Two ghosts for my Hope

di MissShinigami
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un fantasma nella torre? ***
Capitolo 2: *** Il gioco delle domande ***
Capitolo 3: *** Annuario scolastico ***
Capitolo 4: *** Biografie ***
Capitolo 5: *** E-mail ***
Capitolo 6: *** SuperMarket ***
Capitolo 7: *** Celeste ***
Capitolo 8: *** Pomeriggio d'inventario ***
Capitolo 9: *** Mormorii e sussurri ***
Capitolo 10: *** Il vero rapimento ... ***
Capitolo 11: *** Di nuovo nella torre ***
Capitolo 12: *** Kimberly Williams ***
Capitolo 13: *** La conta e la domanda ***
Capitolo 14: *** Verità ***
Capitolo 15: *** Colonna sonora ***
Capitolo 16: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Un fantasma nella torre? ***


John ormai mi seguiva da tempo, non facevo neanche più caso al fatto che gli piaceva spaventarmi, apparendo all’improvviso in angoli oscuri. Ero abituata a queste cose, me ne capitavano di peggio ...
La Cugina M. aveva detto: alcuni ti possono toccare. Dopo, avevo smesso di sobbalzare tutte le volte che me ne compariva uno davanti.
Sospirai, quando il vecchietto mi comparve davanti urlando: bu!
“Hai finito?” chiesi.
“No, solo mi chiedo: perché non ti spaventi più?”.
M’infilai velocemente un auricolare: non volevo sembrare pazza! E continuai a camminare verso la mia scuola.
“Allora?” insisté lui.
“Perché sei … hmm … insistente … no! Prevedibile!””.
“Oh, c’è di peggio, comunque io mi definirei costante!”.
“Parlando di costanza: sei sicuro di non avere niente in sospeso?”.
John fece finta di pensarci un po’ su. “No!”.
Mi fermai per guardarlo negli occhi. “Maaa s’è sihuro?!”.
Mi guardò sbalordito, di solito sono seria … ma non ne potevo davvero più: doveva passare oltre … o mi sarei suicidata e lo avrei spinto a calci!
“S-si, sono sicuro.”.
Lo guardai storto.
“Te l’ho detto voglio solo qualcuno con cui poter parlare!”.
Avevamo avuto quella discussione molte volte, ma quella mattina mi venne un’idea geniale. “Allora forse io non sono la persona giusta!!”
“Certo!” concordò, prima di attraversare la strada e prima di mettersi a urlare contro le persone che passavano. “Hey! Signora! Piacere mi chiamo John! Ho! Ragazzina aspetta ho tanti aneddoti da raccontare!!”
La gente gli passava davanti, accanto e attraverso senza né vederlo né sentirlo. Mi venne da ridere: a volte pensavo che essere un fantasma dovesse essere forte, poi mi ricordavo dei pericoli in cui potevi incorrere, l’avevo imparato a mie spese.
Continuai a camminare, rimuginando sulla mia teoria, eccitata dal fatto che avrei potuto non sentire più i blaterii di John.
La prima domanda da porsi era: con chi avrebbe potuto, no … dovuto parlare?
Un familiare. Figlio … figlia … nipote?
“John, come fai di cognome?”  gli chiesi quando tornò da me.
“Smith.”.
Risi. Anche in modo idiota, se la vogliamo dire tutta.
“È vero.”.
“Davvero?”.
“Sì.”.
Ecco, a quel punto non seppi se scusarmi di aver riso prima o ridere di nuovo. Poi mi resi conto che non c’era davvero niente da ridere: quanti Smith esistevano nella mia città … oh cazzo …
Ok, qual era il passo successivo? Sì, giusto il suo passato, chissà magari c’era solo una famiglia di Smith che veniva da … che ne so … l’Oklahoma!
“John, dopo la scuola dobbiamo parlare seriamente. Devo farti delle domande, sai … per aiutarti a …”.
“Kim, conosco il tuo lavoro.”
“Bene, meglio così!”
Eravamo davanti a scuola ormai e non volevo che mi vedessero parlare in un auricolare collegato a un cellulare spento. Non che m’interessasse ciò che gli altri pensavano di me, diciamo più che altro che ci avevo rinunciato … a piacere agli altri intendo.  Dopo che mi avevano visto urlare al nulla negli spogliatoi maschili della palestra, mi evitavano. Mi venne da ridere: quella volta mi divertii; anche se dovetti inventarmi la storia che mi era scappato il cane e che un ragazzo mi aveva detto di averlo visto nella scuola. Mentire mi riusciva bene …
Guardai la torretta in mattoni rossi accanto alla mensa, quello era l’unico luogo in cui nessuno andava, dicevano che fosse infestato: lo era. Tutte persone simpatiche! Era lì che passavo le ore di buco, le ricreazioni e ci mangiavo anche … lassù potevo essere me stessa.
Sì, certo … se solo lo avesse potuto sapere prima …
Era l’ora di pranzo, mentre salivo le scricchiolanti scale di legno della torre, parlavo con la Contessa, uno dei fantasmi che infestavano la torre. La Contessa era morta nel 1800 durante l’incendio che aveva distrutto tutto il monastero tranne la torre che ora era infestata (già il mio liceo era un ex-monastero, tanto lavoro per la sottoscritta!!), era una signora conosciuta e famosa, soprattutto per la sua generosità, la sua reale generosità. Era la mia confidente … anche perché diceva che mi aveva aspettato fino ad ora, le avevano ordinato di farlo.
Straaanooooo …
Comunque, eravamo quasi in cima alla torre e parlavamo di quanto può essere bella e affascinante la nebbia, quando sentimmo dei lamenti, quasi dei gemiti. Qualcuno stava piangendo, ma era un pianto strano: da bambino piccolo.
Era un fantasma: ne ero certa.
Salii gli ultimi scalini con un balzo. La sala in cima alla torre era polverosa, puzzava di muffa e di chiuso e c’erano travi e pezzi di legno sparsi un po’ ovunque o accatastati vicino ai muri: accanto a una di quelle cataste c’era una bambina.
Rimasi pietrificata: non era affatto un fantasma. La sua figura era avvolta in un cappotto marrone troppo grande per lei, ricadeva in terra per molti cm e intorno al collo aveva una gigantesca sciarpa gialla. Avrà avuto sì e no otto forse nove anni. I suoi capelli biondi e riccioli le coprivano il volto, erano sciupati e sporchi. Si teneva stretta nel cappotto, con il volto premuto nella sciarpa; piangeva e singhiozzava senza ritegno.
Ero confusa: mi aspettavo l’ennesimo fantasma con l’ennesimo conto in sospeso, lo avrei aiutato e poi sarebbe andato nella Luce … non questo …
La bambina alzò la testa, si era accorta che qualcuno era lì. Mi guardò: i suoi occhi erano gonfi per il pianto e cerchiati da profonde occhiaie, la cosa che mi colpì di più fu il colore verde scuro, come i miei occhi. Mi fece una strana impressione … era come guardare in uno specchio … solo che avevo perso qualche anno.
La bambina urlò spaventata e cercò di rintanarsi dietro alle assi di legno cui era appoggiata.
Ok, non seppi davvero come comportarmi. Cioè: non era un fantasma!
“Su, dille qualcosa! Tranquillizzala!” mi suggerì la Contessa preoccupata.
La bambina urlò di nuovo.
“Ok, ok! Senti non sono pericolosa, non devi avere paura!!” dissi allarmata, ero più spaventata di lei!! Cavolo!!
“Non ti credo!” rispose da dietro alla legna.
“Heee … no no! Davvero, ok io adesso mi tolgo il giubbotto! Così vedrai che sono una semplice ragazzina!” dissi la prima cosa che mi veniva in mente. Cavolo! Ma davvero  pensava avessi un coltello o una pistola in tasca?! No, ok quella che avrebbe potuto pensarlo ero io, ma non sapevo che fare, ero in preda al panico.
Le gettai il mio giubbotto di pelle, il mio giubbotto pulito, ai piedi, poi girai su me stessa con le braccia alzate: indossavo un paio di jeans scuri e un maglioncino grigio attillato.
La bambina mi osservò poi prese il mio giubbotto da terra e frugò nelle tasche, cosa che m’innervosì un po’, trovò la mia scorta di caramelle alla menta, quelle extra forti, ne masticò cinque o sei in un colpo solo facendo smorfie perché erano troppo forti.
“Hai fame? Allora aspetta, prima di finirmele tutte.” intervenni.
Presi il mio zaino da terra, dove lo avevo fatto cadere poco prima, estrassi il mio pranzo e glielo porsi, lei allungò la sua manina verso il contenitore e lo prese con uno scatto fulmineo. Mangiò tutto in pochi minuti, così ebbi il tempo di guardala per bene. Era magrissima come se fosse mal nutrita e, dal modo in cui divorava il mio cous cous, non mangiava da giorni; il suo viso era sciupato e aveva un livido su uno zigomo, molto vicino all’occhio. Era stata picchiata; mi montò una rabbia tremenda. Sentii un tocco leggerissimo e freddissimo della Contessa sulla mia spalla, mi girai a guardarla: aveva un’espressione afflitta sul volto, sapeva cosa provavo. Poi però mi accorsi che anche la bambina stava guardando nella direzione della mia amica fantasma; mi allarmai.
“Anche tu la vedi?” mi chiese con una vocina flebile e ancora rotta dal pianto.
Giusto, la cugina M me lo aveva detto: molto bambini possono vedere gli spiriti.
“Sì.” risposi con la voce più rilassata che potesse venirmi. “Tranquilla non ti farà del male, è una mia cara amica.” continuai cercando di tranquillizzarla.
Mi misi a sedere in terra, pronta a raccontare alla bambina tutto quello che avrebbe potuto calmarla riguardo ai fantasmi.
Ma la bimba fu più veloce di me: mi si gettò al collo, piangendo come una fontana.
Il mio primo istinto fu di allontanarla; poi mi ricordai com’ero spaventata io quando scoprii di poter vedere ciò che solitamente gli altri non vedono. La abbracciai, stringendola forte, cercando di farla sentire al sicuro … ma non era solo per i fantasmi che la bambina piangeva …
Suonò la campanella: l’ora per il pranzo era finita sarei dovuta tornare in classe in pochi minuti.
Restai qualche secondo ferma, continuando a stringere la bambina, stava ancora tremando e piangendo. Accidenti! Come face ad andarmene ora?
“Devo andare … devo tornare in classe …” dissi piano.
“NO!” urlò la bambina, stringendomi più forte.
“Non posso restare qui, devo andare.”
“NO! Ti prego non lasciarmi qui da sola di nuovo!!”
“No, non ti lascerò sola! Mai.” scattai. “Hei, guardami!”
La presi per le spalle e le sollevai il viso. “Non sei sola, la Contessa ti terrà compagnia fino al mio ritorno. Sta tranquilla, io tornerò!” dissi tutto d’un fiato. Poi sorrisi. “Sono solo tre ore.”
La bambina mi si gettò al collo ancora una volta, stringendomi forte. “Promesso?” chiese.
“Promesso.” risposi. “Guarda, ti la scio le mie chiavi di casa.” dissi, afferrando il mio zaino.
“Ecco! Guarda il portachiavi.” le porsi le chiavi.
Sul suo volto si allargò un sorriso a trentadue denti. “È un leoncino!” urlò, afferrandolo.
Sorrisi a mia volta, poi scesi di corsa le scale.
Entrai in classe appena in tempo. Tremavo dal freddo, perché avevo lasciato il giubbotto nella torre dalla bambina. Una mia compagna di classe mi fece il favore di avvertirmi del mio naso rosso: congelavo, altro che naso rosso!
Passai le ultime tre ore a pensare alla bambina che mi stava aspettando nella torre. Ma che diavolo mi era saltato in testa! Io prendermi cura di una bambina! L’outsider della scuola, quella che parla da sola negli spogliatoi, che accudisce qualcuno!
CAVOLO!!!
Che cosa avrei detto ai miei quando fossero tornati? No, no … niente da fare! La piccola sarebbe dovuta andare in un posto adatto a lei, dove ci sarebbero state persone capaci di prendersi cura di lei. Questa possibilità mi rese molto triste: mi ero già legata a quella bambina? Impossibile. Ero legata a poche persone … le contavo sulle dita di una mano …
Ma poi: come si chiamava quella bambina?! Non glielo avevo neanche chiesto.
Mi scoppiava la testa. Adesso capivo come si sentivano quegli spiriti morti di morte violenta: non ci capivi nulla!!
CAVOLO E ANCORA CAVOLO!!!!
Suonò la campanella. Il mio istinto fu di scappare via, riuscii a trattenermi. Inspirai profondamente, dovevo andare alla torre.
Un’impresa!!
Ero in corridoio, mi muovevo con calma, aspettavo che molti ragazzi se ne andassero.
“Hei, Williams!” disse una voce alle mie spalle.
Sapevo fin troppo bene chi era e non avevo voglia di metter su un altro spettacolino che mi metteva in ridicolo, ma che tuttavia nascondeva il mio segreto alla perfezione.
“Hei, Jhonson!” risposi senza voltarmi.
“Come vanno le allucinazioni?!” chiese ridacchiando la ragazza.
Mi voltai in uno scatto di rabbia, avrei voluto farle volare la testa. “Molto bene, grazie! “ risposi semplicemente. “Sai ieri il Bianconiglio mi ha invitato a prendere il thé con il Cappellaio e il Leprotto Marzolino!” sorrisi.
La ragazza finta bionda che mi stava davanti fece una faccia sconcertata e se ne andò.
Era andata bene, molto bene!! Troppo …
Poco dopo saltavo gli scalini della torre a due a due, in buona dose perché avevo un freddo cane …
Lei era lì, dove l’avevo lasciata, la Contessa era accanto a lei, vegliava su di lei. Mi avvicinai la scossi leggermente perché si era addormentata; quando si svegliò, mi saltò al collo, felice di vedermi.
“Hem, prima avevi lasciato qui il tuo giubbotto. Tieni.” disse tirandolo fuori dal suo enorme cappotto e porgendomelo.
Era caldo, me lo infilai subito. “Grazie di averlo riscaldato.”
La bambina sorrise.
“Come ti chiami?” le chiesi.
“Hope, tu?”
“Kim … Kimbely Williams.”
Sorrisi: sì, mi ero già affezionata.

