A fatherly love

di SilentWings
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Birth ***
Capitolo 2: *** One year old - I don't like this ***
Capitolo 3: *** Eight years old - In sickness and in health ***
Capitolo 4: *** Sixteen years old- Escape ***
Capitolo 5: *** Twenty-five years old- I am stretched on your grave ***



Capitolo 1
*** Birth ***


Buongiorno ^^ rieccomi con un'altra fanfiction delirante. L'idea è stata concepita alle tre e mezza del mattino, dopo aver letteralmente SOGNATO la storia. Un pairing particolare in effetti. Però... mi sarebbe da sempre piaciuto esplorare la personalità più nascosta e umana del nostro adorato becchino Undertaker e, almeno in una fanfiction, dare al mio adorato Joker un' infanzia migliore.
Buona lettura!



Una giovane  donna, con gli abiti stracciati ed il volto segnato dalle scie salate di lacrime ormai asciutte, stava gemendo agonizzante in una casetta diroccata dell'East End londinese. Accanto a lei, una vecchietta vestita con indumenti altrettanto dimessi, si stava affaccendando a far sembrare meno dolorosi a quella povera anima gli istanti finali di quella miserabile e breve vita.
Con gli ultimi sussulti di energia, la prostituta Karen Taylor, affidò alle braccia di quella povera levatrice un bambino.
Quei pochi respiri agonizzanti erano stati appena sufficienti per permetterle di dare alla luce la creatura che da sette, lunghi mesi teneva in grembo.
Con un rantolo soffocato, gli occhi della giovane si velarono per sempre.
L'altra donna, con espressione stranita, prese in braccio il neonato e si fece il segno della croce davanti al corpo senza vita della madre. Il piccolo non sembrava gradire la posizione goffa e scomoda in cui la vecchietta lo stava tenendo, e cominciò a gemere e a piangere con espressione corrucciata.
Sentendo il pianto del bambino, la levatrice sembrò riscuotersi  e prese ad avvolgerlo con dei panni di stoffa ruvida per proteggerlo dal freddo dell'alba.
Nonostante fosse già il mese di aprile, l'aria era ancora fresca e si portava dietro gli ultimi rimasugli dell'atmosfera invernale, mediante un vento ghiacciato che cercava di infilarsi in tutti gli spiragli presenti in quella casupola cadente in cui il piccolo aveva visto la luce.
Dieci minuti dopo, sistemato in una cesta scalcagnata e coperto di qualche misero scampolo di stoffa, il piccolo dormiva finalmente tranquillo, cullato dal calore confortante di un fuoco languente, alimentato da alcuni ramoscelli.
La levatrice lo osservava, pensierosa. Il visino, affondato tra le stoffe, aveva degli splendidi lineamenti. Il naso all'insù, la pelle chiara, e sulla sommità del capo già si vedeva qualche chiazza di capelli rossi. Rossi come quelli della madre, che ora giaceva sul materasso disfatto, coperta da un lenzuolo che una volta doveva essere stato bianco, ma che ora, impolverato e infangato, aveva assunto una tinta color caffelatte.
Facendo vagare lo sguardo attorno alla figura raggomitolata del bambino, la donna sospirò.
La vita di certo non sorrideva a quel piccolino.
La madre era deceduta. L'identità del padre non si sarebbe mai saputa. Come se non bastasse, evidentemente sette mesi di gestazione non erano stati sufficienti per la formazione completa del feto. La prima cosa che la levatrice notò infatti, quando finalmente quel minuscolo corpicino fu sgusciato completamente fuori dall'utero materno, fu che alla povera creatura mancava il braccio destro. O meglio, l'avambraccio. Qualcosa durante la gravidanza di quella povera donna doveva essere andato storto.
Qualche ora dopo, quando il sole era ormai sorto e il piccolo era ancora profondamente addormentato, la vecchietta si recò dal becchino per chiedergli di dare degna sepoltura a quella misera anima.
Il becchino in questione, un tale alto e vestito di nero,, conosciuto semplicemente come "Undertaker", con il sorrisino inquietante e misterioso che lo contraddistingueva, si recò personalmente a casa della defunta per  poter prendere le misure del corpo e costruire la bara.
Inizialmente, l'uomo dai lunghi capelli argentati non notò l'umile culla accanto alle braci languenti. Dopo alcuni minuti però, alcuni vagiti disperati cominciarono a rompere il silenzio macabro che regnava tra quelle quattro pareti. Undertaker si guardò intorno, cercando di individuare la fonte del rumore, fino a quando i suoi occhi, coperti da una foltissima frangia, si posarono sul fagotto urlante che si dimenava in quella cesta semidistrutta appoggiata al pavimento.
Carponi, il becchino si avvicinò ad essa. Sorrise.
-Ma chi abbiamo qui?- e così dicendo prese in braccio il piccolo, che, sgranando due grandi occhi viola davanti al viso pieno di cicatrici di Undertaker, cominciò a piangere ancora più forte, terrorizzato.
Perplesso, lo shinigami lo allontanò da sé, rifiutandosi però di rimetterlo giù. Con aria confusa, il becchino interrogò con lo sguardo la levatrice.
- E' il figlio che quella povera donna è riuscita a mettere al mondo prima di tirare le cuoia- rispose lei.
Rapito, l'uomo osservava il bambino. E qualcosa dentro di lui si mosse. Sorrise di nuovo.
-Mi prenderò io cura di lui.-
La levatrice, alzando un sopracciglio, fece spallucce.
-Lo sottrarreste da una vita di stenti in un orfanotrofio-
Con estrema cautela, nell'andarsene, il becchino prese in braccio il piccolo e gli sorrise.
-Non sarai più solo... Joker-

