Triplo Axel

di Scar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1/8 ***
Capitolo 2: *** 2/8 ***
Capitolo 3: *** 3/8 ***
Capitolo 4: *** 4/8 ***
Capitolo 5: *** 5/8 ***
Capitolo 6: *** 6/8 ***
Capitolo 7: *** 7/8 ***
Capitolo 8: *** 8/8 ***



Capitolo 1
*** 1/8 ***


Autrice: Scar
Beta-reader: Hannival Kinney
Categoria: Soap opera
Serie: Alles was zählt
Personaggi: Deniz Öztürk, Roman Wild, un po' tutti, nuovi personaggi
Pairing: Deniz/Roman
Genere: commedia, sentimentale, what if?
Rating: PG 14, giallo
Avvertenze: slash
Note: Fan fiction in 8 capitoli (conclusi) che tiene conto, non degli ultimi spoiler, ma solo degli episodi correnti fino a metà luglio. Come sarebbero andate le cose se, una volta fallito il Centro Steinkamp, Roman avesse deciso di lasciare Essen e cercare la sua fortuna altrove? Avrebbe dimenticato Deniz per sempre?

Nell'incipit e in un altro paio di pezzi incontrerete delle parti in corsivo prese da Wikipedia. Non sono un'esperta del pattinaggio, per cui mi sono dovuta affidare a qualche stralcio trovato su internet, e credetemi è davvero poco, e a quello che ho visto nella serie. Riguardo ai restanti pezzi, invece, mi sono inventata spudoratamente certe cose di sana pianta, quindi chiedo scusa se tra i lettori capitasse qualcuno per cui il pattinaggio rappresenti il pane quotidiano. Non ho avuto tempo e modo di informarmi meglio, il tempo stringeva e gli spoiler che corrono attualmente avrebbero potuto inibire tutto quello che avevo in mente e mi sarebbe dispiaciuto molto. Comunque vada, buona lettura.
Inoltre... I Copyrights di Alles Was Zählt e dei suoi personaggi appartengono a Grundy UFA, RTL ; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma per genuino piacere personale.

1/8

L'axel è l'unico salto, nel pattinaggio, in cui si parte in avanti sul filo esterno sinistro. In aria, viene eseguita una rotazione e mezza e si atterra sul filo destro indietro esterno. La spinta per eseguire il salto viene impressa dalla distensione della gamba portante, la sinistra, aiutata dallo slancio della gamba libera, mentre la rotazione viene impressa dalla torsione della parte superiore del busto. Durante la fase di volo, le braccia e le gambe devono essere tenute il più vicino possibile all'asse di rotazione del corpo.

La neve quasi non si era vista ad Amburgo, quell'inverno, invece lì le strade ne erano ancora ricoperte.
Si sollevò il bavero del cappotto e arrotolò più stretta la sciarpa intorno al collo.
Strano, ma aveva dimenticato come potessero essere freddi gli inverni a Essen. Per il resto, in quei due anni che si era trasferito, non era cambiato quasi nulla. Il quartiere sorto intorno al centro sportivo più di vent'anni prima era sempre uguale a se stesso: i viali alberati, il parco rigoglioso in qualunque stagione, le costruzioni con mattoni rossi a vista, le giostre per i più piccoli, il tavolo da ping pong, la pista di skateboard e, infine, il tabellone con il canestro. Gli artisti di strada, però, erano cambiati, oppure dovevano aver migliorato la loro tecnica: i murali adesso sembravano delle vere e proprie opere d'arte.
Aveva sempre amato quel quartiere: una sorta d'isola galleggiante, imperturbabile a dispetto di una città proiettata in apparenza solo allo sviluppo delle sue acciaierie e di attività commerciali sempre più frenetiche. Niente a che vedere con la storia, l'arte, l'eleganza che contraddistingueva Amburgo.
Sollevò lo sguardo e andò a cercare le finestre dell'appartamento che aveva occupato un tempo con Deniz e infine con Florian. Le vide illuminate.
Chissà chi ci abitava ora, si chiese, cercando d'ignorare la piccola fitta al petto.
L'attenzione finì subito dopo sulla porta a vetri del N°7 e fu preso dalla voglia di entrarvi, sorprendendo con il suo ingresso improvviso chiunque vi avesse trovato, magari bere anche qualcosa per riscaldarsi, ma aveva promesso ad Annette di incontrarsi con lei, prima che con tutti gli altri.
Poverina, anche quest'anno l'influenza non l'aveva risparmiata, prima o poi avrebbe dovuto dirglielo che lavorare allo stand, con simili temperature, non era l'ideale per la sua salute cagionevole.
Entrò nel portone di quello che decenni prima era stata una fabbrica di scarpe e, come aveva fatto ogni santissimo giorno per quanti anni vissuti in quella città, s'intrufolò nell'elevatore.
Annette era raggomitolata sul divano davanti al televisore acceso, un plaid sulle gambe, i capelli arruffati e un termometro digitale infilato nell'orecchio. Accolse il suo ingresso con gli occhi lucidi di febbre, ma certamente anche per l'emozione di rivederlo dopo mesi. Abbandonò il termometro sul tavolino, dando solo un'occhiata distratta al display, poi attese che lui le andasse incontro e l'abbracciasse.

L'axel è un salto base, ma quando uno skater alle prime armi riesce ad eseguirlo in modo perfetto si sente quasi un dio. Tuttavia, non bisogna mai sottovalutarlo. Sbagliare un axel è come inciampare lungo una strada senza buche, ma non per questo meno insidiosa. A quel punto bisogna soffermarsi a rivedere: tecnica, postura, tensione dei muscoli, allenamento.
Ripercorrere a ritroso la mente e le proprie convinzioni può essere più faticoso del previsto, esattamente come ritornare in una città dove si è vissuti per un terzo della propria esistenza, conoscerne ogni angolo, ogni singolo respiro e, ciò nonostante, esserne terrorizzati.


“Quindi il tuo arrivo non ha niente a che vedere con il fatto che mi hai tempestata di domande su Deniz nelle ultime due settimane?”
Roman tentò di plasmare l'espressione più innocente meglio riuscita sul suo volto. “L'unico motivo per cui sono qui è questo”.
Così dicendo diede degli affettuosi colpetti alla cartella dove era rinchiuso il materiale del suo nuovo progetto.
Annette mugolò dubbiosa. “E perché non posso ancora vederlo?”
“Per scaramanzia. Preferisco parlarne prima con Steinkamp, sperando che me lo finanzi”.
“Tentar non nuoce” sospirò la donna, mentre si tamponava il naso con un fazzolettino di carta tutto appallottolato. “Dio solo sa quanto ne abbia bisogno dopo il crack di due anni fa. Magari ha ancora voglia di rischiare”.
“Questo Ice show sarà un successo, fidati”.
“Se una cosa è perfetta per te, non è detto che debba esserlo anche per il resto del mondo” snocciolò sarcastica la sua amica.
“Già” sospirò Roman, afflitto. “Me l'hanno detto”.
La pesante porta di ferro azzurra del loft si aprì di nuovo. Lena si fiondò in casa, saltellando e strofinandosi con vigore le mani livide.
“Ehi, Roman!”
“Ciao, pupazzo di neve!” esclamò lui, andandole incontro.
I due si abbracciarono, scambiandosi un lieve bacio sulle labbra. Era gelida.
“Alexander?” chiese Lena alla sorella.
“Dorme come un angioletto da più di un'ora”.
“Bene” chiosò Lena, con un sorriso luminoso rivolto a lui.
Chi avrebbe mai pensato, a conoscerla, che un giorno sarebbe diventata la madre premurosa e affettuosa che aveva davanti. Ancora non riusciva a capacitarsene, considerando che, solo due anni prima, con un figlio a carico e due matrimoni falliti alle spalle, Lena si era portato a letto il fratellino di lui appena maggiorenne. Florian, d'altra parte sembrava davvero preso in quel frangente.
“Sono rimaste delle salsicce con dei pomodori, se hai fame” s'interessò Annette.
Lena rifiutò l'offerta con un sommesso mugolio, nel frattempo cominciò a spogliarsi degli indumenti più pesanti.
“Al Centro hanno dato un piccolo party per festeggiare la Essen Cup. Ah... a proposito, Ingo sarà qui tra un'ora al massimo” la informò. “Sono esausta, credo che andrò di filata a letto”.
Lena si allungò a dare un bacio sulla guancia prima a Roman e poi a sua sorella. “Buonanotte” concluse, mentre apriva la porta della sua camera.
“Penso di fare una capatina al Centro, a questo punto” disse Roman, afferrando frettolosamente la sua sciarpa. “Il tempo di salutare Ingo e le ragazze, poi dritto all'hotel sperando che abbiano ancora qualche camera disponibile”.
Annette lo trattenne, afferrandolo per un polso e scoccandogli un'occhiataccia pungente con tanto di sopracciglio perfettamente arcuato. “Innanzitutto, non hai bisogno di cercarti una camera, e poi... sei sicuro di voler andare fino al Centro per salutare Ingo? Hai sentito Lena: tra meno di un'ora sarà qui”.
“Dimentichi le ragazze” precisò lui.
“Roman?”
L'uomo si sgonfiò nelle spalle “Okay, okay, okay!” schioccò con il suo fare esagitato, che spesso faceva pensare più a uno scoiattolo impazzito che a un coniglio colto sul fatto. “Voglio solo dare un'occhiata. E poi non è detto che ci sia anche Deniz”.
Annette stiracchiò un sorriso scettico “E' l'assistente di Richard Steinkamp, ha organizzato la Essen Cup, probabilmente anche quel ricevimento... e vuoi che non ci sia?”
“Credi che la cosa possa sconvolgermi?”
Annette lo fissò intensamente negli occhi. “Non lo so, ma potrebbe sconvolgere lui. E poi sono due anni che non vi vedete. Sei sicuro che ti piacerà ancora? È invecchiato precocemente, si è ingobbito... ha la pancia, senza contare che è diventato talmente brutto...”
“Sì, certo” replicò Roman, sbottando in una risata sarcastica. “So già com'è... lo so troppo bene”.
“Ah... davvero?” fece Annette sorpresa. “E quando l'avresti visto?”
“Tutti i giorni negli ultimi due mesi” rispose, esalando un lungo sospiro.
“Oh” Annette era sbigottita. “Non me l'avevi detto”.
“Una gigantografia” esordì Roman, allargando le braccia davanti a sé, una punta d'irritazione nella voce e un tono che si faceva via via più alto “di quattro metri per due incollata su un cartellone pubblicitario proprio di fronte all'appartamento di Amburgo e, per quanto ne sappia, stamattina c'era ancora”.
“Oh!” replicò la donna, facendo scivolare il plaid dalle spalle.
“Hai detto bene: Oh!”
Roman strinse gli occhi in una smorfia di teatrale sofferenza e, piagnucolando, si lasciò cadere sul divano accanto alla sua amica, la testa abbandonata sul petto di lei.
“E com'era?”
Roman sollevò il capo, scoccandole un'occhiata torva.
“Era giusto per chiedere” glissò la donna.
Lui scattò di nuovo in piedi, dimenando le braccia sopra la testa.
“Quattro metri per due, con dei pettorali che nemmeno mi ricordavo avesse, con addosso solo un paio di mutande e il gel nei capelli. Secondo te come dovrebbe essere uno che veste Calvin Klein?”
Annette dondolò il capo in segno di approvazione.
“Ed è a causa di quello che io e Marc...” aggiunse lui.
La testa di Annette si raddrizzò attenta in un nanosecondo, tanto da sentirsi lo scatto della sua cervicale. “Tu e Marc... ”
Roman sospirò, ritornando a piagnucolare sommessamente.
“Roman?” insistette l'amica. “Tu e Marc... cosa?”
“Io e Marc... ci siamo presi una pausa”.
“Ah!” chiosò la donna, laconica. “E tutto a causa di un poster? Un po' poco per una pausa, non ti pare?”.
Roman inspirò profondamente. “Non se ti fosti ritrovata a sbirciarlo dalla finestra ogni giorno per gli ultimi due mesi”.
“Lo sbirciavi?”
“Diciamo pure che me lo divoravo con gli occhi. Credo che Marc ne abbia avuto abbastanza quando sono inciampato per strada perché avevo preso l'abitudine di camminare con il naso per aria”.
“In effetti...” convenne lei. “E allora che vorresti fare?”
“Niente” rispose in fretta con fare innocente. “Solo vedere se mi fa lo stesso effetto”.
“Ah, certo” fece Annette con tono ironico. “Che effetto potrebbe farti un originale di un metro per un metro e ottanta rispetto a una copia di quattro metri per due?”
“Un metro e ottantacinque” intervenne lui.
“Cosa?”
“Deniz è alto un metro e ottantacinque” precisò.

Molti fattori potrebbero influenzare la riuscita di un axel, una buona tensione muscolare è ciò che si deve sempre tener presente. L'allenamento costante agli attrezzi permette di acquisire la forza necessaria, mentre la danza conferisce l'eleganza e la grazia all'esecuzione di un salto pulito. Una buona alimentazione, nutriente e leggera, e il riposo regolare sono indispensabili in qualsiasi sport, a maggior ragione in una disciplina dove alla tecnica si deve sempre unire una spiccata espressività del volto e dei movimenti.

Roman aprì una delle porti battenti dell'ingresso, e in un attimo si lasciò alle spalle il buio freddo e nebbioso della strada. Allo stesso modo avrebbe voluto lasciarsi anche la tensione che lo aveva accompagnato dalla partenza, invece, sembrava che essa fosse triplicata nell'esatto istante in cui veniva investito dalle luci accecanti e dalla musica allegra di sottofondo.
Costanze e Brigitte furono le prime a notarlo e si precipitarono ad accoglierlo, timbrandogli la faccia di tanti baci a schiocco colorati di rossetto. Poi lo presero sottobraccio, una per lato, trascinandolo giocosamente fino al centro della sala, a bordo piscina.
Richard Steinkamp lo vide e gli fece segno di raggiungerlo. Dopo averlo salutato con una stretta di mano e un mezzo abbraccio, chiese ai reporter di immortalarli entrambi in quel gesto formale e caloroso allo stesso tempo.
Una delle tante qualità di Richard Steinkamp, indubbiamente, era quella di saper cavalcare l'onda della fama anche quando questa si era ridotta a poco più di un'increspatura, ma era certo che, nonostante gli anni e gli insuccessi, qualcuno avesse ancora una discreta opinione di Roman Wild. Del resto, nessuno del pattinaggio maschile, l'aveva ancora superato in Germania. Fino allora, perlomeno.
Roman vide il vecchio Steinkamp allungare il collo in più direzioni come se cercasse qualcosa o qualcuno di specifico, poi si rivolse sommessamente a Costanze, rimasta immobile e dritta come un grazioso e riverente palo, nelle immediate vicinanze.
“Con Deniz, signor Steinkamp. Giù alla pista” gli sussurrò, sporgendosi leggermente verso di lui.
L'uomo annuì, non riuscendo a nascondere una piccola smorfia contrariata.
“Poco male” esordì, rivolgendosi più a se stesso che a Roman “l'essenziale è stato già fatto”.
Infine, afferrò tre flute di champagne da uno dei vassoi vaganti e lo invitò a brindare con lui e con sua moglie Simone.
Deniz si trovava sulla pista.
La mente di Roman cominciò a lavorare febbrilmente, e lo rivide sui pattini in un'immagine lontana eppure così vivida, mentre si sforzava di eseguire un salto elegante, sfidando la corporatura massiccia e la forza di gravità, o bardato con le protezioni dell'hockey, mentre come un demonio si lanciava contro la rete avversaria.
Dopo che Richard lo aveva infarcito di tante informazioni riguardanti chi o cosa avrebbe riportato il marchio Steinkamp in auge, e resosi conto che ormai più nessuno badava a lui, s'incamminò con disinvoltura verso le scale che conducevano ai sotterranei, ma si scontrò con Ingo che lo circondò con le braccia in un assalto improvviso e un sorriso ebete che sapeva di birra.
“Non mi avevi detto che ti avrei trovato qui. Nostalgia?” fece Ingo, ammiccando in modo teatrale.
“Un po'” confermò Roman, cominciando a fremere d'impazienza. “Vorrei dare solo un'occhiata alla pista, poi me ne torno al loft. Annette mi ha invitato a passare la notte da voi. Non ti dispiace vero?”
“Scherzi, compagno?” bofonchiò, strofinandolo in testa e scompigliandogli tutti i capelli che miracolosamente e riuscito ad appiattire. “A proposito come sta la mia metà sobria?”
“Mmm... non tanto bene” mentì Roman, mentre si pettinava i capelli all'indietro con le dita e risistemava la frangia sulla fronte. Secondo me sente la tua mancanza”.
Il volto di Ingo si fece repentinamente serio. “Sarà meglio che vada allora, non ti dispiace se...”
“Vai pure, marito premuroso, e di corsa. Non la farei aspettare un secondo di troppo al tuo posto” marcò Roman, sfacciatamente.
Seguì per qualche secondo la schiena di Ingo che si allontanava, effettivamente di corsa, diede un'ultima rapida occhiata in giro, e cominciò a scendere i gradini.

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Capitolo 2
*** 2/8 ***


2/8

Mano a mano che si avvicinava al suo obiettivo, la temperatura diventava sensibilmente più bassa, eguagliando quella lasciata fuori il Centro. Con il gelo gli arrivò anche il suono di due voci che echeggiavano nel palazzetto. Una di quelle voci non l'aveva mai dimenticata.

“Sto morendo di fame” si lamentava la prima.
“Un ultimo giro e ho finito” rassicurava l'altra.

