Seta Nera

di m00nlight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Disclaimer: i personaggi di Lady Oscar non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Riyoko Ikeda. 


Notte di agosto.
Silenzio nei corridoi del Palazzo addormentato.
E quiete tra le fronde degli alberi.
I grilli sussurrano una dolce ninna nanna al vento.
Luna crescente. Pallida e timida luce.
Nell'aria il dolce profumo delle viti lussureggianti e colme di frutti.
Sullo sfondo, Parigi assopita. 
Sembra irreale la pace che avvolge il paesaggio e si ha come l'impressione che nulla possa riuscire a turbarla.
 
Stringo la presa intorno al bicchiere mezzo vuoto e butto la testa indietro, poggiandomi al tronco del grande albero sulla collina.
Ancora un paio di sorsi di vino.
Spingo lo sguardo lontano, oltre la boscaglia.
Da questo punto posso vedere tutto ciò che accade a Palazzo Jarjayes. 
Si gode di una visuale perfetta, soprattutto in una notte serena come questa.
Una collinetta ricoperta dalla vegetazione, ad ovest della tenuta. 
Da un pò di anni, il mio rifugio nelle notti insonni.
La verità è che amo questo posto perchè mi illude di avere il controllo su questa parte di mondo. 
Perchè da qui nessuno può vedermi. 
Perchè da qui mi sento potente, a metà fra il cielo e la mia condizione di servo.
Poggio le labbra al vetro e mi inebrio dell'essenza penetrante del Bourdeaux.
Ed attendo. Attendo che sia il momento.
 
Ad un tratto, zoccoli di cavalli irrompono nella tranquillità della notte.
E' la ronda di Girodelle. 
Come ogni notte, da un pò di tempo oramai, raggiungono Palazzo Jarjayes per scortare Oscar fino in città.
Sono a guardia dei quartieri ricchi di Parigi, da quando una nuova minaccia si aggira per i vicoli bui.
si fa chiamare il Cavaliere Nero. 
Nero, come l'oscurità dentro cui si muove.
Dicono sia la nuova speranza del popolo francese, che arranca sotto il potere di un governo che opprime.
Ne parlano i poveri nelle bettole e per le strade, ne parlano i nobili nei loro salotti.
Dopo Sua Maestà, egli è l'uomo più popolare di Francia.
Per quanto rappresenti il crimine, in ogni dove il suo nome si accompagna a nuove prospettive per il futuro per tutti, ricchi o poveri. 
Nel bene o nel male, il Cavaliere Nero è diventato sinonimo di quella rivoluzione che si avverte nell'aria sudicia della capitale.
 
La pallida luce di una candela illumina il piano basso e il portone si apre.
Il drappello di uomini si ferma poco prima delle scale d'ingresso. 
Girodelle smonta da cavallo e si dirige al portone, dove Oscar è già pronta ad attenderlo.
Vedo Oscar montare il suo Cesar e prendere il comando.
I cavalli percorrono veloci il lungo viale alberato.
Li seguo con lo sguardo sulla strada, mentre di dirigono alla volta di Parigi.
 
Butto giù tutto d'un fiato l'ultimo sorso di vino.
 
L'attesa è finita, anche stanotte.
Raccolgo bicchiere e bottiglia e mi avvio sulla strada del ritorno.
Percorro lentamente il tratto che mi separa da palazzo Jarjayes, senza fretta.
Seguo il sentiero stretto e tortuoso fino alla mia meta, facendomi strada fra i rami e le radici che insidiano il cammino.
 
La porta delle stalle è socchiusa, così entro silenzioso.
Conosco questo posto come le mie tasche, per questo non mi è difficile muovermi sicuro nel buio. 
Mi accosto piano al mio cavallo, che sembra essersi già accorto di me, e preparo la sella.
 
Il terzo asse a partire dalla parete di fondo, coperto dalla paglia. 
Quello più scuro degli altri, per via del legno ormai quasi marcio.
Una leggera pressione sugli angoli e si solleva rivelando un piccolo deposito segreto.
Dentro, un sacco di juta annodato stretto da un cordino.
Lo prendo e, facendo attenzione, mi allontano verso la boscaglia, tenendo il cavallo per le briglie e nascondendo il mio tesoro sotto la giacca.
 
Al sicuro, nascosto fra gli alberi, lego il cavallo ad un ramo. 
Tiro fuori il sacco e ne allento il laccio.
Seta nera, all'interno.
Nascondo i miei occhi dietro la maschera.
Sul fianco, la mia spada, un dono di Oscar. 
E' l'inizio di una nuova notte per il Cavaliere.
Avvolto nel mantello della notte, monto il mio destriero e mi dirigo verso nord, verso Parigi.

To be continued...

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Disclaimer: i personaggi di Lady Oscar non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Riyoko Ikeda. 
 
 
Come seta nera sulla pelle.
Scivolo nella notte in sella al mio cavallo.
Ondeggia il mantello e cattura sinistri riflessi sotto il pallore della luce della luna.
La campagna intorno è buia, ma la città non è lontana. 
E' sordo il rumore degli zoccoli del mio cavallo al suolo, sembra quasi non voglia farsi sentire.
Sono invisibile. 
Mi confondo al cielo notturno.
 
Parigi si fa sempre più vicina.
Alzo lo sguardo in alto. Man mano che aumenta il numero delle luci dell'abitato, sono sempre meno le stelle visibili nel cielo.
E' la notte del Gran Ballo a Versailles.
La capitale è vestita a festa per l'occasione e tutti i nobili hanno già abbandonato le proprie dimore per partecipare all'evento.
I palazzi sono deserti e incustoditi.
Me ne occuperò io.
 
Un quarto alla mezzanotte.
Le strade della città intimorirebbero anche i più impavidi a quest'ora.
Dietro ogni angolo, sembra celarsi un pericolo e aleggia quella strana quiete che lascia presagire che sta per accadere qualcosa.
Lo sento. 
Questa notte non sarà una notte qualunque. 
 
L'eco dei rintocchi delle campane di Notre Dame scuote con brutalità l'aria notturna.
Davanti a me, Palazzo Cuiller. [1] 
E' ben visibile già a distanza.
Un palazzo vecchio di un paio di secoli, vicino al complesso di Place Vendome, nel cuore di Parigi.
Mi addentro in un vicolo nei pressi del mio obiettivo e smonto da cavallo. 
Con la fune arpionata, facendo forza sulle braccia, raggiungo il tetto di un fabbricato vicino.
Da questa prospettiva Parigi appare diversa.
Un salto preciso, un po’ azzardato, e sono sul tetto di Palazzo Cuiller.
Scricchiolano le tegole sotto il mio peso, mentre faccio attenzione ad appoggiare bene un piede dopo l'altro.
Un passo falso e potrei finire schiantato al suolo. 
Non sarebbe una degna fine per il Cavaliere Nero. 
 
Le finestre delle soffitte, quelle delle camere della servitù, sono aperte. 
In un attimo sono dentro. 
Come di consuetudine, i piani alti sono quelli occupati dalle stanze dei padroni. 
Scendo la rampa di scala e mi ritrovo al piano giusto.
La porta della stanza padronale, che domina il corridoio del secondo piano, è chiusa a chiave. 
Poco male. 
Una leggera pressione sul chiavistello. 
E voilà. 
Richiudo la porta alle mie spalle, facendo attenzione a non far scattare la serratura, per poi dirigermi verso il mobilio.
Credo che a quest'ora la Contessa sia occupata nei suoi giri di valzer, pertanto, sarò io a prendermi cura dei suoi gioielli. 
A Madame Cuiller non dispiacerà troppo se le sottraggo un po’ di quel denaro che solitamente sperpera in abiti e frivolezze, per darlo a chi ne ha bisogno.
Perle e diamanti, zaffiri e rubini tra le mie mani, risaltano sulla pelle nera dei miei guanti. 
Preziosi di una bellezza inverosimile, quisquilie concesse solo a pochi.
Improvvisamente la rabbia mi assale. 
Com'è possibile che queste persone possano cedere a simili capricci, quando il popolo di Parigi vive di stenti?
Non c'è tempo di fermarsi a pensare, tanto meno di lasciarsi prendere da tali sentimentalismi.
Prendo tutto quello che riesco a raccogliere, lo infilo in un piccolo sacco e lo lego in vita.
Raggiungo la finestra e la apro.
Cerco l'appiglio più vicino, il condotto di smaltimento delle acque, e mi riporto sul tetto.
Bene. 
Anche per stanotte è tutto.
Non mi resta che restituire al popolo ciò che gli appartiene.
 
E sono un'ombra sui tetti di Parigi. 
 
Ad un tratto, un colpo di pistola divide l'aria.
Un rumore secco e violento irrompe nel silenzio della città, risuona nelle mie vene e, infine, si dissolve nella sua eco.
Immobile. 
Non muovo più un solo muscolo.
-Fermo dove siete, o sparo. E questa volta miro al cuore.-
Mi tremano le gambe, ma non per la spavento.
Quella voce. 
Una costante nella mia esistenza.
 
Questa è la prima volta che il Cavaliere Nero e il Colonnello s’incontrano.
 
Non c'è altra scelta, se non quella di mantenere il silenzio. 
Riconoscerebbe la mia voce da subito, ma da quella distanza non riconoscerebbe mai il mio volto.
Mi giro lentamente, ora la vedo.
Giù nella strada, stringe tra le mani la pistola, ben puntata in direzione del mio petto.
Attende una mia reazione.
-Tenete le mani ben in vista, monsieur.-
Obbedisco. 
So che sparerebbe e so anche che è una dei migliori tiratori di Francia. 
Non sbaglierebbe.
Osservo tutto quello che è intorno a me, cercando una via di fuga.
Non è il momento di fare errori.
Mi serve un diversivo e mi serve subito.
Poi un'illuminazione.
 
 
___________________________________

 
 
Un'altra notte spesa a passare al setaccio tutte le zone ricche di Parigi per stanarlo.
Stanotte sono troppe le case incustodite ed è difficile indovinare quale sarà il suo obiettivo.
Mi trascino stancamente lungo le vie buie e desolate della città, mantenendo, comunque, lo sguardo vigile e attento.
So che si muove sui tetti, ma veste di nero come la pece e si confonde alle tenebre.
Questo Cavaliere Nero è ritenuto il nuovo giustiziere di Francia e sembra rappresenti tutti i risentimenti del terzo stato.
Il popolo lo acclama. 
Per quanto la sua missione sia nobile, resta un fuorilegge e va adeguatamente punito.
Un ladro è pur sempre un ladro.
Voglio incontrarlo. 
Voglio prenderlo e strappargli la maschera. 
Vedere finalmente se è soltanto un ladro, oppure no.[2]
Mi perdo in percorsi mentali troppo intricati, mentre metto a fuoco la parte alta della città.
 
Poi una macchia scura su Palazzo Cuiller.
Questa notte porterà qualcosa di buono. 
Lo sento.
 
D'istinto porto la mano alla pistola. 
Un colpo. 
Punto sopra la sua testa. 
Il primo è un avvertimento. 
Il secondo andrà a segno.
S’immobilizza. E' di spalle.
-Fermo dove siete, o sparo. E questa volta miro al cuore.-
Uso il tono più autoritario che possiedo.
Non c'è insicurezza nelle mie parole. 
Infine, si volta. 
Come pensavo. 
E' lui.
 
Finalmente il Cavaliere Nero e il Colonnello, sullo stesso campo di battaglia.
Non mi sfuggirà.
 
-Tenete le mani ben in vista, monsieur.-
Stringo tra le mani ancora la pistola, che già mira al suo petto.
E' lontano, ma ho una buona mira.
Obbedisce ai miei comandi ed ho come l'impressione che sia stato troppo semplice.
Questo ladro è preceduto dalla sua fama e sono certa che sta già macchinando il modo di uscire dal mio mirino.
Lo vedo allargare le braccia verso il cielo.
Colgo un sorriso beffardo sul suo volto.
E' un istante. 
Si lascia cadere.
E lentamente scompare alla mia vista.
Premo sul grilletto troppo tardi.
O forse no.

To be continued...
 

M00nlight's room:
Rieccomi qua. Sono felice di avervi ritrovati tutti. :)
Stavolta si tratta di un esperimento. Quindi non vi assicuro nulla, però voglio provarci lo stesso.
Quest'idea mi tentava già da un pò e alla fine ho ceduto. 
Quale miglior modo per liberarsi da una tentazione, se non quello di cedervi? ;) [O.Wilde docet u__u ]
Così, ecco qui la mia prima multicapitolo.
Spero davvero sia di vostro gradimento.
 
La domanda è: ...e se dietro la maschera del Cavaliere Nero si fosse nascosto veramente Andrè?
Alla prossima.
 
Ale_m00nlight
Note:
[1] Nome di fantasia.
[2] Frase tratta dall’anime.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Disclaimer: i personaggi di Lady Oscar non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Riyoko Ikeda. 


Avevo calcolato tutto.
 
Poco più di una decina di metri dal suolo, vento quasi assente, solo una leggera brezza ad interferire, e poi l'appoggio perfetto: la tenda di una bottega.
Sarei dovuto atterrare proprio lì e, infine, con un salto avrei raggiunto la strada.
 
Avevo calcolato tutto.
 
