The Days Of Our Lives

di midorijpg
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Childhood ***
Capitolo 2: *** You Take My Breath Away ***
Capitolo 3: *** Sweet Little Sister ***
Capitolo 4: *** My Love ***
Capitolo 5: *** Don't Misunderstand Me ***
Capitolo 6: *** I Finally Found My Way To You ***
Capitolo 7: *** Never Gonna Find Us ***



Capitolo 1
*** Childhood ***


1. Childhood

È successo tanti anni fa, ma mi ricordo ogni situazione, ogni emozione, ogni sguardo, come se fosse accaduto soltanto ieri.
Avevo otto anni quando lei divenne la mia vicina di casa, trasferendosi nella fattoria a distanza di uno steccato da quella in cui abitavo io.
Quando arrivò, insieme alla sua famiglia, non avevo neanche voglia di conoscere questi “nuovi vicini”, ma mia madre era impassibile e mi costrinse a venir fuori e a fare il bambino educato, per una volta, cosa che assolutamente non era il mio forte.
Preferivo mille volte di più rimanere in garage a provare concerti azzardati con i miei amici o rimanere nella mia cameretta ad ascoltare gli ultimi 45 giri usciti.
Come arrivammo a casa sua, i nostri genitori si misero a parlare e ci mandarono a fare un giro per “conoscerci meglio”, come dicevano loro.
Quando la vidi per la prima volta, questa bambina non mi sembrava niente di che: si chiamava Melanie, Melanie Evans, e magari si poteva considerare carina, con quelle guance rosse e paffutelle che la facevano sembrare una bambola di porcellana e quei grandi occhi marroni da cucciolo, che avrebbero intenerito persino la più inflessibile delle persone.
Non era particolarmente loquace, ma se apriva la bocca, era per mormorarti due cosette con una flebile voce oppure per cantare, cosa che era solita fare, per esempio, di mattina quando apriva la finestra per cambiare l’aria. La mia casa era vicinissima alla sua, perciò la potevo sentire facilmente.
La sua voce era il segnale di sveglia per me, ma era talmente piacevole, dolce e melodica che al mattino restavo ancora per cinque minuti nel letto con gli occhi aperti per godermi quel risveglio così musicale.
Pensavo sempre che, prima o poi, l’avrei inserita nel mio gruppo per farle sfruttare al meglio quella sua voce così intonata.
Io ascoltavo le “novità del momento”: Elvis, Chuck Berry, Jerry Lee Lewis e Little Richard, mentre lei era un po’ più romantica ed era fan di star giovanissime e ancora poco conosciute come Bob Dylan e Joan Baez, che le trasmettevano quelle idee di pacifismo e libertà già dalle prime canzoni che facevano, contraddistinte da una semplice chitarra classica molto folk.
Grazie a questi fatti, la nostra amicizia era nata e si rafforzava ogni giorno di più.
Io sentivo che quello che provavo era più di una semplice amicizia, lo capivo ogni volta che discutevo di gruppi musicali con lei, ogni volta che improvvisavo qualche passo di rockabilly per farla ballare insieme a me, lo capivo ogni volta che lei mi metteva a posto la camicia (perché io, da buon ribelle quale ero già a dieci, undici anni, mi tenevo sempre la camicia fuori dai pantaloni), ogni volta che mi aiutava a sistemarmi la mia enorme frangia bionda raccolta in un ciuffo da un lato, lo capivo ogni volta che ridevamo insieme per una cazzata che era capitata ad uno dei due e io sentivo finalmente quella sua voce cristallina liberarsi nell’aria, producendo un suono allegro e squillante.
Una volta, a dieci anni, decisi di presentarla ai miei amici del gruppo.
“È la mia ragazza” dicevo fiero di me, probabilmente senza neanche sapere quello che stavo dicendo.
Ma Mel (così la chiamavo, affettuosamente) non si offendeva per niente, non era il tipo da arrabbiarsi per una cavolata del genere.
Un giorno le proposi di provare a cantare una canzone che conosceva accompagnata da noi ragazzi del mio nuovo gruppo, i Cousin Jacks, dove io suonavo la chitarra.
Lei acconsentì, dopo molti incitamenti, e alla fine provò un pezzo di Billie Holiday, Strange Fruits.
Io non immaginavo che lei conoscesse le parole, io conoscevo a malapena gli accordi (il jazz non mi appassiona più di tanto, ma quella canzone è veramente stupenda, così decisi di impararla), e forse neanche lei sapeva che io e i ragazzi la conoscevamo, così da quel momento diventammo ufficialmente inseparabili.
Ci prendevamo in giro a vicenda, ridevamo, correvamo insieme a piedi nudi nella verde brughiera della Cornovaglia, sentendoci liberi da ogni preoccupazione, ci rivelavamo i nostri segreti più oscuri e profondi e, per fortuna, andavamo a scuola insieme.
Non riuscivo a fare a meno di lei, non riuscivo a stare un giorno senza vedere il suo sorriso, senza sentire la sua voce intonare qualche pezzo lento e romantico.
Mel mi considerava come un buon amico, ma io sentivo di provare qualcosa in più nei suoi confronti, anche se eravamo solo dei ragazzini. La sua presenza mi trasmetteva allegria e spensieratezza, e, nonostante i suoi numerosi tentativi di farmi diventare un bravo ragazzo, non riusciva mai a farmi mettere la testa a posto.
Un giorno, però, accadde un fatto che mi rimarrà nella mente per sempre, da quanto è triste.
Mancava una settimana all’inizio della scuola media e, in pratica, io e Mel avremmo dovuto essere in classe insieme, come d’abitudine.
Io ero felicissimo, non desideravo altro che mettermi in mostra e poi farmi rimproverare dalla mia Mel, ma ogni volta che parlavamo, i suoi occhi marroni, un tempo così felici, sembravano riempirsi di lacrime, che poi venivano ricacciate in dentro con un gesto confuso.
Decisi di approfondire il motivo di tutta quella tristezza, così la trascinai sotto l’albero che consideravamo un po’ nostro, per via delle tante volte in cui ci raccontavamo le nostre cose in quel punto, e le chiesi, sollevandole il mento con due dita in modo che lei potesse guardarmi negli occhi:
“Ehi, Mel, che c’è?”
“Niente.” mi rispose lei, mentendo palesemente.
“Sei emozionata per la nuova scuola? Hai problemi con i tuoi genitori? A me puoi dirlo, lo sai.”
Lei tirò su con il naso e mormorò:
“Beh, sai che mio papà fa il manager, no?”
“Sì, e allora?”
“Ha ricevuto una promozione, e questo gli permetterà di trasferirsi con la sua famiglia in un luogo migliore.”
Mi sentii cadere il mondo addosso.
“Ma...con la sua famiglia...e quindi...” balbettai.
“Con me.”
Dette queste due semplici parole, il suo viso così grazioso si inondò di lacrime e lei si abbandonò ad un pianto sommesso e silenzioso, con il volto appoggiato alle ginocchia.
Io rimasi di sasso.
La mia migliore amica, colei che mi aveva fatto battere il cuore per la prima volta, l’unica persona in grado di capirmi e accettarmi per quello che ero, se ne stava andando via da me per colpa del fottutissimo lavoro del padre.
“Non è possibile...” continuavo a ripetere.
Allora Mel, vedendomi così, mi buttò le braccia al collo, piangendo sulla mia spalla.
Io la strinsi forte, tristissimo per la notizia e un po’ emozionato per quel contatto fisico che desideravo da tanto tempo.
Non riuscivo a proferire parola, il mio morale era sceso nelle viscere della Terra.
“Non voglio andare via, non voglio!” mi ripeteva lei, singhiozzando. “Io voglio restare qui con te, questa è casa mia!”
“E dove dovreste andare?” le chiesi senza guardarla negli occhi.
Non era colpa sua, ma mi sentivo tradito.
Ci eravamo ripromessi a vicenda di restare amici per l’eternità e adesso, i suoi genitori la stavano costringendo a rompere il nostro patto.
“A Plymouth, a due ore da Truro. Frequenterò una scuola locale, anche se so già che mi troverò malissimo.”
Plymouth.
Non sapevo più cosa pensare.
“E per quanto tempo ci starete?”
“Non lo so ancora, è questa la cosa peggiore! Ci posso stare sei mesi come ci posso stare sei anni!”
“Oh, cavolo.”
Furono le uniche parole che mi vennero in mente in quel momento per esprimere tutta la tristezza, la rabbia e l’indignazione che provavo in quel momento.
Me ne tornai a casa con un enorme vuoto nel cuore.
Mi chiusi in camera mia e formulai le ipotesi più assurde che mi balenarono nella zucca in quella situazione così confusa.
E se a Plymouth Mel avesse trovato un amico migliore di me?
E se fosse diventato più di un amico?
E se Mel mi avesse dimenticato per sempre?
Io in quel momento non avrei potuto immaginare una vita senza Mel.
Ci tenevo a lei, era la mia migliore amica e, a volte, speravo potesse diventare qualcosa di più, ma non riuscivo a sopportare l’idea di non poterla più vedere per un tempo maledettamente indeterminato, di non ballare più con lei, di non sentire al mattino il suo canto paragonabile a quello di un usignolo in primavera.
Ero letteralmente depresso.
Fortuna che ero ancora troppo piccolo e non conoscevo gli effetti (non proprio) anestetici dell’alcool, perché se no mi sarei bevuto almeno quattro bottiglie di vodka per reprimere a fatica la depressione.
La sera prima della partenza, presi Mel e la portai nella brughiera, così che lei potesse assaporare per l’ultima volta una delle cose che rendono così speciale la nostra Truro.
Il cielo era sereno e pieno di stelle.
L’avevo portata lì anche perché volevo finalmente rivelarle tutto ciò che avevo provato e che provavo quando ero insieme a lei, quando la sentivo cantare, quando me la ritrovavo incredibilmente vicina mentre lei mi rimetteva a posto la camicia nei pantaloni.
Ero abbastanza nervoso, non avevo mai fatto una dichiarazione d’amore prima di allora.
Perciò continuavo sempre a toccarmi il ciuffo, spettinandolo di conseguenza.
“Aspetta,” mi disse lei ad un certo punto. “stai fermo un secondo...”
Poi mi rimise a posto il ciuffo.
Non ero mai stato così emozionato come quando sentii le sue dita sulla mia fronte; le avevo sentite tante volte, ma in quel momento avevano un tocco diverso, più aggraziato, come se fosse stato realizzato apposta per mettere più suspense a quella semplice scenetta.
“Ecco, adesso sei carino.” mi disse dopo una manciata di minuti che mi erano parsi interminabili.
Io deglutii. Le parole non mi venivano in bocca, non riuscivo a spiegarmene il perché.
“Ehm...senti, Mel...”
“Dimmi, Rog.”
Ma perché, perché, perché non riuscivo semplicemente a dire: “Tu mi piaci più di ogni cosa al mondo e non voglio lasciarti mai perché tu per me sei speciale”?!
“Ehm...ti ricorderai di me quando sarai a Plymouth?” le chiesi invece.
“Certo, come potrei dimenticarti? E tu ti ricorderai di me?”
“Naturalmente, tu sei indimenticabile.” sussurrai senza neanche accorgermi di quello che le mie labbra avevano appena pronunciato.
Mel mi guardò negli occhi, poi mi disse:
“Abbracciami, ti prego. Ne ho tanto bisogno.”
Io obbedii e la strinsi forte.
Il profumo che emanavano i suoi capelli mi penetrava nelle narici.
“Ti voglio bene, Roger.” mi mormorò all’orecchio.
“Anch’io, Mel. Tanto.” risposi finalmente io.
Quando la riaccompagnai a casa, indugiammo due minuti sull’entrata, per darci i saluti finali.
Come la vidi lì, sulla soglia, illuminata solo dalla luce di una lanterna vicino alla porta, che la faceva apparire come un angelo appena atterrato sulla Terra, mi venne voglia di darle un bacio.
Ma Mel, stranamente, mi precedette e, quando sentii le sue labbra posarsi sulla mia guancia, delle scosse elettriche mi attraversarono la schiena e mi si rizzarono i capelli in testa.
“Grazie di tutto.” mi sussurrò prima di sparire alla mia vista dietro quella porta che, io speravo, non rimanesse chiusa per sempre.


Hello everybody!
Son ritornata con una piccola long...
Spero vi piaccia, è la prima che scrivo sui Queen!
Quest'idea di Rog bambino mi ronzava da un po' in testa, ho visto una sua foto da piccolo e sono rimasta folgorata xD *sospira ripensando sognante alla foto di Roger*
...Ah, eccomi, scusate!!!
Desclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di Roger Meddows-Taylor e soci, né intendo offenderli in alcun modo.
I personaggi realmente esistiti non mi appartengono, e Melanie è solo un frutto della mia immaginazione.
Beh che dire...
Leggete e, se ce la fate, recensite!
See you,
Midori
ccccccc

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Capitolo 2
*** You Take My Breath Away ***


