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Ilsuonosquillantedellacampanellaannunciòl’iniziodi un nuovoannoscolastico.
Unamiriadedibambini e ragazzisiprecipitònellagrandescuolaelementare, media e superioreJimbo. Solo unragazzosembrava non averealcunafrettadientrare: molto alto, biondo, un fisiconiente male, le maninelletaschedeipantaloni, la camiciaazzurradelladivisa un po’ sbottonata e in disordine e l’etàdi 16 anni. Un altroragazzo, più basso e mingherlino, con un paiodiocchialipiuttostograndi e unavocinaesile
e concitataglisaltellavaintorno con agitazione:
“Muoviti, Akito, per favore!
La campanella è giàsuonata! Non possiamoarrivaretardiil primo giorno, forza!” continuava a dirgli, ma in tuttarispostaricevetteunosguardointenso
e agghiacciantedapartedelbiondino,
chefissò le sue iridiambrate in quellecastanoscurodell’amico, senza dire unaparola. Quel solo gesto, paralizzante,
convinsel’altroragazzo a non dire piùnulla e a rassegnarsiall’andaturatranquilladi Akito, sentendogiàincomberesudilui la prima sgridatadell’annodell’insegnante.
Dallaparteoppostadel
cortile dellascuola, un’altracoppiasembravavivere la stessasituazione, ma questavoltasitrattavadi due ragazze.
“Insomma,
Sana,
ognianno la stessastoria …!” stavaesclamando la piùbassa, con icapellicastanochiaro per metàsciolti, per metàraccolti in uncodino,
guardandol’amica con un paiodiocchipiccoli ed espressivi. “Perchèdevisempreentrare in ritardo?!”
“Senti, Aya, non ho vogliadiandare
a scuola, lo sai!Quindiringraziagiàchecivenga!”
le risposebruscamentel’altra, facendoscuotereunalungachiomarossamentresigirava
a guardarla.Ayascosse la testa, rinunciando a tentaredifarleaumentareilpasso.
La conoscevaabbastanzabenedasapereche era meglio non discutere con lei, o avrebberofinitocollitigare
… e preferivaevitaredilitigare con Sana!
Quandogiunserofinalmentenelcorridoiocheportavaallaclassenellaqualeerano
state smistatequell’anno, scorseroaltri due ragazziche le stavanoraggiungendo.
“Scusate …!” esclamòunodiloro. “Sapetedov’è la terzasezionedelsecondoanno?”
Ayaguardòattraversogliocchialidelragazzoisuoiocchi,
e inspiegabilmentesentì le
guancearrossarsileggermente.
“Ehm … sì, certo, è la nostra classe” glirispose.“Cistiamoandando!”
“Bene!” disselui, e insieme al suoamicosiaggregòalle due ragazze.
“È meglio
se cisbrighiamo, la campanella è giàsuonata!” suggerìAya, e trovòsubitol’approvazionedell’altroragazzo, che un istante prima diraggiungere la porta le disse:
“Ah, dimenticavo … iosono Tsuyoshi Sasaki!”
“Aya
Sugita!” sipresentò lei stringendo la manocheilragazzoglitendeva,
poi, traendo un sospiro e preparandosi ad affrontarel’insegnante, aprirono la portadellaloroclasse. Intanto, alleloro, spalle, iloro
due amiciliseguivano in silenzio, affiancati.
Però, carina! È benmessa … stavapensandoilragazzoguardandodisottecchiilcorpoabbastanzaformosodiSana.
Mmmh, carino!
Beimuscoli …pensavainvece lei,
scrutandolodinascostoilsuocorpoperfetto. Poi entrambispostarono lo sguardosuquellodell’altro,
e insiemeesclamarono: “Chediavolohaidaguardare?!”
Sentendosiscoperti,
sivoltaronodiscattotutti
e due, fissandodavanti a loro e assumendoun’espressionedeltipo
non-sono-affari-tuoi, mentrenellalorotestasidicevano:
“Saràanche carina/o, ma guardachecaratteraccio!”
Non appenaAya e Tsuyoshi ebberoaperto la porta, comunque, iloropensierisirivolseroimmediatamenteall’insegnantechelifissava con aria didisappuntodall’internodellaclasse.
“La campanella
è giàsuonatada un po’” feceosservareloro. Aya e Tsuyoshi assunseroun’ariamortificata, mentreglialtri
due rimanevanosullaportaimpassibili, anzi, quasi annoiati.
“Forza,
entrate!” dissel’insegnante, poi fececenno ad Aya e Tsuyoshi: “Voi due sedetevilì” e indicòunacoppiadibanchivuoti in terzafila. “E voilaggiù” aggiunserivoltoaglialtri due e fececenno verso l’ultimafila, dove rimanevanoliberialtri due banchi. Sanascoccòun’occhiatadisgustata al biondino a cui le era toccato
stare vicino, mentreluirispondevaallostessomodo,
e dimalavogliaandarono a sedersi.
“Bene,
orapossiamo fare l’appello” dissel’insegnante, e andò a prendereilregistro. L’aprì, e iniziò a chiamareglialunni.
“ … Hayama
Akito …” dissedopoalcuninomi, e Sana vide ilbiondinoaccanto a séalzarepigramente la mano.
“ … KurataSana…” proseguì,
e questavolta
fu la ragazza a rispondereall’appello. Dopo “Sasaki
Tsuyoshi” e “Sugita Aya”, l’appelloterminò, e le lezioniinveceiniziarono.
La materiadelle prime due ore era matematica.
Sanaguardòilproblemascrittoallalavagna: per lei erano solo un mucchiodinumerimessi
a casoinsieme a segniindecifrabili. Lasciòcadere la pennasulbanco
e siappoggiòalloschienaledellasedia
con stizza, esclamando:
“Basta, cirinuncio!Non cicapisconiente!”
“Umph
…”
La ragazzasivoltòdiscatto e vide
con disappunto un ghignobeffardodisegnarsisulvoltodelsuovicinodibanco.
“Be’, chehaidaridere?!” glichiese, irritata.
“Niente, è solo cheseiproprioun’ignorante
…” risposelui con calma.
“Ah sì?!”Sanaalzò un po’ la voce, scaldandosi: iltonodi Akito la innervosivaancorapiùdell’esercizioimpossibile. “E tu
chi ticredidiessere, Einstein?!”
“Be’, dicertosonopiùintelligentedite …”
“Ah, ma davvero?Scommettochenemmenotusai
come svolgerequestaroba!” e strappòdallemanidelragazzoilfoglio
con ilproblemadimatematica. Lo lesse, e siaccorse
con dispiacereche era pienodicalcoliperfettiedordinati, e cheilrisultatocoincideva
con quellodellibroditesto.
“Tsk
… fortuna!” glidisse, un po’ imbarazzata.
“Certo,
come no … seituche non capisciniente!” le disse Akito.
“Come tipermetti?! Sei solo un ragazzino!”
ribattéSana.
“E tu
…” ma ilragazzo
fu interrottodaunabacchettatadell’insegnante, chesenzache se neaccorgesserosi era avvicinatoailorobanchi.
“Smettetela!!” ordinòloro, e iragazzitacqueroall’istante.L’insegnantepreseilorofogli
e controllòilcompito. Dopo aver vistoquellobiancodiSanadisse:
“Kurata, in punizione! Escasubitodallaclasse e cirimangafinoalla
fine dell’ora, mentrescrivounabellacomunicazione per isuoigenitori!”