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Capitolo 2
*** Il gioco delle domande ***


“Kim?”
Mi sentii chiamare. era una strana sensazione, in casa non doveva esserci nessuno. Già … ricordai.
“Hey, Hope. Che c’è?” biascicai nel mio stato di mezzaddormentata.
“Non riesco a dormire.” disse la vocina accanto al mio cuscino.
“Dai vieni qui, il letto è grande.” dissi dopo un istante di adolescenza con tendenze suicido-omicide.
Hope salì sul mio letto, si infilò sotto le coperte e si strinse a me, notai che aveva intorno al collo la sciarpa gialla; nascose la faccia nella maglietta che usavo come pigiama. Rimanevo sempre più sorpresa da queste azioni di affetto, non avrei mai potuto pensare di voler bene ad una persona appena conosciuta. Quella bambina era straordinaria.
“Allora, perché non riesci a dormire?” chiesi.
Per tutta risposta lei mugolò qualcosa che non capii. Così mi venne un’idea.
“Quando non riuscivo a dormire da piccola, facevo sempre un gioco: il gioco delle domande!”
Hope sollevò la testa e mi guardò negli occhi. “Come si gioca?” mi chiese con un sorriso.
“Ti si convince facilmente, he?!” risi. “Allora: io prima faccio una domanda a te, tu rispondi; poi tocca a te fare una domanda a me e io rispondo. Tutto qui.” spiegai.
Hope rise.
“Che c’è?” chiesi.
“Fai degli strani movimenti con gli occhi!”
“Non è così divertente. Sono miope non ci vedo, non riesco a metterti bene a fuoco,  anche buio!”
“Bene inizio io.” disse poi. “Porti gli occhiali?”
“Sì, no cioè, si ma no. Dovrei portare gli occhiali, ma uso le lenti a contatto. Ma ora non ho né l’uno né gli altri. Non vedo praticamente nulla.”
Rise.
“Ok, adesso tocca a me! Hmm … quanti anni hai?”
“Otto … no, otto e mezzo! A gennaio ne compirò nove!” sorrise.
Risi, non vedeva proprio l’ora.
“Ehm … già, mi chiedevo prima … dove sono i tuoi genitori?” mi chiese.
“Bhè, in giappone … credo … allora da dove comincio …” era davvero una lunga storia. “Mio padre è un giornalista freelance e mia madre è una fotografa. Viaggiano sempre molto insieme, lo hanno sempre fatto. Mi ricordo che una volta gli consiglia di scrivere un libro di viaggi. E così hanno fatto.” risi. “Abbiamo girato tutta l’America e anche il Canada. Poi ci trasferimmo qua. Loro continuano a viaggiare, io resto qua a frequentare la scuola e a svolgere il mio lavoro …” sospirai.
“Ma non ti senti sola? Cioè, non ti senti abbandonata?”
“Hei, questa è una domanda!” ribattei.
Hope si mise le mani sulla bocca.
“No dai, tranquilla rispondo volentieri!” risi. “No, perché ci scambiamo delle e-mail tutti i giorni. Oggi mamma mi ha raccontato che è finalmente riuscita a convincere mio padre a mangiare del sushi! He eh … poi non sono sola. Ho i miei amici fantasmi, alcuni sono davvero loquaci. Poi c’è mia cugina che abita in un paesino qua vicino.”
Ci fu qualche istante di silenzio, io guardavo il soffitto senza vederlo realmente. “Ora sta a me … “ non so come avrebbe reagito a questa domanda, speravo solo che non si mettesse a piangere o che riuscisse a rispondermi almeno … “Dove sono  tuoi genitori?”
Silenzio. Guardai Hope, era talmente vicina che riuscivo a distinguerla bene: aveva un’espressione cupa di pinta sul volto, non era affatto adatta a lei.
“Se non riesci a rispondermi non importa, è solo un gioco!” dissi.
Sospirò profondamente, cercava di trattenere le lacrime. “Sono morti in un incidente d’auto. I freni non hanno funzionato. Io … io ero a casa quando è successo. È venuto a prendermi … un collega di mio padre … che adesso è il mio tutore … “ disse tra i singhiozzi.
La strinsi a me: volevo proteggerla. Ma che razza di emozioni scuoteva in me quella bambina?
“Hope …” non sapevo che dire.
Lei continuava a piangere. “Perché sei scappata? Perché hai questo?” chiesi sfiorandole la guancia ferita.
La mi boccaccia!! Ma non potevo stare zitta!?!
Hope piangeva, ma mi rispose ugualmente. “I-il mio tutore … quando … quando non gli ubbidivo mi sgridava poi l’altro giorno …” non completò la frase. Non ce ne fu un bisogno e non volevo che finisse.
“Così sei scappata …” continuai per lei. “ … e ti sei ritrovata nella torre.”
 “S-shi !” singhiozzò.
Le accarezzai i capelli cercando di calmarla. Lasciai che si sfogasse, qualche minuto dopo non stava più piangendo, ma era ancora scossa da forti tremiti.
“Come va ora?” chiesi.
“M-me-meglio …”
“Scusami, non avrei dovuto farti questa domanda.” le asciugai una lacrima sulla guancia.
Restammo ancora in silenzio. Hope si calmò sempre di più.
“Sta a me vero?”
Pensavo non volesse più parlare. “Sì.”
“Da quanto tempo vedi i fantasmi?”
Ecco. “Da sempre, per quanto ricordi. Da piccola cercavo di ignorarli, sinceramente pensavo fosse solo la mia immaginazione. Poi sono stati loro ad iniziare ad accorgersi di me … non sapevo più come fare. Non sapevo cosa fare.”
Hope mi ascoltava senza guardarmi. Non era semplice per me rievocare il mio passato di bambina complessata, ma lo volevo fare: lei si era confidata, adesso toccava a me.
“Poi arrivò mia cugina. Avevo tredici anni, lei era qua perché i miei genitori le avevano detto che avevano dei vecchi mobili che forse le potevano interessare, gestisce un negozio di antiquariato. Io ero alle prese con il fantasma di un uomo morto in un incendio. Non pensavo che ci fossero altre persone che potevano vedere ciò che vedo io. Bhè, lei mi ha insegnato tutto quello che so ora.” sorrisi, ripensando a quei momenti, alle mie domande idiote e alla pazienza con cui mi rispondeva.
“Wow, ma perché le altre persone non li vedono?” chiese.
“Molti hanno perso la fede, non credono più … sono troppo razionali … o qualcosa del genere … quindi non li vedono. Ma i bambini li possono vedere perché … bhè, in realtà non so bene perché. Ma penso sia perché non hanno i limiti razionali che hanno gli adulti.” spiegai, almeno tentai di farlo.
“Forte” sussurrò Hope.
Sorrisi: le persone solitamente non definivano così questo dono.
“Ok, allora … perché hai sempre al collo questa sciarpa?”
La bambina abbassò lo sguardo. “Era di mia madre. La indosso perché ha il suo odore …” vidi chiaramente che era sul punto di piangere ancora.
“È davvero bella. Adoro il giallo!” dissi.
Hope mi sorrise. Pericolo scampato. Che stronza che ero …
“Bene! Ora tocca a me!!” scattò la bambina. “Come si chiama tua cugina?”
Sorrisi, le interessava davvero! Era la prima volta; solitamente le persone evitavano questo argomento.
“Melinda Gordon.”
Parlammo per quasi tutta la notte, il giorno dopo era sabato, quindi potevo permettermelo. La conversazione tocco i punti più strani: passammo dal cibo preferito alla musica fino ad arrivare ai luoghi che avevo visitato con i miei genitori. Fu una notte piacevole e tranquilla, ci addormentammo tardi.
Il mattino seguente, quando mi svegliai, allungai il braccio per  cercare Hope, trovai il vuoto. Mi alzai di scatto, alla ricerca degli occhiali sul comodino, li inforcai velocemente. Davanti a me c’erano due figure: un uomo ed una donna. I loro vestiti erano stracciati e coperti da grandi macchie di sangue, avevano anche delle vistose ferite all’addome e alla testa.
“Non devi farglielo fare più …” sussurrò minaccioso l’uomo.
“Non devi farle male …” continuò la donna.
In un attimo scomparirono; rimasi immobile.
“Non devi farla più parlare o faremo in modo che tu non possa più farle del male …”
Erano accanto a me, mi sussurravano negli orecchi. Scomparirono di nuovo. Sentii cigolare qualcosa …
Ero in macchina, guidavo davanti a me c’era molta foschia, non si vedeva bene la strada. Andavo troppo veloce, tra poco ci sarebbe stata una curva. Schiacciai il pedale del freno: non funzionò. Riprovai ancora. Niente da fare. Davanti a me vidi la curva, oltre quella il vuoto.
“Accidenti! Frena maledizione!!” urlai.
Anche se avessi provato a sterzare non sarebbe servito, sarei precipitata di sotto.
Questo era successo ai due fantasmi …
L’impatto fu terribile, lo potei sentire bene. Con uno schianto il parabrezza andò in frantumi: sentii i pezzi di vetro che mi tagliavano e il sangue che sgorgava dalle ferite, sentii il dolore.
Ero nella mia stanza fissavo il soffitto, mi ero appena svegliata. Allungai il braccio accanto a me: Hope era lì, dormiva ancora. Cercai i miei occhiali e l’indossai. Erano quasi le otto, presto ma andava bene, avrei preparato la colazione. La prima colazione a tavola da quasi tre mesi! Wow, chissà come funziona …
Prima di uscire di camera, mi voltai ad osservare il volto della bambina.
Quello che avevo appena visto e sentito, soprattutto sentito, era una punizione, per averla fatta parlare, per averle farro ricordare e rievocare la morte dei genitori, così me l’avevano fatta pagare …

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Capitolo 3
*** Annuario scolastico ***


Il finesettimana passo tra tv e dormite. Io non avevo niente da fare per scuola e anche se lo avessi avuto non lo avrei fatto. Il lunedì mattina arrivò in fretta, avevo temuto questo momento per tutto il tempo, avevo paura che Hope non mi lasciasse andare, che piangesse e che non sarebbe stata al sicuro in casa.
“Hope, io devo andare a scuola. Ma sarò di ritorno per le tre e mezzo. Tu … è okey se tu resti qua?” chiesi cautamente.
“Certo, nessun problema!” mi sorrise.
Cavolo, era capace di ribaltare le situazioni. Solo vederla sorridere mi aveva fatto dimenticare tutte le paure che avevo su quel lunedì. Le sorrisi di rimando.
“Bene!” dissi.
“Sì, almeno avrò qualcuno con cui parlare che non deve fare finta che io non esista.” la sua solita voce.
“John , ti prego non darle fastidio. Ti può vedere e sentire ma non è detto che ti voglia ascoltare.” dissi acida.
Hope rise.
“Ciao, bambina. Come ti chiami?” chiese il fantasma.
“Si chiama Hope e, davvero, non darle fastidio.” intervenni.
“Non mi da fastidio.” ribatté l’interessata.
“Mi sta simpatica.”  affermò John.
“Anche tu a me.”
“Molto simpatica.”
Li guardai con gli occhi sgranati. “Siete in combutta voi due!?”
Loro risero ed io mi rassegnai.
“Ok, ok. Facciamo così! Voi restate qua; tu fantasma aiuta la bambina; per qualsiasi problema fate un passa parlo tra fantasmi e avvertitemi subito. Intesi?”
“Sissignora.” disse John, scattando sull’attenti.
Alzai gli occhi al cielo e mi avvicinai alla porta di casa. Hope mi seguì.
“Allora Hope … auguri, John e logorroico quando vuole. Non serve che ti dica di non aprire a nessuno per nessun motivo vero?”
“Vero.” mi rispose docile.
“Ok, in questo caso allora ci vediamo dopo!”
“Kim, aspetta … ti devo chiedere una cosa …”
L a guardai interrogativa. “Cosa?”
“Che vuol dire logorroico?”
Rimasi interdetta poi iniziai a ridere. “Lo scoprirai presto!” dissi e, continuando a ridere, uscii di casa e mi diressi a scuola.
Arrivai a scuola poco dopo, era la prima volta da mesi che percorrevo il tragitto da casa mia a scuola senza un fantasma che parlava e parlava. I corridoi erano pieni di gente e la cosa sarebbe mi sembrata normale, non fosse stato il fatto che mi sentivo osservata.
Ok, potrei sembrare paranoica, ma se dico che qualcuno mi fissa ne sono sicura! Ci sono abituata, ma dopo poco vengo sempre a scoprire che qualcuno morto ha bisogno del mio aiuto; oppure sono semplicemente i soliti curiosi che vogliono vedere il fenomeno paranormale che sono. Questa volta però era diverso. Di solito sento freddo ma riesco a rimanere calma e concentrata su ciò che devo fare. Questa volta … stavo per impazzire! Sentivo l’ansia montare … ma chi aveva mai provato ansia prima d’ora!
Chiusi l’armadietto e anche gli occhi, respirai a fondo poi li riaprii. Andava meglio ma la sensazione non era scomparsa.
Inspirai ancora, sarebbe stato meglio non l’avessi fatto: l’odore intensissimo che avevo imparato a evitare mi circondava. “Buongiorno Jhonson!” dissi controvoglia, tentando di non vomitare a causa dell’odore.
“Come hai fatto a sapere che ero io, Williams?”
“L’odore.” grugnii voltandomi, per guardarla negl’occhi.
Lei fece una smorfia. “Vorrai dire profumo!”
“Ah-ah, quello che è.”
“La prof Philips ti cercava.” disse furibonda.
Sbuffai. “Nonostante tutto, la cosa ti diverte vero?”
La ragazza mi guardò e sorrise. “Sì, in fondo sì!”
Me ne andai, percorsi i corridoi fino all’ufficio dello psicologo scolastico. Già, perché la professoressa Philips era la psicologa a cui toccavano tutti i problemi adolescenziali presenti nella scola e, bhè, io ero una catastrofe ambientale per i suoi standard.
“’Giorno prof! Ho saputo che mi stava cercando:” dissi entrando.
Una donna, non tanto alta, mi fissava da dietro dei piccoli occhiali rotondi da lettura: aveva una faccia da schiaffi, almeno dal mio punto di vista: ero stata chiusa nel suo ufficio per troppo tempo, avevo una visione negativa di quel posto e di chi ci stava dentro;  tuttavia aveva buone intenzioni.
“Sì.” disse, togliendosi gli occhiali. “Ho notato che non fai nessuna attività extrascolastica e, invece, ti farebbe bene per relazionarti con le altre persone.”
La mia faccia era più o meno un misto tra la sorpresa, la rabbia e la rassegnazione. “No, in effetti non frequento nessuna delle attività della scuola.” riuscii ad articolare.
“E questo perché …” cercò di cavarmi fuori la professoressa.
Perché ho già il mio bel da fare tra scuola e fantasmi! Oh, giusto! Per non parlare del fatto che c’è una bambina di sette anni … credo … in casa mia!
Non dissi questa frase. “Hem, non lo so, penso che sia perché non mi sono … infor … mata quando dovevo farlo.” dissi.
Ma quanto sarò idiota!
Sorrisi.
Molto ... ecco quanto.
“Sentì, perché non frequenti uno dei corsi, magari riesco a trovartene uno con pochi incontri settimanali, he? Che ne dici?”
La campanella suonò. Ne approfittai e mi feci frettolosa.
“Hem, sìsì. Ok, adesso devo andare però.”
“Sì, certo certo! Vai pure!” mi sorrise la donna.
Me ne andai, pregando non trovasse nessun corso. Ma ovviamente potete immaginare quanto io sia fortunata … almeno quanto sono idiota!
All’ultima ora, non avevo rivisto la Philips, stavo quasi per convincermi che non avesse trovato nulla. Quando Jhonson si fermò al mio banco. “Benvenuta nel concilio per l’annuario scolastico.”
Ma porca fantasma!

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Capitolo 4
*** Biografie ***


Entrai in casa sbattendo la porta e scaraventando lo zaino in un angolo dell’ingresso. Andai di corsa in cucina, mi misi a sedere al tavolo e mi presi la testa fra le mani.
Sbuffai, qualcuno doveva aver avvertito la Philips sulla mia mancata partecipazione ai corsi extrascolastici.
“Dannazione!”
“Giornata storta?” mi chiese Hope.
Alzai lo sguardo sulla bambina che stava seduta davanti a me. Mi ero dimenticata che ci fosse anche lei!
Rimasi spiazzata. “Hem, diciamo così …” sussurrai, vergognandomi di come ero entrata in casa.
Hope mi fissava mentre seguivo con lo sguardo le venature del legno.
“ È … probabile che possa mancare anche di pomeriggio qualche giorno …” dissi.
Seguì il silenzio. Mi ripresi la testa fra le mani. “Com’è andata la giornata a te?” chiesi.
Hope fece un verso strano. Alzai la testa per vedere cosa stava facendo. Aveva un’espressione strana, era … esasperata e stanca.
“Ho capito cosa significa logorroico ...” sospirò.
Risi. Allora non ero la sola a pensarlo!
Poi iniziò a raccontarmi la sua giornata, aveva per lo più guardato la tv e parlato con John, che se n’era andato quando, tramite un passa parola tra fantasmi, la Contessa lo aveva avvertito del mio ritorno a casa.
“Poi ho scoperto che John è di origini italiane. È dovuto emigrare in America a causa della … della seconda guerra mondiale e che è ebreo. Mi ha raccontato tutto sul 1900!” si zittì e si scurì in volto.
“So cos’è successo durante il ‘900.” dissi. “Non fu … carino …” convenni.
Restammo in silenzio mentre io trafficavo con le tazze per il tè: stavo preparando quello indiano che i miei avevano portato dalla loro ultima ‘gita’, non avevo mai avuto l’occasione di provarlo così seguivo le istruzioni sulla confezione con cura.
“Ho notato che a John piace molto …”
“Parlare senza freno?” chiesi sorridendo.
“Mhmm … no … insegnare.”
Mi voltai e la guardai negli occhi con aria interrogativa.
“Sì, ecco … era felice mentre io gli ponevo domande su domande e lui rispondeva a tutto!” spiegò.
“Davvero, per me è solo un vecchietto ciarlone.”
“Tu non avevi bisogno che qualcuno ti insegnasse la storia!”
Scrollai le spalle e sospirai. “John tu sei di parte!”
Il fantasma comparve da dietro il forno. “La bambina era curiosa e le ho raccontato tutto!”
Mi girai verso i fornelli, Hope e John avevano iniziato a parlare tra di loro; il tè era pronto, così lo versai nelle tazze. “John, ti chiederei se ti andrebbe una tazza di tè, ma so che sei morto.” dissi mentre sistemavo le tazze sul tavolo.
“Ah-ah, divertente.”
Hope rise.
“A lei a fatto ridere.”
Passai la serata a studiare e Hope andò a curiosare tra i libri di casa, ne poggiò sul tavolo: l’intera raccolta di Narnia, Harry Potter e una piccola biografia di un esploratore egiziano che avevo comprato quando era stata in Egitto, era pieno di foto e disegni di tutte le scoperte che aveva fatto l’esploratore.
Mi immersi nello studio e solo quando mi accorsi di dover rileggere tre volte una frase prima di capirla alzai lo sguardo dai libri. Mi strofinai gli occhi: le lenti iniziavano a darmi fastidio, così andai in bagno e me le tolsi, mettendomi gli occhiali. Quando tornai n cucina, Hope non si era mossa di un millimetro, tutta concentrata a leggere la biografia.
“Hope.” la chiamai.
Alzò lo sguardo e, anche lei, si strofinò gli occhi. “Sì?”
Sorrisi. “Che vuoi da cena?”
Ci pensò su. “Hem … polpette?”
“Ok.” Risposi e mi misi al lavoro.
Dopo un’oretta era già tutto pronto e Hope non aveva ancora smesso di leggere il libro. Quando portai in tavola le polpette, lo chiuse e mi guardò seria.
“Ti piace il libro?” chiesi.
“Sì ma non è quello …”
“He? Che vuoi dire?”
Continuò a guardarmi. “Ho capito di cosa ha bisogno John …”
Mi feci seria anche io.
“Una biografia!” disse.
E aveva ragione.