Roman si nascose dietro la curva delle gradinate inferiori, una postazione ottimale per osservare la scena senza essere visto. Il cuore cominciò a battere all'impazzata. Deniz era poggiato con la schiena alle protezioni di plexiglas e, con aria apparentemente assorta, seguiva l'esibizione di un giovanissimo skater. Era lui, certamente, il vincitore della Essen Cup e futura promessa del redivivo Steinkamp Sport&Wellness. Capelli chiari, fisico minuto, vent'anni al massimo. Se non fosse stato così giovane e così biondo l'avrebbe potuto scambiare per una copia di se stesso all'apice della carriera.
Il ragazzo eseguì un triplo lutz perfetto, tanto che lui dovette mordersi le labbra per non esultare. Poi, dopo un grazioso atterraggio, pattinò fino al bordo pista affiancando Deniz. I due scambiarono poche parole che lui non riuscì ad afferrare. Deniz lo aiutò ad indossare la medaglia d'oro, che ovviamente aveva vinto poche ore prima e, servendosi del nastro, lo attirò a sé in un bacio appassionato.
Roman chiuse di riflesso gli occhi, le tempie presero a pulsare ritmicamente e qualcosa di affilato cominciò a fargli a fettine lo stomaco. Riaprì gli occhi e i due si stavano ancora baciando; poi vide Deniz prendere il ragazzo per mano e condurlo proprio nella direzione del suo nascondiglio improvvisato.
Roman indietreggiò con passi cauti, per poi affrettarsi nel raggiungere gli spogliatoi; per abitudine aprì quello maschile e vi si chiuse dentro. Dopo qualche minuto, capì che non era stata una mossa intelligente. Le voci di Deniz e dell'altro ragazzo si avvicinavano man mano, e Roman scoprì terrorizzato che stavano per entrare.
“Merda!” sibilò tra le labbra.
Dopo pochi secondi di panico, in cui non vedeva alcuna via d'uscita, decise di nascondersi dietro gli armadietti, pregando in cuor suo di non essere scoperto. Fece appena in tempo, quando la porta si aprì. Dalla sua posizione Roman non poteva vederli, ma sfortunatamente aveva un ottimo udito: lo schioccare umido dei baci, il fruscio dei vestiti che venivano sfilati, il respiro pesante dell'eccitazione erano suoni che gli erano fin troppo familiari, soprattutto in quel luogo. Quando sentì lo scroscio dell'acqua e le loro risate, avrebbe voluto morire.
Ma prima avrebbe ucciso Annette.
Perché non gli aveva detto che Deniz si vedeva già con qualcuno?
Non appena udì il richiudersi sferragliante della tenda che chiudeva il vano doccia, Roman sortì in punta di piedi da dietro la fila di armadietti e si apprestò ad aprire con cautela la porta chiusa a chiave.
Purtroppo, mentre era intento a non fare il minimo rumore, con movimenti lenti e studiati, dovette sorbirsi l'audio sempre più frenetico che proveniva dal cubicolo.
“Vieni qua!”
“Lo sai che dovremo contenerci in vista delle regionali, signor Öztürk ?”
“Il sesso è un doping naturale, lo sanno tutti.”
L'altro ragazzo prese a ridere fragorosamente.
Roman represse un singhiozzo. La chiave era stata girata del tutto, ora toccava alla maniglia. Intanto udì di nuovo la voce di Deniz, forte e limpida tra i rumori dell'acqua scrosciante.
“E poi tu sei il migliore. Il migliore di sempre”.
Roman restò pietrificato, rimanendo aggrappato alla porta aperta come se avesse timore di cadere. Le lacrime gli offuscarono gli occhi in un istante. Quando sgusciò sul corridoio, sentì un immenso fuoco ardere nel petto e brividi per tutto il corpo.
“Fanculo” mormorò tra i denti.
Richiuse la porta sbattendola e facendo quanto più fracasso possibile; infine, si allontanò di corsa.
Al suo rientro al loft, Ingo e Annette si rincorrevano sulla scala di ferro che conduceva alla loro camera da letto. Ai due coniugi bastò guardarlo un secondo per capire che qualcosa fosse andato storto, e immaginarono entrambi cosa potesse essere.
“Voi due. Giù. Subito!”
Nonostante le rimostranze di Ingo, che già si pregustava una nottata di fuoco, i due cominciarono a percorrere la scala a ritroso, posizionandosi di fronte al loro amico con l'aria di due scolaretti sorpresi a combinare una marachella.
“Che cosa possiamo fare per te...” esordì Ingo con un tono mellifluo; diede una veloce occhiata al suo orologio da polso e lo fissò poi negli occhi con aria sostenuta “alle dodici e un quarto antimeridiane?”
“Perché non mi avete detto che Deniz si vedeva con quel... quel...” incespicò Roman a causa del nervosismo.
“Justin” intervenne Annette in suo aiuto.
“Justin?” Roman fece schioccare la lingua, storcendo le labbra dal disappunto.
“Göbel ” completò velocemente Ingo.
“Avreste dovuto dirmelo. Me li sono ritrovati a due passi. E io? Non ho avuto niente altro di meglio da fare che darmela a gambe!”
Ingo arricciò le sopracciglia stranito, ma contemporaneamente un sorrisetto malizioso affiorò sulle sue labbra.
“Perché sarebbe scappato il nostro piccolo Hase?”
Annette si sporse verso di lui. “È di nuovo in tilt per Deniz” gli sussurrò, quasi avesse timore che Roman la sentisse.
Ingo allargò la bocca in una 'O' perfetta. “No!Non è possibile!”
“Non è stato divertente!” puntualizzò Roman, stringendo le labbra dalla stizza.
Ingo fece un lungo sospiro, gli circondò le spalle con un braccio e l'obbligò a sedersi sul divano accanto a lui. Annette li seguì, accomodandosi sul lato opposto.
“Hase” fece il suo amico con tono affettuoso e gioviale. “Quanti anni sono che sei andato via, lasciandoti alle spalle Essen, i tuoi amici e soprattutto... Deniz?”
“Ma che c'entra adesso?” si oppose Roman, con aria imbronciata.
Ad un tratto l'espressione di Ingo era tutt'altro che gioviale.
“Due anni” si arrese e, prima che l'amico potesse interromperlo, aggiunse: “Ma ho pensato a lui tutto il tempo”.
“Mentre stavi con un altro?” Ingo gli afferrò il mento tra indice e pollice e glielo sollevò di scatto, obbligandolo a guardarlo dritto negli occhi. “Lo sai in quanti pezzi si trovava quando te ne sei andato?” Roman tentò d'intervenire, ma l'altro gli sigillò la bocca con il palmo della mano. “Lo sai cosa abbiamo dovuto fare per rimettere tutti quei pezzi insieme? E non credo che il lavoro sia stato eseguito alla perfezione”.
“Quello che Ingo vuole dire” intervenne Annette, e Roman fece scattare la testa nella sua direzione, liberandosi finalmente della mano del suo amico sulla propria bocca “è che Deniz si è appena rimesso in sesto. Ha lavorato come un mulo in questi anni, ha dovuto emigrare in America e...”
“Faceva il modello in America, non il minatore” precisò Roman con decisione.
“Ma lui non avrebbe voluto andarci” continuò Annette. “Voleva restare qui... con la sua famiglia, i suoi amici e soprattutto non avrebbe voluto tornare a fare il modello. Aveva giurato di chiudere con quel mondo, ma quando Nina lo ha chiamato da L.A. con questa proposta non si è potuto tirare indietro. Si trovava ancora con troppi debiti e lavorare al Centro in quel periodo non dava certezze a nessuno; tu te n'eri andato. Che altro avrebbe dovuto fare?”
“Non è stata colpa mia se si era messo nei guai” proruppe Roman, irritato.
“No, certo” convenne Ingo. “Ma avrebbe desiderato trovarti al suo fianco, e invece era stato abbandonato dalle persone a cui teneva di più. Hai una pallida idea dello stato in cui fosse in quel periodo?”
Roman si strinse nelle spalle. “E io allora? Ero senza casa, senza lavoro. Avevo anch'io i miei problemi”.
“E adesso perché vuoi crearne altri?” chiosò Ingo con fare retorico. “Amburgo ha perso ad un tratto tutte la sua attrattiva per il povero Hase?”
“Lui e Marc sono in pausa” lo informò sua moglie, sottovoce.
“Io e Marc ci siamo lasciati!” proruppe Roman, dimentico che in casa ci fosse qualcuno che già dormiva.
“Per il poster?”
“Poster? Quale poster?” chiese Ingo, incuriosito.
“Una gigantografia di quattro per due, un paio mutande e gel per capelli” spiegò sinteticamente sua moglie.
Ingo annuì, fingendo di capire, tanto qualcosa gli suggeriva che non fosse quello il problema reale.
“Le cose tra noi non andavano bene già da alcuni mesi” prese a raccontare Roman. “Dopo che avevamo finito di lavorare allo spettacolo, una mattina, ci siamo guardati e non avevamo nulla da dire. Come due perfetti estranei”.
“E per questo vuoi scombussolare di nuovo la vita a Deniz?” Ingo non attese una sua risposta. Gli circondò la nuca con la sua mano grande e forte e lo attirò a sé, costringendolo a guardarlo negli occhi. “Senti, Hase. Ricordi tutte volte che ti consigliavo di stargli alla larga per il tuo bene e di guardarti intorno in cerca di altri conigli?” Roman annuì afflitto. Rimpiangeva quei tempi. “Ebbene adesso ti do lo stesso consiglio: lascialo stare... per il suo bene”.
“Quello che Ingo sta cercando di dirti” intervenne Annette con calma. “è che Deniz ha appena trovato un suo equilibrio. Non sappiamo se la storia con questo ragazzo sia importante o meno, non è questo il punto. Adesso è sereno, come non lo vedevamo da mesi”.
Annette conosceva abbastanza bene Roman da reputarlo incapace di accettare consigli da chicchessia, quindi ragionò in fretta e decise di vuotare il sacco dal fondo, senza tanti giri di parole (permettendosi solo qualcuno per evitargli un infarto).
“Innanzitutto...” cominciò “Deniz sa che sei stato con Marc per tutto questo tempo”.
“Glielo avete detto!” fece l'amico, incredulo.
“Non c'è stato bisogno” replicò Ingo.
“Ricordi i biglietti che ci avevi mandato per assistere al tuo ice show ad Amburgo?” riprese Annette.
Roman annuì.“Ebbene Deniz, non sappiamo come, lo venne a sapere e insistette per venire anche lui. Voleva tentare di riconciliarsi ancora con te” si sporse al lato di Ingo. “Come furono le sue esatte parole, tesoro?”
“Ora che Roman ha realizzato il suo sogno, forse sarà disposto a parlare di nuovo con me. Non ci credo che sia finita”recitò l'uomo, imitando la voce profonda di Deniz.
Roman deglutì, socchiudendo gli occhi con aria afflitta. Poteva immaginare l'espressione speranzosa di Deniz nel pronunciare quelle parole, e ancor di più quello che doveva essere accaduto in seguito.
“Dopo la fine del primo atto voleva incontrarti, e invece...”
“...mi ha trovato con Marc” concluse Roman con un filo di voce, gli occhi improvvisamente lucidi.
“Non lo abbiamo più visto quella sera” riprese Ingo. “Ha telefonato a me dopo un'ora per dirmi che si trovava sul treno per casa e che aveva deciso di accettare la proposta di Nina a L.A.”
Roman si strofinò il viso con una mano, trattenendo le lacrime che cominciavano a bussare da dietro le palpebre. Al contrario, se avesse visto Deniz quella sera, ne sarebbe stato infastidito, perché credeva di aver trovato finalmente la felicità, insieme a Marc, il proprio 'equilibrio', e non avrebbe permesso a nessuno d'infrangerlo, tanto meno a Deniz e alla sua proposta di riconciliazione. E lui adesso voleva fare lo stesso, proprio come Marc, quando si era presentato a Essen più di due anni prima, mandando all'aria la relazione che aveva in quel momento proprio con Deniz. Era un cerchio che non si chiudeva mai.
“Voglio... voglio” esordì Roman, dopo un profondo respiro. “Voglio solo sapere se è felice, voglio vederlo con i miei occhi”.
Annette sospirò esasperata. “Ma certo che è felice!” La donna indurì i tratti del viso come se stesse per esplodere, scordandosi completamente di sua sorella e del nipotino che riposavano. “Deve esserlo! Ha un ottimo lavoro, soldi, una casa e soprattutto un... figlio!”
Roman s'irrigidì come se avesse appena ricevuto una secchiata d'acqua gelida in pieno viso.
“COSA?”

Nel doppio axel si eseguono, in aria, due giri e mezzo, e come nel caso di quello singolo, si atterra sul filo indietro esterno. La pulizia della tecnica e un perfetto atterraggio in questo tipo di salto sono alla base di combinazioni più elaborate, con sequenze che devono essere altrettanto forti sia dal punto di vista tecnico che da quello interpretativo.

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Capitolo 3
*** 3/8 ***


3/8

Il mattino dopo, Roman riuscì a scambiare solo poche parole con Richard Steinkamp, che era tra l'altro in procinto di partire per una breve vacanza. Il suo ex datore di lavoro apparve piuttosto neutrale di fronte alla sommaria esposizione del concept. Era anche vero, tuttavia, che dopo essere uscito quasi indenne da due infarti, l'uomo cercasse di farsi coinvolgere dal suo lavoro di meno rispetto al passato, delegando agli assistenti le incombenze più onerose. Ed essendo conclusasi la Essen Cup solo il giorno prima, voleva approfittarne per trascorrere una settimana fuori città in compagnia della moglie. L'unico che avrebbe potuto valutare attentamente la questione era anche l'unico che sarebbe rimasto per il weekend, Deniz Öztürk, nel quale lui riponeva completa fiducia.
Roman avvertì una stretta allo stomaco. Tutto era nelle mani di Deniz e la cosa lo eccitava e, allo stesso tempo, lo impensieriva.
“Il problema è che il signor Öztürk ha comunque il weekend libero, ma potrebbe fare un tentativo, signor Wild”.
Roman annuì, cercando di mascherare l'aria afflitta.
“Vada dalla signora Schnell. Le dirà come mettersi in contatto con lui”.
A Roman non restò che ringraziarlo, anche se vedeva le speranze di concretizzare il suo progetto svanire ulteriormente, proprio come quelle di riavvicinarsi a Deniz.
E sembrava, infatti, che tutto fosse predisposto per far fallire i suoi piani. Deniz aveva dato disposizioni di non essere disturbato in quei giorni, quindi Brigitte non si lasciò convincere tanto facilmente a fornirgli i mezzi per contattarlo.
Roman era turbato al pensiero di sentirne la voce, ma soprattutto di fargli sentire la sua; quindi, dopo aver esitato per quasi tutto il giorno, non facendo altro che prendere in mano il cellulare e riporlo nella tasca dei pantaloni un attimo dopo, si decise a comporre il numero, ottenendo come risposta solo la voce impersonale della segreteria telefonica. Dopo svariati tentativi il risultato fu sempre lo stesso, e non ebbe nemmeno il coraggio di lasciargli un messaggio.
Tutto faceva supporre che avrebbe dovuto attendere l'inizio della settimana successiva per veder smuovere qualcosa, magari parlarne con Ben, ma la pazienza non era mai stata il suo forte. Tuttavia, alla fine decise di mollare, almeno per quel giorno, tornare al loft, chiacchierare un po' con Annette e divorare una confezione intera di gelato al tartufo.

