,›› disse, c’era una certa
dolcezza nella sua voce.
‹‹E’
bellissimo,›› disse Ginny, senza pensarci. Forse
lo stava guardando con troppa
intensità, perché Sirius glielo
restituì e disse, con un tono di estrema
noncuranza, ‹‹E’ tuo, se lo vuoi. Io
non me ne faccio nulla.››
‹‹Oh
no -››
protestò immediatamente. ‹‹Non potrei
mai accettarlo, è troppo
costoso…››
Il solo
pensiero di possedere un uovo del genere, che doveva costare almeno un
migliaio
di galeoni, la faceva arrossire. La cosa più pregiata che
possedeva era la
catenina d’oro del suo battesimo…
‹‹Sciocchezze,››
tagliò corto Sirius.
‹‹E
poi
mia mamma non me lo lascerebbe mai tenere,››
aggiunse Ginny, cupa.
Sirius
scrollò le spalle, come un ragazzo.
‹‹Non è un problema.
Parlerò io con Molly,››
disse. ‹‹Prendilo come un regalo da un
cugino.››
‹‹Cugino?››
Sirius
sorrise. ‹‹Vieni, ti mostro l’Albero
della Nobile e Antichissima Casata dei
Black, Toujours pur, maledetti
loro,›› disse Sirius, con un movimento
della mano a mezz’aria di comica affettazione.
La
condusse al piano inferiore, in cui c’era la grande sala
principale di casa
Black. Una parete era interamente occupata da un gigantesco arazzo
dell’albero
genealogico della famiglia. Come poté constatare ad un
più vicino esame, era,
più o meno, l’albero genealogico di
un’ottima porzione di tutte le più antiche
ed importanti famiglie purosangue del Regno Unito. C’erano
anche i Potter – il cuore
di Ginny ebbe uno stupido, piccolo sobbalzo – ma Sirius si
riscosse e le indicò
un punto dell’albero bruciacchiato.
‹‹Tua
nonna Cedrella era una Black, come saprai,››
disse.
Ginny
annuì. Era una figura nebulosa nella sua memoria, che
consisteva di occhialini
da lettura e un aspetto elegante, sprecato nella più umile
dimora del marito:
ma forse erano solo ricordi fabbricati dalla sua immaginazione.
L’unica cosa
certa era che Cedrella Weasley era morta quando lei aveva cinque o sei
anni.
‹‹Bè,
lei
e mio nonno Pollux erano cugini di primo grado. Come puoi ben
vedere,›› disse,
indicando i due punti distinti nella tappezzeria,
‹‹per la mia cara mamma sia
tua nonna che io non siamo altro che un paio di
bruciature.››
‹‹Allora
questo significa che io e te…››
‹‹Siamo
cugini di terzo grado,›› rispose Sirius,
tranquillamente.
‹‹Bè,
figo,›› decretò Ginny.
Forse era
stupido, ma vedere il loro legame di sangue in filigrana
d’oro su un arazzo la
fece sentire all’istante un poco più comprensiva
nei confronti di Sirius, che,
cogliendola del tutto alla sprovvista, rise.
‹‹Sì,
è figo,››
disse. ‹‹Non è altrettanto figo il
fatto che la tua cara bisnonna era una
Yaxley,›› soggiunse, indicando Lysandra
Yaxley, unita a doppio filo con
Arcturus Black.
Ginny
prese la palla al balzo, e indicò a sua volta
l’area della bruciatura di
Sirius. ‹‹Bè, Sirius, a quanto vedo,
tua nonna era una Tiger
e la tua
bisnonna una Bulstrode.››
Sirius
rise. ‹‹Touché.››
In quel
momento si sentirono, dal piano di sopra, i
richiami della signora Weasley. ‹‹Ginny,
Ginny…››
‹‹Ritorniamo
di sopra, o tua madre perderà la
voce,››
disse Sirius, impassibile. ‹‹Terrai
l’uovo? Dopotutto, tua madre non deve per
forza sapere…››
Questa
volta fu il turno di Ginny di ridere. ‹‹Se
la metti così, ci farò un
pensierino…››
*
Nota
dell’Autrice: Mi piace pensare che alla fine l’uovo
di Sirius sia ritornato a
Grimmauld Place… quando Harry e Ginny l’hanno resa
la loro casa dopo il loro
matrimonio! Storia ispirata, come forse avrete intuito, da quei
leggendari
oggetti di gioielleria che sono le uova Fabergé.