Sanafece per ribattere,
ma un’occhiatasupplicantedellasuaamicaAyadalbancodifronte la fecetacere, e con ipugniserratisialzò e aprì la portascorrevoledell’aula. Akito silasciòsfuggire un sorrisetto disoddisfazione, ma svanì un secondodopo:
“Anche lei, Hayama!” tuonòinfattiilprofessore. Ilragazzo lo guardòstrabuzzandogliocchi.
“Checosa?! Ma io ho svoltocorrettamentetuttol’esercizio!” protestò.
“Stavacomunquedisturbando la lezioneinsiemeallasignorinaKurata, quindiesca con lei e mi diaildiario:
ancheisuoigenitorisarannoavvisati!”
Anche Akito era sulpuntodirispondereall’insegnante, ma questavolta fu unosguardodi Tsuyoshi a zittirlo e raggiunseSanaallaporta, mentre la ragazzaglirivolgeva
a suavolta
un sorrisetto discherno. Uscirono e sisbatterono la portaallespalle.
Ma ciaaaaaaaaaoooooooo! Nuova ff a piùcapitoli x voi! Cm avretecapitoSana e Akito non sisonomaiincontrati
prima, e se avetenotatoilcaratterediSana
è moltodiversodaquellokeconosciamo … infatti qui la
storiadiSana è molto simile a quelladi Akito, ma capiretetuttomeglioneiprossimicapitoli, se avetevogliadiseguirmi! J
E ora, spazio
a voi: recensite! Sperodiriuscire
ad aggiornare presto, ma non vipromettoniente (semprekevogliate
un seguito …J). Vvtttb
Raga, nn posso crederci: nn c’è + Rossana in tv, ,lo sapete
Raga, nn posso crederci: nn c’è + Rossana in tv, ,lo
sapete??? Sui programmi dei giornali nn è + segnato! Qnd riprenderà?! Sn in
crisi …
Cmq, prima di lasciarvi proseguire la storia, vorrei
solo ringraziarvi per i meravigliosi commenti! Un grazie anche a Marochan, mi
ha fatto molto piacere sapere ke secondo te scrivo bene e che mi hai seguita
con le altre ff! Un bacione a tutti quanti, cmq, nessuno escluso!!!!
Vvukdb sempre!!!! JJDaisyJJ
Capitolo
2.
I due ragazzi si
trovarono insieme nel corridoio. Senza trattenersi, si accusarono allo stesso
momento:
“È tutta colpa tua!”
Entrambi fecero per ribattere
all’altro, ma poi si fermarono, riflettendo che non avevano voglia di litigare.
Sana si voltò e
senza una parola si avviò lungo il corridoio, lasciando Akito stranito:
“Ehi, dove stai andando?” le chiese, ma non ottenne risposta. Così decise di seguirla.
Dopo qualche metro la ragazza si voltò con aria seccata e gli disse:
“Allora, la smetti di seguirmi?!”
“E tu mi dici dove stai
andando?” ribatté lui, ma Sana
era un osso duro:
“Non sono affari tuoi!”
gli disse, e ritenne chiusa la questione, anche se Akito non era dello stesso
parere. Continuò a seguirla, mentre usciva nel cortile della scuola e puntava
verso un albero le cui fronde riparavano dal sole ancora caldo di fine estate.
“Bell’amica …” disse a
mezza voce. A quelle parole, Sana
si fermò di colpo, e quando si voltò il suo sguardo paralizzò il ragazzo: era
duro, carico di un inspiegabile odio. Conosceva quello sguardo, troppo spesso l’aveva
visto fissando lo specchio in camera sua … Anche lui si fermò, e ascoltò le
parole che la ragazza gli urlò contro in tono duro:
“Io non sono tua amica!
Non voglio amici, non ne ho bisogno! Lasciami in pace, CHIARO?!” e si allontanò
a passo rapido verso l’albero, sedendosi poi alle sue radici. Akito rimase a
fissarla, senza riuscire a capire da dove fosse scaturita tutta quella rabbia
improvvisa. Una voce gli diceva di girare i tacchi e tornare davanti alla
classe ad aspettare che finisse l’ora, così da non doversi sorbire un’altra
scenata dell’insegnante se non l’avesse trovato lì, ma un’altra voce più insistente
gli disse di raggiungere Sana e parlare con lei, e l’ascoltò. Così si avvicinò
lentamente alla ragazza. Senza dire nulla, si sedette nell’erba accanto a lei e
la guardò. La sua espressione era ancora dura, e si accorse che cercava di non
incrociare il suo sguardo. La fissò ancora per qualche istante, poi chiese,
usando per la prima volta un tono dolce che stupì perfino se stesso:
“C’è qualcosa che non va? Vuoi parlarne?”
Rimase in attesa di una
risposta, che arrivò solo alcuni secondi dopo:
“Perché dovrei parlarne con te? Chi sei tu perché ti racconti della mia vita?”
questa volta non gli aveva urlato contro, ma il tono era stato basso e, il
ragazzo lo percepì, carico di un profondo dolore, del quale voleva conoscere la
ragione. Ma sentì che non era ancora il momento.
“Forse hai ragione” le
disse soltanto, e si rialzò. “Io torno in classe” le comunicò, e dopo essersi
voltato si incamminò verso l’ingresso della scuola.
“Aspetta!”
La voce di Sana lo
raggiunse. Si fermò senza voltarsi.
“Vengo con te” aggiunse
la ragazza a voce più bassa. Akito fece un impercettibile sorriso, e aspettò
che lo raggiungesse prima di entrare con lei nella scuola.
Ore dopo, al termine
delle lezioni, i ragazzi si riversavano nel cortile in un confuso vociare, tra
maledizioni lanciate ai prof più fastidiosi ed esclamazioni di sorpresa per un
bel voto inaspettato. Solo due persone camminavano lentamente e senza parlare,
immersi nelle loro riflessioni: Sana e Akito ripensavano all’episodio di quella
mattina.
Chissà
perché è così fredda e chiusa in se stessa? si
chiedeva il biondino, ma un istante dopo scosse la testa come per voler
allontanare quel pensiero. Ma che mi prende?! Da quando penso ai fatti degli
altri? Se ha un problema, se lo risolva!
“Ehi, Akito, qualcosa
non va?” la voce del suo amico Tsuyoshi lo raggiunse all’improvviso,
riportandolo alla realtà. Si limitò a fare cenno di no col capo e riprese a
camminare con calma e in silenzio verso l’uscita.
Chissà
perché si è preoccupato di ciò che pensavo? si
chiedeva invece Sana. Sembrava davvero interessato … ma non mi fido di lui.
I miei problemi non sono certo affar suo!
“Ehi, Sana, ma mi stai
ascoltando o no?!” le chiese per l’ennesima volta Aya parandosi di fronte a
lei, che quasi le andò a sbattere contro, immersa nei propri pensieri.
“Eh?! Ah, sì … certo …
dimmi” le rispose, un po’ spaesata. Aya assunse un’aria un po’ imbronciata, poi
riprendendo a camminare verso l’uscita ripeté per la centesima volta:
“Ho detto che oggi ho chiesto a Tsu l’indirizzo di Hayama e …”
“Tsu?! E chi è?” la interruppe bruscamente Sana. L’amica alzò gli occhi al
cielo.
“Tsuyoshi, ovviamente!”
le rispose.
“Intendi Sasaki?”
“E chi se no?”
“Ah, e già lo chiami
con un diminutivo?! La cosa mi sembra sospetta …”
A quel commento, Aya
arrossì visibilmente, ma cercò in tutti i modi di apparire disinvolta … anche
se con scarso successo …
“Non so cosa intendi! …
E comunque non cambiamo discorso! Ti dicevo che mi ha dato l’indirizzo di
Hayama, così puoi andare da lui oggi pomeriggio e farti spiegare l’esercizio di
matematica.”