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Capitolo 5
*** E-mail ***


Come va là!?
Noi siamo a Johannesburg! Foto a sfare!!!!! XD
Davvero, qua è tutto stupendo, sto facendo tantissime foto!!!
Sì, tua madre sta impazzendo. Fa foto a qualsiasi cosa si muova, no anzi, anche a quelle immobili: ieri ha fatto una foto ad una mia scarpa ritenendola molto fotogenica.
Abbiamo scoperto di adorare il cibo africano! Ti porteremo qualcosa!!
Infatti ti abbiamo già comprato un vestito tipico di una tribù africana e una sciarpa con dei ricami raffiguranti degli elefanti!
Speriamo che vada tutto bene a casa!
Baci, i tuoi genitori.


Qua tutto ok!                                        
La scuola va bene, anche se mi hanno costretta a far parte del comitato per l’annuario -.-‘’
Il lavoro procede bene, sono in una situazione un po’ complicata … bhè, diciamo che ho tre fantasmi per le mani, ma per uno ho già trovato un modo di aiutarlo, gli altri due invece non so neanche chi siano …
Non vi preoccupate, sto bene e sono tranquilla riguardo alla situazione, so che pensate che possa cacciarmi nei guai, ma non dovete preoccuparvi: l’unica cosa che rischio e un gran mal di testa! Jhon, il fantasma che posso aiutare, parla troppo, non sta zitto un attimo!
Comunque, non vedo l’ora di provarmi il vestito!!! Per non parlare del cibo!! Vorrei assaggiare tutto! Mi affido a voi per la scelta dei cibi! Mi raccomando!!!
Ok, adesso devo studiare e pensare a qualcosa per l’annuario -.-‘’
Vostra figlia.


“Sono simpatici i tuoi genitori!” osservò Hope accanto a me.
Aveva letto tutto quello che avevo scritto.
“Ma chi saranno i due fantasmi?” chiese preoccupata e spaventata.
La guardai poi guardai fuori dalla finestra, come per cercare una risposta tra le ombre della via. Invece li rividi: erano al centro della strada e mi fissavano, sapevo che stavano fissando. “Non lo so …” dissi. “E non so neanche da dove iniziare … se hanno davvero bisogno di aiuto, verranno loro da me.” dissi più rivolta ai fantasmi che alla piccola Hope.

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Capitolo 6
*** SuperMarket ***


La prima domenica di dicembre, dopo una lunga discussione sul natale con Hope, decidi di andare a fare la spesa così da poter comprare anche qualche addobbo natalizio.
Sarebbe dovuto essere il secondo anno che passavo il natale da sola, se non ci fosse stata la mia nuova inquilina, i miei genitori si disperavano molto per questo, infatti il 25 dicembre scorso ricevetti un e-mail kilometrica dove dicevano quanto gli dispiaceva di non essere lì con me e mi faceva una lista dei modi in cui dovevo fargliela pagare.
Io, invece, semplicemente non festeggiavo: era un girono come un altro. Non che odi il natale, certo! È che sono stata in grado di diventare indifferente … soprattutto dopo l’ultimo passato a casa di mia cugina … sapete, trovarsi una testa umana nel proprio pacchetto regalo non è molto carino, che sia una visione o meno non importa.
Hope si era arrabbiata quando le avevo detto che non facevo niente per natale così mi aveva costretto a fare qualcosa.
Quella bambina aveva una cattiva influenza su di me.
Era la prima volta che usciva di casa mia da quando vi era entrata, quasi due settimane prima, ed era contentissima e non riusciva a star ferma un attimo.
“Se non ti fermi, ti metto il guinzaglio!” la minacciai i scherzosamente.
Hope si fermò di colpo e mi guardò spaventata.
Mi venne da ridere e mi … sentii in colpa, cosa che raramente mi era successa prima. “Non penserai davvero che potrei farlo?!” le sorrisi rassicurante.
Lei sorrise a sua volta ma non mi sembrò del tutto convinta, mi si attaccò al giubbotto. Ma, per sua fortuna, era una bambina spensierata e poco dopo era nuovamente elettrizzata.
Mi ero accorta da tempo che bastava poco per farla sprofondare nei suoi ragionamenti, chissà a cosa pensasse poi! Mi preoccupavo quando accadeva, la vedevo spaventata e non mi piaceva affatto. Dei fantasmi, diversi da quelli a cui ero abituata, la tormentavano costantemente. Pensavo che sarei riuscita a farla parlare ancora, anche a rischio della mia salute mentale, causa fantasmi incavolati.
Non pensavo affatto che ciò che tormentava la piccola Hope mi avrebbe riguardato da vicino.
Arrivammo nel parcheggio del super market presto, c’erano ancora poche macchine; una 4X4 nera attirò l’attenzione della bambina che si strinse di più a me, vidi la macchina ma non il guidatore perché i vetri della vettura erano oscurati, ma Hope era davvero spaventata anche se non me lo voleva far notare.
Accelerai il passo, entrando nell’edificio; le luci al neon erano accese ed irradiavano tutto con un’innaturale luce bianca e fredda.
“Allora, che ne dici se prima di fare la spesa vera e propria non andiamo a dare un’occhiata a gli addobbi natalizi?” le chiesi per distrarla e offrendole di fare qualcosa che le avrebbe fatto dimenticare cosa la preoccupava.
“Sì … ma l’albero?” mi chiese.
“Hem …”
Ok, non ci avevo pensato, e allora!?
“Lo prendiamo sulla via del ritorno.” iniziai a dire anche se non avevo la minima idea di dove andare a prenderlo. “Ti immagini se avessimo dovuto trasportarlo fino a qui e poi di nuovo a casa!?”
Hope annuì e iniziò a tirarmi verso gli addobbi. Li scegliemmo blu e argentei, palline e nastri da mettere sull’albero ed infine anche una corona da appendere alla porta.
Riuscii nel mio intento di distrarla.
Finito questo genere di spesa, passammo a quella per la casa e per la pancia della bambina che aveva iniziato a brontolare neanche un’ora dopo che eravamo entrate nel market.
“Cosa vuoi mangiare stasera?” passando in rassegna delle pizze surgelate.
“Avrei voglia di patatine fritte!”
“Ok, ma non possiamo magiare solo patatine fritte, dopo mezz’ora avremo fame di nuovo!”
“Allora comprane il doppio, così le mangiamo anche mezz’ora dopo!”
“Hope, tu hai una visione distorta del concetto di sfamarsi …” osservai, anche se la sua filosofia sulle patatine non mi dispiaceva. “Se prendessimo del petto di pollo? Si accompagna bene con le patatine …”
Non ricevetti risposta. Mi voltai ma la bambina non c’era più.
“Hope?”
Nulla.
“Hope!?”
Il ronzio del neon sopra di me fu l’unica risposta che ricevetti. Mi guardai intorno: non c’era nessuno. Cavolo! Ma di domenica i market non dovrebbero essere presi d’assalto!?
Iniziai a cercare Hope tra gli scaffali.
Quando entrai nella corsia dei surgelati, mi venne incontro la donna bionda coperta di sangue, si avvicinava a passi sicuri e lenti.
“Lui è vicino … se la riprende, te la faremo pagare cara …”
Mi immobilizzai, sentii scendere il gelo poi un dolore acutissimo all’addome. Guardai in basso: un pezzo di lamiera mi trapassava da parte a parte all’altezza dello stomaco. Provai a parlare, ma mi accorsi molto presto che non potevo, un fiotto di sangue mi inondò la gola e vomitai sul pavimento.
Caddi in ginocchio, portandomi le mani al ventre: la lamiera non c’era più ma la ferita sì. Provai a parlare ancora, ma dopo uno strano suono gorgogliante, mi uscì dalla bocca altro sangue.
Alzai lo sguardo, adesso c’era anche l’uomo che mi guardava con disprezzo e rabbia.
Poi scomparvero e restai sola.
Scivolai sul pavimento.
“Questo è solo un assaggio …”
“Di quello che potremo farti passare …” dissero.
Respiravo a fatica, tentavo di tamponarmi la ferita con le mani, sapendo che era tutto inutile. Dovevo rialzarmi e cercare Hope.
Inspirai profondamente e allontanai da me il dolore, chiusi gli occhi: l’oscurità mi avvolse, la vista mi tradiva, potevo fidarmi solo delle mie sensazioni nel buio.
Mi alzai di scatto e riaprii gli occhi: ero nella corsia dei surgelati e non avevo nessuna ferita, a terra non c’era sangue.
Continuai la ricerca di Hope, fortunatamente la trovai presto.
“Hope …” la mia voce era roca, non ero riuscita ad allontanare tutto.
“È qui … lui è qui …” sussurrò spaventata.
Mi guardai intorno ma non c’era nessuno.
“Andiamocene subito.”
Afferrai la sua mano e per poco non mi misi a correre. Arrivammo alle casse, una commessa, che già prima non mi aveva guardato di buon occhio, fu tentata di chiamare la polizia.
Uscite dal market, iniziai ad andare più piano. Eravamo ancora nel parcheggio quando mi voltai, vidi un uomo alto con i capelli scuri che ci fissava, chelafissava, poi il suo sguardo si posò su di me.

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Capitolo 7
*** Celeste ***


“Hope … ma quando è il tuo compleanno?”
“Il 28 di febbraio!” rispose su di giri. “Perché?!”
Risi, la domanda mi era venuta spontanea perché  stavo riscrivendo ciò che John mi aveva detto sul suo primo compleanno in America dopo la migrazione di massa dall’Europa.
“No, davvero! Perché?!” insisté la bambina.
“Perché volevo saperlo … “ dissi vaga.
Hope mi guardò in modo strano.
Erano passati quasi dieci giorni dalla storia del market ed io, ovviamente, non le avevo fatto parola di quello che avevo passato, grazie ai quei due fantasmi simpaticissimi.
Lei, invece, non voleva far altro che dimenticare: non ne aveva più parlato ed evitava accuratamente di chiedermi dove andavo quando uscivo per fare la spesa.
Ero preoccupata, non tanto per i fantasmi, quanto per le persone: quelle che mi avevano visto con lei, e per le domande che avrebbero potuto farmi.
Cosa avrei risposto?
Hem, sì … l’ho trovata nella torre della scuola, che tra parentesi è infestata, non sembrava carino lasciarla lì tra i fantasmi … giusto dimenticavo: io li vedo!
No, non era il caso.
Inoltre mi aveva spaventato il modo in cui ci aveva guardate quell’uomo … ormai avevo capito, non poteva essere altro che lui: il tutore di Hope. E adesso sapeva che era con me, fortunatamente non sapeva dove abitavo, però avevo comunque deciso che non sarebbe più uscita di casa, non volevo rischiare. Se le fosse successo qualcosa, sarei passata dalla parte del torto: ero io ad aver rapito Hope, lei era legalmente legate al suo tutore.
Accidenti!
Non sapevo cosa fare, mi stavo arrabbiando, ma non volevo che la bambina se ne accorgesse, proposi di andare a letto, lei accettò.
Il giorno dopo era un mercoledì e avevo un incontro con il comitato dell’annuario scolastico. Ci andai mal volentieri, pregando perché fosse una cosa veloce ed indolore.
“Adesso che la signorina Williams ci ha fatto il grandissimo onore di essere arrivata tra noi, iniziamo.” disse Brook Jhonson, calcando ironicamente la parola grandissimo.
Le sorrisi raggiante e innocente, poi presi posto.
“Qualche idea per la copertina del nuovo annuario?” chiese la ragazza.
Si alzano due o tre mani mentre tentavo di sprofondare nella sedia, iniziando a pensare ad un modo per risolvere la storia di Hope.
“Williams?”
La guardai più o meno come si guarda una cimice puzzolente che ci si è posata sulla mano. “Sì?” chiesi.
“Tu hai qualche idea?” continuò Brook.
“Riguardo a cosa” non tentavo neanche di dare l’impressione di aver ascoltato o di voler essere lì.
“Di che colore preferiresti che sia il cuoio della copertina?”
Roteai gli occhi e guardai fuori: il cielo era di una particolare tonalità di azzurro.
“Celeste.” dissi.
“Celeste?” ripeté spiazzata.
“Sì, celeste. Non si è mai visto, no? È particolare.”
Molti annuirono, erano dalla mia parte.
Mi venne da ridere: passavo l’anno cercando modi di dare fastidio a Jhonson e mi erano bastati dieci minuti in questo comitato per darle ai nervi! Iniziava a piacermi stare là …
Sprofondai per altri dieci minuti, mi riscossi solo alla fine dove decisero unanimemente che i materiali sarebbero stati portati a casa mia, perché ero il genio che aveva scelto il colore.
Mi chiedevo dove avrei nascosto Hope …

Scusate la brevità ma la scuola incombe ........... comunque devo ringraziare la mia compagna di banco per la frase sulla cimice, è dedicata a lei!!
E ora commentate!! Ho bisogno di critiche!!

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Capitolo 8
*** Pomeriggio d'inventario ***