Tutto. Tranne la pallottola che è penetrata nella mia spalla.
A causa della ferita, in preda agli spasmi, ho modificato la mia traiettoria, finendo, grazie a Dio, a metà tra la tenda e il vuoto.
Un dolore lancinante, quasi insopportabile.
Straziante.
Una volta sulla tenda, mi sono lasciato cadere sul lastricato e, trascinandomi a passo sostenuto per un isolato, ho ritrovato il mio cavallo.

Il sangue ora comincia a defluire sempre più velocemente, mentre premo la mano sulla ferita.
Lentamente assumo il comando del mio cavallo e mi dirigo verso Nord.
 
Mento a me stesso.
In realtà, sapevo che quel colpo sarebbe andato a segno.
 
Oltrepassata la Senna, punto ad una delle zone più periferiche della città.
La maschera non mi serve più, tanto meno il mantello.
A rilento, me ne privo.
In questo modo darò meno all'occhio.
L'orologio di Notre Dame annuncia che sono da poco passate le tre.
So quanto possa essere sconveniente una visita nel cuore della notte, ma ho bisogno di aiuto.
Busso stancamente ad una familiare porta, di legno consunto e scolorito, e mi accascio sullo stipite, mentre attendo che qualcuno mi venga ad aprire.
Ad un tratto il chiavistello scatta e noto la luce di una candela da sotto la porta.
-Andrè... cosa ti è successo?-
Bernard è sulla soglia della porta e mi osserva con un'espressione che rivela grande preoccupazione.
-Bernard ho bisogno del tuo aiuto. Sono stato ferito ad una spalla.-
-Svelto vieni dentro, prima che qualcuno si accorga di te-
Mi spinge piano dentro, invitandomi ad entrare.
Supero la soglia di casa e mi accorgo che vicino al tavolo della cucina c'è Rosalie a piedi nudi e con un'aria allarmata sul volto.
Vedo i suoi occhi farsi lucidi e poi riempirsi di lacrime, quando si accorge del sangue, che ormai ha tinto di uno strano colore cremisi la mia camicia nera.
-Andrè che ti hanno fatto?-
Fatica a mettere insieme le parole, con voce rotta dal pianto.
-Va tutto bene, Rosalie. Torna a dormire, te ne prego-
Non voglio che sia preoccupata per me, perché non c'è ragione di esserlo.
-Rosalie, va a chiamare il dottore, presto-
Bernard rende nulli i miei tentativi di ridimensionare il tutto.
-Ci vado subito-
La vedo prendere il suo scialle di lana, indossare gli zoccoli e correre fuori di casa, in un momento.
-Bernard non è necessario, davvero. La pallottola mi ha colpito solo di striscio. Ho bisogno solo di bende e di un buon liquore per disinfettare-.
Provo a convincerlo, mentre sembra occupato ad ispezionare la mia ferita.
-Taci, Andrè. Il proiettile è ancora nella tua spalla, non posso estrarlo io-.
Ecco la spiegazione a questo dannato torpore che ha cominciato a diffondersi prima nel braccio, poi nel torace.
-Poco male, sono riuscito comunque a portare via con me qualcosa-
Con l'altro braccio prendo il piccolo sacco legato alla mia cintola e glielo metto tra le mani.
Questo bottino domani servirà a portare il pane sulla tavola di qualche povera famiglia dei sobborghi della capitale.
-Che Dio ti benedica, Andrè-
Bernard abbassa lo sguardo e stringe tra le mani quel tesoro che è costato la mia spalla.
La sua voce, in balia della commozione, trema come il riflesso della luce della candela sulla parete.
-Oggi una spalla, ma, prima o poi, lascerai che ti portino via anche la vita... vuoi davvero che accada, Andrè?-
-Io faccio solo quello che posso per aiutare la mia gente e non m’importa di rischiare la vita-
C'è solennità nelle mie parole e riecheggiano antiche promesse fatte a me stesso nel giorno in cui ho dato vita al Cavaliere Nero.
-Pensa alle persone a cui vuoi bene, pensa a tua nonna, pensa a Oscar... -
-E' stata lei a premere il grilletto-
Non lascio trasparire alcuna emozione, ma non posso fare a meno di notare l'espressione di Bernard, a metà tra lo sconvolto e lo smarrito.
C'è chiaramente sorpresa nei suoi occhi.
-Non stupirti. Conoscevo i rischi e sapevo che alla fine sarebbe accaduto. Anzi, mi sorprende che sia trascorso così tanto tempo prima di incontrarla-.
-Sacrificherai tutto quello che hai di più caro per colpa di questo segreto, Andrè-
Sono parole tristi, le ultime di Bernard, colme di preoccupazione.
Sposto lo sguardo sul pavimento.
Non voglio incontrare i suoi occhi ancora una volta, perché so già cosa vi leggerò dentro.
Non voglio sentirmi dire che dovrei smettere di essere il Cavaliere Nero.
Perché non posso smettere di esserlo.
Non ora.
Improvvisamente la porta si apre e fa la sua apparizione il dottore.
Dietro di lui, Rosalie chiude la porta alle sue spalle.
Il dottore è un uomo di fiducia di Bernard, conosce l'identità del Cavaliere Nero, pertanto, saltando i convenevoli, poggia la borsa sul tavolo, tira fuori i suoi occhialini e si avvicina a studiare la ferita.
-Cosa è successo, Andrè?-
Delicatamente scosta i lembi della camicia, ormai attaccati alla pelle per via del sangue raggrumato.
Fa male.
Fa molto male.
Nascondo il fastidio tremendo dietro una smorfia di dolore.
-Mi hanno sparato mentre saltavo da un tetto, dottore-
-Rosalie, prendi i ferri dalla mia borsa, presto. E porta qui qualcosa da stringere tra i denti. Proverò a tirare fuori il proiettile. Farà male, Andrè-
-Procedete pure, dottore-
Vedo Rosalie armeggiare tra gli strumenti del dottore e poi avvicinarsi con un vassoietto con sopra adagiate pinza e bisturi.
-Avvicinate la candela, prego-
Il dottore mi ordina di stringere tra i denti il pezzo di stoffa recuperato in cucina da Rosalie e inizia a strofinare sulla mia pelle una soluzione liquida incolore, ma dall'odore nauseante.
Passa il bisturi sulla fiamma.
Infine, affonda lo strumento sulla mia carne e traccia con decisione una linea retta.
Poi, con la pinza si fa spazio sotto l'epidermide, cercando di tirare fuori il proiettile.
Inizialmente cerco di soffocare il dolore in silenzio, ma quando la pinza prende a vagare sotto la mia pelle, tutto quello che riesco a produrre sono dei versi simili al guaito di un cane.
Stringo i denti e ho come l'impressione di essere sovrastato da quell'onda di sofferenza che mi sommerge in un attimo.
Questo strazio brucia come ghiaccio nelle vene.
Rimanere immobile mi è impossibile, ma cerco di dominare gli spasmi.
Resisto per un tempo breve, perché dopo pochi istanti perdo il contatto con il mio corpo e una strana indolenza s’impossessa di me, fino a farmi perdere i sensi.
 
E ritorno nelle tenebre.
 
Mi sveglio poco dopo, come smarrito, nel letto della casa di Bernard e Rosalie, con una spalla fasciata.
Non riesco a ricordare quello che è accaduto dopo che il dottore è riuscito ad asportare il proiettile dalla mia spalla.
Avrei voluto per lo meno ringraziare, invece, devo esser svenuto mentre operava.
 Rosalie si affaccia sulla porta con un enorme sorriso sul volto e un vassoio tra le mani.
-Come stai, Andrè?-
-Molto meglio, Rosalie, grazie. Non so come ripagare tutto il disturbo che vi ho causato questa notte. Sarai stanca e so che tra poche ore andrai a lavoro. Mi dispiace, Rosalie-
Faccio per alzarmi, ma mi blocca per le spalle.
-Resta dove sei ancora un po’. Hai perso molto sangue e sei ancora debole. Metti qualcosa sotto i denti, prima di andare via-.
Adagia sulle mie gambe una ciotola con del brodo caldo e un pezzo di pane.
-Non vorrei approfittare della vostra gentilezza, davvero-
-Ma cosa dici, Andrè? L'affetto che mi lega e te e ad Oscar è talmente profondo che per me tutto questo è naturale. Andrè, ringrazio Dio che tu stia bene-
Ha detto...Oscar.
Oscar.
All'improvviso passano davanti ai miei occhi immagini della scorsa notte.
Fuori dalle finestre il blu del cielo ha assunto una tonalità più chiara.
Bruscamente realizzo che tra poco sarà giorno.
Non manca molto al sorgere del sole.
Devo sbrigarmi.
Devo essere a Palazzo Jarjayes prima che qualcuno possa insospettirsi.
-Rosalie, mi dispiace, ma devo andare prima che qualcuno della servitù si accorga della mia assenza-
Frettolosamente metto in piedi una motivazione per Rosalie.
Mi sollevo dal letto e, dopo un po’ d’iniziale difficoltà, recupero il mio equilibrio e mi metto in piedi.
La camicia è ai piedi del letto, la prendo e la infilo.
-Grazie di tutto, Rosalie-
-Ti prego, sii prudente, Andrè-
-Lo sarò, non essere in pensiero per me-
Le regalo un enorme sorriso e poi aggiungo poche parole, quasi gridando, a mano a mano che mi avvicino alla porta e mi allontano da lei.
-Ringrazia Bernard da parte mia, te ne prego-
Mi richiudo la porta alle spalle.
Ritrovo il mio cavallo fuori, qualche passo più in là, legato al muro.
Proprio nell'attimo in cui comincio a pensare che la mia spalla, stranamente, non stia arrecando nessun disturbo, come un lampo, una fitta mi costringe a cadere sulle ginocchia e mi toglie per un attimo il respiro.
Dura pochi minuti.
Recuperate le forze, salgo in sella al mio destriero e lascio la città alla volta di Palazzo Jarjayes.
Albeggia all'orizzonte e il sole fa capolino tra le colline della campagna francese, tingendole di luce.
Il mondo piano piano prende colore e tutto pare risvegliarsi.
Nel bosco, recupero i miei abiti e l'aspetto di sempre.
E' troppo tardi per riportare gli abiti del Cavaliere Nero nelle stalle, qualcuno potrebbe essere già a lavoro, così nascondo il sacco nero all'interno di una cavità di una vecchia quercia.
Non riesco a dominare l'agitazione che mi pervade.
 
Ma quando entro nelle stalle il mio cuore manca un battito.
-Dove sei stato, Andrè?-
Due occhi azzurri, di fronte a me.


To be continued…

 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Disclaimer: i personaggi di Lady Oscar non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Riyoko Ikeda. 
 
 
 
Quando un colpo di pistola profana la sacralità del silenzio della notte, lascia dietro di sé un’eco funesta.
Così come occhi, assuefatti al buio, hanno bisogno di tempo per abituarsi alla luce, allo stesso modo l'udito fatica ad ambientarsi nella nuova quiete.
 
Due esplosioni.
La prima, un avvertimento.
La seconda, no.
O almeno credo.
 
Quell'espressione beffarda, l'impudenza nel volto.
Non so per quanto tempo ho mantenuto quella posizione, gambe divaricate e braccia protese in avanti a brandire la pistola, so solo che, alla fine, mi sono ridestata da quel momento di assenza e ho ripreso il controllo di me stessa.
Ho capito che avrei dovuto sbrigarmi, se avessi voluto catturarlo.
Stringo la pistola tra le mani e corro verso quello che dovrebbe essere il luogo dell'atterraggio.
Ho perso troppo tempo, ma non demordo.
Se i miei calcoli sono esatti, dovrebbe essere atterrato solo un isolato più lontano, probabilmente su un luogo di fortuna.
Se la sorte è dalla mia parte, stanotte lo prenderò vivo.
E poi gli strapperò la maschera.
E finalmente potrò guardarlo negli occhi.
Volto l'angolo e, quando arrivo, mi accorgo che probabilmente è già troppo tardi.
Nessuna traccia del ladro.
Analizzo palmo a palmo il tratto di strada, senza trovare nulla che possa esser considerato anche solo un indizio, fino a quando, per caso, alzo la testa e poso lo sguardo sulla copertura di quella che sembra essere una vecchia bottega.
 
Sangue.
 
La tenda, ingrigita e consunta dal tempo, ha una grossa macchia rosso vivo al centro esatto.
Si allarga in una striscia scarlatta irregolare, laddove deve essersi trascinato a terra, dopo esser caduto, in preda al dolore.
Non può essere andato lontano.
 
Scalpitio di zoccoli di cavalli sul lastricato.
I miei uomini mi vengono incontro, probabilmente dopo aver sentito gli spari.
Vedo Girodelle affiancare il mio cavallo, smontare dalla sella e poi fare qualche passo in mia direzione.
-Colonnello, abbiamo sentito degli spari. State bene?-
Sembra essere sinceramente preoccupato, la sua voce non mente.
-Presto, pediniamo la zona. Ho ferito il cavaliere Nero. Deve essere qui intorno-
Mi rivolgo al mio secondo, senza perder tempo. 
Per il momento non gli serve sapere altro.
-Agli ordini, Colonnello
Dopo il saluto militare, raggiunge il drappello di soldati e comunica le mie direttive.
Velocemente i miei uomini si dividono tra i vicoli scuri della zona, alla ricerca del fuorilegge, mentre io prendo le redini del mio cavallo e, a passo lento e con lo sguardo fisso sulla strada, parto alla ricerca di macchie di sangue o di qualcosa che mi porti da lui.
 
