I need this love. di _Dreams_ (/viewuser.php?uid=93822)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ricordi indelebili. ***
Capitolo 2: *** Una giornata da dimenticare. ***
Capitolo 3: *** A volte, anche una semplice parola, è in grado di ferire. ***
Capitolo 4: *** Una domanda e nessuna risposta. ***
Capitolo 5: *** Nuove conoscenze. ***
Capitolo 6: *** Potrò mai essere felice? ***
Capitolo 7: *** Me stessa. ***
Capitolo 8: *** Parco acquatico. ***
Capitolo 9: *** Una lunga, ma piacevole, giornata. ***
Capitolo 10: *** Nessuno è solo. ***
Capitolo 1 *** Ricordi indelebili. ***
popo
Ciao a
tutti! E' da un pò di tempo che ho questa storia in mente,
ma mi son sempre rifiutata di scriverla, perchè non mi
sentivo all'altezza.
Ma poi ho deciso di provarci. Amo scrivere e in questa fan fiction ci
ho messo parte di me stessa.
Ammetto di avere un pò di strizza e mi sto imponendo di non
scappare e di cliccare il tasto: aggiungi una nuova storia.
Ma
mi son fatta forza e quindi: eccomi qua! Sono sincera, non so che ne
sia uscito fuori, anche perchè la mia mente è
molto malata xD
Sarà un pò triste all'inizio, volevo avvisare, ma
col tempo tutto si rimetterà più o meno apposto
;)
Ringrazio infinitamente Sharon (Shasha5) per la splendida immagine che
mi ha fatto!
E vorrei dedicare a lei il capitolo e a un'altra persona per me molto
speciale: Mary.
Lei sa chi è ;) Grazie ragazze, vi voglio un
mondo di bene-
Grazie, grazie, grazie.
Ok, la smetto di blaterare, anche perchè se inizio non
finisco! xD
Buona lettura!
Prologo
Felicità. Non
ero mai stata in grado di comprendere il
significato di questa parola; dopotutto per una come me la
felicità non
esisteva e mai sarebbe esistita.
Di questo ne ero
pienamente sicura; la vita non aveva fatto altro che offrirmi emozioni
negative
e… dolorose. Tutto cambia, quando meno ce lo aspettiamo.
E ora, grazie a lui -
che era entrato a far parte della mia vita, rischiarando i miei giorni
– non
potei fare a meno di pensare a quanto ero stata stupida e cieca.
Perché avrei
trascorso ore ed ore ad ammirare il suo viso, senza mai stancarmi.
«Bella...», sussurrò
il mio angelo personale, posando una mano sulla mia guancia,
accarezzandola
dolcemente.
Chiusi gli occhi,
beandomi appieno del suo tocco caldo e gentile, che avrei tanto
desiderato non
avesse mai fine; perché una sua semplice carezza era in
grado di
destabilizzarmi completamente.
Prese a seguire il
contorno delle mie labbra, che al suo tocco si dischiusero leggermente.
Aprii gli occhi,
scontrandomi così con due pozze verde smeraldo, che erano in
grado di
penetrarmi l’anima. Mi persi nei suoi splendidi occhi e
sentii le gambe
cedermi, ma non ci feci caso, dopotutto quella reazione era
spontanea… accadeva
ogni volta che mi rivolgeva quello sguardo così carico
d’affetto, che mai e poi
mai mi sarei meritata.
«Edward io…», provai
a parlare, ma senza risultato; le parole non ne volevano sapere di
uscire dalla
mia bocca, tanta era l’emozione che provavo in quel momento.
«Tu non sei così
Bella. Tu non sei così», iniziò a dire
con voce dolce. «Io so come sei
veramente, mi hai dato modo di conoscere la vera te stessa»,
bisbigliò,
spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Aprii e chiusi la
bocca più volte, incapace di parlare.
«La vera te stessa…»,
sorrise gentilmente, intrecciando le nostre dita, «ha un
animo puro, dolce. E
tu Bella, hai un cuore grande, talmente grande che neanche ti
immagini», mormorò
avvicinandosi, posando la sua fronte contro la mia.
Sentii le lacrime
premere per uscire, ma con una grande forza di volontà
riuscii a ricacciarle
indietro.
Il mio occhio cadde
sulle nostre mani unite; le alzai e le posai sul mio petto, dove in
quel
momento vi era il mio cuore, che batteva all’impazzata.
«Lo senti il mio
cuore?», domandai retoricamente, con voce incrinata.
Annuì
impercettibilmente, accarezzandomi la guancia con la mano libera.
«Il mio cuore batte
solo per te», sussurrai flebilmente.
Le lacrime presero
a rigarmi il viso, ma non le fermai. Perché mai avrei dovuto
farlo? Le lasciai
scendere.
Sul suo viso si dipinse
un sorriso, quel sorriso che tanto amavo.
Le sue braccia
andarono a circondarmi la vita, stringendomi forte al suo
petto.
Posai
la testa
nell’incavo del suo collo, stringendomi a lui più
che potei; mentre il suo viso
andò ad immergersi nei miei capelli.
«Tu. Sei tu la mia
vita»,
mi sussurrò nell’orecchio,
posandomi poi un dolce bacio sulla fronte.
1.
Ricordi
indelebili
Pov
Bella
La vita
è difficile.
Nulla è prestabilito; è un continuo
mutamento… di gioie, dolori e perfino
di scelte. Scelte importanti, che in
parte influenzano sul
futuro.
A volte entra in
gioco il destino, in grado di cambiarti la vita e di farti provare
sensazioni
sconvolgenti, che non avresti mai voluto sentire.
La cosa migliore
sarebbe andare avanti, perché la vita continua e ha il
sopravvento su tutto… ma
com’è possibile tutto ciò, se l’unica
cosa che una persona desidera è affogare
nel dolore?
«Signore
e signori allacciate le cinture di sicurezza, tra meno di cinque minuti
atterreremo all’aeroporto di Forks»,
annunciò una hostess; il suono della sua
voce mi destò dai miei pensieri e mi fece rinsavire.
Lentamente
aprii gli occhi e guardai l’orologio: erano quasi le tre, il
tempo era passato
abbastanza velocemente.
Guardai
fuori dal finestrino; il cielo era terso, segno che da un momento
all’altro
avrebbe iniziato a piovere. Dopotutto cosa mi sarei dovuta aspettare
dalla
cittadina più piovosa d’America?
Phoenix, la mia città natale, dove
avevo trascorso diciassette anni della mia vita. Tutto era perfetto,
avevo
molti amici e una famiglia su cui contare; mia madre Renée e
suo marito, Phil…
ma si sa, prima o poi tutte le cose belle finiscono.
Renée e Phil, due
semplici nomi all’apparenza, ma il solo
pensiero era in grado di causarmi un dolore indescrivibile, che mai e
poi mai
mi sarei aspettata di provare.
Mi tormentai il
labbro inferiore e rivolsi lo sguardo al soffitto, cercando in tutti i
modi di
fermare le lacrime che minacciavano di scendere da un momento
all’altro.
Non dovevo
piangere, era da deboli. Tu
sei forte, non sei debole; la
mia mente continuava a ripetermi questa
frase come una mantra.
Sospirai rassegnata
e dopo minuti – che a me parvero ore – l’aereo finalmente
atterrò e alcuni
passeggeri si alzarono frettolosi,
smaniosi di essere all’aria aperta… come se fuori
ci fosse stato qualcosa di
interessante.
Come un automa
presi la valigia, scendendo dall’aereo e subito il leggero
venticello mi sferzò
il viso, scompigliandomi dolcemente i capelli. Portai una mano tra i
capelli,
frustrata e mi guardai in giro, in cerca della famosa auto della
polizia di…
Charlie.
Non avevo mai avuto
un buon rapporto con lui, era da tre anni che non avevo sue notizie ma
dopo
tutto quello che era successo si era fatto sentire, proponendomi
– forse a
malincuore – di venire qui da lui. Non ebbi scelta, era
l’unico parente che mi
rimaneva e se avessi potuto decidere non sarei mai venuta
qui… ma non potevo
restare a Phoenix, non dopo la loro morte.
Solo pronunciare il loro nome faceva male, maledettamente male;
così da codarda
scappai, rifugiandomi in questa – a mio parere –
schifosa cittadina.
Persa
nei miei
pensieri non mi resi conto che un uomo sulla quarantina si stava
avvicinando a
me, non potei non riconoscerlo… Charlie.
Un sospiro mi
sfuggì dalle labbra e con passo apparentemente deciso gli
andai incontro.«Ciao Bells»,
mi
salutò avanzando di un passo, tendendo la mano, come per
volermi sfiorare i
capelli.
«Ciao», risposi
impassibile, indietreggiando; non volevo avere nessun tipo di contatto
con lui…
nessuno.
Ritirò la mano e
guardò il suolo imbarazzato. Presi la
valigia e
feci per incamminarmi, ma prontamente mi fermò.
«Ti porto io la valigia», disse accennando un
sorriso, con la speranza - forse
- di spezzare
quel silenzio che si era momentaneamente creato. Non feci nemmeno in
tempo a
rispondere, che con un gesto delicato e deciso mi tolse la valigia
dalle mani e
si recò in auto, dalla parte del guidatore.
Non mi preoccupai
di ringraziare ed entrai in quel rottame, sbattendo la portiera. Mi
sedetti e
chiusi gli occhi, appoggiando la testa allo schienale;
l’ultima cosa che volevo
fare era pensare.
Per il resto del
viaggio non volò una mosca; l’unico rumore era la
radio, il cui suono
riecheggiava nell’abitacolo, spezzando quell’odioso
silenzio.
«Siamo arrivati»,
sussurrò Charlie, guardandomi di sottecchi.
Annuii leggermente
e velocemente mi diressi in casa. Una volta arrivata in soggiorno il
mio occhio cadde
sulla sedia a dondolo e mi si mozzò il respiro; era la
stessa dove, ogni sera
mia madre si sedeva, cullandomi dolcemente per farmi addormentare.
Mi portai una mano
al petto e una sensazione di vuoto m’invase, tanto che sentii
le gambe cedermi
e dovetti aggrapparmi al frigorifero per non cadere.
Sentii dei passi
alle mie spalle. Scossi leggermente la testa e – seppur con
scarsi risultati –
cercai di riprendermi.
«Bells…?», mi chiamò
con voce incerta Charlie.
Bells…
Bells…
Bells…
Il modo in cui mi
aveva chiamata continuava a ripetersi nella mia testa, come un disco
rotto.
Mi voltai furente.
Non avrebbe dovuto chiamarmi così… Mai.
«Come mi hai
chiamata?», domandai, cercando di regolarizzare la voce.
«Bells, ma ch-»,
iniziò, ma non lo feci finire; interrompendolo bruscamente.
«Tu non hai il
diritto di chiamarmi così, né tu né
nessun altro!», urlai, facendo un passo
avanti.
«Ma…», tentò di
dire, ma come poco prima non gli feci concludere la frase.
«Io non sono Bells,
sono Isabella e basta. Odio sentirmi chiamare con quel nome, lo odio!
», urlai. «Loro
mi chiamavano
così… Loro. Bells
è morta il giorno di quel
maledetto incidente, non dimenticarlo», dissi con voce
incrinata. Fece per
rispondere ma non gliene diedi il
tempo, perché con uno scatto repentino gli tolsi la valigia
dalle mani e corsi
su per le scale. Arrivai in camera mia ed entrai, sbattendo la porta;
lasciai
la valigia in un angolo e – anche se avevo ancora i vestiti
da viaggio – mi
buttai sul letto, nascondendo il viso nel cuscino.
Perché io? Perché a me?
Queste domande
continuavano a ripetersi incessantemente nella mia testa.
Le lacrime presero
a rigarmi le guance e un singhiozzo mi sfuggì dalle labbra.
No, no, no. Non dovevo piangere.
Con un gesto secco
della mano asciugai quella maledetta acqua salata, imponendomi di
essere forte. Mi massaggiai le
tempie con le dita e un sospiro sfuggì dalle mie labbra.
Mi recai vicino
alla valigia e presi a mettere apposto le mie cose, molto lentamente;
dopodichè
presi l’occorrente e mi diressi in bagno… avevo
bisogno di una doccia.
Il getto dell’acqua
calda entrò a contatto con la mia pelle e in parte mi
rilassai; chiusi gli
occhi, lasciando la mente libera da tutto e da tutti.
Trascorsi un tempo
indefinito sotto la doccia, minuti o forse ore… ma non
m’importava.
***
In
salotto trovai
Charlie spaparanzato sulla poltrona, intento a guardare la televisione.
Il mio
occhio cadde sull’orologio appeso alla parete: erano le sette.
Non appena sentì i
miei passi strascicati si voltò di scatto, rimase a fissarmi
per un tempo
indefinito, dopodichè si decise a parlare.
«Be-. Ehm Isabella»,
si corresse subito. «Se hai fame ci dovrebbe
essere qualcosa nel frigorifero,
ci saranno poche cose perché come ben sai io sono un
disastro a cucinare».
Sorrise, cercando di alleggerire la tensione.
«Però domani potrei andare a fare
la spesa, così potrai mangiare qualcosa di
commestibile».
«Ok. Tanto non ho
fame», risposi con voce neutra.
«Dovresti mangiare
qualcosa, sai mi sono dimenticato di dirtelo ma domani sarà
il tuo primo giorno
di scuola a Forks e devi essere in forza…»,
cominciò.
«Domani?», domandai
leggermente stizzita.
«Sì, domani», rispose in un sussurro.
Feci per ribattere,
ma mi morsi la lingua, non era il caso di peggiorare la situazione, che
era già
schifoso di suo.
«Ok», sospirai. «A
che ora iniziano le lezioni?», chiesi, per niente interessata.
«Alle 8. Ma non
andrai a piedi», accennò un sorriso. «Ti
ho comprato una macchina, un Pick-Up
di seconda mano, dalla riserva dei Quileute. Non sarà nuovo,
ma è perfettamente
funzionante», disse fiero.
«Non ce n’era
bisogno», risposi con noncuranza.
«Sì che ce n’è
bisogno. Voglio che tu ti trova bene qui, come se fossi… a
casa tua», disse in
un sussurro.
«Casa mia, come se
fosse possibile», sorrisi amaramente. Casa mia era a Phoenix
e
sempre lo sarebbe
stata.
Lo vidi grattarsi
il capo imbarazzato e abbassare lo sguardo.
«Ma lo farò, tanto
cos’altro ho da perdere… Charlie?»,
domandai retoricamente.
Aprì la bocca per
rispondere, ma poi la richiuse, incapace di dire altro.
«Io vado a letto,
dopo tutto domani mi aspetta una giornata ricca di sorprese»,
dissi sorridendo
forzatamente e ciò a lui non sfuggì.
Non aspettai una
sua risposta, gli voltai le spalle e a passo lento mi diressi
nuovamente in
camera mia.
Mi
avvicinai alla
tenda e la spostai leggermente, così da poter guardare fuori
dalla finestra; mi
appoggiai di spalle al muro e osservai il cielo… non vi
erano stelle, erano
coperte da nubi. Cominciò a piovere; chiusi gli occhi e tesi
una mano, così da
poter sentire le gocce solleticarmi le dita, in una dolce carezza.
Aprii gli
occhi; il cielo era scuro, un po’ rispecchiava il mio umore.
Un sorriso triste
si dipinse sul mio volto, ma scossi leggermente la testa, come a voler
scacciare i brutti pensieri.
Decisi di dormire,
il giorno seguente mi aspettava una lunga giornata.
Mi sdraiai e mi
accoccolai sotto il piumone, stringendo le braccia al petto in cerca di
conforto. Chiusi gli occhi, liberando la mente, ma presto scoprii che
neanche
il sonno mi dava pace; perché, ogni singola volta che
chiudevo gli occhi, la
stessa scena si ripeteva nella mia mente come un disco rotto, come se
io fossi
lì a riviverla.
Di una cosa ero
sicura, ovvero che il destino era stato ingiusto e aveva portato via
due delle
persone più importanti della mia vita, lasciando il vuoto
dentro me.
Sarei
mai riuscita a superarlo?
Ehm... eccoci alla fine. Spero di
non aver fatto addormentare nessuno, in tal caso mi scuso
profondamente, non era mia intenzione O_______O
Grazie a chi
è stato così coraggioso da leggere e arrivare
fino alla fine. Grazie!
Alla prossima
;)
Spero qualcuno recensisca :D
un bacione
Elly
|
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Capitolo 2 *** Una giornata da dimenticare. ***
Ciao
a tutti!
Come state? Spero bene!
Oh Santa Maria Maddalena Del Santo 11 commenti O__________O
non me lo aspettavo proprio! Oddio, grazie, grazie,
grazie!
Non so davvero come ringraziarvi, siete dolcissimi!
Sotto le risposte alle recensioni :)
Ricordo che io posto una volta a settimana, quindi ogni
martedì circa.
Ora la smetto di blaterare, perchè se inizio non finisco
più :P
Che altro dire... Buona Lettura!
Vorrei
dedicare questo capitolo a una persona davvero importante per me:
Lau_twilight.
E' una ragazza fantastica, dolce e solare sempre pronta ad aiutarti e
consigliarti.
E' più di un anno che la conosco e non posso fare a meno che
adorarla sempre di più. Anche se siamo lontane mi
è sempre stata accanto nei miei momenti "no".
Quando sono depressa - anche se inconsapevolmente - riesce sempre a
farmi sorridere. E' sempre stata presente e non ha idea di che ragazza
fantastica sia.
E per questo voglio dedicarle questo capitolo. Grazie tesoro, per
tutto. Per le risate, i momenti pazzi e per le lunghe chattate su msn.
Ti Voglio Un Mondo Di Bene.
Tua Elly
2.
Una giornata da dimenticare.
Pov
Bella
Il
tempo passava
lentamente; i deboli raggi rischiararono la stanza, andando poi a
solleticarmi
il viso. Istintivamente strinsi più forte le palpebre,
l’ultima cosa che in
quel momento desideravo fare era alzarmi dal letto.
Sentii la porta
della camera aprirsi, segno che Charlie voleva assicurarsi che fossi
sveglia e
pronta per il fatidico giorno di scuola… ridicolo.
Un sospiro sfuggì
dalle mie labbra e – seppur di malavoglia – mi
sforzai ad aprire gli occhi, che
andai subito a coprire con il lenzuolo, a causa della luce accecante
proveniente dalla lampada accanto al letto.
Ma che…?
«Io vado al lavoro,
hanno bisogno di me», disse ironicamente.
Non mi mossi dalla
mia posizione, rimasi col viso nascosto sotto le coperte.
«Per colazione
dovrebbe esserci qualcosa nel frigorifero, ma prometto che questo
pomeriggio
vado a fare la spesa», continuò dolcemente,
attendendo – forse – una mia
risposta, che però non arrivò. Mi limitai ad annuire leggermente, senza
guardarlo.
«Okay», sospirò. «Spero che ti
diverta oggi a scuola e che passi una bella giornata con i
ragazzi
della tua età. Vedrai ti divertirai…»,
iniziò ma non lo feci finire; con uno
scatto repentino mi liberai dalle coperte, mettendomi a sedere.
«No», risposi
semplicemente.
«No?», domandò
confuso alzando un sopracciglio.
«Non passerò una
bella giornata, né mi divertirò. Lo sai anche tu
che è così», spiegai, come se
fosse la cosa più ovvia al mondo.
«Bella…», mormorò,
avanzando con passo incerto.
«Isabella», sibilai
flebilmente, stringendo le mani a pugno.
«Isabella», calcò
bene il nome. «So quello hai passato e ti capisco,
ma…», la sua voce uscì
apparentemente decisa.
«No, tu non sai
cosa ho passato. Tu non sai niente!», urlai, al limite della
sopportazione.
«Basta», disse con
voce autoritaria. «Posso capire che quello che è
successo ti abbia sconvolto,
perché anch’io lo sono. Ma questo non ti da
assolutamente il diritto di
scaricare tutta la tua rabbia e angoscia su di me, perché
questo è sbagliato e
sono pur sempre tuo padre, anche se tu pensi il contrario.
Perciò almeno esigo
il tuo rispetto», rispose guardandomi dritto negli occhi.
Aprii
la bocca, ma dalle mie labbra non uscì alcun suono.
Sospirò addolcendo
lo sguardo, notando il mio cambio d’espressione.
«So che stai
soffrendo, volevi loro molto bene. Ma non puoi vivere così
per sempre, la vita
va avanti», disse, ma prontamente lo bloccai.
«Come puoi dire
questo? Come puoi?», urlai, furiosa. «Tu non eri
lì in auto. Io ero lì e non sai
minimamente quello che provo a sapere che io sono viva e loro
no. Tu non capisci e mai capirai. E odio stare qui», dissi
con
rabbia; dopodichè gli voltai le spalle e corsi fuori da
quella maledetta
camera, chiudendomi in bagno.
Mi appoggiai alla
porta e cercai di respirare regolarmente. Mi voltai verso lo specchio e
ciò che
vidi mi fece sobbalzare: una ragazza dai lunghi capelli castani
spettinati,
viso pallido e… occhi castani, marcati da profonde occhiaie.
Chiusi gli occhi,
incapace di guardare ancora. Stentai io stessa a riconoscermi, non vi
era
niente di me in quella ragazza riflessa nello specchio.
Velocemente mi
sciacquai il viso e mi pettinai alla ben e meglio, dopodichè
uscii da quel
maledetto bagno e mi diressi in camera, indossando le prime cose che mi
capitarono a tiro.
A
passo veloce
scesi in salotto e presi le chiavi dell’auto; mi guardai
intorno e vidi Charlie
appoggiato al muro accanto alla porta. Non mi preoccupai nemmeno di
fare
colazione, abbassai il capo e senza degnarlo di uno sguardo uscii
finalmente
all’aria aperta.
Subito il leggero
venticello prese a giocare con i miei capelli, scompigliandoli
dolcemente. Non
ci feci caso e guardai nel parcheggio, in cerca del Pick-up. Quello che
vidi mi
lasciò a bocca aperta, quello che avevo davanti era tutto
tranne che un auto:
un cheavy rosso, forse degli anno ’80. Sbuffai infastidita e
salii in quel rottame, partendo alla
velocità
massima: 80 km/h, tutto ciò che permetteva quel catorcio.
Accesi la radio –
mi stupii che funzionasse – il cui suono
riecheggiò nell’abitacolo,
interrompendo quella monotonia improvvisa e placando in parte la mia
ansia.
Guidai per ben
dieci minuti, fino a quando non vidi il cartello: Forks
High School, mi fermai per miracolo, visto che ciò
che avevo
davanti mi parve tutto fuorché una scuola.
***
Vagavo per i
corridoi, in cerca della segreteria. Camminavo a capo chino, sentivo
tutti gli
occhi puntati su di me, sicuramente ero la nuova scoperta. Odiavo
essere al
centro dell’attenzione, così aumentai il passo,
trovando
finalmente la
segreteria.
Mi affacciai alla
porta e, vedendo che non vi era nessuno all’interno entrai,
trovandomi così
faccia a faccia con la segretaria.
«Salve», salutai,
cercando di essere cordiale. « Io sono Isabella
Swan», mi presentai,
consegnandole poi i moduli d’iscrizione.
«Oh… la nuova. Io
sono la segretaria di questa scuola, questo è il suo orario
settimanale. Se ha
bisogno di informazioni sarò lieta di aiutarla»,
rispose cordialmente.
«Bene», presi i
fogli che mi porse e feci per andarmene, ma il suono della sua voce mi
costrinse a fermarmi.
«Benvenuta alla
Forks High School, signorina Swan. Spero che si trovi bene nella nostra
Scuola», sorrise gentilmente.
«Grazie. Ci
proverò», risposi sorridendo, un sorriso falso, ma
lei sembrò crederci.
Gettai una veloce
occhiata all’orario e quello che vidi mi
sconcertò: due ore di trigonometria.
Sgranai gli occhi scioccata, bene… la giornata era iniziata
davvero nel
migliore dei modi. Sbuffai seccata e m’incamminai, in cerca
dell’aula numero
tre.
Gironzolai e dopo
svariati minuti finalmente
riuscii a
trovare l’aula; sbuffai scocciata e feci un respiro profondo,
per infondermi
calma e – dopo un attimo di esitazione – mi decisi
a entrare.
I banchi erano
disposti in modo sparso, per metà occupati da ragazzi e
ragazze che non appena
feci il mio ingresso mi squadrarono da capo a piedi.
M’immobilizzai davanti alla
porta; molte ragazze iniziarono a bisbigliare nell’orecchio
dell’amica e a
ridere, mentre altre presero a fissarmi con aria schifata…
non ne compresi il
motivo.
Sospirai,
sistemandomi lo zaino in spalla e m’incamminai tra le file di
banchi, cercando
di ignorare il vociare che si era momentaneamente creato e le occhiate
languide
che mi lanciavano alcuni ragazzi.
Nervosa presi a
torturarmi il labbro inferiore e decisi di prendere posto in fondo
all’aula,
dove nessuno poteva vedermi.
Tirai fuori un
quaderno a caso e presi a scarabocchiare sulla copertina tanto per fare
qualcosa,
ma presto mi dovetti fermare perché sentii la sedia accanto
alla mia spostarsi
e la voce del professore intimare silenzio.
Volsi leggermente
il capo, curiosa di vedere chi sarebbe stato il mio compagno di banco
per il
resto dei miei giorni. Vi era una ragazza, dai lunghi capelli castani,
leggermente mossi; gli occhi castani, che in quel momento mi
osservavano
guardinghi, in cerca di chissà cosa.
Feci per
distogliere lo sguardo, ma la sua voce squillante non me lo permise.
«Ciao, devi essere
quella nuova. Io sono Jessica Stanley, piacere di
conoscerti»,
si presentò
sorridendo, porgendomi la mano. Un sorriso che non mi piacque per
niente.
«Isabella Swan»,
risposi semplicemente, riportando poi l’attenzione sul
professore.
«Che caratteraccio,
è peggio di quanto pensassi», la sentii borbottare
infastidita.
Serrai le labbra e
m’imposi di restare calma, anche perché se solo
avessi aperto bocca l’avrei
riempita d’insulti, quindi meglio evitare.
Iniziai nuovamente
a fare degli scarabocchi sul quaderno, in un vano tentativo contro la
noia, ma
con scarsi risultati. Il mio cervello si staccò dal resto
del corpo, così come
la mia mente.
Chiusi gli occhi, ripensando alla mia amata Phoenix… avevo
sempre
amato sdraiarmi al sole e lasciare che i raggi mi scaldassero il viso;
amavo
camminare sulla spiaggia e andare in riva al mare, beandomi del
rilassante
odore di salsedine che impregnava l’aria e…
adoravo trascorrere i miei giorni
con loro, ma questo purtroppo non
sarebbe più stato possibile.
«Signorina Swan, le
dispiacerebbe tornare tra noi?», la voce del professore mi
fece sobbalzare e
aprii gli occhi di scatto, risvegliandomi dallo stato di
semi-incoscienza in
cui ero caduta.
«Mi scusi
professore, io…», tentai di giustificarmi, ma non
me ne diede il tempo.
«Signorina Swan, capisco
che lei è nuova alla Forks High School, ma questo non le da
il diritto di
dormire durante le mie ore. Non so come era abituata a Phoenix, ma
dovrà
abituarsi, qui non ci sono favoritismi», concluse il
discorso,
senza smettere di
guardarmi.
Calma, calma, calma… la mia mente continuava a
ripetermi questa
frase incessantemente, ma l’improvviso brusio che si era
creato e alcuni frasi
poco adeguate non mi aiutarono nel mio intento.
Lasciai cadere –
non molto delicatamente – il quaderno a terra e mi alzai in
piedi con uno
scatto repentino.
«Cosa sta facendo
signorina Swan?», domandò il professore alzando un
sopracciglio.
«Mi sembra ovvio,
me ne vado», risposi tranquillamente, dopodichè mi
sistemai lo zaino in spalla e
presi la giacca.
«Dove crede di
andare? Torni qui, non può andarsene nel bel mezzo della
lezione!», urlò,
paonazzo in volto.
«No. Preferisco
andarmene, che subirmi le sue urla», risposi. Non gli diedi
nemmeno il tempo di
parlare, che con passo deciso uscii, andandomene da quella fottuta aula.
Non
seppi quante
ore erano trascorse, ma di una cosa ero certa: avevo completamente
perso la
cognizione del tempo. Da quando me n’ero andata dalla lezione
di trigonometria
non avevo fatto altro che girovagare per i corridoi, per oggi ne avevo
abbastanza… basta lezioni.
Avevo bisogno di
tirarmi un po’ su, cosa c’era di meglio di un buon
caffè?
Andai alla
macchinetta e mi presi un caffè, ne bevvi un sorso ma me ne
pentii all’istante,
dato che mi bruciai la lingua. Imprecai a bassa voce e guardando il
pavimento svoltai
l’angolo, ma quello fu un errore, perché inciampai
nei miei stessi piedi e
dovetti aggrapparmi all’armadietto per evitare il contatto
con il suolo. Il
bicchiere contenente il caffè mi scivolò dalle
mani, finendo rovinosamente a
terra.
«Cazzo! Brucia,
brucia!», urlò una voce, facendomi sobbalzare. Mi
voltai e quello che vidi mi
fece pietrificare: il caffè non solo era caduto a terra, ma
era finito addosso
a un ragazzo.
Dopo un attimo di
esitazione mi precipitai da lui, in preda al panico.
«Oddio scusami, non
volevo», borbottai, in ansia.
Il ragazzo
continuava a imprecare fra sé e sé; cercando in
qualche modo di alleviare il
dolore dovuto alla bruciatura.
«Mi dispiace, sono
inciampata. Giuro che non ti ho visto, sono davvero
mortificata», cominciai a
blaterare cose senza senso, parlando a raffica.
Non sapevo come
aiutarlo, così feci la prima cosa che mi venne in mente:
presi un tovagliolo e
cominciai a tamponarglielo sulla maglietta. Intenta a cercare di
rimediare il
danno non mi resi nemmeno conto dove stavo mettendo le mani, avevo ben
altro a
cui pensare.
Sentii una presa
delicata intorno ai miei polsi, tanto che fui costretta ad alzare lo
sguardo;
solo in quel momento lo guardai per
davvero e ciò che vidi mi fece perdere l’uso della
parola.
Dire che era bellissimo
era un insulto, era di una bellezza disarmante. I capelli bronzei
leggermente
disordinati, con un ciuffo ribelle che gli ricadeva sulla fronte;
indossava una
camicia bianca, i primi tre bottoni erano slacciati e ciò mi
permise di
intravedere il suo fisico perfetto… ma ciò che mi
colpì maggiormente furono i
suoi occhi, i più belli che avessi mai visto. Avrei voluto che il tempo si
fermasse, per annegare
in quegli occhi verde smeraldo, capaci di penetrarmi l’anima.
«Scusa, ma...», la
sua voce soave mi fece rinsavire, riportandomi alla realtà.
Lo guardai confusa,
inclinando leggermente la testa di lato.
«Non so se te ne
sei accorta, ma vorrei farti notare dove mi stai pulendo. Non che la
cosa mi
dispiaccia, ma forse è meglio farlo privatamente e non qui
davanti a tutti», mi
comunicò, sorridendo sornione.
Abbassai
leggermente lo sguardo e solo ora mi accorsi dove stavo mettendo le
mani: sui
suoi pantaloni. Cominciai a dire parole senza senso e le mie guance
presero
fuoco, dio che imbarazzo. Ma non
appena mi resi conto di quello che aveva detto mi ripresi
immediatamente. Ma
come cazzo si permetteva?
Mi accorsi che le
sue mani erano ancora intorno ai miei polsi, in una presa delicata; mi
tirai
indietro, liberandomi così dalla sua stretta e cercai di
ricompormi.
«Scusa ancora, la
prossima volta starò più attenta»,
dissi
con voce impassibile, mentre i suoi
occhi presero a scrutarmi attentamente.
«Va meglio?»,
domandai, guardandolo di sottecchi.
«Dopo un’ustione
che non scorderò facilmente… Sì posso
dire che va tutto bene», rispose scettico
alzando un sopracciglio.
«Bene», dissi
annuendo; dopodichè gli voltai le spalle e feci per
andarmene, ma sentii un
braccio avvolgersi intorno alla mia vita, la mia schiena
andò così a scontrarsi
con un petto a me sconosciuto.
«Te ne vai così,
senza nemmeno salutarmi? Dopo tutto quello che è successo me
lo devi», alitò nel
mio orecchio. Era talmente vicino che potei sentire il suo respiro
fresco
solleticarmi il viso, dandomi le vertigini, ma cercai di ignorare
questa
reazione a me sconosciuta.
«Sì ed è meglio se
mi lasci andare, altrimenti altro che caffè. Ti
arriverà casualmente un calcio
in un punto molto delicato e ti avverto… fa molto
male», mormorai girando di
poco il capo, incontrando così il suo viso, non molto
distante dal mio.
«Non vedo l’ora che
questo accada», sul suo volto si dipinse un sorriso
smagliante, ma irritante
allo stesso tempo.
Poco delicatamente
mi liberai dalla sua stretta e furiosa mi voltai verso di lui; sul suo
viso vi
era sempre quel sorriso soddisfatto, che non fece altro che
innervosirmi.
Presi lo zaino che
durante l’impatto era caduto e me lo misi in spalla,
incamminandomi.
«Spero davvero di
rincontrarti», disse lui, nella sua voce l’ombra di
un sorriso.
Strinsi i pugni per
evitare di assalirlo e senza voltarmi aumentai il passo, recandomi
così fuori
da scuola.
Idiota,
idiota, idiota!
La mia mente
continuava a ripetere questa frase come un disco rotto, senza mai
smettere. Ma
era la verità: quel ragazzo era un perfetto idiota!
Sperai con tutta me
stessa che non fosse della scuola, così da non rivederlo mai
più.
Salii sul Pick-up e
mi recai a casa, dopo una lunga giornata estremamente stressante avevo
bisogno
di un po’ di relax; parcheggiai nel vialetto ed entrai,
sbattendo la porta.
Non annunciai
nemmeno il mio arrivo, tanto ero sicura di essere sola in casa; lanciai
lo
zaino in un angolo e mi lasciai cadere sul divano.
Presi l’mp4 e una
volta messe le cuffie alzai la musica a palla.
Chiusi gli occhi e
appoggiai la testa allo schienale, imponendomi di non pensare a nulla;
ma il
viso di quel ragazzo si fece largo nella mia mente, scombussolandomi.
Oggi nessuno prima
di lui si era preoccupato di
parlarmi, nessuno. Per loro non ero altro che un giocattolino da
scoprire… la nuova.
Un sorriso amaro si
dipinse sul mio viso. Erano in momenti come quelli che sentivo
nostalgia. Nostalgia
dei bei momenti passati, nostalgia
della mia vecchia vita, nostalgia delle persone a me più
care e che purtroppo
non m sarebbero più state accanto. E in quel momento non
potei fare a
meno di pensare a una cosa, ovvero che anch'io sentivo il bisogno di
essere compresa e di avere qualcono accanto che mi amasse per
ciò che
ero. Ma di una cosa ero
certa: io non sarei più stata la Bella di un tempo... mai
più.
_Risposte alle recensioni_
Rodney: ciao!
Grazie mille, sono
davvero felice che lo scorso capitolo ti sia piaciuto.
Era diciamo un
capitolo introduttivo, per far capire cosa ha passato Bella, ma
soprattutto il suo cambiamento.
Sono felice tu
abbia apprezzato, grazie ancora! Spero che anche
questo capitolo ti piaccia! :)
Un bacione!
lenacullen: ciaooo! Grazie mille per
tutto!
Sono felicissima
che il capitolo ti sia piaciuto, grazie davvero. E sono felice ti
piaccia il mio modo di scrivere *me felice, grazie*.
Spero che anche
questo ti piaccia! Un bacione!
Shasha5: ciaooo tesoro miooooo! Oddio
che bello averti anche qui! *-*
Tu non sai come sono
felice nel sapere che il prologo e il capitolo ti sono piaciuti! Grazie, grazie,
grazie!
Oddio, grazie per
tutti i complimenti che mi fai (e che non merito). Grazie, grazie,
grazie sei troppo gentile e così dolce con me *me
piange* ç_ç
e per la dedica...
tesoro per te questo e altro! Lo sai che ti adoro troppo, sei
unica tesora davvero <3
Ahahahah,
sì Edward nel prologo è così puccioso
ma - come tu puoi ben vedere - all'inizio è tutto tranne che
puccioso xD
Maaa...
c'è sempre un ma. Non vengo a dirtelo però...
surpriseee :P
*Me meglio che scappa
perchè Sha munita di piccone*. Ma se mi uccidi chi
continua la storia?! *me faccia d'angelo*
Ps: non volevo farti
piangere :D Mea culpa. Spero che anche
questo capitolo ti sia piaciuto! Grazie di nuovo tesora, i tuoi
commenti sono importantissimi per me *-*
Ti adoro
troppoooooooooo <3 Un bacione grande!
gamolina:
ciao! Ti
è piaciuto? *-* Grazieeee, ne sono
felicissima! *-*
Grazie di cuore
*-*
Ecco
qua il nuovo
capitolo! Spero ti piaccia :)
Un bacione!
elena274:
ciao! Grazie mille.
sono davvero contentissima che il capitolo ti sia piaciuto!
Grazie! Davvero ti
piace il mio stile? O______O
Oddio grazie, non
sai come mi fa piacere O_______O *me commossa*
Grazie per la
recensione, spero che anche questo capitolo ti piaccia! :)
Un bacione!
Rebussiii: Ciaoo!!! Sono
contenta che la storia ti abbia attratto! Ancora siamo
all’inizio ma spero che continuerai a seguirla!
Per quanto riguarda
Charlie, Bella non è che lo odia ma mettiti nei suoi
panni... ha perso
la madre e Phil, le persone con cui ha vissuto fino a poco tempo
prima...
E quindi per non mostrarsi debole tende a nascondersi dietro
una maschera perché vuole dimostrasi forte e nascondere la
sua
fragilità...
Ma ne soffre di più... Charlie è in una
situazione
particolare, ma andando avanti scopriremo gli sviluppi di questo
rapporto! Stai tranquilla :D Grazie per la recensione!
Spero che il
nuovo capitolo ti piaccia! Un bacio! Alla prossima ^^
Lau_twilight:
tesorooooooooo! Oddio io non ho parole O______O
Cioè non so che dire *me commossa*
ç_ç grazie,
grazie, grazie! Tu non hai idea di quanto io sia felice di aver visto
la tua recensione ç_ç poi tutti questi
complimenti (che non merito), grazieee
ç_ç il tuo parere è davvero
importante per me, davvero tanto. E sapere che il capitolo ti sia
piaciuto - e anche l'idea della trama -
mi fa un piacere enorme, che neanche immagini. Sei un angelo,
per tutte le volte che mi sopporti, ma specialmente
perchè leggi questa pazzia, apprezzandola persino. Ho voluto
provare a scrivere qualcosa d'intenso, di romantico, qualcosa
capace di penetrare l'anima.
Ci ho messo parte di me stessa in questa storia e ho cercato di far
capire le emozioni che prova Bella, ma soprattutto la sua sofferenza. E
anche di far capire quanto io ami scrivere questa storia.
So di non esserci riuscita pienamente, ma spero almeno di averlo fatto
in parte :)
Oddio grazie *me piange* sono così felice di
sapere che ti piace il mio modo di scrivere (e tu sai che a me non
piace u.ù) e che lo apprezzi. Grazie *-*
Comunque, mmm io attentatrice? Ahahah come hai fatto a capirlo? Ti
farò attentare a ogni capitolo, seppur in modo diverso...
quindi attenta :P
Sì questo Edward ti strabilierà sempre di
più, quindi attenzione :P
Grazie mille tesora, per tutto... sei un angelo! Spero che anche questo
capitolo ti sia piaciuto. Ti Voglio Troppo Bene Tesò!