“Hei, perché non piazziamo il materiale nella torre?”
Ok, non l’ho detto … ma avrei voluto. Il risultato sarebbe stato lo sconcerto generale, per gli altri intendo, io sarei finita nuovamente dalla psicologa della scuola.
Tenere il materiale in casa forse non era un problema però sapevo come giravano bene le voci nella scuola e l’ultima cosa di cui avevo bisogno era della pubblicità: cosa sarebbe successo se … non volevo pensarci.
Avrei fatto meglio a trovare una scusa.
Entrai in casa dopo essere stata a fare la spesa, non tornavo più nel market dove avevamo visto il tutore di Hope, troppo pericoloso e troppo difficile … così andavo in un piccolo alimentari nel centro: avevo imparato a cucinare cose più fresche, Hope era molto felice quando le preparavo le torte salate e il ero meravigliata che un bambina mangiasse così tanta verdura. Quella sera avevo intenzione di prepararle la pasta con le zucchine e, visto che, Hope stava con me mentre cucinavo ne approfittai per parlarle.
Ormai so di essere goffa e imbranata, soprattutto con i bambini, così andai al sodo.
“Hope, sai che faccio parte del comitato per l’annuario studentesco, così Jhonson ha … consigliato … di lasciare qua il materiali e …”
La bambina rise. “Non ti sta simpatica vero?”
“Affatto, comunque c’è un piccolo problema. Ecco … io non … io non voglio che ti vedano in casa …”
Mi guardò come se le avessi sparato.
Mi avvicinai, sapevo che per lei era difficile: dannazione! Era scappata anche di casa!
“Tranquilla, non è per te. È per loro, davvero! Sono un branco di idioti!” iniziai a dire per tranquillizzarla. “Non sanno della storia dei fantasmi e già mi trovano strana, immagina se ti trovassero qui! E poi non voglio, non voglio che tutti lo sappiano …”
Stava per mettersi a piangere, la cosa che odiavo di più.
“Hope, guardami! Non voglio che altre persone sappiano che sei qui perché così lui non potrà saperlo!”
Non avevo intenzione di dirlo, era il mio chiodo fisso ovviamente: non volevo che lei ci pensasse però … dannazione!
Hope mi gettò le braccia al collo. “Lo so ma non voglio restare da sola.”
“Non lo sarai! John starà con te! E comunque dovrai solo stare in camera dei miei al pc a giocare. Ho scritto altro, quel fantasma chiacchierone mi ha raccontato tutto il viaggio attraverso l’America, dieci stati in dieci giorni, non so neanche se è possibile!!” dissi tentando di farla ridere.
Sorrise lievemente. “Va bene ma … ma John dovrà raccontarmi una bellissima storia!”
“Ovvio! Anzi potrai scrivere le sue memorie! Che ne dici?”
“Sììììììììììììììììì!!!”
Bambini: facili da convincere.
Il giorno dopo ero pronta per l’invasione di casa mia, pregavo che i materiali fossero in ritardo o, meglio, che avesse preso tutto fuoco, anche la pettinatura improbabile di Jhonson.
Ma così non fu … s-fo-r-tu-na-ta-me-n-te …
“Cara Williams!!”
“Ecco già così inizi male …”
“Cosa?”
“Niente.”
“Dove si trova casa tua?”
“Nella cara Evergreen Terrace”
“Prendi in giro?”
“Noooo …”
Brook mi guardò come si guarda un ufo poi passò all’amministrazione del trasferimento: ognuno portava qualcosa, mi capitò una leggerissima scatola … ceeertooooo …
Arrivati davanti a casa aprii la porta facendo più rumore possibile e, quando entrai, fischiai, era il segnale che io e Hope avevamo concordato per far sì che andasse in camera dei miei genitori con John.
Feci accomodare tutti in salotto. Sistemammo la roba lì ed iniziammo a inventariare tutti i materiali, c’erano pezzi di cuoio celeste ovunque.
Jhonson stava dirigendo i lavori da bravo campo del comitato studentesco per l’annuario, il problema era che non faceva altro. “White fa questo, Larson fa quello, Williams fa quest’altro!”
Io ridevo e sgobbavo con gli altri, alla faccia di chi mi considerava un’outsider apatica e psicotica!!
C’era una ragazza che lavorava con me all’elenco dei ragazzi che dovevano finire nell’annuario: si chiamava Julie. Era una biondina con i capelli a caschetto e gli occhi nocciola, era frizzante con la battuta pronta e sempre con il sorriso sulle labbra … il mio opposto insomma …
Mi divertivo con lei ad elencare tutti quei nomi, hai più strani e incomprensibili che leggevo, Julie ci aggiungeva una battuta.
Dopo quasi due ore di lavoro, qualcuno propose una pausa che Jhonson accettò e la fece passare anche come un’idea sua.
Offrii biscotti a tutti, era l’unica cosa che c’era in casa, erano di Hope ma glieli avrei ricomprati poi.
Brook aveva iniziato a guardarmi in modo strano, così ricambiai con uno dei miei sguardi più raggelanti.
“Cos’hai Williams? Sembra che tu abbia visto un fantasma.” mi brontolò.
 …
 …
 …
Iniziai a ridere come una scema.
Tutti mi guardarono malissimo a parte Julie che rise con me: iniziavo ad adorarla quella ragazza!
“Dov’è il bagno?” mi chiese Brook, dopo aver finito la sua contemplazione terrorizzata.
“In fondo al corridoio a destra.” risposi.
In fondo al corridoio di casa mia tre porte: a destra il bagno, al centro camera mia e a sinistra … bhè fate due più due.
Jhonson si diresse in fondo al corridoio e spinta da una qualche malsana libidine di stupidità andò a sinistra.
“Willimas!” sentii urlare.
Corsi subito da lei, da Hope.
La trovai seduta davanti al computer impietrita, con gli occhi che sembravano volermi dire: non è colpa mia.
Lancia a Brook uno sguardo di pura ira. Lei indietreggiò terrorizzata.
“Chi … chi è?” chiese.
Gli altri ragazzi arrivarono attirati dalla domanda e guardarono nella stanza dove era Hope. Mi misi tra loro e lei con fare protettivo, ma nel frattempo cercavo di trovare una coperture, una scusa plausibile per la sua presenza in casa mia e per il fatto che l’avessi tenuta nascosta. Non mi venne in mente niente di geniale così sparai una sciocchezza: “È mia cugina.”
Troppo in fretta, troppo velocemente, suonava troppo come una scusa trovata sul momento.
“Certo …”  disse Brook senza credermi. “È ora di andare, ragazzi.”
Uscì dalla stanza, molti la imitarono, Julie per ultima.
Andai da Hope e l’abbracciai. “Sta qui e stai tranquilla, non è colpa tua assolutamente. Capito?”
Ricambiò l’abbraccio e mi sussurrò all’orecchio: “Sì.”
Alzai lo sguardo, c’era anche John benché non l’avessi notato.
Uscii dalla stanza per vedere cosa stessero facendo agli altri: pulivano e rimettevano a posto. Volevano andarsene velocemente.
In breve, infatti, furono tutti fuori dalla porta di casa.
Solo Julie era rimasta indietro, si fermò sulla soglia e mi guardò intensamente.
Io abbassai lo sguardo, senza sapere perché …
Poi uscì anche lei.

Sono tornata!!! ^^
Scusate l'assenza!! Mi farò perdonare.

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Capitolo 9
*** Mormorii e sussurri ***


Varcai la foglia della scuola con il cappuccio tirato sugli occhi e le cuffie nelle orecchie, non c’era nessun fantasma che mi seguiva, anche perché avevo chiesto a John di stare a casa con Hope, ma non volevo che qualcuno mi rivolgesse la parola.
Però potevo sentirli … mormoravano e sussurravano quando mi vedevano, non c’era uno studente che non parlasse della bambina nascosta in casa Williams.
Svoltai nel corridoio del mio armadietto, mi ci fermai davanti per infilarci dentro i libri che non mi sarebbero serviti durante le prime ore. Lo chiusi sbattendo forte l’anta di lamiera.
Sospirai poi mi voltai per andare nell’aula di biologia. A pochi metri da me c’era Julie intenta ad armeggiare con il suo armadietto, mormorò qualcosa di poco carino, per il fatto che non si aprisse. Alzò lo sguardo.
Mi vide e mi scrutò con i suoi occhi color nocciola.
Abbassai lo sguardo e iniziai a camminare accelerando sempre di più il passo finché non la superai senza una parola … continuai a camminare.
Non presi appunti, anzi: non tentai neanche di ascoltare le lezioni. Le ore passarono noiose e sterili, quelle pomeridiane, dopo il pranzo, erano di educazione fisica quindi potei prendermi un po’ di tempo per me a mensa.
Ricontrollai gli ultimi appunti che mi aveva dettato John per vedere se riuscivo a tiraci fuori un discorso di senso compiuto; forse lo trovai anche ma quando stavo iniziando a capire come impostare il capitolo in cui incontrava sua moglie, mi accorsi che mi ero attardata anche troppo e che dovevo andare negli spogliatoi, ovviamente non mi affrettai di certo.
Arrivai con tutta calma ed entrai, le ragazze della classe erano già arrivate tutte, e indovinate di cosa stavano parlando?
Mi fermai prima di essere in vista, dietro una fila di armadietti per i cambi, ero stata attirata da cosa aveva detto una ragazza.
“Brook mi ha detto che c’è una bambina in casa sua.”
“Potrebbe anche essere, che so, sua sorella o sua cugina no?”
“Lei non è neanche minorenne! Figurati se le lascerebbero una bambina! È già tanto che stia in casa da sola.”
“Non può essere sua sorella. Io c’ero, l’ho vista con i miei occhi! È troppo piccola e ha bisogno dei genitori. Quelli di lei non sono mai in città.”
“Ah! Per lei quella bambina è qualcosa di più!”
“Altrimenti non avrebbe reagito in quel modo.”
“Ma cosa sappiamo di lei?”
“Che è strana, che è pazza!”
“ È qui da una paio di anni ormai e ancora non è riuscita ad inserirsi.”
“Nascondeva quella bambina, ecco perché!”
“Non poteva farmi scoprire, giusto?”
“Ma i suoi genitori lo sapranno?”
“Perché la nasconde?”
“Che motivo ha di farlo?”
“Chi è quella bambina?”
“Che sia sua figlia?”
La terra sotto i miei piedi cedette e l’aria uscì dai miei polmoni.
Non potevo più stare lì.
Non volevo più ascoltare.
Cosa potevano saperne loro? Di me? Della mia vita? Di quello che dovevo affrontare tutti i giorni e tutte le notti? Non sapevano cosa vedevo, non potevano neanche immaginarlo. Sarebbe stato un incubo per loro. Come potevano giudicarmi?
Una rabbia cieca iniziò a nascere nel mio petto. Volevo andarmene, volevo che sparissero tutti ... ma ...

Sapevo solo che non era colpa di Hope. Hope.
Improvvisamente sentii il bisogno di tornare a casa da lei e controllare che stesse bene.
Sbattei forte i piedi a terra e attraversai le file di armadietti grigi, le ragazze si fecero da parte e mi lasciarono passare. Uscendo sentii una di loro dire: “Ci avrà sentito?”
Andai dal professore di ginnastica e gli chiesi di poter uscire prima, mostrandogli un foglio che i miei avevano firmato mettendosi d’accordo con la scuola, in modo tale che, se mi fossi sentita male, sarei potuta tornare a casa quando volevo anche senza che uno di loro due mi venisse a prendere. Al prof sembrò andare bene, anche perché non mi fece domande di alcun tipo.
Andandomene passai davanti alla vetrina dei trofei vinti dagli studenti della scuola: capii perché il professore non aveva fatto domande. Sembravo un fantasma e io me ne intendo.
Nel corridoio prima dell’uscita vidi ancora Julie. Cosa ci faceva fuori dalla sua aula durante le lezioni?
Mi vide anche lei, fece un passo avanti, per venirmi incontro.
Io non mi fermai, pensavo solo che volevo andarmene di lì e continuavo a ripetere melo. Accelerai il passo.
La superai.
Si voltò. “Kim!”
Esitai.
Poi varcai nuovamente la soglia della scuola.
In strada quasi correvo. Arrivai a casa in fretta.
Ma mi fermai sul vialetto d’ingrasso …
La porta … era leggermente aperta …
Corsi in casa.


Ok non sono morta!!!
Mi scuso per l'assenza e vi dico che cercherò di farmi perdonare!!
Avverto che d'ora in avanti pubblicherò TGFMH tutti i venerdì!! Senza eccezioni, a parte imprevisti e vacanze, ma per quest'ultime dovrei riuscire ad avvertirvi prima!!
Ed ora commentate commentate!!!
Grazie ^^

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Capitolo 10
*** Il vero rapimento ... ***


Niente.
Vuoto.
Provavo il nulla.
Ero seduta al tavolo della cucina.
Non potevo chiamare la polizia, non era una parente.
Non poteva chiedere aiuto a nessuno, nessuno sapeva che lei fosse in casa sua.
Nessuno avrebbe dovuto saperlo.
Mi presi la testa tra le mani, chiusi gli occhi più forte che potevo.
Non mi potevo permettere debolezze.
Dovevo solo ritrovarla.
John sapeva cosa era accaduto; l’avevo zittito urlandogli contro, ma lui era sempre lì evanescente in attesa.
Senza alzare lo sguardo dissi: “Raccontami cos’è successo.”
Mi spiegò tutto: un uomo era arrivato e aveva sfondato la porta, aveva preso Hope con la forza mentre lei cercava di sfuggirgli, John non avrebbe potuto fare nulla anche se ci avesse provato. Disse che lei lo guardava fisso ma non gli aveva chiesto nulla, sapeva che parlare con il nulla avrebbe peggiorato la situazione. Era stata portata via da un grosso SUV nero.
Lo aveva già visto, quel giorno al market … era passato abbastanza tempo, non credeva che potessero trovarla.
“John, trovala. Non so come voi fantasmi possiate andare in giro e trovarmi ovunque mi nasconda e non mi interessa, ma tu adesso fai lo stesso con lei, la trovi e mi porti da lei!” avevo iniziato a parlare con calma ma avevo finito con l’urlare.
Sollevai il viso dalle mani e lo guardai, credetti di non poter reggere ancora per molto le lacrime. Poi lui scomparve nel nulla, sarebbe tornato da un momento all’altro, dovevo farmi trovare pronta. Anche se non avevo la minima idea di come fare a farlo.
Presi il mio zaino e ci infilai il suo giubbotto enorme e la sciarpa gialla. Poi aprii l’armadio e mi misi la mia giacca di pelle fortunata, me l’ero comprata in un negozio vintage, ero stata un fortuna anche solo trovarla, l’anziana proprietaria disse che era appartenuto ad una motociclista. Mi era tanto piaciuta l’idea che pensavo potessi diventarlo anche io indossandola e scappare dal mio … dono … ovviamente tutto questo era successo prima di incontrare la cugina M.
“Se non sarai capace di salvarla, nessuno salverà te.” una voce maschile parlò dietro di me.
Seppi subito chi aveva pronunciato quelle parole, era da molto che non si ripresentavano da me. Erano bravi non si facevano mai vedere dalla figlia. Però sapevano come proteggerla, peccato che non dovessero minacciare me di morte.
“Io faccio tutto ciò che posso.”
“Non è abbastanza.” disse rabbiosa la donna.
“Perché allora lei non è qui?”
“Devi chiedere aiuto a noi fantasmi per trovarla?”
“Non eri intenzionata a proteggerla a costo della tua vita?”
Questa cosa non l’avevo mai detta a nessuno, forse non l’avevo mai neanche concretizzata nella mia mente … ma era questo che pensavo quando vedevo Hope.
“È quello che sto cercando di fare!” esplosi. “Se solo riuscissi a capire la situazione, se solo potessi intervenire in qualche modo! Ma non posso!! Posso solo nasconderla! Ma sembra che anche questo non sia bastato, vero?”
I due mi guardavano sentivo i loro occhi su di me, mi giudicavano. Scivolai a terra, sentivo la forza abbandonarmi, perdevo determinazione.
Le lacrime iniziarono a correre lungo le mie guance senza che me ne rendessi conto.
“L’ho trovata.” disse il John dietro di me.
Mi alzai in piedi, i genitori di Hope dovevano essersene andati. Mi asciugai il volto. “Andiamo.” non potevo permettermi di essere debole.
Il fantasma mi condusse davanti ad una casa di periferia dall’altra parte del paese. Era il doppio della mia ma era curata la metà, ma sembrava comunque che chi la abitasse cercasse di mantenere un livello accettabile di vivibilità.
“Lei è dentro, al secondo piano.”
“Apri, tutte le serrature. Poi va da lei, quando mi senti entrare fatti vedere.”
John scomparve.
Era la prima volta che mi dava retta senza fare domande o ribattere in qualche modo, dovevo esser davvero seria.
Misi in atto il mio piano.
Mi tirai su il cappuccio nero, ora mi si poteva vedere solo se si accendeva le luci esterne. All’interno sembrava fossero tutte spente, in fondo era notte e dovevano dormire tutti. Sperai che ‘tutti’ fossero in pochi.
Mi avvicinai al SUV, mi chinai ed estrassi il coltello a serramanico che mi ero portata dietro. Bucai le gomme cercando di fare meno rumore possibile.
Posai lo zaino lì a terra poi mi mossi in fretta.
Entrai, John era davvero riuscito ad aprire la porta, sapevo che potevano fare anche questo, ma non credevo che volesse farlo. Forse facevo paura.
Entrai con passo felpato. Dentro sembrava tutto normale, allora perché mi sembrava di entrare in una tana di lupi?
Dovevo uscire in fretta da là e fare in modo che nessuno si accorgesse della mia passeggiatina là dentro.
Trovai le scale subito erano al centro della casa prima del salotto a quanto sembrava: c’era la televisione accesa ma senza il volume, intravidi dei piedi spuntare da uno dei braccioli. Era un uomo e doveva dormire.
Mi costrinsi a salire le scale, nonostante la paura e l’ansia che mi attanagliavano le viscere.
Mi guardai intorno.
John mi fece segno di raggiungerlo davanti ad una porta in fondo al corridoio.
Camminai lentamente, attenta a non fare rumore.
John entrò dentro. “Hei, adesso entra, tu fai la brava.” lo sentii sussurrare.
Poggiai entrambe le mani sulla porta, che cigolò un po’ aprendosi.
Mentre la maledicevo per il rumore provocato, Hope mi saltò addosso, gettandomi le braccia intorno al collo. Piangeva.
“Ssssh … non devi far alcun rumore, piccola.” le dissi all’orecchio muovendo impercettibilmente le labbra.
Lei annuì quasi trattenendo il fiato.
“Vieni con me.”
La presi in collo, per fortuna era ancora piccola e minuta ed era facile anche per me portarla in giro.
Chiusi la porta e scesi le scale. Quando fummo davanti al salotto, Hope si strinse ancora di più a me affondando il viso nel giubbotto di pelle morbida. La strinsi anche io.
Uscii all’aria aperta, adesso fuori faceva molto freddo, in fondo era fine dicembre.
Mi fermai vicino al SUV e ripresi lo zaino, Hope tornò in terra mentre io le passavo i giubbotto e la sciarpa. Fu incredibilmente felice di averli con se, la facevano sentire a casa, tranquilla, calma e al sicuro.
Sapevo che erano dei suoi genitori e che avevano questo effetto su di lei … anche se loro non avevano lo stesso effetto su di me.
Richiusi lo zaino. “John chiudi tutte le porte, proprio come prima che arrivassi. Voglio che ci metta un po’ prima di capire cos’è successo stanotte.”
Il fantasma stava per sparire ma lo fermai. “Hem, grazie.” gli dissi soltanto.
Lui sorrise.
Con Hope tornai a casa il più in fretta possibile.
Lei dormì con me quella notte, nel lettone dei miei genitori. Pianse fino a che non si addormentò.
Io ebbi tutti il tempo di capire quello che avevo fatto: l’uomo a cui avevo portato via Hope era il suo tutore legale; io, e solo io, avevo messo in atto il vero rapimento.