2. You Take My Breath Away

Alla mattina, Mel partì.
Lo capii perché mi svegliai più tardi del solito e mia madre fu costretta a scrollarmi per farmi venire giù dal letto.
Non mi ricordavo neanche da quanto tempo non avevo una sveglia così brusca.
La prima settimana a scuola la passai sottoforma di straccio, letteralmente: non sembravo nemmeno io, non mi mettevo in mostra, ero diventato quasi asociale.
Questo perché lei non c’era.
Se in precedenza facevo tutte quelle cose, era perché lei mi dava la forza per farle.
Cercavo di farmi notare il più possibile perché volevo attirare la sua attenzione, volevo che lei mi rimproverasse, volevo stuzzicarla facendola arrabbiare.
E adesso non c’era più nessuno come lei, nessuno che mi dicesse: “Non fare così!” in quel modo esasperato e divertito al tempo stesso che solo lei sapeva usare.
Mi sedevo sempre sotto il nostro albero e guardavo il disteso paesaggio della brughiera, chiedendomi se mai fosse tornata, dov’era in quel momento, se ogni tanto pensava a me.
Ogni pomeriggio speravo che la porta di casa sua si aprisse e che lei venisse da me a braccia aperte, ritornando a giocare, a correre, ad essere finalmente libera insieme a me.
Ma la porta rimaneva chiusa, impassibile, e tutto il verde intorno alla casa, prima così rigoglioso, adesso sembrava andare in depressione come me, perché mancava Mel, mancava l’unica cosa in grado di dare sostentamento a tutti e due.
Intanto gli anni passavano, la mia carriera musicale andava a gonfie vele (mi ero trovato un nuovo gruppo, i Reactions, e avevo iniziato a suonare la batteria), ma le mie speranze di rivedere quella bambina dalla voce d’angelo erano sempre minori.
A metà del quarto anno di liceo, però, accadde una cosa che cambiò la mia vita.
Andavo al liceo scientifico di Truro, vivevo ancora con i miei genitori, mi ero fatto crescere i capelli (portavo un caschetto), incominciavo ad ascoltare musica diversa e mi ero trovato una fidanzata, Jill, ma le cose tra noi due stavano precipitando.
Ma qui ci arriveremo con calma.
Sta di fatto che una notte fui svegliato da dei rumori confusi ma soffocati provenienti dalla casa accanto alla mia, quella che in precedenza era abitata da Mel e la sua famiglia.
Volevo andare a vedere che stava succedendo, ma non volevo svegliare tutti; inoltre, ero troppo pigro, non avevo voglia di alzarmi nel bel mezzo della notte.
Quei rumori, però, mi insospettirono da morire.
La mattina dopo fu tutto normale: sveglia, doccia, colazione, liceo.
Verso la fine della seconda ora, mi alzai e mi avvicinai alla cattedra per chiedere di andare in bagno.
In quel momento, accadde un miracolo.
Bussarono alla porta: era il preside, che annunciò che da quel giorno ci sarebbe stata una nuova alunna nella nostra classe.
Non ne fui molto entusiasmato, ma quando il dirigente presentò la nuova arrivata alla classe, rimasi sbigottito al massimo.
“Ciao a tutti.” disse la ragazza quando il preside se ne andò.
Quella voce.
Mi girai di scatto verso la novellina e, quando i nostri sguardi si incontrarono, un sorriso mi nacque in faccia, il primo dopo tanto tempo, e il mio cuore si mise freneticamente a battere, come se si fosse riacceso dopo tanto tempo in cui era rimasto privo di vita, privo di sentimenti.
Era proprio lei.
Di aspetto era cambiata molto, era bellissima.
Il visino tondo, con il mento a punta, era contornato da una stupenda cascata di enormi boccoli castano scuro, raccolti in una coda; sfuggiva solo un riccio ribelle, che le ricadeva sulla fronte e che lei non tardava a rimettere a posto, ma senza successo.
Gli stessi occhi da cucciolo, le stesse guance di porcellana, forse un po’ meno paffute di allora.
Era alta e snella, un vero fisico da modella.
Vestiva con una T-shirt nera, un paio di jeans a zampa e due Converse bianche immacolate.
“Melanie!” esclamai.
Lei mi guardò a fondo, poi i libri le caddero di mano e balbettò:
“R...R...Roger!”
Inutile dire che cacciai un urlo, mi fiondai verso di lei al colmo della gioia e la presi in braccio facendola ruotare, causando così lo stupore dei miei compagni di classe e l’indignazione della professoressa, che mi rimproverò:
“Signor Taylor, un po’ di contegno, per favore! Piuttosto, aiuti la signorina Evans con i suoi libri, si renda utile! Signorina Evans,” disse poi rivolta alla mia amica. “può prendere posto accanto al signor Taylor, visto che è l’unico rimasto senza compagno di banco.”
Io e Mel obbedimmo e, quando fummo ai nostri posti, ci mettemmo a parlare fitto fitto, con grande disappunto della professoressa che ci dovette richiamare più volte.
Ma a noi non importava.
Eravamo di nuovo insieme, e questo ci bastava.
Per tornare a casa, percorremmo la strada insieme: lei aveva ripreso ad abitare vicino a me, ecco spiegati i rumori della sera precedente!
Al pomeriggio ci vedemmo di nuovo, sotto il nostro albero.
“Ma lo sai che non ti avevo riconosciuto, stamattina? Sei cambiato tantissimo, dov’è finita la frangiona che mi piaceva tanto mettere a posto?” mi chiese prendendo tra le dita affusolate una mia ciocca di capelli.
“È cresciuta, insieme alla voglia di continuare a suonare. Anche tu sei cambiata tantissimo, sei più bella.” le risposi io accarezzandole il viso.
Mel arrossì, e questo mi fece venire voglia di darle un bacio, ma mi trattenni: volevo che lei mi considerasse solo un amico.
“A proposito, come va con i ragazzi?” mi domandò risvegliandomi dal sogno paradisiaco che mi aveva creato il rossore sulle sue guance morbide.
“Sai, adesso sto con una nuova band, i Reactions, ma mi sa che tra un po’ finiremo di fare concerti.”
“Come mai?”
“Beh, da quando Johnny Quale, il leader, se n’è andato, è toccato a me prendere le briglie del gruppo. Ai primi tempi ci riuscivo, ma adesso non riesco a tenere testa a quei bastardi. Mi fanno fare qualsiasi cosa! Io non ce la faccio più e credo che tra un po’ mi cercherò una nuova band.”
“Oh, mi dispiace. Se hai bisogno di aiuto, comunque, io sono sempre disponibile.”
Io le sorrisi.
Adoravo questo fatto di lei, era gentile e premurosa.
“E tu? Continui a cantare, spero...” dissi speranzoso.
“Certo, è una passione che non ho mai perso. I miei mi hanno iscritto ad una scuola di canto perché pensano che potrò guadagnarmi da vivere con la voce che ho, ma io ho un’altro sogno.”
“Quale?”
“Voglio studiare per diventare zoologa. I comportamenti degli animali mi affascinano in una maniera strabiliante e voglio imparare a comprenderli al meglio.”
Quando mi disse queste parole, una luce di ammirazione nei suoi confronti si accese dentro di me.
Anche da piccoli, l’avevo sempre stimata per la sua grinta e la sua forza di volontà.
“Sai, stamattina non mi sembrava vero di poterti vedere ancora.” ammisi.
“Neanche a me. Quando i miei mi hanno comunicato che saremmo ritornati a Truro, sono letteralmente esplosa dalla gioia!”
“Ma ti ricordi, quando eravamo piccoli?” chiesi con un pizzico di rimpianto nella voce.
“Sì, stavamo sempre sotto quest’albero a rivelarci le nostre cose. Qui seppi che tu avevi paura dei ragni, ma non lo volevi ammettere mai...”
“E ce l’ho ancora adesso!” risi. “Io qui seppi che tu odiavi le gonne e i tuoi genitori te le facevano mettere a forza, anche se tu non volevi!”
“E lo fanno tuttora. In fondo, non siamo molto cambiati da quando eravamo piccoli.”
“Già. È bello restare bambini, anche se si cresce.” sospirai appoggiandomi al tronco di quell’albero dietro di noi.
Mel, a quel punto, mi abbracciò e posò la testa sul mio petto, poi mi disse:
“Roger, ti voglio bene. Promettiamo di rimanere sempre amici e di non lasciarci mai, qualunque cosa succeda?”
“Certo, non voglio più perderti, adesso che sei ritornata.”
“Allora, amici per l’eternità?”
“Per l’eternità e anche di più, se necessario!” risi io accarezzandole la schiena.
Riuscivo a sentire il profumo dei suoi capelli, che non era cambiato, e ne ero completamente rapito.
“Oh, vieni!” mi disse ad un certo punto. “Ti voglio mostrare la mia seconda passione.”
Mi prese per mano e mi trascinò in casa sua, che era deserta perché i suoi genitori erano fuori per lavoro.
Mi portò in camera sua, mi fece sdraiare sul suo letto a due piazze e mi disse di chiudere gli occhi e rilassarmi.
Poco dopo il suono di una voce, accompagnata da un pianoforte e un basso elettrico, riempì tutta la stanza.
La canzone era molto melodiosa, proprio il genere che piaceva a Mel, solo che non l’avevo mai sentita prima d’ora.
E nei suoi occhi non vedi nulla, niente segni d’amore dietro le lacrime piante per nessuno...” diceva la canzone.
Ero completamente ammaliato da quella melodia, era una delle più dolci che avessi mai udito, ma dovevo saperne di più, così a metà della canzone aprii gli occhi, mi girai e vidi Mel sdraiata accanto a me, che mi fissava mentre mi perdevo in quell’incanto musicale.
“Che ne dici?” mi chiese.
“Fantastico.” risposi.
“Questa si chiamava For No One, è dei Beatles.”
“Oh, no, anche tu?” esclamai esasperato.
“Perché, cosa c’è di male nell’ascoltare i Beatles? Sono il mio gruppo preferito!”
“Nella nostra scuola ci sono più ragazzine urlanti per i Beatles che automobili per strada.” spiegai io sorridendo. “Anche tu ne sei caduta vittima?”
“Già, e me ne vanto, caro mio! Poi, io non sono come quelle stupide ragazzine urlanti! Guarda che sono loro il motivo per cui i Beatles hanno finito di fare concerti! Io amo solo la loro musica...”
“Ah, sì? Io avrei di meglio da farti ascoltare...” mi vantai.
“Dimostramelo, signor sapientone!”
Così la presi per mano e la portai in camera mia, la feci sedere sul letto con gli occhi chiusi e misi sul giradischi Let’s Twist Again, di Chubby Checker, un vecchio classico che però io adoravo.
“Ma questo è Let’s Twist Again! È vecchia, pensavo avessi di meglio da farmi ascoltare...” mi disse con un pizzico di delusione aprendo gli occhi marroni.
“Beh, per ora...” mormorai prendendole una mano “...che ne dice di concedermi questo twist, signorina?”
“E come potrei rifiutare?” disse lei alzandosi dal letto e mettendosi a ballare.
Io facevo dei passi a caso, ma lei sembrava un’esperta in quel ballo, aveva fatto progressi.
Quando eravamo piccoli, ero sempre io che facevo finta di farle da maestro e mi divertivo ad insegnarle passi che mi inventavo sul momento; adesso, invece, era il contrario, cercavo in tutti i modi di stare al suo passo e muovere le gambe come faceva lei.
Mel, dal canto suo, vide come mi muovevo io, impacciato da morire, e scoppiò in una fragorosa risata, quella risata così cristallina che mi mancava da troppo tempo, ormai.
Ad un certo punto, lei mi prese le mani e mi fece vedere come si ballava, un po’ più lentamente rispetto alla musica.
Non so cosa mi prese, ma quando lei intrecciò le sue dita con le mie, una vampata mi travolse e contemporaneamente il mio istinto di naughty boy si risvegliò, facendo sì che io potessi tirarla con le braccia verso di me, avendo così il suo viso incredibilmente vicino al mio.
Avvertivo il desiderio frenetico di baciarla sulle labbra, su quelle labbra così sottili, eppure rosse come ciliegie.
Mel abbassò lo sguardo; non potevo sapere che cosa stava pensando in quel momento, ma sono sicuro che, se avesse parlato, avrebbe detto qualcosa come “Ti amo, Roger” oppure “Baciami, cretino”.
Ma, in quel momento così romantico, capitò l’unica persona che non avevo intenzione di incontrare.
“Bene bene...salve, signorini! Vi ho disturbato, per caso?”
Ma con tutte le persone che potevano interromperci, proprio lei doveva capitare?!
“Jill. Che ci fai qui?” mormorai, più freddo di sempre.
“Ti aspetto perché tu oggi mi avevi promesso di uscire, ricordi?” disse lei ironica.
“Ah, già.”
Cazzo, l’appuntamento con Jill!
Me ne ero completamente dimenticato, grazie a Mel, la sua bellezza e la sua simpatia contagiosa.
“Adesso arrivo, scusa Mel.” dissi con grande dispiacere, rivolto alla mia amica scendendo le scale.
“Non preoccuparti, ti capisco. Quando ci vediamo?”
“Anche stasera, se vuoi.”
“Perfetto! Buon giro, allora, ragazzi!” disse salutandoci. “Oh, quasi dimenticavo.” si ricordò poi. “Io sono Melanie, ma puoi chiamarmi Mel. Piacere!” e porse una mano a Jill.
Lei, però, non la strinse e le disse solo:
“Sì, comunque io sono Jill. Ci vediamo, ok?”