<3
Un bacione!
Ps: visto ti ho avvisata del capitolo :P quindi
giù le armi - così brava - caspita
l'altra volta mi hai fatto paura O____O
vanderbit: ciao! Grazie sono
felicissima che ti piaccia, spero anche che questo capitolo sia di tuo
gradimento ;)
un bacione!
alexia_18:
Ciao!
Sono contenta che hai trovato il capitolo interessante! Bella ha un
passato particolare ed è da capire...
Il suo atteggiamento
nei
confronti di Charlie può essere cattivo, ma lei cerca di
mascherare il
suo dolore dimostrandosi forte davanti agli altri e quindi anche di
fronte a suo padre.
Ha creato una
maschera che non sarà difficile da
togliere... Charlie ovviamente è un uomo, è
logico che un po’ ci
rimanga male ma vedrai successivamente cosa succederà...
Ancora siamo
all’inizio e tutto può accadere!! Ti ringrazio per
i complimenti e per
la recensione!!! Spero che anche questo cappy ti piaccia! Un bacio alla
prossima ^^
Luna Viola: ciao! Sono davvero felice
che il capitolo ti sia piaciuto e che tu l'abbia trovato interessante.
Ahahah, felice di
averti distratta la volta scorsa dai compiti di matematica ;)
Grazie mille,
davvero. Spero che anche questo capitolo ti piaccia. Un bacione!
Ringrazio di cuore chi ha
inserita tra i seguiti (37 *.*)
chi tra i preferiti ( 8 *.*)
e chi tra autori preferiti (3 *.*)
e ai lettori silenziosi.
Grazie a tutti voi che leggete la
mia storia.
Vi adoro!
Un bacione Elly
|
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Capitolo 3 *** A volte, anche una semplice parola, è in grado di ferire. ***
Ciaoooo
a tutti!! Come state? Spero bene! :)
Eccomi qui con il nuovo capitolo, puntuale come sempre xD
Allora in questo capitolo si vedrà in parte come
sarà il carattere di Edward, ma voglio precisare una cosa:
lui NON è un donnaiolo.
E' un ragazzo a cui piace divertirsi con gli amici, andare in discoteca
la sera, ma non è quel tipo da una botta e via.
Qui non si capirà molto quello che pensa, ma nel prossimo
sì, perchè il quinto capitolo sarà
appunto un pov Edward :)
Molti mi hanno chiesto cosa ha Bella contro di Charlie, beh uno dei
motivi principali è perchè è tre anni
che non lo vede e che non si fa sentire, questo l'avevo spiegato in
breve nel primo capitolo.
Ma successivamente sarà spiegato meglio. Bella ce l'ha con
se stessa prima di tutto, da a sè la colpa per la morte di
Renée e Phil e finchè non riuscirà a
mettersi in pace con se stessa le cose non cambieranno.
Ho voluto fare Bella come una ragazza forte apparentemente
(perchè così è) ma ci sono dei momenti
in qui la sua fragilità viene a galla, però
riesce a nasconderla.
All'inizio Bella può apparire egoista, perchè
pensa solo alla sua sofferenza e non a quella di chi le sta intorno
(tipo a quella di Charlie), ma il suo dolore è davvero forte.
Ma prima o poi capirà che facendo così sbaglia,
perchè in primo piano fa del male a se stessa.
Qua si vedrà anche in parte la fragilità di
Bella, perchè lei in realtà è una
ragazza dolce, piena di vita. Deve solo ritrovare se stessa.
Ora vi lascio e la smetto di blaterare, perchè se inizio non
smetto più :P Vi acconsento di tirarmi
qualsiasi cosa se blatero troppo :D
Buona lettura!
3. A
volte, anche una semplice
parola, è in grado di ferire.
Pov
Bella
“One,
twenty-one guns
Lay down your arms
Give up the fight
One, twenty-one guns
Throw up your arms into the sky,
You and I…”
Le
note di 21 Guns dei Green Day si
diffusero
nell’abitacolo, facendomi perdere per un istante la
cognizione del tempo; era
sempre stato così per me.
Amavo la musica,
era unadelle
cose più importanti della mia vita, mi
rilassava e mi faceva
sentire… me stessa. Ogni
volta che ero
stressata mi sdraiavo sul letto, con le cuffie dell’mp4 alle
orecchie e mi
isolavo da tutto e da tutti, trascorrendo del tempo in santa pace,
senza
pensare a niente. La sera, prima di andare a dormire io e mia madre ci
riunivamo in salotto, con lo stereo acceso e il volume al massimo,
ascoltando
canzoni su canzoni e spesso mi mettevo a ballare a ritmo di musica, con
Renée
che mi osservava adorante. Lei era speciale, con le sue fattezze di
bambina
troppo cresciuta; le piaceva trascorrere del tempo con me divertendosi,
sotto
lo sguardo scioccato di Phil che non faceva altro che ripetere col
sorriso
sulle labbra: tale madre,
tale figlia.
Quelli erano i
momenti che preferivo, nessun problema, nessuna
preoccupazione… niente di
niente. C’eravamo
solo io, loro e la mia voglia di
divertirmi.
Ero
così persa nei
miei pensieri, tanto da non rendermi conto che la canzone era finita,
dando
posto a un’altra dolce melodia, cha avrei riconosciuto anche
a chilometri di
distanza: Claire de Lune.
Chiusi gli occhi,
lasciandomi andare sul sedile. La mia mente fu invasa da
ricordi… bei ricordi,
ma allo stesso tempo dolorosi.
[Inizio
Flashback]
“«Mamma,
c’è Claire de Lune
alla radio! Ti prego, ti prego alza il volume», la implorai,
sporgendo di poco
il labbro inferiore.
Sapevo che questo sarebbe bastato per farla
cedere, non
sapeva dire di no a quell’ espressione.
«Ve bene, ma poi subito a
letto», mi ammonì, guardandomi severamente.
«Sì, te lo prometto», risposi,
saltellando felice per casa.
«D’accordo, vieni», sorrise e
una volta che mi ebbe presa in braccio si sedette sul divano, iniziando
a cullarmi
dolcemente”.
[Fine
Flashback]
A quel
ricordo un
sorriso involontario si dipinse sul mio viso; al tempo avevo solo
undici anni,
ma già sapevo come soggiogare mia madre. Per lei dirmi di no
era una tortura,
era una madre fantastica. Già… era.
Scossi leggermente
la testa e con uno scatto repentino spensi la radio. Ero masochista - tanto da perdermi in vecchi
ricordi
dolorosi – ma non fino a quel punto, se solo avessi
continuato a sentire quella canzone
sarei scoppiata.
Volsi lo sguardo
fuori dal finestrino e notai che aveva iniziato a piovere…
di nuovo.
Sul
vetro, cadevano continuamente piccole gocce di pioggia. Erano talmente
tante
che riuscivano a creare, nel loro infrangersi, un piacevole rumore di
sottofondo.
L’improvviso
suono della campanella mi fece sobbalzare e solo ora mi ricordai di
essere a
scuola. Guardai l’orologio: le otto.
Cazzo, cazzo, cazzo! Ero in ritardo.
Presi
lo zaino e uscii velocemente dall’auto, correndo dentro.
***
«Salve
signorina Swan, le sembra l’orario di arrivare?», mi
riprese il professore non
appena entrai di corsa in aula. Avevo trascorso una buona
mezz’ora in giro per
i corridoi, in cerca di quella maledetta aula e finalmente
l’avevo trovata,
precisamente alle 8.30. Fantastico.
«Mi
scusi professore», risposi, mordendomi la lingua per impedirmi
di rispondere, mi
ero già cacciata abbastanza nei guai il giorno precedente,
quando abbandonai la
lezione su due piedi… quindi meglio evitare.
«Che
non si ripeta più. E ora può
accomodarsi», disse indicandomi un banco in fondo
all’aula, l’unico posto libero.
Annuii
impercettibilmente, a capo chino passai tra la fila di banchi e
– ignorando il
brusio che si era creato – mi accomodai nel posto da lui
indicato. Lasciai
cadere lo zaino per terra e una volta preso il quaderno affondai il
viso tra le
braccia, totalmente esausta.
«Finalmente
ci rincontriamo», mi sussurrò
nell’orecchio una voce, facendomi sobbalzare.
No,
no, no. Non poteva essere
che…
Alzai
la testa di scatto, scontrandomi così con due splendidi
occhi verdi. La
sensazione che provai mi colse alla sprovvista: sentii le gambe
cedermi, tanto
che ringraziai il cielo di essere seduta, altrimenti non osai
immaginare che
sarebbe successo.
«Ancora
una volta la mia bellezza ti ha fatto perdere l’uso della
parola?», domandò,
sorridendo sghembo. Un sorriso strano, speciale… ma in grado
di far aumentare i
battiti del mio cuore.
Scossi
la testa, ritornando alla realtà. Che
diavolo ci faceva lui qui?!
«Che
cosa ci fai tu qui?», chiesi irritata, scandendo le parole una
ad una, come se
stessi parlando con un ritardato mentale.
«Vedo
che sei felice di vedermi», rispose sarcastico, alzando un
sopracciglio.
«Sì,
come se avessi un palo nel culo», sbottai, incrociando le
braccia al petto.
«Non
abbiamo avuto modo di presentarci ieri…»,
cominciò, ma prontamente lo bloccai.
«Grazie
a Dio», bofonchiai, guardandolo di sottecchi.
«Se
mi avessi fatto finire di parlare», mi ammonì,
arricciando le labbra, «mi sarei
presentato».
Come
se la cosa m’importasse,
pensai sarcastica.
«Io
sono Edward Cullen», disse, porgendomi la mano, e sul suo viso
si dipinse un
sorriso irritante. Molto irritante.
Per
un minuto interminabile fissai in silenzio la sua mano tesa verso di
me, ma mi
riscossi, imponendomi di parlare.
«Bene,
piacere Edward», dissi, con voce indifferente.
«Sai,
a questo punto tutte le persone normali si
presenterebbero…», mi comunicò,
alzando gli occhi al cielo.
«E
perché dovrei? Dopotutto dovresti già sapere il
mio nome. In una piccola
cittadina come Forks, le voci girano in fretta», risposi e
finalmente lo guardai.
I suoi occhi mi scrutarono attentamente, in cerca di chissà
cosa. Spostai lo
sguardo, fingendomi infastidita e riportai la mia attenzione sul
professore.
«No,
non so il tuo nome. E mi farebbe molto piacere se tu me lo
dicessi», alitò, a
pochi centimetri dal mio orecchio.
Rabbrividii
impercettibilmente, ma cercai di non darlo a vedere.
«Sei
molto… interessante. Mi fa piacere che ti sia trasferita
qui», mormorò con voce
suadente. Se fossi
stata in un'altra
situazione molto probabilmente sarei arrossita, ma non fu
così.
Mi
fa piacere che ti sia
trasferita qui.
Quella
frase continuava a ripetersi incessantemente nella mia mente.
«Già.
Ma lo stesso non vale per me», mormorai più a me
stessa che a lui, e le mie
labbra s’incurvarono in un sorriso amaro. Ma purtroppo mi
sentì e si voltò a
guardarmi, incuriosito, inclinando leggermente il capo.
Scossi
la testa come negazione e rivolsi la mia totale attenzione al
professore.
Non
pensare Bella, non
pensare.
Com’era
possibile che una semplice parola fosse in grado di distruggermi, una
semplice
e schifosissima parola.
Io…
dovevo essere forte, me lo ero ripromessa. Nessuna parola avrebbe
dovuto
ferirmi. E allora perché non era così?
Passai
le due ore di lezione persa nei miei pensieri, fissando un punto
indefinito di
fronte a me. Di tanto in tanto osservavo Edward di sottecchi e notai
che mi
fissava incessantemente, con sguardo curioso.
Il
suono della campanella annunciò la fine dell’ora.
Balzai in piedi e una volta
preso lo zaino uscii di corsa dall’aula, per andare lontano.
La
domanda che continuavo a pormi era: lontano
da cosa?
Ma
la verità era che nemmeno io sapevo la risposta e forse non
l’avrei mai saputa.
Come
un automa mi diressi a mensa, l’unica cosa che presi fu una
mela e un succo di
frutta; non avevo molta fame, mi si era chiuso lo stomaco.
Mi
accomodai a un tavolo isolato, osservando gli alunni che –
ridendo e scherzando
– si sedevano in gruppo. E questo mi fece sentire
improvvisamente… sola.
Ma
d’altronde questa ormai era la realtà, io ero sola.
Sentii
le lacrime premere per venir fuori, prontamente le bloccai, ma una
sfuggì al
mio controllo, rigandomi la guancia. L’asciugai con un gesto
secco della mano e
mi guardai intorno, sperando che nessuno mi avesse visto, e
fortunatamente fu
così.
In
meno di cinque minuti finii, gettai il tutto nel cestino e feci per
andarmene
ma una voce me lo impedì.
«Ehi
Isabella, che fai lì da sola? Vieni qui!», mi
chiamò la voce squillante –
quanto irritante – di Jessica Stanley. A
passo incerto mi avvicinai a loro, ma no mi sedetti, rimasi in piedi.
«Ciao,
piacere io sono Mike», si presentò un ragazzo
biondo, dagli occhi azzurri.
«Loro sono Lauren e Angela», disse Jessica, presentandomi i
suoi amici.
«Isabella
Swan», risposi semplicemente, senza dilungarmi troppo.
«Ho
visto che oggi durante l’ora di biologia parlavi con Edward
Cullen», mi ricordò
Lauren, con aria sognante.
«Sì,
Cullen», risposi, alzando un sopracciglio.
«Fai
attenzione, mai fidarsi di Cullen», mi avvertì Mike.
«E’
uno schianto assoluto. E oggi, il modo in cui ti guardava, non
è assolutamente
arrapante?», domandò estasiata Jessica, sotto lo
sguardo indignato di Mike.
«Secondo
me l’aggettivo più corretto è:
irritante», mormorai a bassa voce, ma sfortunatamente mi
sentirono.
«Ma
perché siamo qui a perdere tempo con lei?!»,
sbottò Lauren. «Cosa vuoi che ne
capisca di ragazzi?! Già mi stupirei se ne avesse avuto uno.
Molto
probabilmente sarà la solita cocca di mamma», disse,
con voce tagliente.
Colpita
in pieno.
«Bene,
ora, la cocca di mamma, vi lascia. Ho cose più importanti da
fare, che perdere
del tempo con voi», risposi, cercando di dare un tono
impassibile alla mia voce.
Mi
lanciarono occhiate assassine, tranne Mike che mi guardava ammirato e
Angela…
dispiaciuta.
Come
se niente fosse voltai loro le spalle e uscii da mensa, ignorando la
fitta di
dolore che mi trapassò il petto, mozzandomi il fiato.
***
Le
ultime ore di lezione passarono abbastanza velocemente, seguii poco e
niente,
ma non me ne importava molto.
Mi
avviai nel parcheggio, con l’intenzione di raggiungere il mio
Pick-up, ma non
appena vidi una Volvo metallizzata non potei far altro che bloccarmi,
ammirata.
Mi
avvicinai lentamente, ammirando l’auto in tutte le sue
sfaccettature e ne
accarezzai delicatamente la fiancata… era a dir poco
stupenda, altro che il mio
rottame.
«Vedo
che la mia auto non ti è indifferente», disse una
voce alle mie spalle. No, ancora quella voce
no.
«Ma
che fai, mi perseguiti?» domandai sarcastica e leggermente
irritata dal
trovarmelo sempre dietro.
«Dovrei
dire la stessa cosa di te, non è colpa mia se tu stai
letteralmente
accarezzando la mia
auto», rispose, alzando un sopracciglio.
«T-tua
auto?», chiesi, balbettando leggermente.
«Sì,
è la mia auto», rispose, sorridendo sornione.
«Bene,
allora vorrà dire che toglierò il
disturbo», mormorai. Feci per andarmene, ma
una presa delicata intorno al mio polso non me lo permise.
Mi
voltai, incontrandomi così con i suoi splendidi occhi verdi,
che mi scrutavano
intensamente.
«No,
non andartene. Mi farebbe davvero molto piacere conoscerti», sussurrò,
aumentando la stretta
intorno al mio polso.
«So
che genere di reputazione hai qui a scuola Cullen», risposi,
calcando bene il
suo cognome. «E la cosa non m’interessa, io non
sono come le altre ragazze»,
dissi con sincerità.
«Lo
So, ed è per questo che vorrei conoscerti», sorrise
Sghembo. «Per esempio… ti
dispiacerebbe dirmi il tuo nome?», domandò, con una
punta di curiosità nella
voce.
“«sabella,
questo è il mio nome», sussurrai a voce bassa.
«Isabella.
Che bel nome», sorrise gentilmente. «So che sei di Phoenix,
ma la domanda che
più volte mi pongo, è: perché hai
deciso di lasciare la tua città per
trasferirti a Forks, la cittadina più piovosa
d’America?», domandò, inclinando
leggermente il capo.
«Ci
deve essere un valido motivo, perché solo un pazzo verrebbe
qui di sua
spontanea volontà. Per qualche bighellonata?»,
continuò, sorridendo
ironicamente.
Mi
torturai il labbro inferiore, guardando il suolo; dopodichè
alzai gli occhi
furente, incontrando così il suo sguardo curioso.
«Tu
non sai niente di me, e mai lo saprai. Quindi lasciami in pace, io non
sono una
facile, non dimenticarlo», sbottai furiosa,
dopodichè gli voltai le spalle, ma
ancora una volta mi bloccò.
Mi
voltai e senza guardarlo in viso mi decisi a parlare. Nessuno poteva
permettersi di parlare del mio passato come niente fosse, e nessuno
aveva il
diritto di intromettersi nella mia vita privata… Nessuno.
«Lasciami!»,
ribattei acida, liberandomi con uno strattone dalla sua presa ferrea.
«E
non sparare cazzate, la prossima volta. Pensa, prima di
parlare», continuai,
impassibile, ma la mia voce s’incrinò leggermente.
Gli voltai le spalle e a
passo misurato salii nella mia auto, cercando di trattenere le lacrime.
Guardai
nello specchietto retrovisore e lo vidi lì, fermo dove
l’avevo lasciato, che mi
osservava con una strana espressione in viso, ma non me ne curai,
partii a
tutta velocità. L’unica cosa che desideravo fare
era tornarmene a casa.
Il
viaggio durò circa dieci minuti, parcheggiai nel vialetto e
mi catapultai
dentro, avevo il fiatone ma non me ne importava.
In
soggiorno trovai Charlie seduto sulla poltrona, intento a leggere il
giornale.
«Ciao,
Be-», tentò di salutarmi, ma come al solito lo
bloccai.
«Non
sono dell’umore, lasciami in pace», risposi e, senza
dargli il tempo di
rispondere, corsi su per le scale. Sbattei la porta della mia camera e
mi tolsi
le scarpe, buttandomi sul letto.
Recentemente
solo quello sapevo fare, chiudermi in camera mia e nascondermi da tutto ciò che mi circondava.
Ma
per me vivere all’aria aperta era una cosa estranea,
l’unica cosa che
desideravo fare era stare sola… lontana da sofferenze, e
parole che potessero
ferirmi.
Volevo
essere forte, mostrare agli altri una finta immagine di me stessa e
così avrei
fatto.
Credevo
di essere immune a tutto, ma naturalmente mi sbagliavo. Oggi avevo
scoperto una
cosa importante, ovvero che anche una semplice parola era in grado di
ferirmi.
Grazie mille alle 9 persone
che hanno recensito. Grazie, grazie, grazie! Non so davvero come
ringraziarvi, siete dolcissimi!
Vorrei ringraziarvi
uno ad uno... ve lo meritate, ma purtroppo non ho avuto tempo
ç___ç
però ho
voluto postare lo stesso, per mantenere il mio andamento settimanale ^^
Grazie ancora,
siete fantastici! Grazie a Shasha 5, rodney, Emma92, yle94,
Lau_twilight, Rebussiii, Alexia___18, ilacullen e vanderbit.
Grazie per i
complimenti, grazie per tutto, vi adoro <3
Ringrazio di cuore anche chi
mi ha aggiunta tra i preferiti (24 *.*)
chi tra i seguiti (56
*.*)
chi tra autori
preferiti (5 *.*)
e ai lettori
silenziosi.
Grazie a tutti voi che
mi seguite, spronandomi.
Grazie, grazie e grazie!
Vi adoro!
Un
bacione, Elly.
A martedì prossimo! ^^
Fatemi sapere se vi piace o meno ;) Anche
critiche, accetto tutto :)
|
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Capitolo 4 *** Una domanda e nessuna risposta. ***
Ciao a
tutti! Come state? Spero bene!
Mi
scuso per l'enorme ritardo, ma settimana scorsa non ho avuto proprio
modo di postare, il tempo mancava e pure l'umore.
E'
stata una settimana decisamente pesante (per non usare un altro
termine). Scusate, scusate, scusate!
Ma
ora eccomi qui, pronta con un nuovo capitolo! :)
Qui
finalmente ci sarà un pov Edward, che spiegherà
in parte il suo carattere ;)
Avete
visto Remember Me?!?! Oddio io solo se ci ripenso sto in
lacrimeee ç_____ç
Per
fortuna che l'uscita del dvd di New Moon mi ha tirata su di morale. Ho
il 3 dischi, waaaaa *___*
Ok,
scusate, piccolo momento di sclero, ora la smetto di blaterare
xD
Ci
vediamo sotto... buona lettura!
4. Una domanda e
nessuna risposta.
Pov
Edward
Silenzio.
Nella mia stanza non regnava altro che silenzio, spezzato dal rumore
continuo
della pallina cha batteva contro il muro; era da circa un’ora
che non facevo
altro che giocare con quella stupida pallina, ma non riuscivo a
smettere, ciò
aveva su di me un effetto estremamente rilassante.
Nella
mia mente vi erano un groviglio di pensieri e la maggior parte di essi
erano
concentrati solo ed esclusivamente su una persona: Isabella Swan.
Non
potevo fare a meno di pensare a lei, a quanto fosse strana ma allo
stesso tempo
così affascinante, tanto da far crescere la mia voglia di
conoscerla.
Al
ricordo del nostro primo incontro un sorriso divertito si dipinse sul
mio viso;
nonostante l’ustione sul collo dovuta al caffè
bollente dovetti ammettere che
quello scontro era stato davvero… interessante.
C’era
però una cosa che non avrei scordato facilmente, ovvero il
suo sguardo. Per
una frazione di secondi i suoi occhi
color nocciola mi avevano fissato con… odio.
Ciò
mi aveva sorpreso e non poco, non avrei mai creduto di leggere simili
emozioni
nei suo occhi, ma molto probabilmente mi sbagliavo.
Avrei
voluto seguirla, chiederle di spiegarmi il motivo di tale reazione. Non
facevo
altro che domandarmi il perché di questa mia
necessità di sapere, era solo
curiosità?
Me
ne stavo spaparanzato sul letto, con queste domande che mi vorticavano
in
testa; ma purtroppo la mia tranquillità venne bruscamente
interrotta da mia
sorella, che come una furia entrò nella stanza.
“Che
diavolo stai combinando?!” chiese Alice irritata, sbattendo
la porta alle sue
spalle.
“Io?
Ali sei pazza?” domandai, sempre più confuso dal
suo strano atteggiamento.
Rilanciai
per l’ennesima volta la pallina contro il muro, ma lei
prontamente la prese al
volo, appoggiandola sulla scrivania.
“Di
fare baccano con questa cavolo di pallina, sarà da
più di un’ora” sbottò,
incrociando le braccia al petto.
Risi
della sua espressione, era davvero buffa quando si arrabbiava.
“Mi
rilassava” risposi alzando gli occhi al cielo.
“Non
m’interessa, è estremamente irritante! Soprattutto
perché ero occupata con…”
iniziò a dire, ma prontamente si bloccò
tappandosi la bocca, conscia di aver
commesso un’enorme gaffe.
“Non
c’è bisogno che ti fermi, posso immaginare con chi
trascorri il tuo tempo –
scoppiai a ridere – col tuo caro fidanzatino Jazz”
la presi in giro.
“Idiota!”
sbottò rossa di vergogna, tirandomi un pugno scherzoso sulla
spalla. E fu in
quel momento che Jasper entrò in camera.
“Parli
del diavolo e spuntano le corna – dissi, mentre lui mi
fulminava con lo sguardo
– lo sai che scherzo amico” ridacchiai, dandogli
una leggera spinta.
“Stavi
origliando, vero?” lo riprese Alice, alzando un sopracciglio.
“Ehm…
io… no. Cioè…”
s’ingarbugliò con le parole. Mi voltai verso Ali
ed entrambi
scoppiammo a ridere, sotto lo sguardo di un indignato Jasper.
“Su
andiamo, il cinema ci aspetta” disse Alice – una
volta ripresasi dalle risate –
e una volta preso Jasper a braccetto si catapultò fuori
dalla stanza.
Scossi
la testa divertito, mia sorella non sarebbe cambiata mai.
A
volte mi chiedevo chi fosse più pazzo tra lei ed Emmett, ma
non riuscivo mai a
trovare la risposta a quella domanda, troppo difficile.
Sorrisi
e accesi lo stereo ad alto volume; le note di Hysteria dei Muse
riecheggiarono
nella camera. Mi buttai sul letto e mi ritrovai a osservare il
soffitto,
sperando che la notte passasse in fretta… chissà
se il giorno seguente avrei
visto Isabella.
***
Mi
appoggiai di spalle alla Volvo, scrutando con sguardo attento il
parcheggio,
con la speranza – forse – di vedere il suo Pick-up
farsi largo tra le altre
auto, ma… nulla. Non vi era traccia di lei.
Sbuffai
sonoramente e feci per andarmene, ma qualcosa – o meglio dire
qualcuno – mi
saltò letteralmente in braccio, allacciandomi le braccia al
collo.
Istintivamente
le mie mani si posarono sui suoi fianchi per sostenerla; abbassai lo
sguardo
per vedere chi fosse e ovviamente le mie ipotesi erano azzeccate:
Lauren.
“Lauren”
sbuffai infastidito, lasciando la presa dai suoi fianchi.
“Edward,
come sono felice di vederti” pigolò, posando
finalmente i piedi a terra e
schioccandomi un sonoro bacio sulla guancia.
Sorrisi
del suo gesto, ovviamente quelle attenzioni non mi erano mai
dispiaciute; ma
non le volevo… non da lei.
“Ti
va se andiamo a lezione insieme?” domandò,
sbattendo più volte le ciglia.
“Lauren
– iniziai con la mia arringa – sei molto carina,
ma… non sei il mio tipo. E’
inutile che ci provi, sarà sempre così”
risposi con voce pacata.
“Ma
è questo il punto Eddy, a me
non’importa!” sorrise maliziosa, accarezzandomi i
capelli e il collo.
Credeva
che con quelle semplici carezze avrei ceduto, ma non sarebbe stato
così
semplice… con me ci voleva ben altro.
Gli
presi la mano e gliela rimisi al suo posto.
Avevamo
avuto una storia passeggera, a una festa c’eravamo scambiati
un bacio – anche
qualcosa di più – e d’allora si era
montata la testa. Eravamo ubriachi e per me
quel bacio non era significato nulla; conoscendomi sapeva che io non
avrei mai
avuto una storia seria, ma lei si era illusa lo stesso…
patetica.
Mi
pentii amaramente di quel che successe. Era stato un terribile sbaglio
e da
allora cercai in tutti i modi di cambiare, mi ero ripromesso che non
avrei mai
più commesso un simile errore. Non volevo deludere i miei
genitori,
ma specialmente
lo feci per me stesso.
“E
ora se vuoi scusarmi ho una lezione che mi aspetta” dissi
lanciandole un’ultima
occhiata, dopodichè la sorpassai e me ne andai.
Sentivo
il suo sguardo deluso e assassino perforarmi la schiena, ma non me ne
curai, la
verità era che odiava essere rifiutata.
“Ehi
fratellino!” mi salutò un vocione, che avrei
riconosciuto anche a chilometri di
distanza… Emmett.
Ricambiai
il saluto, dandogli un pugno scherzoso sulla spalla.
“Ahia,
ma ti pare il modo?” domandò sgranando gli occhi,
fingendosi scandalizzato.
“Non
cambierai mai” risi, scuotendo lievemente il capo.
Feci
per parlare ma una chioma bionda mi passò davanti, parandosi
accanto a Emmett,
che perse completamente la testa e non guardò più
nessuno, aveva occhi solo per
lei.
Rosalie
Hale, l’attuale fidanzata di mio fratello. Erano insieme da
due anni e mezzo
ormai, quasi tre ed erano molto innamorati, così come Alice
e Jasper.
Il
caro Emm mi salutò frettolosamente con un cenno del capo,
dopodichè se ne andò
via con la sua Rose. L’amore…
Una
strana parola, non ero mai stato in grado di comprenderne il
significato e mai
ci sarei riuscito. Un sentimento troppo forte e passionale…
troppo forte per
me.
Ma
d’altronde io non ci credevo, l’amore per me non
esisteva e mai sarebbe
esistito.
Guardai
l’orologio: erano quasi le otto.
Cazzo, ero in un fottuto
ritardo! Tutta colpa di Lauren e delle sue manie appiccicose, peggio di
un
polipo.
Sbuffai
sonoramente e – seppur di malavoglia – a passo
svelto mi diressi all’interno di
quel maledetto edificio.
***
Noia.
Noia. Noia.
In
quel preciso istante era l’unica cosa che riuscivo a
percepire, una maledetta
ed irritante noia. Era da due ore che ero seduto ad ascoltare il
professore,
non faceva altro che blaterare inutilmente su un argomento che non mi
interessava minimamente.
Tamburellai
ripetutamente la matita sul banco in un vano tentativo di ammazzare il
tempo,
che trascorreva inesorabilmente lento.
Non
ascoltai niente, la mia mente era altrove e non di certo su storia.
Dopo
minuti, che a me parvero ore, il suono della campanella
annunciò la fine di
quella lezione.
Presi
la mia roba e senza salutare nessuno mi defilai dirigendomi a mensa, un
solo
obbiettivo vi era nella mia mente in questo momento: trovare Isabella
Swan.
Mi
guardai intorno, sperando con tutto me stesso di vederla. Avevo quasi
perso la
speranza, volsi lo sguardo altrove e mi scontrai così con
due occhi nocciola
che avrei riconosciuto anche a chilometri di distanza… i suoi occhi.
Un
sorriso involontario si dipinse sul mio viso e non potei fare a meno di
raggiungerla, cercando di essere il più silenzioso possibile.
Era
seduta da sola, non vi era nessuno accanto a lei. Il suo sguardo era
fisso sul
tavolo, come se non le importasse nulla della gente intorno a lei.
Cautamente
mi avvicinai, accomodandomi nella sedia di fronte.
A
causa della mia improvvisa apparizione sobbalzò
impercettibilmente e alzò lo
sguardo, incatenandolo al mio.
Feci
per parlare, ma non potei fare a meno di notare i suoi occhi: spenti,
vuoti,
freddi… privi di qualsiasi emozione.
“Ciao”
la salutai portandomi una mano tra i capelli, leggermente imbarazzato.
Ma cosa cazzo mi passava per
la testa?! Io imbarazzato?!
“Cosa
vuoi Cullen?” domandò con voce tagliente,
fissandomi intensamente.
Dopo
tutto quello che era successo ieri mi chiedeva cosa volevo?
“Spiegazioni”
risposi semplicemente, appoggiando i gomiti sul tavolo.
“Non
c’è niente da spiegare e niente che ti
riguardi” disse, addentando la mela con
fare strafottente.
“Ne
sei così sicura?” domandai, sporgendomi verso di
lei, tanto che i nostri visi si
trovarono a pochi centimetri di distanza.
“Sì
ne sono sicura - si rigirò il torsolo tra le mani,
lasciandolo poi cadere nel
piatto – mai stata più sicura”
ribattè allontanandosi leggermente.
“Perché
ieri hai reagito così? – le chiesi – in
fondo volevo solo sapere il perché del
tuo trasferimento. Non ti ho chiesto la luna”.
Assottigliò
gli occhi e si torturò il labbro inferiore.
Sospirò, una, due, tre volte.
“Non
c’è un vero motivo per cui ho reagito
così, questa sono io, è il mio carattere.
Per questo tutti mi stanno lontani e tu dovresti prendere il loro
esempio”
rispose con voce impassibile, mentre i suoi occhi divennero sempre
più lucidi.
Non
ne compresi il motivo, ma dentro di me sentivo che stava mentendo, che
tutto
questo aveva un senso e l’unica cosa che desideravo fare era
trovarlo.
Tesi
una mano verso di lei, come a volerla sfiorare, ma non appena capii che
il mio
gesto era troppo avventato ci rinunciai.
Un
sospiro fuoriuscì dalle sue labbra, tanto che riportai
immediatamente la mia
attenzione su di lei.
“Cosa
intendi dire con questo? Spiegamelo. Perché
l’unica cosa che desidero in questo
momento è conoscerti e quando mi metto in testa qualcosa la
ottengo sempre”
mormorai, sorridendo sornione.
“No
Cullen, ti sbagli. Se c’è una cosa che non
otterrai è proprio questa, ci puoi
giurare” disse, incrociando le braccia al petto.
“Non
ci scommetterei Isabella” risi, divertito dalla sua
espressione furiosa.
“Sei
impossibile” sospirò esasperata.
“E’
per questo che ti piaccio, vero?” mormorai, avvicinandomi
sempre di più al suo
viso.
Le
sue labbra rosee – una vera tentazione per me - si
dischiusero leggermente e i
suoi occhi si sgranarono; evidentemente era stupita da quella vicinanza.
Sorrisi
e mi avvicinai sempre di più, tanto che potei sentire il suo
respiro
solleticarmi il viso e ciò non fece altro che aumentare la
mia voglia di
baciarla.
Le
mie labbra andarono a sfiorare la sua guancia e lentamente
risalirono… sempre,
sempre di più. Mancava davvero poco e avrei potuto sfiorare
quel bocciolo di
rosa, ma non appena le mie labbra stavano per sfiorare le sue
sembrò
risvegliarsi dallo stato di semi-incoscienza in cui era caduta. Si
irrigidii e
sgranò gli occhi, allontanandosi con uno scatto repentino,
tanto che non mi
sarei stupito se fosse caduta dalla sedia.
“Come.Ti.Sei.Permesso.”
sillabò le parole una ad una, come se parlasse con un
ritardato mentale, ma il
suo tono di voce non prometteva nulla di buono.
“Sei
impazzito? Cosa diavolo credevi di fare?!” urlò,
guardandomi furente.
“Baciarti,
forse?” risposi alzando un sopracciglio, come se fosse la
cosa più ovvia al
mondo.
“Non
ti devi permettere, mai più. Solo perché sono
nuova non vuol dire che puoi
baciarmi quando ti pare e piace!” sbottò
stringendo tra le mani il tappo della
limonata.
“Ok,
ok. Messaggio ricevuto” risposi con voce pacata, alzando le
mani in segno di
resa.
Aprì
la bocca per parlare, ma la campanella suonò; si
alzò e fece per andarsene ma
le mie parole la bloccarono sul posto.
“Non
credere che mi dimentichi. Sono al corrente che non hai ancora risposto
alla
mia domanda” le ricordai, sorridendo sornione.
Strinse
le mani a pugno e si voltò di scatto nella mia direzione.
“Ficcatelo
bene in testa Cullen, io non avrò mai niente a che fare con
te né ora né mai. E
quindi non intrometterti nella mia vita” disse prendendo il
suo zaino e uscì da
mensa, dirigendosi alla prossima lezione.
Ma
di una cosa si era scordata: noi condividevamo l’ora di
biologia.
E
al solo pensiero un sorriso divertito si dipinse sul mio viso, ci
aspettavano
altre due ore da trascorrere insieme.
Pov
Bella
Camminavo
per i corridoi senza una meta precisa, la mente altrove.
L’improvviso
suono della campana – che annunciava l’inizio della
lezione – mi fece
sobbalzare. Feci un calcolo mentale e ciò che scoprii mi
fece accapponare la
pelle.
Biologia…
biologia… biologia.
No,
no e no. Non ci sarei andata. Presi le mie cose e a passo deciso mi
diressi
fuori da scuola; il vento mi sferzò il viso e mi
scompigliò i capelli, mi tirai
su il cappuccio e correndo entrai in auto. Tremai leggermente, faceva
davvero
freddo.
Il
mio cuore batteva freneticamente, non ne voleva proprio sapere di
smettere.
Una
miriade di emozioni mi travolsero, lasciandomi completamente
disorientata; non
capivo nulla… niente di niente.
Ogni
volta che chiudevo gli occhi tutto quello che era successo in mensa mi
ritornava alla mente, destabilizzandomi completamente e per quanto mi
sforzassi
di non pensare non potevo farne a meno, non ci riuscivo.
Istintivamente
la mia mano si posò sulla mia guancia e le dita presero a
tracciare linee
immaginarie, lì dove le sue labbra avevano sfiorato la mia
pelle.
Mi
sentii invadere da un’ondata di calore e i battiti del mio
cuore aumentarono,
sempre di più, come se da un momento all’altro
volesse uscire dal mio petto.
Chiusi
gli occhi e respirai più volte, cercando di ritrovare la
ragione che avevo
momentaneamente perso.
Non
potei fare a meno di vergognarmi perché, per un breve
istante, l’unica cosa che
desiderai ardentemente era che quelle labbra si posassero sulle mie. Ma
fortunatamente questo maledetto pensiero svanì,
così come era arrivato.
Voleva
a tutti i costi allacciare un rapporto con me, ma non avrei potuto. Io
non ero
in grado di stare a contatto con la gente… io non ero in
grado di fare nulla
ultimamente.
Pensai,
tanto che sentii gli occhi inumidirsi e le labbra tremare. Scossi la
testa e
cercai in tutti i modi di non pensare.
Doveva
starmi lontano, lo odiavo, con tutta me stessa.
Strafottente,
arrogante e terribilmente idiota.
La
mia mente cercava di convincermi che era per questo motivo che io non
lo volevo
accanto… perché lo odiavo.
Ma
allora
perché il mio cuore
la pensava diversamente?
11 recensioni
O_____________O
oddio, non so come ringraziarvi, davvero! Vorrei ringraziarvi uno ad
uno, perchè lo meritate.
Siete sempre così dolci con me, tanto che mi spronate
sempre... grazie, grazie, grazie!
Siete degli angeli.
Ringrazio
di cuore anche chi mi ha aggiunta tra le seguite (77 *.*)
chi tra i preferiti (36 *.*)
chi tra autori preferiti (6 *.*)
e chi tra ricordate (10 *.*)
e ai lettori silenziosi.
Grazie
a tutti voi che mi seguite e leggete la mia storia. Grazie, grazie,
grazie!
Vi adoro!
Bacioni, Elly.
Alla Prossima!!
|
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Capitolo 5 *** Nuove conoscenze. ***
Ciao
a tutti! Come state? Spero tutto bene.
Purtroppo per me non è stato così ultimamente,
tra scuola, stress e problemi generali non ho avuto modo di postare.
Infatti vi chiedo umilmente scusa, ho fatto un immenso ritardo e di
questo mi dispiace tantissimo, ma finalmente rieccomi qua.
Più pazza di prima e finalmente il mio umore è
ritornato apposto, si noterà soprattutto dal mio blaterare
;)
Questo è un capitolo di passaggio, ho voluto inserire anche
gli altri personaggi e così ho fatto.