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Capitolo 2
*** One year old - I don't like this ***


Eccoci col secondo capitolo. ^^ Ho sempre pensato ad Undertaker come un tipetto un po' svampito... sarà vero?

Un vagito nervoso ruppe il silenzio della sera nella casa di Undertaker.
Fischiettando, il becchino stava asciugando Joker  dopo avergli fatto fare il bagno in una tinozza.
Seduto su una sedia vicino al fuoco, l'uomo dai capelli argentati si stava accingendo a  rivestirlo, quando un brontolio sommesso proruppe dal pancino del neonato.
Gli occhioni viola incontrarono per un momento il viso del padre adottivo, per poi riempirsi di lacrime.
Lo shinigami ridacchiò -Qui c'è qualcuno che ha fame, eh?-
Una volta vestito il bambino, Undertaker si avviò verso la cucina, scelse una mela non troppo grande e, con l'ausilio di un coltellino, cominciò distrattamente a raschiarne la polpa in una ciotola di legno. In più occasioni Joker aveva dimostrato di gradire quel frutto, quindi il becchino procedeva velocemente, preoccupato solo di far arrivare il cibo al piccolo il più presto possibile.
Prese un cucchiaio dalla credenza e tornò dal bambino, che lo aspettava con aria famelica.
-Ecco qui, vediamo di riempirti la pancia- ridacchiò.
Sistemò Joker sulle ginocchia e cominciò ad imboccarlo.
Contento, il piccolo spalancò gli occhi ed aprì la bocca, affamato. Ma quando la polpa dolce della mela toccò la sua lingua, qualcosa non gli piacque. Arricciò il nasino e guardò contrariato il padre.
Undertaker, tutto preso dal compito di non riempire eccessivamente il cucchiaio, non si accorse di niente.
Alla cucchiaiata successiva, il bimbo serrò ermeticamente le labbra.
Perplesso, lo shinigami si sollevò la frangia dagli occhi per osservarlo meglio.
Non poteva essere già sazio con così poco!
Riprovò. Niente. Anzi, Joker lo fissò come se avesse voluto rimproverarlo di qualcosa, come se avesse voluto sgridarlo per qualche mancanza o distrazione. -Pap!-
Il becchino si illuminò. Accipicchia, la sua prima parola. Undertaker rise e strinse a sé il bambino.
Poi, sempre sorridendo, riprovò ad imboccarlo. Niente ancora. In quella polpa zuccherina sembrava esserci qualcosa che non andava.
Perplesso, l'uomo dai capelli argentati prese un altro cucchiaio e ne assaggiò un po' lui stesso. Non l'avesse mai fatto. Con uno sforzo sovrumano e un'espressione disgustata, deglutì.
Diamine. Si era dimenticato di aver precedentemente messo del sale in quella ciotola. Preso dalla foga di calmare la fame del figlio adottivo, aveva scioccamente dimenticato di svuotarla. O forse era stata la frangia troppo lunga che gli aveva impedito la vista di quei granelli bianchi sul fondo legnoso. Il risultato era una poltiglia salatissima ed immangiabile. Sospirò.
Che padre svampito.
Pazienza.
Sorridendo del suo stesso errore e delle smorfie del piccolo, lo prese in braccio e tornò verso la cucina per preparargli qualcosa di davvero commestibile.

