Hamarikyu Gardens

di eclissirossa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


In questo mondo
anche la vita delle farfalle
è frenetica.

(yo no naka ya chō no kurashi mo isogashiki)
- Kobayashi Issa -


Il passo lento e cadenzato, di una scarpa classica maschile, rimbomba nel corridoio, assieme ad un altro paio di scarpe, che lo precedono. Due figure, di statura media, avanzano a pochi passi di distanza. La prima , è quella di un uomo dai capelli castani, gli occhi scuri, con una pelle chiara, pallida. Indossa un vestito sartoriale, grigio, che lo stringe per benino dandogli un’aria ancora più severa. Le mani sono sistemate nelle tasche dei pantaloni, mentre la schiena è dritta. La figura che lo segue , invece, è quella di un ragazzo, più giovane dell’altro, dimostra ad occhio e croce un venticinque anni, forse ventisette, volendo esagerare. Anche lui vestito di tutto punto, è fasciato da un abito sartoriale, sui toni del grigio, la camicia bianca è sistemata dentro i pantaloni e la cravatta, di un bordeaux molto scuro, era stretta attorno al collo. Una ventiquattrore era tenuta in una mano, mentre sulla spalla opposta una tracolla dondolava fino a un fianco. Un’unica differenza c’era tra i due, la loro natura. L’uomo che avanzava davanti era un umano, mentre il ragazzo dietro, era un mezzo-demone, natura confermata dalla cascata di capelli argentei come la luna e due tenere orecchiette sul capo, che si muovevano di tanto in tanto. Il viso era contratto in una smorfia pressoché preoccupata, mentre gl’occhi ambrati, fissavano la schiena dell’uomo, spostandosi subito dopo sulla porta dell’ascensore davanti a loro.

‹ Akihiro-sama,siete sicuro di voler mandare me? › Borbotta il mezzo-demone, una volta arrivati davanti all’ascensore, aspettando che questa, arrivi. ‹ Sa che non sono portato per le trattative. › Spiega annuendo piano e stringendo le labbra tra loro, guardando l’uomo che invece scuote il capo, dopo essersi voltato verso di lui e sorridendogli, dandogli una leggera pacca sul braccio che reggeva la ventiquattore.

‹ Inuyasha, sono sicuro che tu andrai benissimo. Prendi questa opportunità come un.. trampolino di lancio. › Risponde l’uomo, con fare più gentile di quanto il suo aspetto potesse dimostrare. Osserva il mezzo-demone, che dopo aver sbuffato leggermente con aria contrariata entra nell’ascensore , prenotando il pianoterra, e fissando l’uomo che gli sorride ancora.

‹ Ah, Inuyasha, salutami Yumi. › E con un cenno della mano, l’uomo che era rimasto fuori dall’ascensore, lo saluta, lasciando che la sua figura venga inghiottita dalle porte dell’ascensore. Resta fermo, fissando i piani scorrere con aria impaziente e pensierosa. Yumi, era la sorella di Akihiro, l’uomo per cui lavorava, e che gli aveva offerto un posto di lavoro che poteva solamente sognare. Fare l’avvocato, era sempre stato il suo sogno , ovviamente non a quei livelli, ma una volta che aveva avuto la proposta, dal fratello di Yumi, aveva accettato di buon grado, e ci si era impegnato. Akihiro, gli aveva raccomandato di salutarglielo poiché, sembrava, e stentava quasi a crederci lui, che stessero per sposarsi. Non ricordava nemmeno, quando gliel’aveva chiesto, nemmeno il come. Sospira piano, quando il “ DIN-DIN “ dell’ascensore l’avverte di essere arrivato a destinazione . abbandona silente la piccola cabina, avviandosi verso le porte in vetro scorrevoli degli uffici, scorgendo fuori la neve che aveva ripreso a cadere. Sospira pesantemente, poggiando al suolo la ventiquattrore e la tracolla, afferrando cappotto lungo e sistemandoselo sulle spalle, chiudendo pochi bottoni sul petto e infilandosi sul capo un basco scuro, per tenere al sicuro le orecchie sensibili. In quel mondo, umani, demoni e mezzi-demoni potevano vivere tranquillamente assieme, una pacifica convivenza si poteva dire, queste tre nature, avevano trovato tra loro un accordo , stipulando un patto. Recupera le sue borse, infilando la mano libera dentro la tasca della giacca e salutando con un cenno del capo gli ultimi colleghi presenti in sede, prima di abbandonare l’atrio riscaldato, a favore della strada gelida. Sospira, sentendo il freddo ghiacciargli quasi gli organi interni, avvicinandosi a un taxi ed entrandovi velocemente, dando l’indirizzo del ristorante, con aria ancora assorta. I pensieri vagano , ripercorrendo quelle strade conosciute, sentendosi , improvvisamente vuoto. Stringe gl’occhi, aggrottando la fronte, e portando una mano sulle sopracciglia, con aria affranta. Stava ricadendo in quel baratro, dannazione. La voce del tassista lo richiama, annunciandogli di essere arrivati a destinazione. Gli occhi, stanchi vagano sull’insegna del locale, al quale si dirige dopo aver lasciato i soldi sul sedile posteriore del taxi. Il passo è ancora lento , nonostante stesse per andar a trovare la sua ragazza, quella che doveva tenersi vicino per il resto della vita, camminava lento, e affranto. Non era cosi che dovevano andare le cose.

Entra nel ristorante, accomodandosi al tavolo dopo aver appurato che Yumi, ancora non era arrivata. Nuovamente in giacca e cravatta, fissa la candela che caparbia continuava a bruciare davanti a se, fin quando , una vocina gracile non richiama la sua attenzione , si volta, in direzione della donna, sorridendole piano, ed alzandosi, con far galante, per poterle sfilare la giacca , sistemandola sullo schienale della sedia e baciarle una guancia con aria assorta. Una carezza della donna lo richiama quasi alla realtà, mentre la fa accomodare, e inizia a parlarle del più e del meno. La fissa, tornando al suo posto. Yumi era bella, anzi bellissima. Aveva i capelli lunghi, marroni con dei riflessi naturali tendenti al rosso, il fisico snello e longilineo, accompagnava la figura per il metro e settanta , centimetro più, centimetro meno, che la rappresentava. Il viso aveva i tratti forse un po’ troppo marcati, mascella appena pronunciata e naso sottile. Gli occhi chiari lo scrutavano attenti e le labbra arrossate si muovevano in un labiale che non stava leggendo.

‹ Inuyasha? Inuyasha? › Lo richiama la donna, preoccupata, e lui, alza piano lo sguardo, su di lei, annuendo e sorridendo piano. ‹ Sono solo un po’ agitato per il viaggio, Yumi, scusami. › Mormora, sfiorandole piano una mano da sopra il tavolo e osservandola, annuendo leggermente.
In un attimo, qualcosa lo colpisce. Qualcosa che fino a quel momento non sembrava aver sentito. Un profumo conosciuto, che si era fuso con tutti quelli dell’ambiente circostante. La cucina, le candele, i fiori, i profumi delle altre persone, ma che in quel momento gli era arrivato forte e deciso con un pugno nello stomaco, facendogli mancare l’aria per un attimo. Gli occhi ambrati si aprono di scatto, mentre le pupille sembrano stringersi e, le labbra stringersi tra loro.

” Non può essere. “
 Un unico pensiero gli passa per la testa, mentre, velocemente gli occhi vagano sulle persone circostanti. Niente, non c’era. Si alza di scatto, puntando gl’occhi verso il corridoio stretto che portava ai bagni e alla cabina telefonica. Gli occhi si puntano sulla figura preoccupata di Yumi, quel umana si preoccupava tanto per lui. Le sorride, con fare non troppo certo scuotendo il capo.

‹ Arrivo subito, tesoro, vado al bagno. › Mormora, allontanandosi a passo veloce, verso i bagni. Tra le due toilette, quella
maschile e femminile, c’era una porta dai vetri oscurati, che portava in una specie di cabina di un telefono a gettoni, dal quale , seppur in maniera soffusa provenivano dei rumori e delle parole. La piccola cabina, era insonorizzata, cosi voluta dagli umani, per evitare a demoni e mezzi-demoni, dall’udito sopraffine, di origliare le telefonate o qualsiasi altra cosa. Resta fuori, fissando la porta con aria allucinata, bussandovi, senza ricevere alcuna risposta.
Ringhia, sommessamente, entrando nel bagno degl’uomini e chiudendosi la porta alle spalle, con una botta, spostandosi verso un bagno e chiudendosi , nuovamente, dentro il piccolo e lercio abitacolo, con aria demoralizzata. Stava impazzendo.
Le orecchie, veloci, tornano a muoversi sul capo, quando una porta che sbatte richiama la sua attenzione.
Gli occhi nuovamente si allargano, e dopo aver litigato per qualche attimo con la porta del bagno, scatterebbe verso l’esterno dei bagni, fissando la porta della cabina telefonica che si richiudeva, lenta. Si butta di slancio in questa, trovandola vuota, ma al tempo stesso colma di un profumo tanto familiare.

” Kagome! “

Si volta di scatto, notando una figura dalla chioma scura correre veloce tra i tavoli. La insegue, finché non viene interrotto da un cameriere che si para tra lui e la figura della ragazza che ormai era svanita tra le mille persone , oltre la porta del ristorante. Gli occhi fissano ancora, il punto in cui era svanita. Kagome. Kagome, lei era lì. Lei era.. tornata? Era mai andata via veramente? Il suo profumo.. e la sua voce, era lei, ne era certo.
L’aveva sentita parlare, anche se in maniera distorta , con qualcuno, un uomo, il suo ragazzo?
Non importava.
Lei era lì, era a Tokyo.



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dunque , questo era il primo capitolo :3
come vi sembra??

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Stanco:
entrando in una locanda
fiori di glicine.

( kutaburete yado karu koro ya fuji no hana)
-
Matsuo Basho -


Era rimasto fermo, lì, immobile, a fissare il punto in cui era sparita. Kagome, la sua Kagome. Poteva ancora definirla sua? Si volta di scatto, quasi ruggendo, e andando verso la piccola e dannata cabina telefonica dalla porta oscurata. Se l’avesse vista prima,lui.. Lui non l’avrebbe lasciata scappare. Stringe i pugni, lasciando scattare la serratura, e richiudendosi in quel ambiente angusto, ma che in quel momento era dannatamente confortevole. Stringe con maggior forza gli occhi, serrando le iridi ambrate, crogiolandosi nel ricordo di quel profumo, che finalmente, finalmente era tornato a inebriagli i sensi. Di colpo, un ricordo invade la sua mente, offuscandola..

- inizio flashback -

Stava seduto alla scrivania a ripulire una macchina fotografica da poco sistemata. All’epoca, per mantenersi lavorava dentro un negozio che riparava articoli elettronici.

‹ Inuyasha, per favore, vieni ad aiutarmi! › La voce di Sango, dall’altro lato del negozio lo richiama. Si alza lentamente, scivolando fin vicino la ragazza. Un paio di jeans retti da una cintura color cuoio, e una t-shirt bianca con una stampa marrone. Nonostante la neve cadesse fuori, loro, nel negozio stavano bene, dannatamente bene, e le maniche corte, potevano portarsi tranquillamente. Si avvicina al bancone di riparazioni dell’amica. Sango ormai era entrata nella sua vita, e ne faceva parte. Era la sua miglior amica. Era bella. Alta, i capelli castani lisci erano quasi sempre legati per motivi di comodità, fisico atletico e grandi occhi scuri, sempre allegri. Sospira piano, avvicinandosi maggiormente e bloccandosi, con lo sguardo fisso su uno schermo sul quale venivano proiettate le immagini di una ragazza dalla chioma scura e due grandi occhi nocciola che fissavano proprio.. lui? No, stupido, chi stava riprendendo. Un sorriso solare dipinto sul volto , e le labbra che si muovevano frenetiche ma senza.. pronunciare nulla.

‹ Sango.. l’audio... › Mormora, volendo sentire la vocina di quella ragazza, aveva l’impressione che.. fosse delicata, come i suoi movimenti. Respira piano, si sentiva stordito. Era solo una ripresa, dannazione.

‹ E’ questo il problema, baka. Non funziona! › Borbotta, lasciandogli la videocamera tra le mani, e sparendo verso la cassa. Respira piano, continuando a fissare quelle immagini che si susseguono con aria incantata. Non poteva crederci. Era.. bellissima, quella ragazza. Respira in maniera affannata, auto-imponendosi di bloccare il video e passare alla ripresa, per scoprire dove fosse il problema. Inizia a girovagare con fare attento per il negozio, attento a non distruggere niente, riprendendo con la videocamera l’esterno fin quando.. Un’immagine colpisce la sua attenzione. Era lei. La ragazza della ripresa. Alza gli occhi di scatto, sporgendosi verso le televisioni sulle quali la ripresa veniva riproposta e ritrovandola anche lì. Un momento, gli occhi saettano fino all’esterno del negozio e cercano la figura della ragazza, fin quando non la trova.
Eccola lì.
Stretta n un cappottino grigio, una sciarpa attorno al collo e un cappellino di lana sistemato sui capelli neri. Il viso appena truccato era piegato un’espressione sorridente. Sorride a sua volta, quasi verso di lei, abbandonando di colpo la videocamera su un ripiano e scattando verso l’appendiabiti, saettando fuori dal negozio borbottando un “ torno subito “, a Sango, alle prese con una cliente . Si stava allontanando. Infila in fretta e furia il suo cappotto scuro, assieme alla sciarpa , e un basco scuro per tenere al riparo le orecchie sensibili dal freddo. Si distanzia di qualche passo, tenendola d’occhio, e annusando l’aria circostante, come a voler scovare il suo odore, il suo profumo. Sorride ancora a quel pensiero. Si stava rincitrullendo, dietro una ragazza che nemmeno conosceva, diamine. Continua a camminare, fino a fermarsi davanti a un edificio in cui lei entra, saltellando sui gradini. Fissa la scritta fuori dall’edificio e resta sbalordito. Conservatorio.  Andava al conservatorio. Era una musicista. Respira piano, avviandosi lentamente verso l’interno dell’edificio, deglutendo e seguendo con fare fintamente indifferente la scia del suo profumo. Gli sembrava miele. Sfila il basco dal capo, tenendolo nella mano artigliata. Risale due rampe di scale, e percorre qualche corridoio, fin quando non si ferma all’esterno di un aula di musica, dove un enorme pianoforte padroneggiava, e lei? La cerca con lo sguardo, e quasi sviene quando la vede seduta davanti ottantotto tasti bianchi e neri, che prendeva a suonare, una melodia dolce, e delicata, mentre altri ragazzi alle sue spalle fissavano e aspettavano il loro turno. Non se ne accorge, non se ne rende conto, ma lei alza lo sguardo, e lo vede, lo nota, nel mentre la musica prende un ritmo più deciso.

- fine flashback -

Il ricordo sfuma, assieme alla musica, lasciando posto a un TOC-TOC insistente, che quasi lo infastidisce. Sbarra gli occhi, guardandosi attorno e ringhiando ancora. Era un ricordo, solo uno dei tanti ricordi che lei le aveva lasciato. Scuote il capo, puntando gl’occhi su un giornale, mentre riconosce la voce di Yumi dall’esterno della porta. Apre velocemente il giornale, lasciando ricadere al suolo una busta per lettere bianca, al cui interno c’era semplicemente una chiave, e un numero. Stringe gl’occhi, richiudendo tutto e sistemandoli nella tasca della giacca. Quelle erano le chiavi dell’albergo che si trovava sopra il ristorante dove era lui, a cena, ora. Lo sapeva perché ci aveva soggiornato una volta, ed erano tutte uguali, una forma pressoché difficile da maneggiare, e abbastanza pesante. Ispira, come a volersi riprendere, aprendo la porta di scatto e fissando Yumi, che aveva un espressione contrariata.

‹ Inuyasha.. dobbiamo andare, devi partire per New York. › Mormora l’umana, osservandolo e prendendogli la mano, e tirandolo con se. Doveva partire. Ora che aveva una traccia per seguire Kagome? Non poteva. Era sparita di punto in bianco, e non era per paura, lo sapeva. La conosceva Kagome, la conosceva. Non poteva partire, doveva trovarla, doveva prima trovarla. Respira piano, ricambiando la leggera stretta di Yumi e camminandole di fianco, fino all’uscita.

Erano arrivati in aeroporto, lui aveva tutto: biglietto, passaporto, borse e quant’altro. Ispira, baciando su una guancia Yumi che gli raccomanda attenzione e tante altre cose. Anche Kagome si preoccupava per lui, ma lei, era esagerata. Annuisce piano, baciandola ancora su una guancia e voltandosi, senza girarsi, sparendo verso le scale mobili, che scendevano. Dopo circa cinque minuti, lo si vede risalire, con fare furtivo, guardandosi attorno e scattare verso l’esterno, saltando sul primo taxi e respirando in maniera irregolare. Stava facendo un casino. Un. Gran. Casino. Stringe le mani a pugno, afferrando il cellulare e componendo velocemente un numero, pregando che gli rispondano. Tre. Quattro. Cinque squilli. Niente. Sbuffa, dando un altro indirizzo al tassista e abbandonandosi sul sedile alle sue spalle guardandosi attorno. L’avrebbe trovata, a tutti i costi. Il traffico stava scemando, e nel giro di dieci minuti, era nuovamente davanti l’entrata del ristorante. Yumi non l’avrebbe presa bene, a saperlo ancora in città per Kagome, doveva solamente.. non farsi scoprire. Respira piano, pagando il taxi e recuperando le sue cose e salendo velocemente fino al numero della stanza indicata. Iniziando a sentire le gambe molli. Kagome era lì? Doveva essere lì. Si ferma davanti la porta della camera, fissando il numero inciso sulla porta e quello scritto sul foglio. 51bis. Ispira profondamente, armandosi di forza e coraggio, infilando la chiave nella toppa ed entrando nella camera. Quando mai lui aveva avuto paura di qualcosa o qualcuno?? Perché ora doveva averne di vedere Kagome?!

La porta scricchiola leggermente sotto la pressione delle sue mani, e un groppo alla gola gli rende difficile la salivazione.
Cosa si aspettava di trovare, ora, oltre quella porta?



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okey, questo è il secondo capitolo,
un pò breve perchè ho dovuto suddividerlo in due parti,
perchè altrimenti, veniva esageratamente lungo,
il terzo è quasi pronto, e lo posterò a giorni..
intanto, come vi sembra per ora? :)

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Nel vecchio stagno
una rana si tuffa.
Rumore d'acqua.

(furu ike ya kawazu tobikomu mizu no oto)
Matsuo Basho -


Si richiude la porta alle spalle con fare furtivo, avvertendo l’odore forte, ora più deciso, di Kagome, farsi largo nelle sue narici, fino alla mente, aprendo un libro pieno dei loro ricordi, che aveva chiuso con cura. Si maledice, per quel dolore che si stava procurando da solo andandola a cercare. Ma doveva avere una motivazione. Perché era fuggita cosi? Senza farsi più vedere.. Perché? Kagome non era il tipo di persona che non affrontava i problemi. Anzi, al contrario, era sempre troppo.. decisa. Sospira, avanzando nella stanza e restando silente, sperando di avvertire un qualsiasi movimento. Cosa si aspettava di sentire? I suoi passi? La sua voce? Deglutisce, fissando la chiave che reggeva nella mano. Baka. Come poteva rientrare in stanza, senza chiavi? Le aveva prese lui. Si addentra maggiormente all’interno della camera, sentendo man mano l’odore farsi sempre più forte, più deciso, intenso. E per un attimo, l’immagina tutta trafelata correre per quella stanza, ormai vuota, priva di qualsiasi cosa che le appartenesse. Lascia che il capo sbuchi nel bagno, trovandolo ancora come evidentemente lei l’aveva lasciato, un asciugamano al suolo, e le luci accese. Ispira ancora, spostandosi fino ad arrivare al letto, sul quale si siede, lasciando scivolare al suolo le borse, e sfilandosi il basco, mentre l’altra mano, la libera, passava sul viso stanco. Ricapitolando. Era stato a cena con Yumi, aveva sentito l’odore di Kagome che era fuggita prima che potesse fermarla, le aveva praticamente rubato le chiavi dell’albergo, e aveva sabotato il volo per New York, e gli affari del fratello di Yumi, richiudendosi nella camera di un fantasma del passato, che non gli dava pace. Sfila la giacca, gettandola assieme al cappellino su una poltrona, e allentando piano la cravatta, si lascerebbe scivolare sul letto ancora sfatto, poggiando il capo sul cuscino e ispirando piano. Brutta mossa, l’odore di Kagome l’aveva colpito in pieno, per la seconda volta nel giro di una serata, facendogli mancare il fiato. Si volta, su un fianco, lasciando che i lunghi capelli argentati scivolino sul materasso, e il viso affondi nel cuscino, mentre, crollava in un sonno profondo, animato dai più bei ricordi.

- inizio flashback -

Era al bar, seduto dietro il bancone con aria affranta, mentre fissava il suo miglior amico flirtare con una ragazza seduta dall’altra parte con aria sorniona, si chiedeva come facesse, lui, ad averla cosi facile. Sbuffa, mentre la giovane abbandona il suo posto, con stretto tra le mani un fazzolettino di carta e Miroku, il suo miglior amico, la fissava divertito, prima di tornare da lui, con aria spavalda.

