I sette sigilli

di Thefoolfan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Perfezione ***
Capitolo 2: *** Tornare alla normalità ***
Capitolo 3: *** 1° sacrificio ***
Capitolo 4: *** Sangue ***
Capitolo 5: *** Interrogatorio ***
Capitolo 6: *** 2° sacrificio ***
Capitolo 7: *** Insetti ***
Capitolo 8: *** Litigio ***
Capitolo 9: *** 3° sacrificio ***
Capitolo 10: *** False speranze ***
Capitolo 11: *** Cattive notizie ***
Capitolo 12: *** 4° sacrificio ***
Capitolo 13: *** Resa ***
Capitolo 14: *** Acido ***
Capitolo 15: *** Weiss ***
Capitolo 16: *** Sospettato ***
Capitolo 17: *** Charlie ***
Capitolo 18: *** 5° sacrificio ***
Capitolo 19: *** Fiamme e grandine ***
Capitolo 20: *** Scelte e rivelazioni ***
Capitolo 21: *** 6° sacrificio ***
Capitolo 22: *** Tenebre ***
Capitolo 23: *** 7° sacrificio ***
Capitolo 24: *** Cosi la storia finisce ***



Capitolo 1
*** Perfezione ***


  

PROLOGO

 

L'attesa rende più dolce ogni cosa e l'uomo pensò che effettivamente era vero. Stava vivendo sulla propria pelle quel momento tanto agognato e non poteva aspettarsi di meglio. Era tutto come l'aveva immaginato, tutto come l'aveva pianificato. Ogni cosa era andata nel verso giusto, dal più misero particolare a quello più importante. Tutto era andato alla perfezione. Come non si poteva essere orgogliosi di un successo simile?. C'era voluto più di un anno di preparazione ma alla fine lo sforzo sarebbe stato ripagato in tutto e per tutto. Trovare le persone adatte non era stato tanto difficile, anzi aveva più soggetti tra cui scegliere ma lui voleva solo la perfezione e alla fine trovò loro 6. Sei perfetti individui che sarebbero stati i protagonisti del suo dramma prima che si giungesse all'atto finale. Molti avrebbero visto questo spettacolo, tutti se ne sarebbero ricordati. Sarebbe passato alla storia. Al pensiero di vedere il proprio nome sulle prime pagine dei giornali li faceva venire la pelle d'oca. Stava per mettere in atto un capolavoro. Andò nella sala attigua e staccò dal filo che correva lungo tutta la lunghezza della parete un foglio ingiallito che aveva appeso li ad asciugare. L'idea di scrivere come se il suo supporto scrittoio fosse stata una pergamena l'aveva sempre intrigato. Dava un tocco elegante alla cosa. Nell'ultimo anno mentre si occupava dell'allestimento del suo dramma si era anche allenato nella scrittura. Voleva che fosse perfetta, senza la minima sbavatura. Anche quei fogli avevano la loro parte importante nella rappresentazione, un giorno sarebbero stati studiati nelle migliori università, di questo ne era certo. Nessuno aveva mai raggiunto il suo grado di perfezione. Sarebbe stato l'esempio per molti e questo gli scaldava il cuore. Con assoluta attenzione iniziò a comporre il proprio testo. Domani era il grande giorno. Si immaginava la scena quando avrebbero aperto la busta e letto il suo contenuto. Sarebbero rimasti sbalorditi da tanta bellezza. Completò quanto stava facendo e lasciò li il foglio in attesa che l'inchiostro asciugasse. Ne approfittò per muoversi attorno la casa ripassando gli ultimi elementi del suo piano. Si fermò a guardare i 7 dipinti che aveva appeso al muro soffermandosi sul primo della sua lista. Sarebbe stato facile da riprodurre. Gli servivano pochi oggetti. Avrebbe solo dovuto aver pazienza. Non sarebbe stato un lavoro di pochi minuti ma non gli importava, aveva tutto il tempo del mondo a disposizione. Si spostò alla finestra e scostò la tenda. Osservava le persone sulle loro auto, cercando quella di lei. Era in ritardo, di solito a quest'ora era già a casa. Non vi era alcun problema, si disse l'uomo. Anche qualche minuto di ritardo poteva andare bene, avrebbe poi rimediato lui a tempo debito. Ed ecco che una macchina girò in quella via. Subito afferrò il binocolo che teneva sempre appoggiato sul davanzale e la osservò da li. La vide scendere dalla macchina raccogliendo nel mentre la sua borsa, guardava mentre si sistemava i capelli ammirando il fatto che voleva sempre essere perfetta, come lui dopo tutto, per questo l'aveva scelta per prima. Era la più perfetta dei 6. La seguì fino ad arrivare all'ingresso del palazzo per poi vederla scomparire dietro la porta. Si doveva preparare. Tra poco lo spettacolo sarebbe cominciato e lui non voleva arrivare tardi al suo appuntamento. Tornò nella sala a prendere quel foglio, lo piegò attentamente con le mani coperte dai guanti. Non era stupido, sapeva come funzionavano quelle cose. Poi prese la pergamena che qualche giorno prima aveva chiuso con l'ausilio di più sigilli, quindi ne tolse uno. Prese la busta e ci mise al suo interno lo scritto e ciò che rimaneva del sigillo, ne incollò i lembi e la chiuse saldamente. Quanto voleva essere li al momento della lettura, ma non poteva avere tutto, si disse. L'adrenalina gli correva in corpo, era frenetico, incontrollabile, non vedeva l'ora che quel momento giungesse. Si diresse in cucina e osservò quel coltello che lo avrebbe aiutato nella sua opera. Sorrise ricordando ciò che gli disse il commesso quando lo acquistò in quel negozio di articoli per la caccia.

 

“é uno dei migliori coltelli. La lama è affilatissima. Taglierà la carne degli animali che cattura come se fosse burro.”

“Come burro dice?”

“Si un taglio netto e preciso”

“Lo compro. Sarà di certo adatto per il tipo di caccia a cui mi dedicherò”

 

Sulla lama lucida ed affilata del coltello si poteva specchiare il suo sorriso maligno.

 

“Tra poco. Tra poco ti metterò alla prova”

 

Detto questo usci dalla cucina, tornò in sala e prese il suo cappotto. C'era ancora una cosa che doveva fare. Consegnare la lettera prima di tutto. Senza quella sarebbe passato come un artista da 4 soldi e lui non voleva di certo questo. Doveva lasciare il segno, non era mediocre, lui era perfetto. Arrivò davanti al negozio ed entrò.

 

“Buonasera come posso aiutarla?”

“Ho bisogno che domani uno dei vostri fattorini consegni questa lettera alla polizia”

“Come alla polizia?”

“Si alla polizia. Sono documenti molto importanti che però non posso consegnare di persona per motivi che non posso spiegarle. Ma se la consegnerà contribuirà a un evento importante, si fidi di me”

 

Si era sporto sul bancone. Voleva che la donna seduta dietro di esso si ricordasse di lui, ogni minimo particolare della sua faccia, avrebbe reso più interessante il gioco, sopratutto perchè aveva il volto camuffato. Non vedeva l'ora di osservare la polizia andare alla ricerca di un fantasma.

 

“Va bene allora la farò consegnare, non c'è alcun problema”

“La ringrazio. Sapevo che potevo contare su di lei.”

 

Firmò poi il registrò attento che ogni singola lettera si capisse cosicchè gli agenti non avrebbero avuto problemi ad identificarla. Pagò la donna e se ne tornò a casa. In quel momento mentre alzava gli occhi al cielo ed osservava il sole scomparire dietro i grattacieli si chiese se la fuori ci fosse stato qualcuno capace di fermarlo. Impossibile, non vi era nessuno alla sua altezza. Nessuno avrebbe capito il filo conduttore che legava tutta la serie di eventi che la consegna di quella lettera avrebbe scatenato. Lui era il migliore, lui era perfetto, lui era Mikael, l'Angelo Vendicatore.

 

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Questa è una piccola anticipazione della nuova storia che sto scrivendo nel tempo libero, in modo da pubblicarla poi a settembre. É un inizio semplice, giusto per dare le basi alla trama che piano piano si sviluppa nella mia mente “malata”. Quindi un po' di pazienza e poi tornerò a postare con regolarità spero. Intanto buone vacanze a tutti.

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Capitolo 2
*** Tornare alla normalità ***


 

CAPITOLO 1

 

Erano trascorsi ormai 2 mesi da quando Beckett era stata rilasciata dall'ospedale. Le sue condizioni erano migliorate in poco tempo anche grazie al supporto di tutti i suoi amici. A turno andavano a trovarla a casa non facendole fare il minimo sforzo e, anche se all'inizio cercò di opporsi a tutte quelle attenzioni, nel giro di poco tempo ci fece l'abitudine e non obbiettò più quando vedeva Lanie prendere in mano l'aspirapolvere o Ryan ed Esposito destreggiarsi in cucina tra pentole e sughi. Era diventata una routine cenare tutti insieme almeno due volte a settimana. Ogni tanto riusciva anche a convincerli a farsi raccontare come andavano le cose al distretto in particolare se vi erano novità per quanto riguardava l'arrivo del nuovo capitano. La lunga lista di nomi che si era creata all'inizio ora era praticamente spoglia, rimanevano solo tre canditati e il sindaco avrebbe deciso a giorni chi fosse stato il più adatto al 12° distretto. Per quanto riguardava i casi invece era tenuta all'oscuro di tutto, non volevano farla sforzare, dicevano, quindi la sua unica fonte di informazione era il giornale ma non essere nel vivo dell'azione le dava molto fastidio. Riuscì a rileggere tutti i libri di Castle non avendo altro da fare e questo la diceva lunga sui suoi impegni in quelle ultime settimane. Suo padre veniva a trovarla quasi ogni giorno sempre prima di pranzo per passare qualche ora con lei prima di lasciare il posto agli altri suoi visitatori. Martha e Alexis la passavano a salutare ogni mattina prima di andare in qualche teatro o di andare a scuola e poi la ragazza non perdeva occasione di mandarle qualche messaggio per assicurarsi che stesse bene. Infine c'era lui. Castle. Mantenne e continuava a mantenere la sua promessa. Appena poteva le stava vicino portando piuttosto il portatile a casa di Beckett e abbandonando il suo sancta sanctorum piuttosto che lasciarla sola. Qualche settimana dopo esser tornata a casa avevano pure litigato. Kate sentiva di rubare ad Alexis e Rick il tempo che passavano assieme dato che l'uomo si era praticamente trasferito a casa sua. Alexis le disse che non vi era alcun problema, anzi era contenta che stessero cosi vicini, ma la donna non la vedeva cosi. Sapeva quanto era importante avere un genitore vicino sempre e perciò dopo quella discussione, che causò il non parlarsi per quasi due giorni, concordarono che Castle avrebbe passato da Beckett solo 3 notti a settimana, le altre sarebbe tornato a casa sua. Da li in poi era andato tutto bene. La detective camminava veramente tra le nuvole. Rick era fantastico, non le faceva mancare nulla, era attento ai suoi più piccoli bisogni, la faceva ridere quando la vedeva triste o la consolava quando gli incubi la tormentavano di notte. Seppur vi erano stati sforzi continui non si era trovato chi aveva tentato di ucciderla ma nessuno aveva abbassato la guardia. Per quello ci sarebbe stato tempo quando fosse tornata a lavoro. Avrebbe indagato nel suo tempo libero, di certo non avrebbe dimenticato quanto successo, anche perchè vi era una cicatrice sul petto li a ricordarglielo ogni giorno. Quando le tolsero la medicazione settimane prima Kate non pote fare a meno di distogliere lo sguardo. Era un segno abbastanza grosso di un colore rosso vivo. I medici la rassicurarono che con il tempo avrebbe preso il colore della pelle ma in quel momento la donna non riusciva a credere alle loro parole. Come al solito fu Castle a migliorare la situazione. Quando quella sera tornò a casa dall'ospedale lui era li a battere alla tastiera i primi capitoli del suo nuovo libro ma appena la sentì entrare abbandonò il portatile sulla scrivania e si diresse subito da lei. Notò i suoi occhi gonfi per via delle lacrime trattenute e subito l'avvolse nel suo abbraccio alla quale lei rispose senza esitazioni.

 

“Avresti dovuto farmi venire con te”

“E rischiare di sentire cosi una delle tue pazze teorie? “Dottore ma se la mia fidanzata avesse ancora qualche scheggia del proiettile nel corpo c'è la possibilità che si trasformi in una specie di automa mutante”

 

Castle rise a sentire la sua battuta e subito andò a spiegarsi.

 

“L'ho detto solo una volta per scherzare. Ti avevo promesso che avrei fatto il bravo. Gli avrei chiesto solamente se nel caso ci fosse stato ancora qualche scheggia avrei potuto appendere qualche calamita da frigo tutto qui”

 

Kate lo lasciò a mala pena finire prima di tiragli un leggero pugno nello stomaco che però lo beccò appena sotto le costole facendogli mancare per qualche secondo il respiro. La donna approfittò del momento in cui lui portò le mani la dove era stato colpito per sottrarsi al suo abbracciò, sentendolo commentare mentre si dirigeva in cucina.

 

“L'ho sempre detto che mi togli il fiato”

 

Scosse la testa mentre prese il cartone del succo d'arancia e ne bevve alcuni sorsi osservando con la coda dell'occhio l'uomo che intanto l'aveva raggiunta sempre tenendo però una mano sul punto ancora leggermente dolorante.

 

“Che bambino che sei”

 

Rick non rispose. Semplicemente gli prese il cartone dalla mano e lo posò sul ripiano della cucina iniziando a baciarla con trasporto. Lei quasi non si accorse che le sue dita stavano lavorando per slacciarle i bottoni della camicia che indossava per poi sentire il dito indice scorrere su tutta la lunghezza della cicatrice ora esposta ai suoi occhi.

 

“Castle no”

 

Disse lei indietreggiando di qualche passo tenendo chiusa la camicia con la mano destra mentre la sinistra passava agitata nei capelli.

 

“La vedrò prima o poi quindi tanto vale farlo ora”

“Non sono pronta”

“Ma io si.”

 

Più si avvicinava a lei più lei si allontanava da lui. Non voleva che lui vedesse quella cicatrice cosi rossa e brutta. Che ne avrebbe pensato? L'avrebbe ancora trovata bella come prima oppure avrebbe avuto ribrezzo di quel segno?. Indietreggiò ancora fino a sentire le gambe sbattere contro un mobile della cucina. Castle ne approfittò per intrappolarla appoggiando le mani sul ripiano di quello. Una ad ogni lato del suo corpo cosicchè non potesse scappare in nessuna direzione.

 

“Non puoi nasconderla Kate. Non devi nascondermela”

“Che male c'è se aspetti qualche settimana fino a che non assume un aspetto migliore?”

“C'è di male che non riuscirò a resistere qualche settimana senza vederti nuda quindi avanti, apri quella camicia. Subito”

 

Rick non avrebbe ceduto. Quando voleva qualcosa la otteneva, in passato ne aveva avuto la prova quindi sapeva già che quella era una partita che avrebbe perso. Fece un respiro profondo, abbassò il capo e rinunciò portando le mani lungo i fianchi in modo da lasciargli via libera. Lo scrittore posò gli occhi sul petto di lei andando lentamente a togliere il lembi della camicia dalla sua visuale. Quando vide la ferita inspirò e chiuse gli occhi. Non perchè in un certo modo lo impressionasse ma perchè gli ricordava quanto vicino era stato a perderla.

 

“Credo che con un segno cosi i miei sogni da modella siano finiti”. Cercò di sdrammatizzare la donna non udendo alcuna parola uscire dalla sua bocca. Rick era serio, estremamente serio, notò. Il suo dito però non si era spostato, continuava a fare su e giù lungo tutta la sua ferita e ancora non diceva nulla.

 

 

“Ogni volta che la vedrò mi ricorderò quanto sono stato vicino a perderti ma allo stesso tempo mi farà notare quanto sono fortunato ad averti qui con me. Anche se è brutto da dire è grazie a questa se ora sono cosi felice ed è una cosa che non posso negare”

 

“Quindi non avrò bisogno di nascondertela?”

“Mai. Non dovrai farlo mai. È una parte di te e già non ti riesco a immaginare senza”

 

In quell'istante le tornò il sorriso sulle labbra. Da Castle non c'era d'aspettarsi di meno, non era superficiale come gli altri, come aveva avuto il coraggio di pensare che l'avesse vista con occhi diversi solo perchè ora aveva quella cicatrice?!. Kate si rilassò alzandosi sulle punte e portando le braccia attorno al collo di lui prima di parlare tenendo le labbra a pochi centimetri da quelle dello scrittore.

 

“Allora vogliamo festeggiare?”

 

Ah come faceva a resistergli quando gli parlava in quel modo cosi sensuale, quando il suo corpo gli mandava tutti i segnali giusti. Deglutì a fatica sentendo le sue labbra morbide lasciare una scia infuocata lungo tutto il collo. Deliziosa tentatrice. Con riluttanza prese le braccia di lei togliendole dalle sue spalle per poi far scivolare le proprie mani nelle sue. Lei lo guardò piena di domande. Quel suo gesto la stupi.

 

“Ora non vuoi più far l'amore con me?”

“Lo vorrei più di ogni altra cosa credimi ma abbiamo un impegno e siamo già in ritardo”

“Che impegno?”

 

Da quanto poteva ricordare non aveva preso accordi con nessuno per vedersi in quella serata. Vero è che gli amici e i famigliari sapevano che oggi sarebbe andata a togliere la medicazione ma aveva già detto a tutti via messaggio che era andato tutto bene. Dove la voleva portare Castle?. Lui la osservava con quella sua espressione furbesca. Aveva in mente una sorpresa e lei non gli avrebbe cavato nessuna parola dalla bocca, nemmeno sotto tortura se lui era intenzionato a mantenere il segreto. Una sorpresa è una sorpresa e Beckett anche se non l'ammetteva mai le adorava.

 

“Stasera tu ed io andiamo al Tartufo D'Oro a goderci una cena insieme a Ryan, Jenny, Esposito e Lanie. Quindi se fossi in te mi andrei a mettere quel stupendo vestito argento che ti ho comprato la settimana scorsa cosi da poter andare”

“Grazie”

 

Andare a mangiare fuori con gli amici non era propriamente la cosa che desiderava far in quella serata ma uscire con loro le faceva sempre piacere. Erano serate spensierate che la facevano sentire di nuovo normale perciò non obiettò in alcun modo. Gli diede un altro veloce bacio e fece per dirigersi in camera a prepararsi ma lui tenendola ancora per una mano l'attirò a se. Vedendo il desiderio negli occhi del suo fidanzato pensò che alla fine quella sera avrebbero fatto tardi tutto sommato ma quello che fece Rick la lasciò sorpresa. Senza alcun preavviso le baciò la cicatrice lasciandola del tutto senza parole. Da quel momento divenne un gesto quotidiano. Castle non lasciava concludere un giorno senza prima baciarla anche in quel punto. E cosi il tempo passò e lei ogni giorno si ri innamorava sempre di più dell'uomo che aveva al suo fianco. Ora era li seduta sul divano tenendo saldò tra le mani “Heat Rises” intenta a leggerlo per la 5° volta. Era innamorata di quel libro, non poteva far a meno di sfogliarlo di tanto in tanto quando era a casa da sola. Senti la porta aprirsi e lui che annunciava il suo arrivo in quel modo che ormai era diventato il suo preferito.

 

“Tesoro sono a casa. È pronta la cena?”Questo la faceva sentire molto casalinga disperata e lui sapendolo si divertita a torturarla cosi. Ma se lui poteva giocare lo faceva anche lei ovviamente.

 

“Il pesce è già in forno, amore”

“Pesce?. Niente cinese oggi?”. Chiese lo scrittore stupito.

 

Lui intanto si era già tolto la giacca e ora si era inginocchiato dietro di lei dandole un veloce bacio sulla testa prima di portare le mani sulle sue spalle e iniziare a farle un massaggio. Quella si che era una routine che Beckett adorava. Inoltre Castle ci sapeva fare, eccome se ci sapeva fare. Una volta fu tentata a chiedergli dove avesse imparato ma alla fine preferì non farlo non volendo rischiare di sentire una storia delle sue che sicuro non voleva udire. Lasciò ricadere la testa sul bracciolo e lasciò che le sue mani magiche allentassero tutta la tensione che durante una giornata a non far nulla accumulava.

 

“No, per oggi niente. Mio padre è passato portandomi un invitante persico e allora ho pensato di cucinartelo. Te lo sei meritato”

“Perchè sono uno straordinario compagno di vita? Senza parlare delle mie abilità a letto”

“No stupido. Perchè sò che hai parlato con il sindaco”

“Ah ecco. Per un attimo ho sperato che fosse per il mio motivo”

“Vieni qui”

 

Beckett alzò la testa dal bracciolo, richiuse il libro e l'appoggiò sul tavolinetto invitando l'uomo a unirsi a lei sul divano. La sua intenzione era quella di sedersi una di fianco all'altro per parlare ma lui fu più veloce e in un attimo premette il suo corpo muscoloso contro quello più fragile di lei.

 

“Comodo?”

“Si. É il mio posto preferito in effetti”

 

In risposta ricevette solo un colpo sulla spalla e una sincera risata da parte della donna. Vedendo la sua testa rivolta all'indietro lasciando cosi l'esile collo scoperto non si trattenne e subito andò a posarvi più baci che dalla spalla salirono fino all'orecchio. Perchè ogni volta che dovevano parlare di cose serie Rick si comportava cosi, facendole dimenticare quello di cui voleva discutere? Sentire poi la sua mano metterle una gamba attorno ai suoi fianchi e l'altra trovare la propria strada sotto la sua maglietta non l'aiutava di certo. Emettendo un suono di frustrazione più contro di lei che lo stava fermando che contro di lui gli prese la testa tra le mani sollevandola prima che le facesse raggiungere il punto di non ritorno.

 

“Che succede?”Gli chiese lui leggermente infastidito da quell'interruzione.

“Che ha detto il sindaco?”

“Uhm. Non te lo dico. Prima devi meritartelo”.E cosi tornò ad affondare la propria testa nel collo di Beckett.

“Sarai tu che non ti meriterai niente se non me lo dici”. Disse lei odiandosi infinitamente in quel momento. Ma la curiosità era tanta, di tempo per festeggiare ne avrebbero avuto a sufficienza dopo.

 

Il sentire le parole della donna sembrò smuoverlo tanto che brontolando portò le braccia ai lati di lei per tenersi sollevato sopra il suo corpo e andò a guardarla senza preoccuparsi di nascondere il suo disappunto.

 

“Lo sai che non sopporto quando fai cosi. Comunque il sindaco ha detto che non essendoci ancora nessun capitano hai bisogno del suo benestare per tornare al lavoro e rassicurandolo che ti avrei tenuta d'occhio ha acconsentito di farti tornare a lavorare al distretto.”

“Quando?”. Chiese lei entusiasta di sentire quella notizia. Sapeva che le sarebbero aspettati giorni tranquilli alla scrivania ma non le importava. Già essere al distretto la rendeva più che felice.

“Anche domani se vuoi ed io sarò li con te”. Le rispose lui sorridendo vedendola cosi felice. Il sindaco non era intenzionato a farla tornare cosi presto ma Castle sapeva che ormai si stava spazientendo, tempestando di continue chiamato lui, Lanie, Ryan ed Esposito per farsi dire quali casi interessanti erano saltati fuori durante la giornata. Quindi per salvare se e i suoi colleghi da un possibile esaurimento nervoso era intervenuto in prima persona.

 

“Contenta?”

“Si. Ora puoi anche riprendere da dove ti eri fermato” Gli disse tirandolo verso di se afferrandogli il colletto della camicia, scollegando il cervello e lasciandosi guidare solo dalle emozioni.

 

***

 

Finalmente era li. Era tornata nella sua seconda casa. Quando le porte dell'ascensore si aprirono permettendole di entrare nel distretto si senti completa. Respirò a pieni polmoni e si diresse verso la sua scrivania con a fianco il suo inseparabile compagno. Ma fece a mala pena in tempo a fare due passi che notò un enorme striscione appeso al muro “Bentornata”. Subito si voltò verso Castle che sorrideva da orecchio a orecchio e che appena la vide guardarlo in malo modo alzò le braccia in sua difesa.

 

“é stata un idea di quei due compari la”. Disse indicando Ryan ed Esposito che si avvicinarono alla coppia sorridendo e abbracciando la donna dandole un caloroso benvenuto.

“Questa volta dice la verità, l'idea è stata nostra”. Parlò Esposito andando a salvare lo scrittore dal passare una notte sul divano.

“Siamo contenti di riaverti qui. Si sentiva la tua mancanza. Vedere la tua scrivania vuota faceva uno strano effetto. Però non abbiamo toccato nulla cosi puoi trovare tutto come l'avevi lasciato” Aggiunse Ryan leggermente commosso.

“Grazie ragazzi è stato un pensiero davvero carino il vostro”

 

Mentre stavano parlando un uomo sali le scale e si diresse verso di loro. Nelle sue mani una busta. Non voleva disturbare quel quadretto ma era importante. Diede un leggero colpo di tosse per attirare l'attenzione.


“Velaquez come posso aiutarti?”. Disse Kate vedendo uno degli agenti che di solito si occupava di furti e rapine.

“Sono contento di rivedervi detective. Ho questa lettera da darvi. Appena l'abbiamo letta abbiamo capito che era meglio passarla a voi”. L'uomo accennò un leggero sorriso prima di farsi serio, anzi preoccupato se non intimorito.

“Grazie Velaquez vai pure” L'uomo scompari pochi secondi dopo da quanto fu veloce a lasciare quel luogo quasi come se quella busta contenesse una bomba. Ancora prima di leggerla Beckett intuì già che il suo primo giorno di lavoro dopo la riabilitazione non sarebbe stato una passeggiata.

 

 

Direttamente dalla spiaggia, con connessione lenta stile lumaca, ecco il nuovo capitolo, mi dispiaceva farvi attendere a lungo ahaha. Ho provato a ricontrollarlo ma la luce del sole riflessa non collaborava molto :). Appena potrò metterò gli altri e controllerò questo. Se vedete grossi strafalcioni ditemelo pure che correggo subito. Comunque sia buon proseguimento delle vacanze.

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Capitolo 3
*** 1° sacrificio ***


 

CAPITOLO 2

 

Non era ancora l'alba quando l'uomo si svegliò. Aveva un lavoro da fare e non poteva lasciarsi intralciare dalla pigrizia. Si alzò e andò a prepararsi. Non doveva dimenticare nulla, non poteva lasciare nulla al caso. Controllò e ricontrollò e quando fu certo di aver tutto con se indossò parrucca, cappello e mise pure un maglione. Non gli importava se con quell'indumento addosso avrebbe patito il caldo, non poteva correre il rischio che la donna lo graffiasse rischiando di farsi rintracciare grazie al dna. Era un fastidio che non gli pesava pensando al risultato. Preparatosi uscì dalla sua camera e si diresse verso il palazzo di fronte dove la sua vittima ignara lo stavo aspettando. Camminava lentamente, con passi leggeri. Non voleva che in alcun modo qualcuno notasse la sua presenta. In quel momento per tutti doveva essere solo un ombra. Non era ancora giunto il momento di mostrarsi al pubblico anche se quell'idea lo allettava. Desiderava che tutti ammirassero la sua bravura, il suo intelletto, ma sarebbe stato troppo rischio e all'iniziò della sua opera tutto doveva andare come nei piani. Tutto doveva essere perfetto. Si perfetto. Dopo quel giorno per lui quella parola avrebbe assunto un significato diverso. Arrivò all'ingresso del palazzo ed estrasse dal giubbotto che indossava un mazzo di chiavi dal quale ne spiccavano due colorate, una verde e una gialla, copia di quella della porta d'entrata dell'edificio. Gli era bastato semplicemente, qualche mese prima, fingersi un idraulico e introdursi con l'inganno a casa di una signora anziana, fare il calco della chiave e portarlo in ferramenta. Salì le scale pregustando quel momento. Le mani gli tremavano da quanto era impaziente ma al momento giusto le avrebbe avute ben salde. Arrivò alla porta di lei. Estrasse la seconda chiave, quella verde. Era stato più difficile prenderla quella. Una mattina mentre la donna stava uscendo dal palazzo aveva fatto apposta a finirle contro, facendo cadere la borsetta. Offrendosi di aiutarla a raccogliere le cose sparse per terra aveva preso la chiave e fatto velocemente un calco con della creta prima di ridargliele come se nulla fosse stato. Entrò lasciandola socchiusa e muovendosi lentamente per la casa cercò la sua camera da letto. Lei era li beata che dormiva, senza sospettare la ben che minima cosa, senza immaginare che quel suo sonno sarebbe durato in eterno. Si inginocchiò vicino al suo letto ad osservarla. Era perfetta, davvero perfetta. Estrasse dalla tasca la sua bottiglietta di cloroformio e un fazzoletto. Ne versò un po' sopra di questo e poi lo portò verso la bocca e il naso della donna ma prima c'era altro da fare.

 

“Ehi sveglia”. Disse ad alta voce.

 

La donna subito si svegliò. Le ci volle qualche secondo per distinguere il sogno dalla realtà ma quando vide quell'uomo fece per urlare terrorizzata ma lui fu più veloce bloccandola con il fazzoletto imbevuto con quel potente narcotizzante. Mentre lei sprofondava in uno stato incosciente senti ancora dirsi dall'uomo.

 

“Muori con la consapevolezza che il tuo sacrificio aprirà le menti a molti”

 

Quando la donna ormai era svenuta iniziò a cercare con attenzione una valigia, attento a non spostare nulla. Avrebbe potuto usare una della sue ma non voleva che rimanessero tracce sul corpo della donna di cose che non le appartenevano. Cosi sarebbe stato più sicuro. Trovata una valigia abbastanza grande l'aprì mettendola per terra e con attenzione scostò le coperte dalla donna e la trascinò delicatamente giù dal letto per poi chiuderla dentro di quella. Uscì dalla stanza, chiuse la porta e si diresse alle scale. L'ascensore aveva una telecamera, non poteva prenderlo. Sollevò la valigia che pesava relativamente poco nonostante il corpo della donna dentro di essa e scese quegli scalini. Uscì dal palazzo e si diresse verso la sua macchina voltandosi di tanto in tanto ad osservare la valigia assicurandosi che tutto andasse secondo i piani. Con delicatezza la sollevò e la mise nel bagagliaio, si sedette al posto del guidatore e partì. Sapeva benissimo dove andare. Il posto l'aveva trovato cosi per caso passando per quella strada una volta e subito capì che quello era il luogo dove si sarebbe svolto il primo atto del suo capolavoro. Arrivò in quell'edificio abbandonato e salì per le scale antincendio fino ad arrivare al tetto. Li aprì la valigia prendendo il corpo della donna sulle spalle come fosse un sacco di patate e si arrampicò per quella scaletta che lo portò al portellone della cisterna d'acqua. Negli ultimi mesi aveva pensato anche a quello. Un paio di giorni a settimana si recava sull'edificio e modificava la cisterna. Aveva allargato il portellone in modo da poterci fare passare un corpo senza fatica e aveva chiuso quasi tutti i buchi dell'acqua non volendo che la cisterna si riempisse a dismisura. Ci aveva pensato lui due giorni a portare più e più taniche d'acqua salata in modo da raggiungere il livello perfetto. Ci aveva messo quasi 10 ore ma alla fine ne uscì soddisfatto. Appoggiò il corpo della donna ancora svenuta sulla piccola passatoia che correva lungo tutta la circonferenza della struttura ed estrasse il coltello che aveva messo in precedenza in tasca. Aprì il portellone e vide l'acqua raggiungere quasi il livello di quello. Non avrebbe fatto fatica a metterci il corpo della donna. La sollevò e la sistemò all'interno della cisterna. Avendo salato l'acqua in precedenza il corpo stava a galla senza il bisogno che si nuotasse e questo giocava a suo favore. Con una mano prese il braccio sinistro della donna passando un dito attorno l'esile polso, seguendo la linea violastra tracciata dalla vena e sentendo il leggero battito sotto il suo pollice. Con il coltello fece un taglio netto sul polso osservando il sangue che iniziava ad uscire copioso dalla ferita e lo stesso fece con l'altro braccio prima di concludere tagliando la gola alla donna. Sorrise soddisfatto nel vedere l'acqua colorarsi poco a poco di rosso. Tutto era perfetto. Il primo atto del suo capolavoro era concluso. Voleva star li ad osservare la vita che poco a poco abbandonava la donna ma di li a poco sarebbero arrivati i poliziotti e non era il caso di farsi trovare sulla scena del crimine. Scese dalla cisterna e riprese la valigia uscendo dall'edificio usando le stesse scale che aveva percorso per salire. Arrivato alla macchina prese quel cellulare rubato la settimana precedente e fece una chiamata.

 

“Vigili del fuoco. Come posso aiutarla?”

 

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Ed ecco il serial killer in azione. Non volevo esagerare troppo non volendo rientrare nella categoria splatter ma ho cercato di spiegare al meglio il suo modo di agire, sperando di avervi dato in idea chiara di come si svolge la scena.

 

Connessione “spiaggesca” permettendo pubblicherò presto.

 

Grazie infinite per i commenti

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Capitolo 4
*** Sangue ***


 

 

CAPITOLO 3

 

Beckett aprì un cassetto della scrivania e trovò la confezioni di guanti in lattice la dove l'aveva lasciata. Non avevano davvero spostato nulla, osservò. L'indossò e aprì la busta con Rick alle spalle che cercava di spiare e Ryan ed Esposito appoggiati alla sua scrivania che aspettavano di vederne il contenuto. Fece per estrarre la lettera quando notò qualcosa cadere ai suoi piedi. Rick subito si abbassò per prenderla ma in cambiò gli venne solo pestata la mano da Beckett.

 

“Ahi ahi il tacco. Beckett mi fai male”. Diceva cercando di togliere il palmo della mano da sotto la sua scarpa ma lei ancora non lo lasciava andare. Lei sorrise soddisfatta, almeno si era ricordato del loro accordo. A lavoro si sarebbero dovuto chiamare sempre Beckett e Castle, come avevano sempre fatto. Ma di Rick non bisognava mai fidarsi completamente.

“Dai tesoro mi stai facendo un buco nella mano”. Beckett senza staccare gli occhi dall'oggetto che era caduto a terra premette più forte per poi guardare minacciosa l'uomo.

“Come mi devi chiamare qua in ufficio?”

“Beckett. Eddai su mi ero dimenticato. Chiedo scusa” Le diceva guardandola con quell'aria da cagnolino bastonato a cui lei raramente riusciva a resistere e peccato per lui questa era una di quelle rare volte.

“Quasi quattro anni che lavori qui e ancora non hai imparato che se vuoi toccare qualcosa devi avere su i guanti”. Disse togliendo finalmente il tacco dalla sua mano e abbassandosi lei a prendere l'oggetto. Ryan ed Esposito intanto stavano ridacchiando contenti. Quanto gli erano mancate quelle scene. Senza loro due il distretto era diventato noioso. Ora si che sarebbero tornati a divertirsi.

Beckett osservava l'oggetto ora posato sul palmo della sua mano. E altre tre paia di occhi si unirono ai suoi.

 

“Che cos'è?” Chiese sperando in una risposta negli altri.

“A me sembra un tappo”. Rispose Ryan in tempo per beccarsi uno scappellotto da Esposito che subito ribatte.

“Ti pare che un tappo possa essere cosi grande e piatto, non ha nemmeno il bordo seghettato”

“é un sigillo di cera”. Disse Rick prendendolo tra le mani ora coperte dai guanti. Lo sollevò alla luce cosi da poterlo vedere meglio e continuò la sua spiegazione.

“Avete presente le pergamene antiche? In passato non piegavano i fogli ma li arrotolavano e li sigillavano con un po' di cera. E questo appunto è il sigillo di una pergamena. Di solito veniva impresso sopra il simbolo della casata dell'autore dello scritto e ora sto guardando se c'è qualcosa”

 

I tre lo guardavano perplessi. Chi mai avrebbe mandato un sigillo alla polizia? però Castle sembrava più che convinto di quanto diceva perciò lo lasciarono fare.

 

“Ah ah ecco. In controluce si vede benissimo. È il simbolo di una piramide con un punto al centro”

“Una piramide?”

“Si”

“Con un punto al centro?”

“Esatto”

“Sei del tutto impazzito Castle”

 

Castle guardava la propria fidanzata sentendosi offeso, sentendo la propria intelligenza messa in discussione. Le sue intuizioni era sempre esatte, o meglio quasi sempre, perchè non potevano esserlo anche questa volta.

 

“Magari è il simbolo di qualche setta segreta? Qualcuno ci vuole informare su qualche cospirazione nazionale volta a minare le basi della nostra nazione. Ci stanno per rivelare i piano per spodestare il presidente e prendere loro il potere, ci stanno...”

“Se la smetti con le tue teorie insane posso leggere la lettera e scoprire cosa vogliono”

 

Castle si zitti all'istante e si mise seduto sulla propria sedia mentre Beckett prese posto sulla sua. Tirò fuori la lettera dalla busta e iniziò a leggere nella propria mente quanto vi era impresso sopra. I tre uomini attorno a lei notarono subito le diverse emozioni che si manifestavano sul suo volto e ciò li preoccupò. Che c'era scritto su quei fogli?!.

 

“Detective tutto a posto?” Chiese Esposito preoccupato ricevendo un no come risposta da parte della donna. Beckett si prese qualche secondo per riprendersi e poi cominciò a leggere in modo che anche gli altri fossero informati su quanto ci era scritto su quel foglio.

 

L'ora è giunta. L'umanità ha raggiunto il punto più critico di tutta la sua storia e tocca a martiri come me far comprendere loro i propri errori ed aiutarli a redimersi prima che giunga il momento del giudizio finale. Diversi segni si susseguiranno e solo chi riuscirà a interpretarli dimostrerà di avere un cuore puro e meriterà di essere salvato, per gli altri solo l'eterna dannazione. La mia opera è già cominciata, il primo sacrificio è stata compiuto. Vi darà la forza necessaria per fermarmi oppure vi ha abbandonato? Firmato Mikael”

 

Nessuno dei quattro sapeva cosa dire. Quella lettera era stata di certo scritta da un pazzo e appunto per quello poteva significare molte cose e nessuna di quelle positiva. Quest'uomo li stava sfidando e la posta in palio era alta da quanto potevano intuire.

 

“Aspettate questo Mikael qua è una specie di guru che sostiene che la fine del mondo è vicina e che quindi dobbiamo salire sulla sua navicella spaziale per viaggiare alla ricerca di un pianeta ospitale?”

“Non credo proprio Castle. Abbiamo già avuto a che fare con falsi santoni e non ci si avvicinavano nemmeno a questo” Gli rispose Esposito serio come non mai. Castle lavorerà con loro da molti anni ma non aveva ancora del tutto sviluppato quel sesto senso di quando le cose si sarebbero messe veramente male.

“Andiamo ben oltre. Mentre gli altri guru, come li definisci tu, cercavano di non attirare troppo l'attenzione per non avere il fiato della polizia sul collo questo invece vuole che gli diamo la caccia. Vuol dimostrare di essere superiore e questo lo rende più pericoloso” Continuò a parlare Ryan spiegando allo scrittore altre piccole sottigliezze a cui non aveva mai fatto caso fino ad ora. Più criptica una persona era più pericolosa si sarebbe dimostrata in quanto non lasciava indizi su quello che voleva fare perciò bisognava aspettarsi di tutto, bisognava aspettarsi il peggio.

“Si ma che vuole allora?”. Insistette Castle sperando che qualcuno gli rispondesse, che qualcuno facesse un po' di chiarezza nel buio che ora invadeva la propria mente. In quel momento il telefono di Beckett squillò e tutti si voltarono a vedere la donna che fino ad ora non aveva ancora espresso la sua opinione a riguardo.

 

“Ho come la sensazione che presto sapremo che cosa vuole”

 

Detto questo prese il suo cellulare e notò comparire il numero di Lanie. Forse voleva solo sapere come stava o sapendo che oggi era il giorno in cui sarebbe tornata in ufficio voleva invitarla in obitorio cosi da parlare un po' come ai bei vecchi tempi. Ma tutti quei buoni propositi svanirono appena la senti parlare.

 

“Arriviamo subito”Disse disconnettendo la chiamata.

“Che succede?” Chiesero i tre uomini insieme.

“Hanno trovato un corpo a Tribeca ed è il caso che andiamo a dare un occhiata”

 

Ryan ed Esposito corsero subito alla loro scrivania per prendere giacca e distintivo e poi andare verso l'ascensore per scendere nel parcheggio e recuperare la loro macchina mentre Castle e Beckett erano ancora li davanti alla scrivania di lei.

 

“Dove pensi di andare?” Le chiese lo scrittore.

“Ehm. Sul luogo del delitto forse?” Gli rispose lei cercando di superarlo ma non riuscendovi.

“Eravamo d'accordo che all'inizio non ti saresti stancata. Che avresti fatto lavoro d'ufficio”. Castle era preoccupato, visibilmente preoccupato, ma Beckett sapeva che doveva andare la, doveva vedere con i suoi occhi quanto era accaduto. Era il suo lavoro quello, non rimanere seduta su una sedia tutto il giorno a leggere rapporti e ad osservare il lavoro degli altri. Quella non era lei.

“Rick sto bene d'accordo? E poi mi conosci. Ti darei giusto il tempo di scendere nel parcheggio che io già sarei in strada a chiamare un taxi per raggiungervi quindi tanto vale venire con te no”

“Starai attenta?”

“Sempre”

 

Detto questo lo baciò quasi volesse in quel modo scacciare tutti i timori, le paure che ora lo insediavano. Ma era un bacio anche per lei. Sentirlo cosi vicino le dava sicurezza, le dava la convinzione che tutto sarebbe andato bene e ora come ora ne aveva bisogno. Sentiva che stava per succedere qualcosa di brutto e che quel cadavere sarebbe stato solo il primo e in quel momento non voleva pensarci, in quel momento esistevano solo lei e Castle.

 

“Ma non erano vietati anche i baci al distretto?”Chiese lui sorridendo da orecchio a orecchio.

“Smettila stupido e andiamo. Gli altri ci stanno aspettando.”

 

Trovarono subito il palazzo a causa di tutta la folla che già si era radunata attorno ad esso. Beckett mostrò il distintivo ad uno dei poliziotti che erano di guardia a controllare la folla e poi alzò il nastro giallo passandoci sopra seguita sempre da Castle. Un altro poliziotto le indicò di salire fino al tetto e cosi fece assieme allo scrittore.

 

“Addirittura i pompieri?! Facciamo le cose in grande oggi”

“Smettila Castle” Le disse Beckett voltandosi e guardandolo con una faccia che non ammetteva ulteriori commenti a riguardo.

 

Arrivarono sul tetto e osservarono la cisterna sulla quale ora si trovavano due pompieri e Lanie. Vedendo i due appena arrivati Ryan ed Esposito gli si fecero incontro per informarli su quanto avevano appena scoperto.

 

“I pompieri questa mattina hanno ricevuto una chiamata in cui si richiedeva il loro intervento per quella cisterna ritenuta pericolante. Appena arrivati hanno guardato dentro e hanno trovato il cadavere. La vittima è una donna, approssimativamente sui 30-35 anni. Qualcuno l'ha buttata dentro quella cisterna mezza piena d'acqua facendola morire dissanguata”. Disse Esposito cercando di rimanere il più distaccato possibile come faceva di solito. Se aveva imparato una cosa nel corso degli anni era quella di non farsi influenzare dalla scena del crimine. In seguito Ryan aggiunse.

 

“Le hanno tagliato i polsi e la gola. Secondo voi c'entra con la lettera che abbiamo ricevuto?!”

 

“Fin quando non avremo la certezza valuteremo tutte le strade. Andiamo Castle”

 

I due iniziarono a incamminarsi verso la cisterna senza dire una parola. Beckett non credeva possibile che l'omicidio fosse inerente a quanto ricevuto quella mattina però sarebbe stata una strana coincidenza ricevere la lettera e poco dopo scoprire il cadavere. Arrivarono ai piedi della struttura e aspettarono che i due pompieri scesero cosi da aver spazio per salire la dove vi era Lanie. Castle andò per primo, per assicurarsi che gli scalini fossero ben saldi, per poi allungare la mano verso Beckett per aiutarla a salire.

 

“Che galante”

“La mia ragazza merita il meglio”

“Quando voi due piccioncini avete finito vi ricordo che abbiamo un cadavere qui”

 

Era Lanie che cercava di attirare la loro attenzione senza però staccare gli occhi dalla cartelletta che aveva sulle ginocchia e stava compilando con i dettagli riguardanti la vittima. Castle e Beckett si avvicinarono sbirciando dentro la cisterna. La donna era rivolta a pancia in su, polsi e gola tagliati, e l'acqua tutta intorno era diventata rossa per via del sangue.

 

“Wow”

“Già bello spettacolo vero Castle. Potresti metterlo nel tuo prossimo libro”

“Si in effetti potrebbe essere interessante”

 

L'uomo fissava ancora la scena mentre la detective si era inginocchiata per vedere meglio il cadavere. Niente segni di lotta, niente abrasioni, niente ferite. Nulla di nulla.

 

“Come hanno fatto a portarla qua Lanie?”

“Non lo so. Appena la tiriamo fuori da qui e le faccio l'autopsia saprò darti informazioni più precise”

“Secondo te quando l'hanno uccisa?”Chiese Castle ora osservando il medico che nel mentre stava chiamando altri agenti per spostare il cadavere.

“Difficile a dirsi. Devo prima accertarmi che la temperatura dell'acqua non abbia alterato quella del corpo però direi dalle 4 alle 6 ore fa.”

“Quindi l'autore della lettera potrebbe essere l'assassino”

“Quale lettera?”

“Nulla di importante”

 

Kate aveva osservato in silenzio i due che parlavano concentrandosi di più a trovare qualunque minimo indizio dentro e fuori la cisterna, sul corpo della donna o sullo sportello della costruzione, ma nulla non c'era nulla. Un lavoro perfetto.

 

“Stamattina è arrivata al distretto una lettera in cui un pazzo avvisa che accadranno cose molto interessanti nel prossimo futuro”Disse Castle informando Lanie di quanto accaduto. Anche se secondo Beckett non c'entrava con l'omicidio non voleva dire che non era interessante. Non gli era mai capitato di ricevere quelle lettere, o meglio non lui ma il distretto.

“E voi pensate che possa avere qualche legame con questo omicidio”

“Si”

“Assolutamente no”. Risposero insieme i due. Rick sorrideva, Beckett scrollava la testa. Ma come poteva far viaggiare cosi tanto la mente, erano cose assurde, anche se nulla doveva essere eliminato a priori.

“Ma quanto mi è mancato vedervi fare questo”. Disse il medico legale tutta contenta osservando poi Beckett che cercava di nascondere un sorriso inclinando la testa. Fece per farglielo notare ma fu subito bloccata dalla detective.

“Non ci provare. Piuttosto informaci appena hai qualche informazione in più”

“Poco ma sicuro ragazza”

 

Cosi scesero di nuovo dalla scaletta e raggiunsero gli altri due detective che intanto stavano parlando di tutto tranne che del caso.

 

“Forse sarà ancora presto ma controllate se qualcuno ha già inoltrato qualche denuncia per persona scomparsa. Forse è sposata o fidanzata e quindi la stanno cercando”

“Facciamo subito”Risposero i due insieme.

 

 

Beckett osservò i due colleghi prendere i loro cellulari e iniziare con le telefonate. Anche se a volte si comportavano da bambini, come qualcuno di sua conoscenza, quando si trattava di lavoro erano più che efficienti e lei non avrebbe voluta una squadra migliore, degli amici migliori. Era li in piedi a non far nulla ma sentiva benissimo Castle che la osservava. Ormai aveva come un sesto senso. Ogni volta che i suoi occhi gli si posavano su una parte del suo corpo lei si sentiva una scia di calore lungo tutta la schiena.

 

“Avanti parla”

“Visto che Mimi e Cocò si occupano di questo caso perchè noi non ci concentriamo sulla lettera?”

“é già nelle mani della scientifica che sta la sta analizzando alla ricerca di impronte e saliva. Ma tanto non troveranno nulla”

“Perchè dici cosi?”

“Perchè sarebbe troppo semplice e quando mai noi abbiamo casi semplici”

 

Castle la osservò dirigersi verso la porta che portava all'interno del palazzo cosi da poter lasciare il tetto. Non riusciva a capire se pure lei ci credeva o meno a quella lettera. Forse era scettica ma una parte di lei comunque non abbandonava la possibilità che poteva esserci qualcos'altro sotto.

 

“Allora non escludi totalmente l'idea che forse c'entri qualcosa?” Gli chiese lui rincorrendola per poter scendere le scale assieme. Inoltre voleva controllare che non si affaticasse troppo. Era appena tornata a lavoro e già stava lavorando sul campo. Su un edificio di tre piani, con molte, moltissime scale, pensò lui facendo gradino dopo gradino e iniziando ad avere il fiato corto.

 

“Abbiamo messo su un po' di pancia in questi mesi non è vero Castle?”. Lo stuzzicò lei vedendolo riposarsi per qualche istante contro il corrimano.

“Tutta colpa di una cuoca che mi tenta sia a pranzo che a cena. Ma ancora non mi hai risposto”. Le ricordò lui raggiungendola sul pianerottolo dove lei lo stava aspettando.

“Non escludo mai niente lo sai. Ma per ora, per me, rimane un omicidio come tutti gli altri. Appena sapremo l'identità della vittima cercheremo i suoi famigliari e amici, li interrogheremo e valuteremo se tra di loro si possa nascondere il nostro assassino. Procedura standard Castle o te ne sei dimenticato?”

“Il fatto è che noi raramente seguiamo la procedura standard e risolviamo i casi molto meglio”

 

Arrivarono all'ingresso del palazzo dove ora oltre alla folla si erano accalcati anche giornalisti che volevano sapere cosa fosse accaduto. Beckett prese per un braccio Castle e lo trascinò lontano da tutte quelle persone. Mancava solo che i giornalisti si fermassero a intervistarlo. Heat Rises aveva avuto un successo inimmaginabile, ancora più grande rispetto a i due precedenti. Le critiche lo trovarono entusiasmante ma allo stesso tempo esaltarono anche il rapporto tra i due protagonisti definendolo “un rapporto travagliato come quello tra Nikki e Rook non si è mai visto cosi ben descritto. L'autore ha dato il meglio di se nel riportare i reali sentimenti dei due protagonisti”. Beckett non poteva essere più d'accordo però ciò aveva portato a un aumento anche della sua fama e quindi dei paparazzi che gli giravano attorno. Senza contare di quando durante un intervista a Castle è “accidentalmente” scappato il fatto di essere fidanzato con la sua musa. Quella sera Beckett l'avrebbe ucciso se solo avesse avuto tra le mani la sua pistola. Voleva tenere segreta ancora per un po' la relazione ma Rick a differenza voleva urlarlo ai quattro venti e in un certo modo lo fece. Il giorno dopo erano già su tutte le copertine dei giornali.

 

“E ora che facciamo?” Chiese lui una volta raggiunta la macchina.

“Per ora niente. Fin quando non ci arrivano maggiori informazioni dobbiamo aspettare. Vediamo cosa ci dirà Lanie dall'autopsia e se Esposito e Ryan riescono a capire chi sia la donna”.

 

I due salirono in macchina e si diressero al distretto cosi da iniziare ad appuntare quelle poche informazioni che avevano a riguardo. Intanto tra la folla due occhi li guardavano allontanarsi.

Aveva letto molto di loro. Del fatto che lavorassero insieme. Aveva capito che Beckett era la migliore in quel campo e lui non avrebbe potuto desiderare un'avversaria più qualificata di lei. I giochi si facevano più interessanti e lui non vedeva l'ora di continuare a giocare.

 

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Continuando ad approfittare della connessione posto quando posso , e ora infatti lo faccio :P. E cosi i nostri protagonisti scoprono il primo cadavere e la lettera. Inizia cosi la caccia all'assassino.

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Capitolo 5
*** Interrogatorio ***


 

CAPITOLO 4

 

Castle era seduto sulla sua sedia concentrato. Faceva andare su e giù uno yoyo che aveva comprato qualche settimana prima quando aveva accompagnato Alexis al luna park. Cercava di inventarsi nuove mosse, faceva rotolare quel gioco per terra, si divertita a farlo illuminare. Tutto ciò infastidendo Beckett che invece era seduta davanti al proprio computer a visionare la lista delle persone scomparse, cercando di dare un nome alla donna trovata qualche ora prima. Teneva continuamente d'occhio anche il cellulare. Di li a poco si aspettava una chiamata da Lanie. L'autopsia dovrebbe già essere finita, si diceva.

 

“Cavolo” Senti provenire dalla propria sinistra. Nemmeno si voltò a guardare cosa avesse combinato lo scrittore evitando cosi di farsi crescere il nervoso. Poi un altra voce attirò la sua attenzione.

 

“Chi è quell'imbecille che mi ha tirato addosso questo giocattolo per bambini facendomi rovesciare il caffè?” Riconobbe subito la voce. Era dell'agente Kasik. Un ex guardia del corpo molto irascibile.

 

“Scappa Castle”. Si limitò a dire senza staccare gli occhi dallo schermo mentre con la coda dell'occhio notò l'uomo alzarsi velocemente dalla sedia e dirigersi nella direzione opposta da dove stava arrivando l'agente.

 

“Credo si sia nascosto nella caffetteria”. Suggeri la donna a Kasik che fu ben lieto di ricevere quel piccolo indizio. Castle doveva imparare a comportarsi adeguatamente al distretto e forse con l'aiuto dell'agente avrebbe capito che era il momento di iniziare a fare il bravo.

 

“Grazie Beckett. Cercherò di non fargli troppo male”. Disse l'uomo iniziandosi a sgranchire i muscoli e facendo scrocchiare le dita delle mani mentre si dirigeva verso quella saletta. Kate per un attimo pensò di aver esagerato ma i suoi sensi di colpa furono interrotti sul nascere quando Lanie la chiamò. Abbandonò la sua scrivania, prese la giacca e corse giù in obitorio. Era davvero curiosa di sapere i risultati inoltre stava aspettando ancora che quelli della scientifica le dicessero qualcosa riguardo alla lettera. Che le due cose fossero state davvero collegate?

 

“Ciao Lanie”. Disse la detective entrando nella sala autopsie indossando il camice azzurro e guanti in lattice non volendo inquinare in alcun modo le prove.

 

“Ehi tesoro. Dov'è il tuo fidanzato?”. Chiese il medico legale stupita di non vedere lo scrittore assieme alla detective. Era una cosa rarissima e questo la fece preoccupare per un istante. Che avessero litigato? Uhm no. Beckett stava sorridendo quindi c'era altro sotto.

 

“Credo che stia giocando a nascondino con Kasik”. Commentò semplicemente Kate osservando il cadavere della donna ora ripulito da tutti i grumi si sangue secco.

 

“Sai che ti tornerà a casa a pezzi?”

“Forse, gli servirà di lezione. Allora che mi dici?”

 

 

“Dalla temperatura del corpo e del fegato posso dire che è morta intorno le 5-7 di questa mattina. La causa della morte com'è ben capibile è stata dissanguamento. L'assassino ha praticato due tagli abbastanza profondi da recidere le vene sui polsi e una al collo che le ha reciso la carotide. Sotto le unghie non ho trovato nessuna traccia di dna e anche sulle braccia o altre parti del corpo non ho riscontrato segni di lotta”. Diceva il medico spiegando e indicando di volta in volta il punto in cui stava parlando.

 

“Quindi conosceva il suo assassino?”. Era probabile altrimenti se fosse stato uno sconosciuto la donna avrebbe cercato di ribellarsi in qualche modo. Osservava i tagli precisi e netti sicuramente non erano stati fatti con un semplice coltello da cucina, quelli non sono mai cosi affilati da poter far un incisione simile.

 

“Non credo. Mentre le stavo lavando via il sangue ho notato qualcosa intorno alla sua bocca. L'ho analizzata ed è saltato fuori che è cloroformio. Chi l'ha uccisa prima di farlo l'ha stordita. E inoltre quello che indossava non era un vestito ma una camicia da notte”

 

“Quindi l'assassino l'ha sorpresa mentre dormiva, l'ha narcotizzata, l'ha portata fino a Tribeca e l'ha uccisa”

 

“Esatto cara”.

 

Beckett sospirò. Sapevano alcune cose in più ma non tante che potessero aiutarla a capire chi fosse la donna tanto meno chi l'avesse uccisa. In quel momento sentì la porta aprirsi e si voltò vedendo arrivare Castle. Sia lei che Lanie riuscirono a stento a trattenere le risate. Dai capelli dell'uomo potevano vedersi ancora le gocce di caffè scendergli lungo il collo fino ad arrivare alla camicia sporca anche quella di caffè.

 

“Vedo che Kasik ti ha trovato”. Disse Beckett mordendosi le labbra.

“Già. E chissà come ha fatto”. Domandò retoricamente Castle rivolgendosi alla propria compagna che faceva finta di essere estranea a tutta quella faccenda.

“Sono venuto a prendere le chiavi cosi vado a casa a farmi una doccia e poi torno qua”

“Ti sta bene. La prossima volta ci pensi due volte a portare al distretto giochi per bambini”. Lo rimproverò la donna prendendo le chiavi dalla giaccia e porgendogliele.

“Qualcosa di interessante?”. Chiese Castle indicando il corpo e nello stesso momento prendere quanto passatogli dalla detective.

“No nulla di interessante” Gli rispose Beckett non sapendo che Lanie non aveva ancora finito di parlare.

“In verità qualcosa c'è”. Disse la dottoressa invitando i due a raggiungerla dall'altra parte del lettino metallico. Alzò il braccio destro del cadavere cosi da poter far vedere ai suoi “ospiti” quanto aveva scoperto. Sul fianco destro, appena sotto il seno, vi era un segno.

 

“Che cos'è?” Chiesero i due a Lanie inclinando simultaneamente la testa per capire che cosa fosse. Non era un livido, sembrava aver qualche punta di colore in alcuni punti.

 

“é un tatuaggio”

“Se fossi stata in lei mi sarei fatto ridare i soldi”. Osservò Castle abbassandosi per cercare di capire cosa voleva essere in realtà quel disegno.

 

“Perchè è cosi sbiadito Lanie?” Chiese Beckett rivolgendosi al medico legale che ora si era spostata verso un tavolinetto a prendere un foglio cosi da poterlo dare alla detective.

 

“Perchè probabilmente lo stava togliendo. Per farlo bisogna andare in centri specializzati. In tutta New York ce ne sono una quindicina ma solo 5 in un raggio di 10 km da dove abbiamo trovato il corpo. Da quello che so sono molto costosi”. Informò la dottoressa avendo fatto precedentemente una ricerca quando notò quel segno e riuscì a capire che si trattava in effetti di un tatuaggio.

 

“Ok. Manderò Ryan ed Esposito in questi 5 centri a parlare con gli addetti alla rimozione dei tatuaggi. Magari uno di loro si ricorda chi è la nostra vittima e saprà darci un nome.”

 

In quel momento il cellulare di Beckett squillò e lei si allontanò dai due per poter rispondere senza problemi. Lanie osservava Castle senza parlare però sorrideva. Un sorriso che incuteva timore nell'uomo.

 

“Che ho fatto?” Chiese lui alzandosi in piedi semi impaurito. Lanie già nelle settimane precedenti aveva dato dimostrazione di quanto era sconveniente farla arrabbiare. Una sera lui e Beckett avevano litigato e lui era andando alla “Vecchia Tana” a farsi qualche birra. Nemmeno un ora dopo Lanie era entrata nel bar come un uragano, l'aveva afferrato per l'orecchio e dicendogli parole irripetibili l'aveva ritrascinato da Kate.

 

“Rendi felice la mia ragazza quindi ti dò 10 secondi di vantaggio per uscire da questa stanza prima che ti insegua con il bisturi dato che mi stai sgocciolando caffè ovunque”

 

Castle guardò ai suoi piedi notando solo ora le piccole chiazze sul pavimento. Doveva scappare e in fretta.

 

“Ricevuto”. Disse allontanandosi dalla donna voltandosi di tanto in tanto per assicurarsi che non gli stesse tirando dietro nulla. Uscendo dalla porta si scontrò con Beckett che nel mentre stava rientrando.

 

“Ammettilo è difficile tenere le mani lontane da me”. Disse lui osservando le mani di lei che ora erano incastrate tra i loro petti.

 

“Con l'odore di caffè che ti porti dietro è più facile di quanto pensi. Fa venire la nausea.”. Commentò lei allontanandosi ringraziando di avere ancora indosso il camice cosi si bagnò quello durante lo scontro e non la giacca che aveva sotto.

“Era la scientifica. Sulla lettera hanno trovato alcune impronte ma nessuna di queste è nel database. Potrebbero essere di chiunque, di un postino, di un corriere, di uno degli agenti. È una pista inutile” Continuò poi lei rispondendo alla domande che allo scrittore frullavano per la testa.

“Ok allora per ora lasciamo perdere la lettera e concentriamoci sulla donna”

“No ora tu vai a casa a farti una doccia e Ryan, Esposito ed io ci concentriamo sulla donna”

 

Castle sbuffò in segno di resa. Sapeva che non poteva rimanere al distretto conciato in quello stato, dannato Kasik, la prossima volta avrebbe portato un pallone altro che uno yoyo.

