Luci e ombre nella foresta

di joellen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Luci ***
Capitolo 2: *** I cacciatori ***
Capitolo 3: *** Indagini ***
Capitolo 4: *** Ombre ***
Capitolo 5: *** Nella foresta ***
Capitolo 6: *** L'incontro ***



Capitolo 1
*** Luci ***


Il Sole stava scendendo sull’immensa e fitta Samtian National Forrest, e anche quel giorno volgeva al termine. Mike Donovan si apprestava a tornare a casa dopo la consueta perlustrazione, che caratterizzava il suo mestiere di guardia Forestale. L’inverno scivolava verso la fine, ma c’era ancora molta neve che ora aveva acquisito una bella sfumatura amaranto laddove gli alberi vicinissimi l’uno all’altro, si allontanavano per scoprire timide radure bianche. Qualche esemplare della fauna locale aveva fatto capolino dopo il lungo letargo, ma molti ancora dormivano, facendo pensare che la stagione avrebbe potuto riservare ancora colpi di coda spiacevoli. Stava per incamminarsi verso l’uscita quando, in mezzo ad un gruppo di alberi alti e particolarmente fitti da creare una nicchia di buio quasi completo, credette di vedere qualcosa di chiaro. Si avvicinò a quell’antro naturale per poter osservare meglio cosa fosse, ma la forma chiara pareva scomparsa. Riprese il cammino pensando di aver visto male tuttavia, al successivo gruppo di alberi ravvicinati, la cosa chiara si riaffacciò. Donovan rimase un attimo fermo, determinato a sincerarsi che non stesse avendo le traveggole. Non aveva bevuto, nonostante il freddo intenso, poiché non beveva in servizio, se non un bicchierino di tè caldo conservato in un thermos amorevolmente preparatogli da sua moglie Ellies. Indebolendosi, la luce del giorno che moriva, contribuiva a incupire gli anfratti creati fra gli alberi, e la forma chiara risultò più evidente. Era una sagoma umana sottile, evanescente, vagamente luminescente, viso magro dentro cui spiccavano neri due occhi, anzi, due orbite scurissime tonde, apparentemente inespressive. Ma solo apparentemente, poiché l’uomo si sentì sondato come se quell’essere lo stesse sottoponendo ad una radiografia. Donovan imbracciò il fucile e sparò alla sagoma. Il fucile che aveva non serviva per uccidere, ma per spaventare ed allontanare animali, o umani troppo curiosi. La sagoma sparì per un secondo, poi riapparve, e Donovan ebbe quasi l’impressione che avesse aumentato di luminosità, forse a causa del buio che si infittiva. Indietreggiò. Si guardò attorno, e si accorse che dall’interno di altri gruppi di alberi si vedevano altre forme come quella. E tutte lo guardavano. Solo per un attimo ebbe la lucidità di chiedersi cosa fossero, poi il panico lo assalì come un branco di lupi selvatici.

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Capitolo 2
*** I cacciatori ***


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I cacciatori

 

 

Breaking news: un uomo della Forestale, Mike Donovan è stato ricoverato al Medical Center di Salem in forte stato di shock. Le sue condizioni fisiche sono buone. Il suo corpo non presenta ferite di alcun tipo, ma sembra reduce da un grosso spavento, e non ha ancora ripreso l’uso della parola.

L’Uomo è stato trovato all’uscita della Foresta, presso Idanah, dove abita con la moglie che, non vedendolo tornare a casa, ha chiamato i soccorsi. Quando è stato trovato, farfugliava frasi sconnesse, ripetendo: ho visto i fantasmi! Ho visto i fantasmi!

La cronista diede la notizia con piglio professionale, senza emozionarsi troppo, come se si trattasse di un fatto qualunque. Ma per tre persone, che la udirono, quel fatto poteva avere una certa importanza.

F. M. era giunto a Salem un paio di giorni prima dopo aver appreso altre notizie che riguardavano l’oggetto della sua personale caccia ai misteri, e si recò all’ospedale, sperando di poter parlare con quell’uomo. Si presentò in astanteria esibendo il suo distintivo di agente dell’FBI, su cui l’impiegata lesse il nome di Frederick Manner, e raggiunse la stanza in cui il poveretto era ricoverato, ancora in evidente stato confusionale, assistito con trepidazione dalla moglie, sgomenta anche lei di fronte alle condizioni mentali del marito.

