Il Re e la sua Principessa

di Vespa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ti voglio ***
Capitolo 2: *** Sirya ***
Capitolo 3: *** Il Tradimento ***
Capitolo 4: *** Power Spot ***
Capitolo 5: *** Rogo demoniaco ***



Capitolo 1
*** Ti voglio ***


Hola gentaglia ^___^ !!!!
Questa è la mia prima fan-fiction e la dedico al bellissimo anime de "I Cieli d' Escaflowne".
L' altro giorno mi sono comprata i DVD (azz...mi sono dissanguata!!!) e non ho resistito alla voglia di scrivere un continuo; spero di essere all'altezza, anche se ho i miei seri dubbi; sviluppare una storia è molto difficile, se poi, come base, mi prendo un anime così bello e intricato, la cosa si fa ancor più complessa!!
Spero di ricevere commenti, ma, soprattutto, consigli costruttivi per migliorarmi (che ne ho parecchio bisogno, visto che scrivo come un cane... ).
La storia l'ho messa V.M 18 perchè potrei inserire delle scene erotiche, ma non ne sono sicura; sarà comunque sull'impronta dell'anime: sentimentale, romantica ma anche azione, avventura (se riesco a finirla -_-""" ).
Ancora non ho la minima idea di come si articolerà la vicenda... vabbè... vi lascio che ho parlato fin troppo!
Bacini.


PROLOGO:

Erano passati cinque anni, ben cinque anni da quando Hitomi era partita.
"Cinque anni..." sussurrò Van con aria distratta.
Un lasso di tempo breve, ma che era trascorso lentamente per il bel Re.
La sua adorata città di Fanelia era stata, quasi completamente, ricostruita grazie alla forza di volontà dei superstiti e l' ardente desio di Van.
Il re aveva, di nuovo, un palazzo e un popolo da guidare.
Primavera, la stagione più bella.
L' aria tiepida, accarezzata dai raggi del sole, era impregnata dai dolci profumi dei fiori dai mille colori, l'acqua sgorgava limpida da una piccola sorgente, gli uccellini cinguettavano, come a voler render partecipe l'intero universo alla loro felicità.
Un quadretto idilliaco, se non fosse stato per il fatto che Lei era lontana.
Van disteso sul prato sgargiante di mille colori pensava; quando non era impegnato nel governo della sua adorata Fanelia, la mente volava verso di Lei, aveva la sua immagine scolpita nel cuore, come un tatuaggio indelebile e doloroso.
Tante domande assillavano la sua testa, ma nessuna trovava risposta, a volte, preferendo restare nel beneficio del dubbio, non pensava affatto e fissava la Luna dell' Illusione con aria assente.
"SIGNORINO VAAAAN, SIGNORINO VAAAN!!!!!!!!", la voce squillante di Merle lo fece tornare coi piedi per terra (nda: non sarebbe + appropriato dire coi piedi su Gaea?! bho...) e l'immagine di Hitomi svanì dalla sua mente.
"Merle ha fatto una ghirlanda di fiori per lei, sono così belli... Suvvia, non faccia quell'aria imbronciata !".
Van rivolse alla gatta uno sguardo pieno di dolcezza, la sua Merle, in tutto quel tempo le era restata sempre vicina, sempre disponibile ad ascoltarlo e a consolarlo, quando la tristezza lo attanagliava e non lo lasciava più, lei era pronta ad abbracciarlo e a rimanere così, per ore, senza una parola, senza una domanda.
" Grazie Merle, è molto bella, devi averci impiegato molto tempo." disse, osservando i fiori intrecciati con tanta cura.
"Non importa, Merle è contenta se può rendere felice il signorino Van !!!".
Anche Merle, pur mantenendo i suoi atteggiamenti fanciulleschi, era cambiata; si era fatta più alta e formosa, conservando, però, la sua forma snella e agile da gatta.
I capelli rosati fluivano lunghi e setosi sino alla schiena e gli occhi, blu intenso, avevano preso la caratteristica forma allungata.
Era diventata bella.
Essendo una persona estremamente sensibile percepiva la tristezza del suo amato signorino Van, nonostante lui negasse ogni volta.
Erano stati pochi i momenti in cui si era confidato con lei, ma, d'altra parte, il signorino non era Vun tipo estroverso e le parole gli dovevano essere cavate con le pinze.
Merle si era presa il gravoso impegno di occuparsi di lui; lui aveva fatto rinascere il sorriso nei suoi occhi, quando quello di cui sorridere era ben poco, quindi non l'avrebbe mai lasciato solo, anche se questo avrebbe voluto dire rinunciare alla sua vita.
" Merle, il sole sta calando, torniamo a palazzo."
" Ma signorino Van, Merle adora questo posto, ancora un poco, la prego!!!"
" Domani Merle, domani, non è prudente rimanere fino al calar del sole fuori casa, la temperatura in questa stagione scende molto velocemente."
" Vabbene, ma domani torniamo, vero?" esclamò Merle.
"Certo, domani..."
L' aria imbronciata e, simultaneamente, buffa della ragazza si dissolse per lasciar posto a un sorriso luminoso e pieno d' affetto.

Man mano che camminavano si cominciava a intravedere la conca dov' era ubicata Fanelia.
La giornata stava volgendo al termine e la città era un via vai frenetico ma, allo stesso tempo, rilassante, di gente che si affannava a finire i propri compiti, impaziente di tornare alle proprie case.
Van osservava con sguardo amorevole la propria patria: era veramente bella, quasi come prima che fosse distrutta dalle forze di Zaibach.
Zaibach...al sol pensare quella parola un miscuglio d' emozioni si facevano strada dentro di lui: rancore, rabbia, odio, disperazione, tristezza ma anche nostalgia: nostalgia di Hitomi.
Ogni cosa gli faceva rievocora Hitomi, quei suoi occhi grandi e puliti, il suo sorriso luminoso: semplicemente Lei.
Merle notò che lo sguardo del signorino Van si rabbuiava, sapeva che stava pensando a Hitomi, lo conosceva fin troppo bene e non aveva bisogno di parole per capirlo.

Era scesa la notte sul mondo di Gaea, Van si trovava nella sua stanza e osservava dalla finestra il cielo stellato.
Pensava ancora a Lei, ormai era diventata un chiodo fisso.
All'inizio, quando Hitomi era tornata sulla Luna dell' Illusione, gli bastava sapere che c'era, che c'era qualcuno che lo amasse e che avesse fiducia in lui, non importava dove, questo gli bastava.
Gli anni, però, passavano e con essi si rafforzava la nostalgia di Lei; ora non era più sufficiente sapere che c'era, la voleva lì, con lui, voleva viverla pienamente, voleva vederla sorridere per lui, voleva toccarla, abbracciarla, baciarla; ogni minima fibra del suo essere fremeva al suo pensiero.
Il ragazzo immaturo e ancora acerbo si stava trasformato in un bellissimo uomo: stava sbocciando come un fiore, in tutto il suo splendore; era cresciuto in altezza, si era fatto più muscoloso e i lineamenti del suo viso più marcati.
Anche il suo carattere era mutato e da ragazzo avventato e impulsivo era diventato più pacato e riflessivo.
Ma questo suo essere uomo gli causava molto dolore perchè aveva la consapevolezza che, forse, non l'avrebbe più rivista e, nonostante questo, non riusciva a dimenticarla: aveva voglia di Lei e non solo intellettivamente ma anche fisicamente, sentiva dal basso ventre il desiderio pervadere tutto il suo essere, fino ad offuscargli la mente.
Provava dolore fisico da quanto la voleva.
Basta, non ce la faceva più, aveva aspettato fin troppo tempo, era ora d' agire.
Si sfilò dal collo il ciondolo che gli aveva donato Hitomi, osservò per qualche secondo, con aria decisa, il prezioso gioiello prima di farlo oscillare davanti ai suoi occhi.
Uno, due, tre, quattro; <> disse, quasi in un sussurro e pensò a lei intensamente; cinque, sei; tutte le forze di Van convergevano verso la gemma rossa; sette, otto, nove, "DIECI !" esclamò con le ultime energie rimastegli, aspettandosi di vedere nel cielo stellato una luce bene conosciuta.
La notte, però, rimase scura e silenziosa.
Van, stremato, si gettò sul letto con tanta voglia di piangere.
Si addormentò, poco dopo, con le labbra salate e la testa che gli pulsava dolorosamente.

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Capitolo 2
*** Sirya ***


Eccoci, dunque, al secondo capitolo, oserei definirlo più brutto del primo :D; vabbè, è la mia prima fan-fic, quindi sono, ampiamente, giustificata.
In realtà, sto solo cercando di trovare una scusante per giustificare i miei obbrobri.
Benchè la storia sia lentissimissima, lo ammetto, è gia' tanto che sono riuscita a postare il secondo capitolo e a non abbandonare tutto.
Mi sono accorta che un notevole contributo, nel creare la magia in questo anime, è dato dalle splendide musiche di Yoko Kanno, davvero divine, come farò a rievocare tali atmosfere T__T ?
Vi consiglio vivamente di procurarvele!
Vabbè, Hitomi non è tornata su Gaea, ma che fine ha fatto?
Me lo sto chiedendo anch'io -___-!
Bhe' vi ringrazio in anticipo, dovete essere degli obbiettori di coscienza per leggere 'sto schifo!
Mi raccomando, commentate!!!
Ora vi lascio, per vostra sfortuna, al secondo capitolo; ho parlato fin troppo!
Baci.
Ari.


CAP.2
Un nuovo giorno a Fanelia.
Con il sole, anche la cittadina si svegliò e cominciò il solito tran tran.
I negozianti, ancora insonnoliti, allestivano le bancarelle con ogni tipo di mercanzia; presto una folla di persone sarebbe accorsa al mercato centrale.
Anche il palazzo si stava, pian piano, rianimando e i lussuosi corridoi si popolavano di servitori, intenti nei loro incarichi mattutini.
Merle, come ogni gatta che si rispetti, era già alzata e pimpante; aspettò, impaziente, davanti la camera del signorino Van e bussò alla sua porta, ripetute volte, ma lui non si fece vedere.
Presa dai morsi della fame corse, famelica, verso la sala da pranzo, aspettando, con la bava alla bocca, la colazione.
Poco dopo, le venne servito un pasto luculliano che spazzolò via in pochi secondi.
Quella mattina, il signorino Van si faceva attendere più del solito.
Quando non era in compagnia del re, Merle trascorreva il tempo parlando, o meglio litigando, con Frederick.
Frederick era un ragazzo molto bello, di circa 25 anni terrestri, aveva lo sguardo gelido e malizioso ma, allo stesso tempo, vi si poteva intravedere un fondo di dolcezza, una dolcezza perduta e triste, ma non dimenticata.
Del suo passato si sapeva ben poco.
Era giunto alle porte di Fanelia, tre anni prima, ferito gravemente sulla schiena, stava morendo dissanguato.
Al suo risveglio, Frederick non ricordava nulla del suo passato, escluso il nome e, non avendo posto dove andare, fu accolto al palazzo per occuparsi della pulizia delle stalle.
Data la sua bellezza era stato subito adocchiato dalla maggior parte delle servitrici e, anche, da donne di stirpe nobile, giunte al palazzo con i rispettivi consorti.
Quest' ultime, di nascosto dai mariti grassi e brutti, trascorrevano notti di sesso con il misterioso ragazzo e, puntualmente, si struggevano d' amore per lui. Facevano carte false per rivederlo.
Frederick, però, non passava che una sola notte con le sue spasimanti e, poi, la notte dopo, di nuovo, ma con un'altra donna.
Nessuna era mai riuscita ad averlo per, almeno, due volte.

