I need this love.

di _Dreams_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ricordi indelebili. ***
Capitolo 2: *** Una giornata da dimenticare. ***
Capitolo 3: *** A volte, anche una semplice parola, è in grado di ferire. ***
Capitolo 4: *** Una domanda e nessuna risposta. ***
Capitolo 5: *** Nuove conoscenze. ***
Capitolo 6: *** Potrò mai essere felice? ***
Capitolo 7: *** Me stessa. ***
Capitolo 8: *** Parco acquatico. ***
Capitolo 9: *** Una lunga, ma piacevole, giornata. ***
Capitolo 10: *** Nessuno è solo. ***



Capitolo 1
*** Ricordi indelebili. ***


popo
Ciao a tutti! E' da un pò di tempo che ho questa storia in mente, ma mi son sempre rifiutata di scriverla, perchè non mi sentivo all'altezza.
Ma poi ho deciso di provarci. Amo scrivere e in questa fan fiction ci ho messo parte di me stessa.
Ammetto di avere un pò di strizza e mi sto imponendo di non scappare e di cliccare il tasto: aggiungi una nuova storia.
Ma mi son fatta forza e quindi: eccomi qua! Sono sincera, non so che ne sia uscito fuori, anche perchè la mia mente è molto malata xD
Sarà un pò triste all'inizio, volevo avvisare, ma col tempo tutto si rimetterà più o meno apposto ;)

Ringrazio infinitamente Sharon (Shasha5) per la splendida immagine che mi ha fatto!
E vorrei dedicare a lei il capitolo e a un'altra persona per me molto speciale: Mary.
Lei sa chi è ;) Grazie ragazze, vi voglio un mondo di bene-
Grazie, grazie, grazie.
Ok, la smetto di blaterare, anche perchè se inizio non finisco! xD
Buona lettura!


Prologo

Felicità. Non ero mai stata in grado di comprendere il significato di questa parola; dopotutto per una come me la felicità non esisteva e mai sarebbe esistita.
Di questo ne ero pienamente sicura; la vita non aveva fatto altro che offrirmi emozioni negative e… dolorose. Tutto cambia, quando meno ce lo aspettiamo.
E ora, grazie a lui - che era entrato a far parte della mia vita, rischiarando i miei giorni – non potei fare a meno di pensare a quanto ero stata stupida e cieca.
Perché avrei trascorso ore ed ore ad ammirare il suo viso, senza mai stancarmi.
«Bella...», sussurrò il mio angelo personale, posando una mano sulla mia guancia, accarezzandola dolcemente.
Chiusi gli occhi, beandomi appieno del suo tocco caldo e gentile, che avrei tanto desiderato non avesse mai fine; perché una sua semplice carezza era in grado di destabilizzarmi completamente.
Prese a seguire il contorno delle mie labbra, che al suo tocco si dischiusero leggermente.
Aprii gli occhi, scontrandomi così con due pozze verde smeraldo, che erano in grado di penetrarmi l’anima. Mi persi nei suoi splendidi occhi e sentii le gambe cedermi, ma non ci feci caso, dopotutto quella reazione era spontanea… accadeva ogni volta che mi rivolgeva quello sguardo così carico d’affetto, che mai e poi mai mi sarei meritata.
«Edward io…», provai a parlare, ma senza risultato; le parole non ne volevano sapere di uscire dalla mia bocca, tanta era l’emozione che provavo in quel momento.
«Tu non sei così Bella. Tu non sei così», iniziò a dire con voce dolce. «Io so come sei veramente, mi hai dato modo di conoscere la vera te stessa», bisbigliò, spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Aprii e chiusi la bocca più volte, incapace di parlare.
«La vera te stessa…», sorrise gentilmente, intrecciando le nostre dita, «ha un animo puro, dolce. E tu Bella, hai un cuore grande, talmente grande che neanche ti immagini», mormorò avvicinandosi, posando la sua fronte contro la mia.
Sentii le lacrime premere per uscire, ma con una grande forza di volontà riuscii a ricacciarle indietro.
Il mio occhio cadde sulle nostre mani unite; le alzai e le posai sul mio petto, dove in quel momento vi era il mio cuore, che batteva all’impazzata.
«Lo senti il mio cuore?», domandai retoricamente, con voce incrinata.
Annuì impercettibilmente, accarezzandomi la guancia con la mano libera.
«Il mio cuore batte solo per te», sussurrai flebilmente.
Le lacrime presero a rigarmi il viso, ma non le fermai. Perché mai avrei dovuto farlo? Le lasciai scendere.
Sul suo viso si dipinse un sorriso, quel sorriso che tanto amavo.
Le sue braccia andarono a circondarmi la vita, stringendomi forte al suo petto.
Posai la testa nell’incavo del suo collo, stringendomi a lui più che potei; mentre il suo viso andò ad immergersi nei miei capelli.
«Tu. Sei tu la mia vita», mi sussurrò nell’orecchio, posandomi poi un dolce bacio sulla fronte.

1. Ricordi indelebili

Pov Bella

La vita è difficile. Nulla è prestabilito; è un continuo mutamento… di gioie, dolori e perfino di scelte. Scelte importanti, che in parte influenzano sul futuro.
A volte entra in gioco il destino, in grado di cambiarti la vita e di farti provare sensazioni sconvolgenti, che non avresti mai voluto sentire.
La cosa migliore sarebbe andare avanti, perché la vita continua e ha il sopravvento su tutto… ma com’è possibile tutto ciò, se l’unica cosa che una persona desidera è affogare nel dolore?

«Signore e signori allacciate le cinture di sicurezza, tra meno di cinque minuti atterreremo all’aeroporto di Forks», annunciò una hostess; il suono della sua voce mi destò dai miei pensieri e mi fece rinsavire.
Lentamente aprii gli occhi e guardai l’orologio: erano quasi le tre, il tempo era passato abbastanza velocemente.
Guardai fuori dal finestrino; il cielo era terso, segno che da un momento all’altro avrebbe iniziato a piovere. Dopotutto cosa mi sarei dovuta aspettare dalla cittadina più piovosa d’America?

Phoenix, la mia città natale, dove avevo trascorso diciassette anni della mia vita. Tutto era perfetto, avevo molti amici e una famiglia su cui contare; mia madre Renée e suo marito, Phil… ma si sa, prima o poi tutte le cose belle finiscono.
Renée e Phil, due semplici nomi all’apparenza, ma il solo pensiero era in grado di causarmi un dolore indescrivibile, che mai e poi mai mi sarei aspettata di provare.
Mi tormentai il labbro inferiore e rivolsi lo sguardo al soffitto, cercando in tutti i modi di fermare le lacrime che minacciavano di scendere da un momento all’altro.
Non dovevo piangere, era da deboli. Tu sei forte, non sei debole; la mia mente continuava a ripetermi questa frase come una mantra.
Sospirai rassegnata e dopo minuti – che a me parvero ore – l’aereo finalmente atterrò e alcuni passeggeri si alzarono frettolosi, smaniosi di essere all’aria aperta… come se fuori ci fosse stato qualcosa di interessante.
Come un automa presi la valigia, scendendo dall’aereo e subito il leggero venticello mi sferzò il viso, scompigliandomi dolcemente i capelli. Portai una mano tra i capelli, frustrata e mi guardai in giro, in cerca della famosa auto della polizia di… Charlie.
Non avevo mai avuto un buon rapporto con lui, era da tre anni che non avevo sue notizie ma dopo tutto quello che era successo si era fatto sentire, proponendomi – forse a malincuore – di venire qui da lui. Non ebbi scelta, era l’unico parente che mi rimaneva e se avessi potuto decidere non sarei mai venuta qui… ma non potevo restare a Phoenix, non dopo la loro morte. Solo pronunciare il loro nome faceva male, maledettamente male; così da codarda scappai, rifugiandomi in questa – a mio parere – schifosa cittadina.

Persa nei miei pensieri non mi resi conto che un uomo sulla quarantina si stava avvicinando a me, non potei non riconoscerlo… Charlie.
Un sospiro mi sfuggì dalle labbra e con passo apparentemente deciso gli andai incontro.«Ciao Bells», mi salutò avanzando di un passo, tendendo la mano, come per volermi sfiorare i capelli.
«Ciao», risposi impassibile, indietreggiando; non volevo avere nessun tipo di contatto con lui… nessuno.
Ritirò la mano e guardò il suolo imbarazzato. Presi la valigia e feci per incamminarmi, ma prontamente mi fermò.
«Ti porto io la valigia», disse accennando un sorriso, con la speranza - forse - di spezzare quel silenzio che si era momentaneamente creato. Non feci nemmeno in tempo a rispondere, che con un gesto delicato e deciso mi tolse la valigia dalle mani e si recò in auto, dalla parte del guidatore.
Non mi preoccupai di ringraziare ed entrai in quel rottame, sbattendo la portiera. Mi sedetti e chiusi gli occhi, appoggiando la testa allo schienale; l’ultima cosa che volevo fare era pensare.
Per il resto del viaggio non volò una mosca; l’unico rumore era la radio, il cui suono riecheggiava nell’abitacolo, spezzando quell’odioso silenzio.
«Siamo arrivati», sussurrò Charlie, guardandomi di sottecchi.
Annuii leggermente e velocemente mi diressi in casa. Una volta arrivata in soggiorno il mio occhio cadde sulla sedia a dondolo e mi si mozzò il respiro; era la stessa dove, ogni sera mia madre si sedeva, cullandomi dolcemente per farmi addormentare.
Mi portai una mano al petto e una sensazione di vuoto m’invase, tanto che sentii le gambe cedermi e dovetti aggrapparmi al frigorifero per non cadere.
Sentii dei passi alle mie spalle. Scossi leggermente la testa e – seppur con scarsi risultati – cercai di riprendermi.
«Bells…?», mi chiamò con voce incerta Charlie.
Bells…
Bells…
Bells…

Il modo in cui mi aveva chiamata continuava a ripetersi nella mia testa, come un disco rotto.
Mi voltai furente. Non avrebbe dovuto chiamarmi così… Mai.
«Come mi hai chiamata?», domandai, cercando di regolarizzare la voce.
«Bells, ma ch-», iniziò, ma non lo feci finire; interrompendolo bruscamente.
«Tu non hai il diritto di chiamarmi così, né tu né nessun altro!», urlai, facendo un passo avanti.
«Ma…», tentò di dire, ma come poco prima non gli feci concludere la frase.
«Io non sono Bells, sono Isabella e basta. Odio sentirmi chiamare con quel nome, lo odio! », urlai. «Loro mi chiamavano così… Loro. Bells è morta il giorno di quel maledetto incidente, non dimenticarlo», dissi con voce incrinata. Fece per rispondere ma non gliene diedi il tempo, perché con uno scatto repentino gli tolsi la valigia dalle mani e corsi su per le scale. Arrivai in camera mia ed entrai, sbattendo la porta; lasciai la valigia in un angolo e – anche se avevo ancora i vestiti da viaggio – mi buttai sul letto, nascondendo il viso nel cuscino.
Perché io? Perché a me?
Queste domande continuavano a ripetersi incessantemente nella mia testa. Le lacrime presero a rigarmi le guance e un singhiozzo mi sfuggì dalle labbra.
No, no, no. Non dovevo piangere.
Con un gesto secco della mano asciugai quella maledetta acqua salata, imponendomi di essere forte. Mi massaggiai le tempie con le dita e un sospiro sfuggì dalle mie labbra.
Mi recai vicino alla valigia e presi a mettere apposto le mie cose, molto lentamente; dopodichè presi l’occorrente e mi diressi in bagno… avevo bisogno di una doccia.
Il getto dell’acqua calda entrò a contatto con la mia pelle e in parte mi rilassai; chiusi gli occhi, lasciando la mente libera da tutto e da tutti.
Trascorsi un tempo indefinito sotto la doccia, minuti o forse ore… ma non m’importava.

***

In salotto trovai Charlie spaparanzato sulla poltrona, intento a guardare la televisione. Il mio occhio cadde sull’orologio appeso alla parete: erano le sette.
Non appena sentì i miei passi strascicati si voltò di scatto, rimase a fissarmi per un tempo indefinito, dopodichè si decise a parlare.
«Be-. Ehm Isabella», si corresse subito. «Se hai fame ci dovrebbe essere qualcosa nel frigorifero, ci saranno poche cose perché come ben sai io sono un disastro a cucinare». Sorrise, cercando di alleggerire la tensione. «Però domani potrei andare a fare la spesa, così potrai mangiare qualcosa di commestibile».
«Ok. Tanto non ho fame», risposi con voce neutra.
«Dovresti mangiare qualcosa, sai mi sono dimenticato di dirtelo ma domani sarà il tuo primo giorno di scuola a Forks e devi essere in forza…», cominciò.
«Domani?», domandai leggermente stizzita.
«Sì, domani», rispose in un sussurro.
Feci per ribattere, ma mi morsi la lingua, non era il caso di peggiorare la situazione, che era già schifoso di suo.
«Ok», sospirai. «A che ora iniziano le lezioni?», chiesi, per niente interessata.
«Alle 8. Ma non andrai a piedi», accennò un sorriso. «Ti ho comprato una macchina, un Pick-Up di seconda mano, dalla riserva dei Quileute. Non sarà nuovo, ma è perfettamente funzionante», disse fiero.
«Non ce n’era bisogno», risposi con noncuranza.
«Sì che ce n’è bisogno. Voglio che tu ti trova bene qui, come se fossi… a casa tua», disse in un sussurro.
«Casa mia, come se fosse possibile», sorrisi amaramente. Casa mia era a Phoenix e sempre lo sarebbe stata.
Lo vidi grattarsi il capo imbarazzato e abbassare lo sguardo.
«Ma lo farò, tanto cos’altro ho da perdere… Charlie?», domandai retoricamente.
Aprì la bocca per rispondere, ma poi la richiuse, incapace di dire altro.
«Io vado a letto, dopo tutto domani mi aspetta una giornata ricca di sorprese», dissi sorridendo forzatamente e ciò a lui non sfuggì.
Non aspettai una sua risposta, gli voltai le spalle e a passo lento mi diressi nuovamente in camera mia.
Mi avvicinai alla tenda e la spostai leggermente, così da poter guardare fuori dalla finestra; mi appoggiai di spalle al muro e osservai il cielo… non vi erano stelle, erano coperte da nubi. Cominciò a piovere; chiusi gli occhi e tesi una mano, così da poter sentire le gocce solleticarmi le dita, in una dolce carezza. Aprii gli occhi; il cielo era scuro, un po’ rispecchiava il mio umore. Un sorriso triste si dipinse sul mio volto, ma scossi leggermente la testa, come a voler scacciare i brutti pensieri.
Decisi di dormire, il giorno seguente mi aspettava una lunga giornata.
Mi sdraiai e mi accoccolai sotto il piumone, stringendo le braccia al petto in cerca di conforto. Chiusi gli occhi, liberando la mente, ma presto scoprii che neanche il sonno mi dava pace; perché, ogni singola volta che chiudevo gli occhi, la stessa scena si ripeteva nella mia mente come un disco rotto, come se io fossi lì a riviverla.
Di una cosa ero sicura, ovvero che il destino era stato ingiusto e aveva portato via due delle persone più importanti della mia vita, lasciando il vuoto dentro me.
Sarei mai riuscita a superarlo?


Ehm... eccoci alla fine. Spero di non aver fatto addormentare nessuno, in tal caso mi scuso profondamente, non era mia intenzione O_______O
Grazie a chi è stato così coraggioso da leggere e arrivare fino alla fine. Grazie!
Alla prossima ;) Spero qualcuno recensisca :D
un bacione
Elly


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Capitolo 2
*** Una giornata da dimenticare. ***


Ciao a tutti!
Come state? Spero bene!
Oh Santa Maria Maddalena Del Santo 11 commenti O__________O
non me lo aspettavo proprio! Oddio, grazie, grazie, grazie!
Non so davvero come ringraziarvi, siete dolcissimi!
Sotto le risposte alle recensioni :)
Ricordo che io posto una volta a settimana, quindi ogni martedì circa.
Ora la smetto di blaterare, perchè se inizio non finisco più :P
Che altro dire... Buona Lettura!

Vorrei dedicare questo capitolo a una persona davvero importante per me: Lau_twilight.
E' una ragazza fantastica, dolce e solare sempre pronta ad aiutarti e consigliarti.
E' più di un anno che la conosco e non posso fare a meno che adorarla sempre di più. Anche se siamo lontane mi è sempre stata accanto nei miei momenti "no".
Quando sono depressa - anche se inconsapevolmente - riesce sempre a farmi sorridere. E' sempre stata presente e non ha idea di che ragazza fantastica sia.
E per questo voglio dedicarle questo capitolo. Grazie tesoro, per tutto. Per le risate, i momenti pazzi e per le lunghe chattate su msn.
Ti Voglio Un Mondo Di Bene.
Tua Elly

2. Una giornata da dimenticare.



Pov Bella

Il tempo passava lentamente; i deboli raggi rischiararono la stanza, andando poi a solleticarmi il viso. Istintivamente strinsi più forte le palpebre, l’ultima cosa che in quel momento desideravo fare era alzarmi dal letto.
Sentii la porta della camera aprirsi, segno che Charlie voleva assicurarsi che fossi sveglia e pronta per il fatidico giorno di scuola… ridicolo.
Un sospiro sfuggì dalle mie labbra e – seppur di malavoglia – mi sforzai ad aprire gli occhi, che andai subito a coprire con il lenzuolo, a causa della luce accecante proveniente dalla lampada accanto al letto.
Ma che…?
«Io vado al lavoro, hanno bisogno di me», disse ironicamente.
Non mi mossi dalla mia posizione, rimasi col viso nascosto sotto le coperte.
«Per colazione dovrebbe esserci qualcosa nel frigorifero, ma prometto che questo pomeriggio vado a fare la spesa», continuò dolcemente, attendendo – forse – una mia risposta, che però non arrivò. Mi limitai ad annuire leggermente, senza guardarlo.
«Okay», sospirò. «Spero che ti diverta oggi a scuola e che passi una bella giornata con i ragazzi della tua età. Vedrai ti divertirai…», iniziò ma non lo feci finire; con uno scatto repentino mi liberai dalle coperte, mettendomi a sedere.
«No», risposi semplicemente.
«No?», domandò confuso alzando un sopracciglio.
«Non passerò una bella giornata, né mi divertirò. Lo sai anche tu che è così», spiegai, come se fosse la cosa più ovvia al mondo.
«Bella…», mormorò, avanzando con passo incerto.
«Isabella», sibilai flebilmente, stringendo le mani a pugno.
«Isabella», calcò bene il nome. «So quello hai passato e ti capisco, ma…», la sua voce uscì apparentemente decisa.
«No, tu non sai cosa ho passato. Tu non sai niente!», urlai, al limite della sopportazione.
«Basta», disse con voce autoritaria. «Posso capire che quello che è successo ti abbia sconvolto, perché anch’io lo sono. Ma questo non ti da assolutamente il diritto di scaricare tutta la tua rabbia e angoscia su di me, perché questo è sbagliato e sono pur sempre tuo padre, anche se tu pensi il contrario. Perciò almeno esigo il tuo rispetto», rispose guardandomi dritto negli occhi. Aprii la bocca, ma dalle mie labbra non uscì alcun suono.
Sospirò addolcendo lo sguardo, notando il mio cambio d’espressione.
«So che stai soffrendo, volevi loro molto bene. Ma non puoi vivere così per sempre, la vita va avanti», disse, ma prontamente lo bloccai.
«Come puoi dire questo? Come puoi?», urlai, furiosa. «Tu non eri lì in auto. Io ero lì e non sai minimamente quello che provo a sapere che io sono viva e loro no. Tu non capisci e mai capirai. E odio stare qui», dissi con rabbia; dopodichè gli voltai le spalle e corsi fuori da quella maledetta camera, chiudendomi in bagno.
Mi appoggiai alla porta e cercai di respirare regolarmente. Mi voltai verso lo specchio e ciò che vidi mi fece sobbalzare: una ragazza dai lunghi capelli castani spettinati, viso pallido e… occhi castani, marcati da profonde occhiaie. Chiusi gli occhi, incapace di guardare ancora. Stentai io stessa a riconoscermi, non vi era niente di me in quella ragazza riflessa nello specchio.
Velocemente mi sciacquai il viso e mi pettinai alla ben e meglio, dopodichè uscii da quel maledetto bagno e mi diressi in camera, indossando le prime cose che mi capitarono a tiro.

A passo veloce scesi in salotto e presi le chiavi dell’auto; mi guardai intorno e vidi Charlie appoggiato al muro accanto alla porta. Non mi preoccupai nemmeno di fare colazione, abbassai il capo e senza degnarlo di uno sguardo uscii finalmente all’aria aperta.
Subito il leggero venticello prese a giocare con i miei capelli, scompigliandoli dolcemente. Non ci feci caso e guardai nel parcheggio, in cerca del Pick-up. Quello che vidi mi lasciò a bocca aperta, quello che avevo davanti era tutto tranne che un auto: un cheavy rosso, forse degli anno ’80. Sbuffai infastidita e salii in quel rottame, partendo alla velocità massima: 80 km/h, tutto ciò che permetteva quel catorcio.
Accesi la radio – mi stupii che funzionasse – il cui suono riecheggiò nell’abitacolo, interrompendo quella monotonia improvvisa e placando in parte la mia ansia.
Guidai per ben dieci minuti, fino a quando non vidi il cartello: Forks High School, mi fermai per miracolo, visto che ciò che avevo davanti mi parve tutto fuorché una scuola.

***

Vagavo per i corridoi, in cerca della segreteria. Camminavo a capo chino, sentivo tutti gli occhi puntati su di me, sicuramente ero la nuova scoperta. Odiavo essere al centro dell’attenzione, così aumentai il passo, trovando
finalmente la segreteria.
Mi affacciai alla porta e, vedendo che non vi era nessuno all’interno entrai, trovandomi così faccia a faccia con la segretaria.
«Salve», salutai, cercando di essere cordiale. « Io sono Isabella Swan», mi presentai, consegnandole poi i moduli d’iscrizione.
«Oh… la nuova. Io sono la segretaria di questa scuola, questo è il suo orario settimanale. Se ha bisogno di informazioni sarò lieta di aiutarla», rispose cordialmente.
«Bene», presi i fogli che mi porse e feci per andarmene, ma il suono della sua voce mi costrinse a fermarmi.
«Benvenuta alla Forks High School, signorina Swan. Spero che si trovi bene nella nostra Scuola», sorrise gentilmente.
«Grazie. Ci proverò», risposi sorridendo, un sorriso falso, ma lei sembrò crederci.
Gettai una veloce occhiata all’orario e quello che vidi mi sconcertò: due ore di trigonometria. Sgranai gli occhi scioccata, bene… la giornata era iniziata davvero nel migliore dei modi. Sbuffai seccata e m’incamminai, in cerca dell’aula numero tre.
Gironzolai e dopo svariati minuti finalmente riuscii a trovare l’aula; sbuffai scocciata e feci un respiro profondo, per infondermi calma e – dopo un attimo di esitazione – mi decisi a entrare.
I banchi erano disposti in modo sparso, per metà occupati da ragazzi e ragazze che non appena feci il mio ingresso mi squadrarono da capo a piedi. M’immobilizzai davanti alla porta; molte ragazze iniziarono a bisbigliare nell’orecchio dell’amica e a ridere, mentre altre presero a fissarmi con aria schifata… non ne compresi il motivo.
Sospirai, sistemandomi lo zaino in spalla e m’incamminai tra le file di banchi, cercando di ignorare il vociare che si era momentaneamente creato e le occhiate languide che mi lanciavano alcuni ragazzi.
Nervosa presi a torturarmi il labbro inferiore e decisi di prendere posto in fondo all’aula, dove nessuno poteva vedermi.
Tirai fuori un quaderno a caso e presi a scarabocchiare sulla copertina tanto per fare qualcosa, ma presto mi dovetti fermare perché sentii la sedia accanto alla mia spostarsi e la voce del professore intimare silenzio.
Volsi leggermente il capo, curiosa di vedere chi sarebbe stato il mio compagno di banco per il resto dei miei giorni. Vi era una ragazza, dai lunghi capelli castani, leggermente mossi; gli occhi castani, che in quel momento mi osservavano guardinghi, in cerca di chissà cosa.
Feci per distogliere lo sguardo, ma la sua voce squillante non me lo permise.
«Ciao, devi essere quella nuova. Io sono Jessica Stanley, piacere di conoscerti», si presentò sorridendo, porgendomi la mano. Un sorriso che non mi piacque per niente.
«Isabella Swan», risposi semplicemente, riportando poi l’attenzione sul professore.
«Che caratteraccio, è peggio di quanto pensassi», la sentii borbottare infastidita.
Serrai le labbra e m’imposi di restare calma, anche perché se solo avessi aperto bocca l’avrei riempita d’insulti, quindi meglio evitare.
Iniziai nuovamente a fare degli scarabocchi sul quaderno, in un vano tentativo contro la noia, ma con scarsi risultati. Il mio cervello si staccò dal resto del corpo, così come la mia mente.
Chiusi gli occhi, ripensando alla mia amata Phoenix… avevo sempre amato sdraiarmi al sole e lasciare che i raggi mi scaldassero il viso; amavo camminare sulla spiaggia e andare in riva al mare, beandomi del rilassante odore di salsedine che impregnava l’aria e… adoravo trascorrere i miei giorni con loro, ma questo purtroppo non sarebbe più stato possibile.

«Signorina Swan, le dispiacerebbe tornare tra noi?», la voce del professore mi fece sobbalzare e aprii gli occhi di scatto, risvegliandomi dallo stato di semi-incoscienza in cui ero caduta.
«Mi scusi professore, io…», tentai di giustificarmi, ma non me ne diede il tempo.
«Signorina Swan, capisco che lei è nuova alla Forks High School, ma questo non le da il diritto di dormire durante le mie ore. Non so come era abituata a Phoenix, ma dovrà abituarsi, qui non ci sono favoritismi», concluse il discorso, senza smettere di guardarmi.
Calma, calma, calma
… la mia mente continuava a ripetermi questa frase incessantemente, ma l’improvviso brusio che si era creato e alcuni frasi poco adeguate non mi aiutarono nel mio intento.
Lasciai cadere – non molto delicatamente – il quaderno a terra e mi alzai in piedi con uno scatto repentino.
«Cosa sta facendo signorina Swan?», domandò il professore alzando un sopracciglio.
«Mi sembra ovvio, me ne vado», risposi tranquillamente, dopodichè mi sistemai lo zaino in spalla e presi la giacca.
«Dove crede di andare? Torni qui, non può andarsene nel bel mezzo della lezione!», urlò, paonazzo in volto.
«No. Preferisco andarmene, che subirmi le sue urla», risposi. Non gli diedi nemmeno il tempo di parlare, che con passo deciso uscii, andandomene da quella fottuta aula.

***

Non seppi quante ore erano trascorse, ma di una cosa ero certa: avevo completamente perso la cognizione del tempo. Da quando me n’ero andata dalla lezione di trigonometria non avevo fatto altro che girovagare per i corridoi, per oggi ne avevo abbastanza… basta lezioni.
Avevo bisogno di tirarmi un po’ su, cosa c’era di meglio di un buon caffè?
Andai alla macchinetta e mi presi un caffè, ne bevvi un sorso ma me ne pentii all’istante, dato che mi bruciai la lingua. Imprecai a bassa voce e guardando il pavimento svoltai l’angolo, ma quello fu un errore, perché inciampai nei miei stessi piedi e dovetti aggrapparmi all’armadietto per evitare il contatto con il suolo. Il bicchiere contenente il caffè mi scivolò dalle mani, finendo rovinosamente a terra.
«Cazzo! Brucia, brucia!», urlò una voce, facendomi sobbalzare. Mi voltai e quello che vidi mi fece pietrificare: il caffè non solo era caduto a terra, ma era finito addosso a un ragazzo.
Dopo un attimo di esitazione mi precipitai da lui, in preda al panico.
«Oddio scusami, non volevo», borbottai, in ansia.
Il ragazzo continuava a imprecare fra sé e sé; cercando in qualche modo di alleviare il dolore dovuto alla bruciatura.
«Mi dispiace, sono inciampata. Giuro che non ti ho visto, sono davvero mortificata», cominciai a blaterare cose senza senso, parlando a raffica.
Non sapevo come aiutarlo, così feci la prima cosa che mi venne in mente: presi un tovagliolo e cominciai a tamponarglielo sulla maglietta. Intenta a cercare di rimediare il danno non mi resi nemmeno conto dove stavo mettendo le mani, avevo ben altro a cui pensare.
Sentii una presa delicata intorno ai miei polsi, tanto che fui costretta ad alzare lo sguardo; solo in quel momento lo guardai per davvero e ciò che vidi mi fece perdere l’uso della parola.
Dire che era bellissimo era un insulto, era di una bellezza disarmante. I capelli bronzei leggermente disordinati, con un ciuffo ribelle che gli ricadeva sulla fronte; indossava una camicia bianca, i primi tre bottoni erano slacciati e ciò mi permise di intravedere il suo fisico perfetto… ma ciò che mi colpì maggiormente furono i suoi occhi, i più belli che avessi mai visto. Avrei voluto che il tempo si fermasse, per annegare in quegli occhi verde smeraldo, capaci di penetrarmi l’anima.
«Scusa, ma...», la sua voce soave mi fece rinsavire, riportandomi alla realtà.
Lo guardai confusa, inclinando leggermente la testa di lato.
«Non so se te ne sei accorta, ma vorrei farti notare dove mi stai pulendo. Non che la cosa mi dispiaccia, ma forse è meglio farlo privatamente e non qui davanti a tutti», mi comunicò, sorridendo sornione.
Abbassai leggermente lo sguardo e solo ora mi accorsi dove stavo mettendo le mani: sui suoi pantaloni. Cominciai a dire parole senza senso e le mie guance presero fuoco, dio che imbarazzo. Ma non appena mi resi conto di quello che aveva detto mi ripresi immediatamente. Ma come cazzo si permetteva?
Mi accorsi che le sue mani erano ancora intorno ai miei polsi, in una presa delicata; mi tirai indietro, liberandomi così dalla sua stretta e cercai di ricompormi.
«Scusa ancora, la prossima volta starò più attenta», dissi con voce impassibile, mentre i suoi occhi presero a scrutarmi attentamente.
«Va meglio?», domandai, guardandolo di sottecchi.
«Dopo un’ustione che non scorderò facilmente… Sì posso dire che va tutto bene», rispose scettico alzando un sopracciglio.
«Bene», dissi annuendo; dopodichè gli voltai le spalle e feci per andarmene, ma sentii un braccio avvolgersi intorno alla mia vita, la mia schiena andò così a scontrarsi con un petto a me sconosciuto.
«Te ne vai così, senza nemmeno salutarmi? Dopo tutto quello che è successo me lo devi», alitò nel mio orecchio. Era talmente vicino che potei sentire il suo respiro fresco solleticarmi il viso, dandomi le vertigini, ma cercai di ignorare questa reazione a me sconosciuta.
«Sì ed è meglio se mi lasci andare, altrimenti altro che caffè. Ti arriverà casualmente un calcio in un punto molto delicato e ti avverto… fa molto male», mormorai girando di poco il capo, incontrando così il suo viso, non molto distante dal mio.
«Non vedo l’ora che questo accada», sul suo volto si dipinse un sorriso smagliante, ma irritante allo stesso tempo.
Poco delicatamente mi liberai dalla sua stretta e furiosa mi voltai verso di lui; sul suo viso vi era sempre quel sorriso soddisfatto, che non fece altro che innervosirmi.
Presi lo zaino che durante l’impatto era caduto e me lo misi in spalla, incamminandomi.
«Spero davvero di rincontrarti», disse lui, nella sua voce l’ombra di un sorriso.
Strinsi i pugni per evitare di assalirlo e senza voltarmi aumentai il passo, recandomi così fuori da scuola.

Idiota, idiota, idiota!
La mia mente continuava a ripetere questa frase come un disco rotto, senza mai smettere. Ma era la verità: quel ragazzo era un perfetto idiota!
Sperai con tutta me stessa che non fosse della scuola, così da non rivederlo mai più.
Salii sul Pick-up e mi recai a casa, dopo una lunga giornata estremamente stressante avevo bisogno di un po’ di relax; parcheggiai nel vialetto ed entrai, sbattendo la porta.
Non annunciai nemmeno il mio arrivo, tanto ero sicura di essere sola in casa; lanciai lo zaino in un angolo e mi lasciai cadere sul divano.
Presi l’mp4 e una volta messe le cuffie alzai la musica a palla.
Chiusi gli occhi e appoggiai la testa allo schienale, imponendomi di non pensare a nulla; ma il viso di quel ragazzo si fece largo nella mia mente, scombussolandomi.
Oggi nessuno prima di lui si era preoccupato di parlarmi, nessuno. Per loro non ero altro che un giocattolino da scoprire… la nuova.
Un sorriso amaro si dipinse sul mio viso. Erano in momenti come quelli che sentivo nostalgia. Nostalgia dei bei momenti passati, nostalgia della mia vecchia vita, nostalgia delle persone a me più care e che purtroppo non m sarebbero più state accanto. E in quel momento non potei fare a meno di pensare a una cosa, ovvero che anch'io sentivo il bisogno di essere compresa e di avere qualcono accanto che mi amasse per ciò che ero. Ma di una cosa ero certa: io non sarei più stata la Bella di un tempo... mai più.




_Risposte alle recensioni_


Rodney: ciao! Grazie mille, sono davvero felice che lo scorso capitolo ti sia piaciuto.
Era diciamo un capitolo introduttivo, per far capire cosa ha passato Bella, ma soprattutto il suo cambiamento.
Sono felice tu abbia apprezzato, grazie ancora! Spero che anche questo capitolo ti piaccia! :)
Un bacione!

lenacullen: ciaooo! Grazie mille per tutto!
Sono felicissima che il capitolo ti sia piaciuto, grazie davvero. E sono felice ti piaccia il mio modo di scrivere *me felice, grazie*.
Spero che anche questo ti piaccia! Un bacione!

Shasha5: ciaooo tesoro miooooo! Oddio che bello averti anche qui! *-*
Tu non sai come sono felice nel sapere che il prologo e il capitolo ti sono piaciuti! Grazie, grazie, grazie!
Oddio, grazie per tutti i complimenti che mi fai (e che non merito). Grazie, grazie, grazie sei troppo gentile e così dolce con me *me piange* ç_ç
e per la dedica... tesoro per te questo e altro! Lo sai che ti adoro troppo, sei unica tesora davvero <3
Ahahahah, sì Edward nel prologo è così puccioso ma - come tu puoi ben vedere - all'inizio è tutto tranne che puccioso xD Maaa... c'è sempre un ma. Non vengo a dirtelo però... surpriseee :P
*Me meglio che scappa perchè Sha munita di piccone*. Ma se mi uccidi chi continua la storia?! *me faccia d'angelo*
Ps: non volevo farti piangere :D Mea culpa. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! Grazie di nuovo tesora, i tuoi commenti sono importantissimi per me *-*
Ti adoro troppoooooooooo <3 Un bacione grande!

gamolina: ciao! Ti è piaciuto? *-* Grazieeee, ne sono felicissima! *-*
Grazie di cuore *-* Ecco qua il nuovo capitolo! Spero ti piaccia :)
Un bacione!

elena274: ciao! Grazie mille. sono davvero contentissima che il capitolo ti sia piaciuto!
Grazie! Davvero ti piace il mio stile? O______O
Oddio grazie, non sai come mi fa piacere O_______O *me commossa*
Grazie per la recensione, spero che anche questo capitolo ti piaccia! :)
Un bacione!

Rebussiii:
Ciaoo!!! Sono contenta che la storia ti abbia attratto! Ancora siamo all’inizio ma spero che continuerai a seguirla!
Per quanto riguarda Charlie, Bella non è che lo odia ma mettiti nei suoi panni... ha perso la madre e Phil, le persone con cui ha vissuto fino a poco tempo prima...
E quindi per non mostrarsi debole tende a nascondersi dietro una maschera perché vuole dimostrasi forte e nascondere la sua fragilità...
Ma ne soffre di più... Charlie è in una situazione particolare, ma andando avanti scopriremo gli sviluppi di questo rapporto! Stai tranquilla :D Grazie per la recensione!
Spero che il nuovo capitolo ti piaccia! Un bacio! Alla prossima ^^


Lau_twilight: tesorooooooooo! Oddio io non ho parole O______O
Cioè non so che dire *me commossa* ç_ç grazie, grazie, grazie! Tu non hai idea di quanto io sia felice di aver visto la tua recensione ç_ç poi tutti questi complimenti (che non merito), grazieee ç_ç il tuo parere è davvero importante per me, davvero tanto. E sapere che il capitolo ti sia piaciuto - e anche l'idea della trama - mi fa un piacere enorme, che neanche immagini. Sei un angelo, per tutte le volte che mi sopporti, ma specialmente perchè leggi questa pazzia, apprezzandola persino. Ho voluto provare a scrivere qualcosa d'intenso, di romantico, qualcosa capace di penetrare l'anima.
Ci ho messo parte di me stessa in questa storia e ho cercato di far capire le emozioni che prova Bella, ma soprattutto la sua sofferenza. E anche di far capire quanto io ami scrivere questa storia.
So di non esserci riuscita pienamente, ma spero almeno di averlo fatto in parte :)
Oddio grazie *me piange* sono così felice di sapere che ti piace il mio modo di scrivere (e tu sai che a me non piace u.ù) e che lo apprezzi. Grazie *-*
Comunque, mmm io attentatrice? Ahahah come hai fatto a capirlo? Ti farò attentare a ogni capitolo, seppur in modo diverso... quindi attenta :P
Sì questo Edward ti strabilierà sempre di più, quindi attenzione :P
Grazie mille tesora, per tutto... sei un angelo! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto. Ti Voglio Troppo Bene Tesò! <3
Un bacione!
Ps: visto ti ho avvisata del capitolo :P quindi giù le armi - così brava - caspita l'altra volta mi hai fatto paura O____O

vanderbit: ciao! Grazie sono felicissima che ti piaccia, spero anche che questo capitolo sia di tuo gradimento ;)
un bacione!

alexia_18:
Ciao! Sono contenta che hai trovato il capitolo interessante! Bella ha un passato particolare ed è da capire...
Il suo atteggiamento nei confronti di Charlie può essere cattivo, ma lei cerca di mascherare il suo dolore dimostrandosi forte davanti agli altri e quindi anche di fronte a suo padre.
Ha creato una maschera che non sarà difficile da togliere... Charlie ovviamente è un uomo, è logico che un po’ ci rimanga male ma vedrai successivamente cosa succederà...
Ancora siamo all’inizio e tutto può accadere!! Ti ringrazio per i complimenti e per la recensione!!! Spero che anche questo cappy ti piaccia! Un bacio alla prossima ^^


Luna Viola: ciao! Sono davvero felice che il capitolo ti sia piaciuto e che tu l'abbia trovato interessante.
Ahahah, felice di averti distratta la volta scorsa dai compiti di matematica ;)
Grazie mille, davvero. Spero che anche questo capitolo ti piaccia. Un bacione!