‹Visto Inu-chan? Ho fatto colpo! › Sbotta, dandogli una leggera pacca su una spalla sorridente. Miroku, oltre a essere un suo amico, era il proprietario di un bar, quel bar, dove si appollaiava dietro il bancone e flirtava con tutte le ragazze che respirassero che passassero di lì. Era alto, più o meno come lui, capelli neri, corti, legati in un buffo e inutile codino sulla nuca, occhi blu come l’oceano e un sorriso da maniaco sul volto, accompagnato dalla fedele mano morta.

‹ Ehi Miroku, chiamami ancora in quel modo e ti faccio fuori. › Sbotta il ragazzo dai lunghi capelli argentati e due orecchie canine sul capo, lasciando scricchiolare le dita, come se le stesse preparando a una qualche botta. Indossa un paio di jeans, e una maglietta grigio a maniche lunghe con una stampa semplice sul davanti. Sbuffa ancora, poggiando un gomito al bancone e fissando l’amico, che assumeva un espressione contrariata.

‹ Inuyasha, cosa ti è capitato di cosi brutto?! › domanda il giovane con aria interrogativa, osservando il viso corrucciato del mezzo-demone, intento a sbuffare in maniera pesante ogni mezzo minuto. ‹ C’entra una ragazza, te lo si legge in faccia, Inu-chan. › E quasi raggela, il moro, all’occhiata glaciale del mezzo demone, che stringe piano la mano a pugno, ringhiando in maniera lieve. ‹ Cosa ti ha combinato da renderti cosi isterico?! Ti maltratta?! Chi è, Inuyasha?! › Domanda, ora facendo una leggera attenzione, scandendo le lettere del suo nome e fissandolo aggrottare la fronte e scuotere il capo, contrariato, borbottando qualcosa tra se e se, in maniera incomprensibile, persino per lui che era a pochi passi dall’amico. ‹ Non ho capito..  › mormora avvicinandosi ancora e fissando gl’occhi ambrati accendersi d’ira verso di lui.

‹ E’ QUESTO IL PROBLEMA! › sbotta il mezzo-demone digrignando i denti, e fissando l’espressione di Miroku divertita. ‹ Non so come si chiama! So solo che.. suona, suona il pianoforte al Conservatorio. › Mormora verso Miroku, che lasciava delineare un sorriso di sghembo sul viso, osservandolo. Deglutisce piano, il mezzo-demone fissandolo ancora. ‹ Il problema è che.. è.. è.. dannatamente sensuale, e bella, e.. › lascia la frase in sospeso, deglutendo dopo aver voltato il capo verso l’entrata dal quale era provenuto un “ tin-tin “ dei campanellini che avevano sistemato lui e l’amico vicino la porta. Quel profumo. Maledizione. Miroku lo fissava sbalordito, prima di seguire lo sguardo dell’amico che si soffermava sulla figurina femminile che era appena entrata, e si sistemava a un tavolino, vicino a una finestra. Deglutisce, sotto gli occhi divertiti dell’amico che aveva sussurrato un “ wow “, alla visione di Inuyasha in palla.

‹ Dammi un grembiule e.. un.. taccuino. › Aveva sussurrato il suddetto ragazzo, voltandosi verso l’umano che lo guardava contrariato. ‹ Miroku. › Aveva solo mormorato, con aria autoritaria verso l’amico, che subito, l’aveva munito dell’occorrente e si era sistemato a pulire i bicchieri per godersi la scena. Mai, Inuyasha si era ritrovato cosi imbambolato a fissare una ragazza, mai da quanto tempo lo conoscesse, ossia, una vita.

Si era legato il grembiule alla vita, munito di penna e taccuino e si era diretto, in maniera abbastanza imbarazzata al tavolo della ragazza. La fissa, mentre le si avvicina . Aveva sfilato la giacca che era sistemata sullo schienale della sedia. Indossava un paio di jeans grigi, sistemati dentro un paio di stivaletti del medesimo coloro, ma di una tonalità più scura, alti fino al polpaccio e che avevano la suola raso terra. Da sopra, un pulloverino celeste con una profonda scollatura a V sul davanti, che lasciava intravedere l’abbondanza del seno, e che fasciava busto e braccia. Al collo una sciarpina leggera per ripararsi dal freddo, del medesimo colore dei jeans , e i capelli erano legati in una treccia bassa che ricadeva su una spalla. Le manine pallide erano unite sul tavolo, sfiorandosi piano tra loro, e lo sguardo scuro, cioccolato fuso, era rivolto all’esterno, alla neve che cadeva lenta. Il profumo, lo stava letteralmente mandando in tilt. Pochi passi e le era davanti, o meglio, di lato. Un leggero colpo di tosse richiama l’attenzione della ragazza che lo scruta, prima di tornare a fissare l’esterno, con aria attenta. Sobbalza appena, Inuyasha, non capendone gli atteggiamenti.

‹ V.. Vuole.. ordinare? › Mormora con aria titubante verso di lei. “ Diamine Inuyasha, datti una regolata! “  , si richiama mentalmente da solo, faceva davvero la figura dell’idiota, ora. La guarda che si volta verso di lui annuendo e sospirando, sistemandosi meglio sulla sedia.

‹ Si, un succo. › Mormora verso di lui. E ha una voce.. dannazione, sembra miele puro, dolce e delicata, non è stridula, non è gracchiante, è perfetta. Annuisce , schiudendo piano le labbra con aria imbambolata, ripetendo più volte “ succo “, e voltandosi verso il bancone, verso il quale compie due passi, prima di vedere i movimenti di un Miroku impazzito che gli mimava con le labbra qualcosa. “ G..G.. Gu.. Gusto?! “ Gusto? Il gusto del succo! Baka di un mezzo-demone! Si prende a schiaffi mentalmente, da solo. Aveva fatto la figura dell’idiota per davvero. Arrossisce di botto, voltandosi verso di lei, e notandola fissarlo con aria severa. Argh. Qualcosa non andava, non l’aveva mai vista cosi corrucciata, nei suoi numerosi spionaggi, che non erano passati cosi inosservati.

‹ Mi scusi, il gu.. › inizia la frase, almeno proverebbe, gelandosi non appena lei apre nuovamente le labbra, pronunciando delle parole che, se non fosse stato per la natura ibrida e in parte demoniaca l’avrebbero steso, diamine.

‹ Lo fa spesso? › Mormora, verso di lui, la giovane dagl’occhi scuri, occhi severi, ora. Nota l’espressione allibita del mezzo-demone, che sembra non capacitarsi di cosa stesse dicendo, di cosa stava parlando, ora?

‹ Le persone, le spia spesso?! › domanda, ancora severa verso di lui. L’aveva visto. L’aveva visto al conservatorio o che la seguiva, non importa, ma l’aveva visto, e aveva fatto la figura del deficiente, e del maniaco, peggio di Miroku. Sbarra gl’occhi ambrati, osservandola e poggiando con fare lento taccuino e penna sul tavolo scuotendo il capo con fare meccanico, paurosamente arrossato in viso.

‹ N.. No, io.. p..p..posso.. › mormora, anzi balbetta, continuando a scuotere il capo con aria contrariata e sbalordita. Cosa diceva ora? L’avrebbe preso per un maniaco, e lui non lo era. Era solo.. attirato da lei, non fisicamente, o almeno non solo, ma aveva qualcosa che l’incantava. La fissa, recuperare il suo taccuino e la penna iniziando a scrivervi sopra.

‹ Io.. posso spiegare.. non..non sono un maniaco. › Mormora, vedendola sorridere divertita e quasi muore, quando la vede sorridere cosi. Voleva che sorridesse più spesso cosi, ma a lui, a lui e non al fatto che tentava di giustificare i suoi atteggiamenti da maniaco. ‹ Potremmo prendere una cioccolata calda.. io, ti potrei spiegare. › Mormora, ancora, osservandola riposare la penna e il taccuino sul tavolo e alzarsi, recuperando la giacca e infilandosela, scuotendo ancora il capo, divertita mentre lo fissava sott’occhi, divertita, allontanandosi senza dire una parola verso la porta d’uscita, oltre la quale, poco dopo sparisce, immergendosi nella folla pomeridiana di Tokyo. Ah, aveva sbagliato tutto.

Recupera il taccuino con un ringhio, puntandovi gl’occhi su per qualche attimo, e restando sbalordito, piacevolmente, sbalordito. Sorride, in maniera mesta, sghemba, quasi divertito, stringendo il taccuino tra le dita artigliate e prendendo il foglio sul qualche c’erano scritte in calligrafia delicata delle indicazioni.


” Ci vediamo domani,
alle 18.00 in punto all’Hamarikyu Gardens,
sopra il ponte.

Per questa volta, non dovrai spiarmi. “



Un piccolo sorriso si disegna sulle labbra, mentre in maniera veloce torna al bancone, verso un Miroku morto di curiosità, che continuava a ripetere un’unica domanda “ è lei?! “, liquidandolo con una pacca sulle spalle e un semplice “ ci sentiamo “ e scattando fuori dal bar, dopo aver recuperato le sue cose, ed essersi assicurato di aver ancora con se il bigliettino scritto dalla giovane, che aveva ancora il suo profumo, come se una scia fosse rimasta impressa sulla carta.


Il giorno dopo arrivò, sembrò arrivare in tremendo ritardo, ma arrivò, e lui aveva lasciato lo studio di Sango troppo presto, per i gusti dell’amica, e si era fiondato a casa, a pochi isolati di distanza da Hamarikyu Gardens. Si era lavato, e nel vestirsi aveva avuto la tremenda indecisione di cosa mettersi. Non che fosse un tipo che aveva di questi problemi, certo, ma la ragazza non le aveva detto cosa comportava quel.. appuntamento? Insomma. Andavano a cena? Oppure passeggiavano come due persone normali al parco. Magari non si sarebbe nemmeno presentata. Sente il sangue raggelarsi a quel pensiero, ma nel momento esatto in cui gli occhi ambrati si posano sul display dell’orologio sistemato sul comodino accanto al letto scatta. Le 17.30. Si era messo un paio di jeans, una maglia di un grigio scuro con una semplice scritta in piccolo sul petto, che ripeteva la marca. Si era lavato i denti, e profumato si era diretto alla porta per il solito tran-tran di sciarpe e company. Non che lui sentisse o patisse il freddo, ma di certo non gli passava inosservato. Aveva messo un cappotto lungo  fino alla coscia, bello caldo, una sciarpa blu della stessa tinta del basco che aveva sul capo. Ne aveva una quantità esagerata, di quei cappelli. Erano sobri, e coprivano bene le orecchie canine che col freddo, erano il suo punto debole, diventavano ghiacciate. Si sistema, fissandosi nello specchio e sospirando. Un mezzo-demone costretto a incappottarsi per bene nell’inverno nevoso di Tokyo, questa era bella. Un ultimo sguardo all’orologio. Le 17.45. E poi via, verso il parco. Era.. emozionato, in un certo senso, la ragazza che aveva letteralmente pedinato nei giorni precedenti, gli aveva concesso un appuntamento, se lo si poteva definire tale. E lui, bèh, non doveva fare la figura dell’idiota davanti a lei. Alle 17.58 era lì, sul ponte ad aspettarla, non si era nemmeno reso conto, che aveva letteralmente corso per arrivare al luogo di incontro, e ora non gli restava che aspettare, un attesa accompagnata da una miriade di pensieri su quella serata, cosa avrebbero fatto? Lei cosa avrebbe fatto? La schiena era appoggiata alla ringhiera che abbracciava il ponte, dove un filo di neve si era appoggiato su. Gli occhi fissi sul laghetto ghiacciato, non avevano notato una figura avvicinarsi di corsa, almeno finché, un respiro accelerato e un forte profumo di miele lo colpisce. Non si era reso conto che lei era lì, e che tra i pensieri, si erano fatte le 18.10.

‹ Scusa il ritardo! › Aveva pronunciato la brunetta, piegata a meta e con le braccia poggiate sulle ginocchia riprendendo fiato. ‹ Sono stata trattenuta alle prove. › Mormora, con tono dolce e di scuse. Era una voce diversa da quella del bar, lì le era sembrata quasi adirata, e forse lo era, ma ora aveva un tono di voce dolce e vellutato, come l’aveva immaginato, da sempre. La scruta, con le labbra appena schiuse cercando le parole giuste da dire, che gli muoiono in gola quando rialza il viso. Era bellissima. La guarda tornare in posizione eretta. Stretta in un cappottino rosso e una sciarpe grigia chiara a fasciare il collo, stringendogli parte del mento, sul capo un cappellino di lana a coprire il capo, e sulla schiena ricadeva una cascata di capelli neri, dal riflesso della notte. Il viso, era rivolto verso di lui , “ finalmente “ pensò , arrossato per il freddo e con le labbra pronunciate che tremavano appena . Gli occhi scuri e profondi erano rivolti verso di lui, in attesa. Ah! Doveva parlarle.

‹ N.. No, non ti scusare, non aspettavo di molto. › Mormora, incerto sull’inizio, prendendo sicurezza poco dopo e continuando a scrutarla con attenzione , mentre si sistemava la tracolla su una spalla e univa le manine sottili e pallide tra loro, sfregandole in cerca di calore. Un silenzio assordate cala tra di loro, mentre lui la fissava, e lei, da parte sua fissava il terreno che lì divideva, con fare interessato.

‹ Non so come ti chiami. › Aveva pronunciato poi, con un sorriso sulle labbra rosse e gli occhi nocciola puntati su di lui, con le gote ancora più arrossate e le spalle che si alzavano, stringendosi attorno al collo.

‹ Inuyasha. › Aveva sussurrato il mezzo-demone, fissandola tra lo stupito e lo sconcertato. Era vero, non si era mai presentato, e nemmeno lei, d’altro canto. Si gratta appena la base della nuca, osservandola e sospirando.
‹ Nemmeno io il tuo, se è per questo. › Aveva mormorato con aria fintamente offesa . La vede scoppiare in una risata divertita , annuendo una volta che questa fosse scemata scostandosi un ciuffo di capelli di capelli ribelle che le era finito con fare prepotente sul viso .

‹ Scusami, Inuyasha. Io sono Kagome. › Aveva ammesso, con un leggero inchino verso di lui e sorridendogli ancora. Ma non si era soffermato su questo, principalmente sul suo nome, marchiandoselo nella mente con perizia, in secondo luogo, sul modo in cui lei, aveva pronunciato il suo nome. Era stata.. divina. L’aveva detto con gli accenti giusti, perfetti, e con un tono tenero che per poco gli aveva fatto mancare la terra da sotto i piedi, quando l’aveva sentito.

La serata, era continuata cosi. Si era fermati a bere una cioccolata calda, sotto consiglio di Kagome, e avevano discusso del più e del meno, parlato della loro vita. Di Kagome – ormai adorava chiamarla per nome – aveva scoperto che aveva vissuto fino a pochi anni prima in periferia, nel tempio della sua famiglia, e si era trasferita poi in centro, quando l’andare avanti e dietro da casa al conservatorio si era fatto pesante, e viveva in un appartamentino poco lontano dalla scuola. Era piccola, insomma aveva ventuno anni, lui ventitre, non era molto più grande, ma la vedeva cosi piccola e gracile che ventuno anni gli sembravano troppi. Suo padre era morto quando era piccola, e aveva vissuto da sempre con la madre, il nonno e Sota, il suo fratellino. Di lui gli aveva mostrato una fotografia che teneva vicino al porta chiavi, che ritraeva loro due in una foto da piccoli. Aveva scoperto che adorava il piano, e che gli era venuta questa bizzarra idea di suonarlo da piccola perché voleva che le sue composizioni andassero nei carillon, aveva riso a quelle parole, e si era beccato una tirata di capelli da parte della ragazza, che anche se divertita si fingeva offesa. Lui le aveva raccontato dei suoi genitori, demone e umana, che l’avevano messo al mondo e curato e allevato come se non fosse un ibrido, immettendolo nella società e dandogli sicurezza col passare degli anni, nonostante lui con la sua natura a metà , non ci andasse d’accordo. Aveva un fratello, Sesshomaru , con il quale aveva un rapporto di amore e odio, come tutti fratelli, nonostante in apparenza fossero freddi tra di loro. Finita la cioccolata, si erano spostati, e camminando camminando si erano ritrovati sotto casa di Kagome, che lo fissava con aria imbarazzata. Il tempo, a parer suo era trascorso troppo, troppo in fretta, ma sbirciando l’orologio, erano le 23. Avevano passato tanto tempo insieme, e ne voleva ancora. E non si capacitava del perché. La conosceva da cosi poco. Che fosse attrazione fisica? No, il suo odore lo inebriava. E per quanto fosse ridicolo, quelle ore passate assieme avevano scostato di lato l’aspetto esteriore, indirizzandolo verso la persona che aveva davanti. Poteva dire certamente che le piaceva, e la desiderava, sotto l’aspetto fisico, ma da quello.. sentimentale? Voleva conoscerla, avevano tanto da dirsi. A iniziare dal cibo. Chissà cosa le piaceva e cosa no. Le sorride piano, vedendola recuperare il portachiavi e annuendo leggermente, puntando le mani nelle tasche della giacca e schiudendo le labbra per parlare, per salutarla, per magari, prendere appuntamento un altro giorno.

Ma non riesce a iniziare nemmeno la frase, che lei, gli si era buttata al collo, cingendoglielo con le braccia e annullando con fare deciso la distanza che separava i loro visi, lasciando aderire i corpi. Resta imbambolato per qualche secondo, come a volersi rendere conto delle cose. Lo stava baciando. La ragazza che pedinava, lo stava baciando. Per somme righe, era cosi. In realtà non era la ragazza, ma era Kagome, e non l’aveva pedinata questa era, avevano avuto un appuntamento. Si risveglia, dall’intontimento momentaneo, cingendole i fianchi con una leggera irruenza e ricambiando il bacio, approfondendolo quasi immediatamente, avvertendola non fare resistenza a quell’intrusione improvvisa. Continua a baciarla, per qualche attimo, fin quando non la sente allentare la presa sul suo collo, scostando appena il viso, e il suo respiro irregolare. Dovevano riprendere fiato, e lui non ci aveva nemmeno pensato, preso com’era dal baciarla. Sospira ancora, osservandola paonazza in viso che apriva il portoncino spareno oltre questo, che viene semplicemente socchiuso. Gli occhi scivolano fino al suolo, dove qualcosa cattura la sua attenzione. Si cala, lentamente, recuperando dal suolo quel qualcosa. Era lana. Lo annusa, con un vago pensiero nella mente che prende forma. Era il cappellino che Kagome portava sul capo. Gli occhi saettano sul portone socchiuso e deglutisce piano, restando fermo, immobile a fissare due oggetti inanimati che gli stavano mandando una miriadi di segnali. Poteva lasciare una povera fanciulla senza il suo cappello, in pieno inverno? Come un razzo entra nella palazzina, saettando verso le scale e seguendo la scia dell’odore della ragazza che aveva lasciato lungo le scale e impressa sulle mura. In poco arriva al terzo piano, fermandosi davanti a una porta e sospirando piano, guardandosi attorno con aria indecisa ed alzando più volte la mano per bussare, riabbassandola poco dopo.

Ripete questo gesto un paio di volte, fin quando, armatosi di coraggio, non bussa alla porta. Dannazione, lui non era il tipo da fare, queste cose. Non era un maniaco. Attende, fin quando la porta non si apre, e quasi sviene. Non poteva crederci. Lui era un maniaco, ma lei non scherzava. Gli aveva aperto la porta, e tutta la lana che poco prima la copriva era sparita, indossava solo una t-shirt bianca, molto aderente, forse un po’ troppo, che fasciava i fianchi e da sotto un paio di pantaloncini di stoffa leggeri, e corti, troppo corti. La casa, oltre a emanare un forte calore, lo chiamava col suo profumo dolce e delicato. La guarda, mentre lo fissa con aria curiosa. Perché lo guardava cosi? Lei non aveva chiuso il portone, e aveva lasciato il suo cappellino giù. Deglutisce piano, alzando il suddetto oggetto e mostrandoglielo.

‹ Kagome, ti era cad- › Non termina la frase, che due braccia esili e bianche l’afferrano per la sciarpa e lo tirano dentro casa, al caldo, mentre le labbra tornando a sfiorare le sue con più irruenza e passione . Si sfila velocemente la giacca, abbandonandola al suolo, prendendole i fianchi e andando a scostarla fin contro la porta, che richiude dietro di lei. La bacia ancora con enfasi, e passione, mentre lei si preoccupa di togliergli sciarpa e cappello, lasciando che le mani giochino con le orecchie canine, qualche attimo, prima di scivolare sul collo, spingendolo sopra una poltroncina, dalla quale cadono pochi secondi dopo per la posizione precaria in cui si erano sistemati. Avverte il suo respiro irregolare e strozzato, diffondersi nella stanza circostante, mentre lui si preoccupava di spogliarla di tutti quegli indumenti che a detta sua erano di troppo in quel momento, e l’ostacolavano solamente. Continua a baciarla e sfiorarla con enfasi, ma al tempo stesso con dolcezza, non voleva di certo spaventarla. Si alza velocemente, tirandola con se, senza abbandonare mai le sue labbra, trasportandola fino a una camera, da dove il profumo della ragazza sembrava essere più forte. Si addentra in questa, sentendola staccarsi per un attimo e fissarlo negl’occhi silente, con solo i respiri irregolari a fare da sottofondo.

