Arcanomicron

di TheMaster
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Briefing ***
Capitolo 3: *** Salieri II? ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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"Dio non esiste. Non l'ho mai visto in quarant'anni. Non mi ha mai aiutato, non mi ha mai soccorso e non ha mai deviato un solo colpo che fosse indirizzato a me.

Mia moglie è... è stata assassinata da uno stronzetto che cercava qualche spicciolo in casa nostra...

Leonard, il buon Leonard... Lei lo conosce, no? Era da vent'anni senza gambe e s'è beccato un fottuto cancro che lo ha ridotto ad una ameba attaccata a una macchina d'ospedale. Perchè mai dovrei credere che Dio esiste, Padre?"

Le parole erano riecheggiate per l'ala destra della Cattedrale di Saint Patrick, Fifth Avenue, New York.

 

"Figliolo... Non sempre Dio ci accompagna in ogni nostro passo." Disse sconsolato Padre Gabriel. "Non senti la sua mano perchè non vuoi sentirla, non pensi? Ma prima o poi arriverà, e tu sarai lì. Credimi."

 

"...Quando arriverà avrò molte domande da porgli, statene certo." Rispose Vincent, alzandosi dalla panca di legno con un movimento secco. Si sistemò la giacca di pelle nera con un colpo spiovente delle mani, piegò la testa di lato e disse le sue ultime parole della serata: "Grazie Gabriele, nonostante tutto... sei un buon amico."

 

Si mosse verso l'uscita, dando le spalle all'ecclesiastico, mentre quest'ultimo lo salutava con le solite parole di rito. Inforcò la porticina sita nell'anta destra delle imponenti doppie porte della cattedrale e si ritrovò lanciato nella più grande città del mondo. New York. Il simbolo dell'america. Il simbolo della vita sulla terra.

Si strinse nel giubbotto, imprecando a bassa voce, sferzato dal vento e dalla pioggia autunnale, gelida e affilata; per poi tuffarsi in quella piazza che sembrava più un lago, per fare ritorno alla casa dei suoi sogni e dei suoi incubi.

Perchè proprio un incubo stava per avere inizio.

 

 

 

Là, dove tutti vorrebbero andare, una figura angelica mosse i suoi passi su un pavimento di luce bianca, senza pareti né soffitti, senza fare alcun rumore. Nel luogo dove la luce era più intensa e l'oscurità meno fitta, là sedeva qualcuno. E questo qualcuno parlò: "Sono arrivati, finalmente. Che tutto abbia inizio. Ora."

 

La figura angelica annuì e si lasciò scrivolare sul pavimento, sprofondando in esso e diventando parte del bianco, un nulla nella luce. Poi la luce si spense e lasciò spazio alla notte.

 

 

 

"...dopo la nostra rubrica politica passiamo ora alla cronaca extraterrestre. Ancora rivolte da parte dei minatori d'acqua su Titano. Il Primo Console del satellite mantiene la sua linea di condotta e la manifestazione è stata sedata con l'ausilio di personale militare.

Nessun notizia della U.R.E.W. Salieri II, dispersa da giovedì notte nella costellazione del Toro. Il Ministero Aerospaziale ha emesso un bollettino nel quale viene confermata l'ipotesi di un impatto con un corpo non ancora identificato. Una nave della Repubblica si sta ora muovendo verso le coordinate degli ultimi messaggi.

Alcuni scienziati venusiani hanno rinvenuto in una cava di argento un minerale anomalo la cui scoperta ha..." La televisione si spense senza lamenti, lasciando la stanza in un surreale silenzio, interrotto soltanto dal passaggio di qualche aeroveicolo.

Vincent si girò sul letto, fissando il soffitto così bianco da sembrare nuovo, spalancando le braccia e restando fermo immobile nel suo nulla. Attese. Vagava nei suoi pensieri, preoccupato dalle mille grane che la vita gli aveva riservato. Non si accorse quando scivolò nel mondo dei sogni, ma stava sognando Marta quando il telefono suonò facendolo sussultare.