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Capitolo 2 *** Of Hippogriffs and Harry ***
Of
Hippogriffs and Harry
‹‹Siete
degli irresponsabili!
Questa non è casa vostra – cosa pensavate
– questa è una faccenda seria
e non stiamo scherzando –
irresponsabili…!››
‹‹Ma
mamma -›› iniziò Fred,
alzando le mani in alto, ‹‹era solo uno
scherzetto -››
‹‹Ne
ho piene le tasche dei vostri
scherzetti – ››
Ginny se la
batté prima che la
madre se la prendesse anche con lei.
Aveva un forte mal di testa, e non era in vena di
ascoltare una
ramanzina della madre. Forse la casa stava iniziando a influenzarla,
pensò
mentre scendeva le scale, buia, triste e polverosa com’era. Aveva una mezza idea di
andare a scrivere
qualcosa al suo ragazzo, perché era da più di una
settimana che non gli
scriveva nulla e, oh Merlino,
Michael
aveva una certa tendenza a prendere le cose sul personale.
Chissà dov’era in
quel momento, poi. Abitava a Nottingham, ma nell’ultima
lettera che le aveva
scritto le era sembrato di leggere che sarebbe sceso al sud. Magari se
fosse
venuto a Londra… ma non sarebbe mai riuscita a convincere
sua madre…
‹‹Attenzione,
ragazzina,›› disse
una voce maschile, e Ginny quasi perse l’equilibrio. Era
Sirius che
attraversava il corridoio a grandi passi. Teneva sollevato un grosso
sacco di
iuta; il fondo era intriso di sangue. ‹‹Stai
bene?››
‹‹Oh,
io – sì, sì. Quella è la
cena di Fierobecco?››
Sirius
alzò il sacco e gli lanciò
un’occhiata vagamente disgustata. ‹‹Li
ho presi oggi nell’attico. Credo che ce
ne siano pressappoco un migliaio.››
Senza
pensarci troppo Ginny lo
seguì su per le scale. Era diventata una cosa abbastanza
rara, vedere Sirius. I
primi tempi era stato piuttosto allegro, o forse solo contento di avere
qualcun
altro in casa; poi erano passati i giorni, erano aumentate le riunioni
dell’Ordine e, da un giorno all’altro, non si era
più fatto vedere molto. Ginny
sospettava che passasse gran parte del suo tempo nella biblioteca, a
spolverare
tomi, bruciarne altri (quelli dai titoli più graziosi, come
‘Inferiorità
Babbana’ e ‘Studi Anatomici su Mezzosangue del
Quindicesimo Secolo’) e dare
un’occhiata a quel vecchio giornaletto di motociclette;
oppure se lo immaginava
in camera sua, a cercare di far rivivere il rosso acceso degli
stendardi
Grifondoro, sbiadito da un decennio.
Aveva
sistemato Fierobecco in
quella che era stata la camera personale della madre di Sirius. Come
tutte le
stanze di Grimmauld Place era grande e dagli altissimi soffitti, e
questa in
particolare era molto maleodorante. La carta da parati, un tempo blu,
ora color
topo, si staccava dal muro, e il pavimento era coperto da un centimetro
buono
di polvere. Un imponente letto matrimoniale di legno intarsiato
troneggiava al
centro della stanza, con le tende del baldacchino ingrigite,
impolverate e
tirate; in fondo, vicino alle due grandi finestre sbarrate, un piccolo,
un
tempo grazioso, salottino, con un divanetto e una poltroncina;
completavano il
tutto eleganti armadio e toeletta in mogano, ed una porta che conduceva
alla
camera adiacente, presumibilmente occupata un tempo da Orion Black.
E, nel
mezzo, un ippogrifo.
‹‹Ciao,
Fierobecco,›› salutò
Ginny, allungando una mano perché Fierobecco
l’annusasse. Avevano già fatto
conoscenza, l’ippogrifo e i Weasley; Fierobecco era parso
particolarmente
felice di rivedere Hermione, e si era profuso in una serie di inchini e
versi
aquilini, praticamente invitandola a montare in sella. Hermione aveva
declinato.