Poi mi prese a braccetto e mi trascinò quasi con violenza lontano dalla mia amica, lontano dall’unica persona con cui mi sarei trovato bene in quel momento.
Come al solito, durante tutto il tempo dell’appuntamento litigammo, anche furiosamente, per il fatto che la mia Mel fosse tornata, e alla fine riuscii a dileguarmi con un bel “Vaffanculo, Jill” dritto in faccia a quella ragazza con cui non volevo avere niente più a che fare.
Ritornai a casa e la prima cosa che vidi, in controluce all’arancione del tramonto, fu la figura seduta di Mel, che stava leggendo un libro sotto il nostro albero.
Era molto concentrata, perciò quando le arrivai alle spalle la feci sobbalzare.
“Ciao.” le dissi.
“Oh, ciao, Rog! Scusa, non ti avevo sentito. Come è andato l’appuntamento con Jill?”
“Uno schifo.”
“Perché? Avete litigato?” chiese lei allarmata.
“Sì, ma ormai lo facciamo sempre. Quella ragazza mi sta veramente stancando! Prima o poi la lascio.”
“Ma no, povera Jill, perché vuoi lasciarla?”
“Povera Jill?! Oh, si vede che non la conosci, Mel. È assillante in una maniera stratosferica, mi parla continuamente di fedeltà reciproca nelle coppie. Se vede solo che parlo con un’altra ragazza, mi strattona e mi trascina via, come oggi con te. Eh, però io non le devo dire niente quando flirta con quelli dell’Università! Chissà quante volte mi ha tradito, quella stronza.”
Dopo questo sfogo, Mel rimase sbigottita.
“Uao.” mormorò. “Se ce l’avessi io, un fidanzato così, gli spaccherei la testa.”
“Appunto! Perché io non posso strattonarla quando vedo che fa il filo a quelli più grandi di me? È assolutamente ingiusto, cazzo.”
“Hai perfettamente ragione.”
“Poi, ho sempre odiato quei suoi capelli, hanno un colore sovrannaturale, secondo me se li tinge.” dissi facendo scappare una risatina a Mel. “Io preferisco un altro colore di capelli...” sussurrai poi attorcigliandomi il suo riccio ribelle tra le dita.
Lei rimase in silenzio e abbassò lo sguardo, arrossendo lievemente.
“Cosa stavi leggendo, comunque?”
Piccole Donne.”
“Uao, che titolo...guerriero. Spero che tu non aderisca mai ad un movimento femminista. È tempo di lotte e guerre, sai?”
“Lo so...ma potrei sempre aderirci, per combattere le bestie come te!” esclamò con un pizzico di malizia nella voce.
Una malizia che mi eccitava da morire.
“Davvero lo faresti? Sono veramente così troglodita come mi consideri tu?” le chiesi guardandola intensamente.
“Beh, se tu non fossi in grado ancora di correre con me nella brughiera a piedi nudi, allora lo farei...” disse lei alzandosi.
Poi si diresse verso l’aperta campagna.
Una volta lì, si tolse le scarpe, mi fece una linguaccia e partì come una saetta, urlandomi:
“Corri, dimostrami che non sei vecchio come credo io!”
Non avevo molta voglia di affaticarmi, ma quella ragazza mi intrigava troppo, non riuscivo a resistere ai suoi richiami, ognuno dei quali sembrava fatto apposta per provocarmi in un modo diverso.
Così mi tolsi le scarpe e le corsi dietro.
Da tempo immemore non provavo quella infinita sensazione di libertà, il vento tra i capelli, i piedi nudi nell’erba, la voce squillante dell’unica ragazza che sentivo di amare veramente.
Ad un certo punto non la vidi più, così mi fermai e diedi un’occhiata in giro per capire dove fosse finita.
Non feci neanche in tempo a dire: “Ehi!” che lei mi saltò addosso da dietro, prendendomi alla vita e facendomi cadere nell’erba alta.
Scoppiammo a ridere, ci sentivamo ancora piccoli nel profondo.
Quando aprii gli occhi, Mel era sopra di me, i suoi lunghi boccoli castano scuro mi facevano il solletico al collo e i suoi occhi marroni mi stavano fissando sorridenti.
Io piegai la testa da un lato, speravo fosse lei, stavolta, a prendere l’iniziativa di darmi un bacio, ma rimasi deluso perché lei si era già dileguata, dopo avermi buttato alcuni ciuffi d’erba in piena faccia.
“Prendimi se ci riesci, mezza età!” mi sfidò.
“Ah, sì?” risposi io sputacchiando erba da tutte le parti.
Poi le corsi dietro, le arrivai alle spalle di soppiatto e le feci il solletico, facendola ridere come una matta.
“Ah, ah, oddio, basta! Basta, mi arrendo!” urlò lei tra le lacrime.
“Come? Non ho sentito, ripeti, per favore!” dissi io facendo il finto tonto.
“MI ARRENDO! Hai vinto!” ripeté lei.
“Perfetto, è proprio quello che volevo sentirti dire...”
Così la lasciai sedere a terra e riprendemmo fiato tutti e due.
Poi ritornammo al nostro albero, dove trovammo la madre di Mel che ci aspettava.
“Ciao, mamma!” la salutò Mel.
“Salve, signora Evans.” dissi io molto educatamente.
“Ciao, Mel. Roger, che piacere rivederti!” esclamò baciandomi su tutte e due le guance.
“Anche per me.” risposi io.
“Mel, dov’eri? Io e tuo padre eravamo preoccupati...”
“Ma’, stai tranquilla, ero nella brughiera con Rog.”
“Uff, menomale.”
“Senti, Rog può fermarsi a cena da noi?”
Io rimasi spiazzato da quella proposta.
Era da tanto che non cenavo a casa sua, mi ricordo che da bambini utilizzavamo il metodo “Una sera a casa tua, una sera a casa mia”, e a volte mi fermavo persino a dormire da lei, o viceversa.
“Certo, perché no? Se sua madre è d’accordo, per me va bene...”
“Allora voliamo a chiederglielo! Grazie, ma’.”
Poi andammo a casa mia: mia madre stava lavorando all’uncinetto, come al solito.
“Ciao, mamma.”
“Oh, ciao, Rog, non ti avevo sentito entrare. Oh, Melanie, sei proprio tu? Vieni qui, fatti abbracciare!” disse poi strizzando la mia amica con uno dei suoi famosi abbracci.
“Buonasera, signora Taylor. La trovo bene...”
“Oh, grazie, cara. Ma come sei cresciuta, ti sei fatta bellissima!”
“Grazie mille, signora.”
“Ehm...senti, mamma...” interruppi io.
“Dimmi, Rog.”
“Posso fermarmi a cena da Mel, questa sera?”
“Ma certo, tesoro! Se vuoi, puoi fermarti anche a dormire...”
“Davvero me lo permetteresti?” chiesi con uno sguardo pieno di gratitudine ed ammirazione verso la donna che mi aveva messo al mondo.
“Certo, basta che domani mattina vi alziate presto, tutti e due, e che tu ti porti dietro lo spazzolino e un paio di mutande di ricambio!”
A questa affermazione profondamente materna, Mel si fece scappare una risatina intenerita.
“Mamma, non davanti a Mel, ti prego! Comunque stai tranquilla e grazie mille. Sei la migliore.” sussurrai abbracciando mia madre.
Poi condussi la mia amica in camera mia, presi quel di cui avevo bisogno, salutai Claire che pisolava nella sua stanza e andammo da Mel, dove una cena gustosa ci attendeva.
Ci mettemmo al tavolino sulla terrazza, quello dove di solito cenavamo quando io andavo a casa sua, da piccolo.
Mangiammo, e io chiesi anche il bis.
“Ne vuoi ancora, Roger?”
“No, grazie, signora, adesso sono pieno. Le sue lasagne sono formidabili!”
Era vero: la mamma di Mel era di origine italiana e nessuno sapeva cucinare le lasagne alla bolognese meglio di lei.
“Grazie mille...se volete qualcos’altro, non aspettate a chiederlo!”
“Grazie, ma’. Oh, aspetta!” disse la mia amica entrando in casa.
Un secondo dopo ritornò con un mazzo di carte da gioco in mano.
“Guarda qua, ho voglia di batterti un po’ a poker!” mi disse sventolandomi il mazzo davanti al naso.
“Non sperarci tanto, signorina!”
Giocammo per un’oretta e mezza, poi ci dileguammo in camera sua, visto che si stava faceva buio.
Se c’era una cosa che adoravo di casa sua, era la sua camera.
Non solo perché in quel luogo potevamo stare soli soletti senza che nessuno ci rompesse le scatole, ma anche perché era arredata in una maniera straordinaria.
Mi piaceva soprattutto il letto: grande, a due piazze, perfettamente incastrato in un angolo della stanza, con una finestra direttamente sopra, su un lato.
“Che bella serata, non trovi?” mi disse appoggiandosi al piccolo davanzale di quella finestra.
“Già.”
Non sapevo cosa dire, non riuscivo a trovare nessun argomento di conversazione.
La luce della luna appena sorta aveva illuminato il dolce viso della mia Mel, rendendola ancora più affascinante e delicata ai miei occhi.
Avrei voluto dirle che era bella come non mai, ma lei interruppe i miei pensieri.
“Dai, mettiamoci il pigiama, così poi possiamo andare a dormire!” disse rompendo quell’incanto.
Io quasi mi strozzai con la mia stessa saliva.
“Come, scusa?” annaspai.
Io ero solito dormire in mutande, perciò, per essere sincero, mi vergognavo un pochino.
Ma quello che mi emozionava era vedere lei in pigiama.
“Ma sì, non ti sconvolgerai mica se mi vedrai in tenuta da notte, no?”
“No, certo... D’altronde, ti ho vista tante volte in pigiama, quando eravamo piccoli...” dissi incominciando a togliermi la T-shirt.
“Giusto!” esclamò lei sfilandosi i jeans.
In un lampo mi ritrovai solo con i boxer addosso, e lei si mise un paio di pantaloncini meravigliosamente corti, dai quali spuntavano due gambe lisce e magre, così perfette da sembrare finte.
Mel, poi, si sfilò la maglietta con una femminilità da far venire i brividi, rimanendo così solo in reggiseno e pantaloncini.
Ogni suo gesto sembrava programmato per provocarmi e io fissavo quella ragazza come se si muovesse al rallentatore.
Lei, ad un certo punto, si girò verso di me e mi venne vicino.
Fece pochi passi e più si avvicinava a me, più il mio battito cardiaco aumentava.
Mel mise le mani sulle mie spalle e le fece scendere, accarezzandomi prima i bicipiti e poi i pettorali e gli addominali.
“E da quando in qua abbiamo questi muscoli, Rog?” mi sussurrò provocante.
“Ehm...da...da quando...da quando ho iniziato a suonare la batteria, ovvio. Ho...ho...ho sviluppato un po’ di forza nelle braccia, sai...” farfugliai io.
“Capisco...” disse lei.
Solo in quel momento mi accorsi di avere un gran caldo e che le mani mi tremavano.
Lei lo notò, così mi mise le mani sulle spalle e mi fece sedere sul letto, poi si allontanò per prendere una canottiera dall’armadio.
Io rimasi come un baccalà a fissarla con la bocca semiaperta, mentre le sue braccia frugavano nella cassettiera alta dentro l’armadio.
Il suo corpo, perfettamente slanciato, possedeva delle curve pazzesche e simmetriche allo stesso tempo, io ne ero completamente stregato e le contemplavo in silenzio senza neanche accorgermi di piegare lentamente la testa da un lato.
Il suo reggiseno color crema era tremendamente grazioso e, fosse stato per me, avrei rosicchiato fino alla morte tutti quei cioccolatini che aveva disegnati sopra.
Avevo una voglia matta di prenderla alle spalle, baciarla dappertutto, buttarla sul letto e farle qualsiasi cosa, ma dovevo assolutamente resistere, neanche tanto per il fatto che ero fidanzato (di Jill non mi importava più, ormai), ma per il fatto che avevo paura che lei non mi amasse, avevo paura che lei mi considerasse solo un amico, avevo paura di spaventarla, rischiando così di perderla.
Mi affrettai a cacciare via dalla mia mente tutti questi pensieri osceni, anche perché lei aveva finalmente trovato la canottiera e si era messa sotto le lenzuola del suo grande letto.
“Vieni?” mi chiese appiattendosi contro la parete per farmi spazio.
“Certo!” dissi deciso e sorridente, dopo essermi svegliato da quella eccitante catalessi.
La raggiunsi e, quando fui sotto le lenzuola con lei, i nostri piedi si toccarono e si accarezzarono per tutta la notte.
I suoi piedi erano piccoli e delicati in confronto ai miei.
“Da quanto non dormivamo insieme, eh?” disse lei.
“Già, da un sacco di tempo. Mi sei mancata in questi anni, sai?”
“Anche tu. Pensa che quando sono partita, ho pianto per tutto il viaggio. Nella scuola a Plymouth dove sono andata non mi sono trovata bene, gli altri non erano come te.”
“Anche per me è stato difficile. Tu non c’eri per rimproverare le mie bravate e io mi sentivo malissimo, non ero nessuno.” mormorai prendendo le sue mani tra le mie.
Mel, allora, si intenerì e mi abbracciò.
“Oh, Roger!” esclamò.
Poi si staccò da me e mi rivelò:
“Nella scuola dove stavo io era tutto maledettamente formale, tutti indossavamo una divisa grigia, non si poteva ascoltare musica e le uniche lezioni di storia dell’arte erano su i graffiti paleolitici! Io mi sentivo persa perché non c’eri tu che mi facevi andare avanti con la tua musica e la tua vitalità.”
“Adesso non pensiamoci più, ok? Ormai siamo di nuovo insieme e nessuno potrà dividerci mai.”
“Giusto. Buonanotte, Rog.”
“Buonanotte, Mel.”
Ci addormentammo abbracciati e sereni, una volta per tutte.