Nulla.
Il buio della strada sembra averlo fagocitato.
Nessuna traccia.
Non un piccolo segno.
Così, dopo due ore di ricerche ininterrotte, congedati i miei uomini, riprendo la via di casa.
Sono esausta.
Questa notte è stata più impegnativa di quanto mi aspettassi.
Inoltre, torno indietro stringendo nella mano un pugno di mosche, dannazione.
 
Al mio ritorno a palazzo Jarjayes, le stalle sono vuote e silenziose.
Quando conduco Cesar al suo box, non posso non notare che il cavallo di Andrè non è al suo posto.
Strano, quanto insolito.
Sono certa che il cavallo è insieme al suo padrone, chissà dove.
Dove si sarà cacciato quel benedetto ragazzo?
Chiudo il cancelletto del recinto di Cesar e mi lascio scivolare sul pavimento, seduta, con la schiena poggiata al legno.
Se Andrè è fuori, lo aspetterò qui.
E poi gli chiederò dov'è stato.
Abbandonare palazzo fino a quest'ora della notte, non è da lui.
Fatico a mandar giù la preoccupazione, poi un'emozione sconosciuta s’insidia nella mia mente. 
Un pensiero sottile inizia a tormentarmi.
Il cuore prende un nuovo ritmo e avverto un lieve senso di rabbia, come immotivata.
Mi rifiuto anche solo di partorire un'idea tanto sciocca, poi cedo.
In fondo, è possibile.
Una donna.
Che Andrè ora sia a scaldare il letto di qualcuna?
E' un uomo ormai, Andrè. 
Un uomo che attira molti sguardi su di sè.
Chiudo gli occhi, cercando di cancellare quel sentimento. 
Cerco di convincere me stessa del fatto che non è così.
Egoisticamente, nel mio mondo non c'è spazio per nessun'altro, se non per me e per lui. 
Probabilmente ora sarà a far baldoria e a bere in qualche bettola di Parigi e tra poco lo vedrò apparire all'ingresso delle stalle, mezzo ubriaco e con la testa ciondolante.
Sorrido a quell'immagine, ma il riso prende un retrogusto amaro, quando per un istante dietro i miei occhi chiusi, appare una maschera nera e un sorriso irriverente.
Ripenso al fallimento della serata.
Poi piccolo piccolo, un dubbio.
Seta nera offusca i miei pensieri.
Andrè, dietro quella maschera.
Dubbio, sospetto, timore.
Dannato Cavaliere Nero. 
Riesce a farmi dubitare anche della persona più cara.
Infine, perdo il contatto con il mondo e lascio che Morfeo mi culli fra le sue braccia.
 
Il suono leggero di zoccoli di cavallo riecheggia sulle pareti della stalla, ridestandomi.
Il buio della stalla non mi permette di distinguere bene la sagoma sulla soglia, ma so che è Andrè.
Mi ha notata, per questo si ferma un attimo, poi, come se nulla fosse, riprende a curarsi del cavallo.
Mi muovo nell'oscurità e lo raggiungo.
Una sola domanda.
Diretta.
-Dove sei stato, Andrè?-
Si volta nella mia direzione lentamente.
La verità è che non voglio conoscere la risposta, ora che due idee si insinuano taglienti nel mio cuore.
Se è stato con una donna, non voglio saperlo.
Se è il Cavaliere Nero, non voglio saperlo. 
O almeno credo.
Metto a fuoco il suo volto nelle tenebre e finalmente trovo i suoi occhi.
Mi sorprendo quando scopro di non riuscire a gestire la rabbia, che sembra sopraffarmi.
Stringo le mani nei pugni fino ad affondare le unghie nella carne.
Non posso perdere il controllo.
Perché dovrei?
-Oscar, cosa ci fai ancora qui?-
Non si aspettava di trovarmi sveglia. 
Allontana gli occhi dai miei e li posa sul suo cavallo.
-Sarai stanca, dovresti andare a letto-
Inutili preoccupazioni di chi non vuole rispondere ad una domanda.
-Dove sei stato, Andrè?-
Ripeto di nuovo e lascio che percepisca la serietà marcata delle mie parole.
-Sono uscito a fare due passi, Oscar-
Mente, con una strana serenità in volto.
-Nel cuore della notte?-
Insisto e non mi arrendo.
-Non riuscivo a dormire e così sono uscito-
La stessa voce incrinata della prima risposta.
-Mi nascondi qualcosa. Avanti, parla, Andrè-
-Che dici, Oscar? Che cosa dovrei nasconderti?-
Ride all'assurdità della mia domanda. 
Una risata nervosa, sembra soffocare la verità.
Maledetto buio, non mi permette di cogliere le sfumature nelle sue espressioni.
Mi è difficile leggere il suo volto.
L'oscurità gioca a suo favore.
Scatto in avanti e lo afferro per le braccia, all'altezza delle spalle.
Una mossa dettata dall'irrazionalità del momento.
Lo strattono con forza e poi gli urlo poche parole.
Voglio sapere.
Devo sembrargli fuori di testa, ma ora che questo dubbio mi tormenta, ho urgenza di sapere se lui è il Cavaliere Nero o no.
-Non mentirmi, non a me. Che succede, Andrè?-
Ed è nell'attimo in cui scrollo il suo corpo, per quanto riesca a farlo, che noto qualcosa d’inaspettato sul suo viso.
Un lampo di dolore. 
Agonia.
Dura una frazione di secondo, ed è quasi impercettibile, soprattutto senza luce.
Non perde tempo a cancellare la sua smorfia di dolore.
Lo vedo recuperare la serietà, poi, lentamente, pronuncia le uniche parole che non avrei mai voluto ascoltare.
Perché poi?
-Ho una donna, Oscar. Ero da lei. E' proibito, forse?-
Il gelo del suo sguardo mi pietrifica.
Non ho bisogno di sapere altro.
Stringe dolcemente i miei polsi fra le mani e mette fine a ogni contatto fra i nostri corpi. 
Il mio mondo comincia piano a sgretolarsi ed io precipito rovinosamente nel nulla.
E capisco che forse avrei accettato anche l'idea di Andrè dietro la maschera del Cavaliere Nero.
I sensi, annullati, non mi permettono di capire quando lascia la stalla.
So solo che, in un istante, mi ritrovo sola, con l'unica compagnia di una lacrima che mi riga il volto.
Faccio per portarmi le mani al volto, ma qualcosa mi ferma.
La mano destra ha perso il suo candore.
 
Una macchia di sangue sul mio palmo.
 

To be continued...
 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Disclaimer: i personaggi di Lady Oscar non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Riyoko Ikeda. 
 
Questa notte mi ha devastato l'anima.
Non mi resta altro da fare che nascondermi al più presto nella mia stanza, ma, prima di farlo, mi accorgo di aver bisogno di distrazione.
 
Per questo passo dalle cucine per rubare una bottiglia di vino e un bicchiere dalla credenza.
Ho bisogno che i fumi dell'alcool anestetizzino il mio corpo, ma, soprattutto, la mente.
Percorro a passo svelto i corridoi di Palazzo Jarjayes, poi mi chiudo in camera.
Stappo la bottiglia e verso il vino nel bicchiere.
Ne trangugio ogni singola goccia porpora.
Poi ripeto ancora l'operazione.
E ancora una volta, assecondando la mia inutile fretta di affondare nell'oblio di una sbornia.
Lo faccio al buio, come se l'oscurità possa farmene coglierne meglio il sapore, annullando gli altri sensi.
Spero che arrivi veloce ad annebbiare i miei sensi e le mie membra.
Ho bisogno di perdermi.
Manca ancora qualche ora al sorgere del sole e mi è rimasto un po’ di tempo per riposare.
Come se fosse semplice riuscirci.
Le finestre della mia camera sono chiuse ed io ho bisogno di aria.
L'odore della menzogna comincia ad essere insostenibile.
Mi muovo con l'intenzione di aprirle, ma, nell'istante in cui passo davanti allo specchio, noto con orrore l'evidenza della mia bugia.
Una macchia cremisi, ben visibile anche alla tenue luce della luna filtrata dalle tende, si sta espandendo velocemente sul tessuto della mia camicia.
Il cotone ha assunto una tonalità più scura in corrispondenza della ferita.
Con urgenza, mi libero delle prove della mia colpevolezza.
Facendo attenzione a non compiere movimenti bruschi, mi privo dell'indumento e dopo aver pulito con la stessa la ferita dal sangue, la nascondo in un angolo della mia stanza, in attesa di farla sparire l'indomani.
Tiro fuori dal cassettone una nuova camicia, candida, e la indosso.
Poi mi avvicino al catino con l'acqua e mi bagno il volto, il collo, i capelli.
Immergo completamente il viso in quel piccolo specchio e, fino a quando posso, trattengo il respiro.
Quando riemergo, piccole gocce cristalline sono rimaste incastrate tra le ciocche scure, alcune cadono giù, tornano da dove sono venute, allargando piccoli cerchi nell'acqua.
Rimango così, appoggiato al catino a fissare quel gioco d’interferenze nell'acqua e ad ascoltare il suo suono, ipnotico e ripetitivo.
Il vino deve aver cominciato a fare effetto prima del previsto. 
 
E ripenso a Oscar e ai suoi occhi.
Allo smarrimento sul suo volto, procurato dalle mie parole.
Cos'altro avrei potuto dirle?
Non avevo altra scelta.
Oscar è capace di condurti al limite, se ha intenzione di estorcerti un'informazione, ma c'è una sola cosa su cui non ha mai mostrato curiosità.
Per quanto assurdo sia, per tutto questo tempo, non abbiamo mai parlato di sentimenti.
Un argomento troppo spinoso da affrontare tra di noi.
Se di fronte a questioni militari non siamo altro che due abili soldati, davanti a questioni così personali non possiamo fingere di non essere quello che siamo.
Un uomo e una donna.
Un uomo e una bellissima donna.
La mia rivelazione l'ha turbata, ma so che era l'unica cosa che avrebbe potuto fermarla.
Mi è sembrata sconvolta.
E mi chiedo se sia mai possibile che una piccola menzogna possa averla sconcertata così.
Mi dispiace, Oscar.
Il mio è stato un colpo basso, ma non potevo agire diversamente.
 
A un tratto, la porta alle mie spalle si apre.
Mi volto di scatto.
Un'Oscar sul piede di guerra fa il suo ingresso in camera mia, noncurante di aver appena violato la riservatezza della mia camera.
Avanza veloce verso di me, tenendo la mano destra ben in alto, mentre con l'altra ne indica il palmo.
E' in preda all'ira, come fuori di testa.
-Dimmi cos'è questo, Andrè- 
Non è una domanda. 
E' un ordine del Colonnello. 
Su quella mano, non avevo notato un particolare così evidente.
Il suo palmo è macchiato del mio sangue.
Cerco di dissimulare il panico, che ora sta piano piano prendendo piede nella mia testa.
Poi, una volta recuperata la calma necessaria, con una certa disinvoltura, metto in piedi una scusa.
Richiamo a me, tutte le mie doti da attore, sempre che ne abbia.
-Ti sei ferita, Oscar?- le dico cercando si sembrare sorpreso, ma allo stesso sincero.
-Questo sangue è tuo, non mentire-
Mette i suoi occhi nei miei e li vedo ardere.
Ora più che mai, non sono sicuro di riuscire a fronteggiare tutta quella furia.
Sposta lo sguardo sulla mia camicia, alla ricerca della sua prova, e sembra disorientata, quando si accorge che è immacolata.
-Ti sbagli, quel sangue non è mio, Oscar-
In un impeto, allunga la mano e stringe il bavero della mia camicia.
So cosa sta per fare. 
Credo di essere in trappola.
Il Colonnello vuole verificare di persona.
Volto la testa verso la finestra e assumo un'espressione impassibile, in attesa che scopra chi sono.
Poi mi spiazza.
Continua a serrare il tessuto tra le sue dita, ma è inaspettatamente immobile e sembra non riesca ad andare oltre.
Fissa la sua mano, mentre, tremante, non riesce a scoprire un solo lembo della mia pelle.
Perché, Oscar?
Mi appare nervosa, non più in preda alla rabbia.
Sulle sue gote, virginale rossore. 
Imbarazzo. 
Ancora un uomo e una donna.
Un uomo e una bellissima donna.
Devo essere ubriaco.
Abbassa il volto, cercando di nascondere ai miei occhi quella reazione così ingenua e pura.
E non comprende che, in realtà, l'innocenza di quel gesto provoca in me uno scompiglio tale, da non riuscire più a essere padrone delle mie azioni.
Forse è colpa del vino, se non mi accorgo di quando le mie mani raggiungono la sua, sul mio petto.
La copro e la nascondo al sicuro sotto le mie, poi la stringo come a volerla rendere un tutt'uno con il mio corpo.
La trattengo sul mio cuore, sperando riesca a sentirne la confusione che ha creato.
Mi chino sul suo collo e lascio che le mie labbra depositino un castissimo bacio.
Rabbrividisce sotto il mio tocco leggero e me ne compiaccio.
Infine, mi avvicino al suo orecchio e, dopo averle scostato i capelli, le sussurro a mezza voce -Quanto durerà ancora questo interrogatorio stanotte, Oscar?
Lentamente risalgo fino ad avvicinarmi a un angolo della sua bocca, ma è in quel momento che torno in me.
Rinsavisce la mia mente e mi allontano dalla fonte del mio turbamento.
Qualche passo indietro.
E' ora di congedarla.
-Buonanotte, Oscar-
Stringe i pugni, poi si volta e si avvia verso la porta, lasciando che sbatta alle sue spalle.
Questa volta il Cavaliere Nero ha avuto la meglio e il Colonnello è stato costretto alla resa.
Sospiro poggiato al davanzale della finestra, rimirando la luna.
Ho bisogno ancora di vino, stanotte.
Un paio di bicchieri.
Ed è quasi l'alba di un nuovo giorno.
Fino a quando la luna non sarà di nuovo alta in cielo, sono ancora Andrè.
 