Il sole era tramontato, la pioggia era cessata e si sentiva anchilosato, come se fosse stato fermo per ore. E forse era così.

Scivolò in piedi, infilando le ciabatte di pelo correttamente al secondo tentativo, per poi arrancare verso il salotto. Nel corridoio lanciò un'occhiata alla grande parete a specchio del bagno attraverso la porta aperta, e l'immagine che gli fu restituita era la solita, anche se un po' sfocata. Non era una figura eccessivamente particolare: alto circa un metro e novanta, spalle da nuotatore, fisico asciutto, forse troppo magro. I capelli negli anni erano cresciuti rigogliosi sulla sua testa e ora gli scivolavano oltre le spalle, incastrati dietro le orecchie. Gli occhi, ora arrossati, erano come sempre spenti. Come sempre, da quando l'amore della sua vita aveva trovato la pace eterna tra le braccia di un medico incapace di salvare le vite altrui. Non si fermò oltre, non era il momento di lasciarsi andare a elucubrazioni sul suo passato.

 

"Pronto?"

"Capitano Vincent Baker?"

"Capitano non troppo, Vincent un po'."

"Sono il Generale LeHavre, si ricorda di me?"

"Chi non si ricorda di lei?"

"Questo mi fa piacere. Da quanti anni è in congedo, Capitano?"

"Tanti."

"... Quanti, Capitano?"

"...Otto."

"Da quando sua moglie..."

"Già."

"..."

"..."

"Il Comando ha bisogno di lei, Capitano."

"Con rispetto, Generale, non penso proprio."

"Io penso di sì. Siete un soldato, no? Uno dei migliori."

"I migliori sono morti su Callisto, mentre io..."

"Mentre voi facevate il vostro lavoro sulla vostra nave, Capitano. Ora mi ascolti: lei è ufficialmente richiamato in servizio. Non se ne rammarichi, probabilmente sarà soddisfatto da ciò che l'aspetta. Penso di ricordarmi ancora i suoi... gusti."

"Navi veloci, musica e qualche bella ragazza?"

"Navi veloci, soldati veloci e armi veloci."

"Di che si tratta?"

"Lo saprà presto, ho inviato il Sergente Timmer a portarle il materiale necessario, arriverà questa sera verso le nove."

"Fantastico, avevo giusto in mente una serata romantica."

"La saluto, Capitano. E le auguro buona fortuna, a presto."

"A presto, Generale."

 

BIP, emise il ricevitore al termine della chiamata, prima di essere posato su un alto tavolino circolare, di vetro.

Vincent si mosse verso le ampie vetrate del suo salotto, dalle quali si affacciava tutta la metropoli. Di fronte a quello spettacolo di chaos organizzato, a cui era solito assistere durante l'ora di punta, si accorse di avere fame. Erano le otto: in meno di un'ora il Sergente Timmer sarebbe arrivato, e non avrebbe saputo resistere a un buon piatto di curry. Proprio come una volta.

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Capitolo 2
*** Briefing ***


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“Allora Mark, com’è?” domandò Vincent guardando negli occhi Timmer.

“Spettacolare Vins, spettacolare!”

Mark Timmer era uno dei pochi militari paciosi trovabili nelle strutture governative del Comando Aerospaziale. Ormai viaggiava verso la cinquantina, basso, tarchiato, abbondantemente sovrappeso; per lui ogni occasione era buona per mettere qualcosa sotto i denti. Questo però non faceva di lui un cattivo soldato, anzi: Vincent aveva scelto di portarselo dietro più volte, non tanto per le sue abilità, ma per la fiducia che nutriva nei suoi confronti.

Vincent si lasciò scappare una breve risata di soddisfazione: “Sapevo che ti sarebbe piaciuto... Ma dimmi: gli altri come stanno?”

I toni si incupirono leggermente e Mark abbassò lo sguardo per qualche istante, prima di tornare a fissare Baker: “John è morto tre anni fa, divorato da un Kripeer su un asteroide... è stato tremendo Vins, io ero lì... sai cosa ti fanno, no? Lo hanno rivoltato come un calzino, c’era pelle dappertutto...”