Mike Donovan era steso sul letto, con gli occhi azzurri spalancati, fissi nel vuoto, e muoveva ritmicamente le labbra,  forse desideroso di parlare, ma impossibilitato dal terrore che ancora lo possedeva.

La moglie, una bella donna di circa 40 anni, bionda, aveva gli occhi verdi gonfi di pianto, e stringeva una mano del marito, cercando di consolarlo e rincuorarlo.

“Ha capito cos’ è successo, signora?” domandò Manner. alla donna.

La donna scosse, avvilita la testa, ed altre lacrime uscirono dagli occhi.

“Quando lo abbiamo trovato, continuava a ripetere: ho visto i fantasmi – rispose lei – Non è riuscito a dire altro. Ma le assicuro che deve essere stato terrificante. Mike non è un uomo pauroso. Ha affrontato molti pericoli; è stato aggredito da un orso, ma non ha mai avuto paura. Ieri sera era sconvolto. Non l’ ho mai visto così terrorizzato. Sembrava davvero che avesse visto la Morte”.

“Sa se per caso è la prima volta che suo marito ha visto…quello che ha visto?” continuò Manner.

“Credo di si. – rispose la donna, che sembrava essersi un poco ripresa – Non mi ha mai parlato di fantasmi. E poi, so che lui non ci crede. Se è ridotto così, vuol dire che quello che ha visto deve essere stato orribile!” .

F.M. annuì, convinto.

“Certo. – confermò infatti – Lo immagino”.

“Indagherete su questo caso?” chiese la donna.

“Certamente. – rispose Manner – Ma vedrà che sarà meno grave di quel che sembra. Con questo, non voglio dire che sua marito abbia avuto le visioni, però dovremo vagliare tutte le ipotesi. Non è riuscito, per caso, a dare una descrizione, anche sommaria di questi…hm…fantasmi?”.

La donna scosse di nuovo la testa.

In quel momento, Donovan parve reagire e, ricominciando a farfugliare, dette qualche altro dettaglio su ciò che aveva visto nella foresta. La donna strinse affettuosamente la mano al marito, invitandolo a stare calmo, poi lanciò un’occhiata disperata a Manner, che ricambiò con uno sguardo comprensivo. Per lui, quel che il povero Donovan stava dicendo, non era anormale.

Al termine del colloquio, l’agente lasciò la stanza, salutando la moglie del ricoverato con un sorriso che non fu solo di circostanza.

Ripassando in astanteria, Manner scoprì l’impiegata a guardarlo di sottecchi con malcelata ammirazione. Era un bell’uomo, di oltre 40 anni, piuttosto alto, capigliatura castana folta divisa da una scriminatura laterale alta, e quel velo di barba e baffi che gli conferiva un aspetto elegantemente trasandato. Ma rimase soprattutto colpita dai suoi occhi, piccoli, allungati, scuri, dallo sguardo penetrante ed indagatore.

Manner regalò un sorriso anche a lei, e uscì, divertito.

Raggiunto il parcheggio, risalì sulla sua auto presa in affitto e manovrò per uscire. Era prossimo a varcare il cancello, quando sull’altra corsia, vide entrare, spavalda, un’automobile, davvero rara da incontrare in giro, e si chiese chi fosse l’eccentrico riccone che se ne andava a zonzo per le strade degli States con un’ Impala del ’67. A quella domanda ne seguì un’ altra: dove l’aveva già vista?

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Capitolo 3
*** Indagini ***


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Sam e Dean Winchester passarono davanti all’astanteria, ricevendo anche loro dall’impiegata, un’ intensa occhiata di apprezzamento che ricambiarono, almeno Dean, con un sorriso aperto. Esibirono i loro falsi distintivi FBI, chiedendo nel contempo se potessero parlare col signor Donovan.

“E’ venuto un vostro collega pochi minuti fa” disse la ragazza.

Sam e Dean si scambiarono brevi occhiate di meraviglia. Poi, però Dean prese in mano la situazione.