 

“D'accordo, vado. Ci vediamo dopo. Però mi devi aggiornare su tutto”

“Tranquillo”. Rispose lei mentre lo guardava salire sull'ascensore e poi scomparire dalla sua vista quando le porte si chiusero. Ora non aveva niente da fare. Rimase ferma pensierosa in mezzo al corridoio per qualche istante e poi si decise di tornare nella stanza dove c'era ancora Lanie.

 

“Che ne dici se dopo che ho dato a Ryan ed Esposito i loro compiti odierni non facciamo una pausa caffè?

“Sicuro, il tempo di lavarmi le mani e arrivo”

 

***

 

Un paio di ore dopo i due ritornarono dalle loro visite ad ospedali e centri estetici e si fermarono direttamente alla scrivania di Beckett tutti sorridenti.

 

“Ditemi che l''avete trovata?” Li guardò lei speranzosa. Star li con le mani in mano non le piaceva sopratutto quando aveva un cadavere che le chiedeva di trovare il suo assassino.

 

“Dubitavi di noi”Gli rispose Esposito facendo cenno al collega di continuare.

 

“La donna era Victoria Burgesen, abitava a Brooklin. È un arredatrice di interni e fresca fresca di divorzio. Il marito Robert Child, un per di giorno di quelli fatti e rifatti, non ha preso bene la separazione sopratutto perchè il giudice ha deciso che lei non doveva pagargli nulla di alimenti”. Disse Ryan consultando la sua agendina.

 

“Un ottimo motivo per arrabbiarsi e meditare l'omicidio. Trovatelo e portatemelo qui. Grazie ragazzi”. Ordinò Beckett prendendo in mano il pennarello e iniziando a scrivere sulla sua solita lavagna le informazioni che aveva acquisito. Ora sotto la foto della donna poteva segnare il suo nome e tra poco avrebbe potuto aggiungere almeno un sospettato alla sua lista.

 

“Victoria Burgesen?”. Chiese una voce da dietro le sue spalle. Si voltò e vide Castle ora completamente ripulito e senza più residui di caffè.

 

“La doccia è durata molto. Non è che hai avuto compagnia a mia insaputa?”. Chiese lei scherzosa ma non troppo mentre tracciava la linea temporale sulla quale sarebbe andata a mettere tutti i movimenti della vittima e dei sospettati. Era comunque curiosa di sapere perchè Castle ci avesse messo cosi tanto per fare una doccia, in fondo il suo appartamento distava solo 20 minuti dal distretto e di traffico non ce n'era poi cosi tanto.

 

“In effetti si ho avuto compagnia”. Disse lui avvicinandosi al suo orecchio e sussurrando. A causa della sorpresa ma sopratutto dalla sua risposta, che di certo non le era piaciuta, la donna tracciò una riga più che marcata sulla lavagna prima di girarsi verso di lui con un'espressione che non prometteva niente di buono.

 

“E chi era Castle?” Mani sui fianchi. Segnale d'attacco pensò Rick chiedendosi se un uomo era mai morto infilzato da un pennarello come quello che ora Beckett teneva in mano come un coltello.

 

“Alexis”

 

“Alexis? É tutto a posto?”. Chiese lei ora preoccupata non capendo il motivo per cui la ragazza potesse essere andata a casa sua sapendo benissimo che sia suo padre che lei erano al distretto.

 

“Si si mi ha chiamato mentre stavo tornando a casa tua perchè aveva bisogno delle chiavi della vespa che avevo ancora io quindi le ho detto che ci saremmo trovati da te. Fatto male?”Andò a spiegarsi lui. Beckett aveva ribadito più e più volte che Alexis poteva andare da lei ogni volta che voleva ma ancora sia lei che Rick si facevano problemi a riguardo.

 

“No no anzi. Comunque Victoria Burgesen è il nome della nostra vittima. Ryan ed Esposito stanno andando a cercare l'ex marito che a quanto pare aveva un ottimo motivo per ucciderla.”

 

“Fammi indovinare. Victoria era l'amore della sua vita per la quale lui aveva rinunciato a tutti i suoi sogni. Le era sempre stato al suo fianco poi un giorno lei non ha più bisogno di lui che si sente a pezzi. Derubato della sua dignità ha pensato che ucciderla fosse il modo migliore per..”

 

“A volte mi chiedo se tu sei veramente cosi oppure fai uso di qualche droga.”

 

“Sei tu la mia droga dolcezza”. Gli disse lui ammiccando dimenticandosi una delle regole principali per quando erano al distretto concentrati su un caso. Ma Beckett nemmeno una se n'era dimenticata e si divertiva a ricordargliele.

 

“Beckett, Castle. Io qui sono Beckett” e dicendo questo senza pensarci prese il pennarello che aveva in mano e scrisse il proprio cognome sulla fronte dell'uomo scoppiando poi a ridere vedendo l'opera compiuta e la sua faccia incredula.

 

“Cioè ma mi hai scritto sulla fronte?” Chiese lui indicandosi la testa prima di correre ne bagno degli uomini ad osservarsi. Pochi secondi dopo lo senti urlare e come lei tutti quelli presenti nelle vicinanze.

 

“Mi ha scritto sulla fronte”

 

Una mezz'ora dopo Castle aveva rinunciato a cercare di levarsi la scritta. Con acqua e sapone non funzionava, sarebbe dovuto andare a casa e provare con l'alcool.

 

“Ti dona però”. Cerco di sdrammatizzare Beckett che ogni volta che lui la guardava non riusciva a trattenere una leggera risata peccato che lui non trovasse la cosa altrettanto divertente.

 

“Eddai Castle che vuoi che sia è un po' di inchiostro. Stasera ti lavi e va via.” Continuò lei osservando sullo schermo tutte le informazioni che nel mentre era riuscita a reperire su Victoria, riuscendo cosi anche a contattare i genitori per avvisarli della sua morte.

 

“Mi sembra di essere una borsetta firmata”. Ribattè lui cercando di coprire la scritta con un po' di capelli ma ottenendo un pessimo risultato. Ad un tratto si senti battere sul braccio dalla donna che con il capo gli indico l'ascensore dalla quale fecero la loro comparsa i due detective che tenevano a braccetto un uomo che solo quando passo loro vicino notarono essere ammanettato. Aspettarono che lo portassero nella sala interrogatoria e poi si avvicinarono ai due che subito notarono la scritta sulla fronte dello scrittore.

 

“E quella cos'è?” Chiese ridacchiando Esposito che poi guardò la detective che si osservava attorno con aria indifferente. Ryan allungò una mano cercando di liberare la fronte dai capelli cosi che la scritta si vedesse meglio e poi commentò a sua volta.

 

“Non mi ero accorto che avessi la fronte cosi larga e invece ci sta il cognome di Beckett per intero”

 

Castle non rideva, per niente. Non gli piaceva essere lui al centro dei loro scherzi, non gli piaceva essere preso in giro.

 

“Tutta invidia latte e miele”. Disse superandolo aprendo la porta della sala interrogatoria cosi da partecipare al terzo grado che Beckett avrebbe fatto all'uomo.

 

“Possiamo fargli una foto?” Chiese Esposito senza preoccuparsi di abbassare la voce, anzi sperava che Castle sentisse cosi da aumentare il suo disagio.

 

“Anche più di una e se fossi in te avviserei anche Lanie, questa non vorrà di certo perdersela”. Gli rispose Beckett prima di raggiungere il fidanzato che le stava tenendo la porta cosi da permetterle di entrare. Si sedettero una vicino all'altro mentre l'uomo li fissava masticando un chewin gum e facendo delle bolle con quello.

 

“é una nuova moda?” Chiese in direzione della fronte di Castle ridacchiando. Perfetto ora veniva preso pure in giro da un sospettato di omicidio. Poteva andare più in basso di cosi.

 

“A differenza di altre la mia fidanzata vuole che tutte sappiano che sono di sua proprietà” Andò a rispondergli ricevendo solo un pestone sotto il tavolo da parte della donna che sedeva composta al suo posto non distogliendo lo sguardo dall'uomo ammanettato davanti a lei.

 

“Quando è stata l'ultima volta che ha visto la sua ex moglie signor Child?” Chiesa diretta Beckett senza dare alcuna spiegazione all'uomo che per nemmeno un secondo si era fermato dal masticare la propria caramella.

 

“Il giorno della sentenza sul divorzio. Oltre a non darmi nemmeno un centesimo quella puttana mi ha fatto pure diffidare già che c'era. Perchè lo vuole sapere? Non mi dica che è ancora per la storia delle monete antiche le ho già detto centinaia di volte che non gliele ho rubate io.” L'uomo parlava e parlava all'apparenza ignaro di quanto accaduto a Victoria ma molti prima di lui seppur colpevoli all'inizio non sapevano mai niente di niente. Beckett estrasse dal fascicolo che aveva tra le mani la foto del cadavere della donna e la mostrò all'uomo.

 

“Che cosa le è successo?”Sembrava dispiaciuto ma nemmeno tanto. Forse erano i sensi di colpa per averla uccisa, non poteva lasciarsi ingannare.

 

“Ce lo dica lei?” Intervenne Castle che ancora faceva qualche smorfia essendo stato colpito dalla donna direttamente sulle dita.

 

“Io non centro nulla con la sua morte”. Si difese l'uomo.

 

“Già, dicono tutti cosi”. Gli rispose a tono Castle.

 

“Dov'era stamattina tra le 5 e le 7 signor Child?” Intervenne Becket volendo evitare un continuo botta e risposta tra i due che in quel momento era totalmente inutile.

 

“Stavo scaricando chili e chili di gamberetti al Chelsea Market. Chiedete pure al mio datore di lavoro, Mr Douglas, se non mi credete”. Rispose l'uomo con aria strafottente sapendo di averli in pugno.

 

“Lo faremo signor Child stia tranquillo. Ma per ora lei rimane sempre sospettato di omicidio della sua ex moglie”. Disse Beckett alzandosi dalla sedia recuperando il fascicolo pronta a lasciare l'uomo da solo nella stanzetta, ma lui aveva ancora qualcosa da dire.

 

“Io non ci avrei guadagnato nulla dalla morte di Victoria mentre la sua cara sorellina Emma invece aveva più che validi motivi per far fuori quella stronza. Perchè non chiedete a lei”

 

Beckett e Castle lasciarono la stanza dirigendosi verso la sua scrivania. La donna passando davanti ad Esposito e Ryan li informò di quanto accaduto con Child.

 

“L'uomo sembra avere un alibi ma voglio che controlliate. Vedete se qualcuno al Chelsea Market si ricorda di averlo visto questa mattina, chiedete anche di un certo Mr Douglas. Child ha detto che è il suo capo”

 

“Provvediamo subito”. Dissero i due prendendo i loro giubbotti ed entrando in azione.

 

“Noi che facciamo?” Chiese Castle osservandola mentre si sedeva alla propria scrivania. Non poteva mettersi li seduta ed aspettare. O si.

 

“Sei stanca? Vuoi che ti riporti a casa?” Chiese lui preoccupando credendo che fosse quello il motivo per cui lei si era fermata.

 

“Sto benissimo tranquillo. Anzi sto più che bene, mi mancava tutto questo. Voglio solo cercare il numero di Emma Burgesen e vedere se sa qualcosa in più”

 

“Credi a Child?” Chiese stupido Castle.

 

“Se il suo alibi regge abbiamo bisogno di un altra pista”

 

“C'è sempre la lettera”

 

“Prima le piste reali Castle, poi quelle fantascentifiche”

 

***

 

Un ora dopo si trovarono di nuovo nella sala interrogatoria con un nuovo sospetto davanti agli occhi. Nell'ora precedente avevano scoperto che negli ultimi mesi Victoria aveva prestato ingenti somme di denaro alla sorella ma poi nelle ultime settimane più nulla e il conto di Emma era pericolosamente in rosso. Un altro ottimo motivo per ucciderla. Inoltre Ryan ed Esposito avevano chiamato dal mercato coperto e avevano confermato l'alibi di Child. Oltre alle testimonianze di 10 persone vi erano anche i video della sorveglianza, quindi con Child eliminato Emma entrava in campo. Beckett allora li direzionò all'appartamento di Victoria in cerca di qualunque cosa potesse condurli dall'assassino mentre lei e Castle si occupavano della sorella. La giovane era alquanto agitata. Continuava a mordersi le unghie, a sistemarsi i capelli, a giocherellare con i bottoni della giacca. Se aveva qualcosa da nascondere Beckett l'avrebbe scoperto.

 

“Salve Emma io sono l'agente Beckett e questo è il signor Castle” Disse la detective presentandosi non volendo aumentare l'agitazione della ragazza.

 

“Perchè lei...” Disse la giovane in direzione dello scrittore indicandogli la fronte.

 

“Meglio non chiedere si fidi”Disse cortesemente l'uomo.

 

“Sappiamo che sua sorella le prestava del denaro. Per quale motivo?”. Domandò Beckett senza perdere ulteriore tempo.

 

“Sono motivi personali”

 

“In un modo o nell'altro lo verremo a sapere però se collabora gioverà a suo vantaggio”

 

La donna rimase pensierosa per qualche istante indecisa se rispondere o meno ma alla fine si fece coraggio e spiegò.

 

“Io sono una maniaca dello shopping. È come una droga per me. All'inizio Vicky copriva le mie spese, mi faceva da garante, ma poi qualche settimana fa ha smesso e le mie carte di credito non sono state più accettate da nessuna parte”. Disse singhiozzando.

 

Castle rimase colpito dal fatto che la donna tenesse più alle sue carte di credito che alla sorella stessa ma al momento non poteva commentare sulle stranezze della vita avendo lui scritto sulla fronte il cognome della propria fidanzata.

 

“ E magari stamattina è andata a casa sua pregandola di darle qualche soldo per i suoi acquisti ma lei si è rifiutata. In un impeto di rabbia l'ha uccisa ma non poteva lasciarla nel suo appartamento e cosi le è venuto in mente quel modo bizzarro per sbarazzarsi del suo corpo”. Beckett cercava di formulare le sue teorie cercando di arrivare alla verità, spronando la giovane a dire la verità ma non fu quello che accadde.

 

“Io non c'entro nulla con la sua morte. Stamattina ero a casa mia e vi sono stata fin le 9 quando sono andata a lavoro.”

 

“E presumo che non ci sia nessuno che confermi questo suo alibi?” Chiese Castle appoggiandosi alla scrivania e avvicinandosi alla donna per osservarla in volto volendo percepire ogni minimo cambiamento nella sua espressione.

 

“Si c'è. Si chiama Arthur. Fa il guardiano in un negozio di abbigliamento. Io gli faccio passare qualche notte nel mio letto e lui mi porta a casa abiti che nel magazzino farebbero la polvere.”

 

Continuarono l'interrogatorio ancora per qualche minuto ma non conclusero niente. Avrebbero controllato l'alibi ma di certo si sarebbe rivelato fondato come quello di Child e di conseguenza zero sospettati. Beckett tornò alla lavagna e cancellò il nome dei due principali sospetti e si mise ad osservare i dati che aveva scritto.

 

“Magari Victoria ha passato la notte con qualcuno ed è lui il suo assassino”. Si disse più tra se e se che a Castle che però stava elaborando delle teorie proprie.

 

“Non credo. Ammettiamolo Beckett è troppo ben organizzato per essere un omicidio pensato sul momento. L'assassino ha studiato ogni mossa, questo non è un omicidio casuale.”

 

“Rimani sempre convinto che centri con la lettera non è vero?”

 

“Ormai ho più certezze che dubbi su questa teoria.”

 

“Va bene Castle. Teniamo aperta anche questa ipotesi” Disse la donna aggiungendo alla linea temporale anche il momento in cui avevano ricevuto la lettera ma le speranze erano poche. Non avevano in mano assolutamente nulla.

 

“La casa della Burgesen è immacolata. Non c'è una virgola fuori posto” Dissero sconsolati Ryan ed Esposito raggiungendo i due davanti la lavagna.

 

“Quindi o lei conosceva la sua vittima oppure..”

 

“Oppure siamo di fronte a un professionista”.

 

Il gioco si stava facendo veramente arduo. E loro non avevano in mano praticamente nulla.

 

 

*********

 

Un altro capitolo soft molto soft, non potevo non tenere in considerazione che i detective non cercassero prima tra famigliari e parenti quindi ho cercato di mettere giù una specie di interrogatorio. Un modo per dissipare ogni dubbio e convincere Kate che tutto gira intorno alle lettere. Inoltre spero che la scena dell'autopsia non risulti troppo esagerata, quello che ho scritto è basato sulla mia conoscenza personale, quindi un pochetto limitata, ma spero che comunque sia di vostro gradimento.

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Capitolo 6
*** 2° sacrificio ***


 

CAPITOLO 5

 

Il giorno dopo il ritrovamento del cadavere della donna i giornali non facevano che parlare d'altro. Se n'era assicurato di persona che ciò accadesse. Il suo capolavoro doveva essere conosciuto da tutti, tutti avrebbero dovuto sapere cosa gli stava accadendo attorno. Qualche ora dopo aver commesso l'omicidio aveva chiamato i giornali più importanti fingendosi un poliziotto che aveva assistito al ritrovamento del cadavere. Aveva dato loro i dettagli cosicchè potessero scrivere solo la realtà nei loro articoli, non avrebbe mai accettato che fosse stato diversamente. Chiunque avesse letto quanto accaduto doveva capire grazie a quelle parole quanto era stato perfetto nel suo lavoro, in alcun modo voleva essere sminuito o preso in giro per il suo operato. Dovevano sapere e dovevano prepararsi per quello che sarebbe giunto in seguito. Se non ci avessero pensato i poliziotti veri avrebbe agito di sua iniziativa informando di volta in volta chi di dovere, la sua opera non poteva essere tenuta all'ombra. Ora però non doveva pensare alla fama che gli sarebbe stata attribuita. Era ora di pensare al secondo atto della sua opera. In primis doveva occuparsi della polizia. Lui era troppo superiore a loro e doveva dargli una mano altrimenti sarebbero rimasti troppo indietro rispetto a lui e il gioco non sarebbe più stato interessante. Beckett non aveva ancora messo alla prova le sue abilità tanto elogiate e lui non vedeva l'ora di vederla in azione, di vederla alla caccia, ma lui non sarebbe stato una preda facile da prendere. Si sedette alla sua scrivania prendendo la stilo in mano e preparandosi a scrivere la sua prossima lettera. Fu sempre attento alla scrittura, doveva essere perfetta come lui, in fondo era il suo marchio di fabbrica, non poteva deludere i suoi futuri seguaci tralasciando anche il più piccolo particolare. Tutto doveva essere perfetto. Scrisse la lettera e aprì il secondo sigillo. L'idea di aprirli tutti lo faceva eccitare. Non vedeva l'ora di compiere l'atto finale. Di omicidi ce n'erano ogni giorno, anche se non pensati ed eseguiti in un modo speciale come i suoi, ma il suo atto finale avrebbe fatto scalpore. Anche dopo 10 anni se ne sarebbe riparlato. Nessuno l'avrebbe mai dimenticato. Lui non poteva essere dimenticato. Ripose il sigillo dentro la busta e la chiuse nello stesso modo della prima, sempre attento a non lasciare alcuna traccia di se. Si vesti e andò nello stesso negozio dalla quale aveva spedito la prima lettera. La commessa lo riconobbe subito. In fondo era un tipo particolare. Lui aveva fatto apposta a truccarsi cosi, voleva essere riconosciuto dopo tutto.

 

“Salve. È rimasto soddisfatto dal servizio?”

“Non mi aspettavo di meno da voi a dir la verità”

“Son contenta. Deve spedire un altra lettera top secret?” Disse la donna notando la busta tenuta nella mano destra dell'uomo.

“Esatto”

“Stesso destinatario”

“Sempre loro. Ho scoperto altre cose di cui devono essere al corrente”

“Benissimo. Sarà la prima lettera che farò consegnare dal fattorino”

 

Anche di quella donna in futuro si sarebbero ricordati. In fondo stava aiutando un martire del nuovo millennio a realizzare la sua opera senza nemmeno esserne a conoscenza. Un giorno ne sarebbe andata fiera, pensò l'uomo uscendo da quel luogo e dirigendosi verso la propria macchina. Aveva lasciato passare due giorni dal primo omicidio ed era ora di continuare la sua opera. Non voleva che nel mentre si dimenticassero di lui. Apri la borsa che aveva sul sedile del passeggero controllando di aver tutto il necessario e partì verso la sua prossima destinazione.

 

Era sera e lui di sera faceva sempre una corsa attraverso Central Park. L'aveva seguito negli ultimi mesi controllando che facesse sempre lo stesso tragitto, assicurandosi che fosse sempre da solo e per fortuna non cambiava mai abitudine e anche quella volta era cosi. Lo vide arrivare al solito orario. Intorno le 20.00. C'era ancora gente che camminava lungo i vari sentieri del parco ma lui non se ne preoccupava. Aveva organizzato tutto nei minimi dettagli. Nessuno l'avrebbe notato, sarebbe stato solo un ombra nei ricordi di chi pensava di averlo visto. Aspetto che l'uomo giungesse nel lato sud del parco e si nascose dietro un albero per coglierlo di sorpresa. Aveva scelto quel punto per via della fitta vegetazione che vi era attorno allo stagno. Avrebbe fatto ciò che voleva senza che nessuno si accorgesse di lui, il buio e i rami erano suoi alleati quella sera. Estrasse dalla tasca la siringa e aspettò. Erano solo loro due in quel frangente. L'uomo era concentrato sulla sua vittima. Riusciva a sentire i suoi passi, il suo respiro affannoso a causa della corsa, il rumore della città era completamente scomparso dalle sue orecchie. Mosse un passo e poi un altro. Lasciò che l'altro uomo lo superasse prima di saltargli addossò con un agile scattò. Gli portò una mano a coprire la bocca fermando all'istante quell'urlo che avrebbe attirato spettatori indesiderati al momento mentre con l'altra conficcò l'ago della siringa nel collo della vittima inserendovi quel contenuto mortale. Pochi secondi dopo questi iniziò ad avere convulsioni e l'assassino lo portò tra la fitta vegetazione in attesa che morisse. Ci vollero solo pochi minuti. L'assassino guardò negli occhi la sua vittima, godeva nel vedere la vita lasciare a poco a poco gli occhi delle persone, le iridi che si facevano più scure, poteva leggere la paura che esse provavano e alla fine nulla.

 

“Tu sei il secondo pezzo del mio mosaico”. Gli disse mentre l'uomo esalò l'ultimo respiro. Solo all'ora si allontanò da lui per prendere la propria borsa ed aprirla. Da questa estrasse tre bombolette di sua creazione. Sarebbero servite a completare il tutto. Adagiò il corpo dell'uomo con la parte superiore del corpo sulla terra asciutta e quella inferiore dentro l'acqua stagnante e poi gli spruzzò sopra tutto il contenuto delle tre bombolette. Era un odore forte, nauseante, quello che gli serviva. Riprese le bombolette e le ripose dentro la borsa. Si spostò di qualche passo e guardò un ultima volta la sua creazione soddisfatto e si allontanò. Avrebbe voluto essere li la mattina seguente per vedere l'opera conclusa ma come al solito non poteva rischiare. Sarebbe stato tra la folla, doveva accontentarsi di quello. Si guardò attorno controllando che nessuno potesse vederlo uscire dalla boscaglia e si allontanò indisturbato. Quella sera voleva festeggiare la buona riuscita del secondo atto. Tutto stava procedendo secondo i piani e ora poteva prendersi una pausa, svagarsi, prima di rientrare in azione qualche giorno dopo. Tornò a casa appoggiò la borsa e si tolse il suo travestimento. Ripose parrucca e barba dentro un cassetto e piegò con accuratezza i vestiti ritirandoli poi in un armadio. Tornò ad essere se stesso. Una persona noiosa che non poteva sopportare. Già sentiva la mancanza di quegli abiti che lo facevano sentire onnipotente ma non poteva dimenticarsi della sua vera identità. Prese una lattina di birra dal frigo e recuperò il suo cellulare premendo velocemente i numeri per poi portarselo all'orecchio.

 

“Ehi Simon che ne dici di una birretta al bar?”

 

Da un lato però gli piaceva. Passare in mezzo alle persone, stare in compagnia dei suoi amici senza che nessuno avesse la ben che minima idea di chi lui fosse realmente. Non sapevano che bastava cosi poco per diventare una delle sue prossime vittime, la loro vita era nelle sue mani. In quel momento si sentiva l'uomo più potente che esisteva sulla terra. Uscì dal suo appartamento osservando il terzo quadro e commentando fra se e se “presto, molto presto”.

 

 

********

 

Ed ecco effettuato anche il secondo omicidio. La descrizione ammetto è stata poca di quanto fatto dall'assassino ma è stata una cosa voluta, non volevo rivelare prima del tempo quale sarebbe stato il risultato finale del suo agire, non volevo rovinare la sorpresa. Questo capitolo lo considero come un intermezzo, giusto per conoscere altri lati dell'assassino che ad ogni omicidio verranno fuori e per prendermi io una “pausa” per fare il punto della situazione.

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Capitolo 7
*** Insetti ***


 

CAPITOLO 6

 

Beckett aprì gli occhi e pensò che subito che c'era qualcosa che non andava. Si mise seduta sul letto e subito capì. Il lato del letto di fianco a lei era vuoto, come lo era stato per tutta notte. Quella era una delle serate che Castle passava a casa sua e ogni volta che accadeva lei non riusciva a dormire e se chiudeva occhio riposava male. Ormai si era abituata troppo bene ad averlo attorno e gli mancava più del dovuto quando non c'era. Si alzò e andò in cucina a prepararsi una sostanziosa colazione che però venne interrotta a metà. Il suo cellulare aveva già preso a squillare.

 

“Beckett”

 

“Abbiamo un cadavere a Central Park, vicino allo stagno sulla 59°”. Era Ryan. Dalla sua voce si sentiva che era ancora per metà nel mondo dei sogni ma per il lavoro che facevano si erano abituati a svegliarsi a orari impossibili e quello non era niente a confronto di molte altre volte.

 

“Arrivo subito”. Disse concludendo la chiamata e dando un ultimo morso alla fetta biscottata trasbordante di marmellata che si era preparata e andò a vestirsi per iniziare un nuovo giorno di lavoro.

 

Nel giro di una ventina di minuti si trovò sulla scena del delitto innervosita dal fatto che aveva impiegato meno tempo ad arrivare sul luogo che trovare un posto dove parcheggiare per sua fortuna Castle arrivò in suo soccorso facendole subito diminuire lo stress.

 

“Buongiorno. Caffè?”. Le disse porgendole un bel bicchiere fumante che lei accettò più che volentieri. Era quello che le serviva al momento. Un caffè caldo e forte per togliere quell'ultimo rimasuglio di sonnolenza rimastole.

 

“Tutto bene?”Domandò lo scrittore mentre le faceva strada verso il luogo del ritrovamento avendo notato subito le occhiaie intorno ai suoi occhi. Temeva che le fossero tornati ancora gli incubi e voleva assicurarsi che non fosse cosi e nel caso in cui gli fosse giunta una conferma l'avrebbe consolata all'istante.

 

“Vedo che la scritta è andata via”. Constatò lei osservando la fronte di lui volendo cambiare discorso. Rick si limitò ad annuire e la guardò intensamente in attesa di una risposta.

 

“Non ho dormito tanto bene”. Gli rispose lei superando alcuni agenti senza preoccuparsi di mostrare il distintivo. Ormai la conoscevano, sapevano bene chi fosse, non aveva bisogno di presentazioni, ne lei ne tanto meno Castle.

 

“Incubi?”

 

“No. Solitudine”

 

“Sai sarebbe facilmente risolvibile se tu..”. Ancora cercava di trovare l'occasione adatta per convincerla a trasferirsi a casa sua, non voleva demordere.

 

“Non ricominciare Castle” Lo ammoni lei all'istante fermandolo poi afferrandolo per un braccio. Guardatasi poi intorno per assicurarsi per essere abbastanza lontana dalla folla si avvicinò a lui dandogli un bacio cosi profondo e passionale che lo fece gemere contro la sua bocca. Staccandosi si leccò le labbra per sentire ancora il suo sapore mischiato con quello del caffè mentre lui la osservava cercando di tenere a bada il suo desiderio.

 

“Quando ti sarai ripreso raggiungimi pure”. Gli disse allontanandosi ridacchiando sentendosi orgogliosa dell'effetto che aveva sull'uomo. Pochi passi dopo si trovo vicino a Ryan ed Esposito che stranamente non si trovavano a stretto contatto con il corpo ma se ne tenevano a distanza.

 

“Buongiorno ragazzi. Tutto bene?”. Chiese lei finendo il suo caffè buttando poi il bicchiere vuoto dentro uno dei cestini e indossando i guanti.

 

“Diciamo che non adoriamo gli insetti”. Rispose semplicemente Esposito mentre Ryan continuava a guardare disgustato il punto dove c'era il cadavere.

 

“Insetti?”. Chiese Beckett non capendo di cosa stessero parlando solo per venire invitata dai due a proseguire per raggiungere Lanie. La detective spostò qualche ramo e si trovò davanti al corpo e al medico legale. Davanti ai suoi occhi le si presentò una scena mai vista prima e l'odore che sentiva era nauseante tanto che si dovette mettere la mano sotto il naso.

 

“Mi chiedo come tu faccia Lanie?”

“Abitudine mia cara.” Le rispose il medico alzando lo sguardo dal corpo per andare ad osservare l'amica che ancora se ne stava in disparte intenta più a guardarsi attorno che dedicarsi al cadavere.

 

“Il tuo caro scrittore è impazzito vedendo questa scena. Anzi ha detto che ne porterà a casa un po' cosi da cucinartele una di queste sere”. Disse il medico indicando gli anfibi saltellanti attorno a loro.

 

Al pensiero Beckett quasi stette male. Da Castle c'era d'aspettarselo un gesto simile ma era meglio per lui che non lo facesse se non voleva rimanere chiuso fuori da casa sua per molti giorni. Parlando del diavolo lo scrittore comparve alle sue spalle tutto sorridente.

 

“Dimmi che ti piace?”. Domandò alla donna che guardandolo con la sua solita aria da rimproverò andò in risposta.

 

“Nemmeno un po'. Solo tu trovi interessanti queste cose”

 

Beckett si avvicinò a Lanie cosi da poter vedere tutto il corpo dell'uomo stando attenta a dove metter i piedi, analizzando la scena del crimine da quel nuovo punto di vista. Su tutto il cadavere, ma anche intorno ad esso, vi erano rane, zanzare, vermi, api. Tutti gli insetti che si potevano immaginare. Camminavano o saltellavano lungo tutto il corpo. Ok che erano vicino a uno stagno ma Beckett non aveva mai visto una scena simile. Mai tanti insetti tutti su una persona, su un cadavere.

 

“Quanti giorni fa è morto?”. Chiese Beckett abbassandosi per osservare meglio l'uomo agitando in continuazione la mano per cercare di levarsi di torno tutte quelle zanzare che ora l'avevano presa di mira.

“Giorni? No tesoro. Ore al massimo”

“E com'è possibile che sia ricoperto da tutti questi insetti?”. Di soliti solo i cadaveri tenuti per giorni e giorni all'aperto potevano presentare caratteristiche simili. Anche se, continuava a ripetersi, non aveva mai visto nulla di simile in tutta la sua carriera, erano troppi, veramente troppi. Fu Castle che parlò mettendosi anche lui vicino al corpo ma sul fianco opposto rispetto alle due donne.

 

“C'è solo una spiegazione possibile”. Disse passando un dito inguantato sul braccio dell'uomo prima di portarselo al naso e iniziare ad annusare facendo finta di esser concentrato e convinto di quello che faceva.

 

“Il corpo emana uno strano odore che non è di certo dovuto all'inizio della decomposizione. L'odore che sentite care le mie professioniste è un potente feromone. Ecco perchè tutti questi insetti. L'assassino ha cosparso l'uomo di questa sostanza e tutti questi teneri animaletti hanno risposto all'appello dirigendosi verso la fonte”. Castle andò a spiegare mentre cercava di catturare una rana che di volta in volta gli sgusciava via dalle mani. Beckett non era del tutto convinta, era plausibile, ma gli serviva la conferma.

 

“Lanie?”

“La teoria di Castle non è da escludere. Ho già prelevato un campione. Appena avrò i risultati di quelli e dell'autopsia ti farò sapere”

 

Beckett tornò ad alzarsi in piedi e a guardarsi attorno. L'assassino non aveva commesso errori. Niente tracce di tessuti sui rami, niente impronte sulla vittima non vi era nulla, o forse si?. Fu mentre si guardava attorno che la vide. Un impronta. Non era di nessuno di loro ne era certa. Gli stivali in dotazione ai coroner non avevano quel tipo di suola. Poteva essere dell'assassino, doveva essere sua, assolutamente.

 

“Ryan, Esposito”. Chiamò ad alta voce i due che fecero capolino da dietro un albero attenti a non pestare le rane che gli saltavano in mezzo ai piedi. Beckett indicò loro un punto a terra ed andò a spiegare.

 

“Qui c'è un impronta. Potrebbe essere del nostro assassino. Fate subito un calco prima che qualcuno la calpesti e la cancelli”

 

“Subito capo”. Disse Ryan dirigendosi verso la macchina per prendere quanto necessario per fare il calco mentre Esposito si mise vicino all'impronta per star certo che nessuno si avvicinasse. Le prime conclusioni erano state tirate. Ora non dovevano far altro che aspettare l'esito dell'autopsia e formulare le varie ipotesi.

 

****

 

Erano appena tornati al distretto lei e Castle quando la donna notò una busta sulla sua scrivania. Nessun mittente. Si mise i guanti e l'aprì mentre l'uomo la guardava con estrema curiosità.

 

“Scommetti che è un altra lettera del nostro assassino?”

“Trovi la cosa divertente Castle?. Se è lui vuol dire che potrebbe aver già ucciso due volte”

 

Castle preferì rimanere zitto. Aver a che fare con un cadavere non era mai piacevole ma lui era uno scrittore e quei colpi di scena lo appassionavano sempre. Davano quel pepe in più alla storia rendendola veramente interessante, ma era meglio non metter troppo in luce questo suo pensiero, sopratutto con Beckett nei paraggi.

 

“Un altro sigillo”. Le senti dire mentre estraeva dalla busta un ulteriore cerchio rosso che faceva coppia con quello trovato qualche giorno prima con le stesse modalità. Castle si mise i guanti e lo osservò. Aveva gli stessi indecifrabili segni incisi sopra. Qualcosa di certo volevano dire ma non erano ancora in possesso della chiave per farlo. La donna si sedette ed estrasse la lettera. Con cautela la aprì ed andò a leggerla ad alta voce in modo che anche il compagno venisse subito a conoscenza del suo contenuto.

 

E cosi anche il secondo sigillo è stato aperto e un altra vita è stata tolta. Il secondo atto della mia opera è andato in scena senza che voi potevate far nulla per fermarmi. Voi comuni mortali non avete la forza necessaria per porre fine al mio operato. Continuerò imperterrito il mio capolavoro e voi potrete solo assistere alla mia ascesa inermi, consapevoli di non aver fatto abbastanza per mettere fine a tutto questo. Il tempo sta giungendo, preparatevi. Mikael.”

 

 

Beckett ripiegò la lettera e la rimise nella busta lasciandosi poi scivolare sulla sedia e dondolandosi su di essa mentre guardava senza speranza il soffitto. Castle invece era più pensieroso. Voleva trovare a tutti i costi il filo conduttore. Doveva capire cosa collegava i casi ma per farlo aveva bisogno di nuove informazioni e solo Lanie poteva fornirgliele.

 

“Dovremo far vedere la foto dell'uomo ai famigliari della Burgesen cosi da vedere se per caso sanno chi sia. Magari l'assassino li conosceva entrambi e si è vendicato per qualche motivo.”Disse lo scrittore rompendo quel silenzio fastidioso.

 

 

Beckett annui semplicemente ma non gli rispose in alcun modo. Le parole scritte sulla lettera ora la stavano facendo veramente preoccupare. Aveva ragione, non avevano modo di fermarlo, non avevano alcun indizio su chi fosse. Poteva essere chiunque e lei si sentiva inutile. Altre morti si sarebbero susseguite per la loro incompetenza. La detective si portò le mani sul viso ed emise un lamento di rabbia. Non poteva lasciarsi abbattere cosi. Castle le fu subito vicino e andò a posarle una mano sulla sua coscia strizzandola leggermente.

 

“Se avesse ragione?”. Chiese lei d'un tratto.

“Non abbiamo mai fallito. Non lo faremo nemmeno questa volta Kate”

“Mi sento inutile. Due morti e nessuna pista da seguire”

“Commetterà un errore e appena lo farà noi gli saremo addosso”

 

Beckett ancora non staccava gli occhi dal soffitto ma portò una mano a stringere quella di lui ferma ancora sulla sua gamba.

 

“Ho bisogno del tuo sostegno Rick”. Sospirò la donna supplicando il compagno.

“Ce l'hai e lo avrai sempre. E ora in piedi. Vediamo se Lanie ha qualcosa per noi”. Disse alzandosi dalla sedia trascinando nel contempo anche lei in piedi. Sempre tenendole la mano entrarono in ascensore scendendo fino all'obitorio. Lanie doveva dirgli qualcosa. Avevano bisogno della minima cosa, non potevano brancolare cosi nel buio.

 

“Vi stavo proprio per chiamare” Disse il medico legale vedendo i due entrare nella stanza. Indossava ancora il camice e gli occhiali segno che aveva appena finito di effettuare l'autopsia ma dalla faccia che aveva sembrava aver buone notizie.

 

“Allora che hai trovato?” Chiese Beckett avvicinandosi al cadavere seguita passa dopo passo da Castle che si divertiva particolarmente ad andare in quel luogo e che ora stava provando la lente di ingrandimento sui capelli dell'uomo disteso sul lettino.

 

“A differenza della prima vittima abbiamo un nome”. Disse la donna porgendo alla detective un sacchetto delle prove contenente il portafogli aperto dell'uomo in modo che si leggesse chiaramente quanto scritto sulla sua patente.

 

“Edward Donovan, 43 anni, risiedeva a Manhattan. Farò subito convocare la sua famiglia. Voglio sapere se conosceva in qualche modo la prima vittima” Disse Beckett posando su un ripiano il portafogli e attendendo che Lanie continuasse a informarli su quanto scoperto.

 

“La morte risale a ieri sera. Direi tra le 18.30 e le 21, non riesco ad essere più precisa di cosi. La causa della morte è stata una massiccia dose letale di digitale che l'assassino ha iniettato alla nostra vittima infilando l'ago nel collo. In meno di due minuti questo poveretto è morto” Lanie disse questo girando la testa del cadavere in modo che i due potessero vedere il segno della puntura.

 

 

“Sei sicura che non sia stata un ape?” ce n'erano molte li intorno”Chiese Castle puntando la lente ora sulla puntura.

 

“Le punture delle api sono più grosse di queste e lasciano secrezioni intorno alla ferita. Inoltre ho trovato un frammento dell'ago dentro il buco. Si vede che l'uomo ha lottato e l'ago si è spezzato. Ho già mandato il frammento in laboratorio ma non credo troveranno nulla a meno che l'assassino non si sia punto”

 

“Altro?”

 

“Si. Mi dispiace ammetterlo ma Castle aveva ragione. Sul corpo e sui vestiti dell'uomo ho trovato dei piccoli cristalli, residui di una sostanza chimica usata appunto per attirare gli insetti. Avevi ragione Castle l'assassino ha usato dei feromoni, ovvero dei sentori acidi o basici della sudorazione. Vengono utilizzati dalle diverse specie per attirare animali dell'altro sesso e il nostro assassino gli ha usati per attirarli verso la nostra vittima”

 

Castle mise dritto sulla schiena fiero di aver avuto una tale intuizione. C'era arrivato subito lui, uno scrittore, e non degli abilissimi ed espertissimi detective come erano loro.

 

“Calmati Castle è stata solo fortuna. L'avrai capito perchè hai seguito qualche puntata a riguardo su National Geographic”

 

“E infatti io che l'ho fatto ho capito prima di voi il perchè di tutti quegli insetti. Quelli son programmi culturali non come Temptetion Lane”. Una soap a caso. Un programma che era obbligato a guardare tre giorni a settimana. Perchè le aveva regalato quei dvd quando era ancora in ospedale?! Non poteva optare su magnum p.i o l'a-team, almeno l'avrebbe introdotta ad un genere più interessante e invece no, voleva far il romantico lui e ora ne pagava le conseguenze.

 

 

“é tutto?”

“Per ora si. Se scopro altro ti faccio sapere”

 

Ringraziandola Beckett prese per un orecchio Rick che ora stava trafficando con bisturi e martelletti e lo ricondusse nei piani superiori dove dovevano aggiornare la lavagna con gli ultimi avvenimenti.

 

La detective aveva chiesto a Ryan ed Esposito di contattare i familiari della vittima e di farli venire al distretto il prima possibile mentre lei aveva diviso la lavagna in due. Una parte dedicata a Victoria l'altra a Edward. In alto le foto di entrambi, la prima immersa nella cisterna avvolta da un acqua color sangue, la seconda dell'uomo steso per terra ricoperto da rane e insetti. Sotto di essi i nomi e una linea temporale. Di Victoria avevano scoperto ben poco. Era tornata a casa da lavoro intorno le 19 e poi più nulla fino al ritrovamento. Beckett sperava che con l'uomo avessero più fortuna, sopratutto sperava di trovare un collegamento tra i due. In fondo alla lavagna i due scritti trovati nelle lettere ricevute. Poco dopo Ryan si avvicinò a lei.

 

“Abbiamo trovato la moglie della vittima. Appena saputo quanto accaduto è voluta venire con noi per parlare con te.”

 

“D'accordo portatela in caffetteria. Non c'è bisogno della stanza interrogatoria.” Ryan annui e tornò dalla donna che ancora singhiozzava e l'accompagnò nella stanzetta. Seppur abituata Beckett rimaneva sempre toccata in qualche modo da queste scene. In particolare ora che aveva Castle al suo fianco. Non voleva nemmeno pensare di essere al posto della donna, di sentirsi dire che l'uomo che ama non c'era più per colpa di un pazzo che la polizia non riusciva ad arrestare.

 

 

“Tutto bene?”. Le chiese Castle vedendola esitare.

 

“Si si andiamo”

 

***

 

“Signora Donovan sono la detective Beckett e questo è il signor Castle. Volevamo farle qualche domanda sul conto di suo marito”. Le chiese andandosi a sedere sul divanetto opposto al suo. Nessun contatto che non sia più che necessario, anche se erano nella caffetteria era pur sempre un interrogatorio.

 

“Certo chiedetemi tutto quello che volete”. Rispose la donna asciugandosi gli occhi con un fazzoletto cercando di farsi forza per essere di aiuto alla polizia.

 

“Che lavoro faceva suo marito?”. Chiese Beckett, non aveva avuto ancora modo di visionare il rapporto sull'identità dell'uomo e inoltre se voleva conoscerlo la moglie era la miglior fonte.

 

“Edward è, era, un assicuratore. Lavorava per la Wells Fargo Incorporated”

 

“Per caso aveva qualche problema a lavoro? Qualche collega con cui aveva problemi?”

 

“No no anzi. Edward era ben voluto e qualche settimana fa aveva avuto anche una promozione. Non si era mai lamentato”

 

Beckett si domandò se in quel caso il marito avesse detto la verità alla moglie o una bugia per coprire qualche problema avuto in ufficio. Avrebbe chiesto a Ryan ed Esposito di controllare.

 

“Suo marito andava spesso a correre nel parco?”

 

“Si. Ogni mercoledi e venerdi. Finiva da lavoro intorno le 19, si cambiava e andava a correre un oretta tornando a casa intorno le 21.30”

 

Beckett appuntò quando detto dalla donna sulla propria agendina. Se l'uomo andava a correre solo quei due giorni li l'assassino o l'aveva scelto a caso oppure conosceva le sue abitudini. La donna tentò il tutto per tutto. Prese il primo piano di Victoria Burgesen e lo mostrò alla signora Donovan.

 

“Per caso conosce questa donna? Si chiama Victoria Burgesen, magari suo marito qualche volta l'ha nominata”

 

La donna osservò la foto per qualche minuto cercando di ricordare quel volto o quel nome ma nulla le venne in mente.

 

“No mi dispiace, non è ne tra le colleghe di Edward ne tra le sue amicizie. Ma se vi può servire posso farvi consegnare la sua agendina magari li trovate questo nome.”

 

“Gliene saremmo molto grati”. Parlò per la prima volta da quanto erano entrati nella stanza Castle.

 

“Pensate che abbia a che fare con l'omicidio di mio marito?”

 

“No, però pensiamo che in qualche modo possano essere collegati”. Fu ancora Castle a rispondere mentre Beckett sembrava assorta dai suoi pensieri.

 

“Ha sofferto?. Mio marito voglio dire”. Chiese improvvisamente la donna. Castle non sapeva che rispondere. Per le sue ricerche sapeva benissimo gli effetti della digitale e non voleva che la donna ne venisse a conoscenza. Beckett invece avendo vissuto in prima persona un esperienza simile sapeva che la donna voleva sentire solo la verità, qualunque fosse stata.

 

“La pressione è scesa nel giro di pochi secondi. Il battito del cuore è diminuito rapidamente fino a fermarsi del tutto. Suo marito sarà morto in un paio di minuti.”. Tutta la verità non era necessaria, quella era già troppa pensò Beckett dando solo una breve spiegazione lasciando poi la donna insieme al suo dolore.

 

**

 

Esposito e Ryan la stavano aspettando vicino alla sua scrivania avendo aggiunto una nuova foto alla lavagna. Era l'immagine del calco preso a Central Park. Notando che sia la donna che lo scrittore la stavano osservando Ryan andò a dire.

 

“é appena giunto l'esame sull'impronta. È un numero 45 e come potete vedere al centro si distingue a mala pena la lettera H. Da quella si è risaliti alla marca ovvero Hogan”

 

“Potrebbero esserci migliaia di persone che portano quella marca di scarpe. Non ci è molto utile” Affermò Castle osservando la foto cercando di individuare la lettera in mezzo alla terra.

 

“Questo è vero ma abbiamo notato che la suola è particolare quindi siamo risaliti al modello e l'abbiamo trovato”. Disse Esposito dandosi un cinque elaborato con il collega prima di continuare.

 

“é un modello non ancora uscito in circolazione. Sono stati dati dei test campioni ad alcune aziende delle zona. La Globus Incorporate, la KBO Associated, Fortune Store e la Fox Pan. Sono tutte compagnie che si occupano di articoli sportivi.”

 

“Quindi abbiamo da controllare queste 4 società e vedere se in qualche modo sono collegate con le nostre due vittime. È come cercare un ago in un pagliaio ma è sempre qualcosa. Abbiamo la possibilità che l'assassino sia uno dei dipendenti. Fate un controllo e guardate se vi è qualcuno con dei precedenti”

 

I due detective tornarono alle loro scrivanie a far quanto necessario per trovare l'uomo mentre Beckett tornò a sedersi alla propria con Castle che la osservava.

 

“Non ci poterà molto avanti questa novità. Lavoreranno centinaia di persone in quegli uffici e non possiamo controllarle tutte.”

 

“Altro non possiamo fare Castle. Dobbiamo affidarci su quel poco che abbiamo”

 

“Non ora però. Sei stanca e hai bisogno di riposare. Oggi ti sei affaticata più del dovuto”. Le fece notare lui prendendo la giacca di lei prima di afferrarle entrambe le mani per farla alzare in piedi. L'aiutò ad indossare l'indumento e poi si rivolse ai due uomini ancora intenti a fare telefonate.

 

“Noi andiamo, se scoprite qualcosa chiamate me. Beckett ha bisogno di riposo”

 

La donna nemmeno provò ad obbiettare. Quando ci si mettevano tutti e tre insieme a darle ordini c'era ben poco da fare ma in fondo anche lei non vedeva l'ora di andare a casa, farsi un bagno rilassante e poi trasferirsi sul divano a non far nulla per tutta sera se non guardare qualche film insieme a Castle. Ne aveva abbastanza di quel caso e di quell'assassino. Doveva far riposare la mente per aver le idee più chiare, in quello stato non sarebbe stata di certo d'aiuto.

 

 

Dall'altra parte della città l'uomo seduto al bar con un suo amico beveva una birra ridendo e scherzando ma nella sua mente stava già formandosi il piano per il prossimo omicidio. Era più complesso degli altri, non quello più elaborato di tutti, ma uno che comunque necessitava tutta la sua bravura. Il suo amico lo invitò a bere un altra birra e lui accettò volentieri, e poi un altra e un altra ancora. Doveva festeggiare, se lo meritava dopo tutto. Il suo capolavoro stava riuscendo alla perfezione. Ma la superbia è un'arma a doppio taglio e l'uomo l'avrebbe capito a suo spese.

 

 

***********

 

Visto che con la scrittura dei capitoli sono a buon punto, ieri ho iniziato il 13°, posso permettermi di postarne un altro a poca distanza dal precedente. So che la storia dei feromoni può risultare un po' surreale ma ho fatto delle mezze ricerche su internet e ho accertato che viene utilizzato spesso come metodo dai contadini per salvaguardare i loro raccolti quindi esistono spray per attirare gli insetti, ma di questo poco importa. Piccola anticipazione, ricordatevi dell'impronta perchè tra qualche capitolo verrà ripresa in considerazione, ma sopratutto sappiate che Kate e Rick ahimè risentiranno dello stress del caso.

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Capitolo 8
*** Litigio ***


 

CAPITOLO 7

 

Quella sera Beckett e Castle tornarono a casa esausti mentalmente. I primi tre giorni di lavoro non erano stati proprio come se li era immaginati la donna. Aveva tenuto in considerazione la possibilità che ci fosse qualche caso da risolvere, ma non immaginava di averne tra le mani uno cosi complicato. Appena varcò la soglia d'ingresso gettò la giacca a terra e si diresse dritta sul divano dove si coricò infossando la faccia nel cuscino, lasciando che il braccio e la gamba destra cadessero giù toccando il pavimento. Non ce la faceva più a muoversi, si sarebbe anche potuta addormentare li tranquillamente. Castle invece si diresse in cucina e aprendo varie ante iniziò a tirare fuori pentole e padelle per cucinare qualcosa da mangiare per entrambi. Decise di rimanere sul leggero, un po' di pasta con il sugo e una bistecca. Pensò che Beckett si fosse addormentata non vedendola muoversi da quella posizione per tutto il tempo e quando ebbe finito di cucinare andò a svegliarla. La donna però non dormiva era solo immersa nei suoi pensieri. Quando sentì la presenza di Castle vicino a lei si voltò a guardarlo.

 

 

“Non ho idea di che fare Rick”

 

“E da quando in qua ti fai abbattere cosi?!. Hai sempre tirato fuori il meglio di te in queste situazioni quindi forza e coraggio, vedrai che verremo a capo di questa storia”. Le disse lui passandole una mano sulla schiena come si fa per consolare i bambini.

 

“Come fai ad essere cosi fiducioso?”

 

“Esperienze passate, senza dimenticare il fatto che lavoro con la migliore detective di New York”. Le disse lui flirtando un po' nella speranza di farle tornare il sorriso almeno per quella sera.

 

“Hai fame?”

“Un po' in effetti”

“Allora andiamo che è già tutto pronto. Non vogliamo che si raffreddi”

 

Durante la cena Beckett rimase ancora silenziosa e quel silenzio Castle non poteva sopportarlo, non sopportava l'idea di non sapere cosa le passava nella testa in quei momenti, veniva tagliato fuori, escluso dalla sua vita in quegli istanti ma Castle voleva starle vicino in ogni momento.

 

“Mi va bene anche se mi parli del caso ma parlami Kate”

 

La donna lo guardava tristemente. Non voleva farlo sentire cosi. I momenti che passavano insieme dovevano essere gioiosi non cosi, con lei in una fase quasi depressiva.

 

“Solo non voglio che questa storia non abbia un lieto fine. Abbiamo già due delitti irrisolti e chissà quanti altri ce ne saranno. Che vita sarà per i famigliari se non sapranno nemmeno il motivo per cui gli è stata tolta una persona cara”

 

“Il motivo lo scopriremo e troveremo anche l'assassino. Ci vuole solo un po' di pazienza, di tempo.” Le disse lui versandole un altro bicchiere di vino. Se non riusciva a farle dimenticare quella storia con le buone allora ci sarebbe riuscito con le cattive.

 

“Di tempo non ne abbiamo più, Castle”. Ogni volta che pronunciava il suo cognome quando erano da soli loro due capiva che c'era qualcosa che non andava, l'unico fatto positivo è che non era lui la causa del suo malessere.

 

“Che ne dici se io sistemo qua mentre tu vai a farti una doccia e poi ti infili a letto. Sono certo che hai bisogno di riposare”. LE disse l'uomo alzandosi e iniziando a prendere i piatti sporchi cosi da poterli ritirare poi in lavastoviglie. Quando vide però che la donna non si era mossa tanto meno gli aveva risposto tentò ancora.

 

“Forza fila a letto”

 

“Non ho ancora voglia di andarci. Non sono nemmeno le 23”. Gli rispose lei osservando l'orologio in cucina prima di prendere un altro sorso di vino e tornare ad appoggiarsi al tavolo.

 

“Si però ti sei stancata troppo oggi e dovresti..”

 

“Castle smettila di trattarmi come una bambina d'accordo?”. Disse la donna esasperata, alzando le braccia vero il cielo e dandogli momentaneamente le spalle.

 

Questo lo scrittore non se lo aspettava e dire che Beckett l'aveva vista arrabbiata più volte ma in quel momento era certo che lei avrebbe fatto quanto consigliatole, ma le cose non stavano cosi. Per qualche secondo la donna rimpianse le parole dette ma non poteva farci nulla. Era davvero stanca di essere trattata cosi, lo decideva lei quando andare a letto, era ancora padrona della sua vita.

 

“Sono solo preoccupato”

 

“Si ma sembra che tu non ti fidi di me. Saprò ben io se sono stanca o meno dopo una giornata di lavoro”. Gli spiegò lei aiutandolo ora a sistemare la cucina in silenzio, sperando che lui non continuasse la conversazione ma ci mettesse semplicemente una pietra sopra.

 

“Io mi fido di te è solo che a volte ti lasci coinvolgere troppo e non ti accorgi quando esageri e oggi è stata una di quelle volte in cui è accaduto”. Replicò lui fermandosi da quanto stava facendo per andare a guardarla. Gli bastò un occhiata per capire che quello che le aveva detto era vero ma Beckett non ammetteva mai cosi facilmente la verità ma ormai ci aveva fatto il callo e sapeva come prenderla, ma non sempre intuiva il modo giusto.

 

“Castle è la mia vita, il mio lavoro, la mia salute. La fuori c'è gente che muore e io posso tranquillamente star sveglia un ora in più per cercare un assassino piuttosto che star li a guardare le tue regole di coprifuoco. Mi sembra di esser tornata a quando avevo 16 anni”

 

Mise l'ultimo piatto nella lavastoviglie e si allontanò dalla cucina. Non le piaceva litigare con Castle, anzi proprio lo odiava ma in alcuni casi era l'unico modo per fargli capire come stavano le cose. Era guarita, totalmente guarita e allora perchè non la lasciavano in pace invece di continuare a dire la loro su tutto?.

 

“Si ma se tu non ti accorgi di quando ti suona quella campanellina nella testa che ti dice di smetterla allora sono obbligato a intervenire per evitare di trovarti addormentata alla scrivania o a stringerti il petto per le fitte che ancora ogni tanto ti vengono. Non ti sai regolare Kate”

 

La donna rimase a bocca aperta. Non sapeva che dire per rispondere a quella sua affermazione. Poteva anche essere vero ma lui la conosceva. La conosceva da quasi 4 anni e sapeva benissimo che lei era fatta cosi e se questo suo lato non le piaceva era un po' troppo tardi per farglielo notare.

 

“Credo sia meglio che torni a casa tua per stanotte Castle”, Disse lei con un filo di voce non avendo il coraggio di guardarlo. Sapeva che il sentire quelle parole l'avrebbero ferito ma ora aveva solo bisogno di stare da sola, per la prima volta dopo mesi non lo voleva avere in giro, non era il suo supporto che cercava, era la solitudine.

 

“Kate andiamo...”Cercò di farla ragionare lui avvicinandosi per cercare quel contattato che sentiva di aver bisogno in quel momento ma lei si ritrasse.

 

“Vattene Castle. “

 

Lui scrollò la testa ma non rispose. Prese la sua giacca e si avviò verso la porta con passi molto lenti sperando che lei lo richiamasse ma quando raggiunse l'ingresso e appoggiò la mano sulla maniglia non senti nulla, lei non gli stava dicendo di rimanere.

 

“A domani Kate”

 

“Notte Castle”

 

Niente perdonami, niente rimani con me, niente Rick, niente amore. Quella era una serata da dimenticare assolutamente pensò lui mentre era in taxi diretto verso la propria casa. Aveva in mano il cellulare indeciso se chiamarla o meno ma alla fine ci rinunciò rimettendolo nella tasca. Beckett non lo voleva li, punto e fine. Chiamarla avrebbe peggiorato solo la situazione. Pagò il tassista e sali sull'ascensore diretto verso il proprio appartamento. Nella sua testa si chiedeva se era il caso di dire a sua madre ed a Alexis quanto accaduto con Beckett, non voleva renderle partecipi delle sue pene d'amore d'altro canto le due donne avevano come un radar e avrebbero capito con uno solo sguardo se ci fosse stato qualcosa che non andava. Aprì la porta ed entro in casa. Alexis e Martha erano una vicina all'altra a vedere un vecchio film dove aveva recitato la donna agli inizi della sua carriera.

 

“Ehi papa che ci fai qui? Pensavamo di fermassi da Kate”Gli chiese la figlia stupito nel vederlo. Di solito quando era a casa della detective suo padre si faceva solo vedere la mattina dopo altrimenti non aveva mai passato a casa una serata che era già stata programmata per lui e la donna.

 

“Ho litigato con Kate e mi ha cacciato”. Disse lui sedendosi sul divano sconsolato, con una mano nell'altra ad osservare le due donne in cerca di compassione e sostegno.

 

“Che hai combinato questa volta?”. Ed ecco Martha che immancabilmente ti faceva venire voglia di scappare da quella casa e passare la notte per strada piuttosto che sentire le sue lamentele.

 

 

“Non ho fatto nulla di male se non preoccuparmi per lei. Il fatto è che stiamo lavorando su un caso difficile e siamo tutti stressati”. Disse l'uomo buttando la testa all'indietro sul divano pronto ad ascoltare qualunque rimprovero fosse uscito dalla due.

 

“Papa che ti aspettavi davvero che Kate si mettesse a fare lavoro d'ufficio?”. Chiese Alexis mettendosi seduta sul divano e approfittando per spegnere la televisione e di conseguenza cessare di vedere quel film per la trentaseiesima volta.

 

“No quello no. Ma mi aveva promesso che non avrebbe esagerato e invece lo fa. Le ho detto di andare a dormire presto e si è arrabbiata”

 

“Ti comporti più come suo padre che come il suo fidanzato sai”. Si pronunciò Martha prima di andare a prendere il bicchiere di vino che aveva appoggiato sul tavolino vicino al divano e bevendone il contenuto.

 

“La nonna ha ragione. Nemmeno con me sei cosi oppressivo”

 

“Ma perchè te so che non faresti ma nulla di male. Che ti fermi prima del dovuto. Mi fido”

 

“Quindi mi stai dicendo che te la prendi con Kate perchè non ti fidi di lei?”.

 

“Non devi andare a dormire Alexis?”

 

Castle non era pronto per parlarne, sopratutto con sua figlia che in pochi secondi riusciva a fargli crescere il senso di colpa in una maniera inspiegabile. Una ragazzina della sua età non dovrebbe star ad ascoltare le paranoie di suo padre ma dovrebbe già essere a letto a dormire a quell'ora. In quel momento Castle si bloccò. Aveva veramente detto a Kate di andare a letto presto come faceva con sua figlia. Forse aveva esagerato leggermente ma lo faceva per il suo bene, perchè Beckett non voleva capirlo.

 

“Richard devi ancora imparare a conoscerla Kate. Ragiona e vedrai che lei è sempre stata cosi. Non puoi abituarla ai tuoi ritmi perchè ritieni che siano meglio per lei. È una ragazza adulta e intelligente che sa quando dire basta.”

 

“No non lo sà”

 

“Si invece”

 

“Ma allora perchè in questi mesi non mi ha mai detto nulla a riguardo. Quando le dicevo di non sforzarsi lei non lo faceva, quando le dicevo di andare a letto lei andava, quando le dicevo che doveva mangiare qualcosa lei lo faceva ma ora invece non ha più bisogno di me e io mi sento inutile”. Castle si chiedeva se in quei primi mesi passati insieme durante la sua riabilitazione lei non avesse fatto apposta ad assecondarlo in tutto. Se no come spiegare questo repentino cambiamento. Era davvero a causa del caso o c'era altro. Non è che si fosse già stancata di lui.

 

“E quindi è questo il problema? Che pensi che lei non abbia già più bisogno di te solo perchè non ti ascolta come prima”. Il silenzio del figlio diede la conferma a Martha.