Sana si pietrificò.
“Cosa?!”
“Hai capito”
“No, spero di no … io a
casa di Akito non ci vado!!!” le esclamò Sana, e questa volta fu Aya a metterla
leggermente in imbarazzo.
“Come mai lo chiami per
nome?”
Sana iniziò a
balbettare:
“I-i … io? N-n-n-no, n-niente … ma che … boh? … cioè, cosa …? Oh, insomma,
smettila! Mi è sfuggito!!”
Aya soffocò a stento le
risate.
“A-ah … be’, in ogni
caso sono gli ordini del professore, e non si discute! Tieni, questo è l’indirizzo!
Ti conviene andarci, se non vuoi un’altra nota”
“No, grazie, mi è
bastata quella di stamattina! Be’, vedrò …” concluse Sana, e insieme alla sua
amica si avviò verso casa.
Nel pomeriggio, dopo
pranzo, la ragazza era stesa sul letto con il biglietto di Aya tra le mani: si
chiedeva se fosse davvero il caso di andare da Hayama. Guardò per un’ultima
volta l’indirizzo che vi era scritto, poi l’appallottolò e con uno scatto si
alzò dal letto, finalmente decisa. Prese il libro di matematica e uscì di casa.
Mentre camminava verso
la casa del ragazzo, rimase assorta in mille pensieri. Perché ci stava andando?
cosa gli avrebbe detto una volta sulla porta? E soprattutto, perché si poneva
tutti questi stupidi interrogativi?! Doveva solo andare lì, dirgli che il
professore voleva che svolgessero insieme l’esercizio, risolvere il problema di
matematica e andarsene. Eppure l’idea di incontrare di nuovo quel ragazzo la
innervosiva. C’era qualcosa in lui … l’aveva capito quella mattina, quando le
aveva chiesto cosa c’era che non andava. Le era sembrato di scorgere una vera
nota di interessamento e di comprensione nella sua voce, l’aveva sentito più
vicino di quanto non avesse creduto, nonostante fosse un estraneo. Per un
attimo, aveva voluto raccontargli tutto di lei, metterlo al corrente di tutto
ciò che le passava per la testa, sicura che lui, più di chiunque altro, anche
più della sua migliore amica, l’avrebbe capita. Ma perché aveva provato quella
sensazione? Come se ci fosse stato qualcosa che li unisse? Era strano … e
voleva venire a capo di quel mistero.
Assorta in queste
riflessioni, non si accorse di aver ormai raggiunto la casa di Akito. Era a
pochi metri dal cancello dell’abitazione. Si fermò, trasse un lungo respiro e
fece per avvicinarsi all’ingresso, ma qualcosa la bloccò …
“SPARISCI!”
L’urlo, sicuramente una
voce femminile, sembrava provenire dalla casa del ragazzo. Sana avanzò di
qualche passo, in modo che l’ingresso le fosse visibile, ma tenendosi comunque
in disparte. Vide che sulla porta di casa c’erano due figure, una molto alta, l’altra
più minuta: sembravano due ragazzi. La stessa voce di prima risuonò di nuovo
potente nell’aria: “È solo colpa tua! Sei un mostro! Vattene!”
La figura più alta si
portò le mani alla testa, premendosele sulle orecchie con forza.
“Smettila!” gridò, e a
Sana mancò il respiro: riconobbe quella voce, era la stessa che le aveva
parlato quella mattina nel cortile della scuola. La voce femminile attaccò di
nuovo:
“Ti ho detto di andartene! Non farti più vedere, demonio!” e sbatté la porta in
faccia al ragazzo, che era appena uscito. Sana rimase a guardarlo con gli occhi
sgranati, senza riuscire a credere alla scena a cui aveva appena assistito, e
sussultò quando Akito sferrò un pugno al muretto che circondava la sua casa. La
ragazza vide con stupore la sua espressione di rabbia e dolore, ma non dolore
fisico, e un rivolo di sangue scendere tra le dita della mano che aveva appena
colpito i duri mattoni … e le sembrò di scorgere un luccichio negli occhi del
ragazzo: era sicura di aver visto una piccola goccia salata scendere sulla sua
guancia …
Si riscosse solo quando si accorse che Akito
stava venendo verso di lei. Sperando che non si fosse accorto della sua
presenza, si nascose dietro il tronco di un albero, mentre il ragazzo usciva
dal cancelletto tirandovi un calcio e si avviava sul marciapiede lasciando
pendere inerte la mano ferita lungo il fianco. Si allontanò lentamente da casa,
camminando tra la gente come un fantasma, urtando ogni tanto qualcuno, ma senza
curarsene, sul volto una maschera impassibile.
Raga, nnci credo, è tornado EFP!!!!!!!!!!!!!!:)JJJJJJJJJJJ
Sntroppofelice, tantoche ho postatosubitounaltrocapitolo! Sperovipiaccia!!!
Ditemikenepensate!! Mi sietemancatitt!!!
VvttttbJ
Daisy
Capitolo 3.
Le stradediTokyoeranomoltoaffollate.Sanafecefatica a stare dietro ad Akito, ma non lo persedi vista e continuò a seguirloanchequando lo vide entrarenelparco. Ilragazzo vi siaddentrò, fino a raggiungere un gazebo sotto ilqualesisedette,
affondando poi ilvisotra le mani,
senzapreoccuparsidelsanguechecontinuava a scorreredalleferiteallenocche.
Ripensavaallascenavissutapoco
prima, ripensavaalleurladellasorella, all’appellativochegligridavasempre, allaragionediquell’esistenzacosìinsopportabile. Ripensavaaisuoiproblemi, a quellichecreavaallasuafamiglia … a quellochene
era rimasto …
Desideròmorire
…
Untoccosullaspalla lo fecetrasalire. Sivoltò con unoscatto e vide al suofianco un paiodiocchicastanifissarlo con intensità, mentreuna voce gentile e dolce glichiedeva: “Staibene?”
Akito guardòSana, sedutaaccanto a lui, senzacapireperchésitrovasselì. Vide sincerointeresseneisuoiocchi, e preoccupazionequando lo sguardodi lei siposòsullasuamanoferita. La ritirò non appenaglichiesecosasi fosse fatto, rispondendoaspramente: “Non tiinteressa!”
Sanarimase per unattimo immobile, soltantoguardandolo, senzaarrabbiarsi. Poi estrassedallatascaunfazzoletto e prese la manodi Akito tra
le sue prima cheluipotesseallontanarladinuovo.
“Sì,
invece” disse solo, e iniziò a pulireilsanguedalleferite, prima diavvolgereilfazzolettoattornoallamano come unabendaimprovvisata.
Akito sistupìdiquelgesto,
e la lasciò fare.Mentre
lo medicava, Sanadisse:
“Erovenutadate per matematica
… Ho vistocosa è successo a casa tua …”
Alzò lo sguardo e vide cheilragazzoguardavadaun’altraparte,
restando in silenzio. Sanaattesequalchealtrosecondo, poi chiese:
“Haiproblemi con la tuafamiglia?”
Akito sigirò a fissarla
con occhichesembravanoardere:
“Non sonoaffarichetiriguardano,
Kurata! Lasciami in pace!”