‹‹Gratta e netta,››
mormorò Sirius, puntando la bacchetta ad un
mucchio di escrementi di considerevoli dimensioni. Il problema
maleodorante
sparì in qualche istante e Sirius aprì il sacco.
L’ippogrifo s’alzò, diede un
mezzo battito d’ali e fece un verso gutturale di
approvazione. ‹‹Qualche bel
grasso ratto per te. Ti consiglio di andare a
sederti,›› aggiunse in direzione
di Ginny. ‹‹Qualche volta diventa un
po’ agitato mentre mangia.››
Iniziò
a nutrire l’animale
lanciando nella sua direzione le pantegane, che Fierobecco si divertiva
o a
mangiar giù intere oppure, in afflati di gioia, a lanciare
in aria e riprendere,
ora afferrandole intere, ora strappandole a pezzi, come una specie di
grosso,
assai feroce cane. Sirius guardava con un sorriso di compassionevole
tenerezza.
‹‹Perché
Molly stava urlando?››
‹‹Fred
e George,›› spiegò Ginny.
‹‹Una
delle loro nuove invenzioni… è
esplosa… la carta da parati si è bruciacchiata
un po’, ma mamma l’ha sistemata. Il problema
è che ora sono coperti di
pustole…››
‹‹Faranno
strada,›› disse Sirius.
‹‹Conoscevo
un po’ di gente più o meno come
loro…››
‹‹Dovresti
dirlo a mamma. Immagino
che avere Fred e George per figli deve essere un po’
problematico.››
‹‹Il
mondo ha bisogno di un po’ di
risate,›› disse Sirius. Fierobecco emise uno dei
suoi versi, a metà tra
un’aquila e una specie di grosso varano. Se la stava
spassando un mondo, l’ippogrifo;
ma poteva fare solo pochi passi con le ali spalancate, prima di doverle
richiudere. A guardarlo bene, sembrava che non stesse tanto bene:
c’erano un
sacco delle sue penne sul pavimento.
‹‹Lo
fai uscire, ogni tanto?››
chiese Ginny, indicando con un cenno della testa l’animale.
‹‹Lo
vorrei, ma non posso. Ha
bisogno di stiracchiarsi un po’, volare, farsi una galoppata.
Mi fa pena,
rinchiuso qui.›› E Ginny ebbe la strana
sensazione che Sirius stesse parlando
anche di se stesso. Dopo dodici anni ad Azkaban, chi non avrebbe voluto
soltanto ‘stiracchiarsi, volare, e farsi una
galoppata’ assieme al proprio
ippogrifo? Ginny sapeva che se fosse stata nella posizione di Sirius
avrebbe
passato tutto il suo tempo all’aperto, da qualche parte dove
l’occhio potesse
sperdersi, e sarebbe stato già abbastanza per lei. Invece
era rinchiuso in una
casa che odiava.
‹‹Anche
io vorrei uscire,›› disse,
dopo qualche istante di silenzio, ‹‹vorrei poter
giocare un po’ a Quidditch, o
godermi un po’ il sole… Non
c’è nulla da fare,›› ammise,
vagamente imbarazzata
dalla consapevolezza che le sue sofferenze non erano nulla in confronto
a
quelle di Sirius. ‹‹Fred e George sono sempre
chiusi nella loro stanza a
combinare guai, e Ron ed Hermione stanno sempre chiusi da qualche parte
a
litigare. Non smettono mai, lo
giuro
su -››
Sirius
sorrise per davvero,
stavolta. ‹‹Un vecchio
copione.›› E gli parve così divertente
che continuò a
sorridere mentre Fierobecco mandava giù il quinto o sesto
ratto. Pareva molto
giovane adesso, in maniera quasi strabiliante, e sembrava quasi sul
punto di
scoppiare a ridere. Era una cosa allo stesso tempo adorabile
ed inquietante: alcune volte i sentimenti intensi e
contrastanti espressi nelle linee del suo volto gli davano –
per quanto a Ginny
dispiacesse notarlo – una vaga aria da pazzo.