 

“Ah Richard ma lei avrà sempre bisogno di te. Solo ora non ha bisogno che la controlli sempre. Ti ricordi quando eri piccolino e io non trovavo lavoro? Passavamo sempre il tempo insieme e ti controllavo su tutto perchè pensavo che era mio dovere almeno quando ero presente stare attenta a tutto quello che facevi. Ora dimmi come ti sentivi quando decidevo io per te?”

 

“Mi sentivo oppresso e soffocato”

 

“Appunto. E non credi che anche Beckett si senta cosi. Lei sa che lo fai per il suo bene ma non è piacevole continuare a sentirsi dire quello che può o non può fare, soprattutto alla sua età. Per queste settimane passate era obbligata a far quanto ordinatole per rimettersi in sesto ma ora no. Se tu la freni prima che lei capisca fin dove può arrivare il suo corpo non capirà mai se è guarita veramente o meno. Ha bisogno di certezze Richard e tu le neghi la possibilità di trovarle.”

 

Castle rimase silenzioso. Si chiedeva come mai lui, ottimo scrittore quale fosse, riuscisse ad entrare nella mente contorta dei suoi personaggi ma non riuscisse a capire concetti cosi facili riguardo ai sentimenti della sua fidanzata. Alexis che era rimasta in silenzio ad ascoltare la conversazione tra sua nonna e sua padre ora era li che lo guardava impaziente, in attesa della sua prossima mossa che però non arrivava. Doveva intervenire lei.

 

“Allora papa ci vai da solo da Beckett o dobbiamo portartici noi?”

 

***

 

Dopo nemmeno un ora che aveva lasciato il suo appartamento Castle era di nuovo li da lei. Apri la porta facendo piano non volendo in alcun modo intimorirla e con la stessa attenzione l'andò a richiudere. Non vide nessuno in sale e nemmeno in cucina perciò si diresse direttamente verso la camera da letto. La luce era ancora accesa.

 

“Toc Toc”. Disse lui appoggiandosi allo stipite della porta intento a guardarla mentre leggeva un libro non suo. Un altro modo per punirlo forse.

 

“Sei venuto a controllare se stavo dormendo?” Chiese lei staccando brevemente gli occhi dalle pagine. Era molto arrabbiata con Castle e non aveva voglia di litigare ancora su quella questione quindi se lui avesse tirato in ballo l'argomento lei avrebbe fatto finta di niente, quella sarebbe stata la sua politica.

 

“No, sono venuto a scusarmi”. Disse lui non muovendosi da dove era attendendo il suo permesso per entrare nella stanza.

 

Questa è una cosa rara, pensò Beckett. Castle con lei si era scusato solo due volte da quando lo conosceva, la prima quando indagò su sua madre, la seconda quando si ritenne responsabile per la morte di Kunan. Fece una piega alla pagina dove era arrivata a leggere e chiuse il libro invitando l'uomo a continuare.

 

“Ho esagerato. È solo che se provassi a metterti nei miei panni faresti lo stesso”

 

“Io non sarei cosi opprimente”

 

“E per questo mi scuso. Non ho tenuto in considerazione il fatto che tu te la sei sempre cavata da sola e lo hai fatto sempre egregiamente. Pensavo di esserti d'aiuto e invece non mi sono reso conto che con il mio continuo starti dietro non ti davo modo di far nulla. Nemmeno ora che stai bene. Continuo a considerarti ancora ferita, cosa che ormai non sei più, e non ho mai immaginato che potesse darti fastidio eppure me lo hai fatto capire in mille modi. Ogni volta che mi dicevi che volevi riprendere in mano la tua vita, che dovevi ritrovare i tuoi ritmi io ti ascoltavo ma non prestavo attenzione. Ma ti prometto che d'ora in avanti non accadrà più. Niente più sederti se sei in piedi da più di 10 minuti, niente più “prendi l'ascensore che le scale ti fanno male”, niente più andare a dormire alle 22”

 

 

Beckett non sapeva se crederci o meno a questa sua promessa. I suoi erano tutti buoni propositi ma i fatti erano sempre ben diversi dalle parole e lei non voleva rischiare tra una settimana di essere di nuovo punto e a capo.

 

“Rick se fai questa promessa però la devi davvero mantenere se no le conseguenze saranno inimmaginabili”

 

“é una promessa Kate. Mi preoccuperò più del dovuto solo nella mia testa”

 

Beckett per il suo lavoro aveva imparato a capire chi parlava seriamente o meno e questa volta era sicura che Rick dicesse la verità. L'avrebbe perdonato senza problemi. Anche se non si fosse scusato l'avrebbe fatto. Le mancava già troppo in quei minuti passati senza di lui dopo aver litigato quindi lei a sua volta si ripromise di dire subito se qualcosa le andava bene o meno cosi da evitare di arrivare al punto dello scoppio e di fare come in quella serata.

 

“D'accordo, allora salta su che ora ho veramente bisogno di dormire”. Gli disse scostando le coperte dalla sua parte del letto invitandolo a raggiungerla il più in fretta possibile.

 

Castle in un attimo si tolse i suoi vestisti lasciandoli in giro per la stanza e si mise su un paio di boxer e una maglietta di quelle che aveva lasciato a casa della donna nelle settimane passate. Sali sul letto e la prese tra le braccia lasciando che la schiena di lei aderisse contro il proprio petto. Le scostò i capelli e le diede un bacio sul collo prima di sussurrarle in un orecchio.

 

“Io non ordinerò più niente però tu ricordati una cosa”.

 

“Cosa?” Disse lei ormai quasi sprofondata nel mondo dei sogni.

 

“Ricordati quanto odi sentirti dire “Te l'avevo detto”

 

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Tornata a casa dalle vacanze, sigh sigh, posto un nuovo capitolo. Giusto una piccola parentesi per vedere come se la cavano Rick e Kate all'interno della loro sfera privata. Nel prossimo torneremo a seguire l'assassino durante la sua opera.

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Capitolo 9
*** 3° sacrificio ***


 

CAPITOLO 8

 

L'uomo era appena tornato a casa da lavoro. Una lunga e noiosa giornata al lavoro, superata solo grazie al pensiero che quella sera un altro omicidio sarebbe avvenuto. Era passata quasi una settimana dal primo sacrificio. Ora doveva procedere con gli altri per non uscire dalla propria tabella di marcia. Quella sera si sentiva particolarmente ispirato. Non era un omicidio semplice, aveva dovuto pensare più e più volte su come realizzarlo ma alla fine fu un giornale a dargli la risposta. Per lui quello fu un segno divino. Volevano fargli capire che la sua opera era approvata e che poteva metterla in atto. Decise che aveva bisogno di un sottofondo adatto per cominciare a prepararsi per il prossimo evento e perciò mise su un cd. Subito partì una musica Heavy Metal, non era il suo genere, non era per nulla il suo genere ma era un modo per conoscere meglio la sua vittima. Ascoltando le sue canzoni. Prese la copertina del disco e guardò la foto dei componenti della band. Sarebbe stata lui la sua prossima vittima. Il cantante era un giovanotto squattrinato e drogato, nessuno avrebbe sentito la sua mancanza, anzi avrebbe fatto un piacere alla città eliminandolo dalla circolazione. Lui in fondo faceva tutto ciò per una causa, per un piano quasi divino, lui sarebbe stato il primo di molti che si sarebbero sacrificati per il bene dell'umanità. Era pronto a far quel sacrificio, a perdere la sua anima per salvare quella altrui. La rivelazione l'aveva avuto un giorno dell'anno precedente mentre era a lavoro. La sua vita era noiosa, non valeva la pena di viverla, meditava ogni giorno con sempre più convinzione fino a quando per caso non lo trovò. Un sito, un annuncio, una chiamata che gli aprì gli occhi e lo portò a contatto con quel mondo e gli fece comprendere il suo destino. Le parole delle canzone gli riecheggiavano nella testa e lui non poteva fare a meno di lasciarsi trascinare dal ritmo e cantare.

 

 

Are you, are you, coming to the tree

wear a necklace of rope, side by side with me.

Strange things happen here,

no stranger would it be,

if we met up at midnight in the hanging tree”

 

 

Le parole stesse della canzone gli avevano suggerito come compiere quel delitto. La stessa vittima aveva dato una mano al proprio assassino nell'organizzazione del suo omicidio. Che cosa buffa, pensò l'uomo. Prese la corda dal tavolo e iniziò con calma e precisione ad andare a formare un resistente cappio. D'altronde doveva reggere il peso di un uomo. Non voleva che si rompesse mentre lo stava uccidendo o durante la notte. Dovevano trovare la scena perfetta come le precedenti, era la sua firma d'autore dopo tutto. Guardò l'orologio. Erano quasi le 23 doveva sbrigarsi. Mise tutto il necessario dentro un borsone e scese nel parcheggio. Entrò in macchina e si diresse al locale. Per tutto il tragitto continuò e continuò a risentire quella traccia, quelle parole che in quella serata sarebbero state la sua colonna sonora. Passò davanti al “Pink Devil” ma non parcheggiò li vicino, troppi l'avrebbero visto portare via un corpo, optò dunque per il vialetto vicino, li era il luogo adatto. Lasciò la borsa in macchina e si diresse dentro il locale. Avevano già iniziato a cantare ma non importava, a lui interessava più la fine del concerto. Ordinò un bloody mary e attese, canzone dopo canzone, fino a quando il gruppo non scese dal palco e si diresse verso i camerini che erano nel retro del locale. Senza farsi notare uscì dall'edificio e ci girò attorno fino ad arrivare alla porta delle cucine. Passò da li e si diresse verso il camerino della sua vittima. Nemmeno bussò ma l'apri con decisione puntando la pistola all'uomo che vedendolo si alzò di colpo dalla sedia sulla quale era seduto portando le mani in aria indietreggiando il più possibile, allontanandosi dal suo carnefice.

 

“Ehi amico perchè non metti giù quella pistola, che ne dici?”. Diceva sudando freddo e alzando la voce sperando che qualcuno nei camerini a fianco lo sentisse.

“Non credo. Prima ho bisogno che tu faccia una cosa per me”. L'uomo parlava con calma, la situazione era letteralmente sotto controllo, nessuno gli avrebbe dato fastidio e lui avrebbe potuto agire indisturbato.

“Cosa?”

“Vieni con me nel vicolo e ti spiegherò tutto”

“Mi sparerai?”

“No. Non ne ho alcuna intenzione, fidati”

 

Infatti era cosi. Non voleva sparargli, era inutile farlo. Non avrebbe centrato nulla con la sua opera, una pallottola avrebbe rovinato tutto perciò era fuori discussione, non l'avrebbe ucciso cosi. Il cantante non potendo far altro acconsenti. Uscendo dal camerino sperò di incontrare qualcuno ma tutti erano come spariti. Nessuno poteva salvarlo. Valutò la possibilità di lottare contro l'uomo per prendergli la pistola ma questi era più grande di lui e sicuro avrebbe avuto la peggio in quello stretto corridoio. Appena fuori dall'edificio sarebbe scappato via chiedendo aiuto. L'uomo, per sua sfortuna, però non era stupido. Giunti alla porta lo fece spostare contro il muro e gli passò davanti e uscendo per primo, sempre però tenendo la pistola puntata contro il petto della sua vittima.

 

“Forza”. Lo incoraggiò ad uscire anch'egli. Il vicolo era buio e non c'era modo che i passanti disattenti li potessero notare.

“Ora facciamo cosi. Tu senza aprire bocca mi segui fin la macchina altrimenti avrai un altro buco, oltre alla bocca e al naso, da cui respirare”

 

 

Il cantante annuì e si diresse con lui la dove l'uomo aveva parcheggiato la macchina. Venne spinto contro la portiera di quella e li ci rimase in attesa che l'assassino facesse qualcosa.

 

“Cosa vuoi da me?”

 

Non disse nulla. Non rispose, ma aprì la portiera della macchina e fece partire quella canzone.

 

“La riconosci?”. Gli chiese l'uomo mettendosi dietro di lui.

 

“Si è una nostra canzone “The hanging tree”.

 

“Bene. Ripassa bene le parole nella tua mente perchè quella sarà la tua fine”. Gli disse prima di colpirlo con il calcio della pistola facendolo cosi svenire. Lo fece sdraiare sul sedile posteriore della macchina e partì verso la propria destinazione. Era la casa di un medico, nel cui giardino c'era un invitante albero che chiedeva solamente di essere usato e lui oggi l'avrebbe fatto. Il cantante stava cominciando a riprendersi, giusto in tempo per lo spettacolo pensò l'uomo. Parcheggiò la macchina vicino alla casa. C'era gente che camminava a fianco a lui ma aveva pensato anche a quello. Tirò fuori dal bagagliaio una carrozzina e poi vi posò sopra il corpo della vittima semi cosciente. Per tutti era solo un signore che spingeva la carrozzina di un suo amico. Il difficile fu aprire il cancello. La serratura era più resistente di quanto pensasse e ci mise un attimo prima di riuscire e scassinarla. Per sua fortuna la gente di New York non era solita dare una mano agli sconosciuti quindi nessuno prestò troppa attenzione a lui e al cantante sulla carrozzina. Entrò nel giardino e richiuse il cancello dietro di se. Ora doveva fare un lavoro veloce se non voleva destare l'attenzione dei passanti. Velocemente fece passare la corda per due volte attorno a un ramo dell'albero prescelto, facendo infine penzolare il cappio. Fece la prova per assicurarsi che fosse abbastanza resistente e una volta confermato andò a prendere una delle sedie li presenti. Non era molto alta ma abbastanza per aiutarlo a sollevare il corpo. Non fu una cosa facile, ma per sua fortuna la vittima era esile molto esile e quindi sollevarla sulla sedia quasi in posizione eretta in modo da mettergli la corda intorno al collo non fu un lavoro lungo quanto aveva programmato. Alla fine comunque ci riuscì. La vittima penzolava dall'albero tenuta in vita solo dalla sedia che aveva sotto i piedi e dall'assassino che ancora in parte lo sorreggeva, tenendolo per la vita. Bastava una piccola spinta e tutto sarebbe finito. Voleva aspettare ancora un po', attendere che il cantante si riprendesse ma non aveva tempo, i proprietari sarebbero tornati da un momento all'altro. D'improvviso mollò la presa e con un calcio deciso colpì la sedia che volò a pochi metri da lui mentre il corpo venne sospinto verso il basso. Ci volle poco, solo un tremolio involontario dei piedi che cessò troppo in fretta per i gusti dell'uomo. Osservò per l'ultima volta l'ormai cadavere. Le mani penzolanti, la testa rivolta verso il basso, ancora una volta aveva raggiunto la perfezione. Prese la carrozzina, la chiuse e si diresse verso la macchina. Era il momento di tornare a casa e scrivere un altra lettera.

 

--------

 

E siamo a tre. Questa volta un omicidio “tranquillo” senza troppi fronzoli ma come i precedenti senza dettagli che possano aiutare i detective, ci vorranno ancora un paio di omicidi prima che si venga a scoprire il nesso tra le vittime, dovrete pazientare ancora un po' scusate. Inoltre prima farò accadere un altra cosuccia che non porterà nulla di buono per i due protagonisti, in particolare uno di loro due, ma come al solito non svelo nulla.

 

Grazie per il tempo che spendete a leggere :)

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Capitolo 10
*** False speranze ***


 

CAPITOLO 9

 

Beckett era sveglia. Guardò l'orologio che segnalava le 2.14 di mattino eppure non riusciva a dormire. Si era già riposata in quelle due ore e poi uno dei suoi incubi era tornata a tormentarla. Per fortuna non era cosi angosciante come i precedenti e perciò non corse il rischio di svegliare Castle a causa della sua agitazione. Si voltò lentamente tra le sue braccia cosi da essere faccia a faccia e lo osservò sorridendo, ascoltando quel suo leggero russare senza il quale, seppur sembrava una cosa improbabile, lei non riusciva ad addormentarsi decentemente. Gli scostò i capelli dal volto pensando di suggerirgli di tagliarli un po' ma non molto, in fondo a lei piaceva passare le mani tra quelli.

 

“Mi stai fissando”. Lo sentì dire ancora con gli occhi chiusi e nel contempo prenderle una mano per posarle un leggero bacio sul palmo prima di lasciargliela andare.

 

“Forse, perchè non posso?”. Chiese lei avvicinandosi di qualche centimetro al suo corpo fino a sentire il suo respiro caldo contro il proprio viso.

 

“No no anzi, mi piace quando lo fai”. Disse mentre le palpebre andavano lentamente ad aprirsi e dalla bocca gli uscì uno sbadiglio.

 

Kate guardò i suoi occhi e si lasciò perdere in essi per qualche istante prima di posare la mano destra sulla spalla sinistra dell'uomo e spingerlo contro il materasso fino a farlo rimanere a pancia in su. Rick non obiettò, anzi si mise comodo con il braccio sinistro lungo il fianco e quello destro sul petto pronto a riaddormentarsi. Beckett non disse più nulla ma si limitò a mettersi a cavalcioni sui fianchi di Castle e prese a baciarlo lentamente volendolo svegliare con dolcezza da quella stanchezza che sembrava attanagliarlo. Lo scrittore non capiva bene se ciò che stava succedendo era sogno o realtà ma non poteva andargli meglio. Ricambiò quel baciò con più fervore andandosi a sedere lentamente, sollevando nel mentre Beckett cosi da farla sedere su di lui, il tutto senza mai interrompere il contatto delle loro labbra. Le cose si stavano facendo molto interessanti, pensò Rick ormai del tutto sveglio. Senza perdere ulteriore tempo prese i lembi della maglietta di lei tra le mani e la sollevò fin sopra la testa cosi da toglierla, approfittando di quella breve interruzione per riprendere fiato. Osservò Kate e rimase basito da tanta bellezza. I capelli ondulati che le cadevano lungo le spalle, gli occhi diventare di un verde più intenso mentre la pupilla le si dilatava, le sue labbra che chiedevano semplicemente di essere baciate ancora e ancora. Lei era sua, completamente sua e questo lo faceva sentire sopra le nuvole. Le mise una mano dietro il collo e una sotto la coscia per attirarla contro di se e sollevarla contro i propri fianchi prima di occuparsi del gancetto del reggiseno ma proprio in quel momento furono interrotti. Il cellulare di Beckett squillò facendoli sobbalzare.

 

“No dai non rispondere”. Cercò di fermarla lui intrappolandole ancora le labbra con i suoi baci e prendendole le mani nelle proprie.

 

“Rick se mi chiamano a quest'ora è importante”

 

“Più importante di questo?”. Le chiese lo scrittore non volendo mollare la presa per alcun motivo ma lei fu più agile a divincolarsi e riuscì a prendere il telefono e a sedersi di fianco a lui.

 

“Beckett”.

 

 

 

“Ne abbiamo un altro”. Senti dire da Lanie dall'altro capo del telefono.

 

A Castle bastò guardare come la donna si fece seria per capire che c'era qualcosa che non andava e i suoi sospetti vennero confermati quando la detective si alzò di scatto dal letto parlandogli.

 

“Hanno trovato un cadavere impiccato sulla 9°. Dobbiamo correre la”. Disse Beckett tirando fuori alcuni vestiti dall'armadio e gettandoli sul letto prima di dirigersi verso il bagno.

 

“Il nostro assassino?”. Domandò Castle girando per la stanza a raccogliere i propri indumenti sentendo la donna rispondergli dalla stanza accanto.

 

“é ancora presto per dirlo”

 

In pochi minuti si rivestirono e uscirono di corsa dall'appartamento diretti sulla scena del crimine. Nonostante l'ora c'era sempre qualche newyorkese che preferiva assistere a una scena come quella piuttosto che stare a casa, nel proprio letto a dormire, o in qualche bar con gli amici. Senza contare i giornalisti, creature senza sonno, attive a qualunque ora. Un agente appostato davanti al cancello che dava sulla casa li fermò controllando le loro identità. Beckett alzò il distintivo e si presentò all'agente facendo poi lo stesso con Castle. Il poliziotto avendo sentito ben parlare di loro subito si scostò e li fece passare permettendogli cosi di entrare nel giardino. Due piccoli faretti erano puntati contro un albero e appeso a quell'albero un uomo.

 

“Forte l'impiccato. Da piccolo lo adoravo quel gioco”. Disse Castle avvicinandosi tutto saltellante, entusiasta di vedere una scena simile. Le luci puntate contro il cadavere gli davano quel tocco particolare che lo intrigava.

 

“Ci avrei scommesso che avresti detto una delle tue stupidaggine”. Lo riprese Lanie dall'alto di una scaletta mentre prendeva dei campioni della corda utilizzata per quella macabra scenetta.

 

“Ryan, Esposito, ditemi tutto”. Disse Beckett ai due colleghi senza staccare gli occhi dal cadavere studiandone ogni minimo particolare, osservandosi attorno in cerca di indizi.

 

“I proprietari della casa son tornati a casa intorno le 2 e si son trovati di fronte questa scena. Il cancello di entrata è stato sforzato e abbiamo trovato delle tracce sull'erba. Sono troppo distanti per essere di una valigia quindi direi una carrozzina”. Disse Esposito illuminando il punto in cui vi erano quei due solchi paralleli cosi da farli notare alla detective e allo scrittore.

 

“La carrozzina dov'è?”. Chiese la donna non vendendola da nessuna parte nei paraggi.

 

“Sparita. L'assassino deve averla ripresa con se una volta usata. D'altronde non poteva lasciarla qua rischiando di aver lasciato qualche sua traccia.”

 

“Già”. Replicò semplicemente Beckett avvicinandosi di più all'albero fino a star sotto il cadavere e li si rivolse a Lanie.

 

“Sai già qualcosa?”

 

“Il cadavere è ancora abbastanza caldo quindi direi che è morto meno di un ora fa. Credo per soffocamento ma non ne ho la certezza anche se i segni lasciati dalla corda mi fanno pensare che sia stata messa li prima del decesso. Inoltre ho notato un bernoccolo dietro la nuca, magari è stato colpito con qualcosa ma questo lo scoprirò durante l'autopsia”. Esplicò Lanie nel suo modo professionale con la quale si rivolgeva alla detective ogni volta che lavoravano.

 

“Niente segni di punture o cloroformio?”.Chiese la detective osservando il volto e il collo della vittima per cercare qualche strano segno.

 

“Per vedere se ci son collegamenti con le altre due vittime?”

 

“Si”

 

“Per ora non ho trovato nulla ma ti saprò dire con certezza domani mattina”

 

Beckett ringraziò a si diresse verso Castle che nel mentre stava parlando con Ryan ed Esposito. Vedendo la donna avvicinarsi lui la invitò ad unirsi a loro rapidamente, c'erano importanti novità.

Ryan come suo solito prese il blocchetto di appunti e iniziò a spiegare anche alla collega quanto detto prima ai due uomini.

 

“Questa è una zona molto trafficata e alcune persone dirette nel bar qua vicino hanno visto un uomo parcheggiare la macchina vicino alla casa, aiutare una persona a salire sulla carrozzina ed entrare qui dentro. Una di essi l'ha anche potuto vedere in viso perchè gli è passato molto vicino. L'uomo è la che sta descrivendo il presunto assassino a uno dei disegnatori”. Disse l'irlandese indicando i due intenti a parlare e a disegnare quel volto.

 

“E la vittima? Sappiamo chi è?”. Chiese Beckett poco speranzosa. Non c'erano segni identificativi e niente portafogli. Sarebbe stato difficile capire chi fosse in realtà.

 

“In verità si, sappiamo chi è”. Le rispose l'uomo sorridendo quasi sapendo che in quel modo stava dando risposta ai dubbi che ora le affollavano la testa.

 

“Uno degli agenti che è arrivato qua per primo lo conosceva, non di persona ma di fama”

 

“Era famoso?”. Chiese Beckett incredula tornando a guardare in volto il cadavere. Proprio non si ricordava di averlo visto da qualche parte.

 

“Non proprio. Si chiamava Dylan Trussoni ed era il cantante e leader di una band che bazzicava in alcuni locali underground”

 

“E non immaginerai mai come si chiamava la band. Prova a indovinare”. Questo era Castle che a qualsiasi ora del giorno e della notte trovava sempre il modo di far risultare meno pesante una scena del crimine. Beckett lo guardò con quello sguardo che faceva trasparire la poca pazienza che aveva in quel momento.

 

“D'accordo non hai voglia di giocare. Il gruppo si chiama “Murrains”, moria del bestiame, che fantasia non è vero?”

 

Ancora quello sguardo e Castle tacque. Come faceva a non trovarlo divertente? Era un nome assurdo e per questo era dato il permesso agli altri di poter prendere in giro i loro componenti. Peccato che Beckett sulla morte non scherzava mai, ed era un altro lato di lei di cui non poteva fare a meno. La sua determinazione, la sua professionalità era anche per questo che l'aveva scelta come musa. Una persona dai mille strati, complessa, diversa in ogni situazione ma sempre naturale.

 

“Bene. Finite di scattare le foto e di fare gli ultimi rilevamenti. Poi tirate giù il corpo in modo che Lanie possa fare l'autopsia. Ci rivediamo domani mattina al distretto. Presto. Cosi studieremo tutto quello che sappiamo su questo cantante.”

 

 

“Cerchiamo anche collegamenti con le altre due vittime?” Chiese Esposito. Anche se non ne avevano ancora la certezza l'istinto li guidava a credere che le tre vittime fossero collegate in qualche modo o che comunque fossero state uccise dalla stessa mano.

 

“Si conviene farlo. Anche se, se sarà come i due precedenti, non troveremo nulla. L'unica cosa che avremo di certo domani mattina sarà una nuova lettera.”

 

I tre uomini si osservarono in silenzio per qualche istante. Ogni lettera era un rimprovero alla loro inettitudine. Solo il giorno in cui si fossero fermate per mano loro avrebbero trovato la pace che tanto agognavano in quei momenti.

 

Beckett e Castle tornarono a casa, si buttarono a letto ma non dormirono. Rimasero li a fissare il soffitto rimuginando sui tre delitti, cercando nei loro ricordi anche il più piccolo dettaglio omesso ma che in quei casi poteva risultare vitale.

 

***

 

Erano seduti alla sua scrivania a visionare il rapporto dell'autopsia e del laboratorio. Niente di niente. Almeno niente di utile. Si scoprì solo che l'uomo era stato intontito con un colpo alla testa. Il segno aveva lasciato un impronta molto simile a un rettangolo facendo cosi capire al medico legale che probabilmente l'avevano colpito con un calcio della pistola, ma nulla era certo. L'unica cosa sicura era che non fossero stati usati gli altri metodi utilizzati con i precedenti omicidi, ma non si poteva escludere che l'assassino fosse lo stesso. Ora la lavagna era divisa in tre parti. Alle due precedenti sezioni si era aggiunta quella dell'impiccato. Beckett le osservava accarezzandosi il mento con la mano sinistra mentre dietro di lei Castle era più intento a guardare la donna che il resto.

 

“Non capisco il collegamento. Una addormentata con il cloroformio e dissanguata, l'altro avvelenato con la digitale, ora questo impiccato. Nei tre modi di uccidere non c'è nulla di simile. Possono essere stati commessi anche da due persone diverse dopo tutto. Magari quest'ultimo omicidio non c'entra con i precedenti”

 

Castle notando quanto la donna era concentrata sui casi decise di fare uno sforzo e di mettere in moto le proprie cellule grigie. Era stanco, aveva sonno, eppure avrebbe fatto di tutto per aiutarla. Si concentrò, ci provò davvero, ma non gli venne in mente nemmeno una delle sue improbabili teorie che potesse collegare i tre fatti. Spostò di poco lo sguardo. Ora vicino alle tre foto dei cadaveri vi era anche il ritratto del presunto assassino avuto grazie alla testimonianza di uno dei passanti. L'avevano cercato in qualunque archivio ma di lui non c'era traccia, era un fantasma.

 

“Scusate sto cercando la detective Beckett e mi hanno mandato qui”

 

I due si girarono nella direzione dalla quale proveniva la voce. Era una ragazza, sui 30 anni, non tanto alta, con un caschetto marrone e gli occhi celesti. Ma tutto questo passò in secondo piano quando notarono cosa aveva tra le mani.

 

“Sono io la detective Beckett. Che ne dice se andiamo a parlare in un luogo più tranquillo”. Disse indicando alla donna la porta della sala degli interrogatori. Che fosse la svolta che stavano aspettando?, pensarono entrambi mentre ella lentamente si faceva accompagnare nella stanza. Sembrava quasi impaurita, me non era per la presenza di Kate e Rick, ma per quello che portava con se. Prima di entrare nella stanza Beckett fece un cenno con la testa ai due colleghi invitandoli silenziosamente ad assistere a quel colloquio dietro il vetro. I due detective aspettarono che i tre fossero entrati nella stanza e poi li seguirono.

 

La donna prese posto su di una sedia e posò quanto teneva stretto tra le mani sul tavolo.

 

“Me l'ha consegnata questa mattina. È la terza nel giro di questa settimana”

 

Castle e Beckett guardarono la lettera ancora richiusa che ora giaceva davanti ai loro occhi. La voglia di aprirla e leggerne il contenuto era tanta ma prima dovevano occuparsi della giovane.

 

“Come ti chiami?”. Chiese Castle rivolgendosi ad ella in modo amichevole.

 

“Mi chiamo Cecilia Hoffman. E lavoro in una piccola società che si occupa di consegne.”. Iniziò a dire con voce tremolante. Castle e Beckett si guardarono domandandosi quale fosse il motivo per cui la giovane si rivolgeva a loro con tale stato d'animo tormentato.

 

“Tranquilla Cecilia. Siamo solo noi tre”. Disse ancora Castle riuscendo a darle quella sicurezza necessaria per continuare.

 

“Una settimana fa un uomo è venuto in negozio e mi ha chiesto di far consegnare alla polizia una lettera contenente documenti importanti. Io l'ho fatto pensando che non ci fosse nulla di male. Poi qualche giorno fa è tornato ancora con un altra lettera, e oggi ha fatto la stessa cosa”. Disse osservando quella che ora giaceva sulla tavola.

 

“Quando mi consegnò la seconda lettera iniziai a farmi delle domande e notai che sia nel giorno della consegna di questa che della precedente si erano verificati dei delitti. Quando stamattina si è presentato ancora sono corsa a prendere un giornale e sulla prima pagina ho letto l'articolo di quel giovane trovato impiccato. Mi è sembrata troppo strana come coincidenza e ho preferito venire qui ed avvisarvi”. La giovane sembrava molto più rilassata ora che si era tolta quel peso dalle spalle.

 

“Hai fatto benissimo ad avvisarci. Ora ti dovrei chiedere un piccolo favore. Vorresti parlare con un nostro disegnatore cosi da cercare di dare un volto a questo uomo. Seguendo le indicazioni che ci dai tu in base a quanto ricordi potremo capire chi sia”. Le chiese Beckett cercando di essere la più convincente possibile ma la ragazza era già intenzionata ad aiutare la polizia come meglio poteva.

Ryan ed Esposito poco dopo entrarono nella stanza e si proposero di accompagnare la ragazza mentre Castle e Beckett rimasero da soli con la lettera.

 

“Pronta?”. Gli chiese lui andandola a prendere senza preoccuparsi di indossare guanti. Tutte le lettere precedenti erano pulite. In questa avrebbero trovato solo impronte di Cecilia quindi era inutile fare tutta quell'attenzione. La detective annui e lo scrittore aprì la busta. Il solito sigillo cadde. Identico ai tre precedenti. Poi si venne alla lettera. Castle l'aprì e cominciò a leggere.

 

Voi come tutta la vostra razza siete una delusione. Tre morti si sono susseguite perchè voi, esseri cosi semplici e incompleti, non riuscite a vedere in profondità. Una razza superiore ormai giunta alla propria fine. Un altro sigillo, un altra anima salvata prima del giudizio finale. Il mio potere è immenso perchè ho la sua protezione. Quante altre morti saranno necessarie prima che apriate gli occhi in modo da capire il vero senso del mio capolavoro?. Guardate in profondità e salvate la vostra anima. Il 4° sigillo sta per essere tolto, il tempo sta per scadere. Mikael.”

 

 

Beckett lasciò cadere la testa sul tavolo sentendosi veramente inerme. Un altra vita ora pesava sulle loro spalle, mentre loro erano li a brancolare nel buio l'assassino stava per porre fine all'esistenza di un altra persona. Le lettere in qualche modo dovevano aiutarli a raggiungere la verità e invece li stavano conducendo sempre più lontano. Questo serial killer era uno dei più bravi, se non il migliore con cui la detective avesse avuto a che fare. Tutti commettevano errori prima o poi, lui no, e se ne commetteva non erano cosi importanti da dare una svolta al caso.

 

“Lui è tre passi avanti mentre noi siamo ancora sulla linea di partenza”. Disse la donna tirando su la testa e guardando il compagno ormai priva di speranza. Si stava abbattendo. Stava mollando e questo non le piaceva, non si era mai arresa, ma mai aveva affrontato un caso simile.

 

“In qualche modo ce la faremo. Dobbiamo solo mettere insieme tutto quello che abbiamo. Se la descrizione di Cecilia corrisponde a quella fatta dal testimone di ieri sera abbiamo il vero volto del nostro assassino e quindi recupereremo un po' di strada e da li sarà tutto in discesa.”. Cercò di consolarla Castle avendo anch'egli poche speranze di riuscita. Ma dovevano farcela per salvare le prossime vittime.

 

“Ci credi davvero?”. Gli chiese la donna.

 

“No. Ma è di un po' di speranza che abbiamo bisogno”. Rispose lo scrittore mettendo una propria mano su quella della donna che lo ringraziò con un sorriso. Doveva crederci che ce l'avrebbero fatta, per dare giustizia alle vittime, per salvare le prossime e per andare avanti lei stessa.

 

Rimasero un altra decina di minuti in quella stanza quando sentirono bussare alla porta e Ryan comparire una volta apertala. Senza preamboli si rivolse ai due.

 

“L'identikit è finito. Abbiamo il disegno dell'uomo visto dalla Hoffman”

 

I due si alzarono subito dalla sedia e uscirono dalla stanza seguendo Ryan che si stava dirigendo verso la scrivania di lei. Notarono Esposito con un foglio in mano intento ad attaccarlo alla lavagna. Quando i tre gli furono vicini andò a dire.

 

“La ragazza si ricordava molto bene del nostro assassino. Un tipo particolare che ti rimane impresso nelle mente. In pochi minuti il disegnatore aveva finito di disegnarlo ed ecco qua il risultato.”. Disse spostandosi da davanti la lavagna in modo che tutti potessero osservare i due identikit a confronto.

 

La prima immagine, quella del testimone dell'omicidio, e la seconda, quella di Cecilia.

Nella prima si vedeva un uomo di circa 30-35 anni, i capelli ricci e scuri con un'attaccatura alta, gli occhi grandi e azzurri, sulla guancia destra un piccolo neo. Un mento pronunciato con una leggera fossetta in mezzo e un naso alla francese.

La seconda mostrava invece un uomo con i capelli lunghi e biondi, gli occhi scuri, il mento piatto e un naso aquilino con una specie di cicatrice nel lato sinistro.

 

“Sono due persone diverse”. Disse Beckett sconsolata andandosi a sedere alla propria scrivania mentre Ryan ed Esposito se ne rimanevano in silenzio per non dar voce alla propria frustrazione. Castle invece continuava ad osservare le due immagini richiamando l'attenzione dei tre.

 

“No ragazzi aspettate. Beckett tu ti sei soffermata solo sulle cose diverse ma guardiamo quelle uguali. Occhi molto simili come forma e stesso neo sulla guancia”. Disse Castle indicando con l'indice le varie parti descritte nei due identikit.

 

“E inoltre questa piccola cicatrice. Se non lo fosse? Se fosse altro?”

 

“E cosa potrebbe essere?”

 

 

“Il segno di un camuffamento. Ci scommetto quello che volete ma questo è il nostro assassino. Solo che si è travestito. L'uomo che si presenta ogni volta dalla Hoffman in realtà è il nostro assassino truccato per non farsi riconoscere.”. Castle parlava con decisione. Era convinto, era certo di quello che diceva. Forse anche nella prima immagine era travestito ma quel neo e gli occhi erano uguali. Non c'erano dubbi, era lui.

 

“Voglio che mettiate degli uomini vicino al negozio di consegne. Quando questo capellone qua si avvicina devono arrestarlo”.Ordinò Beckett ai due colleghi che subito iniziarono a far le chiamate necessarie.

 

“Lo troveremo”. Disse Castle con rinnovata speranza in direzione della propria compagna che però non mostrava lo stesso entusiasmo.

 

“Kate?”

 

La donna non voleva farsi trascinare dall'entusiasmo. C'era qualcosa che non le tornava, qualcosa non andava secondo un piano logico.

 

“Se tu volessi commettere una serie di omicidi li faresti in luoghi dove puoi essere notato da tutti? Oppure consegneresti delle lettere facendoti vedere bene in volto?”. Domandò a Castle volendo in quel modo fargli capire i dubbi che ora le annebbiavano la mente e che non riuscivano a farle cantare vittoria cosi presto.

 

“Si vuol far riconoscere. Ci sta prendendo in giro”. Capì finalmente lo scrittore.

 

“Prepariamoci a trovare un altro cadavere Rick”. Disse Beckett guardando di nuovo la lavagna consapevole che di li a pochi giorni avrebbero dovuto aggiungere un altra foto.

 

***

 

In un altra parte della città l'uomo se ne stava seduto sul pavimento del proprio bagno, rivoltò verso la vasca. Nella mano destra un'ampollina, nella sinistra un pezzo di legno. Con attenzione versò un poco del liquido contenuto nell'ampollina sul pezzo di legno. Le poche gocce iniziarono come a friggere fino a quando non lo ruppero in due. L'uomo rise trionfante. Non vedeva l'ora di sentire le sue urla di dolore quando l'avrebbe provato sulla pelle della sua vittima.

 

“Con solo poche gocce di questo acido riuscirò a scioglierli anche le ossa”

 

--------

 

E un altro capitolo andato e un altra lettera trovata. Pochi indizi come al solito, ho preferito rimanere sul vago e solo nei capitoli finali si scoprirà veramente chi è l'assassino e il filo conduttore. Piccolo spoiler, nel prossimo capitolo i nostri protagonisti riceveranno una visita poco piacevole.

 

Grazie ancora e buona lettura.

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Capitolo 11
*** Cattive notizie ***


 

CAPITOLO 10

 

Beckett quella mattina arrivò in ufficio da sola. Castle l'aveva lasciata al distretto prima di proseguire verso la propria casa per salutare sua madre e sua figlia per poi incontrarsi con Paula e Gina per parlare del nuovo libro che l'uomo aveva da poco cominciato a impostare. La sua notte era stata quasi del tutto insonne. Seppur la presenza di Rick l'aiutava molto le domande sul caso le affollavano la mente. Quella notte in particolare aveva fatto un incubo a riguardo. Sognò di camminare per strada in mezzo alla folla, più e più persone che le finivano addosso, e ogni volta che le guardava in volto vedeva i visi agonizzanti dei cadaveri ritrovati. Osservava le loro labbra muoversi ma non capiva quanto le volevano dire, sentiva solo le loro mani aggrapparsi a lei in cerca di aiuto e poi un improvvisa risata. Si voltava e vedeva una figura alta e scura e il suo volto, che in un continuo mutare, prendeva la forma dei due identikit dell'assassino. Senza accorgersene si ritrovò nel bagno del distretto a sciacquarsi la faccia con acqua gelata cercando di togliere i segni della stanchezza sul suo viso. Si asciugò ed usci trovando davanti a se i due colleghi.

 

“Buongiorno ragazzi”. Li salutò vedendo nelle mani di Esposito un fascicoletto.

“Giorno Beckett. Ti ricordi dell'impronta trovata al parco? E dei controlli su quelle aziende sportive?”. Disse Ryan seguendo lei e il collega che si dirigevano alla scrivania della donna cosi da potersi sedere e parlare più liberamente.

“Si. Cosa avete scoperto?”. Chiese lei immaginando che quel fascicolo fosse il rapporto di quanto scoperto dai due colleghi. Esposito si sedette sulla scrivania e apri la cartellina iniziando a leggere per informare la collega su quanto trovato.

“La ricerca non è stata per nulla facile. Abbiamo chiamato le diverse aziende e abbiamo scoperto che, per nostra fortuna, quel tipo di scarpe è stato dato in omaggio solo a un stretta cerchia di persone, ovvero ai soli rappresentanti”. Disse l'uomo per poi essere interrotto da Ryan che continuò a relazionare Beckett.

“Le aziende ci hanno inviato i nomi dei loro rappresentanti. Non erano molti a dir la verità. Sulla settantina. Il lavoro lungo è stato cercare nome per nome nel nostro database in cerca di riscontri”. Spiegò guardando poi Esposito che passò l'elenco alla donna indicando i diversi nomi evidenziati di giallo prima di andare a spiegarne il motivo.

“Abbiamo trovato queste 13 persone che hanno precedenti più o meno gravi. I nomi con a fianco un pallino hanno commesso reati minori, piccoli furti, truffe telefoniche, cose del genere. Quelli con a fianco l'asterisco invece son stati condannati per reati più gravi tipo violazione di domicilio, percosse, ricatti, e ciò ci ha portato a restringere la lista a 8 persone”

Beckett guardò soddisfatta i colleghi. Poteva ritornare utile la loro scoperta. Forse tra quegli 8 nomi si nascondeva il loro assassino. Lesse velocemente l'elenco cercandone qualcuno che le saltasse all'occhio ma nessuno di quelli le diceva qualcosa.

“D'accordo. Controlliamo se tra questi 8 c'è qualcuno che assomiglia a uno dei due identikit e direi di mettere qualcuno a sorvegliarli. Giusto per sicurezza. Se l'assassino è uno di loro potremmo coglierlo sul fatto”. Ordinò la donna ridando l'elenco ad Esposito che insieme al collega si diresse alle proprie scrivanie per organizzare quel lavoro di sorveglianza. Beckett intanto si alzò dalla propria e si avvicinò alla lavagna. Non c'era nulla di nuovo ma sperava che a guardare le fotografie le venisse qualche intuizione, qualsiasi idea folle che desse risposta alle sue domande. Poi d'improvviso si rivolse verso i due colleghi e chiese.

“Niente lettera questa mattina?”

“No, niente per ora”.

 

In fondo quella era una bella notizia. Vuol dire che avevano ancora del tempo per trovare l'assassino prima che facesse un altra vittima. In quel momento senti il cellulare squillare. Era Rick che le aveva mandato un messaggio. Sorrise nel leggere la disperazione nelle parole dell'uomo. Non aveva alcuna voglia di star li con le altre due donne, voleva star solo con lei. Beckett sapeva già che appena avrebbe avuto l'occasione avrebbe interrotto quella riunione e sarebbe scappato. Avrebbe potuto chiamarlo lei dandogli una scusa ma preferì farlo soffrire ancora un po'. Li al distretto però non sapeva cosa fare. Non aveva in mano nulla, i rapporti li aveva letti e riletti, dei dettagli si stavano occupando i due colleghi e Lanie era impegnata con il suo lavoro. Prendendo la giacca andò verso Ryan chiedendo.

 

“Al negozio di consegne che agenti ci sono?”

Ryan cercò fra le diverse carte che aveva sparse per la scrivania per cercare quella che gli interessava in quel momento e quando l'ebbe trovata rispose alla donna.

“Mcginty e Ford. Perchè?”

“Visto che qua non c'è nulla da fare voglio andare a dare un occhio e chiedere ai due se hanno visto qualcosa di sospetto. Se succede qualcosa chiamatemi subito”.

 

Sapeva che era quasi impossibile che fosse arrivata un altra lettera. Tra la prima e la seconda erano passati un paio di giorni ma in quel caso non potevano essere certi di nulla. Arrivò vicino al negozio ma optò per parcheggiare in una delle vie secondarie e dirigersi li a piedi. In quel modo avrebbe fatto attenzione solo a quanto le accadeva attorno. Arrivata all'incrocio si guardò in giro in cerca dei due agenti. Mcginty non l'aveva mai visto ma Ford lo conosceva bene quindi non avrebbe dovuto aver problemi a individuarlo nei paraggi e infatti fu cosi. Li vide entrambi seduti a un tavolo di un bar rivolti però verso il negozio. Senza dare troppo nell'occhio si incamminò in quella direzione sedendosi poi, una volta giunta, al loro tavolo.

 

“Detective”. La salutò formalmente l'agente Ford.

“Allora tutto tranquillo?” Chiese la donna guardando in direzione del negozio socchiudendo le palpebre infastidita dal riflesso del sole. C'erano un paio di persone che entravano e uscivano ma Cecilia non aveva ancora dato alcun segnale. Avevano concordato che quando l'uomo fosse entrato avrebbe avvisato gli agenti chiamandoli sul loro cerca persone, in modo da arrestarlo sul momento.

“Si. Sono entrate poche persone. Una vecchietta con un pacco, un ragazzo con un malloppo di lettere e un signore che ha consegnato una grossa busta”. Spiegò Mcginty rileggendo i propri appunti presi in quella mattinata. Beckett fu incuriosita dall'uomo con la busta.

“Avete chiesto alla Hoffman di tenere da parte la busta cosi da poterla controllare?”. Chiese tornando a guardare i due agenti.

“No. Mentre l'agente Ford seguiva l'uomo io sono andato a controllare. Conteneva solo la radiografia di una gamba”

Beckett a sentire quelle parole sospirò e si mise una mano nei capelli scrollando la testa cercando di non lasciarsi prendere dalla frustrazione.

“Voi al negozio non dovevate avvicinarvi per alcun motivo. Il nostro assassino è furbo e può metterci alla prova. Se fosse stato un suo tranello voi ci siete cascati in pieno e l'unico luogo che poteva collegarci a lui ora non è più utilizzabile”

“Ci dispiace Detective. In quel momento non ci abbiamo pensato. Le consegne partono ogni mezz'ora. Non volevamo correre il rischio che anche la busta per errore venisse consegnata e noi perdessimo l'occasione di catturare quell'uomo.”. Disse Mcginty. Forse era alle prime armi, forse avevano agito in buona fede ma l'errore poteva esser stato decisivo.

“D'accordo. Continuate a controllare l'edificio. Ma non avvicinatevi per alcuna ragione e fate altro oltre a star seduti al bar. Due persone normali non passano 8 ore su di un tavolino.”

 

Ritornò verso la sua macchina sperando che Ryan ed Esposito avessero richiesto persone più competenti e con più esperienza per controllare quei 13 nomi, in particolare gli 8 con precedenti. Salì in macchina e si diresse di nuovo al distretto quando il suo cellulare squillò.

 

“Beckett”

“Dove sei?” Chiese Castle dall'altra parte con tono urgente.

 

 

“Ero al negozio di consegne e ora sto tornando al distretto. Tu piuttosto dove sei?”. Chiese immaginandosi già la risposta.

“Al distretto”. Appunto. Era riuscito a scappare prima di quanto pensasse. Era curiosa di sapere la scusa che si era inventato sperando di non essere tirata in mezzo come era successo altre volte creando un certo attrito tra lei e Gina, il cui rapporto non era già dei migliori, se poi lo scrittore la usava come scusa per non vederla le cose non potevano di certo migliorare, anzi.

“Ma non avevi una riunione? Sarà durata a mala pena un ora, un ora e mezza”. Disse la donna osservando l'orologio per vedere l'ora e accertarsi di quanto detto.

“Già ma mentre ero li che macchinavo un modo per fuggire mi hanno chiamato dal distretto”. Spiegò lo scrittore. Solo ora Beckett notò che la sua voce non era gioiosa come suo solito ma stranamente seria.

“Che cosa è successo?”. Domandò lei premendo sull'acceleratore per giungere prima sul posto di lavoro e assicurarsi con i propri occhi che tutto fosse a posto.

“Mi hanno chiamato Ryan ed Esposito. Abbiamo visite e sono alquanto importanti, oltre che spazientite”. Commentò lo scrittore osservando le due persone che ora erano sedute nell'ufficio che prima apparteneva a Montgomery. Una era seduta sulla sedia del capitano, l'altra continuava a camminare su e giù nervosamente per la stanza parlando e gesticolando in direzione dell'altro uomo che invece sembrava più calmo.

“Chi sono?”

“Sbrigati e lo scoprirai”. Detto questo riattaccò.

 

Dannato Castle, quando faceva cosi non lo sopportava. Era di certo qualcosa di importante se c'era tutta questa urgenza che lei tornasse in fretta e furia al distretto. Allora perchè non dirle il motivo invece che farla rimanere cosi sui carboni ardenti e agitarla e infastidirla ulteriormente. Parcheggiò la macchina e si diresse velocemente verso l'ascensore. Appena arrivò al piano notò subito i tre uomini parlare fitti fitti, uno attaccato all'altro.

 

“Mi volete dire che succede?”. Chiese ai due colleghi e al compagno che ora le si erano parati davanti quasi a farle da muro per non permetterle di guardare verso l'ufficio del capitano. Esposito diede una gomitata a Castle invitandolo cosi a spiegare. Lui avrebbe reso la cosa più soft in qualche modo e Beckett non si sarebbe agitata più del dovuto.

 

“A quanto pare ai piani alti hanno saputo del nostro piccolo problema con Mikael e hanno deciso di toglierci il caso”. Disse Castle con molta cautela, attendo all'uso delle parole. Sapeva che questa notizia non sarebbe piaciuta alla donna ma poco potevano fare lui e i colleghi. Se quelli prendevano una decisione quella era, non importava quanto ci si ribellasse.

 

“Come scusa?”. Domandò incredula Beckett scostando i colleghi in modo da riuscire a guardare nell'ufficio. Le bastò uno sguardo per capire chi fossero. Era un a qualcosa nel loro portamento, nel loro aspetto che li rendeva riconoscibili. Senza considerare il fatto che andavano sempre in giro con un vestito elegante nero, camicia e cravatta.

 

“Che ci fa l'FBI qui?” Domandò lei irritata alzando la voce e indicando i due con l'indice. Sentendosi chiamare in causa i due uomini si voltarono in sua direzione ma Castle si pose tra i tre cosi che non potessero vedere l'uno le reazioni dell'altro.

 

“Beckett non credo che questo sia l'atteggiamento adatto. Come ti ho detto vogliono la giurisdizione sul caso ma desiderano anche parlare con te. Quindi ora pensa a prati fioriti e a coniglietti saltellanti in modo da calmarti e poi andiamo a vedere che vogliono. Che ne dici?”. Chiese lo scrittore tenendola ferma per le spalle impedendogli cosi di entrare in quell'ufficio come un uragano e finire nei guai con quei pezzi da novanta. Il suo timore era che la rimandassero a casa. In realtà doveva ancora essere fuori da lavoro, il sindaco l'aveva lasciata tornare solo come favore personale, se avesse fatto arrabbiare i due agenti non avrebbe più messo piede al distretto per molto tempo.

 

“D'accordo sono calma. Andiamo”. Castle ci credeva ben poco ma la lasciò libera, inoltre era curioso di sentire cosa volessero i due. Quel poco che sapeva gli era stato detto da Ryan ed Esposito ma non era sufficiente per aver un quadro preciso della situazione.

 

Quando videro la donna e lo scrittore entrare nell'ufficio i due smisero di parlare e quello che prima era seduto sulla sedia ora si era alzato e spostato vicino al collega.

 

“Io sono la detective Beckett e questo è il signor Castle, lavora con noi per..”. Iniziò a dire Beckett spiegando come di consuetudine il motivo per cui un civile lavorasse a cosi stretto contatto con le forze dell'ordine.

 

“Sappiamo chi siete e perchè il signor Castle si trova qui”. Disse l'uomo che prima era seduto facendosi cosi portavoce anche per l'altro.

 

“Bene. Voi sapete chi siamo noi, ora possiamo sapere chi siete voi e il perchè siete qui?”. Beckett non era calma ma cercava di sembrarlo. Il suo tono di voce però la raccontava diversamente, si poteva tranquillamente udire quella sfumatura di ostilità che aveva contro i due agenti.

 

“Io sono l'agente Kevler e questo è un mio collega, l'agente Crickmay. Ai nostri uffici è giunta la notizia di questo potenziale serial killer che sta disseminando vittime per la città e sulla vostra incapacità a catturarlo”. Disse l'agente Kevler accomodandosi sul divanetto seguito come un ombra dal collega.

 

“Incapacità a catturarlo?! Questo non è un assassino della domenica. Sa quello che fa, sa su cosa basiamo le nostre ricerche per trovare i colpevoli. Questo non rende facile il nostro lavoro”. Rispose a tono Beckett avvicinandosi minacciosamente di un passo ai due per poi venir fermata da Castle che intervenne con tono più pacato.

 

“Gli agenti ci lavorano giorno e notte su questo caso. L'assassino non ha lasciato alcuna traccia di se e non credo che voi troviate qualcosa in più solo perchè siete agenti del governo. Le prove che abbiamo raccolto sono a vostra completa disposizione ma non credo che troverete molto di più”

 

“Abbiamo già visionato i vostri rapporti redatti, devo dire, con sufficienza. Mi avevano parlato molto bene di voi ma devo ammettere che le voci erano alquanto gonfiate. Comunque sia, bravi o meno che vi riteniate, da domani a condurre le indagini saranno i nostri agenti”

 

L'uomo mentre parlava manteneva sempre il suo tono calmo e rilassato. Sapendo di aver il coltello dalla parte del manico si poteva permettere quel comportamento, sapeva che ne la detective ne lo scrittore potevano contrastare il suo volere altrimenti avrebbero rischiato sanzioni pensati.

 

“In passato abbiamo già lavorato fianco a fianco con agenti dell'fbi senza che nessuno fosse il capo dell'altro. Se mandate il vostro agente per aiutarci è un conto ma se lo mandate per venire qui a comandarci allora non ci troviamo d'accordo”. Disse Castle facendo scorrere lo sguardo prima su uno e poi sull'altro agente. Beckett intanto era rimasta in silenzio, cercando di sbollire la propria rabbia andandosi a sedere sulla poltrona appartenuta a Montgomery e dondolandosi su di essa mordendosi il labbro inferiore quasi fino a farsi uscire sangue.

 

“Noi prendiamo le decisioni in base a ciò che abbiamo davanti agli occhi e ora davanti a me vedo una detective che porta ancora i segni emotivi di quanto successole pochi mesi fa e uno scrittore che si diverte a giocare al poliziotto, quindi è più che necessario che a condurre le indagini sia una persona esperta e competente. A voi potranno sfuggire molti dettagli a lui no.”. Il suo dire non ammetteva nessuna risposta. Era stato più che chiaro, non sarebbe successo diversamente, ormai la decisione era stata presa da chi di dovere e Beckett e Castle non potevano più far nulla. Era il brutto di essere considerati inferiori agli agenti del governo, dovevano sottostare a ogni loro decisione sia che siano stati d'accordo sia che non lo fossero.

 

“E se invece non volessimo collaborare?”. Chiese la donna per mettere alla prova l'agente in modo da vedere fin che punto si spingeva, per vedere quanto erano decisi a compiere quanto detto.

 

“Lei detective Beckett non è cosi indispensabile al distretto e insostituibile come pensa, se lo ricordi la prossima volta che proverà a contraddirmi. E per quanto riguarda lei, Signor Castle, stiamo seriamente valutando la sua posizione. Ai piani alti non è ben vista la sua presenza qui e mi basta fare una chiamata e lei nemmeno da lontano riuscirà più a vederlo il distretto”

 

La decisione era definitiva. O accettavano l'aiuto di quell'agente oppure se ne sarebbero tornati a casa senza poter mettere piede al distretto per molto,molto tempo.

 

“Ho le mani legate. Ma l'agente userà il suo metodo, la mia squadra ed io il nostro”. Disse rialzandosi dalla poltrona avvicinandosi cosi all'agente senza far cadere lo sguardo dal suo. Era un gioco che sapeva fare anche lei, intimorire, far vedere la propria forza di volontà per non essere schiacciati dall'altro, non era debole e non voleva farsi vedere tale.

 

“A noi importa solo il risultato finale. Usate pure il metodo che volete basta che alla fine questo assassino venga catturato prima che venga a crearsi un'isteria di massa”

 

Castle osservava intanto l'uomo seduto sul divano che ancora non aveva aperto parola da quando avevano messo piede all'interno dello studio del capitano. Aveva osservato la scena ma non si era pronunciato a riguardo e questo lo rendeva più misterioso e intrigante, pensò lo scrittore. Quasi come se avvertisse che i pensieri dell'uomo fossero concentrati su di lui l'agente Crickmay si alzò dal divano, si stirò la giaccia, si sistemo la cravatta. Sembrava che i due si fossero scambiati i ruoli, ora era lui quello tranquillo e il collega quello agitato.

 

“Un paio di mesi fa ci arrivò una segnalazione in una delle nostre agenzie del nord est del paese”. Esordì estraendo dalla tasca la copia del rapporto di cui stava parlando appoggiandolo sulla scrivania in modo che Castle e Beckett potessero visionarlo.

“Erano state intercettate, per puro caso, nel corso di un indagine delle mail in cui un uomo si definiva un “purificatore di anime”. Fecero dei controlli ma tutto si dissolse in una nuvola di fumo, l'uomo svanì e le indagini si sospesero. Ora vogliamo accertarci che non siano la stessa persona”. Continuò a spiegare l'agente ricevendo in cambio solo uno sguardo incredulo da parte dei suoi due interlocutori.

 

“Quindi vi sfogate su di noi per una svista vostra?”. Chiese ridacchiando innervosito lo scrittore.

 

“Vogliamo solo che non si ripeta l'errore fatto in precedenza. Abbiamo sottovalutato la situazione e ora vi offriamo tutto l'appoggio di cui avete bisogno per rimediare. Ma le indagini saranno in mano nostra visto che abbiamo i requisiti necessari per reclamare la giurisdizione”.

 

“Questo l'abbiamo già constatato e ci vede costretti ad accettare. Ma ripeto un ultima volta. Io farò il mio lavoro, l'agente farà il suo.” Commentò Beckett con tono deciso. Non si era mai fatta mettere i piedi in testa da nessuno, figurarsi da un novellino di agente che sarebbe venuto li a dettar legge a casa sua, non sarebbe mai accaduto.

 

“E io ripeto che vogliamo la stessa cosa, l'assassino. Quindi volente o dolente sarà costretta a collaborare con il nostro agente. Noi non cerchiamo onori per averlo catturato, vogliamo solo fermarlo tanto quanto lo volete voi”.

 

Tutto quello detto dagli agenti serviva solo a mettere in cattiva luce il distretto e lei non voleva che accadesse. Lavoravano degli ottimi agenti che non potevano venir giudicati solo per le difficoltà che trovavano in quel caso senza valutare le ottime cose fatte in tutti quelli precedenti. Contro voglia annui, d'altronde poteva benissimo collaborare con questo agente, avrebbero avuto gli stessi rapporti ma gli sarebbe rimasto a debita distanza cosi da fare il proprio lavoro senza pressioni, senza esser osservata e giudicata da uno sconosciuto. Senza dire nessun'altra parola si diresse verso la porta dell'ufficio pronta ad uscire per lasciarsi alle spalle quella conversazione quando udì Castle chiedere ai due agenti.

 

“Come si chiama l'agente che ci manderete?”

 

Beckett si bloccò con una mano sulla maniglia. Voltò leggermente il capo curiosa di sentire quella risposta. Avrebbero mandato un giovane o qualcuno più esperto? Un profiler o un cacciatore di taglie? Un agente laureato in tuttologia o qualcuno che non avrebbe rischiato la defenestrazione subito il primo giorno?

 

“Weiss”

 

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Chissà se qualcuno di voi ha pensato che mandassi Sorenson o peggio ancora Demming?!. Devo ammettere che ci avevo pensato, sarebbe stato interessante in effetti, avevo già scritto il capitolo del suo arrivo ma poi non mi diceva nulla, non mi dava quella suspance che voglio trasmettere nelle mie storie. Cosi ho optato sul creare un agente tutto da capo cosi da modellarlo a mio piacimento hihihi. Nel prossimo capitolo si assisterà a un altro omicidio, con un tipo di acido abbastanza potente da quanto so, ma le descrizioni sono sempre tranquille senza entrare troppo in dettagli “schifidi”, passatemi questo termine che uccide la nostra lingua.