"Sempre di buon' ora, piccola Merle, eh?" esclamò il ragazzo, notando che la gatta si era acciambellata sul muricciolo davanti una stalla.
"Già..." si limitò a rispondere Merle, leccandosi la mano sinistra e passandosela sopra l' orecchio corrispondente.
"Come mai non sei insieme al re Van, stamani? Non ci avrai mica litigato? Certo che, con il carattere che ti ritrovi, è difficile sopportarti tutti i giorni..." esclamò divertito.
"Ma come osi, se c'è qualcuno con il caratteraccio quello sei tu! Tsk... se sei qui è tutto merito mio!!! Sono io che ho convinto il signorino Van ad accoglierti al castello..." puntualizzò Merle, che era stata punta sull'orgoglio, alzandosi in piedi.
"E dovrei anche ringranziarti ?! Già che c'eri potevi trovarmi un' occupazione più gratificante, oh potente Merle..."
"Oggi sei veramente insopportabile, presuntuoso!" esclamò offesa la gatta, facendo dietro-front verso il palazzo.
"Ehi, Merle, aspetta, dai. Lo sai che mi diverto a stuzzicarti e se tu ci caschi, tutte le volte, come una patata lessa non è mica colpa mia !!!"
"Allora, ti vuoi scusare o vuoi continuare a prederti gioco di me?!" esclamò irata la gatta, il cui pelo della coda si era rizzato tutto.
"No, no, scusa torna qui." concluse Frederick in tono dispiaciuto, almeno all'apparenza.
Merle si accoccolò, nuovamente, sul muricciolo accarezzato dai raggi del sole.
Il giardino che contornava il palazzo era veramente splendido; alberi colmi di frutta, aiuole di fiori colorati e fontanelle zampillanti lo adornavano; sembrava, quasi, il paradiso terrestre.
"Allora, come sta il re?" si informò il ragazzo dai capelli rosso fuoco.
"Bhe', insomma, ultimamente è molto triste, sai, ti ricordi di Hitomi...?"
Frederick annuì.
Merle, per sfogare la tristezza che il signorino Van riversava su di lei, aveva paralto a Frederick, per filo e per segno, della storia di Zaibach, dell' Escaflowne, di Asturia, di Allen e, naturalmente, di Hitomi.
" Ormai sono cinque anni che non si vedono più e il signorino Van ne soffre molto... vorrei aiutarlo in qualche modo, ma so che non è possibile...solo Hitomi potrebbe riuscirci e lei è lontana; non sappiamo neanche se si ricordi di noi..." disse, quasi in un sussurro, diventando improvvisamente mogia.
"Capisco...bhe' vedrai che tutto si risolverà per il meglio" la interruppe il bel ragazzo.
Poi, tanto per distrarla, le lanciò una mela bacata, che si trovava, abbandonata, nell'angolo della stalla.
"Tieni Merle, per la tua colazione!" esclamò giulivo.
"Ma che diavolo fai ???? SEI IMPAZZITO???".
"E dai, oramai, la tua voracità è nota in tutto il castello!"
"Ti stai prendendo troppe confidenze con me! Stammi alla larga d'ora in poi!!!"
"Ma se sei venuta tu qui!"
"Non centra nulla questo...portami più rispetto, intesi?!" farfugliò Merle, imbarazzata.
"Dai, dai, basta discutere. Piuttosto andiamo a fare una vera e propria colazione, ho una fame...è da stamattina che pulisco queste stalle, non ne posso più..."
Merle lo seguì verso le cucine dei servitori, contenta che lui avesse cambiato discorso.
"Ma ora che ci penso...io ho già fatto colazione!" esclamò la gatta.
"Ahahahah, sei sempre la solita; allora avevo ragione a darti della magiona!" ribattè il ragazzo, sulla soglia delle cucine.
Merle non disse nulla e si limitò ad arrossire; qualche volta, si poteva comportare anche lei da donnicciola indifesa.

I raggi caldi del sole, già alto, filtrarono dalla finestra aperta.
Il re si risvegliò da un sonno che gli era sembrato durare in eterno, profondo e senza sogni.
I ricordi della sera precedente erano confusi.
Mentre si alzava si accorse che nella mano stringeva qualcosa. Il ciondolo di Hitomi...già, Hitomi.
"Perchè non ha funzionato? Eppure l'ho desiderata con tutto me stesso" si chiese.
Un pensiero doloroso fece breccia dentro di lui.
"Che si sia dimenticata di Gaea, di Fanelia, di ME? Infondo, tra di noi non c'è stato nulla, se non una dichiarazione, parole."
Due innamorati, purtroppo, non potevano vivere di un amore platonico e per loro la situazione, in quel momento, era proprio quella.
Van cercò di cacciare i cattivi pensieri.
Quella mattina, tanto bella ma così triste, Van decise di andare nel boschetto dove riposava l' Escaflowne e i suoi cari defunti, quel posto lo rilassava e gli sgomberava la mente.

Appena uscì dalla camera lo fermò il maestro di corte, colui che prendeva le decisioni in mancanza del re, e lo apostrofò, severo.
"Re Van, mi permetta di dirle che questa non è l'ora consona per alzarsi. Ha la responsabilità di un regno. Stamattina, come ben sa, sono arrivati degli ambasciatori dal regno di Basram, è prudente mantere buoni rapporti con tutto il mondo di Gaea; la gente è assetata di potere e una qualsiasi scusa sarà buona per iniziare una guerra di conquista..." sentenziò quello, prolisso.
"Si, mi spiace, ma ieri non mi sentivo molto bene e stamani mi sono svegliato tardi..." sviò Van, nel tentativo di far terminare, al più presto, la ramamzina del vecchio.
Nonostante amasse molto il suo regno e il suo popolo, Van era sofferente nella carica di re diplomatico, non sopportava di dover trattare, ogni giorno, coi vari re e ambasciatori di Gaea ed ascoltare le loro lamentele, i loro progetti e via discorrendo; infatti, delegava, quando era possibile, il maestro di corte affinchè mantenesse vive le alleanze; oltre a risparmiargli una gran fatica era, a differenza di Van, un gran oratore e, come tale, se la cavava divinamente nelle trattative.
"Non si deve scusare, dopotutto, è sempre il re, dico questo per il bene di tutto il regno..." esclamò spiazzato; il re, stamani, sembrava più malleabile del solito.
"Si, lo so..." disse Van, mentre si recava all'uscita del palazzo.
"Ma re, dove sta andando....e Basram?!"
"Occupatene te Al, io ho da fare." disse, mentre attraversava la soglia del castello.
"Benedetto ragazzo, quando imparerai..." mugugnò il vecchio, contrariato, dirigendosi nella sala del trono, dove i famosi ambasciatori attendevano il re, impazienti.

L' Escaflowne, in tutta la sua imponenza, giaceva, addormentato, nella radura.
Sembrava essere il guardiano del piccolo cimitero.
Van sfiorò la robusta corazza, benchè il volere di suo fratello fosse quello di non usare più l'Escaflowne, a volte, desiderava poterlo guidare ancora.
L'ebrezza e l'adrenalina che provava sulle ali dell' Guymelef Ispanico erano uniche e magiche.
La sensazione di sentirsi un tutt'uno con esso.
Si fermò, qualche istante, a osservare le tombe dei suoi cari.
Di suo fratello Folken.
Dio, quanto gli mancava.
Alla mente gli tornavano i ricordi di un' infanzia perduta, di giorni pigri e felici con la sua famiglia.
Sua madre, suo padre.
La terra protetta dai draghi che mai sarebbe tornata come prima.
Si sdraiò sull' erba verde brillante, che, dopo un rigido inverno, era rinata più bella che mai.
Ma lui sarebbe mai rinato? Sarebbe mai riuscito a riconquistare la felicità perduta?
Troppe vite umane erano state spezzate per poter ricominciare da capo, imbossibile far finta di nulla.
Era cresciuto per credere, ancora, nelle favole.
Si addormentò, così, sotto l'aria tiepida e benevola.

Merle, al palazzo, era preoccupata.
Il signorino Van non si era ancora fatto vedere.
Il sole aveva già raggiunto il suo picco e si stava, lentamente, abbassando nel cielo limpido.
Il maestro del palazzo le aveva riferito che, in tarda mattinata, lo aveva visto uscire dal palazzo, non sapeva, però, dov'era diretto.
Frederick era occupato con il veterinario: un cavallo accusava strani malesseri, e, quindi, la gatta non sapeva cosa fare.
"UFFA!" esclamò, imbronciata.