“Siamo di dipartimenti diversi. – rimediò con la sua faccia tosta – Sa da dove veniva?”.

La ragazza rimase un attimo sorpresa, e un filo imbarazzata.

“Non ho fatto in tempo a vederlo” si scusò.

L’impiegata era molto carina, bruna, con gli occhi scuri.

“Perdonata” disse Dean sorridendole.

“Oggi è il mio giorno fortunato o, l’FBI ha finalmente deciso di assumere qualche bella faccia? - commentò la ragazza – Stamattina, in un quarto d’ora siete entrati in tre. Tutti e tre carini”.

“Beh, - intervenne Sam – c’è stato un rinnovo del personale. Forse hanno finalmente capito che se gli agenti hanno un aspetto gradevole, il lavoro risulta più facile”.

Chiesero poi di andare a parlare con Mike Donovan.

“E’ molto scosso” disse la ragazza, facendosi seria.

“Oh, - fece Dean, compreso – stai…cioè, stia tranquilla. Useremo il massimo tatto. Lui poi è bravissimo” finì indicando Sam.

Su istruzioni dell’impiegata, i due raggiunsero la stanza 108, dove era ricoverato il paziente.

Al loro ingresso, la moglie di Donovan squadrò stupita i due giovani.

“Pochi minuti fa è venuto un vostro collega” disse.

“Si, - spiegò Dean – lo sappiamo, ma noi siamo di un altro dipartimento” La donna annuì perplessa.

I ragazzi cominciarono a rivolgere le domande di rito, chiedendo dove e come si erano svolti i fatti. Il povero Donovan riuscì a rispondere a spizzichi e bocconi, con mezze parole, pronunciate balbettando. Avute le informazioni che desideravano, i ragazzi tesero l’ultimo affondo con la domanda cruciale:

“Ha sentito per caso odore di zolfo nella zona dove ha visto quegli esseri?”

La donna sgranò gli occhi, poi spostò lo sguardo supplichevole al marito il quale smise di guardare il vuoto e girò la testa verso i due ragazzi lanciando loro un’occhiata interrogativa.

“Sappiamo che la domanda è strana. – disse Sam – Ma ci dica solo si o no, se lo ricorda”.

L’Uomo mostrò di volerci pensare un istante, poi rispose:

“No”.

I due fratelli si guardarono.

“Non abbiamo altre domande, vero Dean?. – terminò Sam – Grazie di tutto e stia tranquillo. Faremo il possibile per far luce sul caso”.

Per commentare, aspettarono di essere tornati al parcheggio.

“Che strano tipo di spiriti. – se ne uscì Dean – Hai sentito la descrizione? Molto sottili…”

“Abbiamo mai visto un fantasma obeso, Dean?” osservò Sam.

Dean alzò le sopracciglia.

Risalirono sull’Impala, lasciarono l’edificio e partirono in direzione del luogo dove erano apparsi i singolari fantasmi.

 

 

 

Il Sole andava e veniva, coperto a tratti da stormi di nuvole sbattute dal vento, sul lungo nastro d’asfalto della bella Samtian Highway che, da Salem, conduceva fin nel cuore dell’immensa Willamette National Forrest, arrivando quasi ai piedi del Monte Jefferson.

F.M. percorreva quella strada a velocità moderata e costante, godendosi il panorama e pensando che la risposta alle sue domande si trovava proprio all’interno di quello sconfinato oceano verde.

Il navigatore satellitare lo informò che stava giungendo alla meta, invitandolo a rallentare.

Idanah non poteva considerarsi un centro abitato vero e proprio, essendo costituito da pochissime piccole costruzioni distribuite senza eccessivo ordine ai lati della strada, alle propaggini della grande foresta.

Quando vi giunse notò un certo movimento.

La notizia dell’esperienza di Donovan aveva ovviamente destato comprensibile curiosità, ma aveva anche determinato la formazione di posti di blocco, e gli uomini del Servizio di Sicurezza erano sparsi un po’ ovunque, concentrati al massimo negli immediati pressi della foresta, impegnati a scoraggiare la gente che avrebbe voluto entrarci. Un piccolo gruppo di essi marcava stretto il lato sinistro della strada. F. M. fermò la macchina in uno slargo, a pochi metri da un drugstore chiuso,  avvicinò uno degli agenti di Sicurezza, e gli mostrò il distintivo del FBI.