‹‹Mi
dispiace che ti abbiano
confinata qui dentro,›› disse alla fine,
‹‹effettivamente se non ti chiami
Mundungus Fletcher credo che sia difficile trovare qualcosa di
interessante qui
dentro. Ma per vostra fortuna fa un mese andrete ad Hogwarts. E io
rimarrò qui
a fare le pulizie,›› aggiunse con una smorfia di
disgusto.
‹‹Sono
sicura che Silente…››
iniziò Ginny, ma si sentì subito molto stupida e
ingenua e non finì la frase.
‹‹Silente
si sta comportando da
Silente,›› disse Sirius, con il tono di chi aveva
avuto modo di sperimentare
più volte cosa significava ciò che diceva. Ginny
era venuta a conoscenza –forse
proprio da Malocchio Moody, che non sembrava parlare d’altro
– del fatto che
Sirius era stato parte del primo Ordine della Fenice, prima che il
sacrificio
dei Potter ponesse fine alla guerra. Si accorse, con un po’
di vergogna, di non
sapere molto della Prima Guerra; era stato un argomento che tutti
avevano
voluto infilare sotto il tappeto, schiacciare coi piedi e dimenticare
che fosse
mai avvenuto. Nemmeno sua madre, sorella di due stimati eroi, Gideon e
Fabian,
ne aveva mai parlato molto – e men che meno con lei. Lei era
solo Ginny, no? La
piccola, innocente Ginny, che non doveva sapere quelle cose.
‹‹Non
lascia nemmeno che Harry
venga qui da noi,›› commentò Ginny, un
po’ spassionatamente. Le venne in mente
subito Michael, per qualche motivo, e dopo qualche ricerca fu felice di
sentire
uno svolazzo, leggero ma presente, di farfalle nello stomaco: era la
prova che
aveva superato tutta quella faccenda patetica di essere innamorata
persa di
Harry Potter, come la più stupida delle sue ammiratrici,
solo perché era il
Bambino Che E’ Sopravvissuto, e perché –
bè, era innegabile – perché aveva il
paio di occhi più straordinari che si fossero mai visti. Merlino, quel colore non
sembrava nemmeno vero.
All’improvviso, provò ancora più
nostalgia di Michael, dei suoi capelli neri e disordinati, dei suoi
occhi marroni…
Nelle sue
fantasticherie non si
era accorta che il sorriso era sparito dal volto di Sirius e che quella
strana
luce giovanile era sparita. Era ritornato Sirius, uomo
dall’età incerta, il
volto scavato e due occhi inquieti. Era stata la menzione di Harry?
Ginny
sapeva – aveva intuito, da conversazioni origliate e
confessioni di Hermione – quanto
Sirius lo amasse; sapeva anche che Sirius Black era stato uno dei
migliori amici
del padre di Harry, ed era per questo che era il suo padrino.
Ormai
Fierobecco aveva finito di
mangiare, e Sirius era più o meno lì, in piedi, a
grattare il collo
dell’ippogrifo. Ci fu uno strano silenzio nella sala,
rispettato anche
dall’animale, che teneva gli occhi socchiusi per il piacere
dei grattini.
Probabilmente stavano pensando tutti e due alla stessa cosa: la
disastrosa
terza prova del Torneo Tremaghi e
l’esilio di Harry dal mondo magico.
‹‹Fra
una settimana sarà il suo
compleanno,›› disse Sirius
cautamente. ‹‹E dovrà trascorrerlo
rinchiuso da quei pazzi Babbani.›› Parlava
con tono cospiratore, come se stesse pensando di fare qualcosa,
prenderlo nel
Surrey e portarlo via. Dove avrebbero vissuto?
Ginny immaginò una spiaggia tropicale, lontano
dal freddo, dalla
pioggia, da Voldemort, stesi su sedie a sdraio, mescolando pigramente
cocktail
esotici e mangiando fette di mango. Sarebbe stata una buona vita, la
vita che
Harry meritava. Ma sapeva che Harry, anche se gli si fosse presentata
la
possibilità, non avrebbe mai accettato. E anche Sirius lo
sapeva.