Ringrazio di cuore chi ha inserita tra i seguiti (37 *.*)
chi tra i preferiti ( 8 *.*)
e chi tra autori preferiti (3 *.*)
e ai lettori silenziosi.

Grazie a tutti voi che leggete la mia storia.
Vi adoro!
Un bacione Elly




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Capitolo 3
*** A volte, anche una semplice parola, è in grado di ferire. ***


Ciaoooo a tutti!! Come state? Spero bene! :)
Eccomi qui con il nuovo capitolo, puntuale come sempre xD
Allora in questo capitolo si vedrà in parte come sarà il carattere di Edward, ma voglio precisare una cosa: lui NON è un donnaiolo.
E' un ragazzo a cui piace divertirsi con gli amici, andare in discoteca la sera, ma non è quel tipo da una botta e via.
Qui non si capirà molto quello che pensa, ma nel prossimo sì, perchè il quinto capitolo sarà appunto un pov Edward :)
Molti mi hanno chiesto cosa ha Bella contro di Charlie, beh uno dei motivi principali è perchè è tre anni che non lo vede e che non si fa sentire, questo l'avevo spiegato in breve nel primo capitolo.
Ma successivamente sarà spiegato meglio. Bella ce l'ha con se stessa prima di tutto, da a sè la colpa per la morte di Renée e Phil e finchè non riuscirà a mettersi in pace con se stessa le cose non cambieranno.
Ho voluto fare Bella come una ragazza forte apparentemente (perchè così è) ma ci sono dei momenti in qui la sua fragilità viene a galla, però riesce a nasconderla.
All'inizio Bella può apparire egoista, perchè pensa solo alla sua sofferenza e non a quella di chi le sta intorno (tipo a quella di Charlie), ma il suo dolore è davvero forte.
Ma prima o poi capirà che facendo così sbaglia, perchè in primo piano fa del male a se stessa.
Qua si vedrà anche in parte la fragilità di Bella, perchè lei in realtà è una ragazza dolce, piena di vita. Deve solo ritrovare se stessa.

Ora vi lascio e la smetto di blaterare, perchè se inizio non smetto più :P Vi acconsento di tirarmi qualsiasi cosa se blatero troppo :D
Buona lettura!

3. A volte, anche una semplice parola, è in grado di ferire.


Pov Bella

“One, twenty-one guns
Lay down your arms
Give up the fight
One, twenty-one guns
Throw up your arms into the sky,
You and I…”

Le note di 21 Guns dei Green Day si diffusero nell’abitacolo, facendomi perdere per un istante la cognizione del tempo; era sempre stato così per me.
Amavo la musica, era
unadelle cose più importanti della mia vita, mi rilassava e mi faceva sentire… me stessa. Ogni volta che ero stressata mi sdraiavo sul letto, con le cuffie dell’mp4 alle orecchie e mi isolavo da tutto e da tutti, trascorrendo del tempo in santa pace, senza pensare a niente. La sera, prima di andare a dormire io e mia madre ci riunivamo in salotto, con lo stereo acceso e il volume al massimo, ascoltando canzoni su canzoni e spesso mi mettevo a ballare a ritmo di musica, con Renée che mi osservava adorante. Lei era speciale, con le sue fattezze di bambina troppo cresciuta; le piaceva trascorrere del tempo con me divertendosi, sotto lo sguardo scioccato di Phil che non faceva altro che ripetere col sorriso sulle labbra: tale madre, tale figlia.
Quelli erano i momenti che preferivo, nessun problema, nessuna preoccupazione… niente di niente. C’eravamo solo io, loro e la mia voglia di divertirmi.

Ero così persa nei miei pensieri, tanto da non rendermi conto che la canzone era finita, dando posto a un’altra dolce melodia, cha avrei riconosciuto anche a chilometri di distanza: Claire de Lune.
Chiusi gli occhi, lasciandomi andare sul sedile. La mia mente fu invasa da ricordi… bei ricordi, ma allo stesso tempo dolorosi.

[Inizio Flashback]

“«Mamma, c’è Claire de Lune alla radio! Ti prego, ti prego alza il volume», la implorai, sporgendo di poco il labbro inferiore.
Sapevo che questo sarebbe bastato per farla cedere, non sapeva dire di no a quell’ espressione.

«Ve bene, ma poi subito a letto», mi ammonì, guardandomi severamente.

«Sì, te lo prometto», risposi, saltellando felice per casa.

«D’accordo, vieni», sorrise e una volta che mi ebbe presa in braccio si sedette sul divano, iniziando a cullarmi dolcemente”.

[Fine Flashback]

A quel ricordo un sorriso involontario si dipinse sul mio viso; al tempo avevo solo undici anni, ma già sapevo come soggiogare mia madre. Per lei dirmi di no era una tortura, era una madre fantastica. Già… era.
Scossi leggermente la testa e con uno scatto repentino spensi la radio. Ero masochista - tanto da perdermi in vecchi ricordi dolorosi – ma non fino a quel punto, se solo avessi continuato a sentire quella canzone sarei scoppiata.
Volsi lo sguardo fuori dal finestrino e notai che aveva iniziato a piovere… di nuovo.
Sul vetro, cadevano continuamente piccole gocce di pioggia. Erano talmente tante che riuscivano a creare, nel loro infrangersi, un piacevole rumore di sottofondo.
L’improvviso suono della campanella mi fece sobbalzare e solo ora mi ricordai di essere a scuola. Guardai l’orologio: le otto. Cazzo, cazzo, cazzo! Ero in ritardo.
Presi lo zaino e uscii velocemente dall’auto, correndo dentro.

***

«Salve signorina Swan, le sembra l’orario di arrivare?», mi riprese il professore non appena entrai di corsa in aula. Avevo trascorso una buona mezz’ora in giro per i corridoi, in cerca di quella maledetta aula e finalmente l’avevo trovata, precisamente alle 8.30. Fantastico.
«Mi scusi professore», risposi, mordendomi la lingua per impedirmi di rispondere, mi ero già cacciata abbastanza nei guai il giorno precedente, quando abbandonai la lezione su due piedi… quindi meglio evitare.
«Che non si ripeta più. E ora può accomodarsi», disse indicandomi un banco in fondo all’aula, l’unico posto libero.
Annuii impercettibilmente, a capo chino passai tra la fila di banchi e – ignorando il brusio che si era creato – mi accomodai nel posto da lui indicato. Lasciai cadere lo zaino per terra e una volta preso il quaderno affondai il viso tra le braccia, totalmente esausta.
«Finalmente ci rincontriamo», mi sussurrò nell’orecchio una voce, facendomi sobbalzare.

No, no, no. Non poteva essere che…
Alzai la testa di scatto, scontrandomi così con due splendidi occhi verdi. La sensazione che provai mi colse alla sprovvista: sentii le gambe cedermi, tanto che ringraziai il cielo di essere seduta, altrimenti non osai immaginare che sarebbe successo.
«Ancora una volta la mia bellezza ti ha fatto perdere l’uso della parola?», domandò, sorridendo sghembo. Un sorriso strano, speciale… ma in grado di far aumentare i battiti del mio cuore.
Scossi la testa, ritornando alla realtà. Che diavolo ci faceva lui qui?!
«Che cosa ci fai tu qui?», chiesi irritata, scandendo le parole una ad una, come se stessi parlando con un ritardato mentale.
«Vedo che sei felice di vedermi», rispose sarcastico, alzando un sopracciglio.
«Sì, come se avessi un palo nel culo», sbottai, incrociando le braccia al petto.
«Non abbiamo avuto modo di presentarci ieri…», cominciò, ma prontamente lo bloccai.
«Grazie a Dio», bofonchiai, guardandolo di sottecchi.
«Se mi avessi fatto finire di parlare», mi ammonì, arricciando le labbra, «mi sarei presentato».

Come se la cosa m’importasse, pensai sarcastica.
«Io sono Edward Cullen», disse, porgendomi la mano, e sul suo viso si dipinse un sorriso irritante. Molto irritante.
Per un minuto interminabile fissai in silenzio la sua mano tesa verso di me, ma mi riscossi, imponendomi di parlare.
«Bene, piacere Edward», dissi, con voce indifferente.
«Sai, a questo punto tutte le persone normali si presenterebbero…», mi comunicò, alzando gli occhi al cielo.
«E perché dovrei? Dopotutto dovresti già sapere il mio nome. In una piccola cittadina come Forks, le voci girano in fretta», risposi e finalmente lo guardai. I suoi occhi mi scrutarono attentamente, in cerca di chissà cosa. Spostai lo sguardo, fingendomi infastidita e riportai la mia attenzione sul professore.
«No, non so il tuo nome. E mi farebbe molto piacere se tu me lo dicessi», alitò, a pochi centimetri dal mio orecchio.
Rabbrividii impercettibilmente, ma cercai di non darlo a vedere.
«Sei molto… interessante. Mi fa piacere che ti sia trasferita qui», mormorò con voce suadente. Se fossi stata in un'altra situazione molto probabilmente sarei arrossita, ma non fu così.

Mi fa piacere che ti sia trasferita qui.

Quella frase continuava a ripetersi incessantemente nella mia mente.
«Già. Ma lo stesso non vale per me», mormorai più a me stessa che a lui, e le mie labbra s’incurvarono in un sorriso amaro. Ma purtroppo mi sentì e si voltò a guardarmi, incuriosito, inclinando leggermente il capo.
Scossi la testa come negazione e rivolsi la mia totale attenzione al professore.

Non pensare Bella, non pensare.
Com’era possibile che una semplice parola fosse in grado di distruggermi, una semplice e schifosissima parola.
Io… dovevo essere forte, me lo ero ripromessa. Nessuna parola avrebbe dovuto ferirmi. E allora perché non era così?
Passai le due ore di lezione persa nei miei pensieri, fissando un punto indefinito di fronte a me. Di tanto in tanto osservavo Edward di sottecchi e notai che mi fissava incessantemente, con sguardo curioso.

Il suono della campanella annunciò la fine dell’ora. Balzai in piedi e una volta preso lo zaino uscii di corsa dall’aula, per andare lontano.
La domanda che continuavo a pormi era: lontano da cosa?
Ma la verità era che nemmeno io sapevo la risposta e forse non l’avrei mai saputa.
Come un automa mi diressi a mensa, l’unica cosa che presi fu una mela e un succo di frutta; non avevo molta fame, mi si era chiuso lo stomaco.
Mi accomodai a un tavolo isolato, osservando gli alunni che – ridendo e scherzando – si sedevano in gruppo. E questo mi fece sentire improvvisamente… sola.
Ma d’altronde questa ormai era la realtà, io ero sola.
Sentii le lacrime premere per venir fuori, prontamente le bloccai, ma una sfuggì al mio controllo, rigandomi la guancia. L’asciugai con un gesto secco della mano e mi guardai intorno, sperando che nessuno mi avesse visto, e fortunatamente fu così.
In meno di cinque minuti finii, gettai il tutto nel cestino e feci per andarmene ma una voce me lo impedì.
«Ehi Isabella, che fai lì da sola? Vieni qui!», mi chiamò la voce squillante – quanto irritante – di Jessica Stanley. A passo incerto mi avvicinai a loro, ma no mi sedetti, rimasi in piedi.
«Ciao, piacere io sono Mike», si presentò un ragazzo biondo, dagli occhi azzurri.
«Loro sono Lauren e Angela», disse Jessica, presentandomi i suoi amici.
«Isabella Swan», risposi semplicemente, senza dilungarmi troppo.
«Ho visto che oggi durante l’ora di biologia parlavi con Edward Cullen», mi ricordò Lauren, con aria sognante.
«Sì, Cullen», risposi, alzando un sopracciglio.
«Fai attenzione, mai fidarsi di Cullen», mi avvertì Mike.
«E’ uno schianto assoluto. E oggi, il modo in cui ti guardava, non è assolutamente arrapante?», domandò estasiata Jessica, sotto lo sguardo indignato di Mike.
«Secondo me l’aggettivo più corretto è: irritante», mormorai a bassa voce, ma sfortunatamente mi sentirono.
«Ma perché siamo qui a perdere tempo con lei?!», sbottò Lauren. «Cosa vuoi che ne capisca di ragazzi?! Già mi stupirei se ne avesse avuto uno. Molto probabilmente sarà la solita cocca di mamma», disse, con voce tagliente.

Colpita in pieno.
«Bene, ora, la cocca di mamma, vi lascia. Ho cose più importanti da fare, che perdere del tempo con voi», risposi, cercando di dare un tono impassibile alla mia voce.
Mi lanciarono occhiate assassine, tranne Mike che mi guardava ammirato e Angela… dispiaciuta.
Come se niente fosse voltai loro le spalle e uscii da mensa, ignorando la fitta di dolore che mi trapassò il petto, mozzandomi il fiato.

***

Le ultime ore di lezione passarono abbastanza velocemente, seguii poco e niente, ma non me ne importava molto.
Mi avviai nel parcheggio, con l’intenzione di raggiungere il mio Pick-up, ma non appena vidi una Volvo metallizzata non potei far altro che bloccarmi, ammirata.
Mi avvicinai lentamente, ammirando l’auto in tutte le sue sfaccettature e ne accarezzai delicatamente la fiancata… era a dir poco stupenda, altro che il mio rottame.
«Vedo che la mia auto non ti è indifferente», disse una voce alle mie spalle. No, ancora quella voce no.
«Ma che fai, mi perseguiti?» domandai sarcastica e leggermente irritata dal trovarmelo sempre dietro.
«Dovrei dire la stessa cosa di te, non è colpa mia se tu stai letteralmente accarezzando la mia auto», rispose, alzando un sopracciglio.
«T-tua auto?», chiesi, balbettando leggermente.
«Sì, è la mia auto», rispose, sorridendo sornione.
«Bene, allora vorrà dire che toglierò il disturbo», mormorai. Feci per andarmene, ma una presa delicata intorno al mio polso non me lo permise.
Mi voltai, incontrandomi così con i suoi splendidi occhi verdi, che mi scrutavano intensamente.
«No, non andartene. Mi farebbe davvero molto piacere conoscerti», sussurrò, aumentando la stretta intorno al mio polso.
«So che genere di reputazione hai qui a scuola Cullen», risposi, calcando bene il suo cognome. «E la cosa non m’interessa, io non sono come le altre ragazze», dissi con sincerità.
«Lo So, ed è per questo che vorrei conoscerti», sorrise Sghembo. «Per esempio… ti dispiacerebbe dirmi il tuo nome?», domandò, con una punta di curiosità nella voce.
“«sabella, questo è il mio nome», sussurrai a voce bassa.
«Isabella. Che bel nome», sorrise gentilmente. «So che sei di Phoenix, ma la domanda che più volte mi pongo, è: perché hai deciso di lasciare la tua città per trasferirti a Forks, la cittadina più piovosa d’America?», domandò, inclinando leggermente il capo.
«Ci deve essere un valido motivo, perché solo un pazzo verrebbe qui di sua spontanea volontà. Per qualche bighellonata?», continuò, sorridendo ironicamente.
Mi torturai il labbro inferiore, guardando il suolo; dopodichè alzai gli occhi furente, incontrando così il suo sguardo curioso.
«Tu non sai niente di me, e mai lo saprai. Quindi lasciami in pace, io non sono una facile, non dimenticarlo», sbottai furiosa, dopodichè gli voltai le spalle, ma ancora una volta mi bloccò.
Mi voltai e senza guardarlo in viso mi decisi a parlare. Nessuno poteva permettersi di parlare del mio passato come niente fosse, e nessuno aveva il diritto di intromettersi nella mia vita privata… Nessuno.
«Lasciami!», ribattei acida, liberandomi con uno strattone dalla sua presa ferrea.
«E non sparare cazzate, la prossima volta. Pensa, prima di parlare», continuai, impassibile, ma la mia voce s’incrinò leggermente. Gli voltai le spalle e a passo misurato salii nella mia auto, cercando di trattenere le lacrime.
Guardai nello specchietto retrovisore e lo vidi lì, fermo dove l’avevo lasciato, che mi osservava con una strana espressione in viso, ma non me ne curai, partii a tutta velocità. L’unica cosa che desideravo fare era tornarmene a casa.

Il viaggio durò circa dieci minuti, parcheggiai nel vialetto e mi catapultai dentro, avevo il fiatone ma non me ne importava.
In soggiorno trovai Charlie seduto sulla poltrona, intento a leggere il giornale.
«Ciao, Be-», tentò di salutarmi, ma come al solito lo bloccai.
«Non sono dell’umore, lasciami in pace», risposi e, senza dargli il tempo di rispondere, corsi su per le scale. Sbattei la porta della mia camera e mi tolsi le scarpe, buttandomi sul letto.
Recentemente solo quello sapevo fare, chiudermi in camera mia e nascondermi da tutto ciò che mi circondava.
Ma per me vivere all’aria aperta era una cosa estranea, l’unica cosa che desideravo fare era stare sola… lontana da sofferenze, e parole che potessero ferirmi.
Volevo essere forte, mostrare agli altri una finta immagine di me stessa e così avrei fatto.
Credevo di essere immune a tutto, ma naturalmente mi sbagliavo. Oggi avevo scoperto una cosa importante, ovvero che anche una semplice parola era in grado di ferirmi.

Grazie mille alle 9 persone che hanno recensito. Grazie, grazie, grazie! Non so davvero come ringraziarvi, siete dolcissimi!
Vorrei ringraziarvi uno ad uno... ve lo meritate, ma purtroppo non ho avuto tempo ç___ç
però ho voluto postare lo stesso, per mantenere il mio andamento settimanale ^^
Grazie ancora, siete fantastici! Grazie a Shasha 5, rodney, Emma92, yle94, Lau_twilight, Rebussiii, Alexia___18, ilacullen e vanderbit.
Grazie per i complimenti, grazie per tutto, vi adoro <3

Ringrazio di cuore anche chi mi ha aggiunta tra i preferiti (24 *.*)
chi tra i seguiti (56 *.*)
chi tra autori preferiti (5 *.*)
e ai lettori silenziosi.

Grazie a tutti voi che mi seguite, spronandomi.
Grazie, grazie e grazie!
Vi adoro!

Un bacione, Elly.

A martedì prossimo! ^^
Fatemi sapere se vi piace o meno ;) Anche critiche, accetto tutto :)






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Capitolo 4
*** Una domanda e nessuna risposta. ***


Ciao a tutti! Come state? Spero bene!
Mi scuso per l'enorme ritardo, ma settimana scorsa non ho avuto proprio modo di postare, il tempo mancava e pure l'umore.
E' stata una settimana decisamente pesante (per non usare un altro termine). Scusate, scusate, scusate!
Ma ora eccomi qui, pronta con un nuovo capitolo! :)
Qui finalmente ci sarà un pov Edward, che spiegherà in parte il suo carattere ;)
Avete visto Remember Me?!?! Oddio io solo se ci ripenso sto in lacrimeee ç_____ç
Per fortuna che l'uscita del dvd di New Moon mi ha tirata su di morale. Ho il 3 dischi, waaaaa *___*
Ok, scusate, piccolo momento di sclero, ora la smetto di blaterare xD
Ci vediamo sotto... buona lettura!


4. Una domanda e nessuna risposta.


Pov Edward

Silenzio. Nella mia stanza non regnava altro che silenzio, spezzato dal rumore continuo della pallina cha batteva contro il muro; era da circa un’ora che non facevo altro che giocare con quella stupida pallina, ma non riuscivo a smettere, ciò aveva su di me un effetto estremamente rilassante.
Nella mia mente vi erano un groviglio di pensieri e la maggior parte di essi erano concentrati solo ed esclusivamente su una persona: Isabella Swan.
Non potevo fare a meno di pensare a lei, a quanto fosse strana ma allo stesso tempo così affascinante, tanto da far crescere la mia voglia di conoscerla.
Al ricordo del nostro primo incontro un sorriso divertito si dipinse sul mio viso; nonostante l’ustione sul collo dovuta al caffè bollente dovetti ammettere che quello scontro era stato davvero… interessante.
C’era però una cosa che non avrei scordato facilmente, ovvero il suo sguardo. Per una frazione di secondi i suoi occhi color nocciola mi avevano fissato con… odio.
Ciò mi aveva sorpreso e non poco, non avrei mai creduto di leggere simili emozioni nei suo occhi, ma molto probabilmente mi sbagliavo.
Avrei voluto seguirla, chiederle di spiegarmi il motivo di tale reazione. Non facevo altro che domandarmi il perché di questa mia necessità di sapere, era solo curiosità?

Me ne stavo spaparanzato sul letto, con queste domande che mi vorticavano in testa; ma purtroppo la mia tranquillità venne bruscamente interrotta da mia sorella, che come una furia entrò nella stanza.
“Che diavolo stai combinando?!” chiese Alice irritata, sbattendo la porta alle sue spalle.
“Io? Ali sei pazza?” domandai, sempre più confuso dal suo strano atteggiamento.
Rilanciai per l’ennesima volta la pallina contro il muro, ma lei prontamente la prese al volo, appoggiandola sulla scrivania.
“Di fare baccano con questa cavolo di pallina, sarà da più di un’ora” sbottò, incrociando le braccia al petto.
Risi della sua espressione, era davvero buffa quando si arrabbiava.
“Mi rilassava” risposi alzando gli occhi al cielo.
“Non m’interessa, è estremamente irritante! Soprattutto perché ero occupata con…” iniziò a dire, ma prontamente si bloccò tappandosi la bocca, conscia di aver commesso un’enorme gaffe.
“Non c’è bisogno che ti fermi, posso immaginare con chi trascorri il tuo tempo – scoppiai a ridere – col tuo caro fidanzatino Jazz” la presi in giro.
“Idiota!” sbottò rossa di vergogna, tirandomi un pugno scherzoso sulla spalla. E fu in quel momento che Jasper entrò in camera.
“Parli del diavolo e spuntano le corna – dissi, mentre lui mi fulminava con lo sguardo – lo sai che scherzo amico” ridacchiai, dandogli una leggera spinta.
“Stavi origliando, vero?” lo riprese Alice, alzando un sopracciglio.
“Ehm… io… no. Cioè…” s’ingarbugliò con le parole. Mi voltai verso Ali ed entrambi scoppiammo a ridere, sotto lo sguardo di un indignato Jasper.
“Su andiamo, il cinema ci aspetta” disse Alice – una volta ripresasi dalle risate – e una volta preso Jasper a braccetto si catapultò fuori dalla stanza.
Scossi la testa divertito, mia sorella non sarebbe cambiata mai.
A volte mi chiedevo chi fosse più pazzo tra lei ed Emmett, ma non riuscivo mai a trovare la risposta a quella domanda, troppo difficile.
Sorrisi e accesi lo stereo ad alto volume; le note di Hysteria dei Muse riecheggiarono nella camera. Mi buttai sul letto e mi ritrovai a osservare il soffitto, sperando che la notte passasse in fretta… chissà se il giorno seguente avrei visto Isabella.

***

Mi appoggiai di spalle alla Volvo, scrutando con sguardo attento il parcheggio, con la speranza – forse – di vedere il suo Pick-up farsi largo tra le altre auto, ma… nulla. Non vi era traccia di lei.
Sbuffai sonoramente e feci per andarmene, ma qualcosa – o meglio dire qualcuno – mi saltò letteralmente in braccio, allacciandomi le braccia al collo.
Istintivamente le mie mani si posarono sui suoi fianchi per sostenerla; abbassai lo sguardo per vedere chi fosse e ovviamente le mie ipotesi erano azzeccate: Lauren.
“Lauren” sbuffai infastidito, lasciando la presa dai suoi fianchi.
“Edward, come sono felice di vederti” pigolò, posando finalmente i piedi a terra e schioccandomi un sonoro bacio sulla guancia.
Sorrisi del suo gesto, ovviamente quelle attenzioni non mi erano mai dispiaciute; ma non le volevo… non da lei.
“Ti va se andiamo a lezione insieme?” domandò, sbattendo più volte le ciglia.
“Lauren – iniziai con la mia arringa – sei molto carina, ma… non sei il mio tipo. E’ inutile che ci provi, sarà sempre così” risposi con voce pacata.
“Ma è questo il punto Eddy, a me non’importa!” sorrise maliziosa, accarezzandomi i capelli e il collo.
Credeva che con quelle semplici carezze avrei ceduto, ma non sarebbe stato così semplice… con me ci voleva ben altro.
Gli presi la mano e gliela rimisi al suo posto.
Avevamo avuto una storia passeggera, a una festa c’eravamo scambiati un bacio – anche qualcosa di più – e d’allora si era montata la testa. Eravamo ubriachi e per me quel bacio non era significato nulla; conoscendomi sapeva che io non avrei mai avuto una storia seria, ma lei si era illusa lo stesso… patetica.
Mi pentii amaramente di quel che successe. Era stato un terribile sbaglio e da allora cercai in tutti i modi di cambiare, mi ero ripromesso che non avrei mai più commesso un simile errore. Non volevo deludere i miei genitori,
ma specialmente lo feci per me stesso.
“E ora se vuoi scusarmi ho una lezione che mi aspetta” dissi lanciandole un’ultima occhiata, dopodichè la sorpassai e me ne andai.
Sentivo il suo sguardo deluso e assassino perforarmi la schiena, ma non me ne curai, la verità era che odiava essere rifiutata.

“Ehi fratellino!” mi salutò un vocione, che avrei riconosciuto anche a chilometri di distanza… Emmett.
Ricambiai il saluto, dandogli un pugno scherzoso sulla spalla.
“Ahia, ma ti pare il modo?” domandò sgranando gli occhi, fingendosi scandalizzato.
“Non cambierai mai” risi, scuotendo lievemente il capo.
Feci per parlare ma una chioma bionda mi passò davanti, parandosi accanto a Emmett, che perse completamente la testa e non guardò più nessuno, aveva occhi solo per lei.
Rosalie Hale, l’attuale fidanzata di mio fratello. Erano insieme da due anni e mezzo ormai, quasi tre ed erano molto innamorati, così come Alice e Jasper.
Il caro Emm mi salutò frettolosamente con un cenno del capo, dopodichè se ne andò via con la sua Rose. L’amore…
Una strana parola, non ero mai stato in grado di comprenderne il significato e mai ci sarei riuscito. Un sentimento troppo forte e passionale… troppo forte per me.
Ma d’altronde io non ci credevo, l’amore per me non esisteva e mai sarebbe esistito.
Guardai l’orologio: erano quasi le otto.
Cazzo, ero in un fottuto ritardo! Tutta colpa di Lauren e delle sue manie appiccicose, peggio di un polipo.
Sbuffai sonoramente e – seppur di malavoglia – a passo svelto mi diressi all’interno di quel maledetto edificio.

***

Noia. Noia. Noia.
In quel preciso istante era l’unica cosa che riuscivo a percepire, una maledetta ed irritante noia. Era da due ore che ero seduto ad ascoltare il professore, non faceva altro che blaterare inutilmente su un argomento che non mi interessava minimamente.
Tamburellai ripetutamente la matita sul banco in un vano tentativo di ammazzare il tempo, che trascorreva inesorabilmente lento.
Non ascoltai niente, la mia mente era altrove e non di certo su storia.
Dopo minuti, che a me parvero ore, il suono della campanella annunciò la fine di quella lezione.
Presi la mia roba e senza salutare nessuno mi defilai dirigendomi a mensa, un solo obbiettivo vi era nella mia mente in questo momento: trovare Isabella Swan.
Mi guardai intorno, sperando con tutto me stesso di vederla. Avevo quasi perso la speranza, volsi lo sguardo altrove e mi scontrai così con due occhi nocciola che avrei riconosciuto anche a chilometri di distanza… i suoi occhi.
Un sorriso involontario si dipinse sul mio viso e non potei fare a meno di raggiungerla, cercando di essere il più silenzioso possibile.
Era seduta da sola, non vi era nessuno accanto a lei. Il suo sguardo era fisso sul tavolo, come se non le importasse nulla della gente intorno a lei.
Cautamente mi avvicinai, accomodandomi nella sedia di fronte.
A causa della mia improvvisa apparizione sobbalzò impercettibilmente e alzò lo sguardo, incatenandolo al mio.
Feci per parlare, ma non potei fare a meno di notare i suoi occhi: spenti, vuoti, freddi… privi di qualsiasi emozione.
“Ciao” la salutai portandomi una mano tra i capelli, leggermente imbarazzato.
Ma cosa cazzo mi passava per la testa?! Io imbarazzato?!
“Cosa vuoi Cullen?” domandò con voce tagliente, fissandomi intensamente.
Dopo tutto quello che era successo ieri mi chiedeva cosa volevo?
“Spiegazioni” risposi semplicemente, appoggiando i gomiti sul tavolo.
“Non c’è niente da spiegare e niente che ti riguardi” disse, addentando la mela con fare strafottente.
“Ne sei così sicura?” domandai, sporgendomi verso di lei, tanto che i nostri visi si trovarono a pochi centimetri di distanza.
“Sì ne sono sicura - si rigirò il torsolo tra le mani, lasciandolo poi cadere nel piatto – mai stata più sicura” ribattè allontanandosi leggermente.
“Perché ieri hai reagito così? – le chiesi – in fondo volevo solo sapere il perché del tuo trasferimento. Non ti ho chiesto la luna”.
Assottigliò gli occhi e si torturò il labbro inferiore. Sospirò, una, due, tre volte.
“Non c’è un vero motivo per cui ho reagito così, questa sono io, è il mio carattere. Per questo tutti mi stanno lontani e tu dovresti prendere il loro esempio” rispose con voce impassibile, mentre i suoi occhi divennero sempre più lucidi.
Non ne compresi il motivo, ma dentro di me sentivo che stava mentendo, che tutto questo aveva un senso e l’unica cosa che desideravo fare era trovarlo.
Tesi una mano verso di lei, come a volerla sfiorare, ma non appena capii che il mio gesto era troppo avventato ci rinunciai.
Un sospiro fuoriuscì dalle sue labbra, tanto che riportai immediatamente la mia attenzione su di lei.
“Cosa intendi dire con questo? Spiegamelo. Perché l’unica cosa che desidero in questo momento è conoscerti e quando mi metto in testa qualcosa la ottengo sempre” mormorai, sorridendo sornione.
“No Cullen, ti sbagli. Se c’è una cosa che non otterrai è proprio questa, ci puoi giurare” disse, incrociando le braccia al petto.
“Non ci scommetterei Isabella” risi, divertito dalla sua espressione furiosa.
“Sei impossibile” sospirò esasperata.
“E’ per questo che ti piaccio, vero?” mormorai, avvicinandomi sempre di più al suo viso.
Le sue labbra rosee – una vera tentazione per me - si dischiusero leggermente e i suoi occhi si sgranarono; evidentemente era stupita da quella vicinanza.
Sorrisi e mi avvicinai sempre di più, tanto che potei sentire il suo respiro solleticarmi il viso e ciò non fece altro che aumentare la mia voglia di baciarla.
Le mie labbra andarono a sfiorare la sua guancia e lentamente risalirono… sempre, sempre di più. Mancava davvero poco e avrei potuto sfiorare quel bocciolo di rosa, ma non appena le mie labbra stavano per sfiorare le sue sembrò risvegliarsi dallo stato di semi-incoscienza in cui era caduta. Si irrigidii e sgranò gli occhi, allontanandosi con uno scatto repentino, tanto che non mi sarei stupito se fosse caduta dalla sedia.
“Come.Ti.Sei.Permesso.” sillabò le parole una ad una, come se parlasse con un ritardato mentale, ma il suo tono di voce non prometteva nulla di buono.
“Sei impazzito? Cosa diavolo credevi di fare?!” urlò, guardandomi furente.
“Baciarti, forse?” risposi alzando un sopracciglio, come se fosse la cosa più ovvia al mondo.
“Non ti devi permettere, mai più. Solo perché sono nuova non vuol dire che puoi baciarmi quando ti pare e piace!” sbottò stringendo tra le mani il tappo della limonata.
“Ok, ok. Messaggio ricevuto” risposi con voce pacata, alzando le mani in segno di resa.
Aprì la bocca per parlare, ma la campanella suonò; si alzò e fece per andarsene ma le mie parole la bloccarono sul posto.
“Non credere che mi dimentichi. Sono al corrente che non hai ancora risposto alla mia domanda” le ricordai, sorridendo sornione.
Strinse le mani a pugno e si voltò di scatto nella mia direzione.
“Ficcatelo bene in testa Cullen, io non avrò mai niente a che fare con te né ora né mai. E quindi non intrometterti nella mia vita” disse prendendo il suo zaino e uscì da mensa, dirigendosi alla prossima lezione.
Ma di una cosa si era scordata: noi condividevamo l’ora di biologia.
E al solo pensiero un sorriso divertito si dipinse sul mio viso, ci aspettavano altre due ore da trascorrere insieme.

Pov Bella

Camminavo per i corridoi senza una meta precisa, la mente altrove.
L’improvviso suono della campana – che annunciava l’inizio della lezione – mi fece sobbalzare. Feci un calcolo mentale e ciò che scoprii mi fece accapponare la pelle.
Biologia… biologia… biologia.
No, no e no. Non ci sarei andata. Presi le mie cose e a passo deciso mi diressi fuori da scuola; il vento mi sferzò il viso e mi scompigliò i capelli, mi tirai su il cappuccio e correndo entrai in auto. Tremai leggermente, faceva davvero freddo.
Il mio cuore batteva freneticamente, non ne voleva proprio sapere di smettere.
Una miriade di emozioni mi travolsero, lasciandomi completamente disorientata; non capivo nulla… niente di niente.
Ogni volta che chiudevo gli occhi tutto quello che era successo in mensa mi ritornava alla mente, destabilizzandomi completamente e per quanto mi sforzassi di non pensare non potevo farne a meno, non ci riuscivo.
Istintivamente la mia mano si posò sulla mia guancia e le dita presero a tracciare linee immaginarie, lì dove le sue labbra avevano sfiorato la mia pelle.
Mi sentii invadere da un’ondata di calore e i battiti del mio cuore aumentarono, sempre di più, come se da un momento all’altro volesse uscire dal mio petto.
Chiusi gli occhi e respirai più volte, cercando di ritrovare la ragione che avevo momentaneamente perso.
Non potei fare a meno di vergognarmi perché, per un breve istante, l’unica cosa che desiderai ardentemente era che quelle labbra si posassero sulle mie. Ma fortunatamente questo maledetto pensiero svanì, così come era arrivato.

Voleva a tutti i costi allacciare un rapporto con me, ma non avrei potuto. Io non ero in grado di stare a contatto con la gente… io non ero in grado di fare nulla ultimamente.
Pensai, tanto che sentii gli occhi inumidirsi e le labbra tremare. Scossi la testa e cercai in tutti i modi di non pensare.
Doveva starmi lontano, lo odiavo, con tutta me stessa.
Strafottente, arrogante e terribilmente idiota.
La mia mente cercava di convincermi che era per questo motivo che io non lo volevo accanto… perché lo odiavo.
Ma allora perché il mio cuore la pensava diversamente?

11 recensioni O_____________O
oddio, non so come ringraziarvi, davvero! Vorrei ringraziarvi uno ad uno, perchè lo meritate.
Siete sempre così dolci con me, tanto che mi spronate sempre... grazie, grazie, grazie!
Siete degli angeli.

Ringrazio di cuore anche chi mi ha aggiunta tra le seguite (77 *.*)
chi tra i preferiti (36 *.*)
chi tra autori preferiti (6 *.*)
e chi tra ricordate (10 *.*)
e ai lettori silenziosi.

Grazie a tutti voi che mi seguite e leggete la mia storia. Grazie, grazie, grazie!
Vi adoro!
Bacioni, Elly.

Alla Prossima!!