Van si svegliò quando il sole stava, ormai, morendo dietro le colline.
Si mise a sedere, ancora, rintontito e un canto celestiale catturò la sua attenzione.
"Chi è che si trattiene, fino a quest'ora, a cantare nel bosco?" si chiese perplesso.
Proveniva dal fitto della selva.
Era una voce angelica ma, allo stesso tempo, malinconica.
Quelle parole dolci lo stavano, quasi, ipnotizzando.
Era una melodia che non aveva mai udito ma, al cui suono, un turbinio di emozioni nostalgiche si rimescolavano, confuse e agitate, nel suo cuore.
"Io, ho già sentito questa canzone, il mio corpo reagisce ad essa" pensò, mentre si avvicinava, correndo, alla fonte del suono.
Tra gli alberi fitti, seduta su una pietra, stava una fanciulla dalla bellezza indescrivibile.
Lunghi capelli color dello smeraldo la adornavano.
Il viso di una bambola, perfetto, dai tratti delicati.
Sembrava una Dea.
Van si fermò, estasiato, a quella vista.
La ragazza interruppe il canto.
I loro sguardi si incrociarono e in pochi secondi si dissero tanto, che una vita intera non sarebbe stata sufficiente a dire.
Van, ammutolito, dopo qualche istante riprese l'uso della parola.
" Chi sei?" chiese, secco.
"Io sono Sirya" rispose, pacata, la fanciulla.
"Che ci fai qui, in questo bosco?"
" Potrei farti la stessa domanda."
Van stette in silenzio.
Cosa cavolo gli stava capitando?
Insomma, non era la prima volta che incontrava una bella ragazza, non era da lui imbarazzarsi così, alla vista di una donna, se pur splendida.
Ma lui ne era certo, non sapeva come ma ne era certo, lei era speciale, l'aveva capito subito.
"Non hai dove andare, vero?" disse, speranzoso che la risposta fosse affermativa.
Non aveva mai visto quella donna prima ad ora; lo infastidiva e, allo stesso tempo affascinava, il fatto che lei, alla sola vista, scatenasse in lui quel vortice di sentimenti.
Non sapeva ben definire che tipo di sentimenti, ma il fatto che qualcuno fosse capace di provocarli era davvero singolare; era da tanto che non provava più nulla per nessuno, il suo cuore si era, ogni giorno, indurito sempre più; fino a diventare inscalfibile come il diamante.
In tutti quegli anni aveva atteso, speranzoso, l'arrivo di qualcuno che si prendesse cura di lui.
Qualcuno che lo consolasse, quando gli incubi lo perseguitavano.
Qualcuno che lo accettase, così com'era, pieno di difetti e titubanze.
Semplicemente, qualcuno che lo rendesse felice.
Ma quel qualcuno che aveva tanto atteso, con tutto sé stesso, non era arrivato e lui era solo, com'era sempre stato, da quando era morta la sua famiglia.
Lei annuì.
Lui abbozzò un sorriso.
"Seguimi al castello, allora."
Van cominciò a camminare, si voltò solo per essere sicuro che la ragazza lo stesse seguendo, e si recò alle volte del castello.
Non si scambiarono più una parola nè si riguardarono negli occhi.
Ma un legame, ancora confuso ed indefinito, si era formato tra i due.

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Capitolo 3
*** Il Tradimento ***


Hola, gentaglia ^___^!
Innanzitutto, voglio ringraziare tutti coloro che hanno lasciato commenti, grazie mille!
Eccomi qui che mi accingo a scrivere il terzo capitolo.
Che cosa succederà? (E chi cavolo se ne frega!!! ndtutti; T__T nda)
Comunque abbiamo fatto due nuove conoscenze....eh eh eh (non so cosa ci sia da ridere, -_-').
Ma Hitomi?!
Sinceramente, non ho idea di cosa stia combinando la ragazza della Luna dell' Illusione, però, mi inventerò qualcosa.
La storia, lo so, sta decollando faticosamente... ma che ci volete fare, sono barbosa di natura (tranquilli, ho adottato l'uso della ceretta!).
-__- vabbè, lasciamo stare ste battute idiote, che, tra l'altro, non fanno ridere nessuno...
Ora vi lascio in pace, non si sa se sono più pallosi i miei discorsi insensati o la fan-fic, mha!
A voi il giudizio!
E mi raccomando lasciate commenti (anche negativi nda; ma perchè, speri di riceverne di positivi?!? ndtutti).


CAP 3
Van si gettò, irritato, sul letto; ma cosa erano tutte quelle domande?
Quando era arrivato alle porte di Fanelia con quella fanciulla, tutto il palazzo si era mostrato indignato,
non capiva.
Avevano, addirittura, avuto il coraggio di chiedergli di cacciarla dalla città.
Che lo volessero o no, lui era sempre il re e le decisioni, fino a prova contraria, le avrebbe prese lui.
Si girò, con un movimento brusco, su un fianco, così che i suoi occhi potessero scrutare il cielo stellato, dalla finestra socchiusa.
Quella notte la Luna dell' Illusione era veramente bella.
Una, singolare, sensazione di benessere lo pervase.
Stranamente, quella sera, si sentiva tranquillo e in pace con sé stesso, era da tanto che non provava questa serenità interiore; da quando era piccolo.
Che fosse merito di quella ragazza?
Non si erano detti pressochè niente, ma percepiva in lei qualcosa di particolare.
Il suo corpo la riconesceva come se fosse stata, un tempo, parte di esso.
Tutte le volte che il suo sguardo si posava sulla sua persona, immediatamente si sentiva felice.
E Hitomi? Fino a poche ore fa la desiderava, e ora?
Che fosse, in realtà, così vulnerabile?
Che il suo desiderio di avere qualcuno che non lo rifiutasse, per quello che era, aveva proiettato in Hitomi la figura di colei che lo avrebbe reso felice?
Era estremamente confuso.
Ultimamente pensava troppo.
Tutti quegli enigmi senza soluzione gli causavano un gran mal di testa.
Si passò le dita attraversò i lucidi capelli neri, prese la spada che aveva ricevuto il giorno dell' incoronazione e si recò fuori, nell' oscurità.


Il giardino del palazzo era appena illuminato dalla fievole luce dei due astri, il minimo necessario per consentire i movimenti.
Van impugnò deciso la spada e menò qualche fendente nell' aria; era da tanto che non si allenava un po'.
All'inizio durò una certa fatica poi, pian piano, i suoi movimenti divennero più fluidi e coordinati, fino a diventare in simbiosi con la lama.
Era molto rilassante.
Vedendolo ora, Bulgas sarebbe stato fiero di lui.
Van era molto concentrato, tanto che era entrato in una specie di trance, e impegò un po' di tempo per capire che due occhi, grandi e limpidi, lo stessero osservando.
"Chi va là? Vieni fuori, se hai il coraggio!" esclamò verso un cespuglio di rose odorose, da cui aveva sentito provenire strani fruscii.
Impugnò la spada più saldamente e aspettò.
Da dietro la pianta spinosa uscì fuori Sirya.
Van, sorpreso, rilassò i muscoli tesi, ripose la spada e si mise a sedere su un muricciolo, leggermente coperto di muschio.
"Che fai alzata a quest'ora? La stanza non è di tuo gradimento, per caso?"
"No, no...La stanza è molto bella, grazie. Non riuscivo a prendere sonno, e poi, questa, è una serata veramente splendida. " disse, pacata.
"E' un peccato stare in una stanza chiusa, quando la natura ti regala questi spettacoli, non trovi?"
"Si, le notti di Fanelia sono meravigliose."
Sirya si sedette accanto a lui.
"Che bella spada! Di così pregiata qualità non se ne vedono più." disse la ragazza, osservando la lama lucente e le rifiniture con cui era ornata.
"Questa spada appartiene ai sovrani di Fanelia da molte generazioni, la sua storia si perde nelle origini."
"Davvero? Allora hai un pezzo di storia di Gaea tra le mani!" disse, sfoderando un sorriso luminoso.
Il vento in quel momento si alzò e i lunghi capelli della ragazza si mossero, capricciosi, in mille spirali d'acqua.
Il profumo della sua chioma si diffuse nell' aria circostante.
A quell' odore Van sentì una fitta, era un profumo familiare.
"Qualcosa non va?" chiese la ragazza.
"Bhe', no, ma si è fatto tardi, è meglio andare a coricarsi" disse, frettoloso di allontanarsi da lei.
"Si, il vento si sta alzando, domani ci sarà bufera." concluse, caustica, lei.
Entrambi si alzarono dal freddo muricciolo e, dopo esser rientrati al castello, senza neanche darsi la buonanotte, si recarono nelle rispettive stanze.


"Che mi è preso, stavo così bene e poi, improvvisamente, quel profumo..."
Già, quel profumo gli aveva causato nostalgia, non sapeva esattemente di cosa, ma quella nostalgia gli faceva male.
Gli faceva venire la voglia, irrefrenabile, di piangere e lui, adesso, era un uomo, era il re, non poteva piangere senza sapere, neanche, il perchè.

Le parole della ragazza erano state come una perdizione.
Il giorno seguente, infatti, il sole ridente era solo un bel ricordo; i venti turbinavano feroci, facendo fluttuare le foglie e smuovendo le fronde degli alberi.

Sirya uscì dalla stanza, impeccabile come sempre, e scrutò, attenta, i sontuosi corridoi del palazzo.
La sera precedente, nella fretta, non aveva avuto tempo per strabiliarsi davanti alla bellezza dell' edeficio.
Era felice, felice di esser riuscita nel principio della sua missione.
La strada era, ancora, lunga e tortuosa ma, dopo aver conosciuto Van, era sicura che ce l'avrebbe fatta.
Avrebbe ridato vita al suo popolo.
Quando si risvegliò da i suoi pensieri si accorse, con stupore, che una strana ragazza la stava osservando severa e curiosa.
" E tu chi sei?" chiese Sirya, perplessa.
"Come chi sono io! Chi sei tu, casomai!" disse Merle, piccata.
" Io sono Sirya."
"Io sono Sirya..." le fece il verso la gatta.
"E poi? Possiamo sapere qualcos' altro? Ci è concesso a noi, miserabili, mortali???" rincarò Merle, ora furiosa.
Non aveva, proprio, digerito il fatto che il signorino Van avesse portato quella sconosciuta al palazzo.
"Mi spiace, ma non ricordo nulla del mio passato." mentì, malvolentieri, la ragazza dai capelli dello smeraldo.
"Eccone un' altra! Ultimamente a Fanelia si presentano tutti in stato di amnesia?" borbottò Merle, quasi a sé stessa.
"Che vuoi dire?" chiese Sirya, incuriosita.
"Nulla, nulla, non sono affari che ti riguardano!!!" disse Merle, avviandosi verso la camera del re.
"Ah, un' ultima cosa! Stai alla larga dal signorino Van, ci siamo intesi???" esclamò, voltandosi di scatto.
La ragazza rimase basita davanti la sfacciataggine di quella donna gatto.
Merle agitava la coda, furiosa.
Quella scena le ricordava, fin troppo, l'arrivo di Hitomi al palazzo.
Non voleva che qualcuno, per quanto bella e fine nei modi, prendesse il posto dell' amica, che aveva imparato ad apprezzare e ad amare col tempo.
Bussò, energica, alla porta del signorino Van.
Come la mattina precedente non ottenne alcuna risposta.
Attese, nervosa; questa volta non l'avrebbe fatto uscire da solo dal castello; un' intrusa bastava e avanzava.
Merle, stanca di aspettare, aprì la porta della camera.
Con sua sorpresa, però, la stanza era vuota.
"E ora? Dove sarà andato il signorino Van?? Se è da quella io la strozzo!!!" esclamò, ad alta voce, imbufalita.