Il prossimo capitolo sarà uno importante, specialmente
perchè ce l'ho in mente da più di 3 mesi
:P quindi sarà facile per me scriverlo,
perciò posso assicurarvi che ci metterò poco a
postarlo.
Volevo ringraziarvi anticipatamente per i vostri meravigliosi commenti,
siete degli angeli. Grazie, grazie, grazie.
Non ho avuto modo di rispondere alle vostre recensioni, ma domani
pomeriggio le troverete proprio qui sotto.
E ora che altro dire? Buona lettura!
5. Nuove conoscenze.
Pov Bella
Passeggiavo
in riva al mare; chiusi gli occhi, beandomi dell’odore di
salsedine che
impregnava l’aria. Il sole era alto nel cielo, tanto che
potei sentire i raggi
colpirmi il viso, riscaldandomi e il leggero venticello prese a giocare
con i
miei capelli, scompigliandoli.
Sentii
il rumore delle onde che s’infrangevano sugli scogli. Chiusi
gli occhi e un
sorriso si dipinse sul mio volto; tutto ciò era estremamente
rilassante, avrei
voluto che non avesse mai fine.
“Bella?”
mi chiamò qualcuno. Senza pensarci mi voltai, scontrandomi
così con il sorriso
dolce di mia madre e di Phil, ai quali non potei fare a meno di
ricambiare.
Non
ci pensai due volte e feci per raggiungerli, ma loro indietreggiarono.
Alzai un
sopracciglio, totalmente confusa.
“Mamma,
Phil?” provai a chiamarli, ma non ottenni risposta.
Le
loro figure si allontanavano sempre di più, così
cominciai a correre, in preda
all’ansia.
“Aspettate!”
implorai, con le lacrime agli occhi.
Per
un tempo indefinito continuai a seguirli, fino a quando non sparirono
completamente dalla mia vista. Mi fermai, completamente esausta. Mi
guardai
attorno e ciò che vidi mi fece sobbalzare: buio, non vi era
niente, solo il
vuoto.
Spaventata
mi lasciai cadere a terra, serrando con forza gli occhi. Silenzio, non
vi era
nient’altro che silenzio.
“Mamma,
Phil…” riprovai, ma la mia voce non era altro che
un flebile sussurro.
Un
improvviso frastuono mi fece sobbalzare: il rumore di due auto che si
scontravano.
Renée,
Phil…
“NOOO!”
urlai con tutto il fiato che avevo in gola, aprendo di scatto gli
occhi. Balzai
a sedere, portandomi le ginocchia al petto ed iniziai a tremare.
Chiusi
gli occhi, affondando il viso tra le braccia.
Vuota. In questo momento la mia
mente era
completamente vuota, tanto da non accorgermi che la porta si
aprì di scatto,
rivelando così la figura di Charlie che – dopo un
attimo di esitazione – si
avvicinò di corsa al letto.
“Bella?”
mi chiamò preoccupato, inginocchiandosi alla mia altezza.
“Bella!”
esclamò poi non ricevendo risposta, scrollandomi
leggermente. Questo bastò –
solo in parte – a farmi risvegliare dallo stato di
semi-incoscienza in cui ero
momentaneamente caduta.
“C-charlie?”
lo chiamai tremante, alzando di poco il viso.
“Bells…”
ripetè sospirando, apparentemente sollevato.
Bells. Il
modo in cui mi chiamò non mi sfuggì, ma non ci
feci caso, in quel momento avevo
tutt’altro per la testa.
“C-che
ci fai qui?” balbettai con voce insicura.
“Stavo
guardando la televisione in cucina e mi sono addormentato sul divano,
ma ti ho
sentita urlare e sono corso su” rispose, prendendo posto
accanto a me.
Mi
rannicchiai e mi dondolai leggermente, avanti e indietro, come se
volessi
cullarmi per ritrovare il controllo che avevo momentaneamente perso.
“Cos’è
successo? Hai avuto un incubo?” domandò apprensivo
poco dopo, non ricevendo
nessuna risposta da parte mia.
Annuii
lievemente e rivolsi lo sguardo in un punto indefinito di fronte a me,
odiavo
mostrarmi debole agli occhi degli altri.
“L’incidente…
- iniziai con voce incerta – l’ho rivisto, di
nuovo” biascicai, tremando
leggermente. Il solo ricordo di quello che era successo era in grado di
farmi
male, le ferite erano ancora aperte e non si sarebbero chiuse
facilmente.
Sentii
un improvviso dolore al petto, dove un tempo vi era il mio cuore.
Portai una
mano accanto ad esso, come a voler placare il forte dolore che in
questo
momento stavo provando.
“Bells…”
una mano si posò sulla mia, in una presa delicata ed
estremamente dolce.
Lentamente
aprii gli occhi, scontrandomi così con lo sguardo angosciato
di Charlie e
finalmente mi decisi a parlare.
“Per
favore, non chiamarmi così. Io n-non riesco a
sopportarlo” mormorai, alzando
gli occhi verso il soffitto, per ricacciare indietro quelle stupide
lacrime che
minacciavano di scendere da un momento all’altro.
Non
mi rispose, si limitò ad accarezzarmi i capelli dolcemente
per darmi conforto,
l’unica cosa di cui avevo veramente bisogno in quel momento.
Chiusi
gli occhi, affondando il viso nel cuscino e respirai profondamente.
Quel
maledetto incubo continuava a ripetersi incessantemente nella mia mente
e ciò
che desideravo ardentemente era che sparisse, per sempre… ma
tutto questo non
era assolutamente possibile, avrebbe continuato a tormentarmi.
E
finalmente dopo un tempo indefinito, con la consapevolezza che Charlie
fosse lì
accanto a me, mi riaddormentai. Abbandonandomi ad un sonno senza sogni.
***
“Keep bleeding
Keep, keep bleeding love
I keep bleeding
I keep, keep bleeding love
Keep bleeding
Keep, keep bleeding love
You cut me open
Trying
hard not to hear
But they talk so loud
Their piercing sounds fill my ears
Try to fill me with doubt
Yet I know that the goal
Is to keep me from falling”
Le note della canzone Bleeding
Love
di Leona Lewis riecheggiarono nell’abitacolo, spezzando il
silenzio che regnava
ormai da diversi minuti.
Con un gesto secco della mano spensi la
radio, sbuffando sonoramente.
Ripensai a quello che era successo stamattina.
[Inizio
Flashback]
Non
appena mi svegliai trovai Charlie al piano di sotto, appoggiato
allo stipite della porta e le braccia incrociate al petto, la sua
espressione
non prometteva nulla di buono.
“Hai saltato in totale quattro ore di lezione,
perché?” domandò con
voce neutra, alzando un sopracciglio.
“Come…?” chiesi, totalmente confusa.
“Come faccio a saperlo? Facile, mi ha chiamato poco fa la
scuola e mi
ha informato del tuo comportamento. Hai risposto male al professore ed
hai
abbandonato l’aula nel bel mezzo della lezione! Ti pare il
giusto
comportamento? E per di più ieri sei uscita prima, senza
avvisare nessuno”
concluse la sua arringa, guardandomi severamente.
“Certo che loro una dose di caz-“ iniziai, ma non
mi fece finire di
parlare perché prontamente mi bloccò.
“La soluzione è semplice. Se la situazione non
cambia sarò costretto a
scortarti io stesso e aspettarti fuori da scuola a fine lezioni
con… l’auto
della polizia” terminò il suo discorso. Lo guardai
inorridita. L’auto della
polizia, no, no e poi no!
“Ma…” provai a dire, ma nuovamente mi
bloccò.
“Niente ma Isabella, d’ora in poi ti sforzerai di
avere una buona
educazione scolastica – disse con tono serio – non
voglio che dopo quello che è
successo ci rimettano i tuoi voti” aggiunse poi flebilmente,
sapeva che quello
per me era un tasto delicato da affrontare.
Chiusi gli occhi, sospirando rassegnata e annuii lievemente. Feci per
andarmene, ma la sua voce mi bloccò sul posto.
“Tu come stai?” mi chiese avanzando di un passo.
“Male… - ammisi, perché mai dovevo
mentire con lui? – ma ormai sto
imparando a fingere che tutto vada bene. Ormai
non mi riesce difficile fingere” sorrisi amaramente
e dopo averlo salutato
con un cenno del capo uscii di casa, sperando di lasciare il dolore
alle mie
spalle.
[Fine Flashback]
Ero
nervosa e terribilmente irritata, quello
era davvero un fantastico modo per iniziare la giornata. Pur di non
essere
scortata dall’auto della polizia – cosa
estremamente imbarazzante - mi sarei
fatta tutte le ore di lezione senza esitazione, però
c’era una cosa che mi
turbava: vedere lui.
Uscii dall’auto sbattendo la portiera e mi
diressi all’interno dell’edificio.
Fortunatamente
avevo imparato gli orari a memoria, così da non tirare fuori
ogni volta quel
maledetto foglio ingombrante.
“Isabella!
– mi chiamò una voce - Isabella!”
ripetè, notando che non avevo nessuna
intenzione di fermarmi. Sbuffai e – seppur di malavoglia
– mi voltai,
scontrandomi così con una Jessica a dir poco trafelata.
“Jessica”
la salutai freddamente, con un lieve cenno del capo.
“Hai
bisogno di qualcosa?” le domandai alzando un sopracciglio,
infatti mi parve
strano che Jessica Stanley venisse a parlare proprio a me.
“Certo
che potevi anche degnarmi di uno sguardo, è da dieci minuti
che ti chiamo e ti
corro dietro” disse flebilmente, portandosi le mani sulle
ginocchia come per
riprendere fiato.
“Dimmi,
deve essere sicuramente qualcosa d’importante”
ripetei, imponendomi di restare
calma.
“Sì,
ordini della segretaria, per questo mi è toccato avvisarti
– sbottò sbuffando –
il professore di trigonometria è assente, quindi abbiamo due
ore libere”
aggiunse saccente.
Esultai
mentalmente… niente trigonometria.
“Ok,
grazie per avermi avvisata, deve essere stato davvero orribile per te
farlo”
risposi, incrociando le braccia al petto.
“Non
sai quanto. Avevo di meglio da fare stamattina”
borbottò più a se stessa che a
me, voltandomi le spalle, dopodichè se ne andò
ancheggiando.
Patetica. Pensai, scuotendo
lievemente il capo.
Decisi
di ripassare dato che avevo due ore libere, così –
sempre camminando – aprii lo
zaino. Non guardai avanti, ero intenta a tirare fuori i libri e
l’unica cosa
che sentii furono dei passi veloci nella mia direzione, come se
qualcuno stesse
correndo.
Alzai
lo sguardo, curiosa, ma non feci in tempo a farlo, perché
sentii qualcosa
venirmi addosso e l’unica cosa che vidi fu una massa di
capelli neri. Un
secondo prima ero in piedi e un attimo dopo ero stesa
sull’asfalto, con lo
zaino sulla pancia.
“Ahi”
mugugnai, massaggiandomi la parte dolorante della testa che aveva
sbattuto sul
suolo.
“Oddio!
– trillò una voce – Non ti ho vista, ero
di fretta. Oddio scusa, scusa, scusa”
parlò a raffica, tanto che faticai a sentire ciò
che mi stava dicendo.
La
ragazza si inginocchiò accanto a me e iniziò a
scusarsi ripetutamente.
Non
l’avevo mai incrociata prima d’ora; aveva occhi
azzurri che esprimevano
sincerità, capelli neri e corvini.
Ero
intenta ad osservarla tanto che solo ora mi accorsi che mi stava
scrutando
preoccupata da qualche minuto, in attesa di una mia risposta, che non
tardò ad
arrivare.
“Tranquilla,
sto bene” mormorai intontita, mettendomi seduta.
“Oddio
non sai quanto mi dispiace, correvo e non ti ho nemmeno
vista…” iniziò, ma
alzai la mano, interrompendo così il suo monologo.
In
un momento come questo avrei urlato, odiavo cadere… ma con
lei non ci riuscii. Raccoglieva
velocemente i libri, cercando in tutti i modi di aiutarmi e imprecava
tra sé
per la sua stupidaggine… era davvero buffa, tanto che non
potei fare a meno di
sorridere.
“Sto
bene, davvero. Poi è stata colpa mia, avrei dovuto guardare
dove camminavo
invece di avere la testa altrove” risposi accennando un
sorriso per
tranquillizzarla.
Tese
una mano verso di me; dopo un attimo di esitazione l’
afferrai e mi aiutò così
ad alzarmi.
“Devi
essere nuova, perché non ti ho mai vista da queste parti.
Comunque piacere, io
sono Alice” si presentò sorridendo, sempre tenendo
la mia mano.
“Io
sono B-“ mi bloccai all’istante, stupita dalle mie
stesse parole. Sgranai gli
occhi e sentii di nuovo quella strana sensazione di vuoto che spesso
provavo.
Feci un respiro profondo e provai in tutti i modi di respingerla o
almeno di
ignorarla… e fortunatamente ci riuscii.
Scossi
lievemente la testa, sotto il suo sguardo preoccupato.
“Io
sono Isabella Swan ” risposi con voce flebile, fingendo un
sorriso.
“Sei
nuova… vero?” domandò poco dopo. Nella
sua voce non vi era nessuna traccia di
curiosità e forse fu ciò che non mi impedii di
risponderle.
“Sì,
sono di Phoenix. Sono qui da quasi una settimana” le dissi pacatamente.
“E’
strano però che non ci siamo mai incontrate prima
d’ ora - ammise pensierosa
- “Beh
forse questo scontro è stato
utile sotto alcuni punti di vista” continuò poi
sorridendo.
“Già”
annuii impercettibilmente, rimettendomi lo zaino in spalla.
Rimasi
in silenzio fissando il suolo, fino a quando non mi sentii prendere a
braccetto
e trascinare. Alzai lo sguardo confusa.
“Vieni,
non restare qui da sola, due ore sono lunghe. – Disse, mentre
io la guardavo
confusa – Ti farò conoscere i miei amici, vedrai
ti piaceranno” trillò
totalmente entusiasta.
“Va
bene” biascicai incapace di dire altro. Nessuno fino ad ora
si era preoccupato
di parlare con me.
Ci
incamminammo per circa dieci minuti, fino a quando nel cortile non
incontrammo
tre ragazzi, che parlavano beatamente tra loro.
“Ehi
ragazzi – li salutò Alice – ho qualcuno
da presentarvi. Lei è Isabella Swan”
disse, sempre tenendomi a braccetto.
“Ciao”
salutai timidamente, cercando però di non darlo a vedere.
“Isabella
lui è mio fratello Emmett, mentre
loro
sono Rosalie e Jasper” me li presentò uno ad uno,
con un lieve cenno del capo;
dopodichè si avvicinò al ragazzo dai capelli
biondi e occhi azzurri,
depositandogli un dolce bacio sulle labbra.
Nonostante
non vi era nulla di malizioso in quel bacio non potei fare a meno di
distogliere lo sguardo… vi era così amore in esso
che non riuscii a guardare.
E
dall’intensità in cui si scrutavano Emmett e
Rosalie capii che anche loro erano
insieme.
“Allora
come ti trovi qui?” domandò il ragazzone dai
capelli castani.
“Non
male” risposi con un’alzata di spalle.
“Wow,
sei davvero una ragazza di poche parole” mi
punzecchiò Emmett.
“Beh
anche tu non sei un tipo di molte parole, neh tesoro?” gli
sussurrò
maliziosamente la bionda nell’orecchio.
“No
tesoro, io passo direttamente ai fatti e…”
cominciò, ma non riuscì a finire la
frase perché gli arrivò una sberla dritta in
testa.
“Ahi”
borbottò lui, fintamente indignato.
“Ma
ti pare il modo Emm?! Cavolo sei davanti a una ragazza appena
conosciuta e già
ti comporti da orso. Per favore sii educato e non farmela
scappare!” sbottò
Alice contrariata, incrociando le braccia al petto.
“Ok,
ok” borbottò fra sé e sé.
A
quella scena un sorriso si dipinse sul mio viso, tanto che portai una
mano
davanti alla bocca. C’era un qualcosa di diverso in quel
sorriso, forse perché
era… sincero.
Feci
per parlare, ma fui prontamente interrotta da una voce che avrei
riconosciuto
anche a chilometri di distanza… la sua. “Eccovi
ragazzi, è da mezz’ora che vi cerco”
borbottò raggiungendoci, fermandosi
proprio di fronte a me.
“E’
proprio destino che noi ci rincontriamo ogni volta” disse
incrociando le
braccia, sorridendo sornione. Quel sorriso in grado di farmi incavolare
come
non mai.
“Già,
infatti sto cominciando a pensare che il destino non sia proprio dalla
mia
parte, visto che mi ritrovo sempre te tra i piedi – sbottai
alzando gli occhi
al cielo – E se posso sapere tu che diavolo ci fai
qui?” domandai acida.
“Veramente
dovrei fare a te questa domanda” ribattè
sarcastico, alzando un sopracciglio.
“Non
solo devo sopportarti per ben due ore a biologia come compagno di
banco, ma
pure fuori da scuola… fantastico, davvero
fantastico” dissi sarcastica.
Fece
per ribattere, ma Alice prontamente lo bloccò.
“Ma
vi conoscete?” chiese curiosa, sfiorandomi un braccio.
“Sì
purtroppo…” sospirai rassegnata imponendomi di
restare calma, solo a vederlo
non riuscivo più a controllarmi. Era terribilmente odioso!
“Sì,
ho avuto questo onore in effetti” rispose sorridendo,
fissandomi con
un’intensità tale che non riuscii nemmeno a
distogliere lo sguardo.
“Vedo
che andate molto d’accordo” mi fece notare Alice
sorridendo ironicamente.
“Sì,
lo adoro quanto un chiodo nella scarpa” borbottai
più a me stessa che a loro,
però purtroppo mi sentirono e scoppiarono così a
ridere, tranne il diretto
interessato.
“Così
ferisci i miei sentimenti” rispose lui fintamente indignato.
Perché lui aveva dei
sentimenti? Era solo un idiota che si divertiva a stuzzicarmi e il suo
unico
obbiettivo era abbordare più ragazze possibili.
Avrei
tanto voluto dirglielo, ma mi morsi la lingua… vi era troppa
gente.
Ma
di cosa mi preoccupavo? La risposta era semplice: forse
perché in fondo anche
io l’unica cosa che desideravo era essere accettata.
“Certo,
come se ciò fosse possibile Cullen” risposi
sprezzante, calcando per bene il
suo cognome.
“Mmm
mi odi tanto, vero? – domandò retoricamente
– Però…” aggiunse lasciando
la
frase in sospeso, con fare teatrale.
“Però?”
chiesi assottigliando gli occhi.
“Però
vedo che con mia sorella Alice e mio fratello Emm vai in perfetta
sintonia. E
pensare che facciamo parte della stessa famiglia, potrei sinceramente
offendermi visto che fai questi pregiudizi” mi prese in giro,
sorridendo
sghembo.
Il
mio cervello si scollegò completamente. Lui,
Alice, Emm… no, non poteva essere vero.
“T-tuoi
fratelli?” domandai in un sussurro, scuotendo lievemente il
capo. Mi rifiutavo
di crederci.
“Esattamente”
rispose, sempre con quel sorriso - maledettamente arrogante - sulle
labbra.
Mi
voltai verso Alice, guardandola attentamente e notai che era
completamente
diversa da suo fratello, così come Emmett. Ma la cosa
più importante di tutte
era che – fortunatamente –
erano
differenti caratterialmente.
“Beh
allora non c’è nemmeno bisogno che ti presenti mio
fratello Edward, dato che lo
conosci già” disse lei, come se fosse la
cosà più ovvia al mondo.
“Già”
mugugnai a bassa voce, cercando di non far notare la mia disperazione.
Nel
frattempo Rosalie si avvicinò a Emmett, sussurrandogli
qualcosa nell’orecchio.
Sicuramente qualcosa di molto interessante dato il suo improvviso
cambio
d’espressione.
“Ehm
ragazzi io e Rose andiamo a fare un giro da queste parti, sapete
abbiamo dei
lavori urgenti da fare” balbettò lui, circondando
le spalle della sua ragazza.
“Molto
urgenti” ripetè Rose, calcando bene la parola molto.
Emmett
ci lanciò una fugace occhiata; dopo averci salutati con un
cenno del capo
trascinò con sé Rosalie e se ne andarono a passo
svelto, sotto lo sguardo
divertito di Alice.
“Non
cambieranno mai” esclamò Edward alzando gli occhi
al cielo.
Chissà che commissioni
urgenti. Pensai sarcastica,
scuotendo il capo.
“Orso
è e orso resta” rise Alice concordando, tanto che
non potei fare a meno di
sorridere; dopodichè si avvicinò a Jasper,
circondandogli la vita con un
braccio e appoggiando la testa sul suo petto, mentre lui gli posava un
bacio
tra i capelli.
Immediatamente
il mio sorriso si spense davanti a quella scena estremamente
– e terribilmente
– dolce, perché forse la nostalgia era troppo
forte o forse perché in fondo al
mio cuore anch’io desideravo che qualcuno mi capisse
e… mi amasse.
Chiusi
gli occhi, stringendo forte le palpebre per scacciare quei pensieri
tristi, che
mai e poi mai avrei voluto rievocare. Cercai di ricompormi e mi guardai
attorno
sperando di non aver attirato la loro attenzione, ma per fortuna non si
accorsero di nulla.
“Isabella?”
mi chiamò Alice, appoggiando una mano sulla mia spalla.
“Sì?
- domandai intontita. – Credo di essermi persa
qualcosa…” ammisi imbarazzata,
portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Mi
sorrise teneramente, comprensiva.
“Io
e Rosalie dopo scuola abbiamo programmato di andare al centro
commerciale,
perché non ti unisci a noi? – chiese, ripetendo
per la seconda volta la sua
domanda. – E ovviamente i ragazzi verranno con noi”
aggiunse poi, sorridendo
diabolica in direzione dei due poveracci che la guardavano sconvolti.
“Come
scusa?!” domandò Edward, alzando la voce di
qualche ottava.
“Certamente…”
ribadì Alice, incrociando le braccia al petto.
“Non
puoi obbligarci, siamo tre contro una” borbottò
lui, guardandola di sbieco.
“Beh,
Emmett non ha problemi seguirebbe Rose ovunque. E Jasper non ha molte
chance, o
viene o a stecchetto per un mese” rispose lei con noncuranza,
facendo spallucce
sotto un indignato Jasper, che dopo un sospiro di rassegnazione
accettò l’offerta.
“Tranquilla
amore, ci penso io a lui. O viene o ce lo porto di peso”
disse il biondo con
voce autoritaria.
“Questa
me la paghi Jazz” sibilò Edward, squadrando
l’amico con fare minaccioso.
“Visto
che anche i nostri tre uomini vengono, tu che fai?” mi
domandò Alice
speranzosa, avvicinandosi ulteriormente a me.
“Io
non saprei…” risposi allusiva, non avrei mai e poi
mai voluto trascorrere un
intero pomeriggio con… lui.
“Ti
prego, ti prego, ti prego” continuò a ripetere,
prendendomi le mani e
guardandomi con espressione implorante.
“Va
bene, verrò con voi” risposi dopo un attimo di
esitazione, non seppi perché ma
non riuscii a dirle di no, forse perché ci teneva davvero
che andassi con loro.
“Oh
che bello! Grazie, grazie, grazie!” trillò felice,
saltandomi letteralmente
addosso e abbracciandomi con così tanto affetto, a cui non
potei fare a meno di
ricambiare.
“P-prego”
balbettai a disagio, non ero abituata a ricevere questo genere di
attenzioni.
“Andiamo
a dirlo agli altri Jasper, vieni con me!” saltellò
felice raggiungendo il suo
ragazzo e una volta preso per il braccio lo trascinò lungo
il cortile, senza
che lui avesse modo di ribattere.
Cominciai
ad agitarmi sul posto, restare sola con lui non mi faceva affatto bene.
“Come
al solito siamo rimasti solo io e te” mi ricordò,
dando voce ai miei pensieri.
Mi voltai verso quella voce tremendamente irritante, fulminandolo con
lo
sguardo.
“Sì,
purtroppo è così – borbottai
sospirando. – Però di una cosa sono certa: i tuoi
fratelli sono simpatici, l’esatto opposto di te”
aggiunsi poi, guardandolo
dritto negli occhi.
“Isabella,
chi ti dice che anche io non lo sia? – domandò
retoricamente. – Ma come farai a
scoprirlo se non dai a te stessa la possibilità di
conoscermi?”.
Sorrisi
amaramente di fronte a quella supposizione. Aveva ragione,
maledettamente
ragione, ma io non volevo e soprattutto non potevo legarmi a lui.
La
domanda che la mia mente continuava a ripetermi era: Perché
non puoi dargli questa opportunità? Dopotutto ti ha solo
chiesto
la possibilità di conoscervi, non ti ha chiesto la luna.
La
risposta era semplice, avevo paura. Maledettamente paura di legarmi a
una
persona, paura di soffrire di nuovo e le voci che circolavano su di lui
non
erano per niente positive. Sapevo che non avrei dovuto basarmi su
ciò, non ero
ma stata quel tipo di ragazza, ma si sa le cose cambiano e col tempo
avevo
imparato a badare a me stessa, nessuno si era mai preoccupato ad
aiutarmi… col
tempo ci avevo fatto l’abitudine.
“Chi
ti dice che io voglia conoscerti Cullen?” calcai per bene il
suo cognome,
cercando di dare alle mie parole tutto il disprezzo di cui ero capace e
forse
ci riuscii, perché per un istante mi guardò con
sguardo indecifrabile.
“Prima
o poi cambierai idea. Perché di una cosa puoi starne certa,
io non mi arrendo”
disse sicuro di sé. Alzai gli occhi per digliene quattro, ma
le parole mi
morirono in gola non appena vidi che si era pericolosamente
avvicinato a me, i
nostri visi a pochi centimetri di distanza. Distolsi lo sguardo,
fissando il
suolo e cercai di riprendere il controllo di me stessa.
“Ti
conviene lasciarmi perdere, è la scelta migliore”
risposi con voce neutra,
cercando di ricacciare indietro il magone. Ma per fortuna non se ne
accorse.
Si
avvicinò di un passo, guardandomi intensamente, per la prima
senza ombra di
ironia.
“Mai.
Non lo farò mai – rispose sicuro di sé,
dopodichè riassunse il suo tono
giocoso. – E ti conviene prepararti psicologicamente,
perché abbiamo un’intera
giornata da trascorrere insieme. Sai, forse non è stata una
cattiva idea dire
di sì ad Alice” alitò nel mio orecchio
con voce suadente. Si allontanò di pochi
centimetri, tanto che potei vedere quel suo sorriso sghembo che non
lasciava
mai il suo viso; dopodichè mi volse le spalle, dirigendosi a
passo lento
all’intero della scuola.
Rimasi
a osservarlo fino a quando non sparì dalla mia visuale e
solo allora potei
ricominciare a respirare. Il mio cuore batteva veloce, troppo veloce e
la cosa
non mi piacque per niente.
Smettila di battere, smettila
di battere. Continuavo a
ripetermi mentalmente come una mantra. Chiusi gli occhi e provai a non
pensare
a nulla, ma senza risultato.
Avrei
trascorso l’intero pomeriggio con lui, ma non era questo il
vero problema.
Ciò
che mi preoccupava maggiormente erano le mie emozioni, quelle che
provavo in
sua presenza, che mi facevano sentire così…
vulnerabile.
E
io per nulla al mondo volevo sentirmi così… mai,
era l’ultima cosa che
desideravo.
Guadai
l’orologio, mancava solo un’ora alla fatidica
uscita. Sospirando mi lasciai
cadere sulla panchina, sperando con tutta me stessa che
quell’ora sarebbe trascorsa molto lentamente.
Grazie mille per le vostre
splendide recensioni, siete fantastici. GRAZIE!
Domani troverete qui le risposte :)
Ringrazio di cuore chi mi ha
aggiunta tra i preferiti, chi tra i seguiti, tra autori preferiti e tra
le ricordate.
Grazie
a tutti voi che mi seguite, grazie, grazie, grazie!
Non so davvero come ringraziarvi siete fantastici.
Vi adoro immensamente <3
Baci, Dreams.
|
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Capitolo 6 *** Potrò mai essere felice? ***
Come
promesso sotto troverete le risposte a tutte le recensioni! :)
Ciaooo
a tuttiiiiii! Come state? Spero bene!
Eccomi qui come promesso con l'aggiornamento! Questo capitolo
è particolarmente importante, ce l'ho in mente da circa tre
mesi e spero di essere riuscita a spiegarmi bene almeno. E a descrivere
tutto come la mia mente bacata aveva progettato.
Ci sarà una svolta, non definitiva ma una svolta.
Ci ho messo parte di me stessa e spero che riesca a trasmettervi le
emozioni che provavo io mentre lo scrivevo.
Waaaa, ma avete visto gli spezzoni di eclipse?! Meravigliooooooooosi!
Giugno quando arriviiiiii?! Non resisto
piùùù
ç____ç
Ok, son malata, è ufficiale. Ora la smetto di blaterare e vi
lascio al capitolo xD
Grazie di cuore a tutti, vi adoro <3 Buona lettura!
Vorrei dedicare questo capitolo a
una persona a me cara, che mi ha aiutata moltoe mi ha sopportata:
Shasha5.
Grazie amora, per tutto.
Ti voglio un mondo di bene. Questo capitolo è dedicato a te,
spero ti piaccia <3
6.
Potrò mai essere felice?
Pov
Edward
“Cause
I want it now
I want it now
Give me your heart and your soul
And I'm breaking out
I'm breaking out
Last chance to lose control”
Hysteria, dei Muse.
Sbuffai sonoramente e per l’ennesima volta mi ritrovai a
cambiare stazione
radio alla ricerca di qualcosa di interessante, ma senza risultato.
L’auto sfrecciava per le strade di Forks ed io continuavo
a premere il tasto avanti senza sosta, perso nei miei pensieri.
“Basta, la vuoi smettere?!” tuonò una
voce accanto
a me, infastidita. Chi altro poteva essere se non Isabella?
Eravamo diretti al centro commerciale, Alice mi
aveva costretto – nel vero senso della parola – ad
andare con loro, neppure
Jasper mi era stato d’aiuto, anzi aveva appoggiato il
folletto. Non ci stavamo
tutti sulla mia Volvo, così lei ebbe la brillante idea di
prendere la sua
Porsche gialla, caricando in macchina con sé Rosalie ed
Emmett, lasciando così
me ed Isabella in auto da soli. A me la cosa non dispiaceva affatto, ma
sfortunatamente la mia compagna di viaggio non la pensava
così. Era
intrattabile per qualsiasi cosa le dicessi e ciò non faceva
altro che
alimentare il mio buon umore.
Mi voltai, alzando un sopracciglio e un sorriso
divertito si dipinse sul mio volto non appena incontrai il suo sguardo
contrariato… era davvero buffa.
“Qualche problema, Madame?” la canzonai, cambiando
nuovamente canzone.
“Sì, tu sei il mio problema. –
Borbottò, alzando
leggermente la voce. – Non solo mi tocca stare in auto con
te, ma sono anche
costretta a subirmi i tuoi stupidi comportamenti da bambino
immaturo… - iniziò
seccata - La vuoi smettere di cambiare canzone?!”
ripetè per la centesima
volta, bloccando il mio braccio che si stava allungando verso la radio.
Una scossa attraversò il mio corpo, perché nel
fermarmi la sua mano si era posata delicatamente sulla mia. Per un attimo i nostri occhi
si incontrarono e
in quella frazione di secondo notai che vi era una luce nuova
all’interno di
essi. Cercai di riprendere il controllo di me stesso, volgendo
così lo sguardo
alle nostre mani unite e solo ora lei si rese conto della situazione in
cui
eravamo, infatti ritirò la mano, come scottata ed
incrociò le braccia al petto.
Si voltò dalla parte opposta, osservando fuori dal
finestrino. Avrei preferito
che mi insultasse tutto il viaggio piuttosto che sopportare il suo
silenzio, mi
faceva sentire ansioso.
La osservai per un istante, indossava un semplice
paio di jeans con un maglioncino rosa leggermente scollato, i capelli
castani
le ricadevano sulle spalle in semplici boccoli, incorniciando
così il suo
splendido viso… era assolutamente bellissima.
Scossi la testa frustrato, non dovevo cedere a
questo genere di pensieri. Premetti il piede
sull’acceleratore, amavo andare
veloce e forse ciò mi avrebbe distratto almeno in parte.
Sobbalzò spaventata, come se si fosse appena
svegliata dal suo stato di trance e si girò immediatamente
dalla mia parte,
puntando gli occhi sul tachimetro.
“S-stai andando a 120 km/h?” domandò
titubante,
cercando di dare un tono alla voce.
“Amo andare veloce” le risposi, come se fosse la
cosa più ovvia al mondo.
“Ma
sei impazzito! Vuoi farci ammazzare?! Frena immediatamente!”
urlò,
aggrappandosi fermamente al sedile.
“Mmm,
perché dovrei farlo?” le chiesi voltandomi
leggermente per guardarla, volevo
vedere il suo viso.
“Guarda
la strada! E rallenta…” iniziò, ma non
concluse la frase perché premetti
nuovamente l’acceleratore.
Sorrisi
divertito da quella sua paura della velocità, aspettando
impaziente una sua
reazione, ma non ricevetti risposta. Mi voltai curioso e non appena la
vidi il
sorriso mi morì dalle labbra; si era portata le gambe al
petto, con la testa
affondata fra di esse e il suo corpo tremava leggermente.
Solo
ora mi resi conto che eravamo arrivati a destinazione, così
senza pensarci due
volte parcheggiai l’auto e mi sporsi nella sua direzione.
“Isabella,
stai bene?” domandai in un sussurro, sfiorandole
delicatamente la spalla.
Alzò
immediatamente la testa e non appena i suoi occhi incontrarono i miei
non potei
non accorgermi di un particolare: erano lucidi e continuava a
torturarsi le
labbra, come per trattenere le lacrime.
Istintivamente
la mia mano andò ad accarezzarle i capelli, ma lei
sembrò non apprezzare quel
gesto e me la scostò in malo modo, allontanandosi di scatto.
“Sei
un idiota!” urlò con voce spezzata rivolgendomi
uno sguardo carico d’odio,
dopodichè scese velocemente, sbattendo la portiera.
Per
un minuto interminabile rimasi lì, a fissare il suo sedile
vuoto, incapace di
muovermi e di parlare. Che diavolo le era preso?
Con
questi pensieri per la testa scesi dall’auto raggiungendo gli
altri, che molto
probabilmente erano in fibrillazione per lo shopping. Sicuramente tutti
tranne lei.
Sbuffai
sonoramente, era da circa due ore che giravamo in quel maledetto centro
commerciale, alla ricerca di non so cosa.
Alice
e Rosalie erano su di giri, non facevano altro che vagare da un reparto
all’altro trascinando con sé i loro compagni.
Poverini, non vorrei essere al
loro posto. Pensai,
ringraziando il cielo.
Isabella
li seguiva come un automa, sorridendo di tanto alle stupide battutine
che
sparava Emmett. Vederla sorridere era qualcosa di unico,
indescrivibile. Ma
c’era qualcosa che non andava, forse perché quel
sorriso non era rivolto a me.
“Eddino,
perché quella faccia pensierosa?”
domandò un vocione accanto al mio orecchio e
preso alla sprovvista sobbalzai spaventato.
“Ma
sei coglione?! Mi hai fatto prendere un colpo!” sbottai
infastidito, tirandogli
un pugno sulla spalla.
“Ahia
– borbottò massaggiandosi la parte dolorante.
– Non è colpa mia se tu hai la
testa altrove. Anzi se non fai altro che pensare alla
moretta” ridacchiò
sfottendomi.
“Io
non sto pensando proprio a nessuno. Meno la vedo e meglio sto, hai
capito orso?”
chiesi retorico, incrociando le braccia al petto.
“E
allora perché da quando siamo qui non fai altro che
guardarla? Ma soprattutto
visto che la odi come dici tu dovresti essere felice che non ti rivolga
la
parola, mentre non è così. Continui ad
osservarla, sperando che ti parli disse facendomi sgranare gli occhi,
ero stato punto nel vivo.
– Sarò pure
scemo, ma non ritardato. Non so cosa sia successo, però ti
conviene
parlarle”. Detto
questo ritornò da
Rosalie, lasciandomi confuso.
Aveva
ragione, maledettamente ragione. Pure quell’orso ci era
arrivato!
Avrei
preferito di gran lunga uno dei suoi
battibecchi piuttosto che la
sua indifferenza.
Perlustrai
la zona ansioso di incrociare il suo sguardo, avevo bisogno di parlarle.
“Cosa
stai cercando?” mi domandò una voce che avrei
conosciuto anche a chilometri di
distanza… Alice. Per la seconda volta in un giorno
sobbalzai, voltandomi
infastidito.
“Oggi
volete farmi morire d’infarto” sbottai, leggermente
adirato.
“No
– ridacchiò – sono venuta a dirti che
Isabella è dentro il camerino, doveva
provarsi un paio di scarpe. Solo che io e gli altri dovremmo andare di
urgenza
al reparto accanto, quindi ti spiacerebbe aspettarla fuori e dirle che
siamo
andati via? Vi aspettiamo di là” mi
supplicò, facendomi gli occhioni dolci.
“Va bene
Alice” sospirai rassegnato. Anche se
dovevo ammettere che l’idea non mi dispiaceva. Sarebbe
stata un’occasione per parlarle, solo io e lei.
“Grazie,
grazie, grazie! Sei il migliore” trillò
entusiasta, saltandomi letteralmente in
braccio.
“Vattene
folletto, prima che cambi idea” le scompigliai
affettuosamente i capelli.
Mi
schioccò un bacio sulla guancia, dopodichè
raggiunse Jasper. Lo prese a
braccetto e lo trascinò fuori poco delicatamente, facendo
cenno anche a Rosalie
ed Emmett di seguirli.
Alzai
gli occhi al cielo, mia sorella non cambierà mai.
Feci
come mi aveva detto.
Mi
fermai davanti alla cabina, appoggiandomi di spalle alla parete.
Ma
quanto diavolo ci metteva a provarsi un paio di scarpe?!
Sbuffai
sonoramente e chiusi gli occhi, portandomi una mano davanti al viso,
fino a
quando non sentii la porta del camerino aprirsi.
“Isab-“
feci per parlare, ma non appena alzai lo sguardo le parole mi morirono
in gola.
Ciò
che vidi mi fece strabuzzare gli occhi, tanto che non mi sarei per
nulla
sorpreso se da un momento all’altro la mia mascella avesse
toccato il
pavimento.
Isabella
era di fronte a me e indossava un elegante tubino nero, che gli
arrivava a mala
pena al ginocchio. La scollatura non era esagerata, ma il tessuto
aderiva
perfettamente al suo corpo, permettendomi così di vedere le
sue meravigliose
forme.
Aprii
la bocca, ma dalle mie labbra non uscì alcun suono. Avevo
perso l’uso della
parola.
Sapevo
che in quel momento stavo facendo la figura del coglione fissandola in
quel
modo, ma non me ne importava.
Le
stava d’incanto, era assolutamente bellissima.
Quando
mi sarei ripreso da quello stato di trance dovevo assolutamente fare
una cosa e
me lo appuntai nella mente: uccidere Alice.
Pov
Bella
Respira Bella, mantieni la
calma. Continuavo a
ripetermi mentalmente questa frase come una mantra, sperando in tutti i
modi
che funzionasse.