“È lui?”
Annette annuì semplicemente.
Roman staccò dalla porta del frigorifero una delle foto rinvenute durante l'esplorazione della casa in cui aveva abitato in passato, e dove spesso si era rifugiato. Vi erano ritratti due bambini sorridenti. Uno era biondo, sui sei anni, Alexander ovviamente; l'altro molto più piccolo, con una zazzera scura, folta e ribelle, e uno sguardo che non lasciava adito a dubbi. Naso e bocca erano come quelli della madre, ma gli occhi... cavolo... gli occhi erano quelli di Deniz.
“Non ci posso ancora credere” chiosò, riponendo la foto sotto il magnete. Roman notò un'altra foto incorniciata, poggiata sul mobile sotto la finestra. Lo stesso bambino, molto più piccolo che nella precedente, si trovava strizzato tra due raggianti Annette e Ingo.
“Perché non le ho viste l'ultima volta che sono stato qui? Avrà più di sei mesi” fece lui, perplesso.
“Ha compiuto un anno la settimana scorsa” gli rispose Annette, dopo un lungo sospiro. “E non le avevi viste perché le avevo nascoste”.
“Ti ha chiesto Deniz di farlo?”
Annette scrollò il capo. “In verità a Deniz non importava, o almeno così ci è sembrato. E' stata una mia idea. Pensavo che la cosa potesse turbarti, anche se non mi avevi chiesto mai sue notizie, non fino a due settimane fa, perlomeno”.
“E lo sono” convenne lui. “ Come è potuto accadere? Cioè... voglio dire... non immaginavo che lui volesse un figlio, farlo poi”.
Annette invitò l'amico ad accomodarsi sul divano accanto a lei e a condividere il plaid. Lo baciò alla tempia e gli lasciò appoggiare il capo sulla spalla. “So che mi sono già intromessa troppo, ma tu... hai mai chiesto a Deniz quali fossero i suoi desideri, quando stavate insieme?”
Roman si accigliò, sforzandosi di ricordare se avesse mai posto quel tipo di domanda a Deniz. Aveva sempre parlato dei suoi sogni, quelli passati, quelli che si erano realizzati, quelli che lo avevano deluso e quelli irrealizzabili e, per questa ragione, l'avevano tormentato più di tutti gli altri, ma no... non gli aveva mai chiesto cosa desiderasse per se stesso. Quindi scrollò lentamente il capo.
“A te lo ha detto?”
Annette annuì. “ Ti confesso che ne restai sorpresa. Perché fino a quel momento lo avevo sempre visto solo come un ragazzino. Prima il ragazzo ribelle di Marian, poi il ragazzo di Roman, il ragazzo di Vanessa, poi di nuovo il ragazzo di Roman, ma mai per quello che era: un uomo con dei principi e con un gran cuore. Era un mese che tu te ne eri andato. Stavamo festeggiando il compleanno di Alexander e lui era lì - indicò un punto imprecisato del salone – con il compito di animare i giochi di tutti i piccoli invitati... ed è stato incredibile. Sembrava che non avesse fatto nient'altro nella vita. Gli chiesi se la cosa gli piacesse come sembrava, e lui rispose semplicemente che, se avesse potuto, avrebbe riempito la sua casa di bambini. E su questo ci siamo trovati in perfetto accordo. E se me lo chiedi, la risposta è sì: è un padre fantastico”.
Annette si asciugò l'angolo dell'occhio dove le era sfuggita una lacrima e si soffiò il naso con un fazzolettino di carta.
“Come è accaduto?”
“All'improvviso e per caso” rispose Annette. “Vanessa stava attraversando un periodo orribile dopo aver perso il bambino, con Tom non aveva funzionato, e Deniz la portava spesso qui, o in giro, per evitare che cadesse in depressione. Ma Vanessa voleva un altro bambino e questa cosa era diventata un chiodo fisso per lei. Era intenzionata ad andare alla banca del seme e invece...”
“Deniz si è fatto avanti” concluse Roman al posto di lei, con un ghigno accennato. “Tipico di Deniz. Per me sono stati incoscienti ed egoisti. Vanessa avrebbe avuto bisogno di un buon medico non di mettere al mondo un figlio”.
Annette lo fissò negli occhi, con uno sguardo torvo e malinconico al contempo. “Sì, forse hai ragione” replicò “ Noi donne diventiamo davvero incoscienti ed egoiste quando desideriamo la maternità”.
Roman si mordicchiò un labbro. Anche se lo aveva sempre pensato, non avrebbe dovuto parlare in quel modo, in particolare a lei. “Scusami. Non intendevo...”
“Fa niente” minimizzò la donna, sforzandosi di sorridere. “So come sei fatto”. Fece un lungo sospiro, attorcigliandosi la coperta fino al mento. “Vanessa voleva un bambino e Deniz una famiglia. Credo che siano entrambi molto felici e soddisfatti”.
“E il bambino? Che cosa c'entrava il bambino in tutto questo?” fece Roman con un tono acido. “Forza, Annette, siamo realistici! Non prendiamo il tuo caso. Tu e Ingo siete già una famiglia e il giorno in cui vi daranno un bambino in adozione, due, tre, quanti ne vorrete, sarà tutto perfetto, ma loro...”
“Pensavo lo stesso anch'io, all'inizio” convenne Annette. “Loro non sono una coppia, ma amano quel bambino come nessun altro e sono una famiglia, con tutti i suoi limiti”.
Roman cominciò a scrollare il capo e sembrava non voler smettere. L'unica parola che gli rimbombava nella testa era: stronzata.
Infine, si rese conto che non aveva ancora domandato che nome avessero dato al piccolo Steinkamp-Öztürk .
“Michael” gli rispose la donna “ma noi tutti lo chiamiamo Mickey”.
“Come Mike?” chiese Roman, sorpreso.
Annette annuì sorridente. “Come Mike”.

“Marian sarà impazzito dalla felicità” chiosò, sarcastico.

Il mattino successivo richiamò un sole splendente su tutta Essen. Le strade erano state appena liberate dalla neve, della quale erano rimaste poche tracce sotto i bordi dei marciapiedi. Roman decise di fare colazione allo stand in compagnia di Annette che si sentiva abbastanza in forma per lasciare il suo status da ammalata alle spalle e riprendere a lavorare.
Di domenica il quartiere era una festa di colori e di gente occupata solo a passeggiare e rilassarsi. Il chiacchiericcio si confondeva con lo sferragliare degli skateboard e delle bici lungo i viali.
Aveva quasi terminato la sua porzione di patatine con maionese a parte, quando all'ingresso del parco notò un bambino abbracciato a una palla quasi più grande di lui e che cercava di trasportarla incespicando sulle gambe malferme. Quel bambino sembrava lo stesso che aveva visto sulle foto disseminate nel loft, e se c'era lui...
Roman avvertì un tuffo al cuore. Buttò quello che era rimasto della sua colazione nel bidone della spazzatura e si avviò verso il parco, nascondendosi dietro a dei provvidenziali cespugli.
Come aveva immaginato, c'era anche Deniz e, con lui, Vanessa. I due giovani facevano rotolare la palla verso il figlio che l'afferrava per poi rilanciarla in modo goffo e approssimato; un cane di media taglia saltellava intorno a loro cercando di impossessarsene a sua volta. Da come ci giocavano, era chiaro che anche il cucciolo facesse parte della famiglia.
Nemmeno da ubriaco, un giorno, Roman avrebbe potuto associare un'immagine del genere a Deniz Öztürk, ma sembrava fosse la più congeniale a lui, in quel momento.
Il cucciolo, forse sentendosi messo da parte, cominciò a saltellare quasi all'altezza dei fianchi di Deniz e questi, ad un tratto, si lasciò cadere a terra, ignorando la fanghiglia formatasi sull'erba, dove la neve si era sciolta, e fingendo di soccombere sotto la sua piccola mole. Il bambino cominciò a strillare tutto eccitato - probabilmente era un gioco che facevano spesso – abbandonò a terra la palla, che ormai aveva perduto ogni attrattiva, e gattonò fino al padre, si posizionò a cavalcioni sulla sua pancia e cominciò a saltellare. Vanessa rideva di gusto a pochi passi da quel groviglio animale e umano; Deniz rideva a sua volta, chiedendo a gran voce e inutilmente il suo aiuto.
Roman non poté evitare di sorridere e di avvertire al contempo una stretta di gelosia per essere, in quel frangente, non solo spettatore casuale ma principalmente un intruso.
Finalmente era riuscito a comprendere i discorsi di Annette e Ingo: Deniz era ancora più bello di quanto ricordasse ma, probabilmente, non lo aveva mai visto così spensierato e felice.
Perso nelle sue elucubrazioni, ad un tratto, si ritrovò il loro pallone, a pochi centimetri dai suoi piedi e, appena dietro, il piccolo Michael che lo guardava con l'aria smarrita dei suoi grandi occhi neri. Roman si accovacciò, raccolse il giocattolo e glielo porse, ma il bambino sembrava fosse caduto in uno stato catatonico e continuava a fissarlo senza muoversi. Così lui decise di abbandonare palla, infante e ovviamente il parco, prima che i suoi genitori si accorgessero della sua presenza. Ma proprio mentre stava per rimettersi in piedi, il piccolo si aggrappò tenacemente alla sciarpa che portava legata al collo. Nonostante avesse solo un anno, sembrava in possesso di una forza straordinaria. Roman dovette sciogliere istantaneamente il nodo alla sciarpa per evitare di restarne soffocato. Conclusione: il bambino cominciò a correre verso i suoi genitori, sbandierando il prezioso e colorato accessorio come fosse un trofeo.
“Merda” imprecò sottovoce, restando ben nascosto dietro i cespugli.
“Amore, dove l'hai presa?” sentì chiedere da Vanessa.
Poi udì Deniz, il tono leggermente preoccupato. “Vado a controllare dietro quei cespugli”.
Il suo cuore fece un balzo nel petto. Restando quasi piegato in due, prese a correre verso l'uscita.
Non sapeva perché si fosse comportato così, o perché ad un tratto avesse addirittura il terrore di farsi vedere. Ciò che sapeva con certezza era che di colpo sentiva di non avere più niente in comune con Deniz, adesso più di prima.

Durante l'esecuzione di un doppio axel si avverte quasi la sensazione di volare; ecco perché una caduta in queste condizioni può essere piuttosto brusca e dolorosa, tanto da scoraggiare l'atleta a riprovarci immediatamente.

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Capitolo 4
*** 4/8 ***


4/8

Alla televisione stavano trasmettendo un quiz a premi. Il campione in carica era caduto proprio sulla domanda di sport: pattinaggio artistico.
“In che anno Vern Tyler tentò con successo il primo triplo axel nella storia del pattinaggio su ghiaccio? E in quale tipo di competizione?”
“Ai mondiali del '78!” urlò Roman. “Idiota! '78!” ripeteva, torcendo uno dei cuscini tra le mani.
Era così preso che non badò al portellone del montacarichi che si apriva.
“Avresti dovuto esserci tu al suo posto” udì all'improvviso da un punto dietro le sue spalle.
Roman saltò letteralmente dal divano, il cuore in gola. Si girò di scatto e Deniz era di fronte a lui.
“Che ci fai qui?” fu la prima cosa che gli venne in mente.
“Ciao! Buongiorno anche a te” replicò Deniz, con ironia.
“Scusa... è che mi hai preso alla sprovvista” sospirò. “Non me lo aspettavo... volevo dire... ehm... come stai?”
Deniz sembrò riflettere per qualche attimo. “Bene. Tu?”
“Io? Ehm... sì, anch'io. Posso offrirti qualcosa? Caffè? Tè? Prosecco?” fece Roman, mentre si avviava agitato verso la cucina.
Deniz scrollò lentamente il capo. “Sono venuto solo a riportarti questa”.
Così dicendo gli allungò la sciarpa che gli era stata sottratta al parco, poco più di un'ora prima.
Roman sentì le guance riscaldarsi.
“Scusa. Michael adora l'arancione”.
Roman afferrò la sciarpa, riuscendo solo ad annuire con un sorriso tirato.
“Sai... ti ho telefonato diverse volte” esordì, trattenendosi dal dire che avrebbe voluto che lui lo richiamasse. “Poi sono capitato per caso nel parco e... insomma... non sapevo se ti avrebbe fatto piacere rivedermi” si schermì.
Deniz sollevò le spalle con noncuranza. “Annette mi ha accennato qualcosa. Possiamo vederci domani al Centro se ti va, oppure mangiare qualcosa insieme per pranzo. Così ne potremo parlare con calma. Okay?”
Roman avvertì una strana leggerezza prendere il posto del piombo che lo opprimeva da qualche giorno. “Okay” rispose, con un sorriso vero.
Non aggiunse altro, Deniz neppure, ma era certo che lui gli avesse regalato un sorriso uguale, prima di chiudersi la porta del loft alle spalle.
Con il passo di un automa e lo sguardo vacuo, Roman tornò al divano e al programma televisivo che ormai aveva perso la sua attenzione incondizionata, come tutto il resto d'altronde.
Si chiedeva incessantemente se fossero stati reali quei pochi secondi appena vissuti. Il cuore martellava come non avrebbe creduto possibile e la sua testa sospirava e ripeteva di continuo: Deniz. Deniz. E ancora Deniz.
Oddio, forse già aveva dato il via alla costruzione di tanti castelli in aria, con balconi, servizi e un un centinaio di camere come minimo, e non era da lui. Però, da come gli aveva sorriso, gli era parso che Deniz non lo odiasse, e questo rappresentava già un buon inizio.

Il triplo axel, l'apoteosi dell'axel, è ora divenuto un salto standard per gli uomini, ma ancora raramente eseguito in campo femminile. Non riuscire ad eseguire un triplo axel in una competizione internazionale potrebbe pregiudicare il punteggio conclusivo e mandare all'aria i propri obiettivi.

“Rossa o bleu?”
“Rossa!” rispose velocemente Annette. “Ma perché la cravatta? Non sapevo che avessi una riunione di Stato”.
Roman la ignorò, troppo occupato ad alternare a ripetizione le cravatte sulla camicia azzurra. Nessuna delle due lo convinceva. Alla fine optò per niente e si slacciò i primi bottoni.
“Dicevi, Annette?”
L'amica gli regalò un sorriso raggiante. “Dicevo che va bene così”.
Roman concordò con un cenno deciso del capo. Poi indossò la giacca e la provò prima aperta, infine abbottonata, girando come una trottola davanti allo specchio.
“Sei troppo nervoso!” gli fece notare Annette.
“Cosa te lo fa credere? Si vede tanto? Da cosa l'hai notato? Dovrei sbottonare la giacca e spettinare un po' i capelli, ma poi sembrerei un idiota che non si è nemmeno guardato allo specchio prima di uscire” disse senza riprendere fiato. “Forse dovrei infilare un maglione, la giacca è troppo formale o forse...”
Fissò l'amica che lo guardava in silenzio e con un sorrisino irritante sulle labbra. “Annette!” la richiamò. “Di' qualcosa!”
La donna si avvicinò a lui, continuando a restare in silenzio. Sembrava che quel ghigno, o quello che fosse, ce l'avesse stampato a fuoco sulla faccia. Terrorizzato vide le mani di lei infilare la direzione del cavallo dei suoi pantaloni. Era impazzita! All'improvviso Annette si era presa la briga di constatare il suo grado di eccitazione. Non ricordava quanto fosse sempre un po' teso da quelle parti prima di un appuntamento importante?
Ad un tratto sentì la zip dei pantaloni che veniva tirata su.
“Ecco!” fece finalmente Annette con aria soddisfatta. “Ora sei perfetto”.
Roman avvertì all'istante qualcosa di umido farsi spazio nei suoi occhi. Non era semplicemente agitato, era in uno stato a dir poco pietoso, e avrebbe sicuramente fatto qualcosa di sconveniente appena si fosse trovato Deniz di fronte. N'era certo, com'era certo di aver rischiato di uscire con la patta dei pantaloni completamente aperta. Mai, in tanti anni in cui aveva avuto a che fare con se stesso, gli era capitata una cosa del genere.
“Okay, adesso vado” disse, inspirando profondamente. “Vado?” chiese, guardando incerto la sua amica.
Annette annuì, sorridendo.
“Okay, vado!” ripeté con determinazione, o quasi, a se stesso.
Prese il cappotto.
“Hase?” lo chiamò la donna.
Roman si bloccò all'ingresso, e prese a fissare il portellone dell'elevatore, temendo che ci fosse qualcos'altro che non andasse. Probabilmente gli si erano scuciti i pantaloni addosso questa volta. Quando si voltò, Annette gli stava porgendo la cartella con gli appunti del suo spettacolo.
“Buona fortuna” gli augurò lei, stampandogli un bacio scarlatto sulla fronte.

Il quartiere gli sembrava diverso quella mattina. L'aria che respirava era diversa.
Tutta la città gli sembrava diversa.
Lui si sentiva diverso.
Era spaventato, certo. E la voglia di fuggire a gambe levate non l'aveva risparmiato nemmeno per un istante. Ma, da quando Deniz gli aveva parlato, una sconsiderata gioia le faceva ormai compagnia.
D'accordo, non erano state che due frasi messe in croce, ma Deniz non era mai stato famoso per le lunghe conversazioni.
Essendo impegnato con gli sponsor al Centro, lui l'aveva chiamato quella mattina stessa per fissare un appuntamento al N°7 verso l'ora di pranzo. Proprio come ai vecchi tempi.
Forse aveva fatto bene a non mettere la cravatta, dopotutto.
Deniz invece la indossava. Roman si chiese se fosse ormai quello il suo abituale modo nel vestire oppure se fosse esclusivamente legato al lavoro che svolgeva.
Era fuori l'ingresso del N°7, bello da togliere il fiato e, non appena gli andò incontro, lui lo accolse con un gran sorriso. Sarebbe stato troppo sconveniente buttarsi tra le sue braccia? Roman si perse a tal punto nella sua mente che quasi non capiva quello che Deniz gli stava dicendo. Quando finalmente arrivò a comprenderlo, sentì una stretta fastidiosa allo stomaco.
“Mi dispiace, ma a Vanessa hanno anticipato gli esami in Facoltà e deve partire fra poco”.
“Okay” rispose lui di riflesso, anche se non capiva perché il loro appuntamento a pranzo dovesse finire nel nulla.
“Annette sarebbe felicissima di tenerlo al tuo posto”.
Deniz lo guardò come se avesse detto la cazzata del secolo. “Lo so” sorrise “Ma Michael è sempre nervoso quando sua madre è in partenza e preferisco tenerlo con me”.
Roman accennò un sorriso smorto, esattamente come doveva essere il suo colorito in quel momento.
Non ancora aveva conosciuto a dovere il piccolo Mickey e già gli stava pesantemente sul culo.
“Ci vediamo” disse Deniz, sul punto di mollarlo come un pacco esplosivo.
No. Non poteva finire così.
“Deniz?”
Il giovane si voltò di scatto.
“Potresti.. dare un'occhiata, quando avrai un po' di tempo?”
Roman aprì velocemente la sua cartella e ne tirò fuori un raccoglitore ad anelli. La sua fatica degli ultimi due mesi.
“Farò il possibile.” Deniz afferrò il materiale, e il suo sguardo s'illuminò all'improvviso. “Perché non vieni con me?”
Roman assottigliò gli occhi, cercando di tradurre quell'ermetico invito nel proprio linguaggio: Casa – lui – Deniz - il marmocchio - lui e Deniz.
“D'accordo” rispose, probabilmente un po' troppo in fretta.
Sempre meglio di un pranzo mancato.