Sirya, intanto, era uscita, nonostante il tempo, e camminava assorta nei suoi pensieri, mentre il vento, ululante, la sbatacchiava di qua e di là.
I delicati fiorellini venivano sbarbicati e gettati lontano dalle correnti dispettose.
Senza rendersene conto era arrivata davanti le stalle del palazzo.
Qualcuno stava nutrendo e tranquillizzando gli animali, impauriti.
Quel qualcuno era un ragazzo dai capelli rossi con una voce calda ed armonica.
Improvvisamente lui si girò di scatto.
Lei lo vide, lui la vide.
La ragazza ebbe un tuffo al cuore e rimase paralizzata per qualche istante.
Non era possibile, che ci faceva lui, lì?
Il ragazzo, per tutta risposta, non la riconobbe e la guardò, ammaliato da cotanta bellezza.
"E tu..tu.. chi sei?" chiese la ragazza, con voce tremante.
"Il mio fascino fa strage di cuori; non credevo di scatenare tali emozioni, in una fanciulla, alla sola vista." disse scherzoso, osservando il rossore che si era creato sulle gote di porcellana di Sirya.
"No, non è quello..." disse la ragazza, annaspicando, alla ricerca delle parole giuste per togliersi il dubbio che l' arrovellava.
"Tu chi sei?" ripetè, infine, semplicemente.
"Ehi, non potresti trovare una domanda un po' più semplice, non lo so nenach' io chi sono e lo vuoi sapere tu???"continuò in tono ironico Frederick.
"L'unica informazione che ti posso dare è il mio nome: Frederick." concluse, dopo qualche secondo.
Gli animali si erano tranquillizzati grazie alle cure del ragazzo, le stalle erano pulite.
Ma il cuore della ragazza, ora, era pieno di dubbi, agitato.
"Quel nome, allora è proprio lui; non ci sono dubbi." pensò confusa e, allo stesso tempo, felice la fanciulla.
Ma la felicità svanì subito, com'era arrivata, offuscata da un dubbio che si faceva strada, doloroso e lacerante, nel cuore di Sirya.

Van era impegnato nelle solite trattative; questa volta, purtroppo, non si era potuto sottrarre ai suoi doveri di re.
Ascoltava, distratto, quei fiumi di parole inutili e superflue.
Intanto guardava, con la coda dell'occhio, fuori.
Aveva visto Sirya passeggiare e parlare con quello strano amico di Merle.
Non sapeva molto di quel tipo, e, ad essere sincero, fino ad ora non gli era interessato, un gran che, scoprire i suoi misteri.
Lo aveva accolto al palazzo soltanto grazie all' insistenze di Merle.
Il suo sguardo lo metteva a disagio.
Uno strano sentimento, misto a gelosia, lo stava attanagliando alla vista di Sirya, che guardava, amorevolmente, Frederick.
Dio, non voleva che lei lo guardasse così.
L' aveva condotta lui al palazzo, era soltanto sua.
"Allora, re Van, lei è d'accordo?" intervenne l' ambasciatore di Cesario, con tono arrogante.
Van tornò coi piedi per terra e annuì, benchè, non sapesse minimamente di cosa stesse parlando.

Appena uscito dalla sala del trono, Merle gli saltò, affettuosa, al collo e gli leccò, felice, la faccia.
L' ambasciatore guardò la scenetta disgustato.

Andarono tutti quanti nella sala da pranzo.
Era una stanza molto bella; un lungo tavolo rettangolare, di legno scuro e massiccio, faceva da padrone, un grosso candelabro era posizionato al centro di esso e le sedie sobrie ma eleganti lo contornavano.
Le pareti erano ricche di dipinti e antiche spade.
Il simbolo di Fanelia sovrastava, imponente, su una parete dai colori chiari e rilassanti; infine una porta finestra, con delle tende porpora, sprigionava la fievole luce di quel giorno tempestoso.
Al suo interno Sirya, in tutta la sua eleganza, li stava già aspettando, in piedi.
Van non la degnò, neanche, di uno sguardo e Merle, a quella vista, le lanciò un' occhiata soddisfatta.
Il pranzo fu silenzioso; sulla stanza era calata una cappa di gelo.
Van era ancora innervosito dalla scena che aveva visto poco prima.
Il silenzio fu interrotto dall' ambasciatore.
"E' possibile conoscere il nome di questa meraviglia che siede al nostro tavolo?" disse, con finta galanteria, e facendo, contemporaneamente, l'occhietto a Sirya.
"Sirya." si limitò a dire la ragazza, senza alzare gli occhi dal piatto.
"E scommetto, re Van, che questo splendore è la sua dolce metà..." continuò, imperterrito.
Van lo guardò, estremamente irritato.
"No, è arrivata solo ieri sera ed è mia ospite per tempo indetermineto."
"Capisco, non ha avuto ancora l'occasione di fare una conoscenza più approfondita..." disse allusivo.
"Il signorino Van ha già una persona speciale!" intervenne Merle, arrabbiata.
"E questa donna-gatto, cosa ha da mettersi in mezzo? Zitta, mocciosetta; porta più rispetto a chi è più grande di te e, soprattutto, importante." tuonò.
Merle stava per rispondergli per le rime, ma Van la bloccò con lo sguardo; ci avrebbe pensato lui, dopo.
Nella sala calò nuovamente il silenzio.
Quando il pranzo finì tutti tirarono un sospiro di sollievo, felici di potersi ritarare nelle proprie stanze.
Van aveva il desiderio di poter parlare, ancora, con Sirya, di poterla guardare in silenzio; voleva capire perchè lei lo affascinasse tanto e come mai esercitasse quell' attrazione su di lui, come se fossero due poli opposti; ma vide che lei era persa nei suoi pensieri e rimandò, questi chiarimenti, ad un secondo momento.

Merle, furibonda per le parole di quel ciccione sgradevole e viscido, si recò, per sfogare le sue frustrazioni, da Frederick che stava riposando nella sua camera.

"Capisci come mi ha trattata? Come una nullità!" disse Merle con foga, accoccolata sul misero letto di Frederick.
Il ragazzo per farle posto si era accomodato sull'unica sedia della camera.
Quella stanza era piccola, striminzita e povera nell'arredamento.
"Bhe', infondo, lo capisco, pover'uomo, hai una lingua lunga tu..."
"Ma che cosa significa, si era permesso di dire che quella là fosse la fidanzata del signorino Van, inaccettabile!" lo apostrofò la gatta.
"Chi, Sirya?"
"Cooome, come fai a conoscerla?" esclamò Merle, quasi urlando.
"C' ho parlato stamattina, si stava aggirando per il giardino...è già pazza di me!!!" rispose, orgolioso di poter dimostrare il suo fascino disarmante.
"Ma che cavolo fai? Ma quella è solo una vipera, voi uomini siete tutti uguali, come ti fa a piacere una come quella dico io!!! E' pure brutta!"
"Ehi, ehi, ehi, siamo gelosetti qui, eh?"
"Non capisci veramente nulla, sei uno stupido!" disse Merle, con le lacrime agli occhi, correndo via dalla stanzetta.
"E dai, fermati, Merle..." la richiamò, inutilmente, il bel ragazzo.

Merle correva verso la sua camera come una furia.
Stupido, stupido, stupido.
Possibile che non la capisse; possibile che tutti rimanessero ammaliati da quella là?
Prima il signorino Van, ora lui.
La odiava e li odiava.
Se aveva detto quelle cose era solo per il suo bene, che cavolo centrava quel "gelosa", dove voleva andare a parare.
Lei gelosa di lui, tsk.
Improvvisamente qualcosa frenò la sua corsa folle, o meglio, qualcuno l' aveva presa per un polso.
Merle si divincolò, furiosa, e non riuscendosi cominciò di nuovo a piangere, sentendosi debole e impotente.
Frederick le prese il viso con la mano libera e la costrinse a guardarlo.
"Ehi, piccola Merle, scusami..." disse, piano, dolce.
Una strana sensazione di calore la pervase e delle scosse elettriche le passarono dalla schiena.
Com'erano belli quegli occhi, adesso così tristi e dispiaciuti.
Sentì il suo corpicino esile a contatto con quello di lui, robusto e muscoloso.
"E non chiamarmi piccola!" disse, invece, assestandogli un calcio nelle parti basse. ( T_T povero Frederick nda)
Il ragazzo allentò la presa e la gatta ne approfittò per scappare.
Il rosso, però, fu più veloce di lei e non gli ci volle molto per bloccarla nuovamente.
"Merle, ti prego, ascoltami. Scusa, mi dispiace davvero tanto..." disse, con il viso vicinissimo a quello della ragazza.
Lei era confusa, prima lo avrebbe uscciso e ora il suo piccolo cuore batteva, timido e impazzito, sentendo il fiato caldo di Frederick sulla sua pelle.
Merle fece per dire qualcosa, ma il ragazzo la bloccò in anticipo, abbracciandola.
Lei si lasciò andare e strinse quel corpo caldo e muscoloso.
Braccia forti e possenti la circondavano.
Sentiva il suo profumo, un po' aspro, penetrare nelle sue nari.
Era stordita, ammaliata.
Toccò quei capelli di fuoco.
Poi, pianse, sulla sua spalla muscolosa, senza un motivo.
Un pianto, lungo, di bambina.

In un' altra ala del castello, stava per accadere una scena analoga, ma con protagonisti diversi.
Sirya era inchiodata sul suo letto, mentre l'ambasciatore di Cesario stava sopra di lei, bloccando ogni suo possibile movimento.
La guardava con occhi avidi e desiderosi.
Era visibilmente eccitato.
Voglioso di cogliere i frutti nascosti dall' abito sontuoso della fanciulla.
Respirava affannato.
Sirya aveva smesso di divincolarsi, una benda le impediva, perfino, di emettere alcun suono, teneva gli occhi chiusi; orgogliosa, nella sua dignità femminile.
Emise un piccolo gemito, quando l'uomo le infilò un mano sotto la veste.
L'ambasciatore si innervosì, constatando che la veste era molto attillata; in un raptus d'ira strappò il vestito dal corpo di Sirya e rimase a bocca aperta, alla vista di tutto quel ben di dio.
I suoi seni turgidi e perfetti, bianchi come il latte, la sua pancia piatta.
L'uomo mise, subito, una mano sopra il seno morbido, voglioso più che mai.
Poi si slacciò i pantaloni, prese una mano della ragazza e la mise sul suo membro, ormai, già dritto e turgido.
Lei, con un ultimo guizzo di energia, riuscì a divincolarsi, aiutata, dall'evidente eccitazione dell'uomo.
Si tolse la benda dalla bocca ed emise un urlo, prima che l'uomo la raggiungesse nuovamente.