Era
da circa dieci minuti che me ne stavo immobile, fissando un punto
indefinito
avanti a me. Tutto pur di non guardare lui, perché sapevo
che se l’avessi
fatto sarei sicuramente arrossita per l’imbarazzo e avrei
perso l’uso della
parola.
I
suoi occhi mi scrutavano attentamente dall’alto verso il
basso, facendomi uno
scan completo. Mi portai le braccia intorno al petto, cercando in
qualche modo
di coprirmi.
“Ehm…”
tossicchiai, sperando la smettesse di guardarmi in quel modo che mi
metteva
terribilmente in soggezione. E per mia fortuna funzionò,
perché sembrò
risvegliarsi dallo stato di semi-incoscienza nel quale era caduto.
“I-io
scusa è che Alice mi ha detto di aspettarti qui fuori
perché ti stavi provando
un paio di scarpe. Io non s-sapevo che ti stessi provando questo
vestito e…”
balbettò frasi a raffica, tanto che dovetti concentrarmi per
capire quello che
stava dicendo.
“No,
no tranquillo Cullen, è solo che non mi aspettavo di trovare
te qua fuori, ero
convinta c’era Alice. Altrimenti mi sarei cambiata”
spiegai, cercando di
mantenere un tono di voce neutrale, anche se l’unica cosa che
desideravo fare
era scappare via, da qualunque parte - non m’importava dove -
e nascondermi.
Si
passò nervosamente una mano tra i capelli, puntando
nuovamente gli occhi sul
mio corpo e la cosa m’infastidì più del
lecito. Così gli diedi le spalle e feci
per andarmene, ma una mano si posò mio polso… la sua. Mi
attirò a sé e la
mia schiena andò a scontrarsi con il suo petto. Immerse il
viso nell’incavo del
mio collo e con il naso percorse i miei lineamenti, fino ad arrivare al
lobo
dell’orecchio; potei sentire il suo respiro solleticarmi i
capelli e ciò mi
fece improvvisamente rabbrividire.
“Mi
dai dell’idiota, però vedo che questo genere di
attenzioni non ti dispiacciono
affatto” mormorò con voce sensuale nel mio
orecchio. Ciò bastò a farmi
rinsavire e a farmi allontanare immediatamente da lui.
“Ribadisco
Cullen: sei un idiota” sbottai, entrando a passo deciso nel
camerino.
Mi
appoggiai alla porta, cercando di regolarizzare il respiro e senza che
potessi
farci nulla le mie gote s’imporporarono. Che situazione
imbarazzante, sperai
con tutta me stessa di non riviverla mai più.
Velocemente
mi tolsi quel dannato vestito che Alice mi aveva –
letteralmente – costretto di
indossare e rimisi i miei comodi jeans e il maglioncino fucsia.
Sperai
per Alice che non si presentasse davanti a me, altrimenti
l’avrei spennata.
Trascorsero
ben dieci minuti prima che mi decidesi di uscire da lì, ma
infine – anche se
con riluttanza – lo feci. Era ancora lì,
appoggiato al muro, sempre con quel
sorriso stampato sulle labbra.
“Finalmente.
Credevo che gli alieni ti avessero rapita” disse sarcastico,
incrociando le
braccia al petto. Ciò bastò per irritarmi.
“Avrei
preferito di gran lunga essere rapita dagli alieni, piuttosto che
trascorrere
del tempo con te” ribattei, non vi era ombra di ironia nella
mia voce.
Un
sospiro sfuggì dalle sue labbra e i suoi occhi si
incatenarono ai miei.
“Andiamo,
Alice e gli altri ci aspettano fuori” rispose, ignorando
completamente ciò che
dissi. Annuii sconfitta; non avevo voglia di discutere, ma specialmente
non
volevo deluderli, visto che erano stati le uniche persone che avevano
avuto il
coraggio di avvicinarsi a me.
Presi
lo zaino e senza spiccicare parola lo seguii all’esterno del
centro commerciale
***
Sbuffai
sonoramente, guardando per l’ennesima volta il mio orologio
da polso: erano le
cinque di pomeriggio. Era da circa un’ora che ce ne stavamo
seduti su quella
maledetta panchina… solo io e lui. Silenzio, spezzato
solamente dal rumore
delle auto che passavano e dalle urla delle persone, che sorridevano e
chiacchieravano.
Distolsi
lo sguardo da esse e presi a fissare le mie mani strette in grembo.
“Dove
sono gli altri?” domandai ad un certo punto, sentivo che la
mia pazienza stava
per svanire.
“Non
ne ho idea” rispose sincero, voltandosi nella mia direzione.
“E
fare una telefonata no? Esiste il cellulare, sai?” chiesi
retorica, alzando un
sopracciglio.
Mi
lanciò un’occhiataccia, dopodichè fece
come gli avevo consigliato, o meglio
dire ordinato.
“Alice.
– la salutò poco educatamente. – Dove
siete?” le domandò impaziente, molto
probabilmente senza darle il tempo di rispondere.
Parlò
velocemente, tanto che non riuscii a capire nulla di quello che si
stavano
dicendo.
“E
perché mai non ci avete aspettato qui?! – la sua
voce mi ridestò dai miei
pensieri – Ok, arriviamo, ci vediamo tra poco”
sospirò, dopodichè richiuse il
cellulare, depositandolo nella tasca dei jeans.
“Che
hanno detto? Dove sono?” domandai curiosa, però la
mia voce uscì irritata… di
nuovo.
“Sono
al lunapark” disse, alzandosi finalmente in piedi.
“Al
l-lunapark?” balbettai tremante, sperando con tutta me stessa
di aver capito
male.
“Esattamente”
rispose semplicemente, come se fosse la cosa più ovvia al
mondo.
“Io
non ci vengo” risposi decisa, aggrappandomi con forza alla
panchina.
“E
perché non dovresti?” domandò,
leggermente scettico.
“Perché…”
aprii la bocca pronta a parlare, ma la richiusi immediatamente.
“Perché?”
ripetè curioso, scrutandomi
intensamente forse per il mio improvviso cambio d’umore.
Cosa
avrei potuto rispondergli? No, non voglio venire al lunapark,
perché
solo se ci mettessi piede ricorderei cose che voglio assolutamente
dimenticare.
No,
non potevo assolutamente dirgli questo. Strinsi forte le palpebre, al
solo
pensiero le lacrime premevano per uscire, ma con una grande forza di
volontà
riuscii a ricacciarle indietro.
“Non
voglio andarci, per favore…” sussurrai
flebilmente. Sobbalzò, voltandosi
completamente nella mia direzione. Annuì lievemente e prese
il cellulare,
chiamando – molto probabilmente – Alice. Mi alzai
in piedi, in modo da dar loro
un po’ di privacy e presi a camminare avanti e indietro.
Sospirai
sollevata, non so cosa gli fece cambiare idea, forse il mio tono di
voce. Non
mi ero mai abbassata al livello di pregare una persona, ma non
m’importava. Non
ora almeno.
Chiusi
gli occhi, beandomi del leggero venticello che mi sferzava il viso,
scompigliandomi dolcemente i capelli. Quanto avrei voluto che ci fosse
il sole,
ma soprattutto quanto avrei voluto essere a…
No, no, no. Smettila! Mi ammonii
mentalmente, cercando di
respirare regolarmente.
“Isabella”
la sua
voce mi richiamò nel silenzio, facendomi sobbalzare.
Sbuffai infastidita,
volevo solo avere un po’ di pace. Chiedevo tanto?
Mi voltai di
scatto, senza fare attenzione a dove mettevo i piedi… mossa
sbagliata, dato che
inciampai su un sasso. Chiusi gli occhi aspettando il contatto con il
suolo, ma
ciò non avvenne perché sentii due braccia forti
sorreggermi e mi scontrai così
con un petto; alzai il capo confusa e ciò che vidi mi fece
mozzare il respiro.
Il suo viso era a
pochi centimetri dal mio, potevo sentire il suo respiro solleticarmi le
labbra.
Mi scrutava preoccupato.
“Stai bene?”
domandò in un sussurro, scrutandomi attentamente. In quel
momento i suoi occhi
verdi erano totalmente sinceri che non potei fare a meno di annegarci
dentro.
Annegai in quel mare e sperai con tutta me stessa d non riemergere mai.
“Sì…”
risposi flebilmente. Chiusi gli occhi e per un breve istante mi lasciai
andare,
adagiandomi contro il suo corpo. Un sospiro sfuggì dalle mie
labbra, seppur
avessi cercato in tutti i modi di reprimerlo.
Mi
sentivo stranamente rilassata, la mia mente era completamente sgombra
di
pensieri, come se stare tra le sue braccia fosse qualcosa che mi faceva
stare
bene.
Sentii
le sue labbra posarsi sui miei capelli e un brivido mi percorse.
Ripresi il
controllo e con uno scatto repentino mi staccai da lui, incrociando le
braccia
al petto.
“Grazie
per avermi presa” mormorai, distogliendo lo sguardo dai suoi
occhi.
“E’
stato un piacere” rispose lui, mentre un sorriso si dipinse
sul suo volto. Un
sorriso diverso, che fece aumentare i battiti del mio cuore.
“Ho
chiamato Alice – mi ricordò e solo quando sentii
la sua voce capii che per
l’ennesima volta mi ero persa nei miei pensieri, dovevo
smettere di farlo. – E
ha detto che non è un problema per il lunapark”
disse, iniziando a camminare.
Annuii
impercettibilmente e lo seguii, sperando che non trattasse di nuovo
l’argomento.
“Dove
stiamo andando?” chiesi dopo svariati minuti, curiosa.
“Tra
poco vedrai, vieni” esclamò, tendendomi la mano.
Rimasi per alcuni secondi ad
osservarla, indecisa su cosa fare. Scossi leggermente la testa, che
diavolo mi
prendeva?
“Devo
preoccuparmi?” domandai retorica, infilando le mani in tasca,
rifiutando così
la sua. Lasciò cadere il braccio lungo il fianco e per un
istante il suo
sguardo si fece deluso, oserei dire triste.
“No.
Fidati di me” sorrise, facendomi sobbalzare. Non riuscii a
dire di no a quel
sorriso e così commisi lo sbaglio più grande
della mia vita… lo seguii.
***
Mi
guardai attorno, completamente spaesata.
Eravamo
in un parco, era enorme; la gente passeggiava chiacchierando, i bambini
correvano e giocavano. Era uno scenario così…
felice.
Edward
camminava al mio fianco, non aveva smesso di sorridere neanche per un
secondo.
“Questo
è il parco di Forks, è stato aperto otto anni fa,
proprio in questo giorno.
Ogni anno per l’inaugurazione vi sono bancarelle e giochi per
bambini. Sin da
piccolo amavo venirci e d’allora sono sempre qui quando ci
sono questo genere
di feste” m’informò, perso nei suoi
pensieri. Lo guardai di sottecchi e non potei
fare a meno di ammirarlo; con quell’espressione rilassata,
senza ombra di
sfacciataggine sul viso era… bello.
Si
voltò, incontrando così i miei occhi che lo
scrutavano attentamente.
“E’
che sei… buffo” mi affrettai a spiegare.
“Buffo?”
domandò, alzando un sopracciglio con fare interrogativo.
“E
oserei dire che sei meno odioso del solito, per il momento”
risposi
sinceramente, mentre l’ombra di un sorriso si dipinse sul mio
viso.
“Sono
felice che la pensi così” esclamò
ricambiando il sorriso, abbagliandomi
completamente. Aprii la bocca, ma da essa non uscì alcun
suono.
“Vieni,
ora ci sarà da divertirsi” proferì,
senza darmi il tempo di replicare mi prese
per mano e mi trascinò con sé verso la prima
bancarella. I miei occhi si
posarono sulle nostre dita intrecciate; la sua mano stringeva con
delicatezza
la mia, che giaceva inerme nella sua.
Il
mio povero cuore sussultò e prese a battere forte, come se
da un momento
all’altro volesse uscirmi dal petto.
Che diavolo mi stava succedendo?
Fino
a due ore fa avrei voluto ucciderlo e desideravo con tutta me stessa
che
uscisse fuori dalla mia vita, mentre perché ora con un
semplice sfioramento
riusciva a destabilizzarmi completamente? Non
poteva succedere, non poteva.
Feci
per sfilare la mia mano dalla sua, ma non appena guardai per
l’ennesima volta
il suo viso non riuscii a farlo… aveva un espressione
così pacifica.
Mi
portai la mano libera tra i capelli scompigliandoli leggermente,
frustrata.
“Eccoci,
siamo arrivati” la sua voce mi fece rinsavire immediatamente.
Alzai di scatto
la testa e un sorriso involontario si dipinse sul mio viso. Di fronte a
me vi
erano una montagna di peluche di diverso tipo e il mio occhio
andò a puntare
quello di un orso, uno splendido orso gigante.
Lo
guardai per un minuto interminabile e i ricordi presero forma nella mia
mente.
Per il mio sesto compleanno Renée mi
aveva
regalato un orsacchiotto bellissimo, dal quale non mi separavo mai,
nemmeno
quando andavo a dormire. Era diventato il mio compagno di giochi e
l’avevo
chiamato Tom, era ancora a Phoenix, tra i miei vecchi giocattoli di
quando ero
bambina.
E
ora guardando quel peluche non potei fare a meno di provare una
dolorosa
stretta allo stomaco, che cercai in tutti i modi di mascherare.
Sentii
una mano posarsi sulla mia spalla e capii immediatamente di chi si
trattasse,
senza neanche girarmi. Presi un profondo respiro e – seppur
dopo un attimo di
esitazione – mi voltai, incontrando così i suoi
occhi che mi scrutavano
attentamente.
“Bellissimi
questi peluche” mi affrettai a dire, cercando di lenire la
tensione che si era
momentaneamente creata.
Mi
sorrise dolcemente, dopodichè si avvicinò al
bancone, appoggiandosi ad esso con
i gomiti.
“Ciao
giovanotto - lo
salutò la responsabile,
una signora di mezz’età. – Vuoi provare
a giocare?” gli domandò cortesemente,
con un’ombra di speranza nello sguardo.
“Salve
– ricambiò Edward, sorridendole gentilmente.
– Mmm sì vorrei provare a giocare.
Che peluche ti piace, Isabella?” domandò
all’improvviso, lasciandomi
completamente spiazzata.
“Come?”
chiesi completamente confusa, facendo ridere sia lui che la
responsabile.
Ignorò
la mia domanda, rivolgendo la sua attenzione alla signora, porgendole
una
banconota da cinque dollari.
“Non
vorrai giocare davvero?” domandai, affiancandolo con
titubanza.
“Certo
che sì” fece spallucce, guardandomi di sottecchi.
“Secondo
me non beccherai neanche un canestro” lo scimmiottai,
convinta pienamente della
mia ipotesi.
“Swan,
non c’è niente che io non sappia fare. E ora
osserva attentamente le mie
splendide doti nel basket” sul suo viso apparve un sorriso
sornione. Feci per
ribattere, ma prontamente mi bloccò con un gesto della mano.
Mi morsi la
lingua, imponendomi di non rispondere e stranamente ci riuscii.
Mi
appoggiai al bancone, mentre lui si preparava al
“lancio”. Mi osservò di
sottecchi sorridendomi, dopodichè lanciò la
palla, facendo canestro al primo
colpo.
Sgranai
gli occhi, incredula. Era davvero concentrato, tanto che sul suo viso
vi era
dipinta un’espressione seria, che mai avevo visto prima di
allora.
Un punto, due punti, tre
punti, quattro punti…
La
palla continuava ad entrare nel canestro, con una velocità
disarmante e
l’agilità con cui giocava non fece altro che
spiazzarmi.
“C-come
hai fatto?” balbettai spalancando la bocca quando raggiunse
un totale di dieci
punti, il massimo e non mi sarei stupita se da un momento
all’altro la mia
mascella avesse toccato il suolo.
"Quale peluche desidera regalare alla signorina?" domandò la
responsabile.
“L’orso
gigante a destra” rispose immediatamente, senza esitazioni.
“Ecco
a voi - rispose
lei, posandomi
delicatamente il peluche tra le braccia. – Spero di rivedervi
presto da queste
parti” esclamò, salutandoci con un gesto della
mano.
“Certamente”
rispose Edward, sorridendole gentilmente; dopodichè mi
posò una mano sulla
spalla, invitandomi a seguirlo.
“Come
facevi a sapere che…?” chiesi confusa, lasciando
la domanda in sospeso in modo
teatrale.
“Ti
ho visto prima, non facevi altro che osservare quell’orso con
aria malinconica,
forse vecchi ricordi. Eri assorta nei tuoi pensieri e in quel momento
ti ho
vista… serena, non mi era mai capitato prima
d’ora” rispose, osservando un
punto indefinito di fronte a sé.
Sentii
le gambe cedermi, ma non so come riuscii a non cadere.
“Per
questo ho deciso di regalartelo” spiegò,
guardandomi intensamente. Lo guardai
negli occhi e in quel momento la sensazione di vuoto che stavo provando
sparì
improvvisamente.
“Grazie,
è stato un gesto carino da parte tua. Non me lo
aspettavo” sussurrai
flebilmente, stringendo l’orso tra le braccia.
“Te
l’ho detto Isabella, tu non mi conosci. Potrei stupirti, se
solo me ne dessi
l’opportunità” mormorò
sincero. Aveva ragione, maledettamente ragione. Non gli
avevo mai dato un’occasione, mai. Ma la verità era
che avevo paura,
approcciarmi con le persone non faceva per me. Meglio isolarmi e stare
male
solo io, piuttosto che far soffrire la gente che mi circonda.
“Hai
ragione, non ti ho mai dato nessuna opportunità e forse mai
te la darò. Ma non
è questo il punto, la verità è che
è solo colpa mia” ammisi, abbassando lo
sguardo.
“Colpa
tua? Perché dici questo?” chiese strabuzzando gli
occhi, sbalordito.
Che mi succede, perché sto
mostrando le mie debolezze? No, no, no.
Per
un minuto interminabile rimasi immobile, ad osservare il suo viso.
“Non parlo con le
persone modeste” cercai di sdrammatizzare, colpendolo
scherzosamente
sulla spalla.
“Questo non
avresti dovuto farlo” esclamò, alzando un
sopracciglio. Parve che il mio tentativo di
persuaderlo funzionò.
“Me
la sto facendo sotto” borbottai a bassa voce, incrociando le
braccia al petto.
“E’
meglio se inizi a correre” rispose, mentre sul suo viso si
dipinse un ghigno
che non mi piacque per niente.
“Ma
che…?” iniziai, ma non feci nemmeno in tempo a
finire di parlare che prese a
rincorrermi. Scappai per svariati minuti, fino a quando non mi
acchiappò.
“Dicevi?”
alitò a pochi centimetri dalle mie labbra.
“Che
forse è meglio tornare a casa” un sorriso
spontaneo si dipinse sul mio volto,
al quale ricambiò con altrettanta intensità,
abbagliandomi. Mi lasciò andare e
insieme ci incamminammo per il vialetto, dove in lontananza potei
scorgere la
sua Volvo metallizzata.
“Come
facevi a sapere che…?” chiesi confusa, lasciando
la domanda in sospeso in modo
teatrale.
“Ti
ho visto prima, non facevi altro che osservare quell’orso con
aria malinconica,
forse vecchi ricordi. Eri assorta nei tuoi pensieri e in quel momento
ti ho
vista… serena, non mi era mai capitato prima
d’ora” rispose, osservando un
punto indefinito di fronte a sé.
Sentii
le gambe cedermi, ma non so come riuscii a non cadere.
“Per
questo ho deciso di regalartelo” spiegò,
guardandomi intensamente. Lo guardai
negli occhi e in quel momento la sensazione di vuoto che stavo provando
sparì
improvvisamente.
“Grazie,
è stato un gesto carino da parte tua. Non me lo
aspettavo” sussurrai
flebilmente, stringendo l’orso tra le braccia.
“Te
l’ho detto Isabella, tu non mi conosci. Potrei stupirti, se
solo me ne dessi
l’opportunità” mormorò
sincero. Aveva ragione, maledettamente ragione. Non gli
avevo mai dato un’occasione, mai. Ma la verità era
che avevo paura,
approcciarmi con le persone non faceva per me. Meglio isolarmi e stare
male
solo io, piuttosto che far soffrire la gente che mi circonda.
“Hai
ragione, non ti ho mai dato nessuna opportunità e forse mai
te la darò. Ma non
è questo il punto, la verità è che
è solo colpa mia” ammisi, abbassando lo
sguardo.
“Colpa
tua? Perché dici questo?” chiese strabuzzando gli
occhi, sbalordito.
Che mi succede, perché sto
mostrando le mie debolezze? No, no, no.
Per
un minuto interminabile rimasi immobile, ad osservare il suo viso.
“Non parlo con le
persone modeste” cercai di sdrammatizzare, colpendolo
scherzosamente
sulla spalla.
“Questo non
avresti dovuto farlo” esclamò, alzando un
sopracciglio. Parve che il mio tentativo di
persuaderlo funzionò.
“Me
la sto facendo sotto” borbottai a bassa voce, incrociando le
braccia al petto.
“E’
meglio se inizi a correre” rispose, mentre sul suo viso si
dipinse un ghigno
che non mi piacque per niente.
“Ma
che…?” iniziai, ma non feci nemmeno in tempo a
finire di parlare che prese a
rincorrermi. Scappai per svariati minuti, fino a quando non mi
acchiappò.
“Dicevi?”
alitò a pochi centimetri dalle mie labbra.
“Che
forse è meglio tornare a casa” un sorriso
spontaneo si dipinse sul mio volto,
al quale ricambiò con altrettanta intensità,
abbagliandomi. Mi lasciò andare e
insieme ci incamminammo per il vialetto, dove in lontananza potei
scorgere la
sua Volvo metallizzata.
***
Il
viaggio di ritorno fu abbastanza tranquillo, l’unico rumore
che spezzava il
silenzio nell’abitacolo era la radio. Parcheggiò
l’auto e scese, aprendomi la
portiera.
Lo
seguii e non potei fare a meno di notare che alle nostre spalle vi era
una
foresta, cominciai a preoccuparmi.
“D-dove
siamo?” balbettai, incrociando le braccia al petto.
Mi
guardò di sottecchi e scoppiò a ridere. “Siamo a casa mia, dove
credevi che ti avevo
portata?” domandò retorico,
ridendo ancora di più.
Non
potei fare a meno di sorridere, a volte ero proprio esagerata dovevo
ammetterlo.
“Vieni
ti accompagno a casa, altrimenti tuo padre chi lo sente?”
alzò gli occhi al
cielo, scuotendo lievemente il capo.
Mi
posò delicatamente una mano sulla schiena, invitandomi a
seguirlo e per
l’ennesima volta gli diedi retta.
L’orso
era ancora tra le mie braccia, non l’avevo mollato nemmeno
per un minuto e non
ero intenzionata a farlo. In quel momento non potei fare a meno di
pensare a
quanto fossi stata bene quel pomeriggio, mi sentivo… beata,
cosa che non
provavo dal tempo in cui mi ero trasferita qui a Forks. Sorrisi di
nuovo, non
seppi quante volte l’avevo fatto quella sera e non me ne
importava.
“Ammetto
che per un attimo ho pensato che…” feci per
parlare, ma una voce attirò la mia
attenzione.
“Mamma,
mamma guardami!” mi voltai curiosa. Una bambina stava
giocando a palla,
sorridendo alla madre. Per un minuto interminabile le osservai, fino a
quando
non fui costretta a distogliere lo sguardo… sarebbe stato
troppo per me.
“Isabella,
stai bene?” mi domandò Edward, seriamente
preoccupato.
“Sì,
sto bene” mormorai fingendo un sorriso, ma a lui non
sfuggì.
“Sicura?”
mi domandò, scrutandomi attentamente. Aprii la bocca per
rispondere, ma
qualcosa attirò nuovamente la mia attenzione.
“Sarah
attenta!” urlò la madre, mollando a terra le borse
della spesa. Mi voltai di
scatto e ciò che vidi mi mozzò il respiro. Un’auto sfrecciava ad alta
velocità,
mentre la palla della bambina era
finita in strada e lei senza pensarci due volte la rincorse. Sentii il
cuore
pompare veloce nel petto e sperai con tutta me stessa che
quell’auto frenasse,
ma ciò non accadde.
In
momenti come questi è impossibile ragionare e
l’istinto prende il sopravvento su
tutto. Perciò feci la cosa più stupida che
potessi fare… la raggiunsi. Mollai
l’orso per terra, sotto lo sguardo confuso di Edward.
“Isabella,
ma che…?” domandò, ma non sentii
ciò che disse perchè corsi a perdifiato in
strada,
fino a quando non mi trovai accanto alla bambina. La presi tra le
braccia,
stringendola forte al mio petto. La nascosi dietro le mie spalle,
frapponendomi
così tra lei e la macchina. I fari mi abbagliarono e
l’unica cosa che riuscii a
sentire fu una brusca frenata.
Serrai
gli occhi, stringendo forte le palpebre e inconsapevolmente iniziai a
tremare,
mentre ciò che non avrei mai voluto ricordare prese forma
nella mia mente,
facendomi perdere il contatto con la realtà che mi
circondava.
[Inizio
Flashback].
L’auto
sfrecciava sulla strada, eravamo di ritorno dalla biblioteca, non avevo
voglia
di tornare a piedi così supplicai mamma e Phil di venirmi a
prendere. Dopo
svariati tentativi riuscii finalmente a convincerli ed ora me ne stavo
seduta
comodamente sul sedile posteriore, canticchiando una canzone a me cara
che era
trasmessa alla radio.
“Bella,
allora com’è andata la giornata con i tuoi
amici?” mi domandò improvvisamente
Renée, destandomi dai miei pensieri.
“Bene
grazie, sono finalmente riuscita a prendere il libro che volevo leggere
da una
vita: Orgoglio e pregiudizio” dissi con aria sognante.
“Tua
figlia non cambierà mai” rise dolcemente Phil,
guardandomi attraverso lo
specchietto retrovisore. Mi unii alla loro risata, felice. Chiusi
momentaneamente gli occhi esausta, l’unica cosa che
desideravo era dormire, ma
non feci nemmeno in tempo a farlo.
“Phil,
frena!” urlò improvvisamente mia madre.
Aprii
di scatto gli occhi. Una luce accecante, una brusca frenata, delle urla
e poi…
nulla. Caddi nell’oscurità, dalla quale non sapevo
se mi sarei mai risvegliata.
[Fine
Flashback].
“NOOO!”
urlai, portandomi le
mani tra i capelli. Sentii delle urla, delle imprecazioni e qualcuno
che
chiamava disperatamente il mio nome, ma non me ne curai.
“Isabella, ti prego
rispondimi” avrei riconosciuto quella voce tra
mille… la sua.
Mi
accasciai al suolo, tremante. Caddi in un sonno profondo, sperando con
tutta me
stessa di trovare un po’ di pace. L’ultima cosa che
sentii prima di perdere i
sensi furono delle braccia, che mi strinsero forte colmando in parte
quel vuoto
che si era impossessato di me.
Pov
Edward
Rimasi
sul marciapiede, pietrificato.
“Isabella!”
urlai con tutto il fiato che avevo in gola. La mia mente continuava a
ripetermi: corri, cosa aspetti a farlo?! Ma le mie gambe non ne
volevano sapere di
muoversi.
L’auto
frenò improvvisamente, fermandosi a una spanna da lei.
Un
uomo sulla trentina aprì velocemente la portiera,
catapultandosi fuori.
“Oh
mio dio, non le avevo viste” rantolò frasi senza
senso disperato, portandosi le
mani tra i capelli. Mi fiondai su di lui prendendolo per il bavero
della giacca,
strattonandolo violentemente.
“Ma
quando cazzo avevi intenzione di frenare, eh?!” urlai
strattonandolo di nuovo.
“Rispondimi!”
sbraitai, ormai al limite della sopportazione.
Balbettò
frasi sconnesse, facendomi perdere ancor di più la pazienza.
Un gemito attirò
la mia attenzione e puntai così gli occhi su Isabella. Diedi
un’ultima spinta a
quel verme, dopodichè mi fiondai accanto a lei.
La
bambina scoppiò a piangere correndo a rifugiarsi tra le
braccia della madre,
che l’abbracciò consolandola, senza
però distogliere gli occhi dalla figura
rannicchiata in strada.
“Sei
impazzita? Cosa credevi di fare, eh? – le urlai contro,
prendendola per le
spalle. – Volevi fare l’eroina, ma non hai pensato
che così avresti rischiato
tu la vita?!” domandai retorico, alzando la voce. La scossi
lievemente, ma dato
che non ottenni risposta abbassai lo sguardo: aveva iniziato a tremare
e
continuava ad agitarsi sull’asfalto, mentre dalle sue labbra
continuavano ad
uscire gemiti di dolore.
“Isabella?”
provai a richiamarla, ma anche questa volta non mi rispose.
“Ti
prego rispondimi” mormorai preoccupato, iniziando ad andare
in panico. Ignorai
le imprecazioni che mi lanciarono i passanti e la presi tra le braccia,
sollevandola delicatamente dal suolo.
M’incamminai
velocemente verso casa Cullen, non potevo di certo mandarla a casa sua
in
queste condizioni.
“Isabella…”
continuavo a ripetere il suo nome, come una mantra.
Aprii
la porta con un calcio e con uno scatto repentino mi recai in camera
mia, dove
la posai delicatamente sul letto. Le tolsi le scarpe e la coprii con il
lenzuolo.
Feci
per andare a prenderle qualcosa di caldo, ma la sua voce mi
bloccò sul posto.
“Non
andartene, per favore” sussurrò flebilmente,
agitandosi. Mi voltai e senza
pensarci due volte mi accomodai sulla sedia accanto al letto.
“Sono
qui, non ti lascio. Sono qui” mormorai con tono rassicurante,
stringendole
delicatamente la mano.
“Non
lasciarmi…” ripetè con voce incrinata e
solo allora mi accorsi di un
particolare che mi mozzò il respiro: il suo viso era rigato
di lacrime.
Con
la mano libera le asciugai quelle lacrime - che sperai con tutto me
stesso di
non rivedere mai più sul suo splendido viso – e
presi ad accarezzarle
dolcemente i capelli.
“Sono
qui. Non ti lascio, te lo prometto” sussurrai, appoggiando la
fronte contro la
sua.
Non
c’era frase più vera di questa. Sapevo che
l’unico motivo per cui non mi aveva
respinto era perché era incosciente, ma non me ne
importava… io le sarei stato
accanto lo stesso, perché ormai non riuscivo a farne a meno.
La
osservai attentamente e non potei fare a meno di notare che era
bellissima,
assolutamente ed indiscutibilmente bellissima.
“Ogni
volta che avrai bisogno di me io sarò qui, potrai sempre
contare su di me” le
mormorai nell’orecchio, prima di affondare il viso nei suoi
capelli ed
inebriarmi del suo buonissimo profumo.
Orso
che Edward regala a Bella
_Risposte alle recensioni_
MirkoCullen96:
ciaoooo! Oddio quanti
complimenti O_____O grazie di cuore, davvero!
Non
mi aspettavo che la mia storia piacesse a qualcuno, ma sapere che
è il
contrario mi fa veramente felice. Poi tu sei dolcissimo, davvero ti
piace il mio stile di scrittura? O.o
Grazie, grazie, grazie!
Non so davvero ringraziarti per tutti i complimenti e gli apprezzamenti
che mi hai fatto.
Quando ho letto la tua
recensione la mia reazione è stata_: per dindirindina!
O__________O anzi le TUE recensioni ;)
Ahahahah mi sono anche
scompisciata, già Emmett ed Alice sono un'accoppiata
vincente, li adoro! Non potevo non metterli xD
mmm e per quanto andavano
a fare Rosalie ed Emmett erano cose abbastanza vietate, ma si sa come
sono loro 2 ;)
Edward
e Bella non si baceranno ancora purtroppo, ma in questo capitolo ci
saranno dei grossi, ma grossi passi avanti. In questo capitolo ci ho
messo tutta me stessa per farlo.
Ce l'avevo in mente da
tanto tempo e l'ho scritto col cuore, sperando che almeno sia uscito
decente ;)
Grazie mille per tutti i
complimenti, per apprezzare la storia e per le splendide recensioni, le
adoro!
Ecco qua il nuovo
capitolo, spero che ti piaccia^^ Un bacione!
Emma92:
Ciao
carissima!
Tranquilla dai, per questa volta ho deciso di perdonarti
ù.ù non sono
bravissima?? Scherzo ovviamente :D cmq ti ringrazio!
Eh
si Bella soffre
ma è
anche il bello della storia questo, è la sua sofferenza che
porterà avanti
tutto. Ma tranquilla andando avanti
riuscirà ad aprirsi, forse... Ti ringrazio di
cuore!
Sei
dolcissima
davvero e
ogni volta leggere tutti questi complimenti mi fa piangere
ç_ç grazie di cuore
e bè spero che anche questo capitolo ti sia
piaciuto.
Alla prossima cara
;) un
bacio!
asialea:
Ciaoooo! Ti ringrazio
molto per i complimenti :D sono felicissima che ti piaccia! Sai anche a
me
piacciono le ff che sono più fedeli alla storia, con vampiri
ecc...
come dici
te, però penso che ogni tanto si debba cambiare e in fondo
prendila come una What
if :D
Ti ringrazio ancora,
sei troppo gentile! Spero che anche questo capitolo
ti sia piaciuto!
Ciao, alla prossima ^^ Un bacione.
vanderbit:
ciaoooo! Grazie mille per
aver recensito, mi fa piacerissimo! :)
No, purtroppo
Bella non riesce a superare il trauma causato dalla perdita di
Renée e Phil, le ha cambiato la vita.
Ha
sofferto molto, specialmente perchè lei è
sopravvissuta e loro no. Poi
lei era in auto con loro, ma in questo capitolo si scoprirà
qualcosa in
più ;)
Ecco la giornata
shopping, spero che questo capitolo ti piaccia e non deluda ;)
Un bacione!
Linda88:
Ciao tesorooo!!
Scusami sono di nuovo in ritardo ù.ù ma purtroppo
con la scuola e vari impegni
sto sempre incasinata ç___ç
Allora sono
contenta che le emozioni che descrivo
arrivino *-* ciò mi rende felicissima davvero! Purtroppo
Bella soffre e
soffrirà ancora, il suo dolore è profondo e
ovviamente non può svanire così.
Sono contenta che
l’Edward di questa storia ti piaccia, è
particolare ma unico xD
Grazie mille per i complimenti che ogni volta mi fai, il tuo parere
è
importantissimo.
Spero che anche
questo capitolo ti sia piaciuto, è uno dei
capitoli più importanti! ;)
Grazie ancora di
cuore
<3 un
bacione!
Lau_twilight:
ciaooooooo tesora
miaaaaa *_____* grazie mille, davvero. Per
tutto.
Sono
davvero felice che la storia ti piaccia, poi lo sai il tuo parere
è
davvero importante per me e sapere che ciò che scrivo
è decente mi fa
felicissima *-*
Sì
Bella soffre molto e ho cercato di far capire ciò che prova
lei, spero
di esserci riuscita almeno in parte. Sì Bella si
riavvicinerà a
Charlie, stai tranquilla ;)
E per Edward,
sì ho sempre amato questo lato del suo carattere: dolce,
arrogante e sicuro di sè. Mi affascina *____*
Sì,
Edward nasconde anche molta dolcezza e romanticismo... si
vedrà proprio qui ;)
Ahahahahah
sì, ti uccido sempre con gli spoiler che ti mando in msn xD
Ma sta
volta mi son tenuta, volevo fosse una sorpresa :P
Perchè
questo capitolo è molto importante per me, perchè
ci sarà una svolta. E
spero di essere riuscita a scriverlo almeno decentemente, altrimenti mi
sotterro xD.
Scommetto che
appena finisci di leggere questo mi tartasserai su msn ahahahah xDDD
Ma non ti dirò nulla, prrrr :P
Grazie tesora, per
tutti i meravigliosi commenti che mi fai ogni volta.
Ti voglio troppo
bene <3 Un bacione, Elly.
Ila_cullen:
Ciaooooo! Grazie
mille cara, sono felicissima che il capitolo ti sia piaciuto.
Grazie, grazie, grazie. Per quanto riguarda Edward è davvero
preso da Bella, non è il suo gioco ;)
Ecco il nuovo capitolo, è uno dei più importanti
di questa storia ;) Spero ti piaccia, un bacione!
Shasha5: amora
miaaaaaaaaaaaaa *________* ahahahahah ti ho fatto
piangere di nuovo?
Oh per dindirindina, non me l'aspettavo. Non mi sembrava
così triste
lo scorso capitolo O.o
non oso immaginare
se leggi questo allora ahahahah xD. Sì
tratta male
Eddino, ma non lo fa con cattive intenzioni. Non insultare la mia
Bellina, chiaro?! u.ù
E
sì, Bella pian piano riuscirà ad aprirsi, fino ad
instaurare
definitivamente un rapporto con Charlie, però ci
vorrà del tempo ancora.
Ahahahahah
in ansia per lo shopping?! Eccoti qua il mio capitolo mia tesora! Anche
se però alla fine di questo mi dirai: ma io ora voglio
l'altro ç____ç
ti conosco troppo bene, muahahahah xDDD
Poi lo ammetto, l'ho
fatto finire criptico :P grazie mille
per tutti i complimenti che mi fai, sei davvero fantastica.
Tu
lo sai che il tuo parere è importantissimo per me e sapere
che ciò che
scrivo ti piace mi rende felicissima. Grazie, grazie, grazie sei
davvero un tesoro. Troppo gentile.
Grazie di cuore,
davvero. Spero che anche questo capitolo ti piaccia, è tutto
tuo ;) Ti voglio tanto bene amoraaa <3
Un bacione, Elly.
Rebussiii:
ciaooooooooo!!!
eheheh si Emmett ed Alice sono troppo forti XD un'accoppiata vincente
oserei
dire!
Con loro non ci si
annoia mai :P mmm cosa combinano dici? bè spero di
aver risposto alla tua domanda con il capitolo! Bene cara alla
prossima, un bacio :D
grepattz: ciao! Eh si Alice ed
Emmett li adoro *-* come potrebbero mancare nella mia storia?
:D
Certo per
Bella sarà una faticaccia, non posso dirti ovviamente se
riuscirà o meno ad
uscire completamente dalla sua sofferenza ma posso anticiparti ci
proverà! O
meglio verrà aiutata :D
intanto credo che in
questo capitolo tu troverai un po’
di cose importanti! :D Edward colpisce sempre
e non solo agli occhi ma anche al cuore XD avrà colpito
anche Bella al cuore?
Bè lo scoprirai! ;)
Bene vado adesso
baci alla prossima e grazie ^^
Ringrazio di cuore chi
mi ha aggiunta tra i preferiti (48 *.*)
chi tra le seguite (126 *.*)
chi tra autori preferiti (9*.*)
e chi tra le ricordate (16 *.*)
e ai lettori silenziosi.
Grazie,
grazie, grazie. A tutti voi che mi seguite e leggete la mia storia.
Non so davvero come ringraziarvi per il supporto che mi date. Vi
adorooo!
Un bacione, Elly.
|
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Capitolo 7 *** Me stessa. ***
Ciaooooooo
a tuttiiiiii! Dopo una lunga attesa eccomi finalmente tornata!
E
ora non vi libererete facilmente di me, muahahahahah xD Avete
visto Eclipse?! Io sì, alla prima e... ODDIO! Stavo
letteralmente morendo.
Cioè..
cioè.. cioè.. assolutamente meraviglioso! Mi sono
venuti i brividi. Poi la proposta è proprio come
me la immaginavo... che dire? WOW!