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Capitolo 12
*** 4° sacrificio ***


 

CAPITOLO 11

 

L'uomo era seduto al centro della stanza a contemplare lo schermo della televisione sulla quale passavano immagini rilassanti. Paesaggi innevati, un mare limpido con una spiaggia dorata, notti stellate, tutto ciò di bello che il mondo poteva offrire. In sottofondo una musica leggera, dolce. In quel momento era completamente estraniato dal mondo. Aveva bisogno della più assoluta concentrazione, doveva raggiungere la condizione adatta, lo stato mentale adatto per procedere con il prossimo omicidio. Questo era diverso dagli altri, era più cruento. Nei precedenti sacrifici due delle vittime non si erano nemmeno rese conto di quanto gli stesse loro per accadere, l'altro aveva sofferto solo per pochi attimi. Ora invece era diverso, si richiedeva che fosse diverso. Solo attraverso la sofferenza si poteva ottenere la salvezza. Le sue preghiere sarebbero state le prime ad essere ascoltate quindi da un lato l'assassino lo faceva anche per lui, ai suoi occhi sarebbe stato ancora più degno. D'altro canto non poteva permettere che un innocente subisse tale fine cosi orrenda, allora aveva scelto lui. Una persona che meritava veramente di morire ma nessuno aveva il coraggio di porre fine alla sua miserabile vita, solo lui decise di intervenire, di prendere in mano la situazione. Sarebbe stato il suo giudice e il suo boia. Si alzò da terra dirigendosi verso quella parete ormai cosi cara a lui. I suoi passi seguivano la cadenza della musica e lo stesso facevano mani e testa. Non era mai stato un gran ballerino, una sua ex aveva provato anche a portarlo a lezioni ma lui dopo un paio ci aveva rinunciato. Ora però l'unica cosa che voleva fare era danzare dalla gioia. Tutto ciò che aveva sognato lo stava realizzando, si sentiva cosi leggero, cosi vivo. Ad ogni vita che toglieva sentiva che le sue forze aumentavano, che la sua determinazione cresceva, si nutriva della linfa vitale degli altri, quelle emozioni erano la sua ambrosia. Lui decideva chi viveva e chi moriva. Lui era onnipotente. Si fermò davanti al 4° quadro e lo osservò con attenzione. Appoggiò una mano sulla persona dipinta su quella tela. Giaceva a terra con gli occhi fissi sulle lacerazioni del proprio corpo mentre le braccia erano allungate verso il cielo e le mani unite in segno di preghiera. Sperava con tutto il cuore che la sua vittima gli chiedesse pietà. Il petto gli si gonfiava d'orgoglio alla sola idea di sentirsi cosi importante, la sua vittima dipendeva totalmente da lui, avere l'esistenza di un altro essere nelle proprie mani era qualcosa di indescrivibile. Sotto il quadro la foto di quell'uomo che presto avrebbe ricevuto la sua visita. Era troppo agitato, non poteva attendere oltre, in fondo a quell'ora l'uomo doveva essere a casa, non poteva essere diversamente. Si precipitò nella sala e prese tutto l'occorrente, attento in particolare a non rovesciare le boccette contenenti l'acido necessario per il suo terzo atto. Tornò in camera e si mise la finta divisa da poliziotto che si era procurato in un negozio di costumi. La sua vittima non ci avrebbe fatto caso o comunque se si fosse accorto dello scambio sarebbe stato lo stesso troppo tardi. Aggiustandosi il cappello si diresse verso la porta di casa prendendo con se la borsa contenente tutto l'occorrente, attento a non fargli prendere scossoni per non rovesciare l'acido contenuto in essa. Il viaggio si rivelò più lungo di quanto previsto. C'era molto traffico in quella zona della città e lui voleva procedere con cautela per evitare di attirare l'attenzione, anche per via di come era vestito. Arrivato sotto casa dell'uomo posò con cautela la borsa ai suoi piedi e suonò il campanello attendendo. Suonò ancora. Non poteva non essere in casa, era agli arresti domiciliari doveva essere li. Suonò ancora e ancora nulla. L'assassino stava diventando nervoso, non poteva un essere cosi immondo come la sua vittima rovinare il suo piano cosi perfetto. Iniziò a stringere cosi forte il pugno che quasi la mano iniziò a bruciargli. Se entro pochi secondi non avesse aperto l'avrebbe sfondata quella porta. Questa volta bussò, forte, facendo notare con quei colpi tutta la sua frustrazione.

 

“Arrivo, arrivo”. Si senti pronunciare ora dall'interno della casa. Si usì il rumore delle chiavi girare dentro la serratura e il cigolio della porta. L'uomo strofinandosi gli occhi osservò il poliziotto davanti a se sputandogli vicino il tabacco che stava masticando.

 

“Che volete ancora?”. Chiese appoggiandosi alla porta e portando le dita alla bocca cosi da iniziare a masticarsi una ad una le unghie.

 

“La tua anima”. Disse l'assassino con voce roca e rabbiosa. Prima che la vittima potesse far qualcosa si trovò spinta all'interno della casa dal finto poliziotto. Un secondo dopo era a terra colpito in volto da continui pugni diretti al mento e al naso. Cercò di liberarsi ma non riuscì, l'aveva sopraffatto e in pochi attimi si senti spaesato e dolorante per via dei colpi subiti. Sputando sangue cercò di alzarsi, voltandosi prima a pancia in giù per poi sollevarsi usando le braccia, ma in quella posizione fu ancora più vulnerabile agli attacchi dell'assassino che gli diede un calcio dritto nel fianco facendolo ricadere a terra. L'assassino approfittò di quel momento in cui la sua vittima era impossibilitata di muoversi per prendere la propria borsa e chiudere la porta per avere la privacy di cui aveva bisogno per compiere il suo gesto.

 

“Quando un poliziotto suona alla tua porta è buona educazione rispondere subito”. Disse avvicinandosi ancora all'uomo per colpirlo con un pugno, dall'alto verso il basso, direttamente sulla tempia per poi andarlo a prendere per le braccia e trascinarlo nella sala. Se prima aveva qualche rimorso ad uccidere in quel modo ora gli erano del tutti spariti. I suoi piani avevano rischiato di essere rovinati a causa della pigrizia, della prepotenza e scelleratezza di un uomo, non poteva perdonargli quell'affronto. La vittima intanto se ne stava ancora sdraiata per terra, stordita, cercando di capire che cosa era successo nel giro di quei pochi secondi. Dalla sua destra sentì il rumore di una cintura lampo che si apriva. Girando il capo cercò di vedere attraverso l'occhio malconcio che ora si stava gonfiando. Notò i piedi dell'assassino venire verso di lui, si sentì prendere un braccio e sollevarselo in alto e d'un tratto un dolore lancinante sulla mano. Era come se gli stessero versando addosso dell'olio bollente, come se una lama infuocata lo trafisse. Urlò con tutta l'aria che aveva nei polmoni. Si portò la mano tremante, ora libera dalla presa dell'assassino, davanti agli occhi e notò un grosso buco al centro del palmo. Il sangue uscire copioso e nero, le carni che si scioglievano e l'acido ancora sfrigolare in torno ai bordi della ferita. L'uomo afferrò la propria vittima dal mento e gli girò il capo cosi che potesse vederlo mentre gli parlava.

 

“Legge del contrappasso Ravel. Cosi come nella tua vita hai sfigurato delle persone io ora lo farò con te.”

 

L'assassino prese il suo coltello e squarciò la maglietta che indossava Ravel lasciandogli cosi il petto scoperto. Vide il tatuaggio. Una croce rivolta verso il basso. Che sacrilegio, meritava di bruciare all'inferno, e lui gli avrebbe dato un assaggio di quello che gli sarebbe aspettato. Alzò la mano in alto e poi la piegò leggermente muovendola su e giù lungo tutto il petto della vittima lasciando che l'acido lasciasse profonde strisce sulla pelle. Le urla di Ravel erano pura energia per lui, mai un tale suono era stato apprezzato dalle sue orecchio, in quel momento gli sembrò di sentire un opera di Beethoven o di Chopin da quanto quelle grida risultavano perfette per lui. Richiuse l'ampollina ormai vuota e la ripose con attenzione dentro la borsa e ne prese un altra per continuare il suo lavoro. Inspirò a pieni polmoni l'odore della paura che ora aleggiava nella stanza mentre sotto ai suoi occhi l'uomo tremava e sanguinava, le membra sciogliersi, la carne esposta ai suoi occhi, il sangue colare lungo tutto il suo corpo, gli occhi pieni di terrore. Che spettacolo. Tolse il tappo, anch'esso di vetro, dalla seconda boccetta e questa volta si diverti a far cadere poche gocce in più punti, prima sulla gamba, poi sulle braccia e infine sul collo. Avrebbe voluto rimanere ancora li a giocare con la sua vittima ma doveva andare. Tra poco sarebbe arrivato il vero poliziotto a controllarlo e non poteva rischiare di esser visto anche perchè, a parte la finta divisa, non indossava alcun travestimento. Con un gesto rapido prese da dietro la schiena il coltello che già aveva utilizzato per il primo omicidio. Guardò la lama e poi ci versò sopra l'acido e infine con violenza andò a conficcarla nel cuore dell'uomo che lanciò un ultimo agghiacciante urlo, contorcendosi, sentendo il dolore su altro dolore, percepì il sangue colargli dalla ferita e poi non senti più nulla. L'assassino guardò un ultima volta la sua vittima prima di alzarsi e prendere la sua borsa. Vi ritirò dentro la boccetta dell'acido e nel contempo estrasse la lettera. Finalmente la ragazza dell'ufficio delle consegne si era decisa ad andare dalla polizia. Ora si che avrebbe avuto tutte le attenzioni di cui meritava, anche se era deluso. A controllare quel negozio avevano messo due poliziotti che avrebbero avuto problemi anche a dirigere il traffico da quanto erano incompetenti. Li ci volle solo uno sguardo per capire che erano due agenti, gli auricolari in bella vista, lo sguardo fissò sulla porta del negozio, l'esser stati tre ore senza muoversi al bar, uno spreco di tempo. Ora era il momento di cambiare tattica. Le lettere le avrebbe fatte trovare sul luogo del delitto cosicchè la detective Beckett potesse visionarle di persona. Controllò un ultima volta la scena e usci di casa. Fece in tempo a salire sulla macchina che vide il vero agente dirigersi verso la casa di Ravel. Li sarebbe piaciuto in quel momento essere una mosca per poter vedere da vicino la scena, il ritrovamento del cadavere, i detective arrivare, i medici legali tirare le prime conclusioni ma tutto quello si era già formato nella sua mente ed era perfetto. Accese la macchina e parti diretto a casa e fu mentre guidava che capì di aver commesso un grave errore spinto dall'ira. Non aveva indossato i guanti, sul corpo dell'uomo sarebbero rimasti segni del suo dna per via dei pugni dati. Fu quasi portato a tornare indietro e cancellare quelle tracce ma poi ci ripensò. Perchè non dare un ulteriore indizio ai poliziotti, tanto non avrebbero trovato nulla, nessun database avrebbe rivelato la sua identità.

 

 

 

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E siamo a 4 e l'assassino si rivela sempre più sadico. Ora bisognerà vedere se pagherà caro il suo errore, il non aver indossato guanti non è stata una gran furbata da parte sua, ma lui stesso lo dice che è impossibile che lo identifichino quindi, forse, i detective dovranno seguire un altra strada. Giungeranno a nuove, ma alquanto ovvie, conclusioni fino a quando Castle non avrà un'ispirazione, ma questo accadrà tra qualche capitolo, come al solito chiedo un po' di pazienza.

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Capitolo 13
*** Resa ***


 

CAPITOLO 12

 

Rick era nella caffetteria da più di 10 minuti e ancora non aveva intenzione di spostarsi da li. Osservava Kate attraverso i vetri, la guardava mentre lavora, mentre si rivolgeva agli altri, si comportava come ogni altro giorno normale di lavoro. Quello però lo preoccupava e non poco. Erano passate diverse ore da quando erano stati informati dai due agenti dell'fbi dell'arrivo del nuovo agente e Beckett non aveva reagito in alcun modo. Sentito il nome dell'uomo era semplicemente uscita dall'ufficio del capitano e si era diretta alla sua scrivania a riprendere le ricerche del misterioso assassino. Castle in quel momento non ci fece molto caso, pensò che la donna aspettasse solo che i due uomini lasciassero il distretto per esprimere il proprio disappunto, ma nulla di ciò era successo. Il caffè che ormai aveva tra le mani era diventato freddo e immaginò che la detective iniziasse a chiedersi dove fosse finito perciò si diresse verso di lei intenzionato a parlarle e capire ciò che provava in quel momento. Si fermò in piedi davanti a lei pronto a parlare quando Ryan ed Esposito si intromisero infastidendolo leggermente. Sapeva che anche loro erano preoccupati, che erano sempre al fianco di Kate quando lei aveva bisogno cercando di essere di aiuto, ma in quel momento erano semplicemente invadenti. Castle doveva parlarle da solo, senza che i due fossero nei paraggi altrimenti la donna non avrebbe mai ammesso la verità.

 

“Io ho un amico nell'fbi magari vedo se riesce a far qualcosa o almeno ritardare in qualche modo l'arrivo di questo tizio”. Disse Ryan appoggiando le mani sulla scrivania e sporgendosi verso la donna che lo osservava appoggiando il dorso allo schienale della sedia e sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

 

“Inoltre anche Castle ha delle conoscenze in quell'ambito. Se ci mettiamo tra tutti nessun altro agente metterà mai più piede qui al distretto”. Continuò Esposito dando una pacca sulla spalla allo scrittore, tirandolo in mezzo nel discorso. Non ci volle molto però ai due detective per capire che c'era qualcosa che non andava, mentre loro erano sorridenti al pensiero di architettare qualche sinistro piano, i volti di Beckett e Castle erano inespressivi.

 

“Torniamo a lavoro che è meglio”. Disse Esposito indicando la propria scrivania e trascinando con se il collega senza dire null'altro. Castle approfittò di quel momento in cui erano da soli per poter parlare. Si sedette sulla sua sedia e si avvicinò il più possibile alla sua compagna non volendo che tutto il distretto sentisse la loro conversazione, notò infatti che più e più occhi erano puntati su di loro anche se molti cercavano di mostrarsi indaffarati in altro modo.

 

“Vuoi che ne parliamo?”. Le disse semplicemente mentre lei lo osservava. Non riusciva a capire cosa il suo silenzio volesse dire. Quella donna in alcuni versi rimaneva sempre un mistero per lui ma avrebbe avuto tutta la vita per comprendere ogni sua piccola sfaccettatura, ora voleva solo vederla sorridere di nuovo, aveva bisogno del suo sorriso per stare bene.

 

“Forse è meglio se ci mandano un agente ad aiutarci. Hanno ragione, abbiamo solo dimostrato incompetenza. È passata più di una settimana e non abbiamo in mano nulla. Ci serve aiuto Rick”. Gli rispose la detective non troppo convinta delle sua parole. Castle questo lo comprese a pieno. Era difficile per lei ammettere una cosa simile, era un gettare la spugna e lei e la sua squadra non l'avevano mai fatto. Ma in quel caso bisognava mettere da parte il proprio orgoglio e pensare alle persone la fuori che ora potevano essere il suo prossimo bersaglio.

 

 

“Si ma perchè non hai continuato a contrapporti?, magari avrebbero atteso ancora qualche giorno prima di mandarcelo e forse in quel lasso di tempo avremmo risolto il caso ”. Puntualizzò l'uomo ottenendo solo che Beckett si allontanasse da lui e si alzasse di conseguenza dalla sedia recuperando la sua giacca. Senza rispondere alla sua constatazione la donna si rivolse ai due colleghi che non avevano staccato gli occhi da loro per tutto il tempo. Erano loro amici, non si preoccupavano di far finta che non gli importasse, volevano sapere come stava la loro collega.

 

“Ho bisogno di prendermi un oretta di pausa ma lascio il cellulare acceso, per qualunque cosa non esitate a chiamarmi”. Informò loro ricevendo un “certamente” come risposta. Poi si voltò verso Castle che ancora se ne stava sulla sedia combattuto su cosa fare. Voleva seguirla ma non sapeva se lei lo voleva o meno con sé.

 

“Vieni?”

 

I suoi dubbi furono dissipati in un istante. Subito saltò in piedi e la seguì verso l'ascensore cosi da poter scendere insieme e dirigersi verso la macchina di lei. Fu un tragitto breve ma silenzioso. Beckett parlava a monosillabi e nulla riguardante l'agente dell'fbi. Fu solo quando arrivarono a casa della donna che finalmente affrontarono l'argomento. Gettando le chiavi sul tavolinetto vicino l'ingresso e la giacca sul divano si sedette su questo indicando a Castle di accomodarsi vicino a lei. Lui non se lo fece ripetere due volte e con pochi passi si mise comodo di fianco alla donna. Fece per metterle un braccio attorno alle spalle e attirarla contro di sé ma lei scrollando la testa lo bloccò. La guardò per una frazione di secondo ferito, ogni volta che lei non accettava quei suoi gesti di conforto si sentiva un pochetto morire. Erano una cosa naturale per lui, voleva starle vicino in ogni modo possibile. Lei era stata abituata a cavarsela da sola è vero, ma era pur sempre un essere umano e non poteva negare di aver bisogno di quei semplici gesti per non sentirsi sola e abbandonata. Ma ancora una volta tutte le sue teorie su di lei erano sbagliate. Sempre più spesso la detective gli mostrava quel lato tenero che all'esterno della loro sfera privata non metteva quasi mai in mostra, una questione di immagine, pensò. Non poteva dimostrarsi fragile sul lavoro o gli indiziati si sarebbero approfittati di lei. Quindi al distretto e sulle scene del crimine lei era semplicemente Beckett, quando stava con lui era Kate, la sua Kate. Una donna come tutte le altre, con punti di forza ma anche con le proprie debolezze e lui non voleva altro se non essere la sua ancora. Immerso nei suoi pensieri quasi non si accorse che lei nel mentre si era distesa sul divano appoggiando la testa sulle sue cosce. Sorrise a quel gesto. Le ricordava molto Alexis quando da piccolina si metteva cosi per essere consolata o quando la sera si addormentava in quella posa mentre guardava qualche film della disney.

 

“Sul subito mi ha dato fastidio il fatto che ci hanno considerato degli inesperti”. Esordì la donna voltandosi in modo da poter vedere in volto lo scrittore cosicchè lui potesse fare lo stesso con lei. Le dita della donna giocavano con la collanina che indossava sempre al collo mentre una mano di lui le accarezzava i capelli e l'altra il fianco trasmettendole cosi il suo appoggio, aspettando il suo turno per parlare.

 

“Col senno di poi ho capito che da un lato comunque avevano ragione. Da soli non ce la possiamo fare e abbiamo visto in passato che l'aiuto dell'fbi, per quanto indesiderato all'inizio fosse, si è rivelato molto utile. Vedi con Jordan. Appena arrivata ho dovuto trattenermi dal cacciarla dal distretto a scarpate, senza poi considerare il fastidio che mi dava vedere il modo in cui eri affascinato da lei, mi faceva cosi ingelosire”. Spiegò lei cosi il suo punto di vista non preoccupandosi di nascondere quell'aria infastidita che il pensiero di quei giorni le faceva nascere spontanea.

 

“Ah si? Gelosa dici?”. Chiese lui con tono scherzoso, osservandola con un sorriso che andava da orecchio a orecchio. Quanto gli piaceva sentirsi dire quelle cose. Lo faceva sentire importante.

 

“Non è quello di cui stiamo parlando adesso quindi non distarmi e lasciami continuare”. Parlò lei non volendo affrontare quell'argomento per evitare di gonfiare l'ego dell'uomo a dismisura. Castle ridacchiò portando poi il pollice e l'indice sulle labbra mimando la chiusura di una cerniera.

 

“Di questo Weiss non sappiamo nulla. Mi chiedo se ci sarà di aiuto o solo d'intralcio. Abbiamo già da affrontare quel pazzo dell'assassino non voglio avere anche problemi all'interno del distretto. Quello che ci manca ora come ora sono attriti all'interno della squadra. Inoltre non so come possa considerare la tua presenza al distretto, se positiva o meno”

 

“Mi stai dicendo che se c'è lui io non posso avvicinarmi al distretto?”. Chiese lui offeso. Lui ogni mattina sarebbe andato in ufficio puntuale, avrebbe preparato un caffè e l'avrebbe portato a Beckett, per poi sedersi vicino a lei. Come faceva ogni giorno da 4 anni e come avrebbe continuato a fare, Weiss o non Weiss.

 

“Non sto assolutamente dicendo questo. Anzi, lo sai di quanto ho bisogno della tua presenza, mi serve che tu sia li”. Andò a rassicurarlo lei abbandonando la collanina e andando a prendere con entrambe le mani quella più grande di lui, la quale ancora le accarezzava il fianco, per appoggiarle poi tutte e tre sul suo ventre.

 

“Allora cosa?. Lo sai che puoi dirmi tutto”. Disse con un tono di voce che ogni volta che lo udiva Beckett sentiva un brivido percorrerle tutto il corpo per via della dolcezza che le trasmetteva.

 

“é che non mi piace il fatto che abbiano tirato in mezzo anche te Rick. Hai sentito gli agenti? Stanno valutando la tua posizione al distretto, se non faccio quanto mi hanno ordinato rischio di perderti e devo ammettere che non averti li con me creerebbe un bel vuoto e non è ciò che voglio anche se...”

 

“Anche se questo clima di costrizione non è ciò di cui abbiamo bisogno”. Fini lui la frase per lei capendo bene quanto gli stava dicendo. Anche a lui dava fastidio la presenza di un altro agente, era come se uno scrittore si impossessasse del suo manoscritto e scrivesse alcuni capitoli senza il suo permesso. Quello era il loro caso e loro l'avrebbero risolto e non grazie a un novellino di agente.

 

“Già, non ne abbiamo bisogno”. Ripete lei sistemandosi sul divano e ancora più contro di lui.

 

“E ora ho paura che possa accadere qualcosa. Le cose stavano andando bene, veramente bene. La mia vita, il lavoro, noi e ora questo. Promettimi che non farai nulla di stupido che possa compromettere la tua posizione, il tuo stare al distretto con me. Jordan era disponibile a vedere quanto eri utile alle indagini, Weiss potrebbe essere un altro paio di maniche.”. Disse lei nascondendo il volto contro il corpo di lui.

 

“Se è questa la fonte di tutte le tue preoccupazioni allora puoi tranquillizzarti già adesso. Mi comporterò da bravo ragazzo e collaborerò con questo agente. Qui non si tratta di me ma di te. Io rischio solo di non venire più al distretto tu invece rischi la tua carriera. Non farò nulla che metterà a repentaglio quanto di buono hai fatto fino ad ora”

 

“Già, forse hai ragione. Mi preoccupo senza motivo. Se poi vedrò che Weiss potrebbe essere una minaccia per noi userò su di lui le mie armi di seduzione per portarlo dalla nostra parte .” Disse lei ritrovando quella vena umoristica che però non ebbe lo stesso effetto sullo scrittore.

 

“Che bella immagine, grazie”. Commentò lui alzandosi dal divano, attento a non far comunque movimenti bruschi dato che la testa di lei era ancora sulle sue gambe. Kate lo osservava ridendo, rimanendo sempre sul divano mentre lui imbronciato si dirigeva in cucina a prendersi qualcosa da bere. Guardandolo non poteva far a meno di pensare a quanto fosse fortunata. Nonostante le esitazioni iniziali avevano finalmente tutto ciò che avevano sempre desiderato. Erano uniti, veramente uniti, non poteva dubitare di loro, del loro amore. Rick era la sua ragione di vita. Alzandosi velocemente dal divano lo raggiunse in cucina. Lui le dava le spalle ma lei non si fece fermare di certo da quello. Con pochi passi li fu dietro e un secondo dopo lo abbracciò forte, cingendogli la vita con le braccia e appoggiando la fronte contro la schiena di lui.

 

“Ti amo”. Gli disse semplicemente.

 

Quanto gli piaceva quel suono, sentire quella frase. Due semplici parole che però contenevano un mondo intero. Lui con le parole ci lavorava ma in tutti quegli anni, in tutti i suoi libri, non aveva mai trovato altri vocaboli cosi forti, cosi significativi. Si poteva girare intorno ai propri sentimenti descrivendoli in mille modi, dolci, passionali, teneri, tormentati, ma dire ti amo li batteva tutti, senza possibilità di riscatto. Senza perdere un ulteriore attimo la prese tra le braccia e la sollevò da terra, quanto bastasse per metterla seduta sopra il ripiano della cucina. Senza esitazioni lei allargò le gambe e Rick ci si accomodò in mezzo prendendole il viso con entrambe le mani. Aderì i loro corpi più che potè mentre la sua bocca si saziava con quella di lei. Si sentì inebriato dal suo profumo di ciliegie e dal gusto dolce del lucidalabbra che si era messa. Era completamente perso. Se il primo istinto di un uomo era quello di sopravvivere lui era un eccezione. Il suo istinto gli diceva solo di possederla. Per via del caso erano giorni che non riusciva a far l'amore con lei e non poteva resistere un solo minuto in più senza provare quella sensazione di essere un tutt'uno con Kate, anima e corpo. Ma a quanto pare il destino non si era ancora divertito abbastanza con loro. Il telefono di Beckett squillò e non fu necessario nemmeno vedere chi fosse che grazie al loro sesto senso compresero che si trattava di Ryan od Esposito.

 

“Stasera?”. Chiese Rick anche se più che una domanda era una supplica.

 

“Stasera, promesso”. Gli rispose lei dandogli un piccolo bacio sulla punta del naso per poi scendere dal ripiano e andare a recuperare il proprio cellulare. Vide che era Ryan e subito lo richiamò.

 

“Dimmi tutto”

 

****

 

Nel giro di venti minuti erano arrivati nel luogo indicato da Ryan, venendo accolti da una scena vista e rivista. Solita folla, soliti giornalisti, soliti poliziotti che cercavano di tenere sotto controllo la situazione. Avvicinandosi all'ingresso della casa non poterono non notare un poliziotto seduto per terra. Teneva le ginocchia sollevate e si dondolava avanti e indietro, portandosi la mano più e più volte alla bocca e il color verdastro della pelle dava chiari segnali che il giovane stava per sentirsi male. Mentre stavano per entrare nell'edificio uscirono Ryan ed Esposito che come consuetudine si avvicinarono ai due per dare i primi ragguagli sull'accaduto. Ryan notò subito lo sguardo assassino che Castle gli stava mandando.

 

“Che c'è?”. Gli chiese innocentemente, non aveva fatto nulla di male per meritarsi quelle occhiatacce.

 

“La prossima volta che tu e Jenny avrete una serata romantica ti tempesterò di telefonate, è una promessa”. Disse Castle continuando a guardare minacciosamente l'amico.

 

Beckett sorrise scrollando la testa. Anche a lei quell'interruzione aveva dato più che fastidio ma il povero irlandese non aveva alcuna colpa, se non quella di fare al meglio il suo lavoro.

 

“Che mi dite”. Parlò la donna rompendo quella tensione che Castle stava creando senza nemmeno accorgersene.

 

“La vittima è Spencer Ravel”. Disse Esposito aprendo bocca per la prima volta senza proferir verbo sull'atteggiamento di Caste il quale, appena sentì il nome appena pronunciato, cambiò subito atteggiamento.

 

“Lo sfregiatore della 64°?”. Chiese lo scrittore ottenendo una conferma.

 

“Chi è costui?”. Domandò Beckett ignara dell'identità dell'uomo.

 

“Come chi è? Tra il febbraio e il maggio del 2008 ha sfregiato più di 20 donne incidendo poi sul loro petto le sue iniziali. S.R”. Andò a spiegare lo scrittore alla propria compagna che iniziò a ricordare di quell'uomo. Non aveva seguito la vicenda in prima persona però ne aveva sentito parlare nei corridoi del distretto più volte.

 

“Qualcuno che voleva vendicarsi?”. Chiese ancora ai due colleghi entrando nella casa curiosa di vedere il cadavere e fare le prime ipotesi.

 

“No. Abbiamo trovato una lettera. È stato Mikael”. Disse Esposito indicando una mensola sulla quale vi era ancora la busta, la dove l'aveva lasciata l'assassino. Ryan proseguì nel dire.

 

“E questa volta è stato più sadico di quanto non lo fosse stato in passato. Va bene che era un delinquente Ravel ma nessuno merita quella fine”. Esprimette la propria opinione l'irlandese indicando ai due il punto in cui vi era il cadavere dell'uomo. Lanie come suo solito era inginocchiata vicino al corpo intenta a fare i primi rilevamenti e prendere appunti a riguardo.

Castle rimase a bocca aperta a vedere quello spettacolo, Beckett rimase più disgustata.

 

“Ben arrivati ragazzi”. Li salutò il medico legale interrompendo quello che stava facendo pronta a rispondere alle domande che le avrebbero porto.

 

“Dimmi che sai perchè è cosi? Quelli non sono buchi provocati da armi bianche”

 

“Hai ragione cara. Qua il nostro assassino ha fatto di peggio. Gli ha corroso la pelle”. Rispose alla detective Lanie provando pietà per la fine che aveva fatto quel poveretto.

 

“Deve aver usato un acido molto potente”. Disse Castle mettendosi vicino al medico legale che annuì alle sue parole.

 

“Esatto, ma come al solito c'è da aspettare l'autopsia”

 

“E che mi sai dire dei segni sul viso? È stato colpito con qualcosa”. Continuò a domandare la donna che a differenza dei due preferiva girare attorno al cadavere per avere una visione completa della scena.

 

“Non credo che sia stato colpito con un oggetto. Da alcuni segni che ho riscontrato direi che è stato preso a pugni e non solo sul volto. Come potete vedere intorno alla bocca si vede del sangue. Questo è segno che i polmoni ne erano pieni quindi, secondo una mia prima valutazione, è stato colpito violentemente anche al petto. Una costola gli avrà perforato il polmone e questo spiega il sangue”. Spiegò il medico indicando ai due ogni parte del corpo o punto che stava prendendo in considerazione per dare una chiara visuale ai due.

 

“Va bene, per ora non tiriamo conclusioni azzardate. Quando hai finito l'autopsia ci dirai meglio e allora valuteremo.”

 

“Poco ma sicuro ragazza”

 

“Bene. Castle, tu ed io occupiamoci della lettera”. Disse lasciando quella stanza. In qualche modo vedere quel corpo pieno di quei solchi, di quelle lacerazioni sulla pelle le faceva impressione. Non si capacitava di quanta crudeltà era capace quell'assassino. Castle la seguì come un ombra e le si mise di fianco quando lei prese la busta, sempre indossando i guanti non volendo contaminare le prove, e l'apri.

 

Metà della mia opera è andata in scena. Quale successo inimmaginabile ho avuto, tutte le mie vittime si son comportate alla perfezione e io non potevo desiderare di più da loro. L'orologio continua a scandire il tempo e a voi ne rimane poco. Il mio atto finale presto avrà luogo, quello che avete visto fino ad ora è solo un assaggio della mia onnipotenza. Se fino a questo momento i miei omicidi vi son sembrati atroci quelli che seguiranno saranno mille volte peggio, fino ad arrivare al culmine della perfezione. Fermatemi prima che sia troppo tardi altrimenti non riuscirete a salvarvi da una vita piena di rimorsi. Mikael”

 

Beckett socchiuse gli occhi e sospirò prima di tornare ad osservare il cadavere che giaceva a pochi passi da lei. I rimorsi già la opprimevano e non c'era nulla che potesse consolarla in qualche modo, ma doveva sperare, potevano ancora fermarlo.

 

“Ha ragione. Omicidio dopo omicidio è sempre stato più efferato e quest'ultimo ne è la prova. Dice di essere a metà dell'opera quindi vuol dire che ci saranno ancora 4 vittime e non oso immaginare in cosa consisterà questo culmine di cui tanto parla”. Disse Castle non sapendo a cos'altro pensare in quel momento. Era davvero cosi perfetto quell'assassino tanto da agire cosi indisturbato, tanto da poter muoversi liberamente, da poter uccidere cosi senza alcuna preoccupazione.

 

 

“Dobbiamo concentrarci ancora su questi omicidi e cercare qualcosa che possa condurci da questo pazzo”. Commentò Beckett uscendo dalla casa, il loro lavoro li per ora era finito. Dovevano lasciare spazio alla scientifica perchè lavorasse e facesse tutti i rilevamenti del caso. Si sarebbe aggiornata dopo con Lanie su quanto scoperto sul cadavere di Ravel per ora, come da prassi, doveva tornare al distretto, stendere un rapporto su quel che avevano in mano, affrontare il sindaco e informalo di quel nuovo omicidio e infine aspettare.

 

“E se invece usassimo un altra tattica?”. Chiese Castle che nel frattempo l'aveva raggiunta all'esterno.

 

“Tipo?”. Domandò lei senza fermarsi ma continuando a procedere verso la propria auto.

 

“Ci siamo sempre concentrati sulle vittime, cercando nella loro vita privata, e non abbiamo trovato ne collegamenti ne niente tra di loro quindi abbiamo constatato che sono scelte casualmente dal nostro assassino. Nessuna vendetta, nessuna resa dei conti, niente di niente”. Iniziò a parlare Castle cercando di dare senso a quei pensieri che gli affollavano la mente, ma che ora erano ancora cosi privi di significato. Il suo cervello cercava di dirgli qualcosa ma in quel momento sembrava che non parlassero la stessa lingua.

 

“Arriva al punto Castle”. Ordinò la donna fermandosi a pochi passi dalla vettura.

“Abbiamo provato ogni tattica. Prima abbiamo sospettato di famigliari e amici delle vittime ma nulla. Poi abbiamo puntato sulle autopsie e nemmeno li niente. Scene del crimine se non pulite poco ci mancava, abbiamo trovato l'impronta di una scarpa ma è poca cosa. Abbiamo tenuto conto di ogni dettaglio Castle”. Continuò la donna contando sulle proprie dita ogni pista che avevano seguito e che alla fine si era rivelata inutile.

 

“Non di tutti. Le abbiamo sempre avute sotto gli occhi ma non gli abbiamo mai dato troppa importanza. Ci siamo concentrati troppo sulle vittime a discapito dell'assassino. Dobbiamo studiare lui e non i cadaveri”. Castle parlava e parlava quasi avesse avuto un illuminazione per risolvere quel caso d'altronde altro non potevano fare quindi perchè non tentare quella strada.

 

Beckett non riusciva a capire di cosa stesse parlando, le sue parole per lei non avevano alcun senso. Ma non ci volle molto perchè intuì cosa le stesse dicendo.

 

“Dici che dobbiamo studiare le lettere?”. Chiese corrugando la fronte non sicura di dove volesse andare a parare l'uomo.

 

“Esatto. Ce ne manda una ad ogni omicidio e tutte parlano di una stessa cosa. Di quest'opera, di questo capolavoro. Tutti gli omicidi sono i pezzi di un mosaico che vanno a comporre il quadro completo. Le lettere sono la spiegazione di quanto fa, il modo in cui uccide è la chiave”.

 

Beckett si appoggiò alla propria macchina pensierosa. Rimuginava su quanto appena detto da Castle e iniziò a trarre le proprie conclusioni su quanto sapeva dell'assassino, tralasciando se le vittime fossero state uomini e donne, tralasciando le loro vicende personali, il lavoro che svolgevano, dove abitavano. Doveva concentrarsi solo sull'assassino.

 

“Ogni scena del crimine è stata preparata tenendo in considerazione ogni minimo dettaglio. Nessuno di questi ripetitivo, ha ucciso ogni volta in maniera diversa. Preoccupandosi anche di trovare il luogo adatto dove farci trovare il corpo. Ci vuole dire qualcosa. Con ogni omicidio ci dice qualcosa”

 

 

Castle sorrise. La detecitve ora viaggiava sulla sua stessa lunghezza d'onda. Non dovevano più badare al perchè delle cose ma al come. Avevano già parlato di quelle ipotesi ma appunto solo parlato mai studiate a fondo come invece meritavano.

 

“Ci vuole far capire il nesso tra gli omicidi. Ad ogni vittima cerca di farci comprendere il senso dalla sua opera”. Andò a continuare Castle avvicinandosi leggermente a lei in attesa che le venisse quel lampo di genio che gli avrebbe dato la spinta necessaria per andare avanti.

 

D'accordo Castle. Occupiamoci degli ultimi dettagli di questo delitto e poi cerchiamo di capire cosa collega questi modi di uccidere”

 

******

 

Un altro capitolo di intermezzo per risistemare le idee, chiudere per ora una porta, l'agente, e aprirne un altra, l'assassino. Castle ha deciso di concentrarsi come si deve sulle lettere e questo suo nuovo modo di vedere porterà a una nuova scoperta nei prossimi capitoli, un qualcosa che sarà la chiave che li condurrà all'assassino. Nel prossimo capitolo vedremo cosa salta fuori dall'autopsia e si saprà qualcosina in più di questo Weiss.

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Capitolo 14
*** Acido ***


 

CAPITOLO 13

 

 

Sulla lavagna ora vi era una nuova foto e un nuovo nome. Sotto quella e alle altre tre delle precedenti vittime non vi era più nessun elenco dei sospettati, nessuna linea temporale. Vi era solo scritta l'ora della morte e il modo in cui era stato commesso il delitto. Dissanguamento, digitale, impiccagione e un punto di domanda. I risultati dell'autopsia di Ravel non erano ancora arrivati quindi non si poteva ancora sapere con certezza la causa della morte anche se, ricordandosi lo stato in cui era messo il cadavere, non vi erano molti dubbi a riguardo. Castle e Beckett erano li appoggiati alla scrivania a fissare la lavagna, cercando quel collegamento tanto agognato. Entrambi avevano le braccia conserte al petto, la testa inclinata e sul viso stampata un'espressione di profonda concentrazione.

 

“Forse...no”. Provò a dire Castle non sicuro di tutte le varie teorie che gli stavano frullando per la testa.

 

“Magari...”. Gli fece da eco Beckett che in un istante ritornò silenziosa a fissare davanti a se sbuffando.

 

“Devo ammettere che è più difficile di quanto pensassi.”. Si dovette ricredere Castle. In precedenza aveva pensato che l'assassino gli stesse dicendo qualcosa con gli omicidi ma ora aveva dei seri dubbi. Non gli trasmettevano assolutamente niente e anche Beckett iniziava a pensarla allo stesso modo. L'entusiasmo avuto poche ore prima stava già svanendo, era impossibile collegare quei diversi modi di porre fine a una vita, nemmeno puntando sui diversi luoghi del ritrovamento si ottenne qualcosa.

 

“Beckett”. Disse la detective rispondendo al suo cellulare.

“Arriviamo”.

 

“Era Lanie, ha finito con l'autopsia”. Informò il compagno dando un ultima occhiata alla lavagna prima di dirigersi con l'uomo verso l'ascensore e scendere cosi nell'obitorio per avere gli ultimi aggiornamenti su Ravel.

 

***

 

“Che velocità”. Commentò Lanie vedendo entrare i due nella stanza.

 

“Eravamo curiosi di sapere che hai scoperto”. Disse Castle in risposta all'affermazione del medico, avvicinandosi al cadavere sul lettino metallico.

 

Beckett fece lo stesso, non distogliendo lo sguardo dal corpo che ora era più presentabile. Non vi era più traccia di sangue ma allo stesso tempo i solchi procurati dall'acido erano più visibili cosi come gli ematomi sul volto.

 

“Hai scoperto la causa della morte?”. Chiese la detective andandosi a mettere vicina a Castle in attesa che il medico legale li illuminasse.

 

“In effetti si. La morte è stata causata da una pugnalata al cuore”. Disse Lanie andando a scostare il lenzuolo cosi da poter far vedere la ferita.

 

“Una pugnalata dici?”. Domandò incredulo Castle, non l'avrebbe mai detto. Era quasi certo che la morte centrasse con l'acido utilizzato.

 

“Si proprio cosi. Non posso dirlo con certezza ma potrebbe essere la stessa arma utilizzata per la prima vittima. Ho chiesto hai ragazzi del laboratorio di fare un calco per scoprire di che coltello si trattasse e l'hanno trovato”. La donna si voltò e prese un foglio depositato vicino al suo computer per poi porgerlo alla detective cosi che potesse leggere quanto scritto sopra.

 

“Canadian Special Bocote della Bark River”. Lesse a voce alta Beckett.

 

“é uno dei migliori in circolazione, che si può trovare in qualunque negozio di caccia quindi ti consiglio di non perderci tempo sopra, sarebbe inutile, ogni cacciatore di New York ne ha uno”. Le disse Lanie andando a porgerle un altro foglio.

 

“Più interessante è stata l'analisi di tutte queste ustioni. Ho analizzato l'acido utilizzato dall'assassino ed è saltato fuori che si tratta di vetriolo. Non ci è andato leggerlo questa volta”.

 

Beckett e Castle semplicemente annuirono. Bastava loro osservare il cadavere per capire che l'assassino aveva infierito sull'uomo.

 

“Le ustioni sono state fatte prima o dopo la morte?”. Chiese Castle quasi come se quel fatto potesse cambiare qualcosa per le indagini. In realtà voleva solo saziare la propria curiosità su quell'omicidio.

 

“Prima. Ravel deve aver sofferto e non poco. Il vetriolo gli è stato rovesciato addosso da breve distanza e i danni fatti sono più che visibili. Ma come acido non è mortale se portato a contattato con la pelle,crea solo queste ustioni. Credo che sia per questo che poi l'abbia pugnalato”. Esprimette la propria opinione il medico legale prima di spostarsi dietro la nuca dell'uomo per parlare di quanto altro aveva scoperto.

 

“Come avevo immaginato l'uomo è stato preso a calci e pugni. Sul fianco ho notato dei grossi lividi che iniziavano a formarsi. Due costole gli son state rotte, cosi come lo zigomo e il naso oltre a vari tagli alla bocca e al sopracciglio”. Disse toccando i punti elencati sulla faccia, sulla quale si potevano notare diversi ematomi.

 

“Perchè l'ha picchiato se lo stava già torturando con l'acido?”. Domandò Castle non riuscendo a dare una spiegazione. Voleva essere un modo ulteriore per torturarlo, oppure con quei calci e pugni voleva tenerlo buono cosi da poter svolgere il proprio lavoro senza problemi.

 

 

“Perchè una persona picchia un altra Castle? O per difesa, e questo non è il caso, o per rabbia. Da quanto posso vedere l'assassino era molto arrabbiato con la nostra vittima. L'ha colpito più e più volte, voleva sfogare la propria frustrazione”. Andò a chiarire la detective parlando in base a esperienze passate, quindi, rispondendogli quasi con certezza sul motivo per cui erano stati dati quei calci e quei pugni.

 

“Frustrazione per cosa? Lo stava uccidendo, cosa al mondo poteva mai infastidirlo?”. Chiese ora Lanie curiosa anch'ella di sapere il motivo di quello strano gesto che non si sarebbero aspettatati da un assassino freddo e preciso come era Mikael.

 

“Difficile a dirsi. Solo l'assassino lo sa con certezza ma da quello che posso immaginare credo che a differenza delle altre vittime Ravel gli abbia dato qualche problema. Mikael cerca la perfezione e uno che la ricerca in modo cosi maniacale come lui sono certa che va su di giri appena c'è una virgola che non va. Le altre vittime in qualche modo erano svenute o non coscienti e quindi era più facile sopraffarle. Ravel invece era più che sveglio al momento e avrà lottato per difendersi e questo spiega tale reazione da parte dell'assassino. La sua vittima non voleva collaborare”. Andò a spiegare il suo punto di vista la detective guardando di nuovo la vittima. Durante quelle ore passate al distretto a non fare nulla aveva riletto i fascicoli su Ravel e su quanto aveva fatto nel 2008 e se qualcuno avesse dovuto chiederle se le dispiaceva per la fine che l'uomo avesse fatto avrebbe risposto senza problemi di no.

 

“Sei riuscita a trovare impronte o cellule epiteliali che ci possano aiutare a trovare l'assassino?”. Domandò Castle abbassandosi sulle ginocchia per fissare uno dei solchi lasciati dal vetriolo sul braccio.

 

“ Avendolo colpito a pugno chiuso era quasi impossibile scovare impronte intere ma ne ho trovata una parziale sotto il mento. É già alla scientifica che la sta analizzando. Per le cellule la questione si fa più complicata. Se l'assassino si è graffiato colpendo Ravel ormai il sangue si è mischiato con quello della nostra vittima e non abbiamo tempo per star li a cercare di capire quale è di uno e quale dell'altro.”

 

 

****

 

Beckett e Castle, dopo la conversazione con Lanie, erano tornati su al distretto e come in precedenza erano li a fissare la lavagna che ora, al posto del punto di domanda presentava, una nuova scritta “pugnalata”. Adesso avevano il quadro completo di tutti i quattro modi diversi in cui erano state uccise le altrettante persone eppure, nonostante ci fosse tutto quello di cui avevano bisogno, ancora non trovavano il nesso tra di essi. Erano cosi concentrati nella ricerca della soluzione di quell'enigma che non si accorsero di Ryan ed Esposito che erano da più e più minuti al loro fianco. L'irlandese si schiarì la voce cosi forte che finalmente i due gli prestarono attenzione.

 

“Ryan prenditi qualcosa per questa tosse, ci manca solo che me l'attacchi”. Disse Castle iniziando a frugare nella propria tasca prima di estrarre una caramella e porla all'amico.

“Tieni questa mentina ti farà bene”. Disse mettendogliela nella mano e chiudendoci attorno le dita lasciando il giovane detective senza parole.

 

“Ehm si, grazie Castle. Comunque Esposito ed io abbiamo fatto qualche telefonata. Ai nostri amici dell'fbi”. Parlava con cautela, non sapeva come avrebbero reagito i due, d'altronde avevano agito senza chiedere il permesso a Beckett, avevano fatto di testa loro.

 

I due potevano vedere il detective battere nervosamente le dita su un fascicoletto che aveva tra le mani indeciso se dargli o meno quelle informazioni che avevano reperito. Per fortuna intervenne Esposito che glielo strappo dalle mani e lo porse alla donna, andando a dire ad alta voce le informazioni più importanti riguardanti l'agente Weiss.

 

“Michael Weiss, 35 anni originario della California. A 22 anni si laurea a Harvard, in legge, con il massimo dei voti. A 23 entra nella polizia del Massachussetts dove si fa notare 2 anni dopo per aver sgominato una banda di trafficanti di organi. Subito dopo viene fatto entrare nelle file dell'fbi dove in poco tempo fa carriera. É un ragazzo molto intelligente, determinato, ma anche spudorato e irresponsabile. Vi sono più note disciplinari riguardo il suo comportamento. Un esempio, l'anno scorso ha costretto 5 suoi uomini a fare una retata in un locale dove producevano meta anfetamine senza aspettare i rinforzi. Quei 5 poveretti si son ritrovati circondati da quasi 15 di loro ma per fortuna ne sono usciti quasi indenni”.

 

“E questo è poco. In altre occasioni ha dato prova di essere incurante per la salute dei suoi uomini. A lui importa solo la riuscita del suo lavoro, a qualunque costo”. Concluse Ryan dando cosi un idea generale di quello che avrebbero dovuto affrontare di li a 24 ore.

 

“Quindi noi abbiamo già difficoltà a trovare questo assassino e loro che fanno?!. Ci mandano un Vic

Mackey in soccorso? Andiamo di bene in meglio”. Disse la donna frustrata andandosi a sedere alla propria scrivania, portando le braccia al petto e dondolandosi sulla sedia. L'espressione del suo viso diceva tutto. Se ti avvicinavi troppo rischiavi di perdere qualche arto.

 

“Magari invece qui da noi non creerà problemi”. Tentò la fortuna Ryan ricevendo solo un'occhiataccia da parte di Beckett. Castle ad osservarla non si sarebbe stupido se di li a poco avesse pure ringhiato, tirato fuori le unghie e azzannato il povero detective alla gola. Lo scrittore fece cenno ai due di lasciarli soli e questi non se lo fecero ripetere due volte.

 

“Beckett che ne dici se ci prendiamo una pausa”. Disse Castle sedendosi anch'egli sulla propria sedia, appoggiando un braccio sulla scrivania, estraendo dal suo repertorio l'espressione più supplichevole che conosceva. La donna lo guardò serrando le labbra. Era quasi ora di cena dopo tutto e lei aveva fame. Inoltre li al distretto avrebbero potuto far ben poco quindi perchè no, pensò. Senza contare che poi voleva rimanere da sola con l'uomo senza pensare al caso ma dedicandosi solo l'un l'altra. Si rilassò sulla sedia e si sistemò i capelli dietro le orecchie, prendendo poi una ciocca e facendola roteare intorno al dito indice mentre inclinando il capo guardava il proprio fidanzato.

 

“Cena da Remì?”. Domandò speranzosa la donna. Non era uno di quei ristoranti stra lussuosi a cui l'aveva abituata nel corso della loro relazione ma era comunque un più che soddisfacente ristorante dove si potevano trovare persone interessanti. Aveva bisogno di un posto tranquillo, famigliare, e soprattutto un luogo dove non ci fossero stati paparazzi pronti a fare scatti su scatti. Chiedeva troppo se voleva rimanere da sola con Castle almeno per una sera?. Essere una coppia normale per una sera?.

 

“Quando fai cosi come faccio a dirti di no?!”. Chiese retoricamente avvicinandosi a lei pronto per darle un bacio ma poi si ricordò le sue regole. L'ultima volta che non le aveva rispettate era andato un giorno in giro con il cognome della donna scritto sulla fronte e in quella serata voleva evitare di far la stessa fine, se non peggio. Arretrò quindi alzandosi dalla propria sedia.

 

“Vado un attimo in bagno e poi andiamo”: Disse alzandosi e dirigendosi verso i servizi mentre la donna sorrideva maliziosamente. Anche il più piccolo gesto di Castle la faceva star bene e il vederlo lottare con se stesso per rispettare gli accordi presi prima del suo ritorno al distretto le faceva piacere. Significava che lui rispettava la sua volontà anche se, difficilmente l'avrebbe ammesso, le piaceva quando lo scrittore distrattamente o volutamente infrangeva quelle regole. Casualmente andò ad osservare i colleghi che la stavano guardando con un ampio sorriso. Le era bastato uno sguardo per capire che si stavano trattenendo da commentare sul suo comportamento ma di certo lei non avrebbe dato modo loro di farlo.

 

“State tranquilli ragazzi. Una di queste sere ve lo lascio libero cosi potete andare alla “Vecchia Tana” a farvi offrire da bere”. Disse ridacchiando la detective spegnendo il proprio computer e alzandosi dalla sedia raccogliendo tutte le sue cose.

 

 

“No figurati non c'è problema. Noi ci andiamo lo stesso e segnano sul suo conto tanto”. Disse Esposito dando una pacca al braccio del collega che si alzò assieme a lui e si diresse verso la donna. Vedendoli Beckett, che si stava mettendo la giacca, rallentò i suoi movimenti guardando i due con aria perplessa. Che avevano in mente?. Sicuramente una delle loro stupidaggini.

 

“Avanti ragazzi che c'è?”. Li invitò a parlare prima che Castle tornasse e gli desse corda.

 

“Tra Castle e te va tutto bene?” Chiese Esposito interessandosi della vita sentimentale della collega.

 

“Ehm si tutto bene. Abbiamo alti e bassi come tutti, ma va bene”. Rispose lei rimanendo colpita da quella domanda. Non era la prima volta che si interessavano di come andavano le cose tra lei e Castle ma di solito lo facevano solo quando notavano che qualcosa non andava, e sempre sotto consiglio di Lanie.

 

“Siam contenti. In fondo son quasi 5 mesi che state assieme. Dopo esservi corsi dietro per quasi 3 anni”. Disse Ryan girando attorno a quanto veramente volevano chiedere all'amica.

 

“Già, lo so. Lo sto vivendo sulla mia pelle in effetti. Ma ora mi piacerebbe sapere il perchè di questo vostro comportamento”. Chiese la donna notando che intanto Castle era uscito dal bagno e si stava dirigendo verso di loro fischiettando.

 

“No è giusto cosi per curiosità”. Disse Esposito mentre Ryan, vedendo anche lui che Castle li stava per raggiungere, andò a chiedere velocemente.

 

“Quando è che andate a convivere?”

 

“Come scusa?”. Chiese Beckett rimanendo a bocca aperta. E quella domanda da dove saltava fuori?. Esposito diede uno schiaffo sulla nuca al collega che massaggiandosi lo guardava chiedendosi che avesse fatto di male.

 

“Tutto a posto?”. Chiese Castle inarcando un sopracciglio avendo visto la scenetta tra i due e lo sguardo pieno di domande di Kate.

 

“Si si. Volevamo solo augurarvi buona serata e darvi le ultime novità sull'impronta. Non è in alcun database ma faremo delle ricerche più approfondite”. Rispose Esposito convincendo Castle mentre Beckett aveva più dubbi che prima sul loro strano modo di porsi di quegli attimi.

 

“Andiamo?”. Chiese lo scrittore alla donna che annuì.

“Buona serata ragazzi”. Dissero dirigendosi verso l'ascensore.

 

“Ma sei stupido?”. Domandò Esposito al collega colpendolo di nuovo e allontanandosi da lui alzando le braccia al cielo.

 

“Mi informavo, i sei mesi stanno per finire e sono io quello che rischio”. Rispose l'irlandese indicandosi e inseguendo il collega.

 

“Una scommessa è una scommessa. Tu avevi detto che entro i 6 mesi sarebbero andati a vivere insieme e visto che non ci sono i presupposti che sarà cosi pagherai pegno. Vedi a essere troppo romantico”.

 

“Bhè dai facciamo una nuova scommessa. Se non ci fosse stato questo caso stressante sicuro Castle glielo avrebbe chiesto. Su Javier pensa alla mia salute. Jenny mi ammazzerà”. Supplicò Ryan quasi inginocchiandosi davanti al collega. Esposito rimase pensieroso per qualche secondo, osservandosi attorno e massaggiandosi il mento per poi rispondere.

 

“No fratello. Se entro un mese i due non vanno a vivere insieme dovrai farlo. Ti immagino già mentre entri nel distretto e tutti ti guardano. Rasata sulla tua testa “Javier è grande””. Gli ricordò Esposito con occhi da sognatore. Non vedeva l'ora che accadesse.

 

****

 

Beckett e Castle stavano camminando in mezzo alla folla mano nella mano. Lei ogni tanto, per non scontrarsi con gli altri pedoni, si schiacciava contro il fianco dello scrittore, approfittando di quei pochi secondi per stringersi a lui. Poteva notare gli occhi dei passanti che si posavano su di lei. Per riflesso di esser la compagna di Castle non era più una delle tante persone anonime che incontravi per la strada, ma non era nemmeno tanto famosa, si sentiva una via di mezzo. Un volto conosciuto, ma per lei era già troppo. In particolare quando fans o giornalisti la fermavano per strada per chiederle notizie su Castle e sulla loro storia. I suoi pensieri furono interrotti dall'uomo.

 

“Che volevano Ryan ed Esposito?”.

 

“Mi chiedevano se tra noi andava tutto bene e quando saremmo andati a convivere. Non è che c'è il tuo zampino? che ora sfrutti pure loro per convincermi a trasferirmi?”. Domandò la donna andandolo ad osservare in attesa di una risposta. Tutto sommato si poteva aspettare da Castle un comportamento simile. Non si sarebbe stupita se avesse chiesto ai due colleghi di premere quel bottone per farle dire si, più per lo sfinimento che per altro.

 

“No giuro. Nemmeno mia madre e Alexis sanno che te l'ho chiesto”. Sembrava che stesse dicendo la verità, pensò tra se e se la donna. Che le due donne di casa Castle non lo sapessero lo poteva immaginare. Le volte che era andata a casa loro a mangiare non avevano mai accennato a quella storia, nemmeno Alexis aveva detto nulla a riguardo quelle volte in cui andava a trovarla a casa sua o andavano insieme in qualche museo o semplicemente a fare una corsa nel parco.

 

“Forse alla fine erano davvero curiosi e basta”. Disse lei facendo spallucce e lasciando il discorso cadere. In quella serata non voleva nemmeno parlare dei suoi colleghi.

 

Continuavano a camminare in silenzio godendosi solamente la presenza l'uno dell'altro, incuranti di tutto ciò che gli accadeva attorno, ma i newyorkesi quando ci si mettevano sapevano veramente essere fastidiosi.

 

“Ma che bella coppia abbiamo qui”. Disse un giovane rivolgendosi a loro prima di pararsi davanti ai due e quindi impedirgli di proseguire il loro cammino.

 

“E scommetto anche che avete dei figli meravigliosi, sopratutto se hanno preso dalla madre”. Beckett accennò un sorriso di cortesia ma in realtà cercava di trascinare via Castle da quel punto cosi da poter dirigersi al ristorante, dato che era alquanto affamata.

 

“Ancora niente figli, ma si hai ragione, quando gli avremo saranno dei piccoli angioletti, anche perchè il loro padre non è niente male. Comunque io ho una figlia”. Iniziò a conversare Castle con l'uomo che li aveva fermati. Beckett sopportava a male pena quando tirava fuori questo suo lato amichevole con persone sconosciute, sopratutto se incontrate per strada e che domandavano della propria vita privata.

 

“Ah che vero peccato. Noi stiamo cercando bambini dai 3 ai 12 anni per il nostro week end all'insegna del divertimento”. Spiegò il giovane a Castle porgendogli uno dei volantini che stava distribuendo, continuando a parlare poi.

 

“Però se avete qualche amico che ha un figlio che rientra in quella fascia d'età non esitate a dirglielo. Sarà più che benvenuto”.

 

“Lo faremo di certo, ora però abbiamo un impegno”. Disse Beckett riuscendo a trascinare via Castle intento a leggere quel foglio che aveva tra le mani. Dopo pochi minuti arrivarono da Remì e si accomodarono al loro solito tavolo che Giovanni teneva sempre libero per loro. Di questo Beckett non si stupì. Castle mangiava spesso in quel luogo e se il proprietario era riuscito a farsi una vacanza ai Caraibi quell'estate lo doveva allo scrittore.

 

“Questa sera vi consiglio Tagliolini all'aragosta, in salsa rosa profumata al Cognac. Allo chef è venuta che è una squisitezza”. Disse il cameriere mentre versava loro il solito Chianti che ordinavano sempre.

 

“Mi fido di te Giuliano. Portacene due piatti più che abbondanti che la mia signora è affamata dopo una lunga giornata di lavoro”. Ordinò Castle sorridendo per poi osservare il cameriere dirigersi verso le cucine per informare il cuoco del nuovo ordine. Beckett intanto stava sorseggiando il fresco vino servitole quando notò l'uomo iniziare a contare sulle proprie dita e a parlare a bassa voce.

 

“Che stai facendo?”. Chiese curiosa andando a posare il bicchiere e asciugandosi le labbra con il tovagliolo, attenta a non togliersi quel leggero strato di rossetto che si era messa quando ancora era sull'ascensore del distretto.

 

“Sto contando”. Gli rispose semplicemente Castle tornando ai suoi numeri. Beckett aspettò che lui finisse in modo che potesse darle qualche spiegazione a riguardo. Ci stava mettendo un po' più del dovuto però. Che calcoli stava facendo di cosi importanti tanto da escluderla dai suoi pensieri?.

 

“Rick?”. Lo richiamò alzando leggermente la voce per farsi sentire da lui ma stando attenta a non attirare l'attenzione degli occupanti dei tavoli accanto.

 

“Cosa?”.

 

“Si può sapere che conti stai facendo?”. Chiese curiosa, e anche un po' spazientita, la donna.

 

“Se tu avessi accettato il mio invito ad uscire la prima volta che ci siamo incontrati per via di quell'omicidio e nel giro di tre mesi ti avessi messo incinta ora nostro figlio avrebbe 3 anni esatti e io avrei potuto accompagnarlo a questo week end di super divertimento”. Andò a rispondere Castle alla curiosità della donna che nel mentre lo guardava esterrefatta, incredula, da quanto aveva sentito. Che il vino gli avesse già dato alla testa?!.

 

“Potrebbe anche esser stata una figlia”. Gli ricordò Beckett sporgendosi sul tavolo verso di lui parlandogli con quel tono di voce cosi sensuale che ogni volta lo lasciava in trans e a bocca aperta. Beckett sospirò e gli schioccò le dita davanti agli occhi per farlo riprendere.

 

“Mi avresti davvero fatto una cosa simile?”. Chiese Castle incredulo facendo scorrere il volantino verso di lei per poi girarlo in sua direzione.

 

“Il sabato dopo l'incontro iniziale ci saranno vari laboratori, collage, pittura, modellismo. La sera il cinema. Per i più grandi ci sarà “Ritorno al futuro”. Kate qui si sta parlando di “Ritorno al futuro”. E la domenica poi...”. L'uomo non riuscì a finire la frase che Beckett stanca di sentire i suoi sproloqui prese quel volantino, lo piegò e lo ritirò nella borsa che aveva appesa alla sedia.

 

“Hai finito?”. Chiese infine al fidanzato vedendo i loro piatti giungere al tavolo.

 

“Si. Però nostro figlio si sarebbe divertito da morire”. Disse puntandole il dito contro volendo essere lui ad avere l'ultima parola in quel discorso.

 

 

-----------

 

E ora si ha qualche notizia in più sulla morte di Ravel. L'impronta, per ora, non ha dato risultati certi ma in futuro magari. Inoltre sappiamo un po' di più di questo Weiss, che si, darà qualche problema ai nostri detective e a Castle, però, nel prossimo capitolo, darà qualche informazione in più su Mikael, quindi tutto sommato un po' utile sarà. L'ultima scenetta era giusto per smorzare un po' i toni troppo tristi.