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Capitolo 5
*** Nuove conoscenze. ***


Ciao a tutti! Come state? Spero tutto bene.
Purtroppo per me non è stato così ultimamente, tra scuola, stress e problemi generali non ho avuto modo di postare.
Infatti vi chiedo umilmente scusa, ho fatto un immenso ritardo e di questo mi dispiace tantissimo, ma finalmente rieccomi qua.
Più pazza di prima e finalmente il mio umore è ritornato apposto, si noterà soprattutto dal mio blaterare ;)
Questo è un capitolo di passaggio, ho voluto inserire anche gli altri personaggi e così ho fatto.
Il prossimo capitolo sarà uno importante, specialmente perchè ce l'ho in mente da più di 3 mesi :P quindi sarà facile per me scriverlo, perciò posso assicurarvi che ci metterò poco a postarlo.
Volevo ringraziarvi anticipatamente per i vostri meravigliosi commenti, siete degli angeli. Grazie, grazie, grazie.
Non ho avuto modo di rispondere alle vostre recensioni, ma domani pomeriggio le troverete proprio qui sotto.
E ora che altro dire? Buona lettura!

5. Nuove conoscenze.

Pov Bella

Passeggiavo in riva al mare; chiusi gli occhi, beandomi dell’odore di salsedine che impregnava l’aria. Il sole era alto nel cielo, tanto che potei sentire i raggi colpirmi il viso, riscaldandomi e il leggero venticello prese a giocare con i miei capelli, scompigliandoli.
Sentii il rumore delle onde che s’infrangevano sugli scogli. Chiusi gli occhi e un sorriso si dipinse sul mio volto; tutto ciò era estremamente rilassante, avrei voluto che non avesse mai fine.
“Bella?” mi chiamò qualcuno. Senza pensarci mi voltai, scontrandomi così con il sorriso dolce di mia madre e di Phil, ai quali non potei fare a meno di ricambiare.
Non ci pensai due volte e feci per raggiungerli, ma loro indietreggiarono. Alzai un sopracciglio, totalmente confusa.
“Mamma, Phil?” provai a chiamarli, ma non ottenni risposta.
Le loro figure si allontanavano sempre di più, così cominciai a correre, in preda all’ansia.
“Aspettate!” implorai, con le lacrime agli occhi.
Per un tempo indefinito continuai a seguirli, fino a quando non sparirono completamente dalla mia vista. Mi fermai, completamente esausta. Mi guardai attorno e ciò che vidi mi fece sobbalzare: buio, non vi era niente, solo il vuoto.
Spaventata mi lasciai cadere a terra, serrando con forza gli occhi. Silenzio, non vi era nient’altro che silenzio.
“Mamma, Phil…” riprovai, ma la mia voce non era altro che un flebile sussurro.
Un improvviso frastuono mi fece sobbalzare: il rumore di due auto che si scontravano.
Renée, Phil…

“NOOO!” urlai con tutto il fiato che avevo in gola, aprendo di scatto gli occhi. Balzai a sedere, portandomi le ginocchia al petto ed iniziai a tremare.
Chiusi gli occhi, affondando il viso tra le braccia.
Vuota. In questo momento la mia mente era completamente vuota, tanto da non accorgermi che la porta si aprì di scatto, rivelando così la figura di Charlie che – dopo un attimo di esitazione – si avvicinò di corsa al letto.
“Bella?” mi chiamò preoccupato, inginocchiandosi alla mia altezza.
“Bella!” esclamò poi non ricevendo risposta, scrollandomi leggermente. Questo bastò – solo in parte – a farmi risvegliare dallo stato di semi-incoscienza in cui ero momentaneamente caduta.
“C-charlie?” lo chiamai tremante, alzando di poco il viso.
“Bells…” ripetè sospirando, apparentemente sollevato.
Bells. Il modo in cui mi chiamò non mi sfuggì, ma non ci feci caso, in quel momento avevo tutt’altro per la testa.
“C-che ci fai qui?” balbettai con voce insicura.
“Stavo guardando la televisione in cucina e mi sono addormentato sul divano, ma ti ho sentita urlare e sono corso su” rispose, prendendo posto accanto a me.
Mi rannicchiai e mi dondolai leggermente, avanti e indietro, come se volessi cullarmi per ritrovare il controllo che avevo momentaneamente perso.
“Cos’è successo? Hai avuto un incubo?” domandò apprensivo poco dopo, non ricevendo nessuna risposta da parte mia.
Annuii lievemente e rivolsi lo sguardo in un punto indefinito di fronte a me, odiavo mostrarmi debole agli occhi degli altri.
“L’incidente… - iniziai con voce incerta – l’ho rivisto, di nuovo” biascicai, tremando leggermente. Il solo ricordo di quello che era successo era in grado di farmi male, le ferite erano ancora aperte e non si sarebbero chiuse facilmente.
Sentii un improvviso dolore al petto, dove un tempo vi era il mio cuore. Portai una mano accanto ad esso, come a voler placare il forte dolore che in questo momento stavo provando.
“Bells…” una mano si posò sulla mia, in una presa delicata ed estremamente dolce.
Lentamente aprii gli occhi, scontrandomi così con lo sguardo angosciato di Charlie e finalmente mi decisi a parlare.
“Per favore, non chiamarmi così. Io n-non riesco a sopportarlo” mormorai, alzando gli occhi verso il soffitto, per ricacciare indietro quelle stupide lacrime che minacciavano di scendere da un momento all’altro.
Non mi rispose, si limitò ad accarezzarmi i capelli dolcemente per darmi conforto, l’unica cosa di cui avevo veramente bisogno in quel momento.
Chiusi gli occhi, affondando il viso nel cuscino e respirai profondamente.
Quel maledetto incubo continuava a ripetersi incessantemente nella mia mente e ciò che desideravo ardentemente era che sparisse, per sempre… ma tutto questo non era assolutamente possibile, avrebbe continuato a tormentarmi.
E finalmente dopo un tempo indefinito, con la consapevolezza che Charlie fosse lì accanto a me, mi riaddormentai. Abbandonandomi ad un sonno senza sogni.

***

“Keep bleeding
Keep, keep bleeding love
I keep bleeding
I keep, keep bleeding love
Keep bleeding
Keep, keep bleeding love
You cut me open

Trying hard not to hear

But they talk so loud

Their piercing sounds fill my ears

Try to fill me with doubt

Yet I know that the goal

Is to keep me from falling

Le note della canzone Bleeding Love di Leona Lewis riecheggiarono nell’abitacolo, spezzando il silenzio che regnava ormai da diversi minuti.
Con un gesto secco della mano spensi la radio, sbuffando sonoramente.
Ripensai a quello che era successo stamattina.

[Inizio Flashback]

Non appena mi svegliai trovai Charlie al piano di sotto, appoggiato allo stipite della porta e le braccia incrociate al petto, la sua espressione non prometteva nulla di buono.
“Hai saltato in totale quattro ore di lezione, perché?” domandò con voce neutra, alzando un sopracciglio.
“Come…?” chiesi, totalmente confusa.
“Come faccio a saperlo? Facile, mi ha chiamato poco fa la scuola e mi ha informato del tuo comportamento. Hai risposto male al professore ed hai abbandonato l’aula nel bel mezzo della lezione! Ti pare il giusto comportamento? E per di più ieri sei uscita prima, senza avvisare nessuno” concluse la sua arringa, guardandomi severamente.
“Certo che loro una dose di caz-“ iniziai, ma non mi fece finire di parlare perché prontamente mi bloccò.
“La soluzione è semplice. Se la situazione non cambia sarò costretto a scortarti io stesso e aspettarti fuori da scuola a fine lezioni con… l’auto della polizia” terminò il suo discorso. Lo guardai inorridita. L’auto della polizia, no, no e poi no!
“Ma…” provai a dire, ma nuovamente mi bloccò.
“Niente ma Isabella, d’ora in poi ti sforzerai di avere una buona educazione scolastica – disse con tono serio – non voglio che dopo quello che è successo ci rimettano i tuoi voti” aggiunse poi flebilmente, sapeva che quello per me era un tasto delicato da affrontare.
Chiusi gli occhi, sospirando rassegnata e annuii lievemente. Feci per andarmene, ma la sua voce mi bloccò sul posto.
“Tu come stai?” mi chiese avanzando di un passo.
“Male… - ammisi, perché mai dovevo mentire con lui? – ma ormai sto imparando a fingere che tutto vada bene. Ormai non mi riesce difficile fingere” sorrisi amaramente e dopo averlo salutato con un cenno del capo uscii di casa, sperando di lasciare il dolore alle mie spalle.

[Fine Flashback]

Ero nervosa e terribilmente irritata, quello era davvero un fantastico modo per iniziare la giornata. Pur di non essere scortata dall’auto della polizia – cosa estremamente imbarazzante - mi sarei fatta tutte le ore di lezione senza esitazione, però c’era una cosa che mi turbava: vedere lui.
Uscii dall’auto sbattendo la portiera e mi diressi all’interno dell’edificio.
Fortunatamente avevo imparato gli orari a memoria, così da non tirare fuori ogni volta quel maledetto foglio ingombrante.
“Isabella! – mi chiamò una voce - Isabella!” ripetè, notando che non avevo nessuna intenzione di fermarmi. Sbuffai e – seppur di malavoglia – mi voltai, scontrandomi così con una Jessica a dir poco trafelata.
“Jessica” la salutai freddamente, con un lieve cenno del capo.
“Hai bisogno di qualcosa?” le domandai alzando un sopracciglio, infatti mi parve strano che Jessica Stanley venisse a parlare proprio a me.
“Certo che potevi anche degnarmi di uno sguardo, è da dieci minuti che ti chiamo e ti corro dietro” disse flebilmente, portandosi le mani sulle ginocchia come per riprendere fiato.
“Dimmi, deve essere sicuramente qualcosa d’importante” ripetei, imponendomi di restare calma.
“Sì, ordini della segretaria, per questo mi è toccato avvisarti – sbottò sbuffando – il professore di trigonometria è assente, quindi abbiamo due ore libere” aggiunse saccente.
Esultai mentalmente… niente trigonometria.
“Ok, grazie per avermi avvisata, deve essere stato davvero orribile per te farlo” risposi, incrociando le braccia al petto.
“Non sai quanto. Avevo di meglio da fare stamattina” borbottò più a se stessa che a me, voltandomi le spalle, dopodichè se ne andò ancheggiando.
Patetica. Pensai, scuotendo lievemente il capo.

Decisi di ripassare dato che avevo due ore libere, così – sempre camminando – aprii lo zaino. Non guardai avanti, ero intenta a tirare fuori i libri e l’unica cosa che sentii furono dei passi veloci nella mia direzione, come se qualcuno stesse correndo.
Alzai lo sguardo, curiosa, ma non feci in tempo a farlo, perché sentii qualcosa venirmi addosso e l’unica cosa che vidi fu una massa di capelli neri. Un secondo prima ero in piedi e un attimo dopo ero stesa sull’asfalto, con lo zaino sulla pancia.
“Ahi” mugugnai, massaggiandomi la parte dolorante della testa che aveva sbattuto sul suolo.
“Oddio! – trillò una voce – Non ti ho vista, ero di fretta. Oddio scusa, scusa, scusa” parlò a raffica, tanto che faticai a sentire ciò che mi stava dicendo.
La ragazza si inginocchiò accanto a me e iniziò a scusarsi ripetutamente.
Non l’avevo mai incrociata prima d’ora; aveva occhi azzurri che esprimevano sincerità, capelli neri e corvini.
Ero intenta ad osservarla tanto che solo ora mi accorsi che mi stava scrutando preoccupata da qualche minuto, in attesa di una mia risposta, che non tardò ad arrivare.
“Tranquilla, sto bene” mormorai intontita, mettendomi seduta.
“Oddio non sai quanto mi dispiace, correvo e non ti ho nemmeno vista…” iniziò, ma alzai la mano, interrompendo così il suo monologo.
In un momento come questo avrei urlato, odiavo cadere… ma con lei non ci riuscii. Raccoglieva velocemente i libri, cercando in tutti i modi di aiutarmi e imprecava tra sé per la sua stupidaggine… era davvero buffa, tanto che non potei fare a meno di sorridere.
“Sto bene, davvero. Poi è stata colpa mia, avrei dovuto guardare dove camminavo invece di avere la testa altrove” risposi accennando un sorriso per tranquillizzarla.
Tese una mano verso di me; dopo un attimo di esitazione l’ afferrai e mi aiutò così ad alzarmi.
“Devi essere nuova, perché non ti ho mai vista da queste parti. Comunque piacere, io sono Alice” si presentò sorridendo, sempre tenendo la mia mano.
“Io sono B-“ mi bloccai all’istante, stupita dalle mie stesse parole. Sgranai gli occhi e sentii di nuovo quella strana sensazione di vuoto che spesso provavo. Feci un respiro profondo e provai in tutti i modi di respingerla o almeno di ignorarla… e fortunatamente ci riuscii.
Scossi lievemente la testa, sotto il suo sguardo preoccupato.
“Io sono Isabella Swan ” risposi con voce flebile, fingendo un sorriso.
“Sei nuova… vero?” domandò poco dopo. Nella sua voce non vi era nessuna traccia di curiosità e forse fu ciò che non mi impedii di risponderle.
“Sì, sono di Phoenix. Sono qui da quasi una settimana” le dissi pacatamente.
“E’ strano però che non ci siamo mai incontrate prima d’ ora - ammise pensierosa - “Beh forse questo scontro è stato utile sotto alcuni punti di vista” continuò poi sorridendo.
“Già” annuii impercettibilmente, rimettendomi lo zaino in spalla.
Rimasi in silenzio fissando il suolo, fino a quando non mi sentii prendere a braccetto e trascinare. Alzai lo sguardo confusa.
“Vieni, non restare qui da sola, due ore sono lunghe. – Disse, mentre io la guardavo confusa – Ti farò conoscere i miei amici, vedrai ti piaceranno” trillò totalmente entusiasta.
“Va bene” biascicai incapace di dire altro. Nessuno fino ad ora si era preoccupato di parlare con me.

Ci incamminammo per circa dieci minuti, fino a quando nel cortile non incontrammo tre ragazzi, che parlavano beatamente tra loro.
“Ehi ragazzi – li salutò Alice – ho qualcuno da presentarvi. Lei è Isabella Swan” disse, sempre tenendomi a braccetto.
“Ciao” salutai timidamente, cercando però di non darlo a vedere.
“Isabella lui è mio fratello Emmett, mentre loro sono Rosalie e Jasper” me li presentò uno ad uno, con un lieve cenno del capo; dopodichè si avvicinò al ragazzo dai capelli biondi e occhi azzurri, depositandogli un dolce bacio sulle labbra.
Nonostante non vi era nulla di malizioso in quel bacio non potei fare a meno di distogliere lo sguardo… vi era così amore in esso che non riuscii a guardare.
E dall’intensità in cui si scrutavano Emmett e Rosalie capii che anche loro erano insieme.
“Allora come ti trovi qui?” domandò il ragazzone dai capelli castani.
“Non male” risposi con un’alzata di spalle.
“Wow, sei davvero una ragazza di poche parole” mi punzecchiò Emmett.
“Beh anche tu non sei un tipo di molte parole, neh tesoro?” gli sussurrò maliziosamente la bionda nell’orecchio.
“No tesoro, io passo direttamente ai fatti e…” cominciò, ma non riuscì a finire la frase perché gli arrivò una sberla dritta in testa.
“Ahi” borbottò lui, fintamente indignato.
“Ma ti pare il modo Emm?! Cavolo sei davanti a una ragazza appena conosciuta e già ti comporti da orso. Per favore sii educato e non farmela scappare!” sbottò Alice contrariata, incrociando le braccia al petto.
“Ok, ok” borbottò fra sé e sé.
A quella scena un sorriso si dipinse sul mio viso, tanto che portai una mano davanti alla bocca. C’era un qualcosa di diverso in quel sorriso, forse perché era… sincero.
Feci per parlare, ma fui prontamente interrotta da una voce che avrei riconosciuto anche a chilometri di distanza… la sua. “Eccovi ragazzi, è da mezz’ora che vi cerco” borbottò raggiungendoci, fermandosi proprio di fronte a me.
“E’ proprio destino che noi ci rincontriamo ogni volta” disse incrociando le braccia, sorridendo sornione. Quel sorriso in grado di farmi incavolare come non mai.
“Già, infatti sto cominciando a pensare che il destino non sia proprio dalla mia parte, visto che mi ritrovo sempre te tra i piedi – sbottai alzando gli occhi al cielo – E se posso sapere tu che diavolo ci fai qui?” domandai acida.
“Veramente dovrei fare a te questa domanda” ribattè sarcastico, alzando un sopracciglio.
“Non solo devo sopportarti per ben due ore a biologia come compagno di banco, ma pure fuori da scuola… fantastico, davvero fantastico” dissi sarcastica.
Fece per ribattere, ma Alice prontamente lo bloccò.
“Ma vi conoscete?” chiese curiosa, sfiorandomi un braccio.
“Sì purtroppo…” sospirai rassegnata imponendomi di restare calma, solo a vederlo non riuscivo più a controllarmi. Era terribilmente odioso!
“Sì, ho avuto questo onore in effetti” rispose sorridendo, fissandomi con un’intensità tale che non riuscii nemmeno a distogliere lo sguardo.
“Vedo che andate molto d’accordo” mi fece notare Alice sorridendo ironicamente.
“Sì, lo adoro quanto un chiodo nella scarpa” borbottai più a me stessa che a loro, però purtroppo mi sentirono e scoppiarono così a ridere, tranne il diretto interessato.
“Così ferisci i miei sentimenti” rispose lui fintamente indignato.
Perché lui aveva dei sentimenti? Era solo un idiota che si divertiva a stuzzicarmi e il suo unico obbiettivo era abbordare più ragazze possibili.
Avrei tanto voluto dirglielo, ma mi morsi la lingua… vi era troppa gente.
Ma di cosa mi preoccupavo? La risposta era semplice: forse perché in fondo anche io l’unica cosa che desideravo era essere accettata.
“Certo, come se ciò fosse possibile Cullen” risposi sprezzante, calcando per bene il suo cognome.
“Mmm mi odi tanto, vero? – domandò retoricamente – Però…” aggiunse lasciando la frase in sospeso, con fare teatrale.
“Però?” chiesi assottigliando gli occhi.
“Però vedo che con mia sorella Alice e mio fratello Emm vai in perfetta sintonia. E pensare che facciamo parte della stessa famiglia, potrei sinceramente offendermi visto che fai questi pregiudizi” mi prese in giro, sorridendo sghembo.
Il mio cervello si scollegò completamente. Lui, Alice, Emm… no, non poteva essere vero.
“T-tuoi fratelli?” domandai in un sussurro, scuotendo lievemente il capo. Mi rifiutavo di crederci.
“Esattamente” rispose, sempre con quel sorriso - maledettamente arrogante - sulle labbra.
Mi voltai verso Alice, guardandola attentamente e notai che era completamente diversa da suo fratello, così come Emmett. Ma la cosa più importante di tutte era che – fortunatamente – erano differenti caratterialmente.
“Beh allora non c’è nemmeno bisogno che ti presenti mio fratello Edward, dato che lo conosci già” disse lei, come se fosse la cosà più ovvia al mondo.
“Già” mugugnai a bassa voce, cercando di non far notare la mia disperazione.
Nel frattempo Rosalie si avvicinò a Emmett, sussurrandogli qualcosa nell’orecchio. Sicuramente qualcosa di molto interessante dato il suo improvviso cambio d’espressione.
“Ehm ragazzi io e Rose andiamo a fare un giro da queste parti, sapete abbiamo dei lavori urgenti da fare” balbettò lui, circondando le spalle della sua ragazza.
“Molto urgenti” ripetè Rose, calcando bene la parola molto.
Emmett ci lanciò una fugace occhiata; dopo averci salutati con un cenno del capo trascinò con sé Rosalie e se ne andarono a passo svelto, sotto lo sguardo divertito di Alice.
“Non cambieranno mai” esclamò Edward alzando gli occhi al cielo.
Chissà che commissioni urgenti. Pensai sarcastica, scuotendo il capo.
“Orso è e orso resta” rise Alice concordando, tanto che non potei fare a meno di sorridere; dopodichè si avvicinò a Jasper, circondandogli la vita con un braccio e appoggiando la testa sul suo petto, mentre lui gli posava un bacio tra i capelli.
Immediatamente il mio sorriso si spense davanti a quella scena estremamente – e terribilmente – dolce, perché forse la nostalgia era troppo forte o forse perché in fondo al mio cuore anch’io desideravo che qualcuno mi capisse e… mi amasse.
Chiusi gli occhi, stringendo forte le palpebre per scacciare quei pensieri tristi, che mai e poi mai avrei voluto rievocare. Cercai di ricompormi e mi guardai attorno sperando di non aver attirato la loro attenzione, ma per fortuna non si accorsero di nulla.

“Isabella?” mi chiamò Alice, appoggiando una mano sulla mia spalla.
“Sì? - domandai intontita. – Credo di essermi persa qualcosa…” ammisi imbarazzata, portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Mi sorrise teneramente, comprensiva.
“Io e Rosalie dopo scuola abbiamo programmato di andare al centro commerciale, perché non ti unisci a noi? – chiese, ripetendo per la seconda volta la sua domanda. – E ovviamente i ragazzi verranno con noi” aggiunse poi, sorridendo diabolica in direzione dei due poveracci che la guardavano sconvolti.
“Come scusa?!” domandò Edward, alzando la voce di qualche ottava.
“Certamente…” ribadì Alice, incrociando le braccia al petto.
“Non puoi obbligarci, siamo tre contro una” borbottò lui, guardandola di sbieco.
“Beh, Emmett non ha problemi seguirebbe Rose ovunque. E Jasper non ha molte chance, o viene o a stecchetto per un mese” rispose lei con noncuranza, facendo spallucce sotto un indignato Jasper, che dopo un sospiro di rassegnazione accettò l’offerta.
“Tranquilla amore, ci penso io a lui. O viene o ce lo porto di peso” disse il biondo con voce autoritaria.
“Questa me la paghi Jazz” sibilò Edward, squadrando l’amico con fare minaccioso.
“Visto che anche i nostri tre uomini vengono, tu che fai?” mi domandò Alice speranzosa, avvicinandosi ulteriormente a me.
“Io non saprei…” risposi allusiva, non avrei mai e poi mai voluto trascorrere un intero pomeriggio con… lui.
“Ti prego, ti prego, ti prego” continuò a ripetere, prendendomi le mani e guardandomi con espressione implorante.
“Va bene, verrò con voi” risposi dopo un attimo di esitazione, non seppi perché ma non riuscii a dirle di no, forse perché ci teneva davvero che andassi con loro.
“Oh che bello! Grazie, grazie, grazie!” trillò felice, saltandomi letteralmente addosso e abbracciandomi con così tanto affetto, a cui non potei fare a meno di ricambiare.
“P-prego” balbettai a disagio, non ero abituata a ricevere questo genere di attenzioni.
“Andiamo a dirlo agli altri Jasper, vieni con me!” saltellò felice raggiungendo il suo ragazzo e una volta preso per il braccio lo trascinò lungo il cortile, senza che lui avesse modo di ribattere.
Cominciai ad agitarmi sul posto, restare sola con lui non mi faceva affatto bene.
“Come al solito siamo rimasti solo io e te” mi ricordò, dando voce ai miei pensieri. Mi voltai verso quella voce tremendamente irritante, fulminandolo con lo sguardo.
“Sì, purtroppo è così – borbottai sospirando. – Però di una cosa sono certa: i tuoi fratelli sono simpatici, l’esatto opposto di te” aggiunsi poi, guardandolo dritto negli occhi.
“Isabella, chi ti dice che anche io non lo sia? – domandò retoricamente. – Ma come farai a scoprirlo se non dai a te stessa la possibilità di conoscermi?”.
Sorrisi amaramente di fronte a quella supposizione. Aveva ragione, maledettamente ragione, ma io non volevo e soprattutto non potevo legarmi a lui.
La domanda che la mia mente continuava a ripetermi era: Perché non puoi dargli questa opportunità? Dopotutto ti ha solo chiesto la possibilità di conoscervi, non ti ha chiesto la luna.
La risposta era semplice, avevo paura. Maledettamente paura di legarmi a una persona, paura di soffrire di nuovo e le voci che circolavano su di lui non erano per niente positive. Sapevo che non avrei dovuto basarmi su ciò, non ero ma stata quel tipo di ragazza, ma si sa le cose cambiano e col tempo avevo imparato a badare a me stessa, nessuno si era mai preoccupato ad aiutarmi… col tempo ci avevo fatto l’abitudine.
“Chi ti dice che io voglia conoscerti Cullen?” calcai per bene il suo cognome, cercando di dare alle mie parole tutto il disprezzo di cui ero capace e forse ci riuscii, perché per un istante mi guardò con sguardo indecifrabile.
“Prima o poi cambierai idea. Perché di una cosa puoi starne certa, io non mi arrendo” disse sicuro di sé. Alzai gli occhi per digliene quattro, ma le parole mi morirono in gola non appena vidi che si era pericolosamente
avvicinato a me, i nostri visi a pochi centimetri di distanza. Distolsi lo sguardo, fissando il suolo e cercai di riprendere il controllo di me stessa.
“Ti conviene lasciarmi perdere, è la scelta migliore” risposi con voce neutra, cercando di ricacciare indietro il magone. Ma per fortuna non se ne accorse.
Si avvicinò di un passo, guardandomi intensamente, per la prima senza ombra di ironia.
“Mai. Non lo farò mai – rispose sicuro di sé, dopodichè riassunse il suo tono giocoso. – E ti conviene prepararti psicologicamente, perché abbiamo un’intera giornata da trascorrere insieme. Sai, forse non è stata una cattiva idea dire di sì ad Alice” alitò nel mio orecchio con voce suadente. Si allontanò di pochi centimetri, tanto che potei vedere quel suo sorriso sghembo che non lasciava mai il suo viso; dopodichè mi volse le spalle, dirigendosi a passo lento all’intero della scuola.
Rimasi a osservarlo fino a quando non sparì dalla mia visuale e solo allora potei ricominciare a respirare. Il mio cuore batteva veloce, troppo veloce e la cosa non mi piacque per niente.
Smettila di battere, smettila di battere. Continuavo a ripetermi mentalmente come una mantra. Chiusi gli occhi e provai a non pensare a nulla, ma senza risultato.
Avrei trascorso l’intero pomeriggio con lui, ma non era questo il vero problema.
Ciò che mi preoccupava maggiormente erano le mie emozioni, quelle che provavo in sua presenza, che mi facevano sentire così… vulnerabile.
E io per nulla al mondo volevo sentirmi così… mai, era l’ultima cosa che desideravo.
Guadai l’orologio, mancava solo un’ora alla fatidica uscita. Sospirando mi lasciai cadere sulla panchina, sperando con tutta me stessa che quell’ora sarebbe trascorsa molto lentamente.


Grazie mille per le vostre splendide recensioni, siete fantastici. GRAZIE!
Domani troverete qui le risposte :)

Ringrazio di cuore chi mi ha aggiunta tra i preferiti, chi tra i seguiti, tra autori preferiti e tra le ricordate.

Grazie a tutti voi che mi seguite, grazie, grazie, grazie!
Non so davvero come ringraziarvi siete fantastici.
Vi adoro immensamente <3
Baci, Dreams.




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Capitolo 6
*** Potrò mai essere felice? ***


Come promesso sotto troverete le risposte a tutte le recensioni! :)
Ciaooo a tuttiiiiii! Come state? Spero bene!
Eccomi qui come promesso con l'aggiornamento! Questo capitolo è particolarmente importante, ce l'ho in mente da circa tre mesi e spero di essere riuscita a spiegarmi bene almeno. E a descrivere tutto come la mia mente bacata aveva progettato.
Ci sarà una svolta, non definitiva ma una svolta.
Ci ho messo parte di me stessa e spero che riesca a trasmettervi le emozioni che provavo io mentre lo scrivevo.
Waaaa, ma avete visto gli spezzoni di eclipse?! Meravigliooooooooosi! Giugno quando arriviiiiii?! Non resisto piùùù ç____ç
Ok, son malata, è ufficiale. Ora la smetto di blaterare e vi lascio al capitolo xD
Grazie di cuore a tutti, vi adoro <3 Buona lettura!


Vorrei dedicare questo capitolo a una persona a me cara, che mi ha aiutata moltoe mi ha sopportata: Shasha5.
Grazie amora, per tutto. Ti voglio un mondo di bene. Questo capitolo è dedicato a te, spero ti piaccia <3


6. Potrò mai essere felice?

Pov Edward

“Cause I want it now
I want it now
Give me your heart and your soul
And I'm breaking out
I'm breaking out
Last chance to lose control”

Hysteria, dei Muse. Sbuffai sonoramente e per l’ennesima volta mi ritrovai a cambiare stazione radio alla ricerca di qualcosa di interessante, ma senza risultato.
L’auto sfrecciava per le strade di Forks ed io continuavo a premere il tasto avanti senza sosta, perso nei miei pensieri.
“Basta, la vuoi smettere?!” tuonò una voce accanto a me, infastidita. Chi altro poteva essere se non Isabella?
Eravamo diretti al centro commerciale, Alice mi aveva costretto – nel vero senso della parola – ad andare con loro, neppure Jasper mi era stato d’aiuto, anzi aveva appoggiato il folletto. Non ci stavamo tutti sulla mia Volvo, così lei ebbe la brillante idea di prendere la sua Porsche gialla, caricando in macchina con sé Rosalie ed Emmett, lasciando così me ed Isabella in auto da soli. A me la cosa non dispiaceva affatto, ma sfortunatamente la mia compagna di viaggio non la pensava così. Era intrattabile per qualsiasi cosa le dicessi e ciò non faceva altro che alimentare il mio buon umore.
Mi voltai, alzando un sopracciglio e un sorriso divertito si dipinse sul mio volto non appena incontrai il suo sguardo contrariato… era davvero buffa.
“Qualche problema, Madame?” la canzonai, cambiando nuovamente canzone.
“Sì, tu sei il mio problema. – Borbottò, alzando leggermente la voce. – Non solo mi tocca stare in auto con te, ma sono anche costretta a subirmi i tuoi stupidi comportamenti da bambino immaturo… - iniziò seccata - La vuoi smettere di cambiare canzone?!” ripetè per la centesima volta, bloccando il mio braccio che si stava allungando verso la radio.
Una scossa attraversò il mio corpo, perché nel fermarmi la sua mano si era posata delicatamente sulla mia. Per un attimo i nostri occhi si incontrarono e in quella frazione di secondo notai che vi era una luce nuova all’interno di essi. Cercai di riprendere il controllo di me stesso, volgendo così lo sguardo alle nostre mani unite e solo ora lei si rese conto della situazione in cui eravamo, infatti ritirò la mano, come scottata ed incrociò le braccia al petto. Si voltò dalla parte opposta, osservando fuori dal finestrino. Avrei preferito che mi insultasse tutto il viaggio piuttosto che sopportare il suo silenzio, mi faceva sentire ansioso.
La osservai per un istante, indossava un semplice paio di jeans con un maglioncino rosa leggermente scollato, i capelli castani le ricadevano sulle spalle in semplici boccoli, incorniciando così il suo splendido viso… era assolutamente bellissima.
Scossi la testa frustrato, non dovevo cedere a questo genere di pensieri. Premetti il piede sull’acceleratore, amavo andare veloce e forse ciò mi avrebbe distratto almeno in parte.
Sobbalzò spaventata, come se si fosse appena svegliata dal suo stato di trance e si girò immediatamente dalla mia parte, puntando gli occhi sul tachimetro.
“S-stai andando a 120 km/h?” domandò titubante, cercando di dare un tono alla voce.
“Amo andare veloce” le risposi, come se fosse la cosa più ovvia al mondo.
“Ma sei impazzito! Vuoi farci ammazzare?! Frena immediatamente!” urlò, aggrappandosi fermamente al sedile.
“Mmm, perché dovrei farlo?” le chiesi voltandomi leggermente per guardarla, volevo vedere il suo viso.
“Guarda la strada! E rallenta…” iniziò, ma non concluse la frase perché premetti nuovamente l’acceleratore.
Sorrisi divertito da quella sua paura della velocità, aspettando impaziente una sua reazione, ma non ricevetti risposta. Mi voltai curioso e non appena la vidi il sorriso mi morì dalle labbra; si era portata le gambe al petto, con la testa affondata fra di esse e il suo corpo tremava leggermente.
Solo ora mi resi conto che eravamo arrivati a destinazione, così senza pensarci due volte parcheggiai l’auto e mi sporsi nella sua direzione.
“Isabella, stai bene?” domandai in un sussurro, sfiorandole delicatamente la spalla.
Alzò immediatamente la testa e non appena i suoi occhi incontrarono i miei non potei non accorgermi di un particolare: erano lucidi e continuava a torturarsi le labbra, come per trattenere le lacrime.
Istintivamente la mia mano andò ad accarezzarle i capelli, ma lei sembrò non apprezzare quel gesto e me la scostò in malo modo, allontanandosi di scatto.
“Sei un idiota!” urlò con voce spezzata rivolgendomi uno sguardo carico d’odio, dopodichè scese velocemente, sbattendo la portiera.
Per un minuto interminabile rimasi lì, a fissare il suo sedile vuoto, incapace di muovermi e di parlare. Che diavolo le era preso?
Con questi pensieri per la testa scesi dall’auto raggiungendo gli altri, che molto probabilmente erano in fibrillazione per lo shopping. Sicuramente tutti tranne lei.

***

Sbuffai sonoramente, era da circa due ore che giravamo in quel maledetto centro commerciale, alla ricerca di non so cosa.
Alice e Rosalie erano su di giri, non facevano altro che vagare da un reparto all’altro trascinando con sé i loro compagni.
Poverini, non vorrei essere al loro posto. Pensai, ringraziando il cielo.
Isabella li seguiva come un automa, sorridendo di tanto alle stupide battutine che sparava Emmett. Vederla sorridere era qualcosa di unico, indescrivibile. Ma c’era qualcosa che non andava, forse perché quel sorriso non era rivolto a me.
“Eddino, perché quella faccia pensierosa?” domandò un vocione accanto al mio orecchio e preso alla sprovvista sobbalzai spaventato.
“Ma sei coglione?! Mi hai fatto prendere un colpo!” sbottai infastidito, tirandogli un pugno sulla spalla.
“Ahia – borbottò massaggiandosi la parte dolorante. – Non è colpa mia se tu hai la testa altrove. Anzi se non fai altro che pensare alla moretta” ridacchiò sfottendomi.
“Io non sto pensando proprio a nessuno. Meno la vedo e meglio sto, hai capito orso?” chiesi retorico, incrociando le braccia al petto.
“E allora perché da quando siamo qui non fai altro che guardarla? Ma soprattutto visto che la odi come dici tu dovresti essere felice che non ti rivolga la parola, mentre non è così. Continui ad osservarla, sperando che ti parli disse facendomi sgranare gli occhi, ero stato punto nel vivo. – Sarò pure scemo, ma non ritardato. Non so cosa sia successo, però ti conviene parlarle”. Detto questo ritornò da Rosalie, lasciandomi confuso.
Aveva ragione, maledettamente ragione. Pure quell’orso ci era arrivato!
Avrei preferito di gran lunga uno dei suoi battibecchi piuttosto che la sua indifferenza.
Perlustrai la zona ansioso di incrociare il suo sguardo, avevo bisogno di parlarle.
“Cosa stai cercando?” mi domandò una voce che avrei conosciuto anche a chilometri di distanza… Alice. Per la seconda volta in un giorno sobbalzai, voltandomi infastidito.
“Oggi volete farmi morire d’infarto” sbottai, leggermente adirato.
“No – ridacchiò – sono venuta a dirti che Isabella è dentro il camerino, doveva provarsi un paio di scarpe. Solo che io e gli altri dovremmo andare di urgenza al reparto accanto, quindi ti spiacerebbe aspettarla fuori e dirle che siamo andati via? Vi aspettiamo di là” mi supplicò, facendomi gli occhioni dolci.
“Va bene Alice” sospirai rassegnato. Anche se dovevo ammettere che l’idea non mi dispiaceva. Sarebbe stata un’occasione per parlarle, solo io e lei.
“Grazie, grazie, grazie! Sei il migliore” trillò entusiasta, saltandomi letteralmente in braccio.
“Vattene folletto, prima che cambi idea” le scompigliai affettuosamente i capelli.
Mi schioccò un bacio sulla guancia, dopodichè raggiunse Jasper. Lo prese a braccetto e lo trascinò fuori poco delicatamente, facendo cenno anche a Rosalie ed Emmett di seguirli.
Alzai gli occhi al cielo, mia sorella non cambierà mai.

Feci come mi aveva detto.
Mi fermai davanti alla cabina, appoggiandomi di spalle alla parete.
Ma quanto diavolo ci metteva a provarsi un paio di scarpe?!
Sbuffai sonoramente e chiusi gli occhi, portandomi una mano davanti al viso, fino a quando non sentii la porta del camerino aprirsi.
“Isab-“ feci per parlare, ma non appena alzai lo sguardo le parole mi morirono in gola.
Ciò che vidi mi fece strabuzzare gli occhi, tanto che non mi sarei per nulla sorpreso se da un momento all’altro la mia mascella avesse toccato il pavimento.
Isabella era di fronte a me e indossava un elegante tubino nero, che gli arrivava a mala pena al ginocchio. La scollatura non era esagerata, ma il tessuto aderiva perfettamente al suo corpo, permettendomi così di vedere le sue meravigliose forme.
Aprii la bocca, ma dalle mie labbra non uscì alcun suono. Avevo perso l’uso della parola.
Sapevo che in quel momento stavo facendo la figura del coglione fissandola in quel modo, ma non me ne importava.
Le stava d’incanto, era assolutamente bellissima.
Quando mi sarei ripreso da quello stato di trance dovevo assolutamente fare una cosa e me lo appuntai nella mente: uccidere Alice.