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Capitolo 3
*** Eight years old - In sickness and in health ***


*cough* perdonatemi. Ho postato tre capitoli in un giorno solo perchè nei prossimi giorni non penso di poter riuscire a connettermi. In ogni caso... in preda ad un attacco di coccolosità acuta, ho scritto questo capitolo. Volevo un Undertaker particolarmente affettuoso, per una volta. E non il solito "affetto" isterico e perverso del caro shinigami, ma un affetto vero, da padre a figlio.
Inoltre, vorrei cogliere l'occasione di ringraziare Lady Michaelis_Ciel, la mia dolce musetta zuccherosa che commenta con tanta enfasi e pazienza le mie storie. <3 grazie! E grazie anche a tutti i lettori. Se vi va, fatemi sapere se la storia è di vostro gradimento ^^ il pulsante delle recensioni non mangia mica! :D buona lettura <3


Con un colpo di tosse soffocato, Joker si svegliò.
Si stiracchiò piano, e con enorme sforzo si tirò a sedere contro la spalliera di legno del letto.
Lanciò un'occhiata fuori dalla finestra: la neve che cadeva da quel pomeriggio, quando si era addormentato in preda alla febbre, ancora non aveva smesso di imbiancare le strade di Londra.
Con un mugolio sofferente, appoggiò la guancia rovente al duro sostegno di legno. Accidenti. Eppure Undertaker l'aveva avvertito di non andare a giocare fuori con quel freddo terribile.
Lui aveva fatto di testa sua, inzuppandosi dalla testa ai piedi e prendendosi un raffreddore tremendo.
Quando Joker si era lamentato di non sentirsi molto bene, e il becchino lo aveva trovato tremante e con la fronte in fiamme, quest' ultimo si era molto arrabbiato.
Quel... moccioso non seguiva mai i suoi consigli. Mai una volta che facesse quello che il padre gli diceva. E questi erano i risultati.
Borbottando qualcosa in merito all'eccessiva disubbidienza, Undertaker lo aveva aiutato a camminare fino alla sua stanza, lungo il corridoio buio, e l'aveva fatto stendere semisvestito sotto una coperta non molto pesante.
Quel Joker, sempre troppo impegnato a causare preoccupazioni al padre.
Nemmeno ora il ragazzetto si sentiva molto in forma.
Combattendo contro un capogiro, si alzò, si avvolse in una coperta e andò a cercare lo shinigami.
Quando finalmente arrivò barcollando nello studio, trovò il becchino che, fischiettando sommessamente, stava piantando gli ultimi chiodi al coperchio di una bara.
Joker tirò su col naso, costringendo Undertaker ad alzare lo sguardo. L'uomo, sorpreso,  si avvicinò al figlio, abbracciandolo e dandogli un bacio sulla fronte.
-Sei bollente. Non faresti meglio a rimanere a letto per oggi?-
-Non riuscivo a dormire, papà- rispose piano lui.
-Capisco. Ti andrebbe una tazza di tè?-
Il bambino sorrise debolmente e annuì.
Dieci minuti dopo, nella stanza di Joker, i due stavano silenziosamente sorbendo il liquido caldo da due grosse tazze di ceramica.
Era noto che lo shinigami servisse il tè nei misurini graduati solo agli ospiti, per fare un po' di scena e spaventarli.
Tutto d'un tratto il ragazzino cadde preda di un attacco di tosse. Preoccupato, Undertaker gli tolse la tazza dalle mani, per paura che il contenuto si rovesciasse e scottasse le mani del figlio, e cominciò a dargli dei colpetti sulla schiena, mentre con l'altra mano gli massaggiava il petto con piccoli gesti circolari.
Quando il respiro si normalizzò e Joker, esausto, si appoggiò alla spalliera del letto, il becchino lo guardò con aria di rimprovero.
-Vedi cosa succede a non ascoltarmi mai? Finisce che ti fai del male!-
Il bambino abbassò gli occhi con un'espressione triste sul viso.
-Mi spiace di darti tutte queste preoccupazioni, papà. La colpa è mia, ed è giusto che soffra, avrei dovuto starti a sentire-
Intenerito da quella genuina ammissione di colpa, lo sguardo del becchino si addolcì, e con estrema delicatezza appoggiò un asciugamano bagnato alla fronte del suo protetto per aiutarlo a dormire meglio.
-Ora però è il caso che tu riposi un po'. Vedrai che domani sarai in perfetta forma-
Joker annuì, finalmente rilassandosi per addormentarsi subito dopo.
Undertaker sorrise, intenerito.
Nonostante i litigi, le disobbedienze e le discussioni, quello era ormai suo figlio.
E non lo avrebbe abbandonato mai.

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Capitolo 4
*** Sixteen years old- Escape ***