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Capitolo 15
*** Weiss ***


 

CAPITOLO 14

 

Era ormai notte inoltrata e Rick non riusciva a dormire. Vuoi che fossero tutti i pensieri che gli affollavano la mente, che fosse il mezzo chilo di vongole che aveva mangiato a cena, o il fatto che non riusciva a staccare gli occhi dalla donna che ora dormiva al suo fianco, in quel momento sembrava che il sonno lo avesse abbandonato. Attento a non svegliarla, con tutta la delicatezza di cui era capace, tolse il suo braccio da sotto la testa della donna e scese dal letto. Era una notte abbastanza calda e non si preoccupò di indossare una maglietta, preferendo rimanere solo in boxer. Ormai conosceva quei luoghi meglio che la propria casa e non gli servì accendere la luce per scendere le scale che l'avrebbero portato al piano inferiore. Si diresse in cucina e, aperto il frigo, prese il cartone del succo di frutta e se ne riempì un generoso bicchiere. Si diresse poi sul divano appoggiando il bicchiere sul tavolinetto e prendendo da sopra questo il proprio portatile. Prese un cuscino e lo appoggiò sul bracciolo del mobile e poi vi si accomodò sopra in modo da poter rimanere seduto, allungando le gambe lungo tutta la lunghezza del divano. Afferrò il bicchiere e bevve alcuni sorsi del succo prima di riposarlo al proprio posto e accendere il portatile. Non volendo in alcun modo disturbare la donna che dormiva nella camera al piano superiore abbassò il volume della musica in modo che solo lui la potesse sentire. In quei minuti che aveva osservato Kate dormire gli era venuta in mente quella canzone. La cantava nella propria mente mentre la osservava compiere respiro dopo respiro, con i capelli che le cadevano davanti al viso e ogni volta lui con attenzione cercava di rimetterglieli a posto. Fece scorrere due dita lentamente dalla tempia fino al mento chiudendo gli occhi, memorizzando ogni piccolo particolare di lei, guardandola con la propria mente. Prosegui poi sul collo, giù fino alla cicatrice, risalendo sul braccio arrivando fino alle esili dita. Anche ora li seduto sul divano poteva ancora sentire la sua pelle vellutata sotto i propri polpastrelli. Finalmente poteva capire veramente il significato di molte frasi d'amore, di molte poesie, di molte canzoni e lo doveva tutto a lei. La canzone risuonava attorno a lui e Rick stesso non poteva crederci di starla ad ascoltare. Era più una canzone che Ashley avrebbe dedicato a sua figlia, era una cosa che i giovani fanno, ma lui con Kate di sentiva di nuovo giovane, pronto a rifare tutto da capo, con la consapevolezza che ora sarebbe andato tutto bene. Avrebbe dovuto approfittare di quei momenti liberi per scrivere ma non aveva alcuna idea a riguardo, inoltre lavorava meglio quando era sotto pressione, ovvero qualche settimana prima della consegna e in quel momento mancavano ancora 5 mesi prima della data stabilita, aveva tutto il tempo. Ora poteva dedicarsi ad altro. Magari con quella dolce canzone che gli risuonava nelle orecchie sarebbe anche riuscito a dormire, chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalle parole sussurrandole a se stesso.

 

I will never let you fall, I'll stand up with you forever, I'll be there for you through it all, even if saving you sends me to heaven”

 

“Lò so che lo faresti. In parte lo stai già facendo adesso”. Rick aprì di colpo gli occhi andando ad osservare la donna che aveva appena pronunciato quelle parole. Kate era in piedi sulle scale, appoggiata al muro con indosso la camicia da notte di seta azzurra che lui le aveva regalato tempo addietro, e possibile che fosse una lacrima quella che lo scrittore vedeva illuminata dalla luce della luna che penetrava dalle finestre.

 

“Non era mia intenzione svegliarti”. Disse non muovendosi dal divano per raggiungerla. Se ne stava li seduto con il portatile sulle gambe mentre quella canzone era l'unico suono che non faceva sprofondare la casa nel più assoluto silenzio.

 

“Allora la prossima volta non lasciarmi da sola a dormire nel nostro letto”. Gli disse accennando un sorriso prima di tornare seria, mordicchiandosi timidamente il labbro inferiore. Con passi leggeri si mosse fino al divano facendo ondeggiare le braccia avanti e indietro come una bambina, fermandosi infine davanti al bracciolo opposto a quello dove era appoggiato lui. A guardarlo cosi, in quell'atmosfera si sentiva arrossire. I loro tratti illuminati dalla luce biancastra della luna, quella canzone, di cui si stava già innamorando, aleggiare lieve nell'aria, gli occhi possessivi di lui che le trasmettevano un infinita dolcezza. Cosa poteva essere più perfetto di cosi?!. Quante volte l'aveva guardato e ancora non riusciva a stancarsi, voleva memorizzare ogni dettaglio del suo volto, anche la più piccola lentiggine. Inspirò profondamente e poi appoggiò una mano sullo schienale del divano per sorreggersi mentre si inginocchiava su di esso, fino a mettersi vicino ai piedi dell'uomo. Rimase li ferma, seduta sui propri talloni, controllando che Rick non si muovesse. Quando vide che lui era come paralizzato allungò le braccia prendendo tra le mani il computer e posandolo sul tavolinetto li di fianco. Rick dal canto suo non fece nulla per fermarla, non voleva fermarla. Kate si bagnò le labbra facendo scorrere la mano sullo schienale del divano più lontano che potè mentre l'altra andò a metterla nello spazio tra il braccio e il fianco dello scrittore. Avendo una presa ben salda si sollevò sopra il corpo di lui per poi abbassarsi lentamente, il tutto senza mai staccare gli occhi dall'uomo che fece lo stesso.

 

“Ti amo”. Gli disse lui portando la mano destra sulla sua guancia, muovendo il pollice sul suo zigomo cosi da accarezzarla.

 

“Per sempre?”. Gli domandò lei sorridendo, facendo scorrere la mano nei suoi capelli, giocando con una ciocca sulla sua fronte.

 

“No”. Rispose deciso Rick guardandola intensamente. Kate rimase visibilmente sorpresa da quella risposta, di certo non era quello che si aspettava. Il sorriso abbandonò subito le sue labbra e la mano le ricadde sulla spalla dell'uomo mentre con l'altra si sorreggeva ancora sopra di lui. Lo scrutò in viso cercando di capire il perchè, il motivo di quella risposta tanto inattesa quanto indesiderata. Lo scrittore sollevò la testa portandola lentamente vicino al collo della donna in modo che la sua bocca fosse a pochi centimetri dall'orecchio di lei. Chiuse gli occhi e respirò il suo profumo prima di parlare, scandendo lentamente ogni sillaba.

 

“Per molto di più”. Dalla bocca della detective uscì una leggera risata, nella quale si poteva sentire tutta l'ansia che aveva accumulato in quei pochi secondi svanire in un colpo solo. Lo abbracciò più stretta che potè appoggiando il capo sulla spalla di lui. Odiava e adorava allo stesso momento sentirsi cosi, totalmente dipendente dall'uomo che ora ricambiava il suo abbraccio. Le bastava una sua sola parola, un solo suo gesto, per non farla sentire nessuno ma con altrettanta facilità Castle riusciva a farla sentire la persona più importante. E lui riusciva a farle provare quella straordinaria sensazione ogni giorno.

 

“Andiamo a letto?”. Chiese l'uomo facendo scorrere le dita sulla spina dorsale di Beckett, la quale però non aveva alcuna intenzione di metter fine a quell'atmosfera magica che si era creata. Staccò la testa dalla spalla dell'uomo rispondendo alla sua domanda unendo le loro labbra. Baciandolo poteva sentire sulle sue labbra ancora il retrogusto del succo bevuto pochi minuti prima dall'uomo, il quale rise contro la sua bocca quando Beckett tracciò con le dita i contorni del suo petto, del suo stomaco, partendo dalla spalla, percorrendo il fianco fino ad arrivare al bordo dei boxer. La donna poi mise un dito sotto l'elastico dell'indumento intimo dell'uomo, passando lentamente da fianco a fianco, in quell'istante a Rick la risata li morì in gola lasciando il posto a un gemito soffocato.

 

“Penso sia un no”. Commentò lo scrittore non perdendo ulteriore tempo, andando a far scendere le spalline delle veste di Kate lungo le sue braccia. Le accarezzò senza fretta il collo, il petto, il seno e la dove le sue dita erano già passate venivano rimpiazzate dalle sue labbra morbide e delicate, prestando particolare attenzione alla cicatrice. Beckett ogni volta rimaneva colpita dalla tenerezza che in quelle occasioni Castle sapeva donarle, appoggiò il mento sulla testa di lui godendosi quelle sensazioni che solo Rick poteva provocarle.

 

*****

 

Castle aprì gli occhi per poi richiuderli subito, infastidito dai raggi del sole che gli colpivano il volto. Era stato svegliato da qualcosa ma la sua mente, ancora intorpidita dal sonno, non era riuscita a capire da che cosa. Sentì di nuovo quel suono fastidioso e una piccola luce quadrata provenire dal tavolinetto. Il cellulare, capì massaggiandosi la tempia con una mano mentre con l'altra recuperava l'apparecchio.

 

“Pronto”. Disse con voce roca rimettendo la testa sul cuscino del divano.

 

“Ehi Castle sono Ryan. Ho provato a chiamare Beckett tre volte stamattina e ancora non mi risponde. Sai dov'è?”. Domandò l'irlandese. Castle poteva capire dal tono della sua voce che era preoccupato, Beckett era solita rispondere al primo squillò.

 

“Si, è sdraiata sopra di me, ora te la passo”. Lo scrittore andò a scrollare la donna per le spalle cercando di destarla dal sonno.

 

“Ehi tesoro. È Ryan, cerca te”. La informò passandole il cellulare, vedendola aprire gli occhi per poi portare il telefono all'orecchio.

 

“Beckett”. Parlò anch'ella mezza addormentata non ricevendo nessuna risposta dall'altro capo. Ryan stava guardando Esposito basito indicando il cellulare aprendo e chiudendo la bocca, indeciso se spiegare o meno al collega.

 

“Ryan ci sei?”. Sentì quasi urlare dentro la cornetta.

 

“Si si ci sono. No è che ho provato a chiamarti prima ma non rispondevi e allora ho optato su Castle. Di solito a quest'ora eri già al distretto e siccome non ti abbiamo visto..”

 

“Arriva al punto”. Lo invitò la donna intenta più a schiaffeggiare le mani di Castle, che si divertiva a farle navigare lungo tutto il suo corpo, che ad ascoltare l'irlandese.

 

“Si, ecco, ha chiamato Weiss. Tra un oretta sarà qui e credo sia bene che sia tu che Castle non arriviate in ritardo”. Un attimo dopo si senti sbattere il telefono in faccia.

 

“Tutto a posto?”. Gli chiese Esposito.

 

“Si stanno arrivando”. Rispose Ryan sedendosi alla sua scrivania bevendo il suo caffè.

 

“Weiss sta arrivando, dobbiamo prepararci”. Disse Beckett scendendo dal divano e raccogliendo la sua vestaglia, che si trovava poco distante sul pavimento, dirigendosi poi in bagno.

 

“E pensare che la giornata era iniziata cosi bene”. Sbuffò Castle.

 

******

 

In tempo di record i due si prepararono, uscirono di casa e arrivano al distretto. Non erano nemmeno le 10 e Beckett era già al suo terzo caffè. L'idea di collaborare con questo Weiss proprio non le piaceva, non riusciva a farsi andar giù l'idea. Inoltre il suo fastidio aumentava osservando Castle, il quale invece sembrava disinteressato. Era da più di mezz'ora attaccato al cellulare a fare corse automobilistiche invece che concentrarsi sul caso o su quanto stava per accadere.

 

“Vuoi spegnere questo aggeggio per favore?”.Le ordinò praticamente andando a strapparglielo dalle mani senza dargli tempo di rispondere o reagire in alcun modo.

 

“Stavo per battere il record, dovrò ricominciare da capo”. Disse lui cercando di riprenderlo alzandosi dalla sedia mentre lei allungava il braccio dietro di se in modo che lui non potesse rubargli l'apparecchio dalle mani.

 

“Castle dobbiamo dare un'impressione quasi seria di noi. So che per te è difficile rimanere concentrato più di 10 minuti ma per questa volta possiamo provarci?”. Castle non capiva il perchè di tutta quell'agitazione da parte di Beckett, avevano già collaborato con agenti dell'fbi e alla fine era andato tutto bene. A parte Demming che gliel'aveva fregata sotto il naso, ma alla fine anche quello si era risolto. Poi però ripensò alle parole degli agenti, se facevano qualcosa di strano la loro collaborazione sarebbe finita e nessuno dei due voleva quello. Sentendo l'ascensore aprirsi tutti e due si voltarono in quella direzione, vedendo per la prima volta colui che li avrebbe guidati nell'indagine. Beckett osservandolo si chiese se uno dei requisiti che chiedevano prima di entrare a far parte dei forze di stato fosse quello di aver un bell'aspetto. Weiss era alto, molto alto, i capelli scuri e a spazzola ricoperti di gel, una mascella marcata sulla quale era ben visibile un po' di barba vecchia di qualche giorno, senza contare quell'espressione da vero duro che si trascinava dietro. Castle osservava Beckett che osservava l'agente e quel che vedeva non gli piaceva, lo stava squadrando troppo per i suoi gusti. Si alzò di scatto dalla sedia e andò incontro all'uomo mettendosi tra lui e la detective.

 

“Lei deve essere l'agente Weiss, è un vero piacere averla qui”. Disse lo scrittore allungando la mano pronto a stringere quella dell'uomo in segno di benvenuto. Weiss si tolse gli occhiali da sole che indossava, chiuse una stanghetta e poi l'altra andando in seguito a riporli con cura nel taschino della camicia. Una volta finito guardò Castle parlandogli.

 

“Un piacere? Da quanto mi han detto la vostra reazione alla notizia del mio arrivo non è stata delle più felici quindi eviti di far il finto cortese. Mi crea solo un gran fastidio”. Disse l'uomo con un tono calmo ma che lasciava trasparire la superbia di cui era vittima, troppo sicuro di se, pensò Rick.

 

Weiss appoggiò la valigetta che aveva con se e si guardò attorno mentre le sue labbra si increspavano in una smorfia. Quel posto non gli piaceva, era abituato a grandi uffici, tutti tecnologici, quel posto invece sembrava cader a pezzi da un momento all'altro. Un luogo che per sua fortuna non avrebbe visto per molto dato che aveva la certezza di risolvere il caso nel giro di un paio di giorni.

 

“Lei deve essere la detective Beckett, ho sentito molto di lei”. Commentò in direzione della donna che ancora non si era alzata dalla sedia ma che ora si trovò costretta a farlo per non risultare scortese all'uomo. Di solito non le importava dell'impressione che dava alle altre persone ma aveva già intuito che con Wiess era meglio non scherzare.

 

“Sono certo che le doti investigative della detective siano giunte anche ai piani alti”. Disse con fierezza Castle guardando la compagna con un ampio sorriso.

 

“Già le sue doti.”. L'agente scrutò la donna da capo a piedi non preoccupandosi di nascondere il suo interesse. La presenza di Castle non era un peso per lui, nonostante fosse stato informato del tipo di relazione che intercorreva tra i due.

 

“Più che le sue abilità investigative sono giunte altre voci su di lei, in particolare sulla predilezione che ha nei confronti degli agenti dell'fbi. Sarò più che disposto a constatare se queste voci siano vere o meno”. Beckett lo guardava stupita e imbarazzata, non sapendo cosa andare a dire in risposta a quella provocazione, inoltre dovette preoccuparsi di tenere a bada Castle, che invece era pronto a ribattere senza troppi problemi.

 

“Vorrei presentarvi il resto della mia squadra se per lei non è un problema”. Disse Beckett indicando Ryan ed Esposito, i quali erano seduti alle loro scrivanie intenti a fare ricerche e telefonate. Weiss annui solamente in direzione dei due.

 

“Sò chi sono. Ho già letto i fascicoli su di loro”.

 

“Da quanto posso capire si è ben informato su di noi”. Affermò la donna tenendo una mano ben salda una mano sul polso di Castle per tenerlo fermo e prevenire ogni sua possibile mossa contro l'agente. Questo suo gesto non passò inosservato all'uomo.

 

“Studio sempre le persone con cui sono costretto a lavorare anche se, da quanto visionato, mi sembrava che Castle fosse un vostro collaboratore non il suo schiavetto”. Non gli sfuggì il mezzo passo in avanti che lo scrittore fece in sua direzione e i suoi pugni che si stringevano in una morsa dettata dal nervosismo. Il tutto lo fece sorridere.

 

“Lei è qui per aiutarci con questo assassino quindi lo faccia, i giudizi li lasci alla fine di tutta questa vicenda. Allora sarò più che lieto di rispondervi come si deve”. Nemmeno Castle stesso sapeva come aveva fatto a trattenersi e a riuscire a parlare senza palesare quel profondo astio che già provava per quell'uomo, ma non ci voleva un genio per capire che non gli stava per nulla simpatico.

 

“Non vedo l'ora.”. Sogghignò Weiss voltandosi verso la lavagna, camminandoci davanti un paio di volta. La studiò a dovere, leggendo attentamente ogni minima informazione che vi fosse impressa sopra. Aveva già letto tutti i rapporti ma non erano da paragonare al fatto stesso di essere nel vivo dell'azione. Aveva capito fin da subito che non era un caso facile ma non aveva mai fallito, ne tanto meno quella sarebbe stata la prima volta.

 

“Non avete trovato il collegamento tra gli omicidi?”. Domandò senza degnare di uno sguardo i due che stavano dietro di lui.

 

“Niente. Per quanto ne sappiamo possono essere anche omicidi che sono stati commessi da persone diverse se non fosse per le lettere”. Andò a spiegare Beckett senza dar troppa voce a tutti i dubbi che vi erano.

 

“Vero le famose lettere. Ho avuto modo di leggerle. O meglio di leggere le copie. Avete pensato di fare un'analisi calligrafica?”. Ancora passeggiava avanti e indietro tenendo le mani dietro la schiena ma ora voltando il capo in direzione dei due e guardarli, o meglio studiarli. Oltre al compito di trovare l'assassino doveva anche assicurarsi che la presenza di Castle non fosse nociva al distretto e in particolare una distrazione per la detective. Sui rapporti riguardanti la donna aveva trovato solo parole lodevoli ma sapeva anche che molti giudizi potevano esser gonfiati se si aveva a che fare con una bella giovane.

 

“Non l'abbiamo ritenuto necessario. Ci sarebbe stato inutile sapere se l'assassino è mancino o meno. Però è vero che voi agenti basate la vostra ricerca della personalità dell'assassino anche su quello. Se dall'analisi grafologica risulta che le lettere sono scritte più grandi della norma allora il personaggio ha una forte autostima, se la scrittura presenta molte interruzioni allora il soggetto è poco socievole”. Castle non perse tempo per far notare all'agente il suo livello di cultura, in alcun modo voleva dar modo all'uomo di credere che il suo posto non fosse quello, aveva tutte le carte in regola per aiutare la polizia nelle loro indagini. Weiss però non era dello stesso avviso.

 

“Vedo che ha studiato molti libri di criminologia ma non si creda un poliziotto solo perchè ha tempo da perdere leggendo argomenti riguardanti il nostro lavoro.”. Gli disse Wiess fermandosi davanti a lui, rivolgendosi allo scrittore con quel modo da professore che già non sopportava.

 

“E lei non pensi di conoscerci solo perchè ha letto dei fascicoli su di noi.”. Gli rispose a tono. Aveva promesso a Beckett di trattenersi dal creare situazioni poco piacevoli ma qui non stava facendo nulla di male se non difendere la sua posizione e quella dei suoi amici. Weiss assentì soddisfatto, almeno si trovava a lavorare con persone che non si facevano problemi a controbattergli. Troppe volte in passato si era trovato di fronte ad agenti che non avevano il coraggio di esprimere le proprie idee e lavorare con quel tipo di poliziotti era la cosa più difficile dato che non c'era dialogo e collaborazione. Li al 12° aveva la certezza che si sarebbe divertito e ne sarebbe uscito soddisfatto.

Tornò verso la propria valigetta e l'aprì sulla scrivania della detective. Da questa estrasse alcuni fogli bianchi, ognuno dei quali presentava nell'angolo in alto a destra un numero e sotto questo il timbro rosso “top secret”. Mostrandole ai due davanti a lui spiegò cosa fossero.

 

“Queste sono le mail intercettate qualche mese fa da alcuni nostri agenti. Da quanto si è capito sono state il preludio di tutto questo”. Disse indicando la lavagna e poi sedendosi sulla sedia sulla quale di solito si accomodava lo scrittore. Accavallò le gambe e indicò alla donna di sedersi anche lei al proprio posto, Castle invece, vedendosi rubare la sua solita seduta, si appoggiò alla scrivania dietro quella di Beckett. Entrambi erano in trepida attesa di sentire quanto vi era scritto sui quei fogli. Forse grazie a quelli avrebbero conosciuto meglio Mikael.

 

“La prima dice questo: “Il nuovo millennio doveva portare la pace, doveva condurci a un nuovo livello di consapevolezza, doveva darci gli strumenti per capire il senso delle cose e invece noi abbiamo buttato tutto via, le nostre speranze spazzate vie come foglie dal vento. La superbia, la cupidigia, l'avarizia, la voglia di dominare sul più debole hanno prevalso, tutti gli uomini ne sono infetti. Dall'alto ci stanno arrivando segnali, queste guerre, queste pestilenze, queste carestie sono la prova che questo mondo sta per finire, ma non tutto è perduto. Io mi offro di essere la vostra guida, io sarò la vostra salvezza. Lasciate che purifichi la vostra anima”.

 

 

Beckett e Castle non dissero nulla. Videro che Weiss era già intento a prendere il secondo foglio cosi da leggere la seconda mail e non vollero interromperlo. Da quanto avevano potuto ascoltare il modo di esporsi era molto simile a Mikael, quindi c'erano buone speranze perchè fosse la stessa persona. Se solo gli agenti gli avessero prestato la dovuta attenzione a tempo debito ora ci sarebbero 4 cadaveri in meno e un pazzo in più in prigione. Tutto quello si sarebbe potuto facilmente evitare ed era quello che rodeva di più. Ma Beckett sapeva che non si poteva vivere dei se solo, bisogna agire se si voleva cambiare qualcosa.

 

“Circa due settimane dopo un altra: “Uomini state pronti alla mia venuta. Sto ultimando il mio piano, pronto a sacrificarmi per voi e salvarvi. Spetta però a voi aprire le vostre menti e avere il coraggio di seguirmi. Se lo farete la vostra anima sarà purificata, se mi volterete le spalle subirete la mia ira. Osservatevi attorno e giudicate quanto accade. Io posso offrirvi una vita migliore, unitevi a me e troverete la pace che da lungo cercate”

 

Weiss si prese una piccola pausa per riprendere fiato cercando poi l'ultima mail che erano riusciti a intercettare. Guardò i due che lo stavano ad ascoltare pronto a rispondere a ogni loro domanda.

 

“Non dite nulla?”. Chiese quando questi non aprirono bocca. Dovevano esser pieni di domande dopo quanto letto eppure nulla usci dalle loro bocche.

 

“Le domande alla fine”. Disse Beckett con aria turbata, o meglio infastidita. Se lei avesse letto tali parole sarebbe intervenuta subito, non avrebbe aspettato mesi e mesi.

 

“Come volete. Questa è l'ultima che abbiamo di questo purificatore o Mikael come lo chiamate voi. Voi essere inutili e ingrati, voi che vi definivate miei amici mi avete rinnegato e voltato le spalle, voi che prima mi avete adulato e ora mi gettate nel fango, preparatevi. Perchè non avete capito che tutto questo lo facevo per voi, per tutti noi?. Vedremo se la mia opera è questa follia come voi l'avete schedata. La pazzia di Mikael, l'avete definita. Voi che dite di prodigarvi tanto per la salvezza dell'umanità ma che quando c'è da fare veramente qualcosa vi tirate indietro. Codardi. Voi che basate la vostra fede sulle buone parole, sulla speranza, perdete tempo inutilmente. Gli essere umani sopravviveranno solo se troveranno un capo in grado di guidarli. Io sono quello che cercano. Ascoltate le mie parole. 6 segni si susseguiranno. Convertitevi prima che sia troppo tardi. Quando vi giungerà il 7° sigillo verserete lacrime su sangue innocente.”

 

Weiss ripose i fogli sopra la scrivania e aspettò. Castle si osservava i piedi ripetendosi nella propria testa il contenuto delle lettere. Erano la certezza che era Mikael. Gli elementi erano gli stessi, piano, anime, salvezze, morte.

 

“7 sigilli. Noi abbiamo 4 morti. Ne mancano solo tre. Abbiamo poco tempo se ucciderà con la stessa frequenza di quanto ha fatto fin'ora.”. Le parole di Castle erano ovvie ma avrebbe detto di tutto pur di rompere quel silenzio che ora aveva inviso il distretto. Anche Ryan ed Esposito erano muti. Dalla loro scrivania avevano sentito tutto e l'unica certezza che avevano era che in quel momento non sapevano cosa fare.

 

“Dove avete trovato queste mail?”. Chiese Beckett curiosa. Forse anche quello poteva essere utile. Capire che siti frequentava l'assassino cosi da cercare in altri simili le sue tracce. L'fbi sarà stata anche la più importante agenzia del paese ma molte cose le dava per scontato, lei no, doveva avere una risposta per tutto.

 

“Stavamo facendo i controlli su un certo Nara. Aveva creato un proprio blog per reclutare ragazzini per fondare un suo gruppo di sostegno, come lo definiva lui. In realtà era una copertura per rubare i soldi a questi poveretti. Stava sempre attento a non esporsi troppo, non indicava mai dove si trovava o il suo vero nome quindi il suo sito era sempre visionato. Dopo qualche settimana sono comparse queste. Si pensava fosse l'opera di qualche fanatico spinto dalle parole di Nara. Alla fine però abbiamo capito che nulla centravano l'uno con l'altro.”. Andò a spiegare Weiss su come ebbe inizio tutto quello che stava accadendo in quei giorni.

 

“L'ultima mail però..”. Esordì Castle pensieroso staccandosi dalla scrivania sulla quale era appoggiato per avvicinarsi a quella di Beckett cosi da prendere il foglio che gli interessava che si trovava posato sopra quella. Velocemente ne rilesse il contenuto prima di tornare a rivolgersi ai due che lo osservavano.

 

“Le altre diciamo mi ricordano più un biglietto da visita, si presentava a chi lo leggeva. Ma quest'ultima è diversa. Si può decifrare tra le parole una profonda rabbia. Il continuare a ripetere questo voi non è normale. Credo che ce l'abbia con qualcuno in particolare. “Voi che mi adulavate e ora mi gettate nel fango. La pazzia di Mikael l'avete definita”. Qualcuno lo conosceva, sapeva quello che stava per fare ma non è intervenuto. Forse aveva dei complici che alla fine si sono tirati indietro.” Parlò Castle esplicando le sue teorie. Appena Weiss aveva letto quella mail subito era giunto a quella conclusione, quel messaggio era per qualcuno in particolare. Qualcuno sapeva e aveva taciuto, ma come poter fare a trovare questo qualcuno. Di certo non poteva mettere un annuncio sperando che qualcuno si facesse avanti e gli agenti dell'fbi li avevano già detto che era stato impossibile rintracciare il computer da dove provenivano quelle mail.

 

“Magari su questo blog aveva incontrato qualcuno pazzo come lui e si erano accordati per far qualcosa di grandioso. Si incontrano sempre le persone più strane in siti come questi. Se avete ancora le risposte degli altri ragazzi possiamo vedere se qualcuno si è messo in contattato con Mikael”. Disse Beckett rivolgendosi a Weiss, era una nuova pista che poteva seguire, forse grazie a quella avrebbero scoperto qualcosa in più.

 

“Abbiamo già fatto i controlli necessari. Nessuno aveva dato peso alle parole di Mikale, anzi era quasi passato inosservato dato che quanto diceva andava contro gli insegnamenti di Nara.”. Spiegò l'agente alla donna che però non era ancora del tutto convinta.

 

“Magari l'ha contattato in forma privata?”.

 

“Impossibile. Mikael non aveva lasciato alcun recapito. Era impossibile che qualcuno ci avesse parlato assieme”.

 

Castle non presta attenzione ai due e ai loro discorsi, la sua mente vagava in altre direzioni. Si avvicinò alla lavagna e osservò. Non guardò le foto, non lesse quanto vi era scritto. La sua attenzione era tutta sulla foto del sigillo. Mikael l'aveva nominato anche su quelle mail oltre che nelle lettere che aveva mandato per ogni omicidio. Tutti i sigilli presentavano lo stesso disegno a cui però non avevano mai dato peso. Forse invece era ora di cambiare rotta. Avevano già intenzione di dare più importanza alle lettere per capire quest'opera ma se nulla era lasciato al caso dall'assassino anche il sigillo voleva dire qualcosa. Guardò ancora quella piramide con un punto al centro, cercò nei suoi ricordi, tentando di rimembrare dove poteva averla già vista, ma nulla. Lui non era esperto di certi simboli. Lui no ma...

 

“Ma certo Charlie”. Disse battendosi il pugno sulla mano con rinnovata convinzione.

“Come ho fatto a non pensarci prima, che idiota sono stato”. Disse colpendosi la fronte più volte con il palmo della mano.

 

“Chi è Charlie?”. Chiesero all'unisono Beckett e Weiss.

 

“Colui che può far chiarezza su questo mistero”. Disse indicando la foto del sigillo e tirando fuori il suo cellulare dalla tasca.

 

 

------------

 

Che dire, Weiss è arrivato e ha già messo in chiaro quale sarà la sua linea di giudizio, Beckett e Castle non possono sgarrare. D'altro canto si è reso utile mostrando quelle tre mail che piano piano ci avvicineranno all'assassino. Ultimo ma non ultimo Charlie. Il 16° capitolo è tutto dedicato a lui e si scoprirà, forse, l'origine di Mikael.

 

Come sempre grazie per la lettura.

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Capitolo 16
*** Sospettato ***


 

CAPITOLO 15

 

Beckett mantenne la promessa che si era fatta, ovvero collaborò con Weiss. L'agente volle che fosse lei a dargli tutti i dettagli del caso. Nonostante avesse visionato più e più volte i fascicoli a riguardo, voleva sapere dalla detective ogni dettaglio di ogni omicidi, dal modo in cui era stato commesso a come era stata trovata la vittima, volle sapere delle lettere, di Cecilia Hoffman, degli identikit, tutto in pratica. La donna lo trovava ancora alquanto spocchioso ma capì anche che era molto preciso nel suo lavoro e che, forse, non gli avrebbe dato tutto quel fastidio che si era immaginata. Castle intanto era al telefono da più di un'ora con questo famoso Charlie, di cui lei non aveva mai sentito parlare, ma da dove stava, lo scrittore, continuava a lanciare occhiatacce a Weiss ogni volta che lo vedeva avvicinarsi troppo a lei, senza contare il fumo che gli uscì dalle orecchie quando lo vide appoggiarsi alla sedia di Beckett mentre ella gli stava facendo visionare alcune immagini che aveva salvato sul proprio pc.

 

“Se indietreggia di qualche centimetro vede meglio che non ha il riflesso delle luci al neon”. Disse Castle all'agente con un falso sorriso stampato sulla faccia.

 

“La visuale invece è ottima da qui”. Gli rispose lui sfidandolo mentre un lato della bocca si sollevò in un ghigno compiaciuto. Beckett si trovava in mezzo a due fuochi. Non volendo peggiorare la situazione non intervenne ma rimase seduta sulla sedia con le labbra serrate, per evitare di ridere di quella situazione che tutto sommato la imbarazzava, mentre si teneva impegnata facendo scorrere la freccia indicatrice del mouse per tutto lo schermo. In sua salvezza arrivarono Ryan ed Esposito.

 

“Abbiamo avuto i rapporti da parte degli agenti che seguivano gli 8 sospettati. Quelli che lavorano per le agenzie sportive. Avevamo trovato un impronta sulla scena del secondo delitto e abbiamo seguito quella pista”. Disse Ryan volendo informare di quel dettaglio l'agente Weiss il quale, pur essendo già al corrente della cosa, lo ringraziò con un cenno del capo.

 

“Un certo Carl Nyman, nell'ora precedente all'omicidio della Burgesen e di Trussoni, si trovava nei paraggi di dove abbiamo trovato i corpi. Abbiamo fatto ricerche più approfondite su di lui”. Spiegò Esposito passando il fascicolo a Beckett. Weiss fece per mettersi vicino alla donna e visionare quanto era contenuto in esso ma prima guardò Castle.

 

“Posso?”. Domandò rivolgendosi a lui chiedendogli il permesso. Ryan ed Esposito sorridevano divertiti a quella scenetta, Beckett non era poi cosi contenta invece, ma con la coda dell'occhio sbirciò curiosa la reazione dello scrittore. Corrugando la fronte gli diede il permesso di guardare il fascicolo, invitandolo a farsi avanti con un gesto della mano, mordendosi la lingua mentre si riprometteva di dirgliene quattro una volta chiuso il caso.

 

“Carl Nyman arrestato più volte per possesso d'armi senza il regolare permesso, tre volte per resistenza a pubblico ufficiale, sotto libertà vigilata per aver aggredito un uomo con un coltello. Un anno fa fu imputato per tentato omicidio nei confronti della ex fidanzata ma poi scagionato”. Lesse ad alta voce Beckett.

 

“Sà come attirare l'attenzione”. Commentò come sua usanza Castle quando la donna ebbe finito, ricevendo in cambio un occhiataccia da Weiss che non era abituato a quelle uscite da parte dello scrittore.

 

“Ma lei è sempre cosi simpatico!?”. Gli domandò retoricamente prima di porre tutta la sua attenzione sui due detective.

“Non vedo nessun indirizzo scritto qui. Sapete dove possiamo trovarlo per fare una chiacchierata amichevole?”. Chiese in tono serio nonostante la sua volesse essere chiaramente una battuta, andando nel contempo a estrarre la pistola che aveva nella fodera appesa alla cintura cosi da controllare che fosse carica. Ryan con mano titubante gli porse un foglietto sulla quale era appuntato l'indirizzo.

 

“Bene andiamo. Qualcuno ha da prestarmi un giubbotto anti proiettile?”. Domandò senza farsi troppi problemi ai presenti.

 

 

****

 

Arrivarono li con due macchine cercando di non attirare troppo l'attenzione. L'agente di sorveglianza li aveva informati che Nyman si trovava a casa da solo in quel momento e che quindi potevano agire indisturbati. La dimora dell'uomo era più simile a una catapecchia, poche stanze distribuite malamente su un unico piano. Weiss fece segno a Ryan ed Esposito di aggirare la casa e controllare che non vi fossero uscite posteriori. I due però non si mossero ma aspettarono l'ok da parte della detective. Weiss sarà stato l'agente di più alto grado presente ma Beckett era il loro capo e non lui. I due uomini silenziosamente si diressero dietro la casa mentre gli altri tre accovacciandosi proseguirono verso l'entrata principale. Castle fece per salire i tre scalini che lo dividevano dal pianerottolo d'ingresso quando Weiss lo spinse indietro posandogli una mano sul petto protetto dal giubbotto anti proiettile.

 

“Dove pensa di andare superman?!. Lei non si muove da qui”. Gli ordinò a bassa voce non volendo farsi sentire da Nyman.

 

“Io vado dove va Beckett, capitan america”. Andò a dire in risposta lo scrittore provando all'agente la sua cultura riguardo i supereroi.

 

“Basta. Tutti e due”. Intervenne decisa la detective che nel mentre si era messa su un lato della porta.

 

“Se si becca una pallottola non mi dica che non l'avevo avvertita”. Weiss, detto questo, si mise dal lato opposto della donna e diede due colpi forti alla porta prima di urlare.

 

“Polizia Nyman. Esca con le mani in alto”. Dall'interno della casa nessuna risposta, nessun rumore, eppure l'agente era certo che l'uomo fosse in casa. Weiss guardò Beckett che annuì. Velocemente si alzò in piedi tenendo la pistola salda e puntata bene davanti a se, prima di tirare un calcio alla porta che cadde con un pesante tonfo. Entrò per primo lui, seguito dalla detective e poi da Castle. Avevano davanti un lungo corridoio lungo il quale si potevano vedere 5 porte, due a destra e tre a sinistra. Weiss indicò alla donna che lui si sarebbe occupato di quelle a sinistra, lei di quelle a destra. Sempre con cautela andarono ad aprire le porte osservando dentro le diverse stanze. La cucina era vuota, cosi come il bagno e la sala. Entrambi gli agenti si affacciarono sulle due stanze rimanenti, due camere da letto, entrando ognuna nella propria nello stesso momento. Weiss non notò nulla fuori posto ed uscì, Beckett fu più precisa e controllò dentro l'armadio e sotto il letto. Vuota anche quella. Tirando un respiro di sollievo abbassò l'arma e si diresse verso l'uscita dove Weiss la stava già aspettando. Castle gli era qualche passo dietro quando senti l'agente urlare.

 

“Dietro di voi”. Disse alzando la sua pistola in quella direzione.

 

Lo scrittore fece appena in tempo a voltarsi che vide un uomo puntare una pistola verso di loro. Prima di parlare agì con prontezza. Avvinghiò con il braccio sinistro Beckett spingendola con forza dentro la porta che aveva alla sua destra, finendo cosi nella sala, mentre Weiss si rifugiò dietro il muro della casa. Tre colpi in rapida successione si susseguirono e poi nulla. L'agente dell'fbi approfittò di quell'attimo per girarsi velocemente verso il corridoio d'ingresso della struttura e sparare a Nyman, colpendolo ad una spalla. In un frangente, poi, gli fu vicino, gettando la sua arma lontana con un calcio e puntandogli la propria sulla fronte.

 

“Dammi solo un ulteriore motivo per farlo”. Gli disse premendogli con forza il piede sul foro del proiettile, facendolo urlare dal dolore.

 

 

Nella sala intanto Castle e Beckett erano ancora distesi per terra. L'uomo la teneva protetta tra le sue braccia, nascondendole la testa sotto il proprio petto. Quando sentì la voce di Weiss si rassicurò allentando la presa ma non lasciando andare del tutto la donna che lo guardava non capendo ancora chiaramente cosa fosse successo e perchè si trovassero li sul pavimento.

 

“Stai bene?”. Le domandò lo scrittore staccandosi leggermente da lei guardandola, tastandola per assicurarsi che non avesse nessuna ferita.

 

“Si, sto bene e tu?”. Ricambiò la domanda mettendosi seduta ma facendo scorrere lo sguardo sull'uomo per assicurarsi che fosse tutto a posto, notando in fine del sangue colargli lungo il braccio.

 

“Sei ferito”. Disse facendogli girare l'arto superiore in sua direzione per poter vedere meglio.

 

“é solo un graffio, è più per l'infarto che sto avendo che mi preoccupo”. In quel momento entrarono nella stanza Ryan ed Esposito che porsero una mano ai due aiutandoli cosi ad alzarsi e chiedendo nello stesso momento come stessero.

 

Uscirono dalla casa e notarono Nyman seduto per terra sanguinante e ammanettato. Weiss vedendoli aprì le braccia e li elogiò a gran voce.

 

“Bel lavoro ragazzi, gran bel lavoro”

 

Castle si tolse di fretta il giubbotto anti proiettile, che gli impediva di muoversi come voleva, e corse addosso a Weiss, che ancora prima di poter reagire, si sentì colpire in pieno stomaco dalla spalla di Castle e un attimo dopo venir gettato a terra. Una vera presa da rugby.

 

“Oh oh, colpito in pieno”. Commentò Nyman che era li vicino.

 

Weiss era piegato a terra in posizione fetale mentre si stringeva forte lo stomaco, cercando di respirare. Ogni volta che l'aria gli entrava nei polmoni era come una fitta in pieno petto e ancora non si sentiva le forze per muovere le gambe e alzarsi. Rimaneva semplicemente li per terra a rantolare e muoversi sulla propria schiena.

 

“E questo per che cos'era?”. Chiese Weiss dopo qualche minuto, avendo ritrovato un po' di fiato, ma preferendo rimanere seduto, sentendo tutte le costole scricchiolargli.

 

“Per esser stato addestrato da topolino, ecco per che cos'era. La camera da cui questo pistolero è uscito l'avevate controllata voi.”. Disse Castle puntandogli il dito contro prima di tornare a massaggiarsi la spalla che, oltre ad essere sanguinante per via del proiettile, ora gli doleva anche.

 

“L'ho controllata ma non l'ho visto. Chi avrebbe controllato sotto il letto o dietro a un mobile, non avevo motivo di credere che fosse li”. Cercò di giustificarsi l'agente che ora era tornato in posizione eretta e allungava le braccia verso l'alto per tirarsi la schiena e far recuperare la sensibilità ai muscoli del petto.

 

“Chiunque avrebbe controllato. Pure io ci sarei arrivato. Ma voi siete troppo sicuro di voi stesso non è vero?. Per colpa della vostra negligenza Beckett poteva essere colpita”. Castle era arrabbiato, adirato, furioso con l'uomo. Sarà stata l'adrenalina che aveva in corpo o il pensiero che poteva succedere qualcosa alla donna che amava, sta di fatto che se avesse avuto una pistola tra le mani non si sarebbe fatto problemi ad usarla contro l'agente.

 

“Ma non è successo niente, è andato tutto bene quindi di cosa vi lamentate. Abbiamo catturato un sospettato”. Addosso si sentiva gli occhi furenti di Castle ma anche quelli di Ryan ed Esposito. Solo Beckett non lo guardava intenta a stracciare la camicia dello scrittore nel punto dove sanguinava per controllare la gravità della sua ferita.

 

“Ryan chiama un ambulanza prima che Nyman muoia dissanguato”. Disse la donna guardando il collega che, dopo aver guardato in malo modo ancora una volta Weiss, fece quanto richiestogli.

 

 

“Visto?! sta bene”. Weiss tentò la fortuna. Grosso errore.

 

Castle gli piombò ancora addosso sentendo i nervi della mano scricchiolare da quanto erano tesi mentre la chiudeva in un pugno pronto a colpirlo di nuovo, urlandogli in faccia tutta la sua paura.

 

“Giuro su quanto ho di più caro che se Kate fosse uscita anche con un solo graffio a quest'ora sareste cibo per i pesci, giuro che vi avrei...”. Mille orribili pensieri gli affollavano la testa in quel momento e mai era stato cosi felice di pensare a cose cosi negative. Non era da lui, non era nel suo carattere ma trovarselo davanti non li era d'aiuto. Beckett capendo che la situazione sarebbe potuta degenerare intervenne. Piantò di piedi davanti a Castle costringendolo a fermarsi prima di lei. Vedeva gli occhi furenti dell'uomo incendiare con lo sguardo l'agente. In quel momento, per la prima volta dopo 4 anni, ebbe paura di Rick e di quello che poteva fare. Alzò le mani lentamente in direzione del viso dell'uomo cosi da posarle sulle sue guance, sentendo sotto di esse i muscoli tesi dello scrittore.

 

“Rick”. Tentò di chiamarlo con voce tranquilla, cercando di trasmettergli quella sensazione, mentre provava ad abbassare il suo volto cosi da portarlo alla stessa altezza del suo, in modo che la potesse vedere.

 

“Guardami Rick”. Lo chiamò questa volta con più urgenza. L'uomo spostò subito gli occhi sulla donna e quelle emozioni tumultuose lo abbandonarono cosi velocemente come quando l'avevano posseduto. Ora al loro posto, nelle sue iridi, si poteva leggere un gran dolore, una profonda paura, gli occhi li si stavano riempiendo di lacrime.

 

“Non voglio più rischiare di perderti Kate”. Le disse disperato senza muovere un muscolo, sentendosi improvvisamente privo di energie.

 

“Come può accadere una cosa simile quando ho una guardia del corpo come te”. Disse ridacchiando, provando a far tornare il buon umore al proprio fidanzato, ma fallendo miseramente. Castle non rideva ma continuava a fissarla ancora con quegli occhi timorosi da bambino.

 

“Non succederà più quanto successo 5 mesi fa d'accordo?!. Non ti lascio Rick, per nessuna ragione”. In quel momento sperava che Castle non rivangasse vecchi dubbi e le chiedesse di rimanere a casa da lavoro. Non l'avrebbe fatto, in particolare ora, ma nemmeno poteva decidere tra Rick e il fare la poliziotta. Amava entrambi cosi profondamente che non poteva fare a meno di nessuna delle due cose, la completavano. Incrociò le dita quando vide la bocca di lui iniziare a muoversi.

 

“Te l'avevo detto Kate”. Uscì un leggero sibilo dalle sue labbra non sicuro di trovare la forza per parlare.

 

“Lo sò”. Castle chiuse gli occhi concentrandosi sul calore che emanavano le mani di lei sul suo viso. Beckett stava bene, sapeva fare il suo lavoro in un modo straordinario , non poteva continuare a convivere con questa paura ogni volta che la vedeva al distretto. Era il suo lavoro e queste cose potevano anche capitare, si disse tra se e se. Lui però avrebbe fatto di tutto per evitarle. Sentendo in lontananza la sirena dell'ambulanza avvicinarsi all'abitazione di Nyman si rivolse ancora alla donna.

 

“Dici che se c'è una bella infermiera posso togliermi la camicia e mostrare il mio fisico da modello?”.

 

“E correre cosi il rischio che lei si distragga e non ti curi come si deve la ferita?!”. Commentò la detective ora più sollevata.

 

“é cosi difficile ammettere che saresti gelosa, vero?!”. Accennò un sorriso lo scrittore prima di ricevere un bacio inatteso dalla donna, un bacio che secondo i suoi standard fini troppo presto. Si guardarono negli occhi e in quel momento entrambi capirono che di situazioni cosi ne avrebbero vissute a centinaia e le uniche cose che potevano fare era contare l'uno sulla presenza dell'altra, pregare la loro buona stella e sperare che il giubbotto anti proiettile facesse il suo lavoro.

 

*****

 

Un paio d'ore dopo l'incidente accorso alla casa di Nyman si trovavano tutti nella stanza d'ospedale dell'uomo. Due poliziotti erano appostati davanti alla porta mentre questi era ammanettato al letto per impedire ogni suo tentativo di fuga. Weiss rimaneva appoggiato alla finestra osservando lo scrittore e la detective all'opera. Lo stomaco aveva smesso di fargli male anche se stava iniziando a formarsi un bel livido all'altezza del fianco, non credeva che lo scrittore lo avesse colpito cosi forte. I medici si erano anche offerti di dargli un analgesico per i dolori ma lui si era rifiutato. Anche se non l'aveva ammesso davanti ai due si meritava quella leggera sofferenza. Castle invece si era ritrovato con ben quattro punti sul braccio, la ferita non era profonda ma era stato comunque necessario richiudergliela.

 

“Aggressione, resistenza a pubblico ufficiale, tentato omicidio. Hai tutti i requisiti per essere l'uomo che stiamo cercando”. Disse Beckett lanciando il rapporto che aveva appena letto sulle gambe dell'uomo. Nyman gli diede un occhio e sogghignò, aveva una pagina uguale appesa in un riquadro in camera sua, insieme a tutti gli altri rapporti sulle sue bravate. Un trofeo, li considerava.

 

“E cosa ho fatto per meritarmi questo premio?”. Chiese alzando la mano e mostrando ai tre le manette nuove di zecca che gli erano state riservate. Castle osservò Weiss domandandosi se in qualche modo sarebbe intervenuto in quel colloquio oppure se avesse fatto proseguire loro, proseguire Kate. In fondo li stava valutando, era li per giudicare il loro operato, oltre al fatto di collaborare per trovare Mikael.

 

“Sono certa che sei a conoscenza dei quattro omicidi avvenuti in queste ultime due settimane?”. Domandò la detective fermandosi davanti al letto dell'uomo per osservarlo, cercando di carpire ogni minimo cambiamento nella sua espressione, anche quello le sarebbe servito per capire se mentiva o meno.

 

“E chi non lo conosce. Lo scrittore maledetto l'hanno chiamato i giornali”. Parlò ancora Nyman sentendosi oltraggiato da quella domanda, dopo tutto si teneva informato, non era un simile idiota come si sentiva considerato in quel momento. Osservò il volto dei tre e dopo un attimo si mise a ridere divertito.

 

“Aspetta, aspetta. Voi credete che sia io questo pazzo?”. Dai loro sguardi capì che la pensavano proprio cosi.

 

“Ok, ammetto che non sono un pezzo di pane ma non sarei capace di uccidere”.

 

“Dillo alla tua ex ragazza. L'hai quasi fatta finire in coma per via di tutte percosse che ha subito”. Gli ricordò Castle alzandosi dalla sedia sulla quale era seduto per andarsi a mettere vicino a Beckett, per una strana ragione sentì il bisogno di farlo.

 

“Ok, ammetto che quando bevo perdo un po' le staffe. Ma questo, questi omicidi di cui parlate sono tutto un altro discorso. Io non c'entro nulla”. Disse ancora l'uomo volendosi discolpare di quelle accuse infondate che gli stavano lanciando contro.

 

“Invece noi crediamo il contrario. Su una scena del crimine abbiamo trovato un impronta di scarpa che ci ha portato a far dei controlli nella società dove lavori, ti abbiamo tenuto d'occhio ed è saltato fuori che ti trovavi nei pressi di ben due scene del crimine quando son stati commessi i delitti”. Andò a spiegare Beckett le motivazioni sulla quale basavano le loro teorie.

 

“E chiedo venia, ma da dove deriva tutta questa certezza?”. Chiese curioso Nyman, affondando nel cuscino in modo da cercare di trovare una posizione comoda per la spalla che ora tornava a fargli male dato che la morfina stava finendo il suo effetto.

 

“Abbiamo controllato il tuo cellulare. Dal gps che c'è installato sopra abbiamo scoperto che eri a meno di un chilometro dai quei luoghi. Inoltre durante il primo omicidio la chiamata per avvisare i pompieri è partita proprio dal tuo apparecchio. Credo che abbiamo in mano ottime motivazioni per pensare che sia tu il nostro assassino”. Incalzò Beckett soddisfatta del loro operato. Nessuno era perfetto e questa era la riprova, avevano per le mani l'assassino finalmente e grazie a ciò avevano salvato la vita ad altre persone. Si sentiva orgogliosa di se.

 

Nyman la guardò corrugando la fronte.

 

“Scherzate vero?”. Domandò. Castle notò subito che c'era qualcosa che non andava, aveva una brutta, una bruttissima sensazione.

 

“No”. Rispose Weiss che era rimasto ancora fermo li davanti alla finestra.

 

Nyman scoppiò a ridere. Una risata nevrotica che non si sforzò minimamente di trattenere tanto che gli vennero le lacrime agli occhi e gli iniziò a mancare il fiato. Tra un sospirò e l'altro cerco di parlare.

 

“Siete...siete più stupidi di quanto pensassi”. Continuava a ridere e questo irritava i presenti. Vedendo che non accennava a smettere Weiss in due passi gli fu vicino, mettendogli le mani addosso, afferrandolo per il colletto della camicia, portando il volto di Nyman a pochi centimetri dal suo. Voleva che l'uomo vedesse la frustrazione che covava in quel momento, voleva intimorirlo.

 

“Ti consiglio di non scherzare con noi. Ti conviene raccontarci come sono andate le cose”. Gli ordinò ributtandolo con forza contro il cuscino mollando la presa, senza però allontanarsi dal letto. Nyman nonostante quei secondi in cui ebbe paura tornò a ridere, anche se più sommessamente di prima.

 

“Io non ho nulla da raccontarvi su questi omicidi”. Disse asciugandosi le lacrime che gli scendevano dagli occhi. Weiss perse la pazienza. Andò con forza a premergli il pollice sulla ferita facendolo urlare dal dolore. Beckett fece per intervenire, volendo fermare l'agente in quanto non approvava quel gesto ma Castle, mettendogli una mano sulla spalla la fermò. La detective lo guardò piena di domande.

 

“Potrebbe essere l'unico modo per ottenere una confessione”. Le disse spiegando il suo gesto.

 

“Parla, subito!”. Ordinò ancora Weiss premendo con più forza sulla ferita, dalla quale si poteva veder uscire ora un rigagnolo di sangue.

 

“Io non c'entro. Non mi trovavo in quelle zone. Queste sere le ho passate tutte al bar vicino a casa mia o nella bisca clandestina a China Town”. Dichiarò l'uomo che cercava di divincolarsi dalla morsa dell'agente, il quale però non era ancora soddisfatto.

 

“E il cellulare allora?”

 

“Mollami e te lo dico”. Andò a supplicare sentendo ormai tutto il braccio bruciargli dal dolore.

 

“Weiss basta, o non ci dirà nulla”. Esclamò Beckett decisa. Superiore o no stava esagerando in quel momento. Weiss schiacciò un ultima volta sulla ferita e si allontanò, non senza prima minacciare l'uomo.

 

“Meglio che inizi a cantare se non vuoi un buco sull'altra spalla”.

 

“Mi è stato rubato”. Rispose Nyman ansimando e contorcendo la bocca per il male provato.

 

“Non abbiamo letto nessuna denuncia”. Beckett mentre parlava controllò di nuovo il rapporto per esser certa che quel particolare non gli fosse sfuggito.

 

 

“Perchè non l'ho fatta. Non vi sareste di certo messi a cercare il cellulare di un delinquente”. Nyman si teneva il braccio con la mano, digrignando i denti e sbattendo la testa sul cuscino ogni volta che sentiva come delle scosse scuotergli l'arto ferito.

 

“E ovviamente non sai chi l'ha rubato?”. Chiese poco speranzoso Castle.

 

“E invece si. Quel figlio di madre ignota mi ha offerto qualche drink al bar e poi si è portato via il mio cellulare prima che potessi reagire.”. Raccontò Nyman sbuffando. Castle tentò la fortuna.

 

“Te lo ricordi?”

 

“Circa. Aveva i capelli neri e gli occhi chiari. Aveva un aspetto truce come il suo”. Disse pensieroso indicando Weiss.

“Appena l'ho visto pensavo fosse uno dei buttafuori pronto a darmele di santa ragione e invece si è seduto li e abbiamo cominciato a parlare”. Continuò nella sua spiegazione gesticolando.

 

“Non ricordi altro?”. Chiese Beckett che intanto stava appuntando quei pochi dettagli sul fascicolo dell'uomo non avendo altri fogli con se per poterlo fare.

 

“No”. Rispose scrollando la testa per poi correggersi subito.

“Si si. Aveva un neo. Sulla guancia destra, ne sono certo”

 

“Mikael”. Disserò all'unisono Beckett e Castle osservandosi.

 

 

----------

 

La pista sull'impronta trovata si è rivelata falsa o meglio, come si suol dire, hanno puntato sul cavallo sbagliato, anche se è collegato lo stesso con il nostro assassino. Weiss ha fatto il danno, ma questo si sapeva già, era nell'aria che sarebbe accaduto qualcosa di poco piacevole. Nel prossimo capitolo incontreremo Charlie, il quale rivelerà ai due protagonisti una cosa che si rivelerà importante, anzi, farà molto di più, ma gli effetti si vedranno solo tra qualche capitolo.

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Capitolo 17
*** Charlie ***


 

CAPITOLO 16

 

Erano le 8 di sera e finalmente erano riusciti a compilare tutti i rapporti riguardanti Nyman e avvisato il sindaco di quel nuovo buco nell'acqua. Weiss, durante la ricostruzione di quella sparatoria successa durante la mattinata, non aprì bocca e lasciò che Beckett descrivesse per filo e per segno come erano andate veramente le cose. Castle concluse che il suo silenzio era dovuto al fatto che ormai era cosi abituato a ricevere dei richiami che uno in più non gli avrebbe fatto alcuna differenza. Promettendo che l'indomani sarebbe giunto presto al distretto per rimettersi al lavoro lasciò i due a occuparsi degli ultimi dettagli.

 

“Finalmente soli”. Commentò Castle sprofondando nella sua sedia e rilassandosi dopo quell'intera, pazza, giornata di lavoro.

 

“Hai ragione. Finisco di complicare qui e andiamo a casa”. Lo informò la donna senza staccare gli occhi dal rapporto che teneva tra le mani davanti a se scorgendo solo con la coda dell'occhio la figura di Castle che le porgeva la mano aperta. Spostando lo sguardo su di quella notò che sul palmo dell'uomo vi era qualcosa. Uno dei sigilli.

 

“Rick ma sei impazzito? Quella è una prova, dove l'hai presa?”. Domandò sbattendo il rapporto sulla propria scrivania e guardando il proprio compagno in malo modo.

 

“Dalla stanza delle prove, ovvio”. Rispose lui alla sua domanda come se niente fosse.

“Dove altro avrei potuto prenderlo?”

 

Beckett distolse lo sguardo dall'uomo mordendosi la lingua per evitare di dire qualcosa di troppo. Chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie rilassandosi.

 

“Va bene, mettiamola giù in modo diverso. Perchè hai rubato quel sigillo Castle?”

 

“Non lo rubato, lo solo preso in prestito”. La corresse mentre lei tornò a guardarlo spazientita.

 

“Ci serve perchè sicuro Charlie vorrà vederne uno dal vivo. Non si accontenterà di certo di una fotografia”. Spiegò l'uomo chiudendo la mano e andando a riporre il sigillo con cura nella tasca della propria giacca, ricevendo dalla donna una sguardo perplesso. Non sapeva di cosa stesse parlando, chi era questo famoso Charlie?.

 

“é ora che tu mi dia delle spiegazioni sai.” Parlò la detective appoggiando le braccia sulla propria scrivania e ruotando il busto verso lo scrittore in attesa che lui la illuminasse.

 

“Non adesso. Charlie ci aspetta per le nove e non sopporta se qualcuno arriva in ritardo”. Detto questo si alzò dalla sedia e si avvicinò alla lavagna prendendo con se anche l'ingrandimento del sigillo che vi era appeso li sopra. Beckett non potè far altro che seguirlo. Firmò il rapporto, lo mise nel fascicolo e lo portò sulla scrivania di Ryan insieme a tutti gli altri. Tornò poi alla propria dove Castle le stava già tenendo sollevata la giacca per aiutarla a indossarla, andando poi prenderle la mano e trascinarla verso l'ascensore, non volendo perdere ulteriore tempo. Giunti sulla macchina la pazienza di Beckett finì.

 

“Ora mi spieghi che succede o non faccio un altro metro”. Ordinò in un tono che non ammetteva repliche se non una sola, ovvero il perchè di quel viaggio imprevisto.

 

“Tu inizia a dirigerti verso la Madison Avenue e io ti darò tutte le informazioni che vuoi”. Scrollando il capo e sbuffando la donna si avviò verso quella direzione. Perchè si divertiva a torturarla in quel modo?!.

 

“Mentre stavo scrivendo “Storm profano” ho avuto la necessità di cercare qualcuno che si intendesse di sette occulte e cose varie ed è tramite diversi amici son venuto a conoscenza di questo studioso, Charlie Dixler.”. Iniziò a chiarire i dubbi della donna.

 

“Va bene fin qui ti seguo, ma che c'entra questo Dixler in tutta questa storia?”. Sollecitò la detective non avendo ancora capito bene il collegamento di questo studioso con gli omicidi.

 

“Visto che questo sigillo è uguale per ogni lettera mi son chiesto. “E se volesse significare qualcosa?”. Allora ho chiamato Charlie e gliel'ho descritto. Lui mi ha detto che forse sa cos'è ma deve vederlo per aver la certezza. Ed ecco perchè ora stiamo andando da lui”

 

Beckett preferì non sbilanciarsi. Poteva benissimo essere un altro vicolo cieco eppure, quando Castle aveva queste intuizioni, raramente si verificavano infondate.

 

“Tentar non nuoce no?”. Esclamò staccando per qualche secondo gli occhi dalla strada per osservare lo scrittore che subito le regalò un ampio sorriso.

 

 

******

 

 

 

“Sicuro che sia a casa?”. Domandò Beckett vedendo Castle intento a suonare il campanello per la sesta volta.

 

“Si si eravamo d'accordo. Sarà solo concentrato nei suoi studi”. Le spiegò tenendo premuto il dito sul campanello per prolungare quello scampanellio. Finalmente sentirono un rumore di chiavi girare nella serratura.

 

“Ah ti avverto, è un tipo un po' eccentrico”. Fece in tempo a informarla poco prima che la porta si aprì.

 

“Richard che piacere rivederti”. Lo salutò con una forte stretta di mano Charlie. Mentre i due si scambiavano i convenevoli Beckett osservò questo strano tipo. Aveva dei pantaloni con una trama a scacchiera, i quadratini gialli e verdi divisi da una spessa riga rossa, le bretelle blu con rombi viola e una camicia fucsia. Più che uno studioso sembrava un clown da circo.

 

“E tu devi essere Kate. Rick mi ha detto magnifiche cose sul tuo conto”. Sentì la voce dell'uomo ridestarla dai suoi pensieri. Andò a sorridergli leggermente imbarazzata mentre gli porgeva la mano . Lo studioso però non ricambiò il gesto ma andò a stringerla in un forte abbraccio che la lasciò quasi senza fiato.

 

“Prego, prego entrate”. Disse iniziando a incamminarsi per i lunghi corridoi della casa per far strada ai due. Beckett si guardò attorno, osservando le pareti, le varie stanze che superavano. Tutte avevano uno stile particolare, tutte molto colorate. Muri azzurri o arancioni, mobili bianchi e viola, ovunque quadri che rappresentavano stemmi, antichi geroglifici, scritte in lingue che anche lei faceva fatica a riconoscere.

 

“Ammettilo, è una casa di matti questa?”. Sussurrò a Castle dandogli un leggero pugno sul fianco.