Sana, inaspettatamente, sorrise,
ricordandosidell’episodio
simile accadutoquellastessamattinanel cortile dellascuola. Anche lei avevapreferitoteneredentrodiséisuoipensieri, ma proprio per questosapevacosasignificava,
sapevachefaceva male, che era meglioparlarne con qualcuno.Siricordavadi come si era sentitameglioparlando per la prima volta
con la suaamicaAyadellasua
vita e deisuoiproblemi, sapendochec’eraqualcuno
pronto a starla a sentirecompletamente, veramente. Rimase per un attimo in silenzio, riflettendo, poi iniziò a raccontare:
“Sai, quandoavevo solo pochigiornisonostataabbandonatadamiamadre. Avevasoltantoquattordicianni, ma non l’homaiperdonata
per averlofatto. Mi
lasciòsuunapanchina, con soltantounagiaccaaddosso a ripararmiunpocodalfreddo … mi lasciòsenza un nome, senzaunafamiglia,
senzal’amoredi cui una bambina ha bisogno. Fuiportata
in unorfanotrofio, e solo
tempo dopovenniadottatadallascrittrice Misako. Lei mi vuolebene, ma io
non riesco ad amarla come unavera mamma. L’odiocheprovo
per la miamadrenaturalecopreognialtrosentimento,
e cosìilnostrorapporto non è deimigliori. Misako credeche la detesti,
che non sappiaessereunabuonamadre, e io
non riesco a dirleche non è così. L’unica persona checonosceimieiverisentimenti è la miamigliore e unicaamica, Aya
… e oraanchetu.”
Rivolseundebole, amaro, sorriso al ragazzo, chel’ascoltavasenza dire nulla.
“Dopotuttoora è lei la mia mamma, e io le vogliobene
… simeritacheglielodica,
eppure non riesco a farlo …”
Unalacrimascesesullaguanciadellaragazza, e un singhiozzointerruppe le sue parole. Akito la guardòintensamente, meravigliandosidiquellapiccolagocciasalatache era andata a bagnare le feritedellasuamano. Istintivamente, senzapensare, portòl’altramano al visodiSana, passandounditosullascialasciatadallalacrima, asciugandoquelsegnodisofferenza. La ragazzaalzò lo sguardo, e unnuovosorrisosidisegnòsulle sue labbra, gratodiquel
piccolo gestodiconforto.
“Perché me nehaiparlato?” le chieselui.Sanarifletté per un istante:
“Perché non riuscivo a teneretuttodentrodi me, e sentivodipotermifidaredite. Sentivo
come se … non so … c’eraqualcosache mi dicevachetuavrestipotutocapirmi, ascoltarmiveramente. E poi avevobisognodisfogarmi:
spessofabeneparlaredeipropridubbi, dellepropriepreoccupazioni,
deipropriproblemi con qualcuno, se è disposto ad ascoltarti”
Lo guardò
con espressionesincera, fiduciosa, invitandolo ad aprirsi con lo sguardo. Akito rimase in silenzio a fissarla, ilsuosguardofreddotramutato in un’espressionesmarrita, sentendo mille pensieriaffollarsinellasuatesta e altrettante
parole premerenellasuagola, desiderosediuscire … le accontentò:
“Io … io ho uccisomiamadre …”
Sanatrattenneilfiato, ma attesecheilragazzoproseguisse.
“Mia madre è mortapartorendomi
… è solo colpamia se non c’èpiù, e per causamiamio
padre e miasorellahannosoffertofino ad oggi, senzaunamoglie
e senzaunamadre. Sonoio la ragionedellorodolore, e mi meritol’odiocheprovanoneimieiconfronti! Sareidovutomorireio! Sonounmostro, un demonio! Vorreisparire, per renderlipiùfelici!”
Le ultimefrasi le avevapronunciate a voce semprepiùalta,
urlandole quasi allalucedel
sole ormaimorente. Sanaglistrinse la manochefino
a poco prima era posatasullasuaguancia.
“Non dire così, Akito!Tu
non sei un demonio!”
“Sì, invece!Chi ha uccisomiamadre? Eh?! IO! Se non fossinatoora lei sarebbeancora viva!”
Sanapercepìildolorechesuscitavanoquelle parole nelragazzo.
“Tu non haicolpe! Come puoicrederechesarebbestatomeglio
non nascere? Non è colpadinessuno
se tuamadre non c’èpiù.E sonosicurache lei avrebbevolutofartivivere
a qualsiasicosto, perchétivolevabene!” cercòdiconsolarlo. Akito distolse lo sguardodaquellodellaragazza, e questavolta fu lei a posargliunamanosullaguancia per voltarlodinuovo
verso disé:
“Se tu non fossinato, non avreiincontratoquestoangelo …” glisorrise.
Akito sistupìdiquelle parole: unangelo … non un demonio, ma un angelo, così lo avevachiamato.
Ebbedifficoltà a controllareiltremitodellasua
voce:
“Perché la pensicosì?” le chiesesoltanto, e Sanarisposeimmediatamente, come se non aspettassealtrochequelladomanda:
“Perchéquestamattinatiseipreoccupato per me, e pocofahaisaputoascoltarmi e capirmi. Undemonio non sarebbestato in gradodiconsolarmi, come haiinvecefattotu.”
Guardòisuoiocchiluccicare,
nonostanteilsuoorgogliogliimpedissediversarelacrime, e siintenerì, tantoche lo attirò a sé e lo abbracciò. Il primo veroabbracciocheilragazzoriceveva, un abbracciocheavrebbecambiato
per sempre le cosetraloro … in quelmomento le loro due anime, cosìsimilidaintendersi al primo sguardo,
eranoentrate in contatto per la prima volta. Durantequella conversazione avevanoiniziato a conoscersi, a dialogare, fino a stringereunlegame
in quell’abbraccio. Oraeranodiventatiamici, compliciunpassatodifficile
per entrambi, un presente
in comune ad unirli e un futuroancoradavanti
a loro, dascoprire … insieme …
Com’era? Spero di
riuscire ad aggiornare presto! JKisses!!
Quel giorno fu l’inizio
di una profonda amicizia tra Sana e Akito. Il loro legame non sempre era
visibile all’esterno, chi non li avesse conosciuti non avrebbe mai detto che
fossero amici: entrambi erano spesso freddi e chiusi in se stessi, non si
parlavano quasi mai, non scherzavano insieme. Ma il legame che li univa era
qualcosa di profondo, che solo loro conoscevano; a loro bastava un solo sguardo
per esprimere ogni loro pensiero, conoscevano ognuno il dolore dell’altro,
sapevano consolarsi a vicenda solo con i loro silenzi, più rassicuranti di
mille parole inutili. E il loro legame era aiutato anche … dalla matematica!
“Allora vieni da me
oggi pomeriggio per quell’esercizio, Kurata?” chiese una mattina il biondino
all’amica, prima di uscire da scuola.
“Ok, alle tre?” Sana
gli rispose con un raro sorriso, che sapeva dedicare solo a lui. Un
impercettibile segno del ragazzo le fece capire che andava bene, e lo salutò
con un cenno della mano prima di avviarsi con Aya sulla strada di casa. Percorsero
alcuni isolati insieme, e per tutto il tragitto l’amica continuò a scoccare
occhiate a Sana con uno strano sorriso stampato sul volto. Dopo un po’ la
ragazza non resistette più e sbottò:
“Allora, che hai da guardare?!”
Aya manifestò di nuovo
un sorriso, questa volta ancora più smagliante:
“Niente!” rispose, ma dopo qualche passo ricominciò a lanciarle qualche
occhiata, al che Sana si spazientì e si arrestò di colpo:
“Insomma, mi spieghi che diavolo hai oggi?!” le chiese freddamente. Aya quasi
si mise a ridere, prima di rispondere:
“Be’, è che … ti vedo
diversa. Sei strana! Sai, è da quando hai fatto amicizia con Hayama che sei più
… solare! Ma tra te e lui … non è che …”
Sana scoppiò in una
risata.
