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“Allora Mark, com’è?” domandò Vincent guardando negli occhi
Timmer.
“Spettacolare Vins, spettacolare!”
Mark Timmer era uno dei pochi militari paciosi trovabili
nelle strutture governative del Comando Aerospaziale. Ormai viaggiava verso la
cinquantina, basso, tarchiato, abbondantemente sovrappeso; per lui ogni
occasione era buona per mettere qualcosa sotto i denti. Questo però non faceva
di lui un cattivo soldato, anzi: Vincent aveva scelto di portarselo dietro più
volte, non tanto per le sue abilità, ma per la fiducia che nutriva nei suoi
confronti.
Vincent si lasciò scappare una breve risata di
soddisfazione: “Sapevo che ti sarebbe piaciuto... Ma dimmi: gli altri come
stanno?”
I toni si incupirono leggermente e Mark abbassò lo sguardo
per qualche istante, prima di tornare a fissare Baker: “John è morto tre anni
fa, divorato da un Kripeer su un asteroide... è stato tremendo Vins, io ero
lì... sai cosa ti fanno, no? Lo hanno rivoltato come un calzino, c’era pelle
dappertutto...”
Nonostante l’argomento Mark non smise di mangiare e anzi,
affogò il discorso in un boccone particolarmente imponente.
L’unica cosa che Vincent seppe dire, a bassa voce, fu:
“...cazzo...”
“Già, sua moglie è disperata... e ogni tanto me lo sogno
ancora lo notte. E poi Corinna, te la ricordi, no? Era nella divisione delle
comunicazioni, l’hanno promossa: durante la sua prima missione è rimasta esposta
ai raggi solari senza visiera protettiva. Ha perso la vista...”
“Per fare una cosa simile bisogna essere abbastanza
stupidi!”
“Era la sua prima missione, Vins! Quell’idiota di Valenti
l’ha spedita fuori senza dirle che doveva tornare di corsa! Certe volte penso
che l’abbia fatto apposta.”
“Valenti... è ancora là dentro?” Domandò Vincent
giocherellando col curry nel suo piatto, la storia di John gli aveva rivoltato
come un calzino lo stomaco.
“Valenti? Cazzo se è ancora là dentro!! L’hanno promosso,
quel fottuto bastardo! Promosso! Ma ti rendi conto?! Ora è Comandante di
Divisione... e se ti va male sarà lui a venire con te!”
Vincent alzò lo sguardo, illuminato ora da interesse:
“Verrà con me... Dove?”
Mark si mosse sulla sedia, leggermente a disagio,
appoggiando la forchetta sul tovagliolo e grattandosi la pancia: “Beh...” si
lasciò scappare una risata tesa “...vecchio mio, ci sarà da divertirsi. Andiamo
a caccia della Salieri II, l’ammiraglia scomparsa. Suppongo tu l’abbia sentito
al telegiornale, no?”
“Ho sentito qualcosa... cos’è successo, esattamente? E come
ha fatto a perdersi una ammiraglia?”
“Sinceramente... boh? Nessuno sa cosa sia successo! Prima
c’era e un istante dopo non c’era più. Al Comando hanno pensato che fosse un
guasto ai sistemi di comunicazione, ma funzionavano perfettamente. Semplicemente
non esiste più. E ci stiamo domandando perchè. Secondo le nostre ultime
informazioni avevano appena superato Hyadum I e si stavano muovendo verso le
Pleiadi.”
“Fantastico, un giallo spaziale e io dovrò investigare!
L’ho sempre sognato!” Ironizzò Vincent.
“Calma bello, non è ancora finita... La Salieri II era
partita una settimana prima dalla colonia su Titano, imbarcando materiale ‘Top
Secret’: adoro quando il comando dice così! Sarà una delle solite super-armi o
qualche altra stronzata simile. Fatto sta che questa robaccia deve essere
recuperata. E ha priorità Uno.”
Vincent alzò un sopraciglio: “Uno?”
“Uno.” Confermò.
“Minchia... deve essere qualcosa di grosso. E importante.
Potrebbe anche essere una personalità, qualche scienziato figo... no?”
“Le personalità importanti tendono a non far sparire le
navi, Vins...”
“Già... Quindi dove andiamo, su Titano o verso Hyadum?”
“Hyadum Vins, e anche di corsa. Partiamo stasera, tra...”
si mosse agitando un po’ il tavolo per raggiungere il braccio e scrutare
l’orologio “... un’ora e mezza. Corri a prepararti, bello! Tranquillo per
l’equip, quello ce lo sganciano al comando!” La voce di Mark si era risollevata
e, infatti, aveva addentato un sedano vagante.