Nonostante l’argomento Mark non smise di mangiare e anzi, affogò il discorso in un boccone particolarmente imponente.

L’unica cosa che Vincent seppe dire, a bassa voce, fu: “...cazzo...”

“Già, sua moglie è disperata... e ogni tanto me lo sogno ancora lo notte. E poi Corinna, te la ricordi, no? Era nella divisione delle comunicazioni, l’hanno promossa: durante la sua prima missione è rimasta esposta ai raggi solari senza visiera protettiva. Ha perso la vista...”

“Per fare una cosa simile bisogna essere abbastanza stupidi!”

“Era la sua prima missione, Vins! Quell’idiota di Valenti l’ha spedita fuori senza dirle che doveva tornare di corsa! Certe volte penso che l’abbia fatto apposta.”

“Valenti... è ancora là dentro?” Domandò Vincent giocherellando col curry nel suo piatto, la storia di John gli aveva rivoltato come un calzino lo stomaco.

“Valenti? Cazzo se è ancora là dentro!! L’hanno promosso, quel fottuto bastardo! Promosso! Ma ti rendi conto?! Ora è Comandante di Divisione... e se ti va male sarà lui a venire con te!”

Vincent alzò lo sguardo, illuminato ora da interesse: “Verrà con me... Dove?”

Mark si mosse sulla sedia, leggermente a disagio, appoggiando la forchetta sul tovagliolo e grattandosi la pancia: “Beh...” si lasciò scappare una risata tesa “...vecchio mio, ci sarà da divertirsi. Andiamo a caccia della Salieri II, l’ammiraglia scomparsa. Suppongo tu l’abbia sentito al telegiornale, no?”

“Ho sentito qualcosa... cos’è successo, esattamente? E come ha fatto a perdersi una ammiraglia?”

“Sinceramente... boh? Nessuno sa cosa sia successo! Prima c’era e un istante dopo non c’era più. Al Comando hanno pensato che fosse un guasto ai sistemi di comunicazione, ma funzionavano perfettamente. Semplicemente non esiste più. E ci stiamo domandando perchè. Secondo le nostre ultime informazioni avevano appena superato Hyadum I e si stavano muovendo verso le Pleiadi.”

“Fantastico, un giallo spaziale e io dovrò investigare! L’ho sempre sognato!” Ironizzò Vincent.

“Calma bello, non è ancora finita... La Salieri II era partita una settimana prima dalla colonia su Titano, imbarcando materiale ‘Top Secret’: adoro quando il comando dice così! Sarà una delle solite super-armi o qualche altra stronzata simile. Fatto sta che questa robaccia deve essere recuperata. E ha priorità Uno.”

Vincent alzò un sopraciglio: “Uno?”

“Uno.” Confermò.

“Minchia... deve essere qualcosa di grosso. E importante. Potrebbe anche essere una personalità, qualche scienziato figo... no?”

“Le personalità importanti tendono a non far sparire le navi, Vins...”

“Già... Quindi dove andiamo, su Titano o verso Hyadum?”

“Hyadum Vins, e anche di corsa. Partiamo stasera, tra...” si mosse agitando un po’ il tavolo per raggiungere il braccio e scrutare l’orologio “... un’ora e mezza. Corri a prepararti, bello! Tranquillo per l’equip, quello ce lo sganciano al comando!” La voce di Mark si era risollevata e, infatti, aveva addentato un sedano vagante.

Vincent si alzo senza fretta, aggirò il tavolo e si appoggiò sulle spalle di Mark: “Di corsa? Peccato, c’era una Sacher in cucina ad aspettarci...”

Mark sgranò gli occhi.

 

 

Una voce metallica annunciò: “Benvenuto Capitano Baker Vincent.” senza alcuna emozione.

Vincent rispose: “Grazie.” senza alcuna emozione. All’apparenza.

In realtà stava per esplodere, a causa dei sentimenti che gli turbinavano dentro: erano passati otto anni, interminabili, dall’ultima volta che aveva messo piede al Comando.