Ok,
scusate mi riprendo, ahahahahahah xD Okay, passiamo al
capitolo.. qui ci sarà una svolta, per Bella. Non
sarà un qualcosa di grande, ma qualcosa cambierà.
Ma
non illudetevi, lei deve ancora affrontare i fantasmi del suo passato,
perchè ancora la tormentano.
E
penso che in questo capitolo l'apprezzerete ;)
Grazie
mille per il vostro appoggio, siete fantastici.
E
ora la smetto di blaterare, altrimenti non sto più zitta! xD
Buona lettura! :)
7. Me stessa.
Pov Bella
Portare una
corazza ti evita il dolore, ma ti evita anche il piacere.
Celeste Holm
Ero
sola. Vagavo senza una meta. Non vi era nessun rumore intorno a me,
nessuna forma vivente... niente di niente, l'unica mia compagna era
l'oscurità.
Correvo, l'unica cosa che
desideravo era rivedere la luce, tutto quel buio mi spaventava
terribilmente. Cominciai ad agitarmi, terrorizzata, fino a quando non
vidi una figura non molto distante da dove mi trovavo.
"Bella". Il mio cuore si
fermò, avrei riconosciuto quella voce anche a chilometri di
distanza.
Mamma. Pensai,
mentre un
sorriso si dipinse sul mio viso.
Aprii la bocca pronta a
rispondere, ma dalle mie labbra non uscì alcun suono. Avevo
la gola secca, non sarei mai riuscita a parlare. Avanzai lentamente
verso di lei, volevo vederla, volevo sfiorarla e avere la certezza che
fosse davvero accanto a me.
Camminavo, impaziente di
raggiungerla, ma più mi avvicinavo e più lei si
allontanava. No, no, no.
Ti prego. Implorai mentalmente, ma questo non
bastò a fermarla. Indietreggiò sempre di
più, fino a sparire definitivamente dalla mia vista. Chiusi
gli occhi e mi lasciai cadere al suolo, stremata.
Perchè
non ti
vedo? Perchè non sei accanto a me? Perchè?
La mia mente era
affollata di domande, a cui non sapevo dare una risposta.
Mi raggomitolai
stringendo le ginocchia al petto, in cerca di protezione.
"Isabella.
Isabella. Isabella."
Alzai
la testa di scatto, qualcuno stava invocando il mio nome.
"Isabella,
ti prego - continuò - Ti prego!" supplicò con
voce incrinata.
Sentii
due braccia prendermi per le spalle, scuotendomi delicatamente.
"Ti
prego, apri gli occhi!".
Sempre
la stessa voce. No!
Avrei tanto voluto rispondere, lasciami
in pace, non voglio svegliarmi. Devo
vedere mia madre... io devo...
No
feci nemmeno in tempo a finire la frase, che fui riportata brutalmente
alla realtà.
Aprii
gli occhi di scatto e sbattei più volte le palpebre,
confusa. Non appena riuscii a mettere a fuoco la stanza mi resi conto
di non avere la minima idea di dove mi trovassi. Mi guardai attorno
incuriosita e ciò che vidi mi lasciò a bocca
aperta: un'enorme camera dalle pareti bianche, all'angolo vi era un
enorme armadio e accanto uno scaffale pieno di cd.
Persa
nei miei pensieri non mi resi conto che una mano aveva sfiorato la mia.
Sobbalzai e mi ritrassi immediatamente, mettendomi a sedere con uno
scatto repentino.
"Isabella..."
mormorò una voce accanto a me. Alzai il capo, confusa ed
incontrai così due splendidi occhi verdi.
"E-Edward?"
domandai, rilassandomi. Non potei fare a meno di notare che la mia voce
non era altro che un flebile sussurro.
"Ti
sei svegliata finalmente" bisbigliò, portandomi una ciocca
di capelli dietro l'orecchio. Chiusi gli occhi, beandomi appieno di
quel gesto.
"Stai
bene?" chiese poi, avvicinandosi lentamente.
"Che
è successo?". Ignorai la sua domanda, rispondendo con
un'altra.
Strinse
la mascella e i tratti del suo viso si irrigidirono improvvisamente.
"Che
è successo mi chiedi? - domandò retoricamente. -
Beh nulla di grave, a parte il semplice fatto che ti sei buttata in
mezzo a strada rischiando di farti investire, niente. Non è
successo proprio niente".
"L'ho
fatto per quella bambina. Stava per essere investita, rischiava di
morire" ribattei prontamente. Non vi era nulla di più
importante, quella bambina non poteva morire... non poteva. Ora era
salva e il resto non contava.
"E
apprezzo questo, il tuo gesto è stato memorabile. L'avrei
fatto anche io, ma riflettendo. Non hai minimamente pensato alle
conseguenze di ciò che stavi per fare? Non ci hai pensato?"
parlò massaggiandosi le tempie, cercando in tutti i modi di
mantenere la calma.
"Ora
è salva, questo è ciò che conta"
sbottai nervosa, esponendo ciò che realmente pensavo.
"TI
SBAGLI! - si alzò di scatto in piedi. - Non è
solo quello l'importante. Ciò che realmente conta
è che tu hai rischiato di morire!".
"Ma..."
aprii la bocca, pronta per ribattere, ma mi mise a tacere con un gesto
della mano.
"Niente
ma. Volevi morire, eh? La tua vita conta così poco per te?!"
alzò leggermente la voce, portandosi le mani tra i capelli e
prese a camminare per la stanza. Le sue parole mi bloccarono sul posto,
non mi aveva mai parlato in quel modo... mai.
"No,
non volevo morire" mormorai flebilmente, torturandomi il labbro
inferiore per impedire alle lacrime di scendere da un momento
all'altro. Abbassai lo sguardo, incapace di sostenere il suo.
Fissai
intensamente il copriletto azzurro, cercando in tutti i modi di non
pensare. La sua mano andò a posarsi sotto il mio mento e mi
alzò delicatamente il viso, in modo tale che i miei occhi
ritrovassero i suoi e solo in quel momento mi resi conto che aveva
ripreso posto accanto a me.
"Mi
sono spaventato a morte. Non ho mai avuto tanta paura in vita mia. -
bisbigliò, mentre i tratti del suo viso si addolcirono. -
Vederti su quella strada a gemere di dolore, poi inerme tra le mie
braccia è stato... atroce". La voce gli uscì
rotta, tanto che dovetti concentrarmi per capire quello che mi stava
dicendo.
"Se
ti
fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonato"
mormorò, posando la mano sulla mia guancia, accarezzandola
delicatamente.
Aprii
la bocca e la richiusi immediatamente, non sapevo cosa dire. E solo
ora, davanti al suo sguardo tormentato, mi resi conto che le parole non
sarebbero bastate per spiegare il mio comportamento e che avevo
commesso una grossa cavolata, mettendo a repentaglio la mia vita.
"Mi
dispiace..." sussurrai con voce incrinata, portandomi una mano tra i
capelli e scompigliandoli. Distolsi nuovamente lo sguardo e - senza che
me ne rendessi conto - un attimo dopo mi ritrovai tra le sue braccia,
con la testa premuta contro il suo petto. Mi irrigidii e per un breve
istante trattenni il respiro. Quel contatto inaspettato mi
aveva
fatto provare emozioni a me sconosciute.
Le
sue
labbra si posarono tra i miei capelli, lasciandoci un dolce bacio.
"L'importante
è che ora tu stia bene" mormorò, accarezzandomi
delicatamente la schiena nel vano tentativo di darmi sollievo.
Lasciai
cadere le braccia lungo i fianchi, inerme. E mi lasciai andare,
adagiandomi contro il suo corpo, posando stancamente la testa sulla sua
spalla. Chiusi gli occhi e cercai di respirare regolarmente, mentre i
battiti del mio cuore aumentarono freneticamente.
Mi
sentii stranamente bene, rilassata come mai era capitato prima d'ora.
Lottai contro le lacrime, che con una grande forza di
volontà riuscii a trattenere.
Cosa
mi stava accadendo? Mi sentivo così fragile accanto a lui.
Desideravo restare sempre così, farmi stringere dalle sue
braccia e piangere. Piangere per tutto il dolore che provavo, per
liberarmi da quella frustrazione che mi attanagliava lo stomaco da
troppo tempo... ma non lo avrei fatto.
Trattenni
il respiro, talmente era forte l'intensità di quel mio
pensiero.
Scossi
il capo, cercando di ritornare alla realtà e mi scostai da
lui; alzai lo sguardo e per l'ennesima volta mi scontrai con i suoi
occhi verdi. Avrei tanto voluto che le sue braccia fossero ancora
intorno alla mia vita; sentii una strana sensazione di vuoto, come se
mancasse qualcosa.
Strinsi
le braccia intorno al petto, come a voler placare quel vuoto.
"Stai
bene?" ripetè di nuovo, forse per l'ennesima volta,
scrutandomi intensamente.
"Sì,
sto bene. Mai stata meglio". Cercai di sorridere tentando di
alleggerire la tensione, ma molto probabilmente l'unica cosa che mi
uscii fu una smorfia.
Sentii
un tocco delicato sulla guancia, dove la sua mano si era posata,
accarezzandomi dolcemente.
"Scusami
per prima - mormorò, sfiorando il mio collo. - Non avrei
dovuto parlarti in quel modo".
"No,
avevi ragione. Sono stata un'irresponsabile, non ho pensato alle
conseguenze delle mie azioni. Mi sono comportata da stupida, come al
solito. - sorrisi amaramente. - Però non mi sono pentita di
quel che ho fatto" risposi seria, guardandolo dritto negli occhi.
Sorrise
dolcemente, posando le mani sulle mie spalle.
"Non
sei stupida, no. Tu sei altruista e il concetto è diverso.
Non vuoi farlo vedere agli altri, ma sono sicuro che sei una ragazza
fantastica" sussurrò, spostandomi una ciocca di capelli
dietro l'orecchio.
Scossi
la testa e mi alzai in piedi, incrociando le braccia al petto.
"Come
fai a dire questo? Non c'è nulla di speciale in me, niente.
Perciò per favore non dire cavolate, non lo puoi sapere"
sbottai, iniziando ad innervosirmi.
"Hai
ragione, non posso saperlo. Non ti conosco abbastanza, non ho nessun
diritto di giudicare. Ma questo può sempre cambiare"
mormorò, alzandosi dal letto.
Io...
io...
Avrei
tanto voluto rispondere, ma le sue parole mi avevano pietrificata sul
posto, non sapevo cosa dire. Perchè era maledettamente vero,
se lui non mi conosceva era solamente colpa mia, non gli avevo mai dato
un'opportunità.
Non
risposi e lui sospirò, mentre io mi limitai ad abbassare lo
sguardo.
Lo
sentii avvicinarsi e posizionarsi esattamente di fronte a me.
"Vieni,
andiamo in cucina. Dopo quello che è successo penso che una
cioccolata calda sia ciò che ti serve" la sua voce era
pacata; alzai la testa, titubante e notai che mi stava sorridendo
dolcemente. Un sorriso al quale non potei fare a meno di ricambiare,
seppur timidamete.
"D'accordo.
E cioccolata sia" annuii, lieta che avesse deciso di cambiare
argomento.
Mi
posò una mano dietro la schiena, invitandomi a seguirlo e
così feci. Mi guardai intorno e qualcosa si accese nella
mia mente.
"Ma
io
sono a casa tua?!" urlai improvvisamente, voltandomi nella sua
direzione.
"Beh
direi proprio di sì - rispose, fissandomi intensamente. -
Non dirmi che non te n'eri resa conto". Scoppiò a ridere
senza ritegno, appoggiandosi al tavolo con entrambe le mani per non
cadere.
"I-io
non ci avevo fatto caso. Cioè i-io..." balbettai frasi
sconnesse e molto probabilmente le mie guance presero fuoco.
Posò
le mani sulle ginocchia, come a volersi sostenere.
Borbottai
qualcosa di incomprensibile, totalmente imbarazzata, fino a quando non
me lo trovai accanto, una mano sotto il mio mento per alzarmi il viso.
Mi fissò negli occhi e nel suo sguardo non vi era
più ombra di ironia.
"Sei
bellissima quando arrossisci" mormorò sorridendo,
avvicinandosi fino a posarmi un dolce bacio sulla fronte. Chiusi gli
occhi al contatto delle sue labbra con la mia pelle e presto - troppo
presto - si staccò e mi voltò le spalle,
dirigendosi verso il fornello.
Strinsi
le braccia al petto e sospirai sconsolata. E capii una cosa, ovvero che
non ero più in grado di controllare le mie emozioni.
***
Eravamo
seduti al tavolo, uno di fronte all'altra. Tra le mani avevo una tazza
di cioccolata fumante che di tanto in tanto sorseggiavo; nella stanza
non volava una mosca. Ne diedi un altro sorso, dopodichè la
posai. Tossicchiai, portandomi una mano tra i capelli.
"Io
volevo..." iniziai, ma mi bloccai alzando finalmente la testa,
incontrando così il suo sguardo curioso.
"Ho
riflettuto molto su quello che mi hai detto e mi sono resa conto che ho
sbagliato. Mi sono comportata da stupida e immatura. Non ti ho mai dato
l'opportunità di conoscermi e sinceramente non ne ero
intenzionata. - sorrisi, cercando di sdrammatizzare. - Però
ho capito che sbagliavo e... vorrei provare a conoscerti meglio. Ma ti
avviso che non c'è nulla di speciale in me" parlai
velocemente, come mai avevo fatto prima d'ora e sperai che avesse
capito quel che avevo detto.
Finalmente
mi decisi a guardarlo e ciò che vidi mi mozzò il
respiro: le sue labbra erano incurvate in un sorriso. Un sorriso
meraviglioso, che mai avevo visto sul suo viso. I suoi occhi si
illuminarono, come se gli avessi detto una delle cose più
belle del mondo... non riuscivo a comprendere la sua reazione.
"Grazie..."
mormorò tendendo una mano e posandola sulla mia, che se ne
stava inerme sul tavolo. Con la punta delle dita ne
accarezzò delicatamente il dorso, lasciando scie infuocate.
Aprii la bocca, sconvolta da quella marea di emozioni che stavo
provando; troppe in un solo giorno... troppe.
Sorrisi
debolmente e mi rilassai.
E
solo
in quel momento mi resi conto che Edward non mi aveva fatto domande;
non mi aveva chiesto il perchè della mia rezione,
perchè svenni e perchè urlai. Ne rimasi stupita,
ma gliene fui tremendamente grata.
Puntai
gli occhi sulle nostre mani unite, fino a quando non sentii il rumore
della porta d'ingresso che si apriva.
"Edward,
sei a casa?" urlò qualcuno e - nonostante la conoscessi da
poco - non potei fare a meno di riconoscere quella voce: Alice.
Ritrassi
la mano, come scottata ed incrociai le braccia al petto, cercando di
ignorare quella fastidiosa sensazione di vuoto all'assenza del suo
contatto.
Sentii
dei passo avvicinarsi ed Alice fece il suo ingresso in cucina,
lanciando poco delicatamente la giacca sulla sedia.
"Ciao
Edward" lo salutò, posandogli un bacio sulla guancia.
Dopodichè si voltò nella mia direzione e
sgranò gli occhi non appena mi vide.
"Isabella?"
domandò, aprendo leggermente la bocca, mentre Edward le
lanciava occhiate assassine che non seppi decifrare.
Balbettai
qualcosa di incomprensibile e feci per alzarmi, ma un attimo dopo me la
ritrovai letteralmente tra le mie braccia.
"Oh
Isabella che bello vederti! Scusa per prima, ma non mi aspettavo di
trovarti qui" sorrise e finalmente si staccò, dandomi
così modo di ritornare a respirare.
Feci
per parlare, ma non mi diede nemmeno il tempo di aprire bocca.
"Che
cosa stavate combinando voi due, qui da soli?" domandò
retoricamente, alzando un sopracciglio. E notai una nota maliziosa in
quella sua domanda.
Arrossii
di botto e guardai Edward, in cerca di aiuto.
"Assolutamente
nulla, stavo offrendo a Isabella qualcosa di caldo. - rispose
semplicemente. - E anche se avessimo voluto fare qualcosa non ne
avremmo avuto il tempo, dato che tu saresti comunque entrata a rovinare
l'atmosfera" sbottò sarcastico, alzando gli occhi al cielo.
"Cosa
che non sarebbe mai successa, ovviamente" risposi, lanciandogli
un'occhiataccia.
Mi
aveva ospitata a casa sua ed era stato così dolce don me,
infatti gliene fui grata, nessuno aveva mai fatto così tanto
per me. Però sentirlo parlare in quel modo non faceva altro
che innervosirmi. Gli avevo concesso di conoscermi e dovevo ammettere
che anch'io desideravo ardentemente sapere più cose
possibili su di lui, però non mi sarei mai più
legata a nessuno.
"Emmett
è con Rose, tornerà più tardi. Mentre
Jazz dovrebbe essere qui da un momento all'altro" spiegò
Alice, interrompendo il silenzio che si era momentaneamente creato.
Guardai
di sottecchi Edward, il quale ricambiò il mio sguardo.
Cercai di capire a cosa stesse pensando, ma la sua espressione era
indecifrabile.
Sentimmo
il campanello suonare e lei balzò in piedi, entusiasta.
"Deve
essere lui. Bene allora io vado" trillò felice,
avvicinandosi. Mi abbracciò teneramente e dopo aver salutato
anche Edward uscì dalla porta saltellando. A quella scena un
sorriso involontario si dipinse sul mio viso. Alice era una forza della
natura e anche se ci conoscevamo da poco dovevo ammettere che era una
ragazza davvero divertente.
"Alice
è davvero forte..." dissi improvvisamente, spezzando quel
fastidioso silenzio.
"Mia
sorella non cambierà mai. - ridacchiò, per poi
ritornare serio. - Prima non so cosa sia successo, ne il motivo del tuo
cambiamento d'umore, ma qualunque cosa ti abbia turbato..."
continuò, ma non lo lasciai finire, interrompendolo con un
rapido gesto della mano.
"Tranquillo,
non ero turbata. Stavo solo pensando a..." mi bloccai, mordendomi il
labbro inferiore.
"A
cosa stavi pensando?" domandò curioso, inclinando la testa
di lato.
"A
nulla" mentii, scuotendo lievemente il capo. Alzai lo sguardo e notai
che mi stava guardando in modo strano, con un sopracciglio alzato.
Scoppiai a ridere, di fronte alla sua buffa espressione.
"Perchè
ridi?" chiese mettendo il broncio, fingendosi offeso.
"Sei
davvero buffo, hai fatto una faccia!" risi come mai avevo fatto,
portandomi una mano davanti alla bocca.
"E
così io sarei buffo eh? - domandò retorico
avvicinandosi velocemente, annullando la distanza tra di noi. -
Rimangia quello che hai detto".
"Nemmeno
sotto tortura" risposi, sfidandolo con lo sguardo.
"Peggio
per te, allora". Un ghigno si dipinse sulle sue labbra, ma una cosa era
certa: non prometteva nulla di buono. Non feci in tempo a capire le sue
intenzioni che mi cinse la vita con un braccio, mentre con la mano
libera prese a farmi il solletico al fianco destro.
Scoppiai
a ridere dimenandomi, ma non riuscii a liberarmi lui era più
forte di me.
"B-basta.
P-per favore" riuscii a dire tra una risata e l'altra, ma lui non mi
diede retta e continuò la sua tortura.
"Rimangia
quel che hai detto" ridacchiò, divertito.
"Mai"
risposi ridendo, guardandolo dritto negli occhi e finalmente mi
liberò, lasciandomi il tempo di respirare.
"Tu
non ti arrendi mai. - mormorò avvicinandosi ulteriormente,
tanto che potei sentire il suo bacino premere contro il mio. - Ed
è per questo che mi piaci". Sorrise, ma notai vi era
qualcosa di diverso. Quel sorriso non era sarcastico, ma dolce...
meraviglioso.
Non
risposi, ma ricambiai il sorriso, con la stessa intensità.
SOlo
ora mi resi conto della posizione in cui ci trovavamo: la mia schiena
era premuta contro il muro e le sue braccia erano ai lati delle mie
spalle. Mi trovavo esattamente tra lui e la parete.
I
battiti del mio cuore aumentarono, come se volesse uscirmi dal petto da
un momento all'altro. Osservai attentamente il suo viso, in
quell'istante i suo lineamenti erano rilassati, aveva uno sguardo
così dolce. Alzò una mano e la posò
sulla mia guancia, accarezzandola teneramente. Titubante feci lo
stesso, posando la mia mano sulla sua e quel contatto mi
destabilizzò completamente. Mi sentivo... bene.
Passammo
ore o forse minuti, in quella posizione. Avevo completamente perso la
cognizione del tempo, fino a quando il mio occhio non cadde
sull'orologio appeso alle sue spalle. Erano le 5 e mezza di pomeriggio.
Sgranai
gli occhi incredula e mi spostai rapidamente, balbettando frasi senza
senso.
"E'
tardissimo, Charlie mi starà aspettando..." parlai a
raffica, agitata.
"Stai
tranquilla. - Mormorò, poggiandomi le mani sulle spalle. -
Charlie sa tutto. Ieri sera l'ho chiamato e gli ho detto che saresti
rimasta qui fino a quando non ti saresti ripresa. Era molto
preoccupato, ma si è calmato quando ha saputo che eri da
noi".
"Grazie"
risposi sincera, sorridendo timidamente.
"E'
stato un piacere e poi l'importante è che tu ora stia bene"
disse, guardandomi negli occhi.
Mi
riscossi e sorrisi, per l'ennesima volta.
"E'
meglio che vada" presi le mie cose e feci per uscire, ma una presa
delicata intorno al mio polso mi impedì di muovermi. Mi
voltai, ritrovandomi così di fronte a lui.
"A
domani" sussurrò, avvicinandosi pericolosamente al mio viso
fino a posare per un breve istante le sue labbra sulla mia fronte.
Sorrisi
e con passo incerto uscii, sicura che avrei trovato la Porsche di Alice
ad aspettarmi per accompagnarmi a casa... e così fu.
***
Ok,
calma. Devi restare calma.
Continuavo
a ripetermi mentalmente questa frase, mentre esitavo davanti alla porta
di casa... mia. Che sarebbe successo se fossi entrata? Mi avrebbe
rinfacciato che fossi una stupida irresponsabile? Ovviamente
sì. Presi un profondo respiro e dopo un attimo di esitazione
varcai la soglia di casa.
Le
luci erano accese e sentii il vociare della televisione, andai in
soggiorno e trovai Charlie spaparanzato sulla poltrona, profondamente
addormentato, con il telefono appoggiato alle gambe. Profonde occhiaie
segnavano il suo viso e i lineamenti erano angosciati.
Mi
avvicinai titubante e - seppur dopo un attimo di esitazione - lo scossi
lievemente.
"Charlie?"
lo chiamai, sussurrando. Al suono della mia voce balzò a
sedere e si guardò intorno, spaesato.
"Charlie..."
lo richiamai.
"Isabella,
sei tu? - domandò stancamente e non appena si rese conto che
io ero lì sgranò gli occhi, sorpreso. - Oh
Bells!" ripetè, alzandosi di scatto e - prendendomi alla
sprovvista - mi abbracciò, stringendomi forte a
sè. Rimasi immobile, pietrificata.
"Per
fortuna stai bene, ero così preoccupato. Se ti fosse
successo qualcosa..." blaterò parole senza senso,
stringendomi sempre più forte.
Senza
che me ne rendessi conto un sorriso si dipinse sul mio viso e alzai le
braccia, circondandogli la vita.
"Sì,
sto bene..." mormorai, dandogli di tanto in tanto qualche pacca sulla
schiena per calmarlo.
"Credevo
ti fosse capitato qualcosa. Per fortuna poi Edward mi ha chiamato
tranquillizzandomi e assicurandomi che stavi bene, ma che eri caduta in
uno stato di semi-incoscienza " disse, staccandosi da me e fissandomi
negli occhi.
"Conosci
Edward?" domandai confusa, cercando in qualche modo di cambiare
argomento.
"Certamente!
- L'ombra di un sorriso si dipinse sul suo viso. - Chi non conosce i
Cullen? Sarebbe impossibile. Poi Edward è molto ricercato
alla Forks High School. Mentre il Dottor Cullen è un marito,
un padre e soprattutto un gran lavoratore. E' ammirato, specialmente
per l'attività che svolge".
Poi
Edward Cullen è molto ricercato alla Forks High School. Non
avevo idea di cosa volessero significare quelle parole, ma ero sicura
che non portava a nulla di buono. Sicuramente Edward faceva strage di
cuori, a scuola. Quella frase continuava a ripetersi incessantemente
nella mia testa, destabilizzandomi e sentii una fitta all'altezza del
petto, dove vi era il mio cuore.
Scossi
il capo, per scacciare quei pensieri e mi sforzai di sorridere,
annuendo.
Passammo
svariati minuti in silenzio, mentre Charlie si portò una
mano sulla testa, imbarazzato, indeciso sul da farsi.
"Come
mai sei svenuta?" domandò poco dopo, sedendosi sulla
poltrona.
"Io...
non..." balbettai frasi sconnesse, in preda all'ansia.
"Bells.
- Pronunciò il mio vecchio diminutivo, facendomi
rabbrividire. - Ti conosco e so che c'è qualcosa che non va,
sono tuo padre. E anche se tu non mi consideri tale, io mi preoccupo
per te".
Sospirai
e strinsi le mani a pugno.
"Non
sono svenuta per lo spavento, no. Ho affrontato cose peggiori. Sono
corsa in contro a quella bambina, facendole scudo col mio corpo. -
Iniziai a spiegare, mentre lo vidi tremare alle mie parole. - L'auto ha
frenato e me la sono trovata a pochi centimetri di distanza, ma non ho
avuto paura. L'unico mio pensiero era che la bambina era salva.
Però..." feci una pausa, in cerca d'aria, mentre Charlie mi
guardava attentamente, preoccupato dal mio improvviso cambio d'umore.
"Ho
sentito una brusca frenata, le luci mi hanno stordita e ho rivisto l-la
scena nella m-mia mente. Non riuscivo a scacciarla. Più
cercavo di allontanarla, più tornava p-prepotente nei miei
pensieri". Un singhiozzo sfuggì dalle mie labbra e chiusi
gli occhi, stringendo forte le palpebre. Si alzò di scatto e
mi ritrovai nuovamente tra le sue braccia.
"Sssh,
va tutto bene" mormorò flebilmente, accarezzandomi i capelli.
Mi
torturai il labbro inferiore, lottando contro le lacrime che premevano
per uscire... e stranamente ci riuscii, mentre un dolore al petto mi
mozzò il respiro, stordendomi. Posai la testa sulla sua
spalla; sentii le sue mani accarezzarmi dolcemente la schiena, cercando
di tranquillizzarmi. Le gambe mi tremarono e non ressero più
il peso del mio corpo.
Sentii
due braccia sollevarmi delicatamente e i miei piedi non toccarono
più il suolo. Lasciai cadere le braccia lungo i fianchi,
fino a quando la mia schiena andò a sfiorare qualcosa di
morbido.
"Riposati
Bells" la sua voce fu solo un sussurro, ma che riuscii comunque a
sentire. Mi sfiorò la fronte e a passo lento si diresse
fuori dalla camera, chiudendo la porta.
Mi
girai su un fianco, in posizione fetale e lasciai che il mio corpo si
rilassasse, beandomi del calore delle lenzuola.
Affondai
il viso nel cuscino e caddi in un sonno - fortunatamente - senza sogni.
***
"Bells,
hai preso tutto?" urlò Charlie, dalla cucina.
Bells.
Respirai profondamente, per evitare di urlare e misi lo zaino in spalla.
"Sì
Charlie, ho preso tutto" risposi con voce neutra.
Sentii
i suoi passi e mi raggiunse in soggiorno.
"Mi
raccomando, stai attenta e..." iniziò, ma lo bloccai con un
rapido gesto della mano. La sua preoccupazione mi fece sorridere.
"Stai
tranquillo, sto bene" lo ammonii, indicandomi.
"Lo
so, solo che... mi preoccupo" ammise imbarazzato, grattandosi il capo.
"E non
c'è nulla di cui preoccuparsi, d'altronde sarò a
scuola -
sorrisi,
mentre bevevo una sorsata di latte direttamente dal cartone. - e ora
vado, altrimenti arrivo tardi" lo salutai con un cenno del capo e feci
per uscire, ma la sua voce mi bloccò sul posto.
"Ah!
Prima che me ne dimentichi: c'è una persona che ti aspetta
fuori" urlò per farsi sentire. Mi voltai confusa, ma non
riuscii a chiedergli spiegazioni, poichè si era
già defilato in camera sua.
Sospirai,
alzando gli occhi al cielo, dopodichè mi decisi ad uscire di
casa. Mi chiusi la porta alle spalle e non appena alzai lo sguardo le
parole mi morirono in gola: parcheggiata nel vialetto vi era una Volvo
c30 metallizzata, che avrei riconosciuto anche a chilometri di
distanza.
Una
domanda continuava a ripetersi nella mia mente: che vi faceva lui qui?
Mi
avvicinai, curiosa. Non appena mi vide abbassò il finestrino
e incontrai così il suo sorriso, al quale non potei fare a
meno di ricambiare.
"Che
ci fai qui?" domandai, portandomi una mano tra i capelli,
scompigliandoli.
"Non
fare domande e sali. Ti accompagno a scuola" il suo sorriso si
allargò, tanto che potei vedere una schiera di denti
bianchissimi. Scossi lievemente la testa e col sorriso sulle labbra
aprii la portiera, accomodandomi al posto del passeggero.
Si
sporse verso di me, posandomi un lieve bacio sulla fronte. Chiusi gli
occhi a quel contatto, ignorando il battito frenetico del mio cuore.
"Forza
Cullen, andiamo. Non vorrai arrivare tardi" lo scimmiottai, una volta
regolarizzato il respiro.
Gli
angoli della bocca gli si incurvarono in un sorriso e, dopo avermi
accarezzato teneramente una guancia, partì a tutta
velocità.
Osservai
attentamente il suo viso, il suo naso, i suoi occhi e... le sue labbra.
E, per la prima volta, mi ritrovai a pensare che era assolutamente ed
indiscutibilmente bellissimo.
Un
sorriso involontario si dipinse sul mio viso e chiusi gli occhi,
imprimendomi il suo viso nella mia mente. Mentre il leggero venticello
mi scompigliava i capelli e dolcemente mi accarezzava il viso.
Scusate, scusate,
scusateee. Non ho fatto in tempo a rispondere alle recensioni, ma ho
voluto postare direttamente oggi, per non farvi aspettare.
Ma prometto
che entro domani pomeriggio troverete qui tutte le risposte.
Grazie
di cuore a tutti, siete assolutamente fantastici. Il vostro parere
è davvero importante per me.
Non
smetterò mai di ringraziarvi, di cuore.
Vi
adoroooooooooooooooooooo! <3
_Risposte
alle recensioni_
Eva17:
Ciaoooooooo!
Grazie milleee, sono davvero felicissima che il capitolo ti sia
piaciuto. Grazie, grazie, grazie. Esattamente, molte cose che Bella fa
le ricordano Renèe e Phil.
Non
riesce a controllare i suoi pensieri, perciò cerca
semplicemente di non pensare, vivendo tranquillamente. Però
quella macchina le ha riportato alla memoria la notte dell'incidente.
E
la fine è stata la parte più difficile da
scrivere, volevo far capire cosa provassero Ed e Bella, esternare le
loro emozioni. Spero di essere riuscita almeno in parte. In questo
capitolo invece ci sarà una svolta tra loro.
Spero
che ti piaccia. Grazie mille ancoraaa. Un bacioneeee ;)
vanderbit:
ciaoooo! Grazieeee
mille, sono felicissima che il capitolo ti sia piaciuto *-* ecco
finalmente son riuscita a postare, ti è piaciuto il
risveglio? ;)
spero
che anche questo capitolo sia di tuo gradimento! :) un
bacione!
winter12: ciaoooo caraaaaa!
Grazie, grazie, grazie! Mi commuove sapere che a qualcuno piace la mia
storia e il mio modo di scrivere, mi rende felicissima.
Ed
ecco finalmente il nuovo capitolo, spero davvero ti piaccia
:) Un bacione!
linda88:
tesoroooooooooooooooo!
Grazie, grazie, grazie! Sono davvero felicissima che lo scorso capitolo
ti sia piaciuto. Ci ho messo tutta me stessa per scriverlo e sono
felice che sia uscito almeno qualcosa di decente.
La
fine è la parte a cui tenevo di più volevo far
capire il dolore di Bella e ciò che provasse Edward.. spero
di esserci riuscita. Ecco il nuovo capitolo, finalmente dopo un mese
d'attesa ce l'ho fatta a postareee, waaaa xD
Spero
che anche questo ti piaccia *-* Ti
adorooooooooooooooo <3 Un bacione <3
ELLAPIC:
Grazieee milleee,
sono davvero felicissima che la mia storia ti piaccia. Grazie, grazie,
grazie *-* e a quanto puoi vedere Bella si è in
parte ricreduta su Ed. Infatti ha accettato di "frequentarlo".
Spero
che anche questo capitolo ti piaccia :) Un bacione!^^
grepattz: Grazie, grazie, grazie
*-* sì, Bella cerca in tutti i modi di
reprimere il dolore che prova. Vuole essere forte e non mostrare agli
altri ciò che realmente prova.
Ci
sono delle volte in cui si chiude in se stessa, mentre altre volte in
cui si comporta in modo stupido. Però una cosa è
certa: l'amore delle persone che ti sono accanto sono in grado di
lenire qualsiasi ferita.
Mmm
qui posso dire che c'è un gran passo avanti, no?
;) spero che anche questo capitolo ti piaccia. Un bacioneeeee!
Lau_twilight:
Tesoraaaaaaaaaaaaaaaaa,
oddio grazieeeeee! Sono davvero felicissima che il capitolo ti sia
piaciuto, il tuo parere è davvero importante per me.
Mmm
sì, ma non mea culpa, i miei spoiler sono così
dolci e coccolosi. Muahahahah *faccina d'angelo*.
Sì,
ho voluto mostrare il coraggio di Bella. Lei voleva
salvare quella bambina, può sembrare una persona egoista, ma
non lo è.
Lei
si mostra così a causa del dolore che prova e sbaglia
assolutamente, la cosa migliore sarebbe essere se stessi con le persone
che si amano. E lei lo capirà. Edward è dolce,
divertente... unico e le starà vicino.
Bella
ha bisogno di qualcuno che non la lasci, mai. L'impatto con l'auto le
ha ricordato la notte dell'incidente, in cui Renée e Phil
morirono. E soffre, cadendo in uno stato di semi-incoscienza.
Mmm
ma fortunatamente devo dire ha avuto un buon risveglio, non trovi? :P
Grazie
mille ancora, per tutti i complimenti che mi fai e per il tuo appoggio.
Ti voglio troppo bene tesora <3 Un bacione!
ila_cullen:
ciaooooooo, grazie
milleeee! Son felicissima che lo scorso capitolo ti sia piaciuto! Oddio
ti ho fatto quasi piangere? O.o Oh my god, era
così triste? O.o grazie mille ancora,
spero che anche questo ti piaccia! Un bacione! :)
Rebussiii:
ciaoooooo!
Ahahahahah, esattamente Bella meritava una statua nello scorso
capitolo, ma anche qui non è da meno vero? :P
Mmm
Bella non l'ha allontanato, non ha avuto la forza di farlo.
Così come con Charlie... direi che sta facendo progressi
;) Grazie mille ancora, spero che anche questo
capitolo ti piaccia! :) un bacione!
Emma92:
ciaooooooo caraaaa.
Oddio grazie, sono davvero felice che lo scorso capitolo ti sia
piaciuto, spero sia così anche per questo. I tuoi commenti
mi fanno sempre piacere. Grazie, grazie, grazie. Sei sempre dolcissima!
Un bacioneee <3
Shasha5:
amoraaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa.
Grazie, grazie, grazie! Davvero, non so come ringraziarti per il
supporto che ogni volta mi dai, sei un angelo <3
Sono
davvero felicissima che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, il tuo
parere è importantissimo per me.
Ahahahah,
giuro non mi convinceva per nulla, così come questo che ho
scritto. Anzi forse questo è peggio dell'altro -.-" oddio ti
ho fatta piangere?
O_____O nooooooo, era così
triste?! O.o
sì,
l'auto stava per investire Bella, ma fortunatamente non è
successo (non potrei mai fare una simile cosa alla mia Bella O___O), ma
l'accaduto ha acceso in lei ricordi dolorosi, troppo
dolorosi.
Qui
può sembrare che abbia affrontato il trauma, ma non farti
ingannare mi raccomando ;) eh Edward sarà molto
d'aiuto, come in questo capitolo *-*
lei
ha bisogno di un appoggio stabile e... Edward ci sarà
per sempre? Booooh :P
Grazie
ancora per i complimenti, tu sei troppo gentile con me <3
Ti
adoroooooooooooooooooooooooooo troppoooooooooooooo
<3<3<3
Un
bacioneeeeeeeeeeeeeee!
MirkoCullen96:
Ciaooooooo!
Scusaaa se ti rispondo solo ora, ma non mi ero proprio accorta che non
avevo risposto a tutte le recensioni.
Scusa, scusa, scusa. *Me
proprio scema a volte*. Ma ora rimedio subito!
Che dire? Grazie di cuore
sono davvero felicissima che la mia storia di
piaccia. Non so davvero come ringraziarti: grazie, grazie, grazie.
Adoro le tue recensioni, mi
fanno sempre sorridere! :)
Comunque passando allo scorso capitolo: sì, ce
l'avevo in mente da un casino di tempo.
Mentre questo la prima
parte ce l'avevo in mente, mentre la seconda
parte è improvvisata. però spero che sia comunque
uscito qualcosa di discreto ;)
E sì nello
spogliatoio Edward con la bocca spalancata tipo i
cartoni animati, ahahahahahahah xDDD
Spero che questo capitolo
ti sia piaciuto e tranquillo il prossimo
è già quasi pronto ;)
grazie mille per i
complimentiiiiiii! Un bacioneee, Elly.
Ps: corro a leggere la tua
storia ;)
Grazie di
cuore anche chi mi ha aggiunta tra preferiti e seguite.
Siete fantasticiii, vi adorooooooooooo <3
Un bacione, Elly.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Parco acquatico. ***
Buona seraaa a tuttiiiiiii! Come
state? Spero bene! :D
E finalmente eccomi
quiiiiiii, ci ho messo parecchio a scrivere questo capitolo,
perchè non mi convinceva volto all'inizio.
Infatti l'avrò
riscritto circa cinque volte, continuavo a ritoccarlo, ma finalmente
ora è uscito xD
Spero davvero che vi
piaccia e che non vi deluda. Qui c'è un piccolissimo passo
avanti e un leggero sviluppo tra il rapporto Edward/Bella.
Il prossimo capitolo
sarà di passaggio, mentre il 10... beh il 10, sto zitta che
è meglio :P
Cioè ci
rendiamo conto che siamo già ad agosto?! Ci rendiamo conto?!
O____o a me sta già prendendo il panico
u.ù
Okaaaaaaay, la smetto di
blaterare altrimenti non smetto più ahahahah xD
Buona letturaaaaa!
8.
Parco Acquatico Oltremare.
"Perchè
cerchi la gioia fuori da te,
non sai che la puoi
trovare solo nel tuo cuore?"
Tagore
Pov Edward
"Forza ragazzi,
aprite il libro a pagina 247. - Era da più
di un'ora che il professore continuava imperterrito a spiegare, senza
rendersi conto che nessuno lo stava ascoltando. - E vi consiglierei di
stare bene attenti, dato che la settimana prossima ci sarà
il compito in classe". Quando pronunciò l'ultima frase la
classe si risvegliò e il silenzio venne spezzato da un
fastidioso brusio di sottofondo.
