01 – Travelling.
Il viaggio fino
all’aeroporto non era durato neanche
una mezz’ora, passata nel totale silenzio da parte dei due
uomini seduti uno di
fianco all’altro nel pick-up di Burt Hummel, e quando in
lontananza si poté
scorgere la figura non poi così imponente
dell’edificio Kurt perse il primo
battito. Aveva preso solo un aereo nella sua vita che lo aveva portato
nella
città dei suoi sogni e adesso stava per salire su quello che
lo avrebbe fatto
volare fino alla sua nuova casa.
Sul tabellone dei voli Detroit era
uno degli ultimi
nella tabella di marcia ma solo quel nome, scritto a caratteri cubitali
nel
grande schermo lo fece sorridere per qualche istante, sospirando per
impazienza
e aspettativa. Si riprese dopo poco, girandosi verso il padre che
trascinava
due delle immense valigie che il più giovane era riuscito a
riempire
intimandogli di darsi una mossa. Dovevano fare il check-in, imbarcare i
bagagli
e salutarsi, tutto nell’arco di un’ora scarsa,
tempo che a entrambi sembrava
veramente troppo poco.
Corsero da un lato
all’altro dell’aeroporto guidati
più dall’istinto che da una vera conoscenza del
posto ma a dieci minuti
dall’imbarco la voce metallica della solita signorina
fastidiosa annunciò il
volo spingendoli verso il gate d’imbarco dove una fila
piuttosto lunga si era
accalcata. Un vociare sempre più intenso li tolse
momentaneamente
dall’imbarazzo dei saluti imminenti ma quando furono a sole
quattro persone dal
turno di Kurt si guardarono negli occhi.
Entrambi sapevano che quel momento
sarebbe dovuto
arrivare, che avrebbero dovuto dirsi quelle due parole di circostanza
che li
avrebbe fatti arrossire e che alla fine si sarebbero abbracciati
frettolosamente, come era giusto che succedesse. Perché Kurt
sapeva che per
qualsiasi cosa suo padre avrebbe potuto mettersi in macchina e
viaggiare fino a
Ann Arbor in qualsiasi istante se avrebbe avuto bisogno di lui,
perché Burt
anche se era restio a pensarlo, sapeva che il suo bambino era cresciuto
e che
era il momento per lui di farsi da parte e lasciarlo andare. Il fucile
infondo
era ancora nello sgabuzzino e non avrebbe avuto nessuna remora e
correre nel
Michigan per puntarlo contro qualche mascalzone che avrebbe potuto
mettergli
gli occhi addosso. Non stava andando poi così lontano e il
paese nel quale
avrebbe vissuto per i prossimi quattro anni -quattro
anni! Erano così tanti! Ragionò con le
mani sudate- era
giusto qualche chilometro a nord dell’Ohio, non
dall’altra parte del mondo. E i
telefoni! Esistevano i telefoni anche se, lo sapevano benissimo tutti e
due, le
telefonate sarebbero durate quel tanto per raccontare come
trascorrevano le
giornate e come erano le lezioni, avrebbero parlato del tempo, oggi qua a piovigginava, da voi?, e dei
progressi di Finn come meccanico in officina.
Rimasero occhi negli occhi per
qualche secondo e si
sorrisero.
«Mi raccomando, chiamaci
appena arrivi. Carole sarà
in pensiero.»
«Certo
papà.»
«Li hai presi i biglietti
del treno che devi
prendere? E i soldi per il taxi? Ancora mi chiedo perché non
ha visto per una
navetta per arrivare al campus. Sicuro di non aver lasciato a casa
quella
specie di poltiglia puzzolente che metti ogni ser…»
Le mani pallide e curate del
più piccolo si posarono
sulle spalle del genitore che ormai aveva raggiunto in altezza cercando
di
calmare il fiume di parole che gli stava rivolgendo, tirandolo in
quell’abbraccio che entrambi aspettavano. Si strinsero per
qualche secondo,
concentrandosi sulla consistenza di quei rari momenti e Kurt dovette
trattenersi dal non cadere nella malinconia che lo inseguiva da tutto
il
giorno.
«Stammi bene,
Kurt.»
«Starò
bene.»
Si allontanarono rivolgendosi uno
sguardo
imbarazzato e con lentezza di avvicinarono all’ultima tappa
all’interno del
terminal. Il più piccolo posò la borsa che aveva
tenuto per il viaggio e la
posò nel recipiente di plastica guardandolo con diffidenza
per colpa dello
strato di polvere che di sicuro avrebbe sporcato il tessuto chiaro e
appoggiò
l’orologio, la cinta e la spilla a forma di aeroplano al suo
fianco. Una
signorina vestita di azzurro gli chiese i documenti e il biglietto e
dopo che
ne ebbe strappato una parte glielo restituì con un sorriso.
Un attimo prima che
con il solito passo svelto e impaziente il più giovane
decidesse di
attraversare il metal detector Burt appoggiò una mano sulla
spalla del figlio,
stringendo quel poco per fargli capire che lui era là, che
ci sarebbe stato.