Here I am, my friends!
Uff, ce l'ho fatta finalmente a pubblicare!
Vorrei inanzitutto ringraziare le mie recensitrici (si dice così? O.o): thanks, girls, mi hanno fatta tanto felice le vostre recensioni!!! *si inchina umilmente fino a sfriorare terra con il naso*
Vorrei ringraziare in particolare KatyAniFrancy, che, grazie alle sue storie, mi ha permesso di conoscere Jill e me l'ha fatta inserire qua!
Ah, tenevo a precisare un'ultima cosa: i titoli dei capitoli sono tutti dei titoli di canzoni, più o meno famose.
Scusate se nel capitolo precedente non l'ho detto, ma me ne sono accorta DOPO averlo pubblicato. xPP
Comunque, la scorsa volta la canzone da cui è tratto il titolo è di Michael Jackson; questa volta, neanche a farlo apposta, sono venuti fuori i nostri adorati Queen!
Grazie ancora a tutti, a chi legge, a chi recensisce e a chi riesce a fare tutte e due le cose xD
See you,
Midori

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Capitolo 3
*** Sweet Little Sister ***


3. Sweet Little Sister
 

 La mattina dopo, mi svegliò una vocina strillante che mi trapanava le orecchie.
“Buongiorno, piccioncini! Avete passato una notte piena di baci, coccole e carezze, vero?”
“Mmmh...Claire, vattene!” bofonchiai a quel tornado di mia sorella, sempre pronta a rovinare anche le situazioni più belle.
“E come, visto che tu mi devi accompagnare a scuola, fratellone?” disse lei ironica.
“Umpf...adesso arrivo, aspettami giù.” le ordinai sedendomi sul letto.
“Ah, un’ultima cosa: non perdete troppo tempo a limonare, che io vorrei arrivare puntuale a scuola!”
Io le tirai una pantofola, ma la mia sorellina fu lesta e chiuse la porta della camera prima di beccarsela in faccia.
Sentii che canticchiava per il corridoio:
“Mel e Rogerino, nel loro bel lettino, si scambiano un bacino e io avrò un nipotino!”
La ignorai e mi diressi verso Mel, che dormiva beatamente a pancia in su, con la faccia girata da un lato e i boccoli sparsi per tutto il cuscino.
Mi sdraiai vicino a lei, che, probabilmente percependo i miei movimenti, si girò verso la mia direzione.
Poi aprì lentamente gli occhi marroni e, vedendomi, sorrise.
“Buongiorno...” le sussurrai.
“Buongiorno!” rispose lei sedendosi sul letto.
Era ancora più bella così, con il sole in faccia e i capelli scompigliati.
“Prima sentivo delle voci, di chi erano?” chiese poi stiracchiandosi.
“Eravamo io e Claire, a litigare da buoni fratelli. La dobbiamo accompagnare a scuola, ti va se facciamo una deviazione prima di andare al liceo?”
“Certo!”
Poi ci vestimmo, scendemmo e non facemmo neanche colazione, vista l’impazienza della mia adorata sorellina.
“Allora, piccioncini, che avete fatto stanotte?” domandò Claire durante il tragitto.
“Secondo te, cosa mai avremmo fatto?” le rispose Mel.
“Mmmh, fammici pensare...” disse mia sorella pensando profondamente. “Ah, sì! Vi siete baciati tutta la notte, ripetendo continuamente che vi amate e che non potete fare a meno l’uno dell’altra!” ipotizzò poi con un tono sdolcinato, mettendo le labbra a cuoricino, come se stesse baciando una persona immaginaria.
“In verità, Claire...abbiamo fatto di peggio.” dissi con aria drammatica.
Mel mi guardò con un’espressione interrogativa, mentre mia sorella la prendeva a braccetto e le chiedeva di raccontarle tutto nei minimi dettagli.
“Ma non c’è bisogno di chiederlo a Mel, te lo posso dire benissimo io, sorellina. Stanotte...”
“Sì?” domandò lei sempre più incuriosita.
“...Non abbiamo fatto altro che...” enfatizzai con un’aria misteriosa.
“E dai, arriva al sodo!” mi pregò mia sorella.
“...Dormire tutto il tempo!” conclusi scatenando le risate di Mel e la delusione di Claire, che mormorò:
“Uffa, ti odio.”
“Dai, sbrigati che stanno entrando!” le disse Mel spingendola verso l’entrata delle medie.
“Ciao, sister!” la salutai.
Lei non mi rispose nemmeno, era troppo offesa per dire qualcosa al suo beneamato fratellone.
Beh, occhio per occhio, dente per dente, no?
Mi avviai ridacchiando insieme a Mel verso il liceo, mentre lei mi guardava con uno sguardo divertito e di rimprovero al tempo stesso.
“Non ti decidi mai a mettere la testa a posto? Persino con tua sorella fai il bastardo?”
“Perché? Che c’è di male?”
“Oh, lascia perdere, non cambierai mai!” concluse lei scompigliandomi i capelli mentre entravamo a scuola.
Passammo quasi tutta la giornata a passarci dei bigliettini sui quali scrivevamo commenti poco seri sui professori e programmi per la giornata e nessuno dei due prestò un minimo di attenzione alle lezioni.
Fortuna che eravamo all’ultimo banco e non ci vedeva nessuno, ma a volte alcuni prof ci scovavano e provavano a vedere se stavamo attenti rivolgendoci domande riguardanti l’argomento di cui si stava parlando.
Riuscivamo sempre a scamparla, quando capitava; lei perché era intelligente e conosceva la risposta (non riesco ancora a capire come), io perché, mentre il prof non guardava, sbirciavo alla lavagna le soluzioni o chiedevo ai miei compagni davanti, causando così le risatine continue di Mel.
Mi piaceva quando ridacchiava in quel modo così sommesso e grazioso, le dava un’aria intrigante.
Adoravo anche quando leggeva, perché prendeva l’involontaria abitudine di prendersi un boccolo e attorcigliarselo tra le dita.
Poi, quando si toccava i capelli in generale, mi faceva letteralmente impazzire.
Soprattutto quando li teneva sciolti, a volte faceva passare tra di essi le sue dita affusolate e a volte se li tirava dietro le orecchie per non averli davanti agli occhi.
Ogni volta che la vedevo compiere queste azioni, mi veniva voglia di farle al posto suo, così da accarezzarle la chioma e il viso.
Non dico quante volte ho tentato di baciarla!
O meglio, desideravo baciarla.
Ogni volta che lei arrossiva, oppure diceva qualcosa di magnificamente dolce, mi veniva voglia di prenderle il viso tra le mani e posare le mie labbra sulle sue con tutta la passione che avevo in corpo.
Adesso non c’erano dubbi, ero ufficialmente innamorato di Melanie Evans.
Non mi importava più niente di Jill, continuavo ad uscire con lei solo per darle soddisfazione, e, mentre lei blaterava a vanvera su stupidaggini che non ricordo neanche, la mia mente era nella brughiera ad inseguire i grandi occhi marroni di Mel.
Anzi, incominciai a frequentare sempre di meno Jill e uscire sempre di più con Mel.
Ormai ero certo che Jill mi tradiva con qualcuno, la vedevo sempre a flirtare con quelli dell’Università!
Perciò la mia meta amorosa era diventata un’altra.
Mel, per fortuna, non sospettava niente, anche se quell’impicciona della mia adorata sorellina cercava in tutti i modi di fargli scoprire i miei sentimenti nei suoi confronti.
Come quella volta che Mel venne a casa mia e Claire le disse di tutto e di più su quello che avevo scritto sul mio personale diario segreto.
Eravamo quasi a metà dell’ultimo anno di liceo.
Eravamo nella mia camera, Mel era venuta da me per studiare.
Ad un certo punto, quel tornado di mia sorella, in tutti i suoi 13 anni di pura strafottenza, piombò nella stanza facendo sobbalzare tutti e due.
“Ciao, Mel. Sai, oggi ho voglia di infastidire un po’ il mio fratellone...” disse alla mia amica.
“Beh, Claire, capiti male. Stiamo studiando per una verifica.” cercai di mandarla via.
Lei, invece, non mi ascoltò neppure e sussurrò a Mel, sempre facendo in modo che anch’io le sentissi:
“Sai, Rog vaneggia sempre quando ti tiriamo, anche involontariamente, in un discorso...”
“Oh, davvero?” le rispose Mel, guardandomi come per dire: “Stai tranquillo, adesso la mando via io!”
“Già. Ogni volta che si parla di te, anche senza farlo apposta, Roger diventa tutto rosso e comincia a dire che sei bellissima, che non può vivere senza di te ed altre cose da innamorati...”
Cazzo, mia sorella stava facendo sul serio.
Allora sì che diventai veramente rosso come un pomodoro maturo.
“E pensa che tutte queste fantasie amorose le mette per iscritto!” continuò imperterrita Claire, soddisfatta della mia reazione.
“Ma non mi dire!” esclamò Mel.
Lì non capii se lo disse per stare al gioco di mia sorella oppure perché ci credeva veramente.
“Oh, sì! Ti dice niente questo, Rogerino bello?” mi chiese sventolando in aria il mio personale “diario segreto”, dal quale le avevo severamente proibito di avvicinarsi.
Dentro a quel quadernino avevo pensieri, canzoni, bozze per disegni, sensazioni, persino tutto quello che provavo per Mel era racchiuso in quelle pagine.
Quando vidi il mio diario nelle mani di mia sorella, diventai di tutti i colori, poi sillabai:
“Non ti azzardare ad aprire quel fottuto diario!”
“Oh, guarda, la serratura del lucchetto è stranamente aperta...” cantilenò Claire aprendo lentamente il quadernino.
“Oh, al diavolo. Leggi pure, tanto non troverai niente che interessi a Mel!” dissi fintamente menefreghista.
Mercoledì 14 novembre. Oggi Mel era bellissima. Ha messo per la prima volta una stupenda gonna color giallo canarino, facendo così vedere, almeno una volta, le sue magnifiche gambe. Dio, quanto adoro quelle gambe!” incominciò a leggere Claire.
Improvvisamente smisi di respirare.
Diventai rossissimo e nascosi la testa sotto il cuscino.
Sabato 1 dicembre. Ieri Mel ha provato a farsi una treccia con i capelli. A me non piaceva molto, così gliel’ho sciolta e ho fatto sì che i suoi boccoli, che io amo più di qualsiasi cosa al mondo, tornassero liberi ad ondeggiare davanti a me. Oh, Rog, come sei poetico!” mi prese in giro Claire.
Mel, intanto, rimaneva in silenzio ed ascoltava incuriosita tutto ciò che stava passando per la testa di mia sorella in quel momento.
Io avrei voluto sprofondare nel pavimento per la vergogna, ma mi limitai a tenere la testa sotto il cuscino.
“Oh, questa è la mia preferita... Venerdì 18 dicembre, ore 8:30 pm. Mel stasera si fermerà a dormire da me, non vedo l’ora che torni dal bagno per vederla di nuovo in pigiama! Ha un fisico che mi manda fuori di testa, sembra così piccola in confronto a me! Adoro soprattutto le spalle, il collo e i fianchi, sono così bianchi, sinuosi e delicati che mi viene voglia di consumarli completamente a forza di baci! Ore 00:30 am. Mel ora sta dormendo, poco fa le ho lasciato un lieve bacio sulla fronte e lei si è raggomitolata vicino a me, come se io fossi una specie di guscio protettivo. Io allora l’ho abbracciata e le ho accarezzato la schiena e i capelli. Adesso si è girata dall’altro lato. Forse le lascerò un altro bacio.”
“Adesso basta!” urlai.
Poi mi scaraventai contro mia sorella, le strappai il diario dalle mani e la buttai fuori da camera mia, mentre lei ridacchiava perfida.
Mi chiusi la porta alle spalle e misi il diario nello scaffale più alto della mia libreria.
“Ecco, adesso vediamo se riesci a prenderlo, Claire!” esclamai scendendo dalla sedia.
Improvvisamente mi ricordai che avevo davanti la persona di cui avevo parlato (o meglio, scritto) in modo fin troppo esplicito fino a quel momento, grazie a mia sorella e al suo temperamento impiccione.
Mel se la rideva di gusto, io ero rosso, viola e rischiavo anche di diventare di qualche altro colore.
“Non ridere, tu!” le ordinai. “E se credi anche ad una sola sillaba di quello che ha letto Claire, sei morta!”
“Agli ordini...” sorrise lei. “Adesso ritorniamo a studiare, non voglio prendere 4 della verifica di tecnica solo perché la sorellina pestifera del mio migliore amico ha cercato di rivelarmi tutto ciò che suo fratello prova per me!”
“Tanto sono tutte bugie...”
“Ah, sì?” chiese Claire prepotente facendo capolino dalla porta di camera mia. “Allora di chi era quel diarietto e chi ha scritto tutte le belle parole?”
Fosse stato per me, avrei ucciso volentieri mia sorella, ma mi limitai a rivolgerle un simpatico dito medio e un bel “Fottiti, sorella!” ai quali lei rise perfida e chiuse finalmente la porta della stanza.

Bonsoir à tous, mes amis (buonasera a tutti, amici miei)!!!
Allora, son riuscita a ritornare dopo due settimane di vacanza che mi hanno impedito di aggiornare, pubblicare, insomma, "lavorare" su EFP .___.' scusate xP
Diciamo che questo capitolo è come una specie di spartiacque, per questo è più corto, e dal prossimo le cose incomincianmo a farsi veramente serie.
Claire è un po' bastarda, Roger è costretto a sopportarla, purtroppo xP ma in futuro gli sarà di grande aiuto, ve l'assicuro ;)
Stavolta il titolo del capitolo è di una canzone degli Skid Row (ovviamente con il testo non c'entra nulla, io uso solo i titoli xP).
Grazie ancora a tutti!
See you,
Midori

 

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Capitolo 4
*** My Love ***


4. My Love
 

 Quell’anno lì, poi, fu il più movimentato della mia adolescenza.
Finalmente, dal cielo mi fu mandata un’occasione per mollare Jill e tutte le sue pretese di fedeltà.
Una sera ero uscito per passare a prendere Jill, con un entusiasmo da far cadere le braccia.
Avevo avvertito Mel che non avrei potuto stare con lei per questo motivo dell’appuntamento, e la mia amica ci rimase un po’ male, ma mi rassicurò che avrebbe passato la serata in compagnia di Claire.
I suoi genitori erano fuori e sarebbero tornati solo la mattina dopo, perciò Mel era sola.
Quando arrivai a casa di Jill, la presi e ci dirigemmo verso un locale.
C’era un caos inimmaginabile, la musica a palla, pieno di gente: una baraonda, in poche parole.
Ad un certo punto, dissi a Jill di aspettarmi al tavolino, poiché sarei andato a prendere da bere per tutti e due.
Ci misi poco, il tempo di ordinare due drink, aspettare che il barista li prepari, prenderli e tornare da lei.
Come tornai al tavolino, però, la sedia che occupava Jill era vuota.
Allora mi guardai intorno, in mezzo a quel casino, per cercare la mia ragazza, sempre con i due bicchieri in mano.
Uscii dal locale e gli girai intorno.
Quando arrivai sul retro, la vidi.
O meglio, li vidi.
Jill era appoggiata al muro del locale, e stava vivendo un momento molto, troppo intimo con un ragazzo alto e con i capelli a spazzola, di cui non riuscii a scorgere la faccia perché impegnata sul collo di Jill.
Mi nascosi per non farmi riconoscere dalla mia (ormai non più) fidanzata.
Strinsi talmente forte i bicchieri nelle mani che quasi si creparono.
Poi scappai da quella scena da voltastomaco buttandoli a terra.
Il rumore che essi produssero sfracellandosi a terra fu in grado di risvegliare anche i due sulla parete, intenti nei loro affari complicati.
Jill, però, sembrò non notarmi andare via e riprese a limonare con il suo nuovo ragazzo.
Me ne tornai a casa incazzato come una bestia e felice come una pasqua allo stesso tempo.
Ero arrabbiato perché ero stato tradito dalla mia ragazza, ma ero contento perché ero finalmente libero da quella cozza di Jill e, soprattutto, libero di provarci con Mel una volta per tutte, cosa che aspettavo da troppo tempo, ormai.
Cercai però di rimanere arrabbiato.
Avevo bisogno di conforto, e nessuno me ne sapeva dare più della mia Mel.
Arrivai sotto la finestra della sua camera, presi un mucchio di sassolini e li buttai in sua direzione, così da provocare un ticchettio che l’avrebbe sicuramente svegliata.
Infatti, dopo poco vidi spuntare la testa capelluta della mia amica, che mi guardò e mi disse:
 “Oh, Roger, sei tu. Che ci fai qui? È successo qualcosa con Jill?”
Io abbassai lo sguardo e Mel capì tutto.
“Vieni, ti apro.”
La raggiunsi alla porta di casa e lei mi abbracciò.
Io la strinsi forte, come se avessi paura di perdere anche lei.
“Posso dormire con te?” le chiesi, cercando di sembrare il meno possibile un bambinetto che vuole dormire con i genitori perché ha fatto un brutto sogno.
“Certo, vieni.” disse lei conducendomi in camera sua.
Io mi spogliai e mi misi nel letto con lei.
Quando fui sotto le coperte, Mel mi abbracciò e io posai la testa sul suo petto.
Sentii il battito calmo del suo cuore e mi addormentai più tranquillo, cullato da quel suono ritmico e sommesso.
Per un po’ di tempo non vidi più Jill e ne fui felice.
Poi, un giorno, capitò un fatto che mi cambiò dentro, nel profondo.
Eravamo a scuola, all’intervallo.
Io stavo parlando con i miei amici, quando vidi Mel che veniva trascinata in bagno da un gruppo sospetto di ragazzacci.
Ci rimase per un po’ di tempo, e questo mi preoccupò abbastanza.
Improvvisamente, vidi spuntare dalla deviazione verso i bagni il dolce viso di Mel che si accasciava a terra.
Allora corsi da lei in suo aiuto.
Quando arrivai ai bagni, Mel era a terra, con un’impronta di uno schiaffo sul viso, che stava incominciando a piangere; dietro di lei, che rideva compiaciuto, quello sbruffone di Michael Burns e la sua allegra combriccola che lo seguiva pure per andare in bagno.
Burns era conosciuto in tutta la scuola per le sue bravate con i professori e gli alunni. Adesso Mel era diventata la sua nuova e temporanea vittima.
“Mel!” esclamai allarmato aiutandola a rialzarsi. “Che le avete fatto, bastardi?” mi rivolsi poi infuriato verso il gruppo.
“La tua amichetta ci interessa, ragazzino. Stai alla larga, non sono affari che ti riguardano!” disse Burns prendendo Mel per un braccio e tirandola a sé.
“Mi riguardano eccome! Io sono...io sono...” farfugliai, completamente sopraffatto dalla rabbia.
“Tu sei cosa? Il suo fidanzatino?” mi derise Burns facendo la vocina sdolcinata.
I suoi compari allora lo seguirono continuando a ripetere:
“Oh, ti amo, Roger!”
“Ti amo anch’io, Melanie!”
“Vuoi sposarmi?”
“Certo, tesoro!”
Stavo letteralmente ribollendo dalla rabbia.
Il mio viso era completamente rosso e la mia mente stava macchinando migliaia di insulti sanguinosi verso quel verme di Michael Burns.
“Io sono...il suo migliore amico!” dissi infine, deciso come non mai. “Azzardati a metterle le mani addosso e sei morto, Burns!”
“Oddio, avete sentito? Abbiamo qua il migliore amico!” enfatizzò lui fingendosi impaurito.
Gli altri allora lo seguirono a ruota:
“Oh, che paura!”
“Sto tremando come una foglia!”
“Vi prego, salvatemi!”
“Sono troppo giovane per morire!”
Mel, intanto, piangeva spaventata, ancora tra le braccia schifose di quel fottutissimo verme, che, per stimolare ancor di più la mia rabbia, strinse Mel a sé e le prese violentemente il mento tra le dita sussurrando:
“Tanto la tua amichetta qua non sa resistermi, vero tesoro?”
Mel si dimenava e continuava a gridare:
“Lasciami, lasciami!”
“Sssh, non urlare, piccola, non ti farò del male...voglio solo cogliere un po’ l’attimo. Non si vorrà mica sprecare tutto questo ben di Dio, vero ragazzi?” chiese poi Burns ai suoi amici mentre una sua mano, silenziosa e strisciante come un cobra, scendeva verso il piccolo fondoschiena della mia Mel.
Lei, come lo sentì palparle il sedere, urlò terrorizzata.
Non resistetti più.
Quelle urla mi stavano straziando il cuore.
Non potevo permettere che si facesse male alla mia Mel, perciò gliela strappai dalle braccia e gli mollai un pugno fortissimo sulla mascella, facendolo cadere tra i suoi compari che però lo aiutarono subito ad alzarsi.
Burns mi guardò con un’espressione inferocita e ordinò ai suoi compagni:
“Addosso!”
Iniziò una lotta furiosa: mi arrivarono pugni, calci e morsi, erano cinque contro solo me, ma seppi difendermi e suonargliele per bene.
Mel intanto rimaneva attaccata ad una parete, con le lacrime agli occhi, che mi osservava mentre la difendevo da quei vermi schifosi.
Quando ebbi finito con l’allegra combriccola, che scappò spaventata, ero ridotto abbastanza male, ma riuscivo a reggermi in piedi.
Rimaneva l’ultimo ostacolo: Michael Burns.
“Pisciasotto!” urlò ai suoi compagni. “Bene, ragazzino, vuoi la guerra? E guerra sia, allora!” mi sfidò poi.
Durante quella lotta, mi ferii un labbro, mi feci un occhio nero e mi procurai un bernoccolo in fronte, ma alla fine riuscii a dare il colpo di grazia a quel coglione maledetto mollandogli un calcio in mezzo alle gambe.
Burns finì a terra a scatti gorgogliando dei gemiti di dolore ed io pensai di averlo battuto.
Così mi girai verso Mel, che si era immobilizzata contro la parete dallo spavento, e le mormorai:
“Ehi, tutto bene?”
“Sì, io sto bene. Oh, Dio, Roger, cos’hai fatto...” disse lei venendomi incontro e tastandomi tutta la faccia e il corpo, come per constatare che fossi ancora intero.
“Non preoccuparti, sto bene.” la rassicurai.
“Ma come, non puoi stare bene! Hai graffi e lividi dappertutto, il tuo labbro sanguina e...ATTENTO!” urlò Mel indicando qualcosa alle mie spalle.
Mi girai di scatto, poi il buio prese possesso dei miei occhi facendomi cadere privo di sensi.
 