Sbuffai
sonoramente, annoiato e mi appoggiai al banco. Sembrava che il
tempo non passasse mai, mentre l'unica cosa che desideravo era che
quella maledettissima e noiosissima lezione avesse fine.
Un
movimento
impercettibile alla mia destra mi destò dai
miei pensieri. Mi voltai, scontrandomi così con i suoi
splendidi occhi castani; ogni volta che la guardavo non potevo fare a
meno di pensare che era bellissima. Era passata esattamente una
settimana dal giorno in cui rischiò di essere investita e
d'allora il nostro rapporto era nettamente migliorato, dal momento che
aveva deciso di concedermi un'opportunità.
Un
sorriso
involontario si dipinse sul mio volto mentre la osservavo:
la sua espressione era palesemente annoiata, tanto che continuava a
guardare l'orologio, sbuffando di tanto in tanto.
Dopo
minuti - che
a me parvero ore - finalmente la campanella
suonò, annunciando la fine della lezione.
Sospirai
sollevato ed afferrai lo zaino, balzando in piedi.
"Come
mai sei
così entusiasta?" mi domandò
Isabella, mentre ci dirigevamo a mensa.
"Non
vedevo l'ora
che la lezione finisse, era davvero una noia mortale"
spiegai semplicemente, con un'alzata di spalle. Togliendo
però un piccolo particolare, ovvero che desideravo passare
del tempo con lei.
"Edward,
siamo
qui!" mi chiamò una voce, che avrei
riconosciuto anche a chilometri di distanza... Alice.
Mi
guardai
attorno cercandoli con lo sguardo, fino a quando non li
vidi, seduti ad un tavolo all'angolo della mensa.
Mi
voltai verso
Isabella, sorridendole dolcemente. Ricambiò
timidamente, mentre io la prendevo per mano, raggiungendo
così i miei fratelli.
"Che
stanchezza"
borbottai e mi lasciai cadere sulla sedia, mentre lei
si accomodò lentamente, un pò titubante.
"Cos'è
Edward, durante la lezione di biologia ti sei
affaticato troppo? - Ridacchiò Emmett, prendendomi alla
sprovvista. - Ed io che ero sicuro che Lauren non fosse con te al corso
di biologia" disse pensieroso, portandosi una mano sotto al mento.
Sentii
Isabella
accanto a me irrigidirsi e le sue mani si chiusero a
pugno. Mi voltai lentamente per guardarla in volto, ma non appena
capì che la stavo osservando abbassò la testa,
celandomi così il suo sguardo.
"Emmett!
-
urlò improvvisamente Alice, facendomi sobbalzare.
Era furiosa, come se anche lei si fosse resa conto della strana
reazione di Isabella. - Ma non dire stronzate, per favore!". Gli diede
uno schiaffo - non molto amichevole - sulla testa.
Emm
borbottò qualcosa di incomprensibile, massaggiandosi la
parte dolorante, mentre Alice continuava a imprecargli contro a bassa
voce.
"No,
fortunatamente Lauren non frequenta il mio stesso corso". Risi
divertito, alzando gli occhi al cielo, non sarebbero cambiati mai.
Isabella
sciolse
la sua postura rigida, iniziando a rilassarsi.
Scossi
lievemente
il capo, delle volte la mia mente giocava brutti
scherzi.
"Già.
- Rispose Emmet, annuendo. - Però
c'è sempre la cara Isabella, non dimenticarlo Edward"
continuò imperterrito a sparare cavolate.
All'udire
quelle
parole lei scoppiò a ridere, portandosi una
mano davanti alla bocca.
"Ti
conosco da
poco più di una settimana e ho già
capito che tipo sei" disse Isabella, incrociando le braccia al petto.
"Davvero?
E che
tipo sarei, sentiamo Bellina" sorrise Emmett,
sfidandola.
"Scommetto
che la
sera quando c'è la finale di football
preferisci spaparanzarti sul divano e guardarti la televisione, invece
che uscire con la tua ragazza. Scommetto che sei un ragazzo divertente,
sempre con la battuta pronta. - Iniziò lei, mentre sul viso
di Emmett si dipinse un sorriso compiaciuto. - E scommetto che la cosa
che più adori fare è giocare la sera con la tua
ragazza. Ma ti do un consiglio Emm: non affaticarti troppo, sei ancora
giovane. Altrimenti dovrai prendere il polase già a questa
età" concluse il discorso, poggiandosi allo schienale della
sedia. Il sorriso sul viso dell'orso sparì, lasciando spazio
a un'espressione sconvolta.
Io
ed Alice ci
scambiammo una rapida occhiata, scoppiando poi a ridere
sotto il suo sguardo indignato.
"Fratello,
ha
già capito tutto di te!" lo presi in giro,
dandogli un pugno scherzoso sulla spalla.
Borbottò
qualcosa di incomprensibile, arrossendo
imbarazzato. Per una buona volta qualcuno era riuscito a farlo tacere.
"Ed
è
per questo che mi stai già simpatico"
aggiunse Bella, sorridendo teneramente.
Di
una cosa ero
del tutto certo: ovvero che Alice ed Emmet
già adoravano Isabella.
***
"Isabella, mi
vuoi dire che succede?" le domandai per l'ennesima volta,
preoccupato. Se ne stava seduta da parecchi minuti ormai, con le mani
ancorate alla panchina.
Da
quando il
professore aveva annunciato che i ragazzi avrebbero dovuto
giocare a basket e le ragazze a pallavolo era letteralmente entrate nel
panico, rifugiandosi nell'angolo più remoto della palestra.
Rifiutandosi categoricamente di unirsi alle altre compagne.
"Nulla"
rispose
semplicemente, come se fosse la cosa più
ovvia al mondo.
"Se
davvero non
avessi nulla come dici tu a quest'ora saresti
già in campo con le altre ragazze e non qui ancorata alla
panchina" le spiegai gentilmente, alzando gli occhi al soffitto.
"E
va bene. -
Sbuffò. - L'ultima volta che ho giocato a
pallavolo mi sono slogata la caviglia e mentre stavo per tirare la
palla ho preso in testa due ragazze, per di più della mia
stessa squadra. In poche parole: sono una schiappa!"
borbottò istericamente, in preda al panico.
Riuscii
a
reprimere un sorriso.
"Non
è
solo questo che ti preoccupa, vero?" le domandai
teneramente e mi inginocchiai alla sua altezza, posando le mani sulle
sue ginocchia.
Aprii
e richiuse
la bocca, indecisa se dirmi o meno quello che le stava
passando per la mente.
"No,
è
solo questo che mi preoccupa" rispose infine,
torturandosi il labbro inferiore.
Sospirai,
delle
volte mi sembrava così fragile. Alzai una
mano, titubante e la posai sulla sua guancia, accarezzandola
delicatamente.
Alzò
la testa di scatto, confusa dal mio gesto.
"Vedrai
che
andrà tutto bene. Non ti slogherai la caviglia e
le tue compagne usciranno immuni da questa partita" sorrisi, cercando
di rassicurarla e mi alzai, porgendole la mano.
Mi
guardò per un minuto interminabile e - dopo un attimo di
esitazione - afferrò la mia mano, seguendomi al centro della
palestra.
Mi
avvicinai a
lei, ignorando completamente tutti gli altri studenti,
baciandole lievemente la fronte.
Quando
le mie
labbra toccarono la sua pelle chiuse gli occhi, come per
bearsi appieno di quel mio semplice gesto.
Le
sorrisi
un'ultima volta, dopodichè raggiunsi i ragazzi
che mi aspettavano sul campo da basket, impazienti di giocare.
Pov
Bella
Cercai
di
regolarizzare il respiro, ma con scarsi risultati. L'emozione
che stavo provando in quel momento era troppo forte per essere placata.
Il mio cuore prese a battere freneticamente, come se volesse uscirmi
dal petto.
Chiusi
gli occhi
e per un breve istante mi lasciai trasportare dalle
emozioni che avevo provato quando le sue labbra avevano sfiorato la mia
fronte: la sensazione di vuoto che spesso provavo era placata,
sostituita da un piacevole benessere. Mi ero sentita... completa.
Un
sorriso
involontario si dipinse sul mio volto. Edward.
"Isabella!
-
Urlò qualcuno. - Muoviti, è il tuo
turno di battuta!".
Aprii
di scatto
gli occhi e fui brutalmente riportata alla
realtà, perchè solo ora mi resi conto di essere
in palestra, durante una partita di pallavolo. Sbattei più
volte le palpebre, cercando di risvegliarmi dallo stato di
semi-incoscienza nel quale ero momentaneamente caduta.
"Sì"
risposi semplicemente, prendendo la palla e
posizionandomi dietro la linea bianca. Sospirai sconsolata e - seppur
dopo un attimo di esitazione - schiacciai, ma naturalmente la palla non
finì nell'altro campo e andò a schiantarsi contro
la rete.
"Lo
sapevo che la
Swan non era nemmeno in grado di colpire una palla"
commentò acidamente la voce inconfondibile di Lauren. Mi
morsi la lingua, imponendomi di non rispondere; non volevo che la
situazione peggiorasse ulteriormente. Così restai in
silenzio e la partita continuò.
23
a 24.
Il
tabellone
segnava il seguente punteggio. Alla squadra avversaria
mancava esattamente un punto e si sarebbe aggiudicata la vittoria,
l'unica possibilità che avevamo di vincere era pareggiare.
"Forza
ragazze,
possiamo farcela" disse Jessica, sicura di
sé.
Toccava
a Lauren
battere; non appena si mise in posizione il suo
sguardo incontrò il mio e un ghigno divertito si dipinse sul
suo viso. Schiacciò con una potenza inaudita; non feci
nemmeno in tempo a decifrare la sua espressione divertita che vidi la
palla arrivare velocemente verso di me. Non riuscii a schivarla e mi
colpì in pieno viso.
Caddi
a terra,
sostenendo il peso del mio corpo con le braccia. La
testa iniziò a pulsare violentemente, ma ignorai il dolore.
La mia attenzione era completamente rivolta al commento sprezzante che
spezzò il silenzio.
"Ma
chi ce l'ha
fatta venire qui. Che se ne ritorni a Phoenix dai suoi
genitori. Forse là si che è ben accetta"
sbottò Lauren, risentita.
Chiusi
gli occhi,
sentendo le braccia cedermi. Sentii un vociare
attorno a me: qualcuno rideva, divertito. Qualcuno era preoccupato ed
invocava il mio nome.
"Isabella!"
urlò improvvisamente la sua voce, sovrastando le
altre. Avrei voluto rispondere, tranquillizzarlo. Ma le forze mi
mancarono e mi lasciai cadere sul pavimento, perdendo i sensi.
***
Mani gentili e
rassicuranti mi accarezzavano delicatamente. La schiena,
i capelli e infine il viso. In quel momento l'unica cosa che desideravo
fare era aprire gli occhi, ma le palpebre erano troppo pesanti.
"Isabella".
La
sua voce invocava dolcemente il mio nome. Mugugnai
qualcosa di incomprensibile; la sua risata cristallina mi giunse alle
orecchie, scaldandomi il cuore.
Mi
girai su un
fianco e con fatica riuscii ad aprire gli occhi,
scontrandomi così con le sue splendide iridi verde smeraldo.
Mi osservava preoccupato, ma non appena vide che ripresi conoscenza un
dolce sorriso si dipinse sul suo viso. Un sorriso che fu in grado di
stordirmi.
"D-dove
sono?"
domandai intontita, mettendomi a sedere.
"In
infermeria"
rispose semplicemente, accomodandosi sul letto accanto
a me.
"E
che ci faccio
qui?" chiesi, confusa. Mi guardai attorno,
ispezionando la stanza dalle pareti bianche.
"Non
ti ricordi?
- Domandò retoricamente. - Tu e le ragazze
stavate giocando a pallavolo. Vi mancava un punto al pareggio, quando
tu hai ricevuto una pallonata in pieno viso" mi spiegò
gentilmente. Non appena ascoltai le sue parole tutto mi fu chiaro.
"Lauren!
-
Esclamai, alzando leggermente la voce. - E' stata lei a
colpirmi, l'ha fatto apposta!" sbottai, agitandomi. Ma fu un grande
errore, perchè la testa mi pulsò dolorosamente.
Trattenni a stento un gemito, ma non gli sfuggì la mia
smorfia.
"Stai
bene?"
domandò preoccupato, avvicinandosi
pericolosamente.
"Sì"
balbettai flebilmente. Percepii un tocco caldo sulle
guance, alzai lo sguardo e vidi che le sue mani mi stavano tenendo
delicatamente il viso.
"Mi
era solo
venuta una fitta alla testa, ma è
già passata" dissi abbassando lo sguardo, incapace di
sostenere il suo. Il mio cuore prese a battere furioso nel petto,
scandendo i secondi.
"Mi
dispiace. Non
pensavo che arrivasse a questo punto. -
Mormorò, incatenando i nostri occhi. - E per le stupide
parole che ti ha detto". Molto probabilmente continuò a
parlare, ma non lo ascoltai. La mia attenzione era focalizzata sul
ricordo delle parole di Lauren: Ma
chi ce l'ha fatta venire qui. Che se
ne ritorni a Phoenix dai suoi genitori. Forse là si che
è ben accetta.
Mi
sentii
improvvisamente vuota, incompleta. Come se quelle semplici
parole avessero spezzato la mia barriera, penetrandomi nel cuore.
"Se
ha fatto
questo è perchè è
invidiosa, ti considerava una specie di intralcio tra me e lei. - La
voce di Edward mi distolse dai miei pensieri. - Mi dispiace che ti
abbia coinvolta" ripetè di nuovo, mortificato.
"Tranquillo,
non
è un problema. Sto bene. - Finsi un
sorriso, cercando si essere rassicurante. - Ma c'è mai stato
qualcosa tra di voi?" domandai intimorita, cambiando completamente
argomento.
Non
appena mi
resi conto di ciò che avevo chiesto mi portai
una mano davanti alla bocca, sconvolta.
"S-scusa,
io non
avrei..." balbettai frasi sconnesse, ma prontamente mi
bloccò.
"No,
non
c'è mai stato nulla tra di noi. E mai ci
sarà" disse frettolosamente.
"Davvero?"
chiesi
speranzosa, alzando un sopracciglio. Per un istante
l'indecisione apparve sul suo volto, aprì e richiuse la
bocca. Sospirò, passandosi una mano tra i capelli.
"Davvero"
rispose
semplicemente, mentre con una mano mi
spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Non ne
sapevo il vero motivo, ma stranamente gli credetti.
Non
riuscii a
trattenermi e sul mio viso si dipinse un sorriso. Chiusi
gli occhi, appoggiandomi completamente alla sua mano. Con un solo tocco
era in grado di provocarmi emozioni indescrivibili.
"Edward"
lo
chiamai all'improvviso, allarmata.
"Sì?"
domandò alzando la testa, fissandomi
intensamente.
"L'infermiera.
Il
professore...?". La testa pulsò, ma
ignorai il dolore.
"Sssh,
stai
tranquilla. - Mi zittì, posandomi un dito sulle
labbra. - Hanno chiamato tuo padre alla centrale, avvisandolo
dell'accaduto. E io mi sono offerto volontario di accompagnarti a casa,
ovviamente" mi comunicò, sorridendo sghembo. Si
alzò in piedi e mi porse la mano, che afferrai
immediatamente senza indugi.
Intrecciò
le nostre dita e insieme ci avviammo fuori
dall'edificio.
"Sai
dove abito,
vero?" lo presi in giro, spingendolo scherzosamente.
"Certo
che
sì, tutti sanno dove abita il signor Swan. -
Disse, facendo spallucce. - Però ora non andiamo a casa tua,
ti porto in un posto".
"Come?
Non mi
porti a casa?" domandai, strabuzzando gli occhi.
"No,
andiamo da
un'altra parte prima" rispose, come se fosse la cosa
più ovvia al mondo.
"E
dove mi
dovresti portare, per l'esattezza?" chiesi, incrociando le
braccia al petto.
"Sorpresa"
esclamò, inchiodandomi con i suoi splendidi occhi
verdi.
"Ma..."
dissi, ma
non mi diede il tempo di concludere la frase.
"Niente
ma"
rispose. E solo ora mi accorsi che eravamo davanti alla sua
auto.
"Charlie,
si
preoccuperà se non mi vede tornare subito a
casa..." provai a ribattere, ma prontamente mi bloccò.
"Per
quello che
so alla centrale lavorano fino a sera, quindi fino
all'orario di cena dovresti avere campo libero. - Iniziò, ma
si rese conto che non mi avrebbe smosso di un millimetro. - Per favore,
non farti pregare" continuò, guardandomi dolcemente.
Sospirai
rassegnata, fissandolo negli occhi.
"Okay,
va bene. -
Sbuffai. - Ma te la do vinta solo per questa volta"
borbottai, puntandogli un dito contro il petto.
"Va
benissimo"
sussurrò, mentre uno splendido sorriso si
dipinse sul suo volto.
Mi
aprii la
portiera. Scossi la testa, ridendo ed entrai in auto senza
esitazioni. Si accomodò dalla parte del guidatore e mise in
moto, verso una meta a me sconosciuta.
***
Era da
più di un'ora che stavamo viaggiando. L'auto
sfrecciava velocemente per le strade e io non avevo la minima idea di
dove mi stesse portando, ma di una cosa ero sicura: non ci trovavamo
più a Forks.
"Edward,
dove ci
troviamo? Siamo arrivati?" domandai per l'ennesima
volta.
"Sì,
siamo quasi arrivati" rispose, guardandomi di sottecchi.
"Sarà
la quarta volta che mi dici che siamo quasi
arrivati.
- Sbottai, sillabando bene la parola quasi. - Ed è da
più di un'ora che siamo in viaggio!" borbottai risentita,
incrociando le braccia al petto.
Si
voltò leggermente nella mia direzione, ridendo divertito.
"Ora
lo siamo
davvero, guarda con i tuoi occhi" ridacchiò,
parcheggiando in uno spiazzo. Scese dall'auto e venne dalla parte del
passeggero, aprendomi la portiera. Senza esitazioni afferrai la sua
mano e mi lasciai condurre sul marciapiede.
"Non
vuoi proprio
dirmi dove mi porti, vero?" domandai retoricamente,
alzando un sopracciglio.
"No.
Sorpresa"
ripetè nuovamente. Sbuffai infastidita,
borbottando qualcosa di incomprensibile persino alle mie orecchie. Mi
guardai attorno: le persone passeggiavano beatamente, ridendo e
scherzando; le strade erano trafficate. Solo ora mi resi conto che quel
posto mi era maledettamente famigliare.
"Siamo
a
Seattle?" chiesi all'improvviso, sbattendo più
volte le palpebre.
"Come
fai a
sapere che... - Iniziò a parlare ma non concluse
la frase, scuotendo lievemente il capo. - Niente domande, presto
vedrai" disse, sorridendo sghembo. Alzai gli occhi al cielo, tutto
questo mistero non faceva altro che agitarmi ulteriormente.
Camminammo
per un
tempo indefinito, fino a quando non ci trovammo di
fronte a un enorme cancello. Non potei non notare la scritta che vi era
sopra: Parco Oltremare. Aprii la bocca, ma dalle mie labbra non
uscì alcun suono.
Non
mi diede il
tempo di parlare, che mi prese per mano e mi condusse
all'ingresso. Davanti a noi si parò una distesa d'erba, il
prato era ben curato e vi erano fiori di ogni tipo. Mi soffermai a
osservare i colori, uno ad uno, fino a quando il mio sguardo non si
posò su qualcosa di altrettanto meraviglioso: un'enorme
vasca, l'acqua era talmente limpida che riuscivo quasi a vederne il
fondo. Era di un azzurro cielo, un colore così acceso che
per un istante mi ricordò il mare di Phoenix.
Stavo
per cedere
ai ricordi, ma qualcosa attirò la mia
attenzione: all'interno della vasca vi erano degli addestratori,
intenti a far esibire cinque delfini. Per un breve istante trattenni il
respiro.
Mi
voltai
immediatamente verso di Edward, mentre un sorriso si dipinse
sul mio viso.
"M-mi
hai portata
in un parco acquatico?" domandai balbettando. La mia
voce non era altro che un flebile sussurro.
"Sì.
-
Rispose, incatenando i nostri sguardi. - Ho pensato
che ti sarebbe piaciuto, d'altronde tutti amano i delfini" mi
spiegò con un'alzata di spalle, cercando di apparire
indifferente.
"Hai
indovinato,
amo i delfini" ammisi, mentre fissavo ammirata quelle
splendide creature nuotare pacifiche.
All'udire
le mie
parole sorrise, un sorriso che mi scaldò il
cuore.
"Allora
avviciniamoci, è un peccato stare così
lontani" disse e mi posò una mano dietro la schiena,
invitandomi ad avvicinarmi ancora di più alla vasca.
Richiesta che non tardai a esaudire.
Si
trattava di
un'enorme area acquatica tematizzata con rocce,
cascatelle e palme.
Mi
sedetti sul
bordo, fissando intensamente quegli splendidi mammiferi.
Avevo sempre amato i delfini, li consideravo animali molto
affascinanti, in grado di rapire l'attenzione. I loro movimenti sinuosi
riescono ad ammaliare, suscitando forti emozioni e infinita
curiosità in chi li osserva.
Si
muovevano
leggiadri, formando dei cerchi perfetti fuori dall'acqua.
Dire che erano bellissimi era un insulto.
"Ti
è
piaciuta la sorpresa?" mi chiese in un sussurro. Mi
voltai leggermente e solo ora mi resi conto che si era accomodato
accanto a me. Non risposi, mi limitai a sorridere. Ma, come si dice,
delle volte un sorriso vale più di mille parole e sperai che
lui l'avesse compreso.
Per un tempo
indefinito rimasi a guardarli
cavalcare le onde, fino a
quando uno dei cinque delfini si avvicinò a noi. Con il muso
andò a sfiorarmi la gamba, solleticandola dolcemente.
Tesi
una mano,
titubante e gli accarezzai piano il capo. Percorsi con
lentezza tutto il suo profilo e - nonostante già
lo sapessi
- mi stupii di quanto fosse
liscia la sua pelle. Quando gli
sfiorai la pancia - mettendo forza sulla coda - si mosse verso
l'alto,
tracciando nell'aria un cerchio
invisibile. Risi felice, mentre lui
tornava dai suoi compagni.
"E'
bellissimo"
mormorai, appoggiando la testa sulla sua spalla.
"L'unica
cosa che
m'importa è che tu sia felice"
sussurrò flebilmente, più a se stesso che a me,
poggiando la guancia sul mio capo. Ed insieme continuammo a bearci
dello spettacolo che ci si presentava davanti ai nostri occhi.
***
Camminavamo per
le strade di Seattle. La mia mente era altrove, l'unica
cosa che riuscivo a percepire era la mano di Edward, che stringeva
dolcemente la mia. Le nostre dita intrecciate, la sua stretta
m'infondeva sicurezza.
Prima,
quando
eravamo al parco acquatico la mia concentrazione era
dedicata esclusivamente ai delfini, ma ora i miei pensieri si erano
incentrati su... loro.
Tutto
di quel
posto non aveva fatto altro che ricordarmi Phoenix:
l'acqua limpida, le risate, le passeggiate... tutto.
"Isabella...
- La
voce di Edward mi destò dai miei pensieri,
facendomi rinsavire. - Stai bene?" domandò, preoccupato dal
mio improvviso cambio di umore.
Alzai
la testa,
guardandolo per la prima volta.
"Sì.
-
Mi affrettai a rispondere, cercando di essere
convincente. - Stavo solo pensando a..." mi bloccai immediatamente,
mordendomi la lingua. Ma
che diavolo mi saltava in mente?! Per la prima
volta in tutta la mia vita stavo confessando ciò che
realmente provavo.
Sbagliato.
Terribilmente e maledettamente sbagliato.
"A
cosa stavi
pensando?" domandò incuriosito, fermandosi.
Stavo per chiedergli il perchè, quando mi accorsi che
eravamo accanto alla sua Volvo.
"Io...
Stavo
pensando che il parco acquatico... - Dissi, tentennando
per un istante. Sospirai, passandomi nervosamente una mano tra i
capelli. - Mi ha ricordato terribilmente Phoenix" mormorai, abbassando
la testa. Mi posò una mano sotto il mento e delicatamente mi
invitò ad alzare il viso. Lo feci, incontrando
così i suoi occhi, che in quel momento mi scrutavano
intensamente.
"Non
devi
vergognarti di nulla, non con me. - Sussurrò
dolcemente. - Capisco che ti manca la tua città natale. E
che ti manchi tua madre, d'altronde deve essere stata dura lasciarla
là e partire. Ma devi pensare positivo, presto ci saranno le
vacanze e tu potrai andare a trovarla". Sorrise teneramente, cercando
di rassicurarmi. Non poteva sapere che le sue parole riaprirono la
voragine, che da tempo cercavo di reprimere. Io non avrei
più rivisto mia madre, mai più.
Il
dolore mi
prese alla sprovvista, mozzandomi il respiro. Portai una
mano al petto, cercando di placare il dolore, ma ciò che
stavo provando era incurabile.
Annaspai,
in
cerca d'aria e cercai di ritrovare il controllo di me
stessa. Mi concentrai sul suo sorriso e sui suoi occhi, così
dannatamente sinceri.
"Grazie.
-
Riuscii a dire con voce spezzata, trattenendo le lacrime che
minacciavano di uscire da un momento all'altro. - Grazie di tutto"
mormorai flebilmente, avvicinandomi a lui. Guardai per l'ennesima volta
i suoi splendidi occhi verdi, dopodichè mi lasciai andare
contro il suo corpo. Posai le mani sul suo petto e affondai il viso
nell'incavo del suo collo, inspirando il suo buonissimo profumo.
Inizialmente fu sorpreso dal mio gesto, ma presto avvolse le sue
braccia intorno alla mia vita, stringendomi forte a lui.
Chiusi
gli occhi,
beandomi di quel contatto e sentii l'angoscia provata
poco prima scivolarmi via, come se non fosse mai arrivata.
Posò
la guancia sulla mia testa e le sue labbra furono
immediatamente tra i miei capelli.
Mi
strinsi a lui
più che potei e automaticamente le sue
braccia aumentarono la presa intorno ai miei fianchi.
Quella
terribile
sensazione di vuoto era scomparsa, sapevo che presto
sarebbe ritornata, ma al momento non me ne importava. L'unica cosa che
desideravo era restare per sempre tra le sue braccia.
Mi scuso immensamente, ma purtroppo non sono riuscita a rispondere alle
vostre meravigliose recensioni.
Perchè ho
voluto postare oggi e se avessi risposto avrei dovuto postare domani,
non volevo farvi attendere oltre :)
Peròòò
entro domani, o massimo giovedì troverete qui tutte le
risposte alle vostre 15 (oddio 15, waaaaa) recensioni.
Grazie, grazie, grazie.
Non so davvero ringraziarvi per l'appoggio che mi date.
_Risposte alle recensioni_
Emma92:
ciaooooooo
caraaaaa. Grazie mille per tutti i complimenti che ogni volta mi fai,
davvero.
Sapere che apprezzi la mia storia e il mio modo di scrivere mi rende
felicissima. Grazie di cuore, davvero (:
Spero
che
anche questo capitolo sia di tuo gradimento. Un bacione! <3
Giulia_Cullen:
ciaoooo caraaaaa!
Oddio, non so davvero come ringraziarti. Sono davvero
felicissima che la mia storia ti piaccia. E quando ho letto che hai
lasciato
una recensione a ogni capitolo ho sorriso. Davvero, grazie *-*
Sì,
piano piano bella sta facendo conoscere la vera se stessa a Edward.
Perché ora sta iniziando a fidarsi di lei, come si
può vedere in questo
capitolo ;) Grazie ancora, di cuore
<3 Un bacione!
ila_cullen:
Grazie
milleeee *-* Sono davvero felicissima che il
capitolo ti
sia piaciuto, *me ha gli occhi a cuore*. Sì, Bella
finalmente si sta rendendo
conto di chi ha vicino. Ovvero una persona fantastica che farebbe di
tutto, pur
di vederla sorridere.
E chi
può farlo, se non Edward? ;) Sì, io
adoro il personaggio di Charlie *-* e
sto cercando piano piano di far riavvicinare anche loro due, di
consolidare il
rapporto padre/figlia.
Uhhh menomale, non ti ho fatta piangere in questo
capitolo. *Me felicissima*.
Ps:
anch’iooo voglioooo Edward Culleeeeeeeen *-*. *Ok, me ritorna
in sé*. Grazie di cuore, davvero
<3 Spero che anche questo capitolo ti piaccia.
Un bacione! <3
jennyvava:
ciaoooo! Grazie
milleeeee *-* Sono davvero felicissima di
sapere che la
mia storia ti piaccia. E’ bello sapere che qualcuno apprezza
il mio modo di
scrivere (:
Sì, ammetto che con la parte dove Bella
rischia di essere investita per salvare la bambina ho tenuto in molti
con il
fiato sospeso, però sono felice di sapere che sono riuscita
a descrivere quella
scena al meglio.
Ce l’avevo in mente da tanto tempo ormai (:
Sì,
Edward
è sempre tenerosissimo e tranquilla, Bella prestissimo
racconterà tutto a lui
;) Grazie di cuore per i complimenti.
Spero che anche questo capitolo ti piaccia. Un bacione! <3
shasha5:
tesorooooooooooo
miooooooooooooo <3 Oddio: grazie, grazie, grazie! Non sai quanto
sono felice di sapere che
questo capitolo ti sia piaciuto. Sai che il tuo parere per me
è
importantissimo.
E sapere ti sia
piaciuto mi fa saltare di gioia, davvero
:) Uhhh ti ho fatta emozionare? *Me ha
gli occhi a cuore*. S
ììì Edward che si preoccupa
così è dolcissimo. E sto
cercando pian piano di far riavvicinare Charlie e Bella, per
consolidare il
cosiddetto rapporto padre e figlia.
Ma vedrai che
ciò avverrà presto ;) Spero che anche
questo capitolo ti piaccia.
Grazie per tutti i complimenti tesoro. Ti voglio davvero beneeeeeeeee
<3 Un bacione enorme <3
madda94:
ciaoooo. Grazie
milleeeeeee, sono davvero felicissima che la mia storia ti
piaccia. Grazie, grazie, grazie… di cuore
<3 Ecco il nuovo capitolo, spero che ti piaccia (: Un bacione!
<3
MirkoCullen96:
ciaooooooo. Ancora sorry, davvero non mi ero accorta di non aver
risposto alla
tua recensione. *Me sbadata*. Però ho rimediato ed
è vero, io adoro
immensamente le tue recensioni *-*
Sei sempre
gentilissimo. Grazie di cuore <3
Grepattz:
grazie milleeeeee.
Sono felicissima lo scorso capitolo ti sia piaciuto *-* Grazie di
cuore. Sì, finalmente Bella inizia a fidarsi di
Edward e in
questo ci saranno ancora degli sviluppi ;)
Sì, lui vuole aiutarla, anche
se non sa quale sia il suo problema. Dolcissimo come sempre Eddy. Spero
che
anche questo capitolo ti piaccia (: Un bacione!
<3
Ringrazio di cuore anche
chi mi ha aggiunta tra i preferiti, tra le seguite e tra le storie da
ricordare.
GRAZIE DI CUORE. Non so
davvero come ringraziarvi, siete degli angeli.
E anche i lettori
silenziosi.
Vi adorooooooo <3
Un bacione, Elly.
|
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Capitolo 9 *** Una lunga, ma piacevole, giornata. ***
Buonasera
a tutti, gente!
Sì, non è un miraggio, sono proprio io. Eccomi
qui ad aggiornare, finalmente, dopo più di sei mesi.
Questo capitolo diciamo sarà di "passaggio", ma piacevole.
Perchè si avvicineranno Edward e Bella.
Mi scuso, se ci saranno eventuali errori, ma non l'ho ancora
ricontrollato bene.
Perchè ci tenevo a postare oggi, e se
l'avessi betato molto probabilmente avrei postato domani.
Ci sarà una situazione che mi sono divertita molto a
scrivere, spero che anche voi la gradiate.
Ps: il prossimo sarà IL capitolo. Spero avete capito di cosa
parlo...
E, ora, la smetto di blaterare e vi lascio al capitolo... Buona
lettura. ;)
9.
Una lunga, ma piacevole, giornata.
“La
felicità non è avere quello che si
desidera,
ma
desiderare quello
che si ha”.
O.
Wilde
Pov
Bella
Due
mesi. Erano trascorsi poco più di due mesi da quando Edward
entrò a far parte
della mia vita. E, ultimamente, il nostro rapporto era decisamente
migliorato.
Mi
ero fatta un' opinione completamente sbagliata su di lui, credevo che
fosse il
classico stronzo senza cervello; però non avevo tutti i
torti a classificarlo
in questo modo, perché inizialmente si presentò
come tale. Però, con il
trascorrere dei giorni, imparai a conoscerlo e scoprii molte cose di
lui: era
un ragazzo sempre con la battuta pronta; amava farsi notare dalla gente
per ciò
che era, senza fingere di essere qualcun altro. Si era dimostrato anche
dolce,
gentile e premuroso nei miei confronti. Mi aveva fatto capire di
nascondere
numerose qualità positive, di cui pian piano stavo venendo a
conoscenza.
Al
momento, però, c’era qualcosa che mi
bloccava… Non riuscivo a fidarmi completamente
di lui. Forse era la paura di legarmi a qualcuno, o semplicemente il
vero
problema ero io, come sempre.
Sospirai
sconsolata e continuai a spazzolarmi i capelli, cercando di tenere a
freno i
brutti pensieri. Osservai attentamente il mio riflesso allo specchio e,
quando
la mia mente corse al giorno prima, le mie gote
s’imporporarono e un timido
sorriso si dipinse sul mio viso.
[Inizio
flashback]
Una
dolce melodia invase
l’abitacolo; chiusi gli occhi, rilassandomi completamente.
Non seppi precisamente
quanto tempo trascorsi in quella posizione, ma inaspettatamente una
mano si
posò sulla mia guancia, accarezzandola teneramente.
Aprii lentamente gli occhi,
sicura di sapere chi avrei trovato al mio fianco.
“Ti piace Claire de Lune?”.
Sorrise, quando finalmente il mio sguardo incontrò il suo.
“Sì. E’ una delle mie
melodie preferite, trovo che Debussy sia bravissima. –
Risposi, sincera. –
Infatti stavo rilassandomi e beandomi della musica, prima che
tu
m’interrompessi” lo presi in giro, incrociando le
braccia al petto.
“Oh, mi scusi Mademoiselle.
- Sorrise, di nuovo; cercai con tutte le mie forze di non arrossire e
di non
passare per la ridicola di turno. – Volevo solamente
avvisarla che siamo
arrivati a destinazione” mi ricordò, indicandomi
con un cenno della mano casa
mia.
Non mi ero nemmeno resa
conto che fossimo già arrivati e, in quella situazione,
arrossire fu
inevitabile. Molto probabilmente si accorse del mio imbarazzo, dato il
suo
sguardo divertito.
“Non darmi del Lei, mi fai
sentire vecchia. - Lo
rimbeccai,
cercando di cambiare velocemente argomento. – E poi, ora devo
proprio andare,
si sta facendo tardi. Grazie per il passaggio” lo salutai,
aprendo la portiera,
pronta ad uscire.
“Aspetta. – La sua mano si
posizionò sul mio polso e quel contatto mi
destabilizzò completamente. – Volevo
domandarti una cosa, prima che te ne andassi”.
Allontanai, cercando di
sembrare indifferente, la mano dalla sua stretta e mi voltai nella sua
direzione. E annuii, aspettando che parlasse.
“Sei libera domani mattina,
sul tardi? Mi piacerebbe portarti in un posto” disse,
lasciando ricadere il
braccio, come se niente fosse.
“Dipende da dove vuoi
portarmi” risposi circospetta, alzando un sopracciglio.
“Ti andrebbe di uscire con
me, i miei fratelli e i loro rispettivi fidanzati? Sarà una
cosa divertente. –
Aprii la bocca per rispondere, ma prontamente mi bloccò.
– Non accetto un no
come risposta e, poi, è stata Alice ad insistere
perché tu venissi. Sai com’è
fatta; se s’impunta su una cosa, finisce sempre con
l’ottenerla” aggiunse
infine, soddisfatto dal suo monologo.
Sgranai gli occhi,
trattenendo un’imprecazione. Contro Alice nessuno vinceva e
lui sapeva bene,
che se io avessi risposto negativamente alla sua proposta, quella pazza
di sua
sorella sarebbe stata in grado di venirmi a prendere personalmente e
lì sì che
sarebbero stati guai, grossi guai.
Sbuffai sonoramente alla
vista di quel suo maledetto sorriso sghembo, che era sempre in grado di
farmi
irritare a morte.
“E va bene, verrò. Ma è la
prima e l’ultima volta che la do vinta a te e a quella pazza
di tua sorella”
sbottai, riducendo gli occhi a due fessure.
“Perfetto, passo a
prenderti domani verso mezzogiorno”. Rise di gusto, di fronte
alla mia
espressione contrariata.
“Va bene, va bene”
borbottai, uscendo definitivamente dall’auto e sbattendo la
portiera.
Infilai le chiavi nella
serratura, stavo per aprire la porta quando il suono del clacson mi
fece
sobbalzare spaventata. Mi voltai rapidamente e ciò che vidi
non fece altro che
farmi saltare i nervi, più del dovuto. Tirò
giù il finestrino e si affacciò;
sul suo viso c’era ancora quel maledetto sorriso.
“Dimenticavo: buon
pomeriggio, Isabella” sussurrò e, senza darmi
nemmeno il tempo di rispondere,
partì sgommando.
Rimasi per un attimo
imbambolata e, non appena mi ripresi dallo stato di shock momentaneo,
entrai in
casa, borbottando qualcosa di incomprensibile.
Gettai lo zaino sul divano
e, senza che me ne rendessi conto, desiderai ardentemente che il giorno
seguente arrivasse presto… Molto presto.
[Fine
flashback].
Appoggiai
la spazzola e il ricordo del suo sorriso, si fece largo nella mia mente.
Il
suono del campanello mi fece sobbalzare, destandomi così dai
miei pensieri.
Scesi
velocemente le scale e per poco non inciampai; la casa era vuota,
Charlie era
già andato al lavoro. Il lavoro di poliziotto non gli dava
un giorno di tregua,
nemmeno la domenica.
Indossai
velocemente la giacca, andando alla porta e, non appena
l’aprii, la figura di
Edward mi apparve davanti agli occhi. Guardai l’orologio: era
mezzogiorno in
punto. Un'altra sua caratteristica da ricordare assolutamente: era
puntuale come
un orologio svizzero.
Chiusi
la porta alle mie spalle e uscii di casa, posizionandomi accanto a lui.
“Buongiorno”
mi salutò, scompigliandomi teneramente i capelli.
Quel
semplice gesto - che precedentemente avevo sempre odiato – mi
fece piacere,
compiuto da lui.
“Ciao”
risposi e lui, inaspettatamente si abbassò, raggiungendo la
mia altezza e posò
le labbra sulla mia fronte, lasciandovi un dolce bacio.
Trattenni
il respiro e, nel frattempo, lui si allontanò lentamente;
guardandomi
intensamente. Le gambe mi tremarono e m’imposi mentalmente di
non cadere
rovinosamente a terra; volevo parlare, ma dalle mie labbra non
uscì alcun
suono.
Così,
mi limitai a ricambiare il suo sguardo intenso e abbozzai un sorriso,
imbarazzata.