 
To be continued...
 

M00nlight's room:

Okaerinasai! [=Bentornati!]
Un abbraccio a tutti. Eccomi ancora qui.
Sembra proprio che non riesca a star lontana da questa storia. 
La verità è che mi sta prendendo più di quanto lo credevo possibile.
Sono felice che la mia idea sia piaciuta a molti. 
Credetemi, spero di non deludervi. :)
Questa ff sta nascendo così, semplicemente sull'onda delle mie emozioni.
Grazie a chi ha trovato il tempo per leggere e commentare.
Arigatou gozaimasu! ;P [=Grazie mille!]
Alla prossima.
 
Ale_m00nlight

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Disclaimer: i personaggi di Lady Oscar non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Riyoko Ikeda. 
 
 
Ho l'impressione che il cuore mi possa balzare fuori dal petto da un momento all'altro.
Ora che sono sola nella mia stanza, sento il battito cardiaco riecheggiarmi nelle orecchie a una frequenza preoccupante.
Di un ritmo serrato e incalzante, quasi inarrestabile.
Sbarro la porta con il mio corpo, continuando a stringere la maniglia nella mano, anche se sono consapevole del fatto che non servirà a tenere fuori dalla mia stanza tutti quei pensieri così poco miei.
Quel contatto ha scatenato in me reazioni che non potevo prevedere.
La pelle di Andrè, di mio fratello, ha provocato in me fantasie sconosciute.
Sento il sangue affluire velocemente al volto, mentre ripenso alla sensazione che mi hanno regalato le sue labbra sul mio collo, per un tempo così breve, da sembrare irreale.
Mi porto una mano al volto, per nascondermi dietro il suo palmo.
Provo vergogna e pena per ma stessa.
Forse sono solo spaventata, perché mai prima d'ora il mio corpo mi aveva messo davanti a emozioni simili.
Non posso credere di essere riuscita a trasformare Andrè nel soggetto di simili oscenità, generate da questa mia mente così, inaspettatamente, perversa.
Probabilmente sono matta.
Una risata scuote piano il mio corpo, poi sempre più forte, fino a risuonare forte nella stanza, fino a rischiare di svegliare l'intero piano.
Rido e non riesco a smettere di farlo.
Rido di questa mia debolezza, così inaspettatamente femminile. 
Rido di quel pudore che per un attimo mi ha reso una donna fragile qualunque, proprio io che ho sempre rinnegato la mia vera natura.
L'ironia della situazione è evidente.
Rido per esorcizzare il fatto di aver ceduto alla lussuria nella mia testa, ed è peccato.
Rido della mia audacia e chiedo perdono a Dio, perché, anche se solo per un istante, ho desiderato che quella bocca fosse mia.
Stupidamente, mi libero in una risata isterica.
Qualche passo indietro e mi lascio cadere sul letto, sfidando la gravità.
Gli stivali atterrano poco più in là, dopo averli sfilati con i piedi.
Sbottono gli alamari della divisa, poi libero piano i bottoni della camicia dalle asole.
Mi manca il respiro.
Infine, vinta dalla stanchezza, abbandono le braccia sopra la testa e lascio che il baldacchino del mio letto mi fissi per un tempo indefinito. 
Lentamente quel sorriso ebete scivola via dalle mie labbra e lascia il posto a un ghigno di amarezza.
Non sono riuscita a fare chiarezza sui miei dubbi, stanotte.
Le mie domande restano ancora senza risposta.
Il mio tormento, puntuale, torna a farmi visita.
Quel sorriso sprezzante del pericolo, quella sfrontatezza stampata in volto.
Chiudo gli occhi e mi è di fronte.
Gli angoli della bocca curvati verso l'alto. 
Si prende gioco di me.
Mi guarda e sorride, perché sa già che riuscirà a sfuggirmi.
"Dimmi chi sei"
"Te lo ordino, dimmi chi sei" urlo a quella macchia nera, lassù.
Stringo tra le mani la coperta, come per contenere la rabbia e la frustrazione per la sconfitta.
In questo sogno, quando la maschera cade, vedo Andrè.
 
Mi risveglio che ormai è pomeriggio inoltrato. 
Il sole è già basso all'orizzonte e le nuvole, nei toni dell'arancio, viola e blu, coprono angoli di cielo.
Da quando ho iniziato a occuparmi del caso del Cavaliere Nero, le mie giornate si sono inevitabilmente accorciate e ho iniziato a vivere di notte. Vado a letto all'alba e quando mi ridesto, è già l'imbrunire.
Lascio il letto e avanzo, a piedi nudi, fino al mobile da bagno.
a piene mani raccolgo l'acqua dal catino e tento di lavare via la stanchezza di una notte insonne dal viso.
Con cura del dettaglio, mi preparo per uscire da Palazzo.
Davanti allo specchio, giro la cravatta due volte attorno al collo e la stringo in un nodo complesso.
Indosso i miei guanti, mentre mi dirigo fuori dai miei appartamenti.
Ho del tempo prima che gli uomini della Guardia Reale giungano qua a Palazzo. 
Spenderò il mio tempo cavalcando.
Raggiungo a passo svelto le scuderie, passando per le cucine.
Sfuggendo agli sguardi della servitù, mi precipito da Cesar.
Rallento e mi fermo, quando mi accorgo che il mio attendente sta già sellando il mio cavallo.
E' di spalle quando lo raggiungo e sobbalza appena quando la mia voce rompe il silenzio.
-Cesar è già pronto?- 
-Si, Oscar-
-Molto bene, sto uscendo-
Poche parole dette, tante taciute.
Sembra la conversazione di due estranei.
La tensione è tangibile nell'aria. L'imbarazzo è reale.
Inaspettatamente è Andrè a rompere il ghiaccio.
-Oscar, per quello che è successo ieri sera... -
Non gli do il tempo di terminare la frase.
-Va tutto bene, Andrè-
Perentorio e austero il mio tono. 
Tanto da uccidere qualsiasi tentativo di replica.
-Ti accompagno-
-Non è necessario-
Muto, fissa la mia schiena, mentre mi allontano e lo lascio così.
Monto a cavallo e scappo al galoppo da me stessa.
 
Quando torno a Palazzo, il buio ha già avvolto tutte le cose.
Celere, indosso la divisa e scendo in giardino, mentre aspetto che i miei uomini mi raggiungano per dare inizio al pattugliamento, come di consuetudine.
Siedo sul bordo della grande fontana, antistante al Palazzo, e attendo.
Alzo gli occhi al cielo e mi accorgo che le nuvole oramai tengono ben nascoste le stelle.
Il cielo plumbeo sembra gonfio di pioggia.
A momenti pioverà.
Nell'istante in cui lo penso, una goccia si deposita sul mio volto, scivola lungo la guancia, percorre il mento, da dove si stacca e muore.
Una. Dieci. Cento lacrime di pioggia.
-Sii Prudente, Oscar-
Mi giunge lontana all'orecchio la voce di Andrè. 
Corre sotto la pioggia, di ritorno dalle scuderie, mentre fa rotta verso le cucine.
Quel sorriso così gentile, la dolcezza di un fratello in pena.
La purezza disarmante di quello sguardo profondo.
Poso i miei occhi su di lui è ho un tuffo al cuore.
Da quando Andrè ha questo potere su di me?
Il pensiero che nasce dopo, non faccio in tempo a censurarlo, che già s’insinua nella mia mente.
Ora che il tuo lavoro è finito, cosa fai, Andrè? Corri da lei?
Non ricambio quel sorriso, nemmeno spendo una parola, semplicemente, mi stringo nel mio mantello, nascondo i capelli nel cappuccio, infine, inforco il mio destriero e, al passo, raggiungo Girodelle.
 
E' pungente la pioggia che colpisce il viso sulla strada di Parigi. 
Come mille spilli le gocce s’infrangono sulla pelle.
Lascio che Cesar corra a briglia sciolta, allontanandomi dal gruppo. 
Il mio purosangue, di gran lunga superiore a quelli del resto della squadra, in poco tempo guadagna un grande distacco dagli altri.
Arrivo a Parigi prima dei miei uomini.
Conoscono gli ordini, quindi non è necessario che aspetti.
Mi addentro nel quartiere più ricco di Parigi e comincio il mio lavoro de sorvegliante.
Se il Cavaliere Nero si farà vivo stanotte, lo catturerò.
Forte della mia convinzione, stringo con forza le redini di Cesar e risalgo Boulevard Saint Germain.
Alzo lo sguardo sui tetti, in cerca di movimenti sospetti, ma è quando lo riporto a terra, che noto un oggetto nero sul ciglio della strada.
Un sacchetto scuro, di un tessuto morbido e dai riflessi sofisticati.
Seta nera.
All'interno s’intravede il luccichio di qualcosa di prezioso.
Inconfondibile.
Sembra che il ladro abbia smarrito il risultato di tanto lavoro stanotte.
Scendo da cavallo e lo raccolgo.
Non può essere lontano.
Nell'istante in cui mi rimetto in piedi, avverto il contatto con il metallo freddo sul mio collo.
Una pistola puntata dietro la mia nuca.
 
 
To be continued...

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Disclaimer: i personaggi di Lady Oscar non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Riyoko Ikeda. 
 
 
E' indifferente, la pioggia.
Tutto ciò che accade a questo mondo, non le interessa.
Cade sul mare, cade sulla terra.
Cade sulle vie, cade sui campi, sulle vigne francesi. 
Cade su un randagio ai bordi della strada.
Cade sulla rettitudine, cade sulle ingiustizie. 
Cade su una coppia di amanti.
Cade anche su una vittima e sul suo carnefice, in qualunque ordine siano i ruoli.
 