 

“Ti avevo avvertito che era un po' eccentrico”. Le rispose lui ridacchiando ma sempre tenendo un volume basso della voce in modo da non farsi sentire dall'uomo che li stava precedendo. Finalmente si fermarono davanti a una porta e i due capirono che quella era la loro destinazione. Appena Charlie l'aprì le loro orecchie furono invase dalle urla di un uomo. Appena si furono abituati capirono che si trattava di una canzone lirica. Charlie andò subito allo stereo e abbassò il volume.

 

“Come hai fatto a sentirci con questo frastuono?”. Chiese Castle curioso.

 

“Ogni volta che il campanello suona quella lampadina si illumina”. Chiarì Charlie indicando una lampadina rossa posta sulla scrivania e poi due sedie dicendo.

 

“Accomodatevi pure”.

 

A Beckett sembrò di esser entrata in un altro mondo. Quella si che era una stanza degna di uno studioso. Lungo due pareti correva un enorme libreria piena di libri di ogni dimensione e colore. Sull'altra parete decine di diplomi e lauree, oltre che diversi articoli di giornale dove pote notare la foto dell'uomo più e più volte. Un'enorme scrivania in legno si trovava proprio al centro della stanza. I due si sedettero e cosi fece lo studioso sulla propria poltrona.

 

“Allora Richard fammi vedere questo sigillo”. Castle lo estrasse dalla tasca e subito glielo passò. Charlie con cautela lo prese e lo posò sul ripiano della scrivania, spostando alcune delle carte che la ingombravano. Mise un paio di occhiali e afferrò la propria lente di ingrandimento iniziando a mugugnare parole tra se e se. Beckett guardò Castle perplessa. Dopo qualche minuto l'uomo alzò la testa dal sigillo, si tolse gli occhiali con tutta calma e si rivolse ai due.

 

“La mia prima intuizione era corretta. Appena me l'hai descritto ho immaginato che si trattasse di loro e vedendo questo ne ho avuto la certezza”. Disse vagamente ridando il sigillo a Castle.

 

“Loro chi?”. Chiese impaziente Beckett. Era veramente curiosa di sapere cosa sapeva quell'uomo di un oggetto all'apparenza cosi insignificante. Charlie si alzò dalla propria seduta e iniziò a far scorrere il dito su alcuni ripiani della libreria alle sue spalle.

 

“Ah, ah, trovato!”. Esclamò prendendo un libricino difficile da notare vicino a tutti quei volumi massicci. Con un leggero inchino lo porse alla detective.

 

“Per voi madame”.

 

Beckett abbassò lo sguardo sulla copertina mentre Castle spostò la sedia vicino a lei per poter veder di cosa si trattasse.

 

“L'ultima fratellanza”. Lessero ad alta voce insieme.

 

“Esatto. È un libro che ho scritto direi uhm..4 anni fa, ma non sono certo, non ci avevo dato troppa importanza”. Disse pensieroso, battendo l'indice sul mento e guardandosi attorno come se dovesse trovare la conferma incisa sui muri.

 

“Di che parla questo libro?”. Incalzò Beckett, sfogliando pagina dopo pagina, ma non leggendo nemmeno una parola non avendo tempo da perdere con quello, era più semplice se fosse lui a spiegare.

 

“Durante alcune mie ricerche mi sono imbattuto in questa setta che ha come proprio simbolo proprio quello che ho visto inciso sul sigillo che mi avete mostrato e che il vostro assassino vi manda ogni volta”. Raccontò Charlie camminando avanti e indietro per la stanza sistemando i quadri che contenevano i suoi riconoscimenti, controllando di volta in volta che fossero centrati.

 

“Una setta?”. Chiese stupita Beckett alzando gli occhi a guardare lo studioso che annuì in tutta risposta.

 

“Si avete presente quelle strane congregazioni dove la gente si riunisce per fare strane cose tipo sacrifici oppure...”. Charlie mentre parlava si mise appoggiato alla propria scrivania cosi da poter star davanti ai due che lo osservavano in trepida attesa.

 

“Si si. So benissimo che cos'è una setta. Ma che tipo di setta è questa?, che significa questo simbolo?. Abbiamo bisogno di risposte non della storia della loro vita”. Non si stupiva che questo studioso fosse amico di Castle, era completamente uguale a lui. Tutti e due la riuscivano a irritare ogni volta che voleva saper qualcosa di importante, preferendo far giri di parole inutili piuttosto che andare subito al sodo.

 

“é un gruppo di persone unite dallo stesso pensiero. Ovvero che bisogna far qualcosa per cambiare il mondo e che pensano che il modo migliore sia seguire delle determinate regole imposte ogni anno dal loro capo spirituale. È più radicata nella città di quanto voi pensiate”

 

“Non mi pare di aver mai sentito nulla di simile. Come si chiama?”. Castle lo guardava bisognoso di risposte. Per il suo lavoro era stato in contatto con le più stravaganti persone, aveva sentito i più strani racconti ma di quello nulla, mai sentito parlare di una cosa simile e ora voleva sapere ogni minimo dettaglio.

 

“Per chi conosce l'ambiente sono conosciuti con il nome de “I Rinnovatori””. Riportò alla donna quell'ultima indicazione poi si chiuse nel suo silenzio. Castle intanto stava leggendo le varie informazioni contenute all'interno del libro scritto da Charlie, affascinato da quanto stava scoprendo su quella setta.

 

“Come possiamo trovarli?”. Domandò improvvisamente Beckett. Charlie la guardò come se avesse detto chissà quale sacrilegio e poi ridacchiando la mise a conoscenza di un piccolo particolare.

 

“Nessuno può cercarli. Sono loro che trovano te”.

 

“Quindi non c'è modo che possiamo parlare con uno dei membri, se non il loro capo”. La detective notò che c'era qualcosa di strano nell'uomo. Intuiva che sapeva molto di più quello che aveva detto ai due.

 

“Non ho detto questo. Ora se volete scusarmi ho del lavoro da sbrigare”. Disse facendo il giro della scrivania e mostrando una pila di fogli ai due. La detective incrociò il suo sguardo e lui le accennò un sorriso. Castle stava per lamentarsi ma Beckett lo afferrò per il bordo della giaccia e lo trascinò di peso in piedi.

 

“Ti ringrazio Charlie per il tempo che ci hai concesso e per queste delucidazioni. La strada possiamo trovarla da soli”. Lo ringraziò Beckett prima di dirigersi all'esterno della stanza, portando con sé un titubante scrittore.

 

Una volta usciti dalla casa e saliti in macchina Castle parlò.

 

“Perchè tutta questa fretta?”

 

“Hai sentito anche tu. Charlie aveva del lavoro da sbrigare”. Gli rispose la donna allacciandosi la cintura e avviando la macchina.

 

“Potevamo star li e farci dare altre informazioni”. Castle si comportò come un bambino. Sbattè i piedi sul tappetino e incrociò le braccia al petto tenendo il broncio alla donna. Aveva molte domande da fare a Charlie su questi “rinnovatori”. Da quel poco che aveva letto era un gruppo davvero interessante e lui voleva saper il più possibile.

 

“Ma non hai capito Castle?”. Domandò Beckett dandogli uno sguardo fugace vedendo che l'espressione dell'uomo si stava facendo meno rigida ma più confusa.

 

“Charlie fa parte dei rinnovatori”. Andò al punto la donna scandendo sillaba dopo sillaba. Castle la guardò per un istante e poi le agitò davanti la mano quasi volesse allontanare da lui quella sciocchezza che gli aveva appena detto.

 

“Charlie non è il tipo”.

 

“Allora dimmi perchè una persona che aveva affermato di non aver dato troppa importanza a quell'argomento ne è cosi tanto informata e poi..”. Si fermò ripensando al modo in cui l'aveva guardata, a come le aveva sorriso poco prima che uscissero. C'era nascosto qualcosa dietro a quel gesto e si stupì che lo scrittore non l'avesse notato, ma d'altro canto era troppo preso a leggere quel libretto per rendersene conto.

 

“E poi?”. La invitò lui a proseguire per sapere che cosa sembrava tormentarla cosi tanto e allo stesso tempo darle quelle certezze su Charlie.

 

“E poi, dopo che aveva detto che non c'era modo di contattare i rinnovatori e averci invitato ad andarcene, mi ha guardato in uno strano modo, quasi nascondesse un segreto ma allo stesso tempo cercasse la mia complicità”. Beckett si mordicchiò il labbro e corrugò la fronte chiedendosi se quello che aveva visto corrispondeva a quel suo pensiero oppure se lo studioso voleva intendere altro con quel gesto, o addirittura non volesse dire nulla.

 

“E che conclusioni trai da questo?”

 

“Conclusioni? Nessuna. Solo una speranza, che ci aiuti con Mikael”. Detto questo la macchina sprofondò nel silenzio mentre Beckett si concentrò sul traffico della città guidando verso il proprio appartamento.

 

*******

 

Facendo leva con il piede di porco l'uomo fece cedere il lucchetto che teneva insieme le due porte del magazzino. Con un leggero sforzò sposto i massicci usci di legno e prese la torcia per illuminare l'enorme stanza che si stagliava dinanzi a lui. Cercò tra i vari macchinari quelli che gli servivano per la sua prossima opera, non preoccupandosi di far rumore dato che quel luogo era isolato e nessuno avrebbe notato la sua presenza. Spostò e spostò diversi macchinari fin quando non ne trovò il primo. Con cautela lo sollevò, facendo leva sulle ginocchia, e passetto dopo passetto si avviò verso l'esterno, dove aveva lasciato un camioncino noleggiato qualche ora prima. Appoggiò nel retro quanto aveva in mano e si asciugò la fronte leggermente sudaticcia, in fondo quell'oggetto pesava quasi 30 chili e lui seppur forzuto ne risentì. Tornò poi indietro e cercò quanto gli mancava. Non fu difficili individuarli, avevano un grosso cartello a fianco dove si poteva leggere “Fuoco”. Ne prese uno, andò al camioncino e tornò indietro per il secondo. Ora aveva tutto ciò che gli occorreva. Salì sul veicolo senza preoccuparsi di richiudere il magazzino e guidò verso la propria destinazione.

Arrivò al cantiere e si fermò vicino ai cancelli. A quell'ora ormai erano chiusi e non vi erano telecamere, di conseguenza nessuno poteva identificarlo tramite video di sorveglianza. Con l'ausilio di un paio di tronchesi tagliò la catena che teneva assieme i cancelli. Salì di nuovo sul camioncino e lo portò a fianco dell'edificio, un hotel su tre piani quasi del tutto completato. Per sua fortuna tutto il perimetro era illuminato da enormi lampioni e faretti disposti sia all'esterno che all'interno dell'edificio, ciò era un vantaggio per lui in quanto non doveva preoccuparsi di fasi luce con una torcia. Scese e andò sul retro a prendere l'occorrente. Tenendo ben salda nelle proprie mani una mazza iniziò a battere con violenza contro il pezzo rettangolare di compensato che provvisoriamente sostituiva la porta girevole d'ingresso. Entrò con facilità nella hall principale e cominciò ad incamminarsi alla ricerca di quella sala congressi di cui molto aveva sentito parlare. Fu facile individuarla. Due grosse porte di legno, con intarsiato al centro il disegno di una chimera, erano il suo biglietto da visita. All'interno un ampia sala con muri celesti e comode poltrone blu, sul fondo un palchetto. Sorrise l'assassino soddisfatto di quel luogo. Tornò al camioncino per prendere ciò che mancava, facendo diversi giri per portare all'interno dell'edificio i vari macchinari. Ne mise due, uno per lato, del corridoio che terminava davanti al pachetto. Uno vicino ad ogni fila di sedie. Il terzo marchingegno invece lo posizionò contro il muro, alla destra della struttura, tenendolo a debita distanza cosicchè funzionasse a dovere. Tornò al proprio veicolo, togliendo da quello due bombole di propano, portandole poi all'interno della sala. Per ora poteva bastare cosi, si disse. Si guardò un ultima volta attorno e poi abbandonò quel luogo. La sua vittima lo stava aspettando e lui non voleva arrivare in ritardo al loro appuntamento.

 

 

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E ora Charlie ha spiegato cosa significa il sigillo. Il suo aiuto si rivelerà indispensabile perchè, dopo questa scoperta, la strada sarà praticamente in discesa, anche se qualche intoppo, seppur piccolo, ci sarà ancora. Intanto l'assassino si prepara a commettere il 5° omicidio, per ora non ho voluto dire dettagliatamente in cosa consiste. Preferisco lasciare la sorpresa nel prossimo capitolo dove ho cercato di spiegare al meglio la scena. Come di consueto, grazie per la lettura.

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Capitolo 18
*** 5° sacrificio ***


 

CAPITOLO 17

 

L'uomo fermò il furgoncino nel parcheggio del bar, lontano dalle altre macchine, in uno dei posti più bui, non illuminato dai lampioni. Spento il motore prese lo zaino che teneva sul posto del passeggero ed estrasse una camicia pulita. Si tolse maglietta che indossava gettandola dentro la sacca. Si diede un occhiata attorno per assicurarsi di non esser visto da nessuno e iniziò a prendere il suo aspetto comune. Si tolse momentaneamente i finti baffi, si pettino i capelli e indossò la camicia. Aprì la portiera e scese dal furgoncino andando sul retro di questo. Aprì uno dei due sportelli e prese la giacca e la cravatta che aveva appesi li ad un gancio e se li mise. Dandosi un ultima occhiata nello specchietto si diresse verso l'entrata del bar allentando la cravatta e accentuando le pieghe che si erano formate sulla camicia. Per tutti avrebbe dovuto avere l'aspetto di qualcuno appena uscito da lavoro. Entrò dentro il locale e si diresse al bancone, dove una donna di mezza età lo salutò amichevolmente.

 

“Ah guarda chi si vede. Come va Nick?”. Disse prendendo un bicchierino e riempiendolo di whisky per porgerlo all'uomo.

 

“Tutto bene Betty. Giornataccia a lavoro”. Mentì l'assassino bevendo in un sorso solo il liquore che gli bruciò la gola, sensazione che accolse con piacere.

 

“Sai mi stavo preoccupando, è da un po' che non ti si vede.” Continuò a conversare la barista riempiendo ancora il bicchiere dell'assassino, dimenticandosi momentaneamente degli altri clienti.

 

“Sono stato molto impegnato in queste ultime due settimane”. Sorrise misteriosamente al ricordo di come aveva passato quei giorni.

 

“Nuove amicizie?. Magari una donna?”. Domandò Betty appoggiando un braccio sul bancone avvicinandosi all'uomo. Conosceva ormai quel giovane che gli stava davanti, veniva nel suo bar da anni e lentamente era riuscita a conquistare la sua fiducia. Anche se, in molti aspetti, lui rimaneva ancora un mistero. Le capitava ogni tanto di osservarlo e vederlo perdersi nei suoi pensieri, ridere da solo, scrivere appunti sui tovagliolini.

 

“In effetti una donna c'è stata”. Rispose bevendo un altro bicchiere di whisky, indicando poi alla donna davanti a lui di versargliene ancora.

 

“E com'è andata?”. Betty versò altro alcool non avendo alcun sospetto di quale donna l'uomo stava parlando. Per lei era una semplice conquista, una vittima del suo fascino, non della sua pazzia.

 

“é stata brava, molto brava. Ha risposto adeguatamente a ogni mio desiderio”.

 

“Non ti immaginavo quel tipo di ragazzo Nick”. Commentò la donna ridendo, dandogli una pacca amichevole sulla spalla. Sentendo poi il rumore di vetri infrangersi guardò attorno alla sala alzando le braccia al cielo.

 

“Annie ancora?!. É già il terzo vassoio che fai cadere questa settimana. Scusa Nick”. Detto questo sparì dentro la sgabuzzino per uscirne con scopa e paletta porgendola alla ragazza.

 

“Ciao Nick”. Salutò la giovane timidamente, correndo poi a pulire il disastro che aveva fatto.

 

“Dovresti invitarla ad uscire. È cotta di te”. L'assassino seguì con lo sguardo la cameriera. Le piaceva quando le sorrideva, lo faceva sentire di nuovo umano, era da molto tempo che qualcuna non gli faceva provare quei sentimenti. Ne era certo. Avrebbe pianto mentre la uccideva. Si stava facendo prendere dai dubbi, non voleva più farlo ma allo stesso tempo doveva.

 

Erano quasi le 23 quando vide Annie uscire dal locale per prendersi una pausa. Lasciando una decina di dollari sul bancone la seguì sotto lo sguardo amorevole di Betty. La barista era contenta al pensiero che quei due giovani potessero essere felici assieme. Erano una coppia perfetta, secondo la sua modesta opinione. L'uomo seguì la donna sul retro, osservandola mentre si nascondeva dietro ad alcuni bidoni a fumare una sigaretta.

 

“Non fa bene, lo sai”. Le disse fermandosi davanti a lei, guardando il fumo che usciva dalla sua bocca per disperdersi nell'aria.

 

“Sempre meglio dell'aria che respiro dentro il bar”. Le faceva tenerezza, in alcuni aspetti sembrava ancora una bambina. I capelli biondi tenuti insieme da una coda, una collanina con un ciondolo a forma di angelo, gli occhiali neri troppo grandi per lei e quelle scarpe rosa con la quale calciava nervosamente alcuni sassolini.

 

“Pensavo”. Incominciò lui avvicinandosi ad Annie. Appoggiando una mano sul muro dietro di lei, trovandosi cosi faccia a faccia.

“Che ne dici se chiedi a Betty di farti uscire prima stasera. Potrei portarti a fare un giro”.

 

In quel momento vide gli occhi della ragazza illuminarsi, regalandogli un vistoso sorriso.

 

“Corro subito a chiederglielo”. Non se lo fece ripetere due volte che corse in direzione dell'ingresso del locale. Girato l'angolo però si scontrò contro una persona, ritrovandosi per terra sul proprio fondo schiena.

 

“Annie, speravo di incontrarti”. L'assassino conosceva bene l'uomo. L'aveva già visto molte volte ai tavoli del bar e fin da subito non gli era piaciuto. Lo vide far alzare la ragazza afferrandola per un braccio, non lasciandola quando questa iniziò a protestare. Senza pensarci troppo prese tra le mani uno dei coperchi di metallo vicino a lui e lo usò per colpire l'uomo direttamente sul viso.

 

“Ti ha detto di lasciarla Justin”. L'uomo era a terra, che si toccava la tempia da dove stava uscendo del sangue. Fece per alzarsi e attaccare l'assassino quando venne colpito ancora dal coperchio, questa volta in pieno petto.

 

“Qua ci penso io. Te torna a lavorare, la nostra uscita è rimandata”. Disse ad Annie, cercando di sorridere per nascondere la rabbia che si stava alimentando dentro di lui. Quando la giovane rientrò all'interno del bar l'assassino prese per il colletto della maglietta l'uomo sanguinante, trascinandolo verso il furgoncino. Lo sbatté violentemente contro la portiera di questo, guardandolo accasciarsi a terra. Aperta la portiera del veicolo prese una bottiglietta d'acqua e gliela porse. In quel momento, vedendo Justin seduto sull'asfalto, ebbe l'impressione di aver ricevuto un segno. Per tutta la sera era stato colto da dubbi, era stato quasi tentato ad abbandonare la sua missione per Annie. Ogni volta che la cameriera gli passava davanti la sua forza di volontà si faceva sempre più debole, aveva compreso, in quegli attimi, che non avrebbe mai trovato il coraggio di ucciderla. Alla fine l'avrebbe portata da qualche parte e poi ricondotta a casa. Justin si era rivelato la sua via d'uscita. Grazie a lui la sua opera sarebbe continuata. Guardò soddisfatto l'uomo che beveva avidamente dalla bottiglia. Lo aiutò a salire in macchina promettendogli di riportarlo a casa. Dopo una ventina di minuti che stava guidando lo sentì lamentarsi mentre si teneva stretto lo stomaco.

 

“Che mi hai fatto?”. Domandò furente.

 

“Ti ho ucciso”.

 

Nei successivi minuti l'assassino continuò a lanciare sguardi al proprio passeggero che continuava a contorcersi maledicendolo. Con Annie aveva stimato che nel giro di una mezz'oretta tutto sarebbe finito, ma lei aveva una corporatura esile, Justin invece era corpulento e non si meravigliò che il cianuro che aveva disciolto nell'acqua ci mettesse cosi tanto tempo per reclamare la sua vittima. Tutto d'un tratto poi lo sentì esalare per poi vederlo accasciarsi contro il finestrino. Tenendo una mano sul volante con l'altra andò a controllare le pulsazioni posando due dita sul collo. Non sentendo nulla sorrise premendo l'acceleratore per dirigersi al cantiere. Quando arrivò trovò tutto come l'aveva lasciato. Trascinando il cadavere per le spalle e lo portò nella sala dove aveva preparato tutto l'occorrente. Posizionò il corpo sul palchetto e poi si mise a trafficare con i macchinari. Collegò con attenzione le due bombole ai quelli disposti vicino alle poltrone, cliccando poi vari comandi, impostando l'effetto che voleva creare. Provò con il primo e in pochi secondi da questo uscì una fiammata che quasi raggiunse il soffitto. Si interessò allora dell'altro macchinario e anche questo diede lo stesso risultato. Infine si mise a lavorare su quello che aveva posizionato vicino al palchetto. Anche quello funzionò cosi come doveva. Asciugandosi la fronte impregnata di sudore guardò l'orologio che teneva al polso. 1.19. Era ancora presto, aveva ancora tutto il tempo che voleva. Estrasse dalla tasca una busta e la stilografica, stendendosi poi a terra per scrivere la lettera che i poliziotti avrebbero trovato quella mattina stessa. Soddisfatto del suo lavoro prese un altro foglio e scrisse un breve appunto per gli uomini del cantiere. Non voleva rischiare che a causa della loro curiosità la sua scena venisse inquinata in qualche modo. Tutto doveva rimanere cosi come lo aveva lasciato. Completata anche quella annotazione si mise seduto contro il muro, prese l'ipod che aveva nella tasca dei pantaloni e iniziò ad ascoltare la musica, tenendo gli occhi fissi sul cadavere accovacciato a pochi metri da lui. Quando ricontrollò l'orologio erano le 4 passate. Doveva andarsene ora, di li a poco i lavoratori sarebbero arrivati. Uscì dalla sala e scocciò la lettera e l'appunto sulla porta, in bella vista, non poteva rischiare che andassero perse. Fischiettando si incamminò poi al camioncino e se ne tornò a casa per concedersi qualche ora di sonno prima di tornare alla sua vita.

 

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Altro breve capitolo su come l'assassino si diverte ad uccidere. La scena è un po' confusa ma è stato fatto apposta in quanto è nel prossimo capitolo che voglio spiegare meglio l'effetto, ora avrei rovinato la sorpresa :). Nel prossimo capitolo, finalmente, si scoprirà il filo conduttore che lega gli omicidi, sperando che qualcuno non si senta poi offeso in qualche modo.  

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Capitolo 19
*** Fiamme e grandine ***


 

CAPITOLO 18

 

Erano le 5.15 quando due operai giunsero davanti ai cancelli del cantiere.

 

“Ah questi ragazzi di oggi che non sanno tenere le mani a posto”. Disse Jack Amalric facendo cadere ai suoi piedi la catena dei cancelli tagliata in due. Il suo vicino aggiustandosi il caschetto di sicurezza si mise a ridacchiare seguendolo all'interno del cantiere.

 

“Andiamo Jack. É solo una catena, è tutto a posto qua dentro”. Alan Chevar gli fece notare allargando le braccia, mostrandogli quanto avevano attorno. Il sole non era ancora sorto, e le poche luci che vi erano attorno erano quelle dei faretti, quindi notarono facilmente delle luci rossastre che provenivano da alcune finestrelle dall'edificio. Si guardarono perplessi per un istante prima di entrare di corsa in quel luogo, avendo paura che ci fosse qualche cortocircuito e di conseguenza un incendio. Arrivati davanti alla porta della sala conferenze si fermarono di colpo, vedendo su di questa dei foglietti. Sul primo lesso in lettere cubitali “Chiamate la polizia”. Jack si mise a ridere pensando ad uno scherzo e fece per aprire la porta ma Alan lo fermò.

 

“E se dentro ci fosse una bomba?”. Gli domandò tremando leggermente.

 

“Controlliamo allora”. Disse jack uscendo dall'edificio andando nel ripostiglio degli attrezzi a prendere una scala. Senza fatica la sollevò e la andò ad appoggiare contro il muro esterno della sala conferenze. Salì fino all'ultimo gradino in modo da poter vedere dalle piccole finestrelle che si trovavano a filo del soffitto. Fece correre lo sguardo lungo tutta la sala fino ad arrivare al palchetto. Quello che vide lo fece cadere dalla scala, costringendolo a strisciare per allontanarsi da quel muro.

 

“Che hai visto?”. Gli domandò Alan aiutandolo ad alzarsi, preoccupato vedendo l'espressione impaurita sul suo volto.

 

“Chiama la polizia”

 

*****

 

 

Castle già non sopportava svegliarsi presto, figuriamoci ricevere una chiamata alle 5.30 di mattina. Tenendo saldo lo spazzolino nella mano destra si grattava gli occhi con la sinistra, guardando il riflesso di Beckett, che si stava vestendo, nello specchio. Non si capacitava di come lei riuscisse a essere cosi attiva anche a quell'ora, dopo poche ore di sonno. La chiamata da parte di Esposito era arrivata all'improvviso. Dopo tutto, pensò Castle, non c'era da meravigliarsi. L'assassino aveva colpito ad ogni ora del giorno e della notte. Ancora vittima del sonno tornò in camera da letto per vestirsi mentre la donna si muoveva silenziosamente per l'appartamento. La vide scendere le scale per poi tornare dopo pochi minuti con una tazza fumante di caffè per lo scrittore, il quale accolse con gioia quel gesto. Sbadigliando scese al piano inferiore e messo piede nella sala udì chiaramente la voce della detective, che però non si stava rivolgendo a lui.

 

“Si, siamo appena stati avvisati anche noi. Tra qualche minuto saremo sul posto...I miei uomini sono competenti e non si metteranno a inquinare la scena del crimine....Se non si fida di noi allora sarebbe il caso che invece di tenermi qua al telefono venga anche lei al cantiere”.

 

Castle la guardò perplesso. Chi aveva chiamato a quell'ora?!. Quasi come se la domanda fosse stata detta ad alta voce Beckett interruppe la telefonata e si rivolse allo scrittore.

 

“Ho avvisato Weiss dell'omicidio. É il caso che anche lui partecipi al ritrovamento del cadavere.”

 

Vero Weiss, sbuffò Castle, essendosi dimenticato momentaneamente del nuovo acquisto forzato della squadra. Se lo immaginava già davanti al corpo a fare il saputello.

 

“Aspetta, come mai l'hai avvisato te e non Esposito?”. Chiese porgendole la borsa e le chiavi dell'auto cosi da poter lasciare l'appartamento e dirigersi al cantiere.

 

“Perchè Esposito non ha il suo numero, mentre io si”. Disse distrattamente Beckett, intenta ad allacciarsi le scarpe, quando si accorse di aver detto qualcosa di sbagliato. Fermandosi dal legare i lacci delle calzature alzò il capo per vedere Castle, il quale non era molto contento di quell'affermazione.

 

“Ah”. Null'altro uscì dalla sua bocca posando la borsa sul divano vicino alla donna e dirigendosi già verso la porta pronto ad uscire.

 

“Eddai Rick, ero costretta a farmelo dare se no come potevamo metterci in contatto in casi come questo.”. Cercò di spiegare i motivi per cui l'avevano spinta a chiedere il numero a Weiss, andandolo a raggiungere dopo aver preso la borsa con sé.

 

“Già , ma potevano farselo dare anche Ryan ed Esposito, invece loro niente ma te si”. Parlò imbronciato mentre le porgeva le chiavi dell'auto, andando ad alzare il braccio all'ultimo momento cosi da impedirle di afferrarle. Prima voleva una risposta.

 

“Con Ryan ed Esposito non ha instaurato questo gran rapporto”.

 

“Invece con te si”. Disse impedendole ancora di prendere le chiavi spostandosi ad ogni suo tentativo.

 

“Rick smettila di fare il bambino. L'ha detto lo stesso Weiss che è li per controllare noi quindi non perderà tempo ad osservare il lavoro di Kevin o Javier. Dobbiamo mostrarci i più disponibili con lui. Abbiamo i suoi occhi puntati contro”. Spiegò la detective riuscendo solo ora a prendere le chiavi ed uscire dall'appartamento seguita dall'uomo.

 

“Più che puntati i suoi occhi sembrano incollati su di te”

 

“Geloso?”. Gli chiese lei sorridendo mentre scendevano con l'ascensore nel parcheggio sotterraneo.

 

“Molto. Visto i precedenti il binomio Beckett, Fbi, non mi piace affatto. Ho visto con i miei occhi gli effetti che hanno su di te”. Le rispose Castle appoggiandosi a una delle pareti dell'ascensore, tenendo le mani in tasca e guardando il soffitto.

 

“E quindi sarai ben consapevole che con quella categoria ho chiuso. Ho scoperto che gli scrittori sono più interessanti. In particolare uno che mi ha scelto come sua musa. Anche se uccide la mia pazienza, mi farà venire i capelli bianchi prima del tempo, ed è più simile a un bambino di 8 anni alle prese con un eccesso di zuccheri”. Beckett si era messa vicino a lui mentre parlava non sentendosi offesa per i suoi dubbi anzi. Le faceva piacere quando lui esternava quella paura inconscia di perderla.

 

“La poliziotta di un solo scrittore?”. Domandò lui prendendole la mano per uscire dall'ascensore e dirigersi verso la sua macchina.

 

“No. Niente polizia e niente best seller. Semplicemente la ragazza di Rick”

 

 

*******

 

Quando arrivarono al cantiere Ryan, Esposito e Weiss erano davanti all'entrata dell'edificio che li aspettavano. I due detective tirarono un respiro di sollievo vedendoli e Beckett potè immaginare che stare da soli con l'agente dell'fbi non fosse tutto questo gran piacere. Facendo cenno ai due di occuparsi dei due operai, i quali si tenevano a debita distanza da quel posto, Weiss si portò vicino alla detective e a Castle cosi da aggiornarli.

 

“Quei due signori hanno trovato il cancello d'ingresso scassinato. Pensavano a una bravata di qualcuno quando hanno visto delle strane luci provenire da quelle finestrelle corrispondenti a una sala per conferenze. Uno di loro ha preso una scala e si è affacciato a vedere.”. Li ragguagliò l'agente.

 

“E che ha visto?”. Domandò Castle osservando i due operai di cui uno tremava ancora per lo shock.

 

“Non c'è l'ha detto. Non si è ancora ripreso. I vostri due colleghi ed io abbiamo fatto per entrare ma abbiamo visto che sulla porta d'ingresso c'era una busta quindi abbiamo convenuto che era meglio aspettarvi.” Continuò Weiss invitandoli a seguirlo per vedere con i loro occhi. Arrivati davanti all'ingresso della stanza indicò con un dito la busta cosicchè i due potessero vedere l'esatta posizione in cui l'assassino l'aveva lasciata per poi andarla a staccare.

 

“Mi concedete l'onore?”. Chiese aprendo nel mentre la busta contenente la lettera. Beckett e Castle acconsentirono non avendo nulla in contrario.

 

Ed oggi ho reclamato la mia 5° anima. Gli sono stato accanto per tutto il tragitto, l'ho accompagnata verso la sua ultima dimora, l'ho vista abbandonare questo insulso corpo per innalzarsi alla vita eterna. Più mi avvicino all'atto finale, più la mia opera acquista valore. Questo è il motivo per cui sono nato, io sono un traghettatore di anime, sono la fine di una vita vuota e l'inizio di una intensa. Io sono il fautore di questo cambiamento. Molto presto tutti voi mi sarete debitori ed io vi porgerò la mano perdonandovi. Mikael”.

 

“Devo ammettere che questo assassino mi affascina molto. Ho seguito molti casi di serial killer ma questo, come dire, è diverso dagli altri. Fa di tutto per farti apprezzare le sue gesta, per renderle uniche”. Ammise Weiss lasciando che le parole dessero vita al suo pensiero.

 

“Peccato che per farci apprezzare questo suo capolavoro uccida delle persone”. Gli ricordò Beckett spostandosi vicino alla porta pronta ad aprirla per scoprire cosa si celava dietro di essa.

 

“Ogni gesto eclatante e significativo richiede un prezzo da pagare”. Concluse l'agente rendendosi ancora più misterioso agli occhi dei due. In alcune occasioni poteva dare l'impressione che elogiasse l'assassino e la sua opera ma la verità era ben diversa, e loro l'avevano capita. L'unica cosa che Weiss guardava era il proprio tornaconto alla fine. Trovarsi a confronto con un avversario simile avrebbe reso la sua cattura ancora più memorabile e Weiss non vedeva l'ora che accadesse. Tutti si sarebbero ricordati di questa sua impresa. Sotto alcuni aspetti a Castle l'agente ricordava molto Mikael. Entrambi ricercavano perfezione e fama, ad ogni costo.

 

Beckett non raccolse il suo commento ma si limitò ad aprire la porta con cautela. Davanti ai tre non successe nulla ma bastò voltare lo sguardo verso il fondo della sala che tutto cambiò. La prima cosa che notarono erano due imponenti fiamme che ad intervalli regolari raggiungevano quasi il soffitto, facendo ricadere piccole scintille a terra. Dietro di esse un palchetto completamente ricoperto di bianco. Seguirono l'arco di neve che si ergeva sopra di esso fino ad arrivare a un altro macchinario posto attaccato al muro. Fiamme e neve, degni effetti speciali per uno spettacolo, pensò tra se e se Castle. Avvicinandosi al palchetto notarono infine il corpo. Seduto contro il muro, con le gambe distese e le braccia che ricadevano lungo i fianchi mentre la testa rimaneva appoggiata alla spalla. Si fermarono tutti e tre a pochi metri dai macchinari che sputavano il fuoco senza dire una parola, quasi godendosi quello spettacolo, colpiti dall'ingegno dell'assassino. Castle solo in quel momento capì perchè l'assassino definiva il suo gesto un opera. Se non ci fosse stato un omicidio di mezzo avrebbe definito quello spettacolo un capolavoro.

 

“Meglio andare a controllare che la scientifica sia arrivata cosi da far le prime foto e anche accertarsi che lo sia anche Lanie cosi da farle vedere il corpo”. Pronunciò la detective facendo un passo dopo l'altro per avvicinarsi al corpo. Passando in mezzo ai due macchinari del fuoco, approfittando del momento in cui da essi non usciva nessuna fiamma.

 

“Vado io a controllare. Inoltre voglio fare qualche domanda ai due operai”. Disse Weiss uscendo dalla sala. Aveva visto quanto gli interessava e star li con le mani in mano ad osservare un medico far il proprio lavoro non gli piaceva. Preferiva parlare con i testimoni e controllare il perimetro circostante in cerca di prove. Beckett arrivò davanti al palchetto ma non sali su questo fermando anche Castle dal farlo quando lo vide cercare di metter piede su di esso.

 

“Potresti lasciare le tue impronte sulla neve”. Gli spiegò semplicemente notando che il manto soffice e bianco era intatto. L'assassino doveva aver messo il corpo in quella posizione prima di aver acceso la macchina.

 

“Non vedo alcun segno particolare sul corpo, niente ferite, niente abrasioni, nulla”. Dissè Castle tenendo lo sguardo fissò sul corpo cercando di individuare la causa della morte.

 

“Tranquillo Castle ci penserò io a risponderti”. Sentirono dire da Lanie che si stava avvicinando a loro tenendo tra le mani una borsa, seguita da tre uomini della scientifica minuti di macchina fotografica. Mentre questi erano intenti a scattare foto su foto i tre si misero in un angolo a parlare.

 

“Se devo essere sincera ha messo su un bel spettacoletto questa volta”. Commentò Lanie guardando di nuovo le fiamme e la neve.

 

“Già. Mi ricorda un concerto a cui avevo assistito ad Aspen qualche anno fa. Nevicava fine, fine e il cantante aveva predisposto degli effetti speciali su tutto il palco con queste fiamme che partivano a ritmo della musica”. Raccontò Castle guardando le due donne che però non si dimostrarono particolarmente colpite.

 

“Capito non vi interessa”.

 

Gli uomini della scientifica fecero segno che avevano finito perciò Lanie si diresse verso il cadavere mentre Beckett e Castle si occuparono dei macchinari spegnendoli, prima di raggiungere il medico legale.

 

“è strana come neve, è schiumosa”. Castle si mise seduto sui propri talloni controllando la consistenza di quella sostanza sulle proprie dita.

 

“All'interno di un edificio non ci sono le condizioni adatte per ricreare della neve vera e propria perciò hanno creato quei macchinari”. Disse Beckett indicando quello che stava contro il muro.

“Usano sostanze chimiche non inquinanti per ricreare l'effetto, per questo ti sembra di toccare della schiuma”

 

“Qualche indizio su come l'abbia ucciso?”. Chiese poi a Lanie, la quale scosse la testa.

 

“Niente di niente. Non vedo fori di proiettili, ne lividi sul capo, ne ferite da accoltellamento tanto meno segni di punture.”

 

“D'accordo, vediamo che salta fuori dall'autopsia”. Alzatasi la detective fece per dirigersi verso l'uscita in modo da raggiungere i colleghi e l'agente Weiss affermando senza nemmeno voltarsi.

 

“Castle prova a lanciarmi una palla di neve e per una settimana dormi sul divano”. Sentendo tali parole lo scrittore fece ricadere quella minuscola palla che con tanta fatica era riuscito a fare, andandosi poi a pulire le mani sulla giacca e seguire all'esterno la donna.

 

***

 

“Scoperto qualcosa?”. Chiese la detective ai due colleghi che avevano finito di interrogare i due operai.

 

“Come avrai notato la catena del cancello d'ingresso è stata tagliata e il riparo in legno che vi era all'entrata dell'edificio fatto a pezzi probabilmente con una mazza o un ascia. Weiss ci ha detto dei macchinari trovati sulla scena del crimine e abbiamo presupposto che per portarli fin qui sia entrato nel cantiere con un veicolo”. Andò a spiegare Ryan lasciando poi spazio ad Esposito.

 

“Abbiamo provato a dare un occhiata qua in torno per segni di pneumatici ma sarà complicato trovare quello che ci interessa. Questo cantiere è un continuo via via di automezzi”.

 

“L'assassino avrà guidato dall'entrata direttamente a qua quindi provate a vedere se per questo tragitto ci sono segni freschi di ruote”. Disse Castle tracciando con il dito il probabile tragitto seguito dal camioncino.

 

“é quello che stavamo per fare”. Dissero i due prima di allontanarsi mentre invece Weiss si stava avvicinando.

 

“I due operai non ci sono stati di molto aiuto. Sono arrivati qui poco dopo le 5 e a parte i vari segni di infrazione non hanno visto niente di anomalo”. Informò Weiss che inspirando profondamente continuò.

“Ora capisco perchè non siete ancora riusciti a trovare l'assassino. Non lascia alcuna traccia di se. Mi fa sentire inutile”.

 

Castle sogghignò, in un certo senso era una mezza vittoria per loro. In quel modo Weiss aveva capito che non era colpa della loro incompetenza se l'assassino si aggirava ancora per le strade di New York.

 

“Benvenuto nel club.” Gli disse simpaticamente Beckett invitandolo a far altro.

“Perchè non si rende utile e ci aiuta a cercare le impronte sui macchinari. Ce ne saranno molte da prendere e magari ne troviamo una che fa coppia con quella parziale trovata su Ravel”

 

“L'aiuto volentieri detective”.Disse con un ampio sorriso dirigendosi verso quelli della scientifica per farsi dare l'occorrente.

 

“L'aiuto volentieri detective”. Gli fece il verso Castle una volta che l'agente si fu allontanato.

“Tanto vale darti la chiave della sua camera d'albergo. Almeno cosi metteva ben in chiaro quello che vuole da te”. Disse lo scrittore guardando con fare minaccioso Weiss che non mancò di notare le occhiatacce rivolte a lui.

 

“C'è qualche problema scrittore?”. Chiese fermandosi davanti all'ingresso dell'edificio guardandolo con aria innocente.

 

“In verità...” Fece per dire quando sentì la mano di Beckett posarsi sulla sua bocca per metterlo a tacere.

 

“Nessun problema, glielo assicuro”. Andò lei in risposta vedendolo scomparire all'interno della costruzione prima di colpire il fidanzato sulla spalla dove aveva i punti.

 

“Ahia li fa male”. Disse lui posandoci sopra la mano.

 

“Scusa. Ma almeno ti serva di lezione. Cosi impari a rispondere alle provocazioni di Weiss”.

 

“Lo difendi un po' troppo per i mie gusti”. Le fece notare lui continuando a toccarsi la ferita che ora sentiva leggermente tirare.

 

“Si, lo difendo e sai perchè?! Perchè basta solo una tua parola sbagliata e la nostra collaborazione è finita. Forse tu a questo non ci pensi ma io si. Ogni maledetto secondo da quando metto piede al distretto fino al momento in cui ne usciamo, dove finalmente posso tirare un respiro di sollievo ringraziando che la giornata sia finita”. Gli disse con un tono di voce dove l'uomo poteva benissimo percepire la sua rabbia, rendendolo partecipe al contempo dei suoi continui timori riguardo Weiss.

 

“Scusa”. Pronunciò semplicemente non sapendo che altro dire, vedendola passarsi entrambe le mani nei capelli e abbassare il capo scrollandolo.

 

“é tutto a posto, tranquillo. Ma non voglio più vedere queste scenate. Siamo già sotto pressione per il caso non peggioriamo le cose litigando. D'accordo?”. Parrlò mentre senza alcun motivo gli sistemava il colletto della giacca.

 

“D'accordo”.

 

“Bene. Prima di andare al distretto direi di andarci a prendere un caffé”

 

 

******

 

“Ed ecco qui la mia coppia preferita. Dov'è il vostro nuovo compagno di giochi?”. Chiese Lanie notando i due entrare nell'obitorio.

 

“In bagno, davanti allo specchio, per truccarsi e farsi bello agli occhi di Kate”. Rispose Castle con un tale convinzione che quasi sembrava che le sue parole esprimessero la realtà. Beckett cercò di trattenere la risata mentre andava a dire alla donna come stavano veramente le cose.

 

“Sta aggiornando i suoi superiori su questo nuovo omicidio, e forse gli sta anche parlando di noi”. Facendo spallucce lasciò cadere il discorso avendo più interesse per la vittima che per l'agente.

 

“La vittima si chiama Justin Denton, 34 anni, viveva sulla 161°”. Iniziò Lanie a elencare i dettagli anagrafici.

 

“Si Ryan ed Esposito ci hanno già detto qualcosa di lui. Ma a noi interessa sapere com'è morto”. La interruppe Beckett guardando l'uomo disteso sul lettino davanti a lei.

 

“Devo ammettere che non è stato facile scoprire la causa della morte. Solo l'analisi tossicologica ha svelato il mistero. Ha assunto una dose elevata di cianuro”.

 

“Da quanto so il cianuro blocca l'apparato respiratorio. Perchè non ne vedo i segni?!. La pelle non è cianotica, non vedo quella colorazione bluastra che dovrebbe caratterizzare il soffocamento”. Commentò Castle guardando la bocca di Denton, osservando i polpastrelli, ogni punto dove dovrebbe esserci quello strano colore.

 

“Quando si soffoca qualcuno la causa della morte è la mancanza di ossigeno. Quando invece si usa il cianuro l'ossigeno continua a circolare per i polmoni e per le arterie solo che il corpo non è in grado di sfruttarlo”. Spiegò Lanie.

 

“Altro di utile?”. Domandò Beckett.

 

“Ho trovato alcune fibre sotto le unghie dell'uomo e le ho mandate ad analizzare. Inoltre la scientifica mi ha mandato qualcosa di interessante”. Annunciò porgendo alla detective un fascicolo che iniziò a leggere attentamente.

 

 

“Le impronte sono le stesse?”. Domandò quasi incredula, non ci sperava.

 

“Esatto. Quella parziale trovata su Ravel, alcune trovate sui macchinari di quest'ultima scena del crimine e altre che ho trovato sul corpo di Denton corrispondono tutte alle stessa persona.”.

 

“Si ma se non risultano nel database a che cosa possono servirci?”. Fece notare Castle non vedendo alcuna nota positiva in quella nuova scoperta.

 

“Se mettiamo insieme queste impronte e quella della scarpa trovata sulla seconda scena del crimine possiamo trovare l'assassino.”. Beckett sorrise a questa idea, sarebbe stato un lavoro lungo ma forse sarebbe stato proprio quello a porre fine alla serie di omicidi.

 

“Se non ricordo male Esposito aveva detto che erano 70 i possibili canditati”. Le rammentò Castle ritenendo sempre quell'idea assurda.

 

“Vorrà dire che Ryan ed Esposito avranno molto lavoro da fare”. Rispose lei non volendo perdere quella piccola luce di speranza che si stava riaccendendo.

 

 

******

 

Era ormai pomeriggio inoltrato e Ryan ed Esposito erano andati nella prima compagnia a prelevare le impronte digitali di tutti i possibili sospettati. Sapevano che era un lavoro lungo e tedioso ma non si lasciarono scoraggiare, avrebbero fatto di tutto pur di fermare Mikael. Anche prendere le impronte digitali a settanta persone. Beckett, Castle e Weiss intanto erano vicino alla lavagna a discutere dei nuovi ritrovamenti. La detective aveva passato più di 10 minuti a sistemare su questa le foto, i nomi delle vittime, il luogo dove erano state ritrovate, il modo in cui erano state uccise,le lettere, cosi da aver davanti agli occhi un chiaro riassunto di quanto accaduto fino a quel momento. Passarono altri interminabili minuti di assoluto silenzio in quanto a nessuno dei tre veniva in mente una singola idea da poter esporre agli altri. A furia di tenere fissati gli occhi sulla lavagna a Castle stava cominciando ad andare insieme la vista, le immagini erano confuse e si sovrapponevano una all'altra. Ma fu quella confusione che gli fece capire finalmente come stavano le cose. Velocemente si portò al computer di Beckett e iniziò la sua ricerca. Quando trovò quello che gli interessava fece partire la stampa.

 

“Non è il momento di mettersi a giocare con il computer Castle”. Gli disse Beckett avvicinandosi a lui, pronta a tirarlo per un orecchio per farlo concentrare sulla lavagna in modo che desse una mano.

 

“Noto che la sua capacità di concentrazione è molto alta. Mi chiedo come possa andare avanti la squadra senza di lei”. Lo schernì Weiss attirando l'attenzione dello scrittore che per un breve secondo si dimenticò del foglio che stava stampando.

 

“Ah, Ah, Ah, lo sa, lei è simpatico come una martellata nei..”

 

“Rick”. Lo fermò appena in tempo Beckett dal dire quel qualcosa che lo avrebbe sicuramente messo in guai seri

 

“sul mignolo”. Si corresse lo scrittore prendendo tra le mani il foglio appena stampato e mettendosi a fianco della lavagna per esporre la sua teoria, anzi il vero significato degli omicidi. Era certo che fosse quello.

 

“Ok ritorniamo ancora una volta sulle lettere. Abbiamo già constatato che parlano sempre delle stesse cose, opera, anime, sacrificio, ma ci sono dei termini che dopo il colloquio con Charlie mi hanno martellato di più la testa”. Incominciò a dire lo scrittore.

 

“Perchè che vi ha detto questo Charlie?” Domandò Weiss, il quale era stato tenuto all'oscuro della conversazione avuta con lo studioso e di conseguenza della scoperta fatta riguardo il sigillo.

 

“Nulla che vi possa importare in questo momento. Stavo dicendo, prima di essere interrotto, che mi sono soffermato su alcuni termini ovvero punizione, sacrificio, segno. Sono termini che si sentono molto spesso, soprattutto in un ambito particolare ed è su questo che mi sono concentrato. Ed è li che ho trovato la risposta”. Continuava a parlare senza freno, lasciando che le parole si seguissero come un fiume in piena. Beckett e Weiss però non avevano ancora colto il significato di quanto detto da lui.

 

“Castle, per quanto sapere il modo in cui sei arrivato a tali conclusioni possa essere costruttivo, ora ci interessa sapere di più quali sono queste conclusioni”. Incalzò Beckett invitandolo a raggiungere il succo del discorso.

 

“Va bene, va bene. In ogni omicidio ci voleva dire qualcosa giusto?!. Bene, io ho capito quali informazioni ricavare da ognuno di essi”. Disse spostandosi nell'alto lato della lavagna cosi da mettersi vicino alla foto riguardante il primo omicidio e munitosi di pennarello iniziò a scrivere andando a spiegare.

 

“Nel primo omicidio guardiamo la scena, ovvero l'acqua color sangue, nel secondo facciamo la stessa cosa, cioè gli insetti e le rane e cose varie. Omicidio numero tre, quello del cantante, guardiamo il nome del gruppo, murrains, moria del bestiame. Per l'assassinio di Ravel è stato usato dell'acido che gli ha provocato ustioni, quindi teniamo da conto queste. Infine quest'ultimo omicidio, fuoco e neve, o meglio quello che secondo me ha cercato di rappresentare, fiamme e grandine.”. Posò il pennarello e riprese fiato lasciando che i due leggessero alla lavagna e trassero le loro conclusioni. Beckett si appoggiò alla sua scrivania rileggendo ancora e ancora quanto aveva scritto il suo compagno.

 

“Acqua color sangue, insetti, ustioni, moria del bestiame, fiamme e grandine.”. Pensò e ripensò

a dove aveva già sentito quei termini. Il suo cervello cercava di inviarle i segnali giusti ma ancora non riusciva a decifrarli. Poi collegò a questi le lettere, ai termini ricorrenti, tutti quei modi erano punizioni che aveva già visto, in passato, da piccola quando andava a scuola.

 

“Sono le piaghe”. Disse all'improvviso ricevendo un applauso da Castle mentre Weiss li guardava ancora pieno di domande.

 

“Piaghe di che cosa?”. Domandò non riuscendo a capire quello strano collegamento.

 

“Nella bibbia, non mi chieda dove esattamente che non saprei rispondergli, si parla di Dio che manda delle piaghe come punizione”. Cercò di spiegargli Beckett rimettendo insieme quei pochi frammenti di storia che si ricordava. In suo aiuto intervenne Castle.

 

“é un passo in cui si racconta di Mosè. Il suo popolo era schiavo degli egiziani e il loro faraone non era disposto a liberarli e cosi Dio mandò delle piaghe in modo da convincerlo del contrario. Le piaghe erano 10 ma il nostro assassino ne ha raccolte tre insieme nel secondo omicidio, quindi abbiamo un totale di 7, ovvero quanti omicidi ha programmato Mikael.”. In questo modo Castle chiarì i dubbi di Weiss che annuendo iniziò a ricordarsi di quegli avvicendamenti.

 

“Quindi fatemi capire, lui in ogni omicidio a rappresentato queste piaghe? E visto che abbiamo 5 vittime ne mancano due giusto?”. Chiese a Castle che si fece scuro in volto.

 

“Bhè si come ho detto prima ha cercato, in ogni scena del crimine, di rappresentarle. La prima piaga è l'acqua color sangue, la seconda l'invasione degli insetti, la terza la moria del bestiame, la quarta le ustioni, la quinta rappresenterebbe la caduta dal cielo di fuoco e grandine, e poi ci sarebbe le ultime due”. Detto questo si fermò andando a leggere il foglio che aveva tra le mani.

 

 

“E quali sono queste ultime due?”. Chiese con tono più urgente l'uomo, curioso di sapere quello che gli sarebbe aspettato di li a poco.

 

“La prossima riguarda le tenebre e l'ultima..”. Continuò lo scrittore per poi fermarsi di nuovo. Fissando intensamente quelle parole stampate davanti a se. Ne sarebbe stato veramente capace l'assassino?. Poteva davvero compiere un gesto tanto ignobile?. Si domandò a se stesso, non riuscendo tuttavia a darsi una risposta.

 

“Allora?. Di che si tratta?”. Domandò ancora una volta Weiss non ricordando nessun particolare di quel fatto storico. Beckett intervenne vedendo Castle che tentennava.

 

“Il sangue innocente di cui parlava in una delle lettere. L'ultimo segno è la morte dei primogeniti”

 

 

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Chiedo scusa se posto con un giorno di ritardo ma un bel temporale mi ha fatto saltare il modem =.=. Alla fine si è scoperto il nesso che lega gli omicidi, e non le vittime come si poteva pensare. Il mio unico pensiero è quello di non aver dato fastidio a nessuno avendo messo questo dettaglio religioso, ma era un ottimo spunto per scrivere. Nel prossimo capitolo incontreremo il capo dei Rinnovatori.

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Capitolo 20
*** Scelte e rivelazioni ***


 

CAPITOLO 19

 

Erano rimasti al distretto ancora un paio di ore in attesa di Ryan ed Esposito, cosi da avere informazioni per quanto riguardava la ricerca dell'impronta digitale. I due detective arrivarono con un raccoglitore pieno di schede, ognuna con su scritto i dati anagrafici del soggetto e le sue impronte digitali. Si misero a inserirli nella banca dati del distretto e Castle e Beckett si offrirono di aiutarli. Stranamente anche Weiss li raggiunse dando una mano, smaltendo un po' di quel lavoraccio. Alla fine però, dopo aver confrontato le impronte, non ne trovarono nessuna corrispondente, anche se i due detective li informarono che il mattino dopo sarebbero tornati a prendere quelle dei rappresentanti che in quel pomeriggio, per un motivo o per un altro, non erano presenti in ufficio e non si era riusciti a rintracciarli. La cena della coppia di fidanzati fu leggera. Entrambi non avevano fame tanto il loro stomaco era chiuso al pensiero di quello che poteva fare l'assassino. Ora era davvero diventata una corsa contro il tempo, tutti gli avvertimenti che nelle sue lettere aveva dato, ora, erano diventati improvvisamente cosi reali. Castle era nel letto sveglio, con le mani sotto la nuca mentre osservava il soffitto bianco della camera di Beckett. Quei pensieri non lo lasciavano dormire e sapeva che anche Beckett non era riuscita a prendere sonno. Seppur la donna fosse girata su un fianco e gli desse le spalle era certo che anche lei era sveglia, lo capiva dal ritmo del suo respiro, dal modo in cui si agitava sotto le coperte. Chiuse gli occhi nella speranza di trovarsi finalmente tra le braccia di morfeo ma dopo cinque minuti ci rinunciò. Sospirando si girò verso Beckett, avvicinandosi a lei, fino a che la schiena della donna non fu premuta contro il suo petto. Appoggiò la testa contro quella di lei, nascondendo il volto nei suoi capelli, facendo scorrere nel contempo una mano lungo il suo braccio, passando per il fianco e arrivando al suo ventre. Li si fermò, iniziando ad accarezzarla attraverso la camicia da notte, disegnando dei piccoli cerchi con il dito medio, sorridendo sentendo sotto i polpastrelli il piercing all'ombelico di Beckett.

 

“A cosa stai pensando?”. Gli domandò lei con voce soave, ringraziandolo mentalmente di quel contatto.

 

“Ad Alexis”. Gli rispose lui con voce più turbata, non fermando il movimento della sua mano.

 

“Cosa riguardo lei?”. Proseguì, volendo conoscere il motivo di quella sua angoscia.

 

“A cosa sarebbe della mia vita se lei non ci fosse. Cosa sarebbe di me se qualcuno me l'avesse portata via”. Dicendo questo si premette ancora più contro alla donna, nutrendosi del calore che ella emanava e dalla speranza che gli trasmetteva.

 

“Probabilmente avresti mandato tua madre in qualche casa di riposo per vecchie star e tu avresti sperperato tutti i tuoi guadagni”. Rispose Beckett non sapendo che altro dire. Lei non era genitore, non poteva capire a pieno le paure che invadevano Castle ogni volta che si parlava di Alexis.

 

“Già. Lei ha quel buon senso che manca a me”. Proferì l'uomo. Ancora la stanza sprofondò del silenzio e ancora i due non riuscirono a dormire.

 

“Se Alexis non ci fosse credo”. Ricominciò a conversare la donna.

“credo che non vedrei più quella luce che si accende dentro i tuoi occhi ogni volta che la vedi, che non sentirei più quel tono di voce orgoglioso ogni volta che parli di lei, che non ti vedrei più sorridere, semplicemente non saresti più te. Nella tua vita hai avuto molte donne e per quanto queste possano esser state importanti nessuna raggiungerà mai i livelli di Alexis. Anche io sarò sempre seconda a lei, ma non me ne dispiace. Lei non ti abbandonerà mai”.

 

“E tu?”. Domandò alzando la testa per osservare il suo profilo, anche se era buio la conosceva cosi bene che poteva distinguerne i tratti.

 

“Io ci sarò fin quando mi vorrai”. Replicò la donna prendendo nella sua mano quella di lui che ancora era premuta contro il suo grembo.

 

“Allora vieni a vivere da me, perchè ti vorrò per sempre al mio fianco”. Non si sarebbe stancato di farle quella domanda. Anche dopo centinaia di no, non si sarebbe fermato. Prima o poi gli avrebbe detto si, ne era certo.

 

“Non ci rinunci vero?”. Commentò lei sorridendo.

 

“No”. Obiettò lui senza esitazioni.

 

“Tra tre anni da oggi verrò”. Garantì la detective sentendolo brontolare contro il suo collo. Non era affatto soddisfatto della sua risposta ma d'altro canto lei non voleva anticipare troppo i tempi. Quando si sarebbe sentita pronta avrebbe fatto di corsa le valigie, ma per ora non voleva rischiare di compromettere il loro rapporto, avevano bisogno ancora di qualche mese di rodaggio.

 

“Sempre meglio del no secco che mi davi il mese scorso”. Parlò lui prendendola con filosofia. Per lei sarebbe stato paziente, avrebbe aspettato tutto il tempo necessario con la certezza che prima o poi quel suo sogno si sarebbe avverato.

 

 

********

 

Era mattino presto e già si trovavano al distretto a lavorare su quanto avevano tra le mani, ovvero ben poco. Ryan ed Esposito erano tornati nella società visitata il giorno precedente per prendere le ultime impronte mentre Weiss era concentrato a fare chiamate su chiamate a chissà chi. Decidendo di prendersi una pausa Castle afferrò il giornale che era sulla scrivania di Beckett e iniziò a leggere l'articolo riguardante l'omicidio di Denton. Dopo pochi minuti bofonchiò.

 

“Già i giornalisti di cronaca rosa si divertono a gonfiare le notizie ma noto che anche quelli della cronaca nera non scherzano. Hai letto che hanno scritto?”. Domandò alla detective porgendogli la pagina di giornale di cui stava parlando. La donna non si mosse, intenta più a bere il suo caffè. Non era minimamente interessata a quello scritto sui giornali.

 

“Castle più dettagli mettono e più vendono. E se ci sono poche cose di cui parlare ne inventano altre per indurre a comprarli.”. Disse non essendo minimamente incuriosita da quell'articolo che invece aveva attirato l'attenzione dello scrittore.

 

“No ma il distretto dovrebbe fargli causa. Senti che dice questa Pike. Il cadavere è stato trovato alle prime luci dell'alba, bla bla bla, nulla di interessante e poi ecco qua. I poliziotti hanno dovuto sfondare la porta per entrare nella sala dove si trovava il cadavere e davanti a loro si è presentato uno spettacolo impressionante. Il corpo della vittima si trovava sdraiato su un manto nevoso, con due torce a illuminare la scena”. Letto quel trafiletto richiuse il giornale e lo ributtò sulla scrivania della donna lamentandosi a bassa voce.

 

“Su Castle. Devono scrivere cose interessanti. Tu compreresti un giornale se scrivesse solo la verità? Pensa alla prima vittima, se avessero scritto “morta dissanguata dentro una cisterna” e basta nessuno si sarebbe interessato, ci sono tanti omicidi simili ogni giorno”. Cercò di farlo ragionare la donna ma senza darci nemmeno troppo peso, sapendo benissimo che quello era un suo capriccio momentaneo.

 

“Sempre meglio che aver letto “donna trovata morta nella piscina di un solarium di un noto edificio di Tribeca” come ho visto scritto su alcuni giornali”. Stava ancora borbottando lo scrittore quando Weiss tornò a palesarsi ai due.

 

“Ho chiamato un po' di miei amici all'fbi, se potranno ci daranno una mano con le impronte, ma anche loro hanno molto lavoro in arretrato”. Disse facendo delle foto con il suo cellulare alla lavagna per inviarle in automatico a questi suoi colleghi.

 

“Avete riflettuto su come possa avvenire il prossimo omicidio?”. Domandò quando ebbe finito il trasferimento delle immagini.

 

“In verità no”. Disse sinceramente Beckett. I suoi pensieri erano più concentrati sull'ultimo sacrificio.

 

“Come sopra”. Disse a sua volta Castle.

 

“Si tratta delle tenebre questa volta. Quindi un omicidio che c'entrerà con il buio”. Cominciò a fare diverse supposizioni l'agente mentre i due lo ascoltavano.

“Magari avverrà in qualche scantinato, o galleria, o camera oscura”. Parlava elencando tutti i luoghi che gli veniva in mente.

 

“Anche se ora sappiamo il nesso che intercorre tra i vari omicidi è impossibile sapere dove avverrà il prossimo. Ci possono essere più chiavi di valutazione per ogni vittima. Guardi solo il terzo omicidio, la scena del crimine non c'entrava nulla, quello che ci interessava era il nome della sua band.”. Proferì Beckett smontando subito ogni possibile teoria che potesse venire in mente a Weiss.