Pareti di metallo, sempre liscie, sempre pulite. Personale in camice bianco, soldati con nanoarmature o esoscheletri, piccoli robot vaganti e sempre in mezzo intenti a farsi odiare dal personale più che a fare le loro commissioni, Vincent Baker. Anche lui era lì in mezzo.
E non era cambiato nulla. O quasi.

 

Una navetta era passata a prendere Vincent e Mark sul tetto del suo grattacielo e li aveva portati fino a Houston. In passato la Città era stata la madre dei viaggi spaziali ed ora era il più grande astroporto della terra. Da lì avevano preso un trasporto militare fino alla Luna. Essa era ancora l’unico satellite del sistema solare non colonizzato. Civilmente, almeno: conservava sulla sua superficie e al suo interno una quantità incredibile di laboratori, fabbriche, edifici a uso e consumo della U.R.E.W., la United Republic of External Worlds.

E il ‘Comando’. Chiamato così dai soldati, aveva in realtà un nome decisamente più altisonante: si trattava infatti della sede centrale della amministrazione aerospaziale e militare della U.R.E.W.

 

LeHavre si alzò dalla poltrona di pelle che monumentale si ergeva dietro una scrivania altrettanto epica e, dopo avverla aggirata, si precipitò verso Vincent stringendogli la mano: “Capitano Baker, Capitano! Dio mio, quanto tempo! Siete dimagrito? Venite, sedetevi. Anche voi Sergente, sedetevi.”

Baker e Timmer si sedettero lentamente, nel tempo in cui il Generale circumnavigava la sua imponente scrivania.

Poi toccò a LeHavre, che una volta sprofondato nella pelle nera della sua poltrona esordì: “Molto bene Baker, convenevoli a parte... il Sergente ti ha detto tutto?”

“Penso di sì, quello che non mi ha detto non posso saperlo.”

“Brillante ragazzo, sei sempre brillante!”

Il Generale LeHavre era il tipico soldato da telefilm: alto, massiccio, capelli bianchi e corti,  occhi azzurri. L’unica cosa che lo rendeva anomalo era la sua allegria e bonarietà. Praticamente tutti lo adoravano. Nel complesso era un ottimo soldato, ma aveva un solo difetto: era diventato generale e al posto del fucile ora impugnava un telefono, e pochi sapevano quanto lui odiasse quel maledetto arnese. Vincent si era stupito anche di quello, ricevendo la telefonata direttamente da lui.

“Grazie Generale.” Disse Baker abbozzando un sorrisetto.

“Va bene, passiamo alle cose serie.” Disse premendo un pulsante sulla sua scrivania: “Questa è la registrazione di Domenica 2 Aprile 2098. Ore 22:15. Presenti il Capitano Vincent Baker e il Sergente Mark Timmer.”

 

 

Klaus Fassi sbuffò per l’ennesima volta, quando la punta adamantina della sua trivella da profondità si bloccò in uno strato minerale più duro del previsto. Spense la macchina e scese dalla scaletta, per una decina di metri, fino ad arrivare sulla superficie della caverna che aveva scavato quella mattina.

“Il solito lavoretto facile, dicevano! Se anche questa punta s’è spezzata la metto in culo a Smithers!” bofonchiò arrancando tra i detriti. Si sentiva minuscolo, accanto alla trivella da profondità, alta quindici metri e lunga venti.

Sotto i suoi piedi era pieno di minerali di ferro e altri cristalli duri, simili al quarzo, che scricchiolavano mentre lui ci camminava sopra.

Arrivò fino alla testa della punta, che pareva intatta, ma si fermò colpito da qualcosa che non aveva mai visto prima: uno strano minerale cangiante, semitrasparente, bellissimo, delle dimensioni di un pugno.

Si chinò e lo prese nel palmo, ma la pietra scomparve subito all’interno della sua mano. Si guardò incredulo e fece un passo indietro impaurito, cercando dove potesse essere sparita.

Poi si sentì strano. Una voce dentro di lui gli stava parlando.