Stanotte dal cielo scende una pioggia tanto fitta, che sembra penetrare fin nelle ossa.
I vestiti fradici, ormai, aderiscono al corpo, i capelli bagnati sono disordinatamente attaccati al volto e al collo.
-Penso abbiate perso qualcosa, monsieur-
Serro la presa attorno al sacco e lentamente recupero la posizione eretta. 
Mi rivolgo al proprietario dell'arma, che, ora preme al centro esatto della mia schiena e segue ogni mio singolo movimento. Anche oltre il tessuto umido della divisa, avverto sulla pelle la fredda canna metallica della pistola. 
Mi attraversa un brivido. 
Non ho dubbi che si tratti di lui.
-Siate così gentile da restituirmelo, madame-
La voce è soffocata da qualcosa, probabilmente un fazzoletto davanti alla bocca, che la rende contraffatta.
Non l'avevo mai sentita prima d'ora.
Anche se camuffata, la percepisco profonda e calda, paradossalmente rassicurante nelle sue sfumature, quasi familiare.
-E se non volessi farlo?-
Azzardo una provocazione, testando le sue reali intenzioni.
-Allora sarei costretto a barattarlo con qualcos'altro. La vostra vita, per esempio-
Affonda di più la pistola fra le mie scapole, mentre porta, con la mano destra, la spada troppo vicina al mio collo, all'altezza della giugulare. 
Al momento, non ho vie di scampo.
Un leggero tremito agita la mano che stringe l'arma.  
Sintomo, forse, di un braccio o di una spalla ferita, sottoposti a grande sforzo.
Non posso esserne certa, perché, tutto quello che riesco a scorgere con la coda dell'occhio, alle mie spalle, è solo parte del mantello nero.
Una ferita a un braccio potrebbe spiegare perché sia incorso in un errore tanto stupido, come quello di lasciare che gli cadesse il sacco della refurtiva.
E' possibile che sia impedito nel movimento a causa del dolore.
E questo può essere un vantaggio per me.
-Credete sarebbe sufficiente a ripagarmi della perdita, madame?-
Insiste nel rivolgersi a me con l'appellativo "Madame", svilendo intenzionalmente il mio ruolo di soldato.
Colgo, in questo sua ostinazione, l’impudente volontà di dimostrare che la mia natura di donna possa rendermi più debole di lui.
L'ironia s’intreccia all'impazienza e il tono della sua voce ora pare leggermente infastidito.
Avverto una punta di rabbia.
Allora, non perdo tempo e pongo la mia domanda.
Uno di quei quesiti destinati a cadere, senza esser soddisfatti da una risposta.
-Chi siete?-
Desidero voltarmi e strappargli dal volto quella maschera.
Voglio vedere il suo volto. 
-Che importanza ha chi io sia? Sono il grido del popolo che ha fame, sono le urla della povera gente oppressa, ecco chi sono-.
Mastica retorica, eludendo la mia domanda.
Sceglie con cura le parole più d'impatto, poi le infila una dopo l'altra.
-Vi dirò io, allora, chi siete. Siete un ladro, un fuorilegge, un criminale da quattro soldi che deruba i nobili dei loro averi-.
Invece, le mie parole arrivano dirette e dure e non mi risparmio nel tirare fuori i miei pensieri.
-Mi limito semplicemente a riportare l'equilibrio, madame. Rendo al popolo di Parigi ciò che è legalmente rubato loro dallo Stato, per soddisfare i capricci della nobiltà. Quel denaro appartiene al popolo. Siete pregata di restituirlo, madame-
La sua voce si carica di una tonalità nuova. 
Sprazzi di bontà, mischiati a momenti di onestà.  
-Questo non vi rende meno criminale degli altri-
Difendo la mia tesi, persisto nelle mie idee.
-Ditemi, madame, avete mai guardato negli occhi un bambino dei sobborghi della capitale?-
Silenzio.
Questa immagine rievoca in me un ricordo lontano.
Ripesco nella memoria l'immagine di un corpicino senza vita tra le braccia della madre.
Morto per mano di un nobile d'alto rango. Il Duca di Orleans. 
La sua colpa: aver rubato una moneta per fame.
"Sì, ho guardato negli occhi un bambino povero, monsieur, e quello sguardo ha segnato la mia anima per sempre”.
Non ho il coraggio di dirlo ad alta voce.
Tutto ciò che riesco a fare è solo mantere il silenzio.
-Vi auguro di non farlo mai. Sarebbe un'esperienza troppo forte per voi, credetemi. Avete intenzione di togliere loro il cibo, stanotte?-.
La purezza dei suoi ideali mi disarma e mi costringe alla resa.
La generosità di quest'uomo m’intimidisce e mi sgomenta.
La forza delle sue ragioni mi abbaglia irrimediabilmente.
Sollevo il sacco con i gioielli sopra la mia spalla, perché possa prenderlo.
Sento la mano con la pistola allentare la presa e poi allungarsi per raccogliere la refurtiva.
Il filo della lama della spada è ancora fermo a minacciare il mio collo.
Si avvicina al mio volto, troppo, per essere una conversazione tra estranei.
Sento il suo respiro sul collo, delicato, e l'odore di pioggia si mescola al profumo della sua pelle, dando vita a una fragranza senza eguali.
Chiudo gli occhi e non riesco a trattenere un sospiro.
Annusa la mia pelle bagnata, ne coglie l'essenza, mentre risale con movimento calcolato dalla clavicola all'orecchio, dove si ferma e con un filo di voce dice -Molto bene, madame. Sapevo che dietro quell'aspetto austero si nascondeva un cuore grande-.
La sensualità m'investe e tremo, quando una mano gentile percorre piano la linea della mia spalla.
Le dita scivolano sul tessuto zuppo, disegnandone i contorni.
Non so se sia per paura o per l'eccitazione.
Sento che sto vergognosamente cedendo alle lusinghe, le mie difese s'incrinano sotto l'attacco di questo sconosciuto.
Poi, un gesto inconsueto, dal sapore familiare.
Le sue labbra si posano sul collo.
A un tratto apro gli occhi, spaventata.
Un dejà vu, mi trascina in un nuovo vortice di sospetti e dubbi. 
-Ve ne sono riconoscente, credetemi-
La voce è evidentemente compromessa da quella che identifico come lussuria.
In un attimo, si ricompone e torna gelida. 
-Ora camminate dritto davanti a voi, senza guardare indietro, fino a raggiungere l'angolo della strada. Ricordate che avrò una pistola puntata sulla vostra schiena e non esiterò a usarla, nel caso qualcosa dovesse andar storto-.
Impartisce severo le sue disposizioni e non mi resta che obbedire.
Rinfodera la spada e mi libera dalla sua morsa.
Per un solo infinitesimo attimo, ho avuto l'impressione di conoscerlo già. 
Una sensazione tanto vaga e assurda da dissolversi in un tempo irrisorio.
Muovo un solo passo nella direzione che mi ha indicato, aumentando la distanza fra i nostri corpi, ma in quell'istante vedo comparire Girodelle, qualche metro poco più avanti.
Punta la pistola nella nostra direzione ed è un attimo. 
-Attenzione, Colonnello-
Mi urla e ho intuito le sue intenzioni.
Veloce, mi sposto cercando si schivare il colpo.
Preme il grilletto, ma io sono, maledettamente, sulla sua traiettoria. 
Poi, sento solo un liquido vischioso colare dal fianco e scivolare lungo la gamba.
Alle mie spalle, qualcuno spaventato urla in preda alla disperazione.
-No! Oscar!-
Due braccia forti mi sollevano da terra.
La pioggia continua a cadere.
 
Poi più niente.
 
Mi risveglio in una piccola stanza, buia.
In un letto umile dalla biancheria ingrigita e consunta dal tempo, ma pulita.
Mi guardo intorno cercando di capire dove mi trovo. 
Nell'oscurità distinguo un mobilio semplice: un letto, un tavolo con una sedia e un piccolo armadio nell'angolo.
La stanza di una casa modesta, probabilmente appartenente a gente semplice.
L'aria e un fascio di luce entrano da una finestrella alta, la porta sembra essere chiusa a chiave.
Dall'altro lato della porta sembra esserci vita, perché mi giunge all'orecchio un suono lontano simile a un chiacchiericcio.
Quando faccio forza sui gomiti e cerco di sollevarmi per mettermi a sedere, una fitta dolorosa mi blocca e non mi permette di muovermi.
Sollevo le lenzuola e mi accorgo di avere il torace fasciato da bende mediche, sul fianco destro una macchia scura di sangue rappreso.
Per un momento rivedo la pistola di Girodelle, avverto ancora la presenza del Cavaliere Nero alle mie spalle, risento il dolore lancinante al fianco. Ricordi ancora così vividi. 
La sequenza d’immagini piano piano acquista un senso.
L'unica cosa che al momento non riesco a capire è come sia arrivata qua.
Devo aver perso i sensi, perché non riesco a ricordare più nulla.
Porto una mano alla fronte, nello sforzo di rammentare cosa sia successo.
 
Inaspettatamente, rigira la chiave nella serratura, la porta cigola un po’, infine, si apre.
Quello che vedo comparire oltre la porta mi lascia senza parole.
 
 
To be continued...  

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Disclaimer: i personaggi di Lady Oscar non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Riyoko Ikeda. 



Urlo con tutto il fiato che ho in gola, almeno con tutto quello che riesco a trovare.
-No! Oscar!
Le sue ginocchia si flettono appena, nel momento in cui porta una mano al fianco. Tinta di sangue, la osserva a mezz'aria, poi guarda il suo secondo.
Una sfumatura più scura di rosso si allarga sulla divisa scarlatta, un rivolo cremisi scivola lungo la gamba, fino a macchiare i pantaloni candidi.
Prontamente la sostengo, mentre abbandona il suo corpo, privo di forze, in una rovinosa caduta libera. 
Di riflesso, allargo le braccia e la stringo, poi, sollevandola, la porto via con me, prima che il nemico mi fermi.
Nemmeno il tempo di elaborare ciò che è successo, già la decisione è presa.
Il conte Girodelle non riesce a muoversi, immobilizzato dal peso del suo errore, fissa la pistola tra le sue mani. 
Io, anche se arranco sotto il dolore della mia spalla malconcia, proseguo senza sosta nel mio folle piano.
Probabilmente la mia ferita si è riaperta e ha ripreso a sanguinare, perché ora avverto un liquido vischioso scendere giù lungo la schiena.
Se il sangue sia il mio o il suo, lo ignoro. 
Forse è il sangue delle nostre ferite che si mescola.
Stringo i denti, anche se vorrei gridare dal dolore e urlare dalla disperazione, ora che è tra le mie braccia, incosciente e sanguinante.
Non c'è razionalità nei miei gesti. Solo istinto, quello che ho sempre seguito ciecamente, quando si trattava di proteggerla.
Maledico la pioggia, perché rende instabili i miei passi. 
Scivola la suola degli stivali sul lastricato bagnato, rendendo il mio equilibrio precario, ma m’importa poco, perché, senza che me ne renda conto, aumento il mio incedere e in un attimo mi ritrovo a correre. 
Corro, mentre la pioggia frusta il mio volto e mi obbliga a tenere gli occhi socchiusi.
Corro, mentre la tengo vicina al cuore, in questa gara disperata contro la morte.
Monto a cavallo e mi dirigo verso l'unico rifugio che conosco.
 
 
Tre colpi secchi alla porta. 
Intravedo Rosalie oltre il pertugio appena aperto della porta.
Sono oramai due notti che non lascio loro tregua. 
-Buon Dio, Oscar...- 
Sembra non credere ai suoi occhi, quando vede il corpo inerte della sua eroina tra le mie braccia, sotto la pioggia insistente. Deve presentarsi come una scena davvero pietosa sulla soglia di casa sua nel cuore della notte. 
Come una pietà scolpita da un artista sadico.
Si nasconde il volto dietro le mani, mentre si scosta e mi fa cenno di entrare. 
Alle mie spalle, singhiozza sommessamente, spaventata.
Bernard mi corre incontro, ma non pare per niente sorpreso quando posa lo sguardo su Oscar.   
Non lo direbbe mai, ma so che lo pensa: prima o poi sarebbe successo.
Improvvisamente questa maschera di seta nera pare fatta di ferro pesante.
-Bernard è grave. Il proiettile ha trapassato da parte a parte un fianco. Potrebbe aver leso qualche organo. Ti prego, chiama il medico-.
Lo imploro, nonostante tutto. 
Suona come una preghiera, la mia. 
Adagio Oscar sul tavolo della cucina, lentamente poso il suo capo sul legno.
Respira affannosamente, mentre combatte contro il suo dolore.
Io, invece, non sento più il mio, o forse semplicemente l'ho dimenticato.
Vedo solo una macchia rossa allargarsi sul pavimento sotto i miei piedi, goccia dopo goccia, ma non sento più nulla, solo le lacrime pizzicarmi gli occhi e, forse, a breve, credo cederò al pianto.
Sono inutile, impotente, mentre assisto all'agonia della donna che amo, senza poter far nulla per fermarla.
E' stata ferita da un proiettile destinato a me. All'altro me.
Lontane, mi sembra ancora di sentire riecheggiare le parole di Bernard.
"Sacrificherai tutto quello che hai di più caro per colpa di questo segreto, Andrè”.
Mi maledico.
 
La sala operatoria arrangiata nella cucina di Rosalie, è impregnata di quello stesso odore nauseante della notte scorsa. 
In ginocchio, vicino al tavolo, Osservo Oscar e prego. 
Prego che Dio, impietosito dalle mie lacrime, mi conceda ancora di perdermi nei suoi occhi.
Prego che Dio ascolti anche le preghiere di un ladro. 
Un ladro buono, però. 
Il dottore ha detto che ha perso molto sangue e sembra preoccupato.
Stringo tra le mie, la mano inanimata e fredda di Oscar, mentre il dottore armeggia tra le sue carni.
La tengo vicina al volto, a sfiorandola con le labbra, lascio che si bagni delle mie lacrime.
 
Quando il dottore si allontana dal tavolo, mi rimetto in piedi e mi ricompongo, per quanto possibile.
-Il pericolo è passato, Andrè-
Accenna un sorriso e il mio cuore torna in sede.  
L'operazione è finita. 
Devo attendere.
La notte è finita. 
Devo allontanarmi da lei. 
Al suo risveglio non ci sarò.
Tornerò a Palazzo per non destare sospetti.
Lascio che Rosalie si prenda cura di lei.
Tornerò, quando sarà ancora buio.

 
____________________________________________________________________________________
 
 
 