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Capitolo 11
*** Di nuovo nella torre ***


Il giorno dopo non andai a scuola e rimasi a letto a lungo. In fondo Hope non si svegliava e lei non voleva disturbarla, le faceva bene dormire e stare lontana dalla realtà. Le scostai una ciocca di riccioli biondi dal viso e la osservai: sembrava talmente pacificata col mondo, era incredibile quanto potesse essere serena. Nel sonno, sorrise; sorrisi anche io e desiderai che potesse davvero essere felice per sempre.
“Brava.”
“Ci sei riuscita.”
“Ma quanto durerà ancora?”
“Lui non si arrenderà.”
“Mai.”
“Finché non sarà sua.”
Alzai gli occhi e li guardai con aria divertita. “Non ha che da venire a prendersela.”
I due fantasmi, che erano lì solo per la mia Hope, svanirono.
Sapevo che gli avrei rivisti, non era finita.
“Hmmmm … perché non sei a scuola?” mi chiese la bambina con un gran sbadiglio.
“Troppo faticoso alzarsi dal letto!” le dissi poi le feci il solletico.
Hope rise.
Sembrava tutto ok, come se tutto fosse tornato come era prima dell’arrivo del tutore, a parte che adesso rapivo bambini.
Passai la giornata a pensare a come risolvere la cosa del ‘non-si-arrenderà-mai’, ero distratta anche mentre cucinavo, rischiai di far andare all’altro mondo il sugo di verdure per la pasta.
Non mi venne in mente nulla.
Nel pomeriggio, mentre ancora ci stavo rimuginando sopra, riuscii anche a far scivolare la testa dalle mie mani, battei la fronte contro il tavolo della cugina così forte che mi caddero gli occhiali, che quel giorno mi ero tenuta non essendo andata a scuola.
Hope era seduta davanti a me con un libro di Harry Potter in mano e mi guardava.
Non vedevo la sua espressione perché la mia miopia è alta e non vedo ad un palmo dal naso senza le lenti adatte. Quando riemersi da sotto il tavolo con gli occhiali sul naso capii la sua espressione: pura incredulità.
Sorrisi goffamente.
Allora la sua faccia passò ad interrogativa.
Mi riscossi un attimo e mi schiarii la voce. “A che punto sei?” le chiesi distogliendo l’attenzione dal mio essere …
Hope mi rivolse uno sguardo entusiasta. “Sono nella Camera dei Segreti, Harry ha appena scoperto che dietro a tutto c’era Ginny guidata da Voldemort.”
“Forte!” commentai.
“Mi piace un sacco questa storia!” sorrise la piccola.
“Bene.” sorrisi a mia volta. “Hei, finiscilo in fretta! Così giochiamo a chi trova più differenze tra libro e pellicola!”
Hope si rimise a leggere tutta concentrata.
Io mi rimisi a pensare per tutta la serata e alla fine trovai una soluzione … quando Harry e Ron capisco che si tratta di un Basilisco, io capisco che se non posso lasciare Hope da sola a casa, per evitare che lui torni a prendersela, allora non dovevo fare altro che portarla con me …
Questo mi fece ripiombare nello sconforto che avevo provato il giorno prima, quando sentivo tutte quelle cose su di me, sulla mia famiglia, sul mio passato …
Mi tornò la rabbia … ma mi controllai bene, Hope non si accorse di nulla … per fortuna …
Dovevo trovare un posto dove nasconderla mentre io non c’ero e non potevo stare con lei.
Mi ci volle tutta la lotto Harry vs Basilisco prima che l’idea più geniale del mondo mi arrivò dal nulla.
L’avrei lasciata nella torre, dove l’avevo trovata, dove ci eravamo incontrate la prima volta. Ci sarebbe stata la Contessa con lei, mi fidavo della Contessa.
Ero sicura, certa e tranquilla su quella mia mossa. Potevo fregarlo! Sì!
Lo spiegai ad Hope durante i titoli di coda, lei mi ascoltò senza fiatare. Alla fine fu d’accordo con me.
“Mi piace la Contessa.” mi disse.
Il mattino dopo ci svegliammo presto per arrivare alla torre non viste. Aspettai lì l’inizio delle lezioni.
Era da quando l’avevo trovata che non tornavo lassù. Mi tornò alla mente la mia vita prima di trovarla: il massimo a cui potevano aspirare le mie giornate era schivare la professoressa Philips, la psicologa della scuola, e trovare modi per dare fastidio a Brook Jhonson … le cose erano cambiate, non mi interessavo più di loro … adesso ero preoccupata per Hope, solo questo … ma c’era anche quell’altra che continuava a fissarmi mentre passavo per i corridoi, sicura di non essere vista … cazzo ... mi odiavo …
La campanella suonò.
“Hope io vado.”
Hope annuì con la testa e mi salutò.
“All’ora di pranzo tornerò qui, l’ho preparato a casa per entrambe. Tu non … non uscire. Contessa …”
La signora fantasma si voltò.
“Abbi cura di lei. Per qualsiasi cosa sai dove trovarmi.”
Annuì convinta.
Mi diede un po’ di quella sicurezza che avevo perso poco prima.
Vedendomi uscire di nuovo dalla torre, la gente riprese a mormorare … che fastidio.
Mi tirai su il cappuccio, in pratica tutte le mie felpe ce lo avevano, tirandolo fuori da sotto il giubbotto di pelle.
Mentre facevo questa complicata mossa per oscurami il volto, andai a sbattere contro … indovinate chi … già …
“Prof Philips! Da quanto tempo!” disse con un fintissimo sorriso sulle labbra.
La professoressa mi guardò un attimo senza riconoscermi. “Ah! Signorina Williams, io e lei dovremmo parlare.” iniziò.
Sperai con tutta me stessa che non avesse sentito le voci che adesso giravano sul mio conto.
“Ho sentito delle stranissime voci di corridoio … che la ritraevano in modo … bhè! A dir poco singolare.”
“Oh, non credo che oggi possa trattenermi tanto dopo al scuola, ho degli impegni  molto …”
“Kimberly, non ti sei presentata alle ultime riunioni del comitato. Dopo le lezioni pomeridiane nel mio ufficio.”
Era un ordine.
Dannata vecchietta sessualmente insoddisfatta che riversa il suo odio per il mondo su di me!
Risi da sola.
“Di cosa ride adesso?!”
Di lei. “Niente, prof! A dopo.” e la lasciai lì.
Filò tutto liscio come l’olio, durante la pausa pranzo avvertii Hope e Contessa del mio ritardo nel pomeriggio. Dissero che avrebbero aspettato tranquille là.
Bene.
Ora per me non molto.
Entrai nell’ufficio della maledettissima vecchietta sessualmente .. hem hem!! Della prof Philips.
In un angolo si ergeva un piccolo albero di natale un po’ spoglio, in giro si vedevano festoni e disegni natalizi, la donna aveva tentato di addobbare il posto come poteva. Pensai volesse solo rendere più accogliente la sua stanza, per far sentire gli studenti come a casa, come un volta mi aveva detto lei, ma con me aveva solo l’effetto di ricordarmi il pomeriggio passato con Hope al supermarket.
Rabbrividii.
“Prego accomodati.” disse la Philips.
Mi sedetti su una delle due poltroncine davanti alla scrivania dietro la quale si sistemò lei.
“Allora di cosa voleva parlarmi?” chiesi cercando di ostentare tutta la mia sicurezza e far sembrare che nulla mi turbasse.
Philips mi squadrò per bene. “Facciamo una cosa alla volta. Perché non ti sei presentata all’ultima riunione del comitato per l’annuario?”
C’era stata un’altra riunione? “Hem … non ricordo di preciso il giorno … ma  … no! Ecco! Sono rimasta a casa a studiare, il giorno dopo avevo un compito dove dovevo prendere una sufficienza piena per forza.”
“Bene, questo ci porta al secondo punto: i tuoi voti sono perfetti … almeno lo erano. Nell’ultimo mese sono calati un po’.”
“Sì, ecco sono stata un po’ distratta, con la testa fra le nuvole. Ma … sarà … l’aria natalizia.”
La prof mi guardò malissimo. “Bene.” commentò poco convinta.
La odiai.
“Allora quest’aria natalizia porta un po’ di stupidità a tutti …”
Inclinai leggermente la testa di lato, come un animale. Infatti mi sentivo come in gabbia, rinchiusa in quella stanza. Avrei voluto essere un coiote per staccarmi un arto a morsi pur di scappare. “Cosa intende dire?”
“Girano delle strane voci su di te Kim.”
“Prof non vorrei deluderla ma sono sempre girate e …” tentai di sminuire la cosa.
“Sì, certo ma quelle di prima erano totalmente assurde. Adesso, se non sbaglio, hanno un fondo di verità.”
Deglutii. “Che verità?”
“Non hai forse una bambina in casa?”
Mi irrigidii sul posto e la rabbia ebbe il sopravvento. Cambiai espressione assunsi quella stessa aria di strafottenza e divertimento che avevo avuto il giorno prima con i genitori di Hope. “Anche fosse?”
La prof Philips mi guardò a lungo in modo strano. “Ti prego dimmi che non è tua figlia …”
Dunque era quella la voce che girava di più: le persone si divertivano davvero male. Fui tentata di dirle di si per mettere fine e tutta quella storia e per vederla impazzire, svenire o morire. “No, non lo è.”
Tirò un grande sospiro di sllievo.
Ma quanta stupidità …
“Questo è un bel passo avanti.”
La guardai di merda.
“Allora chi è?”
Già, chi è? “È mia cugina.”
“Telegrafica … perché la nascondevi in casa quel giorno?”
“Prof ma lei passa la sua vita ad ascoltare delle stupide voci di corridoio?”
Era più un’affermazione che una domanda. Forse ero stata un po’ troppo aggressiva, ma chi se ne frega.
“Non la nascondevo. I suoi genitori mi avevano chiesto di farle da babysitter  per il pomeriggio, loro dovevano andare in città. Le avevo detto che ci sarebbero state delle persone quel giorno, che poteva stare con noi ma che non doveva disturbare, almeno non troppo. Lei mi ha detto che non c’erano problemi e che sarebbe stata in camera mia al pc per non dare fastidio. Non la nascondevo.”
Non mi credette neanche un po’. “E ora lei dov’è?”
“Con mia zia e mio zio, la sera dopo cena sono tornati a prenderla.”
“Perché hai fatto uscire tutti di casa subito, senza dare spiegazioni?”
Ma come faceva a sapere tutte quelle cose? … una sola semplice risposta: aveva parlato con Brook.
La guardai dritta negli occhi. “Non lo so, è stata la Johnson a scappare da casa mia, trascinandosi dietro tutti gli altri.”
La professoressa rimase un po’ interdetta, Brook doveva essere un po’ la sua pupilla. Ce scocciatura ancora maggiore.
Ora volevo solo andarmene. “Posso andare adesso?”
“Sì, ma ricordati che la prossima settimana si riunisce il comitato, sei pregata di venire.”
Annuii ed uscii dalla stanza.


Scusate scusate scusate!!
Ho avuto da fare! Scusate!

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Capitolo 12
*** Kimberly Williams ***


Era il giorno del consiglio per l’annuario e io non avevo voglia di andarci, avrei lasciato Hope da sola a lungo nella torre, e non volevo, sarei stata bersaglio di sguardi indagatori e risatine d’oca, e non volevo, ci sarebbe anche stata Julie e le dovevo dare delle spiegazioni per il mio comportamento, e anche se volevo, non potevo.
Quella mattina avevo rifornito Hope di caramelle gommose e le avevo dato la mia psp con Crash, almeno avrebbe passato le ore più in fretta dato che era una droga giocare a quel videogioco, poi lei si era portata un altro libro di Harry Potter, era già al quinto. Aveva tutto per mantenersi più sana di mente di me, perciò ero tranquilla, relativamente ma lo ero. L’idea di portarmela dietro tutti i giorni si era rivelata un colpo di genio, infatti John mi aveva detto che il tutore di Hope era tornato ma non aveva trovato nessuno a casa.
Perfetto.
Ora però mi chiedevo perché lui non chiamasse la polizia per denunciare il rapimento … strano …
Non si arrenderà mai … forse era per quello …
Iniziai a pensare cose davvero fuori dal normale, mi tornò alla mente la prima volta che avevo trovato Hope in cima a quella torre: coperta da lividi e con un taglio sullo zigomo. Forse le mie teorie non erano così sballate … ma perché una persona potrebbe spingersi a tanto?
“Williams!?” tuonò arrabbiata Brook.
Alzai lo sguardo, avevo il mento poggiato sulla mano e l’attenzione pari a zero, doveva chiamarmi da un bel po’. “Sì, capo?” era lei in capo del comitato in fondo, no?
Divenne un po’ rossa, ma si ricompose in fretta. “Allora vuoi dirci quante copertine abbiamo sistemato a casa tua, si o no!?”
“Certamente: tutte e in più abbiamo redatto la lista aggiornata dei nuovi studenti, eliminando gli errori di battitura.” sorrisi ripensando agli strani nomi che leggevo con Julie.
La biondina mi lanciò uno sguardo complice con i suoi occhi nocciola.
“Bene, allora non ci resta altro che le attendere le nuovo foto.”
“Sì, il fotografo verrà dopo le vacanze natalizie.”
“Dopo di che …”
… smisi di ascoltare e tornai a pensare al tutore di Hope. La domanda era sempre quella: cosa può spingere qualcuno a picchiare una bambina? Bhè, c’era da dire che stavo parlando di Hope, non c’era modo di provare odio per lei … non per me …
Forse sbagliavo a considerare questa situazione come cattiva: per quanto potevo saperne forse, lei era caduta dalle scale e si era fatta male, il tutore voleva aiutarla ma lei è scappata di casa e adesso lui la cerca ma non vuole mettere nei guai me, che non conosco la realtà dei fatti!
Che filmini mentali …
Impossibile: Hope è terrorizzata, i suoi genitori mi hanno messo più volte in guardia, aveva chiuso a chiave la porta della sua stanza, aveva quasi scardinato la mia.
Sopirai frustrata dall’inconclusività dei miei ragionamenti. Feci vagare per un po’ il mio sguardo assonnato qua e là: c’erano festoni di natale dentro e fuori le aule, gli alberi che vedevo fuori dalla finestra avevano mille lucine che si erano accese da poco. La luce del sole iniziava a venire meno … forse lui non vuoleva che si faccessero indagini sul suo conto, per questo non ha chiamato la polizia … ma perché?
Un fruscio alla mia destra. Mi voltai: la madre di Hope mi stava guardando … mimò una sola parola con le labbra …
‘Freni’
Scomparve nel nulla.
“Kim, aiuto …”
Fu flebile.
Il sussurro di un fantasma …
Mi alzai di scatto terrorizzata, sentii addirittura il gelo nelle vene, dovevo avere un colore tendente al blu.
Tutti mi fissarono.
“Williams, si ok sei strana, lo abbiamo capito. Poi risederti ora.” fece Jhonson dapprima sorpresa poi scocciata.
“No.”
Mi guardò arrabbiata.
“Non posso. Io … io devo andare … devo …” presi le mie cose e uscii dalla stanza lasciandomi alle spalle i loro mormorii.
Percorsi il corridoio in fretta mentre mi infilavo il giubbotto di pelle.
Alle mie spalle sentii la porta aprirsi e richiudersi veloce.
“Kim!”
Mi immobilizzai: Julie. Sentii un groppo in cola … lei avrebbe potuto … strinsi i pugni.
“Kim.”
Non le risposi, non mi voltai.
“Cosa sta succedendo? Perché sembra che abbia paura?”
Stavo perdendo tempo. “No-non sta succedendo niente … non …” deglutii. “Non ho paura.” Tremavo.
“No, non hai paura: sei terrorizzata.”
Mi girai per vederla in faccia: era calma, ferma, avrebbe potuto sostenere una cosa simile, avrebbe potuto sostenere qualcosa come me.
“Dimmi cosa sta succedendo.”
Distolsi lo sguardo. “Non posso.”
“Perché?”
“Non … non capiresti. Nessuno di voi può!” sbottai iniziando a piangere lentamente, ancora riuscivo a trattenermi un po’.
“Voi?! Io non sono come loro!” fece un passo verso di me. “Non ho mai creduto a tutte le voci che girano su di te! Sono assurde! Anche se comportandoti così non fai che avvalorarle! Però adesso so come sei!” fece una pausa, si diresse decisa verso di me e mi prese per le spalle. “Tu sei spaventata, indifesa e sola!”
Piansi come una bambina nel sentirmi dire la verità in quel modo: lo sapevo, sapevo tutto ovviamente, ma non potevo immaginare che qualcun altro potesse notarlo, non volevo, ero stata brava fino a quel momento.
Julie mi abbracciò forte. “Perché fai così?”
“Io devo proteggere qualcuno! Non posso mostrarmi debole! Né tanto meno indifesa!” piansi.
“Chi devi proteggere Kim?”
La guardai tra le lacrime e scossi la testa.
“Per favore! Sto cercando di aiutarti!!”
“Kim, dove sei? Lui … lui è qui …”
Un altro sussurro.
“No …” dissi disperata. “No, no, no, no!” mi voltai verso l’uscita asciugandomi le lacrime.
“Kim!”
“Scusami, mi dispiace davvero Julie ma è pericoloso …”
Sul suo volto vidi delinearsi la delusione.
“Mi dispiace …” estrassi una penna dalla tracolla e strappai un foglio da uno dei miei quaderni. “Se … se non dovessi chiamarti entro domani mattina, tu chiama questo numero.” le spiegai mentre scrivevo. “Ti diranno tutto loro, ascoltali attentamente ma e credi a ciò che ti diranno. Adesso devo andare.” Sospirai recuperando il mio autocontrollo. Poi guardai Julie negli occhi. “Grazie.”
“Non ho ancora fatto niente, vai!”
Corsi fuori dall’istituto urlando: “John!”
Comparve in fretta accanto a me. “Sai vero?”
“Sì, tu dovresti farmi un ultimo favore …” gli spiegai mentre attraversavo il cortile diretta alla torre.
Salii i gradini due a due, rischiando di cadere più volte, almeno dopo il pianto le lenti non si sarebbero seccate per un bel po’ di tempo.
Arrivai ansimante in cima e non c’era nessuno, neanche la Contessa.
Feci un passo avanti per controllare, mi stava montando una smisurata ansia. Faticavo a respirare. Arrivai al centro della torre. Ripresi a tremare.
Un rumore dietro di me, mi voltai.
Udii un colpo poi sentii caldo alla testa.
“NO! KIM!!” l’urlo di Hope.
Poi tutto divenne nero.