 

“Inoltre di luoghi bui ce ne sono a migliaia qua a New York. Sarebbe più facile cercare un ago in un intero fienile”. Continuò Castle. Weiss storse la bocca ma diede ragione ai due. Era quasi impossibile capire dove si sarebbe svolto il successivo omicidio, anzi il quasi era da togliere. Era impossibile capirlo.

 

“Sarà brutto da dire ma dobbiamo fare una scelta. E la decisione è una sola”. Esordì Castle, rompendo quel silenzio che da qualche minuto aveva preso il sopravvento sui tre.

 

“Che scelta?”. Chiese curioso Weiss non capendo il suo pensiero.

 

“Per la sesta vittima non possiamo far nulla. Non c'è modo per impedire che muoia, se non trovare l'assassino. Cosa che ora è fuori dalla nostra portata.”. Proseguì lo scrittore mentre Beckett dondolandosi sulla sua sedia aveva capito benissimo dove voleva andare a parare.

 

“Sacrificare una vita per salvarne molte di più”. Riassunse la detective dando senso alle parole dello scrittore. Weiss in quel momento capì il messaggio che gli stavano mandando.

 

“D'accordo. Non posso che non condividere il vostro ragionamento. Concentriamoci sull'ultimo segno e facciamo tutto ciò che è in nostro potere per impedire che accada. Per quanto riguarda la sesta vittima attendiamo solo che venga ritrovata”. A nessuno dei tre piaceva quell'idea. Il lavoro di Beckett e Weiss era quello di impedire che la gente morisse catturando il loro possibile assassino ma ora, seppur quel pensiero gli lasciava un vuoto incolmabile dentro, dovevano farsi da parte, lasciando che l'assassino compisse la sua prossima mossa. In quell'unica occasione avrebbero permesso che si uccidesse ancora. D'ora in poi, ogni attimo della giornata, l'avrebbero passato a pensare come impedire all'assassino di versare quel sangue innocente.

 

 

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Ryan ed Esposito intanto erano tornati al distretto e come il giorno precedente Weiss si era offerto di aiutarli con le impronte digitali. Questa volta Beckett e Castle però non si unirono a loro.

 

“Cosa dirò alla prossima famiglia Rick?. Che non ci siamo concentrati sulla successiva mossa dell'assassino, impedendo cosi un altro omicidio, perchè abbiamo dovuto fare una scelta?”. Domandò Beckett al proprio compagno in cerca di conforto. Le avrebbe detto che stavano facendo la cosa giusta, ma lei non ci trovava nulla di corretto nel rimanere immobili mentre un altra persona veniva uccisa, eppure non potevano fare altro.

 

“Dirai che sarà un omicidio che non rimarrà impunito. Che alla fine troveremo l'assassino. Mikael è preciso nel suo piano e lo sarà anche nell'ultimo. Sopratutto in questo ricercherà la perfezione. Gli altri erano omicidi singoli, qua sarà qualcosa di più grande. Inoltre saranno bambini Kate. Ogni nostro sforzo dovrà essere concentrato sul salvare loro”. Beckett annuì quasi impercettibilmente fissando il vuoto davanti a se. In quel momento le sembrava di esser tornata indietro di un paio di anni, a quando ebbe a che vedere con Dunn. Anche li ci furono diverse morti per la quale si sentì responsabile. Aveva sperato di non dover più provare quelle sensazione e invece era tutto come all'ora.

 

“Andrà tutto bene Kate, te lo prometto”. Sentì dire da Castle, che intanto si era alzato dalla propria sedia mettendosi in piedi di fianco a lei. L'uomo appoggiò le mani sulle spalle della detective abbassandosi per darle un bacio sulla fronte.

 

“Mamma e papa si fanno le coccole”. Proferì Esposito che stava camminando verso di loro, seguito da Ryan e Weiss.

 

“Non sapevo che al distretto fossero concesse tali effusioni”. Fece notare l'agente mettendosi davanti alla scrivania di Beckett come se volesse delle spiegazioni da parte dei due.

 

“é per caso geloso agente Weiss?”. Domandò Castle, sorridendo maliziosamente, quasi volesse dirgli, io posso farlo e tu no.

 

“In effetti non mi dispiacerebbe essere al suo posto Castle”. Disse senza scomporsi minimamente, quasi come se fosse una cosa naturale desiderare un diverso rapporto con la donna. Poi vedendo che lo scrittore aveva accusato il colpo continuò, divertendosi nell'osservarlo contorcersi dal nervosismo.

“ma il mio bacio non sarebbe stato cosi casto”

 

Beckett sorpresa da quella frecciatina improvvisa iniziò a tossire nervosamente mentre Ryan ed Esposito se la ridevano sotto i baffi divertiti da quella scenetta. Dopo tutto l'arrivo di Weiss aveva dato i suoi frutti, lui e Castle continuavano a scontrarsi creando scenette a volte divertenti. Castle si schiarì la voce allontanandosi dalla detective per avvicinarsi all'agente. Quando gli fu davanti iniziò a battersi la guancia con il dito, fissando pensieroso l'uomo dinnanzi a se, cercando il modo migliore per rispondere a quella provocazione.

 

“Ah, trovato”. Esclamò dopo qualche secondo andando poi a sussurrare qualcosa a Weiss mentre i tre che li stavano guardando si avvicinarono a loro cercando di udire le parole dello scrittore. Quando si staccò l'agente andò ad osservare con un ampio sorriso Beckett esclamando.

 

“E io che la immaginavo una ragazza tranquilla. Chi l'avrebbe mai detto”. Beckett sentendo quella dichiarazione arrossì immediatamente, nonostante non avesse la benchè minima idea di quello che Castle gli avesse sussurrato. Le bastò però guardare lo sguardo di Weiss per capire che era qualcosa di intimo, molto intimo. Per sua fortuna quella chiacchierata venne interrotta dal suono del cellulare dell'agente, il quale si allontanò per rispondere. Quando fu abbastanza lontano la detective si rivolse verso il proprio fidanzato più rossa per la rabbia che per l'imbarazzo.

 

“Si può sapere che gli hai detto?”. Chiese avvicinandosi con la sedia a lui e sbattendo con forza le mani sulla scrivania.

 

“Di quanto sei brava con il tuo trucchetto dei cubetti di ghiaccio, altro che “il mio bacio non sarebbe stato cosi casto””. Sospirò lui languidamente abbassandosi per sedersi sulla propria sedia, ma Beckett fu più veloce e con un calcio andò a toglierla da sotto facendolo cadere cosi a terra. Con nonchalance poi si riportò davanti al computer mentre lo scrittore si alzava da terra tenendosi una mano premuta sulla schiena e un altra in mezzo ai denti, mordendosela pur di evitare di strillare come una femminuccia.

 

“E questo è solo l'inizio. Niente più cubetti di ghiaccio e divano per una settimana”. Lo informò alzandosi con l'intenzione di andare in caffetteria a prepararsi un caffè molto, molto forte. Castle tornò serio per qualche istante inarcando un sopracciglio, dicendole sorridendo.

 

“Anche sul divano possono accadere cose interessanti”. In tutta risposta Beckett gli diede uno spintone improvviso che Castle,trovandosi impreparato, si ritrovò addosso al vetro di uno degli uffici.

 

“Quanto è bello vederli litigare”. Disse Esposito al collega mentre insieme si godevano la scena.

 

“Vero. Più la mamma tratta il papa male, più vuol dire che gli vuole bene”. Continuò Ryan osservando Castle che ora si teneva il braccio che aveva sbattuto contro il vetro. Dopo esser stato in silenzio per qualche minuto l'irlandese riprese a parlare sempre in tono scherzoso.

 

“Dici che tutto questo avrà delle ripercussioni sulla nostra crescita?”

 

Beckett, che intanto era uscita dalla caffetteria, si era posizionata dietro di loro, senza che se ne fossero accorti, bevendo il suo caffè e ascoltando quella strana conversazione.

 

“Non vi preoccupate, più danni di quanti ce ne sono già non se ne possono fare”. Disse la donna tornando alla propria scrivania, nascondendo dietro la tazza l'ampio sorriso, osservando Castle che si era riappropriato della sua sedia e si era rimesso seduto.

 

“Detective Beckett, Signor Castle, dovrei scambiare una parola con voi?”. I due interessati si guardarono nella direzione da cui proveniva la voce e videro un uomo sui 40 anni vestito con un completo nero. Beckett sbuffò pensando che fosse un altro agente dell'fbi.

 

“Se vuole parlare con Weiss sta di la”. Indicò la detective un angolo del distretto dove l'agente era occupato a parlare al cellulare.

 

“No, è con voi che devo parlare. Mi manda un amico comune”. Inclinò leggermente la testa parlando con quel tono misterioso. Ci volle poco alla donna per capire chi l'avesse mandato.

 

“Certo. Il tempo di raccogliere le nostre cose”. Gli disse alzandosi dalla sedia tirando Castle con se. Lo scrittore sembrava non aver ancora intuito chi avesse mandato quell'uomo vestito cosi elegantemente. Beckett lo illuminò parlandogli a bassa voce.

 

“Ho come la sensazione che faremo visita ai “rinnovatori”. Castle spalancò gli occhi tornando a guardare l'uomo che pazientemente li aspettava. Senza pensarci due volte si voltò verso i due colleghi, che a loro volta li osservavano chiedendosi chi fosse quello strano personaggio. Castle voleva prendere tutte le precauzioni del caso e cosi estrasse dalla tasca il cellulare e lo indicò ai colleghi, i quali gli fecero il segno dell'ok con le dita per fargli capire che avevano inteso ciò che voleva.

 

“Vogliamo andare”. Invitò l'uomo una volta che i due presero con se giacche e borsa.

 

Tutto il viaggio in ascensore fu passato in silenzio e cosi fino alla macchina parcheggiata non molto distante dal distretto.

 

“Vi trattate bene”.Commentò Castle appena vide la macchina sulla quale sarebbero saliti.

 

“é una maserati. Un regalo di un amico”. Disse semplicemente l'uomo aprendo la portiera posteriore in modo che i due potessero salire.

 

“E i vetri oscurati sono necessari?”. Domandò Beckett rimanendo in allerta. Non conosceva quella persona, non sapeva dove li stava per portare, non avrebbe abbassato la guardia. Quando per istinto mosse la mano verso la pistola l'uomo andò a rassicurarla.

 

“Non vi è alcun motivo per farvi del male. Non è quello che vogliamo. Diciamo che è solo una precauzione, in modo che non possiate ricordare dove vi porterò. Anzi, devo chiedervi gentilmente di indossare anche quei cappucci neri, giusto per sicurezza”. Pronunciò indicando i due teli che erano disposti sul sedile. Beckett e Castle non poterono fare a meno di eseguire quell'ordine, ma prima di indossarlo la detective diede uno sguardo veloce all'orologio. Anche il viaggio in macchina fu silenzioso e Castle pensò che di li a poco si sarebbe addormentato se non fosse successo qualcosa. Finalmente la vettura si fermò e la portiera si aprì. I due si tolsero il cappuccio e scesero dall'auto trovandosi in un ampio parcheggio. Beckett guardò di nuovo l'orologio e fece un rapido conto. 37 minuti erano trascorsi da quanto aveva lasciato il distretto.

 

“Seguitemi, per favore”. Li invitò cortesemente il loro autista fermandosi poi davanti a una porta e bussando. Dallo spioncino si intravidero due occhi di un azzurro cosi chiaro che quasi sembrava ghiaccio e poi si udì il rumore della serratura scattare. I tre furono fatti entrare e Castle, osservando il giovane che aveva aperto, si domandò dove l'aveva visto prima, dato che aveva una faccia famigliare. Superarono diverse stanze, ognuna decorata con uno stile barocco, ampi divani sulla quale vi erano sedute persone intente a leggere, tavoli sulla quale gente giocava a scacchi o beveva il tè. Tutti questi però, vedendo i nuovi ospiti, si fermarono dalle loro attività per osservarli. Superarono poi uno stretto corridoio e infine giunsero davanti a una porta in legno. L'uomo che gli accompagnava si fermò.

 

“Entrate pure, vi sta aspettando”. Castle e Beckett si guardarono per un istante, tirando ognuno un profondo sospiro, varcando uno dopo l'altro quella soglia. La stanza, seppur ampia, era molto semplice. Ad ognuno dei quattro angoli vi era stato messo un ampio vaso, dalla quale si stagliavano altrettante piante che raggiungevano il soffitto. Su una parete vi erano tre grandi finestre da cui filtrava una debole luce, diversi piedistalli reggevano busti di personaggi ai due sconosciuti, sul muro a nord invece una gigantografia del simbolo che avevano ricevuto con ogni lettera. Sotto di questo un'ampia scrivania dove vi era seduto un uomo anziano mentre un altro più giovane era in piedi al suo fianco.

 

“Accomodatevi pure”. Disse l'uomo anziano indicando due sedie poste davanti alla scrivania. Fecero come era stato richiesto loro e aspettarono che questi tornasse a parlare, non sapendo come strutturare le loro domande. Non si erano mai trovati in una situazione simile e non avevano idea di cosa volesse dirgli quest'uomo.

 

“Il mio nome è Leonard e sono la guida spirituale di questo gruppo. Un nostro amico comune mi ha informato della vostra necessità di parlarmi.”

 

“Charlie?”. Chiese Castle curioso di contraddire l'ipotesi di Beckett. Leonard sorrise e annuì e vedendo questo gesto la detective si voltò ad osservare trionfante lo scrittore.

 

“Perchè siamo qui?”. Domandò poi spazientita. Quel posto per qualche strana ragione le dava i brividi. Quella strana quiete che gli circondava non prometteva niente di buono. L'uomo apri e richiuse la bocca e la donna credette che per un attimo avesse balbettato.

 

“Siete qui perchè vi voglio parlare dei rinnovatori”. Leonard scandiva ogni parola, prendendo una piccola pausa tra una e l'altra, cosa che non passò inosservata a Beckett.

 

“28 anni fa una persona a me cara mi è stata portata via all'improvviso. Ero disperato ma sapevo che dovevo andare avanti quindi avevo due alternative. La prima era quella di cercare la vendetta, la seconda di lasciarmi tutto alle spalle. La vendetta era la decisione più semplice ma poi mi sono chiesto “In cosa sarei stato diverso da quegli assassini che ora condanno?””. L'uomo si fermò facendo segno al servitore vicino a lui di versargli un bicchiere d'acqua. Quando lo prese tra le dita la mano iniziò a tremargli. Beckett notò subito quella sua difficoltà ma non riuscì a capire se era dovuta all'agitazione o ad altro di più profondo.

 

“Cosi ho fondato questo gruppo. Chiunque voglia entrarci da noi troverà una nuova famiglia”. Disse andando poi a bere generose golate d'acqua asciugandosi la bocca e la fronte sudata con un fazzoletto. Castle lo guardava come un bambino meravigliato dai fuochi d'artificio. Quei racconti erano il suo pane.

 

“E avete delle regole?. Una gerarchia? Vi suddividete i compiti?”. Fece domande a raffica volendo sapere il più possibile. Leonard sorrise all'interesse mostrato dallo scrittore mentre la detective, ai suoi occhi, sembrava più scettica, più restia a credere a quanto lui stesse dicendo.

 

“Ogni anno stabilisco delle regole che i miei famigliari devono seguire. Queste si basano sempre sulla generosità, sulla bontà, su su..come si dice?”. Si voltò lentamente chiedendo l'aiuto al suo servitore che con gentilezza rispose.

“sull'aiutare il prossimo”.

 

“Si, si è corretto” Disse portandosi ancora il bicchiere alla bocca prima di continuare.

“Io sono a capo di tutta questa grande famiglia poi, ogni tre anni, viene eletto un consiglio di 7 persone che mi coadiuvano. Ognuno aiuta come può.”. Detto questo Leonard si mise contro la sedia lasciando che le braccia gli cadessero giù da quella quasi fosse sfinito. Fece cenno all'uomo dietro di lui che abbassandosi aprì un cassetto della scrivania dalla quale estrasse una scatola, da questa estrasse una compressa, prima di lasciarla sul ripiano in legno. Beckett si concentrò per leggere quanto vi era scritto sopra. Il servitore prese il medicinale, la mise nel bicchiere e lo passò a Leonard che dopo qualche secondo bevve tutto l'insieme.

 

“Non volendo rubarvi altro tempo ci può dire chi perchè ci ha convocati?”. Domandò Castle notando solo ora lo strano fare dell'uomo. Sembrava esausto da quanto era ricurvo sulla sedia. Magari coordinare una congregazione non era poi cosi semplice e richiedeva molte forze, ipotizzò lo scrittore.

 

“Tra i nostri membri avevamo un giovane molto promettente. Si era dato molto da fare per la nostra causa ma alcuni mesi fa cambiò radicalmente. Voleva utilizzare altri metodi per portare la gente a conoscenza della nostra famiglia. Metodi che non era approvati dalle nostre regole”. Raccontò l'uomo recuperando un po' di forze per tornare ad appoggiarsi sulla scrivania mentre il suo servitore con cautela gli asciugava la fronte.

 

“Quali metodi?”. Chiese Beckett anche se aveva capito benissimo di cosa stesse parlando Leonard, voleva solo una conferma.

 

“Azioni violente contro lo stesso uomo. Secondo lui era l'unico modo per mandare il nostro messaggio. Noi non potevamo accettare un comportamento simile e perciò l'abbiamo allontanato dalla nostra famiglia”.

 

Beckett sentendo quelle parole si alzò dalla sedia e si avvicinò alla scrivania, battendo i pugni su questa furente di rabbia. Il servitore, per quel che pote, si frappose tra la donna e l'uomo, il quale invece non aveva accennato al minimo movimento.

 

“Voi sapevate che stava per commettere un omicidio e l'unica cosa che avete fatto è stato allontanarlo? Se aveste informato la polizia di questo pazzo non ci sarebbero stati questi 5 omicidi”. Sbottò la detective abbassando lo sguardo, approfittando per vedere cosa vi era sopra la scrivania, leggere le intestazioni di alcune lettere e fogli. Il servitore prese la parola.

 

“Era un membro della nostra famiglia. Non si tradisce un parente”.

 

Beckett rise disgustata mentre tornava a sedersi distogliendo lo sguardo da Leonard che ora aveva tutto il suo disprezzo. Castle da un lato poteva capire il ragionamento dell'uomo, non sarebbe stato facile denunciare una persona a cui si voleva bene, ma quegli omicidi erano andati troppo oltre e chi sapeva aveva il dovere di fermarli.

 

“Ogni giorno convivo con i rimorsi della mia decisione. Li leggo i giornali, so che succede. So della donna morta dissanguata nella cisterna, so del cantante impiccato, so dell'omicidio di ieri e degli effetti speciali che quei macchinari hanno creato. Come vedete mi tengo informato su tutto, anche sui dettagli”. Urlò infine l'uomo. Non voleva che i due pensassero che a lui di quegli omicidi non gli importasse nulla, lui era stato la causa di tutto ciò, come potevano supporre che si fosse disinteressato di quegli eventi.

 

“Chi è Mikael?”. Fece infine la domanda cruciale Castle.

 

Leonard fece cenno al servitore che prese una busta sulla scrivania e la porse alla scrittore, spiegando poi cosa essa fosse.

 

“Qua dentro troverete la vera identità di Mikael. Solo questo, non possiamo dare informazioni delle attività svolte dai vari membri all'interno della famiglia”.

 

“La vera identità?”. Domandò sbigottito Castle andando ad aprire quella busta ma prima di poterlo fare venne fermato da Leonard.

 

“No. Non ora. Una volta che vi avremo ricondotti al distretto allora potrete leggere quanto vi è scritto all'interno. E comunque si. Mikael non è il vero nome. Ognuno quando entra può scegliere un'identità nuova. All'interno di queste mura si è una persona diversa da quando si è all'esterno”. Spiegò Leonard un altra caratteristica dei Rinnovatori.

 

“E immagino che non ci dirà il suo vero nome, o mi sbaglio?”. Osò Castle.

 

“Robert vi accompagnerà all'esterno. Io la mia parte l'ho fatta. Ora sta a voi fermarlo”. Ordinato questo fece un cenno al servitore che si mise davanti ai due costringendoli ad alzarli. Prima che però uscissero da quella stanza Leonard si rivolse a loro un ultima volta.

 

“Quando sarà il momento ricordatevi che mi siete debitori”.

 

Il servitore li guidò attraverso i corridoio, le sale, che avevano visto quando erano arrivati, fino ad arrivare alla porta d'ingresso. Seduto li vicino vi era lo stesso giovane che gli aveva aperto. Castle lo fissò ancora, aumentando cosi la convinzione di averlo già visto prima, anche se non ricordò dove. Salirono in macchina e ancora vennero incappucciati. Quando giunsero davanti al distretto l'autista li aiutò ad uscire e dopo averli salutati si allontanò. I due non fecero nemmeno un passo che Ryan ed Esposito gli furono addosso.

 

“Eravamo preoccupati. Ve ne siete andati via senza dare spiegazioni”. Disse Ryan notando lo strano umore dei due e poi la busta che Beckett aveva tra le mani.

 

“é una lunga storia, e probabilmente anche se ve la raccontassimo non ci credereste”. Parlò Beckett andando a sedersi su uno dei gradini che conducevano al distretto, sentendosi improvvisamente priva di forze. Troppe informazioni, per la maggior parte inutili, le affollavano la testa e la conversazione avuta con Leonard non gli era stata di molto aiuto anzi, aveva aumentato solo la sua frustrazione.

 

“Hai rintracciato il mio cellulare?” Domandò all'improvviso Castle ad Esposito, il quale in tutta risposta estrasse un foglietto dalla tasca.

 

“Ho annotato qui l'indirizzo per ogni evenienza”. Spiegò mentre lo scrittore andava a leggere.

 

“Nell'upper East side?! Avevo come la vaga sensazione che questi si trattassero bene”. Estrasse il portafogli e ritirò quel foglietto all'interno di questi per non perderlo, giusto una precauzione nel caso fosse stato necessario l'aiuto di Leonard. Beckett intanto non aveva prestato attenzione i tre concentrata quant'era sulla busta. Con uno strappo decisa la andò a prendere estraendo un singolo foglio. Sul lato sinistro vi era una foto, sul destra una serie di dati anagrafici, compreso il nome. Guardò con attenzione l'immagine stampata. Era molto simile agli identikit fatti nei giorni passati e il neo sulla guancia lo rendeva inconfondibile. Era lui.

 

“Nicholas Bradley. Questo è il nostro assassino”. Disse ad alta voce in modo che i colleghi e il fidanzato potessero sentirla. Ryan ed Esposito si guardarono a bocca aperta. Quella era più che una coincidenza. Castle notò subito il modo in cui i due si guardavano.

 

“Che succede?”. Chiese pensando alle più orribili ipotesi per cui quel nome avesse scatenato quella reazione ai due detective. Ryan si schiarì la voce e iniziò a spiegare.

 

“Quando voi eravate a fare il vostro viaggio misterioso è arrivata una ragazza. Una cameriera di nome Annie Gyles che affermava di conoscere l'ultima vittima, Justin Denton. Inoltre ci ha informati di una mezza scazzottata che c'è stata appunto tra Justin e un altro cliente del locale in cui lavora, ovvero Nicholas Bradley”. Esposito tutto sorridente andò poi a informarli di un altra piccola ma importantissima scoperta.

 

“E indovinate?!. Abbiamo confrontato le impronte di Bradley con quelle rinvenute sulle scene del crimine. Più perfette di cosi non si può”. Beckett si illuminò a quella notizia, ora avevano in mano abbastanza prove per arrestare l'assassino e sbatterlo in cella. Non ci sarebbe state ne sesto omicidio ne tanto meno il sacrificio finale. L'avevano fermato in tempo.

 

“Andiamo a prendere Weiss e poi facciamo visita a Bradley”. Parlò rimettendosi in piedi ed entrando nel distretto seguita dai tre uomini.

 

 

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Ed ecco che abbiamo conosciuto un po' di più i rinnovatori e grazie al loro capo ora si sa il nome dell'assassino. Nicholas ora potrebbe essere alle corde, tutti gli indizi sono riconducibili a lui e Beckett è più che intenzionata a fermarlo. Nel prossimo capitolo vedremo il nostro caro assassino alle prese con il 6° omicidio e la solita preparazione maniacale della scena del crimine.

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Capitolo 21
*** 6° sacrificio ***


 

 

CAPITOLO 20

 

Era trascorso poco più di un giorno dall'ultimo omicidio ma Nick non poteva perdere tempo, i giorni erano contati, presto ci sarebbe stato l'atto finale. Quel giorno era andato a lavorare solo la mattina, dopo la pausa pranzo aveva detto di star male e il suo capo non si era fatto problemi a dirgli di andare pure a casa. Come rappresentante si era sempre dimostrato disponibile, aveva accettato qualunque incarico, dovunque lo mandassero e questo gli aveva dato dei vantaggi, come quello di assentarsi di tanto in tanto. Non erano ancora le 15 ma lui era già davanti al negozio di animali. Aveva fretta, doveva agire quando ancora nessuno fosse venuto alla ricerca di qualche cagnolino da regalare al figlio. La proprietaria dopo qualche minuto arrivò. Prese le chiavi e aprì la porta parlandogli.

 

“Impaziente di fare un regalo?”. Chiese entrando dentro il negozio, lasciando la porta aperta per l'uomo. L'assassino la guardava mentre si toglieva la giacca e la borsa, appoggiandole alla cassa, intanto si era trattenuto a girare il cartello verso la scritta “Chiuso”. Si sarebbe preoccupato dopo di chiudere definitivamente la porta.

 

“Si. Non vedevo l'ora che aprissi in effetti”. Rispose avvicinandosi alla donna che intanto si era messa accanto ai recinti dove vi erano i cani, di solito erano gli animali più gettonati.

 

“Allora quale di questi cuccioli vuole regalare?”. Disse sporgendosi pronta a prenderne uno quando l'assassino la fermò dal farlo.

 

“Niente cani. Vorrei vedere gli acquari”. La donna sorrise e fece cenno di seguirlo, superarono le gabbiette dove vi erano dentro gatti, pappagalli, serpenti fino ad arrivare ad una porta.

 

“I pesci li teniamo separati. Non tutti sopportano l'odore che tutti quegli acquari messi insieme fanno”. Aprì la porta ed entrò nella nuova stanza seguita come un ombra da Nick. Appena senti il rumore dell'uscio chiudersi dietro di se attaccò la donna. Con una mano l'afferrò per la testa, con l'altra le impedì di urlare coprendole la bocca. Con la forza la fece camminare in avanti fino ad arrivare davanti all'acquario e li, togliendo la mano dalla bocca della donna, sollevò il coperchio facendolo ricadere a terra. Ancora prima che lei potesse capire quello che le stava per accadere l'assassino le immerse la testa dentro l'acqua, tenendogliela ferma con forza, mentre con la mano libera cercava di bloccarle le mani che lo colpivano, che cercavano di far presa sul bordo dell'acquario per sollevarsi. Vi erano chiazze d'acqua ovunque, anche Nick si bagnò ma non si curò di quel dettaglio. Premette ancora più forte la testa fino a quando i movimento della donna non furono più lenti, meno forti, fino a quando non si fermarono del tutto. Con delicatezza la fece sdraiare a terra, poggiando l'orecchio sul suo petto, all'altezza del cuore. Non sentì nulla. Controllò allora anche il polso e nemmeno li percepì alcun battito. Senza il minimo sforzo la prese tra le braccia ed uscì da quella stanza. Si ritrovò nella sala principale ma non si diresse verso l'ingresso. Li l'avrebbero notato in troppi. Andò allora nel bagno. Settimane precedenti aveva visitato quel negozio assicurandosi che dalla finestra poteva passarci un corpo e cosi infatti fu. Fece uscire il cadavere della donna fuori da quel varco, lasciandolo scivolare lungo il muro, finchè non si ritrovò per terra nel viottolo. Non aveva molto tempo. Corse fuori dal negozio e girò l'angolo per nascondere velocemente il corpo dentro l'auto. Per andare sul sicuro la chiuse all'interno del bagagliaio, cosi nessuno l'avrebbe notata. Con la vittima stesa nascosta al sicuro guidò, attraversò le ampie vie della città, superò palazzi, ponti. Fino ad arrivare a Coney Island. Il parco come al solito era pieno di gente, ma a lui non interessavano quelle attrazioni. Ne cercava un altra. Faceva parte del parco chiuso qualche anno precedente ed ora era li inutilizzata. Si ricordò di quando da giovane ci saliva spesso, era la sua preferita, e ora aveva scelto quel posto per riportarla a nuova vita. Un ultimo spettacolo prima di essere demolita. Superò tutte le nuove giostre fino ad arrivare là in mezzo a quel piazzale dove le attrazioni dimenticate erano li a fare la ruggine. Parcheggiò vicino a quella che aveva prescelto. Scese dalla macchina e si allontanò per vedere meglio la scritta, “Dante's Inferno” lesse. Le lettere erano ancora intatte, come quasi tutta la giostra, notò con piacere. Tornò all'auto, aprì il bagagliaio e osservò la donna, non era ancora il suo momento. Prese il piede di porco e andò all'ingresso dell'attrazione facendo cedere i listelli di legno che la tenevano chiusa con l'ausilio di quell'arnese. Prese poi una torcia caricandosi la donna in spalla ed entrando nella giostra. Era certo che fosse ancora funzionante ma accenderla adesso avrebbe solo attirato dell'attenzione non voluta. Seguì a memoria le rotaie puntando davanti a se la luce, attento a non inciampare nei detriti che negli ultimi 2 anni si erano depositati. Fece quasi metà del percorso fino a quando non arrivò alla scena paurosa che gli interessava. C'era un manichino, avvolto dentro una camicia di forza, sdraiato su un lettino da dentista. Vicino a lui uno scaffale con i ripiani colmi di vasetti al cui interno si potevano vedere galleggiare mani, occhi, cervelli. Sulla parete posteriore un gancio dove vi era appeso un braccio fatto di spugna e alcuni attrezzi insanguinati, come seghe e tenaglie. Tenendo la torcia tra i denti tolse il manichino e lo spogliò. Poi si concentrò sulla donna. Tolse ad anch'ella i vestiti, la maglietta, la gonna, le scarpe, tutto quanto e poi le fece indossare quella camicia di forza e la mise al posto dell'attrazione che prima era sdraiata sul lettino. Estrasse dalla tasca del nastro adesivo nero e ne tagliò 4 pezzi abbastanza lunghi che poi applicò sugli occhi chiusi della vittima formando due x. Illuminò da sotto fino a sopra la scena, soddisfatto di quella piccola opera e poi riprese la strada per l'uscita. Tornò alla macchina ma non se ne andò. Prima aveva ancora una piccola modifica da fare. Tirò fuori dal bagagliaio la cassetta degli attrezzi e si mise all'opera. Quando finì erano quasi 19. Completò il tutto attaccando la lettera sulla porta d'uscita dell'attrazione e si avviò verso la macchina. Partendo subito sarebbe tornato a casa entro un oretta e avrebbe fatto in tempo a guardare il telegiornale, dove non si faceva altro che parlare di lui.

 

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E siamo a sei. Essi i nostri eroi non hanno fatto in tempo a fermarlo, lui è li che uccide e loro si stanno dirigendo a casa sua, tempismo sbagliato. Come al solito la descrizione della scena del crimine ha pochi dettagli, giusto i più importanti, il resto verrà spiegato meglio con il prossimo capitolo. Piccolo spoiler, il nostro caro Castle avrà un incontro con l'assassino che gli rivelerà una cosetta che farà sorgere qualche domanda in più riguardo gli omicidi.

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Capitolo 22
*** Tenebre ***


 

CAPITOLO 21

 

Beckett era in macchina con Castle e Weiss mentre Ryan ed Esposito li seguivano a poca distanza. Si stavano dirigendo verso l'abitazione di Bradley. I suoi due colleghi avevano fatto una piccola ricerca su di lui ed ora lo scrittore la stava leggendo ad alta voce mentre l'agente stava controllando la propria pistola, attento però a puntarla verso il basso.

 

“Nicholas Bradley nato il 23 aprile del 1978. é nato tre giorni prima di te Beckett”. Fece notare ridacchiando ma tornando serio quando vide l'espressione poco felice della donna.

“Orfano di madre, il padre esce di scena quando lui ha 5 anni e di conseguenza viene affidato a uno zio. Sempre stato una persona solitaria, dei colleghi interrogati solo un paio hanno affermato di aver rapporti con lui al di fuori del lavoro, altrimenti non c'è mai stato molto feeling con gli altri. All'età di 18 anni si arruola nell'esercito dove consegue la laurea in ingegneria elettronica e in biochimica. Partecipa alla guerra in Iraq nel 2003, dove ottiene una medaglia al valore dopo esser stato ferito durante un combattimento. Tornato a casa viene congedato con tutti gli onori del caso e si ritrova a lavorare per un azienda sportiva. Non sembra il backround di un assassino”. Commentò perplesso. Da quanto poteva leggere era una persona normalissima, che non sembrava capace di compiere 5 omicidi a sangue freddo. Weiss però era di tutt'altra opinione.

 

“Il fatto che fosse un militare e che abbia combattuto in guerra gli ha giovato. Ha imparato ad uccidere, per questo ora l'ha fatto con cosi tanta perfezione. In fondo era stato addestrato per farlo”. Spiegò la sua opinione senza alzare gli occhi dall'arma che ora gli sembrava pronta e perciò rimise nella sua fodera che aveva legata alla cintura. Castle mugugnò solamente qualcosa e tornò alla sua lettura.

 

“Siamo arrivati”. Li informò all'improvviso Beckett quando raggiunsero la casa dove abitava l'uomo. Tutti e tre scesero e Ryan ed Esposito li raggiunsero con già le loro armi tra le mani.

 

“Bene, sappiamo che abita al terzo piano, appartamento 5B”. Iniziò Weiss illustrando la tattica che voleva seguire per quella situazione, spiegando poi la struttura dell'edificio e di come si sarebbero dovuti muovere.

“Non vi sono scale anti incendio all'esterno dell'edificio ma ci sono due rampe all'interno. Voi due prendere quella ad est, Beckett ed io prenderemo quella ad ovest, ci incontreremo poi al terzo piano”

 

“Ed io?”. Domandò Castle alzando la mano, sentendosi escluso da quella retata. In fondo aveva già partecipato molte volte, perchè quella volta non poteva esserci anche lui.

 

“Non è una gita in campagna Signor Castle. Ha ucciso 5 volte e basta fare il minimo errore per essere il numero 6 perciò lei rimanere qui”. Ordinò Weiss non dandogli modo di replicare mentre guardandosi attorno cominciò a muoversi verso l'entrata dell'edificio.

 

“Beckett”. La chiamò lo scrittore cercando il suo appoggio ma la donna scrollò la testa in segno di negazione.

 

“Ha ragione, è pericoloso Castle. Non voglio che rischi. Porti ancora i segni di quanto successo da Nyman”. Le ricordò lei nella speranza che capisse. Quando lo vide sbuffare ma annuire raggiunse i colleghi e si preparò ad ogni evenienza. Lo scrittore la guardò preoccupato finchè non la vide scomparire dentro l'edificio. Si appoggiò alla macchina ed aspettò. Non era passato nemmeno un minuto che lui già si stava annoiando. Guardò l'orologio infastidito, erano le 19,53. A quell'ora di solito stava cenando con Beckett. Invece ora era li come uno stupido appoggiato alla macchina. Poi sentì qualcosa sfiorargli la nuca, pensando fosse un ape cercò di mandarla via ma le sue dita vennero a contatto con qualcosa di freddo e metallico.

 

“Buonasera scrittore”. Quella voce gli fece gelare il sangue.

 

*******

 

Weiss e Beckett erano giunti al terzo piano e cosi anche Ryan ed Esposito. Nessuno aveva incontrato anima viva per le scale. L'agente fece segno di avvicinarsi alla porta di casa di Bradley e li si fermarono. L'uomo provò a girare la maniglia e questa scattò con un leggero clic. Entrò per primo, rimanendo accucciato, osservandosi attorno, in ogni angolo, come l'esperienza a casa Nyman gli aveva insegnato. Fece cenno agli altri tre di dividersi le stanze ma alla fine non vi era traccia dell'assassino. Si ritrovarono tutti in sala.

 

“Non è ancora rientrato”. Constatò Ryan ritirando la propria pistola mentre Beckett iniziò a studiare l'ambiente. La classica casa di un uomo single. Vestiti gettati a terra, piatti ancora da lavare nel lavandino, lattine di birra su ogni ripiano. Sulla parete della sala osservò i quadri appesi, ognuno di questi rappresentavano gli omicidi che aveva messo in scena Bradley, la detective capì da dove aveva preso spunto per le sue opere. In un altra saletta notò una scrivania piena di recipienti di vetro, al cui interno poteva intravedere delle polverine, e alcune boccette contenenti liquidi trasparenti. Quello che però attirò di più la sua attenzione furono diverse mascherine disposte su un altro tavolinetto. Fece per andare a vedere cosa fossero ma Esposito la chiamò.

 

“Meglio che andiamo. Ci appostiamo nell'edificio qua accanto e aspettiamo che torni”. Beckett acconsentì dando un ultima occhiata a quegli oggetti e poi uscì dall'appartamento insieme agli uomini.

 

“Pensate che fosse a conoscenza del nostro arrivo?”. Domandò agli altri tre Ryan trovando strano il fatto che a quell'ora una persona non fosse a casa. Secondo le informazioni che avevano reperito Bradley staccava da lavoro alle 18,30-19 quindi sarebbe dovuto essere li.

 

“Forse ci ha visti, o forse è stato solo fortunato”. Rispose Weiss scendendo le scale. Beckett era silenziosa, era ancora concentrata su quanto aveva visto all'interno della casa dell'uomo, quando voltandosi verso la finestra che correva parallela alle scale vide Castle in compagnia.

 

“Dannazione”. Fecero in tempo a sentire i tre uomini prima di vederla correre il più velocemente possibile giù dalle scale mentre estraeva la pistola dalla propria fondina. Ryan, incuriosito, andò a vedere cosa avesse provocato quella reazione nella donna e con viso terrorizzato si voltò verso gli altri due.

 

“é con Castle”.

 

*******

 

“E cosi siete riusciti a trovarmi”. Disse l'assassino sempre tenendo la pistola puntata contro lo scrittore.

“Avanti girati pure, so che muori dalla curiosità di vedermi in faccia”. Castle notò con la coda dell'occhio che l'uomo aveva abbassato l'arma perciò facendosi coraggio si girò lentamente, sempre tenendo le mani alzate, volendo far capire che non aveva alcuna intenzione di reagire.

 

“Gli identikit ci sono andati molto vicini”. Commentò non sapendo che altro dire. Doveva parlare, pensare ad altro e non alla pistola che aveva puntata allo stomaco.

 

“Già sono stato molto attento a farmi riconoscere. Avanti scrittore, perchè non me lo chiedi?. Perchè non mi chiedi perchè lo faccio?”. Era un più che palese invito a fargli quel genere di domanda. Castle aveva capito che in fondo quell'uomo era vanitoso, lo si poteva leggere nelle sue lettere. Se voleva far sapere a tutti dei suoi omicidi figuriamoci se non avesse raccontato del perchè li compiva, o del come era arrivato a scegliere quei particolari modi di uccidere.

 

“Perchè lo fai?”. Gli chiese infine, deglutendo a fatica.

 

“Ognuno è nato per un motivo. Io sono nato per questo. É il mio compito, una promessa che ho fatto e devo mantenere”. Gli rivelò Nick.

 

“A chi l'hai promesso?”. Domandò curioso Castle. Allora non agiva da solo? Aveva dei complici?. Chi mai poteva chiedere ad un altra persona di ucciderne 5 in quei modi barbari. Nick non gli rispose ma semplicemente sorrise alzando di nuovo la pistola e appoggiandola ancora alla fronte dello scrittore. Vedendo Castle sudare e tremare nello stesso tempo l'assassino rise trionfante. Che scena, che magnifica scena, pensò fra se e se.

 

“Tranquillo non ho alcuna intenzione di farti fuori. Non è il tuo momento. Non è il tuo destino”. Gli disse riabbassando ancora una volta l'arma e ritirarla dietro la schiena, tenuta celata dalla giaccia.

 

“E qual'è allora?”. Osò ancora lo scrittore abbassando lentamente le braccia, fino a riportarle lungo i fianchi quando l'assassino non accennò a fermarlo.

 

“Devi fermarmi. Fermami, ti prego”. Gli disse Nick guardandolo dritto negli occhi mentre gli prendeva una mano e richiudeva dentro di essa un foglietto. Poi la sua attenzione fu attirata da altro e un attimo dopo corse via, lontano, mischiandosi con la folla. Castle era ancora fermo immobile domandandosi per quale motivo l'assassino gli avesse fatto tale richiesta, ma sopratutto si chiese il perchè di tutta quella sofferenza scritta nei suoi occhi.

 

“Rick”. Si udì chiamare. Fece a mala pena in tempo a girarsi in quella direzione che sentì un corpo scontrarsi con il suo e due braccia avvolgerlo. Solo in quel momento si risvegliò da quello che gli era sembrato un sogno.

 

“Sto bene”. La rassicurò mentre vide i tre uomini correre nelle stessa direzione di dove era andato l'assassino.

 

“Stavo scendendo le scale quando ti ho visto. Ho visto Bradley che ti puntava una pistola alla testa e ho avuto cosi paura”. Disse Beckett facendo passare le mani tra la schiena di lui e il giubbotto anti proiettile, afferrandolo per la camicia. Seppur aveva il cuore che ancora gli batteva all'impazzata lo scrittore ora era più preoccupato per la propria compagna piuttosto che della sua salute. Iniziò a cullarla come una bambina, accarezzandole schiena e capelli, sentendo piano piano il suo abbraccio farsi meno teso.

 

“Come stai Castle?”. Chiese Ryan privo di fiato per la corsa che aveva fatto.

 

“Ora che non ho più una pistola puntata contro sto bene, grazie”. Sorrise nel vedere la preoccupazione dell'amico e per un attimo staccò un braccio da Beckett e lo andò a posare sulla spalla dell'irlandese che subito si rasserenò, intanto li avevano raggiunti anche Esposito e Weiss.

 

“Ci è scappato. C'era troppa gente per strada ed era impossibile capire in che direzione fosse andato”. Li informò Esposito piegandosi sulla schiena, appoggiando le mani sulle ginocchia per riprendere anch'egli fiato.

 

“Tutto bene?”. Domandò Weiss senza lasciar trasparire nessuna emozione ne dal volto ne dal tono di voce. Castle annuì soltanto, passandogli il foglietto che l'assassino gli aveva dato tra le mani.

 

“Dante's inferno, Coney Island. Che vuol dire?”. Chiese allo scrittore dopo aver letto quelle parole.

 

“Ho la brutta sensazione che è li dove troveremo il prossimo cadavere”. Ipotizzò Castle senza accennare a quanto si erano detti lui e l'assassino in quei minuti che erano stati da soli. Vedendo i tre che iniziavano a dirigersi alle macchine lo scrittore allontanò dolcemente la detective da lui, abbassando il capo cosi da poterla vedere negli occhi.

 

“Te la senti?”. Le chiese pieno di preoccupazioni.

 

“Sei tu quello che l'ha vista brutta”. Rispose sorridendo mentre andava ad asciugarsi quella lacrima traditrice che le era scesa lungo la guancia.

 

“Tu però sei quella che è messa peggio dei due”. Evidenziò lui mentre cercava di sistemarle i lunghi capelli dietro le orecchie.

 

“Andiamo. Voglio chiudere al più presto questa storia”

 

*********

 

Arrivarono al parco divertimenti e Castle, conoscendo bene quel luogo per tutte le volte che vi era andato con Alexis, li guidò a quell'attrazione, che però sapeva essere chiusa da anni. Quando furono davanti all'ingresso notarono subito gli assi di legno rotti sparsi per terra e capirono di aver trovato il luogo giusto. Salirono i tre gradini e iniziarono a seguire le rotaie. Ryan ed Esposito spinsero le porte d'ingresso e nemmeno un secondo dopo si sentì un urlo atroce di donna. Subito portarono le mani alle pistole, cosa che fece anche Weiss, ma Beckett e Castle rimasero impassibili.

 

“é la musica di sottofondo della giostra”. Li illuminò Beckett accendendo la torcia e iniziando a muovere i primi passi lungo quella passatoia illuminata solo a tratti. Muovevano passo dopo passo, lentamente, non sapendo se l'assassino avesse rivelato loro qualche sorpresa.

 

“Oh, Oh un pipistrello peloso”. Urlò Castle alzando il dito verso il robot che era spuntato da una botola sul soffitto. Un animale non ben definito, ricoperto da quella che sembrava moquette, illuminato da una lampadina rossa.

 

“Non eccitarti troppo Castle. Non è una visita di piacere”. Gli ricordò Beckett mentre lui si divertita a illuminarsi tutto attorno per vedere le diverse scenografie.

 

“Cerco sempre di trovare il meglio in ogni situazione. L'orango tango”. Urlò ancora, per saltellare vicino alla gabbia illuminata di verde dove un robot vestito da scimmia batteva le zampe sul petto.

 

“Ehi Ryan fammi una foto”. Gli disse passandogli il cellulare quando si sentì tirare per un orecchio dalla donna.

 

“Mele, mele, mele”. Disse con tono supplichevole fin quando lei non lo mollò. Proseguirono ancora per qualche metro non vedendo nulla, attorno a loro era completamente buio e silenzioso. Si sentivano solo gli imprechi di Esposito ogni volta che batteva il piede contro le rotaie. Fecero altri passi quando un altro urlò, questa volta di un uomo, risuonò nell'aria e una nuova scena si accese. Tutti e cinque si fermarono all'istante.

 

“La sesta vittima”. Parlò per tutti Weiss avvicinandosi al cadavere della donna stesa sul lettino davanti a loro.

 

“Tieni”. Disse la detective a Esposito prima di consegnarli la sua torcia e salire vicino al cadavere, Weiss subito la copiò.

 

“I capelli sono bagnati e gli ha scocciato gli occhi”. Disse Beckett inclinando il volto della donna in cerca di ulteriori segni. Un ispezione più accurata sarebbe toccata a Lanie ma se trovava qualcosa anche lei meglio.

 

“Ha rappresentato le tenebre. Il buio del luogo e anche gli occhi chiusi. Se non li apri vedi tutto nero dopotutto”. Affermò Castle spostando il fascio della torcia attorno a sé in cerca di altri indizi, quando notò una serie di impronte parallele alle rotaie. Senza dire nulla a nessuno iniziò a seguirle.

 

“Castle”. Lo chiamò Beckett vedendolo allontanare.

 

“Tranquilla, torno subito”. Disse sparendo dopo un secondo dietro una curva.

 

“Sarà solo quello il motivo per cui le ha scocciato gli occhi? Solo per rappresentare il buio?”. Domandò Beckett a Weiss che si era chinato sulla donna e che all'improvviso tolse due dei pezzi di nastro adesivo cosi da poter mostrare l'occhio della donna.

 

“Non dovevamo aspettare il medico legale per farlo?”. Gli fece notare la detective mettendo le mani sui fianchi, osservandolo lavorare.

 

“Sappiamo già chi è il nostro assassino, non è necessario far tutta questa attenzione. Non ne abbiamo il tempo”. Andò a dire senza degnarla di uno sguardo, concentrato com'era a studiare le iridi della vittima.

 

“Bhè ci sono tutti i presupposti per pensare che sia morta annegata. I capelli bagnati, l'emorragia oculare, i residui di schiuma nelle narici. Ovviamente non è morta qui”. Concluse Weiss scendendo dalla sceneggiatura ed estraendo il cellulare cercando campo per poter avvisare la scientifica e il medico legale di recarsi in quel luogo.

 

“Tutto bene Beckett?”. Le domandò Esposito vedendola soffermarsi più del dovuto vicino alla donna. Quando ne lui ne Ryan sentirono rispondersi l'irlandese continuò.

 

“Non potevamo prevenirlo. Non avevamo abbastanza informazioni. Qui siamo arrivati tardi ma non gli permetteremo di compiere anche il 7° sacrificio”. Beckett allora si voltò verso i due colleghi e sorrise, sussurrando loro un grazie. Cercavano in ogni modo di consolarla, di farle capire che tutto quello non era colpa di nessuno.

 

“Che ne dite se torniamo fuori e diamo un occhiata alla lettera?”. Domandò Castle sbucando fuori da quella curva che poco prima sembrava averlo inghiottito.

 

“Dove sei stato?”. Chiese la donna raggiungendo lui e i due colleghi.

 

“Ho seguito la pista di impronte e sulla porta d'uscita, vicino al meccanismo di accensione della giostra, che da quanto ho potuto vedere è stato modificato perchè partisse nel momento in cui qualcuno avesse aperto le porte d'ingresso dell'attrazione, ho trovato la solita lettera”. Spiegò alzando la mano e illuminandola con la torcia in modo che i tre potessero vedere.

Mentre stavano uscendo Weiss era pronto a rientrare per raggiungerli sulla scena del crimine ma vedendoli si fermò ancora prima di mettere piede sull'attrazione.

 

“Che succede?”Domandò ai quattro. Castle gli mostrò la lettera.

 

Weiss ed Esposito si sedettero sugli scalini del “Dante's inferno”, gli altri due rimasero in piedi di fronte a Castle che si apprestava ad aprire la busta ed estrarre la lettera.

 

La mia pazienza ha raggiunto il suo limite. Basta aspettare, vi ho dato modo di fermarmi e voi non l'avete fatto, non siete stati all'altezza delle aspettative che avevo riposto in voi. Il 6° sacrificio è stato compiuto. Ora non posso più tornare indietro, la mia opera deve essere portata a termine. Alle prime luci del secondo giorno la punizione sarà completa, l'uomo degno capirà quello che deve fare. Io sarò li ad aspettarvi e ad accogliervi a braccia aperte”

 

“Secondo giorno. Il sacrificio avverrà dopo domani”. Constatato Ryan, non volendo pensare nemmeno lui a quell'eventualità.

 

“La casa di Bradley è già sotto sorveglianza. Si si avvicinerà sarà nostro”. Disse Weiss cercando in qualche modo di dar fiducia all'irlandese che però non sembrò sollevato nel sentire quella notizia.

 

“In un modo o nell'altro ha riproposto le piaghe quindi ora c'entrano i bambini. Dove potrebbe attaccare?”. Domandò pensieroso Castle provando a immedesimarsi nell'assassino. Avrebbe fatto di certo qualcosa di spettacolare se il suo intento era quello di essere ricordato.

 

“Chiamerò le forze speciali. Metterò sotto sorveglianza ogni scuola, ogni dormitorio, ogni centro per ragazzi. Non mi importa quanti agenti dovrò impiegare”. Disse Weiss più serio che mai estraendo dalla tasca il cellulare e iniziando a telefonare ai proprio collaboratori.

 

“Che facciano noi Beckett?”. Domandò Esposito alzandosi da terra e avvicinandosi alla donna.

 

“Aspettiamo la scientifica e poi andremo al distretto. Li con più calma penseremo al da farsi, è inutile farsi prendere falla foga del momento senza ragionarci sopra”. Disse osservando Weiss che gesticolava e urlava al proprio interlocutore.

 

Un ora dopo Lanie era già al lavoro sul cadavere mentre la scientifica si occupava di raccogliere impronte, fibre o quant'altro che ritenevano fuori luogo all'interno dell'attrazione. Castle se ne stava stranamente distante, notò Beckett. Non aveva fatto le sue solite battute, non era andato ad aiutare il medico legale ad osservare la vittima e dare le prime sue impossibili deduzioni. Lo scrittore se ne stava in piedi ad osservare gli ospiti del parco divertimenti a fianco.

 

“Ancora i postumi dell'incontro con Bradley?”. Domandò Beckett appoggiandogli una mano sulla spalla per poi mettersi di fianco a lui.

 

“Si e no”. Le rispose distrattamente l'uomo non distogliendo lo sguardo dalle montagne russe che volteggiavano a una velocità frenetica.

 

“Illuminami”. Lo invitò la detective a esprimere a parole il motivo per cui si stava crucciando.

 

“Era Bradley. Mi ha chiesto di fermarlo. Perchè l'ha fatto Kate?”. Le domandò andando finalmente a guardarla, dimenticandosi delle giostre che prima sembravano averlo rapito.

 

“Ci sfida Castle. É una cosa che abbiamo già constatato”. Andò in risposta senza sapere quanto successo in quel frangente tra lo scrittore e l'assassino.

 

“Non era un tono di sfida il suo. Mi stava supplicando di fermarlo”. Accennò a quanto accaduto l'uomo non riuscendo a dare risposta a quelle domande che gli affollavano la mente.

 

“Rick, una persona non uccide 6 persone per poi farsi prendere dai rimorsi. Avrai interpretato male le sue parole”. Esprimette il proprio pensiero la detective non trovandosi d'accordo con il ragionamento fatto dallo scrittore. Castle d'altro canto non si trovava d'accordo con lei. Non era stata li in quel momento, non aveva visto gli occhi di Bradley.

 

“E se fosse stata solo una pedina?”. Ipotizzò infine lo scrittore, dando cosi voce ai suoi dubbi.

 

“Non abbiamo mai avuto motivo di dubitare che ci fosse qualcun altro dietro. Ha sempre lavorato da solo, e poi l'hai detto tu stesso, non ricordi?!. Nelle lettere trovate sul blog, lui si era isolato dai rinnovatori. Era da solo”. Parlò Beckett non pensando minimamente a quell'evenienza. I fatti parlavano chiaro. Bradley aveva agito da solo, non c'era nessun altro, solo lui.

 

“Eppure...ho la sensazione che la faccenda sia più grande di quanto pensiamo”.

 

“Quando cattureremo Bradley sarà lui stesso a dircelo”. Chiuse cosi il discorso la detective allontanandosi dallo scrittore, il quale rimase ancora perplesso. Le parole di Bradley ancora vive nella sua testa. A chi poteva aver promesso un'opera simile.

 

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Povero Castle che brutto quarto d'ora che ha passato però, in compenso, ha scoperto qualcosina in più sull'assassino. Che cosa si cela veramente dietro questi omicidi?!. Eh, eh, lo scopriremo nella prossima puntata. Infatti nel prossimo capitolo, nonché penultimo, si avrà lo scontro finale con Bradley. A chi ipotizza un lieto fine mi dispiace ma un pochetto rimarrete delusi.

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Capitolo 23
*** 7° sacrificio ***


 

CAPITOLO 22

 

Erano le 19 di un piovoso sabato e i detective si trovavano al distretto già da diverse ore, Beckett, Castle e Weiss si erano presentati all'alba, seguiti poco dopo da Ryan ed Esposito, tutti pronti a lavorare sul prossimo omicidio. Anche Lanie era li per aiutare i colleghi a risolvere l'enigma del settimo sacrificio. La sera precedente l'aveva dedicata tutta a fare l'autopsia alla sesta vittima, senza fermarsi un attimo, controllando ogni minimo dettaglio. Come aveva intuito Weiss la donna era morta annegata. Analizzando l'acqua si era capito che questa proveniva da un acquario, per via delle sostanze trovate al suo interno, e cosi non fu difficile trovare il luogo dell'omicidio. I ragazzi della scientifica lo avevano controllato a fondo senza trovare nulla, i detective nemmeno si erano mossi per dare loro stessi un occhiata di persona, cosa sarebbe cambiato farlo adesso. Ora, perciò, si ritrovavano tutti davanti, con gli occhi inchiodati a quella lavagna, ognuno cercando quell'illuminazione che avrebbe salvato chissà quante vittime.

 

 

“Allora per quanto ne so io oggi le scuole sono chiuse, quindi io le escluderei. Inoltre colpendo una di quelle rischierebbe anche di uccidere delle bambine e visto che fino ad ora è stato cosi perfetto non credo commetta un errore simile proprio alla fine.”. Parlò per prima Lanie iniziando cosi a dare vita a una serie di ipotesi, sperando che tra queste ci fosse quella giusta.

 

“Ci sono le scuole private. Molti hanno classi solo di maschi, potrebbe essere una di quelle il suo obbiettivo”. Disse a sua volta Esposito dando un altra ottima supposizione. Beckett intanto annotava tutto alla lavagna, sempre per avere un quadro completo.

 

“I dormitori?”. Domandò Ryan.

“I ragazzi hanno alloggi privati e isolati da quelle delle ragazze. Anche quello potrebbe essere il posto perfetto”. Altra alternativa, altra scritta sulla lavagna. Castle ascoltava gli amici però non era convinto di quanto dicevano. Era tutto troppo scontato e l'assassino non avrebbe mai abbassato il suo livello di interpretazione facendo una cosa cosi ovvia.

 

“Nei dormitori ci sono solo adolescenti se non gente più adulta. Lui vuole bambini”. Smontò subito quella teoria Beckett senza togliere gli occhi dalla lavagna.

 

“Stiamo sbagliando strada”. Disse d'impulso Castle, c'era qualcosa che non lo faceva ragionare nello stesso modo dei colleghi.

“Mettiamoci nei panni dell'assassino. In ogni omicidio ha realizzato quasi alla perfezione ogni piaga e con questo cercherà la somiglianza assoluta. Se fossi in lui questo ultimo sacrificio sarebbe quello meglio congegnato”

 

“E cosa farebbe lei al posto dell'assassino, signor Castle?”. Lo stuzzicò Weiss.

 

“Volendo in tutti i modi emulare quanto scritto in quei versetti colpirei di notte, solo bambini di una certa età. Se fossi nell'assassino per non sbagliarmi li radunerei nello stesso posto, nello stesso momento, tutti insieme e solo allora colpirei. Uccidendoli tutti insieme in un colpo solo”. Dichiarò lo scrittore mettendosi momentaneamente nei panni di Bradley, avevano abbastanza informazioni su di lui tanto da potersi immedesimare. Più grande si pensava meglio era, se si voleva ragionare come l'assassino.

 

“Come con una bomba?. E come si potrebbe radunare abbastanza bambini tutti insieme, in un unico posto, di notte per di più”. Continuò Weiss non trovando minimamente allettante il ragionamento di Castle, per lui non aveva ne capo ne coda, una cosa simile era fuori discussione.

 

“Mi inventerei qualcosa per invitarli in un unico luogo, magari un concorso, una festa”. Tornò a ipotizzare lo scrittore considerando tutti gli eventi dove di solito partecipavano anche i bambini.

Intanto qualcosa in Beckett stava cambiando. Nonostante non avesse ancora parlato per concentrarsi più sulla lavagna di tanto in tanto ascoltava i pensieri espressi dei colleghi, in particolare quelli di Castle. Infatti fu proprio quanto detto da lui che azionò strani meccanismi nella sua testa, iniziò a collegare diversi eventi, fino a quando non giunse ad una conclusione che le sembrò la più plausibile.

 

“é tutta una farsa”. Disse fra se e se ma attirando nel contempo l'attenzione degli altri presenti.

 

“Beckett che succede?”. Domandò preoccupato Castle vedendola cosi assorta nei suoi pensieri, che gesticolava con le mani, facendo avanti e indietro per la lavagna parlando con se stessa.

 

“Ti adoro Rick”. Disse improvvisamente avvicinandosi a lui e dandogli un sonoro bacio sulla bocca per poi correre verso l'ascensore sotto gli occhi perplessi degli amici.

 

“Noi stiamo qua a ragionare sul 7° omicidio e lei se ne va a fare una passeggiata”. Commentò irritato Weiss vedendo il comportamento della detective, non sapendo in realtà il motivo che l'aveva spinta a quella strana reazione.

 

“Se ha fatto cosi c'è un motivo e quando tornerà ci spiegherà”. Andò a difenderla a muso duro Castle. Pochi minuti dopo la donna tornò su al distretto con la sua borsetta in mano.

 

“Pensa che il rossetto ci possa essere di qualche aiuto?”. Chiese retoricamente l'agente dell'fbi quando osservò Beckett iniziare a estrarre diversi oggetti dalla borsa fino a che non prese tra le mani un foglio.

 

“Colpirà qui”. Spiegò aprendo quel volantino sulla sua scrivania in modo che tutti potessero leggerlo, senza raccogliere minimamente la provocazione di Weiss.

 

“Un week end all'insegna del divertimento. Non capisco”. Disse Lanie leggendo l'intestazione di quel foglio e poi proseguendo lungo tutto il programma di quei due giorni.

 

“Circa una settimana fa Castle ed io stavamo camminando per la strada quando ci ferma un ragazzo e ci consegna questo volantino. Ci dice che stanno organizzando questi due giorni esclusivamente per bambini, dai 3 ai 12 anni, come c'è scritto sul foglio. Castle disse che aveva una figlia e ancora prima di specificarne l'età quel ragazzo aveva già detto che non l'avrebbero accettata. Solo maschi”.

 

“Mi sembra corretto. Un luogo dove sono presenti solo bambini, dove può agire senza problemi, indisturbato. Ha organizzato tutto lui apposta per creare il sottofondo adatto per il suo ultimo sacrificio”. Disse Castle aggiungendo ulteriori dettagli a quanto spiegato da Beckett in modo da convincere i presenti.