Mi svegliai in camera mia e, non appena aprii gli occhi, sentii Mel balbettare:
“Roger, Roger!”
In seguito urlò, in modo che di sotto la potessero sentire:
“Si sta svegliando, venite!”
La mia amica era inginocchiata dal lato sinistro del letto e mi stava tenendo e accarezzando una mano.
“Mel, sei tu?” mormorai.
“Sì, Rog, sono io, sono qui, non sforzarti a parlare, non preoccuparti!” disse Mel incominciando a baciarmi il viso con foga: le mie guance, i miei occhi, il mio naso, la mia fronte furono completamente sommersi dai suoi baci.
“Ehi, piano, così mi consumi...ahi!” mi lamentai sorridendo poiché aveva posato le sue labbra sul mio bernoccolo.
“Scusa, oddio, scusa...” balbettò freneticamente lei accarezzandomi il viso e mettendosi una mia mano sul cuore.
Nel frattempo, nella mia camera accorse la mia famiglia: Claire, che mi buttò le braccia al collo piangendo; mia madre, che ringraziò Dio inginocchiandosi dall’altro lato del letto; c’era persino mio padre (non lo vedevo molto spesso perché i miei erano separati), che si limitò ad appoggiarsi con le mani alla sponda inferiore del letto.
“Ehi, che accoglienza...” sorrisi io.
Vedere Claire in lacrime per me mi diede una gioia infinita, così, mentre era abbracciata a me, la strinsi forte, solo come un fratello sa fare.
“Ehi, sorellina.” mormorai, trattenendo a stento le lacrime.
“Ciao, fratellone.” disse lei staccandosi da me.
“Che mi è successo? Mi sento a pezzi e sono tutto incerottato...” chiesi cercando di sedermi sul letto.
Però Mel mi mise una mano sulla fronte e mi fece rimanere com’ero, sussurrando:
“Non sforzarti, Rog.”
“Sei stato conciato per le feste da Michael Burns.” disse Claire. “Sei svenuto dopo che quello scemo ti ha colpito alla testa con il coperchio di una vaschetta di un gabinetto.”
“Poi, mentre eri svenuto, Mel ha pensato bene di andare da un professore a chiedere aiuto.” continuò mia madre.
“Così siamo subito venuti e ti abbiamo portato a casa.” concluse mio padre.
“E Burns?” domandai.
“Quello scemo è stato sospeso e forse non sarà neanche ammesso all’esame di maturità!” disse Mel compiaciuta.
“Capisco...ci godo. Ahi!” esclamai tastandomi il labbro ferito. “Ma come ho fatto a sopravvivere, scusate?” chiesi sorridendo.
“Beh, quando sei svenuto, ti abbiamo portato in ospedale, ma i medici ti hanno tenuto per qualche ora: è risultato che poco dopo che hai perso i sensi ti sembri essere addormentato, non si sa perché, così ti abbiamo portato a casa e hai dormito per due giorni.”
“E tutte queste ferite?”
“Beh, con l’infermiera che hai avuto, se fossi stato io al tuo posto, non mi sarei preoccupato più di tanto...” disse Brian spuntando dalla porta di camera mia, seguito da Tim.
Loro due erano i componenti della mia nuova band, gli Smile, che si era formata da pochissimo.
Anche se ci conoscevamo da poco, eravamo molto affiatati.
“Ehi, ragazzi!” mormorai. “Cosa intendi, Brian?”
“Intende dire che la graziosa ragazzina qua presente” disse Tim indicando Mel. “ti ha medicato tutte queste ferite per due giorni di seguito, bello!”
Mel arrossì.
Non ci potevo credere.
Era stata lei a farmi sopravvivere, senza di lei non ce l’avrei mai fatta.
“È tutto vero?” chiesi con un sorriso in faccia.
“Ti abbiamo forse mai detto una bugia, Roger?” disse Brian.
Allora guardai i miei amici, guardai la mia famiglia, poi guardai Mel e la abbracciai forte.
“Oh, Mel, la mia Mel!” esclamai accarezzandole i capelli.
“Vi lasciamo soli, ragazzi.” disse mia madre.
Claire, prima di dileguarsi, mi stampò un piccolo bacio sulla fronte e sussurrò:
“Guarisci presto, fratellone.”
Io la salutai e rimasi abbracciato a Mel per una manciata di momenti che speravo non finissero mai.
“Era il minimo che potessi fare, dopo che tu mi hai protetta da quegli stronzi.” mi mormorò all’orecchio.
“Cioè...io...non so cosa dire...” balbettai staccandola da me e guardandola negli occhi. “Adesso che so cos’è accaduto, mi bastava semplicemente che tu andassi a chiedere aiuto.”
“E invece no, perché tu sei il mio migliore amico e io ti voglio un bene dell’anima, perciò dovevo sdebitarmi in qualche modo.” disse Mel toccandomi la punta del naso con l’indice affusolato.
“Oh, Mel!” esclamai.
Poi le stampai un bacio in fronte e la guardai negli occhi.
Non so per quanto tempo rimanemmo così, occhi negli occhi, ma ad un certo punto lei esclamò:
“Oh, già che mi ricordo!”
Poi scappò di sotto e ritornò cinque secondi dopo con le mani dietro la schiena.
“Slacciati la camicia e tirati su i pantaloni, tesoro!” mi ordinò con un sorrisetto furbetto stampato in faccia.
Io rimasi basito.
“Come, scusa?!” chiesi incredulo e completamente inconsapevole di quello che stava passando per la mente di Mel in quel momento.
“Ora della medicazione!” cantilenò tirando fuori da dietro la schiena una cassetta del pronto soccorso e una borsa del ghiaccio.
“Adesso?” chiesi.
“Già, perciò ripeto: slacciati la camicia e tirati su i pantaloni!”
Io rimasi immobile, completamente elettrizzato da quello che la ragazza che amavo stava per farmi.
Allora lei, vedendomi impassibile, mi tolse le coperte di dosso e mi tirò su i pantaloni del mio pigiama di cotone leggero, scoprendo così le mie gambe doloranti e piene di lividi.
“Ahi!” mi lamentai. “Fai piano, per favore!”
“Ma se non ti ho neanche ancora toccato! Non fare il bambino, su!” mi rimproverò Mel.
“Per te è facile dirlo, ahi! Non sei stata picchiata a sangue da un bullo nei bagni della scuola, ahi!” continuai ad esclamare mentre lei mi spalmava una pomata sulle zone livide delle mie gambe.
“Non fare scene e renditi utile, piuttosto.” mi ordinò porgendomi la borsa del ghiaccio.
Io la guardai con un’espressione interrogativa.
“Forza, prendila e tienila sul bernoccolo!” mi incitò.
“Ah, già, scusa.” realizzai.
“Tra un po’ toglila e senti se il bernoccolo si è sgonfiato. Se sì, allora me la dai che la porto di nuovo di sotto a raffreddare, se no, la tieni ancora per qualche minuto.” mi spiegò Mel continuando a massaggiare le mie gambe con quella speciale pomata.
Le sue dita a contatto con la mia pelle dolorante avevano un tocco leggero e delicato e stavano cercando di farmi il meno male possibile.
Mi sentivo pieno di sollievo: un po’ per il ghiaccio sul bernoccolo, un po’ per l’effetto della pomata e un po’ perché la ragazza dei miei sogni era lì, vicino a me, che mi massaggiava le gambe mentre io la fissavo immobile e con uno sguardo imbambolato.
Quando Mel ebbe finito con le mie gambe, passò al mio petto e al mio torace.
Mi slacciò piano piano la giacca del pigiama, mentre io pensavo di essere in una di quelle scene dei film in cui c’è un malato con l’infermiera sexy che lo cura e lo provoca allo stesso tempo.
Appena si trovò davanti i miei muscoli, Mel avvampò ed esclamò:
“Uao, fa caldo qui, vero? Magari apro un po’ la finestra per far circolare l’aria, che ne dici?”
Poi fece quel che aveva detto e io risi sotto i baffi: Mel non avrebbe mai ammesso che io stavo provocando qualche effetto in lei, come io non le avrei mai rivelato che la amavo più di ogni altra cosa al mondo.
“Allora, questa medicazione?” sorrisi.
“Ah, giusto. Scusa, ero sovrappensiero.” si giustificò lei.
Il mio petto era pieno di cerotti.
Mel li tolse delicatamente uno ad uno e, in seguito ne mise di nuovi, dopo aver disinfettato accuratamente ogni ferita con l’acqua ossigenata, causandomi un po’ di dolore.
“Tu e la tua mania di tenerti le camicie mezze slacciate! A quest’ora non sentiresti male se te la fossi allacciato completamente o ti fossi messo una T-shirt normale come tutti gli esseri umani!” mi rimproverò Mel.
Io scossi la testa divertito.
Ormai ero certo che lei provava qualcosa per me, l’avevo capito da quella reazione che Mel aveva avuto slacciandomi la camicia, ma se pensavo alle tante volte in cui mi fissava e arrossiva mentre mi godevo a petto nudo i forti raggi di sole pomeridiani che baciano la verde brughiera della Cornovaglia, potevo affermare che lei provava sicuramente qualcosa per me.
In seguito, Mel mi massaggiò le braccia con la stessa pomata per i lividi, infine staccò il cerotto rotondo sul mio labbro, inumidì un batuffolo di cotone con un po’ d’acqua ossigenata e me lo passò delicatamente sulla parte dolorante, che, però, non sanguinava più.
Mentre mi accarezzava la pelle con quel batuffolo umido, io la guardai negli occhi: era bella, stupenda, i suoi occhi erano concentrati e la sua bocca sottile era contorta in una smorfia strana, era semiaperta, come se quello che stesse facendo fosse un lavoro che richiedesse la massima precisione.
Ad un tratto, Mel si accorse che la fissavo e chiese candida:
“Che c’è? Perché mi guardi così?”
“Perché sei meravigliosa, te l’hanno mai detto?”
Lei arrossì lievemente e abbassò lo sguardo sorridendo.
Per “meravigliosa” io intendevo in tutti i sensi: gentile e premurosa, ma anche attraente e fantasticamente perfetta.
Poi prese un nuovo cerotto circolare e me lo attaccò delicatamente sul labbro, dove avevo la ferita.
Dopodiché, fece passare dolcemente le punte delle sue dita affusolate sul contorno delle mie labbra e sul mio mento.
“Ecco fatto. Va meglio ora?” chiese sottovoce.
“Molto, grazie.” dissi togliendomi la borsa del ghiaccio dalla fronte.
Lei me la prese e la posò sul comodino, poi mi tastò il bernoccolo domandandomi:
“Ti fa male?”
“Niente mi fa male, se tu sei con me.” le dissi sincero.
Mel sorrise e mi accarezzò i capelli.
L’avrei baciata volentieri, le sensazioni di paura che provavo in precedenza erano quasi scomparse vedendo le sue varie reazioni che mi avevano fatto capire che lei, sotto sotto, provava qualcosa per me.
Ma un semplice sbadiglio rovinò quel momento così romantico.
Uno sbadiglio, per di più, uscito dalla rossa e sottile bocca della mia Mel.
“Oddio, scusa, sono proprio una maleducata...” si scusò lei stropicciandosi gli occhi.
“Fa niente. Sei stanca, Mel?” le chiesi.
“Beh, in effetti ho un po’ di sonno, ieri notte e l’altro ieri notte non ho dormito molto.”
“Come mai?”
“Perché mi svegliavo continuamente per vedere come stavi e se  magari ti saresti svegliato, scemo!”
“Quindi, sarei io la causa del tuo sonno?”
“Sì, ti sto dando la colpa.” disse lei furba.
“Stronza.” la apostrofai, mentre Mel ridacchiava sotto i baffi. “Presumo che dovrei scusarmi, vero?” chiesi poi.
“Sì, aspetto che tu faccia qualcosa di sensato perché io accetti le tue scuse!” enfatizzò lei, facendo la finta offesa.
Allora mi spostai da un lato del letto, creando così un piccolo spazio nel quale le offrivo di dormire.
Il mio letto era abbastanza grande, e ci stavamo benissimo in due.
“Dai, vieni qua, piccola.” la invitai con un cenno del capo.
“Non ci penso neanche!” disse Mel fingendosi scandalizzata. “Potrei beccarmi qualche batterio uscito fuori dalle tue ferite, che potrebbe causarmi una malattia infettiva, o peggio, mortale!” esclamò con aria drammatica.
“Te li attacco davvero, i batteri, se adesso tu non vieni qua e mi tieni un po’ di compagnia!” la minacciai ridendo.
“E va bene, ma se muoio è per colpa tua!” mi avvisò lei mettendosi sotto le coperte insieme a me.
“Esagerata...adesso pensa a dormire, che ne hai bisogno.” mormorai facendola incastrare nell’incavo del mio braccio sinistro.
“Anche tu cerca di dormire, però cerca anche di svegliarti dopo qualche ora, eh!” disse Mel appoggiando la testa sul mio petto.
Risi insieme a lei, poi mi addormentai con il suo sorriso e il suo rossore sulle guance negli occhi.