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Capitolo 13
*** La conta e la domanda ***


La prima cosa che sentii fu il pavimento freddo sotto di me, poi arrivò il freddo.
Aprii lentamente gli occhi, ancora avevo le lenti, anche se non servì a molto: il buio era praticamente total; man mano che mi abituavo a quel posto, notai in alto una finestrella rettangolare aperta, da là arrivava la pochissima luce che mi permetteva di vedere almeno i miei anfibi. Mi mossi, notai con mia grande gioia di avere i polsi legati, fantastico … mi alzai, sentendo la testa incredibilmente pensante.
Feci qualche passo verso la finestrella ma inciampai in qualcosa e ci caddi anche sopra: pneumatici, pneumatici forati e sgonfi.
“Cazzo …” sussurrai.
Ero in casa del tutore, nella cantina o forse nel garage, ed era notte. Qualche ora ancora e il mio piano sarebbe partito, qualche ora ancora e sarei stata fuori di lì. Con Hope.
Ero ancora distesa sui copertoni, quando una porta, che non avevo visto, si aprì.
Mi affettai a rialzarmi, il movimento troppo veloce però mi provocò un forte giramento di testa, capii di non essere molto stabile.
L’uomo entrò, era alto e massiccio con i capelli scuri arruffati e la barba lasciata incolta che dava l’idea di essere sporchissima, gli occhi piccoli. “Vedo che ti sei svegliata e che hai già iniziato a ficcare il naso in giro …”
“Dov’è Hope?!” lo interruppi fregandomene di ciò che stava farneticando.
Il suo volto divenne una maschera d’ira.
Ricevetti uno schiaffo così forte che mi fece cadere di nuovo sulle gomme.
Non disse nient’altro e se ne andò.
Dopo un po’ la testa smise di girare, anche se non del tutto, arrancai verso il muro opposto alla finestrella appoggiandomi. Scivolai a terra, rimasi tutto il resto della notte sveglia, incapace di dormire, le lenti a contatto mi aiutavano a non farlo, erano diventate secche, bucavano e graffiavano, ogni tanto lacrimavo e il dolore che mi procuravano si attenuava.
Vidi le prime luci dell’alba dopo ciò che mi sembrò un millennio … mi venne una battuta sarcastica sullo scorrere del tempo, ma non mi sarebbe stata d’aiuto: ero nella merda.
La porta del garage, avevo capito dove mi trovavo con l’arrivo del sole, si aprì ancora.
“Non mi piace essere interrotto.” spiegò. “Senti, io voglio che questa cosa finisca molto più in fretta di quanto tu creda, perciò dimmi ciò che sai in fretta.” mi ordinò.
Rimasi impassibile e apatica: non avevo la minima idea di cosa stesse parlando, ma non volevo che lui lo sapesse. Non mi avrebbe fatto nulla finché ne rimaneva all’oscuro, dovevo solo resistere, era mattina, era questione di ore.
“AVANTI RISPONDI!!”
Era molto irascibile.
“Non dirò niente finché non avrò visto Hope.” rimasi calma.
Contrasse la mascella facendo scricchiolare i denti, scomparve dietro la porta, ancora.
Dieci minuti.
La porta, ch iniziavo ad odiare con tutta me stessa, si aprì per una terza volta.
Hope.
Mi si gettò addosso piangendo, feci passare le mie mani legate dietro la sua schiena, abbracciandola.
“Scusa! Io volevo avvertirti, dirti di non venire, ma …” singhiozzò. “La Contessa non c’era più, è scomparsa Kim! Non la vedevo più!!”
Rimasi sorpresa.
“La Contessa?” chiese il tutore rimasto sulla soglia.
Non lo considerai neanche. “Non so cosa sia successo ma non ti preoccupare si sistemerà tutto.” la strinsi a me, avvicinai le mie labbra al suo orecchio. “Non fare parola di ciò che sai su di me, niente fantasmi …” sussurrai.
Lei annuì continuando a piangere irrefrenabilmente.
L a strinsi ancora di più.
“Adesso basta!” ci richiamò il tutore.
“Va …” le dico poi le do un bacio sulla fronte sentendomi patetica nel darle solo la protezione di un bacio …
Strinsi i denti: non dovevo piangere.
“Ora, dimmi tutto ciò che sai, avanti!” tuonò il tutore in piedi davanti a me.
Sorrisi rabbiosa. “Io non so niente.” dissi tra i denti.
“MENTI!”
Un calcio allo stomaco mi schiacciò al suolo. Mi mancò il respiro, rotolai su un fianco cercando aria.
“NO! Fermo,così le fai male!”
Era Hope. Ancora non se n’era andata!
Come aveva potuto farle vedere una scena come quella!
“Bastardo …” rantolai a terra.
Ricevetti un altro calcio ad altezza costole.
Trattenni i versi di dolore.
Hope si mise tra me e lui. “Devi smetterla! Non ti ha fatto niente!!”
“È ciò che accade quando si dicono le bugie! Adesso spostati devo parlare con la signorina.”
“NO!”
“Non devi disubbidirmi!” le tirò uno schiaffo.
La bambina crollò a terra dietro di lui iniziando a piangere.
“Adesso, te lo chiedo solo un’altra volta …” iniziò a camminare in cerca di qualcosa attraverso il garage.
Vidi Hope piangere, mi montò ancora più rabbia, vidi il suo labbro spaccato.
Mi rialzai mentre il tutore mi dava le spalle.
Purtroppo se ne accorse. Si voltò, aveva qualcosa in mano.
Io ansimavo, il cuore mi batteva impazzito, la testa era incredibilmente pesante e sentivo un dolore sordo al lato sinistro del mio torace.
“Così non va bene signorina, si sieda pure.”
Lo odiavo.
“Non mi piace che le persone si facciano i fatti miei.” si avvicinò.
Potei vedere bene che teneva un mazzuolo in mano, doveva pesare minimo cinque kili, ma sembrava che per lui non fossero neanche due.
Deglutii, ero spaventata ma dovevo proteggere Hope, anche se non sapevo come … il mio piano era partito, non potevo cedere ora …
“Dimmi ciò che sai, ragazzina. Potresti andartene di qui sulle tue gambe.”
“Che minacce vecchia scuola, se riuscissi ad andarmene stanotte troverei una testa di cavallo nel letto?” l’avevo interrotto ancora.
Si mosse veloce.
Io no.
Finii contro il muro, doveva avermi rotto la spalla o qualcosa del genere.
Scivolai a terra, le gambe non tremavano e non reggevo il dolore.
“Ti piace scherzare, he?”
Hope piangeva sempre più forte.
“Allora farò la conta di quale gamba romperò per prima. Dimmi un numero …”
Iniziavo a vedere sfuocato, non sapevo se per le lenti o perché stavo per svenire. Comunque sorrisi sfidandolo, quanto sarò stata stupida … ma non esserlo non avrebbe cambiato la situazione … “Cinque.” mormorai.
Contò poi il mazzuolo calò.
Sentii prima il rumore del mio osso che si frantumava poi il dolore, un dolore cieco e sordo, mi scosse tutta da capo a piedi, infine si concentrò dove ero stata colpita.
“Adesso forse ti sarà venuta voglia di parlare.”
Tenevo gli occhi aperti per quanto potevo. Li tenevo fissi su Hope, assicurandomi che fosse lì, che stesse bene.
Mi prese per i capelli e mi tirò su, dolore su dolore.
“Cosa sai di tutta questa storia?”
Non riuscii a proferire parola.
Sbuffò e mi lasciò cadere a terra senza tanti riguardi poi si diresse verso la porta. “Andiamo Hope.”
“NO! Io sto qui con Kim …”
“Fa come ti pare.”
Si chiuse la porta alle spalle.
L’ultima cosa che sentii prima di svenire fu la chiave che girava nella toppa.


Riaprii gli occhi e non vidi niente, non che fosse calata di nuovo la notte, ma non avevo più le lenti. Capii di essere supina sul cemento del garage del tutore e capii di stare peggio di quanto avessi creduto di stare: il dolore era lancinante, veniva dalla gamba destra e dalla mia spalla sinistra. Avevo la sensazione di stare per vomitare, ma non sapevo se era dovuta al dolore o al fatto che non mangiavo da quasi un giorno.
Sentii un sospiro vacillante accanto a me, voltai la testa in quella direzione.
“Ti sei … ti sei ripresa …” fece Hope restando lontana, appoggiata al muro grigio.
Perché non si avvicinava?
“Più o meno …”
Dal poco che riuscivo a vedere, non mi guardava neanche.
“Hope, cos’hai?”
Rimase zitta.
Mi rivolsi al soffitto, non dovevo sforzarmi neanche di capire cosa guardavo.
Hope si mosse verso di me e mi infilò gli occhiali.
“Grazie.” dissi vedendola finalmente.
Piangeva in silenzio.
Tornò contro il muro.
Io la guardavo.

Cinque minuti?

Dieci?

Undici …

“Perché fai tutto questo?”
“In che senso?” le sorrisi.
Sembrò rimanerci male. “Non ridere, stai male. Per colpa mia.”
Feci una pausa. “Non è colpa tua.”
“Tu vuoi proteggermi!!”
Sentii un’altra presenza nella stanza, non mi mossi perché la sentii comminare verso di me: la madre di Hope si chinò su di me con i riccioli biondi che le incorniciavano il viso, era normale adesso, niente segni dell’incidente, era davvero bella.
“Tu fai tutto questo per me!! Perché?!”
Io guardai su madre.
“Diglielo.” mi disse.
“Io … ti proteggo perché quando ti ho visto ho riconosciuto me in te … tu sei spaventata, indifesa e sola. Non devi esserlo, non voglio che tu lo sia.”
Hope iniziò a piangere.
“Vieni qui.” le dissi. “Però appoggiati sul braccio buono!” risi.
Hope pianse. “Sono inutile ora! Tu mi stai proteggendo, stia soffrendo a causa mia e io non posso farci niente!!!”
La lasciai sfogare finché non si addormentò.
Poi la imitai.
Ma il giorno era passato e Julie doveva aver già fatto ciò che le avevo detto.