Van, intanto, si stava recando nella stanza di Sirya, non sapeva bene cosa dirle, ma sapeva solo che voleva parlare con lei.
Era quasi giunto davanti la sua porta, quando un urlo gli ghiacciò il sangue nelle vene.
Porveniva dalla camera di Sirya.
Abbattè la porta con furore, tutti i muscoli del suo corpo erano in tensione.
La scena che si mostrò alla sua vista gli fece andare il sangue al cervello.
Impugnò la spada, con la vista offuscata, proprio come quando combatteva contro i Guymelef di Zaibach.
Il cervello non connetteva più, il corpo agiva da solo, furioso.
In un attimo, fu al collo dell' uomo con la lama della sua spada.
Quello, ora, aveva perso tutta la sua spavalderia ed era riversato, pietoso, sul pavimento, nudo.
Van gli lanciò un' occhiata schifata.
"Sparisci. E ringrazia solo che non voglio più spargimenti di sangue sulla mia terra." disse in un sussurro, rauco, pensando agli ultimi desideri di suo fratello Folken.
L'uomo fuggì impaurito, con la coda tra le gambe.

(qui ci starebbe bene, come sottofondo, la canzone di Escaflowne Chain; quindi, se l'avete accendetela subito!nda)

Sirya intanto, si era rivestita, e aveva riacquistato la dignità e l' eleganza che la contraddistinguevano.
Van non era mai stato bravo con le parole, non sapeva cosa dire.
"Sirya..., scusa." sussurrò.
Lei andò, lenta, verso di lui, fino a che non si trovò davanti al ragazzo.
Lei lo guardò, per qualche istante.
Poi lo abbracciò, lo strinse forte a sé.
Van sentiva il suo corpo, caldo e formoso, avvinghiarsi al suo; i suoi seni tondi schiacciati su i suoi pettorali scolpiti; i suoi capelli sul suo collo.
Di nuovo, quel profumo.
Lei si allontanò un attimo, per poi riavvicinarsi subito.
Gli accarezzò, delicata, i lucidi capelli neri e giocherellò per qualche istante con un suo ciuffo ribelle.
Il respiro di Van si fece più affannato.
Poi, piano, lei gli prese la testa tra le mani e lo baciò.
Un bacio casto.
A Van mancò il fiato e tutti i pensieri diventarono sconnessi.
Pensò ad un' ultima cosa, solo una, a lei, ad Hitomi.
Ma il tradimento era compiuto.

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Capitolo 4
*** Power Spot ***


Mi scuso con tutti i fan di Hitomi e Van O_O, non linciatemi...ve ne prego!
Hitomi, dopo aver letto l' ultimo capitolo, mi voleva denunciare, snif ç_ç !!!
(Denunciare???? Ma io ti uccido con le mie stesse mani!ndH; calma siamo in un paese civile...nda; ma che civile e civileeeee... hai fatto baciare il mio uomo con una sconosciuta, te ne rendi contooooooo? Il primo bacio, Van lo doveva dare a meeee!!!ndH *Hitomi impugna un coltello da macellaio e con gli occhi inniettati di sangue si avvicina all'autrice*; Hitomi, hai un' aria che non mi convince...Aiu....nda)
Non so bene se questo bacio a Van è dovuto al fatto che non adori particolarmente Hitomi (certe volte è davvero pallosa, poi sviene sempre...e che palle, se soffri di pressione bassa mangiati più cioccolatini!).
Aiuto, qui le cose si stanno facendo incandescenti; meglio fuggire da Fanelia e andare da delle nostre vecchie conoscenze...
E con le malinconiche note di Sally e di un Blasfemo (di De Andre' ) che mi fanno da sottofondo, comincio a scrivere il 4° capitolo!
Mi raccomando, commentate...ç_ç




CAP 4

Asturia - Palais.
Millerna si attorcigliava, nervosa, una ciocca di capelli biondo oro all' indice.
Guardò la sua immagine riflessa allo specchio e pensò che era diventata una donna a tutti gli effetti.
La realtà non poteva essere più lontana; non era una donna, era una ragazzina nel corpo di un' adulta.
Non era cresciuta, come si era ripromessa di fare.
Quel pomeriggio sarebbe giunto al palazzo il cavaliere celeste di Asturia Allen Schezar.
Si stupì di aver pensato all' uomo in modo così formale; infondo, per lei, lui era sempre stato, semplicemente, Allen.
Quante cose erano cambiate da quando si era sposata. Non poteva contarle, erano troppe.
Forse, non erano poi così tante; in realtà, il vero cambiamento era stato solo uno: aveva rinunciato al suo unico grande amore, ad Allen.
Adesso, era una donna sposata, non poteva più comportarsi come un' adolescente in balia dell'emozioni.
Aveva un regno da guidare, non poteva metterlo a repentaglio per una relazione incestuosa.
Eppure lo desiderava.
Voleva molto bene a Dryden, sapeva che l' uomo l'amava profondamente, ma per lui provava un affetto paragonabile a quello fraterno.
Lanciò un' ultima occhiata verso la sua immagine riflessa, sistemandosi i lunghi capelli biondi.
"Che civetta che sono!" sospirò, quasi rassegnata.
Sapeva di voler apparire nel massimo del suo splendore agli occhi dello spadaccino; voleva che lui cadesse ai suoi piedi, quando, era conscia, che non ci sarebbe stato un futuro per loro due, insieme.
Chissà se Allen l'aveva mai amata, forse aveva solo proiettato l'immagine di Marlene su di lei.

Quando giunse nella sala reale, Allen era già lì.
Dryden in quei giorni era impegnato con alcuni scambi commerciali nel regno di Egzardia, quindi, sarebbe stata sola a riceverlo.
Millerna cercò di assumere un' aria austera e dignitosa, nascondendo l' emozione che la vista dell'uomo le provocava.
Finita la guerra erano rari i momenti in cui si potevano vedere.
Lui si era trasferito nelle campagne che circondavano Palais con sua sorella Celena e lei ora, dopo la morte di suo padre avvenuta quattro anni prima, era la regina.
Avrebbe rinunciato al suo titolo se questo avesse significato poter vivere con Allen.
Smise di sognare ad occhi aperti, i suoi desideri non si erano mai avverati.
"Allora, regina Millerna, la situazione ad Asturia mi sembra florida; qual'è, dunque, il motivo di questa convocazione?"
"Stupido, non c'è un motivo! Non ce la facevo più a non vederti!" pensò, triste la regina.
"Non vi è un motivo preciso, ma, mio malgrado, ho notato che le sue presenze alle manifestazioni di Asturia sono sempre più sporadiche e, adesso, è quasi un anno che non mette piede a Palais. Avevo premura di constatare, personalmente, il motivo di tale comportamento. Lei, benchè sia un periodo di pace nel mondo di Gaea, è sempre un cavaliere celeste ed è suo dovere partecipare, almeno in parte, alla vita del castello e della città." disse calma, cercando, disperatamente, di mantenere la voce ferma.
Era tutto fuori che calma, aveva voglia di abbracciarlo; quanto gli faceva male trattarlo come un perfetto sconosciuto!
Perchè era tutto così difficile?
" Come ben sa, mia sorella Celena ha ancora bisogno delle mie cure e per lei è uno sforzo eccessivo giungere fino Palais e non è opportuno lasciarla sola. Preferisco, quindi, assentarmi il meno possibile da casa." rispose Allen, guardandola fissa negli occhi.
"Non mi guardare così, come faccio a non perdere il controllo?" pensò la regina, perdendosi nell'azzurro di quegli occhi e, simultaneamente, cercando di aggrapparsi, con tutte la forze, alla poca razionalità che le restava.
"Comprendo. Fa bene a prendersi cura di sua sorella.
Volevo solo essere sicura che questa sua assenza alla vita sociale del regno non fosse causata da motivi ben più gravi. Mi rincuora che non sia così."
"Allora, con il suo permesso, se non ha altro da aggiungere, io farei ritorno alla mia dimora..." si congedò il cavaliere celeste, facendo segno di alzarsi.
"Aspet... volevo dire, ormai, il sole sta calando, mi permetta di offrirle una camera per la notte." osò, con occhi imploranti.
Allen la guardò con dolcezza.
"Non posso rifiutare un' offerta della regina; accetto la sua ospitalità, ma domani, all'alba, partirò" concluse, passandosi una mano tra i capelli d'oro.
Millerna si girò tempestivamente, per nascondere il sorriso radioso che le illuminava il viso.

"Millerna, Millerna..." disse Allen in un sussurro, con il tono di voce di un padre che sgrida, amorevolmente, la figlia disubbidiente.
Chissà se era una coincidenza il fatto che la regina lo avesse accomodato nella camera che un tempo gli appartaneva, quando abitava ancora al palazzo.
Osservò la stanza, minuzioso.
Era stata conservata esattamente come l'aveva lasciata.
Era perfettamente pulita, come se qualcuno la spolverasse ogni giorno.
Prese un libro dalla copertina scura e lo sfogliò, distratto.
In quegli ultimi cinque anni aveva cercato di aiutare al meglio sua sorella Celena, però, era più difficile di quanto si aspettasse.
La dolce fanciulla, gradualmente, stava riuscendo a ricucire la sua personalità con quella di Dilandau; ora, erano rari i momenti in cui si traformasse nel diabolico comandante.
Però non riusciva a controllare completamente la sua duplice personalità e davanti un forte shock non avrebbe sicuramente resistito.
Man mano che questa fusione avvevina la fanciulla acquistava tutti i ricordi di Zaibach.
Non glielo aveva mai detto direttamente, ma lui sapeva che Celena si sentiva in colpa per tutte le efferrate uccisioni che aveva compiuto sotto le spoglie di ragazzo, tanto che per lei era diventato insostenibile vivere ancora al palazzo di Palais, quando era venuta a conoscenza di aver, quasi, causato la distruzione della ridente cittadina portuale.
Celena, nonostante la sua estrema dolcezza, non riusciva più ad essere la goiale persona di un tempo.
Passava la maggior parte dei giorni seduta sul prato davanti casa a riflettere, rapita da pensieri sporchi di guerra, macchiati di rosso.
Per starle accanto in ogni momento aveva rinunziato alla sua vita, non aveva una donna ormai da tempo e non partecipava più agli eventi mondani del regno, aveva anche smesso di allenarsi con la spada.
La vista della lama causava terribili crisi alla sorella.
Ma che poteva fare più di questo, oltre che offrirle una spalla su cui sfogarsi e non stancarsi mai di ripeterle che non era colpa sua ?
Zaibach, bastardi, avevano sporcato irrimediabilmente la sua candida anima.
L'avevano macchiata di crimini nefandi, il cui ricordo la tormentava giorno e notte consumandole, lentamente, la vita.
Stava calando il sole e dalla finestra poteva vedere il mare calmo, imporporarsi.
A volte, gli mancava quel mare tranquillo; dalla sua nuova dimora non si scorgevano altro che boschi.