“Sono stati trovati cadaveri nel bosco?” chiese.

“E’ questa la cosa strana. – rispose l’agente – No”.

La risposta produsse un dubbio nella mente di F. M. Le possibilità erano due: o Donovan era stato l’unico a vedere i fantasmi, oppure chiunque altro li avesse visti, era sparito, vivo o morto che fosse.

E lui sapeva, per la sua esperienza, per il mestiere da lui svòlto, e per le sue ricerche, che questa seconda ipotesi era plausibile.

Tornò a parlare con l’uomo della Sicurezza e gli chiese altri eventuali dettagli, ma non ricevette risposte esaurienti.

A pochi metri dietro ad una cabina telefonica bianca e azzurra fissata ad un palo, scorse un sentiero che si addentrava nella foresta. L’agente della Sicurezza provò a fermarlo, ma F. M. lo spinse indietro.

“Non preoccuparti per me, amico mio. – gli disse per rassicurarlo – I fantasmi sono miei amici. I migliori amici. – da un taschino del giaccone imbottito estrasse un biglietto da visita – Se non torno, avverti questa persona” e dopo averlo detto, cominciò a salire il sentiero.

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Capitolo 4
*** Ombre ***


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Gli alti e fitti abeti, ancora parzialmente carichi di neve, sembrarono accoglierlo nel loro abbraccio verde e avvolgente, invitandolo a proseguire il cammino in mezzo a quella natura rigogliosa. Stando alla testimonianza, seppur confusa, della povera guardia forestale terrorizzata, i fantasmi erano apparsi nei punti più bui della vegetazione. Ed era successo a tramonto avanzato. In quel momento era giorno pieno, benché il cielo, ora più nuvoloso, avesse smorzato la luce diffondendola però più uniformemente senza creare ombre. Continuò a camminare, girandosi e guardandosi intorno, prediligendo le nicchie di oscurità che si formavano fra gli alberi nei punti in cui erano più ravvicinati. Addentrandosi sempre di più nella foresta, il vociare sgraziato degli addetti alla Sicurezza si allontanava cedendo il posto ad un silenzio che si fece man mano più tangibile.

Il leggero vento che aveva soffiato fino a pochi minuti prima, calò accentuando il silenzio, e ad un certo punto, l’unico rumore udibile era lo scrocchiare delle suole dei suoi scarponi sullo strato di neve che copriva il sentiero. Avanzò a passo regolare, ma non veloce, finché non arrivò ad una radura, e lì si fermò spaziando su essa con lo sguardo.

Ciò che cercava non era lì. Forse era più avanti, ma non doveva essere lontano. L’avvistamento era avvenuto in quel tratto di bosco. Girò la testa alla sua sinistra. La disposizione di alcuni rami striati di neve di due alberi vicini pareva quasi creare una forma umana, chiara contro lo sfondo scuro dei tronchi.

Era una forma umana, longilinea, ma non scheletrica, che lo fissava con intensità dall’interno delle sue grandi orbite nere.

 

 

 

Sam e Dean percorsero la Samtian Highway di gran carriera, desiderosi di arrivare più presto possibile al luogo in cui avrebbero trovato il solito pane per i loro denti ma, giunti quasi a destinazione, da lontano, riuscirono a vedere i posti di blocco che impedivano di proseguire, e dove sicuramente sarebbero stati fermati dagli uomini della Sicurezza. Vedendo alla loro sinistra, un ampio spazio di terreno libero da alberi,  per evitare discussioni, Dean decise su due piedi di voltare e buttarsi fuori pista in mezzo alla neve.

Non fecero molta strada.

In prossimità della zona in cui ricominciava la foresta, l’Impala s’ingrippò e si fermò.

“Non è un fuori strada, Dean!” obiettò Sam, rimproverando il fratello che imprecava  a quel seccante imprevisto. Dopo essere riuscito a calmarlo, i due ragazzi estrassero dal portabagagli le armi occorrenti all’occasione, e insieme entrarono fra gli abeti attraverso uno stretto sentierino.