Per un attimo, teme che si voglia tirare indietro, che lo prenda a calci e lo butti via, ma le sue mani, tornando a sfiorargli il capo, le orecchie con le quali giocano, e torna a baciarlo, con più dolcezza, mentre lui, con altrettanta accortezza l’adagia piano sul letto, lasciandola stendere sul materasso che ondeggiava sotto di loro, sistemandosi sopra di lei e osservandola con lentezza. Era bellissima. La maglietta era ancora in salone, assieme ai suoi pantaloncini, era rimasta vestita solo con gli slip, mentre lui ignorava dove fossero finite le sue cose, e la sua maglia. Torna a baciarla, sfiorandole piano il corpo con le labbra e con le mani che delicate, senza usare gli artigli, le sfiorano il corpo come a voler imprimere ogni angolo di quel corpo nella sua mente. In poco tempo, si liberano l’un l’altro dei vestiti di troppo, e lui, quasi si sente morire, al pensiero che quella serata, non aveva seguito nessuno dei filoni che si era immaginato, perché mai, avrebbe sperato in una conclusione tanto.. perfetta. La guarda, sfiorandole il viso con la mano artigliata e baciandole una guancia con dolcezza, sentendola abbracciarlo di rimando e sospirare pesantemente. Poteva dirlo, nonostante fremesse dalla voglia di farla sua, desiderava, risvegliarsi accanto a quel corpo, a quella ragazza, il giorno dopo.

La notte passò cosi, tra l’amarsi e l’abbracciarsi, qualche parola, qualche sorriso o qualche battuta sul cappello abbandonato giu al portone. Fin quando, la stanchezza non sopraggiunse, e li colse, abbracciati tra le lenzuola che li coprivano in maniera confusa e un intreccio di gambe e braccia che voleva solo, simboleggiare che qualcosa, se pur in maniera prematura, stava nascendo.

- fine flashback -

Un rumore assordante lo risveglia dal piacevole torpore nel quale si trovava, d’istinto stringe le braccia, come se ancora avesse quel corpo tra le braccia, ritrovandosi a stringere l’aria, il nulla. Gli occhi ambrati, vacui si aprono di scatto, fissando la stanza circostante. Non c’erano le mura color pesca, non c’erano mensole piene di libri, non c’era il profumo di miele talmente forte da stordirlo. Era una stanza sterile, plasmata come altre mille, dove l’odore di Kagome, aveva soggiornato per qualche giorno. Respira piano, avvertendo ancora il bussare incessante alla porta. Ancora una volta era stato tirato fuori dai suoi ricordi da una porta. Che fosse destino? Ma come avrebbe spiegato la sua presenza lì, senza la proprietaria della chiave. Ispira profondamente, alzandosi abbastanza agitato e fiondandosi alla porta, guardando attraverso lo spioncino e assicurandosi che no, non fosse Kagome, ma solo un inserviente. Veloce, torna nella camera, massaggiandosi una guancia e recuperando le sue cose, rivestendosi come la sera precedente. Si sposta nuovamente verso la porta, osservando oltre lo spioncino e assicurandosi che la donna delle pulizie fosse sparita, prima di avviarsi con passo felpato verso le scale che portavano all’uscita.



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ok! anche questo è andato!
come vi sembra ? :3

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


C’ero soltanto.
C’ero. Intorno
mi cadeva la neve.


(tada oreba oru tote yuki no furi ni krei)
- Kobayashi Issa -


 

Era uscito finalmente dall’hotel, uno strano e fastidioso cerchio alla testa l’aveva colpito facendogli venire un tremendo emicrania. Sarà il fatto che non aveva dormito nel suo letto, o forse perché aveva dormito in un odore che per troppo tempo gli era mancato, mandandolo in assuefazione, o forse perché, quei ricordi da tanto, non tornavano più a scuotergli l’anima. Kagome. Se lei era, lì, forse ora stava attraversando una strada, forse anche lei stava cercando qualcosa o qualcuno, e sperò, che fosse lui, quel qualcuno.

Scese in strada, e si sistemo meglio il cappello sul capo, allungando una mano artigliata verso un taxi vuoto che costeggiava il marciapiede, avvicinandosi a questo ed entrandovi, sistemando una tracolla vicino a se. Fissa l’autista, che lo guarda di rimando, in attesa. Sospira, mormorando solamente un indirizzo, prima di puntare lo sguardo verso il vetro, oltre il finestrino. Stringe piano gli occhi, mentre una mano artigliata stringe il sedile, bucandolo in più punti.


- inizio flashback -

..
‹ NO! Kagome.. Non cosi! › La voce di Inuyasha tuonò forte verso la ragazza che terrorizzata chiuse gli occhi, sentendo un ringhio soffuso provenire dal ragazzo accanto a se.

Riaprì gli occhi nocciola, mentre le mani restavano alzate ai lati del viso, che aveva un espressione terrorizzata. Fissò tutto intorno a se, notando come la gente continuasse a camminare e sfrecciare in auto in tranquillità, senza degnarli di uno sguardo, ne loro, ne l’auto in cui erano.

‹ Scusa Inuyasha.. › biascica la ragazza con aria pentita, ritirando i piedi dai pedali e portando le mani a sistemarsi sul volante, mentre gli occhi scivolano sulla mano artigliata che ancora stringeva il freno a mano, e sulla faccia di Inuyasha, che aveva un espressione pensierosa.

Si volta verso di lei, guardandola piccola e stretta in quel vestitino di lana marroncino, e i capelli che ricadevano sulle spalle, cerchiando il viso dolce. Il capo ruota verso il finestrino, sbuffando.

‹ Baka! Dovevi specificare che non avevi
mai guidato, nel vero senso della parola! › sbotta, verso di lei, tornando a fissarla, ora che aveva un un espressione più adirata che dispiaciuta. Gonfia le guanciotte arrossate e lo guarda male, molto male.

‹ Bhè! Ma te l’ho detto! Stupido! › sbotta la ragazza, dandogli un leggero pugno su una spalla e voltandosi dal suo lato del finestrino, prima di tornare a guardarlo, dopo circa cinque minuti, notandolo intento a fissarla, più pensoso, quasi perso. ‹ Che cosa c'è?! SI! Non so guidare!! E allora!? › Sbotta, alzando le mani ed andandole a sbattere con forza contro il volante, lasciando che il
claxon con il suo rumore assordante riempi la vettura. Sobbalza, fiondandosi con le braccia attorno alle spalle di un Inuyasha divertito, che aveva preso a ridere a crepapelle, stringendole le spalle con le braccia e baciandole piano una guancia.
‹ Ti farò da istruttore ok? › Mormora, sfiorandole piano con le dita artigliate la schiena coperta dal vestitino, e notandola alzare lo sguardo verso di lui, donandogli un sorriso dolce, delicato, e felice. Di quei sorrisi ci avrebbe fatto volentieri indigestione.


- fine flashback -

La voce del tassista lo richiama, annunciandogli che erano arrivati. Lo guarda, di sbieco, annuendo e lasciando la mancia vicino ai soldi della tratta, prima di alzarsi e recuperare le borse, camminando a passo lento verso l'entrata del bar. Non era cambiata, non era mai cambiata. Ne quando era andato via, ne quando era tornato, cosi come il proprietario del bar. Ispira, lasciando che i campanellini annuncino il suo arrivo. Era lunedì mattina, e il bar, di lunedì mattina, era chiuso . Miroku, viveva al piano di sopra del bar, siccome non poteva permettersi molto altro, avendo gia le tasse e le spese del bar da pagare. Avverte i passi lungo la scala a chiocciola che portava al piano superiore, dove l'amico viveva.

‹ Spiacenti siamo chiusi. › Una voce appena alta annuncia scendendo verso il piano inferiore, non notandolo ancora. Doveva aggiustargli la serratura, non poteva continuare a fingere di chiudere il bar, e metterci davanti sedie e tavolini per non far entrare nessuno. Sospira, aspettando che l'amico lo veda e lo riconosco. Mentre le mani andavano a massaggiarsi piano una guancia, con aria abbastanza stanca.

‹ Scusi ho detto ch- › gli occhi blu del ragazzo incontrano quelli ambrati del mezzo-demone, lasciando che un sorriso si delinei sulle labbra dell'umano. ‹ Inuyasha! › Sbotta infine, avvicinandosi e dandogli una leggera pacca sulla schiena, abbracciandolo in una stretta fraterna. Miroku era una sorta di fratello, per lui. Da quando Sesshomaru si era trasferito e sposato con quella Rin, lo vedeva praticamente poco. Ricambia lentamente la stretta, osservandolo poco dopo e rabbrividendo.

‹ Inu-chan, non dovevi essere a New York a quest'ora? › Domanda, ancora con quel dannato nomignolo l'amico, fissandolo e facendogli segno di seguirlo lungo le scale. Lo segue, senza fiatare, fin quando non sono al piano di sopra. Un monolocale troppo piccolo anche per viverci. Ispira , spostandosi verso un tavolo addossato a una parete, sistemandovi sopra la borsa e la tracolla, lanciando uno sguardo a Miroku, che lo fissava preoccupato, versando in due tazze del caffè.

‹ L'ho trovata. › Mormora solamente, dopo essersi liberato anche della giacca e restando con una semplice camicia bianca, allentando anche il nodo della cravatta. Recupera la tazza di caffè, dalle mani di un Miroku curioso e confuso al tempo stesso, che riposava la caffettiera e lo guardava, in attesa di un continuo.

‹ Kagome, l'ho ritrovata, Miroku. › Mormora, tenendo ancora la tazza tra le mani e osservandolo spalancare gli occhi e guardarlo sconcertato. Miroku sapeva cosa gli aveva provocato la perdita della ragazza, era caduto in una sorta di depressione acuta, tant'è che quasi si era rifiutato di andare a lavorare all'estero, dove aveva trovato un lavoro che desiderava, da una vita. Ma senza di
lei, gli era sembrato inutile.

‹ Cosa? Kagome, quella Kagome? › mormora, il moro, sedendosi a una sedia vicino al tavolo e guardando l'amico intento a sorseggiare il caffè, che reggeva nella mano artigliata, andando avanti e indietro nella sua cucina. Se non sapeva che fosse impossibile, si sarebbe preoccupato di trovarci un fosso. Ispira piano, massaggiandosi il viso e scuotendo il capo.

‹ Inuyasha, se Kagome è scappata un motivo deve esserci. › sussurra, se pur a malincuore, verso l'amico, vedendolo voltarsi verso di lui di scatto, con gli occhi pieni di collera. Nonostante tutto fosse palese, o almeno lo
sembrasse, Inuyasha non riusciva a darsi pace, continuava con quella tiritera che Kagome, la sua Kagome, come ancora al definiva, non poteva farglielo, e stava per sposarsi, quell'uomo là, sposarsi con una , che non era questa Kagome.

‹ Lei non è scappata Miroku! › Ruggisce, ancora furioso verso di lui, sbattendo la tazza sul tavolo e riprendendo a camminare nella cucina, con aria assorta, pensieroso. Era sicuro, che stesse pensando come ritrovarla, quella ragazza. Conosceva Kagome, ma non quanto Inuyasha, ma a parer suo, lei era.. scappata, e non c'era altra soluzione alla sua sparizione improvvisa.

‹ E con Yumi? Che farai con lei Inuyasha? › Mormora, verso l'amico che si ferma di scatto, voltandosi a fissarlo ora più attento. Lo guarda camminare a grandi falcate prima di sedersi davanti a lui. Posa a sua volta la tazza sul tavolo, fissando il mezzo-demone, che lo guardava ancora. Era impazzito, nuovamente.

‹ Yumi sa che io sono a New York. E non dovrai dirle nulla se si presenta qua. Io ho spento il cellulare, e non ho l'auto.. › Mormora, osservandolo e ghignando appena, allungando una mano verso di lui, facendogli segno con le dita di lasciargli qualcosa. ‹ Per questo mi presterai la tua auto, Miroku. Devo trovare Kagome, e dopo, penserò cosa fare con Yumi. › mormora, annuendo piano guardando l'amico, che lo fissava di rimando, sconcertato, tenendosi stretta la mano sui jeans, all'altezza della tasca, scuotendo il capo. Un ringhio da parte del mezzo-demone e le chiavi gli finiscono in mano, velocemente.

‹ Inuyasha, però torna presto. Ho un appuntamento. › Sbotta, vedendolo rimettersi il cappotto e fiondarsi verso le scale, senza dar segno di aver sentito. Lo guarda sparire lungo le scale, ma i rumori si bloccano per un attimo, prima di lasciar ricomparire la figura del mezzo-demone che lo fissava stralunato. ‹ Esci? › domanda solo, sorridendo divertito verso l'amico, prima di poggiarsi alla ringhiera e sospirando. ‹ Farò presto. › Mormora solo, scivolando lungo le scale fino all'esterno del bar, lasciando tintinnare i campanelli dietro di se e spostandosi verso l'auto dell'amico.

Prima di tutto, doveva avere una scaletta di ciò che doveva fare in mente. Per ritrovare Kagome. In primis, sarebbe tornato in albergo, e lasciato un bigliettino. Forse lei sarebbe tornata lì . Da bravo stupido non si era messo a guardare in giro se avesse lasciato qualcosa, ma forse sarebbe tornata da lì. Poi sarebbe andato a cercarla . Respira profondamente, lasciando sfrecciare la macchina lungo le strade di Tokyo, fino ad arrivare dinnanzi all'hotel dove la sera prima l'aveva rivista. Era tornata, e nel giro di ventiquattro ore l'aveva mandato di nuovo nel pallone come la prima volta. Abbandona la vettura, avviandosi verso il ristorante, da dove era passata, e sistemandosi al bancone, recuperando un foglio dall'agenda che aveva nel cappotto, e una penna. Picchietta qualche attimo sul mento, prima di iniziare a scrivere, silente.


“ Kagome,
ti sto cercando.
Chiamami a questo numero 555
-359-1316
Inuyasha “


Era il numero di Miroku, ma sapeva che lei avrebbe chiamato lui, e Miroku avrebbe risposto, d'altra parte, quello era il numero di casa sua e del bar, come poteva non rispondere? Tossisce appena, richiamando l'attenzione del barman che gli si avvicina. Lo scruta qualche attimo prima di ispirare profondamente.

‹ Mi perdoni. Ieri sera, ho trovato la chiave di una stanza dell'hotel, di una ragazza. E' passata di qui. › Mormora, indicandole lo spazio tra i tavoli e osservandolo attentamente. ‹ E' bruna , occhi scuri, mingherlina.. alta su per giù cosi..› mormora, facendo più o meno un segno con la mano a mezz'aria vedendo l'uomo al bancone annuire piano e sorridergli.

‹ Ricordo! È quasi fuggita, facendo cadere un cameriere. Vuole darmi la chiave? › Mormora, verso il ragazzo che ragela quasi, scuotendo il capo e passandogli il biglietto. ‹ Potrebbe dargli questo? › sussurra, verso di lui, vedendolo annuire e tornare alle sue faccende. Da parte sua, resta fermo qualche attimo, prima di tornare verso l'esterno, arrivando alla macchina di Miroku, ed entrandovi, restando fermo nell'auto parcheggiata, rimuginando sul da farsi, ora.

Aveva lasciato un biglietto a Kagome, nel caso tornasse in albergo,ora che altro indizio aveva? Di Kagome nulla, se non il suo profumo. Accese la vettura, lasciandola riscaldarla prima di partire nuovamente, questa volta era diretto nei pressi del conservatorio, verso l'appartamento vecchio di Kagome. Quando era sparita, nonostante ci fosse tornato più volte, non l'aveva mai trovata, poi era andato via, richiamato dal lavoro. Respira piano stringendo il volante tra le mani e auto-imponendosi di restare calmo e non dare di matto in quell'auto. Kagome. Perchè l'aveva lasciato solo? Stringe maggiormente il volante, ringraziando di essere arrivato a destinazione nel giro di venti minuti, altrimenti sarebbe impazzito sul serio.

Parcheggia la vettura, e scende, camminando a passo lento verso l'entrata del palazzo. Sale lentamente le scale, fino al terzo piano. I piedi strusciano sul pavimento, e lui continua a salire le scale, piano, lentamente, e avverte il suo profumo colpirlo nuovamente, ma subito l'allontana. Era uno stupido scherzo della sua mente. Kagome non era lì, non l'aveva trovata anni prima, perchè doveva esserci ora? Però, magari, i proprietari attuali dell'appartamento, sapevano dove fosse, lei. Avanza, lungo il pianerottolo, risalendo una rampa di scale e sedendosi su questa, fissando la porta dell'appartamento per qualche attimo. Aveva bisogno di ritrovare la forza. Non ne aveva avuta di tornare ancora lì, e di cercarla ancora, e ancora. Ma ora era lì, e doveva ritrovarla. Resta fermo, il gomito si poggia sul ginocchio, puntando gli occhi ambrati sulla porta, e sospirando.



- inizio flashback -

Era fermo la fuori da qualche ora, ormai, e non lei, dall'interno, non era intenzionata a cedere. Avevano litigato. Il loro primo litigio. Per quanto fosse brutto, in fondo era quasi contento, c'erano tante prime volte per tante cose, e quella ne era una. Infondo c'era da dire che litigando venivano fuori due cose : la prima era che stavano crescendo, a livello di “ coppia “, la seconda che ci tenessero l'un l'altro, altrimenti non avrebbero avuto motivo di litigare, no?

‹ Avanti Kagome! Apri questa dannata porta! › Sbotta il mezzo-demone ancora fermo, andando a bussare contro la porta di legno, con la mano chiusa a pugno. Aveva sbagliato, aveva sbagliato alla grande, ma per lui era difficile avere una relazione, non ne aveva avute molte, e quelle poche che aveva avuto erano cose fisiche, nulla di sentimentale. Sbuffa, poggiando la fronte contro la porta. Aveva detto che lei era una
semplice umana, davanti ad alcuni suoi amici. Erano usciti in gruppo, e lui non voleva.. sembrare debole, aveva sbagliato alla grande. E l'aveva detto, e lei si era offesa tanto, che si era alzata e se n'era andata di botto, senza voler sentire niente. E ora erano lì, da circa un ora, a parla attraverso la porta, o almeno, lui parlava.

‹ Kagome, per favore. Fammi spiegare. Fammi entrare sto gelando. › Sussurra, ora, appoggiandosi contro la porta ancora e sospirando profondamente. Aveva corso sotto la pioggia e ora era fradicio, nonostante fosse nella palazzina da un ora. Le orecchie gli dolevano, ma nonostante questo, quando la serratura della porta scatta , in maniera incerta si muovono veloci sul capo, e un sorriso si disegna sul suo viso. Aspetta che lei apra un centimetro la porta, per fare una leggera forza ed entravi senza permesso, richiudendola velocemente e osservandola. Il sorriso scema in un attimo. Quello che aveva davanti non gli piaceva. Kagome, era ancora vestita come era andata via, non aveva tolto nemmeno la giacca bagnata o il cappello, semplicemente era vestita di tutto punto, ma il viso lo stava straziando, quel viso tanto bello, era rigato dalle lacrime che avevano inumidito tutto il visino, e fatto colare il trucco, che ora riempiva le guance, le labbra tremavano appena, trattenendo i singhiozzi, e gli occhi nocciola erano rossi, aveva pianto troppo, che stesse piangendo da quando era rientrata? Sperava vivamente di no.

‹ Kagome.. › mormora, avvicinandosi a lei, ignorando i tentativi della giovane di respingerlo, prendendogli il viso tra le mani e guardandola con aria affranta e dolorante. Gli piangeva il cuore a vederla cosi. Lei era sempre sorridente, e ora stava piangendo, e piangeva per uno zuccone come
lui.


‹ Kagome, non piangere. › mormora, passandogli i pollici sulle gote con fare dolce e attento, provando ad asciugare le lacrime, che imperterrite riprendevano a scorrere lungo le gote irrefrenabili, sembrava un fiume in piena, e alle sue parole, sembro straripare ancora di più, lasciando che pure i singhiozzi abbandonassero la gola. Scuote piano il capo, sentendo il tepore della casa l'avvolgerlo, e lui a sua volta la stringesse in un abbraccio, prendendola per i fianchi e alzandola senza alcuno sforzo, prendendo a camminare lentamente fino al bagno. Ormai conosceva quella casa, ci era andato cosi tante volte a prenderla o a trovarla, da quando lei gli aveva dato quell'appuntamento. La sente continuare a piangere, contro la sua spalla, e si maledice mentalmente di essere cosi stupido.

La lascia sedere sul bordo della vasca, prendendogli il cappellino e togliendoglielo, abbandonandolo sul fondo di questa, lasciando fare la stessa cosa alla sciarpa e al cappottino che ancora indossava. Lei non parlava, da parte sua, si limitava a piangere silente, mentre lo fissava prendersi cura di se come di una bambina. Si lascia stringere in un asciugamano asciutta, sentendo le sue mani sfiorargli con una leggera pressione le spalle.