Klaus credeva in Dio. E ora era sicuro della sua esistenza.
Stava parlando con lui, solo con lui.

Gli stava dicendo che lui era il suo nuovo messia, il suo nuovo figlio.

Che aveva il potere di cambiare le cose.

Di modificare il mondo. E la vita.

Klaus spalancò gli occhi, mentre sentiva il suo corpo bruciare di una luce mai sentita prima, poi si girò e corse verso l’uscita della galleria.

 

 

“Come sapete, su Titano viene prodotto il 70% dell’acqua potabile che viene poi utilizzata sulla Terra, su Mercurio e su Io. Quattro giorni fa un minatore, un certo Klaus Fassi, emigrato terrestre, viene spedito a forare uno strato di roccia particolarmente duro. Il suo caporeparto mi ha detto che era un operaio valido e specializzato, uno di quelli che fanno poche domande e lavorano molto. Quello giusto, insomma.”

Vincent e Mark annuirono alcune volte, in silenzio.

“Durante il suo scavo presumibilmente trova qualcosa. Non sappiamo bene cosa. Fatto sta che impazzisce, esce dalla miniera e si reca a Cossa, l’insediamento più vicino, e inizia a dare fuoco ai passanti.” LeHavre tacque per un istante, calcando lo sguardo sugli occhi dei suoi interlocutori.

“Disarmato.”

“Disarmato?” fece eco Mark.

“Già. Pare che il fuoco sgorgasse dalle sue mani liberamente. L’allarme viene dato praticamente subito e in pochi minuti sono sul posto due unità di Guardie. Gli intimano di fermarsi, e come tutta risposta ne arrostisce un paio. Sparano e lui scioglie i proiettili in volo.”

Sgomento dei due, rumore della mascella di Mark che scricchiola per la tensione.

“Altra raffica, viene colpito ad una gamba da qualche colpo e cade. Subito viene circondato dai soldati che gli iniettano un sedativo. Sapete, uno di quelli forti... se ti va male resti in coma, se ti va bene ti svegli dopo una settimana: dopo tre ore si sveglia, ma per fortuna era già stato sistemato all’interno di una gabbia metallica per Inkubus, che resiste anche a temperature di 7000° gradi.”

Altri assensi.

“Dopo altre tre ore viene imbarcato sulla U.R.E.W. Salieri II, una ammiraglia da guerra. Come modello è di una cinquantina d’anni fa, ma fa molto bene il suo lavoro. Destinazione, comunque, era una stazione orbitante a trenta milioni di chilometri dalle Pleiadi. Si tratta di una stazione spaziale altamente sofisticata, dove le attrezzature avrebbero permesso lo studio dell’esemplare in sicurezza. Naturalmente non c’è mai arrivata.”

“Pensate che sia stato questo minatore?” Chiese Vincent, più scettico che stupito.

“Presumiamo di sì.”

“Molto bene... e qual’è la nostra missione, signore?”

“Accertarvi che la Salieri II sia integra. In caso contrario, recuperare l’esemplare che sarà sicuramente morto nello spazio. Se la Salieri II è integra cercate sopravvissuti e proteggeteli, recuperate l’esemplare, possibilmente vivo.”

“E possibilmente senza schiattare.” Terminò Vincent “Le solite cose, ok.”

“Capitano Baker, un consiglio da amico... Fate molta attenzione, questa storia mi ha turbato e non credo di essere l’unico a pensare che ci sia dietro qualcosa di grosso. Non era mai successa prima una cosa simile. Al Comando pensano che sia un qualche tipo di reazione chimica o fisica a delle tossine liberate nello scavo, ma nessuno sa di cosa si possa trattare. Lo scavo è stato isolato, ma si teme che possano esserci altri casi. Il primo, il Caso 0, è il nome in codice ‘Superior”, che è anche il nome in codice della vostra missione. Penso non ci sia altro da aggiungere.”

LeHavre si alzò lentamente dalla sedia, circumnavigando il tavolo verso gli altri.

“Se non avete altre domande, potete andare a riposare.”

“Sì, una.”