Allen uscì dall' interno del palazzo.
Osservò le alte mura fortificate che si stagliavano imponenti nel cielo rosso.
Si fermò nei cortiletti del castello, quei cortiletti dove si era esercitato mille e mille volte, che l'avevano visto crescere forte e coraggioso.
Ma ora non era più forte, Zaibach, con quella di sua sorella, aveva annientato anche la sua di vita.
Tirò un pugno, frustrato, alle robuste mura di pietra scura.
Dov'era finito l' Allen Schezar che conosceva?
L' Allen Schezar che combatteva e non si perdeva mai d' animo?
Si era perso, era seppellito sotto la tristezza, era morto. Il sangue cominciò a scendere copioso dalla mano.
Sentì un tocco leggero, sulla spalla.
Si voltò di scatto e ritrovò il suo viso vicinissimo a quello di una ragazza.
Era Millerna.
"Allen..." mormorò, togliendosi tempestivamente il velo che teneva in vita per tamponare la ferita dell'uomo.
Allen la lasciò fare.
Millerna, premurosa, gli avvolse il pezzo di stoffa rosa, tinto ora di rosso, attorno alle nocche martorizzate.
"Cosa stai facendo?" aggiunse lei, abbandonando l'aria formale che l'aveva accompagnata nel dialogo di poche ore prima.
"Principessa, mi scusi regina, non si dia pena per me..."
"Ma Allen, come faccio a non preoccuparmi per te ???" esclamò, con le guance porpora per tanta sfrontatezza.
"Dolce Millerna, non si scordi che io sono il cavaliere celeste Allen Schezar, nulla mi può scalfire, è solo un momento di debolezza passeggero..." mentì, distogliendo lo sguardo dagli occhi violetti della donna.
Non sarebbe riuscito a dire una falsità guardandola in viso.
"NON E' VERO!" urlò lei.
Allen spalancò la bocca, basito.
"Allen, non sono una sciocca né una bambina, ti conosco, stai soffrendo. Lo vedo dai tuoi occhi. Perchè ti chiudi in te stesso? Perchè non mi dici cos' hai? Almeno a me... Sei uno stupido se credi che io non riesca a comprenderti. Smettila, quando sei con me, di mettere questo tuo dannato titolo di cavaliere celeste davanti all'uomo che sei; io non sono la regina, sono solo Millerna, smettila di proteggermi e di trattarmi con i guanti, sono stufa. Lo capisci che sono cresciuta?" disse, tutto d'un fiato.
Allen addolcì lo sguardo; sì, la dolce e capricciosa principessa era cresciuta.
"Davvero, Millerna non si dia pena..." ripetè lui.
Lei stava per ribattere, nuovamente, ma lui mise un dito sulle labbra di lei.
"Allen..." disse con voce tremante.
Allen, Allen, Allen, Allen.
Avrebbe ripetuto quel nome all' infinito, il cui suono la faceva impazzire .
La diga che aveva costruito, faticosamente, attorno al suo cuore si stava abbattendo e tutto l' amore che provava per lui stava per travolgerla, come un fiume in piena.
A volte, si era illusa di provare amore per Dryden, ma quando era vicino al ragazzo dai capelli d'oro non poteva continuare quella farsa con sé stessa.
Sì, non era stupida, sapeva riconoscere la differenza dei sentimenti che provava.
Per uno la dolcezza dell' affetto, per l'altro l' amore travolgente.
"Allen..." ripetè, la testa era completamente sballata. "Shhh" sussurrò lui.
Le prese la testa tra le mani e la baciò, dolcemente, sulla fronte, lasciandola lì, confusa e languida d'amore.

Forse si era sbagliato, Millerna era ancora la ragazza insicura di un tempo.
Sorrise recandosi alla sua stanza.
Si gettò sul letto a pensare.
"Dolce Millerna..." sussurrò, per un momento era riuscita a fargli dimenticare il pungolo che aveva all' altezza del cuore.
Il dolore che lo lacerava ogni giorno e ogni notte. Era riuscita a non fargli pensare, anche se solo per un attimo, a sua sorella Celena.
"E' così donna, ma ancora così innocente..."
Sapeva che la regina l' amava ancora.
Forse anche lui l'amava.
Forse era solo il ricordo di Marlene, che riviveva in lei, a mostrargliela sotto quella luce.
Forse no.
Se l'era chiesto tante volte, non aveva mai trovato risposta, eppure era lì nel suo cuore.
Anche se sarebbe riuscito a rispondere a quell' interrogativo, poco avrebbe importato.
Lei era sposata con Dryden e Allen aveva il massimo rispetto per il giovane mercante di Asturia.
Si girò su un fianco.
Spesso, sentiva il bisogno di una donna che lo accudisse, da Hitomi non era mai più stato con alcuna fanciulla.
Hitomi, chissà come stava?
Hitomi, il suo pensiero lo fece sorridere.
Che stupido, si era illuso, un tempo, di amare Hitomi, ma stava solo rivivendo in lei la sorella scomparsa.
Non l'aveva mai amata, anche se, nutriva un profondo affetto nei suoi confronti.
Appunto, l'affetto di una sorella.
Quanto erano fragili i sentimenti degli esseri umani.
Probabilmente, la sua vita sentimentale non era destinata a decollare.

Allen si assopì, ancora vestito, sul suo vecchio letto.
Degli urli agitati lo fecero sobbalzare.
Il palazzo era in movimento. Sentiva donne, uomini e bambini gridare di paura.
Oddio, quegli urli laceranti.
Gli urli della guerra.
Non era possibile!
Si affacciò alla finestra.
I due astri si erano oscurati.
La notte tenebrosa era popolata da tonfi e scoppi.
Non riusciva a veder nulla, escluso il profilo, appenna accennato, delle case che crollavano una dietro l'altra.
"Maledizione !!!" esclamò.
La sua porta si spalancò ed entro Millerna, affannata per la corsa con la sorella Eries.
"ALLEN..." riuscì a malapena a dire, con le lacrime che le rigavano il volto e i singhiozzi spasmodici che la facevano sobbalzare.
"Millerna, calmati, che succede?" cercò di tranquillizzarla lo spadaccino, nascondendo il suo turbamento interiore.
La ragazza si aggrappò alla veste del ragazzo.
"Allen, ti prego non lo so, stanno attaccando Palais, non si sono identificati! Stanno distruggendo il porto e presto giungeranno al castello...." gridò Millerna.
Anche Eries Aria Aston, che generalmente non si alterava mai, aveva il viso contratto in una smorfia di dolore e non proferiva parola.
"Calma, hanno detto qual' è il motivo del loro attacco?"
"Si, cioè, non lo so!" disse confusa Millerna.
"Stanno cercando una pietra antica, hanno detto uno strano nome; nessuno sa che cosa sia!".
"Cerca di ricordarti!" la esortò Allen.
"No, no non ricordo..." e le lacrime ricominciarono a uscire, copiose, dagli occhi viola.
"Seguitemi, presto!" urlò Allen, prendendo Millerna per un polso.
"Ma cosa?". "Lo Scherazade è la nostra unica salvezza!" spiegò velocemente, uscendo di corsa dalla porta.
Se si ricordava bene, lo Scherazade doveva giacere ancora nel deposito di Guymelef del castello.
Passarono, correndo a più non posso, dai sotterranei del palazzo.

Giunsero in un' immensa sala.
Allen tradì un sospiro di sollievo quando notò che il suo fedele Gadeth e tutta la sua ciurma erano già lì.
"Comandante..." esclamò l'uomo, commosso e sorpreso di vederlo in quel luogo.
"Gadeth, non c'è tempo da perdere in convenevoli! Prepara la Crusade e porta la regina Millerna Sara Aston e sua sorella a Fanelia, muoviti!"
"Ma, comandante...e lei?" esclamò indeciso l'uomo, facendo, contemporaneamente, segno al resto della ciurma di preparare l'imbarcazione.
"No, Allen io non ti lascerò a combattere, qui da solo!" intervenne Millerna che era rimasta a singhiozzare in silenzio, nell'angolo del grande deposito.
"Millerna, non dica sciocchezze! E' la regina, è mio dovere salvaguardare la sua incolumità" la bloccò lo spadaccino.
"Ma..." tentò di replicare lei.
"Ninete ma, questo è un ordine." la zittì.
"Forza Gadeth. Non c'è tempo!!! Io cercherò di salvare il resto del popolo, ma tu porta la regina in salvo!" disse, serio.
I dubbi di Gadeth si dissolsero davanti la determinazione del suo comandante Allen Schezar e giudò le due donne all' interno della Crusade, pronto a salpare alle volte di Fanelia.
Allen salì, con un agile movimento sullo Scherazade; accidenti, aveva sperato di non doverlo più utilizzare!
Era anche fuori allenamento, sentiva che il Guymelef si muoveva rigidamente.
Rivolse un ultimo sguardo alla regina Millerna che stava salendo a malincuore sulla Crusade.
"Sempre la solita testarda" pensò.
"Coprirò io la vostra partenza" disse Allen, da dentro lo Scherazade.
Gadeth annuì, fiducioso nel cavaliere celeste.

Dopo essersi assicurato del buon esito del salvataggio, Allen si recò verso il porto.
"Chi ha osato turbare questa notte tranquilla?" si chiese cupo.
Pian piano i movimenti dello Scherazade divennero più fluidi e coordinati.
Gadeth gli aveva riferito che i Guymelef nemici erano soltanto due, non sarebbe stato difficile sconfiggerli, dopotutto era sempre un ottimo spadaccino.
Si chiedeva, però, come mai le forze di Asturia si fossero piegate agli avversari, benchè quest'ultimi fossero in netta inferiorità numerica.
Man mano che si avvicinava cominciava a percepire l'odore della battaglia, quello del sangue.
Arricciò il naso infastidito.
Quell'odore gli aveva sempre causato nausea.
Allen guardò con rabbia lo splendido ponte di Meifia, di cui ora rimanevano solo le reliquie.
Ecco, addesso i rumori di spade che cozzavano tra di loro si faceva più forte.
Grazie alla poca luce che emanava la città scorse le ombre di tre Guymelef.
Uno di Asturia e gli altri due nemici.
Lo scontro finì presto e il Guymelef di Asturia fu trapassato da parte e parte dalla spada nemica e il fragoroso botto che ne conseguì alla sua caduta coprì tutti gli altri rumori.
"Ignobili!!!" urlò Allen, scagliandosi all'attacco.
"Ignobili!" ripetè, schivando con abilità un colpo di spada diretto allo Scherazade.
"Cosa volete?" chiese, sempre sulla difensiva.
"Bene, vedo che cominciamo a ragionare..." disse una voce, quasi sovrannaturale, proveniente da uno dei due Guymelef.
"Non tiriamola per le lunghe, cosa volete!" continuò Allen, attento ad ogni minimo movimento dei nemici.
"Bene, neanche noi abbiamo tempo da perdere!" esclamò l'altro, avvicinandosi pericolosamente al cavaliere celeste.
Allen impugnò la spada saldamente, pronto a respingere l'attacco avversario.
Il nemico si fermò a pochi metri da lui.
"Vogliamo il Power Spot!"
Gli occhi di Allen si spalancarono dalla sorpresa.
Alla mente gli tornarono i ricordi infantili.