Una chioma bionda e due occhi azzurri simili ai miei.
Un sorriso che conosco.
-Madamigella Oscar-
E' commossa, mentre mi viene incontro stringendo tra le mani un vassoio.
Proprio quando cercavo di mettere insieme i pezzi, all'improvviso tutto sembra molto più confuso.
-Rosalie?-
Il tono della mia voce sale alla fine, così la mia somiglia più a una domanda. 
Sono sorpresa, sbigottita, attonita.
-Madamigella, sono felice di vedere che vi siete ripresa-
Ritrovo nel suo sguardo la dolcezza di sempre, la gentilezza di quella principessa cresciuta di stenti nella povertà.
-Rosalie, dove mi trovo?-
-Non ricordate nulla?-
Posa il vassoio sul tavolo e si avvicina al letto, ma stranamente evita il mio sguardo.
-Ho vaghi ricordi sulla notte appena trascorsa: ricordo il Cavaliere Nero, lo sparo di Girodelle, poi più nulla.
Dico portandomi una mano alla fronte nello sforzo vano di ricordare.
-Siete al sicuro, non temete-
Sembra quasi un sussurro, vuole portare conforto, ma io ho un'unica domanda che mi tormenta.
-Chi mi ha portata qui?-
Improvvisamente pare interessata alla trama del lenzuolo, che mi avvolge. 
Sfugge al mio sguardo e si rifugia in un silenzio denso. 
Ed io capisco.
-Perchè?-
La sua voce non proferisce risposta.
Solleva il lenzuolo, poi tira su la mia camicia e, con perizia, benda dopo benda, comincia a liberare il mio corpo dalla fasciatura. All'improvviso l'imbarazzo ha il sopravvento, così cerco di controllarlo spostando la mia attenzione su questioni più urgenti. Al contrario, lei appare molto calma e sicura delle sue azioni.
-Rosalie, qual è il tuo legame con quel criminale?-
Cerco nei suoi occhi bassi quello che non mi dice.
Ancora silenzio.
E' un attimo.
Stringo il suo polso nella mia mano, interrompendola.
-Rispondimi!-
Suona come un ordine e il tono della mia voce ora sembra essere diventato troppo duro.
Vedo i suoi occhi farsi lucidi, e raccogliersi fra le ciglia segreti inconfessabili.
-Madamigella, non posso dirvi-
In un filo di voce, muoiono le parole affogando fra le lacrime.
-Perchè, Rosalie? Ti ha forse minacciato?-
Sembra essere un motivo ovvio.
-No, madamigella, non è questa la ragione-
-Allora perchè?-
-Non posso darvi una risposta-
Pensa che possa rassegnarmi senza una ragione?
-Devo sapere perché mi ha salvato la vita-
Lascio che l'ira s'impossessi di me e stringo forse troppo forte quel polso delicato.
-Non riuscite a immaginarlo?-
Si rivolge a me con un tono che non lascia spazio a repliche, inusuale per Rosalie.
Libera dalla mia presa, continua nelle sue operazioni. 
Le sue mani delicate si muovono piano sulle bende.
La osservo prendersi cura di me.
Tolte le fasce, prende una garza umida e la passa piano sulla ferita, ai margini, pulendola dal sangue rappreso.
Meticolosamente, deterge la parte lesa, poi prende da una ciotola della polvere bianca e piano ne cosparge la ferita. 
Alla fine, prende le bende pulite e torna a riavvolgere il mio corpo. 
E ogni sua azione sembra figlia di un'esperienza antica. 
Mi perdo nei suoi gesti, e, mentre la osservo, ripenso alle sue ultime parole. 
"Non riuscite a immaginarlo?"
Il mio nemico ha curato le mie ferite. 
Non ha lasciato che morissi. 
Perché?
-Non cercate lontano e non angustiatevi con pensieri troppo contorti. La risposta è più semplice di quello che pensate-.
E sono trascinata in un mare burrascoso di domande e sospetti. 
Un'ondata di dubbi, mi travolge e mi porta a fondo, dove non sono in grado di risalire.
Questo rompicapo sembra non avere soluzione.
In una ciotola versa un intruglio, un farmaco, poi avvicina il contenitore alle mie labbra.
-Dovete prendere questo medicinale su ordine del dottore, madamigella. Vedrete che vi riprenderete, presto-
Allarga uno dei suoi sorrisi e sembra che la medicina sia meno amara.
Pochi minuti e il mio corpo è avvolto in uno strano torpore.
Piano perdo il controllo delle mie membra e tutto sembra avvolto in una strana nebbia.
Lontana mi arriva la voce di Rosalie. 
-Perdonatemi, madamigella Oscar-
Infine, il buio.

To be continued...

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Disclaimer: i personaggi di Lady Oscar non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Riyoko Ikeda. 

Buio.
Mi muovo in un mondo senza sfondo.
Poggio i miei passi nel niente, mentre mi dirigo verso non so dove.
Il suono di una voce familiare mi fa da guida e ho la sensazione di non essere lontana da casa.
Un passo, due.
Sempre più vicina, quasi palpabile, certamente conosciuta.
I miei occhi sono ciechi, ma mi fido di ciò che sentono le mie orecchie.
All'improvviso, torno a vedere, e, flebile come la luce di una candela in una notte d'inverno, compare la mia meta.
-Andrè-
Perde forza la mia voce, mentre attraversa questo infinito fatto di nulla per giungere, infine, a lui.
Non mi sente, perché è troppo lontano e va nella direzione opposta alla mia.
-Andrè- ancora una volta, cerco di sfidare le leggi del suono e spingo la mia voce oltre, più forte.
LA sua schiena diventa piccola, mentre si allontana dandomi le spalle.
Si riaccende in me la speranza, quando smette di avanzare, ma non si volta, si limita solo a girare la testa di lato.
Capelli ribelli ricadono disordinati sul suo viso, nascondendo una verità spaventosa, quanto improbabile.
Si confonde tra il nero corvino dei suoi capelli, una maschera dello stesso colore di una notte di luna nuova.
-No!-
Gli angoli della sua bocca s’incurvano in un sorriso perverso e sono di nuovo sola.
Una mano gentile si posa sulla mia spalla, d'istinto la copro con la mia.
Ancora lui, questa volta il volto s’illumina della dolcezza di sempre.
Nessuna maschera.
Devo aver preso un abbaglio poco prima.
-Andrè, lui è qui-
-Ora sei al sicuro-
Nella fortezza del suo abbraccio, questo incubo comincia a diventare più simile a un sogno. 
Mi lascio travolgere dalla tenerezza di quel gesto, mi tengo stretta al mio appiglio e stringo il batista bianco della sua camicia fra le mani, fino a perdermi.
E' innaturale il modo in cui abbandono la testa sulla sua spalla e mi lascio cullare dal ritmo del suo respiro.
Chiudo gli occhi, mentre continuo a sentire tra le mani la trama fine del lino, leggermente ruvida al tatto, poi inavvertitamente liscia e troppo setosa.
Quando riapro gli occhi, il bianco si è tinto di nero e il lino è diventato seta del colore più triste.
Di scatto, mi libero dal suo abbraccio e lo ritrovo lì, il mio tomento, sulle labbra stavolta c'è una gentilezza conosciuta.
Mi tremano le gambe, nel momento in cui incontro occhi verdi, come i prati di Arras. 
-Andreeeeeeeeeee-
 
 
Mi sveglio, o almeno credo, perché per quanto mi sforzi, non riesco ad aprire gli occhi.
Non vedo la luce.
Sono forse diventata cieca?
D'istinto provo a portare una mano al volto, invano.
Il mio corpo è immobilizzato, legato al letto per i polsi.
Per di più, qualcuno mi ha bendata, approfittando della mia incoscienza.
"Davvero un gran bel gioco", penso mentre tento di divincolarmi dai lacci stretti che mi tengono imprigionata alla testiera del letto.
Tento di avvicinare la bocca ai polsi per tentare di allentare i nodi con i denti, ma rinuncio facilmente, quando mi blocca una fitta di dolore.
Improvvisamente tutti i pezzi tornano al loro posto.
Rosalie e la sua medicina.
Dannazione.
Tristemente, mi rendo conto di non potermi fidare più di quelli che consideravo amici, oramai.
Quel sogno, inoltre, mi ha sconvolta.
Che significato aveva?
Una chiave rigira decisa due volte nella serratura.
I cardini si lamentano un po’, quando la porta si dischiude e una ventata di aria fresca riesce a intrufolarsi nella stanza nel momento in cui si apre.
Abbandono nuovamente la testa sul cuscino e fingo di essere ancora assopita, cercando di controllare il respiro.
Se avrò la possibilità di scappare, devo coglierlo di sorpresa.
Rumore di passi, stivali pesanti risuonano sul tavolato di legno del pavimento, uno, due, poi un altro.
Non è difficile capire di chi si tratti e del perché non posso vedere, dato che, probabilmente, è entrato in questa stanza a volto scoperto.
Ero pronta a tutto, ma non a questo.
Una mano gentile e discreta scivola lungo la mia guancia, lasciando scie di una dolcezza assoluta.
Indugia sulla mia bocca, sfiorandole appena con le dita.
Resto immobile, sconcertata.
Anche il mio respiro si ferma.
E' il mio tormento travestito da angelo?
Alle mie labbra sfugge un sospiro, che tradisce i miei piani.
Improvvisamente, ritira la mano, quando si accorge che sono perfettamente sveglia, ma rimane lì a mezz'aria, vicina al mio viso.
-Sei tu.
Nessuna risposta, forse perché la mia non è una domanda, ma una constatazione.
Una certezza.
Il letto s’incurva un poco nel punto in cui si siede, accanto a me.
D'improvviso, le sue mani cortesi sono sulla mia pelle.
Solleva con cautela la mia camicia, scoprendo solo la pancia.
Sento che piano comincia a liberare il mio corpo dalle bende, con pazienza, una a una, senza fretta.
Anche se non vorrei, mi ribello, imbarazzata e infastidita dai suoi gesti impudenti.
-Cosa hai intenzione di fare?
Abbandono le stupide formalità, ora che in questa stanza siamo solo io e lui.
Alzo un po’ troppo la voce, perché a un tratto la stanza si riempie solo delle mie urla.
Come una ragazzina che fa i capricci, mi agito nel letto, cercando di sfuggire alle sue mani, che ora poggiano ai lati dei miei fianchi, avvallando il materasso.
-Cosa stai facendo?
Chiedo ancora e continuo a dimenarmi, senza sosta e soprattutto senza possibilità di scampo.
Grido aiuto, anche se non sono sicura che qualcuno possa sentirmi da qui.
Fino a quando mi mette a tacere.
In un modo tutto suo.
Assolutamente senza senso.
Incredibilmente irrazionale.
Sicuramente folle.
Non posso vederlo, ma posso sentire le sue labbra serrare le mie.
Con forza, ma con tenerezza immensa, imprigiona la mia bocca, poi piano piano la fa sua.
Il mio cuore accelera i battiti e mi accorgo di non ricordare più come respirare. 
Controllato, lento, disegna il contorno delle mie labbra con una scia umida di baci.
Non mi sta dicendo che non mi farà del male, mi sta dicendo qualcosa in più, qualcosa che non riesco a capire, ma che sento in tutta la sua bellezza.
Discreto, cerca il mio consenso, che non tarda ad arrivare, così, dischiudo le labbra, lasciandolo entrare.
Adagio, con dolcezza, mi porta in posti nuovi, m’insegna emozioni che non conoscevo.
Mi lascio travolgere dall'eccitazione, forse dettata dal fatto che in questo momento non riesco a vedere il mondo e il mondo non riesce vedere me.
Forse spinta dal fatto che mi trovo in una situazione ai limiti dell'immaginabile.
Un bacio violentemente lieve.
Della stessa consistenza dei sogni, rarefatto.
Prima di staccarsi dalle mie labbra, vi deposita un altro bacio, a sigillo del momento.
Forse sto continuando a sognare, perché come prima, qui nulla pare razionale.
Dicono che quando uno dei sensi viene a mancare, gli altri si affinano.
Ho respirato il suo profumo intensamente, fino a stordirmi, e ho cercato di ricordare, dove l'avessi già sentito, ma non ci sono riuscita.
Un'essenza tanto rara, quanto nota, ma solo a me, un profumo così familiare, così buono, come il sapore delle sue labbra, delizioso.
Resto così, ferma con le labbra socchiuse, orfane delle sue, in attesa di riprender fiato.
Ho perso tutte le parole che avevo da dire, o può darsi che qualcuno me ne abbia derubato.
Questo abile ladro è riuscito anche ad appropriarsi della mia razionalità per un momento che è sembrato eterno.
Lo sconosciuto dal profumo di casa, con un bacio ha sedato il mio animo indomito, ha sconvolto la donna che sono.
Lo stesso che ora, gentile, riprende ad allentare le bende, ancora una volta.
Libera dalla costrizione delle fasciature, mi lascio andare a un respiro profondo, ma trattengo il fiato ancora una volta, quando con una garza comincia a medicare con cura la mia ferita.
Stringo i denti, la mia schiena s'inarca, perché la ferita inizia a bruciare sotto l'effetto del medicinale di cui è satura la garza. All'istante se ne accorge e ritira subito la mano, poi riprende l'operazione più lentamente.
Le sue dita leggere scivolano lungo il mio fianco, vicino alla pancia, infine, ancora la sua bocca, ora, a baciare la cute lesa intorno alla ferita.
 
"Non riuscite a immaginarlo?"
C'è amore nei gesti di questo sconosciuto, che si rifugia dietro la mia momentanea cecità.
Un amore quasi antico.
Un sentimento che non riesco a capire.
Riavvolge le fasce velocemente e nemmeno il tempo di dar fiato alla bocca, che già sono sola.
 
-Andrè.
Lo sento dire alla mia voce, in un sussurro.


To be continued...

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Disclaimer: i personaggi di Lady Oscar non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Riyoko Ikeda. 


Senza luce, senza colore, senza forma.
Il mio mondo ha smesso di esistere, nascosto dietro la benda.
Se non lo vedo, vuol dire che non esiste.
Ma lo sento, ed è ancora lì, oltre la porta di questa stanza.
Lo sento respirare, esitare.
Il suono del suo cuore è reale, ma flebile.
Quell'armonia perfetta è l'unica cosa a tenere insieme i mille pezzi in cui la realtà si è frantumata tutt'ad un tratto.
Sempre se di realtà si tratta. 
E' forse il secondo atto del mio incubo?
La corda stringe intorno ai polsi e la ferita pulsa sotto le fasciature. 
Sono sveglia e questo non è un sogno.
Ci sono cose che si avvertono anche senza vedere.
Se è vero che quando uno o più sensi vengono a mancare, gli altri raggiungono livelli di sensibilità elevatissimi, questa ne è la conferma.
Il mio cuore ad occhi chiusi riesce a leggere meglio tutto quello che accade intorno.
Nessun processo logico, solo una deduzione dell'anima, che con il tempo diventa sempre più concreta.
Andrè.
Lo sconosciuto dal profumo di casa.
Il mio aguzzino ha il volto del mio migliore amico.
L'uomo che da qualche tempo si è infilato di prepotenza nei miei sogni e nei miei pensieri, altri non è che colui che non avrei mai voluto che fosse.
Andrè.
Come può un sorriso così dolce tingersi di una tale impudenza?
 
"Non riuscite a immaginarlo?"
 