“Che cosa?Io e Akito …?!
Sì, certo, come tu stai con Sasaki!” e continuò a ridere, ma un improvviso
rossore sul volto dell’amica la fece smettere all’istante. La scrutò con occhio
indagatore, che mise Aya ancora più a disagio, dopodichè fece la domanda:
“Stavo scherzando … cioè, tu e Sasaki non …?!” ma una sola occhiata piuttosto
eloquente la bloccò. Sana sgranò gli occhi, incredula, mentre Aya pronunciava
confusamente qualche spiegazione:
“Ecco, vedi … ieri
pomeriggio Tsuyoshi mi ha invitata a fare un giro e … ed è stato tanto dolce e
carino … mi ha offerto una cioccolata in un bar, e poi … be’, a me piaceva, e
lui … insomma, si è dichiarato quando mi ha riportata a casa, così …”
Sana ascoltava a bocca
aperta. Non seppe perché, ma d’improvviso si immaginò Akito che la invitava
fuori e faceva il ragazzo dolce, offrendole una cioccolata calda in un bar …
Sì,
come no! Ce lo vedo proprio … esclamò tra sé e sé
sorridendo e scuotendo la testa.
“Cos’hai da ridere?!”
le chiese l’amica indispettita.
“Eh? No, niente, una
stupidaggine … comunque, be’, sono felice per te.”
Nel frattempo avevano
raggiunto la casa di Sana. Le due amiche si salutarono, e la ragazza entrò
nella grande villa di sua “madre”. Essendo una scrittrice affermata, i soldi
non mancavano di certo a Misako, e la loro casa ne era un esempio. Molte volte
Aya aveva invidiato l’amica, ma alla ragazza non interessavano il lusso e la
fama: tutto ciò che avrebbe voluto era vivere con una vera madre che non l’avesse
mai abbandonata e un padre, che invece mancavano nella sua vita, e che
sarebbero mancati sempre.
“Ciao, Sana!” disse
Misako non appena sentì entrare sua “figlia”.
“Ciao, Misako” rispose
la ragazza. Non l’aveva mai chiamata “mamma”, e col tempo la donna se n’era
fatta una ragione. La ragazza fece per salire le scale, diretta alla sua
camera, ma Misako la fermò con un piede ancora sul primo scalino:
“Aspetta, Sana. Devo parlarti.”
“Cosa c’è?” le chiese
Sana, voltandosi e lanciandole uno sguardo interrogativo. La donna le disse di
seguirla in soggiorno e di accomodarsi su un divano. Sana iniziò a chiedersi se
fosse qualcosa di grave.
“È successo qualcosa?”
chiese titubante.
“Niente di grave …” la
rassicurò lei “… o almeno credo”
“Be’, dimmi tutto, non
tenermi così sulle spine!” la incitò Sana. Finalmente Misako si decise a
spiegarle:
“Vedi, oggi è stato pubblicato
il mio ultimo libro, quello a cui lavoro da anni, ormai …”
Sana trasse un sospiro.
“Era solo questo?
Pensavo fosse successo chissà cosa!” e fece un sorriso. “Be’, finalmente! Sono
felice che tu l’abbia finito, scommetto che sarà bellissimo! Ma non mi hai
ancora detto quel è la trama …”
“E proprio questo che
voglio svelarti” disse la donna, e trasse un profondo respiro prima di
continuare:
“Il titolo è Mia figlia ed io …” Sana si irrigidì, ma lei proseguì “Ho parlato
della nostra vita, ho raccontato le tue origini, ho descritto il giorno in cui
ti ho trovata su quella panchina nel parco, e la tua vita fino ad oggi in
questa casa …”
“Perchè?!” la interruppe d’un tratto Sana. Aveva gridato. Avrebbe voluto
trattenersi, ma non le era riuscito:
“È già abbastanza
difficile per me sapere che sono stata abbandonata da una madre che non ha
voluto rivestire quel ruolo, che mi ha considerata come un oggetto da gettare
perché troppo ingombrante! Non voglio che tutti lo sappiano, e che magari mi
compatiscano! La mia vita è affar mio! Non sei autorizzata a raccontare a tutto
il mondo ciò che ho passato!”
Sana era furiosa,
quanto incredula: non riusciva a credere che Misako volesse davvero pubblicare
la sua vita. Non gliene aveva mai parlato. In anni di lavoro, le aveva sempre
tenuto nascosto il contenuto di quelle pagine che scriveva quasi ogni sera,
come se fossero un diario. E ora, a solo un giorno dalla data di pubblicazione,
le rivelava che il suo segreto sarebbe stato svelato al mondo intero!
Misako cercò di recuperare
la situazione:
“Sana, l’ho fatto per te. Questo libro ha uno scopo: io so come ti senti, vedo
che l’affetto che mi dimostri è forzato, che in realtà tu non vorresti vivere
con me.”
La ragazza fece per
interromperla, ma la donna non glielo permise:
“No, Sana: lo so! So che in realtà tu vorresti vivere con la tua vera madre …
be’, è per questo che ho scritto questa biografia: spero che la tua vera madre
venga alla luce. Forse lei non si è mai perdonata per ciò che ha fatto sedici
anni fa, quando ti ha lasciata nel parco. Forse anche lei vorrebbe poterti
stringere tra le braccia come ho fatto io in questi anni. Io spero che questo
libro serva a riportarti tua madre, Sana.”
Pronunciò le ultime
frasi con le lacrime agli occhi. Sana la guardò ancora con freddezza; dentro di
sé, però, sapeva che aveva agito per il suo interesse, e capì anche quanto
quella scelta le fosse costata: Misako le voleva davvero bene, l’amava come una
vera figlia, e se sua madre si fosse davvero presentata, per lei sarebbe stato
un grande dolore. Eppure, per il bene di Sana, aveva deciso di fare questo
sacrificio. L’espressione della ragazza si raddolcì, e si avvicinò a Misako.
“Scusami” le disse
soltanto, e le diede un veloce abbraccio, prima di scomparire su per le scale.
La donna sentì la porta della camera di Sana chiudersi, e rimase seduta sul
divano, il volto rigato dalle ultime lacrime, chiedendosi se quella fosse stata
davvero la scelta giusta.
Sana non pranzò. Rimase
in camera sua, sdraiata sul letto, a fissare il soffitto ripensando alla
discussione di poco prima. Misako voleva ritrovare sua madre. Per lei, avrebbe
rinunciato ad avere una figlia, avrebbe rinunciato al suo desiderio più grande,
pur di renderla felice, e questo la ragazza lo sapeva. Eppure c’era qualcosa
che le impediva di gioire per quella scelta. Lei aveva sempre desiderato vivere
con la sua vera madre e, magari, anche un padre, fin da quando era piccola e
aveva scoperto che Misako non era la sua vera mamma lo aveva sognato. Ma nell’ultimo
anno si era fatto strada dentro di lei l’odio per quella madre che l’aveva
abbandonata. Sentiva che se anche si fosse presentata di fronte a lei, con l’offerta
di una vita insieme, non avrebbe avuto la forza di perdonarla e di
ricongiungersi a lei. Ma non l’aveva confessato a Misako. Non l’aveva mai detto
a nessuno. Di quell’odio ne aveva parlato solamente con una persona: il suo
migliore amico, quel ragazzo la cui anima era riuscita a toccare la sua … Akito
Hayama. Neppure Aya conosceva a fondo i suoi sentimenti. Certo, era la persona
con cui si era confidata maggiormente, che sapeva più cose di lei, ma mai
quanto Akito.