‹ Kagome. › la richiama, vedendola tenere ancora gli occhi bassi, che continuavano a cacciare lacrime. ‹ Kagome, guardami.. › Si cala alla sua altezza, potando una mano sul suo mento, alzandolo verso di lui e incontrando i suoi occhi profondi. Addolorati. Stava soffrendo, per colpa sua. Avrebbe voluto sprofondare in quel momento, e non farsi vedere mai più, ma doveva riparare al danno, ora, aveva sbagliato lui e doveva parlare. Doveva spiegarsi, l'aveva fatto entrare e doveva parlare, aveva la sua opportunità. Si avvicina a lei, baciandole piano le labbra con dolcezza, un bacio casto, dal quale subito si ritrae, sentendola tornare a singhiozzare più forte. Non capiva perchè ora stesse piangendo di nuovo, con tanto dolore.

‹ Kagome..! › La richiama ora quasi spaventato, non capiva, le faceva male qualcosa, perchè piangeva cosi ? L'aveva solo baciata. Non le aveva fatto niente. La vede, coprirsi il viso con le mani, lasciando ricadere l'asciugamano nella vasca alle sue spalle e singhiozzare leggermente. Le spalle affusolate si muovevano, sobbalzando a ogni singhiozzo. L'abbraccia di slancio, lasciandola affondare col viso nel suo petto e ispirando a pieno polmoni il suo profumo.

‹ Kagome.. ascoltami bene. › Mormora, stringendola maggiormente a se, ancora scossa dai singhiozzi. ‹ Non volevo dire quelle cose , prima. Non volevo dirle, te lo giuro. › Mormora con tono sincero, stringendola con fare più protettivo, sentendola, pian piano, calmarsi e adagiarsi in maniera rilassata al suo corpo, cullata dal respiro e dalle sue parole. ‹ Non potrei mai affermare che tu sei una ..
semplice umana. › e ripete quelle parole con una sorta di disgusto nel tono, e rinforzando la stretta. ‹ L'ho fatto, ma non lo penso, non potrei mai! › sbotta a tono più alto ora, fissando un punto indefinito dietro di lei. ‹ Solo che avevo paura di mostrarmi.. debole. Ad essermi legato cosi.. tanto a te, a una persona, sei la prima che.. insomma, faccio conoscere ad alcuni amici. Sappi che è una cosa importante per me, per questo quando mi hanno domandato chi tu fossi ho risposto cosi. Non sapevo cosa dover dire e come dirlo. › mormora, rinforzando la stretta sulle sue spalle , e sospirando. ‹ Kagome, tu per me sei importante. Dannatamente importante. › Sussurra verso il suo orecchio ispirando profondamente il suo profumo. ‹ Tu sei molto di più, di una semplice umana. Denominarti cosi sarebbe riduttivo. Sei una rompiscatole. › sussurra con tono dolce quelle parole , allontanandosi da lei e osservandola in viso, e si rincuora, quando la vede sorridergli di rimando, asciugandosi gli occhi con i palmi delle mani, e ispirando profondamente. Era bellissima, con gli occhi lucidi, e le labbra arrossate, come le gote, e quel sorriso rassicurato delineato sulle labbra . Per la prima volta, dopo due mesi che si frequentavano, Inuyasha pensò di essersi innamorato.

‹ Baka. › sussurra solamente lei, cogliendolo di sorpresa e cingendogli le spalle con le braccia e avvicinandosi con uno slancio del corpo, facendolo ricadere al suolo, sul deretano, e baciandolo dolcemente sulle labbra. Inuyasha, da parte sua, sorvolando la sorpresa iniziale la stringe dolcemente contro di se, allargando le gambe e accogliendola contro il suo petto, stringendola con forza, poggiando la schiena contro i muro e baciandogli il capo.

‹ Sei fradicia. › Mormora, allontanandola appena e notandola fissarsi i capelli con aria indispettita. ‹ Colpa tua! Baka! › gli sbuffa contro, dandogli un pugno leggero sul petto, che a malapena avverte, facendolo ridere. Le prende il polso gracile, avvicinandosela e abbracciandola nuovamente, poggiando il mento sul suo capo e ispirando profondamente.

‹ Anche tu sei fradicio, Inuyasha. › L'aveva sentita sussurrare, prima di alzarsi e recuperare l'asciugamano che lui aveva usato per tenerla calda, e buttandogliela sul capo, coprendogli la visuale per qualche minuto. La mano artigliata afferra l'asciugamano, tirandola giù e cercandola con lo sguardo, fino a trovarla vicino alla spina della corrente che sistemava l'asciugacapelli; ma il problema non era questo, ma che si fosse spogliata nel giro di pochi minuti, restando solo in intimo, mostrandogli il corpo che ormai conosceva alla perfezione. Si sofferma sul seno stretto nel reggiseno, dove poco sopra la stoffa di questo, soggiornava una macchiolina rossa. Deglutisce piano, fissandola e ringhiando.

 

Dannata! Copriti! › Sbuffa, alzandosi e cingendola dentro l'asciugamano come meglio gli riusciva. Era tremendamente arrossato in viso, nonostante non ne avesse alcun motivo,e le mani gli tremavano appena a sfiorarle il corpo accaldato. La sente scoppiare a ridere, divertita, voltandosi verso di lui e baciandolo dolcemente.

‹ Cosa c'è Inuyasha! › mormora, tra le risate, prima di sistemarsi l'asciugamano da sola e fargli segno di sedersi sulla vasca, avvicinandosi con l'asciugacapelli tra le mani. ‹ Fatti asciugare, prima che ti prendi un malanno. › Aveva sussurrato dolcemente, prima di lasciar partire il getto di aria calda che gli colpiva in pieno il viso, spostandosi verso il capo e le orecchiette, che si muovevano veloci sulla sua testa, piacevolmente colpite da quell'aria. Allunga le mani sui suoi fianchi, abbracciandola e poggiando il capo sul suo ventre coperto dall'asciugamano, affondandovi il viso e ispirando a pieni polmoni il suo profumo, lasciandosi asciugare i capelli da lei. Aveva temuto di perderla, ma ora era lì, e la stava abbracciando, e l'avrebbe fatto per sempre.


- fine flashback -

Si risveglia da quei ricordi, con una ventata gelida proveniente da chissà dove, forse dal suo cuore. Si guarda attorno, e come succede ormai da quelle ultime ore, si sente spaesato e deluso. Lei non c'era, e non era lì. Si alza lentamente, scendendo le scale con incertezza, andando fin davanti alla porta che era stata artefice di mille ricordi, e mille dolori. Oltre quella porta non l'aveva più vista, o sentita, non ne aveva avuto più notizie. Tutti i ricordi che aveva, erano morti lì. Si avvicina a quella porta. Terzo piano. Alzando la mancina e bussando il campanello una volta, restando fermo, vigile quasi, a guardare il legno. Dei passi dall'interno lo fanno sobbalzare. C'era qualcuno. E se.. fosse lei? Gli occhi si spalancano , osservando il pomello esterno. I passi si fanno sempre più vicini fino a fermarsi. E ora? Kagome. Era lei? Gli stava aprendo la porta? Si sarebbero ritrovati? Possibile che fosse davvero.. lì? In tutto questo tempo.. non ci aveva pensato a tornare lì, mai.

Fermo, lo resta, osservando la porta e la serratura scattare, finalmente, mentre questa si schiudeva, aprendosi.
Era pronto a tutto.



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allora , questo è il quarto capitolo.
sto aggiornando molto spesso perchè tra poco parto!
tornerò a fine agosto :P
come vi sembra??

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


La luna nuova.
Lei pure la guarda
da un'altra porta.


(la luna nueva. Ella tambien la mira desde otra puerda)
-
Jorge Luis Borges -


La porta, quella dannata porta, venne aperta e un figurino gracile e sottile ne esce, puntando i suoi occhi scuri su di lui. Sente il terreno sparirgli sotto i piedi, per la tremenda somiglianza che al primo impatto, quella ragazza, aveva con
lei che lui stava cercando. La guarda, sconvolto, quasi esterrefatto. Che fosse possibile una cosa simile? Fissa lo sguardo duro sulla figura della giovane che lo guarda con aria curiosa e perplessa . Giustamente, si chiedeva cosa ci facesse un mezzo-demone fuori casa sua, e perchè la guardava in maniera tanto, sconvolta.

‹ Desiderava qualcosa? › mormora questa, scuotendolo dai suoi pensiero. Resta ancora silente, scrutandola. Avevano tratti similari, lei e Kagome, ma questa ragazza era più magra, più pallida, i capelli neri erano lisci e ricadevano sulle spalle e lungo la schiena, dritti, senza ondeggiare e armonizzare col fisico. Gli occhi, più sottili erano scuri, quasi vacui rispetto a quelli di Kagome. Il viso scarno, spento. No, non era affatto lei.

‹ Si.. › mormora lui, riacquistando una sorta di lucidità e osservandola attentamente, vestita con con ambiti abbastanza pesanti che stringevano il corpo. ‹ Qualche anno fa, qui abitava una ragazza. Kagome. Kagome Higurashi. › mormora verso la giovane, e per un attimo ha come la sensazione che quella ragazza, fosse sobbalzata a quel nome. La guarda scuotere poi il capo, con aria ancora perplessa e arricciando le labbra. ‹ Saprebbe dirmi se si è trasferita? Sono un suo vecchio conoscente. › continua, speranzoso di una risposta positiva da parte della ragazza. La vede indietreggiare di qualche passo, afferrando il pomello della porta e sospirando.

‹ Mi dispiace, non ho idea di dove si sia trasferita la vecchia proprietaria. › Sussurra, solamente, rientrando in casa, con aria
quasi spaventata e richiudendo la porta velocemente, con un tonfo sordo. Resta a fissare il legno della porta che le aveva sbattuto in faccia quella lì. Fhè! Che antipatica! Avvicina piano il volto verso la porta, annusando appena e sobbalzando, lui, questa volta. Non l'aveva notato. Ma seppur lieve, l'odore di Kagome gli sembrava provenire dal legno. Che fosse possibile? Che quella ragazza gli stesse mentendo ? Un rumore verso le scale lo richiama, e quasi come se fosse un fuggitivo si sposta verso la rampa di scale , fingendo di salirla con lentezza, dando le spalle al ragazzo che era arrivato sul pianerottolo del terzo piano. Chi era, ora quello lì? Sale ancora le scale, con fare indifferente, sparendo sul pianerottolo superiore, e raddrizzando le orecchie per sentire i suoni provenienti dal piano inferiore. Resta fermo, accovacciato sul pavimento e trattenendo il fiato.

Al piano di sotto, i passi veloci e scattanti si erano fermati davanti una porta, bussandovi con fare deciso. Un ringhio accompagna il gesto, fin quando la porta non viene aperta. Altri passi sul pianerottolo e un sussulto, accentuato da un passo all'indietro.

‹ Koga! › la voce di poco prima era tornata a fare capolino, e nonostante fosse tentato di sbirciare, al piano inferiore, si impose di restare fermo, mezzo disteso al suolo ad origliare. Quanto si vergognava di fare una cosa del genere. Ma quella dannata donna gli nascondeva qualcosa.

Un ringhio lo richiama, e una tonfo lo fa quasi sobbalzare. Immagina che l'uomo abbia colpito la porta, visto il rumore di legno che si era sentito, e un mezzo gemito di paura proveniente da parte della ragazza.

‹ Kikyo.
Dov'è? › Sente questo certo Koga, ringhiare quasi le parole, seguite da un altro colpo alla porta, e un nuovo gemito, più strillo di paura da parte della ragazza, che poco prima aveva aperto anche a lui. Kikyo, pareva chiamarsi.

‹ Mi ha esplicitamente chiesto di non dirtelo Koga. Non ti vuole più. › La sente, pronunciare con tono deciso verso l'uomo che resta in silenzio per qualche attimo. Immagina il volto di questo ragazzo sbalordito, perplesso. Questa ragazza doveva averlo mollato, e lui, non l'accettava. Resta fermo, nonostante quello non fosse un argomento che l'interessasse. Di certo non poteva scendere e farsi vedere da quella
Kikyo. Avrebbe capito che aveva origliato tutto, e ci avrebbe fatto la figura del maniaco. Stringe gli occhi ambrati, restando silente, trattenendo quasi il respiro.

Sente la porta richiudersi un tonfo sordo, ma il ragazzo non accennava ad allontanarsi. Sente due passi, e poi forti rumori provenire dal piano inferiore. Stava prendendo a pugni quella porta. Quello era matto. Aggrotta la fronte, piano, rialzandosi in ginocchio lentamente. Si stava trascinando per troppo quella storia. Non gli andava più di assistere, in maniera solo uditiva a quella telenovela, ma è costretto a bloccarsi, o meglio, il suo corpo si irrigidisce di colpo, nonostante gli impulsi della mente.

‹ La troverò ugualmente, Kikyio! Troverò
Kagome! › L'aveva chiamata. L'aveva chiamata, quel tizio stava cercando la sua Kagome. Non poteva essere un'altra Kagome. Troppe coincidenze. Quel profumo, quel ragazzo che la cercava nel suo appartamento. Non ci credeva. Allora anche lei.. si era rifatta una vita, o meglio ci aveva provato, quanto lui, vistosi che sembrava aver lasciato quel ragazzo. Si porta le mani al capo, ignorando quasi i passi al piano inferiore farsi sempre più lontani e offuscati. Doveva trovarla. Prima di quel tizio. Scende le scale di corsa, fiondandosi alla porta ma bloccandosi quando lo sguardo scivola, scasualmente sull'orologio sul polso. Erano le 19.30 . Dannazione, il tempo era trascorso troppo velocemente, lui non aveva nemmeno mangiato niente, e la macchina serviva a Miroku. Fissò la porta un minuto, prima di voltarsi e dirigersi verso le scale, scendendole a passo veloce, diretto alla vettura che aveva parcheggiato qualche ora prima. Quel Koga, era un demone. L'odore sul pianerottolo era forte, deciso. Puzzava di lupo. Uno schifoso e puzzolente demone lupo.

Dall'interno di un appartamento che
non era il suo, dall'interno di quell'appartamento una figura si era accovacciata al suolo, stringendosi le gambe con le braccia. Inuyasha, era tornato a prendere Kagome. Per un attimo aveva temuto che sentisse il suo profumo, per un attimo aveva temuto che la riconoscesse, ma non era successo nulla di questo, era rimasto sbalordito, sbalordito e deluso dal trovarsi lei davanti ai suoi occhi e non la donna dei suoi sogni. Gli occhi scuri si riempiono di lacrime, lacrime amare, mentre il senso di colpa sul cuore si appesantiva sempre di più. Si fermò un momento a pensare a come fosse arrivata, fino a quel punto.

- inizio flashback -


Era seduta al tavolo in cucina, una videocamera tra le mani, che riprendeva il viso di una ragazza, dannatamente simile a lei. Si assomigliavano, lei e Kagome, spesso le scambiavano per gemelle, o parenti, ma erano semplicemente amiche. Kagome frequentava il conservatorio, proprio come lei. Solo che a differenza sua, non suonava il violino, bensì il pianoforte. Si erano conosciute ad un concerto, ed erano divenute amiche.

‹ Dai Kikyo! Fatti riprendere! › aveva mormorato la ragazza che era sotto il suo occhio vigile, provando ad acchiapparle di mano la videocamera, afferrando semplicemente l'aria, poiché si era prontamente spostata, scuotendo il capo con forza, senza abbandonare con lo sguardo lo schermo della videocamera, che stava provando. L'aveva appena acquistata, e voleva assicurarsi che funzionasse.

Dopo aver ripreso per qualche attimo la giovane, si erano sistemate entrambe, davanti la televisione, e avevano sistemato l'apparecchio vicino a questo. Lasciate partire le immagini, si erano accorte che l'audio, non funzionava, era una ripresa muta. Si vedeva solamente il viso sornione di Kagome che mimava delle parole senza suono.

‹ Kikyo! Non funziona! › aveva sussurrato l'altra ragazza, inginocchiata davanti l'apparecchio e provando smuovere un po' i cavetti con le dita affusolate. Si sente sfilare l'apparecchio di mano, e guarda la proprietaria dell'oggetto scuotere il capo e scrollare le spalle annoiata. ‹ La porterò a riparare. › Aveva borbottato , prima di riposare l'apparecchio in una custodia e tornare da lei. Parlarono, come sempre del più e del meno, sfociando nel nuovo amore, innominato di Kikyo. Aveva tentato di tirarglielo fuori con le pinze, ma con scarsi risultati, sembrava abbastanza decisa a non dirgli niente.

I giorni passarono per
entrambe. Kagome da parte sua, aveva iniziato a frequentare Inuyasha, che spesso la veniva a prendere fuori al conservatorio. Nessuna delle amiche di Kagome, sembrava essere interessata al ragazzo, maggiormente perchè stava uscendo con lei, ma una Kikyo no. Non l'aveva mai confessato a Kagome, ma era lui, il ragazzo di cui si era innamorata segretamente, nonostante non ne conoscesse il nome o il carattere, le aveva semplicemente promesso, che gli avrebbe parlato. I suoi buoni propositi si erano sbriciolati assieme al suo cuore, quando entrata nel negozio dove aveva portato a riparare la videocamera, e dove non per caso, lavorava lui, Inuyasha.

Quel pomeriggio più che mai era decisa a parlargli, con la scusa della sua videocamera che era lì in riparazione, e sperava, vivamente che le cose andassero bene. Si era sistemata per bene, e Kagome l'aveva accompagnata a metà strada, prima di salutarla per dirigersi alle prove del conservatorio. Lei invece, aveva preso la rotta del negozio, poco distante da lì, la lontananza era quella di un incrocio. Entrando aveva salutato cortesemente e aveva sfilato il berretto, spostandosi verso la cassa dove una ragazza con gli occhi scuri la fissava sorridente. Le si era avvicinata, puntando gli occhi dietro di lei, e guardando il mezzo-demone dai lunghi capelli argentati saettare in loro direzione , infilandosi giacca e sciarpa per ripararsi dalla neve invernale. Stava per dire qualcosa, schiudere le labbra anche solo per salutarlo, ma era già, uscito, correndo in strada, le parole della commessa la fecero sobbalzare.

‹ Non ci credo, la sta seguendo. › Aveva sussurrato, e lei, aveva ruotato gli occhi scuri verso l'esterno, seguendo lo sguardo della commessa e sentendosi svenire. Stava seguendo
Kagome. Eppure si assomigliavano tanto, perchè non aveva guardato lei? Perchè ora seguiva Kagome, cosa aveva di diverso da lei? Ritiro la videocamera nonostante non fosse aggiustata, e si dileguo, non mettendo mai più piede, in quel negozio. Con Kagome non parlò più del presunto ragazzo che le piaceva, giustificandosi con un “ non era poi cosi attraente “, venendo invece sommersa dai racconti di lei e di Inuyasha. La sentiva parlare, ignara di quanto dolore le desse cosi facendo, e la vedeva felice, e dentro di lei la invidiava. Stava con l'uomo che avrebbe dovuto scegliere lei. Stava con lu. Il suo uomo.

- fine flashback -

Si rialzò lentamente afferrando la cornetta telefonica e portandola all'orecchio, aspettando che una vocina sottile dall'altro capo risponda.

‹ Kagome? › Aveva richiamato, sentendo una vocina d'assenso provenire dall'altro capo del telefono, stringe maggiormente la cornetta, ispirando profondamente e guardando l'appartamento dell'amica.

‹ Sono a casa tua. Ho controllato la posta, non c'è nulla, ed è venuto Koga. › Sussurra, verso di lei, massaggiandosi piano il viso, ascoltandola sbuffare e parlare in maniera veloce dall'altro capo del telefono, inveendo contro il ragazzo, e sul fatto che sarebbe dovuta tornare a casa e non le andava di vederlo.

‹ Kagome, puoi restare da me, ancora un po'. Cosi Koga non ti troverà. › sussurrò a tono alto.
“ E nemmeno Inuyasha “, questo lo pensò solamente, mentre dall'altro capo del telefono sentiva l'amica entusiasta per la proposta e ringraziarla ampiamente. Uno sguardo veloce verso l'esterno di una finestra, sospirando poi.

‹ Resterò qui a dormire se non ti dispiace, sono ancora stanca e non riesco a mettermi alla guida, ti dispiace? › Aveva domandato verso l'amica, sentendola negare e ringraziarla ancora, prima di mettere giù. Respira profondamente, rimettendo giù anche lei, e sentendo i brividi gelidi passarle lungo la schiena, mentre le lacrime tornava a sgorgare dagli occhi. Che cosa aveva fatto? E perchè stava continuando, ora?