Pov Bella

Respira Bella, mantieni la calma. Continuavo a ripetermi mentalmente questa frase come una mantra, sperando in tutti i modi che funzionasse.
Era da circa dieci minuti che me ne stavo immobile, fissando un punto indefinito avanti a me. Tutto pur di non guardare lui, perché sapevo che se l’avessi fatto sarei sicuramente arrossita per l’imbarazzo e avrei perso l’uso della parola.
I suoi occhi mi scrutavano attentamente dall’alto verso il basso, facendomi uno scan completo. Mi portai le braccia intorno al petto, cercando in qualche modo di coprirmi.
“Ehm…” tossicchiai, sperando la smettesse di guardarmi in quel modo che mi metteva terribilmente in soggezione. E per mia fortuna funzionò, perché sembrò risvegliarsi dallo stato di semi-incoscienza nel quale era caduto.
“I-io scusa è che Alice mi ha detto di aspettarti qui fuori perché ti stavi provando un paio di scarpe. Io non s-sapevo che ti stessi provando questo vestito e…” balbettò frasi a raffica, tanto che dovetti concentrarmi per capire quello che stava dicendo.
“No, no tranquillo Cullen, è solo che non mi aspettavo di trovare te qua fuori, ero convinta c’era Alice. Altrimenti mi sarei cambiata” spiegai, cercando di mantenere un tono di voce neutrale, anche se l’unica cosa che desideravo fare era scappare via, da qualunque parte - non m’importava dove - e nascondermi.
Si passò nervosamente una mano tra i capelli, puntando nuovamente gli occhi sul mio corpo e la cosa m’infastidì più del lecito. Così gli diedi le spalle e feci per andarmene, ma una mano si posò mio polso… la sua. Mi attirò a sé e la mia schiena andò a scontrarsi con il suo petto. Immerse il viso nell’incavo del mio collo e con il naso percorse i miei lineamenti, fino ad arrivare al lobo dell’orecchio; potei sentire il suo respiro solleticarmi i capelli e ciò mi fece improvvisamente rabbrividire.
“Mi dai dell’idiota, però vedo che questo genere di attenzioni non ti dispiacciono affatto” mormorò con voce sensuale nel mio orecchio. Ciò bastò a farmi rinsavire e a farmi allontanare immediatamente da lui.
“Ribadisco Cullen: sei un idiota” sbottai, entrando a passo deciso nel camerino.
Mi appoggiai alla porta, cercando di regolarizzare il respiro e senza che potessi farci nulla le mie gote s’imporporarono. Che situazione imbarazzante, sperai con tutta me stessa di non riviverla mai più.
Velocemente mi tolsi quel dannato vestito che Alice mi aveva – letteralmente – costretto di indossare e rimisi i miei comodi jeans e il maglioncino fucsia.
Sperai per Alice che non si presentasse davanti a me, altrimenti l’avrei spennata.
Trascorsero ben dieci minuti prima che mi decidesi di uscire da lì, ma infine – anche se con riluttanza – lo feci. Era ancora lì, appoggiato al muro, sempre con quel sorriso stampato sulle labbra.
“Finalmente. Credevo che gli alieni ti avessero rapita” disse sarcastico, incrociando le braccia al petto. Ciò bastò per irritarmi.
“Avrei preferito di gran lunga essere rapita dagli alieni, piuttosto che trascorrere del tempo con te” ribattei, non vi era ombra di ironia nella mia voce.
Un sospiro sfuggì dalle sue labbra e i suoi occhi si incatenarono ai miei.
“Andiamo, Alice e gli altri ci aspettano fuori” rispose, ignorando completamente ciò che dissi. Annuii sconfitta; non avevo voglia di discutere, ma specialmente non volevo deluderli, visto che erano stati le uniche persone che avevano avuto il coraggio di avvicinarsi a me.
Presi lo zaino e senza spiccicare parola lo seguii all’esterno del centro commerciale

***

Sbuffai sonoramente, guardando per l’ennesima volta il mio orologio da polso: erano le cinque di pomeriggio. Era da circa un’ora che ce ne stavamo seduti su quella maledetta panchina… solo io e lui. Silenzio, spezzato solamente dal rumore delle auto che passavano e dalle urla delle persone, che sorridevano e chiacchieravano.
Distolsi lo sguardo da esse e presi a fissare le mie mani strette in grembo.
“Dove sono gli altri?” domandai ad un certo punto, sentivo che la mia pazienza stava per svanire.
“Non ne ho idea” rispose sincero, voltandosi nella mia direzione.
“E fare una telefonata no? Esiste il cellulare, sai?” chiesi retorica, alzando un sopracciglio.
Mi lanciò un’occhiataccia, dopodichè fece come gli avevo consigliato, o meglio dire ordinato.
“Alice. – la salutò poco educatamente. – Dove siete?” le domandò impaziente, molto probabilmente senza darle il tempo di rispondere.
Parlò velocemente, tanto che non riuscii a capire nulla di quello che si stavano dicendo.
“E perché mai non ci avete aspettato qui?! – la sua voce mi ridestò dai miei pensieri – Ok, arriviamo, ci vediamo tra poco” sospirò, dopodichè richiuse il cellulare, depositandolo nella tasca dei jeans.
“Che hanno detto? Dove sono?” domandai curiosa, però la mia voce uscì irritata… di nuovo.
“Sono al lunapark” disse, alzandosi finalmente in piedi.
“Al l-lunapark?” balbettai tremante, sperando con tutta me stessa di aver capito male.
“Esattamente” rispose semplicemente, come se fosse la cosa più ovvia al mondo.
“Io non ci vengo” risposi decisa, aggrappandomi con forza alla panchina.
“E perché non dovresti?” domandò, leggermente scettico.
“Perché…” aprii la bocca pronta a parlare, ma la richiusi immediatamente.
“Perché?” ripetè curioso, scrutandomi intensamente forse per il mio improvviso cambio d’umore.
Cosa avrei potuto rispondergli? No, non voglio venire al lunapark, perché solo se ci mettessi piede ricorderei cose che voglio assolutamente dimenticare.
No, non potevo assolutamente dirgli questo. Strinsi forte le palpebre, al solo pensiero le lacrime premevano per uscire, ma con una grande forza di volontà riuscii a ricacciarle indietro.
“Non voglio andarci, per favore…” sussurrai flebilmente. Sobbalzò, voltandosi completamente nella mia direzione. Annuì lievemente e prese il cellulare, chiamando – molto probabilmente – Alice. Mi alzai in piedi, in modo da dar loro un po’ di privacy e presi a camminare avanti e indietro.
Sospirai sollevata, non so cosa gli fece cambiare idea, forse il mio tono di voce. Non mi ero mai abbassata al livello di pregare una persona, ma non m’importava. Non ora almeno.
Chiusi gli occhi, beandomi del leggero venticello che mi sferzava il viso, scompigliandomi dolcemente i capelli. Quanto avrei voluto che ci fosse il sole, ma soprattutto quanto avrei voluto essere a…
No, no, no. Smettila! Mi ammonii mentalmente, cercando di respirare regolarmente.

“Isabella” la sua voce mi richiamò nel silenzio, facendomi sobbalzare.
Sbuffai infastidita, volevo solo avere un po’ di pace. Chiedevo tanto?
Mi voltai di scatto, senza fare attenzione a dove mettevo i piedi… mossa sbagliata, dato che inciampai su un sasso. Chiusi gli occhi aspettando il contatto con il suolo, ma ciò non avvenne perché sentii due braccia forti sorreggermi e mi scontrai così con un petto; alzai il capo confusa e ciò che vidi mi fece mozzare il respiro.
Il suo viso era a pochi centimetri dal mio, potevo sentire il suo respiro solleticarmi le labbra. Mi scrutava preoccupato.
“Stai bene?” domandò in un sussurro, scrutandomi attentamente. In quel momento i suoi occhi verdi erano totalmente sinceri che non potei fare a meno di annegarci dentro. Annegai in quel mare e sperai con tutta me stessa d non riemergere mai.
“Sì…” risposi flebilmente. Chiusi gli occhi e per un breve istante mi lasciai andare, adagiandomi contro il suo corpo. Un sospiro sfuggì dalle mie labbra, seppur avessi cercato in tutti i modi di reprimerlo.
Mi sentivo stranamente rilassata, la mia mente era completamente sgombra di pensieri, come se stare tra le sue braccia fosse qualcosa che mi faceva stare bene.
Sentii le sue labbra posarsi sui miei capelli e un brivido mi percorse. Ripresi il controllo e con uno scatto repentino mi staccai da lui, incrociando le braccia al petto.
“Grazie per avermi presa” mormorai, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi.
“E’ stato un piacere” rispose lui, mentre un sorriso si dipinse sul suo volto. Un sorriso diverso, che fece aumentare i battiti del mio cuore.
“Ho chiamato Alice – mi ricordò e solo quando sentii la sua voce capii che per l’ennesima volta mi ero persa nei miei pensieri, dovevo smettere di farlo. – E ha detto che non è un problema per il lunapark” disse, iniziando a camminare.
Annuii impercettibilmente e lo seguii, sperando che non trattasse di nuovo l’argomento.
“Dove stiamo andando?” chiesi dopo svariati minuti, curiosa.
“Tra poco vedrai, vieni” esclamò, tendendomi la mano. Rimasi per alcuni secondi ad osservarla, indecisa su cosa fare. Scossi leggermente la testa, che diavolo mi prendeva?
“Devo preoccuparmi?” domandai retorica, infilando le mani in tasca, rifiutando così la sua. Lasciò cadere il braccio lungo il fianco e per un istante il suo sguardo si fece deluso, oserei dire triste.
“No. Fidati di me” sorrise, facendomi sobbalzare. Non riuscii a dire di no a quel sorriso e così commisi lo sbaglio più grande della mia vita… lo seguii.

***

Mi guardai attorno, completamente spaesata.
Eravamo in un parco, era enorme; la gente passeggiava chiacchierando, i bambini correvano e giocavano. Era uno scenario così… felice.
Edward camminava al mio fianco, non aveva smesso di sorridere neanche per un secondo.
“Questo è il parco di Forks, è stato aperto otto anni fa, proprio in questo giorno. Ogni anno per l’inaugurazione vi sono bancarelle e giochi per bambini. Sin da piccolo amavo venirci e d’allora sono sempre qui quando ci sono questo genere di feste” m’informò, perso nei suoi pensieri. Lo guardai di sottecchi e non potei fare a meno di ammirarlo; con quell’espressione rilassata, senza ombra di sfacciataggine sul viso era… bello.
Si voltò, incontrando così i miei occhi che lo scrutavano attentamente.
“E’ che sei… buffo” mi affrettai a spiegare.
“Buffo?” domandò, alzando un sopracciglio con fare interrogativo.
“E oserei dire che sei meno odioso del solito, per il momento” risposi sinceramente, mentre l’ombra di un sorriso si dipinse sul mio viso.
“Sono felice che la pensi così” esclamò ricambiando il sorriso, abbagliandomi completamente. Aprii la bocca, ma da essa non uscì alcun suono.
“Vieni, ora ci sarà da divertirsi” proferì, senza darmi il tempo di replicare mi prese per mano e mi trascinò con sé verso la prima bancarella. I miei occhi si posarono sulle nostre dita intrecciate; la sua mano stringeva con delicatezza la mia, che giaceva inerme nella sua.
Il mio povero cuore sussultò e prese a battere forte, come se da un momento all’altro volesse uscirmi dal petto. Che diavolo mi stava succedendo?
Fino a due ore fa avrei voluto ucciderlo e desideravo con tutta me stessa che uscisse fuori dalla mia vita, mentre perché ora con un semplice sfioramento riusciva a destabilizzarmi completamente? Non poteva succedere, non poteva.
Feci per sfilare la mia mano dalla sua, ma non appena guardai per l’ennesima volta il suo viso non riuscii a farlo… aveva un espressione così pacifica.
Mi portai la mano libera tra i capelli scompigliandoli leggermente, frustrata.
“Eccoci, siamo arrivati” la sua voce mi fece rinsavire immediatamente. Alzai di scatto la testa e un sorriso involontario si dipinse sul mio viso. Di fronte a me vi erano una montagna di peluche di diverso tipo e il mio occhio andò a puntare quello di un orso, uno splendido orso gigante.
Lo guardai per un minuto interminabile e i ricordi presero forma nella mia mente.

Per il mio sesto compleanno Renée mi aveva regalato un orsacchiotto bellissimo, dal quale non mi separavo mai, nemmeno quando andavo a dormire. Era diventato il mio compagno di giochi e l’avevo chiamato Tom, era ancora a Phoenix, tra i miei vecchi giocattoli di quando ero bambina.

E ora guardando quel peluche non potei fare a meno di provare una dolorosa stretta allo stomaco, che cercai in tutti i modi di mascherare.
Sentii una mano posarsi sulla mia spalla e capii immediatamente di chi si trattasse, senza neanche girarmi. Presi un profondo respiro e – seppur dopo un attimo di esitazione – mi voltai, incontrando così i suoi occhi che mi scrutavano attentamente.
“Bellissimi questi peluche” mi affrettai a dire, cercando di lenire la tensione che si era momentaneamente creata.
Mi sorrise dolcemente, dopodichè si avvicinò al bancone, appoggiandosi ad esso con i gomiti.
“Ciao giovanotto - lo salutò la responsabile, una signora di mezz’età. – Vuoi provare a giocare?” gli domandò cortesemente, con un’ombra di speranza nello sguardo.
“Salve – ricambiò Edward, sorridendole gentilmente. – Mmm sì vorrei provare a giocare. Che peluche ti piace, Isabella?” domandò all’improvviso, lasciandomi completamente spiazzata.
“Come?” chiesi completamente confusa, facendo ridere sia lui che la responsabile.
Ignorò la mia domanda, rivolgendo la sua attenzione alla signora, porgendole una banconota da cinque dollari.
“Non vorrai giocare davvero?” domandai, affiancandolo con titubanza.
“Certo che sì” fece spallucce, guardandomi di sottecchi.
“Secondo me non beccherai neanche un canestro” lo scimmiottai, convinta pienamente della mia ipotesi.
“Swan, non c’è niente che io non sappia fare. E ora osserva attentamente le mie splendide doti nel basket” sul suo viso apparve un sorriso sornione. Feci per ribattere, ma prontamente mi bloccò con un gesto della mano. Mi morsi la lingua, imponendomi di non rispondere e stranamente ci riuscii.
Mi appoggiai al bancone, mentre lui si preparava al “lancio”. Mi osservò di sottecchi sorridendomi, dopodichè lanciò la palla, facendo canestro al primo colpo.
Sgranai gli occhi, incredula. Era davvero concentrato, tanto che sul suo viso vi era dipinta un’espressione seria, che mai avevo visto prima di allora.
Un punto, due punti, tre punti, quattro punti…
La palla continuava ad entrare nel canestro, con una velocità disarmante e l’agilità con cui giocava non fece altro che spiazzarmi.
“C-come hai fatto?” balbettai spalancando la bocca quando raggiunse un totale di dieci punti, il massimo e non mi sarei stupita se da un momento all’altro la mia mascella avesse toccato il suolo.
"Quale peluche desidera regalare alla signorina?" domandò la responsabile.

“L’orso gigante a destra” rispose immediatamente, senza esitazioni.
“Ecco a voi - rispose lei, posandomi delicatamente il peluche tra le braccia. – Spero di rivedervi presto da queste parti” esclamò, salutandoci con un gesto della mano.
“Certamente” rispose Edward, sorridendole gentilmente; dopodichè mi posò una mano sulla spalla, invitandomi a seguirlo.

“Come facevi a sapere che…?” chiesi confusa, lasciando la domanda in sospeso in modo teatrale.
“Ti ho visto prima, non facevi altro che osservare quell’orso con aria malinconica, forse vecchi ricordi. Eri assorta nei tuoi pensieri e in quel momento ti ho vista… serena, non mi era mai capitato prima d’ora” rispose, osservando un punto indefinito di fronte a sé.
Sentii le gambe cedermi, ma non so come riuscii a non cadere.
“Per questo ho deciso di regalartelo” spiegò, guardandomi intensamente. Lo guardai negli occhi e in quel momento la sensazione di vuoto che stavo provando sparì improvvisamente.
“Grazie, è stato un gesto carino da parte tua. Non me lo aspettavo” sussurrai flebilmente, stringendo l’orso tra le braccia.
“Te l’ho detto Isabella, tu non mi conosci. Potrei stupirti, se solo me ne dessi l’opportunità” mormorò sincero. Aveva ragione, maledettamente ragione. Non gli avevo mai dato un’occasione, mai. Ma la verità era che avevo paura, approcciarmi con le persone non faceva per me. Meglio isolarmi e stare male solo io, piuttosto che far soffrire la gente che mi circonda.
“Hai ragione, non ti ho mai dato nessuna opportunità e forse mai te la darò. Ma non è questo il punto, la verità è che è solo colpa mia” ammisi, abbassando lo sguardo.
“Colpa tua? Perché dici questo?” chiese strabuzzando gli occhi, sbalordito.
Che mi succede, perché sto mostrando le mie debolezze? No, no, no.
Per un minuto interminabile rimasi immobile, ad osservare il suo viso.
“Non parlo con le persone modeste” cercai di sdrammatizzare, colpendolo scherzosamente sulla spalla.
“Questo non avresti dovuto farlo” esclamò, alzando un sopracciglio. Parve che il mio tentativo di persuaderlo funzionò.
“Me la sto facendo sotto” borbottai a bassa voce, incrociando le braccia al petto.
“E’ meglio se inizi a correre” rispose, mentre sul suo viso si dipinse un ghigno che non mi piacque per niente.
“Ma che…?” iniziai, ma non feci nemmeno in tempo a finire di parlare che prese a rincorrermi. Scappai per svariati minuti, fino a quando non mi acchiappò.
“Dicevi?” alitò a pochi centimetri dalle mie labbra.
“Che forse è meglio tornare a casa” un sorriso spontaneo si dipinse sul mio volto, al quale ricambiò con altrettanta intensità, abbagliandomi. Mi lasciò andare e insieme ci incamminammo per il vialetto, dove in lontananza potei scorgere la sua Volvo metallizzata.

“Come facevi a sapere che…?” chiesi confusa, lasciando la domanda in sospeso in modo teatrale.
“Ti ho visto prima, non facevi altro che osservare quell’orso con aria malinconica, forse vecchi ricordi. Eri assorta nei tuoi pensieri e in quel momento ti ho vista… serena, non mi era mai capitato prima d’ora” rispose, osservando un punto indefinito di fronte a sé.
Sentii le gambe cedermi, ma non so come riuscii a non cadere.
“Per questo ho deciso di regalartelo” spiegò, guardandomi intensamente. Lo guardai negli occhi e in quel momento la sensazione di vuoto che stavo provando sparì improvvisamente.
“Grazie, è stato un gesto carino da parte tua. Non me lo aspettavo” sussurrai flebilmente, stringendo l’orso tra le braccia.
“Te l’ho detto Isabella, tu non mi conosci. Potrei stupirti, se solo me ne dessi l’opportunità” mormorò sincero. Aveva ragione, maledettamente ragione. Non gli avevo mai dato un’occasione, mai. Ma la verità era che avevo paura, approcciarmi con le persone non faceva per me. Meglio isolarmi e stare male solo io, piuttosto che far soffrire la gente che mi circonda.
“Hai ragione, non ti ho mai dato nessuna opportunità e forse mai te la darò. Ma non è questo il punto, la verità è che è solo colpa mia” ammisi, abbassando lo sguardo.
“Colpa tua? Perché dici questo?” chiese strabuzzando gli occhi, sbalordito.
Che mi succede, perché sto mostrando le mie debolezze? No, no, no.
Per un minuto interminabile rimasi immobile, ad osservare il suo viso.
“Non parlo con le persone modeste” cercai di sdrammatizzare, colpendolo scherzosamente sulla spalla.
“Questo non avresti dovuto farlo” esclamò, alzando un sopracciglio. Parve che il mio tentativo di persuaderlo funzionò.
“Me la sto facendo sotto” borbottai a bassa voce, incrociando le braccia al petto.
“E’ meglio se inizi a correre” rispose, mentre sul suo viso si dipinse un ghigno che non mi piacque per niente.
“Ma che…?” iniziai, ma non feci nemmeno in tempo a finire di parlare che prese a rincorrermi. Scappai per svariati minuti, fino a quando non mi acchiappò.
“Dicevi?” alitò a pochi centimetri dalle mie labbra.
“Che forse è meglio tornare a casa” un sorriso spontaneo si dipinse sul mio volto, al quale ricambiò con altrettanta intensità, abbagliandomi. Mi lasciò andare e insieme ci incamminammo per il vialetto, dove in lontananza potei scorgere la sua Volvo metallizzata.

***

Il viaggio di ritorno fu abbastanza tranquillo, l’unico rumore che spezzava il silenzio nell’abitacolo era la radio. Parcheggiò l’auto e scese, aprendomi la portiera.
Lo seguii e non potei fare a meno di notare che alle nostre spalle vi era una foresta, cominciai a preoccuparmi.
“D-dove siamo?” balbettai, incrociando le braccia al petto.
Mi guardò di sottecchi e scoppiò a ridere. “Siamo a casa mia, dove credevi che ti avevo portata?” domandò retorico, ridendo ancora di più.
Non potei fare a meno di sorridere, a volte ero proprio esagerata dovevo ammetterlo.
“Vieni ti accompagno a casa, altrimenti tuo padre chi lo sente?” alzò gli occhi al cielo, scuotendo lievemente il capo.
Mi posò delicatamente una mano sulla schiena, invitandomi a seguirlo e per l’ennesima volta gli diedi retta.
L’orso era ancora tra le mie braccia, non l’avevo mollato nemmeno per un minuto e non ero intenzionata a farlo. In quel momento non potei fare a meno di pensare a quanto fossi stata bene quel pomeriggio, mi sentivo… beata, cosa che non provavo dal tempo in cui mi ero trasferita qui a Forks. Sorrisi di nuovo, non seppi quante volte l’avevo fatto quella sera e non me ne importava.
“Ammetto che per un attimo ho pensato che…” feci per parlare, ma una voce attirò la mia attenzione.
“Mamma, mamma guardami!” mi voltai curiosa. Una bambina stava giocando a palla, sorridendo alla madre. Per un minuto interminabile le osservai, fino a quando non fui costretta a distogliere lo sguardo… sarebbe stato troppo per me.
“Isabella, stai bene?” mi domandò Edward, seriamente preoccupato.
“Sì, sto bene” mormorai fingendo un sorriso, ma a lui non sfuggì.
“Sicura?” mi domandò, scrutandomi attentamente. Aprii la bocca per rispondere, ma qualcosa attirò nuovamente la mia attenzione.
“Sarah attenta!” urlò la madre, mollando a terra le borse della spesa. Mi voltai di scatto e ciò che vidi mi mozzò il respiro. Un’auto sfrecciava ad alta velocità, mentre la palla della bambina era finita in strada e lei senza pensarci due volte la rincorse. Sentii il cuore pompare veloce nel petto e sperai con tutta me stessa che quell’auto frenasse, ma ciò non accadde.
In momenti come questi è impossibile ragionare e l’istinto prende il sopravvento su tutto. Perciò feci la cosa più stupida che potessi fare… la raggiunsi. Mollai l’orso per terra, sotto lo sguardo confuso di Edward.
“Isabella, ma che…?” domandò, ma non sentii ciò che disse perchè corsi a perdifiato in strada, fino a quando non mi trovai accanto alla bambina. La presi tra le braccia, stringendola forte al mio petto. La nascosi dietro le mie spalle, frapponendomi così tra lei e la macchina. I fari mi abbagliarono e l’unica cosa che riuscii a sentire fu una brusca frenata.
Serrai gli occhi, stringendo forte le palpebre e inconsapevolmente iniziai a tremare, mentre ciò che non avrei mai voluto ricordare prese forma nella mia mente, facendomi perdere il contatto con la realtà che mi circondava.

[Inizio Flashback].

L’auto sfrecciava sulla strada, eravamo di ritorno dalla biblioteca, non avevo voglia di tornare a piedi così supplicai mamma e Phil di venirmi a prendere. Dopo svariati tentativi riuscii finalmente a convincerli ed ora me ne stavo seduta comodamente sul sedile posteriore, canticchiando una canzone a me cara che era trasmessa alla radio.
“Bella, allora com’è andata la giornata con i tuoi amici?” mi domandò improvvisamente Renée, destandomi dai miei pensieri.
“Bene grazie, sono finalmente riuscita a prendere il libro che volevo leggere da una vita: Orgoglio e pregiudizio” dissi con aria sognante.
“Tua figlia non cambierà mai” rise dolcemente Phil, guardandomi attraverso lo specchietto retrovisore. Mi unii alla loro risata, felice. Chiusi momentaneamente gli occhi esausta, l’unica cosa che desideravo era dormire, ma non feci nemmeno in tempo a farlo.
“Phil, frena!” urlò improvvisamente mia madre.
Aprii di scatto gli occhi. Una luce accecante, una brusca frenata, delle urla e poi… nulla. Caddi nell’oscurità, dalla quale non sapevo se mi sarei mai risvegliata.

[Fine Flashback].

“NOOO!” urlai, portandomi le mani tra i capelli. Sentii delle urla, delle imprecazioni e qualcuno che chiamava disperatamente il mio nome, ma non me ne curai.
“Isabella, ti prego rispondimi” avrei riconosciuto quella voce tra mille… la sua.
Mi accasciai al suolo, tremante. Caddi in un sonno profondo, sperando con tutta me stessa di trovare un po’ di pace. L’ultima cosa che sentii prima di perdere i sensi furono delle braccia, che mi strinsero forte colmando in parte quel vuoto che si era impossessato di me.

Pov Edward

Rimasi sul marciapiede, pietrificato.
“Isabella!” urlai con tutto il fiato che avevo in gola. La mia mente continuava a ripetermi: corri, cosa aspetti a farlo?! Ma le mie gambe non ne volevano sapere di muoversi.
L’auto frenò improvvisamente, fermandosi a una spanna da lei.
Un uomo sulla trentina aprì velocemente la portiera, catapultandosi fuori.
“Oh mio dio, non le avevo viste” rantolò frasi senza senso disperato, portandosi le mani tra i capelli. Mi fiondai su di lui prendendolo per il bavero della giacca, strattonandolo violentemente.
“Ma quando cazzo avevi intenzione di frenare, eh?!” urlai strattonandolo di nuovo.
“Rispondimi!” sbraitai, ormai al limite della sopportazione.
Balbettò frasi sconnesse, facendomi perdere ancor di più la pazienza. Un gemito attirò la mia attenzione e puntai così gli occhi su Isabella. Diedi un’ultima spinta a quel verme, dopodichè mi fiondai accanto a lei.
La bambina scoppiò a piangere correndo a rifugiarsi tra le braccia della madre, che l’abbracciò consolandola, senza però distogliere gli occhi dalla figura rannicchiata in strada.
“Sei impazzita? Cosa credevi di fare, eh? – le urlai contro, prendendola per le spalle. – Volevi fare l’eroina, ma non hai pensato che così avresti rischiato tu la vita?!” domandai retorico, alzando la voce. La scossi lievemente, ma dato che non ottenni risposta abbassai lo sguardo: aveva iniziato a tremare e continuava ad agitarsi sull’asfalto, mentre dalle sue labbra continuavano ad uscire gemiti di dolore.
“Isabella?” provai a richiamarla, ma anche questa volta non mi rispose.
“Ti prego rispondimi” mormorai preoccupato, iniziando ad andare in panico. Ignorai le imprecazioni che mi lanciarono i passanti e la presi tra le braccia, sollevandola delicatamente dal suolo.
M’incamminai velocemente verso casa Cullen, non potevo di certo mandarla a casa sua in queste condizioni.
“Isabella…” continuavo a ripetere il suo nome, come una mantra.
Aprii la porta con un calcio e con uno scatto repentino mi recai in camera mia, dove la posai delicatamente sul letto. Le tolsi le scarpe e la coprii con il lenzuolo.
Feci per andare a prenderle qualcosa di caldo, ma la sua voce mi bloccò sul posto.
“Non andartene, per favore” sussurrò flebilmente, agitandosi. Mi voltai e senza pensarci due volte mi accomodai sulla sedia accanto al letto.
“Sono qui, non ti lascio. Sono qui” mormorai con tono rassicurante, stringendole delicatamente la mano.
“Non lasciarmi…” ripetè con voce incrinata e solo allora mi accorsi di un particolare che mi mozzò il respiro: il suo viso era rigato di lacrime.
Con la mano libera le asciugai quelle lacrime - che sperai con tutto me stesso di non rivedere mai più sul suo splendido viso – e presi ad accarezzarle dolcemente i capelli.
“Sono qui. Non ti lascio, te lo prometto” sussurrai, appoggiando la fronte contro la sua.
Non c’era frase più vera di questa. Sapevo che l’unico motivo per cui non mi aveva respinto era perché era incosciente, ma non me ne importava… io le sarei stato accanto lo stesso, perché ormai non riuscivo a farne a meno.
La osservai attentamente e non potei fare a meno di notare che era bellissima, assolutamente ed indiscutibilmente bellissima.
“Ogni volta che avrai bisogno di me io sarò qui, potrai sempre contare su di me” le mormorai nell’orecchio, prima di affondare il viso nei suoi capelli ed inebriarmi del suo buonissimo profumo.

Orso che Edward regala a Bella



_Risposte alle recensioni_

MirkoCullen96: ciaoooo! Oddio quanti complimenti O_____O grazie di cuore, davvero!
Non mi aspettavo che la mia storia piacesse a qualcuno, ma sapere che è il contrario mi fa veramente felice. Poi tu sei dolcissimo, davvero ti piace il mio stile di scrittura? O.o
Grazie, grazie, grazie! Non so davvero ringraziarti per tutti i complimenti e gli apprezzamenti che mi hai fatto.
Quando ho letto la tua recensione la mia reazione è stata_: per dindirindina! O__________O anzi le TUE recensioni ;)
Ahahahah mi sono anche scompisciata, già Emmett ed Alice sono un'accoppiata vincente, li adoro! Non potevo non metterli xD
mmm e per quanto andavano a fare Rosalie ed Emmett erano cose abbastanza vietate, ma si sa come sono loro 2 ;)
Edward e Bella non si baceranno ancora purtroppo, ma in questo capitolo ci saranno dei grossi, ma grossi passi avanti. In questo capitolo ci ho messo tutta me stessa per farlo.
Ce l'avevo in mente da tanto tempo e l'ho scritto col cuore, sperando che almeno sia uscito decente ;)
Grazie mille per tutti i complimenti, per apprezzare la storia e per le splendide recensioni, le adoro!
Ecco qua il nuovo capitolo, spero che ti piaccia^^ Un bacione!

Emma92: Ciao carissima! Tranquilla dai, per questa volta ho deciso di perdonarti ù.ù non sono bravissima?? Scherzo ovviamente :D cmq ti ringrazio!
Eh si Bella soffre ma è anche il bello della storia questo, è la sua sofferenza che porterà avanti tutto. Ma tranquilla andando avanti riuscirà ad aprirsi, forse... Ti ringrazio di cuore!
Sei dolcissima davvero e ogni volta leggere tutti questi complimenti mi fa piangere ç_ç grazie di cuore e bè spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto.
Alla prossima cara ;) un bacio!

asialea: Ciaoooo! Ti ringrazio molto per i complimenti :D sono felicissima che ti piaccia! Sai anche a me piacciono le ff che sono più fedeli alla storia, con vampiri ecc...
come dici te, però penso che ogni tanto si debba cambiare e in fondo prendila come una What if :D

Ti ringrazio ancora, sei troppo gentile! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!
Ciao, alla prossima ^^ Un bacione.
vanderbit: ciaoooo! Grazie mille per aver recensito, mi fa piacerissimo! :)
No, purtroppo Bella non riesce a superare il trauma causato dalla perdita di Renée e Phil, le ha cambiato la vita.
Ha sofferto molto, specialmente perchè lei è sopravvissuta e loro no. Poi lei era in auto con loro, ma in questo capitolo si scoprirà qualcosa in più ;)
Ecco la giornata shopping, spero che questo capitolo ti piaccia e non deluda ;)
Un bacione!

Linda88:
Ciao tesorooo!! Scusami sono di nuovo in ritardo ù.ù ma purtroppo con la scuola e vari impegni sto sempre incasinata ç___ç

Allora sono contenta che le emozioni che descrivo arrivino *-* ciò mi rende felicissima davvero! Purtroppo Bella soffre e soffrirà ancora, il suo dolore è profondo e ovviamente non può svanire così.
Sono contenta che l’Edward di questa storia ti piaccia, è particolare ma unico xD Grazie mille per i complimenti che ogni volta mi fai, il tuo parere è importantissimo.
Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, è uno dei capitoli più importanti! ;)
Grazie ancora di cuore <3 un bacione!


Lau_twilight:
ciaooooooo tesora miaaaaa *_____* grazie mille, davvero. Per tutto.
Sono davvero felice che la storia ti piaccia, poi lo sai il tuo parere è davvero importante per me e sapere che ciò che scrivo è decente mi fa felicissima *-*
Sì Bella soffre molto e ho cercato di far capire ciò che prova lei, spero di esserci riuscita almeno in parte. Sì Bella si riavvicinerà a Charlie, stai tranquilla ;)
E per Edward, sì ho sempre amato questo lato del suo carattere: dolce, arrogante e sicuro di sè. Mi affascina *____*
Sì, Edward nasconde anche molta dolcezza e romanticismo... si vedrà proprio qui ;)
Ahahahahah sì, ti uccido sempre con gli spoiler che ti mando in msn xD Ma sta volta mi son tenuta, volevo fosse una sorpresa :P
Perchè questo capitolo è molto importante per me, perchè ci sarà una svolta. E spero di essere riuscita a scriverlo almeno decentemente, altrimenti mi sotterro xD.
Scommetto che appena finisci di leggere questo mi tartasserai su msn ahahahah xDDD Ma non ti dirò nulla, prrrr :P
Grazie tesora, per tutti i meravigliosi commenti che mi fai ogni volta.
Ti voglio troppo bene <3 Un bacione, Elly.


Ila_cullen:
Ciaooooo! Grazie mille cara, sono felicissima che il capitolo ti sia piaciuto.
Grazie, grazie, grazie. Per quanto riguarda Edward è davvero preso da Bella, non è il suo gioco ;)
Ecco il nuovo capitolo, è uno dei più importanti di questa storia ;) Spero ti piaccia, un bacione!


Shasha5:
amora miaaaaaaaaaaaaa *________* ahahahahah ti ho fatto piangere di nuovo? Oh per dindirindina, non me l'aspettavo. Non mi sembrava così triste lo scorso capitolo O.o
non oso immaginare se leggi questo allora ahahahah xD. Sì tratta male Eddino, ma non lo fa con cattive intenzioni. Non insultare la mia Bellina, chiaro?! u.ù
E sì, Bella pian piano riuscirà ad aprirsi, fino ad instaurare definitivamente un rapporto con Charlie, però ci vorrà del tempo ancora.
Ahahahahah in ansia per lo shopping?! Eccoti qua il mio capitolo mia tesora! Anche se però alla fine di questo mi dirai: ma io ora voglio l'altro ç____ç ti conosco troppo bene, muahahahah xDDD
Poi lo ammetto, l'ho fatto finire criptico :P grazie mille per tutti i complimenti che mi fai, sei davvero fantastica.
Tu lo sai che il tuo parere è importantissimo per me e sapere che ciò che scrivo ti piace mi rende felicissima. Grazie, grazie, grazie sei davvero un tesoro. Troppo gentile.
Grazie di cuore, davvero. Spero che anche questo capitolo ti piaccia, è tutto tuo ;) Ti voglio tanto bene amoraaa <3
Un bacione, Elly.


Rebussiii:
ciaooooooooo!!! eheheh si Emmett ed Alice sono troppo forti XD un'accoppiata vincente oserei dire!
Con loro non ci si annoia mai :P mmm cosa combinano dici? bè spero di aver risposto alla tua domanda con il capitolo! Bene cara alla prossima, un bacio :D

grepattz: ciao! Eh si Alice ed Emmett li adoro *-* come potrebbero mancare nella mia storia? :D
Certo per Bella sarà una faticaccia, non posso dirti ovviamente se riuscirà o meno ad uscire completamente dalla sua sofferenza ma posso anticiparti ci proverà! O meglio verrà aiutata :D
intanto credo che in questo capitolo tu troverai un po’ di cose importanti! :D Edward colpisce sempre e non solo agli occhi ma anche al cuore XD avrà colpito anche Bella al cuore? Bè lo scoprirai! ;)
Bene vado adesso baci alla prossima e grazie ^^



Ringrazio di cuore chi mi ha aggiunta tra i preferiti (48 *.*)
chi tra le seguite (126 *.*)
chi tra autori preferiti (9*.*)
e chi tra le ricordate (16 *.*)
e ai lettori silenziosi.

Grazie, grazie, grazie. A tutti voi che mi seguite e leggete la mia storia.
Non so davvero come ringraziarvi per il supporto che mi date. Vi adorooo!
Un bacione, Elly.







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Capitolo 7
*** Me stessa. ***


Ciaooooooo a tuttiiiiii! Dopo una lunga attesa eccomi finalmente tornata!
E ora non vi libererete facilmente di me, muahahahahah xD Avete visto Eclipse?! Io sì, alla prima e... ODDIO! Stavo letteralmente morendo.
Cioè.. cioè.. cioè.. assolutamente meraviglioso! Mi sono venuti i brividi. Poi la proposta è proprio come me la immaginavo... che dire? WOW!
Ok, scusate mi riprendo, ahahahahahah xD Okay, passiamo al capitolo.. qui ci sarà una svolta, per Bella. Non sarà un qualcosa di grande, ma qualcosa cambierà.
Ma non illudetevi, lei deve ancora affrontare i fantasmi del suo passato, perchè ancora la tormentano.
E penso che in questo capitolo l'apprezzerete ;)
Grazie mille per il vostro appoggio, siete fantastici.