Durante il breve viaggio in macchina, Deniz aveva guardato nello specchietto retrovisore più di quanto fosse stato indispensabile, e comunque molto più spesso della strada davanti a sé. Forse desiderava assicurarsi che il bimbo seduto e legato sul seggiolino alle sue spalle... non volasse via? Roman aveva trovato questo suo atteggiamento un po' seccante, a dire il vero: il pupo sarebbe venuto su viziato, o perlomeno con dei complessi, secondo il suo parere. Ma ciò che più l'aveva infastidito era stata la completa indifferenza nei suoi confronti: neppure una volta, anche per puro caso, uno di quegli sguardi era capitato nella sua direzione.
Terminato il tragitto, Deniz parcheggiò l'auto sul vialetto di una casa a due livelli: il primo piano era abbastanza grande, a occhio e croce un centinaio di metri; il secondo consisteva in una mansarda con terrazza. Deniz gli spiegò che stava ancora pagando il mutuo: solo per una decina d'anni, visto che aveva potuto dare un forte anticipo con la vendita del suo precedente appartamento.
“Ho dovuto cercarla in questi paraggi per stare più vicino a mio figlio. E' più comodo” aggiunse.
“Avresti potuto trasferirti a Villa Steinkamp. Sarebbe stato ancora più comodo”.
Deniz si accigliò in uno sguardo interrogativo. “Io e Vanessa non stiamo insieme. Abbiamo deciso di fare i genitori e di stare il più vicino possibile l'uno all'altro, ma ognuno di noi vuole avere una propria indipendenza.”
“Genitori indipendenti suona come un ossimoro, non trovi?”
Deniz aggrottò ancora di più la fronte. “No” rispose con decisione. “E' molto più di quanto potessi sperare”.
Aprì lo sportello posteriore dell'auto e slacciò le cinture di sicurezza del bambino, poi lo afferrò e, tenendolo in braccio, s'incamminò verso l'ingresso della casa. Lui gli andò dietro.
“Vanessa ha la custodia, vero?” gli chiese, pur immaginando già la risposta.
Deniz annuì. “E' la madre. Io do una mano quando serve e cerco di stare più tempo possibile con lui. Ripeto: è molto più di quanto avessi mai sperato” disse, mentre faceva scattare la serratura della porta d'ingresso.
A Roman scappò una risatina storta. “Lo dici come fosse un regalo”.
“E' così” Deniz lo guardò con aria stupita, quasi l'avesse visto scendere dal cielo. “Non avrei mai pensato di diventare padre, un giorno”.
Entrarono in casa e Deniz richiuse la porta alle loro spalle.
“Hai avuto molte più possibilità di qualsiasi altro gay” riprese Roman, con l'intenzione di ricordargli di non aver mai disdegnato il sesso femminile in passato ed era probabile, per quanto ne poteva sapere, che non avesse perso del tutto il vizio.
Deniz rispose con un risolino sarcastico. “Sempre molto divertente” aggiunse.
Poi fece scendere il piccolo sul pavimento del soggiorno, liberandolo di cappottino, guanti, sciarpa e cappello.
L'ambiente sembrava molto accogliente a prima vista e si veniva abbracciati da un bel tepore, cosa che l'obbligò a togliersi in fretta soprabito e giacca.
“È molto alto e abbastanza coordinato per avere solo un anno” annotò, seguendo con lo sguardo il bambino correre dritto alla sua cesta dei giochi, accanto al televisore del salotto.
Deniz sorrise, gonfiandosi d'orgoglio. “Cammina da quando aveva nove mesi. E' stato precoce”.
“Vedo” convenne lui. “E parla?”
Deniz si sgonfiò di colpo, scrollando il capo con aria abbattuta.
“Ehi! Non fare così. Ha solo un anno.”
Ormai gli era fin troppo chiaro che, per Deniz, qualsiasi inezia riguardasse il bambino rappresentava l'ago del suo umore. Gli accarezzò una spalla per confortarlo, accorgendosi solo in seguito che, da quando l'aveva rivisto, era la prima volta che lo toccava. Sentì all'istante un vuoto allo stomaco, unito all'irrefrenabile voglia di non allontanare la propria mano, e di baciarlo, già che c'era.
Per pochi istanti – ma gli erano sembrati secoli – si erano guardati negli occhi. Roman sperava ardentemente che accadesse in quell'istante o che, perlomeno, Deniz provasse le medesime sue emozioni. Invece, questi abbozzò solo un sorriso, quasi di scuse, e prese la direzione della cucina, facendo scivolare quella mano dalla sua spalla come un peso morto.
“Preparo dei sandwich. Per te vanno bene?” gli chiese, con voce incolore.
Roman annuì, sforzandosi di mascherare la delusione.
Dopo quel frugale pranzo, Deniz portò il bambino nella sua cameretta per il sonnellino pomeridiano. A Roman cominciarono a sudare le mani al pensiero che di lì a poco Deniz avrebbe dato un'occhiata alla bozza del suo progetto, esprimendo un giudizio sul quale non faceva più lo stesso affidamento di prima.
“Michael è crollato” lo informò in un sussurro, mentre richiudeva la porta della stanza.
Roman annuì con un sorriso teso, e la situazione sembrò complicarsi quando lo vide sfilarsi all'improvviso la camicia e prendere la direzione dell'altra camera da letto.
“Scusami! Ci metto un secondo”.
Un secondo per cosa? - si domandò Roman. Di certo a lui gli si era bloccato il respiro in quel secondo.
Deniz ritornò in soggiorno quasi subito, come promesso, indossando un paio di vecchi pantaloni da jogging e una maglietta azzurra, striminzita e a mezze maniche come quelle che centinaia di volte gli aveva visto in passato e per altrettante volte ci aveva fantasticato sopra.
Poi versò del caffè in due tazze e lo raggiunse porgendogliene una. Roman l'accettò di buon grado, ma cominciò a bere più per schiarirsi la gola che per l'effettivo bisogno di tirarsi su, perché per quello bastava già la visione di Deniz, delle sue braccia che, l'aveva sempre pensato, avrebbero dovute essere patrimonio dell'umanità già da tempo, e di tutto quello che la sua mente, ormai alla deriva, immaginava sotto quei pochi indumenti.
Aveva constatato, in conclusione, che Deniz non gli faceva lo stesso effetto di prima, bensì molto di più, o che probabilmente avesse solo messo da parte ciò che aveva sempre provato quando gli era distante a meno di mezzo metro.
Tachicardia. Tremori. Vertigini. Dispnea. Una voglia spropositata di saltargli addosso.
Come aveva potuto dimenticare tutto questo?
Deniz sedette sul pavimento con le gambe incrociate, afferrando il raccoglitore con il concept; Roman lo imitò, sedendosi al suo fianco, anche se non fu facile per lui incrociare le gambe, per via dei pantaloni non proprio comodi. E poi perché dovevano sedere sul pavimento quando avevano a disposizione un pratico e morbido divano in pelle alle loro spalle?
Roman non poté nemmeno andare a fondo in quel problema, poiché lo sguardo di Deniz che lo fissava sorpreso, da qualche attimo, era più importante.
“Ma questo è...”
Roman annuì, sorridendo. “Sì, lo è”.
Da quando aveva rivisto Deniz su quel cartellone pubblicitario, o forse anche da prima, Roman aveva avvertito l'impulso di mettere su carta le proprie emozioni, e che non riguardavano la sua vita in quel momento, la sua storia interrotta e ripresa dopo dieci anni con Marc, la realizzazione dei loro sogni comuni. No. Quello che sentiva era qualcosa di nuovo e inaspettato. Una ridda di ricordi e sensazioni che facevano capo a un punto soltanto: Deniz.
Deniz e la mattina in cui l'aveva conosciuto allo Stand di Annette. Deniz e i sogni che lo tormentavano da quel giorno. Deniz e l'aggressione nel parco. Il loro primo bacio. La prima volta. Il tradimento. La riconciliazione. Deniz e il suo sostegno, che non erano mai mancati quando aveva desiderato essere per una volta il primo e quando alla fine aveva deciso di rinunciarci. Deniz che, nonostante i tradimenti e il dolore, aveva dato un senso alla sua vita.
Deniz tornò a sfogliare il quaderno, mentre lui cercava di captare le sue emozioni, diventate quasi imperscrutabili.
“Non avrei mai immaginato di leggere una storia su noi due” disse finalmente.
“Credo che potrebbe essere una buona base per un ice show. C'è azione, suspance, sentimento e...”
“Non ne dubito” lo interruppe. “Ma... è una storia gay.”
Roman si accigliò. “No. Non ci credo. Dimmi che ho capito male, ti prego”.
Aveva posto in preventivo qualsiasi reticenza da parte sua, ma non di quel genere.
“Deniz, ricordi quando lavoravamo per Male Function?” riprese, mentre l'altro annuiva in silenzio. “Si accennò a un ice show americano che aveva come protagonisti una coppia gay. Tu ne eri entusiasta. Perché non realizzarlo con i nostri mezzi, qui a Essen dove la storia è cominciata?”
“E finita” aggiunse Deniz sottovoce.
“Deniz... io” esordì Roman prontamente interrotto da lui.
“No. Non credo che funzionerebbe” gli disse, chiudendo il raccoglitore con un tonfo secco. “Occorrono troppi soldi. Un altro flop e per il Centro sarebbe la fine”.
“Ma non sarà un flop!” protestò Roman, alzandosi di scatto dal pavimento.
“Con una storia gay?” ridacchiò Deniz, mettendosi in piedi a sua volta.
“Una storia d'amore” precisò Roman. “È una storia d'amore”.
“Amore?” ghignò l'altro, sarcastico. “Certo. Davvero splendida”.
Roman s'irrigidì. “Cosa vorresti dire?”
Deniz lo fissò per alcuni secondi in un silenzio così affilato da far male.
“Io avevo il terrore di perderti per qualcuno più interessante di me” disse all'improvviso, con una voce insolitamente stridula.
Roman non credeva alle proprie orecchie, quella di Deniz sembrava una... confessione? E non del tipo che si sarebbe aspettato.
“Avrei fatto qualunque cosa per te, per dimostrarti che ero cambiato, che di me potevi fidarti, che nessuno ti meritasse come ti meritavo io. Invece il tuo ex riappare dopo dieci anni e tu ti butti fra le sue braccia. E io, stupido, che mi sono fidato delle tue parole”.
“Deniz... tu sei stato con...”
“Jessica? Ma tra noi noi non è finita a causa sua, o no? Sei stato tu stesso a dirmelo. Tra noi le cose non funzionavano già da prima, anche se per me erano perfette. Povero illuso! Ma per te no, e sai perché?”
Deniz sembrava furioso e lui si sentì tremare fin dentro le ossa di fronte a quello sfogo.
“Perché la verità è che ti eri pentito di aver lasciato Marc per tornare da me”.
Roman scrollò il capo, incredulo. “No, ti sbagli. Mai. Nemmeno una volta ho pensato...”
“Ma certo” gli occhi di Deniz sembravano due tizzoni accesi. “Infatti tu non sei tornato con lui alla prima occasione”.
“Deniz... noi due c'eravamo lasciati”.
“Tu mi hai lasciato!” tuonò, mentre le lacrime apparvero nei suoi occhi scuri. “Io stavo cercando di costruire qualcosa, affinché tu potessi essere orgoglioso di me, e non pensassi a Marc e alla vita fantastica che avresti potuto avere con lui e invece tu... “ prese fiato, per ricacciare quelle lacrime indietro e sostituirle con un sorriso storto. “Tu mi dici che io pensavo solo alla carriera, che non avevo più niente in comune con te... mentre tu eri l'unica cosa che avevo in mente. Buffo, no?” Roman cercò di abbracciarlo, ma Deniz lo scostò bruscamente.
“Deniz, tu provi ancora del rancore nei mie confronti e questo significa solo una cosa: che non è mai finita. E io ti prometto...”
Deniz lo interruppe con una risata gelida. “Questa idiozia delle promesse d'amore non hanno mai funzionato. Però hai ragione, serbo ancora del rancore e, secondo l'analista che mi ha seguito quando ero negli Stati Uniti, ce l'avevo con te anche quando stavamo insieme. Una volta mi domandasti perché fra tante persone fossi finito a letto proprio con Jessica. Ero ubriaco e non sapevo quello che facevo, ma perché proprio lei? Bene, adesso lo so e posso dirtelo. Volevo ferirti, inconsciamente certo, ma era quello che volevo, ferire te e mio padre perché nonostante i miei sforzi per essere il fidanzato e il figlio perfetto, non avevo concluso niente. Qualsiasi cosa facessi o qualsiasi decisione prendessi, era sempre sbagliata per entrambi”.
Roman cercò di riflettere. Tuttavia di fronte a quella sconcertante rivelazione, riusciva a pensare solo a quanto Deniz fosse cambiato rispetto al passato, a quante fossero state immense le emozioni provate allora e che lui aveva represso senza lasciarle mai venire a galla, a meno che non si trovasse sotto l'effetto della droga o dell'alcol.
Constatò infine che forse in tutti quegli anni non lo avesse mai sentito parlare tanto. Era come un argine che si era riempito di tante piccole crepe con il tempo, per poi crollare miseramente in quei pochi minuti.
Roman riprovò di nuovo ad abbracciarlo, e questa volta lui non lo respinse, sebbene lo sentisse rigido come il marmo, con quelle braccia allineate lungo i fianchi, ma il battito del suo cuore che arrivava fin dentro di lui.
Cercò le sue labbra, anche solo per sfiorarle, ma il baby-fono che si trovava sul tavolino del salotto, a pochi centimetri da loro, cominciò proprio in quell'istante a dare dei timidi segnali di avvertimento. Deniz schizzò fuori dal suo abbraccio, quasi come se si fosse destato di colpo da un lungo sonno, e si affrettò a raggiungere la camera del figlio.
Più tardi, Roman si decise a dare un'occhiata al suo orologio da polso: era già passato un quarto d'ora, e Deniz era ancora rinchiuso nella stanza con il bambino.
Non sapeva come interpretare quella sorta di messaggio. Probabilmente desiderava solo che andasse via una volta e per sempre, e in verità era tentato di esaudire questa sua silenziosa richiesta. Ormai gli era fin troppo chiaro che, per Deniz, lui non contasse come un tempo e che cercare di riconquistarlo fosse ormai una battaglia persa. Era frustrante, però, e faceva un male cane solo ammetterlo.
Attese altri cinque minuti, poi prese la giacca e il soprabito dall'attaccapanni, indossandoli con voluta lentezza, perché la speranza che Deniz riapparisse e insieme riprendessero il discorso di prima era ancora viva e vegeta. S'incamminò verso la porta d'ingresso, girandosi almeno un paio di volte per constatare se da quella stanza chiusa giungesse anche un solo segnale positivo. Aprì la porta principale e il cuore gli saltò fino in gola per lo spavento.
“Roman?”
“Marian!”
Il suo ex suocero lo strinse a sé in un abbraccio che gli fece scricchiolare le articolazioni della schiena.
“Ma che fine avevi fatto? Sapevo del tuo arrivo e sinceramente mi aspettavo almeno un salto al locale”.
Roman prese una boccata d'aria dopo essere uscito da quella morsa d'acciaio, e mostrò un'espressione un po' contrita e un po' colpevole.
“Sono accadute tante cose... una dietro l'altra. Stavo per entrare nel pub qualche ora fa, con Deniz, ma poi lui ha cambiato il programma”.
Marian allargò il suo sorriso da un orecchio all'altro. “Ma stavi per andare via?”
“Ehm... no... cioè... sì”.
“Marian richiuse la porta con un colpo di tacco e cominciò a spingerlo senza grazia verso il cuore della casa. “Resta ancora un po'. Hai conosciuto mio nipote?”
Roman annuì. “Deniz sta cercando di riaddormentarlo”.
Marian fece una smorfia seccata. “Quel bambino è nato in America, cresce in Germania e lui vuole farlo diventare uno svizzero”.
Aggiunse una frase in turco e, dal tono usato, capì che si trattasse di un'imprecazione.
“Ehi, ma che sta succedendo qui?”
Deniz uscì finalmente dalla stanza, il piccolo Michael in braccio, con l'aria di chi avesse tutt'altre intenzioni che dormire.
“Ehi, küçük!”
Marian si riferiva al più piccolo degli Öztürk, ovviamente. Con uno scatto, infatti, raggiunse il figlio, appropriandosi del nipote che già sgambettava come un indemoniato per poter saltare tra le sue braccia.
“Vanessa mi ha detto che sarebbe rimasto con te in questi giorni, così sono venuto a chiederlo un po' in prestito”.
Deniz sospirò. “Non dovresti lavorare?”
Marian arrangiò un'espressione offesa, sebbene fosse lampante il ghigno del vincitore dipinto nei suoi occhi. “Ah! Io dovrei lavorare? E tu? Tu sei un dipendente, io sono il capo della mia attività e posso permettermi il lusso di avere tutto il pomeriggio per me, anzi per me e per il mio piccolo campione”.
L'uomo improvvisò una breve danza con il bambino che nel frattempo se la rideva alla grande.
Deniz scrollò il capo in segno di resa. “Okay, passo a riprenderlo più tardi... ma tu” E così dicendo puntò l'indice in direzione del padre che fermò di colpo la sua danza, “non dargli porcherie”.
“Certo che no!” Esclamò Marian, mentre il piccolo cercava di afferrargli i capelli. “Solo un goccetto di Raki nel biberon, Okay?”
Deniz lo fulminò con uno sguardo tagliente.
“Sto scherzando” lo rassicurò il padre, quasi ce ne fosse stato bisogno.
“D'accordo” acconsentì Deniz “lo cambio e...”
“Sciocchezze!” esclamò Marian. “Dammi la borsa che so cavarmela anche da solo. Ne ho cambiati di pannolini a te e a tuo fratello!”
Deniz assottigliò gli occhi. “Grazie per avermi regalato questa edificante immagine del nostro passato” replicò, sarcastico, mentre gli passava la borsa con l'occorrente.
Marian si affrettò con impeto verso l'uscita, quasi temesse che Deniz cambiasse idea all'ultimo istante, sottraendogli la preda. “Sei ospite da me una di queste sere” disse, rivolgendosi a Roman.
“Puoi contarci” rispose lui, ricambiando il suo sorriso.
Rimasti soli, entrambi si fissarono per qualche secondo, in silenzio.
“Sbaglio o tuo padre evita di chiamarlo con il suo vero nome?” fece Roman per spezzare la tensione.
Deniz abbozzò un sorriso. “Lui avrebbe voluto che come primogenito avesse portato il suo nome, come nella tradizione turca”.
“E invece lo hai chiamato come Mike Hartwig”
“Cosa? No!” si affrettò a rispondere. “Lui si chiama come Jacko”.
Roman sbatté le palpebre, perplesso “Pardon?”
“Jacko!” ripeté, sbigottito di fronte alla sua ignoranza. “Jackson? Michael Jackson?”
Lo sguardo di Roman finalmente s'illuminò. Cavolo, come aveva fatto a non arrivarci prima!
“Mi cambio in un attimo e ti accompagno, Okay?”
Roman annuì con un piccolo cenno della testa, ma in cuor suo sperava di poter avere finalmente una chiacchierata decente con lui.
Tuttavia, questo risultò quasi impossibile. Lungo la strada, Deniz riuscì a manipolare la conversazione per la maggior parte del tempo, raccontandogli nei dettagli quando e come avesse deciso di avere un figlio e spiegandogli l'organizzazione che lui e Vanessa si erano imposti affinché Michael crescesse sereno e in armonia . Infine fermò l'auto nel parcheggio del Centro, continuando a stringere il volante e a guardare fisso davanti a sé.
“Scusa per prima. Non avrei dovuto aggredirti. Io... ecco... mi dispiace.” Poi si girò verso di lui. “Non pensavo la metà delle cose che ti ho detto”.
“L'altra metà le pensavi, però.” Roman scrollò il capo, sorridendo per rassicurarlo. “Tutti facciamo degli errori. L'importante è rendersene conto, prima o poi”.
Si avvicinò un po' di più al suo viso. Voleva baciarlo. Deniz lo guardava negli occhi, all'apparenza neutro rispetto al suo disperato desiderio.
“Io e Marc non stiamo più insieme” soffiò all'improvviso.
Deniz strabuzzò leggermente gli occhi.
“Ho capito di non amarlo, perlomeno non quanto amavo te” aggiunse, avvicinandosi sempre di più a lui. E infine mandò al diavolo i suoi timori; gli avvolse la nuca con le mani e lo fece.
In un primo momento, Deniz gli apparve come un pezzo di pietra, poi quelle sue grandi e morbide labbra finirono per cedere, circondando le sue.
Roman annegò in un istante, senza possibilità e alcuna intenzione di emergere. Lo voleva e lo voleva subito. Allungò prima una gamba, poi l'altra, mettendosi a cavalcioni sul suo bacino. Non gli ci volle molto per capire che fosse eccitato almeno quanto lui. Quel bacio sembrava non avere fine e man mano diventava sempre più impetuoso. Ecco perché quando Deniz lo allontanò da sé con una brusca spinta, avvertì uno strappo a livello del petto e dello stomaco. Qualcosa di indescrivibilmente doloroso.
“Io...” esordì Deniz con la voce affannata. “Io non posso... sto con una persona adesso e...”
“Lo so” ansimò lui, mentre cercava di baciarlo di nuovo, ma Deniz si voltò di lato per sfuggirgli e incontrò solo la sua mascella. “Ma io ti voglio e anche tu mi vuoi”. Dondolò leggermente su suoi fianchi, riuscendo a strappargli un gemito. “Ti amo, Deniz. Non ho mai smesso di amarti. Sono stato solo incredibilmente stupido e codardo”.
Deniz lo fissò negli occhi, facendo scivolare le dita tra i suoi capelli con struggente dolcezza. “Non posso” concluse.
“Okay” annuì, di fronte a quello sguardo insolitamente deciso. “ Se hai bisogno di tempo...”
“Non è questione di tempo” lo interruppe Deniz, mentre lui veniva investito da uno sgradevole déjà-vu, con la differenza che fu lui a respingerlo, allora.
“Non voglio tornare ad avere una storia con te”.
Roman lo fissò, ferito, poi si risucchiò le labbra, annuendo amareggiato. Con un balzo tornò sulla seduta del passeggero, attese qualche secondo, respirando profondamente, e aprì infine la porta. Sceso dall'auto, s'incamminò verso lo stand di Annette, obbligandosi a non voltarsi indietro.