La completa dedizione nei miei confronti, la gentilezza dei movimenti, la delicatezza nei gesti più piccoli sono quanto di più familiare riesca ad immaginare. 
Tipico di lui.
Ma l'ardore della sua pelle, il suo buon odore inebriante, le sue labbra deliziose che hanno infuocato i miei pensieri, quel vortice di emozioni che per un attimo mi ha catturata. Da dove viene tutto questo? 
Chimica perfetta di due corpi affini.
Ancora avvampo se mi perdo nel ricordo di un attimo fa, e ne vorrei ancora.
Tutto quello che ne rimane, è la sensazione di una sbronza, mentre tremano un po’ le gambe e la testa gira.
Sei ancora lì?
Ti sento oltre quella porta.
E vorrei che fossi lontano mille miglia da questo posto, solo perché ogni singola particella del mio corpo urla il bisogno di te, ora che sa che sei vicino.
E ora cosa resta?
Come siamo arrivati fin qui?
Un criminale, è quello che sei.
Perché?
Guardia e ladro.
Fisso il nero più nero che mi copre gli occhi, come se potessi guardare oltre, superare la porta e arrivare a te.
E' qualcosa che non so spiegare, mi sovrasta e mi distrugge.
Naufrago in un mare di domande, colando a picco fra le nuove risposte.
Lentamente sento i miei occhi farsi sempre più pesanti per poi trascinarmi nell'oblio.
E il sonno mi prende, senza chiedermi il permesso.
 
 
Quando torno in me, i miei occhi si aprono sulle trame del broccato sulle pareti e vi riconosco disegni familiari.
Lentamente, faccio forza sui gomiti e mi metto a sedere.
Riconosco i miei mobili, la mia stanza.
Non ho idea di come ci sia arrivata, ma finalmente sono a casa.
Probabilmente è stato lui a portarmi qui, approfittando del mio stato d'incoscienza.
Barcollando, con una mano sulla ferita, lascio il letto e muovendo con cautela un passo dopo l'altro, raggiungo le finestre.
In preda alla foga, apro le imposte e respiro a pieni polmoni la mia libertà appena riconquistata.
La leggera brezza estiva solletica i miei capelli e s’intrufola sotto la camicia, provocandomi una serie di piccoli tremiti.
L'aria profuma di terra bagnata ed erba.
La quiete dopo la tempesta, penso.
Quella tempesta che mi ha travolto con la sua forza.
Quella che mi ha restituito, dopo il suo passaggio, un amico perduto e un brivido sconosciuto.
Tutto quello che mi viene da pensare ancora è: E ora cosa resta?
Probabilmente più nulla, tutto è distrutto.
Appena ne sarò in grado mi recherò personalmente al comando per raccontare l'accaduto e denunciarlo.
Parigi conoscerà finalmente il nome che si nasconde dietro le tenebre di quella maschera.
Porto una mano al volto, un'altra alla testa, infilando le dita tra i capelli, come se potessi pettinare via i pensieri.
Una lacrima scivola in una scia calda lungo la guancia e mi ritrovo a piangere.
Prima adagio, sommessamente, poi, in un crescendo, sempre più forte, fino a singhiozzare, fino a non riuscire più a respirare.
Nascondo il viso tra le mani e cerco l'appoggio del muro o di qualche mobile lì vicino.
Per quanto mi continui a ripetere che un soldato non può cedere a certe debolezze, non riesco ad arrestare le lacrime.
Il mio mondo non esiste più.
Toglierli la maschera significa rinunciare per sempre a lui.
La pioggia ha lavato via il passato, l'acqua ha portato via anche il meglio.
E ora rimane solo la rugiada, che brilla alla luce del primo sole, tra le foglie e su tutte le cose, la stessa rugiada che mi ricorda che stanotte tutto è cambiato.
Asciugo il volto servendomi della manica della camiciola e mi allontano dalla finestra.
Al centro della stanza padroneggia il mio pianoforte in tutto il suo splendore.
La luce dell'alba si riflette sulla sua superficie nera lucida, poi s’infila fra i tasti bianchi e neri regalando sfumature nuove.
Non resisto al suo richiamo, così lentamente raggiungo lo strumento e vi prendo posto.
Poggio le dita su tasti a caso, senza seguire alcuna partitura, e ad orecchio compongo la mia melodia.
Il silenzio di questa stanza è troppo assordante da sopportare, la mia musica ne fa brandelli.
Forse il mio pianoforte sveglierà tutto il palazzo, magari servirà a far capire a tutti che sono a casa.
Affondo le dita nella mia musica e lascio che mi travolga, tanto da non accorgermi di non essere più sola.
Un'ombra alle mie spalle smorza la luce che si riflette sul legno lucido.
-Non fermarti, ti prego-



To be continued...


 

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Disclaimer: i personaggi di Lady Oscar non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Riyoko Ikeda.


 
 
Alla luce fiacca di una pallida aurora estiva, i miei occhi incontrano i suoi nei riflessi del piano.
Le mie mani arrestano la loro corsa sui tasti bianchi e neri, non appena la sua voce giunge alle mie orecchie, eludendo la sua richiesta gentile.
-Non fermarti, ti prego-
D'impeto stacco i miei polsi dal legno lucido del piano e mi ritrovo a fissare le mie mani a mezz'aria, le dita continuano a tenere le ultime note nel vuoto. 
E' tutto sospeso, è tutto fermo, in una fissità innaturale.
Percepisco perfettamente il suono del suo respiro, che all'improvviso sembra riempire la stanza e riecheggiare tra le pareti, quasi assordandomi. 
Nel silenzio del mattino ogni suono è più nitido e forte.
E' timida la mano che raggiunge la mia spalla e vi si posa sopra, come impaurita. 
Il mio istinto ha la meglio sulla ragione, così la scrollo via subito, alzandomi dallo sgabello, lui ritrae la mano, come se fossi incandescente e si fosse scottato.
Pochi passi e mi dirigo verso il camino spento. 
Devo difendermi dallo sconosciuto che è alle mie spalle. 
Con movimento veloce, raggiungo la mia spada e la libero dal suo fodero per mirare, infine, alla sua giugulare.
Mi fermo un istante prima dell'irrimediabile e osservo la sua espressione impassibile.
Mi accorgo che il mio gesto non ha causato in lui la minima reazione, anzi continua a fissarmi negli occhi, imperterrito. 
E' calmo, preparato alle mie mosse.
E' come giocare a scacchi allo specchio, può prevedermi.
Mi accorgo solo adesso che indossa i suoi abiti civili. 
Niente seta nera.
Niente di nero. 
Solo i suoi capelli, più neri della notte.
Con un dito allontana di qualche centimetro la lama dal collo, senza staccare i suoi occhi dai miei, così, mi vedo costretta alla fuga, e poso lo sguardo sul pavimento.
-Oscar- la sua voce accarezza gentile il mio nome, suscitando in me un piccolo fremito che risale lungo la schiena.
Lo blocco subito, richiamando a me tutta la forza che riesco a raccogliere negli angoli della mia mente. 
-Sta zitto, Andrè. Non una parola.-
Lo freddo con lo sguardo e mi accorgo che qualcosa si è mosso dentro di lui.
Se sfiorasse la mia pelle, ora di sicuro si scotterebbe, perché la rabbia ha iniziato a bruciare nelle mie vene. 
Ogni tentativo di controllarla presto si rivela vano.
-Per anni ho riposto fiducia in te. Cosa ne hai fatto?- inizio il mio monologo, sussurandolo quasi, mentre scuoto piano la testa, parlando a me stessa, sputando fuori la collera che adesso mi avvelena il cuore.
-Avrei messo la mia vita tra le tue mani, senza esitazione. Come hai potuto?- Improvvisamente non riesco più a reggere il peso del suo sguardo, ora più serio, e prendo a fissare un punto oltre le sue spalle.
-Hai distrutto tutto, Andrè. Hai fatto brandelli della nostra amicizia senza ritegno, non ne è rimasto più nulla. Mai avrei immaginato che dietro quella maschera potesse nascondersi il mio migliore amico. Un criminale, è quello che sei e come tale io ho il dovere di trattarti-.
Affondo di più la lama nella carne. 
Un rivolo di sangue sporca la pelle ambrata del suo collo.
-Non ti sarà riservato nessun trattamento di favore, sarai condannato alla stregua dei tuoi simili e giustizia sarà fatta.-
Il sangue cola lungo la lama, poi una goccia si stacca e precipita al pavimento, allargando una macchia tra le trame orientali del tappeto.
-Io ti ucciderò, Cavaliere Nero. Dì le tue ultime preghiere, è giunta la tua ora-.
Senza rivelare alcuna emozione in volto, vedo la sua mano chiudersi attorno alla lama della mia spada, impossessarsene e lanciarla in un angolo della stanza, lontano da noi. 
Non è difficile costringermi alla resa, poiché sono ancora convalescente dalla sera dello scontro. 
Sembra non curarsi della sua mano ferita, che ora ha preso a sanguinare, invece, muove un paio di passi nella mia direzione.
Arretro, fino a scontrarmi con il piano dello scrittoio.
Allungo una mano alle mie spalle e mi approprio della pistola, a riserva nel cassetto.
Non colgo il mio avversario di sorpresa quando gliela punto contro, credendo di sfoggiare una decisione che al momento sembra latitare nel mio armamentario.
Avanza ancora, fino a far lambire la bocca della canna della pistola al suo petto, infine mi afferra il polso con l'arma e ne altera la traiettoria.
E' perfettamente cosciente di una verità che non conosco neanche io: non gli avrei mai sparato.
Forte di questa convinzione, annulla la distanza tra noi una volta per tutte. 
 
Poi mi uccide.
 
Con l'arma più letale di cui dispone.
E non c'è verso di salvarsi.
Una volta che colpisce, l'emorragia di emozioni è inarrestabile, incontrollabile.
 
Così muoio, adagio, senza fretta, costretta a capitolare dalle sue labbra assassine.
E siamo Oscar e Andrè. 
Senza ruolo, senza regole.
La pistola scivola dalle mie dita e arriva al pavimento in un colpo sordo, la mia mano, guidata dalla sua, torna lungo il fianco. 
Quando si allontana dalla mia bocca, i miei occhi sono ancora chiusi. 
-Chi sei tu?- mormoro in un alito di voce.
-Che importanza ha chi io sia? Sono il grido del popolo che ha fame, sono le urla della povera gente oppressa...- riecheggiano parole già sentite, una battuta già detta.
La sua bocca è vicina al mio orecchio e gli parla piano, solleticando la pelle del viso e del collo con il suo respiro.
-Chi sei tu?- ancora una volta cerco la risposta di cui ho bisogno, ma che non ho mai avuto.
-Sono io, Oscar. Andrè- Le sue parole arrivano dritte al cuore, senza passare per la testa e sono violente, brutali, devastanti e dolcissime. 
E comprendo che nulla è cambiato. 
O forse sì.
Perché c'è qualcosa di nuovo in me. 
Una sfumatura nuova del mio essere sta prendendo forma, plasmata dal suo calore.
Sento nascere e crescere in me il germe di una femminilità rinnovata, piano piano si fa strada e viene alla luce.
-Se hai intenzione di uccidermi, Oscar, fallo nel più dolce dei modi- la sua bocca si posa dietro l'orecchio, poi in una scia di baci scende più giù, sfiorando la pelle scoperta.
-E' l'alba delle verità e allora che siano svelate, ma che siano svelate tutte-.
Continua a parlare, a ogni parola una pausa e poi un bacio.
Sotto l'effetto dei suoi gesti perdo il contatto con la realtà e mi è difficile ribattere.
In un attimo di lucidità metto insieme poche parole.
-Conosco già il tuo segreto- in un modo quasi imbarazzante, cerco di nascondere la mia voce ansante.
-Credimi, Oscar. Questo è solo il più piccolo dei segreti- il suo tono si colora per un attimo di quell’impudenza che ho visto molte volte sul viso del Cavaliere Nero.
-Il segreto più grande lo conservo dentro da una vita intera- Cerca il mio sguardo e lo trova. 
I suoi occhi si fanno ancora più seri, se possibile, e sembra possa arrivarmi fino in profondità.
Non avevo mai notato quanto potesse diventare limpido il verde delle sue iridi, uno splendente prato di Arres.
Dentro vi rivedo noi, lontani dall'idea di adesso, immobili in un tempo già troppo passato, quando potevo dire con certezza chi eravamo. 
E adesso chi siamo, Andrè? 
Cosa siamo? 
Basta guardare un po’ più affondo per capire che segreto nascondi. 
Perché qualcosa di così grande, per quanto tu ti sforzi, non puoi celarlo, dentro non esiste uno spazio così profondo per nasconderlo.  
Hai lasciato che fosse uno sconosciuto a svelarmelo, dietro una maschera di seta nera. 
Quando si finge di non essere se stessi, ci si sente più forti e si abbatte qualsiasi tipo d’inibizione.
-Amami, Oscar- torna a sussurrare al mio orecchio e un brivido mi pervade e mi scuote.
Una semplice richiesta, una preghiera.
Quasi una pretesa.
Dallo stesso uomo che ha curato le mie ferite, dallo stesso uomo che mi ha tradita.
Dallo stesso uomo che mi ha fatto tremare il cuore.
Lo sconosciuto dal profumo di casa.
Si offre inerme senza maschera a me.
-Amami adesso, Oscar. Poi uccidimi, condannami-.


 
To be continued...
 
  

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Disclaimer: i personaggi di Lady Oscar non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Riyoko Ikeda.
 