E ora la smetto di blaterare, altrimenti non sto più zitta! xD Buona lettura! :)





7. Me stessa.


Pov Bella

Portare una corazza ti evita il dolore, ma ti evita anche il piacere.
Celeste Holm


Ero sola. Vagavo senza una meta. Non vi era nessun rumore intorno a me, nessuna forma vivente... niente di niente, l'unica mia compagna era l'oscurità.

Correvo, l'unica cosa che desideravo era rivedere la luce, tutto quel buio mi spaventava terribilmente. Cominciai ad agitarmi, terrorizzata, fino a quando non vidi una figura non molto distante da dove mi trovavo.
"Bella". Il mio cuore si fermò, avrei riconosciuto quella voce anche a chilometri di distanza.
Mamma. Pensai, mentre un sorriso si dipinse sul mio viso.
Aprii la bocca pronta a rispondere, ma dalle mie labbra non uscì alcun suono. Avevo la gola secca, non sarei mai riuscita a parlare. Avanzai lentamente verso di lei, volevo vederla, volevo sfiorarla e avere la certezza che fosse davvero accanto a me.
Camminavo, impaziente di raggiungerla, ma più mi avvicinavo e più lei si allontanava. No, no, no. Ti prego. Implorai mentalmente, ma questo non bastò a fermarla. Indietreggiò sempre di più, fino a sparire definitivamente dalla mia vista. Chiusi gli occhi e mi lasciai cadere al suolo, stremata.
Perchè non ti vedo? Perchè non sei accanto a me? Perchè?
La mia mente era affollata di domande, a cui non sapevo dare una risposta.
Mi raggomitolai stringendo le ginocchia al petto, in cerca di protezione.

"Isabella. Isabella. Isabella."
Alzai la testa di scatto, qualcuno stava invocando il mio nome.
"Isabella, ti prego - continuò - Ti prego!" supplicò con voce incrinata.
Sentii due braccia prendermi per le spalle, scuotendomi delicatamente.
"Ti prego, apri gli occhi!".
Sempre la stessa voce. No! Avrei tanto voluto rispondere, lasciami in pace, non voglio svegliarmi. Devo vedere mia madre... io devo...
No feci nemmeno in tempo a finire la frase, che fui riportata brutalmente alla realtà.

Aprii gli occhi di scatto e sbattei più volte le palpebre, confusa. Non appena riuscii a mettere a fuoco la stanza mi resi conto di non avere la minima idea di dove mi trovassi. Mi guardai attorno incuriosita e ciò che vidi mi lasciò a bocca aperta: un'enorme camera dalle pareti bianche, all'angolo vi era un enorme armadio e accanto uno scaffale pieno di cd.
Persa nei miei pensieri non mi resi conto che una mano aveva sfiorato la mia. Sobbalzai e mi ritrassi immediatamente, mettendomi a sedere con uno scatto repentino.
"Isabella..." mormorò una voce accanto a me. Alzai il capo, confusa ed incontrai così due splendidi occhi verdi.
"E-Edward?" domandai, rilassandomi. Non potei fare a meno di notare che la mia voce non era altro che un flebile sussurro.
"Ti sei svegliata finalmente" bisbigliò, portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Chiusi gli occhi, beandomi appieno di quel gesto.
"Stai bene?" chiese poi, avvicinandosi lentamente.
"Che è successo?". Ignorai la sua domanda, rispondendo con un'altra.
Strinse la mascella e i tratti del suo viso si irrigidirono improvvisamente.
"Che è successo mi chiedi? - domandò retoricamente. - Beh nulla di grave, a parte il semplice fatto che ti sei buttata in mezzo a strada rischiando di farti investire, niente. Non è successo proprio niente".
"L'ho fatto per quella bambina. Stava per essere investita, rischiava di morire" ribattei prontamente. Non vi era nulla di più importante, quella bambina non poteva morire... non poteva. Ora era salva e il resto non contava.
"E apprezzo questo, il tuo gesto è stato memorabile. L'avrei fatto anche io, ma riflettendo. Non hai minimamente pensato alle conseguenze di ciò che stavi per fare? Non ci hai pensato?" parlò massaggiandosi le tempie, cercando in tutti i modi di mantenere la calma.
"Ora è salva, questo è ciò che conta" sbottai nervosa, esponendo ciò che realmente pensavo.
"TI SBAGLI! - si alzò di scatto in piedi. - Non è solo quello l'importante. Ciò che realmente conta è che tu hai rischiato di morire!".
"Ma..." aprii la bocca, pronta per ribattere, ma mi mise a tacere con un gesto della mano.
"Niente ma. Volevi morire, eh? La tua vita conta così poco per te?!" alzò leggermente la voce, portandosi le mani tra i capelli e prese a camminare per la stanza. Le sue parole mi bloccarono sul posto, non mi aveva mai parlato in quel modo... mai.
"No, non volevo morire" mormorai flebilmente, torturandomi il labbro inferiore per impedire alle lacrime di scendere da un momento all'altro. Abbassai lo sguardo, incapace di sostenere il suo.
Fissai intensamente il copriletto azzurro, cercando in tutti i modi di non pensare. La sua mano andò a posarsi sotto il mio mento e mi alzò delicatamente il viso, in modo tale che i miei occhi ritrovassero i suoi e solo in quel momento mi resi conto che aveva ripreso posto accanto a me.
"Mi sono spaventato a morte. Non ho mai avuto tanta paura in vita mia. - bisbigliò, mentre i tratti del suo viso si addolcirono. - Vederti su quella strada a gemere di dolore, poi inerme tra le mie braccia è stato... atroce". La voce gli uscì rotta, tanto che dovetti concentrarmi per capire quello che mi stava dicendo.
"Se ti fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonato" mormorò, posando la mano sulla mia guancia, accarezzandola delicatamente.
Aprii la bocca e la richiusi immediatamente, non sapevo cosa dire. E solo ora, davanti al suo sguardo tormentato, mi resi conto che le parole non sarebbero bastate per spiegare il mio comportamento e che avevo commesso una grossa cavolata, mettendo a repentaglio la mia vita.
"Mi dispiace..." sussurrai con voce incrinata, portandomi una mano tra i capelli e scompigliandoli. Distolsi nuovamente lo sguardo e - senza che me ne rendessi conto - un attimo dopo mi ritrovai tra le sue braccia, con la testa premuta contro il suo petto. Mi irrigidii e per un breve istante trattenni il respiro. Quel contatto inaspettato mi aveva fatto provare emozioni a me sconosciute.
Le sue labbra si posarono tra i miei capelli, lasciandoci un dolce bacio.
"L'importante è che ora tu stia bene" mormorò, accarezzandomi delicatamente la schiena nel vano tentativo di darmi sollievo.
Lasciai cadere le braccia lungo i fianchi, inerme. E mi lasciai andare, adagiandomi contro il suo corpo, posando stancamente la testa sulla sua spalla. Chiusi gli occhi e cercai di respirare regolarmente, mentre i battiti del mio cuore aumentarono freneticamente.
Mi sentii stranamente bene, rilassata come mai era capitato prima d'ora. Lottai contro le lacrime, che con una grande forza di volontà riuscii a trattenere.
Cosa mi stava accadendo? Mi sentivo così fragile accanto a lui. Desideravo restare sempre così, farmi stringere dalle sue braccia e piangere. Piangere per tutto il dolore che provavo, per liberarmi da quella frustrazione che mi attanagliava lo stomaco da troppo tempo... ma non lo avrei fatto.
Trattenni il respiro, talmente era forte l'intensità di quel mio pensiero.

Scossi il capo, cercando di ritornare alla realtà e mi scostai da lui; alzai lo sguardo e per l'ennesima volta mi scontrai con i suoi occhi verdi. Avrei tanto voluto che le sue braccia fossero ancora intorno alla mia vita; sentii una strana sensazione di vuoto, come se mancasse qualcosa.
Strinsi le braccia intorno al petto, come a voler placare quel vuoto.
"Stai bene?" ripetè di nuovo, forse per l'ennesima volta, scrutandomi intensamente.
"Sì, sto bene. Mai stata meglio". Cercai di sorridere tentando di alleggerire la tensione, ma molto probabilmente l'unica cosa che mi uscii fu una smorfia.
Sentii un tocco delicato sulla guancia, dove la sua mano si era posata, accarezzandomi dolcemente.
"Scusami per prima - mormorò, sfiorando il mio collo. - Non avrei dovuto parlarti in quel modo".
"No, avevi ragione. Sono stata un'irresponsabile, non ho pensato alle conseguenze delle mie azioni. Mi sono comportata da stupida, come al solito. - sorrisi amaramente. - Però non mi sono pentita di quel che ho fatto" risposi seria, guardandolo dritto negli occhi.
Sorrise dolcemente, posando le mani sulle mie spalle.
"Non sei stupida, no. Tu sei altruista e il concetto è diverso. Non vuoi farlo vedere agli altri, ma sono sicuro che sei una ragazza fantastica" sussurrò, spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Scossi la testa e mi alzai in piedi, incrociando le braccia al petto.
"Come fai a dire questo? Non c'è nulla di speciale in me, niente. Perciò per favore non dire cavolate, non lo puoi sapere" sbottai, iniziando ad innervosirmi.
"Hai ragione, non posso saperlo. Non ti conosco abbastanza, non ho nessun diritto di giudicare. Ma questo può sempre cambiare" mormorò, alzandosi dal letto.
Io... io...
Avrei tanto voluto rispondere, ma le sue parole mi avevano pietrificata sul posto, non sapevo cosa dire. Perchè era maledettamente vero, se lui non mi conosceva era solamente colpa mia, non gli avevo mai dato un'opportunità.
Non risposi e lui sospirò, mentre io mi limitai ad abbassare lo sguardo.
Lo sentii avvicinarsi e posizionarsi esattamente di fronte a me.
"Vieni, andiamo in cucina. Dopo quello che è successo penso che una cioccolata calda sia ciò che ti serve" la sua voce era pacata; alzai la testa, titubante e notai che mi stava sorridendo dolcemente. Un sorriso al quale non potei fare a meno di ricambiare, seppur timidamete.
"D'accordo. E cioccolata sia" annuii, lieta che avesse deciso di cambiare argomento.
Mi posò una mano dietro la schiena, invitandomi a seguirlo e così feci. Mi guardai intorno e qualcosa si accese nella mia mente.
"Ma io sono a casa tua?!" urlai improvvisamente, voltandomi nella sua direzione.
"Beh direi proprio di sì - rispose, fissandomi intensamente. - Non dirmi che non te n'eri resa conto". Scoppiò a ridere senza ritegno, appoggiandosi al tavolo con entrambe le mani per non cadere.
"I-io non ci avevo fatto caso. Cioè i-io..." balbettai frasi sconnesse e molto probabilmente le mie guance presero fuoco.
Posò le mani sulle ginocchia, come a volersi sostenere.
Borbottai qualcosa di incomprensibile, totalmente imbarazzata, fino a quando non me lo trovai accanto, una mano sotto il mio mento per alzarmi il viso. Mi fissò negli occhi e nel suo sguardo non vi era più ombra di ironia.
"Sei bellissima quando arrossisci" mormorò sorridendo, avvicinandosi fino a posarmi un dolce bacio sulla fronte. Chiusi gli occhi al contatto delle sue labbra con la mia pelle e presto - troppo presto - si staccò e mi voltò le spalle, dirigendosi verso il fornello.
Strinsi le braccia al petto e sospirai sconsolata. E capii una cosa, ovvero che non ero più in grado di controllare le mie emozioni.

***

Eravamo seduti al tavolo, uno di fronte all'altra. Tra le mani avevo una tazza di cioccolata fumante che di tanto in tanto sorseggiavo; nella stanza non volava una mosca. Ne diedi un altro sorso, dopodichè la posai. Tossicchiai, portandomi una mano tra i capelli.
"Io volevo..." iniziai, ma mi bloccai alzando finalmente la testa, incontrando così il suo sguardo curioso.
"Ho riflettuto molto su quello che mi hai detto e mi sono resa conto che ho sbagliato. Mi sono comportata da stupida e immatura. Non ti ho mai dato l'opportunità di conoscermi e sinceramente non ne ero intenzionata. - sorrisi, cercando di sdrammatizzare. - Però ho capito che sbagliavo e... vorrei provare a conoscerti meglio. Ma ti avviso che non c'è nulla di speciale in me" parlai velocemente, come mai avevo fatto prima d'ora e sperai che avesse capito quel che avevo detto.
Finalmente mi decisi a guardarlo e ciò che vidi mi mozzò il respiro: le sue labbra erano incurvate in un sorriso. Un sorriso meraviglioso, che mai avevo visto sul suo viso. I suoi occhi si illuminarono, come se gli avessi detto una delle cose più belle del mondo... non riuscivo a comprendere la sua reazione.
"Grazie..." mormorò tendendo una mano e posandola sulla mia, che se ne stava inerme sul tavolo. Con la punta delle dita ne accarezzò delicatamente il dorso, lasciando scie infuocate. Aprii la bocca, sconvolta da quella marea di emozioni che stavo provando; troppe in un solo giorno... troppe.
Sorrisi debolmente e mi rilassai.
E solo in quel momento mi resi conto che Edward non mi aveva fatto domande; non mi aveva chiesto il perchè della mia rezione, perchè svenni e perchè urlai. Ne rimasi stupita, ma gliene fui tremendamente grata.

Puntai gli occhi sulle nostre mani unite, fino a quando non sentii il rumore della porta d'ingresso che si apriva.
"Edward, sei a casa?" urlò qualcuno e - nonostante la conoscessi da poco - non potei fare a meno di riconoscere quella voce: Alice.
Ritrassi la mano, come scottata ed incrociai le braccia al petto, cercando di ignorare quella fastidiosa sensazione di vuoto all'assenza del suo contatto.
Sentii dei passo avvicinarsi ed Alice fece il suo ingresso in cucina, lanciando poco delicatamente la giacca sulla sedia.
"Ciao Edward" lo salutò, posandogli un bacio sulla guancia. Dopodichè si voltò nella mia direzione e sgranò gli occhi non appena mi vide.
"Isabella?" domandò, aprendo leggermente la bocca, mentre Edward le lanciava occhiate assassine che non seppi decifrare.
Balbettai qualcosa di incomprensibile e feci per alzarmi, ma un attimo dopo me la ritrovai letteralmente tra le mie braccia.
"Oh Isabella che bello vederti! Scusa per prima, ma non mi aspettavo di trovarti qui" sorrise e finalmente si staccò, dandomi così modo di ritornare a respirare.
Feci per parlare, ma non mi diede nemmeno il tempo di aprire bocca.
"Che cosa stavate combinando voi due, qui da soli?" domandò retoricamente, alzando un sopracciglio. E notai una nota maliziosa in quella sua domanda.
Arrossii di botto e guardai Edward, in cerca di aiuto.
"Assolutamente nulla, stavo offrendo a Isabella qualcosa di caldo. - rispose semplicemente. - E anche se avessimo voluto fare qualcosa non ne avremmo avuto il tempo, dato che tu saresti comunque entrata a rovinare l'atmosfera" sbottò sarcastico, alzando gli occhi al cielo.
"Cosa che non sarebbe mai successa, ovviamente" risposi, lanciandogli un'occhiataccia.
Mi aveva ospitata a casa sua ed era stato così dolce don me, infatti gliene fui grata, nessuno aveva mai fatto così tanto per me. Però sentirlo parlare in quel modo non faceva altro che innervosirmi. Gli avevo concesso di conoscermi e dovevo ammettere che anch'io desideravo ardentemente sapere più cose possibili su di lui, però non mi sarei mai più legata a nessuno.
"Emmett è con Rose, tornerà più tardi. Mentre Jazz dovrebbe essere qui da un momento all'altro" spiegò Alice, interrompendo il silenzio che si era momentaneamente creato.
Guardai di sottecchi Edward, il quale ricambiò il mio sguardo. Cercai di capire a cosa stesse pensando, ma la sua espressione era indecifrabile.
Sentimmo il campanello suonare e lei balzò in piedi, entusiasta.
"Deve essere lui. Bene allora io vado" trillò felice, avvicinandosi. Mi abbracciò teneramente e dopo aver salutato anche Edward uscì dalla porta saltellando. A quella scena un sorriso involontario si dipinse sul mio viso. Alice era una forza della natura e anche se ci conoscevamo da poco dovevo ammettere che era una ragazza davvero divertente.
"Alice è davvero forte..." dissi improvvisamente, spezzando quel fastidioso silenzio.
"Mia sorella non cambierà mai. - ridacchiò, per poi ritornare serio. - Prima non so cosa sia successo, ne il motivo del tuo cambiamento d'umore, ma qualunque cosa ti abbia turbato..." continuò, ma non lo lasciai finire, interrompendolo con un rapido gesto della mano.
"Tranquillo, non ero turbata. Stavo solo pensando a..." mi bloccai, mordendomi il labbro inferiore.
"A cosa stavi pensando?" domandò curioso, inclinando la testa di lato.
"A nulla" mentii, scuotendo lievemente il capo. Alzai lo sguardo e notai che mi stava guardando in modo strano, con un sopracciglio alzato. Scoppiai a ridere, di fronte alla sua buffa espressione.
"Perchè ridi?" chiese mettendo il broncio, fingendosi offeso.
"Sei davvero buffo, hai fatto una faccia!" risi come mai avevo fatto, portandomi una mano davanti alla bocca.
"E così io sarei buffo eh? - domandò retorico avvicinandosi velocemente, annullando la distanza tra di noi. - Rimangia quello che hai detto".
"Nemmeno sotto tortura" risposi, sfidandolo con lo sguardo.
"Peggio per te, allora". Un ghigno si dipinse sulle sue labbra, ma una cosa era certa: non prometteva nulla di buono. Non feci in tempo a capire le sue intenzioni che mi cinse la vita con un braccio, mentre con la mano libera prese a farmi il solletico al fianco destro.
Scoppiai a ridere dimenandomi, ma non riuscii a liberarmi lui era più forte di me.
"B-basta. P-per favore" riuscii a dire tra una risata e l'altra, ma lui non mi diede retta e continuò la sua tortura.
"Rimangia quel che hai detto" ridacchiò, divertito.
"Mai" risposi ridendo, guardandolo dritto negli occhi e finalmente mi liberò, lasciandomi il tempo di respirare.
"Tu non ti arrendi mai. - mormorò avvicinandosi ulteriormente, tanto che potei sentire il suo bacino premere contro il mio. - Ed è per questo che mi piaci". Sorrise, ma notai vi era qualcosa di diverso. Quel sorriso non era sarcastico, ma dolce... meraviglioso.
Non risposi, ma ricambiai il sorriso, con la stessa intensità.
SOlo ora mi resi conto della posizione in cui ci trovavamo: la mia schiena era premuta contro il muro e le sue braccia erano ai lati delle mie spalle. Mi trovavo esattamente tra lui e la parete.
I battiti del mio cuore aumentarono, come se volesse uscirmi dal petto da un momento all'altro. Osservai attentamente il suo viso, in quell'istante i suo lineamenti erano rilassati, aveva uno sguardo così dolce. Alzò una mano e la posò sulla mia guancia, accarezzandola teneramente. Titubante feci lo stesso, posando la mia mano sulla sua e quel contatto mi destabilizzò completamente. Mi sentivo... bene.
Passammo ore o forse minuti, in quella posizione. Avevo completamente perso la cognizione del tempo, fino a quando il mio occhio non cadde sull'orologio appeso alle sue spalle. Erano le 5 e mezza di pomeriggio.

Sgranai gli occhi incredula e mi spostai rapidamente, balbettando frasi senza senso.
"E' tardissimo, Charlie mi starà aspettando..." parlai a raffica, agitata.
"Stai tranquilla. - Mormorò, poggiandomi le mani sulle spalle. - Charlie sa tutto. Ieri sera l'ho chiamato e gli ho detto che saresti rimasta qui fino a quando non ti saresti ripresa. Era molto preoccupato, ma si è calmato quando ha saputo che eri da noi".
"Grazie" risposi sincera, sorridendo timidamente.
"E' stato un piacere e poi l'importante è che tu ora stia bene" disse, guardandomi negli occhi.
Mi riscossi e sorrisi, per l'ennesima volta.
"E' meglio che vada" presi le mie cose e feci per uscire, ma una presa delicata intorno al mio polso mi impedì di muovermi. Mi voltai, ritrovandomi così di fronte a lui.
"A domani" sussurrò, avvicinandosi pericolosamente al mio viso fino a posare per un breve istante le sue labbra sulla mia fronte.
Sorrisi e con passo incerto uscii, sicura che avrei trovato la Porsche di Alice ad aspettarmi per accompagnarmi a casa... e così fu.

***

Ok, calma. Devi restare calma.
Continuavo a ripetermi mentalmente questa frase, mentre esitavo davanti alla porta di casa... mia. Che sarebbe successo se fossi entrata? Mi avrebbe rinfacciato che fossi una stupida irresponsabile? Ovviamente sì. Presi un profondo respiro e dopo un attimo di esitazione varcai la soglia di casa.
Le luci erano accese e sentii il vociare della televisione, andai in soggiorno e trovai Charlie spaparanzato sulla poltrona, profondamente addormentato, con il telefono appoggiato alle gambe. Profonde occhiaie segnavano il suo viso e i lineamenti erano angosciati.
Mi avvicinai titubante e - seppur dopo un attimo di esitazione - lo scossi lievemente.
"Charlie?" lo chiamai, sussurrando. Al suono della mia voce balzò a sedere e si guardò intorno, spaesato.
"Charlie..." lo richiamai.
"Isabella, sei tu? - domandò stancamente e non appena si rese conto che io ero lì sgranò gli occhi, sorpreso. - Oh Bells!" ripetè, alzandosi di scatto e - prendendomi alla sprovvista - mi abbracciò, stringendomi forte a sè. Rimasi immobile, pietrificata.
"Per fortuna stai bene, ero così preoccupato. Se ti fosse successo qualcosa..." blaterò parole senza senso, stringendomi sempre più forte.
Senza che me ne rendessi conto un sorriso si dipinse sul mio viso e alzai le braccia, circondandogli la vita.
"Sì, sto bene..." mormorai, dandogli di tanto in tanto qualche pacca sulla schiena per calmarlo.
"Credevo ti fosse capitato qualcosa. Per fortuna poi Edward mi ha chiamato tranquillizzandomi e assicurandomi che stavi bene, ma che eri caduta in uno stato di semi-incoscienza " disse, staccandosi da me e fissandomi negli occhi.
"Conosci Edward?" domandai confusa, cercando in qualche modo di cambiare argomento.
"Certamente! - L'ombra di un sorriso si dipinse sul suo viso. - Chi non conosce i Cullen? Sarebbe impossibile. Poi Edward è molto ricercato alla Forks High School. Mentre il Dottor Cullen è un marito, un padre e soprattutto un gran lavoratore. E' ammirato, specialmente per l'attività che svolge".
Poi Edward Cullen è molto ricercato alla Forks High School. Non avevo idea di cosa volessero significare quelle parole, ma ero sicura che non portava a nulla di buono. Sicuramente Edward faceva strage di cuori, a scuola. Quella frase continuava a ripetersi incessantemente nella mia testa, destabilizzandomi e sentii una fitta all'altezza del petto, dove vi era il mio cuore.
Scossi il capo, per scacciare quei pensieri e mi sforzai di sorridere, annuendo.
Passammo svariati minuti in silenzio, mentre Charlie si portò una mano sulla testa, imbarazzato, indeciso sul da farsi.
"Come mai sei svenuta?" domandò poco dopo, sedendosi sulla poltrona.
"Io... non..." balbettai frasi sconnesse, in preda all'ansia.
"Bells. - Pronunciò il mio vecchio diminutivo, facendomi rabbrividire. - Ti conosco e so che c'è qualcosa che non va, sono tuo padre. E anche se tu non mi consideri tale, io mi preoccupo per te".
Sospirai e strinsi le mani a pugno.
"Non sono svenuta per lo spavento, no. Ho affrontato cose peggiori. Sono corsa in contro a quella bambina, facendole scudo col mio corpo. - Iniziai a spiegare, mentre lo vidi tremare alle mie parole. - L'auto ha frenato e me la sono trovata a pochi centimetri di distanza, ma non ho avuto paura. L'unico mio pensiero era che la bambina era salva. Però..." feci una pausa, in cerca d'aria, mentre Charlie mi guardava attentamente, preoccupato dal mio improvviso cambio d'umore.
"Ho sentito una brusca frenata, le luci mi hanno stordita e ho rivisto l-la scena nella m-mia mente. Non riuscivo a scacciarla. Più cercavo di allontanarla, più tornava p-prepotente nei miei pensieri". Un singhiozzo sfuggì dalle mie labbra e chiusi gli occhi, stringendo forte le palpebre. Si alzò di scatto e mi ritrovai nuovamente tra le sue braccia.
"Sssh, va tutto bene" mormorò flebilmente, accarezzandomi i capelli.
Mi torturai il labbro inferiore, lottando contro le lacrime che premevano per uscire... e stranamente ci riuscii, mentre un dolore al petto mi mozzò il respiro, stordendomi. Posai la testa sulla sua spalla; sentii le sue mani accarezzarmi dolcemente la schiena, cercando di tranquillizzarmi. Le gambe mi tremarono e non ressero più il peso del mio corpo.
Sentii due braccia sollevarmi delicatamente e i miei piedi non toccarono più il suolo. Lasciai cadere le braccia lungo i fianchi, fino a quando la mia schiena andò a sfiorare qualcosa di morbido.
"Riposati Bells" la sua voce fu solo un sussurro, ma che riuscii comunque a sentire. Mi sfiorò la fronte e a passo lento si diresse fuori dalla camera, chiudendo la porta.
Mi girai su un fianco, in posizione fetale e lasciai che il mio corpo si rilassasse, beandomi del calore delle lenzuola.
Affondai il viso nel cuscino e caddi in un sonno - fortunatamente - senza sogni.

***

"Bells, hai preso tutto?" urlò Charlie, dalla cucina.

Bells. Respirai profondamente, per evitare di urlare e misi lo zaino in spalla.
"Sì Charlie, ho preso tutto" risposi con voce neutra.
Sentii i suoi passi e mi raggiunse in soggiorno.
"Mi raccomando, stai attenta e..." iniziò, ma lo bloccai con un rapido gesto della mano. La sua preoccupazione mi fece sorridere.
"Stai tranquillo, sto bene" lo ammonii, indicandomi.
"Lo so, solo che... mi preoccupo" ammise imbarazzato, grattandosi il capo.
"E non c'è nulla di cui preoccuparsi, d'altronde sarò a scuola -
sorrisi, mentre bevevo una sorsata di latte direttamente dal cartone. - e ora vado, altrimenti arrivo tardi" lo salutai con un cenno del capo e feci per uscire, ma la sua voce mi bloccò sul posto.
"Ah! Prima che me ne dimentichi: c'è una persona che ti aspetta fuori" urlò per farsi sentire. Mi voltai confusa, ma non riuscii a chiedergli spiegazioni, poichè si era già defilato in camera sua.
Sospirai, alzando gli occhi al cielo, dopodichè mi decisi ad uscire di casa. Mi chiusi la porta alle spalle e non appena alzai lo sguardo le parole mi morirono in gola: parcheggiata nel vialetto vi era una Volvo c30 metallizzata, che avrei riconosciuto anche a chilometri di distanza.
Una domanda continuava a ripetersi nella mia mente: che vi faceva lui qui?
Mi avvicinai, curiosa. Non appena mi vide abbassò il finestrino e incontrai così il suo sorriso, al quale non potei fare a meno di ricambiare.
"Che ci fai qui?" domandai, portandomi una mano tra i capelli, scompigliandoli.
"Non fare domande e sali. Ti accompagno a scuola" il suo sorriso si allargò, tanto che potei vedere una schiera di denti bianchissimi. Scossi lievemente la testa e col sorriso sulle labbra aprii la portiera, accomodandomi al posto del passeggero.
Si sporse verso di me, posandomi un lieve bacio sulla fronte. Chiusi gli occhi a quel contatto, ignorando il battito frenetico del mio cuore.
"Forza Cullen, andiamo. Non vorrai arrivare tardi" lo scimmiottai, una volta regolarizzato il respiro.
Gli angoli della bocca gli si incurvarono in un sorriso e, dopo avermi accarezzato teneramente una guancia, partì a tutta velocità.

Osservai attentamente il suo viso, il suo naso, i suoi occhi e... le sue labbra. E, per la prima volta, mi ritrovai a pensare che era assolutamente ed indiscutibilmente bellissimo.
Un sorriso involontario si dipinse sul mio viso e chiusi gli occhi, imprimendomi il suo viso nella mia mente. Mentre il leggero venticello mi scompigliava i capelli e dolcemente mi accarezzava il viso.




Scusate, scusate, scusateee. Non ho fatto in tempo a rispondere alle recensioni, ma ho voluto postare direttamente oggi, per non farvi aspettare.
Ma prometto che entro domani pomeriggio troverete qui tutte le risposte.


Grazie di cuore a tutti, siete assolutamente fantastici. Il vostro parere è davvero importante per me.
Non smetterò mai di ringraziarvi, di cuore.

Vi adoroooooooooooooooooooo! <3


_Risposte alle recensioni_


Eva17: Ciaoooooooo! Grazie milleee, sono davvero felicissima che il capitolo ti sia piaciuto. Grazie, grazie, grazie. Esattamente, molte cose che Bella fa le ricordano Renèe e Phil.
Non riesce a controllare i suoi pensieri, perciò cerca semplicemente di non pensare, vivendo tranquillamente. Però quella macchina le ha riportato alla memoria la notte dell'incidente.
E la fine è stata la parte più difficile da scrivere, volevo far capire cosa provassero Ed e Bella, esternare le loro emozioni. Spero di essere riuscita almeno in parte. In questo capitolo invece ci sarà una svolta tra loro.
Spero che ti piaccia. Grazie mille ancoraaa. Un bacioneeee ;)

vanderbit: ciaoooo! Grazieeee mille, sono felicissima che il capitolo ti sia piaciuto *-* ecco finalmente son riuscita a postare, ti è piaciuto il risveglio? ;)
spero che anche questo capitolo sia di tuo gradimento! :) un bacione!

winter12: ciaoooo caraaaaa! Grazie, grazie, grazie! Mi commuove sapere che a qualcuno piace la mia storia e il mio modo di scrivere, mi rende felicissima.
Ed ecco finalmente il nuovo capitolo, spero davvero ti piaccia :) Un bacione!

linda88: tesoroooooooooooooooo! Grazie, grazie, grazie! Sono davvero felicissima che lo scorso capitolo ti sia piaciuto. Ci ho messo tutta me stessa per scriverlo e sono felice che sia uscito almeno qualcosa di decente.
La fine è la parte a cui tenevo di più volevo far capire il dolore di Bella e ciò che provasse Edward.. spero di esserci riuscita. Ecco il nuovo capitolo, finalmente dopo un mese d'attesa ce l'ho fatta a postareee, waaaa xD
Spero che anche questo ti piaccia *-* Ti adorooooooooooooooo <3 Un bacione <3

ELLAPIC: Grazieee milleee, sono davvero felicissima che la mia storia ti piaccia. Grazie, grazie, grazie *-* e a quanto puoi vedere Bella si è in parte ricreduta su Ed. Infatti ha accettato di "frequentarlo".
Spero che anche questo capitolo ti piaccia :) Un bacione!^^

grepattz: Grazie, grazie, grazie *-* sì, Bella cerca in tutti i modi di reprimere il dolore che prova. Vuole essere forte e non mostrare agli altri ciò che realmente prova.
Ci sono delle volte in cui si chiude in se stessa, mentre altre volte in cui si comporta in modo stupido. Però una cosa è certa: l'amore delle persone che ti sono accanto sono in grado di lenire qualsiasi ferita.
Mmm qui posso dire che c'è un gran passo avanti, no? ;) spero che anche questo capitolo ti piaccia. Un bacioneeeee!

Lau_twilight: Tesoraaaaaaaaaaaaaaaaa, oddio grazieeeeee! Sono davvero felicissima che il capitolo ti sia piaciuto, il tuo parere è davvero importante per me.
Mmm sì, ma non mea culpa, i miei spoiler sono così dolci e coccolosi. Muahahahah *faccina d'angelo*.
Sì, ho voluto mostrare il coraggio di Bella. Lei voleva salvare quella bambina, può sembrare una persona egoista, ma non lo è.
Lei si mostra così a causa del dolore che prova e sbaglia assolutamente, la cosa migliore sarebbe essere se stessi con le persone che si amano. E lei lo capirà. Edward è dolce, divertente... unico e le starà vicino.
Bella ha bisogno di qualcuno che non la lasci, mai. L'impatto con l'auto le ha ricordato la notte dell'incidente, in cui Renée e Phil morirono. E soffre, cadendo in uno stato di semi-incoscienza.
Mmm ma fortunatamente devo dire ha avuto un buon risveglio, non trovi? :P
Grazie mille ancora, per tutti i complimenti che mi fai e per il tuo appoggio. Ti voglio troppo bene tesora <3 Un bacione!

ila_cullen: ciaooooooo, grazie milleeee! Son felicissima che lo scorso capitolo ti sia piaciuto! Oddio ti ho fatto quasi piangere? O.o Oh my god, era così triste? O.o grazie mille ancora, spero che anche questo ti piaccia! Un bacione! :)

Rebussiii: ciaoooooo! Ahahahahah, esattamente Bella meritava una statua nello scorso capitolo, ma anche qui non è da meno vero? :P
Mmm Bella non l'ha allontanato, non ha avuto la forza di farlo. Così come con Charlie... direi che sta facendo progressi ;) Grazie mille ancora, spero che anche questo capitolo ti piaccia! :) un bacione!

Emma92: ciaooooooo caraaaa. Oddio grazie, sono davvero felice che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, spero sia così anche per questo. I tuoi commenti mi fanno sempre piacere. Grazie, grazie, grazie. Sei sempre dolcissima! Un bacioneee <3

Shasha5: amoraaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa. Grazie, grazie, grazie! Davvero, non so come ringraziarti per il supporto che ogni volta mi dai, sei un angelo <3
Sono davvero felicissima che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, il tuo parere è importantissimo per me.
Ahahahah, giuro non mi convinceva per nulla, così come questo che ho scritto. Anzi forse questo è peggio dell'altro -.-" oddio ti ho fatta piangere? O_____O nooooooo, era così triste?! O.o
sì, l'auto stava per investire Bella, ma fortunatamente non è successo (non potrei mai fare una simile cosa alla mia Bella O___O), ma l'accaduto ha acceso in lei ricordi dolorosi, troppo dolorosi.
Qui può sembrare che abbia affrontato il trauma, ma non farti ingannare mi raccomando ;) eh Edward sarà molto d'aiuto, come in questo capitolo *-*
lei ha bisogno di un appoggio stabile e... Edward ci sarà per sempre? Booooh :P
Grazie ancora per i complimenti, tu sei troppo gentile con me <3
Ti adoroooooooooooooooooooooooooo troppoooooooooooooo <3<3<3
Un bacioneeeeeeeeeeeeeee!

MirkoCullen96: Ciaooooooo! Scusaaa se ti rispondo solo ora, ma non mi ero proprio accorta che non avevo risposto a tutte le recensioni.
Scusa, scusa, scusa. *Me proprio scema a volte*. Ma ora rimedio subito!
Che dire? Grazie di cuore sono davvero felicissima che la mia storia di piaccia. Non so davvero come ringraziarti: grazie, grazie, grazie.
Adoro le tue recensioni, mi fanno sempre sorridere! :) Comunque passando allo scorso capitolo: sì, ce l'avevo in mente da un casino di tempo.
Mentre questo la prima parte ce l'avevo in mente, mentre la seconda parte è improvvisata. però spero che sia comunque uscito qualcosa di discreto ;)
E sì nello spogliatoio Edward con la bocca spalancata tipo i cartoni animati, ahahahahahahah xDDD
Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e tranquillo il prossimo è già quasi pronto ;)
grazie mille per i complimentiiiiiii! Un bacioneee, Elly.
Ps: corro a leggere la tua storia ;)




Grazie di cuore anche chi mi ha aggiunta tra preferiti e seguite.
Siete fantasticiii, vi adorooooooooooo <3

Un bacione, Elly.






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Capitolo 8
*** Parco acquatico. ***


Buona seraaa a tuttiiiiiii! Come state? Spero bene! :D
E finalmente eccomi quiiiiiii, ci ho messo parecchio a scrivere questo capitolo, perchè non mi convinceva volto all'inizio.
Infatti l'avrò riscritto circa cinque volte, continuavo a ritoccarlo, ma finalmente ora è uscito xD
Spero davvero che vi piaccia e che non vi deluda. Qui c'è un piccolissimo passo avanti e un leggero sviluppo tra il rapporto Edward/Bella.
Il prossimo capitolo sarà di passaggio, mentre il 10... beh il 10, sto zitta che è meglio :P

Cioè ci rendiamo conto che siamo già ad agosto?! Ci rendiamo conto?! O____o a me sta già prendendo il panico u.ù
Okaaaaaaay, la smetto di blaterare altrimenti non smetto più ahahahah xD Buona letturaaaaa!



8. Parco Acquatico Oltremare.


"Perchè cerchi la gioia fuori da te,
non sai che la puoi trovare solo nel tuo cuore?"