Lui rispose accarezzandola e stringendo gli occhi che pungevano dalla
voglia di
piangere e senza voltarsi si incamminò facendo suonare il
solito allarme. Rise
e guardò la signorina mentre la prima lacrima si faceva
strada sul suo viso e
lei lo lasciò semplicemente andare, facendogli segno con la
mano dopo che ebbe
preso la sua roba.
Nonostante non volesse
assolutamente voltarsi
indietro, un istante prima di varcare le vetrate che lo avrebbero
portato al
piccolo pulmino già parcheggiato e carico di quella gente
che avrebbe viaggiato
con lui gettò lo sguardo verso l’ammasso di
persone che velocemente trafficava
con i loro bagagli e scosse la testa nel vedere che suo padre era
già andato
via. Se lo immaginava commosso mentre guidava verso casa, per fortuna
c’era
Carole ad aspettarlo che gli avrebbe reso tutto più facile.
Il volo, nonostante avesse il
terrore di cadere e
schiantarsi da qualche parte tra l’Ohio e il Michigan,
passò tranquillo e
incredibilmente veloce. Prima ancora di potersi abituare e poter
chiedere un
caffè per il quale aveva di sicuro pagato la voce di una
delle hostess annunciò
l’arrivo a Detroit, chiedendo di allacciare le cinture che
non aveva mai tolto.
Il signore che sedeva al suo fianco non gli aveva rivolto la parola
neanche una
volta e aveva continuato a leggere un giornale di finanza per tutto il
viaggio
e quando arrivò il momento di scendere si scagliò
fuori dall’aereo con la
velocità di un razzo guardandolo male.
Sospirò pesantemente
prima di prendere la borsa
sulla quale notò una leggera macchia grigia e scese
lentamente. Aveva forse
sperato un po’ che cambiare aria, arrivare in una
città grande come Detroit la
sua eccentricità non sarebbe stata più fonte di
tanta repulsione per la gente
che aveva attorno ma a quanto pare si era illuso. Chissà
come sarebbe stata Ann
Arbor, chissà come sarebbero stati i suoi compagni di corso
o quelli con cui
avrebbe diviso stanza e il dormitorio, o
i professori.
Quando atterrò sulla
terra ferma aveva ancora una
certa nausea e l’orecchio destro gli doleva un po’,
ma cercò di non farci troppo
caso cercando di concentrarsi sulle informazioni che aveva letto
sull’aeroporto. Era immensamente grande e quegli spazi di
sicuro non giovavano
al suo scarso senso dell’orientamento così quando
si ritrovò immerso nel
traffico dovette farsi spazio a spallate per arrivare fino al ritiro
bagagli
dove raccolse le sue tre valigie. Erano così grandi e
pesanti anche all’andata?
Era umanamente impossibile riuscire
a trascinarle
fino al parcheggio e quando ne ebbe la piena consapevolezza
entrò nel panico.
Guardandosi attorno si rese conto che praticamente nessuno gli degnava
di uno
sguardo e che la maggior parte delle persone con più valigie
era stato così
previdente di munirsi di un carrello.
«Hai bisogno di una
mano?»
Una voce dolce venne da dietro la
sua schiena e
quando si girò trovò una ragazzina che avrebbe
potuto avere la sua età
rivolgergli un sorriso. I corti capelli di un particolare biondo scuro
erano
lasciati sciolti attorno al viso magro e pallido e due grandissimi
occhi di un
marrone molto particolare lo scrutavano divertiti, passando dal suo
viso alle
valigie che lo affiancavano.
Se avesse avuto una maggiore
inclinazione al
contatto fisico avrebbe di sicuro abbracciato di slancio la sua
personale
salvatrice, invece si limitò a sorriderle ed annuire per poi
buttare un
occhiata agli ingombranti bagagli che si era portato dietro, sbuffando.
Lei
rise e allungò una mano verso di lui.
«Io sono Lauren. Se vuoi
vado a cercare un carrello,
o un paio di carrelli.»
«Kurt Hummel.»
disse scuotendo poco la mano piccola
e fredda che aveva afferrato «se davvero fossi
così gentile ti sarei
riconoscente a vita. Anche perché credo di avere pochissimo
tempo prima che il
treno parta.»
Lei si guardò attorno
scrutando attenzione la sala e
si illuminò quando vicino alle vetrate individuò
un paio di quelle strutture
metalliche che tanto Kurt agognava. Sgattaiolò velocemente
tra la folla che
pian piano iniziava a diradarsi, agevolata dalla sua minuta struttura
fisica, e
tornò dopo poco con un’espressione di vittoria che
fece ridere di gusto il
ragazzo.
«Grazie mille»
esultò iniziando a caricare con molta
fatica la prima valigia, quella più grande, sul carrello
mentre lei prendeva
una seconda più piccola per cercare di impilarla
sull’altra.
«Di niente. Ma sembra che
tu ti stia trasferendo con
tutta questa roba!»
«Diciamo che è
più o meno così. Essendo il primo
anno non avevo assolutamente idea di quanta roba mi sarebbe servita per
i primi
mesi. Così ho praticamente svuotato uno dei miei
armadi.»