‹‹Gli
prepareremo delle torte,››
suggerì Ginny. ‹‹L’anno
scorso…››
Sirius non
diede segno di aver
ascoltato, i suoi occhi grigi persi da qualche parte, ma
annuì. ‹‹Torta di
melassa. E’ la sua preferita, proprio come
James.››
Lasciarono
Fierobecco, Sirius
chiuse a chiave la stanza e ridiscesero in silenzio le scale. Poi
Sirius si
scusò borbottando qualcosa e andò in libreria, e
Ginny, rimasta sola, scese in
cucina. Afferrò penna, pergamena ed inchiostro, e
scribacchiò ‘Caro Michael’ –
ma poi appallottolò il foglio, ne prese un altro e con
più soddisfazione
scrisse ‘Caro Harry’ e pensò a qualcosa
di divertente da scriverglieli, ma non
ne trovò, perché aveva la testa piena di pensieri
e nessuno di questi era
particolarmente allegro.
Era strano
parlare con Sirius,
perché non si aveva mai l’impressione di star
parlando con qualcuno che viveva
nel tuo stesso mondo. Il suo era quello di quindici anni prima,
l’unico
in cui fosse stato felice. Era un esule, pensò Ginny,
scappato dalla più tetra
prigione per fiondarsi in un nuovo mondo, ma non migliore di quello che
aveva
lasciato. Il presente per Sirius Black non era lo stesso presente in
cui
vivevano loro: il presente per lui era una comparsa occasionale nel
flusso
ininterrotto dei suoi ricordi. La tragedia di Sirius era essere un
uomo
vivo ancorato ad un mondo fantasma, abitato da fantasmi, più
evanescenti della
memoria, più solidi dell’amicizia, più
intangibili del velo che li separava da
lui.
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Capitolo 3 *** Of Demons and Whiskey ***
Of
Demons and Whiskey
Caro
Harry,
spero
che tu te la stia passando abbastanza bene dai Babbani e che
Ginny
passò l'ennesimo tratto di penna sulle parole appena
tracciate. A
forza di iniziare ed interrompersi le era venuto il mal di testa. Non
era nemmeno il compleanno di Harry, visto che era
solo il
trenta luglio, ma c'era qualcosa in quella casa che non la lasciava
dormire. La lista di stanze da pulire era interminabile, come anche i
mucchi di polvere, i buchi da stuccare nelle pareti, gli insetti da
catturare... E poi c'era caldo, un caldo umido che si attaccava alla
pelle e rendeva le opere di pulizia ancora più
insopportabili. Era
stato uno strano luglio.
Così,
dopo essersi girata e rigirata sotto le lenzuola per un'ora intera,
Ginny aveva abbandonato i suoi propositi di andare a dormire ed era
scesa al salottino del primo piano. Aveva fatto piano, per evitare di
svegliare qualcuno, o sua madre, che, dopo la riunione dell'Ordine di
quella sera, era stata particolarmente intrattabile. Scrivere la
lettera di compleanno a Harry era sembrata una buona idea.
Le
parole però stentavano ad uscire dalla sua penna. Non
riusciva ad
immaginare il suo stato, dopo quello che era successo al Torneo.
Harry era forte, ma quanto? Ginny non aveva saputo molto, in
realtà,
di quello che era successo. Nemmeno Ron o Hermione si erano lasciati
sfuggire qualcosa, a parte l'idea generale di quello che era accaduto
la notte della morte di Cedric Diggory – e l'idea generale
era
bastata a darle degli incubi... e a nutrire quella sensazione cupa ed
ironica che albergava in lei da tanto tempo: di essere tra le poche,
poche persone al mondo capaci di capire fino in fondo cosa poteva
provare Harry Potter in quel momento.
Caro
Harry,
stare
coi Babbani deve fare schifo, ma credo che tra poco verranno a
prenderti
Non
era vero. Anche Hermione lo pensava: l'Ordine – Silente
– non
aveva nessuna intenzione di portare Harry a Londra. Quando l'aveva
chiesto a suo padre, aveva ottenuto come unica risposta un
farfugliato 'lo sa Silente, quello che dobbiamo fare' e poi sua madre
le aveva chiesto se preferiva le carote o i cetrioli nell'insalata
con il suo tono da 'non sono cose che ti riguardano, Ginny'.