Hola!
Eccomi ritornata, scusate xP
Allora, come dicevo, adesso le cose si fanno veramente serie.
Jill è fuori, che bello ^^ (senza offesa per nessuno, si capisce xD)
Ho dovuto modificare il rating per motivi ben ovvi, forse già presenti in questo capitolo, o forse che i lettori troveranno nei prossimi u.u *la suspense si diffonde lentamente*
xDDDD
Stavolta il titolo è di una canzone di Paul McCartney, spero si addica ^^
Grazie a tutti!!!
See you,
Midori

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Capitolo 5
*** Don't Misunderstand Me ***


5. Don't Misunderstand Me

Grazie a Mel, riuscii a rimettermi prima del previsto e tornai a scuola più attivo di prima.
Burns non si vide per un po’ di settimane, pensai addirittura che avesse pensato di abbandonare per sempre la scuola.
Adesso i suoi benemeriti compari non erano più niente senza di lui e, ogni volta che ne incrociavo uno, ero pronto a sfotterlo, ma quello se ne andava per la sua strada con un’espressione più imbronciata del solito.
Intanto la fine dell’anno scolastico si avvicinava sempre di più.
I miei mi avevano iscritto ad un college e frequentandolo avrei avuto così la possibilità di laurearmi in odontoiatria.
Ma io capivo sempre di più che il mio destino era la musica, perciò finsi di essere entusiasta a questa decisione dei miei, mentre davo il meglio di me alla batteria e mi avvicinavo sempre di più al traguardo del mio percorso amoroso.
Infatti, la (quasi) relazione che stavo instaurando con Mel si stava sviluppando sempre di più, e ne ero orgoglioso.
Come passo finale, decisi di invitarla al ballo di fine anno, poi l’avrei finalmente baciata.
Avevo tutto un programma in testa e cercai di rispettarlo il più possibile.
Fase uno: invitare Mel al ballo.
Glielo chiesi una mattina a scuola e lei ne fu parecchio entusiasta.
Lo capii perché alcuni giorni dopo la vedevo trafficare per camera sua alla ricerca di un vestito decente per il ballo, aiutata da sua madre.
Mi venne da ridere, non pensavo ci tenesse così tanto.
Fase uno: completata.
Fase due: trascorrere felicemente la serata del ballo con Mel.
La sera del ballo, mi vestii di tutto punto con il mio smoking migliore, di un blu scuro, e persino la cravatta (che mia madre mi aveva fatto indossare a forza, con mio grande disappunto) e mi misi ad aspettare Mel ai piedi delle scale che conducevano alla sua camera, a casa sua.
Quando la vidi scendere quelle scale, fu come vedere un’apparizione dal cielo.
Mel era abbigliata con un vestito che le arrivava alle ginocchia e senza spalline, di un color blu notte, perfettamente intonato con il mio smoking.
I suoi piccoli piedi calzavano dei sandali di cuoio per niente appariscenti, con delle decorazioni a fiori.
I suoi grandi occhi marroni erano leggermente ombreggiati di blu, con un filo di matita argentata.
Si era legata alcuni boccoli dietro la testa, così da formare una codina che, però, lasciava che i restanti ricci castano scuro le ricadessero gentilmente sulle spalle scoperte.
Non era mai stata così bella, sembrava una dea della notte in grado di creare stelle ogni volta che sbatteva le palpebre e in grado di rapirti nel buio magico che si veniva a creare quando il sole se ne andava.
“Mel...sei stupenda.” mormorai quando mi raggiunse.
“Grazie, Rog...aspetta un secondo.” mi disse lei posando per un secondo la borsetta.
Poi mi tolse la cravatta, mi slacciò i primi bottoni della camicia e mi allargò il colletto della giacca.
“Ecco, così stai meglio.” mi disse quando ebbe finito.
“Uffa, lo sapevo che quella fottutissima cravatta non serviva a niente! Io l’avevo detto a mia madre, ma lei mi ha costretto a metterla!” esclamai esasperato mentre uscivamo di casa.
Mel rise, mentre entravamo nella mia macchina per dirigerci al ballo, che si sarebbe svolto nell’enorme palestra del liceo in cui andavamo.
Quando entrammo, la gigantesca sala era già gremita di gente, ma la musica non era ancora partita e le bevande e gli stuzzichini erano ancora intatti, a parte per i soliti golosoni che non riuscivano a resistere senza aver piluccato qualche cosa di buono.
Come ci videro arrivare, i nostri compagni ci sommersero di complimenti: Mel era seguita dai soliti “Sei uno schianto, piccola!”, mentre io mi accontentavo di dei semplici “Che eleganza, mister Taylor!”.
Forse avevo anche attirato l’attenzione di alcune ragazze che mi fissavano adoranti, ma a me non importava, io avevo occhi solo per Mel.
Per lei, si può dire invece che c’erano gli spasimanti che volevano ballare con lei che facevano la fila, e ne capivo benissimo il motivo; solo che io ero all’inizio di quella fila, io dovevo essere il primo a ballare con lei, io dovevo essere il primo a baciarla.
Dopo di noi entrarono alcune coppie, poi partì la musica.
L’inizio fu molto vivace: la band che era venuta suonò come primo pezzo Jailhouse Rock di Elvis, e io e Mel ci fiondammo nelle danze più sfrenate, anche se non conoscevamo i passi.
La cosa più importante per noi era stare insieme e divertirci, e questo ci bastava.
Ballammo anche sopra altri pezzi che conoscevo benissimo, tutti rock’n’roll anni ‘50, poi partirono le canzoni lente.
Quando iniziarono a suonare una melodia piuttosto familiare alle orecchie di Mel, lei mi pregò:
“Oh, Rog, ma questa è Unchained Melody, dei Righteous Brothers! Ti prego, ballala insieme a me!”
“Mi dispiace, Mel, sono abbastanza stanco. Poi, so a malapena ballare il rockabilly, vuoi che sappia ballare su canzoni lente?”
“Ma chi se ne frega! Ti supplico, è molto importante per me...” ripeté lei tirandomi per una mano.
Non resistetti a quegli occhi imploranti e mi feci trascinare sulla pista.
Io e Mel incominciammo a ondeggiare sulle note lente di una ballata amorosa.
Ballammo per modo di dire, visto che non ci muovemmo quasi dalla stessa piastrella!
Mel, ad un certo punto, chiuse gli occhi e si abbandonò contro di me con un sorriso estasiato. Io la strinsi forte, mentre continuavamo a dondolare su quella lenta melodia.
La musica durò meno di quanto pensassi, però gli attimi in cui tenni tra le braccia la mia Mel mi sembrarono infiniti.
Quando la ballata finì, le coppie si separarono e ci fu un lungo applauso alla band, che era riuscita a riprodurre in modo perfetto il suono delle voci dei cantanti, rendendola simile all’originale.
In seguito, io e Mel ci dileguammo nel piccolo spazio di brughiera dietro all’edificio scolastico.
Era una bellissima serata, il cielo era limpido e la luna brillava alta.
Ci sedemmo nell’erba; io mi tolsi la giacca e lei i sandali.
Per un po’ restammo in silenzio, in completa ammirazione del cielo stellato, nessuno dei due trovava un argomento di conversazione.
Il bello era che Mel ammirava il cielo e l’immensa distesa verde che si estendeva davanti a noi nel buio, e io ammiravo lei, in tutto e per tutto.
La fissavo come se avessi dovuto penetrare con gli occhi nel suo animo, per scoprire ciò che provava veramente per me.
La osservai dal basso verso l’alto: i piedini nudi e delicati, le gambe lisce e magre, la gonna luccicante del vestito che le copriva le cosce, il busto coperto dal corpetto blu dell’abito, che deviava nella curva del seno, le spalle piccole e bianche, le braccia dritte e perfette, il collo circondato da quei meravigliosi boccoli castano scuro e infine il viso fantasticamente grazioso, con quelle labbra rosse e sottili che tra poco avrei fatto unire alle mie.
Adesso ero pronto.
Fase due: completata.
Fase tre: baciare Mel.
“Ok, ci sono.” dicevo dentro di me. “Basta solo che tiro fuori qualche cosa di cui parlare, e poi la bacio. Semplice, no? Forza, Taylor, fai vedere chi sei!”
Mentre questi pensieri vagavano nella mia testa, Mel mi scosse:
“Ehi, Rog, tutto bene?”
“Eh? Oh, sì, sì, va tutto a meraviglia. Senti, Mel, ti posso fare una domanda un po’ privata?”
“Dipende da quanto è privata.”
“Beh...tu hai mai avuto un fidanzato?”
Come mi resi conto di dire queste parole, mi battei una mano sulla fronte.
“È questo il massimo che riesci a fare? Che approccio di merda, Taylor!” mi dissi.
“Cavolo, questa sì che è privata.” sorrise Mel. “Beh, in effetti...no, mai. Quando ero a scuola a Plymouth avevo legato con uno, ma poi ho scoperto che si drogava e quindi ho lasciato stare. Perché me lo hai chiesto?” domandò avvicinandosi a me e accavallando le gambe.
Io mi allargai il colletto della camicia e deglutii.
“Così, per sapere. Quindi tu non...”
Lei fece segno di no con la testa, piuttosto intimidita.
“Ah, capisco.” dissi.
Incominciai ad agitarmi sull’erba, esattamente come la sera prima che lei se ne andasse via da me, quando avevamo solo dieci anni.
Mel vedendomi così rise, con quella voce squillante e melodiosa che riempì l’aria.
Di certo non era uno degli approcci migliori della mia carriera di apparente latin lover, ma almeno l’avevo fatta ridere, anche se non era propriamente nei miei piani.
“Aspetta. Adesso che mi ci fai pensare bene...sì, una volta c’era una persona a cui sentivo di voler veramente bene.” si ricordò lei ad un certo punto.
Io rimasi sbigottito e deluso da quell’affermazione.
La prima cosa che mi venne in mente fu che magari a Plymouth lei aveva trovato qualcuno migliore di me, e perciò i sospetti che avevo da bambino erano fondati.
“Ah, capisco. E chi era?” mormorai avvicinandomi a lei senza guardarla negli occhi.
“Eri tu, Roger.”
Io mi girai di scatto, spalancai gli occhi e sentii un nodo nello stomaco.
“Già, eri proprio tu. Quando eravamo piccoli, mi facevi battere il cuore più delle star affascinanti che vedevo alla televisione. Alle mie amiche parlavo spesso di te e loro mi prendevano in giro scherzosamente quando vedevano che tu ti stavi avvicinando a me o mi facevi dei regalini o cose del genere. Tu mi piacevi veramente, anche se non lo davo a vedere.” confessò Mel.
Mi stupii al massimo nel scoprire che, sin da piccoli, noi due ci amavamo già ed eravamo fatti per stare insieme.
Sentii una forza strana dentro di me, che mi spinse ad accarezzarle il viso e il collo e a sussurrarle:
“E adesso?”
“Tu che ne dici?” bisbigliò lei appoggiando una mano sul mio polso.
Per tutta risposta, chiusi gli occhi e la baciai, trasmettendole tutta la passione che provavo per lei e che mi ero tenuto dentro fino a quel momento.
Restammo ad intrecciare le nostre lingue per quasi dieci minuti, non volevo staccarmi da lei e sentivo a pelle che neanche Mel voleva che quel bacio finisse mai.
Mi immaginavo già la scena successiva: io e lei, sul letto di camera sua, a fare l’amore per tutta la notte.
E invece no.
La situazione si ribaltò completamente.
Tutto per colpa del sottoscritto.
Perché?
Ebbene, dopo quel bacio le nostre bocche si staccarono per un momento e la mia, sia maledetta per sempre, pronunciò tre parole fatali, che misero fine alla mia bellissima storia d’amore durata pochi minuti.
Mentre assaporavo ancora il gusto delle labbra di Mel sulle mie, senza neanche accorgermene mormorai:
“Mmmh...come da programma.”
“Cosa?!” chiese Mel.
“Cosa?” dissi io risvegliandomi da quell’incanto.
“Che cosa hai detto?” ripeté la mia amata, scandalizzata.
“Io? Niente!”
“E allora che cos’era quel “come da programma”, brutto bastardo?” urlò quasi Mel, ai limiti della collera.
Come da programma? Oh, no!” mi resi conto io.
Non doveva andare in quel modo, assolutamente!
“Mel, ti giuro, hai completamente frainteso!” cercai di spiegarle mentre lei si metteva con furia i sandali.
“IO ho frainteso?! Semmai sei TU che hai frainteso con me, Roger! Se credi di poterne approfittare con me per vincere una di quelle stupide scommesse con i tuoi amici, ti sbagli di grosso!” esclamò lei.
“Scommesse?” chiesi perplesso.
È vero, a volte con i miei amici scommettevo qualcosa, ma si parla di scommesse su chi beveva più bicchierini in mezz’ora senza crollare ubriaco!
Poi, in quel caso, era stata solo colpa mia, colpa della mia bocca che parlava sempre a sproposito.
“Sì, e non negare! Ho visto come discutevi animatamente con quei tuoi degni compari!” esclamò indignata.
Sì, ci avevo parlato, con i miei amici, ma stavamo solo scherzando sull’esame di maturità e sulle stramberie dei professori durante i cinque anni di liceo!
Di scommesse non c’era neanche l’ombra!
“Tu non capisci...è solo colpa mia!” cercai di spiegarle.
“Ah, certo, adesso ti metti pure a difenderli! Guarda, Roger, non voglio più ascoltare le tue cazzate, lasciami in pace!” e se ne scappò via.
“Mel, aspetta! Ehi, Mel!” la chiamai correndole dietro.
La mia Mel era appoggiata al muro dell’edificio scolastico e mi dava le spalle.
“Mel, ti prego...” dissi accarezzandole un braccio.
Lei si scostò bruscamente.
“Ma perché non mi vuoi ascoltare? Se solo lo facessi, ti potrei spiegare e capiresti tutto...” dissi deluso.
“Non ce n’è bisogno,” disse lei girandosi piano verso di me. “io ho capito tutto. Tu ti sei approfittato di me solo per stare al gioco dei tuoi amici e per vincere una stupida scommessa! E io che mi ero messa tutta in ghingheri per fare bella figura con te...io mi fidavo di te, Roger, per questo ti ho permesso di baciarmi. Sapevo che non eri un bravo ragazzo, ma non fino a questo limite.”
“Tu non capisci. Non c’è assolutamente nessuna scommessa, è solo colpa mia. Mel, io ti amo veramente!” esclamai prendendo le sue mani tra le mie.
Mel rimase un attimo in silenzio, poi mormorò:
“Mi dispiace, Roger. Io non ti credo.”
E tirò via le sue mani dalle mie.
Io rimasi profondamente deluso e le chiesi:
“Vuoi un passaggio per andare a casa?”
“No, mi faccio portare da una mia amica.”
Allora me ne andai a casa.
Durante il tragitto, la mia macchina era silenziosa, vuota, senz’anima.
Questo perché lei non c’era a riempire l’automobile con il dolce suono della sua voce.
Restai sveglio a riflettere per tutta la notte.
Ma perché ero stato così scemo?
Perché avevo detto quelle fottutissime parole?
Grazie alla mia sfacciataggine avevo appena perso la mia migliore amica, il mio amore, oserei dire la mia unica ragione di vita.
Come avrei fatto a farmi perdonare?
Dovevo parlarle al più presto.
Fase tre: fallita.