Guardò la sveglia sul
comodino alla sua sinistra: erano le due e pochi minuti. Mancava quasi un’ora
all’appuntamento con il ragazzo … ma non resistette. Si alzò e senza dire
niente a Misako uscì.
“Kurata?!” fu l’esclamazione
stupita di Akito quando si trovò la ragazza sulla porta d’ingresso prima ancora
delle due e mezza. “Che ci fai già qui? Mi stavo facendo una doccia!”
“Già, ho notato”
commentò Sana osservando i capelli biondi bagnati e gocciolanti sul petto nudo
del ragazzo e il solo asciugamano legato in vita.
“Va be’, dai, entra” la
invitò lui, e la lasciò passare. Salirono nella camera di Akito, dove il
ragazzo indossò un paio di jeans, poi prese un asciugamano e iniziò a
frizionarsi i capelli.
“Dov’è il libro di
matematica?” le chiese quando si accorse che la ragazza non l’aveva portato.
“Ehm … l’ho dimenticato.
Usiamo il tuo, no?” rispose velocemente Sana, e andò alla scrivania di Akito.
Si sedette dando le spalle al ragazzo e aprì il libro ad una pagina a caso,
fingendo di interessarsi alle regole di geometria. Sentì i passi di Akito
avvicinarsi dopo qualche secondo e la sua mano posarsi sulla sua spalla, mentre
la sua voce, bassa e seria, chiedeva:
“Sana, cosa c’è?”
La ragazza rimase in
silenzio. Allora Akito si inginocchiò per terra e fece girare la sedia di Sana
sulle ruote finché gli occhi della ragazza non furono di fronte ai suoi. La
fissò a lungo, cercando di trarne una risposta alla sua domanda.
“Lo so che qualcosa non
va, Sana. Non puoi nascondermelo, lo vedo! Perché non ne parliamo, come abbiamo
sempre fatto? Sei venuta qui per questo, no?” le disse dolcemente. Sana si
perse nelle iridi ambrate che la scrutavano, cercando lì, dove l’aveva sempre
trovata, la sicurezza di cui aveva bisogno.
“Sono ormai tre mesi
che ci raccontiamo tutto, sei sempre stata aperta e sincera con me … Cosa c’è?”
le ripeté. E Sana lo stupì. Lentamente, gli occhi che stava fissando si
riempirono di lacrime. Per la prima volta, la ragazza pianse di fronte ad
Akito, e lui non seppe cosa fare. Restò immobile, a guardarla incredulo versare
lacrime silenziose, finché lei non si gettò tra le sue braccia, scossa dai
singhiozzi, premendosi contro il suo petto ancora nudo, bagnandolo di gocce
salate. Attonito, lui esitò un po’ prima di stringerla a sé e accarezzarle i
capelli con una mano, mentre borbottava vaghe, inesperte, consolazioni. Dopo
qualche secondo la ragazza si calmò, e staccandosi lentamente da lui si alzò e
andò alla finestra, dandogli le spalle. Akito rimase in silenzio, aspettando
che fosse lei a decidere quando parlargli. E poco dopo Sana iniziò, con lo
sguardo assente che oltrepassava il vetro, guardando il paesaggio fuori dalla
finestra senza in realtà vederlo:
“Oggi Misako ha pubblicato un libro”
Nella pausa che seguì,
Akito non disse nulla, sempre lasciando alla ragazza lo spazio e il tempo di
cui aveva bisogno, senza forzare il suo discorso. Sana proseguì:
“L’ha intitolato Mia figlia ed io, e ha descritto tutta la mia vita, compreso …
compreso l’abbandono da parte di mia madre.”
La voce della ragazza,
che sembrava aver ritrovato il suo solito tono fermo e sicuro, ora era di nuovo
scossa da un lieve tremito.
“Lei … Misako vuole
ritrovare mia madre” concluse. Akito attese qualche secondo prima di dare voce
ai pensieri di Sana:
“Ma tu non vuoi …
giusto?”
Finalmente lei si voltò
e tornò a fronteggiarlo, gli occhi gonfi di pianto, anche se non più bagnati
dalle lacrime. Scosse la testa, confermando ciò che il ragazzo aveva intuito.
“Io non voglio
rivederla …” spiegò “Io … io la odio, non voglio più avere a che fare con lei!
Mi ha abbandonata che non avevo nemmeno due giorni di vita! Non la perdonerò
mai! MAI!!!”
Pronunciò quelle frasi
sfogando tutta la sua rabbia, gridandole al silenzio della stanza.
“Non voglio tornare con
mia madre … non ora che … che …”
Improvvisamente le
mancarono le parole. Akito le si avvicinò.
“Dillo, Sana”
Lei lo guardò negli
occhi … aveva capito. Lui sapeva cosa provava. Come sempre … un solo sguardo,
una sola frase lasciata a metà gli aveva fatto capire i suoi sentimenti. D’altronde
era lo stesso che succedeva a lei … anche Sana sapeva leggere il cuore del
ragazzo in un istante. Era questo che rendeva unico e speciale il loro
rapporto, che li legava in un’amicizia che andava al di là di sorrisi e parole,
che arrivava nel profondo dell’anima, dove regnano silenziosi i veri
sentimenti.
“Dillo” le ripeté, posandole
le mani sulle spalle. “Ammettilo a te stessa, prima di tutto, e non
vergognartene!”
Sana inspirò a fondo.
“Non ora che …” iniziò,
e Akito la invitò proseguire con uno sguardo, nel quale lei vi trovò la forza.
“Nonora che considero Misako … mia madre”
L’aveva detto.
Finalmente l’aveva ammesso. Le sembrava quasi di aver pronunciato una formula
proibita, ma era soltanto la verità: ormai stava considerando Misako una vera
madre. L’affetto che nutriva verso di lei era sincero, ed era un affetto materno,
lo sentiva, e lei l’amava come una figlia, perché era questo per la donna.
Sebbene non lo fossero di sangue, Sana e Misako erano madre e figlia, e
finalmente era riuscito a capirlo.
Improvvisamente sentì
il corpo di Akito premersi contro il suo in un nuovo abbraccio, al quale si
aggrappò felice e riconoscente.
“Grazie, Aky” mormorò.
“E di cosa?” fece lui,
contento per la sua amica. Poi la scostò e la guardò con espressione seria:
“Ora però devi dirlo a tua … madre” le disse. Sana fece per ribattere, ma lui
non glielo permise.
“So che per te è
difficile, ma devi farlo! Misako deve sapere cosa provi, e poi, è l’unico modo
che hai per risolvere la faccenda del libro e della tua vera madre”
Sana non poté che
riconoscere che aveva ragione. In quel momento, però, squillò il telefono.
Akito si avvicinò alla scrivania, prese il cordless e rispose. Rimase per un
attimo in silenzio, poi si voltò verso Sana e allungò verso di lei la mano che
teneva il telefono.
“È Misako.” disse
semplicemente. Sana prese il cordless con mani tremanti, e con voce altrettanto
insicura pronunciò un flebile “Pronto?”
La voce che rispose
dall’altra parte della cornetta rivelava una forte emozione:
“Sana, sapevo che eri lì … torna a casa … c’è tua … madre … vuole vederti …”
L’espressione di Sana
fece capire all’istante cosa stava accadendo. Akito lesse nei suoi occhi le
parole che aveva pronunciato Misako. Anche se non ce n’era bisogno, Sana gli
sussurrò, senza fiato, forse ripetendolo più a se stessa che all’amico:
“Mia madre … è a casa mia …”
Akito continuò a
guardarla negli occhi, cercando di capire cosa provasse, cosa volesse fare.