INIZIO FLASHBACK

"Padre cos'è quella pietra che tenete tra le mani?" chiese un bambino biondo chiarissimo, con aria indifferente, ma, in realtà, cuoriosissimo.
"Figliolo, questa è una pietra magica..." disse l'uomo, facendo accomodare il bimbo sulle sue gambe.
Ora, gli occhi azzurri del fanciullo guardarono l'oggetto con maggior interesse.
"Magica?"
"Si, figlio mio, in questa pietra risiede un grande potere sopito, non so come fare a risvegliarlo ma sono certo che ci sia!"
"Davvero????" esclamò meravigliato, non capendo bene a cosa alludesse il genitore.
"Sì figlio mio, se prometti che la costudirai gelosamente te la lascio in affidamento, ormai sei un signorino" disse l'uomo, amorevole.
Gli occhi del bambino si illuminarono di contentezza. "Leon, vieni!" chiamò l' uomo una voce melodica di donna, proveniente dal giardino.
Leon mise la pietra in uno scrigno ed affidò la chiave al bambino, nascondendo la copia nella tasca, prima di recarsi fuori dalla stanza.
Il fanciullo strinse tra le mani, orgoglioso, la chiave.
In quel momento, dalla finestra aperta entrò una farfalla.
Il bimbo appoggiò la chiave sul tavolo per rincorrere l'insetto variopinto.
La pietra non aveva più interesse per lui.

FINE FLASHBACK

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Capitolo 5
*** Rogo demoniaco ***


Hola gentaglia ^__^.
Mi scuso per il ritardo con cui posto questo capitolo ma: 1) Sono stata in gita con la scuola (che bello :DDD, il vero degenero !!!)
2) Avevo gli altri capitoli già pronti, quindi, d'ora in poi, invierò un capitolo per settimana ( un lasso di tempo indicativo, dato che sono una ritardataria cronica...ne sanno qualcosa i miei amici -__-'')
3) In questo periodo sono piena di compiti in classe O_O, non trovo manco più il tempo di uscire col mio ragazzo T__T (maledetti profe, si sono coalizzati!). La prossima settimana ho, addirittura, due compiti di latino!!! Ma siamo pazzi????
Mi scuso, inoltre, per gli eventuali errori di battitura, ma non ho Word. ( pc da rottamare, povero!)
Perdonatemi T__T.
In questo capitolo ho cercato di usare meno ripetizioni, dato che gli altri chap. ne sono pieni.
Tornando alla Fanfic, devo trovare un modo per far resuscitare Folken, io adoro quell'uomo, non doveva morire ç__ç. Folken, amore mio, dove seiiii? Ti voglio fare tante coccole....( Aiuto...questa mi vuole stuprare!!! ndF; *sbav, sbav* nda; Che fai? Guarda che ti mollo! Non mi puoi tradire per uno con i capelli verdi! ndmioragazzo; O_O ndtutti)
La storia sta andando per i cazzi sua! Decido di impostarla in un modo e, alla fine, scrivo tutt'altro!
Oh my garden!
Bene, la smetto di ciarlare e mi butto a capofitto nel 5° capitolo!
Mi raccomando, commentate, fate i bravi!


CAP 5


Allen era spiazzato, che ne sapevano quegli individui del Power Spot?
Tentò di ricordarsi dov' era finito quello scrigno, ma la memoria non scavava così a fondo.
"Allora?" esclamò un Guymelef rivale, acido.
Allen non sapeva cosa fare, se avesse opposto resistenza quei due avrebbero distrutto Palais.
Ma, d' altro canto, non sapeva minimamente dove fosse l' ambito oggetto e, anche se ne fosse a conoscenza, non sarebbe stato disposto a separarsi da un ricordo del padre.
Strinse gli occhi, concentrandosi sull' ombra del Guymelef che si trovava a pochi centimentri da lui.
Accidenti, non riusciva a scorgere nulla in quella oscurità sovrannaturale.
Combattere in quelle condizioni era decisamente impossibile, non contando il fatto che era nettamente svantaggiato.
Uno contro due.
Inoltre, a differenza sua, pareva che i nemici fossero capaci di giostrarsi nel buio più profondo.
"Non abbiamo più tempo da perdere!" esclamò lo stesso Guymelef, preparandosi all' attacco.
"Non ho idea di cosa sia quello che state cercando!" mentì Allen, provando a guadagnare tempo.
"Basta, mi sono stancato; Micheal va al castello, mi occuperò io di costui!" concluse l' avversario, rivolgendosi al compagno.
Il Guymelef restato in disparte spiccò un salto e si recò verso la reggia, che era diventata un brulichio di gente impaurita.
Allen fece per bloccarlo ma l' altro si mise in mezzo, colpendolo di striscio su di un fianco.
Allen fece un sorrisetto, con aria di sfida.
Non c'era modo di ragionare, l'unica cosa possibile era combattere.
Il duello ebbe inizio.
Allen si fece guidare dai rumori che provocava il nemico, ma l' impresa era assai ardua e il concentrarsi suoi suoni gli impediva di offendere ma solo di difendersi.
Non sarebbe durato a lungo in quelle condizioni.
" Maledizione! Devo sbrigarmi o per me e tutta Palais sarà la fine!" mugugnò, stringendo i denti.
I muscoli, solo dopo pochi minuti di battaglia, si fecero doloranti e la fatica lo abbrancava, opprimente.
Era madido di sudore.
Allen fece un balzo all'indietro per schivare l'ennesimo assalto e si accorse, suo malgrado, di essere con le spalle al muro.
Il nemico incombeva lento, gustandosi il momento della vittoria.
Un ghigno soddisfatto fuoriuscì dalla cabina di pilotaggio.
"Allora, noto, con dispiacere, che tutto ciò che si dice sui cavaliere celesti di Asturia è una menzogna..." lo schernì quello, portando la lama alta nel cielo, pronto a scagliare il colpo di grazia.
Allen ebbe un sussulto, aspettando di essere penetrato da parte a parte.
In quel momento, il cielo fu rischiarato da una luce rossastra, seguita da odore di combustione.
Allen tirò un sospiro di sollievo, schiavando abilmente la spada avversaria, muovendosi a sinistra.
La falce colpì un fabbricato, al cui tocco crollò immediatamente.
Lo schermidore di Asturia scrutò l'area circostante e i suoi occhi si sbarrarono dallo sgomento.
"No..." esclamò sussultando. Il palazzo stava andando a fuoco.
"No, è pieno di persone!!!" urlò, furioso.
Rivolse uno sguardo agghiacciante al nemico, che si stava rimettendo sull' attenti. Non l'avrebbe fatta franca.
In un attimo gli fu addosso. Strinse le labbra in una smorfia.
"Prega gli dei che la tua anima sia risparmiata!" lo allertò e senza aspettare la sua risposta lo colpì al petto.
Quello cascò di botto e una pozza di sangue vermiglio coprì il suolo limitrofo.
"Questa è la fine che si meritano i pusillanime!" disse asciutto, rivolgendosi a colui che non lo poteva più udire.
Un attimo dopo era già lontano dal luogo in cui si era consumato quel breve scontro.
Si proiettò verso il castello, sebbene le sue membra implorassero venia.
Non era concepibile, il bel palazzo di Palais avvampava. Vedeva le scintille zampillanti diffondersi allegre.
L'aria s'era fatta torbida per il bollore.
Tutte le reminiscenze della sua verde età risiedevano lì. Quei ricordi gioiosi.
Entrò nel palazzo cheto, se non fosse stato per gli scoppiettii delle fiamme.
Una vampata di calore lo avvolse, facendolo vacillare per un istante. Si impose di continuare. Doveva trovare l'altro dannato e assicurarsi che non vi fossero superstiti.
Maledizione, aveva tradito la promessa fatta a Millerna.
Passò da sale ricoperte da carcasse rattrappite.
Sale i cui splendidi soffitti stavano franando.
Prima stanze sontuose e accoglienti, ora ammassi di cenere.
Entrò nell' ala più interna del palazzo; ivi l'atmosfera si faceva ancor più rovente e l'ossigeno all' interno dello Scherazade stava diminuendo in maniera esponenziale.
Presto l'aria avvelenata sarebbe entrata nei polmoni di Allen, il tempo scarseggiava.
Si guardò attorno, sforzandosi di mantenere una parvenza di autocontrollo; iniziò a salire al piano superiore ma si bloccò al secondo scalino.
I polmoni cominciarono a bruciargli, era un' algia straziante. Lo spirito di sopravvivenza ebbe la meglio e si lanciò verso l'uscita.
Rivolse un ultimo sguardo a ciò che lo contornava, i pochi edifici scampati alla strage parevano ermi e senza vita.
Tutti coloro baciati dalla fortuna erano ovviamente fuggiti.
Si allontanò con il cuore a pezzi, ma la sorte non gli risparmiò la sofferenza di avvistare il castello collassare su sé stesso, sotto la pressione di quel fuoco infernale.

Pianse.
Con quell' incendio non era solo stata distrutta Palais, ma anche la sua puerizia beata.
Sfrecciò veloce tra le foreste, saettò attraverso le rigogliose montagne Floresta.
Via, via, via.
Via lontanto da quella vampa che gli stava bruciando l' anima.
Un lampo di lucidità lo trapassò.
"Celena!". Come aveva fatto a scordarsi della sorella? Fece dietro front verso Palais, sebbene l'istinto gli comandasse tutt'altro.
Man mano che tornava indietro vedeva il fievole bagliore provenire dalla sua città farsi sempre più intenso.
Si fermò, cercando di coordinare tra loro i pensieri che si ammassavano disordinati dentro la sua testa.
Imboccò un sentiero ciottoloso alla sua sinistra. " Fa che non le sia successo nulla!".
Corse ratto, implorando quegli Dei a cui non aveva mai creduto.