“Prego,
Mademoiselle”. Mi invitò ad entrare, aprendomi la
portiera dell’auto.
“Grazie,
Monsieur”. Stetti al gioco e, senza farmelo ripetere due
volte, entrai nella
sua bellissima Volvo metallizzata.
Avevo
una strana sensazione, ovvero che sarebbe stata una lunga
giornata… Molto
lunga.
Pov
Edward
“Cause
I want it now
I want it now
Give me your heart and your soul
I'm not breaking down
I'm breaking out
Last chance to lose control”.
Alzai
il volume della radio e le note
di Hysteria, invasero l’abitacolo.
“It's
holding me, morphing me and forcing me to strive. To be endlessly cold
within and
dreaming I'm alive”. Canticchiai
un pezzo della canzone a bassa voce, ma lei mi sentì
ugualmente.
Si
voltò nella mia direzione, strabuzzando gli occhi.
“Conosci
Hysteria, ma soprattutto: ti piacciono i Muse?” mi
domandò stranita, passandosi
rapidamente una mano tra i lunghi capelli castani.
“Sì,
è uno dei miei gruppi preferiti. Sono ottimi cantanti. -
Risposi, facendo
spallucce, come se fosse la cosa più ovvia al mondo.
– Anche se sono poche le
persone che li conoscono, qui a Forks”.
“E’
anche il mio gruppo preferito. – Ammise. – Hanno un
grande talento, che non
tutti i cantanti hanno. E poi, io ho sempre amato la musica, fin da
quando ero
bambina” sussurrò, e la sua strana
tonalità di voce mi portò a voltarmi nella
sua direzione.
“Passi
da Debussy, ai Muse… Vedo che anche tu, hai pazzeschi sbalzi
musicali” la presi
in giro, cercando di farle tornare il buon umore. Perché,
sì, era chiaro che
qualcosa in quel momento la stesse turbando.
“Mia
madre adorava Debussy e la musica classica, mentre Phil puntava di
più sul rock
e sui gruppi musicali. Ricordo che delle volte, in auto, litigavano per
la
scelta del cd da sentire. – Un sorriso triste si dipinse sul
suo viso. – Ovviamente
per me non c’era differenza, dato che amavo tutti e due i
generi. E’ grazie a
loro, se ho imparato ad amare la buona musica”
sussurrò infine, volgendo lo
sguardo fuori dal finestrino.
Non
riuscivo veramente a capire il suo improvviso cambio di umore,
più mi sforzavo
di comprenderla e più rimanevo indietro. Restai in silenzio
per un minuto
interminabile e, solo in quel momento, mi resi conto che eravamo
arrivati a
destinazione. Feci inversione e parcheggiai l’auto nel garage.
Mi
voltai, incantandomi ad osservare il
suo bellissimo viso.
Era ancora intenta a guardare fuori dal
finestrino così, istintivamente, allungai una mano nella sua
direzione e,
delicatamente, le portai dietro l'orecchio una ciocca ribelle che le
ricadeva
sulla sua fronte. A quel semplice contatto sentii una scossa
attraversarmi il
corpo e il mio cuore aumentò i suoi battiti…
Forse anche lei la sentì, perchè
sussultò e le sue gote s'imporporarono.
Un sorriso spontaneo si dipinse sul mio
volto; era davvero bellissima.
“Siamo arrivati?” domandò,
tormentandosi il labbro con i denti.
“Sì, siamo arrivati. – Annuii.
– Tu sei
sicura di stare bene?” le chiesi, preoccupato, ricordando la
sua strana
reazione di prima. Strizzò momentaneamente gli occhi, come
se fosse sul punto
di piangere.
“Sì, tutto alla grande! –
Rispose
velocemente, troppo velocemente. – Forza, andiamo. Non vorrai
far aspettare
quella pazza di tua sorella, vero?” domandò
retoricamente, schizzando fuori
dall’auto. La seguii senza smettere, nemmeno per un istante,
di guardarla
attentamente. Fece un mezzo sorriso, che non mi convinse minimamente.
“Allora, Cullen, ti sei imbambolato? – Mi
sventolò una mano davanti al viso. – E’
per caso la vecchiaia?” mi scimmiottò,
incrociando le braccia al petto.
“Stai per caso dando del vecchio, a
me?” chiesi, fingendomi scandalizzato.
“Perspicace, Cullen” rispose, ridendo
di gusto per la mia faccia allibita.
“Questa me la paghi. - E in un secondo
scattai verso di lei, inseguendola. Capii immediatamente le mie
intenzioni e
scappò, uscendo di corsa dal garage. – Se ti
prendo, subirai le più atroci
delle torture. A meno che non rimangerai ciò che hai
detto”.
“Questo mai!” rise, continuando a
sfuggirmi, ma se credeva che ci sarebbe riuscita si sbagliava di
grosso.
Continuai a correre aumentando il passo e, in pochi secondi, la
raggiunsi.
“Presa” le sussurrai all’orecchio,
stringendole delicatamente le braccia intorno alla vita. Mi parve di
sentire il
suo cuore battere all’impazzata, eco del mio; ma molto
probabilmente era tutto
frutto della mia fervida immaginazione.
La sua schiena aderiva perfettamente al
mio torace, appoggiai il mento sul suo capo, beandomi di quel momento,
dove lei
era tra le mie braccia. Perché, ero sicuro, una situazione
come questa non ci
sarebbe stata molto presto, così ne approfittai.
Cercai di farla voltare nella mia
direzione, ma non ci riuscii perché, il rumore di una porta
che si apriva, ci
fece sobbalzare. Ed ecco che un folletto uscì di corsa,
trafelata e solo in
quel momento mi resi conto che eravamo esattamente davanti
all’entrata.
“Isabella! – La salutò calorosamente,
senza degnarsi minimamente della mia presenza. – Sapevo che
saresti venuta!”
trillò felice, abbracciandola di slancio.
“Anch’io sono felice di vederti, Alice”
la salutò Isabella sorridendo e ricambiò, seppur
timidamente, la stretta
soffocante di mia sorella.
“Ciao anche a te, Alice” borbottai,
infastidito dal fatto che avesse interrotto il mio momento con Isabella.
“Ma smettila di fare l’offeso Eddy e
comportati da uomo”. La voce di Emmett giunse alle mie
spalle, cogliendomi
impreparato.
Borbottai qualcosa d’incomprensibile,
persino per le mie orecchie.
“Bellina!” la salutò l’orso,
battendole
una pacca – non proprio delicata – sulla spalla.
“Ehm, sì. Emmett, apprezzo il tuo
entusiasmo nel vedermi, però se non mi avessi massacrato una
spalla, sarei
stata ancora più felice” disse, massaggiandosi la
parte dolorante.
“Questo orso non riesce proprio a
controllarsi, non c’è nulla da fare”
sbottai, incrociando le braccia al petto.
Fece per ribattere, ma Alice prontamente lo bloccò.
“Forza ragazzi, perché invece di
litigare non facciamo vedere a Isabella la casa?”
domandò retoricamente,
alzando gli occhi al cielo, per quel nostro stupido battibecco.
“Vieni,
entriamo, altrimenti ti prenderai un malanno qui fuori”.
Sorrisi, prendendole
la mano; sussultò impercettibilmente, puntando lo sguardo
sulle nostre mani
intrecciate, ma non disse nulla e si lasciò condurre in casa.
Si
guardò intorno, totalmente spaesata.
“Questo
pomeriggio andremo a fare shopping tutti insieme! –
Esclamò quella pazza di mia
sorella, totalmente entusiasta. – Edward te l’ha
detto, vero?” domandò,
guardandola adorante.
“Veramente…
- Isabella mi guardò in cerca di aiuto, ma capì,
dal mio sguardo perplesso, che
io ne sapevo quanto lei. – No, non mi ha detto
nulla”.
“Come?
– Alice si voltò nella mia direzione, fulminandomi
con uno sguardo che avrebbe
potuto uccidermi seduta stante. – Perché non le
hai detto niente?!” sbottò,
battendo un piede per terra, con fare capriccioso.
“Forse,
perché, nemmeno io ero a conoscenza di questo tuo assurdo
programma” risposi,
alzando gli occhi al cielo.
“Avevo
detto ad Emmett di riferirtelo!” sibilò,
contrariata, incenerendo con lo
sguardo mio fratello.
“Ops.
Forse… Ecco, forse, mi sono dimenticato qualche piccolo
particolare” borbottò a
bassa voce l’orso e si grattò il capo arrossendo,
totalmente in imbarazzo.
Isabella
incontrò il mio sguardo ed entrambi scoppiammo a ridere per
quell’assurda – e
divertente – situazione, sotto gli occhi di un indignata
Alice.
***
Eravamo
comodamente seduti in cucina a chiacchierare, fino a quando il telefono
squillò, prendendomi alla sprovvista.
“Vado
io” disse Alice; presi Isabella per mano e la condussi in
soggiorno. Mi
sedetti sul
divano e la feci
accomodare accanto a me; la guardai e notai che le sue gote erano
leggermente
arrossate… Era ancora più bella.
Notò
il mio sguardo fisso su di lei e,
lentamente, sfilò la sua mano dalla mia. Ciò mi
lasciò una strana sensazione di
vuoto, come se un semplice contatto con lei, mi facesse sentire bene.
E, in
quel momento, la sentivo così maledettamente distante, come
se la sua mente
fosse altrove.
Aprii la bocca, pronto per parlare, ma
l’urlo squillante di Alice mi fece ritirare la mano,
spaventato. Soffocai
un’imprecazione… Quel folletto sempre nei momenti
meno opportuni, doveva
apparire?!
“Ho una notizia straordinaria! Cambio
di programmi… - Iniziò a dire, entusiasta.
– Mamma e papà oggi dovevano partire
per mezzogiorno, però non l’hanno fatto”.
“Alice, non capisco…” le dissi,
confuso; non capivo dove volesse andare a parare.
“Verranno a casa per pranzo! Partiranno
sul tardi, verso le tre; così, andremo più tardi
a fare shopping. Non è una
notizia strepitosa? - Trillò, assumendo
un’espressione sognante. - Saranno qui
a momenti. Piccolo cambio di programma: Isabella, ti andrebbe di
restare a
pranzo?”.
Isabella tremò impercettibilmente,
guardandola ansiosa.
“No, sarebbe meglio di no” rispose,
immediatamente, negativamente.
“Eddai Bellina, non disturbi mica” la
spronò Emmett, sorridendo sornione.
Si guardò intorno, in cerca di un
qualcosa che avrebbe potuto aiutarla. Sembrò non trovarla,
infatti restò in
silenzio.
"Sicura che non vuoi restare a pranzo a casa nostra? - le
domandò,
nuovamente, Alice. - I nostri genitori sarebbero davvero felici di
conoscerti!" aggiunse infine, totalmente su di giri. Per poco non mi
strozzai con la mia stessa saliva, quando sentii quel folletto malefico
parlare.
"I-o veramente... Non saprei, n-non vorrei disturbare"
balbettò
Isabella, titubante.
"Ma quale disturbo! – Disse, guardandola severamente. -
Eddai, ti prego.
Fallo per me" trillò mia sorella, mostrando i suoi occhi da
cucciolo
bastonato.
Isabella aprì e richiuse la bocca senza proferire parola.
Voltò il capo nella
mia direzione, in cerca di aiuto, incontrando così il mio
sguardo e io annegai
nei suoi bellissimi occhi nocciola. Avrei passato minuti, ore e giorni
a
fissare quei pozzi cioccolatosi.
Si tormentò le mani, Sospirando e, finalmente, si decise ad
annunciare la sua
decisione. “Io… - Iniziò. –
Va bene, resto” concluse, titubante.
“Oddio, grazie, grazie, grazie!” urlò,
stringendola in un abbraccio, al quale lei ricambiò,
sorridendo.
“Forza, abbiamo un
pranzo da preparare, muovi
quel culo!” ordinò poi il folletto, prendendo
– letteralmente di peso – Emmett
e trascinandolo in cucina, non prima che l’orso ci lanciasse
uno sguardo
implorante.
In pochi secondi, sparirono in cucina.
“Alice ed Emmett non cambieranno mai,
ormai ho perso le speranze con loro” constatai, alzando gli
occhi al cielo con
fare teatrale.
“Hai due fratelli davvero pazzi. –
Disse, scompigliandosi i capelli. – Ma, forse, è
questo che li rende unici”.
“Fidati, dopo che te li subisci ogni
giorno, 24 ore su 24, cambierai idea!”. Scoppiai a ridere,
contagiando anche
Isabella. La sua risata cristallina si diffuse nella stanza, arrivando
direttamente al mio cuore.
“Grazie per essere rimasta a pranzo,
hai reso felici loro... – La ringraziai. - E anche
me” aggiunsi infine; tesi la
mano e la posai sulla sua guancia, carezzandola dolcemente. Il contatto
della
sua pelle, con la mia mano, fu in grado di destabilizzarmi
completamente.
“Grazie a te per avermi invitato, è
stato… bello”. Sorrise e chiuse gli occhi,
lasciandosi andare contro il palmo,
posando poi una mano sul mio braccio.
Sorrisi involontariamente; sarei stato
ore a guardare il suo splendido viso, senza mai stancarmi.
Pov
Bella
Ero
seduta sul divano, nel soggiorno di
casa Cullen ed Edward se ne stava comodamente seduto accanto a me. Mi
stava
parlando, ma non riuscii a capire cosa mi stesse dicendo, dato che la
mia
attenzione era rivolta altrove.
I
nostri genitori sarebbero davvero felici di conoscerti!
Quella
frase, detta da Alice, continuava a rimbombarmi in testa, come un disco
rotto.
Abbassai lo sguardo sulle mie gambe e iniziai a tormentarmi le mani, in
preda
all’ansia.
In
che guaio mi ero cacciata? Avrei dovuto rispondere negativamente e non
accettare il suo invito a cena. Molto probabilmente avrei fatto una
pessima
figura e non sarei piaciuta a loro, ma dopotutto… A chi sarei mai potuta piacere, io? Pensai tristemente.
“Isabella?
– Mi chiamò Edward, ma non risposi. –
Isabella, stai bene?” mi ripetè, posando
una mano sulla mia spalla, voltandomi delicatamente nella sua direzione.
“Sì,
Edward?” domandai, sbattendo le palpebre, destandomi dai miei
pensieri.
“Tutto
bene?” mi domandò di nuovo, spostandomi dolcemente
i capelli dal viso.
Come
poteva, un suo semplice gesto, farmi battere il cuore in questo modo?
“Sto
bene, stai tranquillo. Solo che…” lasciai la frase
in sospeso.
“Solo
che…?” chiese incuriosito, avvicinandosi
– seppur involontariamente – ancora di
più al mio corpo.
“Se
non gli piaccio?” domandai, titubante.
“A
chi, a mio padre e mia madre?” chiese retoricamente. Annuii e
a quel punto
scoppiò a ridere, portandosi una mano davanti alla bocca,
nel tentativo di
celare quel suo improvviso attacco isterico.
“Cos’hai
da ridere? – Gonfiai le guance, proprio come una bambina,
mentre lui rise
ancora più forte, facendomi saltare ulteriormente i nervi.
– Lo trovi proprio
divertente, vero?” sbuffai, incrociando le braccia al petto.
“Scusa.
Scusa, adesso la smetto. – Rise, di nuovo. – Solo
che ciò che hai detto, è
totalmente stupido” disse, cercando di tornare serio.
Alzai
un sopracciglio, osservandolo severamente e fu ciò, forse,
che lo spinse a
continuare il suo discorso.
“E’
che mi domando cosa ti passi per la testa, Isabella. – Disse,
scuotendo
leggermente il capo. – Chi non ti apprezzerebbe? Solo un
pazzo e i miei
genitori non fanno parte di quella categoria, ti adoreranno”.
Fece spallucce,
come se fosse la cosa più ovvia al mondo.
Le
sue parole, ma soprattutto il tono convinto con cui parlò,
mi fece mancare il
respiro. Mi sarei aspettata tutto, tranne ciò che mi disse.
“Le
tue parole sono… - Meravigliose, avrei voluto dire, ma
preferii restare in
silenzio. – Non tutti la pensano come te. Anzi, forse sei
l’unico a credere a
ciò che hai detto e ti sbagli” risposi, sorridendo
amaramente.
“Tu
ti sottovaluti, Isabella” sussurrò dolcemente,
sfiorandomi delicatamente il
dorso della mano. E, senza che me ne rendessi conto, mi ritrassi,
scossa dalle
emozioni che provai a quel semplice gesto. Alzai lo sguardo, titubante
e vidi
che i suoi occhi, in quel momento, erano maledettamente tristi.
Sentii
una strana sensazione di vuoto, a non sentire la sua mano stretta alla
mia.
Aprii la bocca, pronta a parlare, ma il suono del campanello
mandò in fumo i
miei propositi.
Come
un fulmine, Alice ci passò davanti, fiondandosi ad aprire la
porta.
Davanti
ai miei occhi si presentarono due persone: una donna; dai lunghi
capelli che le
ricadevano in semplici boccoli sulle spalle, avevano un colore simile
al
caramello. Il viso era tondo, dai lineamenti dolci e gli occhi castani,
erano
così sinceri.
Spostai
lo sguardo alla sua sinistra e un uomo attirò la mia
attenzione, i capelli
erano biondi e ordinati, il suo viso riusciva a infondere fiducia e gli
occhi
verdi, erano così simili a quelli di Edward.
D’altronde, erano i suoi genitori,
e sembravano davvero due brave persone.
“Siete
arrivati, finalmente!” trillò entusiasta Alice,
salutandoli con un bacio sulla
guancia.
“Ciao
tesoro. Certo, abbiamo fatto il più in fretta possibile,
solamente che abbiamo
dovuto caricare le valige in macchina e quindi abbiamo un po’
tardato” rispose
la donna, chiudendo la porta alle sue spalle.
“E
che valige, invece che una settimana sembra che dobbiamo stare via sei
mesi”
commentò l’uomo, alzando gli occhi al
cielo… Un altro tipico gesto di Edward.
“L’importante
è che siate arrivati. E comunque, venite, vorrei farvi
conoscere una persona”
disse il folletto, accompagnandoli nella mia direzione.
Lentamente,
mi alzai, cercando di non inciampare nei miei stessi piedi.
Perché, purtroppo,
l’ansia e l’imbarazzo mi avevano sempre giocato
brutti scherzi.
“Buongiorno,
signor Cullen e signora Cullen. – Li salutai. –
Piacere, io sono Isabella Swan.
E’ davvero un piacere, per me, conoscervi”. Mi
presentai, porgendo loro la
mano.
“Il
piacere è tutto nostro, Isabella. E, per favore, chiamami
Esme. Signora Cullen
mi fa sentire ancora più vecchia” sorrise,
stringendomi la mano e, come
immaginavo, la sua stretta era così gentile e delicata.
“Chiamami
pure Carlisle. – Sorrise, stringendomi la mano con fermezza,
proprio come mi
sarei immaginata da lui. – E siamo davvero velici di
conoscerti; ci hanno
parlato molto di te, soprattutto Edward” disse, ricevendo
un’occhiataccia dal
diretto interessato.
“Oh
beh… Grazie” balbettai frasi sconnesse e arrossii,
passandomi una mano tra i
capelli, totalmente a disagio. Guardai Edward e vidi che, anche lui,
era in
evidente imbarazzo.
“Sto
morendo di fame. - S’imbronciò Emmett, apparso ora
dalla soglia della cucina. –
Con tutta la fatica che ci ho messo a cucinare, mi è venuta
una gran fame”
spiegò.
Fui
grata alla sua improvvisa apparizione, che smorzò
l’imbarazzo che si era
momentaneamente creato.
“Alice,
Emmett ti ha aiutata a cucinare? – Domandò
Carlisle, sorpreso ed Alice annuì. –
Beh, se la metti così… Sei sicura che dovremo
mangiare ciò che ha cucinato, non
è che ci avvelena con uno dei suoi soliti piatti?”
disse, fingendosi
scandalizzato.
Scoppiarono
tutti a ridere e io li osservai, confusa. Il mio sguardo cadde su
Edward,
sembrava davvero rilassato e poi, era davvero… Bellissimo.
Un
magone mi si formò in gola; erano una famiglia davvero
felice e ciò non fece
altro che riaprire la voragine.
Però,
fortunatamente, quella sensazione di vuoto durò poco,
perché mi bastò guardare
la strana faccia che l’orso aveva assunto in quel momento,
per farmi tornare il
buon umore. Così, senza che l’avessi programmato,
risi anch’io, portandomi una
mano davanti alla bocca cercando di controllarmi; mentre Emmett ci
guardava
indignato, borbottando parole senza senso. Mi sentii libera, e volevo
bearmi
appieno di quell’istante.
***
“Vuoi
anche il gelato, cara?” la voce dolce di Esme mi giunse alle
orecchie,
facendomi voltare nella sua direzione.
“Oh
no, grazie mille, sono apposto così. Era tutto buonissimo,
complimenti”
sorrisi, complimentandomi per il pranzo. Antipasto, lasagne, polpettone
e
infine una fetta di torta panna e fragole, se avessi mangiato
qualcos’altro
sarei decisamente scoppiata.
Li
aiutai a sparecchiare la tavola; dopodichè ci dirigemmo in
soggiorno ed Edward
si lasciò cadere stancamente sul divano.
“Ho
mangiato troppo, per i miei gusti” si lamentò
Edward, portandosi una mano sulla
pancia, con fare teatrale.
“Nessuno
ti ha obbligato a mangiare tutte quelle cose e sai qual è la
verità? Che tu sei
un pozzo senza fondo” lo presi in giro, dandogli un pugno
scherzoso sulla
spalla.
“Ahia,
mi hai fatto male” si lamentò mettendo il broncio,
fingendosi offeso.
“Non
è colpa mia se sei s…”. Gli stavo per
dare dello scemo, fino a quando i suoi
genitori non apparvero in soggiorno, facendomi ammutolire. E ringraziai
il
cielo di essermi zittita prima, altrimenti avrei fatto
un’altra delle mie
pessime figure.
“Noi
andiamo e, mi raccomando voi tre, fate i bravi in nostra
assenza!” li ammonì
Esme, puntandogli un dito contro.
“Sì,
mamma” rispose Edward, alzando gli occhi al cielo.
“Grazie
per essere rimasta a cena, Isabella. E’ stato un vero piacere
conoscerti, sei
davvero una bravissima ragazza, con la testa sulle spalle” mi
disse Esme.
Sentii gli occhi inumidirsi, le sue parole mi avevano commossa, anche
se non
volevo ammetterlo a me stessa.
Sorrisi
e le porsi una mano, ma lei – inaspettatamente – mi
strinse in un dolce
abbraccio.
“Ciao,
Isabella. - Mi salutò Carlisle, dandomi due baci sulla
guancia. – Spero di
rivederti presto”. Sorrise e, sia lui che Esme, salutarono i
loro figli,
raccomandando loro di comportarsi bene; dopodichè uscirono
di casa, diretti
verso l’aeroporto.
***
Alice
ed Emmett erano da poco usciti di casa per andare a prendere Jasper e
Rosalie,
dato che erano rimasti – a causa di una gomma bucata
– senza auto. Così io ed
Edward li avremmo raggiunti direttamente al centro commerciale verso le
cinque,
e ora erano esattamente le quattro.
Morale
della favola? Eravamo rimasti solamente io e lui… Fantastico.
Scossi
lentamente il capo e sospirai, rassegnata. Ero seduta in cucina, mentre
Edward
era indaffarato ad aprire e chiudere i mobili, alla ricerca di qualcosa.
“Allora,
per le cinque dobbiamo raggiungere gli altri?”. Nonostante
sapessi a memoria il
programma con Alice e il resto del gruppo, chiesi la prima cosa che mi
venne in
mente, nel tentativo di sciogliere la tensione che si era creata e il
mio
imbarazzo.
“Mmm,
si, più o meno verso quell’ora” rispose
Edward, distratto. Era troppo
concentrato a praticare la ‘caccia al tesoro’,
quindi dubitai che avesse capito
ciò che gli chiesi.
“In
che senso, più o meno?” domandai, sorpresa.
“Oh,
eccola. L’ho trovata, finalmente!”
esultò Edward, tirando fuori dalla credenza
una confezione di Ciobar.
"Edward!”
lo chiamai, a voce più alta. Facendolo, finalmente, girare
nella mia direzione.
“Oh
scusa, hai ragione. – Disse, appoggiando la confezione sul
tavolo, accanto a
me. – Solo che stavo cercando…”. Non lo
lasciai finire il discorso, che subito
intervenni.
“Fammi
capire bene: tu ti stavi dando alla disperata ricerca del
Ciobar?” domandai
stralunata, alzando un sopracciglio.
“Beh,
ecco, io…”. Le sue guance divennero bordeaux e
scommisi che si sarebbe
volentieri scavato una fossa da solo. Si passò una mano tra
i capelli,
imbarazzato. Sorrisi, in quel momento mi faceva davvero tenerezza.
“Devo
ammettere che sei adorabile, quando arrossisci. – Dissi,
senza pensare e lui,
possibilmente, divenne ancora più rosso. –
Però se continui, tra poco
raggiungerai la tonalità dei tuoi capelli” lo
presi in giro, appoggiando i
gomiti sul tavolo.
“Non
prendermi in giro, Isabella. Altrimenti potrei torturarti, dato che
stamattina
non ci sono riuscito a causa dell’arrivo di quella pazza di
mia sorella” mi
punzecchiò; prese due bustine di Ciobar e le
vuotò nel bricco, accendendo il
fornello.
“Come
mai hai messo due bustine?” chiesi, curiosa e senza
rendermene conto cambiai
argomento.
“Una
per me e una per te. – Alzò le spalle, come
ciò che aveva appena detto fosse la
cosa più ovvia al mondo. – Però, se non
la vuoi, posso sempre bermene due
tazze” terminò, sorridendo sghembo.
“Grazie.
In realtà… Io amo la cioccolata, e la Ciobar
è la migliore, secondo me”
risposi, sorprendendolo.
“E’
anche la mia preferita” mormorò, guardando
altrove. E, per un minuto
interminabile, nessuno dei due parlò. Mi ritrovai a
guardarlo di sottecchi,
ammirando il suo bellissimo viso.
“Mi
domandavi dell’incontro al centro commerciale, giusto?
– Spezzò il silenzio e
gliene fui grata. Annuii, in risposta alla sua domanda. –
Veramente non c’è un
orario preciso. Non sapevano il tempo che ci avrebbero messo ad
arrivare a casa
di Rosalie e Jasper, quindi hanno detto che ci avrebbero chiamato loro
quando
sarebbero arrivati al negozio” disse, sciogliendo i miei
dubbi.
“Okay,
allora aspetteremo” sorrisi; mentre il dolce profumo di cacao
si propagava nell’aria,
mettendomi l’acquolina in bocca.
Edward
andò ai fornelli e prese il bricco, vuotando poi la
cioccolata nelle due tazze
che erano posate sul tavolo; dopodichè si
accomodò sulla sedia, esattamente di
fronte a me.
Presi
la tazza, portandola alle labbra
e, lentamente, sorseggiai la bevanda
fumante,
facendo attenzione a non scottarmi.
Chiusi
gli occhi, beandomi di quel sapore sublime a cui mai avrei rinunciato:
non
c’era niente di meglio di una bella Ciobar, per addolcirmi la
giornata.
La
prima volta che la provai fu a quattro anni, quando
Renée…
No.
M’imposi,
mentalmente. Non
potevo e non dovevo pensare, ma soprattutto non volevo rovinarmi quella
piacevole giornata.
Mi
morsi con forza il labbro inferiore, ingoiando il groppo che mi si era
formato
in gola, come succedeva ogni singola volta che pensavo a Lei.
Ero
alla disperata ricerca di un appiglio che fosse stato in grado di
distrarmi e
non fu difficile trovarlo, perché quando alzai il capo
incontrai Edward, che mi
scrutava attentamente.
“E’
davvero buonissima. – Mi complimentai, sinceramente. Guardai,
istintivamente,
verso la sua tazza e notai che era vuota. – L’hai
già finita?” domandai
sconvolta, strabuzzando gli occhi.
“Certamente.
Non sono lenta come lei, madame” mi prese in giro, facendo
spallucce.
“Non
è questione di lentezza. E’ che tu, quando si
tratta di qualsiasi cosa legata
al cibo, diventi peggio di Speedy Gonzales! Sei un golosone di prima
categoria,
non so chi sia peggio tra te ed Emmett” risposi, convinta
delle mie parole.
Inclinò
leggermente il viso e, solo in quel momento, notai che era sporco di
cioccolato
sulla guancia, proprio vicino alle labbra.
Lo
guardai nuovamente e, senza che riuscissi a resistere, scoppiai a
ridere, come
mai prima d’ora.
“E
adesso che ti prende?” domandò, alzando un
sopracciglio. Però, un sorriso si
dipinse sul suo viso, come se fosse felice di vedermi
così… spensierata.
“E’…
che… sei… così…
buffo!” riuscii a dire, tra una risata e l’altra.
Mi portai una
mano alla bocca, cercando di frenare quel mio attacco
d’ilarità, ma con scarsi
risultati.
“Buffo?
– Strabuzzò gli occhi. – Non
è che c’era qualche sostanza stupefacente, nella
tua bevanda?” chiese retorico, fissandomi stralunato.
“Scusa,
è che… - Provai a calmarmi e a respirare
regolarmente. – Sei sporco di
cioccolato sul viso” risposi infine, indicandolo con un dito.
“Dove?”.
Cominciò a cercare dove fosse la macchia, passandosi la mano
sulla guancia.
“Fermo,
non ci sei minimamente vicino”.
Sorrisi,
divertita dalla situazione. Presi il tovagliolino e mi alzai dal
tavolo,
avvicinandomi a lui.
Con
la mano destra stringevo quel maledetto pezzo di carta; feci per
allungarlo
verso il suo volto, ma mi fermai. Provai una strana ed irrefrenabile
voglia di
accarezzarlo e di percorrere i suoi lineamenti, così
dannatamente perfetti.
E,
senza neanche pensarci, lo feci. Mi avvicinai lentamente, socchiudendo
gli
occhi. Le mie labbra andarono a posarsi sulla sua guancia. Scesi,
percorrendo
il profilo della sua mascella squadrata e raggiunsi l’angolo
della bocca, dove
vi lasciai un delicato bacio. Immediatamente un brivido mi percorse e
le gambe
mi tremarono: la cioccolata, mischiata alla sua pelle, aveva un sapore
ancora
più buono.
La
mia mente era completamente svuotata; in quel momento vi eravamo
solamente io e
lui. Non avrei mai voluto staccarmi, per restare così per
sempre; desiderai
ardentemente che il tempo si fermasse e non passasse mai.
Però, purtroppo,
tutte le cose belle hanno una fine. Infatti, quando lo sentii
trattenere il
respiro per la sorpresa, mi resi conto di quanto il mio gesto potesse
risultare
avventato.
Aprii
gli occhi - spezzando l’incanto che si era creato - e mi
staccai immediatamente
da lui, portando una mano sulle labbra, dove ancora vi era il sapore
della sua
pelle.
Puntai
gli occhi sul pavimento, totalmente imbarazzata. Il mio istinto mi
diceva di
andarmene, correre via da quell’assurda situazione e ci
mancò davvero poco che
lo facessi davvero. Però dovevo affrontare tutto questo, non
potevo sempre
risolvere le cose scappando.
“Isabella?”.
La sua voce dolce mi giunse alle orecchie, ma non lo guardai; avevo
paura.
“S-scusa,
non dovevo” mormorai, flebilmente.
La
sua mano si posò sotto il mio mento e con una leggera
pressione mi alzò il
viso, facendo così incatenare i nostri sguardi. Non risposi
e rimasi in
silenzio, perdendomi nei suoi bellissimi occhi verdi, nei quali avrei
tanto
voluto annegarci e non riemergere mai.
Le
sue dita, leggiadre come le ali di una farfalla, si spostarono sulla
mia
guancia. Mi accarezzò il viso: dalla tempia, fino al collo;
risalendo poi alla
guancia, dove ci appoggiò l’intera mano.
“Isabella”.
Il mio nome, pronunciato dalle sue labbra, sembrava una dolce melodie.
I
battiti del mio cuore aumentarono freneticamente, come se volesse
uscirmi dal
petto da un momento all’altro.
“Non devi
scusarti. Mi ha fatto piacere il tuo
gesto, forse più del lecito” sussurrò,
guardandomi intensamente.
“I-io”
provai a parlare, ma prontamente mi bloccò.
“Isabella,
cosa devo fare per farti capite che non c’è nulla
di cui scusarsi? – Domandò,
retoricamente. – Il tuo gesto è stato…
bellissimo. E’ vero, mi ha preso di
sorpresa, ma è stato comunque bellissimo”. Le sue
parole riuscirono a
sciogliere la tensione che si era momentaneamente creata,
tranquillizzandomi.
Il peso che avevo sullo stomaco, per paura di aver commesso qualcosa di
maledettamente sbagliato, se ne andò e tornai a respirare
normalmente.
Mi
lasciai andare contro il suo palmo e, timidamente, alzai una mano e la
posai
sulla sua, che stava ancora appoggiata alla mia guancia.
Le
sue labbra si incurvarono in un sorriso dolcissimo; al quale non potei
fare a
meno di rispondere, seppur timidamente.
“Senti…”
tentai di parlare, ma le parole mi morirono in gola. Perché,
senza che potessi
calcolarlo, mi circondò la vita con un braccio e mi strinse
delicatamente a sé.
Le
mie gote si tinsero di rosso e sentii il mio corpo andare –
letteralmente – a
fuoco.
“Sei
bollente” mi fece notare, soffiando quelle parole a pochi
centimetri dal mio
orecchio. Era così vicino, che riuscii a sentire il suo
caldo respiro sul mio
viso.
Mi
spostai leggermente, quel tanto che mi permettesse di guardarlo negli
occhi.
Ormai ero completamente dipendente da quel mare verde.
Eravamo
nella nostra bolla personale, fino a quando il telefono non
squillò, rovinando
quel momento.
“Merda!”
sbottò Edward a bassa voce, staccandosi da me e
soffocò un’imprecazione.
“Pronto?
– Rispose, alzando la cornetta. – Alice,
dimmi” sbottò poi, scocciato. Iniziò a
parlare velocemente, tanto che non capii ciò che si stavano
dicendo.
Proprio
ora, doveva chiamare? Sospirai, sconsolata.
Desideravo
essere stretta dalle sue braccia, beandomi così del suo
buonissimo profumo. E,
soprattutto, volevo sentire il suo sapore, di cui non mi sarei mai
stancata.
Ma che
diavolo mi stava
succedendo?
Semplice,
il Ciobar mi aveva dato alla testa, doveva essere per forza questa la
soluzione. Io non ero in grado di affezionarmi a nessuno, tantomeno a
Cullen.
E
allora perché, ogni volta
che non mi era accanto, sentivo la sua mancanza?
“Va
bene, glielo dirò. Ciao” disse, chiudendo la
telefonata. La voce di Edward mi
destò dai miei pensieri.
“Ha
detto che sono arrivati al centro commerciale e dobbiamo
raggiungerli?” chiesi,
guardando l’orologio: erano le cinque e mezza, eravamo in
ritardo di parecchio!
“No.
Veramente, c’è stato un altro cambio di programma
e mi hanno chiamato per
avvisarmi” rispose, andando in soggiorno. Lo seguii.
“Un
altro cambio di programma? E dovuto a cosa, questa volta?–
Sbuffai. – E dove
dovremmo andare, ora, di grazia?” domandai, alzando un
sopracciglio.
Sorrise,
notando la mia faccia scocciata.
“A
questo”. Spostò la tenta, invitandomi a guardare
fuori dalla finestra. Lo feci e
strabuzzai gli occhi: stava piovendo… E che pioggia!
“Piove”
risposi, semplicemente.
“Esatto
piove, e molto forte anche. Quindi, purtroppo, l’uscita
è rimandata. – Disse. –
Ed è pericoloso guidare con questa pioggia”.
Annuii,
completamente d’accordo con lui.
“Quindi,
ora mi riporti a casa, giusto?” chiesi. “Veramente,
questo non era nei piani. Alice
ha chiamato tuo padre e l’ha avvisato che… saresti
rimasta qui a dormire, stanotte”
sussurrò, passandosi una mano tra i capelli, imbarazzato.
“C-come?
– La mia voce uscì a stento. –
Perché, anche tu non riesci a guidare con la
pioggia?”.
Sperai che mi dicesse che lui ci riusciva e che mi avrebbe portata a
casa quella
sera stessa.
“Non
è questo il problema. Io so guidare benissimo con il
maltempo. Il vero problema
è che… - Fece una pausa, tossicchiando.
– Alice ed Emmett hanno preso la mia auto,
e quindi non ho la Volvo. Quindi, mi sa proprio che siamo bloccati qui,
io e te”.
Trattenni
il respiro e le gambe mi tremarono. Il mio cuore perse un battito:
sarei rimasta
la sera, e tutta la notte con lui… Solamente io e lui.
Questa
giornata era stata, sicuramente, la più lunga della mia
vita… E non era ancora finita.
Spero che il capitolo vi
sia piaciuto e mi scuso nuovamente per l'imperdonabile ritardo.
Grazie a tutti voi che mi seguite. G R A Z I E, i vostri pareri sono
davvero importanti per me.
Grazie di cuore, davvero, alla prossima.
Un bacione, _Dreams_.
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Capitolo 10 *** Nessuno è solo. ***
Buon pomeriggio a tutti.
Oggi è
domenica e, come promesso, ecco a voi il capitolo. Con enorme ritardo,
lo so.
Non sto qui a giustificarmi, perchè chi ha letto l'avviso
avrà capito il motivo del mio ritardo.
Mi limito
solamente a dirvi che ci ho messo un'eternità a sfornare
questo capitolo, l'ho cancellato e ricancellato più volte.
Non essendo mai soddisfatta del risultato.
Anche ora non ne
sono completamente soddisfatta, ma ho deciso di postarlo comunque, per
non farvi aspettare ulteriormente.
Questo non
è un capitolo comunque, è IL capitolo.
L'ho scritto con
il cuore. E mi farebbe davvero molto piacere, sentire il vostro parere.
E' davvero molto importante, per me. :')
Detto questo,
auguro a tutti buona lettura. Ci si legge sotto. ;)
10.
Nessuno è solo.
"La vera
felicità non è in
fondo a un bicchiere,
non è dentro
a una siringa:
la trovi solo nel cuore
di chi
ti ama".
Jim
Morrison.
Pov
Bella
«Vuoi
qualcosa di caldo da bere?».
«Stai
tremando, sicura di non volere una
coperta?».
«Hai
fame? Se sì, posso cucinarti qualcosa,
oppure potremmo ordinare una pizza…».
Alzai gli occhi verso il soffitto,
esasperata.
Era
da più di mezz’ora che Edward continuava
a farmi domande su domande. Inizialmente, quando mi aveva dato la
notizia che
Alice e gli altri avevano preso la sua auto e quindi saremmo rimasti a
casa
solamente io e lui, ero molto agitata. Non sapevo cosa fare, come
comportarmi.
Mi imposi, però, di restare calma e stranamente ci riuscii.
In questo momento,
però, sembrava che io ed Edward ci fossimo invertiti i
ruoli, dato il suo
attuale comportamento. Ringraziai il cielo, almeno, che Alice si era
presa la
briga di avvisare Charlie che non sarei rientrata quella sera.
«Edward»,
lo chiamai, mettendo così a freno
il suo continuo blaterare. «Tranquillo, non ho bisogno di
nulla, davvero. Sto
bene», dissi, cercando di essere convincente.