“Ditemi, Vincent...”
”Quando si parte?”

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Capitolo 3
*** Salieri II? ***


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“Dovrebbe essere qui.” annunciò il Co-Pilota additando il vuoto in una mappa stellare olografica.

“Là! Dirigiamoci verso quel gruppo di asteroidi.” ordinò Vincent, facendo un cenno col viso al Pilota. Davanti a loro si stagliava, parecchio in lontananza, qualcosa.

 

“Pensi che siano i rottami della ammiraglia, eh, Baker?” domandò con tono ironico Jackye, uno dei tre soldati che si era portato dietro. Alto un metro e settanta, capelli ricci, corti e neri, neri come la sua pelle e gli occhi. Terrestre, indoamericano, aveva detto. Premiato sette volte in battaglia, cinquantun operazioni compiute con successo.

“Non negarlo, dai!” incalzò.

“Potrebbe essere, ma l’idea non mi esalta.” Confermò Vincent.

Jackye si mosse sulla poltrona, lanciando un’occhiata a Mark Timmer, che stava addentando un panino piuttosto voluminoso.

“Fame, eh?” domandò il nero, mentre Mark si limitò a lanciargli un’occhiata indifferente.

 

“Non sono asteroidi, sono pezzi di astronave.” Confermò l’ultimo dei tre soldati.

“Ma non hanno nulla a che fare con l’ammiraglia, sono tutte navette di piccole dimensioni, più qualche incrociatore.” terminò.

“E cos’altro ti dice il tuo computer, Epson?” chiese Jackye.

Epson rimase chino sul portatile, facendo segni sullo schermo olografico e pigiando sporadicamente sulla tastiera. Era un bel ragazzo, giovane, biondo, con capelli fluenti lungo le spalle ora legati in una coda di cavallo. Ed era una delle menti più geniali del Comando. Per non parlare delle sue capacità tattico-militari. Il soldato e l’uomo perfetto, secondo alcuni. Non rispose subito, lasciò gli altri in attesa per qualche altro istante: “Alcune sono navette Exy, la maggioranza invece erano della repubblica. E’ roba vecchia, una ventina d’anni.”

“E come mai non è registrata sulla mappa?” chiese il Co-Pilota, che si era interessato alla cosa.

“Probabilmente è una delle battaglie che la Repubblica ha voluto nascondere, hanno perso infatti... un attimo, dall’altro lato del campo di detriti c’è un oggetto di grandi dimensioni. Forse una stazione spaziale. E... Bingo!! Attraccata c’è la nostra Salieri II!”

“Molto bene!” sentenziò Jackye.

Annuirono tutti, voltandosi verso Baker, il quale soddisfò il loro sguardo ordinando: “Aggiriamo il campo detriti, pilota. Ci porti all’Ammiraglia.”

 

 

 

“Qui Trasporto Militare RT0832, chiediamo permesso di attracco.” disse il pilota alla radio, senza troppa convinzione. “Dubito, in realtà, che avremo qualche risposta.” terminò rivolto a Baker.

La radio restò muta per qualche istante, poi si sentirono alcuni rumori.

“Che diavolo...?” commentò Jackye “Ehi, c’è qualcuno in ascolto?”

Ancora la comunicazione fu disturbata per alcuni interminabili secondi, poi una voce spezzò il silenzio: “...’nalmente cazzo, finalmente!! Non ci speravamo più! Siete tanti, spero!”

Vincent si avvicinò al microfono e attese qualche istante, soppesando al meglio le parole da dire: “Il mio nome è Vincent Baker, sono il Capitano della missione e ho con me uomini fidati. Con chi sto parlando?”

Alcuni secondi di silenzio. Cambio di voce: “Il mio nome è Simon McDavis, sono il Comandante della nave Ammiraglia U.R.E.W. Salieri II. Perdonate il mio subordinato eccessivamente emotivo. La situazione, Capitano, è invero difficile e senza dubbio complicata. Ho la vostra attenzione?”

Le parole erano giunte con innaturale flemma, scandite senza errori, senza sbavature.