“Sana …?” Misako chiamò
la ragazza, ma lei non rispondeva più al telefono. Akito prese il cordess dalle
mani dell’amica:
“Sana non è pronta per incontrare sua madre.” disse. Sana non credette alle sue
orecchie, ma fu molto grata al ragazzo per aver dato voce ai suoi pensieri. Era
vero: non si sentiva pronta per incontrare la sua vera madre … lei non voleva
incontrarla!
“Come?!” fu la risposta
dall’altra parte della cornetta.
“Ho detto che Sana non
vuole vedere sua madre.” ripeté con la solita voce calma e fredda Akito.
Sana si avvicinò al
ragazzo e tese di nuovo una mano verso il telefono.
“Passamela.” disse. La
sua voce era ferma, e il ragazzo ubbidì.
“Mamma …” disse Sana, e
sentì Misako trasalire, sorpresa. “Non voglio incontrare quella persona, dille
di andarsene.”
Ci fu un istante di
silenzio, poi la donna le chiese.
“Sei sicura?” dalla sua
voce si capiva che era sull’orlo delle lacrime, lacrime di una piccola gioia.
“Sì” fu la semplice
risposta di Sana. Poi, prima che la donna riattaccasse, sena quasi pensarci,
aggiunse: “Forse stasera non torno a casa …” e mise giù. Alzò lo sguardo su
Akito, che continuava a scrutarla cercando di capire i suoi sentimenti. Ciò che
vedeva in quel momento era una leggera titubanza.
“Aky … posso … posso
stare da te, questa notte?” chiese debolmente. Attese con lo sguardo basso la
risposta, che arrivò in pochi istanti:
“Certo”
Quell’unica parola sollevò
del tutto il morale di Sana, che gli rivolse un raro, ma stupendo sorriso e si
gettò tra le sue braccia, facendolo cadere sul divano alle loro spalle.
“Ehi! Piano!” protestò
lui, ma un piccolo sorriso era affiorato anche sulle sue labbra. Vedere Sana di
nuovo felice lo rasserenava. Lei continuò a stringerlo, finché la voce di lui
non la raggiunse, un po’ soffocata.
“Ehm … non vorrei
offenderti, ma … non sei proprio un peso piuma! Mi stai schiacciando!” la prese
in giro.
Sana sciolse l’abbraccio,
rimanendo però sempre su di lui: “Cosa vorresti dire?! Stai insinuando che sono
grassa?!”
“Chi? Io?! Noooo ….”
“Allora vuoi la guerra?” Sana prese un cuscino dal divano e iniziò a colpire il
ragazzo. Lui si fece scudo con le braccia, poi, quando la ragazza iniziava a
stancarsi, la prese per la vita e la fece sdraiare sul divano sotto di lui,
immobilizzandola. Si guardarono negli occhi.
“Eccoti la guerra …” le
disse lui con un ghigno.
“Oh no …” fece lei
preoccupata, sapendo cosa voleva fare.
“Oh sì, invece!” e iniziò
a farle il solletico. Sana si piegò in due, ridendo e tirando pugni al ragazzo
nel tentativo di scostarlo, ma lui non si smuoveva.
“Allora, vuoi ancora
combattere?” le chiese lui, continuando a solleticarle la pancia.
“No … basta, ti prego! …
non ce la faccio più … Aky, smettila!” diceva lei tra le risate. Ma ciò che li
interruppe fu un grido, che proveniva dal corridoio.
“Vuoi smetterla di fare
tutto questo baccano!! Dannazione, ti ho detto mille volte che non voglio
sentirti!”
Improvvisamente la
porta della camera si aprì ed entrò una ragazza: sembrava avere qualche anno più
di loro. Vedendo Sana, rimase sorpresa.
“Chi è lei?” chiese
rivolta ad Akito.
“Non sono affari tuoi,
Natsumi! Esci dalla mia camera!” rispose bruscamente lui.
“Sono affari miei eccome,
piccolo demonio! Questa è casa mia, e ringrazia di esserci anche tu! Non
dovresti nemmeno esistere! Non voglio sentire un altro rumore, chiaro?!” la
voce infuriata di quella ragazza infastidì Sana, che capì di trovarsi di fronte
alla sorella di Akito.
“Non prendertela così
con lui, è colpa mia!” disse, cercando di trattenere la rabbia che le stava
montando dentro assumendo il tono più gentile che le riuscisse e prendendo le
difese del ragazzo. L’altra, seppur abbassando il tono della voce, rispose
sempre con durezza:
“No, la colpa è sua … è tutto colpa sua! È colpa tua, Akito, se non c’è più
nostra madre! TUA! Quanto vorrei che non fossi mai nato!”
Sana vide l’espressione
di Akito velarsi di tristezza e dolore, sentimenti che solo lei riusciva a
notare, ma che esistevano nel profondo del cuore del ragazzo, e questa volta
non riuscì più a trattenersi:
“Come puoi dire una cosa simile?!” scattò. Natsumi la guardò con stupore, ma
Sana non si fermò:
“Come puoi dare la colpa di un incidente a tuo fratello?! Non è colpa di
nessuno se vostra madre non c’è più! Non pensi che forse anche lui soffre per
questo?!”
“Lui?!?” esclamò la ragazza come se non riuscisse a credere a quelle parole,
come se avesse detto una grande, divertente, stupidaggine.
“Sì, lui!!! Soffre
molto più di te! Per sedici anni non ha fatto altro che pensare che sua madre
fosse morta per causa sua! Sedici anni, desiderando di non essere mai nato per
rendere felici te e tuo padre! Una felicità che a quanto vedo non vi meritate
nemmeno! Sai cosa abbia significato per Akito? Ne hai una minima idea?!” Sana
ormai era un fiume in piena, non riusciva più a fermarsi: “Ha sofferto più di
tutti voi! Ha vissuto la sua intera vita senza una madre e senza nemmeno l’affetto
di chi gli era rimasto! Come avete potuto trattarlo in questo modo?!”
Non sapeva dire perché,
ma sentiva alcune stupide, calde lacrime premerle agli angoli degli occhi, ma
continuò: “Non avete fatto altro che ripetergli che era un demonio, finché non
se n’è convinto pure lui! Non ti rendi conto in quale inferno hai trasformato
la sua vita, quando in realtà non se lo meritava?! Lui non si merita questo
odio! La morte di sua madre NON è COLPA SUA!”
Una lacrima di rabbia
scese sulla sua guancia. Tacque, continuando a fissare con occhi di ghiaccio
Natsumi, che stava ferma di fronte a lei senza reagire, senza dire una parola.
Un silenzio carico di tensione si levò nella stanza. Nessuno disse più nulla,
lo sfogo di Sana aveva pietrificato gli animi. Sentendo quella situazione insostenibile,
improvvisamente Akito prese Sana per un polso e la tirò via. Passò accanto alla
sorella senza guardarla negli occhi, senza dire nulla, e uscì dalla casa.
Si incamminò senza dire
una parola, tenendo lo sguardo basso, perso dietro l’immagine della sorella
fronteggiata da Sana, mentre le loro parole rimbombavano nella sua testa senza
fine, sovrapposte.
Sana lo aveva difeso …
era stata la prima a farlo, e gliene era grato.