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Capitolo 14
*** Verità ***


La porta si aprì e io mi svegliai, il mio sonno non era mai stato profondo, Hope dormiva ancora invece accanto a me.
Il tutore si avvicinò.
Lo guardai con esasperazione.
La cosa non lo toccò neanche. “Adesso ti sarai schiarita le idee, giusto?”
Non risposi.
“Bene.”
Mi prese per la spalla rotta portandomi fino al muro, dove mi ci appoggiò mettendomi seduta, mentre io tentavo di sopprimere le urla di dolore in grugniti.
Hope si svegliò, non sentendomi più accanto a lei; ci mise un po’ per inquadrare la scena.
“Devi dirmi cosa sai su di me.” mi ordinò il tutore.
Mi teneva ferma contro il muro, come se avessi potuto scappare.
Lo guardai negli occhi mentre dicevo: “Io non so neanche il tuo nome.”
Appoggiò la sua mano sulla mia gamba rotta, il solo tocco mi fece rabbrividire di dolore e disgusto.
“Avrai capito che detesto chi dice le bugie.”
Premette forte.
Questa volta non riuscii a trattenermi dall’urlare il mio dolore.
Mi accasciai, ripiegandomi su me stessa.
Hope corse contro il tutore colpendolo con i pugni sulla schiena. “No! Basta!! Sta dicendo la verità!!”
Lui si voltò e la prese per i capelli. “E tu come fai a saperlo? Tu non sai nulla!!” la gettò via come se non avesse importanza. “Lei invece potrebbe sapere qualcosa … e non posso permettere che lo dica a qualcuno.” disse guardandomi furioso. “Ma si ostina a non parlare!! Perciò adesso passerò dalle minacce ai fatti!!”
Era la personificazione della calma mentre estraeva la pistola da sotto la camicia e la puntava contro di me.
Il campanello lo strappò dal suo intento con il suo suono brillante e acuto. Lui si affacciò alla finestrella per vedere chi fosse.
“Maledizione!” la chiuse. “Ci sono gli assistenti sociali!!” disse muovendosi per la stanza. “Voi adesso state qua in silenzio, intesi?” prese un rotolo di scotch e ne strappò un pezzo, me lo premette sulle labbra.
Si volse verso Hope. “Tu te ne starai qui buona, altrimenti capirai fin dove mi sono spinto.” le disse indicandomi con la canna dell’arma.
Il campanello suonò ancora e lui urlò qualcosa mentre si chiudeva la porta del garage alle spalle.
Guardai fuori dalla finestrella, nonostante la distanza capii che doveva essere tardo pomeriggio: perché Julie non era ancora arrivata? Dove era finito John? Possibile che quando ti servisse un fantasma, non ce ne fosse mai uno!?!
I fantasmi … qualche ora prima era comparsa la madre di Hope, allora perché lei non l’aveva vista? Non era riuscita a chiamare neanche la Contessa. Che avesse perso la capacità di vedere?
“ Dietro questa porta cosa c’è?” sentii chiedere.
“Oh, è solo il garage, ci tengo gli attrezzi per il giardinaggio.” rispose la voce del tutore.
Hope si alzò e andò davanti alla porta. Sgranai gli occhi …
Non poteva farlo, si sarebbe cacciata nei guai.
Alzai in aria le braccia, il destro tirò su anche l’altro nonostante la spalla rotta, procurandomi dolore, ma almeno la fermai.
Mi si avvicinò. “Perché no? Ci salverebbero!!” sussurrò pianissimo.
Scossi la testa e le feci segno di fare silenzio.
“Ora dove si trova la piccola Hope?” chiese un’altra voce.
“È uscita con la mia ragazza a fare un po’ di shopping, se avessi saputo del vostro arrivo le avrei detto di aspettare a portare la bambina in giro, ma lei è sempre così entusiasta!”
Stronzate … pensai.
“Sapete loro vanno molto d’accordo …” la voce si allontanò.
“Vuoi che te lo tolga?” mi chiese Hope indicando lo scotch.
Scossi ancora la testa, non volevo farla finire nei guai.
Lei sospirò incerta e si mise a sedere accanto a me, aveva il volto solcato dalle lacrime.
Dannazione! Dovevo fare qualcosa … ma lui aveva una dannata pistola!
Presi a guardarmi attorno: c’erano un sacco di oggetti per il giardinaggio o la cura della macchina; un piano di lavoro stracolo di trofei di wrestling e kick boxing, che spiegavano la stazza e la forza di quell’uomo; due taniche di benzina che sembravano piene; un taglia erba, he sembrava tutto tranne che funzionante, e le gomme che gli avevo forato io. Niente che potesse aiutarmi … mi sarebbe servito un miracolo … o un fantasma …
“Arrivederci!!” il salutò ci arrivò dal soggiorno.
Poco meno di un minuto dalla partenza dell’auto dei servizi sociali, la porta del garage si spalancò ancora una volta e lui tornò da noi.
“Ora che anche questa scocciatura è andata, pensiamo a quella più grande.”
Adesso che lo osservavo meglio, che lo ascoltavo anche, notavo che si ripeteva le cose, come se dovesse tenere in mente i punti di una lista.
Era instabile?
Mi diede le spalle. “Non posso fermarmi adesso, non dopo quello che ho fatto.” sussurrò.
 Cosa aveva fatto?
Mi tolse lo scotch con furore.
Aveva degli sbalzi di umore davvero notevoli …
Avrei potuto usarli a mio vantaggio.
Camminò avanti e indietro lungo il garage, prima di parlare estrasse la pistola. “Cosa sai su di me?”
“Niente.” dissi ancora.
Cosa aveva fatto? Cosa avrei dovuto sapere?
“Non posso perdere altro tempo con te!” urlò.
Hope se ne stava seduta in un angolo con le ginocchia al petto: perché non la faceva uscire!?
Dal nulla comparvero i suoi genitori, la madre si chinò su di lei e le disse di stare tranquilla, ma la piccola non la vedeva, quando la donna le sfiorò la guancia però sembrò sentirla; il padre le stava in piedi davanti, come per proteggerla, però il suo sguardo era fisso su di me.
“Cosa stai fissando?!” mi richiamò il tutore.
“Nulla …” risposi rivolgendo i mio sguardo su di lui.
Mi guardò storto. “Tu non me la racconti giusta … da quando sei qui non hai mai detto la verità! Cosa sai su di me!? Sai cosa ho fatto?!”
“No, non so niente.”
“Menti! Tu lo sai!! Altrimenti non proteggeresti così la bambina!!” stava urlando.
Mi si avvicinò per intimorirmi però io rimasi calma.
“Perché? Cos’hai fatto?” chiesi.
Si allontanò febbrile, sembrava una pentola a pressione pronta ad esplodere. “Lo sai, è inutile continuare con questa farsa.”
“Cos’hai fatto?” chiesi ancora incalzandolo.
“Dillo …” disse il padre di Hope. Il fantasma camminò fino ad arrivare davanti a me. “Chiediglielo ancora …”
Presi fiato. “Cos’hai fatto?”
Esplose: “HO UCCISO I SUOI GENITORI!!”
Indicava Hope.
Lei iniziò a piangere in silenzio.
I due fantasmi svanirono lentamente.
Mi si offuscò la vista e credetti di svenire.
Rivissi l’incidente, sentii il pezzo di lamiera conficcarsi nel mio stomaco, ma non ero io: vedevo prima con gli occhi del padre poi con quelli dalla madre di Hope. Mi sentii urlare, dovevo averlo fatto davvero. Fui trascinata in un altro ricordo: vidi suo padre davanti al tavolo di una cucina.
“Allora Tom? Ti va bene badare alla nostra bambina finché siamo via?”
“Sì, certo. Ma perché tutte queste cose burocratiche?”aveva parlato il tutore, che ora mi dava le spalle.
“Mha! Non lo so ma basta che firmi!” rise l’uomo. “Guarda qua! C’è addirittura una clausola che ti concede l’affidamento della bambina e in qualche modo in nostri averi in caso di morte!!” rise ancora.
“Tesoro, non scherzare su questa cose.” lo rimproverai, ma non ero io.
Lui disse che era troppo felice per fare pensieri tristi …
Vidi per un’ultima volta il viso del tutore diventato improvvisamente serio poi tutto divenne nero e persi i sensi.
Riaprii subito gli occhi.
Ero nel garage, la scena non era cambiata da quando avevo iniziato ad avere i flash back indotti dai fantasmi. Mi girava la testa, guardai a terra per recuperare la calma: ero in una pozza di sangue, l’odore dolciastro mi stordì definitivamente.
Mi sentii ancora urlare.
Non capivo cosa mi stesse accadendo, sapevo solo che dovevo riprendermi in fretta per proteggere Hope.
Strinsi forte gli occhi e mi concentrai solo su di me, sul mio corpo, sulla mia mente, sul dolore che provavo a causa delle ossa rotte, anche sulla voglia di vomitare che mi aveva scatenato la vista del sangue.
“Cosa le sta succedendo!?” sentii il tutore parlare.
Qualcuno mi prese per la spalla destra. “Kim! Kim! Cosa c’è?!”
Hope.
Riaprii lentamente gli occhi: lei stava davanti a me mentre l’uomo si stava appoggiando al tavolo dei trofei, era cereo, terrorizzato.
“Scusa piccola, ma adesso so … so perché … perché ha fatto tutto questo.” stentavo a parlare, mi girava la testa e sentivo già i succhi gastrici bruciarmi la gola. Guardai la porta aperta del garage. “Hope tu adesso devi scappare, scappa e chiedi aiuto.” mi rivolsi poi alla finestrella rettangolare: era quasi notte. “Ci penso io a tenere occupato lui.” sussurrai.
“No! Tu non cammini neanche e …”
“Per favore …” la abbracciai. “Tu devi andartene, è una persona instabile, non riuscirà a farmi del male, sono più sveglia di lui. Ma ti prego, tu va via …”
Mi abbracciò forte, facendomi anche male, ma ormai non aveva più importanza il mio dolore.
“Vai.” le dissi mentre in qualche modo tentavo di alzarmi in piedi.
La bambina cose alla porta.
“Ferma!!” tuonò il tutore risvegliandosi dalla paura in qui l’avevo gettato, puntò la pistola contro di lei.
“No Tom!” urlai.
Hope uscì dal garage.
Lui si voltò assolutamente basito. “Come fai a sapere il mio nome?”
Mi appoggiai al muro dietro di me, avevo dolori ovunque. “So molte cose su di te: stella del wrestling al liceo; disoccupato in cerca di soldi; questa casa è dei genitori della bambina che te l’hanno lasciata in affidamento assieme hai loro averi dopo la loro morte. Tu hai fatto in modo che morissero in un incidente stradale, tagliandogli il collegamento hai freni, perché la somma di denaro era davvero troppo allettante. Dopo l’incidente hai capito la gravità delle tue azioni, ma era troppo tardi … sei crollato …”
“Basta!! ZITTA!!” mi urlò contro.
“ … diventando quello che sei ora.”
“Devi stare zitta!! Silenzio!” mi intimò con la pistola.
“Un mostro.”
Sparò.
Tutto il dolore che avevo sentito fino a quel momento era nulla  confronto. Mi aveva colpito allo stomaco, la sua mira faceva pena ma io non potevo scappare. Mi accasciai a terra.
Tom continuava a urlarmi che dovevo stare zitta, che non sapevo nulla, che comunque non aveva importanza perché sarei morta, ed era vero.
Mi sentivo morire.
L’uomo urlava e si muoveva scompostamente nel garage, urtò le due taniche di benzina che caddero, riversando il loro contenuto a terra.
Tentai ancora di alzarmi, non potevo morire … non dopo aver detto ad Hope che non mi sarei fatta nulla. La vista mi si offuscava sempre di più …
“Sei ancora in piedi?!”
Tom mi puntò ancora l’arma contro e sparò.
Mi mancò e il colpo rimbalzò non so dove e colpì lui, al petto …
Cadde a terra gorgogliando, il suo sangue si mescolò alla benzina.
“No …” rantolò.
Continuai ad avanzare verso la porta aperta, forse avevo qualche possibilità se uscivo da quel posto.
“Non te ne puoi andare ora …”
Sentii sparare mentre attraversavo la soglia.
Ci fu un momento di silenzio poi un’esplosione mi sbalzò al centro del soggiorno.
Ero a terra.
Un rombo assordante nelle orecchie.
Intorno a me, lentamente, tutto prese fuoco-
Da lontano giunse un rumore acuto e intermittente, non capii cosa fosse.
Chiusi gli occhi.
Non so quanto tempo passò, sentivo il calore del fuoco lambire tutto il mio corpo e stringermisi sempre più attorno, o forse era solo la sensazione che ti da morire.
Una voce … una voce di uomo …
Aprii di scatto gli occhi: era lui? Era venuto a controllare che fossi morta?
“Kim!”
No, era qualcun altro.
“Kim!!”
La voce mi era familiare …
Qualcuno entrò nel mio campo visivo, mi accorsi di non avere più gli occhiali.
“Kim!” sembrava terrorizzato.
Si avvicinò e lo riconobbi.
“Jim …”
“Sì, sono qui. Adesso ti porto fuori!” mi rassicurò.
Riuscì a prendermi in braccio, mi afferrai a lui con la poca forza che mi rimaneva.
“Dov’è Hope …” gli chiesi ma ero troppo debole.
In breve fummo fuori ma mi sembrava ancora che il fuoco mi stesse ancora mordendo.
Sentii molte voci e il fischio acuto e intermittente.
Una macchia chiara mi si avvicinò: Julie.
Disse qualcosa in preda al panico.
Jim continuava a camminare verso quella che mi sembrava un ambulanza.
Un’altra macchia scura.
“Kim!” urlò vedendomi.
“Melinda …” soffiai via.
Sorrise.
“Adesso andiamo via …” disse anche qualcos’altro ma non sentii.
Chiusi gli occhi, non riuscivo più a stare sveglia.
Mi misero giù e iniziai a respirare qualcosa di fresco.
Mi ripresi un attimo assalita dalla paura: dov’era Hope?
Sollevai il braccio destro con una fatica enorme e farfugliai il suo nome.
Accanto a me, Melinda mi guardò senza capire poi si voltò verso destra e disse: “Si chiama così?”
“Sì!!” sentii rispondere.
Si rivolse di nuovo a me. “Kim, tranquilla. Hope è su un’altra ambulanza, è già all’ospedale!”
Le presi la mano preoccupata: perché?
“Calmati Kim! Sta bene!  Ha solo respirato troppo fumo!”
Era entrata nella casa in fiamme?!
“Kim, sta bene! È salva!”
… sta bene …
… è salva …

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Capitolo 15
*** Colonna sonora ***


*Right as Rain, Adele: http://www.youtube.com/watch?v=r5DMmOLkLQI
** Daydreamer, Adele: http://www.youtube.com/watch?v=YlIZaKdGV9s