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Capitolo 5
*** 5/8 ***


5/8

“Ha detto proprio così?”
Roman mugolò, soffocando i propri singhiozzi in un agglomerato di fazzolettini.
Annette lo aveva portato subito al loft non appena si era resa conto del suo stato, e da allora lui sembrava una fontana rotta.
“Perché mi ha baciato se non mi vuole?” sbraitò Roman, in lacrime.
Annette fece un profondo respiro e strinse ancora più forte le spalle del suo amico. “Io non posso biasimarlo. Ha paura”.
Roman si soffiò il naso, smorzando i suoi lamenti quasi di colpo, e la guardò speranzoso. “Vuoi dire che cambierà idea?”
“Non esattamente” Annette fece un'espressione contrita. “E' probabile che non voler più tornare con te sia proprio ciò che vuole”.
Roman aggrottò la fronte, tirando su con il naso. “Non sei mai stata brava a consolare i tuoi amici gay che soffrono”.
Si alzò dal divano e si affrettò a raggiungere la porta del bagno. Aveva bisogno di buttarsi dell'acqua fresca sul viso e di stare un po' da solo. Dopo qualche minuto, rimasto a fissare i suoi occhi arrossati attraverso lo specchio, decise di fare una doccia. Il suo fisico ne uscì rinvigorito, ma il suo cuore si trovava ancora in uno stato pietoso. Si stava frizionando i capelli con un asciugamano quando udì provenire dall'esterno una voce fin troppo familiare. Si avvicinò con l'orecchio alla superficie della porta per accertarsene. Era proprio lui: Deniz.
Quasi fu tentato di uscire e mostrarsi nudo come era, tenendo nota di una sua eventuale reazione.
Ma che cosa andava a pensare? Probabilmente gli avrebbe solo riso in faccia.
Cazzo, come aveva potuto essere così stupido a dichiararsi in quel modo con lui. Non aveva più un briciolo d'orgoglio?
Rimase con le spalle appoggiate alla porta e le orecchie ben tese, finché non udì il suono dell'elevatore rimettersi in moto. Si sistemò un telo intorno alla vita e uscì nel soggiorno.
“Che cosa è venuto a fare?” chiese con una punta gelida nel tono.
Annette gli indicò una cartella abbandonata sul tavolino del salotto. La sua.
“L'hai dimenticata da lui” aggiunse la donna.
“Ah! E non ha detto niente?”
Annette scrollò il capo “Mi ha chiesto solo se domani pomeriggio avrei potuto occuparmi di Mickey”.
Roman inspirò profondamente, mentre le lacrime lottavano per invadere di nuovo i suoi occhi.
“Vado a letto”.
“Okay. Dormi bene” gli augurò l'amica, con un triste sorriso.
Il giorno seguente, dopo aver ciondolato durante tutta la mattinata tra la camera da letto e il bagno, Roman decise di girovagare per la città durante l'intero pomeriggio. Non aveva nessuna intenzione di farsi trovare da Deniz, nello stato in cui versava, quando sarebbe venuto a consegnare il bambino ad Annette. Fece ritorno al loft solo al tramonto, e il piccolo Mickey era ancora lì, con la donna che gli faceva da baby-sitter.
Annette sarebbe stata una mamma con i fiocchi se solo avesse avuto la possibilità di diventarlo.
Il pavimento del soggiorno era invaso da blocchi in legno, macchinine in tutti i formati e modelli, e fogli con immagini colorate. Roman ne raccolse uno sul quale era raffigurato un gatto arancione. Non seppe mai cosa l'avesse spinto ad inginocchiarsi di fronte al bambino per mostrargli il disegno e, oltretutto, a parlargli con la voce di un cartone animato idiota.
“Come si chiama questo?” gli chiese. “Gat-to” gli suggerì. “Ripeti: gatto”.
Il piccolo prese a guardarlo in silenzio, con gli occhi attenti. All'improvviso, raccolse una delle macchinine con cui stava giocando e lo colpì con forza sulla testa. Il dolore fu atroce e Roman urlò una serie di parolacce delle quali non era certo nemmeno dell'esistenza. Il bambino colto alla sprovvista da quella sua incandescente anche se giustificata reazione, cominciò a piangere.
Annette si affrettò a prenderlo in braccio e a consolarlo, mentre lui si strofinava la testa dove era spuntato alla velocità della luce un doloroso bernoccolo.
“Cristo che male!” ruggì Roman, fissando il bambino con aria truce.
Annette gli fece segno di abbassare il tono. “L'hai spaventato” lo rimproverò.
“Ah! Io l'avrei spaventato? Voleva uccidermi questo piccolo... piccolo...”
“Roman! Attento a quello che dici!”
“Mostro!” esclamò lui con rabbia. “E' un mostro. Un concentrato di muscoli e forza bruta. Ma che altro poteva venire fuori con i genitori che si ritrova?”
Annette sgranò gli occhi, basita. “Questo è tutto quello che pensi dell'uomo che dici di amare?”
Roman si accasciò sul divano, sorpreso dalle sue stesse parole. Pensava davvero queste cose di Deniz? Sì, forse, ma era anche per questo che si era innamorato di lui dal primo momento: i muscoli, la forza fisica, l'impulsività, la naturalezza, il suo sembrare a volte un guerriero senza macchia e senza paura. E non lo avrebbe voluto in un altro modo. La sua rabbia si spense di colpo e con uno sguardo afflitto, che si poteva definire anche tenero, prese a guardare il bambino che ancora singhiozzava nel rifugio improvvisato tra le braccia di Annette e che era, in fin dei conti, una parte molto importante di Deniz.
“Ehi!” esitò con voce soffice, accarezzandogli delicatamente i capelli. “Scusa, non volevo arrabbiarmi con te. Lo so che non l'hai fatto apposta”.
Annette lo incoraggiò con lo sguardo. Il bambino sollevò il capo dalla spalla di lei e lo guardò con l'aria da cucciolo ferito che lui conosceva fin troppo bene.
“Facciamo pace?”
Il bambino smise di singhiozzare e con dei guaiti fece capire che voleva scendere. Una volta sul pavimento, si accovacciò a raccogliere la custodia di un DVD, porgendogliela.
Roman guardò Annette affinché traducesse per lui quel gesto. “Che diavolo vuole?”
Annette sorrise soddisfatta. “Ha accettato le tue scuse”.
“E quindi?”
“E' il suo DVD preferito, probabilmente vuole che canti”.
Roman inarcò un sopracciglio, poi accettò, incerto, l'offerta di pace. “La bella e la bestia, versione Karaoke!” lesse, sorpreso. “Ma allora non sei proprio da buttare via” concluse.
“Roman” lo redarguì l'amica un'ultima volta.

“Ancora un'altra e basta”.
Roman selezionò il pezzo nella lista preferita dal piccolo Mickey e lo mise in pausa.
Annette aveva ricevuto una telefonata importante tra “La canzone di Gaston” e Stia con noi”, più di un'ora prima. Allo stand si erano presentati a sorpresa gli ispettori del comune per dei controlli e, a sorpresa, lui si era ritrovato nominato baby-sitter sostituto senza diritto di recesso.
Michael protestò appena partirono le prime note, lanciando un grido talmente acuto che a lui vibrarono i timpani.
“No?” fece Roman, guardandolo esitante. “'Attacco al castello' non ti va più. “Quest'altra?”
Il piccolo batté le manine entusiasta.
“Ottima scelta” convenne lui. “Ma non dopo la quinta volta” sospirò, affranto.
Il bimbo mugolò impaziente, cercando di sottrargli il telecomando per far partire il pezzo.
Roman allontanò l'aggeggio dalla sua portata, suscitando in lui un vivace moto di protesta.
“Lo sai che hai gli occhi del tuo papà? Farai un'interessante carriera appena sarai un po' più grande. Fra quindici-sedici anni al massimo”.
Il bimbo si zittì di colpo e gli sorrise.
“Hai anche l'espressione da cucciolo del tuo papà, ma non m'incanti: a me piacciono un po' più adulti. Quindi, giovanotto, ti propongo un patto, da coniglio a coniglio”.
Roman si appiattì sul pavimento, appoggiandosi sui gomiti, in modo da avere il volto del bambino all'altezza del suo. “Se prometti di aiutarmi con il tuo papà, ti canto 'la bella e la bestia' ogni volta che me lo chiedi. Promesso”. Così dicendo gli porse il dito mignolo e il piccolo lo strinse nel suo pugno. “Sei un bambino intelligente, ma...” continuò in tono serio, “tu devi aiutarmi. Devi sapere che a me piace tanto il tuo papà”.
“Papa” ripeté il bimbo.
“Sì... proprio così” riprese. “Mi è sempre piaciuto, ma sono successe tante cose brutte, ma anche belle. A volte i grandi hanno bisogno di tempo per crescere, lo sai? E il tuo papà è cresciuto proprio bene”.
“Papa”
“Sì, sì, il tuo papà. Mi aiuti allora?”
“Papa” insistette il piccolo.
Roman scrollò le spalle. “Lo prendo per un sì”.
Infine, fece partire la musica e cominciò a cantare, mentre Michael lo fissava con aria sognante.

...Ti sorprenderà
Come il sole a est
Quando sale su
E spalanca il blu
Dell'immensitàaaaaaaaa


Michael prese a ridere di gusto, dondolando su se stesso. Evidentemente amava molto quel pezzo e il modo in cui lui lo cantava.
“Canta con me!” lo incitò lui.

Stessa melodia
Nuova armonia


Il piccolo ripeteva solo le finali delle ultime parole.


Semplice magia
Che ti cambierà
Ti riscalderà.


“Papa!” urlò il piccolo sull'ultima sillaba.
Roman sbuffò, esasperato. “Sei uscito fuori tema”.
Quando vide il bambino alzarsi e sfrecciargli davanti, capì che non erano più soli. Deniz e Annette si trovavano pietrificati sull'ingresso.
“Papa!” urlò di nuovo Michael mentre correva incontro al padre, finendo con un volo tra le sue braccia.
Roman si schiarì la voce con dei colpetti di tosse, poi spense il videoregistratore.
“Ce la stavamo spassando” aggiunse, imbarazzato, mentre cercava di decifrare l'espressione di Deniz e il suo sguardo stupito.
“L'hai sentito, Annette?”
L'amica annuì, sorridendo.
“Mi ha chiamato 'papà'. L'ha detto davvero” riprese Deniz eccitato e riempendo il bambino di baci.
Roman desiderò anche il più piccolo di quei baci, e gli si strinse il cuore.
“Papa” ripeté Michael.
“L'ha detto di nuovo!”
“Ma che sarà mai?” intervenne Roman. “Per ore non ha fatto altro”.
“Non l'aveva mai detto prima ” lo informò Annette.
“Oh”.
“Chiamo Vanessa!”
Deniz afferrò il cellulare dalla tasca dei jeans e cercò il numero. Poi si avvicinò al figlioletto, probabilmente per fargli sentire la voce della mamma, e anche al telefono il piccolo si esibì con la parola che aveva appena imparato – Roman rifletté attentamente – da lui.
Il quadro che si presentò era quello di una sdolcinata quanto atipica famiglia, che restava pur sempre una famiglia in ogni situazione, e della quale lui non faceva parte.
Ma lo desiderava, del resto? si chiese.
Lui non sopportava i bambini. Esserini appiccicosi, sporchi, chiassosi, fondamentalmente incomprensibili e impossibili da gestire. Sarebbe mai riuscito, per Deniz, a venire a patti con queste sua idiosincrasia? Non ne era sicuro.
L'unica cosa certa nel suo cuore, in quel momento, è che voleva Deniz, lo voleva come in passato, forse di più. Per Giove!Anche quando stava con Marc l'aveva desiderato.
Come aveva potuto mandare tutto all'aria solo per le sue incertezze e il suo pessimismo cronico?
Chiuse gli occhi, esausto, e si lasciò cadere sul divano.
Con Deniz, ancora a telefono da una parte, e Annette, che preparava la cena dall'altra, si sentì relegato in una bolla di sapone.
“Roman”.
La voce di Deniz fece scoppiare quella bolla in un piccolo puf!
Si accomodò al suo fianco, e nello stesso istante lui sentì le proprie ossa tremare.
“Mi dispiace che tu abbia dovuto prenderti cura di Michael”.
Roman scrollò il capo. “Sciocchezze! Non è stato così terribile”.
Deniz fece un largo sorriso. “Comunque... grazie”.
Roman si prese una lunga pausa prima di rispondergli: “Prego”.
Si guardarono in silenzio. Sembrava che un fiume di stelle avesse preso a scorrere dall'uno all'altro, poi Deniz distolse lo sguardo, spezzando l'incanto.
“Volevo dirti anche che” riprese dopo un profondo respiro, “ho accennato a Ben della tua idea, stamane, e lui sarebbe interessato. Avremmo anche già gli sponsor e quindi se tu sei d'accordo... insomma... dimentica quello che ho detto ieri.”
Roman si drizzò di colpo, mentre il suo cuore prese a ballare la conga tra la bocca dello stomaco e il pomo d'adamo. “Certo!” rispose con slancio.
“Abbiamo un problemino” intervenne Annette in un sussurro, con Michael placidamente accoccolato tra le sue braccia. “Si è addormentato”.
“Oh” fece il padre, alzandosi di scatto.
“Lascialo dormire qui. Ho tutto quello che occorre” lo pregò l'amica. “Praticamente non l'ho quasi visto oggi”.
Deniz esitava. Era chiaro che per lui fosse un grosso sacrificio cedere, considerato che non gli dovesse capitare molto spesso poter avere il figlio per la notte.
“Ormai sta dormendo e si trova già dove avrebbe dovuto trovarsi domani mattina” insistette Annette.
Deniz parve riflettere per qualche istante, poi annuì. “Okay”.
Annette s'illuminò in un largo sorriso. “Lo porto di là” disse, riferendosi alla camera che lei e Ingo avevano allestito per un bambino che non era mai arrivato. La camera dove al momento lui era ospite.
Annette parve cogliere la sua perplessità al volo. “Ci dormo io con lui e tu, per stanotte, ti sposti nella mia stanza... con Ingo”.
Perfetto.
“Bene, allora io vado” disse Deniz. Si avvicinò al figlio e lo baciò delicatamente sulla testa. Infine, s'incamminò verso l'ingresso. Roman lo accompagnò lungo il breve percorso, ipnotizzato dalla sua schiena.
Deniz afferrò la maniglia e poi si voltò all'improvviso. “Puoi venire domani mattina al Centro?” gli chiese.
Per te verrei ovunque – avrebbe voluto rispondergli. Ma si limitò ad annuire.
Deniz afferrò di nuovo la maniglia della porta e poi, ancora improvvisamente, si voltò di nuovo. “Roman... io”
Lui lo guardò negli occhi in attesa di altre parole che non sarebbero mai arrivate. Deniz prese ad accarezzargli la nuca e poi lo attirò a sé. Fu un bacio così intenso e inaspettato che le gambe quasi non lo ressero. E sempre inaspettatamente interruppe il bacio, mentre lui ancora stava vivendo, sulle labbra e ad occhi chiusi, quella specie di sogno finito troppo presto.
“Scusami... io non...”
“... volevi” continuò Roman per lui. “Peccato. Io sì”
Così dicendo, riprese a baciarlo, in un modo talmente impetuoso da farlo sbattere contro le porta di ferro; le mani che viaggiavano caotiche sopra e sotto i vestiti. Quando riemersero per respirare, ansimavano entrambi. Gli occhi dell'uno in quelli dell'altro legati da un filo che non si era mai spezzato.
“Io...” esordì Deniz, distogliendo lo sguardo da lui. “Io devo andare. Ci vediamo al Centro... domani”.
Roman lo fissò per qualche secondo, esterrefatto, poi annuì, rimanendo immobile di fronte alla porta che si richiudeva. I passi di Annette che usciva dalla stanza, dove era andata a sistemare il bambino per la notte, si fermarono proprio dietro di lui; le mani di lei sulle sue spalle in un tocco leggero.
“Annette... che ne pensi?” la esortò, afflitto.
“Wow!”