Un'altra ragazza, in un altro appartamento, si stava preparando lentamente per uscire da una casa che non era sua. Era una sistemazione momentanea, e ringraziava con tutto il cuore Kikyo di averla ospitata a casa sua, per tenerla lontana da Koga. Quel ragazzo, ci aveva provato a starci insieme, ma con scarsi risultati, non ci era riuscita e non ci sarebbe mai riuscita. Si era vestita, indossando un paio di jeans scuri, stivaletti a mezza gamba per ripararla dal freddo invernale e un maglioncino di cotone pesante. Da sopra, un cappotto rosso pesante, e un capellino sul capo. Doveva fare una cosa. Aveva recuperato le chiavi dell'appartamento e la borsa ed era uscita, dirigendosi in taxi, al ristorante da dove la sera prima era scappata. Quelle strade, quella stagione, tutto gli ricordava lui l'inverno a Tokyo da due anni ormai, era divenuto invivibile per lei. Troppi ricordi, che facevano troppo male. Sospira pesantemente, entrandovi e camminando a passo lento verso il bancone. C'erano poche persone che si erano riunite per un aperitivo prima di cena, o coppiette che cenavano felici. Richiama il barman, tossicchiando appena e puntando i gomiti coperti ancora dal cappotto sul bancone.


‹ Mi scusi. Sono la proprietaria della stanza 51bis. Ieri ho dimenticato qui la chiave, e mi chiedevo se era stata ritrovata. Dovrei pagare e restituire il tutto. › Mormora con tono delicato verso l'uomo che la guardava con fare attento avvicinandosi e liberandosi di un canovaccio. Lo guarda scuotendo il capo con fare dispiaciuto, prima che gli occhi gli si illuminino richiamandola con fare neutro.

‹ E' la signorina Kagome? › domanda, l'uomo con gli occhi leggermente sporgenti e curiosi, recuperando da sotto il bancone una busta da lettere ripiegata e aspettando un senso d'assenso che non tarda ad arrivare. Le passa la busta, scrollando le spalle . ‹ E' passato ieri un ragazzo chiedendomi di lasciargliela nel caso fosse tornata. Non ho le chiavi, ma questa. › Annui piano, ringraziandolo nuovamente e abbandonando il ristorante con la busta tra le mani. Sperava che non fosse Koga, anche se aveva il vago sospetto che lo fosse. Chi altri sapeva che era lì? Lui aveva rintracciato il luogo dove era andata dal numero telefonico che era uscito. Rientra nel taxi, aprendo la busta e sentendo il cuore mancare un battito. Non era Koga. Non era lui. Legge le lettere messe vicino in una calligrafia elegante ma che sembrava nervosa in quella lettera.

Inuyasha la stava cercando.

Rilegge le lettere più volte, soffermandosi sul numero e ispirando profondamente. Non vedeva l'ora di arrivare all'appartamento per chiamarlo. Era tornato. E la stava cercando.
Ma.. perchè? Stringe leggermente gli occhi, puntandoli infine sulla palazzina nella quale abitava Kikyo, che si avvicinava sempre d più.


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ecco qua anche il quinto capitolo °-°
come vi sembra?

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Il pruno bianco
ritorna secco.
Notte di luna.


(shiraume no kareki ni modoru tsukiyo kana)
-Yosa Buson -

 

Un ragazzo dalla capigliatura bianca e due orecchie sul capo, parcheggiava trafelato davanti l'entrata di un bar chiuso. Velocemente, abbandona la vettura, sistemandosi alla meglio il cappellino sul capo, e fiondandosi all'interno del locale, sicuro di trovare la porta aperta. In maniera altrettanto veloce si era portato al piano superiore, quello al quale si aveva accesso tramite una scala a chiocciola. Tra le mani le chiavi della vettura. Dannazione. Aveva fatto tardi, e c'era il traffico, la neve, e aveva fatto ancora più tardi.

‹ Miroku! Scusami! E' che c'er- › Le parole gli muoiono in gola, quando seduti ad un tavolo, c'erano i suoi due migliori amici che lo fissavano curiosi e divertiti, tenendosi le mani al disopra del tavolo, mentre due tazze fumanti facevano da contorno a quella scena romantica. Deglutisce profondamente, fermandosi ad appena due passi dalle scale, prima di vedere la ragazza, con i lunghi capelli scuri legati in una coda alzarsi e allargare appena le braccia.

‹ Inuyasha! › Aveva sbottato lei, avvicinandosi di qualche passo, come ad incitarlo di avvicinarsi. Indossava un vestito rosa che fasciava il corpo, con le maniche lunghe e che fasciava le gambe, ma non troppo. Infondo si stava bene, lì. Le sorride , ampiamente e di rimando, facendo due passi verso di lei, per poi continuare, aumentando la cadenza ed arrivarle vicino, prendendola tra le braccia e facendola girare divertito, baciandole una guancia.

‹ Sango! › Le aveva sussurrato, prima di sentirla ridere a crepapelle, rimettendola al suolo e guardandola divertito e felice. Era la sua miglior amica da un eternità, assieme a Miroku, e le era mancata, per i mesi che era stato via per il lavoro, e per quelli che l'aveva evitata. Gli riportava troppi ricordi, ma lei sembrava aver capito, non aveva insistito mai.

‹ Ti trovo divinamente! › Mormora, facendo per abbracciarla nuovamente, ma notando un braccio maschile, cingere il petto della donna allontanandola da lui, con tanto di palpata annessa al seno. In pochi minuti la figura che si ritrova cambia, notando un Miroku abbastanza infastidito guardarlo da circa cinquanta centimetri di distanza.

‹ AH! Miroku, non farla tanto lunga! › Aveva risposto, provando ad allontanarsi, ma venendo bloccato dalla presa sui capelli dell'umano che l'aveva calato fino alla sua altezza. ‹ Inu-chan, ti avevo chiesto di tornare presto! › Gli urla, contro un orecchio, stonandolo, e ritirandosi, dietro Sango, notando l'aura nera che si era formata attorno alla sua figura. Era sempre cosi, tentava di fare il duro, ma finiva sempre per prenderle.

‹ Ringrazia che ci sia Sango a coprirti, o saresti stato già morto! › Gli aveva inveito contro, lanciandogli le chiavi, prima di tornare sulla figura, nuovamente in primo piano della ragazza, guardandola con aria curiosa, perchè quei due erano soli, a casa di Miroku, a lume di candela, e in una situazione abbastanza.. romantica?

‹ Ma voi due, cosa ci facevate qui, da soli? › Domanda con aria curiosa, alzando l'indice accusatorio, puntandolo contro i suoi due amici, che di tutta risposta, arrossiscono di botto, guardando in lati opposti boccheggiando. Sorride sghembo e soddisfatto. Bingo! L'aveva sempre saputo che quei due nascondevano qualcosa, e che infondo si piacevano a vicenda, nonostante le mani morte di Miroku e le sberle troppo forti di Sango. Ghigna maggiormente, incrociando le braccia e continuandoli a fissare con aria quasi superiore. Era divertito, era raro vederli imbarazzati, avevano caratteri incredibilmente forti, ed erano schietti, non si facevano problemi di questo genere, ma ora se ne stavano facendo, e entrambi.

‹ Allora Inuyasha? Hai trovato la Divina Kagome? › Kagome aveva ricevuto quell'appellativo dall'amico per due semplici ragioni : la prima era la sua straordinaria bellezza, era divina, per l'appunto; il secondo motivo, e gli doleva ammetterlo, erano i suoi “ poteri divini “ di bacchettarlo, senza che lui reagisse, anzi, comportandosi proprio da bravo cucciolo ammaestrato. Argh, se c'era una cosa che non avrebbe mai perdonato a quella
femmina, era che l'aveva ridotto a quello stato! Cosa ancora più sconvolgente, gli piaceva.

‹ Kagome?! Inuyasha hai ritrovato Kagome?? › La voce sorpresa di Sango lo richiama, e si volta verso di lei con aria ancora assorta, un'espressione ebete sul viso, prima di calibrare bene domanda e risposta e deglutire. L'aveva trovata? No. Stringe gli occhi ambrati , alzando le mani chiuse a pugno, e lasciando che uno sbuffo gli esca dal naso.

‹ No. › Aveva quasi ringhiato, sfilandosi la giacca dal taglio sartoriale, buttandola su l'unico divano in casa di Miroku, da cui saltavano le molle a momenti, allentando la cravatta e iniziando a fare un resoconto della giornata. L'hotel, quella Kikyo che non sembrava dir niente nemmeno a loro. Aveva una catasta di pensieri per la testa, ed era stanco, esausto, accolse volentieri e senza provare a ribattere la proposta dell'amico di dormire da lui, accentando di buon grado di fare una doccia e di cambiarsi con dei vestiti dell'amico, meno appariscenti e più comuni. Andare a cercare una fanciulla vestito cosi, potrebbe spaventare, sembra che sei pronto per andare a un matrimonio! Aveva blaterato l'amico prima di sparire al piano inferiore lasciando tintinnare le chiavi dell'auto. Aveva detto che riportava Sango a casa, vistosi che si era fatto tardi, e che il cinema era saltato e avevano preferito starsene a casa. Aveva salutato l'amica calorosamente, scusandosi ancora per averle rovinato la serata. Erano i suoi migliori amici da una vita, l'avevano sostenuto quando era quasi crollato nel momento in cui Kagome era svanita. Stringe il capo a quel pensiero, che ancora lo tormentava. Lei non era scappata.

Inizia a spogliarsi lentamente, abbandonando la camicia e i pantaloni sul divano, avviandosi verso il bagno, eliminando definitivamente tutti gli indumenti ed entrando a passo lento nel box della doccia, aprendo il getto d'acqua bollente e lasciando che gli scivoli sul corpo, bagnandolo e iniziando a strofinare piano con le mani le spalle, il petto, i capelli e il viso, lasciando che il torpore dell'acqua calda lo avvolga.


- inizio flashback -


Si era letteralmente fiondato fuori il conservatorio, mancavano venti minuti, prima dell'inizio delle lezioni, ma era meglio cosi, avrebbe beccato Kagome prima che entrasse. Doveva dirglielo, non poteva, non poteva aspettare. Il tempi passò velocemente, e i venti minuti, diventarono dieci, e una figura sottile, avvolta in un cappottino rosso e una sciarpa scura, con una cascata di capelli scuri si avvicinava all'entrata al Conservatorio, velocemente, richiamo la sua attenzione, chiamandola per nome e facendole segno con la mano. Sorrise verso di lei, vedendola correre verso di lui e afferrargli i lembi della giacca, tirandolo appena verso il basso, alla sua altezza, per salutarlo con un bacio fugace a fior di labbra.

‹ Inuyasha! › Aveva mormorato, fissandolo sorridente. E come lo pronunciava lei, il suo nome, non lo pronunciava nessuno, era dolce, dalla cadenza gentile sulle lettere, strascicando appena la “ A “ alla fine, come per volerlo allungare di una lettera. Le sorrise, prendendola per mano e trascinandola verso un bar non troppo lontano, all'angolo della strata, circa cinque minuti a piedi fino al conservatorio. Le aveva stretto le spalle con un braccio e si erano avviati all'interno.

Seduti, uno di fronte all'altro, con una tazza di cioccolato fumante a riscaldare le dita raffreddate, lei stretta in vestitini troppo succinti per i suoi gusti, anzi no, gli piacevano, li adorava come le scendevano addosso, sull'incavo del seno, come fasciavano i fianchi, ma era sicuro, dannazione se lo era, che tutti la guardassero estasiati tanto quanto lui. La vide , la guardo in quegli occhi castani che sembravano l'inghiottisse in un turbinio di emozioni che erano tutte nuove. Boccheggio, qualche attimo, prima di abbandonare la tazza sul tavolo e allungare le mani sul tavolo, prendendo le sue e stringendole tra le sue , sospirando.

‹ Ho fatto quel colloquio Kagome.. › mormorò, osservandola interessarsi e annuire energicamente, con un sorriso. Dannata. Era lei che l'aveva convinto a fare un colloquio. Quel colloquio, diceva, che se era il suo sogno doveva provarci, infondo la laurea in legge non gli mancava, solo il tirocinio, ma a conti fatti aveva tutte le carte in regola, e infatti..

‹ E' andato bene. Benissimo. Mi hanno offerto un posto di lavoro, un anno e mezzo. › sussurra verso di lei, vedendola continuare a sorridere , prima di slanciarsi con un urletto verso di lui, baciandolo dolcemente, iniziando a complimentarsi con lui a fior di labbra. Sorrise, ricambiando le attenzioni per qualche attimo, prima di allontanarla appena da se , osservandola. Lo guardava curiosa, ovviamente, non si allontanava mai da lei, cosi.

‹ Il problema Kagome è che... è a Pechino. › sussurra, e la vede sbiancare, e gli occhioni allargarsi, terrorizzati. Le prese di slancio le mani, stringendole nelle sue e fissandola, sorridente, baciandole le nocche e continuando a fissarla negli occhi, ancora quell'espressione spaventata. Non capiva?

‹ Vieni con me, Kagome. Stiamo insieme da poco, lo so, ma vieni con me. Staremo bene, te lo prometto. › Mormoro, fissandola, il terrore lasciava spazio allo sgomento, alla curiosità e allo stupore. La vede schiudere le labbra, mentre per un attimo gli occhi si animavano, ma non uscì nessuna parola, le labbra rimasero schiuse, quando il rintocco delle campane richiamo l'attenzione della giovane ragazza, che richiuse subito le labbra, puntando gli sul mezzo-demone che aveva davanti. Le 15. Lei aveva lezioni , ed era in tremendo ritardo, e sapeva che non doveva mai essere in ritardo. La vede alzarsi velocemente, e avvicinarsi a lui, baciandolo lievemente sulle labbra, sorridendo leggermente.

‹ Ne parliamo stasera, Inuyasha. Fidati di me. › Aveva sussurrato, recuperando le sue cose e correndo all'esterno, verso il conservatorio. Rimase lì, a fissare al sua figura sparire oltre la porta, sfiorandosi il viso con aria assorta. Non gli aveva risposto. Doveva fidarsi di lei, dannazione, doveva farlo. Kagome non l'avrebbe ferito. Si massaggia piano le gambe, riprendendo a sorseggiare la sua cioccolata. C'era una cosa, che non aveva notato quando lei era fuggita via, l'enorme sorriso, radioso che si era impossessato del suo volto, angelico.


- fine flashback -

Un suono esterno al suo ricordo lo richiamo, alla realtà, il telefono. Chi era a quell'ora della sera? Chiuse velocemente il getto dell'acqua, recuperando un asciugamano cingendolo attorno alla vita, camminando fuori dal bagno, verso il telefono che squillava all'impazzata, lasciando dietro di se una scia di impronte d'acqua e goccioline che cadevano dai lunghi capelli bagnati. C'era quasi, scavalcò il divano in malo modo, tenendosi ancora con una mano l'asciugamano attorno alla vita. La mano artigliata si allunga fino al telefono, alzandolo e portandolo contro l'orecchio sensibile, o provandoci, almeno.

‹ Argh- › "Dannato filo!" Pensò cercando di liberarlo dalla stretta attorno a un cimelio, secondo Miroku, di famiglia. Alzo finalmente la cornetta contro l'orecchio. ‹ Pronto? Pronto?... Pronto? › Aveva urlato quasi contro l'apparecchio, ma la comunicazione era stata gia terminata, lasciando spazio e suono solo al fastidioso “ tuu-tuu “ che indicava la linea libera. Ringhiò sommessamente contro l'apparecchio, tornando a sistemarlo al suo posto, e lasciando una nuova scia d'acqua dietro di se, tornò in bagno, fiondandosi nella doccia per finire di lavarsi, questa volta fu attento, aprendo il getto d'acqua gelida, per evitarsi altre spiacevoli ricadute in ricordi non troppo distanti. Sente gli schizzi ghiacciati colpirgli la pelle, e rabbrividisce avvertendo il gelo pervaderlo, cosi distante dall'acqua calda di poco prima che l'aveva avvolto, lasciandolo crogiolarsi nei ricordi; l'acqua gelida lo risvegliava. Erano ricordi. Kagome non era con lui, non c'era più. Diede un pugno in una mattonella che costituiva il muro del box doccia, guardandola crepare sotto il colpo possente e la sua mano arrossarsi appena sulle nocche. Usci da quella doccia più rabbuiato di prima, infilandosi i vestiti di Miroku in maniera lenta e lasciandosi ricadere sul divano, sopra la giacca e la camicia, abbandonandosi in un sonno privo di beatitudine, e colmo di inquietudine.


In un appartamento, nascosta nella penombra una ragazza stringeva ancora al petto un cordless con aria imbronciata. Perchè le aveva dato quel numero? Perchè non aveva risposto nessuno?! Aveva chiamato! Lui voleva che la chiamasse! Stringe gli occhi scuri, sentendo le lacrime iniziare a pizzicare per uscire, e non le trattenne, si lascia scivolare al suolo, avvertendo il contatto deciso del pavimento contro le ginocchia. Dolore. I ricordi le annebbiano la mente, le lacrime gli occhi, e il dolore, il cuore.


“ Inuyasha, dove sei? “



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ok! questo è l'ultimo capito che posto prima delle vacanze
come vi sembra?!
a presto! :*

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Montagne remote
specchiate negli occhi
delle libellule.

( tooyama ga medama utsuru tombo kana)

- Kobayashi Issa -



Disteso su un divano, con un raggio di sole prepotente che sfondava le tende chiare di un monolocale in centro, un giovane, grugniva e malediceva la luce che lo stava risvegliando. Si era voltato da un lato, con un profondo sbadiglio, affondando il viso non più beato, ma contratto in una smorfia stizzita in un cuscino, sul quale iniziava a scivolare un rivolo di bava, dalla del giovane.

‹ Non mi sbavare sul cuscino,
Inu-chan.› Una voce fastidiosa, ovattata, che lentamente si avvicinava e lasciava rimbombare nelle sue orecchie sensibili le parole, si faceva nitida e chiara, assieme a un forte odore di caffè, che sembrava risvegliare tutti i suoi sensi, dandogli una sorta di botta di inizio. Nuovo giorno, nuova ricerca, nuove scoperte, o almeno ci sperava. In ogni caso, non ci volle molte affinché lui capisse chi era il fastidioso chiacchierone mattutino, non solo per il fatto che lui si fosse auto-invitato a casa dell'amico, ma perché l'unico che si ostinava a chiamarlo con quello stupido e antipatico nomignolo, era lui, nonostante le botte ricevute in più occasioni. Miroku. Se non fosse stato che era stato tanto gentile da accoglierlo da un giorno all'altro in casa sua, aiutarlo a camuffare la sua permanenza lì, avrebbe decisamente compiuto un omicidio di prima mattinata. Già non sopportava essere svegliato, figuriamoci poi con quel ridicolo nomignolo.

A quel pensiero, un'immagine gli sfondò la mente, cancellando tutte le altre ipotesi e supposizioni che avanzavano. Yumi. Lei aveva il dannato vizio di svegliarlo la mattina, non come Kagome, che era paziente e attendeva che fosse lui a svegliarsi da solo, e appena apriva gli occhi, affogava in due carboni ardenti che lo scrutavano attenti, ma sorridenti, poi se ne veniva con un vassoio pieno di cibo, ogni giorno, e diceva che si era ritrovata per caso, a svegliarsi prima. Aveva sempre apprezzato e adorato quel lato di Kagome, si sentiva.. coccolato, sotto un certo punto di vista, e anche rispettato, a dirla tutta, nonostante continuasse a dirle di non affaticarsi troppo a preparare tutto quel ben di dio, e che poteva benissimo accontentarsi, lui. Sorrise mentalmente, a quel pensiero, a quel ricordo, fin quando, l'ondeggiare del divano non lo riporto alla realtà. Non era nel letto bianco immacolato di Kagome, non c'erano mobili di legno bianco e blu scuro, non c'erano lucine sparse in giro per la stanza. Si sentiva l'odore di caffè e di fritto proveniente dal piano inferiore, e il caos delle auto dall'esterno , attraverso le finestre socchiuse. Aprì, finalmente, gli occhi ambrati, puntandoli sul muro che aveva dinnanzi a se, ignorando momentaneamente Miroku, e riassestando la sua persona, rendendosi passabile e accettabile come uomo.


‹ Passami quel caffè. › Aveva borbottato solamente, tirandosi a sedere e notando come una copertina era scivolata sulle gambe. Aveva dormito coperto, nonostante non si ricordasse di averlo fatto. Puntò per qualche secondo gli occhi sulla figura di Miroku, che si allungava verso il tavolo a recuperare una tazzona di caffè. L'aveva coperto lui, con tutte le probabilità, si comportava come un fratello maggiore, nonostante non ne avesse l'obbligo, e si preoccupava della sua salute, non solo fisica, ma soprattutto mentale. Guardò attentamente la tazza volteggiare, a detta sua, nel vuoto, fino a lui, passando dalle mani umane dell'amico, alle sue artigliate, che avevano afferrato la tazza di terra cotta come se fosse vuota e l'aveva portata verso di se con un movimento veloce, ma calibrato, evitando di macchiare se stesso e il divano gia abbastanza mal ridotto del compare, che lo guardava con aria attenta e di chi stava studiando attentamente come sbrodolare un discorso abbastanza serio, e pesante, stava cercando di capire se fosse abbastanza sveglio o meno per iniziare un monologo finalizzato ad aprirgli in parte gli occhi, o almeno provarci.