“Se qui ci sono i fantasmi, - dedusse Dean, sbollita la rabbia, ed eccitato dalla caccia  – dobbiamo cercare i corpi da cui sono uscite le loro anime che ora vagano in pena in questa foresta”.

E s’inoltrarono nel bosco, con le armi cariche in mano, pronti a svolgere il lavoro che si aspettavano di dover fare.

Avanzarono cauti, voltandosi a destra e a sinistra, con le loro armi in pugno, tesi e vigili, gettando occhiate a tutte le zone buie che incontravano nel loro cammino.

Ma non incontrarono cadaveri.

Neppure uno.

Il cielo dette il suo valido contributo a incupire l’atmosfera scurendosi oltremodo, nonostante fossero le prime ore del pomeriggio. Si preparava un temporale o, comunque, brutto tempo imminente. Il silenzio tutto attorno ne era uno dei segnali. Infatti, dopo aver percorso un buon tratto, in lontananza, udirono il rombo sordo di un tuono. Affrettarono il passo, camminando ora affiancati: Sam, guardando a sinistra, Dean, a destra, alternandosi.

La luce si indebolì ulteriormente. Il temporale si stava avvicinando. I tuoni si facevano più forti e frequenti, i lampi più lunghi e luminosi. L’ombra fra gli alberi diventò più corposa, mettendo in risalto i rami coperti da un velo di neve.

I due ragazzi non seppero dire con esattezza se ebbero delle allucinazioni, ma credettero di vedere i rami più bassi prendere vita e diventare le sottili, longilinee forme evanescenti che tanto avevano spaventato Donovan. Un lungo fulmine saettò fino ai loro piedi, rivelando una di quelle sagome che diventò nera contro la luce intensa di quel lampo. Poi, le videro muoversi leggere davanti a loro. Erano quattro, e da loro si sentirono sondati, e radiografati.  Spararono alcuni colpi, trasformandone un paio in una nuvola di polvere, neve e sale, ma se li ritrovarono alle spalle. Sam fece per sparare quando vide il ciondolo di Dean tremare, e gli occhi del piccolo demone accendersi di luce azzurra.

“Dean! – esclamò – Aspetta! Forse non sono cattivi!” Dean abbassò lo sguardo e vide anche lui le piccole luci azzurre brillare nella penombra.

I due fratelli si scambiarono occhiate di stupore e di perplessità, ma decisero di mettere temporaneamente le armi a riposo. Ora le quattro sagome sottili ed evanescenti erano davanti a loro e li osservavano. E i ragazzi ebbero l’impressione che stessero invitandoli a seguirli.

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Capitolo 5
*** Nella foresta ***


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F. M. sentiva i battiti del cuore accelerare a mille, ma non provò panico.

La sagoma sottile ed evanescente continuava a fissarlo dalle sue orbite nere, tuttavia senza emanare odio, o voglia di far male.

L’uomo si trovò a seguire quell’essere oltre la radura, di nuovo in mezzo agli alberi, fino ad una specie di avvallamento dove il bosco era ancora più fitto, ma con le piante più basse.  E fatti un centinaio di metri, incastrato in diagonale, sostenuto dai rami di quegli alberi, intravide qualcosa.

Si avvicinò fino ad avere la visuale completa dell’oggetto.

Era a forma di piramide isoscele, di metallo chiaro, alto all’incirca come un albero, e non sembrava avere finestrini.

Da una tasca del piumino blu, estrasse la sua fotocamera digitale e, con essa, scattò una serie di istantanee, ma non poté girarci attorno, a causa degli alberi che lo circondavano bloccandolo fra essi.

 

 

Procedendo dietro ai quattro spettri apparentemente inoffensivi, Sam e Dean oltrepassarono la radura, s’inoltrarono di nuovo in mezzo agli alberi, presero lo stretto sentiero, giunsero all’avvallamento, e coprirono quei cento e passa metri che li separava da qualcosa che non avevano mai visto. Almeno non di persona, e non da vicino.

Si fermarono allibiti e fissarono quell’oggetto.

“Ecco, Sam. – disse Dean con la voce alterata dall’emozione – Adesso ci manca solo che appaia Mulder”.

E da dietro l’oggetto spuntò un uomo, in carne e ossa.