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Capitolo 6
*** 6/8 ***


6/8

*

“Justin sarebbe perfetto per il ruolo principale. In fondo è la nostra star” propose Ben. “Deniz, potresti parlargliene tu, per favore?”
Deniz annuì. “Nessun problema”.
Roman tentò di dissimulare la sua espressione infastidita.
Era un colmo che proprio l'attuale ragazzo di Deniz dovesse interpretare il suo ruolo proprio nel suo spettacolo.
“Non ci resta che aprire le danze per completare il casting, allora” concluse Ben, con entusiasmo.
Qualcuno bussò alla porta a vetri. Tutti si voltarono istintivamente nella stessa direzione, e Roman arricciò le labbra, contrariato. La stella nascente del Centro Steinkamp fece il suo ingresso con l'incedere di una diva degli anni '50.
“Io sono perfetto per il ruolo di Roman Wild” disse senza nemmeno un preambolo. “Sono sempre stato un suo fan” aggiunse, avvicinandosi a lui e offrendogli la mano.
Roman l'accettò con un sorriso tiepido, ma si trattenne a malapena dallo stritolargliela.
“Scusa... ehm... come mai sei già al corrente di questo progetto?” gli chiese Deniz, accigliandosi.
“Costanze” rispose, con naturalezza.
E nessuno di loro si prese la briga di replicare.
“Vorrei anche proporre un mio amico per il ruolo di Deniz” riprese la diva, mostrando i suoi denti bianchi e perfetti in un sorriso che arrivava fino agli occhi - neanche a dirlo - verdi.
“Georg Müller”.
Ben annuì. “Ottimo. Gli dica di presentarsi ai provini di dopodomani, allora”.
Il ragazzo sorrise soddisfatto, poi lanciò un impercettibile segnale a Deniz, che guardò Roman con un certo disagio.
“Be', se non c'è altro” disse, alzandosi dalla sedia. “A più tardi” aggiunse, raggiungendo il suo ragazzo in attesa sulla soglia.
Una volta solo con Ben, Roman prese a tormentarsi le pellicine delle dita, con aria irritata.
“Allora? Che diavolo sta accadendo qui?” gli chiese l'altro.
“Che cosa ti fa credere che stia accadendo qualcosa?” rintuzzò lui in tono aspro, senza sollevare lo sguardo dalle sue mani.
Ben sbuffò un risolino ironico. “Forse il fatto che tu non abbia fatto neanche un salto di gioia per l'avvio del tuo progetto, oppure perché hai l'aria di un cane a cui abbiano appena pestato la coda”.
Roman raddrizzò finalmente la testa, sfoggiando una maschera altezzosa.
“Deniz?” chiese Ben.
“Deniz” confermò lui in un sospiro.


*

Erano due anni, o quasi, che non vi metteva piede, eppure le immagini di quando era alle prese con il vogatore o il sollevamento pesi gli giunsero così vivide da avvertire il suono del suo stesso respiro affannato e il tanfo di sudore che dopo un po' di tempo riempiva la stanza. Rivide con la mente lui stesso, di tre anni più giovane, steso sulla panca e Deniz alle spalle che lo aiutava con il bilanciere. Si preparavano per la qualificazione ai gay games; forse il periodo più intenso che avessero mai vissuto insieme, nonostante la triste vicenda del doping e la consapevolezza che il suo termine come atleta fosse ormai alle porte.
Deniz, a quei tempi, si era buttato in quell'avventura solo per potergli stare accanto, sostenendolo nella sua ambizione e, infine, nella rinuncia.
Era talmente abituato a darlo per scontato, che non aveva mai capito quanto potesse essere dura per chiunque altro dare quello che Deniz gli aveva dato. In seguito, lui non aveva saputo fare altrettanto, né era stato in grado di adattarsi ai repentini cambiamenti di quella sua personalità perennemente in fase di allestimento.
Dal primo momento, Deniz era stato come una tempesta che aveva scombussolato l'ordine metodico della sua vita, che aveva avuto sempre una sola direzione e un unico verso, quello che andava da una competizione alla successiva.
Invece Marc... Marc gli aveva mostrato quanto potesse essere più facile seguire un percorso già programmato, più stabile. Lui era stato l'aderenza all'asfalto di quell'autostrada che era sempre stata la sua vita; Deniz invece... Deniz era il ciclone che spesso lo sollevava in aria e lo faceva deragliare.
Ma non si era mai reso conto di quanto fosse stato importante volare con lui, fino al giorno in cui aveva smesso di farlo.
E, adesso, avrebbe dato qualsiasi cosa per staccare i piedi dal suolo e rivivere anche uno solo di quegli istanti.
Dopo mezz'ora agli attrezzi, Roman si trovò tutti i muscoli indolenziti, ma l'animo più vivo e sereno. Ormai aveva deciso: avrebbe combattuto per riavere Deniz, come lui stesso e la vita gli avevano insegnato. E nessun biondino dagli occhi di gatto e le arie da principessa glielo avrebbe impedito.
Raggiunse lo spogliatoio e lo trovò già occupato.
“Ehi” salutò, ricambiato proprio da chi non avrebbe mai voluto trovare lì, mentre con simulata indifferenza si dirigeva all'armadietto indicato sulla sua chiave. Era uno di quelli dell'ultima fila sul fondo, e la cosa lo infastidì più di quanto lo fosse già.
Avrebbe preferito qualcun altro più visibile, magari il secondo da sinistra, accanto a quello di Deniz, come era sempre stato.
“Okay, ciao”.
“Ciao” udì, mentre tirava il doccia-gel fuori dalla sacca.
Terminò di spogliarsi e si avvolse un asciugamano intorno ai fianchi. Riapparve dal suo antro con la speranza di trovare Deniz tra i due. La sua speranza venne esaudita; tuttavia, il cuore gli batteva all'impazzata, suggerendogli di dar fondo a tutto il suo autocontrollo, perché era geloso marcio, e quando era geloso poteva essere più stronzo di quanto lui stesso fosse in grado di sopportare.
Ma sapeva anche che sarebbe stata un'impresa impossibile. Sarebbe esploso.
“Pare che il cucciolo abbia scelto qualcuno più cucciolo di lui” lo apostrofò con un ghigno. “Non ti bastava Michael per soddisfare la tua sete di paternità?”
“Sono solo tre anni” replicò Deniz, senza scomporsi. “Mica sono un vecchietto di trenta... scusa... trentatré anni”.
Se lo avesse preso a pugni con un guanto chiodato gli avrebbe fatto meno male.
“Vaffanculo!” sibilò, fulminandolo con lo sguardo. Si tolse l'asciugamano dai fianchi lanciandoglielo addosso e s'infilò nel cubicolo della doccia, tirando la tenda con stizza.
Aprì la manopola per far scorrere l'acqua. Avrebbe voluto piangere, urlare e prendere a calci qualcosa o qualcuno, proprio lui, magari. La tenda si aprì all'improvviso e vide Deniz togliersi le scarpe per poi raggiungerlo, indossando ancora i vestiti.
“Che fai?”
“La doccia” rispose Deniz con naturalezza, mentre si sfilava la cravatta e la lanciava oltre la tenda.
“Scusa per prima” aggiunse, accarezzandogli il viso bagnato. “Non pensavo a quello che ho detto”.
“E' stato sempre questo il tuo problema: non pensi” abbaiò, irritato.
Deniz gli accarezzò le labbra, disegnandone il contorno con un dito. “Sei stato tu a cominciare, io mi sono soltanto difeso” si schermì.
Poi prese a baciarlo delicatamente, mentre l'acqua scorreva tra di loro.
Roman sentì il cervello spegnersi man mano, poi un lampo improvviso di lucidità lo spinse a interrompere quelle effusioni.
“Perché fai questo?” gli chiese, guardandolo dritto negli occhi.
“Prego?”
Lo fissò con occhi sottili. “Tre giorni fa mi hai detto che non volevi avere più niente a che fare con me, poi mi baci e adesso questo”.
“Non l'ho mai detto”.
Roman lo guardò confuso per qualche secondo, poi uscì dal cubicolo, afferrando un telo con cui asciugarsi e coprirsi. Deniz lo seguì, subito dopo aver chiuso l'acqua.
“Ho detto solo che non volevo una relazione” continuò.
Roman sbatté le ciglia perplesso. “E quindi?”
“E quindi, se ti va, possiamo vederci di tanto in tanto. Ne ho parlato con Justin e a lui sta bene”.
Roman sentì la propria mandibola staccarsi completamente dalla faccia, e iniziò a boccheggiare come un pesce sfrattato all'improvviso dalla sua boccia.
“Cosa? Stai scherzando, vero?”
“Affatto” confermò Deniz, senza rendersi ancora conto dello shock che gli aveva causato. “La nostra è una relazione aperta, quindi ne abbiamo parlato, e lui è d'accordo.”
Roman lo squadrò con gli occhi stretti, quasi volesse metterlo a fuoco e accertarsi che non avesse di fronte un falso.
“Non credo a quello che sento. E io che mi preoccupavo di ferire i tuoi sentimenti. Ma che cosa sei diventato?”
Deniz sbuffò una risatina storta e allargò le braccia, mentre l'acqua gocciolava dai suoi vestiti.
“Quello che vedi” rispose. “grazie a te!”
Roman afferrò sacca, vestiti e scarpe, marciando furibondo fuori dallo spogliatoio. Non aveva nessuna intenzione di stare un secondo in più con quel clone difettoso.


*


“Se ti va, possiamo vederci di tanto in tanto. Justin è d'accordo”.
Roman prese a torcere uno dei nuovi cuscini di Annette con evidente soddisfazione, mentre faceva il verso a Deniz. “Avrei voluto strozzarlo!”
Annette gli sfilò il cuscino dalle mani, sprimacciandolo e riponendolo con amorevole cura al suo fianco. “Intanto, questo non ti ha fatto nulla”.
“Non è possibile” disse, fissandola con gli occhi lucidi. “Non è lui. Deniz è stato tante cose, ma non questo”.
“Fammi pensare” esordì lei, tenendo il conto sulle dita. “Attaccabrighe, doppiogiochista, cocainomane, escort, ladro di automobili...”
Lui la interruppe, emettendo un verso infastidito. “Hai capito che cosa voglio dire”.
Annette sospirò, accogliendolo sulla sua spalla. “Che intenzioni hai?”
“Lo voglio Annette. Rivoglio il mio Deniz. Quello autentico” rispose, semplicemente.
Ma non aveva la benché minima idea di come riuscirci. Probabilmente era soltanto impossibile, e questo significava che lo aveva perso, questa volta per sempre. Solo al pensiero si sentì gelare e sprofondare in un baratro del quale non riusciva a vedere il fondo.
“E se solo accettassi che Deniz ormai è così e non può essere altrimenti?” riprese Annette, distogliendolo dai suoi pensieri.
Lui scrollò il capo. “No. Non posso accettarlo”.
“No?”
“No!”
“No? Okay!”


*


Al primo giorno di provini si presentò un congruo numero di pattinatori, una quindicina tra uomini e donne. Assegnata già la parte di Roman alla nuova stella, i ruoli più ambiti tra i pochi rimasti erano quelli di Deniz e di Bulle.
C'era lui, Ben Steinkamp, il coreografo Jan Hollmach... Justin, ovviamente, e quel Georg Müller che da poco era entrato nel mondo del pattinaggio a coppia, ma che sembrava già sapere il fatto suo. Era anche il più adatto a interpretare Deniz, essendo più alto e più muscoloso della media, nonché di bella presenza.
Nessuno degli altri, tuttavia, sembrava abbastanza convincente per il ruolo di Bulle.
“Ho altri cinque nomi. Si presenteranno domani” lo tranquillizzò Ben.
Roman annuì e segnalò, previa consultazione con il coreografo, quattro ragazzi e altrettante ragazze per lo sfondo, tenendo da parte colui il quale più si avvicinava alla stazza e al brutto muso del criminale che aveva tentato di ucciderlo sei anni prima, e rimandò gli altri al secondo provino per le parti di Mike, Marian e Vanessa.
Più e più volte, durante le esibizioni, la sua mente e il suo sguardo erano finiti all'ingresso alle sue spalle, e Ben lo aveva notato.
“E' andato a prendere Vanessa all'aeroporto” lo informò questi. Lui rispose con uno sguardo accigliato.
“Deniz, intendevo” .
Roman sollevò le spalle con noncuranza, ma dentro si sentì più rilassato di fronte al fatto che Deniz non avesse disertato i provini a causa sua. E non riusciva a spiegarsi neanche il perché.
Solo dopo una decina di minuti, si udirono dei passi lunghi e concitati arrivare dal fondo e raggiungerli.
“Scusate. Scusate. Scusate.”
Deniz aveva le braccia piene di fascicoli sui quali aveva fatto stampare il concept dell'ice show.
“Avete già finito con le selezioni?” chiese, rivolgendosi a Ben.
Questi annuì. “Ora li chiamo uno alla volta, gli proponiamo il ruolo e, nel caso accettino, potranno avere il copione”.
“Bene” chiosò Deniz, e per la prima volta, da quando era arrivato, guardò nella sua direzione, accennando un sorriso tiepido a mo' di saluto, al quale lui rispose altrettanto tiepidamente.
Tutti acconsentirono a far parte dello spettacolo, anche solo per ricoprire ruoli minori.
Terminato di consegnare i fascicoli a ognuno di loro, Deniz invitò Justin al cinema, proprio davanti ai suoi occhi, per la prima visione del nuovo Hulk, ma in cambio ricevette un elegante rifiuto.
Motivo: voleva passare un po' di tempo con quel Georg Müller con il quale, stando a quanto diceva, non si vedeva da tempo. Deniz annuì semplicemente, augurando ai due buon divertimento.
“Allora... funziona così quella che la gente chiama 'relazione aperta'?” fece, una volta trovatosi da solo con lui.
“Che vuoi?” gli chiese questi, con una punta di fastidio nel tono.
“Io? Niente. Chiedevo”.
Notò Deniz far scorrere freneticamente la rubrica del cellulare, probabilmente in cerca di qualche altro accompagnatore per la serata.
“Non è frustrante essere secondi a qualcun altro? Non sei geloso?” insinuò con voce melliflua, pensando che al suo posto lo sarebbe stato, e molto.
“No” Deniz sollevò le spalle con leggerezza. “Anch'io lo faccio”.
“Uomini o donne?”
“Entrambi” rispose lui, guardandolo finalmente in faccia, con aria di sfida.
“Ovviamente”.
Deniz lo fissava negli occhi; poi, a un certo punto, accennò un sorriso.
“Ci verresti al cinema con me?” gli chiese, quasi inavvertitamente.
Roman sbuffò una risatina incredula. Col cazzo avrebbe acconsentito a un menage del genere! Tuttavia, quasi inavvertitamente, si trovò a dire di sì.