‹ Inuyasha.. › Aveva mormorato l'altro, quello col codino e occhi di un blu profondo, immenso. Ecco. Ora iniziava, e lui, lo sapeva bene, avrebbe dovuto aspettarsi qualcosa di molto lungo, per gli attuali sviluppi della situazione. Il ritorno di una sua distruzione non era roba da poco, e Miroku, era sicuro, che volesse preservare la sua salute mentale affinché non si facesse del male da solo. Deglutisce, mandando giu una grossa sorsata di caffè, lasciando capire al suo interlocutore che si, era attento e pronto a sentirlo. Sarebbe partito in quarta, con tutte le probabilità, e non si sarebbe meravigliato più di tanto, ad indovinare l'argomento : Kagome vs Yumi. Era un argomento che Miroku sembrava sfiorare con molta più frequenza e attenzione, da quando aveva accennato al fatto che le aveva chiesto – e ancora se ne stupiva – di sposarlo. Non era quello che voleva, quando guardava Yumi, non era lei che vedeva al suo fianco, mai sarebbe stato cosi, e Miroku lo sapeva, per questo gli premeva tanto, inferire sulle sue decisioni e attenzioni, passando il dito su ferite ancora fresche e non rimarginate.

Come spiegherai a Yumi, che non sei mai stato a New York? › Aveva iniziato, congiungendo le mani tre le ginocchia, appena aperte, sulle quali si erano poggiati i gomiti con lentezza, in precedenza. Sembrava che stesse continuando a soppesare le sue parole, come se volesse auto convincersi del discorso che stava per fare. Forse poteva immaginare cosa stesse per dirgli Miroku, e anche il perché, ma evidentemente, non aveva il coraggio di ammetterlo a se stesso. Era raro vedere Miroku tanto.. attento e serio, quando lo era, faceva quasi paura, e lui, in un certo senso, ne era spaventato, in senso ironico ovviamente, ma non era il momento di essere ironici, ora.

‹ Inuyasha, sono tuo amico da sempre.. › Aveva continuato, quando alla sua precedente domanda, non aveva ricevuto risposta, che attualmente, sembrava perso in quella tazza di caffè, in quel colore tanto scuro quanto simile al suo, quello di lei. Avverti un dolore lanciante all'altezza del basso ventre, Miroku, quando si rese conto delle parole che stava per dirgli, ma come amico, con l'affetto che provava verso di lui, riusci ad accettare quel fastidio, e a riprendere la situazione in mano, riprendere le redini, insomma. ‹ Ma dovresti.. capire, che nel momento esatto in cui tu.. › E scandì bene quel “ tu “, lasciando che il tono diventasse più deciso e pesante, mentre una mano abbandonava l'altra, per andare ad indicarlo, senza però lasciare che il gomito abbandonasse il suo appoggio sul ginocchio. L'indico con l'indice sinistro, lasciando che gli occhi seguissero la traiettoria invisibile tracciata dal dito, fino al viso del mezzo-demone, che si era rialzato e rivolto verso di lui, curioso. Aveva tutta la sua attenzione, ora.

‹ Tu, prendi una decisione, la vita si impegna a metterti contro degli ostacoli. › Aveva continuato, rincarando la dose a questa passata, abbandonando la mancina sul braccio destro, sfiorandosi piano il polso con aria nervosa e abbastanza spazientita. Non gli garbava quel discorso, ma per correttezza e amicizia, aveva dovuto abbracciarsi la sua croce e aprirgli gli occhi. ‹ Inuyasha, nel momento esatto in cui tu avevi deciso di sposare Yumi, la vita ha fatto ripiombare nella tua esistenza Kagome. › Aveva continuato, tenendo in ritmo e una tonalità abbastanza accesa e seria, di chi no, proprio non ammetteva repliche da parte dell'altro. Vide l'amico sobbalzare appena alle sue parole, come se gli avessero fatto un bagno con dell'acqua gelata, o il tiro al bersaglio con dei cubetti di ghiaccio, e tutti, tutti, gli fossero finiti nelle mutande.

‹ Inuyasha.. Io voglio solo dirti che.. › E si era girato verso di lui, ora, con aria più pacata, tranquilla, quasi paterna, prendendo la posizione e la figura di una persona che ora, nella vita di Inuyasha non era presente, ma di cui, aveva bisogno. ‹ Sei proprio sicuro di voler cercare Kagome, ora? La tua vita sembrava aver preso una piega migliore, non vorrai piombare nuovamente in quello stato pietoso? › Aveva continuato, con quel tono ancora paterno, di chi si preoccupa realmente delle conseguenze delle azioni di quel ragazzo che sembrava troppo scapestrato per rendersene conto lui, in primis.

‹ Si, Miroku.› Aveva borbottato l'altro dopo un tempo che parve infinito, abbandonando la tazza piena per metà al suolo, ed alzandosi dal divano camminando in giro per la stanza, o meglio davanti all'amico con aria pensierosa, massaggiandosi piano le tempie con aria stanca e assorta, di chi non dormiva da anni, o di chi da anni, non viveva più. Kagome con se, nella sua sparizione misteriosa aveva portato via anche parte della sua vita e voglia di vivere; Yumi, in parte l'aveva ritirata fuori, ma gli sembrava solo una copia di Kagome, qualcosa di molto riassuntivo e riduttivo, qualcosa che sarebbe andato bene per qualche anno, prima che si infiammasse e puzzasse come un mozzicone di una sigaretta non spenta. Ispirò profondamente, passando la mano artigliata sul petto fasciato da una canotta semplice dell'amico, lanciandogli uno sguardo, e trovandolo a fissarlo con aria curiosa, di chi attendeva una spiegazione, e di chi, con tutte le probabilità, la meritava.

Prima di prendere una qualsiasi decisione con Yumi, devo vedere Kagome, a tutti i costi. › Aveva pronunciato, tornando verso il divano, e recuperando i sui vestiti mal ridotti e sbuffando pesantemente, tornando ad abbandonarli sul divano, e con loro, abbandonando anche la sua figura, lasciando dondolare le molle sotto il suo deretano. Sembrava una marionetta mossa malamente da un giocattolaio annoiato, la sua storia, aveva la vaga incrinatura di chi si stava trascinando verso una meta, l'inchino finale sul palco. Non avrebbe tardato ad arrivare, se continuava a trascinarsi nella sua vita come un estraneo, a viverla dall'esterno, senza dargli realmente peso, un peso che non gli dava più da anni.

Mi presteresti qualche vestito? Devo tornare da quella Kikyo. › Aveva mormorato Inuyasha, dopo una sequenza di minuti che parve infinita ad entrambi, entrambi persi in pensieri non troppo distanti ma che sembravano aver l'intenzione di rimanere privati e intimi. Con tutte le probabilità Miroku, pregava che le cose ad Inuyasha andassero bene, per una volta tanto, che non finisse sposato ed accasato con una donna che non amava, ma che non si lacerasse l'anima per un fantasma del passato. Fantasma. Poteva realmente definire tale Kagome? Eppure gli era sempre stata simpatica, quella ragazza, poi, da un giorno all'altro aveva mandato in depressione Inuyasha, un'Inuyasha cambiato radicalmente, e lui non ne aveva voluto più sentir parlare, non che l'odiasse, provava solo risentimento per la sua sparizione ingiustificata, una fuga dalle responsabilità, a detta sua. L'altro, il mezzo-demone, da parte sua , invece, sembrava perso in pensieri ben vicini alla frequenza d'onda dell'amico; ormai i suoi pensieri, da quando il profumo di Kagome era tornato a solleticargli le narici, giravano attorno alla sua figura, e ai loro ricordi, per nulla dimenticati o accantonati da un lato, anzi, al contrario, erano più vivi che mai, quasi come se fossero stati una successione continua nella sua mente, un continuo rivangare di ricordi e immagini, parole e frasi, sguardi e sorrisi. Kagome non era sparita, ormai ogni giorno, e ogni ora se lo ripeteva, e ora era tornata. Il punto ora era trovarla. Dove poteva essersi ficcata quella dannata femmina?! Come poteva non rintracciare il suo odore? Maledì la neve, la pioggia, i venti e le fragranze che le donne usavano mettersi per modificare il loro odore naturale.

D'accordo Inuyasha, però non accanirti troppo, e non iniziare a viaggiare di fantasia, potrebbero essere semplici coincidenze.. › Udì a stento le ultime parole, visto che furono di compagnia a un tonfo proveniente da un armadio più nascosto, dove, evidentemente, teneva i suoi vestiti, vistosi che, come già detto, viveva in un minuscolo monolocale, dove dubitava seriamente potesse viverci e sopravviverci addirittura. Fissò con attenzione i movimenti che compieva, e ne studio l'andatura lenta e barcollante, si domandò dove avesse dormito, e guardandosi attorno, capì, che con ogni probabilità aveva dormito su una poltrona malmessa, e che lui, da bravo stupido qual'era, si era buttato sul divano- letto e non si era più svegliato, a differenza delle promesse che si era fatto di appisolarsi per qualche attimo. Si senti in colpa, ma non esplicitò quell'emozione, se non con uno sguardo di scuse verso un Miroku dolorante, che si massaggiava la schiena mentre ritornava con qualche vestito da prestargli. Lanciò uno sguardo all'esterno delle vetrate, e constatò che aveva nevicato, quella notte, e che la città, era ricoperta da uno splendido strato di neve, che rendeva tutto magico, o quanto meno, surreale. Rimase a fissare il panorama, del centro città, fin quando un rumore proveniente da non troppo distante lo richiamò, e lo fece voltare. Scorse Miroku alle prese con la un paio di scarpe, inginocchiato davanti alle scale a chioccola che portavano al piano inferiore.


‹ Quelli sono i vestiti. Scendi, e vedi di tornare solo quando potrai presentarmi nuovamente le curve della divina Kagome. › Affermò, con aria sorniona e di incoraggiamento verso il mezzo-demone che era arrossito tremendamente e sembrava andare alla ricerca di qualcosa da lanciare contro, ad un Miroku previdente, che era già fuggito al piano inferiore, per aprire il bar, e dare inizio ad un'altra giornata di lavoro per mantenersi. Guardò le scale, ascoltando attentamente i rumori provenienti dal piano inferiore, chiaro segno che il locale iniziava a riempirsi. Sospirò, alzandosi e concedendosi una breve ma intensa doccia bollente, prima di tornare in camera per vestirsi con dei vestiti non suoi. Jeans e pullover. Casual, per una giornata di ricerche approfondite, sulla scia di un fantasma, o quasi. Ispirò profondamente, recuperando il suo giaccone e infilandoselo, dirigendosi al piano inferiore con passo svelto e attento. Ai piedi del divano, vicino la tazza di caffè ormai gelato, giaceva la sua ventiquattro ore, e la borsa con il cellulare spento. Aveva promesso a Yumi di chiamarla, promessa che non avrebbe mantenuto a quanto sembrava.

Di uscita dal bar, dopo un saluto veloce a Miroku, e un appuntamento a quella sera per un resoconto della giornata, non aveva avvertito tra il fracasso della cucina, delle macchinette del caffè, i sussurro della gente e i rumori esterni al locale, il telefono che squillava , e Miroku che si lamentava di quante casse avesse in giro per il retro del bancone, che non gli facilitavano i movimenti. Avrebbe dovuto, o potuto almeno, avvertire quel rumore, se solo nella sua mente ora non ci fosse il pensiero fisso di quella fotocopia di Kagome che a quanto sembrava gli aveva mentito sul suo riguardo. Se solo avesse sentito quel rumore, quello squillare continuo e insistente, come un richiamo, si sarebbe facilitato la vita e la giornata di parecchio.

‹Salve, qui è il Kazaana, e io sono Miroku.. › Gongolò quasi, al pronunciare il suo stesso nome, come se stesse per assaporare il piacere di parlare con una dolce fanciulla, cosi come era solito nominarle lui, e sperò vivamente di non ritrovarsi a sentire la voce gracchiante di un uomo, che avrebbe di sicuro, distrutto ogni sua fantasia. ‹ Come posso aiutarla? › Domandò subito dopo, evitando all'interlocutore di intervenire prima che lui finisse la sua presentazione, come sempre studiata nei minimi particolari, era raro che lasciasse qualcosa al caso, non per altro, ma aveva la “ smania “ , se possiamo chiamarla cosi, di fare una figura ottima in presenza di donne, diciamo che se anche al telefono avesse beccato un buzzurro, si sarebbe accontentato delle occhiate languide delle ragazze sedute al bancone, a cui poteva far proposte di ogni genere, fino all'ora di pranzo circa, poiché, dopo ci sarebbe stata Sango a graziarlo per bene a ogni mano troppo lunga. Restò in ascolto, sentendo il solo respiro lieve proveniente dall'altra parte della cornetta, di chi tentennava sul parlare, di chi era indeciso. Era sicuramente una donna, gli uomini erano molto più diretti, si crogiolò ancora al pensiero di quella dolce e sconosciuta fanciulla, abbandonandosi a pensieri poco decorosi per un lasso di tempo abbastanza breve, venendo poi richiamato alla realtà con un getto di acqua gelida.

Salve.. Sto cercando Inuyasha. › Aveva sussurrato la donna, perchè si, era una donna, ma ciò che l'aveva pietrificato era chi era quella donna. Non una donna qualsiasi, non una femmina qualsiasi, ma quella donna che aveva letteralmente e praticamente rimbecillito Inuyasha, era sicuro di non esserci sbagliato, riconosceva quella voce, per tutte le volte che chiamando a casa dell'amico aveva risposto lei, e c'era stato uno scambio cordiale di battutine. Trattenne il fiato, a sua volta, sentendo ora quello della ragazza scandire il tempo ritmandolo. Era sicuro che lei non si fosse dimenticata di lui, o almeno ci sperava, ma da come aveva risposto alla sua portentosa presentazione, dubitò fortemente che avesse memoria di lui, e se ne rammaricò, possibile che fosse talmente poco toccante, la sua presentazione?!

‹ Ciao Miroku, sono Kagome... Inuyasha è lì? › Riprese a respirare, quando la sentì riprendere il filo del discorso, soffiando tutto d'un fiato le parole fuori dalla sua bocca, l'avverti correre, senza scandire bene le parole e strascicandole una dopo l'altra mangiandosi qualche lettera per la velocità assunta, la paura, l'ansia, l'emozione, spesso giocavano brutti scherzi. Senti nella sua voce un vago interesse, una sorta di speranza, ma non ne fu convinto. Rimase in silenzio, ad ascoltarla ora con un respiro più veloce e affannato, come se avesse corso, aspettare una risposta che ignorava volesse fosse negativa o positiva. La lasciò ancora a lacerarsi nel suo brodo di ansia e trepidazione, alzando gli occhi e cercando la figura di un mezzo-demone conosciuto, che però nel bar pareva non esserci. Intuì che era già uscito, e si rammarico di non essere riuscito a trattenerlo per due secondi, e migliorare le cose, aiutarlo in qualche modo. Ispirò ancora, prima di voltarsi di spalle al bancone e tenere gli occhi puntati sull'apparecchio attaccato al muro.

‹ Kagome. Dove diavolo sei? Dove sei finita? › stava per continuare con la sua raffica di domande ma si bloccò, restando muto per qualche attimo, rimuginando sulle cose: era meglio non allarmare Kagome, avrebbe rischiato di allontanarla da Inuyasha nuovamente e ne lui, ne il suo amico sarebbe riuscito a perdonarlo. Tentennò ancora, cercando e misurando le giuste parole da donare a quella ragazza, a cui pote finalmente attribuire un immagine. Un viso sottile e dolce, appena sbarazzino per i capelli perennemente arruffati sulla nuca, occhi grandi e solari, nocciola e due labbra sempre increspate in sorrisi che venivano rubati qua e là da sconosciuti e non. Grugni qualcosa, maledicendo Inuyasha ancora una volta e alzando la mano libera a sfiorarsi il mento, pensoso. ‹ Inuyasha non è qui, Kagome, è appena uscito, posso lasciargli qualche messaggio da parte tua? › Sussurrò, per evitare di farsi sentire da orecchie indiscrete. Evitò volutamente di dirle che la stava cercando da una vita, il suo amico, limitandosi a fare da messaggero per quei due, che avevano bisogno, evidentemente di un aiuto esterno per ritrovarsi.

Senti una sorta di sospiro o gemito di dolore, e rimase ancora in silenzio, aspettando che lei parlasse, continuando a massaggiarsi il mento senza metterle fretta. ‹ Miroku io.. › Aveva mormorato solamente come inizio di una frase mai conclusa, alla quale non si arrampicò, abbandonando volutamente il discorso a meta strada assieme a lei, per concentrarsi sulle parole che seguirono, incidendole per bene nella sua mente, nella memoria. ‹ Inuyasha mi ha lasciato scritto di chiamare qui, a questo numero.. › Aveva sussurrato come a voler spiegare il motivo per cui aveva chiamato lui, e il suo bar, e non il diretto interessato per via telefonica, anche perché se l'avesse fatto, avrebbe sicuramente trovato il cellulare spento, visto che Inuyasha aveva esplicitato che lui non poteva accenderlo per evitare di trovarsi accalappiato in una conversazione lunga ore con Yumi. ‹Vorrei vederlo. Potresti dirgli che l'aspetto oggi, alle due, al solito posto? › Aveva mormorato, ora con un tono che sembrava più a suo agio, come se fosse una normale conversazione tra amici e conoscenti che si frequentavano giornalmente, ma che in realtà non era cosi. Non si vedevano da quando lei era sparita, e Inuyasha si era trasferito, nonostante il buon rapporto che si era instaurato tra loro, grazie all'amico/fidanzato in comune, non avevano avuto contatti in seguito alla rottura, niente di niente, come se fossero sconosciuti. ‹Non posso fare molto tardi, ho un aereo alle sedici. › Aveva sussurrato in fine, e gli parve di avvertire una nota di dolore in quell'affermazione, ma non ci si soffermò più di tanto, lui, dopotutto era lei che era sparita, e aveva distrutto l'esistenza del suo miglior amico, no?

‹ Va bene Kagome. › Sussurro solo in risposta alla richiesta della giovane, stordito dalla notizia che lei sarebbe partita quel pomeriggio stesso, e che non aveva idea di come e dove rintracciare Inuyasha per poterlo avvisare dell'appuntamento che l'attendeva. L'appuntamento più importante della sua vita. Fece per schiudere nuovamente le labbra, per parlare, ma il saluto veloce della ragazza lo colse alla sprovvista, e si ritrovò con la cornetta che borbottava uno snervante
tuum-tuum di linea caduta, segno evidente che aveva interrotto la telefonata, Higurashi. Sospiro nuovamente, agganciando la cornetta e tornando a voltarsi verso le ragazze sedute al bancone, aveva perso l'aria sorniona e maniaca di appena cinque minuti fa, in favore di una tetra e pensosa che l'avrebbe accompagnato per tutto il resto della giornata. Una miriade di domande si affollavano nella sua testa, spintonando per avere la precedenza. Perché aveva assunto quel comportamento Kagome? Perché aveva agganciato cosi? E perché voleva vedere Inuyasha, che avesse trovato il biglietto dell'albergo? Quindi non era tutta un'illusione quella dell'amico! Ma perché ora partiva? Dove andava? Perché era scappata, e scappava nuovamente?! Sbatte malamente una tazza di caffè davanti una ragazza, sentendola borbottare qualche reclama, a cui non fece attenzione, camminando a passo pesante verso il retrobottega per la prima pausa di una lunga giornata.


Un ragazzo, avvolto da un cappotto lungo e scuro, un basco sul capo a tener calde le orecchie canine, si avvicinava a un portone che un tempo aveva ben conosciuto, e che ancora ricordava e si sforzava di non dimenticare, nonostante, forse, con ogni probabilità, era la cosa giusta da fare. Si rese conto, fermo davanti al portone di legno massiccio, con una spolverata di neve nelle insenature, che si stava facendo del male, dannatamente male. Si stava ricacciando in un passato pieno di rovi e spine, dove lui non sarebbe uscito illeso nemmeno questa volta. Cosa si aspettava di trovare, ora, lì? Da quella ragazza che sembrava nascondere e portar via con se un segreto che aveva in se la chiave della chiusura della sua storia più importante, più importante di Yumi, più importante di tutto il resto. Ancora una volta si domandò come fosse stato capace di fare una proposta di matrimonio a quella ragazza. Si guardò attorno, silente, con le mani nelle tasche profonde della giacca e lo sguardo perso, vagabondo, sul panorama dalle tonalità grige, un cielo privo di azzurro e sole, solo nuvole e null'altro. I palazzi, assumevano un aria ancor più misteriosa e carica di segreti, come le vite delle persone. Ispirò piano, e si appoggio contro il muro del palazzo in attesa che qualcuno entrasse o uscisse da lì.

L'attesa fu breve, una donna, con due bambini con all'incirca tre e quattro anni, corse fuori, tenendo zainetti e aggrovigliando due teste bionde in sciarpe di lana pesante per coprire dal freddo. Sguscio fuori dal suo nascondiglio, perdendo la sua staticità che ricordava quella di una statua, ritrovandosi dentro la palazzina calda e illuminata da luci chiare che conferivano alle pareti una tonalità arancione-gialla, contrastante con la veduta esterna delle finestre. Salì le scale a due a due, saltandole quasi e aggrappandosi alle ringhiere per arrivare prima. Ringrazio la sua natura ibrida, che non affaticò il suo corpo, e si ritrovo davanti la porta d'ingresso , tanto conosciuta quanto no, vittima e silente osservatrice delle persone che si erano poste lì davanti. Avvertì una morsa al basso ventre, risalire, stringendo sempre più forte l'intestino e lo stomaco, fino al cuore, dove avverti una fitta, quasi come se una miriade di spilli gli si fossero conficcati lì, dritti e profondi. Ispirò profondamente, prendendo coraggio ed alzando la mancina bussandovi lentamente, in attesa, che la porta venisse aperta. Ancora una volta sperò di veder comparire lei, e ancora una volta, rimase spiacevolmente colpito. Era la ragazza del giorno prima, avvolto in una vestaglia semitrasparente, che lo fissava terrorizzata, con gli occhi, che per una manciata di secondi erano stati assonnati, spalancati e attentissimi.