*C’era musica … Adele … che strano, non credevo che sarei stata accompagnata all’oltretomba con una colonna sonora. Che sciocchezza!
Sentivo questa musica non sapevo da dove venisse semplicemente c’era ed era ovunque, era bello. Piano piano la sentii sempre meglio, mi sembrava quasi che Adele fosse lì con me e mi cantasse: Who wants to be right as rain?
Sorrisi.
Percepii qualcosa, nel mio essere intero si stava muovendo qualcosa che non capivo fino in fondo, non riuscivo ad afferrarne il concetto.
Respirai … no, un attimo respirai?
Non ero morta?
Questa sensazione che provavo non era forse ciò che senti quando cerchi di capire la tua nuova condizione?
Ciò che provano i fantasmi che tante volte avevo aiutato?
No, quella sensazione era molto netta … alla fine capii cosa fosse …
“Fame …” farfugliai mentre mi rendevo conto di avere un corpo.
C’era davvero Adele però, cioè c’era un vecchio stereo che stava leggendo un suo cd, ne vedevo la macchia confusa accanto alla mia testa, sopra ad un, azzardo a dire, comodino. Continuai a guardarmi attorno e capii di essere in un ospedale. Che strano, ci sarei potuta arrivare prima …
Biascicai: oltre ad avere sapore di carogna in bocca, avevo anche una fame incredibile, cose che non vanno molto d’accordo ma … bleah!!
Decisi di passare il tempo, che serviva prima che qualcuno si accorgesse che ero sveglia, giocando a conta quante ossa ingessate ho … gioco stupido ma non potevo fare a meno di essere super felice … perché ero viva, perché lo era anche Hope, perché l’incubo era finito, perché il mio piano aveva funzionato, perché avevo trovato davvero un amica, alla fine, e anche perché tra poco avrei mangiato, cavolo! Era da non so quanti giorni che non toccavo cibo, senza contare le flebo che avevo attaccata al braccio … credo che fosse proprio una qualche soluzione con quello scopo, sennò era morfina, il che spiegava il mio super buon umore.
Cercai di mettermi a sedere usando il braccio destro ma sentii subito una stilettata di dolore all’addome, grugnii mentre scivolavo di nuovo giù, tra le lenzuola bianche del letto.
Quello che all’inizio avevo scambiato per coperte buttate su una sedia, si alzò. “Che diavolo stai facendo?” mi chiese.
“Mi scusi, ma mi hanno sempre detto di non parlare con gli sconosciuti.” risi.
“Quanto sei scema!”
Mi diede un leggero scappellotto prima di infilarmi gli occhiali.
“Ciao Julie!” salutai raggiante.
“Sei una stupida, idiota, imbecille, deficiente e senza cervello!”
Rimasi per un attimo sorpresa di quell’uscita, poi sorrisi: “Ti voglio bene anche io!”
Mi abbracciò mentre iniziava a piangere.
“Juli ... Jul … Julie … mi stai facendo male …”
“Scusa!” si ritrasse asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.
Risi ancora poi il mio stomaco vuoto prese la parola.
La mia amica rise. “Vado a vedere cosa puoi mangiare!” disse uscendo.
** Mi vidi già con un panino enorme tra le mani, bhè … in una mano.
Era appena partita Daydreamer, quando i genitori di Hope comparvero in fondo al mio letto.
“Ancora qui!?” li rimproverai.
La donna rise, l’uomo si avvicinò e, con fare molto da vivo, si sedette in fondo al letto, non sentii neanche il suo peso.
“Volevamo ringrazianti personalmente.” disse.
“Sì, in evanescenza e inconsistenza … scusate non so che mi prende.” sorrisi scema.
“Sei solo molto felice e sarcastica.” disse la bionda, proprio come una madre.
“Volevamo anche scusarci per averti anche mostrato tutte quelle cose, hai sofferto a causa nostra …”
“No,non c’è bisogno di scusarvi. Temevate per Hope, avevate paura che io fossi … fossi come lui …”
“Tranquilla, tesoro, abbiamo capito che non lo sei, tu sei straordinaria … è stato un miracolo che Hope abbia trovato proprio te …” disse lei avvicinandosi.
Annuii. “Adesso lei non … non può vedervi, credo di aver capito perché, e … voi volete dirle qualcosa non è così?”
“Sì, dobbiamo.”
“È un bene che lei sia dietro la porta allora.” fece l’uomo.
“COSA!? Potevate dirmelo prima!” scattai. “Hope! Hope! Entra!”
La prima cosa che fece capolino dalla porta su la sciarpa gialla.
Sua madre rise. “Quella è la mia sciarpa!”
“Sì, non se la toglie mai.”
“Con … con chi stai parlando? Con John?” chiese Hope entrando un po’ titubante.
“No … dai vieni qua …”
Lei mi si gettò letteralmente addosso. “Pensavo che non ti saresti più svegliata!!” urlò.
“Sai che sono un tipo mattutino!”
“Hei, la smetti di fare battute idiote?” mi rimproverò Julie entrando con un piatto di minestra in mano.
“Minestra!?!?” feci delusa. “Hei, Hope! Dai vammi a prendere una bistecca da qualche parte!”
Lei affondò il viso nella mia vestaglia.
Sospirai e guardai i due fantasmi, dovevano passare oltre, dovevano parlare con Hope. “Hem … Julie potresti … hem … cercare qualcos’altro da mangiare?”
Lei mi guardò con un sorriso strano. “Hanno detto che non puoi mangiare altro.”
“Hem … allora potresti … andare a chiamare Melinda?”
“È andata a sbrigare delle faccende burocratiche al posto tuo.”
“Per Diana! Allora … hem …”
“Kim, è inutile!  Lo sa!” rise Hope.
“Sa cosa!?!” le chiesi facendole capire di non aprire bocca sull’argomento fantasmi.
Ma lei rise ancora e anche Julie lo fece.
“Kim, so tutto! Melinda mi ha spiegato ogni cosa, sui fantasmi, su Hope, anche su uno strano vecchietto di nome John, che l’ha portata fino a qua.”
“Bene … ho fatto la figura della scema.”
“Sì!!” rise Hope.
Era bello sentirla ridere così.
Anche i suoi genitori risero.
“Immagino che anche voi lo sapevate.” faccio offesa.
Annuirono.
“Hope, ci sono qui i tuoi genitori.” dissi, spiegando con chi avevo parlato.
Lei diventò seria all’improvviso. “Perché sono qui? Pensavo che stessi parlando con John! Perché non posso vederli?”
Sopirai. “Mia cugina mi ha detto che i bambini perdono la capacità di vederli perché smettono di credere. Tu devi aver smesso di credere, devi aver avuto dei dubbi sulla loro presenza. Per questo non hai visto la Contessa …”
Lei guardò a terra.
“Capita a tutti, anche alla nostra Julie, qui!”
“Si, io non li vedo, non ricordo di averli mai visti.
“Ci si dimentica, se non si ha una persona folle che li vede tutti i giorni …” feci.
Guardai verso i due fantasmi. “Cosa volete dirle?”
Si guardarono, poi la donna parlò: “Dille che ci dispiace di dover andar via così. Avremmo voluta passare con lei più tempo.”
“Dille che saremo comunque sempre con lei, basta che ci ricordi, che ricordi tutti i momenti belli che abbiamo passato insieme.” continuò lui.
Dissi tutto ad Hope; lei iniziò lentamente a piangere, loro la consolarono dolcemente mentre io la stringevo a me, non volevo temere di perderla, mi sembrava così irreale essere riuscita a superare tutto.
“Grazie di tutto Kim.” mi disse il padre della bambina poi si voltò, sembrava essere diventato più luminoso. “È quella giusto? È quella la Luce?”
“Si e vi sta attendendo.” risposi.
La donna dai riccioli biondi si avvicinò a me. “Grazie di tutto Kimberly.” mi baciò sulla fronte materna, mi fece uno strano effetto, lo sentii ma il mio corpo reagì come se non ci fosse mai stato.
Poi entrarono nella luce ed io non li vidi più.
“Sono passati oltre.”
Hope si strinse ancora a me e pianse finché non si addormentò.
Julie mi aiutò a mangiare la minestra, era piacevole mandarla giù calda com’era ma avrei preferito mille volte un cheeseburger, mi sentivo anche scema a farmi imboccare. La ragazza bionda se la rideva invece.
Dopo un po’ si era addormentata anche lei, mi aveva spiegato che dopo che Jim mi aveva portata fuori dalla casa in fiamme avevo fatto da pazza per sapere dov’era Hope, cosa di cui avevo un vaghissimo ricordo, poi, in ospedale, mi avevano fatto delle operazioni per sistemare i danni provocati dalle ossa rotte ed estrarre il proiettile dal mio stomaco, per questo dovevo mangiare solo roba liquida ancora per qualche settimana, con mio grande dispiacere; poi mi parlò del fatto che molto probabilmente non avrei mai più potuto riacquistare il controllo totale dalla gamba sinistra. L’osso era davvero danneggiato e le lesioni interne erano così tante che non sarei più riuscita a usarla come tutti gli altri, io scherzai sulla fortuna di non dover più fare educazione fisica a scuola, ma lei restò davvero seria, le dissi di non preoccuparsi, che c’erano cose peggiori che sarebbero potute accadere.
Adesso mi stavo fissando l’ingessatura, non sapevo quanto dovevo tenerla e non mi interessava, avevo un’altra urgenza, sentivo il bisogno di fare qualcosa di definitivo.
Guardai fuori: tutto era addobbato per il natale … natale … oh cavolo!! I miei genitori!! Di solito tornavano a casa per natale!! Cosa gli avrei detto?
Avevo ancora un po’ di tempo per inventarmi qualcosa, ma ero comunque terrorizzata.
Natale … quel giorno portava con se anche qualcos’altro … il mio compleanno … avrei compiuto diciotto anni il 30 dicembre, mancava ancora troppo tempo per fare ciò che volevo davvero mettere in atto.
Non ci avevo mai pensato prima di quel momento, avevo visto tutta quella situazione come temporanea certo, ma non avevo mai pensato al dopo. Anche se a pensarci bene, forse, l’avevo dato sempre per scontato.
Dopo un’oretta che ci pensavo concepii definitivamente il mio piano.
Sentii un rumore poi la porta si aprii: era Melinda.
Le sorrisi, poi dissi: “Ho bisogno ancora del tuo aiuto.”
“Cosa c’è? Qualche altro fantasma?”
Scossi la testa. “No, a quelli ci ho già pensato.” guardai la bambina che ancora dormiva. “Io vorrei …” inspirai a fondo, capendo il peso delle mie parole. “Voglio adottare Hope.”


26 Dicembre
“Hope! Forza, non vieni ad aprire i regali!?”
“Arrivooo!!”
Corse verso di me e salì sulla sedia a rotelle dando la spinta, ci ritrovammo nel salotto e per poco non ci schiantammo contro l’albero tutto addobbato con decorazioni blu e argento.
“Allora questo è tuo …” dissi porgendole una cosa rettangolare coperta da una carta d’orata e rossa.
“È la Bambina della Sesta Luna!!”
“Non ti si può nascondere niente!!” sbuffai divertita.
Scartò in fretta e strinse il volume al petto tutta contenta.
Il campanello suonò.
Io mi ritrovai circondata da carta. “Hope, andresti tu ad aprire? Sono  bloccata!!”
Lei uscì dalla stanza portansi dietro il libro.
Aprì la porta.
“Oh! E tu chi sei?” sentii chiedere.
“Mamma!!” chiamai riuscendo a uscire dal salotto.
“Kim!!”
“Si lo so, faccio effetto qui sopra!” risi.
Mi vennero incontro tutti e due e mi abbracciarono.
“Allora! Melinda ci ha raccontato tutto!!! Cosa credevi di fare da sola! Dovevi avvertire la polizia!” mi rimproverò mio padre subito partendo in quarta.
“Ma c’erano di mezzo dei fantasmi!”
“Non importa! Fantasmi o non fantasmi!!” gli diede man forte mia madre.
“Sì! Sì!! Ma adesso vi devo presentare una persona!” feci cercando di svicolare dalla super ramanzina da cui comunque nessuno mi salvò dopo. “Mamma, papà. Lei è Hope, mia figlia.”
Ma madre quasi svenne.
Julie ci raggiunse mentre ancora tentavamo di farla riprendere, mi abbracciò per salutarmi. “Guarda qua cos’ho!” disse porgendomi un biglietto.
Lo aprii: era una lettera dalla mia classe di biologia, mi facevano gli auguri con la speranza che mi riprendessi presto, c’era anche la firma di Brook. In fondo la cosa non mi dispiacque.
Quello fu uno dei migliori natali che ricordo, soprattutto dopo che Melinda e Jim portarono lo spumante e le ultime carte per l’adozione.
Di lì a qualche giorno, Hope, fu ufficialmente mia figlia.

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Capitolo 16
*** Epilogo ***


-- otto anni dopo --

Quella mattina avevo l’ultimo esame poi sarei diventata a tutti gli effetti un medico.
Ero agitata mentre bevevo il mio caffè amarissimo appoggiata alla finestra della cucina, la gamba sinistra a terra solo con la punta del piede, ero ancora scalza.
Hope entrò dalla porta salterellando. “Heeeeiiii!! È finalmente arrivato il libro!!!” urlettò.
Mi voltai: era diventata grande, la bambina dai riccioli biondi e i grandi occhi verdi era diventata una donna … quasi … aveva sedici anni …
Mi avvicinai lentamente al tavolo. “Davvero?” presi la busta marrone che mi stava porgendo.
Hope uscì dalla cucina e infilò nel bagno.
Scossi la testa. Poi aprii la busta, feci scivolare il piccolo volume tra le mie mani: John Smith, un nome come tanti.
Finalmente avevano pubblicato la biografia di John, gli avevo promesso che avrei fatto di tutto, lui aveva finalmente abbandonato la sua prolissità, dicendo solo: “Non ho dubbi.” poi era entrato nella Luce.
La ragazza, ormai, con sui convivevo rientrò in cucina, era truccata e vestita di tutto punto.
“Dove ha intenzione di andare oggi, signorina?” le chiesi con tono di rimprovero.
Mi fece la linguaccia. “Mi incontro con Ian!!”
“Oh, davvero?” mi misi a sedere al tavolo mentre finivo il contenuto della mia tazza, non riuscivo più a stare in piedi. La guardai da dietro il fumo del caffè. “Ti piace, he?”
Lei divenne tutta rossa. “Non … non sono affari tuoi!!”
Risi di gusto.
“Piuttosto!! Tu è il tuo dottorino?”
Questa volta arrossii io: mi era bastata rientrare in casa lasciandomi andare un po’ che Hope mi aveva ripreso subito, seduta sulla poltrona del salotto … ok, ero rientrata pomiciando con il mio ragazzo, ma questo non ha importanza!!
“Io e il mio ‘dottorino’ stiamo bene grazie!! E smettila di chiamare così Chad!! Non siamo ancora dottori …” feci un po’ in imbarazzo, cercando anche di cambiare argomento.
Ridemmo.
“Sì ma quando te lo chiederà?” mi chiese con un’aria da furbetta che solo lei riusciva ad avere.
“Cosa?” feci vaga.
“Come se non lo sapessi!” mi si avvicinò prendendo in mano il libro di John. “Quando ti chiederà di sposarlo?”
Mi brucia con la bevanda calda. “Ma come fa a venirti in mente una cosa simile!! Lui non è il tipo … che fa … che fa queste cose!!”
“Sì sì certo … intanto però, stasera andate a cena fuori …”
“Non fare la saputella piccola!!”
“Non sono più piccola!!”
“Aaaah!! Per me tu resterai sempre la piccola bambina nella torre!!”
Sbuffò frustrata e arrabbiata mentre io ridevo, sapevo che non se la prendeva davvero.
“Bene adesso devo uscire, altrimenti Julie mi raderà la testa!!” dissi mettendola al corrente del pericolo che correvo ritardando.
Mi alzai e mi diressi alla porta dove mi attendevano i miei anfibi neri poi mi fermai indecisa.
Hope mi vide ferma davanti alla porta. “Ooooh! Vorrei uscire anche io!! Eccolo qua! Lo avevi lasciato in cucina!!”
Mi porse il mio bastone di ciliegio chiaro.
“Grazie! Non ricordo ma i dove lo metto!!”
“Infatti sono otto anni che te lo tengo d’occhio io!!” mi prese in giro lei.
Uscimmo insieme di casa. Ian aspettava la dolce innamorata in fondo al vialetto, ci salutò entrambe con un grande sorriso, poi i due piccioncini si diressero verso la scuola.
Io mi incamminai verso il bar davanti al quale mi ritrovavo sempre con Julie, poi andavamo insieme verso l’ospedale.
Quella sera Chad mi aveva chiesto di andare a cena fuori … che volesse davvero chiedermi di sposarlo? Stavamo insieme da quasi cinque anni da quando avevo parlato con suo padre … bhè … lui era morto e io lo avevo fatto passare oltre … a volte i fantasmi portavano davvero cose buone.
Sorrisi.
Avevo un umore magnifico quel giorno, salutai da lontano Julie.
Guardai il mio bastone chiaro senza il quale mi sarei ribaltata di lato: alla fine mi ci ero abituata, all’inizio non lo volevo neanche; quando Hope non guardava tentavo di camminare come prima, senza mai riuscirci, ma non è che mi fossi arresa, solo che consideravo inutile continuare a cercare di accelerare i tempi, facevo i miei esercizi tutti i giorni e questo mi consentiva piano piano di usare un po’ di più la mia povera gamba.
“Agitata!?” mi chiese Julie, lei era già un infermiera, una di quelle brave.
Sorrisi. “Certamente! Ma non mi fermerò certo per questo!!”
Mi diede una pacca sulla spalla e mi fece gli auguri. Andammo insieme verso l’ospedale.
Più mi avvicinavo, più ero ansiosa, ma non un’ansia cattiva, piuttosto una voglia di fare incredibile.
Davanti alle porte dell’edificio, Chad ci stava aspettando, ripensai alla serata che mi attendeva e sorrisi come un ebete, sarei voluta correre da lui ma avrei solo rischiato di cadere a terra.
Mi venne incontro lui. “Ciao.”
Ci baciammo.
“Pronta per l’esame?”
“Sono nata pronta!!”
Salutammo Julie che iniziava il suo turno da lì a qualche minuto.
Noi andammo a sederci fuori dall’aula degli esami e ripassammo alcune cose insieme. Ogni tanto Chad mi baciava.
“Se continui così non ripasseremo nulla!” lo rimproverai. “Non che mi dispiaccia …” aggiunsi subito poi.
“È che non vedo l’ora di stasera …”
Lo guardai intensamente cercando di leggergli nel pensiero … sciocca Hope che mette pulci nelle orecchie!!
Arrossii.
Lui rise.
Dopo poco le porte si aprirono e l’esame iniziò.
Credevo fosse più difficile … o forse i ero preparata bene. Ero lontano da Chad, ogni tanto ci scambiavamo occhiate divertite, lo so siamo strani io e lui.

“Allora com’è andata?” mi chiese Julie dietro ad un banco pieno di fogli e provette.
“Non lo so non voglio espormi ancora vedremo tra poco …”
“Ma sono così veloci a correggere?”
“Mha! Che ne so! Usano dei super computer credo …”
“Più vaga sei, meno nascondi la tua agitazione lo sai?”
“Si, me lo dice anche Hope.” sospirai appoggiandomi del tutto al tavolo.
“Quella bambina è un piccolo genio!”
“Magari fosse ancora una bambina! È un piccolo diavoletto!!”
Lei rise sfacciata.
“Che c’è!?” le chiesi sorpresa.
“Parli proprio come fossi sua madre!!” rise.
“In un certo senso lo sono!!” arrossii, era un vizio che avevo preso da quando avevo conosciuto Chad, mi trovava irresistibile con le guance rosse. “Stasera esco con Chad … Hope dice che mi chiederà di sposarlo …”
“Lo farà di sicuro!” mi interruppe Julie.
“Come fate ad essere così sicuri!!” sbottai.
Lei sorrise. “Si vede, quando state insieme fate come le calamite.”
Dietro di lei comparve una donna anziana. “Mi scusi ma quelle sono le analisi di mio marito, ha sbagliato cartellina.”
“Julie quelle sono le analisi del signore nella stanza 4 le hai messe nella cartellina sbagliata.”
“E tu come lo sai!?”
“Me lo ha detto la signora …” dissi indicandola.
La mia amica si voltò quando non vide nessuno sospirò: “Ok, ok mi fido.”
“Grazie.” mi disse la signora.
“Di niente!” risposi sorridendole.
A volte era davvero facile aiutarli.

Il campanello suonò.
“È Chad, vai ad aprire tu!!” mi urlò Hope dalla sua poltrona, stava leggendo un libro di Suzanne Collins.
Andai alla porta e mi ci fermai davanti, mi diedi un ultima sistemata, presi il mio bastone ed aprii la porta.
Rimasi estasiata: in tutto il giardino erano state sistemate piccole candele bianche che illuminavano tutto dolcemente. Chad era in piedi in mezzo al vialetto, vestito di tutto punto, era un po’ rosso in volto.
Mi avvicinai. “Ma che hai combinato?”
“Hope mi ha dato una mano.”
Mi voltai verso la casa: vidi una testina bionda nascondersi in fretta dietro la finestra del salotto.
“Siete pazzi …”
Chad non mi ascoltò e si mise in ginocchio.
Il mio cuore andava a mille.
Mi mostrò una piccola scatoletta di velluto blu.
La aprì, svelando il piccolo ma splendido anello al suo interno, e disse: “Vuoi sposarmi?”


“Sì.”




È incredibile che sia riuscita a finire una delle mie storie, non credevo che ci sarei mai riusctita! :D
Grazie per avermi seguito fino a qui! *breve inchino*

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