In un primo momento, la distanza fra loro non permise ai ragazzi di focalizzarne il volto, poi, Dean si avvicinò maggiormente all’oggetto, e l’uomo uscì allo scoperto mostrandosi per intero e muovendosi verso di lui.

Aveva barba e baffi, ma i capelli castani divisi da una scriminatura laterale alta, e gli occhi piccoli, scuri, lunghi, dallo sguardo penetrante e indagatore, erano i suoi. Non poteva sbagliarsi, anche se gli parve un sogno.

Sam raggiunse velocemente Dean, ed entrambi rimasero a bocca aperta:

“MULDER !!!!!” esclamarono in coro con le voci spezzate dalla sorpresa.

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Capitolo 6
*** L'incontro ***


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In quel momento, in mezzo alla foresta, erano in otto: tre umani, e terrestri, e cinque anime, che forse non lo erano, e non solo perché erano anime.

“Non abbiate paura, ragazzi. – li incoraggiò Mulder – Non vogliono farci male”.

Sam e Dean non avevano paura, stavano soltanto cercando di capire se quel che stavano vedendo fosse reale.

E quel che videro subito dopo, lo fu ancora meno.

Le cinque anime si avvicinarono al veicolo e questo si aprì come la bocca di un animale scardinando dalle radici gli alberi che lo imprigionavano come fossero stati stuzzicadenti. L’interno si rivelò buio e scarno, diversamente dalle loro aspettative. Non notarono plance di comando, né aggeggi fantascientifici che ricordassero serie come Star Trek, o film come Incontri Ravvicinati del 3° Tipo.  

Ai lati dell’abitacolo erano disposte cinque capsule per l’animazione sospesa, la miglior soluzione per viaggi interplanetari. Ma qualcosa non aveva funzionato poiché i corpi contenuti in esse non erano in decomposizione, ma nemmeno freschi come appena entrati.

I tre umani rimasero immobili e silenziosi, in un rispettoso raccoglimento, quasi a voler rendere omaggio a quegli esseri che avevano affrontato un viaggio lunghissimo da chissà dove, alla ricerca e alla scoperta di nuovi mondi, in nome della scienza che sicuramente, nel loro pianeta, era molti passi avanti a quella del nostro.

Poi, Dean si allontanò dal veicolo e raggiunse il suo zaino buttato in un angolo ai piedi di un pino montano, con l’intento di prendere l’occorrente per il loro consueto rito di purificazione, ma la mano di un dio, al quale forse credono i popoli di tutte le galassie, risparmiò al ragazzo quella fatica. Un fulmine, particolarmente grosso e potente, centrò in pieno il veicolo trasformandolo in un’enorme torcia dalla luce prima bianca, poi azzurra, e disintegrandolo in un’esplosione contenuta e poco rumorosa, senza neppure appiccare il fuoco agli alberi.

Quando Sam, Dean e Mulder tornarono a guardare, dopo essersi allontanati di corsa alla caduta del fulmine, del veicolo non era rimasto più niente, e delle anime dei cinque sfortunati occupanti, non vi era più alcuna traccia.

Cominciò a nevicare, all’inizio con moderazione, poi sempre più densamente.

Su quel verde angolo di mondo, la luce si schiarì e si compattò, gettando sulla foresta un alone grigio perla.

“Era un Ufo, vero, Mulder?” chiese Sam.

“Si, - rispose Mulder – Era un UFO. Un Oggetto Volante Non Identificato. Questa volta, alla lettera, perché l’avevo identificato solo io. Solo io sapevo che era caduto qui” .

“Si, - obiettò Dean – ma adesso tu non hai più prove”.

Mulder gli mostrò le foto sulla fotocamera.

“Si, - osservò Sam – ma non hai la prova concreta. L’astronave è andata distrutta”.

“Non me ne importa un accidente, se l’astronave è andata distrutta, ragazzo mio. – replicò Mulder, apparentemente seccato – Se quei poveri esseri devono finire sul tavolo di un obitorio, sezionati, ed usati come cavie, preferisco che sia andata così. Queste creature hanno diritto a tutta la dignità e il rispetto che meritano. Salverò le foto sul mio archivio personale degli X-Files. A me, ora, interessa solo questo” e nel dir così, invitò i ragazzi a seguirlo nella strada del ritorno verso l’uscita dalla foresta.