Joker sbuffò, facendo leggermente dondolare le gambe dal barile sul quale stava seduto.
Di lì a qualche istante, la sua vita sarebbe cambiata.
Finalmente avrebbe messo la parola fine ai disagi causati dal suo handicap fisico nella vita di ogni giorno.
Finalmente avrebbe avuto l'autonomia propria di ogni adolescente. La mancanza del braccio destro non gli avrebbe più causato problemi.
Si sentiva però un po' strano.
Ripensò con un senso di vertigine agli avvenimenti degli ultimi giorni.
Tre mattine prima, seduto sugli scalini di casa, Joker stava cercando di ammazzare il tempo facendo la punta ad un ramoscello con un coltellino affilato. L'operazione, per essere eseguita, aveva bisogno di una manovra particolare. Il ragazzo aveva il bastoncino tra i denti, e ad occhi socchiusi cercava di far incontrare alla lama la punta del legnetto.
In quel momento, fece capolino dal fondo della strada un ometto non molto alto, ma dall'aspetto curato  e  pulito.
Cosa rara a vedersi in quel quartiere, dove la miseria regnava sovrana e gli abitanti avevano a malapena di che sfamarsi.
Solo Undertaker, il padre adottivo di Joker, e pochi altri riuscivano a vivere bene da quelle parti, grazie alla proprietà di piccoli esercizi commerciali.
In ogni caso, il ragazzo dai capelli rossi, dopo una veloce occhiata, si disinteressò subito al nuovo venuto, continuando a concentrarsi sul proprio passatempo.
In una frazione di secondo qualcosa andò storto. La lama scivolò dalle mani inesperte del giovane, procurandogli un piccolo taglio sanguinante sul ginocchio destro, lasciato nudo dai pantaloni corti.
A Joker sfuggì un mugolio di sorpresa e di dolore, e una veloce imprecazione a bassa voce.
Il passante, udendo quei lamenti, si avvicinò subito al ragazzo dagli occhi viola, ancora preso a disinfettare la ferita con un  dito inumidito di saliva, ripiegato su sé stesso.
L'uomo si inginocchiò al suo fianco. -Accipicchia, ragazzino, ma sei pazzo? Ti sembrano giochi da fare? E' pericoloso! Perchè mai usare la bocca, le mani ce le hai!-
Gli occhi perforanti di Joker perforarono il gentleman come una coltellata. Spaventato, quest' ultimo osservò meglio il ragazzo. Accidenti. Di mani de aveva solo una. Imbarazzato, il signore si affrettò a scusarsi.
Joker abbassò il capo, non volendo far notare allo sconosciuto le lacrime che gli riempivano gli occhi.
-Io... io sono nato così- mormorò sottovoce.
In quel momento, sul volto dell'uomo apparve un ghigno crudele.
-Ragazzo, lascia che mi presenti. Io sono il barone Kelvin e posso aiutarti col tuo problema. Vedi, io gestisco un circo, e sono tanti quelli che si rivolgono a me per mancanze simili. Se tu accetterai di lavorare alle mie dipendenze, io potrò ridarti la mano che ti manca. Un semplice contratto tra noi due. Niente di più, niente di meno. Ora sono di fretta, ma se hai bisogno di me, mi troverai per tutta la serata al pub all'entrata del ponte di Londra. Pensaci.-
Joker alzò lo sguardo.