La vide ritirarsi nell'appartamento, e anticipò i suoi movimenti, bloccando la chiusura della porta con un piede e una mano, ringhiando sommessamente, era una chiara dichiarazione. Gli aveva mentito, quella dannata. Fece forza, lievemente, sentendola cedere contro la sua forza inumata, e riuscì a sgusciare all'interno di un appartamento che si stupì a trovare mai cambiato. Richiuse con un tonfo la porta alle sue spalle, dando due mandate alla chiave e voltandosi di scatto.

I muri, le pareti e il mobilio non era cambiato. Il bianco delle pareti, le sfumature blu del legno, il divano coperto da un telo colorato, le tende bianche semitrasparenti, le piante sul balconcino, e i quadretti con fotografie alle pareti. Ispirò profondamente, ringhiando quasi, e voltandosi verso la donna, quando il profumo di Kagome gli arrivò prepotente e deciso alle narici, colpendolo con un pugno al ventre che per poco non lo fece piegare. Si appoggio a una parete, tenendo il capo chino e avvertendo appena gli spostamenti d'aria provocati dalla ragazza. La tentazione di farla fuori subito fu forte, voleva farle tanto male quanto ne aveva provato lui, e per un attimo, temette di farlo, avverti il sangue ribollirgli nelle vene, e la sua natura demoniaca iniziare a prendere il sopravvento. Si auto-impose calma, calma e sangue freddo, ispirò a pieni polmoni, e si lasciò trascinare dal piacevole profumo mielato di Kagome che aleggiava nella casa, e immagino che lei fosse lì, a sostenerlo. Lei era in città, e quella ragazza, nascondeva qualcosa, che le avrebbe cavato fuori con le pinze.

Alzo il capo di scatto, puntando le iridi ambrate, rabbiose e furenti su di lei, avvicinandosi velocemente e afferrandole un polso, che non si preoccupò di stringere con troppa forza, e la trascinò dietro di se, fino alla cucina, che non si preoccupò di cercare, nulla era cambiato, niente di niente. Scostò con forza, lasciandola stridere sul pavimento, una sedia accostata al tavolo, e ci buttò sopra Kikyo in malo modo. Lascio vagare lo sguardo sulla cucina, soffermandosi sul frigo, notando con piacevole stupore, una fotografia che ricordava bene. Ritraeva Kagome, non una foto qualsiasi, l'aveva fatta lui quella foto, una giornata particolarmente bianca al parco, e l'avevano stampate, e gliel'aveva fatta mettere lì, sul frigo con un magnete che avevano comprato al centro. Sorrise appena, sospirando e tornando a puntare gli occhi sulla figura seduta alla sedia che con lo sguardo basso emanava una forte tensione. Ghigno profondamente, chinandosi fino ad arrivare al suo viso e prendendoglielo con la mano, volgendolo verso di lui con poca galanteria. Ringhiò ancora, verso di lei, arricciando le labbra.


Credo che tu mi debba, delle spiegazioni. › Mormorò Inuyasha, con un'espressione seria e rabbiosa dipinta sul viso contratto, come se si stesse trattenendo dall'ucciderla lì, in quel preciso momento. La fissò, alzare le iridi vacue verso di lui, e osservarlo stupita per un attimo, ispirando profondamente subito. La guardò stringersi nella vestaglia rosa pallida, e schiudere le labbra, iniziando a parlare, di un passato e un presente, che lui, ignorava.





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capitolo pubblicato di tutta fretta!
ma come vi sembra?!
ah! spero che abbiate passato buone vacanze!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Tornando a vederli
i fiori di ciliegio, la sera,
son divenuti frutti.

 

( kite mierba yūbe no sakura mi to narinu )


Avvertiva quel profumo, tanto caro quanto doloroso per la sua mente, che gli arrivava alla mente e la mandava in corto circuito. Ricordava, come se non fossero affatto passati tutti quegli anni, ogni momento passato in ogni angolo della casa. Ricordava perfettamente quella cucina, ricordava che nel primo cassetto c'erano delle posate, sotto le tovaglie. Nella credenza in alto a destra, Kagome, nascondeva i biscotti per non farglieli divorare prima di cena. Diceva che poi si rovinava l'appetito, e che doveva essere paziente ed aspettare. Si comportava come se dimenticasse la sua vera natura. Gli bastava seguire la scia di mirtilli fino alla credenza per trovarli, ma gliela dava sempre vinta. Come poteva sopportare quel visino imbronciato? Non poteva, e quindi faceva finta di niente. Rimase alzato davanti a quella figura sottile e tanto simile a lei, simile, non uguale, quella donna non gli piaceva, fin dall'inizio, aveva intuito che gli nascondeva qualcosa. Afferrò lo schienale di una sedia, trascinandola fin davanti a lei, e osservandola furioso. Ringraziò di avere un minimo di autocontrollo, e che il suo sangue umano, avesse per la meglio su quello demoniaco, che l'intimava di ucciderla ora, lì, quella donna. Le fece un segno, col capo, come a intimarla di iniziare. Di certo non accettava capricci, doveva parlare, ora, quella donna.

‹ Va bene. Parlerò. › Aveva mormorato flebile quella donna, stropicciandosi le mani tra loro e tenendo lo sguardo chino, a fissarsi le ginocchia bianche e ossute. ‹ Ma devi sapere che, mi pento.. di ciò che ho fatto, e l'ho fatto solo.. per amore. › Aveva mormorato, dopo aver preso un profondo respiro, arrossendo e stringendo con più forza le mani. Le osservo, e notò i palmi farsi bianchi e le nocche sporgere tirando la pelle. Era davvero gracile, per un momento, ebbe il dubbio di averle fatto male, quando l'aveva malamente afferrata. Rimase silenzioso, non parlò alla sua premessa, e la studiò riordinare le idee con fare calmo e assorto. Ringhiò sommessamente, mettendole fretta, notando come fosse sobbalzata e avesse annuito.

‹ Quando tu aveva saputo del trasferimento, quel giorno bhè.. › Si fermò, un momento, ispirando profondamente, e portando le mani sulle gambe, massaggiandole piano. Fissò lo sguardo sul suo viso, e gli sembrò che stesse vivendo tutto.. come un ricordo, un ricordo tremendamente vicino e pesante. ‹ Kagome, aveva ricevuto un importante proposta di lavoro, a Londra. La ragazza che doveva suonare aveva avuto un incidente, e avevano chiamato Kagome su due piedi. Sarebbe dovuta partire stesso quel giorno, se avesse accettato. E lei accettò. Era un'importantissima occasione di lavoro, ne andava del suo futuro. E quindi, accettò. › Lo guardò, quella donna, e nel suo sguardo non vi trovò sorpresa. Inuyasha ricordava perfettamente il tuffo al cuore che aveva avuto quando, il giorno dopo era andato a cercarla alla scuola, e gli avevano detto che lei, non c'era. Era partita. Stringe le mani artigliate, grugnendo e facendole segno di andare avanti, proseguire. Non era andato lì, per ascoltare una storia che già conosceva. Ci aveva ripensato tante di quelle volte, che era sicuro, di aver iniziato a vedere cose che non esistevano. Si domandò come fosse finito fidanzato con Yumi, una donna che non amava. L'aveva solo presa in giro, e si sentì un verme, per questo, un vero e proprio verme.

‹ Kagome.. ti cercò, venne a casa tua, provò a chiamarti, venne al negozio.. ma tu.. non c'eri. Non ti trovava. Quindi.. venne da me. › La voce s'incrino a quel punto, la sentì iniziare a respirare pesantemente. Rivelazioni di quel tipo, immaginò, non dovevano essere facili. Ma non provava pena, non era rattristato, quasi soddisfatto dal vederla in quello stato, che non era minimamente paragonabile a tutto ciò che lui aveva passato, ma era un inizio. ‹ Mi diede una lettera. E le chiavi del tuo.. appartamento. Mi aveva chiesto di.. venire da te e darti questa lettera. › Lo guardò, fissò lo sguardo del ragazzo che aveva amato, e che aveva ferito e di cui aveva distrutto la vita. Per la prima volta dopo due anni, lei, ebbe la totale e piena consapevolezza di ciò che aveva fatto. Gli occhi, ambrati erano lustri, erano tristi, erano spenti e doloranti. Si accorse di quanto dolore avesse provato a quelle due persone. Lui di cui si era innamorata al solo vederlo, e lei, un'amica che si era sempre dimostrata vera, non l'aveva mai, tradita. Sentì le lacrime spingere per uscire, ma le ricaccio indietro, decisa a terminare il suo racconto. Si alzò, lentamente, sotto gli occhi inquisitori di lui, si voltò di schiena e arrivo a un cassetto della cucina. Sentiva i suoi occhi sulla schiena, incenerirla, bruciarla, trapassarla. Recuperò una lettera, tra alcune scartoffie, appena maltrattate, e a passo lento, tornò verso di lui, riprendendo posto su quella sedia, passandogli silenziosa la lettera. Gli occhi lucidi e pieni di lacrime, non gli mostravano bene la figura del mezzo-demone che aveva davanti, il viso e gli occhi erano sfocati, cosi come i capelli, apparivano una massa bianca deforme.

‹ Arrivata a casa tua.. vidi alle pareti le vostre foto, le sue cose sparse in giro per casa, un paio di stivali suoi e i suoi orecchini. Ti aveva lasciato.. trentadue messaggi sulla segreteria telefonica. Ascoltai il primo.› Sussurrò, con voce incrinata e le lacrime che iniziavano a scivolare lungo il viso, provò a ricacciarle dietro, fermare la loro caduta, ma fu tutto inutile. Scendevano, copiose, colpevoli. Un respiro profondo e riprese a parlare, Inuyasha era immobile davanti a lei, muto, non parlava ne fiatava, non si era scomposto davanti alle sue lacrime, ne davanti al suo discorso. Impassibile, come una statua, un dio greco davanti a un colpevole mortale.

‹ Io non lo sapevo. Lei non me ne aveva parlato. Le avevi chiesto di andare via insieme, a Pechino. E lei aveva accettato. Ti spiegava che sarebbe tornata in due settimane, ma che lei voleva, desiderava, stare con te. Lei ti amava. › Sussurrò, portando le mani al viso, dopo che lui ebbe recuperato la lettera dalle sue mani. Asciugò le gote arrossate e bagnate, rendendo le dita umide e strofinandole sopra la vestaglia. ‹ Trentadue messaggi, ripetevano tutti la stessa cosa. L'ultimo , ti lasciava il numero del suo albergo. Li cancellati tutti, ero.. arrabbiata, gelosa, furiosa. Non sapevo cosa mi avesse preso. Presi la lettera, e andai via. Tu non dovevi sapere nulla. Appena arrivai a casa, la chiamai. Le dissi che.. tu .. l'avevi tradita. › Bisbigliò le ultime parole, portandosi le mani alle labbra, sentendo il peso sulle spalle farsi sempre più pesante, assieme al peso sul cuore. La sua coscienza scalpitava e gioiva, aveva avuto la meglio alla fine, sapeva che tutto sarebbe venuto a galla, prima o poi, ma aveva sempre sperato che non succedesse.


‹ Esci subito da questa casa. › Furono le uniche parole, che dopo un tempo che le parve infinito, Inuyasha proferì, stringendo tra le mani quella lettera, e tenendo lo sguardo ambra basso, calato sui suoi piedi. Fece per ribattere lei, ma lo sguardo furioso e fiammeggiante che lui le lanciò, la fecero alzare di corsa. Si vestì velocemente, e nel minor tempo possibile radunò le sue cose. Avrebbe voluto dire qualcos'altro, scusarsi, spiegarsi, andare oltre il semplice racconto, rivelargli che lei, l'aveva sempre amato dalla prima volta che l'aveva visto, che non voleva far del male a nessuno, ma che era stata mossa semplicemente dalla gelosia e dall'invidia. Sulla porta di casa, trovò la figura altezzosa di Inuyasha. Mai, come in quel momento, gli era parsa tanto fragile e distrutta. Pareva che sulle spalle, appena inclinate in avanti, facesse peso il mondo intero, e lo sguardo perso era basso e dolorante. Cosa aveva fatto?

‹ Dov'è ora Kagome? › Aveva bisbigliato, aprendole la porta e strattonandola per un braccio fin fuori dall'appartamento, aspettando che lei rispondesse. Gli occhi ambrati, doloranti e cupi la scrutavano preganti. La stava pregando, pregava di sapere dove lei fosse. Dopo due anni, quegli occhi, cercavano ancora lei. Dopo due anni, il suo cuore, batteva ancora per lei. Dopo due anni, lui l'amava ancora. Schiuse piano le labbra, la ragazza, davanti a quella visione che le distrusse il cuore, si senti come se fosse stato di vetro, e ora tutte le schegge fossero finite con l'incastrarsi nella pelle, dall'interno. Bruciore. ‹ Io.. non posso.› Aveva squittito stupita e frastornata. Non poteva. Non poteva. Kagome non sapeva nulla, non poteva, dirgli dov'era. Lo vide sorridere, in maniera triste e rassegnata, annuendo e afferrando la porta per chiuderla. Fece un passo avanti, fissandolo con aria implorante. Doveva dirlo, almeno quello.

‹ L'amore.. alle volte.. fa fare cose stupide.. e .. sbagliate. › Mormorò. Lo vide alzare gli occhi verso di lei, vuoti, privi di rabbia o dolore. C'era il vuoto in quello sguardo, il nulla, un abisso dorato nel quale affogare. Un mare di sabbie mobili nelle quali si poteva affondare. Lo vide scuotere il capo, prima di chiudere la porta, con un tonfo sordo, ritrovandosi davanti il legno scuro. Tutte le sue opportunità, tutto ciò che aveva fatto, si era appena sgretolato tra le sue mani, come un vaso di terracotta ancora fresco. Tutto si era schiantato, e lei, ora, era sola, senza nulla. Senza nessuno. Vuoto, il vuoto di quegli occhi lo sentiva addosso, lo sentiva dentro. Si volto, avviandosi verso le scale per abbandonare, definitivamente quella casa, quell'appartamento, quei ricordi, quella figura. Arrivata all'auto, immaginò, che ora, le toccava la prova più difficile. Parlare con Kagome. Una volta nella vettura, fisso l'orario sull'orologio, e si stupì di quanto tempo fosse passato, e quanto velocemente. Tra quei ricordi e quei dolori. Erano le 13.17. Kagome sarebbe partita quel pomeriggio.



Una figura sottile e snella abbandonava un appartamento che non era il suo. Dietro di sé, due valigie, per un viaggio che sperava di non dover fare. Scese lentamente le scale, trascinandosele dietro con qualche fatica, e la fronte aggrottata. Se Inuyasha fosse stato lì, tutto sarebbe stato più facile. Sorrise a quel pensiero. L'avrebbe rivisto, tra meno di trenta minuti, o almeno sperava. Sperava che lui venisse. Non le importava che l'avesse tradita. Non le importava nulla. L'amava, era sparita, era tornato e la cercava. L'amava, e voleva vederlo, voleva guardare i suoi occhi ancora una volta e sentirsi dire la verità. L'aveva realmente tradita? Perchè? Continuò a trascinare le borse fino al taxi, nel quale entrò e diede come indirizzo l'aeroporto, avrebbe dovuto come prima cosa posare e liberarsi di quelle dannate borse. Pregò l'autista di aspettarla, mentre di corsa richiudeva le due borse in una cassaforte dell'aeroporto, prima di saettare, nuovamente verso il taxi di poco prima, dando un nuovo indirizzo all'autista, che la guardava più confuso che altro. Infilò nella borsa a tracolla le chiavi della cassaforte e sorrise dolcemente. Aveva indossata il cappottino rosso. E un paio di jeans scuri, stivaletti per evitare di bagnarsi i piedi nella neve e un cappellino di lana sul capo. Voleva vedere Inuyasha. Desiderava ardentemente incontrarlo. Erano passati due anni. Due lunghissimi anni, due anni nei quali aveva provato, Kami se ci aveva provato a dimenticarlo! Koga era stato un buon diversivo per qualche tempo, ma alla fine si era accorta che in lui, non vedeva altro che il riflesso scolorito di Inuyasha. Il tradimento l'aveva distrutta, talmente tanto che non l'aveva più cercato. Kikyo, lei li aveva visti con i suoi occhi. Inuyasha l'aveva tradita, e lei aveva bisogno di risposte, ora. Aveva il coraggio giusto per affrontarlo e ascoltare le sue spiegazioni. Aveva la forza giusta per ricominciare. La vettura gialla si fermò davanti l'entrata del
l'Hamarikyu Gardens. Esitò, davanti quell'immensa distesa di verde. E se lui non la volesse più? Strinse gli occhi con forza, scacciando di forza quel pensiero e lasciando i soldi all'autista, si decise a lasciare la vettura. Avrebbe affrontato il suo futuro, la sua vita, il suo passato. Avrebbe affrontato Inuyasha, a costo di sentirsi derisa. Si avviò verso il piccolo ponte di mattoni, sul quale si erano incontrati la prima volta, la prima di molte altre. Si appoggiò alla ringhiera in attesa. Erano le 14.03. Era in orario, non le restava altro che aspettare. Aspettarlo, aspettare lui.




Inuyasha, nell'appartamento di Kagome, girava come se fosse un fantasma, toccava i muri, sfiorava mobili, annusava l'aria e le lenzuola. Aveva addirittura affondato il viso nel suo cuscino per qualche attimo, prima di decidersi ad alzarsi, e recuperare il telefono dell'appartamento. Era proprio lì, dove lo ricordava. Sul mobile vicino la televisione. Recuperò il cordless e compose un numero. Portò l'apparecchio all'orecchio canino, e aspetto silente che qualcuno dall'altra parte rispondesse.


‹Salve, qui è il Kazaana, e io sono Miroku.. come posso aiutarla? › Sorrise, quando sentì la voce dell'amico all'altro capo, e si lasciò andare sul divano, affondando e affogando nel suo profumo. Ispirò profondamente e si schiarì piano la voce, turbato.

‹ Miroku.. › Bisbigliò Inuyasha. Perchè l'aveva chiamato? Che poteva fare Miroku? Poteva tirarlo su di morale? Poteva dargli questo peso nuovamente? Tirarlo via, tirarlo fuori dal dolore per l'ennesima volta? No, non voleva, Non voleva che Miroku fosse nuovamente tirato in causa in quella storia.


‹ Inuyasha! Devo dirti una cosa importantissima! › Aveva urlato l'altro dall'altra parte del telefono. Avvertì la voce di Sango al suo fianco, che parlava di qualcosa riguardante il caffè, con aria ansiosa. ‹ Inuyasha! Dove sei?! Devi muoverti! La divina Kagome mi ha chiamato questa mattina! › Aveva pronunciato in maniera veloce, come se fosse una raffica di parole, un attacco. Si tirò a sedere immediatamente il mezzo-demone, aspettando che l'amico continuasse e riprendesse a parlare. Kagome, Kagome, Kagome. Aveva chiamato. Aveva avuto il suo biglietto. Kagome l'aveva cercato.

‹ Non ci ho capito molto. Mi ha detto che voleva incontrarti al solito posto, alle due, e non aveva molto tempo. Alle sedici ha un aereo. E Inuyasha se poss-.. Inuyasha? Pronto?! Inuyasha!. › Continuava a parlare Miroku, a vuoto. Il tu-tuu dell'apparecchio gli fece capire che l'altro aveva già interrotto la telefonata e che non aveva voglia di sentire altro. Aveva avuto le informazioni necessarie e con tutte le probabilità era già in strada a correre e a dannarsi. Nel suo bar, Miroku, alzò lo sguardo verso l'orologio e fisso l'orario. Le 15.13 . Prego che Inuyasha la trovasse ancora lì, pregò che se non era lì, la trovasse in aeroporto. Pregò affinché quei due si rincontrassero.