“Lettere
a quest'ora della notte, romantico,” disse all'improvviso una
voce
leggermente strascicata dietro di lei.
Era
Sirius, il viso mezzo oscurato dalle ombre, e una bottiglia in mano.
Evidentemente non era l'unica persona incapace di addormentarsi,
quella notte – e Sirius, nel semi-buio del salotto e munito
di
alcol, pareva, bè, pericoloso.
Più del solito, in ogni caso.
Era uno di Quei Momenti: quei momenti in cui sembrava che il
carcerato, l'uomo di Azkaban dentro di lui, fosse riuscito a rompere
il sottile, labile strato di ghiaccio che Sirius aveva costruito
attorno a sé e ora affiorasse in tutta la sua
minacciosità.
“Io,
uh, cercavo di scrivere un biglietto per Harry,”
spiegò Ginny,
raccogliendo in fretta il foglio e la penna dal tavolino, per evitare
che Sirius leggesse. Ma l'uomo pareva totalmente disinteressato: si
era lasciato cadere sulla poltrona di velluto dall'altro lato del
tavolino, in una scomoda posizione diagonale, una gamba su uno dei
braccioli della poltrona, l'altra per terra, e un'aria di totale
sconfitta. “Stai bene, Sirius?”
Agitò
la bottiglia in quello che voleva essere un gesto rassicurante.
“Sì,
sì, sto bene,” disse con tono ruvido.
“Sto benissimo.”
Ginny
rimase in silenzio. Non sapeva che altro dire, in realtà, e
fece una
mezza idea sul ritornare a letto, ma le parve scortese, quindi rimase
lì, sul divano, cercando di evitare il luccichio della
bottiglia in
mano a Sirius. Ebbe quasi la tentazione di usare la sua voce da Molly
e dirgli 'posa la bottiglia', ma si trattenne. Dopotutto Sirius era
un uomo adulto e vaccinato. Erano fatti suoi, anche se tutti lo
sapevano, di lui e del suo problema con le bottiglie di liquore
invecchiato stipate nella cantina. Nessuno aveva osato commentare al
riguardo, ovviamente – tranne Hermione, che un paio di
settimane
prima aveva pigolato un 'non ti fa bene' ed aveva ricevuto come unica
risposta un sopracciglio alzato e tutta la proverbiale freddezza dei
Black.
“E'
stata una riunione interessante?” buttò
lì Ginny, per rompere il
silenzio.
“Le
solite idiozie,” rispose lui. “E quel bastardo,
quello che mi
tocca sentire -”
Non
c'era bisogno di chiedere chi fosse il bastardo in questione. L'umore
di Sirius precipitava appena Severus Piton metteva piede in casa. Non
che lei, Ron, Hermione e i gemelli fossero molto più felici,
certo.
Le poche volte che lo avevano incrociato il suo sguardo nero aveva
comunicato una sola cosa: sarò particolarmente
insopportabile
quest'anno.
“Immagino,”
disse Ginny velocemente.
Sirius
sorrise amaramente e butto giù un sorso del liquore.
Alzò la
bottiglia davanti a sé, esaminandola. “Un
finissimo Urquhart.
Questo era di papà,” disse con un sorriso
più largo e
inquietante. “Whiskey scozzese, invecchiato un centinaio di
anni,
ci sarebbe andato a letto se avesse potuto, il vecchio
pazzo.” Rise
della sua stessa battuta, poi si rabbuiò di colpo.
Nei
suoi giorni a Grimmauld Place, Ginny aveva imparato a conoscere
quella selvaggia oscillazione negli umori di Sirius, quel suo modo di
essere affabile, persino carismatico, un momento e cupo fino al
parossismo l'attimo dopo. Ma in quei momenti di solito spariva di
sopra, da Fierobecco. Ginny non aveva mai avuto uno spettacolo
così
evidente della sua instabilità; eppure, mentre la pendola
segnava
con un leggero ticchettio i secondi, si sentiva stranamente a suo
agio di fronte a Sirius.
“Augura
a Harry buon compleanno anche da parte mia,” disse Sirius a
bassa
voce. “Digli che Felpato se la sta spassando e digli che
– ah non
so. Fai tu. Gliela scriverei io una lettera se potessi. Ma non posso.