Scorse il piccolo agglomerato di case in cui viveva che, da quanto era piccolo, non aveva nome.
Tirò un sospiro di sollievo notando che tutto era tranquillo, come sempre.
Scese dallo Scherazade, lasciandolo incustodito nel fitto di un boschetto lì vicino, non aveva la più pallida idea della reazione di Celena alla vista improvvisa di un Guymelef.
Entrò con foga nella modesta, ma graziosa, dimora. Si stupì nel vedere la sorella sveglia, seduta sul letto, scrutare dalla finestra, tesa.
"Celena..." la richiamò, piano, il fratello.
"Sento sulla tua pelle l'odore della battaglia" moromorò lei, senza distogliere gli occhi dall'orifizio.
Allen si avvicinò al letto della ragazza e il suo sguardo si posò attraverso i vetri.
Boccheggiò. Da quella postazione si poteva scorgere il fumo denso provenire dalla città, ciò che era accaduto si palesava, inequivocabile, davanti ai loro occhi.
"Celena, non è niente. Un pagliaio è andato a fuoco, nulla di grave." recitò, per giustificare quel miasma diabolico.
"Davvero fratello?" chiese, con occhi imploranti la giovine.
"Si Celena, non ti preoccupare." le rispose, cercando di essere il più credibile possibile.
Doveva proteggere sua sorella da tutti quegli orrori. Si era già, ampiamente, redenta dai peccati di cui si era sporcata.
La fanciulla annuì, ora più tranquilla.
Aveva solo fatto finta di credere al fratello.
Non era stupida, quell' esalazione portava alta nel cielo la cenere di chi un tempo era stato uomo.
Ma era meglio così, crogiolarsi nelle bugie, autoconvincendosi che tutto andasse bene, che la vita fosse bellissima.
Poi, non voleva far penare Allen, era fin troppo premuroso e attento ad accontentare ogni suo recondito desiderio.
"Bene, allora posso coricarmi nuovamente." concluse la fanciulla con un sorriso dolcissimo.
Quando il fratello le era accanto si sentiva protetta e gli incubi smettevano di tormentarla.
Allen la guardò smarrito, come dirle che dovevano andarsene da lì?
D'altra parte il peggio era, pressoché, passato; partire subito o all'alba non avrebbe inciso sulle loro sorti o su quelle di Gaea.
Decise, quindi, di rimandare il viaggio alla mattina successiva: non voleva agitare la sorella, alterando il suo precario equilibrio.
"Si, certo. Torna pure a dormire." le sussurrò, baciandole la fronte.
"Buonanotte fratello." lo salutò lei, prima di addormentarsi, cullata dalle braccia di Morfeo.
"Buonanotte sorella." le rispose di rimando, chiudendo la porta della linda cameretta.
Andò in cucina, il suo locale preferito e accese il lume ad olio, per farsi luce.
Stette qualche minuto ad osservare la fiamma rossa che tremava leggermente sotto il suo respiro profondo, con la mente sgombra.
La vampa crepitò riscuotendo Allen dal suo torpore. Uno scoppiettio malefico, identico a quello che aveva distrutto la reggia. Spense il lume, turbato.
Gli avvenimenti di quella sera lo avevano stravolto, sembrava esser passato così tanto tempo da quando era stato accolto al palazzo da Millerna. Fece mentalmente il conto.
A quest'ora la regina dov'eva già essere giunta a Fanelia, confidò che tutto fosse andato per il meglio.
" Sono certo che stanno tutti bene, Gadeth e i suoi non mi hanno mai deluso" si autoconvinse, stropicciandosi gli occhi azzurri che non volevano restare vigili.
Il sole, ancora timido e impacciato, stava sorgendo ad est, rischiarando le tenebre che avevano avvolto la notte appena conclusa.
L'alba.
Allen guardò ammirato quello spettacolo incantevole, la natura con le sue magie riusciva a placare gli animi più scossi.
Si addormentò, un po' più sereno, ricurvo, con la testa poggiata sul tavolo e le lunghe ciocche bionde che gli incorniciavano il bel viso.

Quando si destò il sole non era più timido e splendeva prepotente, facendo filtrare caldi raggi dalle finestre del vano.
Allen si alzò di scatto, quanto aveva dormito? Si spostò in camera di Celena e vide che era perfettamente in ordine.
Uscì dall' edificio; aveva perso troppo tempo, era giunta e passata da un pezzo l'ora della partenza.
Trovò la sorella seduta, tra l'idillio dei fiori dalle mille tonalità, che giocava, spensierata, con una farfalla altrettanto colorata.
Si preparò mentalmente un discorso per giustificare quel viaggio verso Fanelia.
Celena sentì dei passi alle sue spalle e si girò.
"Fratello..." esclamò felice, invitandolo con un gesto della mano a sedersi accanto a lei.
Allen rispose al sorriso luminoso della fanciulla con una brutta copia e le si accomodò vicino.
"Sorella, oggi avrei piacere di farti conoscere un mio caro amico: Van Slanzar de Fanel. Te ne ho parlato qualche volta in questi anni. Ha la tua età, è un ragazzo taciturno come te, scommetto che vi troverete d'accordo. Hai bisogno di incontrare qualcuno con cui dialogare, oltre me."
"Si, mi ricordo... il re di Fanelia, giusto?" mormorò Celena, rabbuiandosi.
Come poteva chiederle di incontrare colui a cui aveva distrutto la patria?
Colui che, sotto le spoglie di Dilandau, aveva cercato di uccidere.
Non sarebbe stata in grado di sopportare la sua vista, di reggere il confronto.
Si sentiva troppo in colpa verso quel ragazzo.
"Si, proprio lui..." replicò Allen, in tono rassicurante, cingendole le fragili spalle con un braccio.
"Ti prego Celena, comprendimi!" pensò, notando il dolore che si era impossessato degli occhi della ragazza.
"Partiremo subito. Prepara le tue cose. Andremo con lo Scherazade." concluse, alzandosi.
"Lo Scherazade?" esclamò lei, sbigottita.
"Si, è il mezzo più veloce per arrivare a Fanelia." mentì, con finta disinvoltura e noncuranza.
Celena, se questo era possibile, si rabbuiò ancor di più. Non sopportava la vista dei Guymelef.
Quei colossi portatori di morte.
"Come vuoi fratello." esaudì e si recò dentro casa per organizzare il minimo indispensabile.
I due fratelli, mano nella mano, salutarono, per sempre, l' angusto paese e si recarono nel fitto del bosco da cui ne uscì, poco dopo, l'imponente Scherazade.
Un vecchio contadino, che si stava recando nei campi, guardò la scena con la bocca spalancata per lo stupore. In quel luogo non succedeva mai niente, per una volta avrebbe avuto una notizia succosa di cui parlare.

Il vento scompigliava i chiarissimi capelli, quasi diafani, di Celena. La ragazza teneva gli occhi chiusi, cercando di non pensare al fatto di essere tra le mani di un Guymelef.
Il solo contatto con quella corazza compatta le provocava ribrezzo.
Era già qualche ora che viaggiavano, senza sosta.
Non era convinta che il motivo della partenza fosse imputabile all'improvviso desiderio del fratello di farle conoscere quel Van.
In tutti quegli anni si era, sicuramente, presentata l' occasione di presentarle il re di Fanelia.
Perchè, dunque, questo viaggio del quale non aveva ricevuto un benchè minimo preavviso?
Che avesse a che fare con quel fumo che odorava di morte?

Imbarcazione mercantile - cieli di Gaea.

Un uomo seduto nel suo studio stracolmo di libri, pensava.
Si massaggiò il mento, sentendo la peluria dura della barba pungergli le dita, e si sistemò meglio gli occhialetti tondi sul naso.
Voleva tornare a casa, a volte si chiedeva perchè continuasse a svolgere con tanto onere l'attività di mercante. Era sufficientemente danaroso, su tutta Gaea nessuno lo superava in quanto ricchezze.
Bramava essere tra le braccia della sua adorata consorte.
Di poter toccare quei capelli vellutati.
Si struggeva d'amore al solo pensiero di lei.
Sbirciò dal finestrino, che spettacolo portentoso: fiumiciattoli di acque cristalline si congiungevano per gettarsi dagli strapiombi rocciosi, formando cascate suggestive.
Presto sarebbe giunto nella capitale d' Asturia.
Sarebbe stato al settimo cielo se non fosse per quella piccola punta di inquietudine, Millerna doveva ricevere Allen.
Quando c'era di mezzo il biondo non era mai, del tutto, rilassato.
Non riusciva a capire se la regina rimpiangesse l' amore di Allen Schezar. Si inalberò al formulare quel pensiero.
Ma comprendeva ancor' meno cosa ci trovassero le donne in quello.
Lui era molto più conturbante, sagace e agiato di quel dongiovanni.
"Mha, le donne.... valle a capire." sospirò in modo teatrale, roteando gli occhi.
Un membro dell'equipaggio bussò, discreto, alla porta. " Sua eccellenza, stiamo per atterrare al porto di Rampat."
Dryden si alzò, accantonando quelle riflessioni.
Il mercantile toccò terra qualche minuto dopo. Dryden scese adagio, scortato da due robusti uomini.
"Strano..." mormorò contrariato.
Non vi era nessuna carrozza che lo attendava per condurlo a Palais.
"Eppure siamo arrivati al porto in perfetto orario..." disse tra sé e sé.
"Sua eccellenza, se vuole possiamo portarla con l'imbarcazione fino alle porte di Palais" proferì uno dei due uomini, servizievole.
"No, non ve ne è il bisogno, sono sicuro che tra qualche attimo la carrozza arriverà." lo tranquillizzò Dryden.
"Forse è Millerna che vuole farmi una sorpresina..." pronunciò con l'acquolina alla bocca, immaginandosi Millerna che lo ricopriva di baci passionali.
Ma le ore passavano e né Millerna né il cocchio sopraggiunsero.
Cominciava ad irritarsi, cos'erano questi modi scortesi, per di più nei confronti del re!
"Avviamoci a piedi..." persuase, rivolgendosi ai due individui.
"Come sua eccellenza desidera."
Man mano che si appressava verso Palais, Dryden si capacitava sempre più che qualcosa non andava.
Era tutto troppo silenzioso. I campi, sempre pullulanti di gente, erano abbandonati.
Poi, finalmente, intravide la cittadina e il sangue gli si raggelò nelle vene.
I due uomini che lo accompagnavano furono costretti a sorreggerlo, poiché, a causa del forte shock, aveva perso i sensi.

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