Si
voltò nella mia direzione, puntando i
suoi occhi verdi nei miei, e ciò bastò a
destabilizzarmi completamente. Mi
passai una mano tra i capelli, regolarizzando il respiro. Era mai
possibile
che, con un semplice e fottuto sguardo, riuscisse a far aumentare i
battiti del
mio cuore?
«E
poi... », cambiai argomento, «sei davvero
convinto che, con questa grandine, le pizzerie effettuino
consegne?». Lo presi
in giro, sorridendo.
«Mi
ero quasi dimenticato che stesse
piovendo», si giustificò, passandosi una mano tra
i capelli e, di fronte alla
sua espressione imbarazzata, scoppiai a ridere.
«Qualcuno,
qui, mi sta prendendo in giro?»,
domandò retoricamente, alzando un sopracciglio.
«Chi?
Io non lo farei mai», mi difesi,
portando innocentemente le mani avanti, reprimendo un sorriso.
Incrociò le
braccia al petto, sbuffando, e sbatté un piede per terra; mi
sembrava un
bambino piccolo e, anziché smettere, risi ancora
più forte.
Reclinò
leggermente il capo, fingendosi
indignato.
«Isabella
Swan». Pronunciò
il mio nome interamente. «Ora le
darò io un buon motivo per ridere,
altroché». Un ghigno si dipinse sul suo
volto, e la cosa non mi piacque per niente.
Si
avvicinò di un passo, e di un altro ancora.
«C-che...?».
Non feci nemmeno in tempo a
finire la frase che, in un lampo, lo ritrovai seduto sul divano accanto
a me.
Mi prese per i fianchi, facendomi sdraiare sul divano. Con una mano mi
bloccò
delicatamente i polsi, mentre con l’altra iniziò a
farmi il solletico.
Iniziai
a ridere come una pazza, dimenandomi
e scalciando, ma senza risultato.
«Edward!»,
strillai, tra una risata e
l’altra.
«Vedo
che ora hai un valido motivo per cui
ridere», mi scimmiottò, continuando con la sua
tortura.
«E-Edward!»,
ripetei, cercando di
allontanarlo. Però, più mi sforzavo, e
più lui si divertiva ad aumentare la
dose.
«Sì?»,
domandò, guardandomi innocentemente.
«Non lo faccio più, giuro! B-basta, n-non
r-respiro!», gridai, tra le risate.
Smise
di farmi il solletico. «Per questa
volta l’hai avuta vinta, Signorina Swan, la prossima volta
non sarai così
fortunata». Scossi lievemente la testa, divertita, e gli
diedi una leggera
spinta, nel tentativo di liberarmi dalla sua presa; però non
avevo fatto bene i
conti e, con quella mia mossa, lui cadde letteralmente sopra di me.
Posò
i palmi delle mani ai lati del mio
corpo, sorreggendosi, facendo così in modo che non mi
schiacciasse. Però,
involontariamente, il suo viso si avvicinò ulteriormente al
mio, tanto che i
nostri nasi si sfiorarono.
Sgranai
gli occhi, trattenendo il respiro.
Tutta quella vicinanza non mi faceva assolutamente bene, proprio per
niente.
Aprii la bocca per parlare, ma dalle mie labbra non uscii alcun suono.
L’unica
cosa che riuscii a fare, fu perdermi nel suo sguardo.
Dal
suo viso sparì ogni traccia di
divertimento; i suoi occhi mi scrutavano intensamente, come se
volessero
leggermi dentro. Ed ero sicura che, se avesse continuato a guardarmi in
quel
modo, ci sarebbe riuscito.
Il
mio sguardo, involontariamente, andò a
posarsi sulle sue labbra carnose, che in quel momento erano leggermente
dischiuse. Mi parve di sentire il suo respiro caldo sul collo.
Alzai di poco la testa, appoggiando la
fronte alla sua.
Posò
una mano sul mio fianco, mentre con
l’altra continuò a sorreggersi, e me lo
accarezzò delicatamente. Il mio corpo
fu invaso da brividi, così chiusi gli occhi, beandomi
appieno di quel piacevole
tocco.
«Isabella»,
ripetè, dolcemente. Il mio nome,
pronunciato dalle sue labbra, appariva come una dolce melodia. Volevo
che lo
ripetesse per tutta la vita.
«Edward…»,
sussurrai flebilmente.
Non
riuscii ad aggiungere altro, perché il
rumore del mio stomaco che brontolava, mi impedii di continuare la
frase.
Edward
si staccò di scatto, fissandomi. Si
rimise seduto, dopodichè scoppiò a ridere.
Feci
una smorfia, infastidita; in quel
momento odiai con tutta me stessa il mio fottuto stomaco. Ma, ancor di
più,
odiai me stessa. Perché, in quel momento, avrei desiderato
che le sue labbra si
posassero sulle mie.
«Qui
c’è qualcuno che ha fame, e menomale che
non avevi bisogno di niente», rise, dandomi un buffetto sulla
guancia.
Arrossii,
improvvisamente imbarazzata.
«Okay,
ammetto di avere un po’ fame, ora»,
mormorai, torcendomi le mani.
Sorrise.
Un sorriso che fu in grado di
mozzarmi il respiro, e far aumentare i battiti del mio cuore. Mi venne
spontaneo ricambiare il suo sorriso, seppur timidamente.
Si
alzò in piedi, porgendomi la mano, in un
chiaro invito. L’afferrai immediatamente, senza esitazione.
«Anche
a me è venuta fame», sorrise.
«Vieni, andiamo di là, che
ti cucino
qualcosa».
Bene,
era anche in grado di cucinare.
Edward
Cullen era una continua scoperta,
avrebbe mai smesso di sorprendermi?
Evidentemente,
no.
«Credo di non aver mai mangiato così
tanto
in tutta la mia vita», bofonchiai, portando entrambe le mani
sulla pancia. Avevo
mangiato due porzioni di lasagne e, per finire, due fette di torta
panna e
fragole che aveva cucinato Esme, la madre di Edward.
«Addirittura»,
ridacchiò. «Questo è niente,
in confronto a ciò che mangiamo di solito. Emmett, poi,
è assolutamente
imbattibile. Mangia peggio di un grizzly!», disse,
lasciandosi cadere sul
divano, accanto a me.
«Anche
tu non scherzi, sai? Molto
probabilmente se non ci fossi stata io, avresti finito per mangiarti da
solo la
torta; poi te la saresti vista tu con l’ira di tua
madre», sorrisi,
immaginandomi la scena. «Alice mi ha riferito che
l’aveva cucinata
appositamente per gli ospiti».
«Hai
ragione, molto probabilmente appena lo
verrà a sapere, mi ucciderà. Se la
prenderà solamente con me, povero
innocente», mugugnò, indicandosi teatralmente.
«Con te non oserebbe mai, già ti
adora», mi spiegò infine, sorridendo sghembo.
Arrossii,
imbarazzata. Cercai di non darlo a
vedere, cambiando immediatamente argomento. «Però
non posso darti i torti,
quella torta era davvero squisita. Tua madre è
un’ottima cuoca».
«Ferma,
ferma, ferma», replicò, fingendosi
indignato. «E io? Non sono un cuoco eccellente?»,
domandò, alzando un
sopracciglio.
Picchiettai
un dito sul mento, fingendomi
pensierosa. «Sì dai, devo ammetterlo, anche tu non
sei niente male; le lasagne
erano davvero ottime. Mentre all’inizio, quando mi avevi
informato che avresti
cucinato tu, credevo che mi sarei ritrovata morta
avvelenata», ammisi, dandogli
un pugno scherzoso sulla spalla.
Scoppiò
a ridere, buttando la testa
all’indietro e poggiò, involontariamente, la mano
sulla mia gamba. Trattenni il
respiro, ma non mi mossi.
Quel
tocco mi portò alla mente ciò che era
successo quel pomeriggio, poche ore prima, proprio su quel divano.
Ignorai quei
pensieri e lo guardai, fingendo un sorriso. Molto probabilmente se ne
accorse,
perché puntò i suoi occhi nei miei, fissandomi
intensamente. Mi torturai con i
denti il labbro inferiore e, incapace di sostenere il suo sguardo,
guardai
altrove.
«Hey»,
mi richiamò dolcemente, sfiorandomi
delicatamente la mano.
Feci per voltarmi nella sua direzione, ma qualcosa
catturò la mia attenzione: alla nostra sinistra, accanto
alla porta, vi era una
specie di palco, sul quale vi era situato uno spettacolare pianoforte a
coda.
Mi alzai e, istintivamente, mi avvicinai a quello splendido strumento,
così da
poterlo ammirare da vicino.
Allungai
la mano, accarezzando quella
superficie nera lucente. Improvvisamente gli occhi mi divennero lucidi,
e un
fastidioso nodo s’impossessò della mia gola: mia
madre aveva una forte passione
per la musica e, quando ero piccola, si divertiva a suonare
composizioni, con
me seduta accanto a lei che l’osservavo, incantata. Una delle
principali
melodie che mi dedicava, per augurarmi la buonanotte, era Claire de
Lune, di
Debussy: una delle sue preferite.
«Isabella?».
La voce di Edward, alle mie
spalle, mi fece sobbalzare; ero totalmente persa nei miei pensieri, che
non mi
accorsi che si era avvicinato.
Mi voltai, trovandolo in piedi esattamente
di fronte a me. «S-scusa, n-on ti avevo s-sentito»,
balbettai, cercando di dare
un tono alla mia voce.
«Tutto
bene? Mi sembri strana», sussurrò,
spostandomi delicatamente i capelli dietro l’orecchio. Come
poteva accorgersi,
ogni singola volta, delle mie emozioni?
«Sì,
tutto okay. Stavo guardando questo
splendido pianoforte», mentii, accennando un sorriso.
«E’ di tua madre?»,
domandai, cambiando argomento.
«No,
veramente è mio», rispose pacatamente,
come se fosse la cosa più ovvia al mondo.
“T-tuo?
Tu s-suoni?”, chiesi, strabuzzando
gli occhi, tanto che non mi sarei stupita se da un momento
all’altro fossero
usciti dalle orbite.
Rise,
davanti alla mia espressione sorpresa
o, meglio dire, da pesce lesso. «Sì, è
una delle mie passioni da sempre, da
quando ero bambino».
«Non
lo sapevo», mormorai, stupita.
«Ci
sono tante cose che non sai di me,
Isabella, e io di te».
Aveva
ragione, e quella frase mi fece male,
tanto. Fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso. Perché
era vero, nonostante
ci conoscessimo da quasi due mesi, lui non sapeva praticamente nulla
della mia
vita.
Mi
passai, nervosamente, una mano tra i
capelli.
«Mi
suoneresti qualcosa?», chiesi infine,
sinceramente curiosa di sentirlo suonare. Per poi pentirmi, subito
dopo, della
mia sfacciataggine. «S-sempre se vuoi, ovviamente. Non voglio
assolutamente
obblig-». Posò un dito sulle mie labbra, che al
suo tocco si schiusero
leggermente, mettendo così a freno quel mio assurdo ed
ingarbugliato monologo.
«Mi
farebbe molto piacere», sussurrò,
togliendo il dito dalle mie labbra, prendendo poi posto di fronte al
pianoforte. Sorrise, battendo lievemente la mano sulla sedia vuota, in
un chiaro
invito ad accomodarmi accanto a lui. Invito che non tardai ad eseguire.
Prima
di abbassare gli occhi sui tasti, mi
rivolse un ultimo sguardo e mi sorrise dolcemente.
Dopodichè, le sue dita
affusolate, iniziarono a correre veloci sui tasti d’avorio e
il salone si
riempì del suono di una composizione tanto complicata, tanto
rigogliosa, da non
poter credere che fosse davvero lui a suonarla.
«Questa
è la preferita di mia madre», mi
disse, mentre la musica ci avvolgeva completamente.
«L’hai
scritta tu?», domandai, a bocca
aperta.
«Sì»,
mormorò, imbarazzato, guardandomi di
sfuggita.
La
musica rallentò, si trasformò in qualcosa
di più morbido. Non avevo mai sentito quella sinfonia, ma
tra le ondate di
note, compresi che si trattasse di una ninna nanna.
«Questa,
invece, è una ninna nanna?»,
chiesi, curiosa.
«Sì,
è una ninna nanna, e l’hai ispirata
tu», sussurrò a bassa voce. «Quella
sera, quando hai rischiato di essere
investita, alla fine sei svenuta e sei rimasta qui a dormire;
ricordi?». Annuii
impercettibilmente, incapace di parlare.
«Sono
rimasto sveglio a guardarti mentre
dormivi. Eri così rilassata, così…
Splendida, che in quel momento avrei tanto
voluto che il tempo si fermasse», mi confessò,
continuando a fissare le sue
mani, che velocemente continuavano a muoversi su quei tasti
d’avorio.
Rimasi incantata ad osservarlo per non un
tempo interminabile, fino a quando la canzone che stava suonando, non
giunse
agli ultimi accordi.
Ero
senza parole, letteralmente.
Alzò
lo sguardo, e i nostri occhi
s’incontrarono.
«E’
bellissima, davvero. Io non trovo le
parol-». Mi bloccai, incapace di terminare il discorso. Gli
occhi mi divennero
lucidi, talmente forte era l’emozione che stavo provando in
quel momento. Mi
sporsi dalla sedia e mi avvicinai a lui, posando le mie labbra sulla
sua
guancia in un dolce bacio. «Grazie», mi limitai a
sussurrare, accanto al suo
orecchio.
«Prego».
Sorrise, spostandomi una ciocca di
capelli dietro l’orecchio.
Chiusi
istintivamente gli occhi, a quel
tocco così delicato. La sua mano scese fino alla mia
guancia, dove vi lasciò
una tra le più dolci carezze.
Sorrisi
e mi rilassai, poggiandomi
completamente al palmo della sua mano.
«Sai
una cosa?», la sua voce mi riportò alla
realtà. Aprii gli occhi, e tornai a guardarlo.
«Alla fine la grandine non ha
portato solamente conseguenze negative».
Lo
guardai, confusa, attendendo che
continuasse a parlare.
«Voglio
dire… Sono qui, con te, e al momento
non vorrei essere in nessun altro posto. Sto bene,
così» bisbigliò, fissandomi
intensamente. Mosse lievemente il braccio, nel chiaro gesti di
allontanare la
sua mano dalla mia guancia, ma glielo impedii, posando la mano sinistra
sulla
sua e ne accarezzai teneramente il dorso.
«Anch’io
sto bene qui», sorrisi timidamente
e le mie guance s’imporporarono a quell’ammissione.
Si
mosse dalla sedia, sporgendosi verso di
me. Mi sorrise, dolcemente, avvicinando il suo viso al mio. Si muoveva
lentamente, come se avesse paura che potessi scappare da un momento
all’altro,
ma non poteva sapere che le sue paure erano totalmente infondate.
I
suoi occhi erano puntati nei miei, i
nostri sguardi erano intrecciati. Poggiai una mano sulla sua gamba, e
posai la
fronte contro la sua, chiudendo gli occhi. Molto probabilmente si
avvicinò
ancora, perché riuscii a sentire il suo respiro sulle mie
labbra dischiuse.
Avrei
tanto desiderato fermare il tempo, e
rimanere così per sempre.
«Bella»,
sussurrò, posando la mano libera
sul mio braccio.
Appena
sentii quel nome uscire dalle sue
labbra, m’irrigidii immediatamente. Spalancai gli occhi e,
istintivamente,
balzai in piedi.
«Cosa…?»,
blaterò, visibilmente sorpreso
dalla mia reazione. «Ho fatto qualcosa di male?»,
domandò, alzandosi in piedi,
raggiungendomi.
«No,
no. Non è…», non riuscii nemmeno a dire
una frase di senso compiuto.
«Allora
perché ti sei allontanata?», chiese,
in cerca di una spiegazione.
Aprii
la bocca, pronta a parlare e rassicurarlo,
fingendo che andasse tutto bene. Però le mie buone
intenzioni andarono in fumo
quando si avvicinò e pronunciò nuovamente quel
nome, che mai più avrei voluto
sentire.
«Bella…»,
ripetè, tendendo una mano nella
mia direzione.
Sussultai
e, senza pensarci due volte, mi allontanai
di scatto. Notando la mia reazione, la ritirò velocemente,
guardandomi
dispiaciuto. I suoi occhi emanavano una tristezza infinita, e quello fu
per me
un colpo al cuore.
«Io
credevo che…», iniziò a dire, senza
però
concludere la frase. «Che stupido sono stato»,
sussurrò atono, scuotendo
lievemente il capo per dare enfasi alle sue parole.
«Edward,
no, io…».
«Tu
cosa?» domandò, visibilmente deluso.
«Io…».
Non sapevo cosa dire, le parole non
ne volevano sapere di venir fuori.
«Non
c’è bisogno di spiegazioni, tranquilla.
Ho capito ciò che vuoi dire, ho frainteso le tue intenzioni;
ripeto: sono stato
uno stupido», disse, alzando leggermente la voce.
«Ma ora non ho più voglia di
parlarne. Se hai bisogno di una doccia, il bagno è al piano
superiore. Prima
porta a sinistra», cambiò discorso
così, senza preavviso. Non aspettò neanche
una mia risposta, mi voltò le spalle e si
avvicinò al pianoforte, sistemando
alcuni spartiti.
La
mia presenza, in quel momento, era così
poco gradita, da inventarsi la scusa della doccia?
Scossi
la testa, incredula, e iniziai a
salire le scale. Però, una volta arrivata a metà
percorso, mi ritornarono in
mente le sue parole, sputate con tutta la delusione che provava nei
miei
confronti. Aveva voluto trarre supposizioni di testa sua, arrivando
così alla
conclusione sbagliata. Fui pervasa dalla rabbia, come diavolo si
permetteva?
Scesi di corsa le scale e piombai in
soggiorno, dove lui era ancora lì, a fingersi impegnato con
quei maledetti
spartiti.
«Le
tue conclusioni sono sbagliate,
tremendamente sbagliate». La mia voce lo fece sobbalzare, non
si aspettava di
trovarmi lì; molto probabilmente era totalmente convinto che
io fossi realmente
andata al piano superiore.
«Non
direi», rispose, voltandosi nella mia
direzione.
Aveva
un tono pacato, tranquillo, come se
fosse realmente convinto delle sue supposizioni. Questo non fece altro
che
innervosirmi ulteriormente. Strinsi i pugni e mi morsi la lingua, per
evitare
di aggredirlo verbalmente.
«Tu non capisci niente. Hai sparato un
casino di cazzate, prima!», urlai. Fece per rispondere,
indignato, ma lo
bloccai con un gesto della mano. «Come credi di poter sapere
ciò che mi passa
per la testa, se non mi dai nemmeno il tempo di parlare, eh?! Hai
preferito
voltarmi le spalle e spedirmi al piano superiore con una scusa bella e
buona,
piuttosto che affrontare immediatamente la questione. Sei uno stupido!
La colpa
è stata mia, non tua. Tu non centri niente. E non
è vero, non puoi capire,
proprio per niente. Io volevo que-», mi bloccai.
Io
volevo questo bacio. Ecco,
cosa stavo per dire.
Scossi la testa, sentendo gli occhi
diventarmi lucidi.
«Hai
ragione, tu non sai niente di me, e mai
lo saprai», mormorai infine. Non gli lasciai nemmeno il tempo
di replicare, gli
voltai le spalle e corsi via, salendo le scale.
L’unica
cosa che desideravo, in quel
momento, era allontanarmi da lui. Trovai immediatamente il bagno,
entrai e
chiusi la porta velocemente.
Appoggiai
la schiena contro il legno della
porta, e mi lasciai scivolare, fino a ritrovarmi seduta per terra.
Sentii un
nodo alla gola, e le lacrime minacciavano di uscire da un momento
all’altro.
Strinsi forte le palpebre, per evitare che accadesse e con una gran
forza di volontà riuscii a ricacciarle indietro.
Portai
le ginocchia al petto, e nascosi il
viso tra le mie gambe.
Bella.
Bella. Bella. Bella.
Quel nome continuava a ripetersi
incessantemente nella mia mente, come un disco rotto. Un singhiozzo
sfuggì
dalla mia bocca, ma mi morsi il labbro inferiore, imponendomi di non
piangere.
Regolarizzai il respiro, poco a poco.
Sperai
con tutta me stessa che Edward non
aprisse quella maledetta porta e mi vedesse in quelle condizioni;
fortunatamente le mie preghiere vennero esaudite. Non volevo farmi
vedere in
quelle condizioni.
Rimasi
per un tempo interminabile in quella
posizione, fino a che non trovai la forza di alzarmi. Sospirai, e
sperai
vivamente che il getto d’acqua calda della doccia mi aiutasse
a calmarmi.
***
Scendo,
o non scendo?
Scendo,
o non scendo?
Scendo,
o non scendo?
Continuavo a ripetere questa domanda da
ormai dieci minuti. Non avevo la minima idea di cosa fare,
perciò mi feci
coraggio e optai per la prima opzione.
Sospirai
e, dopo un secondo d’indecisione,
poggiai la mano sulla maniglia. Aprii leggermente la porta e per poco
non
urlai.
Una figura, in ombra, si trovava esattamente davanti a me. Ci misi un
pò a metterla a fuoco.
«Edward!
Che ci facevi qui appartato davanti
alla porta? Mi hai fatto prendere un colpo», portai una mano
al cuore,
terrorizzata.
«E’
da circa un’ora che l’acqua ha messo di
scorrere. Ho aspettato un altro po’, ma dato che non sei
scesa, stavo iniziando
a preoccuparmi», ammise, portandosi una mano tra i capelli,
imbarazzato.
«Preoccupazioni
infondate, puoi vedere con i
tuoi occhi che sto bene», risposi con voce tagliente,
sorpassandolo.
La
sua mano si strinse delicatamente intorno
al mio polso. «Aspetta, non puoi dormire vestita
così. Ti ho portato questa,
sarà un po’ lunga, ma dovrebbe andarti
bene», disse, porgendomi una maglietta. Molto probabilmente
la sua, dedussi dalle dimensioni.
«Grazie»,
risposi, prendendola.
«Puoi
utilizzare la camera di Alice,
stanotte. Se hai bisogno di qualsiasi cosa, la mia camera è
quella accanto».
«Okay,
grazie, Edward».
«Senti…
Per ciò che è successo
prima…», lo
bloccai, con un cenno del capo. Non volevo ascoltare ciò che
mi voleva dire.
«Non
importa, non è successo niente.
Buonanotte, Edward», lo salutai, con tono impassibile. E,
prima che potesse
rispondere, entrai in camera.
«Buonanotte,
Bella», lo sentii sussurrare,
prima di chiudermi la porta alle spalle.
Lasciai cadere i miei vestiti per terra, ed
indossai la maglia di Edward.
Era
talmente lunga che mi arrivava fino alle
ginocchia.
Avrei
tanto desiderato concludere la serata
in modo diverso. Era stata una giornata splendida, ma avevo rovinato
tutto.
Rovinavo sempre tutto, sempre. Ero
un completo disastro.
Mi
sdraiai e mi accoccolai sotto il piumone,
stringendomi le braccia al petto.
Ero
talmente esausta che mi addormentai
subito, con addosso la maglia di Edward… che emanava il suo
profumo.
***
“L’auto sfrecciava sulla
strada, eravamo diretti verso casa.
L’atmosfera
era allegra;
Renée e Phil non facevano altro che sorridermi, come sempre.
Li
amavo, con tutta me
stessa. Erano la mia vita… La mia famiglia.
L’unica cosa
che rovinava
quella splendida atmosfera era la pioggia, che diveniva sempre
più fitta. Una
luce accecante, una brusca frenata, delle urla e poi… il
nulla.
Un
lampo squarciò il cielo,
seguito da altri”.
Mi
svegliai di soprassalto, dopo aver emesso un grido strozzato. La
pioggia batteva incessantemente sui vetri delle finestre, rompendo il
silenzio
che vi era nella stanza.
“E’ stato solo
un incubo, è stato solo un
incubo”. Mi ripetevo come una mantra, cercando di
calmarmi.
Però, il
rumore
improvviso di un lampo, seguito da un altro e un altro ancora, mi fece
sobbalzare. Stava tuonando forte, esattamente come quella notte, e
d’allora i
tuoni divennero una delle mie peggiori paure.
Il
mio respiro divenne affannoso ed iniziai a tremare come una foglia. Mi
appoggiai contro il muro, priva di forse, e mi lasciai scivolare sul
pavimento.
Mi rannicchiai in un angolino, al buio, portando le ginocchia al petto.
Le
lacrime presero a rigarmi il viso, seguite da singhiozzi
spezzati. Mi morsi
violentemente il labbro inferiore, tentando di frenare
quell’improvvisa crisi
che mi aveva travolta. Sperai che nessuno mi avesse sentita.
Speranza
vana; due secondi dopo sentii la porta della camera aprirsi di scatto,
e dei
passi avvicinarsi a me. Trattenni il fiato, continuando però
a tremare
inesorabilmente.
«Bella?».
La voce di Edward si fece sempre più vicina. Sentii le sue
mani posarsi sulle
mie braccia. «Bella?», ripetè, alzando
leggermente la voce.
Avrei
tanto voluto rispondergli, ma non ci riuscii. Mi limitai a
rannicchiarmi,
ancora di più, su me stessa.
Non
sentii più il pavimento sotto di me, segno che mi aveva
sollevata da terra.
Scese di corsa le scale con me in braccio. Chiusi forte gli occhi e
strinsi la
sua maglia tra i miei pugni. Mi depose su qualcosa di morbido, dedussi
fosse il
divano.
«Bella»,
sussurrò di nuovo, accarezzandomi teneramente il viso.
«Ti prego, guardami»,
implorò.
Mi
resi conto, solo in quel momento, di tenere ancora gli occhi chiusi. Li
aprii,
lentamente, e mi scontrai con due splendide pozze verdi, che mi
osservavano con
preoccupazione. Era inginocchiato accanto a me, e la sua mano era
poggiata
ancora sulla mia guancia.
Tremai,
ancora, e lui se ne accorse immediatamente.
«Hey,
va tutto bene», sussurrò, stringendo le mie dita
con la mano libera. «E’ tutto
okay», ripetè, con tono rassicurante.
«N-no»,
dissi. La mia voce uscì come un flebile sussurro tremante.
«I t-tuoni»,
balbettai.
«Hai
paura dei tuoni?», mi domandò ed io annuii,
tremante.
«Non
può essere solo per questo. Hai avuto una crisi, Bella, eri
sotto shock»,
mormorò. «Ti prego, parlami. Permettimi di
aiutarti», m’implorò, stringendo la
presa sulla mia mano, accarezzandone delicatamente il dorso con
movimenti
circolari.
Scossi
la testa, terrorizzata, e liberai le dita dalla sua stretta.
Si
alzò e si sedette accanto a me, sul divano.
«Quando avrai bisogno di qualcuno
con cui sfogarti, sappi che io ci sono. Oggi, domani, dopo
domani… Sempre.
Quando te la sentirai di parlarmi, io sarò qui, pronto ad
ascoltarti. Non
dimenticarlo», sussurrò, avvicinandosi, e
baciandomi dolcemente la fronte.
Tutta
quella dolcezza non me la meritavo, io non meritavo niente.
Mi
alzai di scatto dal divano e sotto il suo sguardo sbigottito, gli
voltai le
spalle, allontanandomi di alcuni passi. Mi sentivo persa senza lui
accanto,
così mi circondai la vita con le braccia, iniziando a
tremare per l’ennesima
volta.
Aprii
la bocca ed iniziai a parlare, senza nemmeno rendermene conto.
«Quando
avevo cinque anni, mia madre e Charlie divorziarono; così
lui decise di
trasferirsi qui a Forks. I loro rapporti non erano tra i migliori,
soprattutto
perche lui l’amava ancora. Un anno dopo Renée
trovò un nuovo compagno, Phil; un
eccellente giocatore di football e amante dello sport… Un
grande uomo. Quando
venne a scoprirlo, Charlie ne rimase deluso; tanto da ritornare a
Phoenix
solamente nelle festività, lo faceva solo ed esclusivamente
per me. Questo fino
a quando non raggiunsi i dodici anni, poi le visite
diminuirono… fino a
mancare. Quando sono venuta qui, era da tre anni che non lo vedevo,
né
sentivo», raccontai parte della mia vita, e le mie mani si
strinsero a pugno.
Non
sentii nessun rumore alle mie spalle, così capii che Edward
mi stava
ascoltando.
«Quella
parte della mia vita che mancava fu colmata dalla presenza di Phil, che
divenne
come un padre per me. Noi tre eravamo così felici, erano la
mia famiglia»,
bisbigliai. «Una sera, decisi di uscire con gli amici e
passai dalla libreria,
dove trovai il libro che desideravo da mesi: “Orgoglio e
pregiudizio”. Era
stata una giornata pesantissima ed iniziò a piovere, non
avevo la minima voglia
di tornarmene a casa a piedi, così feci loro una telefonata,
implorandoli di
venirmi a prendere. Non se lo fecero ripetere due volte, e in
mezz’ora
arrivarono. Ero così entusiasta del mio nuovo acquisto, che
non smettevo di
parlare», un sorriso amaro si dipinse sul mio viso, al
ricordo di Renée e Phil
che mi prendevano in giro. Mi parve di sentire il suono della loro
risata. «La
pioggia divenne sempre più fitta, e il cielo fu squarciato
da lampi, proprio
come questa notte. Tanto che le auto faticavano a vedere la
strada», un brivido
mi percorse. Aumentai la stretta delle mie braccia intorno alla vita,
tentando
di placare quel senso di vuoto che si era impossessato di me.
Senza
che me ne rendessi conto le lacrime presero a rigarmi le guance; mi
morsi con
forza il labbro inferiore, con l’intento di ricacciarle
indietro.
Due
mani si strinsero delicatamente intorno alle mie braccia, e con un
lieve
strattone mi obbligarono a voltarmi dalla parte opposta. Non riuscii ad
oppormi, e mi voltai, scontrandomi così con il viso
preoccupato di Edward. Ero
talmente presa dal mio racconto, che non mi ero nemmeno resa conto che
si fosse
avvicinato.
Parve
accorgersi, solo in quel momento, dell’acqua salata che
bagnava il mio viso.
Sgranò gli occhi, completamente stupito, e lasciò
la presa sulle mie spalle.
«Bella…»,
sussurrò, posando una mano sulla mia guancia. Mi allontanai
immediatamente,
conscia che quando avrebbe saputo tutta la verità, mi
avrebbe abbandonata anche
lui. Quindi era meglio se mi abituassi già da ora alla
mancanza del tocco delle
sue dita affusolate.
«N-no,
p-perfavore», implorai, con voce flebile. Aprì la
bocca, pronto a parlare, ma
lo bloccai con un gesto della mano. Annuì, titubante, e si
mise le mani in
tasca.
«Chiusi
gli occhi, completamente rilassata, senza valutare la situazione.
Eravamo ad un
incrocio e u-una m-macchina è passata con il rosso, ci ha
t-travolto in
p-pieno», tremai, mentre il ricordo di quella notte
tornò vivo nella mia mente.
«L’unica cosa che ricordo è una luce
accecante, le urla di mia madre e Phil.
Rimasi incosciente per circa due giorni. Mi risvegliai in ospedale,
attaccata a
dei tubi, ero sconvolta; per questo aspettarono un altro giorno per
dirmi che
loro… erano morti», la voce mi
uscì bassa, spezzata dal forte dolore che stavo
provando. Portai una mano al cuore, che batteva
all’impazzata, e cercai di
regolarizzare il respiro.
«Bella»
mormorò flebilmente, avvicinandosi di qualche passo.
Mi
tappai le orecchie al suono di quel nome, non volevo sentire
più niente. Volevo
solamente fuggire da tutto quel dolore che mi stava sommergendo.
«No,
no. Loro mi chiamavano così, no», scossi
energicamente il capo. «Un attimo
prima, erano li accanto a me e un attimo dopo, loro non
c’erano più. Se solo
non mi fossi fatta venire a prendere, loro a quest’ora
sarebbero ancora vivi.
E’ stata colpa mia, tutta colpa mia!», esclamai,
tremando, mentre altre lacrime
bagnarono le mie guance.
Annullò
quei pochi passi che ci separavano e si avvicinò
velocemente, circondandomi le
spalle con le sue braccia. M’irrigidii all’istante,
divenendo un pezzo di
ghiaccio..
«Non
devi toccarmi, hai capito? Lasciami!», sibilai, furiosa,
spingendolo lontano da
me.
In
quel momento il suo viso si trasformò in una maschera di
dolore, ma non me ne
importava. Avrei preferito che si allontanasse, averlo vicino mi faceva
soffrire ancora di più. Sapevo l’emozione che
provava, ora, nei miei confronti:
compassione.
«Io
ti odio. Ti odio. Ti odio!», urlai, furiosa, spingendolo di
nuovo.
Sgranò
leggermente gli occhi, i quali divennero lucidi. «Bella, ti
prego…», la sua
voce non era altro che un flebile sussurro.
«Come
puoi guardarmi ancora in questo modo?! Come puoi farlo, nonostante tu
sappia la
verità su di me? Come puoi?!», urlai, sempre
più arrabbiata e… sofferente.
«Non
è stata colpa tua…»,
bisbigliò, avanzando di un passo.
«Non
ti avvicinare!», gridai, ma lui non mi ascoltò, e
tese una mano nella mia
direzione. «So cosa stai provando in questo momento, ed io
non voglio la tua
pietà. Non la voglio!», indietreggiai, fino a
quando non toccai il muro con le
spalle.
Ignorò
completamente le mie parole. «Non è stata colpa
tua», ripetè nuovamente, con
tono più deciso. I suoi occhi ardevano di
sincerità.
«Basta,
smettila di ripeterlo», mormorai, trattenendo le lacrime.
«Sai
che non è così, non potevi prevederlo. Il destino
è imprevedibile», negò con la
testa, e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
«E’
stata colpa mia, cazzo! Solamente colpa
mia», urlai, avvicinandomi al tavolo. In preda ad un attacco
di rabbia,
afferrai il vaso che giaceva su di esso, e lo scaraventai a terra.
Non
guardai la sua reazione a quel mio gesto improvviso; la rabbia che
avevo provato
poco fa scomparve immediatamente, lasciando spazio ad un grande dolore.
«Sarei
dovuta morire io in quell’incidente. Io, non loro»,
sussurrai, lasciando cadere
le braccia lungo i fianchi. «Loro meritavano di vivere, io
no. Sono… niente».
Ero priva di forze, tanto che dovetti appoggiarmi al muro per
sostenermi.
Sì
avvicinò velocemente, tanto velocemente che faticai a
vederlo, e mi prese per
le spalle. «Non voglio mai più sentirti dire una
cosa del genere, mi hai
capito? Mai, mai più, voglio sentire queste cazzate uscire
dalla tua bocca, è
chiaro?», alzò la voce, scuotendomi leggermente.
«Sei una ragazza splendida,
Bella, non dimenticarlo», sussurrò, addolcendo il
tono.
Con
uno strattone mi allontanai, staccandomi nuovamente dalla sua presa.
Le
gambe mi tremarono e non riuscirono più a reggere il peso
del mio corpo, così
mi accasciai a terra, esausta.
Non
fui più in grado di trattenere le lacrime e, presto, mi
rigarono le guance.
Edward
s’inginocchiò accanto a me e cercò di
abbracciarmi, ma ancora una volta, non
glielo permisi. Non volevo la sua pietà, non la volevo.
«Vattene,
non voglio la tua pietà. Vattene». Mi rannicchiai
contro il muro,
allontanandomi maggiormente da lui.
«La
mia non è compassione. Non starei mai accanto a te solamente
per pietà, Bella.
Io ti voglio bene», mormorò, fissandomi
intensamente.
Sgranai
gli occhi, incredula, e il dolore mi mozzò il respiro.
«Perché
sei così dolce con me, perché? Smettila, non lo
merito!», gridai, battendo i
pugni contro il suo petto, costringendolo ad arretrare. «Io
non merito niente»,
terminai in un sussurro, continuando a colpirlo. Non mi
bloccò le mani,
semplicemente non mi toccò, lasciando che continuassi ad
inveire contro di lui.
«Bella…»,
mormorò, sofferente. «Ti voglio bene».
Il bisbiglio di Edward fu in grado di
scuotermi l’anima. La sua dolcezza fu in grado di far
crollare tutte le mie
barriere.
Smisi
di colpirlo e, stremata, mi lasciai cadere in avanti.
Le
sue braccia, prontamente, mi afferrarono. Mi circondò le
spalle e mi strinse
con forza al suo petto. Mi adagiai contro di lui, priva di forze. I
singhiozzi
mi squarciarono il petto, e dei gemiti incontrollati sfuggirono dalle
mie
labbra.
«Mi dispiace tanto, piccola», mi tenne
stretta contro di sè, sfregando la guancia contro la mia
tempia. «Ssh,
va tutto bene, sono qui», sussurrò, portando una
mano sulla mia nuca, affondandola tra i miei capelli;
premendo il mio viso contro il suo petto. Piansi ancora più
forte,
aggrappandomi alla sua maglietta con tutta la forza che avevo, per
paura che
scomparisse da un momento all’altro.
«N-non
l-lasciarmi, t-ti p-prego», implorai flebilmente,
stringendomi a lui con tutte
le mie forze. Automaticamente, le sue braccia mi strinsero con maggiore
forza, quasi fino a farmi mancare il respiro.
«Non
ti lascio, Bella. Sono qui, non ti lascio»,
sussurrò, accarezzandomi
delicatamente la schiena e i capelli. «Non ti lascio, te lo
giuro». Mai parole
risuonarono più vere.
Un
singhiozzo, più forte dei precedenti, mi scosse
completamente, facendomi
sussultare e le sue braccia, ancora una volta, aumentarono la stretta.
«N-non
lasciarmi», continuai a ripetere, come una nenia disperata.
«Ssh,
io sono qui. Potrai sempre contare su di me, sono qui. Non ti
lascio», ripetè
con voce dolce e decisa allo stesso tempo, cullandomi dolcemente.
Continuai
a piangere, incapace di fare altro. «Sfogati, io sono qui.
Sfogati», mormorò.
Ascoltai
le sue parole, e strinsi la presa delle mie dita intorno alla sua
maglia.
«Ti
voglio bene, Bella», bisbigliò al mio orecchio,
continuando a cullarmi ed a
carezzarmi teneramente. Affondai ancora di più il viso nel
suo petto caldo e
accogliente, sentendomi, per la prima volta, a casa.
Pian
piano, il mio respiro cominciò a regolarizzarsi; le palpebre
a farsi sempre più
pesanti, ed iniziarono a tremolare.
Lui
se ne accorse. «Dormi, Bella. Ci sono qui io accanto a te.
Dormi, non ti lascio»,
sussurrò, continuando a stringermi a sé,
depositando teneri baci sul mio capo.
Rassicurata
da quelle parole, chiusi definitivamente gli occhi. Mi lasciai andare,
addormentandomi tra le braccia calde e confortanti di Edward,
accompagnata dal
suo profumo.
Per
una volta non mi sentii sola.
Mi
sentii, finalmente, a casa.
Ringrazio di cuore chi è arrivato fin qui.
Grazie di cuore alle 12 persone che hanno recensito. E' davvero
importante, per me, il vostro parere.
Grazie di cuore anche a chi mi ha aggiunta tra le seguite (189),
chi tra i preferiti (70),
chi tra le ricordate (24).
e infine chi mi ha aggiunta tra gli autori preferiti (9).
Spero di avere anche in questo capitolo un vostro parere. (:
GRAZIE DI CUORE A TUTTI. <3
Un bacione, _Dreams_.
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