Non posso nemmeno respirare nella mia dannatissima casa -” e
poi si
fermò e bevve di nuovo. Piccoli sorsi, come se si
rinfrescasse la
bocca.
“Mi
dispiace, Sirius,” offrì Ginny.
“Dispiace
anche a me,” disse lui. “Non dovresti stare qui.
Non sono una
buona compagnia.” Scoppiò a ridere, una di quelle
sue strane
risate in cui sembrava andare a corto d'aria e che finivano per
essere un rantolo asmatico. Fred una volta lo aveva imitato, e si era
beccato un calcio nello stinco da Ginny. “Sei coraggiosa,
Ginevra.
Non è un tratto da Weasley, ad essere proprio sinceri... sei
più
una Prewett che una Weasley. Una cosa buona secondo me,”
sghignazzò.
Ginny
scelse di accettare quello strano ragionamento come un complimento e
rimase zitta.
“Non
sono proprio una buona compagnia,” ripeté,
assorto. “Proprio
no...”
“Sei
una compagnia perfettamente accettabile,” disse Ginny.
Un'espressione
sardonica si dipinse sul volto di Sirius. “Grazie. Penso tu
sia
l'unica a pensarla così da queste parti. Pensano sia un
pazzo. Forse
hanno ragione.”
“Dico
davvero,” disse Ginny. Voleva che lo sapesse; il pensiero
della
solitudine di Sirius era terribile, angosciante. In quel momento la
colpì il pensiero che Sirius non aveva nessuno al mondo, a
parte
Harry. Harry che era da qualche parte nel Surrey, tenuto lontano dal
suo mondo, tenuto lontano da loro e da Sirius e con la sua buona
porzione di demoni. Erano la coppia padrino-figlioccio più
problematica del mondo. “Chi lo pensa è un idiota.
La gente non sa
quello che dice, la gente non sa mai niente di niente...”
disse
appassionatamente, non sapendo nemmeno lei dove volesse andare a
parare. “Penso che la gente preferisca non sapere. Alcune
volte
penso che... penso che la gente preferisca proprio non capire. E'
più
semplice, così.”
Sirius
la guardò come non l'aveva mai guardata prima; l'alcol aveva
reso i
suoi occhi cupi e pungenti, punte affilate dentro di lei. Ginny
distolse lo sguardo. Stava pensando a Riddle – a come tutti
facessero finta che non fosse successo. Passavano direttamente al 'ma
ora stai bene', ed ignoravano il 'com'è stato essere
posseduti?'. E
se solo avessero saputo com'era stato, se solo avessero conosciuto il
calore del sangue e quegli occhi -
“Me
l'hanno detto,” commentò. “Quello che ti
è successo. Mi
dispiace.”
“E'
stato tanto tempo fa,” tagliò corto Ginny.
Raccolse velocemente
foglio e penna e si alzò dal divano. “Vado a
dormire, allora. A
domattina, Sirius.”
Sirius
annuì. L'atmosfera di strana intimità tra loro si
era spezzata:
respirava un'aria diversa, come se ci fosse più ossigeno nei
suoi
polmoni. La casa era sempre cupa e terribile e piena di sporcizia e
di cose vecchie e orribili, ma c'erano gemme nascoste di
umanità tra
i suoi muri. Sirius era una di queste, rifletté Ginny mentre
attraversava il salone, una di quelle gemme: un tempo aveva brillato,
lo sapeva, e ora anni di polvere l'avevano corrotta e offuscata, ma
c'era forse ancora un bagliore da poter salvare...
“Buonanotte,
Ginny,” gracchiò la voce di Sirius da dietro di
lei mentre era
sulla soglia. Si girò: ma Sirius non stava guardando verso di
lei, ma
verso il muro di fronte a lui, un muro vuoto, dall'intonaco staccato
e la carta da parati rosicchiata.
“Buonanotte,
Sirius,” disse Ginny. “Buttalo quel
whiskey,” soggiunse un
attimo dopo, prima di potersi autocensurare. “Sono sicura che
fa
schifo.”
E
prima che Sirius potesse rispondere, percorse in punta di piedi il
pianerottolo e salì su per le scale.
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