Tagore


Pov Edward

"Forza ragazzi, aprite il libro a pagina 247. - Era da più di un'ora che il professore continuava imperterrito a spiegare, senza rendersi conto che nessuno lo stava ascoltando. - E vi consiglierei di stare bene attenti, dato che la settimana prossima ci sarà il compito in classe". Quando pronunciò l'ultima frase la classe si risvegliò e il silenzio venne spezzato da un fastidioso brusio di sottofondo.
Sbuffai sonoramente, annoiato e mi appoggiai al banco. Sembrava che il tempo non passasse mai, mentre l'unica cosa che desideravo era che quella maledettissima e noiosissima lezione avesse fine.
Un movimento impercettibile alla mia destra mi destò dai miei pensieri. Mi voltai, scontrandomi così con i suoi splendidi occhi castani; ogni volta che la guardavo non potevo fare a meno di pensare che era bellissima. Era passata esattamente una settimana dal giorno in cui rischiò di essere investita e d'allora il nostro rapporto era nettamente migliorato, dal momento che aveva deciso di concedermi un'opportunità.
Un sorriso involontario si dipinse sul mio volto mentre la osservavo: la sua espressione era palesemente annoiata, tanto che continuava a guardare l'orologio, sbuffando di tanto in tanto.
Dopo minuti - che a me parvero ore - finalmente la campanella suonò, annunciando la fine della lezione.
Sospirai sollevato ed afferrai lo zaino, balzando in piedi.
"Come mai sei così entusiasta?" mi domandò Isabella, mentre ci dirigevamo a mensa.
"Non vedevo l'ora che la lezione finisse, era davvero una noia mortale" spiegai semplicemente, con un'alzata di spalle. Togliendo però un piccolo particolare, ovvero che desideravo passare del tempo con lei.

"Edward, siamo qui!" mi chiamò una voce, che avrei riconosciuto anche a chilometri di distanza... Alice.
Mi guardai attorno cercandoli con lo sguardo, fino a quando non li vidi, seduti ad un tavolo all'angolo della mensa.
Mi voltai verso Isabella, sorridendole dolcemente. Ricambiò timidamente, mentre io la prendevo per mano, raggiungendo così i miei fratelli.
"Che stanchezza" borbottai e mi lasciai cadere sulla sedia, mentre lei si accomodò lentamente, un pò titubante.
"Cos'è Edward, durante la lezione di biologia ti sei affaticato troppo? - Ridacchiò Emmett, prendendomi alla sprovvista. - Ed io che ero sicuro che Lauren non fosse con te al corso di biologia" disse pensieroso, portandosi una mano sotto al mento.
Sentii Isabella accanto a me irrigidirsi e le sue mani si chiusero a pugno. Mi voltai lentamente per guardarla in volto, ma non appena capì che la stavo osservando abbassò la testa, celandomi così il suo sguardo.
"Emmett! - urlò improvvisamente Alice, facendomi sobbalzare. Era furiosa, come se anche lei si fosse resa conto della strana reazione di Isabella. - Ma non dire stronzate, per favore!". Gli diede uno schiaffo - non molto amichevole - sulla testa.
Emm borbottò qualcosa di incomprensibile, massaggiandosi la parte dolorante, mentre Alice continuava a imprecargli contro a bassa voce.
"No, fortunatamente Lauren non frequenta il mio stesso corso". Risi divertito, alzando gli occhi al cielo, non sarebbero cambiati mai.
Isabella sciolse la sua postura rigida, iniziando a rilassarsi.
Scossi lievemente il capo, delle volte la mia mente giocava brutti scherzi.
"Già. - Rispose Emmet, annuendo. - Però c'è sempre la cara Isabella, non dimenticarlo Edward" continuò imperterrito a sparare cavolate.
All'udire quelle parole lei scoppiò a ridere, portandosi una mano davanti alla bocca.
"Ti conosco da poco più di una settimana e ho già capito che tipo sei" disse Isabella, incrociando le braccia al petto.
"Davvero? E che tipo sarei, sentiamo Bellina" sorrise Emmett, sfidandola.
"Scommetto che la sera quando c'è la finale di football preferisci spaparanzarti sul divano e guardarti la televisione, invece che uscire con la tua ragazza. Scommetto che sei un ragazzo divertente, sempre con la battuta pronta. - Iniziò lei, mentre sul viso di Emmett si dipinse un sorriso compiaciuto. - E scommetto che la cosa che più adori fare è giocare la sera con la tua ragazza. Ma ti do un consiglio Emm: non affaticarti troppo, sei ancora giovane. Altrimenti dovrai prendere il polase già a questa età" concluse il discorso, poggiandosi allo schienale della sedia. Il sorriso sul viso dell'orso sparì, lasciando spazio a un'espressione sconvolta.
Io ed Alice ci scambiammo una rapida occhiata, scoppiando poi a ridere sotto il suo sguardo indignato.
"Fratello, ha già capito tutto di te!" lo presi in giro, dandogli un pugno scherzoso sulla spalla.
Borbottò qualcosa di incomprensibile, arrossendo imbarazzato. Per una buona volta qualcuno era riuscito a farlo tacere.
"Ed è per questo che mi stai già simpatico" aggiunse Bella, sorridendo teneramente.
Di una cosa ero del tutto certo: ovvero che Alice ed Emmet già adoravano Isabella.

***

"Isabella, mi vuoi dire che succede?" le domandai per l'ennesima volta, preoccupato. Se ne stava seduta da parecchi minuti ormai, con le mani ancorate alla panchina.
Da quando il professore aveva annunciato che i ragazzi avrebbero dovuto giocare a basket e le ragazze a pallavolo era letteralmente entrate nel panico, rifugiandosi nell'angolo più remoto della palestra. Rifiutandosi categoricamente di unirsi alle altre compagne.
"Nulla" rispose semplicemente, come se fosse la cosa più ovvia al mondo.
"Se davvero non avessi nulla come dici tu a quest'ora saresti già in campo con le altre ragazze e non qui ancorata alla panchina" le spiegai gentilmente, alzando gli occhi al soffitto.
"E va bene. - Sbuffò. - L'ultima volta che ho giocato a pallavolo mi sono slogata la caviglia e mentre stavo per tirare la palla ho preso in testa due ragazze, per di più della mia stessa squadra. In poche parole: sono una schiappa!" borbottò istericamente, in preda al panico.
Riuscii a reprimere un sorriso.
"Non è solo questo che ti preoccupa, vero?" le domandai teneramente e mi inginocchiai alla sua altezza, posando le mani sulle sue ginocchia.
Aprii e richiuse la bocca, indecisa se dirmi o meno quello che le stava passando per la mente.
"No, è solo questo che mi preoccupa" rispose infine, torturandosi il labbro inferiore.
Sospirai, delle volte mi sembrava così fragile. Alzai una mano, titubante e la posai sulla sua guancia, accarezzandola delicatamente.
Alzò la testa di scatto, confusa dal mio gesto.
"Vedrai che andrà tutto bene. Non ti slogherai la caviglia e le tue compagne usciranno immuni da questa partita" sorrisi, cercando di rassicurarla e mi alzai, porgendole la mano.
Mi guardò per un minuto interminabile e - dopo un attimo di esitazione - afferrò la mia mano, seguendomi al centro della palestra.

Mi avvicinai a lei, ignorando completamente tutti gli altri studenti, baciandole lievemente la fronte.
Quando le mie labbra toccarono la sua pelle chiuse gli occhi, come per bearsi appieno di quel mio semplice gesto.
Le sorrisi un'ultima volta, dopodichè raggiunsi i ragazzi che mi aspettavano sul campo da basket, impazienti di giocare.

Pov Bella

Cercai di regolarizzare il respiro, ma con scarsi risultati. L'emozione che stavo provando in quel momento era troppo forte per essere placata. Il mio cuore prese a battere freneticamente, come se volesse uscirmi dal petto.
Chiusi gli occhi e per un breve istante mi lasciai trasportare dalle emozioni che avevo provato quando le sue labbra avevano sfiorato la mia fronte: la sensazione di vuoto che spesso provavo era placata, sostituita da un piacevole benessere. Mi ero sentita... completa.
Un sorriso involontario si dipinse sul mio volto. Edward.
"Isabella! - Urlò qualcuno. - Muoviti, è il tuo turno di battuta!".
Aprii di scatto gli occhi e fui brutalmente riportata alla realtà, perchè solo ora mi resi conto di essere in palestra, durante una partita di pallavolo. Sbattei più volte le palpebre, cercando di risvegliarmi dallo stato di semi-incoscienza nel quale ero momentaneamente caduta.
"Sì" risposi semplicemente, prendendo la palla e posizionandomi dietro la linea bianca. Sospirai sconsolata e - seppur dopo un attimo di esitazione - schiacciai, ma naturalmente la palla non finì nell'altro campo e andò a schiantarsi contro la rete.
"Lo sapevo che la Swan non era nemmeno in grado di colpire una palla" commentò acidamente la voce inconfondibile di Lauren. Mi morsi la lingua, imponendomi di non rispondere; non volevo che la situazione peggiorasse ulteriormente. Così restai in silenzio e la partita continuò.

23 a 24.
Il tabellone segnava il seguente punteggio. Alla squadra avversaria mancava esattamente un punto e si sarebbe aggiudicata la vittoria, l'unica possibilità che avevamo di vincere era pareggiare.
"Forza ragazze, possiamo farcela" disse Jessica, sicura di sé.
Toccava a Lauren battere; non appena si mise in posizione il suo sguardo incontrò il mio e un ghigno divertito si dipinse sul suo viso. Schiacciò con una potenza inaudita; non feci nemmeno in tempo a decifrare la sua espressione divertita che vidi la palla arrivare velocemente verso di me. Non riuscii a schivarla e mi colpì in pieno viso.
Caddi a terra, sostenendo il peso del mio corpo con le braccia. La testa iniziò a pulsare violentemente, ma ignorai il dolore. La mia attenzione era completamente rivolta al commento sprezzante che spezzò il silenzio.
"Ma chi ce l'ha fatta venire qui. Che se ne ritorni a Phoenix dai suoi genitori. Forse là si che è ben accetta" sbottò Lauren, risentita.
Chiusi gli occhi, sentendo le braccia cedermi. Sentii un vociare attorno a me: qualcuno rideva, divertito. Qualcuno era preoccupato ed invocava il mio nome.
"Isabella!" urlò improvvisamente la sua voce, sovrastando le altre. Avrei voluto rispondere, tranquillizzarlo. Ma le forze mi mancarono e mi lasciai cadere sul pavimento, perdendo i sensi.

***

Mani gentili e rassicuranti mi accarezzavano delicatamente. La schiena, i capelli e infine il viso. In quel momento l'unica cosa che desideravo fare era aprire gli occhi, ma le palpebre erano troppo pesanti.
"Isabella". La sua voce invocava dolcemente il mio nome. Mugugnai qualcosa di incomprensibile; la sua risata cristallina mi giunse alle orecchie, scaldandomi il cuore.
Mi girai su un fianco e con fatica riuscii ad aprire gli occhi, scontrandomi così con le sue splendide iridi verde smeraldo. Mi osservava preoccupato, ma non appena vide che ripresi conoscenza un dolce sorriso si dipinse sul suo viso. Un sorriso che fu in grado di stordirmi.
"D-dove sono?" domandai intontita, mettendomi a sedere.
"In infermeria" rispose semplicemente, accomodandosi sul letto accanto a me.
"E che ci faccio qui?" chiesi, confusa. Mi guardai attorno, ispezionando la stanza dalle pareti bianche.
"Non ti ricordi? - Domandò retoricamente. - Tu e le ragazze stavate giocando a pallavolo. Vi mancava un punto al pareggio, quando tu hai ricevuto una pallonata in pieno viso" mi spiegò gentilmente. Non appena ascoltai le sue parole tutto mi fu chiaro.
"Lauren! - Esclamai, alzando leggermente la voce. - E' stata lei a colpirmi, l'ha fatto apposta!" sbottai, agitandomi. Ma fu un grande errore, perchè la testa mi pulsò dolorosamente. Trattenni a stento un gemito, ma non gli sfuggì la mia smorfia.
"Stai bene?" domandò preoccupato, avvicinandosi pericolosamente.
"Sì" balbettai flebilmente. Percepii un tocco caldo sulle guance, alzai lo sguardo e vidi che le sue mani mi stavano tenendo delicatamente il viso.
"Mi era solo venuta una fitta alla testa, ma è già passata" dissi abbassando lo sguardo, incapace di sostenere il suo. Il mio cuore prese a battere furioso nel petto, scandendo i secondi.
"Mi dispiace. Non pensavo che arrivasse a questo punto. - Mormorò, incatenando i nostri occhi. - E per le stupide parole che ti ha detto". Molto probabilmente continuò a parlare, ma non lo ascoltai. La mia attenzione era focalizzata sul ricordo delle parole di Lauren: Ma chi ce l'ha fatta venire qui. Che se ne ritorni a Phoenix dai suoi genitori. Forse là si che è ben accetta.
Mi sentii improvvisamente vuota, incompleta. Come se quelle semplici parole avessero spezzato la mia barriera, penetrandomi nel cuore.
"Se ha fatto questo è perchè è invidiosa, ti considerava una specie di intralcio tra me e lei. - La voce di Edward mi distolse dai miei pensieri. - Mi dispiace che ti abbia coinvolta" ripetè di nuovo, mortificato.
"Tranquillo, non è un problema. Sto bene. - Finsi un sorriso, cercando si essere rassicurante. - Ma c'è mai stato qualcosa tra di voi?" domandai intimorita, cambiando completamente argomento.
Non appena mi resi conto di ciò che avevo chiesto mi portai una mano davanti alla bocca, sconvolta.
"S-scusa, io non avrei..." balbettai frasi sconnesse, ma prontamente mi bloccò.
"No, non c'è mai stato nulla tra di noi. E mai ci sarà" disse frettolosamente.
"Davvero?" chiesi speranzosa, alzando un sopracciglio. Per un istante l'indecisione apparve sul suo volto, aprì e richiuse la bocca. Sospirò, passandosi una mano tra i capelli.
"Davvero" rispose semplicemente, mentre con una mano mi spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Non ne sapevo il vero motivo, ma stranamente gli credetti.
Non riuscii a trattenermi e sul mio viso si dipinse un sorriso. Chiusi gli occhi, appoggiandomi completamente alla sua mano. Con un solo tocco era in grado di provocarmi emozioni indescrivibili.

"Edward" lo chiamai all'improvviso, allarmata.
"Sì?" domandò alzando la testa, fissandomi intensamente.
"L'infermiera. Il professore...?". La testa pulsò, ma ignorai il dolore.
"Sssh, stai tranquilla. - Mi zittì, posandomi un dito sulle labbra. - Hanno chiamato tuo padre alla centrale, avvisandolo dell'accaduto. E io mi sono offerto volontario di accompagnarti a casa, ovviamente" mi comunicò, sorridendo sghembo. Si alzò in piedi e mi porse la mano, che afferrai immediatamente senza indugi.
Intrecciò le nostre dita e insieme ci avviammo fuori dall'edificio.
"Sai dove abito, vero?" lo presi in giro, spingendolo scherzosamente.
"Certo che sì, tutti sanno dove abita il signor Swan. - Disse, facendo spallucce. - Però ora non andiamo a casa tua, ti porto in un posto".
"Come? Non mi porti a casa?" domandai, strabuzzando gli occhi.
"No, andiamo da un'altra parte prima" rispose, come se fosse la cosa più ovvia al mondo.
"E dove mi dovresti portare, per l'esattezza?" chiesi, incrociando le braccia al petto.
"Sorpresa" esclamò, inchiodandomi con i suoi splendidi occhi verdi.
"Ma..." dissi, ma non mi diede il tempo di concludere la frase.
"Niente ma" rispose. E solo ora mi accorsi che eravamo davanti alla sua auto.
"Charlie, si preoccuperà se non mi vede tornare subito a casa..." provai a ribattere, ma prontamente mi bloccò.
"Per quello che so alla centrale lavorano fino a sera, quindi fino all'orario di cena dovresti avere campo libero. - Iniziò, ma si rese conto che non mi avrebbe smosso di un millimetro. - Per favore, non farti pregare" continuò, guardandomi dolcemente.
Sospirai rassegnata, fissandolo negli occhi.
"Okay, va bene. - Sbuffai. - Ma te la do vinta solo per questa volta" borbottai, puntandogli un dito contro il petto.
"Va benissimo" sussurrò, mentre uno splendido sorriso si dipinse sul suo volto.
Mi aprii la portiera. Scossi la testa, ridendo ed entrai in auto senza esitazioni. Si accomodò dalla parte del guidatore e mise in moto, verso una meta a me sconosciuta.

***

Era da più di un'ora che stavamo viaggiando. L'auto sfrecciava velocemente per le strade e io non avevo la minima idea di dove mi stesse portando, ma di una cosa ero sicura: non ci trovavamo più a Forks.
"Edward, dove ci troviamo? Siamo arrivati?" domandai per l'ennesima volta.
"Sì, siamo quasi arrivati" rispose, guardandomi di sottecchi.
"Sarà la quarta volta che mi dici che siamo quasi arrivati. - Sbottai, sillabando bene la parola quasi. - Ed è da più di un'ora che siamo in viaggio!" borbottai risentita, incrociando le braccia al petto.
Si voltò leggermente nella mia direzione, ridendo divertito.
"Ora lo siamo davvero, guarda con i tuoi occhi" ridacchiò, parcheggiando in uno spiazzo. Scese dall'auto e venne dalla parte del passeggero, aprendomi la portiera. Senza esitazioni afferrai la sua mano e mi lasciai condurre sul marciapiede.
"Non vuoi proprio dirmi dove mi porti, vero?" domandai retoricamente, alzando un sopracciglio.
"No. Sorpresa" ripetè nuovamente. Sbuffai infastidita, borbottando qualcosa di incomprensibile persino alle mie orecchie. Mi guardai attorno: le persone passeggiavano beatamente, ridendo e scherzando; le strade erano trafficate. Solo ora mi resi conto che quel posto mi era maledettamente famigliare.
"Siamo a Seattle?" chiesi all'improvviso, sbattendo più volte le palpebre.
"Come fai a sapere che... - Iniziò a parlare ma non concluse la frase, scuotendo lievemente il capo. - Niente domande, presto vedrai" disse, sorridendo sghembo. Alzai gli occhi al cielo, tutto questo mistero non faceva altro che agitarmi ulteriormente.

Camminammo per un tempo indefinito, fino a quando non ci trovammo di fronte a un enorme cancello. Non potei non notare la scritta che vi era sopra: Parco Oltremare. Aprii la bocca, ma dalle mie labbra non uscì alcun suono.
Non mi diede il tempo di parlare, che mi prese per mano e mi condusse all'ingresso. Davanti a noi si parò una distesa d'erba, il prato era ben curato e vi erano fiori di ogni tipo. Mi soffermai a osservare i colori, uno ad uno, fino a quando il mio sguardo non si posò su qualcosa di altrettanto meraviglioso: un'enorme vasca, l'acqua era talmente limpida che riuscivo quasi a vederne il fondo. Era di un azzurro cielo, un colore così acceso che per un istante mi ricordò il mare di Phoenix.
Stavo per cedere ai ricordi, ma qualcosa attirò la mia attenzione: all'interno della vasca vi erano degli addestratori, intenti a far esibire cinque delfini. Per un breve istante trattenni il respiro.
Mi voltai immediatamente verso di Edward, mentre un sorriso si dipinse sul mio viso.
"M-mi hai portata in un parco acquatico?" domandai balbettando. La mia voce non era altro che un flebile sussurro.
"Sì. - Rispose, incatenando i nostri sguardi. - Ho pensato che ti sarebbe piaciuto, d'altronde tutti amano i delfini" mi spiegò con un'alzata di spalle, cercando di apparire indifferente.
"Hai indovinato, amo i delfini" ammisi, mentre fissavo ammirata quelle splendide creature nuotare pacifiche.
All'udire le mie parole sorrise, un sorriso che mi scaldò il cuore.
"Allora avviciniamoci, è un peccato stare così lontani" disse e mi posò una mano dietro la schiena, invitandomi ad avvicinarmi ancora di più alla vasca. Richiesta che non tardai a esaudire.
Si trattava di un'enorme area acquatica tematizzata con rocce, cascatelle e palme.
Mi sedetti sul bordo, fissando intensamente quegli splendidi mammiferi. Avevo sempre amato i delfini, li consideravo animali molto affascinanti, in grado di rapire l'attenzione. I loro movimenti sinuosi riescono ad ammaliare, suscitando forti emozioni e infinita curiosità in chi li osserva.
Si muovevano leggiadri, formando dei cerchi perfetti fuori dall'acqua. Dire che erano bellissimi era un insulto.
"Ti è piaciuta la sorpresa?" mi chiese in un sussurro. Mi voltai leggermente e solo ora mi resi conto che si era accomodato accanto a me. Non risposi, mi limitai a sorridere. Ma, come si dice, delle volte un sorriso vale più di mille parole e sperai che lui l'avesse compreso.

Per un tempo indefinito rimasi a guardarli cavalcare le onde, fino a quando uno dei cinque delfini si avvicinò a noi. Con il muso andò a sfiorarmi la gamba, solleticandola dolcemente.
Tesi una mano, titubante e gli accarezzai piano il capo. Percorsi con lentezza tutto il suo profilo e - nonostante già lo sapessi - mi stupii di quanto fosse liscia la sua pelle. Quando gli sfiorai la pancia - mettendo forza sulla coda - si mosse verso l'alto, tracciando nell'aria un cerchio invisibile. Risi felice, mentre lui tornava dai suoi compagni.
"E' bellissimo" mormorai, appoggiando la testa sulla sua spalla.
"L'unica cosa che m'importa è che tu sia felice" sussurrò flebilmente, più a se stesso che a me, poggiando la guancia sul mio capo. Ed insieme continuammo a bearci dello spettacolo che ci si presentava davanti ai nostri occhi.





***


Camminavamo per le strade di Seattle. La mia mente era altrove, l'unica cosa che riuscivo a percepire era la mano di Edward, che stringeva dolcemente la mia. Le nostre dita intrecciate, la sua stretta m'infondeva sicurezza.
Prima, quando eravamo al parco acquatico la mia concentrazione era dedicata esclusivamente ai delfini, ma ora i miei pensieri si erano incentrati su... loro.
Tutto di quel posto non aveva fatto altro che ricordarmi Phoenix: l'acqua limpida, le risate, le passeggiate... tutto.
"Isabella... - La voce di Edward mi destò dai miei pensieri, facendomi rinsavire. - Stai bene?" domandò, preoccupato dal mio improvviso cambio di umore.
Alzai la testa, guardandolo per la prima volta.
"Sì. - Mi affrettai a rispondere, cercando di essere convincente. - Stavo solo pensando a..." mi bloccai immediatamente, mordendomi la lingua. Ma che diavolo mi saltava in mente?! Per la prima volta in tutta la mia vita stavo confessando ciò che realmente provavo.
Sbagliato. Terribilmente e maledettamente sbagliato.
"A cosa stavi pensando?" domandò incuriosito, fermandosi. Stavo per chiedergli il perchè, quando mi accorsi che eravamo accanto alla sua Volvo.
"Io... Stavo pensando che il parco acquatico... - Dissi, tentennando per un istante. Sospirai, passandomi nervosamente una mano tra i capelli. - Mi ha ricordato terribilmente Phoenix" mormorai, abbassando la testa. Mi posò una mano sotto il mento e delicatamente mi invitò ad alzare il viso. Lo feci, incontrando così i suoi occhi, che in quel momento mi scrutavano intensamente.
"Non devi vergognarti di nulla, non con me. - Sussurrò dolcemente. - Capisco che ti manca la tua città natale. E che ti manchi tua madre, d'altronde deve essere stata dura lasciarla là e partire. Ma devi pensare positivo, presto ci saranno le vacanze e tu potrai andare a trovarla". Sorrise teneramente, cercando di rassicurarmi. Non poteva sapere che le sue parole riaprirono la voragine, che da tempo cercavo di reprimere. Io non avrei più rivisto mia madre, mai più.
Il dolore mi prese alla sprovvista, mozzandomi il respiro. Portai una mano al petto, cercando di placare il dolore, ma ciò che stavo provando era incurabile.
Annaspai, in cerca d'aria e cercai di ritrovare il controllo di me stessa. Mi concentrai sul suo sorriso e sui suoi occhi, così dannatamente sinceri.
"Grazie. - Riuscii a dire con voce spezzata, trattenendo le lacrime che minacciavano di uscire da un momento all'altro. - Grazie di tutto" mormorai flebilmente, avvicinandomi a lui. Guardai per l'ennesima volta i suoi splendidi occhi verdi, dopodichè mi lasciai andare contro il suo corpo. Posai le mani sul suo petto e affondai il viso nell'incavo del suo collo, inspirando il suo buonissimo profumo. Inizialmente fu sorpreso dal mio gesto, ma presto avvolse le sue braccia intorno alla mia vita, stringendomi forte a lui.
Chiusi gli occhi, beandomi di quel contatto e sentii l'angoscia provata poco prima scivolarmi via, come se non fosse mai arrivata.
Posò la guancia sulla mia testa e le sue labbra furono immediatamente tra i miei capelli.
Mi strinsi a lui più che potei e automaticamente le sue braccia aumentarono la presa intorno ai miei fianchi.
Quella terribile sensazione di vuoto era scomparsa, sapevo che presto sarebbe ritornata, ma al momento non me ne importava. L'unica cosa che desideravo era restare per sempre tra le sue braccia.





Mi scuso immensamente, ma purtroppo non sono riuscita a rispondere alle vostre meravigliose recensioni.

Perchè ho voluto postare oggi e se avessi risposto avrei dovuto postare domani, non volevo farvi attendere oltre :)
Peròòò entro domani, o massimo giovedì troverete qui tutte le risposte alle vostre 15 (oddio 15, waaaaa) recensioni.
Grazie, grazie, grazie. Non so davvero ringraziarvi per l'appoggio che mi date.


_Risposte alle recensioni_

Emma92: ciaooooooo caraaaaa. Grazie mille per tutti i complimenti che ogni volta mi fai, davvero. Sapere che apprezzi la mia storia e il mio modo di scrivere mi rende felicissima. Grazie di cuore, davvero (:
Spero che anche questo capitolo sia di tuo gradimento. Un bacione! <3


Giulia_Cullen
: ciaoooo caraaaaa! Oddio, non so davvero come ringraziarti. Sono davvero felicissima che la mia storia ti piaccia. E quando ho letto che hai lasciato una recensione a ogni capitolo ho sorriso. Davvero, grazie *-*
Sì, piano piano bella sta facendo conoscere la vera se stessa a Edward. Perché ora sta iniziando a fidarsi di lei, come si può vedere in questo capitolo ;) Grazie ancora, di cuore <3 Un bacione!

ila_cullen: Grazie milleeee *-* Sono davvero felicissima che il capitolo ti sia piaciuto, *me ha gli occhi a cuore*. Sì, Bella finalmente si sta rendendo conto di chi ha vicino. Ovvero una persona fantastica che farebbe di tutto, pur di vederla sorridere.
E chi può farlo, se non Edward? ;) Sì, io adoro il personaggio di Charlie *-* e sto cercando piano piano di far riavvicinare anche loro due, di consolidare il rapporto padre/figlia.
Uhhh menomale, non ti ho fatta piangere in questo capitolo. *Me felicissima*.
Ps: anch’iooo voglioooo Edward Culleeeeeeeen *-*. *Ok, me ritorna in sé*. Grazie di cuore, davvero <3 Spero che anche questo capitolo ti piaccia. Un bacione! <3


jennyvava:
ciaoooo! Grazie milleeeee *-* Sono davvero felicissima di sapere che la mia storia ti piaccia. E’ bello sapere che qualcuno apprezza il mio modo di scrivere (:
Sì, ammetto che con la parte dove Bella rischia di essere investita per salvare la bambina ho tenuto in molti con il fiato sospeso, però sono felice di sapere che sono riuscita a descrivere quella scena al meglio.
Ce l’avevo in mente da tanto tempo ormai (:

Sì, Edward è sempre tenerosissimo e tranquilla, Bella prestissimo racconterà tutto a lui ;) Grazie di cuore per i complimenti. Spero che anche questo capitolo ti piaccia. Un bacione! <3


shasha5:
tesorooooooooooo miooooooooooooo <3 Oddio: grazie, grazie, grazie! Non sai quanto sono felice di sapere che questo capitolo ti sia piaciuto. Sai che il tuo parere per me è importantissimo.
E sapere ti sia piaciuto mi fa saltare di gioia, davvero :) Uhhh ti ho fatta emozionare? *Me ha gli occhi a cuore*. S
ììì Edward che si preoccupa così è dolcissimo. E sto cercando pian piano di far riavvicinare Charlie e Bella, per consolidare il cosiddetto rapporto padre e figlia.

Ma vedrai che ciò avverrà presto ;) Spero che anche questo capitolo ti piaccia. Grazie per tutti i complimenti tesoro. Ti voglio davvero beneeeeeeeee <3 Un bacione enorme <3


madda94:
ciaoooo. Grazie milleeeeeee, sono davvero felicissima che la mia storia ti piaccia. Grazie, grazie, grazie… di cuore <3 Ecco il nuovo capitolo, spero che ti piaccia (: Un bacione! <3

MirkoCullen96:
ciaooooooo. Ancora sorry, davvero non mi ero accorta di non aver risposto alla tua recensione. *Me sbadata*. Però ho rimediato ed è vero, io adoro immensamente le tue recensioni *-*
Sei sempre gentilissimo. Grazie di cuore <3

Grepattz: grazie milleeeeee. Sono felicissima lo scorso capitolo ti sia piaciuto *-* Grazie di cuore. Sì, finalmente Bella inizia a fidarsi di Edward e in questo ci saranno ancora degli sviluppi ;)
Sì, lui vuole aiutarla, anche se non sa quale sia il suo problema. Dolcissimo come sempre Eddy. Spero che anche questo capitolo ti piaccia (: Un bacione! <3



Ringrazio di cuore anche chi mi ha aggiunta tra i preferiti, tra le seguite e tra le storie da ricordare.


GRAZIE DI CUORE. Non so davvero come ringraziarvi, siete degli angeli.
E anche i lettori silenziosi.
Vi adorooooooo <3

Un bacione, Elly.



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Capitolo 9
*** Una lunga, ma piacevole, giornata. ***


Buonasera a tutti, gente!
Sì, non è un miraggio, sono proprio io. Eccomi qui ad aggiornare, finalmente, dopo più di sei mesi.
Questo capitolo diciamo sarà di "passaggio", ma piacevole. Perchè si avvicineranno Edward e Bella.
Mi scuso, se ci saranno eventuali errori, ma non l'ho ancora ricontrollato bene.
Perchè ci tenevo a postare oggi, e se l'avessi betato molto probabilmente avrei postato domani.
Ci sarà una situazione che mi sono divertita molto a scrivere, spero che anche voi la gradiate.
Ps: il prossimo sarà IL capitolo. Spero avete capito di cosa parlo...
E, ora, la smetto di blaterare e vi lascio al capitolo... Buona lettura. ;)


9. Una lunga, ma piacevole, giornata.

“La felicità non è avere quello che si desidera,

ma desiderare quello che si ha”.

O. Wilde

Pov Bella

Due mesi. Erano trascorsi poco più di due mesi da quando Edward entrò a far parte della mia vita. E, ultimamente, il nostro rapporto era decisamente migliorato.
Mi ero fatta un' opinione completamente sbagliata su di lui, credevo che fosse il classico stronzo senza cervello; però non avevo tutti i torti a classificarlo in questo modo, perché inizialmente si presentò come tale. Però, con il trascorrere dei giorni, imparai a conoscerlo e scoprii molte cose di lui: era un ragazzo sempre con la battuta pronta; amava farsi notare dalla gente per ciò che era, senza fingere di essere qualcun altro. Si era dimostrato anche dolce, gentile e premuroso nei miei confronti. Mi aveva fatto capire di nascondere numerose qualità positive, di cui pian piano stavo venendo a conoscenza.
Al momento, però, c’era qualcosa che mi bloccava… Non riuscivo a fidarmi completamente di lui. Forse era la paura di legarmi a qualcuno, o semplicemente il vero problema ero io, come sempre.
Sospirai sconsolata e continuai a spazzolarmi i capelli, cercando di tenere a freno i brutti pensieri. Osservai attentamente il mio riflesso allo specchio e, quando la mia mente corse al giorno prima, le mie gote s’imporporarono e un timido sorriso si dipinse sul mio viso.

[Inizio flashback]

Una dolce melodia invase l’abitacolo; chiusi gli occhi, rilassandomi completamente.
Non seppi precisamente quanto tempo trascorsi in quella posizione, ma inaspettatamente una mano si posò sulla mia guancia, accarezzandola teneramente.
Aprii lentamente gli occhi, sicura di sapere chi avrei trovato al mio fianco.
“Ti piace Claire de Lune?”. Sorrise, quando finalmente il mio sguardo incontrò il suo.
“Sì. E’ una delle mie melodie preferite, trovo che Debussy sia bravissima. – Risposi, sincera. – Infatti stavo rilassandomi e beandomi della musica, prima che tu m’interrompessi” lo presi in giro, incrociando le braccia al petto.
“Oh, mi scusi Mademoiselle. - Sorrise, di nuovo; cercai con tutte le mie forze di non arrossire e di non passare per la ridicola di turno. – Volevo solamente avvisarla che siamo arrivati a destinazione” mi ricordò, indicandomi con un cenno della mano casa mia.

Non mi ero nemmeno resa conto che fossimo già arrivati e, in quella situazione, arrossire fu inevitabile. Molto probabilmente si accorse del mio imbarazzo, dato il suo sguardo divertito.
“Non darmi del Lei, mi fai sentire vecchia. - Lo rimbeccai, cercando di cambiare velocemente argomento. – E poi, ora devo proprio andare, si sta facendo tardi. Grazie per il passaggio” lo salutai, aprendo la portiera, pronta ad uscire.
“Aspetta. – La sua mano si posizionò sul mio polso e quel contatto mi destabilizzò completamente. – Volevo domandarti una cosa, prima che te ne andassi”.
Allontanai, cercando di sembrare indifferente, la mano dalla sua stretta e mi voltai nella sua direzione. E annuii, aspettando che parlasse.
“Sei libera domani mattina, sul tardi? Mi piacerebbe portarti in un posto” disse, lasciando ricadere il braccio, come se niente fosse.
“Dipende da dove vuoi portarmi” risposi circospetta, alzando un sopracciglio.
“Ti andrebbe di uscire con me, i miei fratelli e i loro rispettivi fidanzati? Sarà una cosa divertente. – Aprii la bocca per rispondere, ma prontamente mi bloccò. – Non accetto un no come risposta e, poi, è stata Alice ad insistere perché tu venissi. Sai com’è fatta; se s’impunta su una cosa, finisce sempre con l’ottenerla” aggiunse infine, soddisfatto dal suo monologo.
Sgranai gli occhi, trattenendo un’imprecazione. Contro Alice nessuno vinceva e lui sapeva bene, che se io avessi risposto negativamente alla sua proposta, quella pazza di sua sorella sarebbe stata in grado di venirmi a prendere personalmente e lì sì che sarebbero stati guai, grossi guai.
Sbuffai sonoramente alla vista di quel suo maledetto sorriso sghembo, che era sempre in grado di farmi irritare a morte.
“E va bene, verrò. Ma è la prima e l’ultima volta che la do vinta a te e a quella pazza di tua sorella” sbottai, riducendo gli occhi a due fessure.
“Perfetto, passo a prenderti domani verso mezzogiorno”. Rise di gusto, di fronte alla mia espressione contrariata.
“Va bene, va bene” borbottai, uscendo definitivamente dall’auto e sbattendo la portiera.
Infilai le chiavi nella serratura, stavo per aprire la porta quando il suono del clacson mi fece sobbalzare spaventata. Mi voltai rapidamente e ciò che vidi non fece altro che farmi saltare i nervi, più del dovuto. Tirò giù il finestrino e si affacciò; sul suo viso c’era ancora quel maledetto sorriso.
“Dimenticavo: buon pomeriggio, Isabella” sussurrò e, senza darmi nemmeno il tempo di rispondere, partì sgommando.
Rimasi per un attimo imbambolata e, non appena mi ripresi dallo stato di shock momentaneo, entrai in casa, borbottando qualcosa di incomprensibile.
Gettai lo zaino sul divano e, senza che me ne rendessi conto, desiderai ardentemente che il giorno seguente arrivasse presto… Molto presto.

[Fine flashback].

Appoggiai la spazzola e il ricordo del suo sorriso, si fece largo nella mia mente.
Il suono del campanello mi fece sobbalzare, destandomi così dai miei pensieri.
Scesi velocemente le scale e per poco non inciampai; la casa era vuota, Charlie era già andato al lavoro. Il lavoro di poliziotto non gli dava un giorno di tregua, nemmeno la domenica.
Indossai velocemente la giacca, andando alla porta e, non appena l’aprii, la figura di Edward mi apparve davanti agli occhi. Guardai l’orologio: era mezzogiorno in punto. Un'altra sua caratteristica da ricordare assolutamente: era puntuale come un orologio svizzero.
Chiusi la porta alle mie spalle e uscii di casa, posizionandomi accanto a lui.
“Buongiorno” mi salutò, scompigliandomi teneramente i capelli.
Quel semplice gesto - che precedentemente avevo sempre odiato – mi fece piacere, compiuto da lui.
“Ciao” risposi e lui, inaspettatamente si abbassò, raggiungendo la mia altezza e posò le labbra sulla mia fronte, lasciandovi un dolce bacio.
Trattenni il respiro e, nel frattempo, lui si allontanò lentamente; guardandomi intensamente. Le gambe mi tremarono e m’imposi mentalmente di non cadere rovinosamente a terra; volevo parlare, ma dalle mie labbra non uscì alcun suono.
Così, mi limitai a ricambiare il suo sguardo intenso e abbozzai un sorriso, imbarazzata.
“Prego, Mademoiselle”. Mi invitò ad entrare, aprendomi la portiera dell’auto.
“Grazie, Monsieur”. Stetti al gioco e, senza farmelo ripetere due volte, entrai nella sua bellissima Volvo metallizzata.
Avevo una strana sensazione, ovvero che sarebbe stata una lunga giornata… Molto lunga.