Vincent si alzo senza fretta, aggirò il tavolo e si
appoggiò sulle spalle di Mark: “Di corsa? Peccato, c’era una Sacher in cucina ad
aspettarci...”
Mark sgranò gli occhi.
Una voce metallica annunciò: “Benvenuto Capitano Baker
Vincent.” senza alcuna emozione.
Vincent rispose: “Grazie.” senza alcuna emozione.
All’apparenza.
In realtà stava per esplodere, a causa dei sentimenti che gli turbinavano dentro: erano passati otto anni, interminabili, dall’ultima volta che
aveva messo piede al Comando.
Pareti di metallo, sempre liscie, sempre pulite. Personale
in camice bianco, soldati con nanoarmature o esoscheletri, piccoli robot vaganti
e sempre in mezzo intenti a farsi odiare dal personale più che a fare le loro
commissioni, Vincent Baker. Anche lui era lì in mezzo.
E non era cambiato nulla. O quasi.
Una navetta era passata a prendere Vincent e Mark sul tetto
del suo grattacielo e li aveva portati fino a Houston. In passato la Città era
stata la madre dei viaggi spaziali ed ora era il più grande astroporto della
terra. Da lì avevano preso un trasporto militare fino alla Luna. Essa era ancora
l’unico satellite del sistema solare non colonizzato. Civilmente, almeno:
conservava sulla sua superficie e al suo interno una quantità incredibile di
laboratori, fabbriche, edifici a uso e consumo della U.R.E.W., la United
Republic of External Worlds.
E il ‘Comando’. Chiamato così dai soldati, aveva in realtà
un nome decisamente più altisonante: si trattava infatti della sede centrale
della amministrazione aerospaziale e militare della U.R.E.W.
LeHavre si alzò dalla poltrona di pelle che monumentale si
ergeva dietro una scrivania altrettanto epica e, dopo avverla aggirata, si
precipitò verso Vincent stringendogli la mano: “Capitano Baker, Capitano! Dio
mio, quanto tempo! Siete dimagrito? Venite, sedetevi. Anche voi Sergente,
sedetevi.”
Baker e Timmer si sedettero lentamente, nel tempo in cui il
Generale circumnavigava la sua imponente scrivania.
Poi toccò a LeHavre, che una volta sprofondato nella pelle
nera della sua poltrona esordì: “Molto bene Baker, convenevoli a parte... il
Sergente ti ha detto tutto?”
“Penso di sì, quello che non mi ha detto non posso
saperlo.”
“Brillante ragazzo, sei sempre brillante!”
Il Generale LeHavre era il tipico soldato da telefilm:
alto, massiccio, capelli bianchi e corti, occhi azzurri. L’unica cosa che lo
rendeva anomalo era la sua allegria e bonarietà. Praticamente tutti lo
adoravano. Nel complesso era un ottimo soldato, ma aveva un solo difetto: era
diventato generale e al posto del fucile ora impugnava un telefono, e pochi
sapevano quanto lui odiasse quel maledetto arnese. Vincent si era stupito anche
di quello, ricevendo la telefonata direttamente da lui.
“Grazie Generale.” Disse Baker abbozzando un sorrisetto.
“Va bene, passiamo alle cose serie.” Disse premendo un
pulsante sulla sua scrivania: “Questa è la registrazione di Domenica 2 Aprile
2098. Ore 22:15. Presenti il Capitano Vincent Baker e il Sergente Mark Timmer.”
Klaus Fassi sbuffò per l’ennesima volta, quando la punta
adamantina della sua trivella da profondità si bloccò in uno strato minerale più
duro del previsto. Spense la macchina e scese dalla scaletta, per una decina di
metri, fino ad arrivare sulla superficie della caverna che aveva scavato quella
mattina.
“Il solito lavoretto facile, dicevano! Se anche questa
punta s’è spezzata la metto in culo a Smithers!” bofonchiò arrancando tra i
detriti. Si sentiva minuscolo, accanto alla trivella da profondità, alta
quindici metri e lunga venti.
Sotto i suoi piedi era pieno di minerali di ferro e altri
cristalli duri, simili al quarzo, che scricchiolavano mentre lui ci camminava
sopra.
Arrivò fino alla testa della punta, che pareva intatta, ma
si fermò colpito da qualcosa che non aveva mai visto prima: uno strano minerale
cangiante, semitrasparente, bellissimo, delle dimensioni di un pugno.