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ok! anche questo capitolo è andato!
il penultimo! siamo arrivati alla fine!
fiuuuu!
allora. Com'è?! :)

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


E si amarono l’un l’altro
Sospesi su un filo
Di neve

 

Correva, perchè nonostante lui fosse un mezzo-demone e la sua velocità non fosse nemmeno paragonabile a quella di auto, doveva correre, non poteva perderla nuovamente, non poteva arrivare in ritardo, non poteva permettere che prendesse quell'aereo, doveva ritrovarla e non lasciarla mai più. Arrivò al parco prima di quanto pensasse, aveva l'affanno, si sentiva stanco, le gambe gli dolevano, ma non si sarebbe fermato, riprese la corsa furiosa fin sopra al ponte. Sentiva le articolazioni e i legamenti delle gambe gonfiarsi e dolergli, erano anni che non correva in questo modo, e non poteva di certo pretendere di non risentirne. Arrivò sul ponte, e lasciò che un urlo di rabbia uscisse dal suo petto, come un guaito. Diede un calcio verso uno dei muretti in cemento, che fungevano da ringhiera, lasciando che la neve cadesse con uno spruzzo da lì, finendo inevitabilmente sui suoi jeans. Si accasciò al suolo, sentendo il dolore lancinante alla pianta del piede e alle gambe. Non era un dolore minimamente paragonabile a quello che ora stava squassando il suo petto. Di nuovo, temeva di affogarvi, in quel dolore, ma la fragranza dolciastra che aleggiava nell'aria gli ricordò che lei, Kagome, era rimasta lì ad aspettarlo per più di un ora, era troppo forte, troppo intensa per non essere così. Si alzò di scatto, ricacciando via dolore fisico e psicologico, riprendendo a correre, abbandonando il parco e dirigendosi veloce, quando più poteva, quando più le sue gambe lo aiutavano, verso l'aereoporto.


Inuyasha non era arrivato. Non voleva vederla, forse aveva semplicemente cambiato idea. Era inginocchiata, nell'aeroporto, vicino alle sedie di ferro e plastica scuri, dove amanti e amici attendevano l'arrivo dei cari. Fremeva, aspettava che chiamassero il suo aereo per abbandonare per sempre quel posto. Aveva pensato, sperato, che lui venisse, ma non era stato cosi. Magari aveva avuto un altro intoppo tra le coperte, come quando lei era partita. Sentì le lacrime premere per uscirle, ma non le fermò, si accucciò maggiormente sulla sua valigia e si cinse le gambe con le braccia, affondandovi il viso, abbandonandosi ai ricordi. Aveva creduto veramente che lui volesse rivederla perchè l'amava ancora, ma forse, semplicemente, voleva vederla in qualità di vecchio amico, mettere una pietra sopra a tutta quella storia, uscirne da buoni amici. Singhiozzo più forte, ma si bloccò, quando il suo cellulare aveva preso a squillare. Lo recuperò dalla tasca dei jeans, leggendone il nome ed asciugandosi le lacrime, dandosi un contegno. Kikyo. Fece partire la telefonata, ma non ebbe il tempo di parlare o dirle altro, che una verità pesante quanto un macigno le piombò sulle spalle, facendola incurvare nuovamente sulle gambe, abbandonandosi alle lacrime nuovamente. Kikyo. Come aveva potuto. Terminò la telefonata prima ancora che potesse pronunciare qualsiasi altra cosa e che lei aprisse bocca. L'aveva tradita. La sua migliore amica, l'aveva tradita, sempre, da sempre. Era lei che l'aveva allontanata da Inuyasha, e che l'aveva tenuta lontana da lui, al segreto, all'oscuro di tutto, quando lei era in pena per quel ragazzo. Ricacciò il telefono con stizza nella tasca. Non si era mai sentita tanto sola in vita sua. Avrebbe voluto fare tante cose, andare da Kikyo, andare da Inuyasha, tornare a casa, tante, ma non ne fece nemmeno una. Con Kikyo era tutto finito, la loro amicizia, il tempo trascorso insieme, gli anni. Inuyasha invece, non era mai arrivato da lei, non ne conosceva la motivazione, ma non era arrivato, e lei, non sapeva nemmeno dove doverlo cercare. Si asciugò gli occhi scuri, liquidi, languidi, distrutti, recuperando con una mano la borsa e mettendosi silenziosa, in fila per il Check-in.



Saltò, praticamente sopra le guardie, ignorando i loro richiami “ non si corre! “, gli avevano urlato dietro quei due, ma come poteva, lui, non correre, quando Kagome era lì, tra quella baraonda di persone e l'aereo che avrebbe dovuto prendere partiva tra circa venti minuti?! Si meravigliò, di esser stato tanto veloce, ma non si fermò, non poteva ora. Guardava i visi, guardava le sfumature degli occhi, dei capelli, acconciature, borse, ma soprattutto, annusava l'aria. L'avrebbe trovata cosi, prima o poi, lo sapeva. Si avvicinò velocemente verso l'aria Check-In, e fece scorrere lo sguardo sui ventisette sportelli dietro i quali, le persone si addossavano e affrettavano per fare il loro biglietto. Iniziò la rassegna di tutti gli sportelli. Ripeteva mentalmente tutti i numeri che i suoi occhi incontrava, cercando la figura della ragazza in una delle file. Ventitré. Ventidue. Ventuno. Eccola! Rimase paralizzato, nel vederla lì, in quella fila silenziosa. Aveva lo sguardo basso, con una mano si tirava dietro la valigia, troppo grande, troppo pesante per lei, e l'altra che manteneva il biglietto si alzava regolarmente verso il viso, sfiorandosi le gote e gli occhi. Stava piangendo, e non ebbe dubbi, che fosse per colpa sua. Fece per avvicinarsi, scattò, ma finì contro qualcosa, o meglio, qualcuno. Calò lo sguardo, furibondo sulla figura che aveva intralciato la sua avanzata e sobbalzo, sbiancando di colpo e boccheggiando.

Yumi.. › biascico, strascinando le parole con la lingua e boccheggiando poco dopo. Non ci credeva, che ci faceva, ora, lei, lì?! Kami, quasi l'aveva dimenticata, eliminata, cancellata. Per quei giorni, il suo unico pensiero fisso era stato trovare Kagome, talmente fisso che si era dimenticata di lei. Per l'ennesima volta si maledì per averle chiesto di sposarlo. Ora, in confronto a Kagome non gli sembrava tanto bella. I tratti marcati, i capelli resi mossi da una piastra elettrica; aggrottò la fronte, alzando subito lo sguardo oltre le sue spalle alla ricerca della figura di Kagome, che era ancora, ferma, in fila. Sperò che il suo aereo ritardasse, che non partisse ora, subito, aspetta, aspetta, aspetta.

‹ Inuyasha! Finalmente! Sono ore che ti cerco! Ma quando sei atterrato? E non mi hai più chiamato, da NewYork, successo qualcosa? La causa e gli affari?! Inuyasha, mi stai ascoltando?! › Aveva iniziando, come una mitragliatrice Yumi, gettandogli addosso tutte quelle informazioni, e domande che non gli erano mai parse tanti inutili. Tornò a fissarla, concedendole la sua attenzione e boccheggiando ancora. Come poteva dirle ora, tutta la verità?! In cosi poco tempo, con i suoi modi, tra l'altro? Si armò di forza e coraggio, perchè non poteva permettersi di perdere nuovamente Kagome, al diavolo le promesse, e il lavoro, non gliene importava nulla.
‹ Yumi io.. › iniziò, guardandola ammutolirsi e farsi curiosa, con i suoi occhioni grandi. ‹ Non sono mai partito per New York. › Aveva solamente spifferato, tornando alla ricerca di una figura sottile, che reggeva un cappottino rosso, che Kami, quanto gli piaceva! Tornò sulla rossa, davanti a lui, scuotendo il capo e riacquistando lucidità. ‹ E Yumi io.. non posso sposarti. Io non posso.. › Aveva bisbigliato, vedendola schiudere le labbra arrossate, e iniziare a cacciare lente e calde lacrime. La vide scuotere il capo, confusa, provando ad avvicinarsi per abbracciarlo o baciarlo, un qualsiasi contatto con lui, che si ritirò, veloce, sfuggente. ‹ Non posso Yumi! › Aveva bisbigliato, prendendole le spalle e stringendole piano, con affetto. ‹ Io.. ti ferirei. Ma non voglio, sei una persona tanto speciale. › Aveva mormorato, donandole la sua piena attenzione ora, sfiorandole con una mano la gota.
‹ E' lei, vero?.. E' tornata. › Aveva bisbigliato Yumi, portandosi le mani al volto e singhiozzando in maniera veloce e dolorante, la schiena si inarcava più volte e in maniera veloce, avrebbe giurato di poter sentire il suo dolore, attraverso i movimenti della sua schiena sottile. La guardò, cosi rannicchiata su se stessa, piccola e fragile, era sempre stata intuitiva, Yumi. Forse in realtà aveva sempre saputo tutto, ogni cosa, che non l'amava realmente, almeno non come amante, ma come amica, che non voleva sposarla, che non voleva convivere, nulla. Niente. Annuì solamente, quando lei alzò lo sguardo lucido, col trucco che era lievemente colato sulle gote, sorridendo in maniera amara e triste.
‹ Capisco.› Aveva bisbigliato, sfilandosi l'anello di fidanzamento e cedendoglielo con un gesto lento. Era seria, non le piacevano le scenate, si trattava della sua immagine pubblica, e Yumi ci teneva, a questo tipo di cose. Lasciò ricadere l'anello nella sua mano, e silenziosa come era entrata nella sua vita, se ne andò, lasciandogli l'amaro tra le labbra, per una storia che non era mai nemmeno iniziata per lui. Si voltò, a fissarne la schiena che lenta, si allontanava, tra la folla.

Scacciò subito via tutti quei pensieri e lasciò correre nuovamente gli occhi ambrati sugli sportelli, cercandola nuovamente. Ed eccola lì, ancora in fila tra quelle persone che la spintonavano di qua e di là per passare. Fragile. Non si sarebbe fatto fermare, ora, avrebbe ucciso qualcunoa, se lo sentiva. Corse, in maniera umana, spintonando anche lui per poter passare, arrivarle vicino, dietro, accanto. Ovunque, andava bene. Non poteva aspettare, sentiva il suo profumo accrescere di intensità, il respiro irregolare, l'odore salato delle sue lacrime. Socchiuse gli occhi, fissandola mentre si avvicinava veloce a lei, tra la folla.


Kagome! › Lo pronunciò ad alta voce, la richiamò, guaendo come se fosse stato ferito, attaccato. La vide voltarsi di scatto, e finalmente, finalmente, dopo due anni, si permise di affondare in quelle due pozze scure, lucide, piene di lacrime, ma erano lì, tristi e abbandonate, ma erano lì. Sorrise, felice, rassicurato, rincuorato, esausto, stanco. Ma sorrise. Non le diede il tempo di rispondere, di far nulla, che le strappò di mano il biglietto, tenendolo in una mano, prima di prenderle la vita e avvicinarla a se, con velocità. Non poteva aspettare, ne voleva. Lei non se ne sarebbe andata, a costo di tenerla incatenata a se, ma doveva averla vicino.

‹ Non te ne andare. Non partire. Resta con me. › Sussurro, soffiandole sul viso, vedendola boccheggiare confusa, esterrefatta, ma ancora, non le diede il tempo di reagire. La strinse più forte a se, e la baciò. Un bacio casto, un bacio dolce, delicato e innocente, un saluto, un arrivederci o un resta, un assenso, un ritrovo. Si allontanò da lei, e la fissò, attentamente. Si concesse, quello che non aveva avuto, per tutti quegli anni. I capelli neri, le si erano allungati, le sfioravano i fianchi, sempre con quell'onda leggera che li arricciava sulla fine. Erano morbidi, li sentiva a contatto con le dita, sottili come la seta. Le labbra pronunciate, imbronciate quasi e arrossate, le tremavano lievemente le gote erano di un tenue color pesca, arrossate per l'emozione, ne era sicuro, era emozionata tanto quanto lui, non c'erano altre spiegazioni. Alzo le mani, mettendole a coppa sulle sue gote, sfiorandole e stringendo appena gli occhi, recuperando la forza e il coraggio per guardarla negli occhi. Lì alzò, finalmente, permettendo all'ambra e al cioccolato di fondersi nuovamente tra loro. Ne scorse dolore, tristezza, abbandono, il silenzio, il tradimento. L'amore. Ciò che regnava in quegli occhi era l'amore, e desiderò ardentemente che fosse per lui. Strinse con forza il biglietto, continuando a tenerla stretta, come se avesse paura che sgusciasse via, in un soffio, andasse via, da lui.

‹ Inuyasha..? › Aveva bisbigliato lei, in una domanda, insicura, incrinata. Il tono era un soffio appena, e le labbra si erano lievemente mosse per far uscire dalle sue labbra, in un soffio il suo nome. Quanto l'adorava. Non c'era altro tono, altra voce che pronunciasse il suo nome tanto bene, con tanta dolcezza. La baciò, con forza, con enfasi, lasciando che le sue mani vagassero all'impazzata su di lei, dal viso, ai fianchi, alla schiena, e di nuovo al viso, ai capelli, che sfiorava con lentezza e dolcezza. Ne era affamato. Non riusciva a decidersi dove tenerla, era troppo, tutta insieme, lì davanti a lui. La sentì ridacchiare, divertita, felice contenta, e si allontanò da lei, guardandola curioso, non capendo. Era bellissima.

‹ Inuyasha. Andiamo via, ti prego. › Aveva bisbigliato verso di lui, stringendogli le spalle con una mano, e avvicinandosi a lui lentamente. Non se lo fece ripetere, come poteva, farselo ripetere, più di una volta? Afferrò la sua valigia come se fosse vuota, e subito dopo lei, prendendola per un fianco e schiacciandola contro di se, camminando, anzi correndo, verso l'esterno dell'aeroporto. Non l'avrebbe lasciata partire, al costo di alzarla di peso e portala via. Doveva dirgli tutto, raccontargli ogni cosa, non poteva pensare o credere che Kagome pensasse realmente che lui l'avesse tradita. Veloce, come un fulmine sistemò la sua valigia nel bagagliaio, e Kagome dentro la vettura. Subito dopo diede l'indirizzo al conducente e si sedette vicino a lei. Rimase a fissarla, incantato per più di tre minuti, ne era sicuro. Ne fissava i capelli che ondeggiavano seguendo il ritmo dell'auto, le labbra schiuse, gli occhi attenti alla strada.

‹ Kagome.. › La richiamò in un sussurrò, e lei si voltò, lenta, verso di lui, guardandolo con gli occhi più felici che le avesse mai visto sul volto, tanto felici da brillare di luce propria, splendenti in quella vettura, come se vi fosse un sole che brillava di luce propria, lì, tra loro. ‹ Kagome, io non ti ho mai tradito, devi credermi, non era niente vero, una ragazza, Kikyo, lei ci ha allontanati, credimi, so che è tua amica, o almeno lo credi ma n- › Aveva iniziato a parlare a raffica, senza nemmeno preoccuparsi di pronunciare in maniera adatta le parole, scandendole bene, no, correva, il tono era alterato e incrinato per l'emozione, e i dossi che l'auto prendeva non aiutavano a farlo esprimere in maniera migliore. Ma venne bloccato dalla ragazza, che, l'aveva baciato. Veloce, sicura, decisa. Come anni prima. Non tentò nemmeno di opporsi, abbandonandosi alle sue labbra, e tornando a cingerla con le braccia. Aveva un disperato bisogno di sentirla vicino, sua, per sempre.



Il silenzio regnava sovrano nella stanza, o almeno cosi gli pareva. C'erano i rumori abituali di una casa, un'abitazione. Schiuse piano gli occhi, lasciando che due pozze ambrate si schiudessero e vagassero nella stanza dove era sistemato. Per un attimo, aveva temuto che fosse tutto un sogno. Che lui, Kagome non l'avesse ancora ritrovata, che lei non fosse mai tornata. Strinse gli occhi con forza, girandosi lentamente verso il centro del letto, e allungando le mani, alla ricerca della figura della sua compagna. Non la trovò, e spalancò gli occhi, terrorizzato. Si mise a sedere, lasciando scivolare il lenzuolo fino alla vita e mostrando il busto nudo. Si guardò attorno, silenzioso. Quella era la casa di Kagome, ne era certo, lui era lì. Ma era tutto vero, quello che era successo il giorno prima? La chiamata di Miroku? E se aveva sognato tutto? Come avrebbe potuto convivere con quel dolore, l'abbandono. I rumori dalla cucina lo richiamarono, e veloce, lasciò scattare il volto verso la porta della camera socchiusa, che lasciava entrare uno spiraglio di luce dall'esterno. Silente, come la sua natura demoniaca gli permetteva, scese dal letto, complice del loro passione e dei loro profumi, recuperando i boxer e infilandoli lentamente, prima di sgusciare con fare sospetto verso la cucina, dalla quale proveniva un dolce odore di cibo. Si affacciò alla porta, restando fermo a fissare la figura di spalle che trafficava con i fornelli. Sorrise, dolce, innamorato, verso quella visione che tanto gli era mancata. Era lì, la sua Kagome, con un paio di slip colorati, e la sua maglietta del giorno prima, che le andava decisamente grande, i capelli erano legati in una coda bassa e aveva un grembiulino legato attorno alla vita. Le gambe, sottili e bianche si muovevano da un lato all'altro, scostando la figura da destra sinistra, e di tanto in tanto i piedini si alzavano sulle punte per permetterle di alzarsi. Stava cucinando le crepes. Socchiuse gli occhi, e si appoggiò alla porta, soddisfatto, felice, rasserenato. Non doveva preoccuparsi più di nulla, se lei era lì, con lui.


‹ Ehi! Ben svegliato! Siediti a tavola, io ho quasi finito. › Aveva sussurrato lei, verso di lui, risvegliandolo dai suoi pensieri e indicandogli con una forchettina la tavola apparecchiata, come suo solito, per dieci persone. Fissò la sedia, dove era solito sedersi quando era lì, con lei; e lo fece, la tirò dietro e si sedette silenzioso su questa, guardando le varie bevande e cibi vari che aveva sistemato davanti. Non ne era più abituato, non sapeva più come comportarsi, avrebbe voluto far come se niente fosse, ma averla lì, ora, lo rendeva più felice di qualsiasi altra cosa, era certo che avrebbe potuto conquistare il mondo, ora, con lei. La vide avvicinarsi nuovamente, con un piatto di vetro tra le mani, dove sopra erano sistemate a piramide, le crepes vuote, che avrebbero dovuto riempire. La vide sistemarle al centro tavola, tra nutella e marmellate varie, prima di soffermarsi a fissarlo, sfilandosi il grembiulino.

‹ Inuyasha.. cosa c'è? Ho fatto qualcosa che non dovevo, che non andava? › Aveva mormorato, con aria preoccupata lei, poggiando il grembiule sulla sedia e unendo le mani sul ventre, strizzandosele tra loro, e stringendole, rendendo i polpastrelli bianchi e che le dolevano. Allungo le mani artigliato verso di lei, prendendole i polsi e tirandola verso di se, piano, facendosi dietro con la sedia e tirandola ancora, allargando le gambe e affondando il viso sul suo ventre, stringendola con forza e possesso contro di se. Non poteva sopportare l'idea che lei, pensasse che lui, non la volesse, che facesse qualcosa di sbagliato o che non andava, perchè era dannatamente perfetta lei, in quel modo lì, che non poteva essere migliore, e per questo, si era innamorato di lei. Alzò piano la stoffa della maglia, lasciandole il ventre piatto scoperto e baciandole piano la pelle sotto l'ombelico, con dolcezza.

‹ Non hai fatto nulla. Sei perfetta. › Aveva sussurrato, sentendola fremere lievemente. Non era mai stato tanto diretto, tanto dolce, tanto sentimentale. Non era un tipo da fare queste cose, lui. Era più un buzzurro per la maggior parte delle volte, e lei lo sapeva bene, aveva perso il conto di quante volte, l'aveva fatta arrabbiare o intristire perchè era un cretino. Ma questa volta le avrebbe detto tutto, ogni cosa, come stava, come la sentiva, come gli batteva nel petto. ‹ Devo abituarmi ad averti qui con me, di nuovo, e per sempre. › Aveva mormorato, prima di alzarsi, abbandonando la maglia sul suo ventre, e abbracciandola con forza, donandole un bacio dolce, sulle labbra. L'aveva sentita sorridere, prima di allontanarsi da lui, e tornare a sedersi al suo posto tirando le gambe sulla sedia e recuperando una crepes vuota e fissandolo.

‹ Allora, cosa preferisci? Marmellata o nutella? › Aveva mormorato lei, brandendo un coltello privo di dentatura, per spalmare il burro, ma che lei, usava per spalmare ogni cosa che dovesse essere spalmata. Stava per tornare a parlare, ma la sua mano, che le aveva rubato il coltello e recuperato un'altra crepes la fece sobbalzare. Lo scrutò attentamente, con un espressione corrucciata sul viso, svitando il tappo della nutella e imbronciandosi appena.

‹ Fhe! Fammi fare a me, femmina! Tu mi avveleni! › Aveva grugnito lui, iniziando a spalmare sulla crepes la nutella, assumendo un espressione bonaria e rilassata, a differenza di lei, che si era corrucciata tutta, e si era alzata, andandogli contro e buttandosi praticamente sopra di lui, impedendogli di continuare l'operazione che stava facendo, dandogli una serie di pugni e pizzichi leggeri sui fianchi, accompagnati da dolci baci e carezze per tentare di farlo desistere o arrendere. Sorridevano e ridevano divertiti, felici di essere tornati insieme, di essere riusciti a ritrovarsi, e si abbracciavano e baciavano, con le labbra sporche di cioccolato e felicità, mentre fuori, lenta, iniziava a cadere la neve.



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Finitooooooooo!
finalmente :D
allora, cosa ve ne pare?
questo capitolo è più breve
e meno ricercato per il futuro!
cosi avete la possibilità di immaginarvi il resto :D

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