“Sto ascoltando.” Confermò Vincent.

“Molto bene. Giovedì notte il soggetto 0, che stava venendo trasportato alla Stazione di Ricerca Spaziale Axam01, ha fatto breccia nella gabbia ove era rinchiuso e ha iniziato a vagare per la nave. Giunto in prossimità della zona motori, ha ucciso alcuni dei miei uomini mettendo poi in serio pericolo la nave tramite manovre incendiarie ai danni dei propulsori di coda. L’intervento militare immediato non è stato sufficiente per eliminare la minaccia: il soggetto 0 ha ucciso trentasei persone, di cui otto civili. L’equipaggio ha effettuato una spettacolare manovra di attracco alla base spaziale ormai in disuso che potete vedere, con i soli motori ausiliari funzionanti. Alcuni soldati sono riusciti a farsi inseguire dal soggetto 0 all’interno della base, mentre gli ufficiali e i civili a bordo si sono chiusi nei compartimenti stagni di prua. Domande, Capitano?”

“No.”

“I soldati nella base spaziale sono tutti morti. L’ultimo comunicato è quello che vi stiamo ritrasmettendo, ascoltatelo pure.”

Vincent annuì al Co-Pilota, che fece partire il nastro.

 

“FFzzz...”

“Sparagli cazzo, sparagli!!!”

Spari.

Rumori indefiniti

“Ci stanno facendo a pezzi!!”

Spari.

“Merda, Daniel!!”

Spari.

Risata profonda e rumori indefiniti.

Urlo straziante.

“La mia gamba!!!”

“Fottuto bastardo, muori!!!”

Spari.

Gemito.

Spari.

“Ritiriamoci, Daniel, cazzo! Ritiriamoci!”

Spari.

Esplosione.

Urla strazianti.

“Spara a quello, spara!!”
”Dietro quella porta!”

Spari.

Spari.

Urla.

Silenzio.

 

Nessuno parlò per un tempo indefinito e tutti scambiarono occhiate con tutti, tranne Vincent che lasciò vagare lo sguardo oltre il vetro della nave.

“...spara a quello? Ci stanno facendo a pezzi? Ma non era uno solo?” domandò infine Jackye, passandosi una mano sui fitti capelli ricci.

Mark annuì: “Già... sembra che ci siamo persi qualcosa...”

“... è la stessa cosa che ho pensato anche io.” commentò la voce oltre la radio. “Pare che ci sia un secondo soggetto pericoloso. O più.”

“Che si fa, Vins?” chiese Mark guardando Vincent, il quale alzò lo sguardo e con aria rassegnata annunciò: “Facciamo quello per cui siamo venuti. Comandante, prepari il portello d’attracco. Pilota, avviciniamoci lentamente.” Tacque solo per un istante, il tempo di raccogliere la sua arma da fuoco dal luogo in cui l’aveva appoggiata: “Epson, preparati a fare uno scan di tutta la struttura della Salieri II appena attraccati. Preparatevi, ragazzi.” le ultime parole furono pronunciate con estrema stanchezza.

“Wow! Erano già tre mesi che non rischiavo di morire, mi piace!” esultò Jackye al limite tra il serio e il faceto, mentre entrava nel comparto del Trasporto adibito a stiva, seguito da Epson. Mark si trattenne solo per un istante, il tempo di domandare: “Stai bene, Vins?”

 

 

CLICK.

Il computer che Epson teneva in mano ronzò felice.

“I motori sono operativi solo al 15%, gli scudi di poppa sono andati e quelli di prua funzionano per culo. Il sistema di diagnostica rileva breccie e danni al 71% della struttura interna dello scafo, più una breccia esterna a babordo: fortunatamente le porte stagne si sono chiuse e il danno è limitato al 7% della nave. Una percentuale, a dire il vero, perfino eccessiva per un Incrociatore di queste dimensioni.”

Epson lesse i dati con estrema naturalezza, quasi parte integrante della tecnologia che lo stava aiutando.

“Possiamo raggiungere il Ponte di Comando?” domandò Vincent, allargando le spalle e sgranchendosi i muscoli.