 
Le mie parole risuonano di luce tra le pareti della stanza, che adagio si tingono dei colori del giorno.
Noi, sospesi nel tempo, ci guardiamo, poi ci osserviamo.
Entrambi attenti ad analizzare le reazioni dell'altro, ogni singolo movimento.
Vedo nascondersi dietro il blu dei tuoi occhi un oceano di emozioni, indefinite, ma, allo stesso tempo, dai contorni chiari, dalle tinte violente, le collezioni in un angolo della tua anima ed io mi accorgo di dover essere pronto al peggio.
Prima che me ne renda conto, la tua mano ha già marchiato rosso fuoco la mia guancia, con una ferocia tale da farmi arretrare, anche se appena. 
La pelle del viso già pulsa di un dolore intenso, ma non è quello a farmi male. 
E' quello che vedo nei tuoi occhi, o che non vedo. 
Questo è il tuo unico modo di difenderti, l'unico che ti è stato insegnato sin da bambina per proteggerti: la violenza.
Solo il preludio di una valanga che sta per travolgermi, il lapillo di un vulcano che sta per eruttare e mostrarsi in tutta la sua magnificenza, lo sento.
Il mio controllo, è questo che ti rende furiosa.
A un tratto investi il mio corpo con uno, dieci, cento colpi, al viso, allo stomaco e ovunque riesca a colpire.
Ecco l'esplosione che aspettavo. 
Ha il sapore della rabbia, della frustrazione, della delusione, ma c'è qualcosa di più.
E' una battaglia contro te stessa.
Sul fronte nemico un’emozione che non conosci e che cerchi di rinnegare, di ripudiare, perché piano si sta impadronendo della tua mente. 
Incasso ogni singolo colpo con la dignità di un combattente, immobile, aspettando di assistere alla risacca di quell'onda di violenza, che ora pare inarrestabile.
Poi, quando decido di averne avute abbastanza, cerco di immobilizzarle le braccia.
Quando finalmente riesco ad afferrarle i polsi, Oscar continua a dimenarsi. 
Ancora agita le braccia cercando di divincolarsi dalla mia presa, così sono costretto ad approfittare del mio unico vantaggio, quella forza virile che a lei fa difetto, per stringere più salda la morsa intorno ai suoi polsi sottili.
Un gemito sfuggito alle sue labbra mi ricorda che è ancora ferita. 
Urta lo scrittoio, perde l'equilibrio e trascina entrambi al pavimento.
Come nei nostri giochi d'infanzia, anche questo scontro termina in una caduta rovinosa al suolo, ma questa volta, così uguale e così diversa da quel tempo, le mie braccia sono una gabbia e lei è la mia prigioniera.
Questo gioco non ha nulla d’innocente.
L'eccitazione è tangibile fra noi e il fiato corto non è solo il naturale risultato dalla lotta.
Vedo le sue guance imporporarsi violentemente, quando annoda il suo sguardo al mio.
L'imbarazzo la costringe a voltare il viso.
Mi perdo nelle trame complicate disegnate dai suoi capelli dorati sul pavimento e mi pare di non poter domare il desiderio di affondarvi le mani.
In un colpo di reni, preciso e improvviso, ribalta la situazione, e mi ritrovo spalle a terra.
Il suo respiro affannato mi solletica la pelle del viso.
L'impavida Oscar che non conosce paure, non mi è mai sembrata così terrorizzata.
E non da me. 
Tutto questo la rende per la prima volta ai miei occhi quasi umana, schiava della carne e dei suoi impulsi.
La sorprendo a fissare le mie labbra, solo un palmo di distanza dalle sue.
-Se non puoi amarmi... -una mano sfugge al suo controllo e raggiunge la mia cinta, da cui ne estraggo il mio pugnale.
-... allora, avanti Oscar, uccidimi-
Porto la lama rilucente davanti ai suoi occhi, poi ne poggio la punta affilata al centro esatto del mio petto.
La vedo strabuzzare gli occhi e poi impallidire appena. 
In un attimo prendo in mano le redini del gioco iniziato da lei.
Sono io a puntarmi l'arma contro, sempre io ad avere il controllo.
-Cosa aspetti, Comandante?- la incito alla reazione, ma lei resta lì, immobile, carceriera del mio corpo ed io al momento, giuro, non potrei chiedere di meglio.
-E' la tua occasione- la scruto e vedo una matassa intricata di emozioni dietro i suoi occhi. 
Un guizzo di decisione la abbaglia, quando prende tra le mani il pugnale, stringendo tra le sue, la mia.
-Affonda questo pugnale e, quando il sole sarà alto, tutti parleranno di te, del grande comandante Oscar Francoise de Jarjayes, che ha ucciso il celebre Cavaliere Nero-
Le mie parole non sortiscono l'effetto desiderato, al contrario, la battaglia che combatte dentro se sembra esser diventata ancora più efferata.
Esita.
-Il mio sacrificio non vale forse tanta gloria, Oscar?-
La sua reazione giunge inaspettata a sorprendermi. 
Così poco 'da Oscar', piccole lacrime lucenti s'insinuano nel cielo dei suoi occhi e lo illuminano di rugiada.
Solcano il suo viso lasciando dietro di sé umide scie di tristezza, e, infine, piovono sulla mia pelle.
Pietà, forse?
-Sta zitto- bisbiglia perentoria tra i denti stretti, mentre invoca a sé tutto il coraggio per adempiere il suo dovere, per ottemperare alla legge. Quella stessa arida legge, che non contempla il caso in cui il ladro sia innamorato di uno dei suoi rappresentanti, sempre che il rappresentante della legge non sia innamorato del criminale.
La stessa legge che ci separa per motivi di ceto sociale, che non farà mai di me un nobile, mai di te una serva.
-Coraggio, Oscar- adesso le mie parole si fanno più dure, il tono più aspro, stanco.
-Sta zitto, Andrè- alza la voce in preda al nervosismo, riempiendo il silenzio della stanza.
L'eco si disperde tra le pareti e vola oltre le tende aperte.
Allenta la presa sul coltello, le dita si slacciano attorno al manico e lo lasciano cadere di lato. 
Trema, quasi indifesa, piccola, certamente sconfitta.
Come una bambina innocente, afferra la mia camicia e lentamente poggia il capo sul mio petto, poi si accoccola su di me.
Per un tempo indefinito, resta così, a cullarsi al suono dei miei battiti.
Le sue dita stringono il batista bianco, umido delle sue lacrime.
Finalmente posso affondare la mano tra le onde dorate dei suoi capelli. 
La stringo a me, mentre i primi raggi di sole ci accarezzano.
Sopravvissuti alla tempesta. 
Assaporiamo la dolcezza della quiete.
-Perchè?- sussurra tra i drappeggi della stoffa candida -Perchè è così difficile?- e nelle sue parole, si strugge. 
-Non riesci a immaginarlo, Oscar?- sussulta a quelle parole, come fossero già ascoltate, già conosciute.
-Riesco solo a sentirlo, ma ancora non ha un nome- un tentativo maldestro di dare forma a qualcosa di astratto, sconosciuto.
-Cosa senti, Oscar?- ho già la risposta.
-Io sento... -le sue labbra sfiorano le mie, i nostri respiri si fondono in uno.
Poi il sole sorge.   
 
 
To be continued...

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Si può vivere tutta la vita in un attimo.
Giorni, mesi, anni ad aspettare un tempo così breve.
Un'esistenza intera, quasi fosse inutile, sprecata nell'attesa di un momento che le dia significato.
Se solo mi fosse stato insegnato, avrei potuto arrogarmi il diritto di possederlo, o perlomeno avrei potuto allungare la mia mano verso questo sentimento, per cercare di afferrarlo o anche solo di sfiorarlo.
Se solo avessi saputo, non avrei buttato via tutto questo tempo.
Ma l'attesa è la punizione ed è anche la ricompensa.
L'attesa è il nutrimento del desiderio, della brama smodata.
Il tempo accresce le emozioni.
 
Cammino per sentieri sconosciuti, senza meta.
Come unica guida il suono del suo respiro, l'odore della sua pelle, il sapore delle sue labbra.
Senza bussola, vago in cerca di me stessa sul suo corpo.
E mentre la sua bocca mi dà conforto, io sono sempre più convinta che sarà lui a suggerirmi le risposte che cerco. 
Inesperta, lascio che m’istruisca all'amore.
E i miei polmoni si riempiono di lui.
Chiudo gli occhi in un riflesso incondizionato, come se servisse a sentirlo di più.
Mentre le mie lacrime continuano a scendere, si avvicinano alla bocca e si perdono sulle nostre labbra.
 
Come sono riuscita a vivere senza questo da tutta la vita?
 
Questo sentimento mi travolge e mi mozza il fiato, quasi annaspo, poi mi sommerge, fino a farmi mancare l'ossigeno, come fossi sul fondo dell'oceano, con la stessa urgenza con cui cercherei l'aria, cerco il suo respiro e sono salva.
Una mano sfiora il mio viso, un dito ne segue il profilo.
Anche solo una parola sarebbe in grado di spezzare l'incanto. 
Mi darebbe il tempo necessario per pensare di tornare indietro sui miei passi.  
So che lo farei.
Solo una parola.
Una.
Ma nessuno lo farà.
Non adesso.
Mi sono sempre chiesta perché la notte appartenesse agli amanti.
Insomma, perché non il giorno? 
Il buio è un rifugio sicuro per quegli amori che non si possono dire.
La notte è il tempo dei segreti, dei complotti, delle tresche clandestine.
Lo stesso Andrè ha fatto dell'oscurità un mantello dietro cui nascondersi per combattere per i suoi ideali.
Quest’amore è diverso.
Nasce alla pallida luce dell'alba e si consacra al sole di un mattino d'estate.
Caldo, terso, sereno.
Una di quelle mattine che ti fanno dimenticare la tempesta appena passata, anche se ha lasciato i segni dietro di sé.
Il giorno entra dalla finestra e ci sorprende sdraiati sul tappeto, colorando tutto di luce.
Mi separo da te, piano apro gli occhi e trovo i tuoi ancora chiusi.
Un sorriso sulle tue labbra.
Di riflesso sorrido anch'io. 
In un mattino così anche, il nero più nero dei tuoi capelli acquista nuove sfumature dorate.
 
Sai Andrè, Dio creò il Sole e la Luna e fece in modo che non s’incontrassero mai, pur abitando lo stesso cielo.
Ma all'atto della creazione, Dio non poteva sapere che sarebbero diventati amanti, così impietosito dalle loro lacrime, concesse loro di sfiorarsi per pochi attimi. All'alba e al tramonto.
Così lontani, così diversi s’incontrano nello stesso azzurro e si amano, per quel poco che li è concesso.
E' la nostra alba.
E' il nostro tempo per amare.
 
All'improvviso prende il mio viso tra le mani e ancora una volta lo bacia, questa volta con più violenza, quasi con foga.
Gentilmente guida i miei movimenti fino a ribaltare la situazione.
E mi toglie il comando, per la prima volta nella mia vita.
Poi mi ruba la ragione.
Quando la sua bocca giunge sul mio collo, già ho perso il contatto con il mondo.
Sento le sue mani ai bordi della camicia, quando la liberano dai pantaloni e poi vi s’infilano curiose sotto.
Sento le sue labbra sul mio grembo, scendere sempre più in basso, per poi risalire.
Sento il suo respiro solleticarmi dolcemente la pelle.
La sua lingua disegna i contorni della mia ferita, lentamente, senza fretta ripercorre i lembi della cicatrice e indugia ancora e ancora, come se potesse accelerarne la guarigione.
Una dieci, cento volte.
Lo percepisco il suo senso di colpa, quasi riesco a toccarlo.
Si annida lì, in quel gesto che ad altri potrebbe quasi sembrare nevrotico, nel suo tentativo di leccare via la mia ferita.
Cerca disperatamente di cancellare quella macchia lasciata sul mio corpo da un suo errore.
Fermo la sua folle corsa verso la pazzia, raccolgo il suo viso tra le mie mani e tiro su la schiena per incontrare i suoi occhi.
Tutto quello che voglio fare è alleviare il suo dolore.
Mi tuffo tra le sue braccia e mi rifugio sul suo petto, stringendolo forte, fino a fargli mancare il respiro.
-Ti amo Oscar-
Sussurra al vento.
 
Ho imparato che se chiudo gli occhi, il suono può arrivare ancora più nitido alle mie orecchie.
-Ti amo Oscar-.
 
Come sono riuscita a vivere senza questo da tutta la vita?  
 
Sono già ubriaca del suo profumo, mentre sento le sue braccia sollevarmi dal pavimento e stringermi al suo petto.
Non mi sfugge una sua smorfia di dolore, quando il mio peso grava sul lato della spalla ferita, ma nonostante questo, recupera velocemente la dolcezza nei suoi tratti e mi adagia sul letto.
Probabilmente le intenzioni di qualchedun altro sarebbero già state palesi in quel gesto, ma Andrè mi ha sempre sorpreso.
Quando mi porta a letto, tutto quello che si limita a fare è depositarmi un bacio sulle labbra, prima di raggiungere la porta.
Solo un momento.
Il tempo di un respiro.
La mia mano sulla sua camicia.
La mia voce a rompere il silenzio. 
-Resta con me-
La mia bocca di nuovo sulla sua.
I vestiti per terra.
I nostri corpi intrecciati.
Perle di sudore sulla pelle.
Gocce di piacere sull'anima.
 
Udite, gente.
Ascoltate tutti.
Il Cavaliere Nero è morto.
 
  
To be continued...

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