Pov Edward


“Cause I want it now
I want it now
Give me your heart and your soul
I'm not breaking down
I'm breaking out
Last chance to lose control”
.

Alzai il volume della radio e le note di Hysteria, invasero l’abitacolo.
It's holding me, morphing me and forcing me to strive. To be endlessly cold within and dreaming I'm alive.
Canticchiai un pezzo della canzone a bassa voce, ma lei mi sentì ugualmente.
Si voltò nella mia direzione, strabuzzando gli occhi.
“Conosci Hysteria, ma soprattutto: ti piacciono i Muse?” mi domandò stranita, passandosi rapidamente una mano tra i lunghi capelli castani.
“Sì, è uno dei miei gruppi preferiti. Sono ottimi cantanti. - Risposi, facendo spallucce, come se fosse la cosa più ovvia al mondo. – Anche se sono poche le persone che li conoscono, qui a Forks”.
“E’ anche il mio gruppo preferito. – Ammise. – Hanno un grande talento, che non tutti i cantanti hanno. E poi, io ho sempre amato la musica, fin da quando ero bambina” sussurrò, e la sua strana tonalità di voce mi portò a voltarmi nella sua direzione.
“Passi da Debussy, ai Muse… Vedo che anche tu, hai pazzeschi sbalzi musicali” la presi in giro, cercando di farle tornare il buon umore. Perché, sì, era chiaro che qualcosa in quel momento la stesse turbando.
“Mia madre adorava Debussy e la musica classica, mentre Phil puntava di più sul rock e sui gruppi musicali. Ricordo che delle volte, in auto, litigavano per la scelta del cd da sentire. – Un sorriso triste si dipinse sul suo viso. – Ovviamente per me non c’era differenza, dato che amavo tutti e due i generi. E’ grazie a loro, se ho imparato ad amare la buona musica” sussurrò infine, volgendo lo sguardo fuori dal finestrino.
Non riuscivo veramente a capire il suo improvviso cambio di umore, più mi sforzavo di comprenderla e più rimanevo indietro. Restai in silenzio per un minuto interminabile e, solo in quel momento, mi resi conto che eravamo arrivati a destinazione. Feci inversione e parcheggiai l’auto nel garage
.

Mi voltai, incantandomi ad osservare il suo bellissimo viso.
Era ancora intenta a guardare fuori dal finestrino così, istintivamente, allungai una mano nella sua direzione e, delicatamente, le portai dietro l'orecchio una ciocca ribelle che le ricadeva sulla sua fronte. A quel semplice contatto sentii una scossa attraversarmi il corpo e il mio cuore aumentò i suoi battiti… Forse anche lei la sentì, perchè sussultò e le sue gote s'imporporarono.
Un sorriso spontaneo si dipinse sul mio volto; era davvero bellissima.
“Siamo arrivati?” domandò, tormentandosi il labbro con i denti.
“Sì, siamo arrivati. – Annuii. – Tu sei sicura di stare bene?” le chiesi, preoccupato, ricordando la sua strana reazione di prima. Strizzò momentaneamente gli occhi, come se fosse sul punto di piangere.

“Sì, tutto alla grande! – Rispose velocemente, troppo velocemente. – Forza, andiamo. Non vorrai far aspettare quella pazza di tua sorella, vero?” domandò retoricamente, schizzando fuori dall’auto. La seguii senza smettere, nemmeno per un istante, di guardarla attentamente. Fece un mezzo sorriso, che non mi convinse minimamente.
“Allora, Cullen, ti sei imbambolato? – Mi sventolò una mano davanti al viso. – E’ per caso la vecchiaia?” mi scimmiottò, incrociando le braccia al petto.

“Stai per caso dando del vecchio, a me?” chiesi, fingendomi scandalizzato.
“Perspicace, Cullen” rispose, ridendo di gusto per la mia faccia allibita.
“Questa me la paghi. - E in un secondo scattai verso di lei, inseguendola. Capii immediatamente le mie intenzioni e scappò, uscendo di corsa dal garage. – Se ti prendo, subirai le più atroci delle torture. A meno che non rimangerai ciò che hai detto”.
“Questo mai!” rise, continuando a sfuggirmi, ma se credeva che ci sarebbe riuscita si sbagliava di grosso. Continuai a correre aumentando il passo e, in pochi secondi, la raggiunsi.
“Presa” le sussurrai all’orecchio, stringendole delicatamente le braccia intorno alla vita. Mi parve di sentire il suo cuore battere all’impazzata, eco del mio; ma molto probabilmente era tutto frutto della mia fervida immaginazione.
La sua schiena aderiva perfettamente al mio torace, appoggiai il mento sul suo capo, beandomi di quel momento, dove lei era tra le mie braccia. Perché, ero sicuro, una situazione come questa non ci sarebbe stata molto presto, così ne approfittai.
Cercai di farla voltare nella mia direzione, ma non ci riuscii perché, il rumore di una porta che si apriva, ci fece sobbalzare. Ed ecco che un folletto uscì di corsa, trafelata e solo in quel momento mi resi conto che eravamo esattamente davanti all’entrata.
“Isabella! – La salutò calorosamente, senza degnarsi minimamente della mia presenza. – Sapevo che saresti venuta!” trillò felice, abbracciandola di slancio.
“Anch’io sono felice di vederti, Alice” la salutò Isabella sorridendo e ricambiò, seppur timidamente, la stretta soffocante di mia sorella.
“Ciao anche a te, Alice” borbottai, infastidito dal fatto che avesse interrotto il mio momento con Isabella.
“Ma smettila di fare l’offeso Eddy e comportati da uomo”. La voce di Emmett giunse alle mie spalle, cogliendomi impreparato.
Borbottai qualcosa d’incomprensibile, persino per le mie orecchie.
“Bellina!” la salutò l’orso, battendole una pacca – non proprio delicata – sulla spalla.
“Ehm, sì. Emmett, apprezzo il tuo entusiasmo nel vedermi, però se non mi avessi massacrato una spalla, sarei stata ancora più felice” disse, massaggiandosi la parte dolorante.
“Questo orso non riesce proprio a controllarsi, non c’è nulla da fare” sbottai, incrociando le braccia al petto. Fece per ribattere, ma Alice prontamente lo bloccò.
“Forza ragazzi, perché invece di litigare non facciamo vedere a Isabella la casa?” domandò retoricamente, alzando gli occhi al cielo, per quel nostro stupido battibecco
.

“Vieni, entriamo, altrimenti ti prenderai un malanno qui fuori”. Sorrisi, prendendole la mano; sussultò impercettibilmente, puntando lo sguardo sulle nostre mani intrecciate, ma non disse nulla e si lasciò condurre in casa.
Si guardò intorno, totalmente spaesata.
“Questo pomeriggio andremo a fare shopping tutti insieme! – Esclamò quella pazza di mia sorella, totalmente entusiasta. – Edward te l’ha detto, vero?” domandò, guardandola adorante.
“Veramente… - Isabella mi guardò in cerca di aiuto, ma capì, dal mio sguardo perplesso, che io ne sapevo quanto lei. – No, non mi ha detto nulla”.
“Come? – Alice si voltò nella mia direzione, fulminandomi con uno sguardo che avrebbe potuto uccidermi seduta stante. – Perché non le hai detto niente?!” sbottò, battendo un piede per terra, con fare capriccioso.
“Forse, perché, nemmeno io ero a conoscenza di questo tuo assurdo programma” risposi, alzando gli occhi al cielo.
“Avevo detto ad Emmett di riferirtelo!” sibilò, contrariata, incenerendo con lo sguardo mio fratello.
“Ops. Forse… Ecco, forse, mi sono dimenticato qualche piccolo particolare” borbottò a bassa voce l’orso e si grattò il capo arrossendo, totalmente in imbarazzo.
Isabella incontrò il mio sguardo ed entrambi scoppiammo a ridere per quell’assurda – e divertente – situazione, sotto gli occhi di un indignata Alice.

***

Eravamo comodamente seduti in cucina a chiacchierare, fino a quando il telefono squillò, prendendomi alla sprovvista.
“Vado io” disse Alice; presi Isabella per mano e la condussi in soggiorno.
Mi sedetti sul divano e la feci accomodare accanto a me; la guardai e notai che le sue gote erano leggermente arrossate… Era ancora più bella.

Notò il mio sguardo fisso su di lei e, lentamente, sfilò la sua mano dalla mia. Ciò mi lasciò una strana sensazione di vuoto, come se un semplice contatto con lei, mi facesse sentire bene. E, in quel momento, la sentivo così maledettamente distante, come se la sua mente fosse altrove.
Aprii la bocca, pronto per parlare, ma l’urlo squillante di Alice mi fece ritirare la mano, spaventato. Soffocai un’imprecazione… Quel folletto sempre nei momenti meno opportuni, doveva apparire?!
“Ho una notizia straordinaria! Cambio di programmi… - Iniziò a dire, entusiasta. – Mamma e papà oggi dovevano partire per mezzogiorno, però non l’hanno fatto”.
“Alice, non capisco…” le dissi, confuso; non capivo dove volesse andare a parare.
“Verranno a casa per pranzo! Partiranno sul tardi, verso le tre; così, andremo più tardi a fare shopping. Non è una notizia strepitosa? - Trillò, assumendo un’espressione sognante. - Saranno qui a momenti. Piccolo cambio di programma: Isabella, ti andrebbe di restare a pranzo?”.
Isabella tremò impercettibilmente, guardandola ansiosa.
“No, sarebbe meglio di no” rispose, immediatamente, negativamente.
“Eddai Bellina, non disturbi mica” la spronò Emmett, sorridendo sornione.
Si guardò intorno, in cerca di un qualcosa che avrebbe potuto aiutarla. Sembrò non trovarla, infatti restò in silenzio.
"Sicura che non vuoi restare a pranzo a casa nostra? - le domandò, nuovamente, Alice. - I nostri genitori sarebbero davvero felici di conoscerti!" aggiunse infine, totalmente su di giri. Per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva, quando sentii quel folletto malefico parlare.
"I-o veramente... Non saprei, n-non vorrei disturbare" balbettò Isabella, titubante.
"Ma quale disturbo! – Disse, guardandola severamente. - Eddai, ti prego. Fallo per me" trillò mia sorella, mostrando i suoi occhi da cucciolo bastonato.
Isabella aprì e richiuse la bocca senza proferire parola. Voltò il capo nella mia direzione, in cerca di aiuto, incontrando così il mio sguardo e io annegai nei suoi bellissimi occhi nocciola. Avrei passato minuti, ore e giorni a fissare quei pozzi cioccolatosi.
Si tormentò le mani, Sospirando e, finalmente, si decise ad annunciare la sua decisione. “Io… - Iniziò. – Va bene, resto” concluse, titubante.
“Oddio, grazie, grazie, grazie!” urlò, stringendola in un abbraccio, al quale lei ricambiò, sorridendo.
“Forza, abbiamo un pranzo da preparare, muovi quel culo!” ordinò poi il folletto, prendendo – letteralmente di peso – Emmett e trascinandolo in cucina, non prima che l’orso ci lanciasse uno sguardo implorante.
In pochi secondi, sparirono in cucina.
“Alice ed Emmett non cambieranno mai, ormai ho perso le speranze con loro” constatai, alzando gli occhi al cielo con fare teatrale.
“Hai due fratelli davvero pazzi. – Disse, scompigliandosi i capelli. – Ma, forse, è questo che li rende unici”.
“Fidati, dopo che te li subisci ogni giorno, 24 ore su 24, cambierai idea!”. Scoppiai a ridere, contagiando anche Isabella. La sua risata cristallina si diffuse nella stanza, arrivando direttamente al mio cuore.
“Grazie per essere rimasta a pranzo, hai reso felici loro... – La ringraziai. - E anche me” aggiunsi infine; tesi la mano e la posai sulla sua guancia, carezzandola dolcemente. Il contatto della sua pelle, con la mia mano, fu in grado di destabilizzarmi completamente.
“Grazie a te per avermi invitato, è stato… bello”. Sorrise e chiuse gli occhi, lasciandosi andare contro il palmo, posando poi una mano sul mio braccio.
Sorrisi involontariamente; sarei stato ore a guardare il suo splendido viso, senza mai stancarmi.


Pov Bella

Ero seduta sul divano, nel soggiorno di casa Cullen ed Edward se ne stava comodamente seduto accanto a me. Mi stava parlando, ma non riuscii a capire cosa mi stesse dicendo, dato che la mia attenzione era rivolta altrove.

I nostri genitori sarebbero davvero felici di conoscerti!

Quella frase, detta da Alice, continuava a rimbombarmi in testa, come un disco rotto. Abbassai lo sguardo sulle mie gambe e iniziai a tormentarmi le mani, in preda all’ansia.
In che guaio mi ero cacciata? Avrei dovuto rispondere negativamente e non accettare il suo invito a cena. Molto probabilmente avrei fatto una pessima figura e non sarei piaciuta a loro, ma dopotutto… A chi sarei mai potuta piacere, io? Pensai tristemente.
“Isabella? – Mi chiamò Edward, ma non risposi. – Isabella, stai bene?” mi ripetè, posando una mano sulla mia spalla, voltandomi delicatamente nella sua direzione.
“Sì, Edward?” domandai, sbattendo le palpebre, destandomi dai miei pensieri.
“Tutto bene?” mi domandò di nuovo, spostandomi dolcemente i capelli dal viso.
Come poteva, un suo semplice gesto, farmi battere il cuore in questo modo?
“Sto bene, stai tranquillo. Solo che…” lasciai la frase in sospeso.
“Solo che…?” chiese incuriosito, avvicinandosi – seppur involontariamente – ancora di più al mio corpo.
“Se non gli piaccio?” domandai, titubante.
“A chi, a mio padre e mia madre?” chiese retoricamente. Annuii e a quel punto scoppiò a ridere, portandosi una mano davanti alla bocca, nel tentativo di celare quel suo improvviso attacco isterico.
“Cos’hai da ridere? – Gonfiai le guance, proprio come una bambina, mentre lui rise ancora più forte, facendomi saltare ulteriormente i nervi. – Lo trovi proprio divertente, vero?” sbuffai, incrociando le braccia al petto.
“Scusa. Scusa, adesso la smetto. – Rise, di nuovo. – Solo che ciò che hai detto, è totalmente stupido” disse, cercando di tornare serio.
Alzai un sopracciglio, osservandolo severamente e fu ciò, forse, che lo spinse a continuare il suo discorso.
“E’ che mi domando cosa ti passi per la testa, Isabella. – Disse, scuotendo leggermente il capo. – Chi non ti apprezzerebbe? Solo un pazzo e i miei genitori non fanno parte di quella categoria, ti adoreranno”. Fece spallucce, come se fosse la cosa più ovvia al mondo.
Le sue parole, ma soprattutto il tono convinto con cui parlò, mi fece mancare il respiro. Mi sarei aspettata tutto, tranne ciò che mi disse.
“Le tue parole sono… - Meravigliose, avrei voluto dire, ma preferii restare in silenzio. – Non tutti la pensano come te. Anzi, forse sei l’unico a credere a ciò che hai detto e ti sbagli” risposi, sorridendo amaramente.
“Tu ti sottovaluti, Isabella” sussurrò dolcemente, sfiorandomi delicatamente il dorso della mano. E, senza che me ne rendessi conto, mi ritrassi, scossa dalle emozioni che provai a quel semplice gesto. Alzai lo sguardo, titubante e vidi che i suoi occhi, in quel momento, erano maledettamente tristi.
Sentii una strana sensazione di vuoto, a non sentire la sua mano stretta alla mia. Aprii la bocca, pronta a parlare, ma il suono del campanello mandò in fumo i miei propositi.

Come un fulmine, Alice ci passò davanti, fiondandosi ad aprire la porta.
Davanti ai miei occhi si presentarono due persone: una donna; dai lunghi capelli che le ricadevano in semplici boccoli sulle spalle, avevano un colore simile al caramello. Il viso era tondo, dai lineamenti dolci e gli occhi castani, erano così sinceri.
Spostai lo sguardo alla sua sinistra e un uomo attirò la mia attenzione, i capelli erano biondi e ordinati, il suo viso riusciva a infondere fiducia e gli occhi verdi, erano così simili a quelli di Edward. D’altronde, erano i suoi genitori, e sembravano davvero due brave persone.
“Siete arrivati, finalmente!” trillò entusiasta Alice, salutandoli con un bacio sulla guancia.
“Ciao tesoro. Certo, abbiamo fatto il più in fretta possibile, solamente che abbiamo dovuto caricare le valige in macchina e quindi abbiamo un po’ tardato” rispose la donna, chiudendo la porta alle sue spalle.
“E che valige, invece che una settimana sembra che dobbiamo stare via sei mesi” commentò l’uomo, alzando gli occhi al cielo… Un altro tipico gesto di Edward.
“L’importante è che siate arrivati. E comunque, venite, vorrei farvi conoscere una persona” disse il folletto, accompagnandoli nella mia direzione.
Lentamente, mi alzai, cercando di non inciampare nei miei stessi piedi. Perché, purtroppo, l’ansia e l’imbarazzo mi avevano sempre giocato brutti scherzi.
“Buongiorno, signor Cullen e signora Cullen. – Li salutai. – Piacere, io sono Isabella Swan. E’ davvero un piacere, per me, conoscervi”. Mi presentai, porgendo loro la mano.
“Il piacere è tutto nostro, Isabella. E, per favore, chiamami Esme. Signora Cullen mi fa sentire ancora più vecchia” sorrise, stringendomi la mano e, come immaginavo, la sua stretta era così gentile e delicata.
“Chiamami pure Carlisle. – Sorrise, stringendomi la mano con fermezza, proprio come mi sarei immaginata da lui. – E siamo davvero velici di conoscerti; ci hanno parlato molto di te, soprattutto Edward” disse, ricevendo un’occhiataccia dal diretto interessato.
“Oh beh… Grazie” balbettai frasi sconnesse e arrossii, passandomi una mano tra i capelli, totalmente a disagio. Guardai Edward e vidi che, anche lui, era in evidente imbarazzo.
“Sto morendo di fame. - S’imbronciò Emmett, apparso ora dalla soglia della cucina. – Con tutta la fatica che ci ho messo a cucinare, mi è venuta una gran fame” spiegò.
Fui grata alla sua improvvisa apparizione, che smorzò l’imbarazzo che si era momentaneamente creato.
“Alice, Emmett ti ha aiutata a cucinare? – Domandò Carlisle, sorpreso ed Alice annuì. – Beh, se la metti così… Sei sicura che dovremo mangiare ciò che ha cucinato, non è che ci avvelena con uno dei suoi soliti piatti?” disse, fingendosi scandalizzato.
Scoppiarono tutti a ridere e io li osservai, confusa. Il mio sguardo cadde su Edward, sembrava davvero rilassato e poi, era davvero… Bellissimo.
Un magone mi si formò in gola; erano una famiglia davvero felice e ciò non fece altro che riaprire la voragine.
Però, fortunatamente, quella sensazione di vuoto durò poco, perché mi bastò guardare la strana faccia che l’orso aveva assunto in quel momento, per farmi tornare il buon umore. Così, senza che l’avessi programmato, risi anch’io, portandomi una mano davanti alla bocca cercando di controllarmi; mentre Emmett ci guardava indignato, borbottando parole senza senso. Mi sentii libera, e volevo bearmi appieno di quell’istante.


***

“Vuoi anche il gelato, cara?” la voce dolce di Esme mi giunse alle orecchie, facendomi voltare nella sua direzione.
“Oh no, grazie mille, sono apposto così. Era tutto buonissimo, complimenti” sorrisi, complimentandomi per il pranzo. Antipasto, lasagne, polpettone e infine una fetta di torta panna e fragole, se avessi mangiato qualcos’altro sarei decisamente scoppiata.
Li aiutai a sparecchiare la tavola; dopodichè ci dirigemmo in soggiorno ed Edward si lasciò cadere stancamente sul divano.
“Ho mangiato troppo, per i miei gusti” si lamentò Edward, portandosi una mano sulla pancia, con fare teatrale.
“Nessuno ti ha obbligato a mangiare tutte quelle cose e sai qual è la verità? Che tu sei un pozzo senza fondo” lo presi in giro, dandogli un pugno scherzoso sulla spalla.
“Ahia, mi hai fatto male” si lamentò mettendo il broncio, fingendosi offeso.
“Non è colpa mia se sei s…”. Gli stavo per dare dello scemo, fino a quando i suoi genitori non apparvero in soggiorno, facendomi ammutolire. E ringraziai il cielo di essermi zittita prima, altrimenti avrei fatto un’altra delle mie pessime figure.
“Noi andiamo e, mi raccomando voi tre, fate i bravi in nostra assenza!” li ammonì Esme, puntandogli un dito contro.
“Sì, mamma” rispose Edward, alzando gli occhi al cielo.
“Grazie per essere rimasta a cena, Isabella. E’ stato un vero piacere conoscerti, sei davvero una bravissima ragazza, con la testa sulle spalle” mi disse Esme. Sentii gli occhi inumidirsi, le sue parole mi avevano commossa, anche se non volevo ammetterlo a me stessa.
Sorrisi e le porsi una mano, ma lei – inaspettatamente – mi strinse in un dolce abbraccio.
“Ciao, Isabella. - Mi salutò Carlisle, dandomi due baci sulla guancia. – Spero di rivederti presto”. Sorrise e, sia lui che Esme, salutarono i loro figli, raccomandando loro di comportarsi bene; dopodichè uscirono di casa, diretti verso l’aeroporto
.

***

Alice ed Emmett erano da poco usciti di casa per andare a prendere Jasper e Rosalie, dato che erano rimasti – a causa di una gomma bucata – senza auto. Così io ed Edward li avremmo raggiunti direttamente al centro commerciale verso le cinque, e ora erano esattamente le quattro.
Morale della favola? Eravamo rimasti solamente io e lui… Fantastico.

Scossi lentamente il capo e sospirai, rassegnata. Ero seduta in cucina, mentre Edward era indaffarato ad aprire e chiudere i mobili, alla ricerca di qualcosa.

“Allora, per le cinque dobbiamo raggiungere gli altri?”. Nonostante sapessi a memoria il programma con Alice e il resto del gruppo, chiesi la prima cosa che mi venne in mente, nel tentativo di sciogliere la tensione che si era creata e il mio imbarazzo.

“Mmm, si, più o meno verso quell’ora” rispose Edward, distratto. Era troppo concentrato a praticare la ‘caccia al tesoro’, quindi dubitai che avesse capito ciò che gli chiesi.

“In che senso, più o meno?” domandai, sorpresa.

“Oh, eccola. L’ho trovata, finalmente!” esultò Edward, tirando fuori dalla credenza una confezione di Ciobar.

"Edward!” lo chiamai, a voce più alta. Facendolo, finalmente, girare nella mia direzione.

“Oh scusa, hai ragione. – Disse, appoggiando la confezione sul tavolo, accanto a me. – Solo che stavo cercando…”. Non lo lasciai finire il discorso, che subito intervenni.

“Fammi capire bene: tu ti stavi dando alla disperata ricerca del Ciobar?” domandai stralunata, alzando un sopracciglio.

“Beh, ecco, io…”. Le sue guance divennero bordeaux e scommisi che si sarebbe volentieri scavato una fossa da solo. Si passò una mano tra i capelli, imbarazzato. Sorrisi, in quel momento mi faceva davvero tenerezza.

“Devo ammettere che sei adorabile, quando arrossisci. – Dissi, senza pensare e lui, possibilmente, divenne ancora più rosso. – Però se continui, tra poco raggiungerai la tonalità dei tuoi capelli” lo presi in giro, appoggiando i gomiti sul tavolo.
“Non prendermi in giro, Isabella. Altrimenti potrei torturarti, dato che stamattina non ci sono riuscito a causa dell’arrivo di quella pazza di mia sorella” mi punzecchiò; prese due bustine di Ciobar e le vuotò nel bricco, accendendo il fornello.

“Come mai hai messo due bustine?” chiesi, curiosa e senza rendermene conto cambiai argomento.
“Una per me e una per te. – Alzò le spalle, come ciò che aveva appena detto fosse la cosa più ovvia al mondo. – Però, se non la vuoi, posso sempre bermene due tazze” terminò, sorridendo sghembo.
“Grazie. In realtà… Io amo la cioccolata, e la Ciobar è la migliore, secondo me” risposi, sorprendendolo.
“E’ anche la mia preferita” mormorò, guardando altrove. E, per un minuto interminabile, nessuno dei due parlò. Mi ritrovai a guardarlo di sottecchi, ammirando il suo bellissimo viso.
“Mi domandavi dell’incontro al centro commerciale, giusto? – Spezzò il silenzio e gliene fui grata. Annuii, in risposta alla sua domanda. – Veramente non c’è un orario preciso. Non sapevano il tempo che ci avrebbero messo ad arrivare a casa di Rosalie e Jasper, quindi hanno detto che ci avrebbero chiamato loro quando sarebbero arrivati al negozio” disse, sciogliendo i miei dubbi.
“Okay, allora aspetteremo” sorrisi; mentre il dolce profumo di cacao si propagava nell’aria, mettendomi l’acquolina in bocca.
Edward andò ai fornelli e prese il bricco, vuotando poi la cioccolata nelle due tazze che erano posate sul tavolo; dopodichè si accomodò sulla sedia, esattamente di fronte a me.
Presi la tazza, portandola alle labbra e, lentamente, sorseggiai la bevanda fumante, facendo attenzione a non scottarmi.
Chiusi gli occhi, beandomi di quel sapore sublime a cui mai avrei rinunciato: non c’era niente di meglio di una bella Ciobar, per addolcirmi la giornata.

La prima volta che la provai fu a quattro anni, quando Renée…

No. M’imposi, mentalmente. Non potevo e non dovevo pensare, ma soprattutto non volevo rovinarmi quella piacevole giornata.
Mi morsi con forza il labbro inferiore, ingoiando il groppo che mi si era formato in gola, come succedeva ogni singola volta che pensavo a Lei.
Ero alla disperata ricerca di un appiglio che fosse stato in grado di distrarmi e non fu difficile trovarlo, perché quando alzai il capo incontrai Edward, che mi scrutava attentamente.
“E’ davvero buonissima. – Mi complimentai, sinceramente. Guardai, istintivamente, verso la sua tazza e notai che era vuota. – L’hai già finita?” domandai sconvolta, strabuzzando gli occhi.
“Certamente. Non sono lenta come lei, madame” mi prese in giro, facendo spallucce.
“Non è questione di lentezza. E’ che tu, quando si tratta di qualsiasi cosa legata al cibo, diventi peggio di Speedy Gonzales! Sei un golosone di prima categoria, non so chi sia peggio tra te ed Emmett” risposi, convinta delle mie parole.

Inclinò leggermente il viso e, solo in quel momento, notai che era sporco di cioccolato sulla guancia, proprio vicino alle labbra.
Lo guardai nuovamente e, senza che riuscissi a resistere, scoppiai a ridere, come mai prima d’ora.
“E adesso che ti prende?” domandò, alzando un sopracciglio. Però, un sorriso si dipinse sul suo viso, come se fosse felice di vedermi così… spensierata.
“E’… che… sei… così… buffo!” riuscii a dire, tra una risata e l’altra. Mi portai una mano alla bocca, cercando di frenare quel mio attacco d’ilarità, ma con scarsi risultati.
“Buffo? – Strabuzzò gli occhi. – Non è che c’era qualche sostanza stupefacente, nella tua bevanda?” chiese retorico, fissandomi stralunato.
“Scusa, è che… - Provai a calmarmi e a respirare regolarmente. – Sei sporco di cioccolato sul viso” risposi infine, indicandolo con un dito.
“Dove?”. Cominciò a cercare dove fosse la macchia, passandosi la mano sulla guancia.
“Fermo, non ci sei minimamente vicino”. Sorrisi, divertita dalla situazione. Presi il tovagliolino e mi alzai dal tavolo, avvicinandomi a lui.
Con la mano destra stringevo quel maledetto pezzo di carta; feci per allungarlo verso il suo volto, ma mi fermai. Provai una strana ed irrefrenabile voglia di accarezzarlo e di percorrere i suoi lineamenti, così dannatamente perfetti.
E, senza neanche pensarci, lo feci. Mi avvicinai lentamente, socchiudendo gli occhi. Le mie labbra andarono a posarsi sulla sua guancia. Scesi, percorrendo il profilo della sua mascella squadrata e raggiunsi l’angolo della bocca, dove vi lasciai un delicato bacio. Immediatamente un brivido mi percorse e le gambe mi tremarono: la cioccolata, mischiata alla sua pelle, aveva un sapore ancora più
buono.
La mia mente era completamente svuotata; in quel momento vi eravamo solamente io e lui. Non avrei mai voluto staccarmi, per restare così per sempre; desiderai ardentemente che il tempo si fermasse e non passasse mai. Però, purtroppo, tutte le cose belle hanno una fine. Infatti, quando lo sentii trattenere il respiro per la sorpresa, mi resi conto di quanto il mio gesto potesse risultare avventato.
Aprii gli occhi - spezzando l’incanto che si era creato - e mi staccai immediatamente da lui, portando una mano sulle labbra, dove ancora vi era il sapore della sua pelle.

Puntai gli occhi sul pavimento, totalmente imbarazzata. Il mio istinto mi diceva di andarmene, correre via da quell’assurda situazione e ci mancò davvero poco che lo facessi davvero. Però dovevo affrontare tutto questo, non potevo sempre risolvere le cose scappando.
“Isabella?”. La sua voce dolce mi giunse alle orecchie, ma non lo guardai; avevo paura.
“S-scusa, non dovevo” mormorai, flebilmente.
La sua mano si posò sotto il mio mento e con una leggera pressione mi alzò il viso, facendo così incatenare i nostri sguardi. Non risposi e rimasi in silenzio, perdendomi nei suoi bellissimi occhi verdi, nei quali avrei tanto voluto annegarci e non riemergere mai.
Le sue dita, leggiadre come le ali di una farfalla, si spostarono sulla mia guancia. Mi accarezzò il viso: dalla tempia, fino al collo; risalendo poi alla guancia, dove ci appoggiò l’intera mano.
“Isabella”. Il mio nome, pronunciato dalle sue labbra, sembrava una dolce melodie. I battiti del mio cuore aumentarono freneticamente, come se volesse uscirmi dal petto da un momento all’altro.
“Non devi scusarti. Mi ha fatto piacere il tuo gesto, forse più del lecito” sussurrò, guardandomi intensamente.
“I-io” provai a parlare, ma prontamente mi bloccò.
“Isabella, cosa devo fare per farti capite che non c’è nulla di cui scusarsi? – Domandò, retoricamente. – Il tuo gesto è stato… bellissimo. E’ vero, mi ha preso di sorpresa, ma è stato comunque bellissimo”. Le sue parole riuscirono a sciogliere la tensione che si era momentaneamente creata, tranquillizzandomi. Il peso che avevo sullo stomaco, per paura di aver commesso qualcosa di maledettamente sbagliato, se ne andò e tornai a respirare normalmente.
Mi lasciai andare contro il suo palmo e, timidamente, alzai una mano e la posai sulla sua, che stava ancora appoggiata alla mia guancia.
Le sue labbra si incurvarono in un sorriso dolcissimo; al quale non potei fare a meno di rispondere, seppur timidamente.
“Senti…” tentai di parlare, ma le parole mi morirono in gola. Perché, senza che potessi calcolarlo, mi circondò la vita con un braccio e mi strinse delicatamente a sé.
Le mie gote si tinsero di rosso e sentii il mio corpo andare – letteralmente – a fuoco.
“Sei bollente” mi fece notare, soffiando quelle parole a pochi centimetri dal mio orecchio. Era così vicino, che riuscii a sentire il suo caldo respiro sul mio viso.
Mi spostai leggermente, quel tanto che mi permettesse di guardarlo negli occhi. Ormai ero completamente dipendente da quel mare verde.
Eravamo nella nostra bolla personale, fino a quando il telefono non squillò, rovinando quel momento.
“Merda!” sbottò Edward a bassa voce, staccandosi da me e soffocò un’imprecazione.

“Pronto? – Rispose, alzando la cornetta. – Alice, dimmi” sbottò poi, scocciato. Iniziò a parlare velocemente, tanto che non capii ciò che si stavano dicendo.
Proprio ora, doveva chiamare? Sospirai, sconsolata.
Desideravo essere stretta dalle sue braccia, beandomi così del suo buonissimo profumo. E, soprattutto, volevo sentire il suo sapore, di cui non mi sarei mai stancata.

Ma che diavolo mi stava succedendo?
Semplice, il Ciobar mi aveva dato alla testa, doveva essere per forza questa la soluzione. Io non ero in grado di affezionarmi a nessuno, tantomeno a Cullen.
E allora perché, ogni volta che non mi era accanto, sentivo la sua mancanza?
“Va bene, glielo dirò. Ciao” disse, chiudendo la telefonata. La voce di Edward mi destò dai miei pensieri.
“Ha detto che sono arrivati al centro commerciale e dobbiamo raggiungerli?” chiesi, guardando l’orologio: erano le cinque e mezza, eravamo in ritardo di parecchio!
“No. Veramente, c’è stato un altro cambio di programma e mi hanno chiamato per avvisarmi” rispose, andando in soggiorno. Lo seguii.
“Un altro cambio di programma? E dovuto a cosa, questa volta?– Sbuffai. – E dove dovremmo andare, ora, di grazia?” domandai, alzando un sopracciglio.
Sorrise, notando la mia faccia scocciata.
“A questo”. Spostò la tenta, invitandomi a guardare fuori dalla finestra. Lo feci e strabuzzai gli occhi: stava piovendo… E che pioggia!
“Piove” risposi, semplicemente.
“Esatto piove, e molto forte anche. Quindi, purtroppo, l’uscita è rimandata. – Disse. – Ed è pericoloso guidare con questa pioggia”.
Annuii, completamente d’accordo con lui.
“Quindi, ora mi riporti a casa, giusto?” chiesi. “Veramente, questo non era nei piani. Alice ha chiamato tuo padre e l’ha avvisato che… saresti rimasta qui a dormire, stanotte” sussurrò, passandosi una mano tra i capelli, imbarazzato.
“C-come? – La mia voce uscì a stento. – Perché, anche tu non riesci a guidare con la pioggia?”. Sperai che mi dicesse che lui ci riusciva e che mi avrebbe portata a casa quella sera stessa.
“Non è questo il problema. Io so guidare benissimo con il maltempo. Il vero problema è che… - Fece una pausa, tossicchiando. – Alice ed Emmett hanno preso la mia auto, e quindi non ho la Volvo. Quindi, mi sa proprio che siamo bloccati qui, io e te”.
Trattenni il respiro e le gambe mi tremarono. Il mio cuore perse un battito: sarei rimasta la sera, e tutta la notte con lui… Solamente io e lui.
Questa giornata era stata, sicuramente, la più lunga della mia vita… E non era ancora finita.


Spero che il capitolo vi sia piaciuto e mi scuso nuovamente per l'imperdonabile ritardo.
Grazie a tutti voi che mi seguite. G R A Z I E, i vostri pareri sono davvero importanti per me.
Grazie di cuore, davvero, alla prossima.
Un bacione, _Dreams_.





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Capitolo 10
*** Nessuno è solo. ***


Buon pomeriggio a tutti.
Oggi è domenica e, come promesso, ecco a voi il capitolo. Con enorme ritardo, lo so.
Non sto qui a giustificarmi, perchè chi ha letto l'avviso avrà capito il motivo del mio ritardo.

Mi limito solamente a dirvi che ci ho messo un'eternità a sfornare questo capitolo, l'ho cancellato e ricancellato più volte. Non essendo mai soddisfatta del risultato.
Anche ora non ne sono completamente soddisfatta, ma ho deciso di postarlo comunque, per non farvi aspettare ulteriormente.
Questo non è un capitolo comunque, è IL capitolo.
L'ho scritto con il cuore. E mi farebbe davvero molto piacere, sentire il vostro parere. E' davvero molto importante, per me. :')
Detto questo, auguro a tutti buona lettura. Ci si legge sotto. ;)


10. Nessuno è solo.

"La vera felicità non è in fondo a un bicchiere,
non è dentro a una siringa:
la trovi solo nel cuore di chi ti ama".

Jim Morrison.

Pov Bella

«Vuoi qualcosa di caldo da bere?».
«Stai tremando, sicura di non volere una coperta?».
«Hai fame? Se sì, posso cucinarti qualcosa, oppure potremmo ordinare una pizza…».