Si presentarono, e ’incamminarono insieme, vicini.

“Una volta non la pensavi così” osservò Dean.

“No. – confermò Mulder – Infatti. Una volta cercavo prove concrete. Volevo dimostrare al mondo che c’è vita oltre la Terra e oltre il Sistema Solare, ed ero disposto a tutto pur di conseguire il mio obbiettivo. Poi sono successe alcune cose che mi hanno, non dico fatto cambiare idea, ma, senz’altro modificato la visuale del fenomeno, ed ora, continuo le mie ricerche per conto mio, in altre modalità”.

“Skully c’entra nel tuo nuovo modo di pensare?” chiese Sam.

“Skully è il mio alter ego razionale. – rispose Mulder – E quando non fa il medico, mi dà una mano”.

“Tu sei stato rapito dagli alieni, vero?”chiese Dean.

Mulder si fermò un istante, e scrutò Dean con quei suoi occhi piccoli e felini. I ragazzi lo avevano riconosciuto e i loro visi, a lui, non risultavano del tutto ignoti, ma, al momento, non rammentava dove li avesse visti.

“Sono stato rapito, si. – confermò poi – ma non erano alieni”.

I due ragazzi rimasero un attimo dubbiosi, poi credettero di capire.

“La Guerra Fredda. -  se ne uscì Sam. – Il Complotto” . Mulder gli lanciò un’occhiata d’intesa.

“Ci sei andato vicino” rispose enigmatico.

Continuando a chiacchierare come vecchi amici,  e con l’ausilio del navigatore sul telefono di Sam, i tre uscirono vivi e sani dalla foresta. Mulder aiutò i due ragazzi a smuovere la loro macchina dalla neve, e la guardò con interesse.

“Era la vostra auto, allora. -  disse, ricordandosi di quando l’aveva vista entrare all’ospedale, mentre lui usciva -  Siete ricchi”.

Sam si espresse in un gesto d’imbarazzo.

“E’ un regalo di papà. – disse Dean con aria mesta – E’ del ’67. E papà l’ha comprata nel ’73, su consiglio di uno che se ne intendeva”.

Mulder rise.

Si salutarono calorosamente, poi, i due fratelli seguirono l’uomo allontanarsi fra i fiocchi di neve che cadevano placidi sulla spianata.

Dean alzò in aria un pugno in gesto di trionfo.

“Fox Mulder! – esclamò, gonfio di soddisfazione – Un uomo, un mito!”.

“Ehi, Dean, - disse Sam prima di risalire in macchina – Abbiamo avuto un incontro ravvicinato del 3° tipo, giusto?”.

“Forse 4°. – corresse Dean – Abbiamo incontrato le loro anime. Ancora più figo”.

“A  noi mancava solo questo” commento Sam.

“Già. – convenne Dean -  Adesso il nostro curriculum di stranezze è completo”.

Si sorrisero, entrarono in auto e ripartirono per tornare a Salem.

 

 

 

 

 

Vancouver, il giorno dopo. Sera

 

Dopo cena, Mulder e Skully si spaparanzarono comodi sul letto nella loro camera, abbracciati, davanti all’ampio schermo televisivo, e Mulder attaccò con un veloce zapping che finì con l’innervosire la sua compagna.

“Vuoi fermarti da qualche parte per favore?” lo rimproverò affettuosamente Skully.

Dopo aver cambiato un altro paio di canali, si fermò catturato da un trailer.

Era un trailer della CW in cui per un attimo credette di vedere i volti dei due ragazzi conosciuti il giorno addietro nella foresta dell’Oregon. Pensò che fossero dei sosia finché la voce fuori campo nel trailer non annunciò la nuova puntata delle avventure dei fratelli Winchester.

E loro, presentandosi, avevano detto di chiamarsi Winchester, un cognome che lui aveva già sentito, ma non ricordava dove.

Ecco forse dove lo aveva sentito!

 

 

 

 

F  I  N  E

 

 

 

Alla mia prossima fan fiction, sempre che vogliate ancora leggermi.

 

 

 

 

 

 

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