*


Il cinema non era molto affollato per essere un venerdì sera. Deniz gli spiegò che era l'ultimo giorno di programmazione. Gli disse che avrebbe voluto portarci Michael, la settimana prima, ma anche che Vanessa si fosse opposta energicamente.
“Non voglio che a mio figlio si frigga il cervello con il 3D, già da ora.”
La scimmiottò, mentre ritirava i popcorn e due lattine di pepsi al bar.
Perfetto! - pensò lui - Odiava il 3D. Odiava i film d'azione per principio, anche se ormai poteva vantarne una conoscenza di tutto rispetto proprio grazie a Deniz.
“Non vedo l'ora che diventi più grande” prese a confessare. “E posso portarlo ovunque. Per prima cosa gli insegnerò a giocare a Hockey”.
“Perché rovinare una mente così brillante?”
“Che cosa vorresti dire?”
“Uno che ama i musical della Disney, non può giocare a Hockey” gli spiegò lui, con convinzione.
Deniz schioccò una risatina sarcastica. “Che cosa c'entra?” replicò. “Anch'io da piccolo guardavo Mary Poppins e altre corbellerie del genere, ma non sono finito a ballare sulle punte”.
“Ma a fare pattinaggio artistico sì?”
Deniz lo guardò intensamente negli occhi. “Già” rispose. “Chissà perché”.
Roman si sentì spogliare da quegli occhi. E, quindi, distolse lo sguardo, schiarendosi la gola con un colpo di tosse e tornando a fissare lo schermo gigante che, in quel momento, mostrava una pubblicità di una linea di prodotti per capelli.
“Mary Poppins” ridacchiò, incredulo.”Non riesco a immaginarti estasiato davanti alla tata peggio vestita al mondo”.
Deniz alzò le gambe e piegò le ginocchia, poggiando i piedi contro la poltroncina di fronte; il sedere scivolò lentamente fino al bordo e il viso era rivolto in alto come a cercare un punto che non riusciva a raggiungere.
“Da piccolo sognavo che potesse volare sopra i tetti dell'edificio dove abitavo” disse, “entrare dalla finestra, che lasciavo aperta ogni sera, prendere mia madre e sbatterla in qualche posto sperduto in mezzo al Pacifico”.
Roman si girò di scatto verso di lui, fissandolo sorpreso. Non ricordava che Deniz si fosse mai lasciato andare a simili esternazioni.
“E quando hai smesso di guardarli? Intendo... Mary Poppins... e altre corbellerie del genere?” gli chiese.
“Quando ho capito che dalla finestra non sarebbe mai entrato nessuno” rispose Deniz, con un tono statico e freddo, “che mia madre sarebbe rimasta dov'era e che mio padre non sarebbe più tornato a casa. Avevo tredici, quattordici anni, credo. E così, da quella volta, ho dormito con la finestra chusa”.
Roman si sciolse in un'espressione intenerita, immaginandolo in piena fase adolescenziale, con meno muscoli addosso, ma in compenso con parecchi brufoli.
“Non eri tanto piccolo, però”.
Deniz lo guardò solo per un secondo, in silenzio, poi inforcò gli occhiali scuri, chiudendo di nuovo quella finestra oltre la quale, probabilmente, lui non aveva mai saputo guardare per tutto il tempo in cui erano stati insieme. Il film era cominciato.
E a dispetto di quanto aveva preventivato, fu tutt'altro che un disastro. Ottimi effetti scenici, una grande storia d'amore come sfondo e una colonna sonora da far venire i brividi. In diversi momenti aveva dovuto scostare leggermente gli occhiali per asciugarsi un'incipiente lacrima.
Ma le emozioni di quella serata non riguardarono solo il film.
A un certo punto, Deniz gli porse il suo fazzoletto, sottolineando il fatto che non era preso totalmente dalla trama, offrendogli sollecitamente anche i propri popcorn, quando a lui erano caduti a causa di un missile uscito dallo schermo e che aveva puntato dritto verso di lui, facendogli compiere un salto di mezzo metro dalla poltrona.
E ogni gesto accompagnato da un sorriso che gli faceva ribollire il sangue ogni volta.
Quando infine un braccio gli circondò le spalle, spingendolo ad avvicinarsi di più a lui, si sentì proiettato in un'altra storia, vecchia più o meno di due-tre anni, dove loro due condividevano la stessa casa, lo stesso bagno, lo stesso letto, a volte gli stessi pensieri. E ora sembravano al loro primo appuntamento, con tanti punti interrogativi, davanti, e una 'relazione aperta' come elemento disturbante, alle spalle.
Aveva ben altri motivi per mettersi a piangere. Altro che film!

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Capitolo 7
*** 7/8 ***


7/8

*

Quando Deniz dormiva dava la sensazione di essere molto più giovane di quanto fosse in realtà, molto più cucciolo e molto più innocente. La bocca leggermente aperta e quel lieve russare che, anziché disturbarlo, gli aveva regalato sempre una soffice sensazione di pace, come una ninna nanna cantata in punta di voce.
Roman sollevò il busto, puntellandosi sul gomito.
E mentre lo guardava, ripensò alla sera precedente e a come fossero finiti a letto insieme.
Non era sorpreso: l'aveva desiderato dal primo giorno e, nonostante il complicarsi della situazione, l'aveva desiderato sempre di più.
Dopo il film erano finiti a pomiciare in auto come due adolescenti. Lui, all'inizio, aveva mostrato un po' di reticenze, ma i metodi usati da Deniz si erano rivelati piuttosto persuasivi, e non aveva saputo rifiutarsi.
Calcolò che poi avessero percorso la strada a 100, forse 120 km/h, e questo stava a significare solo che Deniz lo desiderava almeno quanto lui. L'auto parcheggiata senza cura, la porta d'ingresso chiusa con un calcio, e loro due a spogliarsi e a baciarsi, senza preoccuparsi di accendere la luce, né tentare di raggiungere il divano o la camera da letto. Un istinto animale che aveva acceso quella serata, come pure la notte che n'era seguita. Era davvero difficile poter dare una connotazione romantica a qualcosa che di romantico non aveva nulla, e tutto a causa di un desiderio represso troppo a lungo.
Chiuse gli occhi, e si adagiò sulla sua spalla. Deniz si mosse nel sonno e si girò verso di lui, circondandolo con un braccio.
Roman si chiese se Deniz si rendesse conto, in quel momento, di chi avesse al suo fianco; forse immaginava qualcun altro. Il dubbio gli attanagliò le visceri in una morsa di fuoco. Poi gli vide aprire faticosamente gli occhi e regalargli un gran sorriso.
“Ehi!” si sentì dire da una voce roca, per poi essere baciato sulla punta del naso.
Il fuoco e i dubbi dentro di lui si dissolsero come nebbia.
“Ehi!” gli rispose.
Aveva preso a baciarlo sulle labbra, quando un rumore sordo, proveniente dalle profondità dello stomaco di Deniz, interruppe l'idillio di prima mattina. Entrambi cercarono di ignorarlo.
Con uno scatto Deniz fu sopra di lui e cominciò a baciargli il petto. Il suo stomaco protestò di nuovo e ancora più vigorosamente.
“Cristo” sospirò, guardandolo con aria seccata. “Vado a preparare la colazione” concluse, mentre con un balzo scendeva dal letto.
Roman lo vide uscire ancora nudo dalla stanza e si chiese se si fosse destato del tutto.
Deniz era sempre stato abbastanza pudico e, in passato, nemmeno una volta l'aveva visto girare completamente nudo per casa. Non che la cosa gli desse fastidio, attualmente. La familiarità di quella sua fame incontrollabile dopo aver fatto sesso, inoltre, gli regalò un vago senso di tranquillità, come un oggetto caro che credeva perduto e che invece era sempre stato lì, nel solito posto.
Si stiracchiò a lungo nel letto, un sorriso dipinto sulle labbra che non sarebbe andato via nemmeno se glielo avessero voluto strappare a forza. Infine, decise di alzarsi a sua volta e fare una doccia veloce prima di colazione. I suoi indumenti, ovviamente, dovevano essere dispersi in qualche punto tra l'ingresso e il soggiorno, così uscì dalla stanza nell'identica mise di Deniz. Solo quando si trovò all'esterno capì che non era stata una buona idea: a braccia incrociate sul petto e con un sopracciglio ferocemente arcuato, Vanessa si stagliava di fronte a lui.
Delle mutande gli volarono dritte sul volto e lui si affrettò a indossarle, Il piccolo Michael era alle prese con il telecomando della tv e Deniz, a pochi passi, con addosso solamente un grembiule recante una frase che dava adito a più di un'interpretazione: 'I AM THE BEST!'
“Avevo dimenticato che saresti venuta” spiccicò Deniz, mentre si grattava un orecchio per l'imbarazzo.
“Evidentemente” puntualizzò la ragazza, fingendo un'aria offesa ma che a stento tratteneva una risatina. Guardò Roman di sottecchi al principio; poi, allargò le braccia di scatto regalandogli un luminoso sorriso. “Sei l'ultima persona che mi sarei aspettata di trovare qui”.
Roman le andò incontro e l'abbracciò, evitando di domandarle chi si sarebbe aspettata di trovare al suo posto.
“Non ti chiedo se stai bene. Si vede” gli disse, allontanandolo da sé e squadrandolo da capo a piedi “Wow!”
“Anche tu... cioè... ti trovo in forma”.
“Si fa quel che si può” replicò lei, mimando la posa di una modella, oversize in quel caso. La ragazza poi si rivolse a Deniz, lanciandogli il sacchetto con le brioches ancora calde, che lui prese al volo.
“Okay! Vado a fare un giro con Michael. Vi basta mezz'ora per rendervi presentabili?” concesse, facendo slittare rapidamente gli occhi dall'uno all'altro.
“Oh... certo” rispose Roman, dopo una breve pausa.
“Fa pure con comodo” aggiunse Deniz.
“Michael, honey! Come here!”
Il bambino si alzò quasi di scatto dal tappeto, dove un attimo prima stava rovistando tra i suoi giochi, e raggiunse velocemente la mamma, davanti allo sguardo stupito di Roman. Infine, uscirono entrambi.
“Mi vengono i brividi al pensiero che Vanessa diventi sempre più somigliante a Simone Steinkamp. Povero bambino” sospirò.
“Qualcuno deve pur portare i pantaloni in casa” ironizzò Deniz, stringendosi a lui e prendendo a baciargli il collo.
“Ehm... non per fare il guastafeste” esitò lui, mentre la mani di Deniz s'infilavano tenacemente sotto l'elastico delle mutande. “Ma credo che dovremmo lavarci, vestirci e renderci presentabili”.
Deniz annuì. “Tra mezz'ora, certo”.
Lui lo guardò accigliato. “Ma non eri affamato?”
“Da morire” rispose, prima di catturargli le labbra tra le sue.

E dopo mezz'ora, o poco più, si ritrovò a fare colazione insieme a quella famigliola, dove lui era l'intruso e, ovviamente, a disagio; tuttavia, Deniz e Vanessa avevano insistito fino allo sfinimento affinché restasse. Anche il piccolo Michael pareva avesse fatto i capricci purché gli cantasse di nuovo 'la bella e la bestia' con il Karaoke, sebbene ancora gli sfuggisse quando e con quali mezzi il bambino avesse esplicato quel suo desiderio.
E dopo la colazione, a base di musical e marmellata, loro due si ritrovarono di nuovi da soli, e di nuovo a letto.
In questo modo, in una versione breve ma dettagliata, Roman venne a conoscenza di tutta la vita di Deniz da quando si erano lasciati: l'avventura americana a Los Angeles, la convivenza con Nina e il ragazzo di lei, musicista emergente, il jet set, i party con le star di Hollywood, qualche piccola comparsa in un paio di film. Tutto quello che Deniz aveva desiderato per una vita, ma che era arrivato nel momento sbagliato. Niente di tutto questo lo entusiasmava da diverso tempo.
Ma a Roman premeva sapere altro, qualcosa a cui Deniz aveva accennato qualche giorno prima.
“E' vero che sei stato in terapia?” gli chiese, in tono preoccupato.
Deniz annuì.
“Perché?”
Lui sospirò, guardandolo con un'espressione seria in volto.
“E' accaduto dopo la nascita di Michael. Ero a Los Angeles per lavoro e Vanessa a Boston. Il parto è avvenuto in anticipo e io non ero presente. Li ho potuti vedere solo dopo due giorni e questa cosa mi ha steso”.
“In che senso?” chiese lui, accigliandosi.
“Ho cominciato a soffrire d'ansia. Non dormivo più la notte ed ero sempre distratto sul lavoro. E' stata Nina a convincermi a rivolgermi a uno specialista” ridacchiò. “A Los Angeles si va dallo psichiatra come se si andasse a comprare il latte”.
“Immagino” replicò Roman, confortandolo con un sorriso e una carezza. “E come è andata?”
“All'inizio è stato terribile. Stavo peggio a ogni seduta, tanto che mi ero rifiutato di ritornarci”.
“Sarà stata la parcella” intervenne lui per sdrammatizzare.
“Mi sentivo svuotato e allo stesso tempo confuso” continuò, guardando distratto un punto davanti a sé. “Tutto quello che avevo rimosso negli anni è tornato a galla in una sola volta e non riuscivo a gestirlo”.
“E poi ci sei riuscito?”
“In parte sì”.
Si voltò, guardandolo di nuovo.
“E quella cosa... riguardante Jessica?” chiese ancora, titubante.
Deniz alzò le spalle. “E' stato l'analista a dirlo. Io... davvero non lo so. Mi disse che fondamentalmente tendevo a controllare troppo le mie emozioni e le mie pulsioni, e che anziché affrontare i problemi, preferivo ricorrere alla droga o all'alcol. Allora mi sembrò assurdo anche solo restare ad ascoltarlo”.
Roman lo fissò in silenzio. Forse non avrebbe mai saputo il vero motivo per cui Deniz fosse finito a letto proprio con Jessica, ma quando era andato con quel Patrick era sotto l'effetto della cocaina, ed era stato insieme a Vanessa e ad altre decine di ragazze perché non accettava il fatto di essere gay.
“Però qualcosa di buono è venuto fuori da quelle sedute” riprese, scrutandolo intensamente negli occhi. “Ho imparato a dire quello che penso... be'... il più delle volte, e che è molto meglio non tenersi tutto dentro”.
“Tipo?” fece lui, incuriosito.
“Ad esempio” gli rispose, accarezzandogli il viso. “Non ti ho mai detto niente sul giorno in cui ci siamo conosciuti, allo stand di Annette.”
Roman sbatté le palpebre più volte, incredulo. Nemmeno sapeva che lui si ricordasse di quel giorno. Lui, invece, ce l'aveva marchiato a fuoco in testa. Gli erano suonate le sirene di allarme tutte insieme quando se l'era visto venire incontro; poi, quando lui si era girato per andarsene, notando che era perfetto dietro come davanti, scoprì di esserne perdutamente innamorato”.
“Avevo notato i tuoi occhi”.
La voce di Deniz gli arrivò come una carezza improvvisa. “I miei occhi?” fece Roman, ridendo. “Che cosa avevano i miei occhi?”
“Mi guardavano ed erano ... sono meravigliosi. E anche le tue mani. Sentii qualcosa quando ti strinsi la mano, ma... allora non capivo”.
“Desideravi che un uomo ti accarezzasse” aggiunse lui, ricordando le sue stesse parole. Così dicendo, gli sfiorò il viso lentamente e poi lo baciò.
Deniz rispose brevemente al bacio. “E poi dopo il party al N°7, quando mi hai baciato” continuò, “non facevo che pensare a te”.
“Odiandomi” intervenne lui.
Deniz sbuffò una piccola risata. “Odiavo il fatto di non riuscire a toglierti dalla testa”.
La sua espressione si corrugò e, d'un tratto, lo abbracciò di slancio.
“Ho aspettato per mesi che tu tornassi da me” disse, con una nota quasi disperata nella voce.
Roman si sentì preso alla sprovvista, mentre lo sentiva respirare in modo sconnesso. Chiuse gli occhi e si abbandonò completamente in quell'abbraccio che valeva più di ogni altra parola e – avrebbe potuto dirlo con sicurezza – molto più del sesso fatto fino a quel momento.

*

Se si fosse lanciato sulla pista per eseguire un triplo axel, Roman ci sarebbe riuscito al primo tentativo, perché si sentiva leggero come una piuma e camminava già a un metro dal suolo, con Deniz al suo fianco.
I provini furono lunghi ed estenuanti, essendosi presentati molti più aspiranti del giorno prima, dei quali alcuni completamente inadatti. Le selezioni però andarono avanti senza intoppi e lui già si pregustava un'altra serata a base di sesso e chiacchierate fino all'alba.
Gli sembrava tutto troppo bello per essere vero.
Dopo tre ore di selezioni, decise di tornare al loft, da Annette, per fare una doccia e cambiarsi d'abito, mentre Deniz aveva da sbrigare ancora delle faccende in ufficio prima della chiusura. Così si diedero appuntamento davanti all'entrata del Centro.
I consigli di Annette e le sue crisi isteriche su cosa indossare lo fecero ritardare di quasi venti minuti, e quando non trovò Deniz ad attenderlo, cominciò a temere che l'avesse mollato a causa del ritardo. Poi, in uno sprazzo di lucidità, immaginò che fosse ancora impegnato in ufficio ed entrò per cercarlo.
Una scena spiacevole, seppur vista un milione di volte, resta pur sempre una scena spiacevole. Soprattutto quando vengono fomentate le peggiori paure.
E quelle di Roman si concretizzarono tutte nei pochi istanti in cui vide Deniz abbracciarsi e baciarsi con quel Justin Google o Goblin, o come diavolo si chiamasse, a bordo piscina.
No. Non avrebbe mai potuto accettare quel genere di rapporto.
Tornò come un fulmine sui propri passi, respirando l'aria fredda della strada unito al gelo che gli aveva riempito in un istante il cuore.
Era stato tutto fin troppo bello per poter essere vero.