Si chinò e lo prese nel palmo, ma la pietra scomparve
subito all’interno della sua mano. Si guardò incredulo e fece un passo indietro
impaurito, cercando dove potesse essere sparita.
Poi si sentì strano. Una voce dentro di lui gli stava
parlando.
Klaus credeva in Dio. E ora era sicuro della sua esistenza.
Stava parlando con lui, solo con lui.
Gli stava dicendo che lui era il suo nuovo messia, il suo
nuovo figlio.
Che aveva il potere di cambiare le cose.
Di modificare il mondo. E la vita.
Klaus spalancò gli occhi, mentre sentiva il suo corpo
bruciare di una luce mai sentita prima, poi si girò e corse verso l’uscita della
galleria.
“Come sapete, su Titano viene prodotto il 70% dell’acqua
potabile che viene poi utilizzata sulla Terra, su Mercurio e su Io. Quattro
giorni fa un minatore, un certo Klaus Fassi, emigrato terrestre, viene spedito a
forare uno strato di roccia particolarmente duro. Il suo caporeparto mi ha detto
che era un operaio valido e specializzato, uno di quelli che fanno poche domande
e lavorano molto. Quello giusto, insomma.”
Vincent e Mark annuirono alcune volte, in silenzio.
“Durante il suo scavo presumibilmente trova qualcosa. Non
sappiamo bene cosa. Fatto sta che impazzisce, esce dalla miniera e si reca a
Cossa, l’insediamento più vicino, e inizia a dare fuoco ai passanti.” LeHavre
tacque per un istante, calcando lo sguardo sugli occhi dei suoi interlocutori.
“Disarmato.”
“Disarmato?” fece eco Mark.
“Già. Pare che il fuoco sgorgasse dalle sue mani
liberamente. L’allarme viene dato praticamente subito e in pochi minuti sono sul
posto due unità di Guardie. Gli intimano di fermarsi, e come tutta risposta ne
arrostisce un paio. Sparano e lui scioglie i proiettili in volo.”
Sgomento dei due, rumore della mascella di Mark che
scricchiola per la tensione.
“Altra raffica, viene colpito ad una gamba da qualche colpo
e cade. Subito viene circondato dai soldati che gli iniettano un sedativo.
Sapete, uno di quelli forti... se ti va male resti in coma, se ti va bene ti
svegli dopo una settimana: dopo tre ore si sveglia, ma per fortuna era già stato
sistemato all’interno di una gabbia metallica per Inkubus, che resiste anche a
temperature di 7000° gradi.”
Altri assensi.
“Dopo altre tre ore viene imbarcato sulla U.R.E.W. Salieri
II, una ammiraglia da guerra. Come modello è di una cinquantina d’anni fa, ma fa
molto bene il suo lavoro. Destinazione, comunque, era una stazione orbitante a
trenta milioni di chilometri dalle Pleiadi. Si tratta di una stazione spaziale
altamente sofisticata, dove le attrezzature avrebbero permesso lo studio
dell’esemplare in sicurezza. Naturalmente non c’è mai arrivata.”
“Pensate che sia stato questo minatore?” Chiese Vincent,
più scettico che stupito.
“Presumiamo di sì.”
“Molto bene... e qual’è la nostra missione, signore?”
“Accertarvi che la Salieri II sia integra. In caso
contrario, recuperare l’esemplare che sarà sicuramente morto nello spazio. Se la
Salieri II è integra cercate sopravvissuti e proteggeteli, recuperate
l’esemplare, possibilmente vivo.”
“E possibilmente senza schiattare.” Terminò Vincent “Le
solite cose, ok.”
“Capitano Baker, un consiglio da amico... Fate molta
attenzione, questa storia mi ha turbato e non credo di essere l’unico a pensare
che ci sia dietro qualcosa di grosso. Non era mai successa prima una cosa
simile. Al Comando pensano che sia un qualche tipo di reazione chimica o fisica
a delle tossine liberate nello scavo, ma nessuno sa di cosa si possa trattare.
Lo scavo è stato isolato, ma si teme che possano esserci altri casi. Il primo,
il Caso 0, è il nome in codice ‘Superior”, che è anche il nome in codice della
vostra missione. Penso non ci sia altro da aggiungere.”
LeHavre si alzò lentamente dalla sedia, circumnavigando il
tavolo verso gli altri.
“Se non avete altre domande, potete andare a riposare.”
“Sì, una.”
“Ditemi, Vincent...”
”Quando si parte?”
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