Salve a tutti!
Ok, questo è uno dei miei capitoli preferiti...*momento Stone Cold Crazy ON: ROG ALL'ATTACCOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!*
xDDDD ok, sono ritornata xD
Vi avviso che di questi tempi avrò un po' di difficoltà ad aggiornare, in quanto domani inizio la scuola (prima superiore: aiuto!!), ma cercherò di fare quel che posso =D
Stavolta il titolo è di una canzone di John Mellencamp.
Spero gradiate!!!
See you,
Midori

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Capitolo 6
*** I Finally Found My Way To You ***


6. I Finally Found My Way To You

I giorni che seguirono furono i più strazianti di sempre.
Mel mi ignorava, ogni volta che le chiedevo di stare con me lei aveva da fare o doveva uscire.
Tutti e due avevamo da studiare per l’esame, ma ognuno studiava per conto proprio, anche se la cosa che desideravo di più in quei momenti era stare con lei, a studiare, a parlare, a discutere di musica come una volta, a fare qualunque cosa ci permettesse di essere insieme.
A volte provavo ad avvicinarmi a lei mentre era seduta sotto il nostro albero a leggere o a studiare, ma come io mi sedevo vicino a lei, Mel se ne andava da un’altra parte.
Persino Claire aveva smesso di provocarmi perché vedeva che con Mel non stavo più e si limitava a chiedermi dov’era e se poteva farle un po’ di compagnia.
Io con grande dispiacere le rispondevo che Mel aveva da studiare come me, non volevo stare a spiegarle tutta la storia del bacio, e mia sorella ci rimaneva abbastanza male.
Un giorno Claire mi chiese:
“Roger, perché sei così triste? Ho capito che c’è qualcosa che non va con Mel, non dirmi bugie!”
“Ma no, non è successo niente, stai tranquilla.”
“Dai, Rog! Io voglio aiutarti, Mel è una delle mie migliori amiche e non voglio continuare a non vederla per colpa del mio fratellone pasticcione!” mi disse lei.
E allora le spiegai tutto, i miei sentimenti per Mel, la sera del ballo, il bacio e il fraintendimento. Per la prima volta riuscii a mettere a nudo completamente tutto ciò che albergava dentro il mio cuore.
Claire, stranamente, ascoltava in silenzio e annuiva, ogni tanto mi chiedeva spiegazioni, ma riuscì a trattenere i commenti perfidi.
Aveva anche 13 anni, era un po’ ora di finirla con le battutine offensive!
Alla fine di tutta la storia, io tirai un sospiro e Claire mi disse:
“Mmmh, di certo lei ha torto...e di sicuro anche tu! Se vuoi ci parlo io con Mel, posso spiegarle...”
“No, Claire, è meglio di no. Non servirebbe a niente...”
“Fidati, in questi casi una femmina è in grado di comprendere solamente un’altra femmina. Modestamente, mi intendo di queste cose.” mi rassicurò lei mettendomi una mano su una spalla.
“Davvero faresti questo?” chiesi speranzoso.
“Certo, anche domani stesso!”
“Grazie, Claire, sei la migliore!”
Così il giorno dopo, nel tardo pomeriggio, Claire andò a far visita a Mel come se niente fosse successo (menomale che la mia amata considerava ancora mia sorella come un’amica) e le spiegò tutto con calma, sotto il mio sguardo vigile che le guardava parlare dalla finestra della mia camera.
Mel sembrava capire abbastanza, a volte la vedevo sbottare, ma Claire era pronta a sbollire la sua rabbia.
Fecero un discorso abbastanza lungo, e più si allungava la conversazione, più io stavo in ansia per il suo esito.
Alla fine vidi Mel che si gettava tra le braccia di Claire, probabilmente perché finalmente aveva capito, e mia sorella tornò da me.
Appena entrò in camera mia, le buttai le braccia al collo.
“Grazie.” le mormorai.
“Figurati. Ha detto che vuole vederti al più presto per parlarti.”
“Davvero?”
“Anche subito!”
Diventai rossissimo e dissi in fretta:
“Oh, cazzo, allora devo mettermi qualcosa di decente, devo mettermi a posto, devo...”
“Tu devi solo sembrare te stesso.” mi fermò Claire. “Non stai mica andando ad un ballo di gala, stai solo andando a parlare con un’amica!”
“Ma per me è importante, voglio apparire al meglio!” protestai io frugando nell’armadio alla ricerca di qualcosa di decente da vestire.
“Fidati, basta che ti metti un paio di jeans e una T-shirt.” disse lei prendendo gli indumenti che mi servivano. “A Mel non importa come sei vestito, a lei importa cos’hai dentro.”
“E che cosa le dico?” chiesi mettendomi i jeans.
“Tu spiegale quello che senti dentro e quello che provi veramente per lei. Mel capirà, ne sono sicura. Ma sentimi, mi sembra di essere quella che sborsa consigli e che ricongiunge le coppie nei film romantici!” esclamò.
Risi, poi mi diedi un’ultima sistemata ai capelli e mi avviai deciso verso di lei, verso la mia meta, verso il mio amore.
Mel mi aspettava in camera sua.
Quando entrai, la vidi.
Era seduta sul letto e leggeva, con la solita e involontaria abitudine di attorcigliarsi un boccolo intorno alle dita.
Aveva addosso una T-shirt arancione, dei jeans a gamba stretta e ai piedi portava dei delicati calzini bianchi di spugna.
Il sole che entrava dalla finestra le illuminava un lato del viso e le provocava dei riflessi bronzei sui capelli.
Era bella, bellissima, incantevole, sembravano anni che non ci vedevamo, mentre invece erano passati solo pochi giorni.
Mel, ad un certo punto, alzò i suoi grandi occhi marroni dal libro e mi notò.
Io la guardai, restando immobile sulla soglia della sua camera.
“Ehi, ciao!” disse alzandosi e venendo verso di me.
Poi mi abbracciò.
Io restai felicemente sorpreso da quel contatto fisico così improvviso, così inaspettato, il cuore mi batteva all’impazzata e sentivo che un po’ mi aveva già perdonato.
“Vieni pure.” disse prendendomi per mano e facendomi sedere sul letto con lei.
Restammo per qualche secondo a guardarci negli occhi, io non riuscivo a spiccicare parola, poi lei disse:
“Volevi parlarmi, giusto? Non credo che tu sia venuto qui solo per stare a guardarmi per tutta la giornata...”
“Ehm...è che...non so cosa dire.” mormorai agitato.
“Tu prova ad aprire la bocca, qualcosa verrà fuori.” sorrise lei.
Risi.
“Mel, ecco...quello che è successo la sera del ballo...io non intendevo ferirti...i miei sentimenti per te sono verissimi, lo sono sempre stati, fin da quando ne ho memoria e, in poche parole...mi dispiace.”
Lei rimase in silenzio per qualche secondo, poi abbassò lo sguardo e sussurrò:
“Scusa se mi sono arrabbiata tanto con te. Non riuscivo a controllarmi, non riuscivo a capire...”
“Sssh, non preoccuparti, adesso basta. Amici come prima?”
“No, Roger...” disse lei prendendomi il viso tra le mani. “Più di prima!”
In seguito mi baciò.
Il nostro secondo bacio, un bacio di perdono reciproco, un bacio vero, che aspettavo da troppo tempo.
Il primo che ci eravamo dati aveva costruito un muro tra di noi, un muro di incomprensione e rabbia, che però si era distrutto con quel secondo bacio.
Quel che accadde dopo fu inevitabile.
Incominciai a baciarla sul collo e Mel mi permise di sdraiarmi sopra di lei. Intanto le mie dita sotto la sua maglietta le accarezzavano il ventre e i fianchi.
Mentre le lambivo forsennatamente il collo e il petto, lei gemette:
“Oh, Roger, amore mio, dove sei stato fin’adesso?”
“Io c’ero sempre per te.” risposi io alzando la testa. “Solo che tu non facevi mai caso a me.”
La guardai con il fuoco negli occhi.
Lei emise un sospiro di eccitazione e mi cinse il bacino con le gambe.
“Oh, Rog!” disse.
In seguito, si lasciò togliere i vestiti e si concesse finalmente a me, per la prima, meravigliosa volta.

Mi svegliai che era sera.
I boccoli di Mel mi facevano il solletico al collo e lei era sdraiata accanto a me, nuda e profondamente assopita.
La guardai: stavo benissimo, sentivo di amarla infinitamente, ma dentro mi era sorto un timore.
E se a Mel non fosse piaciuta la sua prima volta?
Avevo cercato di essere più dolce e delicato possibile, non volevo obbligarla se non si sentiva pronta, ma la amavo troppo, non potevo resistere.
Mi ero tenuto dentro così tanto quella bramosia nei suoi confronti, ed era venuta l’ora di dimostrargliela.
Mel, ad un certo punto, si girò e appoggiò la testa sul mio petto, poi aprì piano piano gli occhi e alzò la testa.
“Ciao, bellissima.” le mormorai.
“Ciao, Rog.” mi rispose stropicciandosi gli occhi.
“Tutto bene?”
“Sì, certo, se ci sei tu va tutto bene.”
“Senti, dimmi la verità...è stato così terribile?”
“Mah, adesso che mi ci fai pensare...no, per niente.” sorrise lei.
Io tirai un sospiro di sollievo.
“Anzi, mi è piaciuto talmente tanto che lo farei ancora...” sussurrò in un modo deliziosamente provocante.
“E allora diamoci da fare, no?” risi io abbracciandola e girandomi su un lato.
Lei allora sorrise, mi baciò e mi accarezzò i capelli.
Ad un certo punto, però, sentimmo una voce:
“Mel? Sei sveglia, tesoro?”
“Cazzo, è mia madre!” esclamò Mel.
“E allora?” risposi io per niente preoccupato mentre lei si metteva il pigiama in fretta e furia.
“E allora se scopre che ho fatto sesso con qualcuno mi uccide!”
“Ma io non sono qualcuno, sono Roger Meddows-Taylor, nonché il tuo migliore amico! E poi, cosa ti possono fare di tanto cruento? Per loro devi essere per forza la brava signorina casa-scuola-chiesa-casa?”
“Melanie?” chiamò sua madre salendo le scale.
“Appunto!” sibilò lei. “Adesso fila sotto il letto e non fiatare!”
Io obbedii e riuscii ad acchiappare i miei vestiti sotto il letto con me proprio mentre la porta della camera di Mel si apriva.
Il mio nascondiglio era buio e polveroso e riuscivo a vedere quello che succedeva tramite lo spiraglio tra il materasso e il pavimento.
Vidi le scarpe raffinate della mamma di Mel avvicinarsi al letto.
“Mel, tesoro, tutto bene?” chiese.
“Mmmh, ciao, mamma. Siete tornati adesso?”
“Già, sono stanca morta. E pensa che domani mattina dobbiamo ripartire!” disse la madre sedendosi sul letto.
“Davvero? Ancora?”
“Purtroppo sì, Mel. Come mai sei sveglia?”
“Beh, vi aspettavo.” mentì Mel.
“Oh, tesoro! Non dovevi, quanto sei dolce!”
Rimasero in silenzio per qualche secondo, forse si stavano abbracciando.
“E con Roger? Avete fatto pace?” chiese la mamma.
“Oh, certo, con Rog va tutto a meraviglia. Siamo di nuovo amici per la pelle.” la rassicurò Mel.
E non solo...” avrei voluto dire io, ma me ne restai zitto.
“Bene, sono contenta.” sbadigliò l’altra. “Beh, vado a dormire, ho un sonno mostruoso.”
“Buonanotte, mamma.”
“Sogni d’oro, tesoro.”
Poi vidi le scarpe della mamma di Mel muoversi verso la porta e uscire dalla stanza.
Appena fu sicura che sua madre non fosse tornata più, Mel si inginocchiò sotto il letto e chiese:
“Ehi, Rog, tutto bene?”
“Certo, solo un po’ di polvere e molte probabilità di uno starnuto che avrebbe potuto farmi scoprire da un momento all’altro.” la rassicurai.
Lei ridacchiò.
Era così solare, così bella, così fantastica che avrei voluto trascinarla sotto il letto e fare di nuovo l’amore con lei tra i batuffoli di polvere.
Ma mi trattenni e scivolai fuori da sotto il letto facendo il meno rumore possibile.
Poi mi degnai di mettere almeno le mutande e mi misi a letto insieme a Mel.
Le cinsi i fianchi con un braccio e lei si raggomitolò accanto a me.
Il pensiero di Mel che faceva l’amore con me mi galleggiava in testa e passai tutta la notte a sognarla.
Fu la più bella notte della mia vita.


Guten Abend, meine Freunde (buonasera, amici miei)!!!
Rieccomi all'attacco con un nuovo capitolo (che posto per la mia adorata Cath, ti voglio bene, cara <3) xDDD

Di questi tempi sto avendo un sacco di difficoltà a venire su EFP, quei fottuti compiti me lo impediscono -.-" quindi scusatemi per gli eventuali ritardi che avrò ad aggiornare :D
Stavolta il titolo è di una canzone dei Kiss.
Beh, io vado...enjoy reading, aggiornerò appena il latino e la matematica me lo permetteranno! xDDDD
See you,
Midori

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Capitolo 7
*** Never Gonna Find Us ***