 

“A detta di Bradley domani mattina il sacrificio sarà già stato compiuto. Potrebbe essere la nostra sola ed unica possibilità di agire. Siete convinta?!. Se si sbaglia sarà troppo tardi”. Disse minacciosamente Weiss a Beckett che in quel momento si sentì il peso del mondo sulle spalle. Se si concentravano le ricerche li e poi si fosse rivelato un buco nell'acqua non avrebbero più avuto modo di far altre teorie e agire.

 

“Sono sicura”. Disse con voce decisa ma a Weiss questo non importava. Se la cattura fosse fallita con quelle parole la detective si era già assunta tutta le responsabilità del caso.

 

“Bene. Chiamo la squadra speciale e li faccio circondare l'edificio”. Informò l'agente gli altri 5, ma prima ancora di poter scrivere il numero Castle lo fermò.

 

“Tanto vale mettere degli striscioni che annuncino il nostro arrivo. Se ci facciamo notare potrebbe realizzare prima il suo piano. Meno siamo meglio è, passeremo inosservati se andiamo solo noi”. Alle parole dello scrittore Weiss iniziò a farsi pensieroso per poi accettare quel consiglio, senza però ringraziare Castle per quella dritta.

 

“D'accordo. Trovatemi una piantina dell'edificio e poi possiamo partire.”

 

*****

 

 

Dopo nemmeno un ora si trovavano sparpagliati davanti al palazzo. Era un vecchio centro congressi che d'estate diventava una piccola colonia per ragazzi, infatti al secondo piano le ampie sale erano state trasformate in accoglienti camere da 10 posti l'una. Weiss si era fermato davanti alla rete metallica, facendo finta di leggere un giornale, mentre osservava attraverso di questa l'ampio prato vuoto. Le luci incominciavano ad accendersi dentro l'edificio, segno che probabilmente, data l'ora, stavano cenando. Ryan e Esposito avevano fatto un giro del perimetro, cercando il luogo più adatto da dove poter entrare, evitando cosi di passare per l'ingresso principale, dove vi era stazionata una guardia. L'assassino aveva pensato a tutto, aveva organizzato tutto come se fosse veramente un week end di gioco e svago, guardandolo dall'esterno nessuno avrebbe avuto sospetti. Beckett e Castle invece se ne stavano in macchina ad aspettare qualunque segnale dai colleghi.

 

“Come pensi che li ucciderà?. Credi davvero che possa usare una bomba?”. Domandò Beckett al compagno non distogliendo lo sguardo dall'edificio.

 

“No, non credo.”. Gli rispose lui facendo spallucce, non aveva la minima idea di cosa sarebbe accaduto.

 

“Di certo in quel modo attirerebbe l'attenzione”. Continuò a dar vita a quell'ipotesi. Una bomba sarebbe stato il mezzo adatto, non avrebbe lasciato superstiti e di certo tutti se ne sarebbero ricordati.

 

“Quello si è ovvio”. Parlò lo scrittore dopo qualche minuto di silenzio.

“Ma non credo che lo farà. Attirerebbe fin troppa attenzione e poi non è come agirei io. Se vuole seguire come si deve l'ultimo segno la bomba è fuori discussione. Userà altro, qualcosa di meno fragoroso ma allo stesso tempo micidiale”. Proseguì con il suo dire agitato, continuava ad asciugarsi le mani sudate sui pantaloni, agitando continuamente i piedi.

 

Beckett iniziò a pensare a quello che sapeva sulle piaghe, a quello che aveva letto, sopratutto su quell'ultimo sacrificio. Doveva trasparire la perfezione in quell'omicidio quindi la bomba era da escludere, cosi anche una sparatoria. Il veleno era un ottima direzione, in fondo in due omicidi l'aveva utilizzato, la digitale e il cianuro, poteva ricorrere ancora a quelli.

 

“Li ucciderà nel sonno, quindi non credo che li somministrerà qualcosa in quel frangente. Se qualcuno si svegliasse salterebbe tutto.” Disse osservando il cellulare controllando che i colleghi non l'avessero cercata.

 

“Ok quindi cerchiamo un modo efficacie, ma allo stesso tempo silenzioso e che agisca per tutti allo stesso momento in modo che l'assassino sia sicuro che nessuno possa uscirne vivo”. Castlè iniziò a immaginare a tutti i modi possibili, ad ogni omicidio che aveva commesso nei suoi libri, ad ognuno di quelli che aveva assistito da quanto era entrato a far parte della squadra 4 anni prima.

 

“Quando abbiamo ispezionato la casa di Bradley, in una delle stanze, ho intravisto strane sostanze, polveri e liquidi, e vicino a queste c'erano delle mascherine. Hai presente quelli che si vedono nei laboratori chimici?!. Ecco c'erano quelle”. Lo informò di quel piccolo dettaglio sulla quale non aveva potuto indagare ulteriormente non avendo avuto il tempo necessario per farlo, dato che tutto quello era successo in poco tempo.

 

“Magari stava preparando qualcosa con quelle. ma cosa?”. Domandò Castle non intendendosi di quell'argomento.

 

“Qualche sostanza velenosa sicuro”. In quel momento il cellulare della donna squillò. Era Ryan che li invitava a raggiungere lui ed Esposito sul lato ovest del perimetro. Quando li raggiunsero con la macchina i due detective erano appoggiati a una rete, vicino a loro Weiss. Scesi dalla vettura si fecero aggiornare sulle novità

 

“Possiamo passare da qua. Questi alberi ci daranno copertura, poi faremo il giro dell'edificio e passeremo dall'entrata di servizio”. Disse Esposito indicando con il dito la direzione che avrebbero preso. Weiss intanto si era diretto alla macchina prendendo da questa la piantina dell'edificio per appoggiarla sul cofano della vettura.

 

“L'edificio è su tre piani, 4 se contiamo anche quello inferiore delle caldaie e cose simili.”. Iniziò ad esplicare l'agente.

 

“Pensiamo che possa avvelenare i bambini ma non sappiamo come”. Intervenne Castle osservando un perplesso Weiss.

 

“Veleno?. Visto che vuole colpire più persone direi qualcosa nel cibo o nell'aria. Facciamo cosi allora”. Invitò i quattro ad avvicinarsi di più a lui per spiegare il suo piano.

 

“Ryan ed Esposito voi occupatevi dei sotterranei, cercate qualunque cosa che sia fuori posto. Io controllerò il piano terra e di conseguenza le cucine, se ha messo qualcosa nel cibo lo scoprirò. Voi due controllate il terzo piano dove ci sono gli uffici e cercate Bradley. Il piano dei dormitori direi di lasciarlo da parte per ora, se ci facciamo vedere dai bambini potrebbe scoppiare il panico.”. Indicò l'agente facendo scorrere il dito lungo tutta la planimetria del palazzo. Annuendo i quattro si prepararono all'azione. Esposito si occupò della rete e quando questa fu tagliata entrarono nel giardino dell'edificio, nascosti prima dagli alberi e poi dal buio della notte che stava calando. Tenendosi bassi aggirarono le mura arrivando cosi alla porta di servizio. Ryan l'aprì lentamente, assicurandosi che nessuno fosse nei paraggi, e poi entrò, seguito dagli altri. Weiss senza aprire bocca fece segno ai due detective di procedere verso i piani inferiori mentre indicò il soffitto a Beckett e Castle per invitarli a salire fino al piano degli uffici. Quando i quattro presero le loro strade lui si diresse per i corridoi di quel piano.

 

****

 

Weiss, con la pistola in mano, camminava a passi leggeri dirigendosi verso le cucine. Le luci erano spente quindi si muoveva con cautela fino a che non girò l'angolo e sentì delle voci. Sbirciò da questo e vide le cucine e al loro interno diversi ragazzi muoversi, portando con se piatti e bicchieri. Senza farsi sentire si avvicinò all'entrata di quella stanza e alzando l'arma varcò l'entrata.

 

“Alzate le mani e nessun movimento improvviso”. Ordinò vedendo due ragazzi e una ragazza che da sorridenti che erano prima ora erano completamente impietriti per la paura.

 

“Quali sono i piani di Mikael?”. Chiese diretto sempre tenendo puntata la pistola verso di loro.

 

“Non conosciamo nessun Mikael”. Rispose uno dei due ragazzi tremando.

 

“Non vi conviene prendermi in giro. Mikael ha organizzato tutta questa farsa. Ora rispondetemi, cosa ha in mente?”. SI fece più minaccioso, avvicinandosi ancora più a loro, togliendo la sicura dalla pistola.

 

“é la verità non conosciamo nessun Mikael. Un signore, un certo Bradley, ha reclutato noi tre e altri 7 tra ragazzi e ragazze davanti all'università offrendoci un lavoro di animatori per questo week end.”. Dichiarò la ragazza che ora aveva le lacrime agli occhi mentre teneva le mani più in alto che poteva. Weiss intuì che anche questi giovani erano all'oscuro di tutto quindi abbassò l'arma e continuò a chiedere.

 

“Che vi ha detto per l'esattezza?”. Intanto, per rassicurarli, ritirò la pistola dietro la schiena. L'altro ragazzo che era rimasto in silenzio fino a quel momento si sistemò gli occhiali ed andò a raccontare.

 

“Ci paga 200 dollari a testa per questi due giorni. Dobbiamo semplicemente controllare questi 50 bambini, fargli fare attività, laboratori, ognuno di noi ha un compito diverso.”

 

“Chi ha cucinato?”. Domandò avvicinandosi alle pentole ancora sporche posate sui fornelli.

 

“Io e altre due ragazze”. Rispose la giovane osservando il fare dell'agente piena di domande.

 

“E la spesa chi l'ha fatta?”. Continuò a chiedere Weiss, tornando a guardare i tre.

 

“Sempre noi tre ragazze”. Parlò ancora la giovane.

 

“Come sono stati disposti i bambini per la notte?”. L'agente li tempestava di domande ma voleva sapere tutto, ogni movimento di Bradley, ogni cosa che aveva organizzato, ogni dettaglio gli serviva per capire quali erano le sue intenzioni.

 

“Sono a dormire nelle stanze del secondo piano”. Rispose il primo ragazzo che sentendosi sfinito andò a sedersi ad una delle sedie vicino al tavolo.

 

“Si ma c'è qualche disposizione particolare?”. Insistette l'agente spazientito.

 

I ragazzi si guardarono perplessi, quasi non avessero capito la domanda che era stata appena loro posto. Poi la ragazza prese la parola.

 

“I gruppi li ha fatti il signor Bradley però, appena i bambini sono arrivati, ha fatto una cosa strana. Ha chiesto chi fosse figlio unico o chi fosse un fratello maggiore e poi ha preso i loro nomi. Ha insistito che, chiunque risultasse su quella lista, dormisse nella stessa stanza.”

 

“Quale stanza?”. Domandò quasi urlando Weiss estraendo la pistola, pronta a salire ai piani superiori.

 

“La numero 27”. Indicò con il dito il ragazzo quasi come se la porta fosse li vicino a loro. L'agente ricordando loro di non fiatare si diresse verso le scale, intenzionato ad entrare in quella stanza.

 

 

******

 

Ryan ed Esposito si muovevano tenendo la schiena contro il muro, illuminando le scale tramite una piccola torcia. Non si preoccupavano di esser visti, li di certo non avrebbero incontrato nessuno. Superarono l'area adibita alla lavanderia, diversi sgabuzzini e infine arrivarono alla caldaia. Entrarono in quella e si misero a cercare qualunque cosa risultasse strano ai loro occhi.

 

 

“Ehi Esposito guarda”. Lo chiamò Ryan illuminando l'impianto di ventilazione che spariva nel muro. Il fascio di luce però scese, seguendo un tubo che vi era stato saldato contro, fino ad arrivare al generatore. Un altro tubo saldato portava a uno strano macchinario posato contro di esso. Dentro due grossi cilindri di vetro c'era uno strano liquido giallognolo e sotto questi cilindri due fornelletti spenti. Infine, su un lato, un dispositivo a comando a distanza.

 

“Che cos'è tutta questa cosa?”. Chiese l'irlandese rivolgendosi all'amico nella speranza che lui lo illuminasse.

 

“Non ne ho la più pallida idea, ma è meglio non toccare nulla per adesso. Cerchiamo gli altri”. Disse Esposito riprendendo la direzione per la quale erano venuti fin li.

 

*******

 

Beckett e Castle erano arrivati al secondo piano. Illuminati da una torcia due ragazzi parlavano a bassa voce mentre camminavano avanti e indietro, appoggiando l'orecchio su ogni porta, controllando che tutti gli occupanti non si mettessero a parlare o ad ascoltare musica ad alto volume rischiando cosi di disturbare gli altri. Approfittando del momento in cui questi gli davano la schiena percorsero correndo il pianerottolo fino ad arrivare alla successiva rampa di scale. Arrivati al terzo piano si trovarono di fronte a un altro corridoio avvolto dalle tenebre. Fu però facile individuare la stanza occupata dall'assassino. Aveva la porta aperta e la luce si specchiava sul pavimento. Si mossero con cautela, per evitare di far qualunque rumore e mettere cosi in allarme Bradley. Arrivati alla porta Beckett osservò per una frazione di secondo Castle, il quale tirando un profondo respiro annuì, facendole capire che era pronto.

 

“Nicholas Bradley, lei è in arresto per aver commesso 6 omicidi e il tentato omicidio di tutti i presenti all'interno dell'edificio.” La detective lo teneva sotto tiro, pronta a sparargli se avesse compiuto anche solo una mossa falsa. Nick li aveva visti entrare. Era rivolto con la schiena verso la porta ma davanti a se vi era una parete interamente costituita da una finestra perciò aveva visto le loro figure riflesse nel vetro. Lentamente si voltò, portando le mani sopra al capo, facendosi vedere per la prima volta dalla donna.

 

“Salve Detective Beckett, buonasera scrittore, che piacere rivederla”. Salutò con un tono di voce cosi freddo che fece venire i brividi ai due. Era veramente cosi privo d'anima?. Castle conservava nel profondo ancora molti dubbi.

 

“In effetti è un immenso piacere. Finalmente ti abbiamo catturato”. Disse lo scrittore trionfante, rilassandosi nel vedere che l'assassino sembrava essersi arreso, inoltre sulla sua scrivania non vedeva alcun tipo di arma quindi non era intenzionato ad agire contro di loro. Nick inarcò la parte destra della bocca in un sorriso di sfida, aveva in mente qualcosa, ipotizzò Beckett che ancora non aveva abbassato la pistola ma la teneva puntata alla testa dell'uomo.

 

“Non è cosi semplice. Vi conviene sedervi oppure potrete dire addio a tutti quei bambini”. Con tutta calma l'assassino abbassò le braccia e si mise seduto sulla propria poltrona indicando poi ai due di fare lo stesso quando vide che non si muovevano. Beckett percependo il pericolo che stavano correndo abbassò la pistola, ma la tenne sempre sicura tra le mani, pronta ad usarla in qualsiasi momento. Quando vide che si erano accomodati, l'assassino, cominciò a parlare prendendo un piccolo telecomando.

 

“Vedete questo insulso aggeggino?! Basta che premo questo pulsante per far scattare un impianto di mia creazione e in un attimo in una delle stanze sotto ai nostri piedi si spargerà nell'aria un potente gas nervino. Nel giro di pochi minuti tutti quei poveri angioletti moriranno soffocati”. Comunicò loro ridendo divertito alla fine della frase. Beckett premette cosi forte la mano contro il calcio della pistola che non si sarebbe stupita se fossero rimasti impressi sulla pelle i decori dell'impugnatura. Castle invece fu più impetuoso. In un attimo si alzò dalla sedia e si sporse sulla scrivania afferrando per il collo della maglietta l'uomo che mostrandogli di nuovo il telecomando lo minacciò.

 

“Attento scrittore, mi ci vuole la minima pressione per far avviare il motore e una volta partito non c'è modo di fermarlo”. Castle vide l'apparecchio essere ondulato davanti ai suoi occhi e seppur la rabbia era molta dovette mollare la presa e tornare a sedersi.

 

“Bravo scrittore, cosi si che andiamo d'accordo”. Pronunciò l'assassino rimettendosi a posto l'indumento e riacquistando il suo autocontrollo.

 

“Spiegami le tue parole. Mi hai detto che dovevo fermarti, che era il mio destino. Come posso farlo?”. Domandò Castle ripensando alla conversazione che avevano avuto vicino casa dell'assassino.

 

“Tutto ha un prezzo. Dovete meritarvi la mia resa. Allora come avete fatto a capire il nesso tra gli omicidi?. Come mi avete trovato?. Avanti sono curioso di sapere”. Li invitò l'uomo a raccontare come avevano fatto a giungere a tutte quelle conclusioni che li avevano portati fino a li.

 

“Ciò che legava gli omicidi l'ho scoperto per caso. Pensavamo a trovare un rapporto tra le vittime e solo dopo abbiamo capito che non ce n'era nessuno, che erano casuali. D'un tratto poi ho avuto l'ispirazione, ho ripensato a quanto scrivevi nelle lettere e son riuscito a ricollegare con le piaghe. Ma ammetto che è stato un colpo di fortuna”. Riassunse Castle in poche parole il lavoro svolto in due settimane di indagini.

 

“Da questo punto di vista mi avete un po' deluso, pensavo che due grandi persone quali siete voi avrebbero capito prima il perchè, ma come si dice meglio tardi che mai. E invece, come avete scoperto che avrei colpito qui?”. Continuò con il suo terzo grado. Voleva avere la conferma di aver scelto dei degni avversari.

 

“é stato più facile”. Intervenne Beckett.

“Un ragazzo per strada ci diede un volantino esplicativo di questo week end. Quando abbiamo capito che l'ultimo segno era la morte di bambini ho ricollegato tutto quanto”. Raccontò la donna tenendo lo sguardo fisso sul telecomando, pronta a prenderlo appena lui si fosse distratto.

 

“E siete arrivati giusto in tempo. Ne sono felice, volevo avervi qui questa sera”. Disse l'assassino alzandosi, osservando Beckett, attento a ogni movimento della donna. Sapeva che non gli avrebbe sparato per non correre il rischio di azionare il meccanismo ma doveva lo stesso essere cauto.

 

“Visto che siamo qua perchè non chiarisci tutti i dubbi che mi hai fatto sorgere?”. Domandò Castle sia per acquistare tempo sia per colmare la sua curiosità a riguardo.

 

“Quali dubbi?”. Rispose con un altra domanda l'assassino, anche se sapeva benissimo di cosa stava parlando lo scrittore.

 

“Qualche giorno fa, sotto casa tua, mi hai detto che tutto questo l'hai fatto per onorare una promessa. Visto che tutto sta per finire perchè non delucidarci anche su questo ultimo particolare, in fondo non è quello che vuoi?, far capire il motivo delle tue gesta”. Castle l'aveva intuito, lo stesso Nick l'aveva fatto capire più e più volte, la vanità era uno dei suoi punti deboli.

 

“Prima che partissi per la guerra, quando non avevo nemmeno 25, entrai in contatto con un gruppo di persone”. Iniziò a raccontare anche se Castle non capiva perchè partisse da cosi indietro. Che quella storia fosse iniziata quasi dieci anni prima.

 

“I Rinnovatori?” Osò Beckett.

 

“Esatto. Quando tornai in America ferito più nello spirito che nel corpo queste persone mi stettero vicine. Mi insegnarono molte cose, feci pace con me stesso e alla fine capii che dovevo ricompensarle e quale modo migliore se non portare il mondo a conoscenza della loro esistenza?”. Nelle sue parole si poteva capire l'amore che provava per quelle persone, il debito che sentiva di aver verso di loro, la tenacia che l'aveva accompagnato fino a quel momento.

 

“Li ritrovai la mia famiglia, famiglia che mi ha abbandonato quando ho proposto loro il mio progetto e cosi ho agito da solo”. Beckett lo guardò stupita, non tanto per quello che diceva ma per quello che non aveva percepito in quel frangente. Doveva esserci odio nelle sue parole, rancore per quel tradimento, eppure quel sentimento mancava. Come mai?, si chiese.

 

“Solo una persona mi sostenne, mi diede la forza necessaria per agire.”. Concluse. Castle approfittò di quel momento di pausa per continuare a porgli domande.

 

“é a lui che l'hai promesso?”

 

Nick lo guardò con un espressione cupa, i suoi lineamenti prima duri si erano rilassati, ora era triste.

 

“Lui mi ha dato la vita, due volte, e quando mi ha chiesto aiuto non ho potuto negarglielo. Tutto questo l'ho fatto per lui”.Spiegò guardando il telecomando che aveva tra le mani. Beckett pensò che quello era il momento migliore per agire, l'assassino era come assorto nei suoi pensieri e toccare quel tasto sembrava mutare la sua natura.

 

“Quindi tu non volevi farlo?. Sei stato costretto ad uccidere?”. Domandò la detective ritirando la pistola cosi da aver più libertà di agire.

 

“Il piano era mio, tutto questo è stato organizzato e voluto da me. Lui mi ha dato solo la spinta finale”. Nick ormai non prestava più attenzione ai due seduti davanti a lui. Sapeva che era un errore ma la sua mente era tutta concentrata sul ricordo di quella conversazione avuta ormai un anno addietro. Il motivo per cui tutto quello aveva avuto inizio.

 

“Eppure credo che tu non voglia portarlo a termine non è cosi?. Non hai il coraggio di premere quel pulsante, non è vero Nick?”. Domandò Castle alzandosi dalla sedia ma non muovendo un passo nella sua direzione. Beckett lo guardò sconvolta. Come poteva sfidarlo a quel modo?. Rick era impazzito, con quelle sue parole aveva segnato la fine di quei bambini. Osservò l'assassino che sogghignando faceva scorrere il pollice sopra il pulsante del telecomando.

 

“Da cosa lo pensi?”. Chiese all'improvviso.

 

“da quello che ho visto, da quello che vedo ora. Quando mi hai chiesto di fermarti, mi hai supplicato di farlo, senza contare che ora hai avuto più volte la possibilità di azionare il macchinario eppure non l'hai ancora fatto. Non credo tu sia capace di farlo, almeno non questo omicidio”. Spiegò Castle ciò che pensava del giovane davanti a lui. Bradley sentendo quelle parole andò a guardarlo, stava piangendo.

 

“La guerra mi ha insegnato ad affrontare ogni tipo di orrore, mi ha privato dell'anima. É stato relativamente facile con gli altri omicidi ma questo l'ho sottovalutato. Negli ultimi giorni i dubbi hanno affollato la mia mente”. Rivelò le sue paure, i suoi timori a Castle quasi fosse il suo migliore amico pronto ad ascoltarlo e a sostenerlo.

 

“Per questo mi ha chiesto di porre fine a tutto ciò, volevi qualcuno che ti obbligasse a farlo visto che da solo non potevi, perchè avresti tradito la promessa fatta. ”. Continuò Castle avanzando di un passo verso l'assassino che però, accorgendosi delle sue intenzioni, lo fermò stendendo il braccio verso di lui.

 

“è stato un ottimo acquisto per la vostra squadra”. Disse rivolgendosi a Beckett che annuì prima di tornare a parlare, dopo aver assistito da spettatrice al colloquio tra i due.

 

“Tutto questo può finire qui, adesso. Metti giù il telecomando e lascia che ti arrestiamo. Ti prometto che farò in modo di non mandarti in uno di quei carceri duri, magari, visto che so che collaborerai con noi, riuscirò a farti mettere in una struttura sanitaria. Che ne dici?”. Gli propose non sapendo se alla fine avrebbe mantenuto quella promessa, ma in quel momento avrebbe fatto di tutto per convincerlo a non concludere l'ultimo atto della sua opera. Quando vide che Bradley non accennava nessuna risposta Castle tornò in azione.

 

“Hai adempiuto alla tua missione, le tue gesta sono riconosciute in tutta la città, ogni giornale scrive di te, sei l'argomento più parlato nei bar. Non è necessario che continui, il tuo scopo l'hai raggiunto”

 

“Non te lo stai meritando scrittore. Cosi non riuscirai a fermarmi”. Lo guardò di nuovo l'assassino che non riusciva a dare un freno alle sue lacrime.

 

“Allora fallo, coraggio, premi quel pulsante e uccidi tutti quei bambini, realizza ciò avevi detto, alle prime luci del secondo giorno la mia opera sarà completa. Sono parole tue o no? Procedi, poni fine a tutte quelle vite, punisciti come meritiamo”. Lo incitò Castle con un tono di sfida. Beckett cercava di fermarlo tirandolo per un braccio ma fu tutto inutile, lo scrittore era deciso a usare quella tattica.

 

“Mi stai dando il permesso di farlo scrittore?”. Domandò incredulo l'assassino, quello si che non se lo sarebbe mai aspettato.

 

“Io non do alcun permesso. La vita è tua cosi come la decisione di procedere è la tua. Ma come noi vivremo con quegli innocenti sulla coscienza tu sentirai quel peso dieci, cento, mille volte più di noi. Noi abbiamo fatto tutto quelle che potevamo ma sarai tu che premerai quel pulsante”.

 

“Ho ucciso più persone di quante tu immagini, pensi che cinquanta in più facciano qualche differenza?”. Domandò retoricamente Nick avvicinandosi di qualche passo ai due, posando la mano che teneva il telecomando sul ripiano della scrivania.

 

“Sono solo bambini Nicholas”. Gli ricordò lo scrittore facendo leva sulla compassione, sperando di riuscire ad intaccare il cuore dell'assassino.

 

“Sono il mio ultimo sacrificio”. Andò a rispondere diretto, deciso, senza dar modo di ribattere.

 

“Allora prendi me al loro posto”. Si offrì Castle allargando le braccia, facendogli capire che era pronto ad essere colpito, che era convinto di quello che diceva.

 

“Cosa?”. Dissero insieme Bradley e Beckett voltandosi verso lo scrittore.

 

“Ho tutti i requisiti che cerchi. Sono primogenito e ho sangue innocente, sono una vittima non programmata, che non rientrava nei tuoi piani. Uccidi me ed adempirai alla tua promessa.” Disse con voce ferma che però non rifletteva il tumulto che aveva all'interno della testa, la quale gli diceva di rimangiarsi le parole appena dette e scappare.

 

“Rick non è il momento di fare l'eroe. Qua non si tratta di noi, sicuramente non di te, dobbiamo pensare ai bambini. Non voglio perderti cosi, per colpa del tuo stupido orgoglio.”. Gli disse supplicandolo Beckett, mettendosi tra lui e l'assassino, parlandogli con voce rotta ma al tempo stesso tesa e arrabbiata, non gli avrebbe permesso di fare una cosa simile. Bradley dal canto suo invece non diceva nulla, guardava ammagliato la sua forza di coraggio. Fissò il telecomando ancora una volta e sorrise, veramente felice dopo tanto tempo.

 

“L'ultima piaga”. Cominciò a parlare attirando l'attenzione dei due che sembravano essersi dimenticati della sua presenza.

“La morte dei primogeniti maschi si sarebbe potuta benissimo evitare. Mosè andò ancora dal faraone chiedendogli un ultima volta quel sacrificio, rinunciare a uno dei beni più grandi dell'Egitto, gli schiavi, ma lui si rifiutò e per questo venne punito”. Enunciò ai due quanto aveva appreso nei sui studi, quei passi che cosi tanto l'avevano attirato e gli avevano dato l'idea per quella sua opera. Tornò a guardare Castle, dritto negli occhi, mostrando l'ammirazione che provava ora per lui.

 

“Tu invece sei pronto a sacrificare la tua vita, una delle cose più importanti che hai, per persone che nemmeno conosci. Con te la mia opera sarebbe portata a termine e che conclusione avrei. Ma come ho detto bastava quel gesto di rinuncia per far terminare le piaghe e a differenza del faraone tu hai avuto il coraggio di agire.”

 

“Quindi finisce cosi?”. Chiese speranzoso Castle mentre abbassava le bracciava. Nick sorridendo ancora scrollò la testa e voltò leggermente il capo, ad osservare la pioggia che ancora si abbatteva sulla città, le cui gocce si vedevano colare lungo i vetri della finestra.

 

“No. La fine è un altra”. Disse appoggiando il telecomando sulla scrivania.

 

“Se non fossimo intervenuti noi avresti premuto quel pulsante?”. Chiese Castle quando notò che l'assassino l'aveva posato.

 

“é una cosa che non sapremo mai”. Rispose dando di nuovo le spalle ai due. Beckett osservò il viso dell'uomo riflesso nel vetro. Le palpebre che battevano velocemente mentre cercava di fermare le lacrime che però continuavano a rigargli il viso, il petto che si faceva sempre più gonfio per via dei profondi respiri che faceva, le mani che gli tremavano cosi come la bocca. In quel momento la detective capì.

 

“Non farlo”. Ordinò staccandosi dallo scrittore e avvicinandosi a Nick lentamente. Questi sentendola parlare voltò il viso in sua direzione.

 

“Grazie per avermi dato questa possibilità. Vi chiedo solo un favore. Ditegli che gli voglio bene e che lo perdono”. Ora non piangeva più, era estremamente serio, pronto a compiere l'atto finale.

 

La detective fece altri passi in sua direzione, con l'intenzione di afferrarlo per il braccio e trascinarlo al centro della stanza. Nick vedendola sorrise e un istante dopo corse contro il vetro attraversandolo, per un secondo gli sembrò di vibrare nell'aria, poi percepì la caduta e infine più nulla, in quell'istante, poco prima di morire, non sentì più quel dolore che lo aveva accompagnato per tutta la vita.

 

Beckett e Castle si avvicinarono alla vetrata distrutta e guardarono giù, vedendo il corpo di Bradley immobile sull'asfalto. Pochi secondi dopo un'altra persona si avvicinò al cadavere. I due riconobbero Weiss che, intento a capire da dove era caduto l'uomo, alzò lo sguardo e li vide.

 

“Dobbiamo andare”. Disse semplicemente Beckett senza distogliere lo sguardo da terra.

 

“Dove?”. Domandò Castle preferendo guardare lei che la scena sottostante.

 

“A parlare con la persona a cui Bradley aveva promesso tutto questo”. Disse osservando un ultima volta Weiss prima di allontanarsi dalla finestra.

 

------------

 

Ed ecco che grazie a un intuizione di Beckett scoprono il luogo dove Bradley vuole colpire e ovviamente arrivano in tempo per fermarlo. Dalla conversazione avuta con l'assassino si è scoperto un particolare molto interessante e alla detective ci è voluto ben poco per capire chi fosse la seconda persona dietro tutto questo. Tutto sommato però l'assassino un po' d'anima ce l'aveva ancora. Il prossimo capitolo sarà l'ultimo e i nostri due protagonisti faranno una chiacchierata con questo nuovo “sospettato” ed anche quello sarà un capitolo malinconico ma per Castle e Beckett ovviamente finirà bene, promesso.

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Capitolo 24
*** Cosi la storia finisce ***


 

CAPITOLO 23

 

 

Prima ancora che potessero raggiungere la macchina Weiss li fermò e ricordò loro che il lavoro li non era ancora terminato. Beckett seppur infastidita dovette dargli ragione, d'altronde non c'era alcuna fretta, era sicura che il mandante di quegli omicidi non si sarebbe mosso dalla propria casa.

 

“L'ambulanza sta arrivando per prelevare il corpo, che ne facciamo dei bambini?”Domandò Ryan che insieme ad Esposito aveva raggiunto i tre vicino al corpo di Bradley e si erano fatti raccontare quanto era accaduto in quell'ufficio.

 

“Direi di non dire nulla. A prelevarli cosi di notte, mentre dormono, creerebbe solo agitazioni. Weiss ha già chiamato una squadra speciale per dare un occhio al marchingegno che avete trovato nei sotterranei. Lasciamo che questo week end prosegua come era stato programmato”. Suggerì Castle ottenendo l'approvazione di tutti. Ormai era notte inoltrata ma per fortuna nessuno si era accorto di quanto stava per accadere. Una decina di poliziotti erano entrati nell'edificio e avevano spiegato agli animatori che era stata segnalata una fuga di gas all'interno della struttura, ma che dopo i dovuti controlli tutto era tornato alla normalità e loro potevano procedere con il proprio lavoro. Lanie intanto era arrivata sul luogo e l'unica cosa che fece fu quella di confermare il decesso dell'uomo e acconsentire al trasporto in obitorio.

 

“Come state?”. Chiese una volta finito a Beckett e Castle i quali, incuranti della pioggia, se ne stavano ancora in mezzo alla strada, ormai completamente fradici.

 

“Pensavo che una volta trovato Bradley sarei stato meglio ma non è cosi. In un certo senso non mi pare giusto il modo in cui è finita questa storia”. Confessò Castle stringendosi nella sua giaccia, iniziando a sentire brividi di freddo.

 

“E tu Kate?”. Chiese diretta il medico legale alla detective che non le aveva ancora risposto.

 

“Starò bene quando anche l'ultimo tassello di questa vicenda sarà andato a posto. Abbiamo ancora un arresto da compiere”. Rispose a Lanie non rivelando oltre delle supposizioni che aveva macchinato in quelle ultime ore. Aveva avuto modo d riflettere con mente lucida su ogni evento e alla fine quello che aveva intuito le sembrò la giusta soluzione del caso. Bradley, come aveva fatto capire, non aveva agito completamente da solo e lei aveva scoperto chi altri c'era dietro a tutta questa storia. Finalmente, alle prime luci dell'alba, Weiss diede loro il permesso di tornare a casa, invitandoli però a presentarsi in ufficio quella mattina stessa per erigere tutti i rapporti e verbalizzare quanto successo tra loro due e l'assassino. Mentre tutti gli altri si concessero qualche ora di sonno Beckett e Castle si fecero una doccia bollente, si cambiarono i vestiti e uscirono di nuovo per strada. Lo scrittore aveva ancora dei dubbi su dove la donna lo stava portando ma quando lei gli chiese di prendere il foglietto sulla quale era appuntato l'indirizzo della sede dei Rinnovatori capì tutto. Arrivarono nel parcheggio dove l'autista li aveva fatti scendere durante la loro prima visita e subito riconobbero la porta d'ingresso. Bussarono e videro nello spioncino i soliti occhi e quando l'uscio si spalancò vennero invitati ad entrare dal solito ragazzo. Castle lo guardò ancora, solo che questa volta sapeva benissimo chi fosse.

 

“Eri tu quel giorno per strada?. Il giovane che ci ha consegnato il volantino riguardante il week end organizzato da Mikael.” Chiese al giovane in cerca di conferma. Questi parlando a bassa voce, forse per non farsi sentire dagli altri, si rivolse ai due.

 

“Nick mi aveva chiesto di farlo. Voleva che vi dessi una mano per trovarlo. Vi ho seguiti fin fuori dal distretto e poi vedendovi per strada ho colto l'occasione”. Rivelò il giovane che in cambio ricevette una pacca sulla spalla dallo scrittore che poi si apprestò a seguire Beckett attraverso le stanze fino a giungere a quella che loro interessava. Fuori da questa notarono Robert, il servitore di Leonard, in piedi come se li stesse aspettando.

 

“Ha saputo della morte di Mikael e mi ha cacciato fuori, ma sono certo che con voi vorrà parlare”. Disse aprendo la porta cosi che potessero entrare nello studio ma prima Beckett doveva porgergli ancora una domanda.

 

“Come ha fatto a saperlo?. I giornali non saranno ancora usciti”.

 

“Abbiamo molte conoscenze in molti ambiti”. Rispose rimanendo sul vago ma alla detective quell'informazione bastava, ai fini dell'indagine non sarebbe servito a nulla quel dettaglio.

 

Quando entrarono la porta si richiuse subito dietro di loro e ai loro occhi si palesò Leonard, tremante sulla propria sedia mentre tra le mani teneva una fotografia. Non sembrava nemmeno essersi accorto del loro arrivo.

 

“Credo che lei ci debba delle spiegazioni Leonard o dovrei chiamarla con il suo vero nome?”. Chiese Beckett avvicinandosi alla scrivania. Castle provava pena per quell'uomo che dal loro precedente incontro sembrava essere invecchiato di dieci anni.

 

“Come avete fatto a capire che c'entravo anche io con questi omicidi?”. Domandò posando quella foto sulla scrivania. Lo scrittore si avvicinò per osservarla. Erano una giovane donna e un bambino che non aveva avuto più di quattro anni.

 

“Ebbi una conversazione con Castle in cui lui si lamentava di quanto riportato sui giornali, dettagli inventati per attirare più lettori possibili. Mi ricordo che gli risposi che solo i diretti interessati sapevano la verità, quindi noi e l'assassino.”. Cominciò a parlare la detective cosi da rispondere all'uomo che ora la osservava, sudato e con un pesante mal di testa.

“Poi ripensai a quanto era saltato fuori durante il nostro colloquio. Aveva affermato di leggere i giornali e quindi di sapere come si erano svolti gli omicidi peccato che, a differenza dei vari articoli usciti, lei mi descrisse una scena del crimine alla perfezione, con dettagli che non erano stati specificati in nessun giornale”. Concluse la donna iniziando a spiegare le prove che l'avevano condotta fino a li.

 

“Solo questo mi ha tradito?. Uno stupido errore”. Sogghignò l'uomo versandosi dell'acqua nel bicchiere davanti a se, rovesciandone più fuori che dentro il contenitore di vetro, vedendolo in difficoltà Castle decise di aiutarlo e versò lui il liquido.

 

“Nicholas ha anche rivelato di aver contatti con i Rinnovatori e qui di aver trovato la sua famiglia. In particolare ha parlato di un uomo, che l'ha sostenuto, che l'ha introdotto a questo gruppo, che gli ha dato la vita due volte”. Beckett ora si trovava attaccata alla scrivania e fissava l'uomo sul cui volto si poteva leggere un infinita sofferenza.

 

“E chi si prende cosi cura di un giovane se non un padre”. Dichiarò infine la detective, parlando chiaro su quale fosse stata la sua intuizione.

 

“Quando sua madre è stata uccisa mi son cosi concentrato sui Rinnovatori che ho iniziato a trascurare Nicky, sapevo che era un errore e cosi lo affidai a mio cognato, pregandolo di non dirgli mai chi fossi, che l'avrei cercato io quando fossi stato pronto.” Raccontò Leonard portando poi il bicchiere alla bocca e bevendo per bagnarsi la gola secca.

 

“Quando aveva 24 anni lo contattai ma solo dopo che tornò dalla guerra gli rivelai la mia vera identità. Da quel momento abbiamo fatto di tutto per recuperare quel rapporto padre e figlio che tanto desideravamo entrambi”. Castle che fino a quel momento era stato in silenzio si intromise avendo qualcosa da chiedere anche lui.

 

“E poi cos'è cambiato? Perchè ha fatto commettere a suo figlio quegli atroci omicidi?”. Lo scrittore non si preoccupò di trattenere la propria indignazione anche se si trovava davanti a un uomo anziano, il quale aveva appena perso un figlio. Per qualche secondo cercò di rivolgersi a Leonard con calma ma alla fine la rabbia prese il sopravvento, lui non avrebbe mai chiesto ad Alexis di fare male nemmeno a una mosca.

 

“I tempi stanno cambiando, tutto quello che avevo costruito in questi trent'anni si stava sgretolando tra le mie mani, non volevo perdere la mia famiglia e cosi chiesi a Nicky di trovare una soluzione, in quanto sarebbe stato il mio successore”. Tornò ancora a bere per riprendere fiato, questa volta però insieme all'acqua inghiottì anche una delle pastiglie che erano disposte sulla scrivania.

 

“E cosi suoi figlio gli ha proposto questi omicidi e lei accettò”. Finì la frese per lui Castle, Leonard semplicemente annuì.

 

“Non potevamo però fare tutto alla luce del giorno, gli insegnamenti che davo erano contro queste azioni e cosi inscenammo l'allontanamento dalla nostra famiglia. In realtà però mio figlio mi teneva continuamente aggiornato. Volevamo solo riportare i Rinnovatori agli antichi splendori”. Disse tramando, nascondendo il volto tra le mani, singhiozzando.

 

Castle e Beckett approfittarono di quel silenzio per rimettere in ordine le loro idee. Lo scrittore si avvicinò alla donne sussurrandole in un orecchio cosicchè solo lei potesse sentire.

 

“Mi chiedo se sia un pazzo o cosa”.

 

“é solo un uomo disperato Castle”. Disse la detective continuando ad osservare l'anziano. Castle non riusciva a provare tutta quella compassione che la donna invece sentiva nei confronti di Leonard, lui era colpevole come lo era Mikael.

 

“6 persone innocenti sono morte solo per il vostro desiderio di grandezza inoltre se non fossimo arrivati in tempo a quest'ora si sarebbero contati anche dei bambini tra le vittime”. Continuò lo scrittore aggirando la scrivania, costringendo Leonard a guardarlo in volto girandogli la sedia verso di lui.

 

“Nicholas non l'avrebbe mai fatto. Non li avrebbe mai uccisi”. Rivelò la verità ai due urlandogliela in faccia, dicendo quello che Mikael non era riuscito a confidare.

 

“Cosa?”. Chiese Castle pensando di non aver capito bene.

 

“Mi chiamò qualche giorno fa, confidandomi i suoi dubbi, dicendomi che non voleva più andare avanti. Comprendemmo che eravamo andati troppo oltre quando ormai era tardi. Mi aveva fatto una promessa e io gli diedi il permesso di fare tutto ciò che poteva per scioglierla”.

 

“E cosi lei ci ha cercati, ci ha rivelato il nome di Mikael in modo che potessimo fermarlo. Ci ha consegnato suo figlio”. Parlò Beckett dicendo quello che l'uomo non aveva forza di spiegare. Da un punto di vista quella storia era assurda. Due assassini che si pentono e alla fine aiutano la polizia per essere rintracciati e fermati. Quelli che alla fine erano sembrati segni di sfida in realtà erano indizi per scoprire la verità.

 

“Coma ha potuto suo figlio promettergli tutto questo?”. Domandò curioso Castle. Seppur un figlio doveva rispettare il proprio genitore questo andava al di fuori di ogni canone. Leonard non rispose, mise le mani sulla scrivania e iniziò a giocare con le pastiglie.

 

“Sà ho fatto delle ricerche sulla medicina che prende”. Intervenne Beckett vedendo quel suo strano gesto.

“Quando mi son avvicinata a lei la prima volta lessi il nome sulla scatola “Matadan”. É un medicinale per i malati di parkinson e dai sintomi che ho potuto vedere è in uno stadio molto avanzato”.

 

“Mi fu diagnosticato poco più di un anno fa. Mi dissero che bastava una semplice polmonite per morire e il mio ultimo desiderio era quello di rivedere la mia famiglia potente come una volta. L'unica colpa di Nicky è stata quella di amare troppo suo padre e di concedergli quell'ultimo, folle sogno”

 

“E alla fine ne è valsa la pena?”. Domandò Castle perdendo tutta quella collera che aveva accumulato in quei minuti, ora per l'uomo provava solo pietà. Un vecchio che aveva agito spinto dalla realizzazione dei sogni della sua gioventù, dalla malattia che lo stava corrodendo, da una visione del mondo totalmente sbagliata.

 

“Alla fine ho perso tutto e l'ho capito troppo tardi. Mi son concentrato troppo sui rinnovatori, facendo di tutto per non perderli, che non mi sono accorto di quello in cui stavo trasformando mio figlio. Solo ora che non c'è più capisco che i rinnovatori erano l'utopia di un pazzo mentre Nicky era la mia realtà, ma per orgoglio non l'ho mai ammesso”. Urlò quelle ultime parole. Liberò tutta la rabbia che aveva in corpo contro se stesso, prese il bicchiere e lo lanciò con le poche forze che aveva contro il muro. Stanco ricadde sulla scrivania dove Castle si avvicinò per sorreggerlo.

 

“La portiamo in ospedale. Deve essere visitato da specialisti prima di poter affrontare un processo”. Lo informò Beckett mentre si avvicinò a Leonard, mettendosi dalla parte opposta a quella dove stava Castle, per aiutarlo ad alzarsi. L'uomo raccolse la foto sulla scrivania e la fissò.

 

“Non ha importanza. Ormai se n'è andato tutto ciò che mi teneva in vita”. Detto questo chiuse gli occhi, passando le dita sui volti impressi sulla fotografia mentre questa veniva intrisa delle sue lacrime.

 

******

 

Beckett e Castle avevano condotto Leonard in ospedale ma non avevano ancora avvisato Ryan ed Esposito, tanto meno Weiss, prima di farlo volevano sincerarsi sulle condizioni dell'uomo. Erano in piedi nel corridoio quando un dottore si avvicinò a loro.

 

“Abbiamo visitato il Signor Bradley, la malattia ormai è in una fase acuta e lo stress a cui l'uomo è stato sottoposto in questi giorni non gli ha giovato. Tra poco un infermiera lo porterà in una stanza ma non c'è molto che possiamo fare”. Spiegò il medico prima di scusarsi e tornare al proprio lavoro.

 

“Che facciamo Kate?!. Lo facciamo morire in un carcere?”. Domandò Castle alla donna che teneva lo sguardo fisso verso la porta da cui di li a poco sarebbe uscito l'anziano. Sospirando si voltò scrollando il capo verso il proprio compagno che nel mentre si era messo a toccare medicinali e siringhe che vi erano su un carrello vicino a lui.

 

“Deciderà il giudice, noi non avremo voce a riguardo. ”

 

“Si però, escludendo quello che ha fatto, è più giusto che stia qua, che finisca i suoi giorni in una struttura dove può essere seguito piuttosto che in una squallida cella”. Lo scrittore incrociò le braccia chiedendosi da dove veniva tutto quel desiderio di aiutare quell'uomo, dopo tutto aveva contribuito all'omicidio di 6 persone, non meritava tutte quelle preoccupazioni.

 

“Sono un poliziotto Rick è cosi che si concludono le storie per me”. Affermò Beckett vedendo la porta della sala visite aprirsi e Leonard comparire, sorretto da un infermiere. Fece qualche passò e poi prego l'uomo di lasciarlo, volendo proseguire da solo. L'infermiere guardò la detective e allentò la presa quando la vide annuire. L'anziano era tramante, ricurvo su se stesso e con lo sguardo sempre fisso su quella foto. Beckett prendendogli le sue mani nelle proprie si rivolse a lui.

 

“Suo figlio l'ha perdonato, lo faccia anche lei”. Leonard alzò gli occhi nel momento in cui sentì quella parole e un istante dopo cadde a terra. Nella caduta tirò con se anche il carrello spargendo per il corridoio le siringhe, le medicine, i guanti. Subito gli infermieri si misero all'opera per raccogliere il tutto e aiutare l'uomo ad alzarsi. A Beckett e Castle non sfuggì il movimento repentino della mano di Leonard che si infilò qualcosa in tasca. Quando tutto si sistemò i due osservarono quanto ora c'era sul ripiano metallico e subito si accorsero di quel che mancava. Incrociarono subito gli occhi dell'uomo che implorò i due.

 

“Ricordate che mi siete debitori”. Fece appena in tempo a finire la frase che gli infermieri lo accompagnarono nella sua camera lasciando la detective e lo scrittore ammutoliti nel corridoio. Castle alzò per un secondo gli occhi al cielo e poi si girò, pronto ad uscire da quel reparto, quando Beckett richiamò la sua attenzione.

 

“Rick non possiamo permetterlo”. Gli disse rimanendo ferma tra l'uomo e la camera di Leonard.

 

“Questo è un finale che non tocca a noi scrivere, in un modo o nell'altro questa storia finirà, lasciamo decidere a lui come”.

 

La detective guardò un ultima volta rassegnata quella stanza e poi iniziò a camminare verso Castle, il debito era stato pagato.

 

*******

 

Redarre i rapporti, notò Castle, era una delle cose più noiose del lavoro di poliziotto. Stare attento a ricordarsi ogni minimo dettaglio, descrivere quanto accaduto in maniera adeguata, stare attento a non esagerare e scrivere di conseguenza informazioni inutili. Quando finalmente lui e Beckett finirono di compilare quello riguardante la conversazione con Bradley lo scrittore si prese quella meritata pausa caffè. Ne preparò due molto forti, uno per sé e uno per Beckett, che intanto si stava occupando della stesura del rapporto su Leonard, o come scoprirono dopo alcune ricerche su Sullivan Bradley.

 

“Ehi Beckett O'Shea, la guardia del penitenziario, mi ha chiamato prima chiedendomi quando Bradley sarà trasferito da loro. Gli ho detto che mi sarei informato e l'avrei richiamato, che gli dico?!”. Domandò Ryan dalla sua postazione facendo fermare la detective dal compilare il rapporto. La donna in quel momento non sapeva che rispondere, non sapeva nemmeno lei cosa sarebbe accaduto domani.

 

“Aspetta ancora qualche minuto prima di richiamarlo”. Gli disse semplicemente ma l'irlandese capì subito che c'era qualcosa che non andava.

 

“Che succede Beckett?”. Le domandò alzandosi dalla sedia per avvicinarsi a lei. Esposito, anche se non capiva il motivo di quel gesto, lo seguì immaginando che ci fosse sotto qualcosa di interessante.

 

“Forse non sarà necessario il trasferimento”. Disse Castle raggiungendo i tre con due tazzine di caffè fumante nella mani. Ryan ed Esposito si guardarono come se l'altro avesse una risposta a quella strana affermazione.

 

“Spiegateci”. Ordinò Esposito portando le braccia al petto e osservandoli in trepida attesa.

 

“Mentre eravamo in ospedale Bradley è inciampato contro un carrello che trasportava i medicinali. Quando era ancora a terra abbiamo visto che si è messo qualcosa in tasca, non notato dagli infermieri”. Iniziò a spiegare Castle ciò che lui e la detective avevano visto e di conseguenza delucidare sul motivo per cui immaginavano che quella chiamata al penitenziario sarebbe stata una perdita di tempo.

 

Leonard ringraziò l'infermiere che lo aveva accompagnato nella stanza e gentilmente gli chiese di poter stare da solo qualche minuto, incoraggiandolo a lasciarlo pure li mentre andava a recuperargli una vestaglia. Il giovane si limitò ad aiutarlo a salire sul letto e si assentò per andare a prendere il necessario. Leonard approfittò di quei minuti in cui non vi era nessuno in stanza per estrarre ciò che aveva in tasca e nasconderlo sotto il cuscino.

 

“Che ha preso dal carrello?. Cosa poteva interessargli cosi tanto?”. Domandò Ryan supponendo che fosse qualcosa che l'uomo avrebbe usato per tentare la fuga.

 

“Delle siringhe”. Li rispose Beckett.

 

“E che se ne fa di quelle?”. Continuò con le domande Esposito. Di certo non le avrebbe usate per aggredire gli infermieri, sarebbe stato inutile.

 

“A lui non interessavano le siringhe in sé. Gli importa più di quello che c'è dentro”. Spiegò Castle passando solo ora il caffè alla detective e iniziando a bere il suo, dando dei leggeri soffi per non scottarsi.

 

Ringraziando l'infermiere che l'aveva aiutato a cambiarsi e a riporre i vestiti nell'armadio Leonard si sdraiò sul letto e prese in mano il telecomando accendendo la tele. L'infermiere chiese se avesse ancora bisogna di qualcosa ma quando si sentì dire che tutto era a posto uscì dalla stanza, promettendo che qualche medico sarebbe passato a controllarlo di tanto in tanto. Quando la porta della stanza fu chiusa Leonard riprese le siringhe e tolse il tappo a tutte quante. Seppur le sue dita fossero tremanti da mesi in quegli attimi furono più salde che mai. Facendo un profondo respiro allungò il braccio e mirando la vena versò in essa il contenuto della siringa.

 

“Cosa contenevano di cosi importante?”. Chiese Esposito che non aveva capito cosa ci potesse essere di cosi tanto utile dentro a delle siringhe, non aveva compreso il vero motivo per cui servivano a Leonard.

 

“Morfina probabilmente”. Ipotizzò Beckett. Non era pratica di ospedali ma per quel poco che sapeva dentro quelle siringhe poteva benissimo esserci dentro quel medicinale.

 

“Si vuole uccidere”. Capì in quel momento Ryan cercando conferma e trovandola nei volti di Castle e Beckett che fecero di tutto per evitare i loro sguardi.

 

Quando anche la terza siringa cadde a terra insieme alle altre Leonard iniziò a sentire i primi sintomi. Una parte di lui lottava per chiamare i soccorsi, il pulsante era cosi vicino che gli bastava allungare la mano per premerlo, ma la sua forza di volontà ebbe la meglio. Fece per prendere la quarta siringa ma lo sforzo per alzare il braccio era immane. Si portò una mano al petto alla ricerca di quel respiro che si rifiutava di scendergli fino ai polmoni. Con la poca forza rimastagli sollevò la testa e guardò la foto che portava sempre con se.

 

“Perchè glielo avete permesso? Dovevate avvertire gli infermieri quando avete visto che si era impossessato delle siringhe”. Pronunciò in tono accusatorio Esposito non sapendo dei tormenti che si erano dati i due quando avevano dovuto prendere quella decisione, non essendo a conoscenza della conversazione che avevano avuto, nemmeno l'aveva mai visto Leonard, nessuno poteva comprendere.

 

“Avevamo un debito e quello era il momento giusto per pagarlo”. Nemmeno Castle era contento di quella decisione ma era la cosa più giusta da fare. Leonard si sarebbe comunque lasciato morire, loro almeno gli avrebbero permesso di farlo in un posto tranquillo.

 

“Era malato, molto malato, sarebbe morto lo stesso, forse anche nel giro di pochi giorni. Cosi almeno passerà i suoi ultimi minuti in un comodo letto piuttosto che su una lurida brandina”. Beckett informò i due di quel particolare di cui fino ad all'ora erano rimasti all'oscuro. Sentendo quelle parole Esposito di calmò. In un certo senso come logica ci stava, forse era davvero meglio cosi.

 

“E ora che facciamo?”. Domandò Ryan non avendo idea di come comportarsi in quel momento, tanto meno di cosa sarebbero andati a dire a Weiss quando avrebbe finito di parlare con i suoi superiori.

 

“Aspettiamo che chiamino”. Suggerì Beckett fissando il suo cellulare in attesa che si illuminasse e sul display comparisse il numero dell'ospedale.

 

Bastarono pochi minuti e il cuore di Leonard, indebolito dalla malattia e dal dolore, smise di battere. Un infermiera che passò di li per controllarlo diede l'allarme. Subito ci fu un via vai di dottori che vedendo le siringhe a terra compresero subito. L'infermiera si preoccupò all'istante di iniettargli qualche sostanza che contrastasse la morfina mentre il dottore utilizzò il defibrillatore urlando di caricarlo a un voltaggio sempre più potente ogni volta che vedeva che i suoi tentativi erano inutili.

 

Tutti e quattro erano li, attorno alla scrivania di Beckett, in attesa che il suo cellulare suonasse e alla fine accadde.

 

“Beckett”.

“D'accordo, la ringrazio”. Poche parole e poi disconnesse la chiamata, riappoggiò il telefono sulla scrivania e unendo le mani si rivolse ai tre uomini davanti a lei.

 

“Alle ore 12,47 è stato dichiaro il decesso di Sullivan Bradley, la causa delle morte è overdose di morfina. Hanno provato a rianimarlo per più di mezz'ora ma è stato tutto inutile. È morto stringendo nella mano la foto della moglie e del figlio”. Ripeté parola per parola quanto le era stato detto dal primario che l'aveva informata dell'accaduto.

 

“Quindi, che facciamo ora?”. Si volle informare Ryan.

 

“Chiama O'Shea e di che non ci sarà nessun trasferimento. Il caso è definitivamente chiuso”.

 

Dopo qualche minuto Weiss fece la sua comparsa e si mise subito vicino alla detective e allo scrittore.

 

“E cosi è morto”. Commentò.

 

“Già, i medici non hanno potuto far niente”. Gli rispose vagamente Castle non avendo la ben che minima voglia di parlare dell'accaduto in quel momento.

 

“Mi conviene non indagare non è vero?”. Domandò avendo già la sensazione che i due gli stessero tenendo nascosto qualcosa, lo si poteva benissimo leggere sui loro volti.

 

“Il caso è chiuso, se lo faccia bastare”. Gli suggeri in tono minaccioso Beckett poggiando il dorso sullo schienale della sedia.

 

“Immagino che sia cosi”. Ribattè Weiss sistemandosi la giacca e la cravatta prima di tornare a parlare.

“Il mio lavoro qui è finito. È giunto il momento che ritorni a casa, per vostra somma gioia”. Riportò ai due in poche parole quello che gli avevano ordinato i suoi superiori. L'assassino era morto, il mandante anche, non c'era più necessita che permanesse li al dodicesimo.

 

“Ha fatto rapporto anche su di noi?”. Domandò Castle curioso di sapere, in fondo era il motivo secondario della presenza dell'agente al distretto. Lui con un semplice gesto poteva decidere se porre o meno fine alla sua collaborazione con i detective. Anche Beckett era interessata a saperlo ma cercò di non palesare l'ansia che in quel momento la opprimeva.

 

“Si, ho parlato di voi ai miei superiori. Lei detective Beckett è fin troppo emotiva durante le indagini, si interessa della vittima e questo a volte la porta a compiere indagini fuori dagli schemi. Lei invece, signor Castle, è una continua distrazione per i detective che lavorano ai casi di omicidio, le sue battute sono sempre fuori luogo e più volte ha dimostrato la sua raffinata capacità di mettersi nei guai”. Ragguagliò i due su quanto aveva detto ai suoi superiori. Weiss era sempre stato oggettivo nei suoi giudizi e lo sarebbe stato anche questa volta, seppur il caso fosse stato risolto dai due che ora lo fissavano in malo modo.

 

“Ma ho detto loro che è grazie alla sua capacità di vedere oltre che lei risulta essere una delle migliori poliziotte con la quale ho avuto la fortuna di collaborare. Per quanto riguarda lei Castle, devo ammettere che la squadra ha bisogno di un elemento fastidioso come lei per lavorare al meglio. Sono i vostri difetti che vi rendono i migliori in questo campo e visto che funzionate cosi bene non c'è alcun motivo per porre fine a tutto ciò”.

 

Beckett in quel momento si senti improvvisamente più leggera, quelle parole le avevano tolto un macigno dalle spalle, Castle invece manifesto diversamente la sua gioia. In un attimo avvinghiò Weiss che fu letteralmente colto di sorpresa da quell'abbraccio. Quando lo scrittore lo mollò lui si schiarì la voce e si rimise a posto la giacca non sapendo come comportarsi, non essendo abituato a gesti simili. In sua salvezza arrivò Beckett che gli porse la mano.

 

“Dopo tutto è andata bene”.

 

“Già. Credo che d'ora in poi negli uffici dell'fbi sarà più famosa per le sue capacità investigative piuttosto che per altre sue doti, anche se la storia dei cubetti di ghiaccio me la tengo come Jolly”. Disse stringendole la mano ridacchiando, contento per la prima volta da quando era arrivato al distretto. Beckett fu piacevolmente colpita nel vedere che dopo tutto pure lui sapeva ridere. Poi fu il turno di Castle.

 

“Posso sperare di trovare un personaggio ispirato a me nel suo prossimo libro?”. Domandò Weiss inarcando un sopracciglio e osservando fitto fitto lo scrittore, in fondo ci sperava veramente.

 

“Solo se mi permette di farlo altezzoso, sicuro di se, un po' narcisista e incurante dell'incolumità altrui”.

 

“Non lo vorrei diversamente”. Scambiò gli ultimi saluti anche con Ryan ed Esposito e se né andò.

 

“Sai c'è una cosa che ho imparato in tutta questa storia”. Disse la detective osservando Weiss entrare nell'ascensore prima di tornare a sedersi alla propria sedia.

 

“E cosa?”. Domandò curioso lo scrittore mimando il gesto della donna.

 

“Che bisogna saper distinguere cosa è veramente importante nella vita da quello che lo è di meno, che non bisogna dar nulla per scontato e che alla fine, anche se siamo pieni di dubbi e di domande, bisogna rischiare perchè si potrebbe scoprire un nuovo mondo, un posto dove siamo veramente felici, in un modo che non avremmo mai immaginato.”.

 

Castle annuì non capendo però il motivo di quel suo discorso. Da ogni omicidio imparavano qualcosa di cui poi facevano tesoro ma ora non comprendeva quale fosse il succo della questione. Beckett intuendo le sue difficoltà si avvicinò a lui e presogli una mano nella propria lo guardò negli occhi.

 

“Chiedimelo ancora Rick”. Lo scrittore la guardò dubbioso per qualche secondo, non avendo il minimo indizio su cosa stesse parlando, poi d'improvviso ebbe un ispirazione.

 

“Vieni a vivere con me Kate”. Forse, forse questa volta. Se l'aveva suggerito lei c'erano ottime speranze o no?!. Il cuore di Castle batteva all'impazzata.

 

“Credo che lo farò, presto. Molto presto”. Non era ancora la risposta che voleva sentirsi dire ma per Rick fu come la manna dal cielo. Entro la fine dell'anno, era sicuro, sarebbero stati una famiglia, avrebbe vissuto per sempre con Kate. Dopo tutto quello era il suo destino, quello era il motivo per cui era nato.

 

 

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E cosi si chiude il sipario su questa storiella in cui ho cercato di mettere insieme diversi elementi, sperando di non aver fatto una confusione totale. Il capitolo si racconta da se, credo, quindi occupo questa sezione per ringraziare giustamente tutti coloro che si sono soffermati a leggere capitolo dopo capitolo, con pazienza e disponibilità, in particolare il ringraziamento va a coloro le cui recensioni mi hanno spinto di volta in volta a continuare. Grazie infinite.

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