Lo stava prendendo in giro? I grandi occhi espressivi scrutarono l'interlocutore. Il viso sereno del barone, sembrava confermarne le buone intenzioni.
Esterrefatto e ammutolito, il ragazzo lo osservò andarsene con passo lento.
Joker corse subito in casa per avvertire il padre della decisione presa in quel preciso istante. Avrebbe lavorato in un circo in cambio del suo arto mancante.
Dopo un attimo di sconcerto, in cui Undertaker stentò a capire le parole concitate del figlio adottivo, con la bocca aperta e l'espressione sconvolta, il becchino si riscosse.
- Sciocchezze Joker. Anche se è un nobile, chissà di che gentaglia è a capo. E poi, figurati... tu sei nato così e nessuno può farci niente. Si possono far crescere gli alberi, i fiori, i cavoli, ma nessuno ha mai fatto crescere le parti del corpo mancanti.-
Il ragazzo strinse i pugni - Ma papà, sarebbe stata... una nuova vita. La fine dei miei problemi. Quello che qualsiasi persona normale fa in un batter d'occhio, per me è fonte di fatica e spreco di tempo.-
Undertaker si avvicinò al figlio - Lo faccio per te, figliolo. Come fai a fidarti di uno che hai appena conosciuto e ti promette cose del genere?-
- Ma papà! E' l'occasione della mia vita! Tu non vuoi finalmente vedermi felice?-
- Certo che lo voglio! E' per questo che ti impedisco di imbarcarti in un'impresa del genere.- concluse il becchino, piccato.
Joker, in preda alla rabbia, uscì sbattendo la porta.
Undertaker sbuffò. Sempre così dopo ogni lite. Tra qualche ora, al calar della notte, si sarebbe ripresentato, affamato ed infreddolito.
Eppure, tre giorni dopo la fuga, il ragazzo ancora non era tornato ed ora stava aspettando di ricevere finalmente il tanto agognato "pezzo mancante".
In quel momento, il barone uscì da una piccola stanza buia, con in mano quello che sembrava un pezzo di scheletro.
Sconcertato, il ragazzo dagli occhi viola, osservò quel macabro rimasuglio. In effetti, sembrava proprio una mano scheletrica, completa di avambraccio.
Con poca delicatezza, il barone allacciò la cinghia di cuoio dell'arto artificiale alla base del gomito di Joker, che lo guardava con gli occhi pieni di timore.
Con un sorrisino inquietante, il barone ghignò. -Questi erano i patti. Col tempo ti ci abituerai. Benvenuto al Noah Ark Circus, Joker.-
Il ragazzo trattenne le lacrime, pensando ancora una volta ad Undertaker. Ancora una volta, quel pazzo aveva avuto ragione.
Ormai però i patti erano stati fatti. La sua vita sarebbe stata confinata a una recita, una ridicola parodia del mondo reale al di fuori di quella tenda.
Se solo avesse ascoltato quell' uomo, che ora lo stava cercando disperatamente sotto il cielo della ormai lontana Londra, avrebbe avuto ancora la possibilità di un futuro relativamente gioioso davanti a sé.
Ora, in quella tenda colorata accampata nella periferia di un piccolo villaggio inglese, altro non poteva fare che chiedere in silenzio perdono per il suo ennesimo errore.