“Parrebbe di sì: sostanzialmente il danno è limitato ai due terzi di poppa della nave. Dovrebbe essere tutto a posto, qua.”

“Una bella fortuna!” convenì Jackye, lasciando che il suo fucile emettesse un suono sordo nel momento in cui lo rese operativo.

Anche Mark fece la stessa cosa, seguito da Vincent. Epson continuò a dialogare con il computer, ignorandoli.

Erano vestiti tutti allo stesso modo: tuta in nanotubi di carbonio, resistentissima e leggera, comprensiva d’elmetto a scomparsa; armamento d’ordinanza per le squadre speciali composto da due pistole a impulsi, di cui una non letale, fucile a impulsi con lanciagranate, tre granate di cui due deflagranti e una fumogena; coltello in nanotubi d’acciaio, praticamente indistruttibile.

Vincent si mise alla testa del gruppo, imbracciando il fucile.

“In allerta ragazzi, Superior potrebbe essere tornato sull’ammiraglia.” Proferì mentre pigiava un piccolo tasto sul colletto della tuta e questa si allungava verso il cranio, coprendo totalmente la nuca e la fronte.

Gli altri fecero la stessa cosa.

 

La porta si aprì scorrendo di lato in un sibilo leggero.

Jackye entrò, riparandosi a lato della medesima, seguito di Mark che fece la stessa cosa dalla parte opposta.

“Libera.”

Vincent entrò, seguito da Epson che aveva risposto il computer e l’aveva sostituito con il fucile a impulsi.

“Di là.” Proferì quest’ultimo, indicando con un cenno del capo una porta a tenuta stagna dall’altro lato della stanza che fino a pochi giorni prima era sicuramente adibita a sala mensa.

Tutto era intatto, da quando erano arrivati: nessun danno, nessun malfunzionamento. Sembrava che fossero sulla nave sbagliata. Anche se vuota, la sala mensa era integra e pulita: sedie rovesciate sui tavoli, tutto ordinato. L’unico sentore della minaccia erano le luce spente, sostituite dalle mezze luci arancioni di emergenza.

Baker aprì la strada fino alla porta, aggirando tavoli e sedie; arrivato vicino al pannello sfiorò per un paio di volte i tasti poi si rivolse a Epson: “E’ bloccata dall’altra parte, puoi inviare un messaggio o aprirla?”

Si trattava di una porta larga quattro metri e alta tre, con chiusura a iride, tenuta stagna; probabilmente in lega di titanio: quasi indistruttibile. Quasi.

“Mando una comunicazione al Comandante McDavis, ci aprirà lui.” decise, riponendo a tracolla il fucile e mettendo mano al computer.

Nell’attesa che seguì l’invio del messaggio, Jackye si avvicinò a Vincent: “Ehi capo, posso farti una domanda?”

“...Dimmi.”

“Ho sentito dire che sono otto anni che non impugni un fucile, e in effetti non ti ho mai visto al comando” rise “pensi di essere ancora in grado di sparare?”

Vincent lanciò un’occhiata alla sua arma, poi sorrise: “E’ come fare sesso, non puoi scordarti com’è...”

Mark s’intromise, ridacchiando: “Ma non era qualcosa tipo: è come andare in bicicletta, eccetera?”

“Sì, ma io non so andare in bicicletta...” convenne Vincent lasciandosi scappare un’altro sorriso “tu sei un vecchietto, ok, ma quando ero piccolo io già non se ne vedevano più!”

“Sarà, ma tu sei anche in astinenza da sesso, Vins!”

“Fanculo Mark!” terminò Vincent ridacchiando.

Mark e Jackye risero, e anche la porta espresse la propria felicità lasciandosi andare in un sibilo e aprendosi di fronte agli ospiti.

La serietà riprese subito il sopravvento, e il gruppo entrò con movimenti fluidi e quasi meccanici.

Si allontanarono nel corridoio che seguiva, sparendo nella penombra.

Mentre qualcosa si muoveva in fondo alla sala.

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