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Capitolo 8
*** 8/8 ***


8/8

*

“Rispondi!”
“No!”
Annette gli allungò il cellulare che suonava all'impazzata da oltre venti minuti, scoccandogli un'occhiata truce. L'aggeggio infernale smise di squillare, poi la musichetta riattaccò dopo pochi secondi.
“Se non rispondi tu, lo faccio io” gli intimò lei.
Roman sbuffò, strappandole il telefonino dalle mani, ma anziché accettare la chiamata, come Annette sperava, lo spense.
“Come puoi essere così immaturo?” lo apostrofò lei, puntando i pugni sui fianchi. “Non hai più trent'anni, Roman!”
Lui la fulminò con lo sguardo. “Volevi dire venti” la corresse.
“Non avendoti conosciuto allora, ora posso dire con certezza che non avrebbe fatto molta differenza”.
Roman alzò minaccioso un indice contro di lei e aprì la bocca per risponderle a tono, per poi decidere di sterzare all'improvviso verso una direzione completamente diversa, e abbassò di colpo la mano.
“Si è preso gioco di me, Annette!” urlò.
“Ne sei convinto?”
“Li ho visti con questi occhi!”
Annette sbuffò con forza e, puntando come un kamikaze verso il divano, lo afferrò per un braccio e se lo trascinò dietro. La conversazione si prospettava lunga e faticosa. “Allora, ricapitoliamo. Tu hai visto Deniz e Justin che pomiciavano”.
Lui annuì con aria affranta.
“Tu hai visto Deniz e il suo ragazzo” puntualizzò lei, “che pomiciavano. Perché ho l'impressione che tutto questo sia l'effetto di un incredibile déjà-vu?”
Lui aggrottò le sopracciglia con fare interrogativo. “Eh?”
“Tu e Deniz, una coppia. Marc, il tuo ex. Tu e Marc insieme. Ci arrivi fin qua?”
Roman scrollò il capo con veemenza. “Non è la stessa cosa”.
“No?” fece lei. “Perbacco, mi sembrava di sì”.
“Io e Deniz... è diverso. Quello che c'è tra noi è speciale... o almeno lo era”.
“E' sempre speciale tutto quello che ci tocca da vicino. Tu che ne puoi sapere del rapporto che Deniz ha con quel ragazzo?”
“Hanno una relazione aperta, Annette” rintuzzò lui, con una nota di disgusto. “Che vuoi che abbia di speciale una relazione aperta?”
“L'apertura forse? Scherzo”. Annette congiunse le mani davanti alle labbra come se pregasse. “Deniz è stato sincero dal principio con te, oppure no?” riprese.
Roman annuì con una smorfia infastidita.
“E uscendo con lui ieri sera, correggimi se sbaglio, è come se avessi accettato di prendere parte a questo – fece un gesto vago con le mani – come vogliamo chiamarlo? Menage a tre?”
“Una relazione aperta non prevede un numero fisso di partecipanti.” borbottò tra i denti.
“Ancora meglio!” aggiunse lei.
“No!” protestò lui, con forza. “Non è meglio! Abbiamo parlato, tanto. Mi ha detto che sperava che io tornassi da lui. Mi voleva e adesso... adesso...” s'interruppe, indicando con un ampio gesto quella stramba situazione come se si fosse presentata davanti agli occhi in carne ed ossa.
“Ti ha detto che ti ama e che vorrebbe stare solo con te?”
“No... ma io pensavo che... avevo capito di sì. Lui me lo ha fatto credere”.
“E tu gli hai detto che lo volevi come un tempo?” chiese di nuovo Annette.
“No, ma credevo non ci fosse bisogno” le rispose lui.
“Perfetto!” chiosò lei. “Molto fumo ma poco arrosto”.
“Tutto fumo e niente arrosto” la corresse.
“Fa lo stesso”.
“Che cosa devo fare?” la supplicò lui, confidando in una risposta risolutiva.
“Parlaci. Sii chiaro con lui e fa in modo che lui lo sia con te”.
Roman annuì, rendendosi conto di essere stato un po' troppo precipitoso, probabilmente. “Ma non subito” aggiunse. “Adesso sono ancora sconvolto”.
Il portellone d'ingresso si aprì in quel momento e Roman sollevò la testa di scatto, inviando uno sguardo pungente nella sua direzione. Annette si voltò di conseguenza.
“Ho la sensazione che invece ti tocchi, proprio adesso, e non chiedermi come faccia a saperlo” gli sussurrò lei, a mezza bocca. “Ciao, Deniz!” disse subito dopo, in tono squillante.
Deniz le sorrise, incerto. “Ciao, Annette.”
La donna si alzò, dopo aver dato una poderosa gomitata a Roman, e si defilò, uscendo di casa senza nemmeno preoccuparsi d'imbastire una scusa. Era decisamente superflua e inopportuna la sua presenza.
“Ti sto chiamando da mezz'ora” gli disse subito Deniz.
“Buffo! Esattamente da mezz'ora ho rifiutato tutte le telefonate”.
Deniz sgranò gli occhi, sorpreso. “Perché?”
“Vuoi proprio che te lo dica?”
“Lo apprezzerei.”
Roman scattò in piedi come una molla e marciò nella sua direzione, arrestandosi di colpo a un passo da lui. “D'accordo!” esclamò, con voce isterica. “Vuoi sapere quello che penso? Te lo dirò. Io sono Roman Wild e lo sarò sempre. E in quanto Roman Wild, sono abituato a combattere con le unghie e con i denti per ottenere quello che voglio. Nessuno mi ha regalato mai nulla. E tutti i giorni ringrazio un dio in cui non credo per avermi fatto così, omosessualità compresa.”
Deniz aprì la bocca, forse per replicare, ma lui lo bloccò con un gesto e continuò nella sua filippica.
“Posso essere geloso fino alla paranoia e sono sempre stato possessivo con le mie cose, i miei trofei, i miei pattini, i miei vestiti, tutto, compresi gli amici e i ragazzi che mi portavo a letto. E se amo qualcuno lui deve essere soltanto mio, nemmeno deve guardarlo un altro uomo – strinse gli occhi fissandolo con uno sguardo omicida – o una donna”.
“Roman, io...” riuscì a dire Deniz, ancora una volta interrotto.
“Sono un romantico vecchio stile. Mi piacciono le sdolcinatezze più nauseanti di questo mondo, la musica più melense e i film più stucchevoli che siano mai stati girati e voglio che la persona che amo condivida queste cose con me, anche se gli dovesse venire l'orticaria. Adoro lamentarmi di qualsiasi cosa, anche di quello per cui non ci sarebbe motivo, e so essere un vero stronzo quando serve, e non sopporto chi lo sia più di me, perché sono io e solo io a dover avere l'ultima parola. Sempre”.
“Lo so... e infatti..” ritentò Deniz, inutilmente.
Roman gli puntò un indice intimidatorio davanti alle labbra e così restò fino alla fine.
“Quando ti ho detto, due anni fa, di non cambiare, era esattamente quello che intendevo, perché quello che sei sempre stato mi accendeva, mi eccitava, mi faceva sentire vivo, perché mi dava un motivo per lottare, ogni giorno. E anche adesso, so che fondamentalmente sei rimasto lo stesso, e mi viene voglia di sbatterti contro un muro e farti cose di cui nemmeno oso pronunciare il nome. Cazzo!”
“Roman...”
“Ma non potrò mai accettare che tu stia con un altro nel frattempo, che lo baci, lo abbracci, e che lui sappia di te cose che solo io ho il diritto di sapere, di come ti muovi quando fai sesso o del verso che fai quando vieni, oppure di come è il tuo viso dopo che sei venuto”.
“Okay” riuscì a dire Deniz.
“Non ho ancora finito” replicò, acido. “E tutto questo perché in fondo sono un insicuro. E per la mia insicurezza ho buttato all'aria il nostro rapporto, qualche anno fa, perché Marc mi ha fatto tornare indietro nel tempo, illudendomi che avessi ancora vent'anni e che fossi più desiderato di quanto tu mi desideravi. E poi, quando sei stato con Jessica, la mia parte razionale sapeva che non aveva significato nulla, ma la parte più stronza e bastarda di me, che vuole sempre avere l'ultima parola, diceva: è giovane, è sexy, può avere uomini, donne, può essere qualcuno nella vita, perché ha davanti mille occasioni. Che se ne sarà di te, una volta ottenuto quello che vuole?”
Deniz scrollò il capo. “Io ho sempre voluto solo te”.
“E adesso stai con uno che ha quasi l'età per sembrare mio figlio” continuò, ignorandolo, “che potrebbe diventare campione del mondo, che non solo mi toglierà il titolo, ma anche l'uomo che voglio per me, con cui voglio stare, che voglio scopare ogni volta, con cui voglio tornare a vivere, a condividere il letto, la tv, la biancheria, quando qualcuno di noi - TU - si scorda di fare la lavatrice, a cui dirò che quello che cucina è squisito, anche se mi fa schifo, che si scorderà di togliere i suoi vestiti in giro per casa e le scarpe davanti alla porta d'ingresso, che dimenticherà di aprire puntualmente la finestra del bagno dopo averlo usato, che lascerà il dentifricio aperto o le bottiglie del latte vuote nel frigo, o che...”
Deniz gli sigillò le labbra con un bacio a stampo e lo strinse a sé, così forte da fargli mancare il fiato. Aveva sempre saputo quale fosse il metodo ideale per zittirlo. Roman dovette interrompere il bacio, inspirando profondamente come se fosse appena emerso da un'apnea di tre minuti.
“Volevi uccidermi” gracchiò.
“Sì, naturalmente” ironizzò Deniz con un sorriso accennato. “Roman io...”
“Volevi liberarti di me” insistette con voce strozzata.
“...ti amo” concluse finalmente Deniz.
Roman fece una smorfia come per dire che non gli avrebbe creduto neanche se si fosse messo in ginocchio, mentre la parte più nascosta dentro di sé cominciava a sciogliersi come burro.
“E se non te l'ho detto prima è perché avevo paura. Ho cercato di farti credere che non significassi più niente per me; ma, lo sai, non sono mai stato bravo in queste cose”.
“Strano” intervenne Roman, evitando di guardarlo in faccia. “Questa volta sembravi convincente. Tutti migliorano con la pratica, evidentemente”.
Deniz gli prese delicatamente il mento tra le dita, obbligandolo a guardarlo. “Ma ho ancora paura, Roman. Ho paura che domani mi lascerai per un altro Marc che si presenterà all'improvviso in città, qualcuno che ti faccia sentire più importante di quanto riesca a dimostrarti, che possa offrirti più di quanto possa offrirti io. Qualcuno che si ricordi di fare la spesa regolarmente e che metta in moto la lavatrice o la lavastoviglie quando serve, che non sparga caos per la casa, perché è un metodico e un perfezionista proprio come te. Qualcuno che sappia la differenza tra un musical e un'opera lirica, che guardi con te tutte le sdolcinatezze che passano in tv perché le ama davvero e non solo perché piacciono a te, che non faccia nessuno sforzo per adattarsi al tuo modo di essere perché è già come tu vuoi che sia. E che non saprà mai e poi mai il valore di un tuo sorriso per qualcosa che sono riuscito a fare io, nonostante tutte le cose che non sono”.
Roman restò a bocca aperta di fronte a quella pseudo-dichiarazione. Stranamente, sembrava che non fosse più capace di emettere suoni; poi, in un attimo, riguadagnò la sua compostezza: sguardo fiero, sopracciglio arcuato e braccia conserte. Indietreggiò di un paio di passi.
“E con quel Goblin come la mettiamo?”
“Intendi Justin?”
“Ti sarei grato se non pronunciassi più il suo nome in mia presenza” rintuzzò, gelido.
“Con Ju... io e lui ci siamo lasciati...cioè lui mi ha lasciato, neanche un'ora fa, al Centro”.
Roman accentuò lo spigolo del suo sopracciglio, con scetticismo. “Vi ho visto prima, che vi baciavate”.
Deniz parve illuminarsi, comprendendo finalmente perché Roman avesse rifiutato le sue chiamate e fosse in quella modalità “over bitch”.
“Ci stavamo solo salutando”.
“Mmm” mugugnò Roman, non del tutto convinto. “E perché ti ha lasciato?”
“Perché era stufo della nostra relazione e perché con Georg Müller potrebbe avere quello che ha sempre cercato, un rapporto stabile e serio”.
“Aha” bofonchiò, neutro. “Ed era necessario baciarvi in quel modo?”
Deniz si accigliò. “Anche tu baci Annette sulle labbra come saluto”.
“Certo!” esclamò, riaccendendo il suo animo. “Ma con Annette non ci sono andato a letto!”
Fortuna che lei non fosse presente per smentire.
Tuttavia, Deniz innalzò a sua volta un sopracciglio e fece un sorrisetto storto. “Davvero?”
Lo sapeva. Come faceva a saperlo? - pensò Roman, terrorizzato – Annette, sei una stronza!- concluse nella sua mente.
Deniz accorciò la distanza tra loro due e allungò le braccia sulle sue spalle. “Ad ogni modo se non mi avesse lasciato lui lo avrei fatto io. Vorrei stare con te, Roman. Solo con te. Perché sei l'unico che abbia mai amato. Nessun altro uomo potrebbe prendere il tuo posto – notò il suo sguardo farsi più tagliente - e nessuna donna” aggiunse in fretta.
Poi si rabbuiò all'improvviso e un 'ma' resto sospeso sulle labbra.
Roman trovò il suo sguardo preoccupante e si affrettò a correre ai ripari. “Se è per Marc, ti giuro Deniz, te lo giuro. L'ultima volta non ti ho lasciato per tornare con lui. Devi credermi”.
Deniz tentò d'interromperlo, ma Roman riprese a parlare a raffica.
“Non era programmato. Cercavo un lavoro. Ci siamo incontrati per caso e me ne ha offerto uno, poi abbiamo cominciato a frequentarci ed è finita che ci siamo rimessi insieme, ma non ha funzionato”.
“Io ti ho visto con lui” intervenne, mostrando una tristezza che faceva male anche a guardarlo. “Eri felice”.
“Ero felice, Deniz, è vero. Ma solo perché mi sentivo realizzato con il lavoro. Ma una volta che quel dannato sogno è divenuto realtà, non c'è stato più niente che ci legasse, perché ho capito che mi mancavi e che niente avrebbe avuto più senso se non avessi avuto te al mio fianco”.
“Io ti amo, ma...” riprese Deniz, al che Roman si sciolse dall'abbraccio, ripristinando una distanza che – era più forte di lui – si costringeva a mantenere quando temeva di udire cose spiacevoli. “Io non sono più lo stesso di prima. Qualcosa è cambiato e quel qualcosa è diventato la parte più importante della mia vita e io non posso barattarla per nessuno, Roman. Capisci? Per niente e per nessuno, né per la mia felicità né per la tua”.
Roman si accigliò, cercando di capire quello che Deniz voleva intendere. Forse non ci sarebbe mai riuscito, così, semplicemente al primo colpo.
“L'ultima volta, ricordi? Abbiamo rotto perché, secondo te, stavo pensando solo alla mia carriera, e io ti dissi che sarei potuto cambiare. Ma ora no. Io non posso cambiare e non voglio, perché tutto quello che sento di essere lo devo a qualcuno, e quel qualcuno è Michael. Michael è la parte più importante della mia vita, e verrà sempre lui al primo posto qualsiasi cosa accada o decida di fare. Roman Wild sarebbe in grado di accettarlo? Io temo di no.”
Ma contro ogni previsione, Roman gli sorrise, sentendosi d'un tratto alleggerito di tutti i dubbi che l'avevano sopraffatto in quei pochi istanti. Si avvicinò di nuovo a Deniz, circondandogli la vita con le braccia. “Vorresti dirmi che d'ora in poi dovrò competere con un nanerottolo petulante di ottanta centimetri scarsi?”
Deniz scrollò il capo, mentre lo sguardo restava fermo e deciso. “Non c'è nessuna competizione, Roman, perché perderesti in partenza”.
Lui intuì che la faccenda fosse molto seria per Deniz e che non tutte le carte erano state posate sul tavolo della loro trattativa.
“Riusciresti a sopportarlo, Roman?”
Lui restò in silenzio, quasi stesse prendendo del tempo per riflettere.
Nello stesso istante, Ingo aprì la porta dell'elevatore, facendo la sua comparsa con un sorrisetto irritante; dietro di lui Annette che ansimava. “Mi spiace. Non sono riuscito a trattenerlo” gli disse, mortificata.
“Non importa” intervenne Deniz. “Abbiamo finito”.
Roman lo fissò sorpreso, poi raddrizzò le spalle, strinse le labbra e lo prese per mano, trascinandolo nell'ascensore e chiudendo entrambi all'interno. Si sedette sul pavimento e obbligò Deniz a fare altrettanto.
“Non abbiamo finito” gli disse. “Deniz, io ti amo”.
“Roman, io...”
“Shsh” sussurrò lui, posandogli un dito sulle labbra. “Un'ultima cosa. Deniz... a volte buttarsi a capofitto in una relazione” esordì, in tono pacato e con uno sguardo tenero che amava rivolgere solo a lui, “è come tentare di eseguire un triplo axel in una gara quando tutte le quotazioni sono contro di te. Se ti va bene, sei sul podio, altrimenti nei bassifondi della classifica. Io voglio tentare un triplo axel... con te, anche se, a prima vista, potrebbe sembrare un'impresa disperata”.
“Roman” ribatté Deniz, avvolgendogli le mani nelle sue. “Anche a me piacerebbe, sebbene un triplo axel riuscirei a farlo solo nei tuoi sogni... ma tu devi renderti conto che non potrai mai vincere l'oro con me. Michael verrà al primo posto, in ogni caso, per quanto possa amarti e desiderarti al mio fianco”.
“Lo so. Ti sembrerà strano, ma riesco a capirlo. Io, però, voglio farlo, Deniz. E' la cosa che più mi preme al mondo”.
“Anche se sarai eternamente secondo?”
Roman mugolò, stringendo le labbra in un sorriso storto. “Vorrà dire che cercherò di vedere il lato positivo di tutta la storia: perlomeno, non sarò più terzo”.
Deniz gli sorrise e, prendendogli delicatamente il volto tra le mani, lo attirò a sé e lo baciò.
“Ti amo”.
“Ti amo”.
Infine un altro bacio a sigillare la nuova riunificazione, l'ennesima. Questa volta, però, lui era pronto. Avrebbe dimostrato a Deniz quanto di Roman Wild, il combattente, ancora fosse in lui.
Questa volta non avrebbe permesso a nessuno di rovinargli, forse, la sua ultima occasione di essere felice. Tanto meno a se stesso.
E mentre si abbandonava tra le braccia e al sapore dei baci di Deniz, ogni cosa gli sembrava essere tornata esattamente in quel posto nel quale avrebbe dovuto trovarsi dal principio e dove, probabilmente, con un po' di buona volontà, sarebbe restata per sempre.

***

Fine

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