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Capitolo 5
*** Twenty-five years old- I am stretched on your grave ***


Ultimo capitolo. Fiuuuu questa fanfiction è stata un vero e proprio parto *si asciuga il sudore*. Beh... spero che vi sia piaciuta. Niente da aggiungere, se non... fatemi felice e recensiteeee!! *__*

Trascinando l'orlo del mantello sull'acciottolato innevato, Undertaker camminava lentamente verso la zona meno densamente popolata dell'East End.
Nella notte, durante uno scontro armato, alcuni artisti di un circo ambulante erano stati uccisi.
Tra loro, aveva saputo di un ragazzo dai folti capelli rossi e dai penetranti occhi viola, dell'apparente età di venticinque anni.
Pareva fosse molto apprezzato nel suo campo, e veniva chiamato Joker.
A questa notizia, raccontatagli da un gentleman di passaggio, al becchino era sfuggito dalle labbra un rantolo soffocato.
Dopo nove anni di vane ricerche, avrebbe finalmente rivisto suo figlio.
Mai però avrebbe immaginato di rivederlo così. Pallido, freddo e rigido, riverso in una pozza di sangue.
Qualcosa di caldo e umido cadde sulla mano di Undertaker, una volta avvicinatosi a Joker.
Pioggia? Lo shinigami alzò lo sguardo. Non poteva essere. Il cielo era coperto dal tessuto della tenda nel quale lo scontro era avvenuto.
Poi capì.
Lacrime.
Per lui era un'esperienza nuova.
Nei suoi lunghi anni di lavoro come becchino, aveva assistito a molte scene di pianto straziante, ma essendo sempre stato privo di affetto nei confronti di qualcuno, non aveva mai capito il dolore dei superstiti.
Ora era diverso.
Stavolta, il "cliente" era suo figlio, che per rincorrere il sogno di una vita autonoma e uguale a quella di tutti gli altri, ora aspettava di essere accolto dalla terra fredda e umida.
Undertaker si inginocchiò ed abbracciò il corpo di Joker, osservando tra le lacrime la mano artificiale.
Questione di qualche mese e tutto il corpo del figlio ne avrebbe avuto lo stesso aspetto.
Era sempre stato così. Non lo voleva mai ascoltare. Nonostante le promesse, nonostante l'amore che li legava.
Come se potesse sentirlo, il becchino sussurrò all'orecchio del ragazzo - Sei sempre stato così. La tua voglia di avere una vita normale ti ha ucciso. Anche se avevi difficoltà nelle faccende di ogni giorno, io ti amavo così. Non ti bastava? Che sciocco sei...-
Con un sospiro, lo shinigami avvolse il corpo di Joker in un lenzuolo bianco. Prima di coprire per l'ultima volta il viso, ne osservò i lineamenti fini e delicati, come a volerli fissare nella memoria.
Poi, con un sospiro e un gesto veloce, lasciò che il tessuto gli coprisse la visuale.
-Spero che ci rivedremo in qualche altro mondo, un giorno... figlio mio...-

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