La ragazza lo guardò
stranito per qualche secondo
mentre con un braccio appoggiato al tessuto pregiato della borsa si
riposava
dalla fatica che aveva fatto per sollevare l’ultima valigia e
poi scoppiò a
ridere.
«Sei un ragazzo davvero
particolare Kurt.»
«Lo prenderò
come un complimento» scherzò, ma quando
il grande orologio dell’aeroporto entrò nel suo
campo visivo il sorriso che
quella ragazza gli aveva portato scomparve all’istante. Il
treno che avrebbe
dovuto prendere per arrivare a Ann Arbor sarebbe partito dopo cinque
minuti
scarsi e lui non aveva neanche la più pallida idea di come
arrivare alla
stazione da quel posto.
Si girò terrorizzato
verso la sua nuova amica e lei
gli sorrise, appoggiando una mano sul suo braccio scoperto dalla
camicia a
mezze maniche verde pallido che aveva indossato che, secondo lui, si
intonava
al colore dell’aereo.
«I treni per
l’Università fanno sempre un sacco di
ritardo. Abbiamo tutto il tempo.»
«Ma
come…»
«Belle Arti
immagino.» quando Kurt annuì con ancora
la bocca aperta per la sorpresa, lei era quasi sul punto di scoppiare a
ridere
nuovamente in faccia al ragazzo ma si trattene sorridendogli
apertamente e
annuendo con un’espressione che avrebbe dovuto apparire
saggia. «Ormai sono
diventata brava a riconoscere le matricole.»
«Anche tu studi
all’Università del Michigan?»
«Esattamente.»
Lauren posò il suo
borsone su uno dei carrelli che
le borse del ragazzo avevano già riempito abbondantemente e
si incamminò. Kurt
guardò quella misera sacca con diffidenza, sperando che
tutti i suoi vestiti
non fossero ammassati lì dentro, ma per non offenderla tenne
ogni commento per
sé. Infondo era la sua unica speranza di arrivare tutto
intero e con tutti i
suoi vestiti al campus e quindi le sorrise inforcando uno dei due
carrelli per
seguirla.
La stazione era praticamente un
tutt’uno con
l’aeroporto e quindi poterono arrivare praticamente sulla
piattaforma senza
incrinarsi qualche costola a forza di trascinare valigie anche se
purtroppo
dovettero abbandonare tutto prima di arrivare sul binario sei, dal
quale
avrebbero preso il treno per Ann Arbor. Con molta difficoltà
Kurt cercava di
trattenere l’emozione, guardandosi attorno con
così tanta foga che di sicuro
una volta arrivati gli avrebbe fatto male il collo, ma almeno
risparmiava la
povera ragazza che aveva deciso di fargli da guida con tutta la
vagonata di
domande sulla scuola che aveva in testa dal primo momento in cui aveva
deciso
di studiare lì.
Rimasero in silenzio per un
po’ di minuti mentre la
gente iniziava ad accalcarsi sul binario e Kurt poté notare
che molti erano
ragazzi della sua età che sicuramente arrivavano da ogni
parte del paese per il
suo stesso motivo. Era così esaltante pensare che avrebbe
studiato in una
scuola così variegata, così rinomata e
prestigiosa.
«Te lo avevo detto che
faceva sempre ritardo.» disse
la ragazza guardando l’orologio che aveva al polso,
distraendolo dai suoi
pensieri lungimiranti.
Quando la voce metallica
dell’altoparlante annunciò
l’imminente arrivo del treno lui scattò
immediatamente in piedi cercando di
allungare il collo il più possibile seguendo il tragitto
delle rotaie. La
ragazza di fianco a lui si mise al suo fianco e dopo avergli
picchiettato sulla
spalla indicò il lato opposto della stazione verso il quale
stava strizzando
gli occhi facendolo arrossire. Il treno stava arrivando, era enorme e
rallentò
sempre di più fino a fermarsi esattamente di fronte a loro.
Kurt sorrise alla ragazza e insieme
cercarono di
sollevare le valigie, e per fortuna un ragazzino alto dai corti capelli
ricci
li aiutò per poi scomparire tra la folla.
«Per fortuna che
all’arrivo dovrebbe esserci Joe ad
aspettarmi. Potrà sicuramente darci una mano con
queste.» disse distrattamente
battendo una mano sulle valigie con un sorriso sulle labbra, lui la
guardò con
un’espressione di scuse ma Lauren rise di nuovo, spingendolo
verso due posti
liberi. Quando si sistemarono dovettero aspettare qualche minuto prima
che il
loro vagone iniziasse a muoversi con fluidità.
Mancava veramente poco e sarebbe
arrivato. La sua
nuova casa, la sua nuova vita era dritta davanti a lui.
Fine.
Inizia ad entrare in scena
qualcuno. Dal prossimo
capitolo, quando avrò il tempo di scriverlo visto che mi
hanno ufficialmente
tolto il computer e quindi dovrò fare tutto su carta
sperando di avere tempo
per ricopiare, vedremo qualcuno in più, lo giuro. Mi
dispiace se gli
aggiornamenti andranno a rilento, ma spero di portare avanti questo
progetto
che mi sta molto a cuore.
Baci, Nacchan.
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