Alzai gli occhi verso il soffitto, esasperata.
Era da più di mezz’ora che Edward continuava a farmi domande su domande. Inizialmente, quando mi aveva dato la notizia che Alice e gli altri avevano preso la sua auto e quindi saremmo rimasti a casa solamente io e lui, ero molto agitata. Non sapevo cosa fare, come comportarmi. Mi imposi, però, di restare calma e stranamente ci riuscii. In questo momento, però, sembrava che io ed Edward ci fossimo invertiti i ruoli, dato il suo attuale comportamento. Ringraziai il cielo, almeno, che Alice si era presa la briga di avvisare Charlie che non sarei rientrata quella sera.
«Edward», lo chiamai, mettendo così a freno il suo continuo blaterare. «Tranquillo, non ho bisogno di nulla, davvero. Sto bene», dissi, cercando di essere convincente.
Si voltò nella mia direzione, puntando i suoi occhi verdi nei miei, e ciò bastò a destabilizzarmi completamente. Mi passai una mano tra i capelli, regolarizzando il respiro. Era mai possibile che, con un semplice e fottuto sguardo, riuscisse a far aumentare i battiti del mio cuore?
«E poi... », cambiai argomento, «sei davvero convinto che, con questa grandine, le pizzerie effettuino consegne?». Lo presi in giro, sorridendo.
«Mi ero quasi dimenticato che stesse piovendo», si giustificò, passandosi una mano tra i capelli e, di fronte alla sua espressione imbarazzata, scoppiai a ridere.
«Qualcuno, qui, mi sta prendendo in giro?», domandò retoricamente, alzando un sopracciglio.
«Chi? Io non lo farei mai», mi difesi, portando innocentemente le mani avanti, reprimendo un sorriso. Incrociò le braccia al petto, sbuffando, e sbatté un piede per terra; mi sembrava un bambino piccolo e, anziché smettere, risi ancora più forte.
Reclinò leggermente il capo, fingendosi indignato.
«Isabella Swan». Pronunciò il mio nome interamente. «Ora le darò io un buon motivo per ridere, altroché». Un ghigno si dipinse sul suo volto, e la cosa non mi piacque per niente.
Si avvicinò di un passo, e di un altro ancora.
«C-che...?». Non feci nemmeno in tempo a finire la frase che, in un lampo, lo ritrovai seduto sul divano accanto a me. Mi prese per i fianchi, facendomi sdraiare sul divano. Con una mano mi bloccò delicatamente i polsi, mentre con l’altra iniziò a farmi il solletico.
Iniziai a ridere come una pazza, dimenandomi e scalciando, ma senza risultato.
«Edward!», strillai, tra una risata e l’altra.
«Vedo che ora hai un valido motivo per cui ridere», mi scimmiottò, continuando con la sua tortura.
«E-Edward!», ripetei, cercando di allontanarlo. Però, più mi sforzavo, e più lui si divertiva ad aumentare la dose.
«Sì?», domandò, guardandomi innocentemente.
«Non lo faccio più, giuro! B-basta, n-non r-respiro!», gridai, tra le risate.
Smise di farmi il solletico. «Per questa volta l’hai avuta vinta, Signorina Swan, la prossima volta non sarai così fortunata». Scossi lievemente la testa, divertita, e gli diedi una leggera spinta, nel tentativo di liberarmi dalla sua presa; però non avevo fatto bene i conti e, con quella mia mossa, lui cadde letteralmente sopra di me.
Posò i palmi delle mani ai lati del mio corpo, sorreggendosi, facendo così in modo che non mi schiacciasse. Però, involontariamente, il suo viso si avvicinò ulteriormente al mio, tanto che i nostri nasi si sfiorarono.
Sgranai gli occhi, trattenendo il respiro. Tutta quella vicinanza non mi faceva assolutamente bene, proprio per niente. Aprii la bocca per parlare, ma dalle mie labbra non uscii alcun suono. L’unica cosa che riuscii a fare, fu perdermi nel suo sguardo.
Dal suo viso sparì ogni traccia di divertimento; i suoi occhi mi scrutavano intensamente, come se volessero leggermi dentro. Ed ero sicura che, se avesse continuato a guardarmi in quel modo, ci sarebbe riuscito.
Il mio sguardo, involontariamente, andò a posarsi sulle sue labbra carnose, che in quel momento erano leggermente dischiuse. Mi parve di sentire il suo respiro caldo sul collo. Alzai di poco la testa, appoggiando la fronte alla sua.
Posò una mano sul mio fianco, mentre con l’altra continuò a sorreggersi, e me lo accarezzò delicatamente. Il mio corpo fu invaso da brividi, così chiusi gli occhi, beandomi appieno di quel piacevole tocco.
«Isabella», ripetè, dolcemente. Il mio nome, pronunciato dalle sue labbra, appariva come una dolce melodia. Volevo che lo ripetesse per tutta la vita.
«Edward…», sussurrai flebilmente.
Non riuscii ad aggiungere altro, perché il rumore del mio stomaco che brontolava, mi impedii di continuare la frase.
Edward si staccò di scatto, fissandomi. Si rimise seduto, dopodichè scoppiò a ridere.
Feci una smorfia, infastidita; in quel momento odiai con tutta me stessa il mio fottuto stomaco. Ma, ancor di più, odiai me stessa. Perché, in quel momento, avrei desiderato che le sue labbra si posassero sulle mie.
«Qui c’è qualcuno che ha fame, e menomale che non avevi bisogno di niente», rise, dandomi un buffetto sulla guancia.
Arrossii, improvvisamente imbarazzata.
«Okay, ammetto di avere un po’ fame, ora», mormorai, torcendomi le mani.
Sorrise. Un sorriso che fu in grado di mozzarmi il respiro, e far aumentare i battiti del mio cuore. Mi venne spontaneo ricambiare il suo sorriso, seppur timidamente.
Si alzò in piedi, porgendomi la mano, in un chiaro invito. L’afferrai immediatamente, senza esitazione.
«Anche a me è venuta fame», sorrise. «Vieni, andiamo di là, che ti cucino qualcosa».
Bene, era anche in grado di cucinare.
Edward Cullen era una continua scoperta, avrebbe mai smesso di sorprendermi?
Evidentemente, no.

***

«Credo di non aver mai mangiato così tanto in tutta la mia vita», bofonchiai, portando entrambe le mani sulla pancia. Avevo mangiato due porzioni di lasagne e, per finire, due fette di torta panna e fragole che aveva cucinato Esme, la madre di Edward.
«Addirittura», ridacchiò. «Questo è niente, in confronto a ciò che mangiamo di solito. Emmett, poi, è assolutamente imbattibile. Mangia peggio di un grizzly!», disse, lasciandosi cadere sul divano, accanto a me.
«Anche tu non scherzi, sai? Molto probabilmente se non ci fossi stata io, avresti finito per mangiarti da solo la torta; poi te la saresti vista tu con l’ira di tua madre», sorrisi, immaginandomi la scena. «Alice mi ha riferito che l’aveva cucinata appositamente per gli ospiti».
«Hai ragione, molto probabilmente appena lo verrà a sapere, mi ucciderà. Se la prenderà solamente con me, povero innocente», mugugnò, indicandosi teatralmente. «Con te non oserebbe mai, già ti adora», mi spiegò infine, sorridendo sghembo.
Arrossii, imbarazzata. Cercai di non darlo a vedere, cambiando immediatamente argomento. «Però non posso darti i torti, quella torta era davvero squisita. Tua madre è un’ottima cuoca».
«Ferma, ferma, ferma», replicò, fingendosi indignato. «E io? Non sono un cuoco eccellente?», domandò, alzando un sopracciglio.
Picchiettai un dito sul mento, fingendomi pensierosa. «Sì dai, devo ammetterlo, anche tu non sei niente male; le lasagne erano davvero ottime. Mentre all’inizio, quando mi avevi informato che avresti cucinato tu, credevo che mi sarei ritrovata morta avvelenata», ammisi, dandogli un pugno scherzoso sulla spalla.
Scoppiò a ridere, buttando la testa all’indietro e poggiò, involontariamente, la mano sulla mia gamba. Trattenni il respiro, ma non mi mossi.
Quel tocco mi portò alla mente ciò che era successo quel pomeriggio, poche ore prima, proprio su quel divano. Ignorai quei pensieri e lo guardai, fingendo un sorriso. Molto probabilmente se ne accorse, perché puntò i suoi occhi nei miei, fissandomi intensamente. Mi torturai con i denti il labbro inferiore e, incapace di sostenere il suo sguardo, guardai altrove.
«Hey», mi richiamò dolcemente, sfiorandomi delicatamente la mano.
Feci per voltarmi nella sua direzione, ma qualcosa catturò la mia attenzione: alla nostra sinistra, accanto alla porta, vi era una specie di palco, sul quale vi era situato uno spettacolare pianoforte a coda. Mi alzai e, istintivamente, mi avvicinai a quello splendido strumento, così da poterlo ammirare da vicino.
Allungai la mano, accarezzando quella superficie nera lucente. Improvvisamente gli occhi mi divennero lucidi, e un fastidioso nodo s’impossessò della mia gola: mia madre aveva una forte passione per la musica e, quando ero piccola, si divertiva a suonare composizioni, con me seduta accanto a lei che l’osservavo, incantata. Una delle principali melodie che mi dedicava, per augurarmi la buonanotte, era Claire de Lune, di Debussy: una delle sue preferite.
«Isabella?». La voce di Edward, alle mie spalle, mi fece sobbalzare; ero totalmente persa nei miei pensieri, che non mi accorsi che si era avvicinato.

Mi voltai, trovandolo in piedi esattamente di fronte a me. «S-scusa, n-on ti avevo s-sentito», balbettai, cercando di dare un tono alla mia voce.
«Tutto bene? Mi sembri strana», sussurrò, spostandomi delicatamente i capelli dietro l’orecchio. Come poteva accorgersi, ogni singola volta, delle mie emozioni?
«Sì, tutto okay. Stavo guardando questo splendido pianoforte», mentii, accennando un sorriso. «E’ di tua madre?», domandai, cambiando argomento.
«No, veramente è mio», rispose pacatamente, come se fosse la cosa più ovvia al mondo.
“T-tuo? Tu s-suoni?”, chiesi, strabuzzando gli occhi, tanto che non mi sarei stupita se da un momento all’altro fossero usciti dalle orbite.
Rise, davanti alla mia espressione sorpresa o, meglio dire, da pesce lesso. «Sì, è una delle mie passioni da sempre, da quando ero bambino».
«Non lo sapevo», mormorai, stupita.
«Ci sono tante cose che non sai di me, Isabella, e io di te».
Aveva ragione, e quella frase mi fece male, tanto. Fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso. Perché era vero, nonostante ci conoscessimo da quasi due mesi, lui non sapeva praticamente nulla della mia vita.
Mi passai, nervosamente, una mano tra i capelli.
«Mi suoneresti qualcosa?», chiesi infine, sinceramente curiosa di sentirlo suonare. Per poi pentirmi, subito dopo, della mia sfacciataggine. «S-sempre se vuoi, ovviamente. Non voglio assolutamente obblig-». Posò un dito sulle mie labbra, che al suo tocco si schiusero leggermente, mettendo così a freno quel mio assurdo ed ingarbugliato monologo.
«Mi farebbe molto piacere», sussurrò, togliendo il dito dalle mie labbra, prendendo poi posto di fronte al pianoforte. Sorrise, battendo lievemente la mano sulla sedia vuota, in un chiaro invito ad accomodarmi accanto a lui. Invito che non tardai ad eseguire.
Prima di abbassare gli occhi sui tasti, mi rivolse un ultimo sguardo e mi sorrise dolcemente. Dopodichè, le sue dita affusolate, iniziarono a correre veloci sui tasti d’avorio e il salone si riempì del suono di una composizione tanto complicata, tanto rigogliosa, da non poter credere che fosse davvero lui a suonarla.
«Questa è la preferita di mia madre», mi disse, mentre la musica ci avvolgeva completamente.
«L’hai scritta tu?», domandai, a bocca aperta.
«Sì», mormorò, imbarazzato, guardandomi di sfuggita.
La musica rallentò, si trasformò in qualcosa di più morbido. Non avevo mai sentito quella sinfonia, ma tra le ondate di note, compresi che si trattasse di una ninna nanna.
«Questa, invece, è una ninna nanna?», chiesi, curiosa.
«Sì, è una ninna nanna, e l’hai ispirata tu», sussurrò a bassa voce. «Quella sera, quando hai rischiato di essere investita, alla fine sei svenuta e sei rimasta qui a dormire; ricordi?». Annuii impercettibilmente, incapace di parlare.
«Sono rimasto sveglio a guardarti mentre dormivi. Eri così rilassata, così… Splendida, che in quel momento avrei tanto voluto che il tempo si fermasse», mi confessò, continuando a fissare le sue mani, che velocemente continuavano a muoversi su quei tasti d’avorio.

Rimasi incantata ad osservarlo per non un tempo interminabile, fino a quando la canzone che stava suonando, non giunse agli ultimi accordi.
Ero senza parole, letteralmente.
Alzò lo sguardo, e i nostri occhi s’incontrarono.
«E’ bellissima, davvero. Io non trovo le parol-». Mi bloccai, incapace di terminare il discorso. Gli occhi mi divennero lucidi, talmente forte era l’emozione che stavo provando in quel momento. Mi sporsi dalla sedia e mi avvicinai a lui, posando le mie labbra sulla sua guancia in un dolce bacio. «Grazie», mi limitai a sussurrare, accanto al suo orecchio.
«Prego». Sorrise, spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Chiusi istintivamente gli occhi, a quel tocco così delicato. La sua mano scese fino alla mia guancia, dove vi lasciò una tra le più dolci carezze.
Sorrisi e mi rilassai, poggiandomi completamente al palmo della sua mano.
«Sai una cosa?», la sua voce mi riportò alla realtà. Aprii gli occhi, e tornai a guardarlo. «Alla fine la grandine non ha portato solamente conseguenze negative».
Lo guardai, confusa, attendendo che continuasse a parlare.
«Voglio dire… Sono qui, con te, e al momento non vorrei essere in nessun altro posto. Sto bene, così» bisbigliò, fissandomi intensamente. Mosse lievemente il braccio, nel chiaro gesti di allontanare la sua mano dalla mia guancia, ma glielo impedii, posando la mano sinistra sulla sua e ne accarezzai teneramente il dorso.
«Anch’io sto bene qui», sorrisi timidamente e le mie guance s’imporporarono a quell’ammissione.
Si mosse dalla sedia, sporgendosi verso di me. Mi sorrise, dolcemente, avvicinando il suo viso al mio. Si muoveva lentamente, come se avesse paura che potessi scappare da un momento all’altro, ma non poteva sapere che le sue paure erano totalmente infondate.
I suoi occhi erano puntati nei miei, i nostri sguardi erano intrecciati. Poggiai una mano sulla sua gamba, e posai la fronte contro la sua, chiudendo gli occhi. Molto probabilmente si avvicinò ancora, perché riuscii a sentire il suo respiro sulle mie labbra dischiuse.
Avrei tanto desiderato fermare il tempo, e rimanere così per sempre.
«Bella», sussurrò, posando la mano libera sul mio braccio.
Appena sentii quel nome uscire dalle sue labbra, m’irrigidii immediatamente. Spalancai gli occhi e, istintivamente, balzai in piedi.
«Cosa…?», blaterò, visibilmente sorpreso dalla mia reazione. «Ho fatto qualcosa di male?», domandò, alzandosi in piedi, raggiungendomi.
«No, no. Non è…», non riuscii nemmeno a dire una frase di senso compiuto.
«Allora perché ti sei allontanata?», chiese, in cerca di una spiegazione.
Aprii la bocca, pronta a parlare e rassicurarlo, fingendo che andasse tutto bene. Però le mie buone intenzioni andarono in fumo quando si avvicinò e pronunciò nuovamente quel nome, che mai più avrei voluto sentire.
«Bella…», ripetè, tendendo una mano nella mia direzione.
Sussultai e, senza pensarci due volte, mi allontanai di scatto. Notando la mia reazione, la ritirò velocemente, guardandomi dispiaciuto. I suoi occhi emanavano una tristezza infinita, e quello fu per me un colpo al cuore.
«Io credevo che…», iniziò a dire, senza però concludere la frase. «Che stupido sono stato», sussurrò atono, scuotendo lievemente il capo per dare enfasi alle sue parole.
«Edward, no, io…».
«Tu cosa?» domandò, visibilmente deluso.
«Io…». Non sapevo cosa dire, le parole non ne volevano sapere di venir fuori.
«Non c’è bisogno di spiegazioni, tranquilla. Ho capito ciò che vuoi dire, ho frainteso le tue intenzioni; ripeto: sono stato uno stupido», disse, alzando leggermente la voce. «Ma ora non ho più voglia di parlarne. Se hai bisogno di una doccia, il bagno è al piano superiore. Prima porta a sinistra», cambiò discorso così, senza preavviso. Non aspettò neanche una mia risposta, mi voltò le spalle e si avvicinò al pianoforte, sistemando alcuni spartiti.
La mia presenza, in quel momento, era così poco gradita, da inventarsi la scusa della doccia?
Scossi la testa, incredula, e iniziai a salire le scale. Però, una volta arrivata a metà percorso, mi ritornarono in mente le sue parole, sputate con tutta la delusione che provava nei miei confronti. Aveva voluto trarre supposizioni di testa sua, arrivando così alla conclusione sbagliata. Fui pervasa dalla rabbia, come diavolo si permetteva?

Scesi di corsa le scale e piombai in soggiorno, dove lui era ancora lì, a fingersi impegnato con quei maledetti spartiti.
«Le tue conclusioni sono sbagliate, tremendamente sbagliate». La mia voce lo fece sobbalzare, non si aspettava di trovarmi lì; molto probabilmente era totalmente convinto che io fossi realmente andata al piano superiore.
«Non direi», rispose, voltandosi nella mia direzione.
Aveva un tono pacato, tranquillo, come se fosse realmente convinto delle sue supposizioni. Questo non fece altro che innervosirmi ulteriormente. Strinsi i pugni e mi morsi la lingua, per evitare di aggredirlo verbalmente.
«Tu non capisci niente. Hai sparato un casino di cazzate, prima!», urlai. Fece per rispondere, indignato, ma lo bloccai con un gesto della mano. «Come credi di poter sapere ciò che mi passa per la testa, se non mi dai nemmeno il tempo di parlare, eh?! Hai preferito voltarmi le spalle e spedirmi al piano superiore con una scusa bella e buona, piuttosto che affrontare immediatamente la questione. Sei uno stupido! La colpa è stata mia, non tua. Tu non centri niente. E non è vero, non puoi capire, proprio per niente. Io volevo que-», mi bloccai.

Io volevo questo bacio.
Ecco, cosa stavo per dire.

Scossi la testa, sentendo gli occhi diventarmi lucidi.
«Hai ragione, tu non sai niente di me, e mai lo saprai», mormorai infine. Non gli lasciai nemmeno il tempo di replicare, gli voltai le spalle e corsi via, salendo le scale.
L’unica cosa che desideravo, in quel momento, era allontanarmi da lui. Trovai immediatamente il bagno, entrai e chiusi la porta velocemente.
Appoggiai la schiena contro il legno della porta, e mi lasciai scivolare, fino a ritrovarmi seduta per terra. Sentii un nodo alla gola, e le lacrime minacciavano di uscire da un momento all’altro. Strinsi forte le palpebre, per evitare che accadesse e con una gran forza di volontà riuscii a ricacciarle indietro.
Portai le ginocchia al petto, e nascosi il viso tra le mie gambe.

Bella. Bella. Bella. Bella.

Quel nome continuava a ripetersi incessantemente nella mia mente, come un disco rotto. Un singhiozzo sfuggì dalla mia bocca, ma mi morsi il labbro inferiore, imponendomi di non piangere. Regolarizzai il respiro, poco a poco.
Sperai con tutta me stessa che Edward non aprisse quella maledetta porta e mi vedesse in quelle condizioni; fortunatamente le mie preghiere vennero esaudite. Non volevo farmi vedere in quelle condizioni.
Rimasi per un tempo interminabile in quella posizione, fino a che non trovai la forza di alzarmi. Sospirai, e sperai vivamente che il getto d’acqua calda della doccia mi aiutasse a calmarmi.

***

Scendo, o non scendo?
Scendo, o non scendo?
Scendo, o non scendo?

Continuavo a ripetere questa domanda da ormai dieci minuti. Non avevo la minima idea di cosa fare, perciò mi feci coraggio e optai per la prima opzione.
Sospirai e, dopo un secondo d’indecisione, poggiai la mano sulla maniglia. Aprii leggermente la porta e per poco non urlai.
Una figura, in ombra, si trovava esattamente davanti a me. Ci misi un pò a metterla a fuoco.
«Edward! Che ci facevi qui appartato davanti alla porta? Mi hai fatto prendere un colpo», portai una mano al cuore, terrorizzata.
«E’ da circa un’ora che l’acqua ha messo di scorrere. Ho aspettato un altro po’, ma dato che non sei scesa, stavo iniziando a preoccuparmi», ammise, portandosi una mano tra i capelli, imbarazzato.
«Preoccupazioni infondate, puoi vedere con i tuoi occhi che sto bene», risposi con voce tagliente, sorpassandolo.
La sua mano si strinse delicatamente intorno al mio polso. «Aspetta, non puoi dormire vestita così. Ti ho portato questa, sarà un po’ lunga, ma dovrebbe andarti bene», disse, porgendomi una maglietta. Molto probabilmente la sua, dedussi dalle dimensioni.
«Grazie», risposi, prendendola.
«Puoi utilizzare la camera di Alice, stanotte. Se hai bisogno di qualsiasi cosa, la mia camera è quella accanto».
«Okay, grazie, Edward».
«Senti… Per ciò che è successo prima…», lo bloccai, con un cenno del capo. Non volevo ascoltare ciò che mi voleva dire.
«Non importa, non è successo niente. Buonanotte, Edward», lo salutai, con tono impassibile. E, prima che potesse rispondere, entrai in camera.
«Buonanotte, Bella», lo sentii sussurrare, prima di chiudermi la porta alle spalle.

Lasciai cadere i miei vestiti per terra, ed indossai la maglia di Edward.
Era talmente lunga che mi arrivava fino alle ginocchia.
Avrei tanto desiderato concludere la serata in modo diverso. Era stata una giornata splendida, ma avevo rovinato tutto.
Rovinavo sempre tutto, sempre. Ero un completo disastro.
Mi sdraiai e mi accoccolai sotto il piumone, stringendomi le braccia al petto.
Ero talmente esausta che mi addormentai subito, con addosso la maglia di Edward… che emanava il suo profumo.

***

“L’auto sfrecciava sulla strada, eravamo diretti verso casa.
L’atmosfera era allegra; Renée e Phil non facevano altro che sorridermi, come sempre.
Li amavo, con tutta me stessa. Erano la mia vita… La mia famiglia.

L’unica cosa che rovinava quella splendida atmosfera era la pioggia, che diveniva sempre più fitta. Una luce accecante, una brusca frenata, delle urla e poi… il nulla.
Un lampo squarciò il cielo, seguito da altri”.

Mi svegliai di soprassalto, dopo aver emesso un grido strozzato.
La pioggia batteva incessantemente sui vetri delle finestre, rompendo il silenzio che vi era nella stanza.

E’ stato solo un incubo, è stato solo un incubo”. Mi ripetevo come una mantra, cercando di calmarmi.

Però, il rumore improvviso di un lampo, seguito da un altro e un altro ancora, mi fece sobbalzare. Stava tuonando forte, esattamente come quella notte, e d’allora i tuoni divennero una delle mie peggiori paure.
Il mio respiro divenne affannoso ed iniziai a tremare come una foglia. Mi appoggiai contro il muro, priva di forse, e mi lasciai scivolare sul pavimento. Mi rannicchiai in un angolino, al buio, portando le ginocchia al petto. Le lacrime presero a rigarmi il viso, seguite da singhiozzi spezzati. Mi morsi violentemente il labbro inferiore, tentando di frenare quell’improvvisa crisi che mi aveva travolta. Sperai che nessuno mi avesse sentita.

Speranza vana; due secondi dopo sentii la porta della camera aprirsi di scatto, e dei passi avvicinarsi a me. Trattenni il fiato, continuando però a tremare inesorabilmente.

«Bella?». La voce di Edward si fece sempre più vicina. Sentii le sue mani posarsi sulle mie braccia. «Bella?», ripetè, alzando leggermente la voce.

Avrei tanto voluto rispondergli, ma non ci riuscii. Mi limitai a rannicchiarmi, ancora di più, su me stessa.

Non sentii più il pavimento sotto di me, segno che mi aveva sollevata da terra. Scese di corsa le scale con me in braccio. Chiusi forte gli occhi e strinsi la sua maglia tra i miei pugni. Mi depose su qualcosa di morbido, dedussi fosse il divano.

«Bella», sussurrò di nuovo, accarezzandomi teneramente il viso. «Ti prego, guardami», implorò.
Mi resi conto, solo in quel momento, di tenere ancora gli occhi chiusi. Li aprii, lentamente, e mi scontrai con due splendide pozze verdi, che mi osservavano con preoccupazione. Era inginocchiato accanto a me, e la sua mano era poggiata ancora sulla mia guancia.

Tremai, ancora, e lui se ne accorse immediatamente.

«Hey, va tutto bene», sussurrò, stringendo le mie dita con la mano libera. «E’ tutto okay», ripetè, con tono rassicurante.

«N-no», dissi. La mia voce uscì come un flebile sussurro tremante. «I t-tuoni», balbettai.
«Hai paura dei tuoni?», mi domandò ed io annuii, tremante.

«Non può essere solo per questo. Hai avuto una crisi, Bella, eri sotto shock», mormorò. «Ti prego, parlami. Permettimi di aiutarti», m’implorò, stringendo la presa sulla mia mano, accarezzandone delicatamente il dorso con movimenti circolari.

Scossi la testa, terrorizzata, e liberai le dita dalla sua stretta.

Si alzò e si sedette accanto a me, sul divano. «Quando avrai bisogno di qualcuno con cui sfogarti, sappi che io ci sono. Oggi, domani, dopo domani… Sempre. Quando te la sentirai di parlarmi, io sarò qui, pronto ad ascoltarti. Non dimenticarlo», sussurrò, avvicinandosi, e baciandomi dolcemente la fronte.

Tutta quella dolcezza non me la meritavo, io non meritavo niente.

Mi alzai di scatto dal divano e sotto il suo sguardo sbigottito, gli voltai le spalle, allontanandomi di alcuni passi. Mi sentivo persa senza lui accanto, così mi circondai la vita con le braccia, iniziando a tremare per l’ennesima volta.

Aprii la bocca ed iniziai a parlare, senza nemmeno rendermene conto.

«Quando avevo cinque anni, mia madre e Charlie divorziarono; così lui decise di trasferirsi qui a Forks. I loro rapporti non erano tra i migliori, soprattutto perche lui l’amava ancora. Un anno dopo Renée trovò un nuovo compagno, Phil; un eccellente giocatore di football e amante dello sport… Un grande uomo. Quando venne a scoprirlo, Charlie ne rimase deluso; tanto da ritornare a Phoenix solamente nelle festività, lo faceva solo ed esclusivamente per me. Questo fino a quando non raggiunsi i dodici anni, poi le visite diminuirono… fino a mancare. Quando sono venuta qui, era da tre anni che non lo vedevo, né sentivo», raccontai parte della mia vita, e le mie mani si strinsero a pugno.

Non sentii nessun rumore alle mie spalle, così capii che Edward mi stava ascoltando.

«Quella parte della mia vita che mancava fu colmata dalla presenza di Phil, che divenne come un padre per me. Noi tre eravamo così felici, erano la mia famiglia», bisbigliai. «Una sera, decisi di uscire con gli amici e passai dalla libreria, dove trovai il libro che desideravo da mesi: “Orgoglio e pregiudizio”. Era stata una giornata pesantissima ed iniziò a piovere, non avevo la minima voglia di tornarmene a casa a piedi, così feci loro una telefonata, implorandoli di venirmi a prendere. Non se lo fecero ripetere due volte, e in mezz’ora arrivarono. Ero così entusiasta del mio nuovo acquisto, che non smettevo di parlare», un sorriso amaro si dipinse sul mio viso, al ricordo di Renée e Phil che mi prendevano in giro. Mi parve di sentire il suono della loro risata. «La pioggia divenne sempre più fitta, e il cielo fu squarciato da lampi, proprio come questa notte. Tanto che le auto faticavano a vedere la strada», un brivido mi percorse. Aumentai la stretta delle mie braccia intorno alla vita, tentando di placare quel senso di vuoto che si era impossessato di me.

Senza che me ne rendessi conto le lacrime presero a rigarmi le guance; mi morsi con forza il labbro inferiore, con l’intento di ricacciarle indietro.

Due mani si strinsero delicatamente intorno alle mie braccia, e con un lieve strattone mi obbligarono a voltarmi dalla parte opposta. Non riuscii ad oppormi, e mi voltai, scontrandomi così con il viso preoccupato di Edward. Ero talmente presa dal mio racconto, che non mi ero nemmeno resa conto che si fosse avvicinato.

Parve accorgersi, solo in quel momento, dell’acqua salata che bagnava il mio viso. Sgranò gli occhi, completamente stupito, e lasciò la presa sulle mie spalle.

«Bella…», sussurrò, posando una mano sulla mia guancia. Mi allontanai immediatamente, conscia che quando avrebbe saputo tutta la verità, mi avrebbe abbandonata anche lui. Quindi era meglio se mi abituassi già da ora alla mancanza del tocco delle sue dita affusolate.

«N-no, p-perfavore», implorai, con voce flebile. Aprì la bocca, pronto a parlare, ma lo bloccai con un gesto della mano. Annuì, titubante, e si mise le mani in tasca.

«Chiusi gli occhi, completamente rilassata, senza valutare la situazione. Eravamo ad un incrocio e u-una m-macchina è passata con il rosso, ci ha t-travolto in p-pieno», tremai, mentre il ricordo di quella notte tornò vivo nella mia mente. «L’unica cosa che ricordo è una luce accecante, le urla di mia madre e Phil. Rimasi incosciente per circa due giorni. Mi risvegliai in ospedale, attaccata a dei tubi, ero sconvolta; per questo aspettarono un altro giorno per dirmi che loro… erano morti», la voce mi uscì bassa, spezzata dal forte dolore che stavo provando. Portai una mano al cuore, che batteva all’impazzata, e cercai di regolarizzare il respiro.

«Bella» mormorò flebilmente, avvicinandosi di qualche passo.

Mi tappai le orecchie al suono di quel nome, non volevo sentire più niente. Volevo solamente fuggire da tutto quel dolore che mi stava sommergendo.

«No, no. Loro mi chiamavano così, no», scossi energicamente il capo. «Un attimo prima, erano li accanto a me e un attimo dopo, loro non c’erano più. Se solo non mi fossi fatta venire a prendere, loro a quest’ora sarebbero ancora vivi. E’ stata colpa mia, tutta colpa mia!», esclamai, tremando, mentre altre lacrime bagnarono le mie guance.

Annullò quei pochi passi che ci separavano e si avvicinò velocemente, circondandomi le spalle con le sue braccia. M’irrigidii all’istante, divenendo un pezzo di ghiaccio..

«Non devi toccarmi, hai capito? Lasciami!», sibilai, furiosa, spingendolo lontano da me.

In quel momento il suo viso si trasformò in una maschera di dolore, ma non me ne importava. Avrei preferito che si allontanasse, averlo vicino mi faceva soffrire ancora di più. Sapevo l’emozione che provava, ora, nei miei confronti: compassione.

«Io ti odio. Ti odio. Ti odio!», urlai, furiosa, spingendolo di nuovo.

Sgranò leggermente gli occhi, i quali divennero lucidi. «Bella, ti prego…», la sua voce non era altro che un flebile sussurro.

«Come puoi guardarmi ancora in questo modo?! Come puoi farlo, nonostante tu sappia la verità su di me? Come puoi?!», urlai, sempre più arrabbiata e… sofferente.

«Non è stata colpa tua…», bisbigliò, avanzando di un passo.

«Non ti avvicinare!», gridai, ma lui non mi ascoltò, e tese una mano nella mia direzione. «So cosa stai provando in questo momento, ed io non voglio la tua pietà. Non la voglio!», indietreggiai, fino a quando non toccai il muro con le spalle.

Ignorò completamente le mie parole. «Non è stata colpa tua», ripetè nuovamente, con tono più deciso. I suoi occhi ardevano di sincerità.

«Basta, smettila di ripeterlo», mormorai, trattenendo le lacrime.

«Sai che non è così, non potevi prevederlo. Il destino è imprevedibile», negò con la testa, e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.

«E’ stata colpa mia, cazzo! Solamente colpa mia», urlai, avvicinandomi al tavolo. In preda ad un attacco di rabbia, afferrai il vaso che giaceva su di esso, e lo scaraventai a terra.

Non guardai la sua reazione a quel mio gesto improvviso; la rabbia che avevo provato poco fa scomparve immediatamente, lasciando spazio ad un grande dolore.

«Sarei dovuta morire io in quell’incidente. Io, non loro», sussurrai, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. «Loro meritavano di vivere, io no. Sono… niente». Ero priva di forze, tanto che dovetti appoggiarmi al muro per sostenermi.

Sì avvicinò velocemente, tanto velocemente che faticai a vederlo, e mi prese per le spalle. «Non voglio mai più sentirti dire una cosa del genere, mi hai capito? Mai, mai più, voglio sentire queste cazzate uscire dalla tua bocca, è chiaro?», alzò la voce, scuotendomi leggermente. «Sei una ragazza splendida, Bella, non dimenticarlo», sussurrò, addolcendo il tono.

Con uno strattone mi allontanai, staccandomi nuovamente dalla sua presa.

Le gambe mi tremarono e non riuscirono più a reggere il peso del mio corpo, così mi accasciai a terra, esausta.

Non fui più in grado di trattenere le lacrime e, presto, mi rigarono le guance.

Edward s’inginocchiò accanto a me e cercò di abbracciarmi, ma ancora una volta, non glielo permisi. Non volevo la sua pietà, non la volevo.

«Vattene, non voglio la tua pietà. Vattene». Mi rannicchiai contro il muro, allontanandomi maggiormente da lui.

«La mia non è compassione. Non starei mai accanto a te solamente per pietà, Bella. Io ti voglio bene», mormorò, fissandomi intensamente.

Sgranai gli occhi, incredula, e il dolore mi mozzò il respiro.

«Perché sei così dolce con me, perché? Smettila, non lo merito!», gridai, battendo i pugni contro il suo petto, costringendolo ad arretrare. «Io non merito niente», terminai in un sussurro, continuando a colpirlo. Non mi bloccò le mani, semplicemente non mi toccò, lasciando che continuassi ad inveire contro di lui.

«Bella…», mormorò, sofferente. «Ti voglio bene». Il bisbiglio di Edward fu in grado di scuotermi l’anima. La sua dolcezza fu in grado di far crollare tutte le mie barriere.

Smisi di colpirlo e, stremata, mi lasciai cadere in avanti.

Le sue braccia, prontamente, mi afferrarono. Mi circondò le spalle e mi strinse con forza al suo petto. Mi adagiai contro di lui, priva di forze. I singhiozzi mi squarciarono il petto, e dei gemiti incontrollati sfuggirono dalle mie labbra.

«Mi dispiace tanto, piccola
», mi tenne stretta contro di sè, sfregando la guancia contro la mia tempia. «Ssh, va tutto bene, sono qui», sussurrò, portando una mano sulla mia nuca, affondandola tra i miei capelli; premendo il mio viso contro il suo petto. Piansi ancora più forte, aggrappandomi alla sua maglietta con tutta la forza che avevo, per paura che scomparisse da un momento all’altro.
«N-non l-lasciarmi, t-ti p-prego», implorai flebilmente, stringendomi a lui con tutte le mie forze. Automaticamente, le sue braccia mi strinsero con maggiore forza, quasi fino a farmi mancare il respiro.

«Non ti lascio, Bella. Sono qui, non ti lascio», sussurrò, accarezzandomi delicatamente la schiena e i capelli. «Non ti lascio, te lo giuro». Mai parole risuonarono più vere.

Un singhiozzo, più forte dei precedenti, mi scosse completamente, facendomi sussultare e le sue braccia, ancora una volta, aumentarono la stretta.

«N-non lasciarmi», continuai a ripetere, come una nenia disperata.

«Ssh, io sono qui. Potrai sempre contare su di me, sono qui. Non ti lascio», ripetè con voce dolce e decisa allo stesso tempo, cullandomi dolcemente.

Continuai a piangere, incapace di fare altro. «Sfogati, io sono qui. Sfogati», mormorò.

Ascoltai le sue parole, e strinsi la presa delle mie dita intorno alla sua maglia.

«Ti voglio bene, Bella», bisbigliò al mio orecchio, continuando a cullarmi ed a carezzarmi teneramente. Affondai ancora di più il viso nel suo petto caldo e accogliente, sentendomi, per la prima volta, a casa.

Pian piano, il mio respiro cominciò a regolarizzarsi; le palpebre a farsi sempre più pesanti, ed iniziarono a tremolare.
Lui se ne accorse. «Dormi, Bella. Ci sono qui io accanto a te. Dormi, non ti lascio», sussurrò, continuando a stringermi a sé, depositando teneri baci sul mio capo.
Rassicurata da quelle parole, chiusi definitivamente gli occhi. Mi lasciai andare, addormentandomi tra le braccia calde e confortanti di Edward, accompagnata dal suo profumo.
Per una volta non mi sentii sola.

Mi sentii, finalmente, a casa.


Ringrazio di cuore chi è arrivato fin qui.
Grazie di cuore alle 12 persone che hanno recensito. E' davvero importante, per me, il vostro parere.

Grazie di cuore anche a chi mi ha aggiunta tra le seguite (189),
chi tra i preferiti (70),
chi tra le ricordate (24).
e infine chi mi ha aggiunta tra gli autori preferiti (9).

Spero di avere anche in questo capitolo un vostro parere. (:

GRAZIE DI CUORE A TUTTI. <3

Un bacione, _Dreams_.

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