7. Never Gonna Find Us

La prima a cui lo dicemmo, naturalmente, fu Claire. Lei rimase contenta da quella notizia ed esclamò:
“Lo sapevo che prima o poi vi sareste messi insieme! Vi si legge in faccia che siete innamorati persi l’uno dell’altra!”
Sapevo di potermi fidare di mia sorella, i nostri rapporti erano migliorati da quando aveva fatto quel discorso a Mel, eravamo diventati più uniti e più complici.
I mesi estivi passarono in un modo più felice del solito.
Io e Mel eravamo ritornati di nuovo amici per l’eternità, solo con qualche bacio sulla bocca e qualche “notte brava” in più.
I genitori di Mel non c’erano quasi mai, per fortuna, per via del lavoro, e noi due passavamo le giornate facendo avanti e indietro tra casa sua e casa mia, a discutere di musica e a guardarci negli occhi, tra un bacio e l’altro. In particolare, a Claire davamo un po’ fastidio quando andavamo a casa mia, perché per andare in camera mia passavamo sempre davanti a camera sua, e lei ci urlava sempre dietro di non disturbarla perché stava leggendo o stava spettegolando con le sue amiche. Mi piaceva da matti irritare mia sorella in quel modo, ma adoravo ancor di più stare con la mia Mel.
Purtroppo i momenti intimi li potevamo passare solo a casa sua, vista la sorellina impicciona-rompiballe e la mamma che ti sorprende indignata con un “Roger, non fare queste cose davanti a tua sorella!”
Una volta, mi ricordo, ero andato a casa di Mel mentre lei si stava facendo la doccia.
“Mel?” chiamai.
“Sono sotto la doccia, arrivo!” mi urlò lei dal bagno.
Io aspettai, ma non resistetti, andai piano piano di sopra e aprii lentamente la porta del bagno.
Attraverso il vetro opaco della doccia riuscivo a scorgere le curve mozzafiato del suo corpo. Restai ad ammirarla mordendomi un labbro e appoggiandomi allo stipite della porta con le braccia conserte.
Poco dopo lei chiuse il getto, prese un asciugamano appeso al vetro, se lo avvolse intorno al corpo e fece scorrere piano il vetro della doccia.
Appena mi vide, sobbalzò.
“Oh, Roger!” esclamò mettendosi una mano al petto. “Cavolo, mi hai fatto spaventare! Ti avevo detto di aspettarmi!”
“E io non ce la facevo. Comunque...teniamo un bel fisico, eh?” chiesi provocante mentre lei andava in camera sua per vestirsi.
“Scemo.” mi schernì lei.
Io ridacchiai e rimasi in camera sua mentre lei cercava qualcosa con cui vestirsi.
“Ti dispiacerebbe uscire, che mi cambio?” chiese ad un certo punto.
“Ma dai, ho visto tante volte il tuo bel corpicino, perché non posso farlo adesso?” dissi abbracciandola da dietro.
“Perché in questo momento il mio “corpicino” non ha voglia di essere osservato, semplice. Poi non mi addolcire la pillola con tutti questi diminutivi, tanto con me non attacca!” disse lei scostandosi da me con un sorriso malizioso.
“Siamo permalosetti, eh?” dissi mentre lei mi spingeva verso la porta della camera. Poi mi chiuse fuori e io aspettai sorridendo.
La adoravo quando si arrabbiava così, mi piaceva da matti stuzzicarla.
Poco dopo lei uscì: indossava una canottiera azzurra con una sola spallina e dei pantaloni di una tuta verde chiaro. Notai che sotto la canottiera non aveva reggiseno e questo fatto mi eccitò da morire.
“Vieni?” mi disse prendendomi per mano e trascinandomi in salotto.
Mentre ci dirigevamo verso la sala, passammo dalla cucina e la prima cosa che mi saltò agli occhi fu una succulenta torta al cioccolato.
“Ehi! E quella?” chiesi indicando il dolce.
“È una torta.” mi rispose lei candida.
“Beh, fin lì c’ero arrivato anch’io.”
“L’abbiamo fatta io e la mamma...”
“Quindi sarà buonissima!” esclamai leccandomi le labbra e allungando un dito verso la torta.
“...E proprio per questo non si può toccare!” mi fermò lei mollandomi uno schiaffetto sulla mano. “La mangerai se ne sarai degno!”
Allora mi imbronciai come un bambino piccolo.
“Se farai il bravo bambino, te ne darò una fetta...” sorrise lei scompigliandomi i capelli.
Poi mi portò in sala. Quando fummo davanti al divano, lei mi tirò a sé per l’allacciatura della camicia, mi baciò con passione e ci lasciammo cadere sul sofà.
“Mmmh, ho voglia di coccole...” mormorò Mel.
“Ti do tutte quelle che vuoi, piccola.” dissi facendola sedere sulle mie gambe.
Lei aggrappò le braccia al mio collo e appoggiò la sua guancia alla mia. Poi infilai la testa nell’incavo tra la sua faccia e la sua spalla e le accarezzai il collo con il naso, affondando il viso in quella cascata di boccoli castano scuro che sapevano di frutti rossi.
“Mmmh, la mia Mel...la mia piccola Mel...” sussurravo.
“Dai, così mi fai il solletico!” rise lei. “Poi lo sai che non mi piace quando mi chiami “piccola”!”
“Ma perché, non sei la mia piccola?”
“No, ho la tua stessa età!”
“Non me ne frega niente, per me sei sempre piccola.”
Lei fece un sorriso imbronciato.
“Come mai tutta questa malinconia improvvisa?” chiesi.
“Mah, non lo so...” sospirò Mel appoggiando la testa sulla mia spalla. “Forse è per l’estate che sta per finire, forse è per l’esito del nostro esame, forse è perché...”
“Perché l’anno prossimo non saremo più in classe insieme?” ipotizzai accarezzandole i capelli.
“Forse.” mi rispose semplicemente lei. “Tu non mi lascerai mai, vero?”
“Ma che domande fai? Certo che non ti lascerò mai, perché dovrei?”
“Mah, non so...magari vedi un’altra più bella, simpatica e intelligente di me,” enfatizzò Mel alzandosi dalle mie gambe, con aria drammatica. “ti innamori e mi abbandoni in stile Casablanca...guarda che può capitare, sai!” disse mettendosi le mani sui fianchi.
Io mi alzai, la abbracciai e le mormorai, con i miei occhi ad un centimetro dai suoi:
“Per quanto mi riguarda adesso, non capiterà mai e poi mai. Perciò non dire cazzate e baciami, bellezza.”
Lei obbedì sorridendo.
Adoravo baciarla, l’avevo desiderato per talmente tanto tempo e adesso ne avevo finalmente l’occasione! Adoravo il sapore delle sue labbra, anche se lei non si metteva niente per addolcirle, lucidalabbra, rossetti e neanche burrocacao di vari gusti; non amava i fronzoli di nessun genere, era naturale e non aveva bisogno di niente per apparire migliore.
“E adesso, tagliami una fetta di quella torta, che ho fame!” le dissi poi, spedendola in cucina con un leggero colpetto sul sedere.
Ecco, questa era, più o meno, una nostra giornata-tipo.
Però i guai non tardarono ad arrivare.
Capitò un giorno sul letto di camera sua, intenti a “studiarci per bene” (si fa per dire). Ad un certo punto sentimmo una voce dall’entrata della stanza.
“Mel? Siamo...”
Io mi girai verso quella voce, realizzando poco dopo che mi trovavo in una situazione estremamente imbarazzante, visto che stavo baciando Mel, la mia mano destra era sul suo seno, la sinistra chissà dove era andata a finire, la mia maglietta era finita in un angolo della stanza e la camicetta di Mel era mezza slacciata.
La madre di Mel non riuscì a finire la frase ed emise un gemito strozzato di puro orrore.
Mel si mise a sedere in fretta ed esclamò:
“Mamma!”
Com’era prevedibile, poco dopo accorse il padre.
“Cara, che è succ...” provò a dire.
Poi ci guardò.
“Papà!” fece Mel.
Ecco, mi dissi. Ero ufficialmente, categoricamente e incontestabilmente fottuto.

“Ma che cavolo ti salta in mente, in questo periodo?!”
“Si dà il caso che io abbia diciassette anni suonati! Mi faccio saltare in mente quello che voglio, capito?”
“Non ti azzardare più a rispondermi così, signorina! Ricordati che sono sempre tuo padre!”
Ormai era quasi un’ora che li sentivo sbraitare senza concludere niente. Non li origliavo, più che altro ero costretto a sentirli. Viva le finestre aperte, mi dicevo.
Ma come potevo essere stato così scemo a farmi sorprendere con lei?, mi chiesi buttandomi sul letto. Proprio ora che stavamo bene insieme, ci eravamo riconciliati...no, venivano anche a mettersi i suoi fottuti genitori!
“Ripeto, ho diciassette anni e faccio quel cazzo che mi pare! Non puoi impedirmi di stare con lui!” urlava Mel.
“Invece posso! Il problema è che tu sei troppo precoce!” ribatteva suo padre.
“Precoce?! Forse lo sarai tu, nella testa! Questo fatto si chiama amore, non essere precoci!”
“E tu lo chiami amore? Quel pervertito che...che...che faceva qualunque cosa stavate facendo, lo chiami amore?!”
No, eh. Mi potevano chiamare come cazzo volevano, ma non “pervertito”! Era semplicemente passione, mi dicevo. Amore, appunto.
“Si dia il caso che “quel pervertito” sia il mio migliore amico!”
“Oh, benissimo! Fai sesso con il tuo migliore amico! E quando avevi intenzione di comunicarlo a me e a tua madre, per sapere?”
“Ho diciassette fottuti anni, papà. Non posso restare vergine per tutta la vita!”
“Sarebbe stato meglio, se fossi restata così!”
A questo punto, silenzio. Silenzio di tomba.
Mi alzai, piuttosto preoccupato per quello che poteva essere successo.
Guardai verso la finestra della camera di Mel e la vidi entrare come una furia, per poi sbattere la porta con rabbia e buttarsi sul letto in un mare di lacrime. Il viso affondato nel cuscino, il suo bel corpo che rimbalzava ad ogni singhiozzo, i suoi boccoli tutti scarmigliati dalla rabbia e dall’agitazione.
A vederla così, non sapevo se avevo voglia di piangere anch’io oppure andare di filata da suo padre, dirgliene quattro e poi mandarlo a fare in culo come si deve. Non sopportavo vederla in lacrime.
Mi ero già tirato su le maniche, pronto alla carica di qualche pugno à la Roger Taylor verso il genitore interessato, quando vidi che dalla porta della camera era spuntata sua madre. Era entrata delicata e silenziosa, senza farsi sentire dalla mia povera e disperata Mel. Si era seduta sul letto, dove ancora lei piangeva, e si era messa ad accarezzarle la schiena.
Restai stupito da quei gesti così confortanti che le stava rivolgendo, pensavo fosse dello stesso parere del padre e che come minimo non le avrebbe rivolto la parola fino al giorno dopo.
Le parlava dolcemente, senza smettere di accarezzarle la schiena. Poi, vidi che la madre abbassò lo sguardo e Mel smise di piangere, all’improvviso. Quest’ultima si era rizzata a sedere con uno scatto felino, a guardarla negli occhi con ancora il viso rigato di lacrime.
A quel punto, non ce la feci più. Non stavano assolutamente concludendo niente, sedute così, a parlare, mentre io me ne stavo come un imbecille ad origliarle dalla mia finestra.
Uscii di casa mia sbattendo con violenza la porta e corsi pieno di rabbia verso la campagna. Una volta arrivato, andai nel mio posto preferito, il nostro albero.
Ma perché cazzo non potevano capire?! Era semplicemente amore, tra me e Mel. Anche loro erano stati giovani, mi dicevo. Anche loro avevano avuto qualche fidanzato, prima di sposarsi ed essere finalmente felici e contenti, no?
Mi sentivo nuovamente solo. Come se Mel non ci fosse stata, quando era via. Solo come una fottuta palla di fieno rotolante nel deserto del Sahara. Mi sentivo isolato al massimo, nessuno riusciva a capirmi, a capirci. A volte mi chiedevo quando mai ci avrebbero lasciato liberi, quando mai saremmo potuti andare per la nostra maledetta strada senza nessuno a metterci i bastoni tra le ruote.
Tirai un calcio ad un ciuffo d’erba, completamente incazzato.
“Tirare calci al nulla non ti servirà molto, sai?”
Mi girai, a sentire quella voce. Mel era seduta dalla parte opposta dell’albero, rispetto a me, con le ginocchia strette al petto e lo sguardo a terra.
Mi avvicinai a lei, senza dire niente. Ero semplicemente felice di vederla. Sapeva sollevarmi anche con un singolo sorriso, sapeva farmi andare in paradiso anche con la sua sola presenza.
“Sapevo che ti avrei trovato qui. Per fortuna mio padre non mi ha vista uscire.” riprese, la voce ridotta ad un soffio percettibile solo alle mie orecchie.
“Com’è la situazione?” chiesi, abbassando lo sguardo.
“Siamo in alto mare, Rog. Non capiscono.”
“Ma perché, cazzo?! Perché?!” urlai quasi, sbattendo i pugni a terra.
Rimanemmo in silenzio un altro po’. Stavo chiedendomi il perché di tutto, in quel momento. Tranne il perché esistiamo, ovvio.
“Mia madre mi ha parlato.” sussurrò.
Voltai gli occhi verso di lei e non replicai.
“Ha detto che mio padre urla così solo per il mio bene.” riprese, sospirando. “Mia madre mi ha raccontato che l’ha fatto per la prima volta anche lei quando aveva la mia età, usando però le giuste precauzioni. Poi una sera, mentre era ad una festa, completamente ubriaca, lo fece di nuovo con uno, ma stavolta senza. Nei giorni successivi si sentiva strana e non stava bene. Provò un test di gravidanza e vide che era positivo. D’improvviso tutto il suo mondo crollò, mi ha detto, il suo fidanzato la lasciò e dovette nascondere tutto ai suoi genitori. Non voleva abortire, non ne aveva il coraggio, e in più avrebbe dovuto dire tutto quel momento fece di tutto pur di far sì che il bambino nascesse e crescesse in una maniera agiata. Poi, un giorno si sentì male. La portarono all’ospedale e, dopo alcuni esami, le dissero che non c’era nessun bambino. Era una gravidanza isterica. Passò un periodo di depressione, fino a quando incontrò mio padre. Gli raccontò tutto e lui l’aiutò ad uscirne fuori. Poi, beh, si sposarono e nacqui io.”
Mel tirò un lungo respiro.
Dovetti ammetterlo tra me e me: quel racconto, quella piccola parte della sua vita a me sconosciuta fino a quel momento, raccontato in modo sincero, crudo e senza interruzioni, mi fece rimanere di stucco.
Non sapevo cosa dire, cosa fare. Neanche Mel pareva saperlo, infatti per qualche secondo rimanemmo a guardarci, come se fossimo stati entrambi privi di qualsiasi emozione, fino a che non ci buttammo l’uno tra le braccia dell’altra.
Quella era l’unica cosa che potevamo fare - restare insieme, quello era importante. Legati per l’eternità. Stavamo crescendo insieme e stavamo incominciando ad affrontare i problemi della vita stando l’uno di fianco all’altra.
Nessuno avrebbe potuto spezzare quel legame magico, non fatto solamente da ricordi d’infanzia, giochi finiti, mai iniziati e interrotti sul più bello e rossori sulle guance tenuti nascosti per troppo tempo. Insieme per sempre, innamorati o no.
E nessuno ci avrebbe potuto separare. Tantomeno il padre di Mel e le sue manie fottutamente pudiche degne di un pastore ottocentesco.
Cercai di non arrabbiarmi di nuovo - in realtà non ci riuscivo quasi, con la mia Mel tra le braccia mi sembrava ogni volta che le sensazioni e le emozioni negative si allontanassero, quasi lei fosse stata una specie di antidoto, uno scaccia-guai.
Ero di nuovo nella merda, lo sapevo. E per spazzare via quel metaforico letame che mi sommergeva fino alla punta dei capelli, non dovevo fare altro che una cosa.
Parlargli. Le parole vincono sul nemico ancor meglio di una lama affilata, mi dissi, anche se mi faceva strano pensare in maniera così filosofica.



Ave, o popolo! (Il latino mi ha influenzato anche troppo LOL)
Ok, tenete pure a portata di mano i pomodori, le uova - e, se volete, pure qualche mezzo di tortura portatile. Come minimo mi dovrei ammazzare.
Ho avuto un blocco terrificante (MA DAI!), durante le vacanze me la sono spassata ho fatto i miei compiti...insomma, non sono riuscita ad andare avanti, causa forze tetre e misteriose che non mi facevano toccare terra e mi facevano stare sospesa a testa in giù (WTF?)
Cooomunque. *si prepara a testa alta per il lancio delle uova* Questo sarebbe una specie di capitolo di transizione (pensieri del pubblico: "EH?! Questa se ne sparisce così e ritorna dopo tre mesi con un solo fottutissimo capitolo di transizione?!"), ma trattenete le fionde caricate a verdure perché l'azione arriva dal prossimo. So che qui Roger è estremamente sdolcinato e decisamente non lui, ma non ci posso fare niente. E, ammettiamolo, un po' di zucchero ci vuole sempre! u__u
Il titolo appartiene ai Bird York, stavolta.
Grazie comunque per tutto, pomodori esclusi. Vado! *sparisce dietro le quinte schivando le verdure*
See you,
Midori

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