Sana lo seguiva qualche
passo più indietro, rispettando il suo silenzio, dopotutto anche lei immersa in
riflessioni su quanto era accaduto. Non sapeva perché, ma le parole di Natsumi
l’avevano colpita, quasi come se fossero state dirette a lei, ed era esplosa;
non si era quasi resa conto di urlare, le frasi erano uscite dalla sua bocca
senza che potesse controllarle. E ora si sentiva stranamente sollevata. Alzò lo
sguardo su Akito: il ragazzo continuava a camminare con passo lento, ma deciso:
sembrava sicuro della strada che stava percorrendo, e anche Sana sapeva dove
era diretto. E infatti, come aveva pensato, poco dopo raggiunsero il parco …
sembrava stesse diventando il loro posto … il posto dove si ritrovavano
per darsi conforto, il posto in cui si trovavano più in sintonia …
Si avvicinarono al
gazebo. Akito si fermò di fronte ad esso, lo sguardo di ghiaccio fisso a terra.
Improvvisamente alzò un pugno e lo fece scattare con rabbia verso una delle
colonne. Con sorpresa, però, sentì qualcosa bloccare la sua corsa, avvolgendosi
morbidamente intorno alla sua mano. Alzò stupito lo sguardo e vide Sana di
fronte a sé, una mano intorno al suo pugno chiuso e un tenero sorriso sulle
labbra.
“Tu non hai colpe”
scandì con voce dolce, continuando a sorridergli teneramente. Akito rimase
incantato da quelle labbra, dalle parole che avevano pronunciato, da quel
sorriso che esprimevano … le guardò, e sentì l’irrefrenabile desiderio di
sfiorarle, era come attratto da esse. Lentamente si avvicinò al viso di Sana,
mentre il suo pugno si apriva, intrecciando le dita con quelle della ragazza.
Lei non si mosse: accolse timidamente le labbra di Akito sulle proprie. Non
rispose, né si sottrasse al bacio, era come pietrificata da quel gesto. Akito
si scostò poco dopo, lentamente come si era avvicinato.
“Grazie … di tutto”
disse sottovoce. Sana rimase immobile, in silenzio, gli occhi fissi nei suoi,
rapita dal suo sguardo intenso, arrossì leggermente.
Improvvisamente, un
rumore sommesso ruppe quell’istante di imbarazzo: lo stomaco di Sana richiedeva
cibo. La ragazza arrossì ancora di più:
“Ehm … sai, oggi non ho pranzato, visto quello che è successo … Che … c-che ne
dici se andiamo a prenderci qualcosa in un bar?” balbettò. Akito sorrise, e
quel sorriso rassicurò Sana.
“Certo” acconsentì, e
andarono a comprare qualche panino. Tornarono a mangiare nel parco, sedendosi
sotto il gazebo. Il sole stava ormai tramontando. Mangiarono in silenzio,
ancora un po’ scossi dagli avvenimenti della giornata. Anche quando ebbero
finito di mangiare continuarono a stare seduti uno affianco all’altra senza
dire una parola. Per entrambi, il silenzio era il modo migliore di esprimersi,
riuscivano a cogliere ogni muta parola dell’altro, era la loro forza nei
momenti difficili. Loro non erano come gli altri, non usavano parole inutili,
prive di significato, non si sfogavano urlando. Quelli erano i loro urli,
quella calma esterna che celava la tempesta dentro di loro. E sapevano
ascoltare i propri silenzi, sapevano interpretarli e rispondervi, e questo li
rendeva indispensabili l’uno all’altra.
Passarono alcuni
minuti, finché il buio non calò del tutto attorno a loro.
“Forse è ora di tornare
a casa” propose Akito. Sana annuì, e si incamminarono verso casa Hayama. Quando
arrivarono, si scambiarono un’occhiata: entrambi temevano di trovare Natsumi
oltre la porta, e non avrebbero saputo come comportarsi. Trassero un profondo
respiro, poi il ragazzo aprì la porta. Per fortuna la casa era deserta; sua
sorella doveva essere andata in camera sua. Con un sospiro di sollievo appena
percettibile, Akito richiuse lentamente la porta alle spalle di Sana e la
precedette al piano di sopra. Raggiunse una porta accanto a quella della sua
camera, quella della stanza degli ospiti, e si fermò. Si voltò a guardare Sana …
e di nuovo fu il silenzio a parlare per lei. Guardò il ragazzo, con una tacita
domanda negli occhi … che Akito colse al volo, e alla quale rispose con un
gesto: la prese per mano e superò quella stanza per entrare nella propria. Si
sedette sul piccolo divano accanto al letto, mentre Sana prendeva posto al suo
fianco. Entrambi erano stanchi per quella giornata intensa. Akito passò un
braccio intorno alla vita di Sana, attirandola a sé. Lei lo guardò negli occhi,
con il suo sguardo intenso tanto simile a quello del ragazzo … e si avvicinò di
più al suo viso, posando un breve, timido, lieve bacio sulle sue labbra.
“Grazie, Aky … di tutto!” gli sorrise, poi
appoggiò la testa sul suo petto e, cullata dal potente e forse un po’
accelerato battito del cuore del ragazzo, si addormentò.
Il sole era già sorto
da alcune ore e si insinuava con i suoi raggi tiepidi nella camera di Akito.
Era una domenica mattina, quindi lui e Sana non sarebbero dovuti andare a
scuola, e il ragazzo lasciò che Sana dormisse nonostante lui fosse già
completamente sveglio. Sentiva il leggero peso della ragazza sul suo petto,
dove si era addormentata la sera prima, sfinita dall’intensità della giornata.
Le accarezzò i capelli, giocando con una delle ciocche rossicce che le
scivolavano sul viso disteso e rilassato, e intanto posò lo sguardo fuori dalla
finestra, ad osservare il lento rianimarsi di Tokyo. Ad un tratto sentì
provenire dal corridoio il rumore di una porta che veniva aperta e chiusa
qualche metro più in là della sua camera: Natsumi doveva essersi alzata. Stette
in ascolto, e sentì dei passi leggermente strascicati avvicinarsi lentamente.
Si voltò verso la porta, e vide la maniglia girare adagio, cercando di fare il
meno rumore possibile. Poco dopo, sulla soglia comparve la sorella del ragazzo:
aveva un’aria assonnata,gli occhi gonfi
che indicavano che quella notte non aveva dormito … e forse non solo quello …
sembravano gonfi di pianto … Stava per parlare al fratello, ma quando si
accorse che nella stanza c’era anche Sana si zittì. Akito la guardò
intensamente, chiedendole con lo sguardo di non svegliare la ragazza e di
andarsene … e per la prima volta in sedici anni sembrò che Natsumi fosse
riuscita a interpretare lo sguardo di Akito, perchè in silenzio fece un debole
sorriso, che sembrava volesse dire “parleremo dopo” e andò via, chiudendosi
delicatamente la porta alle spalle.
Akito trasse un
sospiro: era sicuro che la sorella volesse parlargli di ciò che era successo la
sera prima, e non aveva voglia di farlo. Per dirla tutta, era un po’ spaventato
da ciò che avrebbe potuto dire Natsumi, perché non aveva idea di cosa avrebbe
potuto essere. Mentre rifletteva, sentì Sana muoversi leggermente sul suo petto
e mugugnare. Smise di accarezzarle i capelli e le diede il buongiorno con un
piccolo sorriso. Sana lo fissò per qualche secondo con sguardo ancora
trasognante, e quando realizzò dove si trovava scattò in piedi esclamando:
“Scusami! Mi sono addormentata così! … Sei rimasto a dormire sul divano?! Mi
dispiace!”
Akito continuò a
guardarla sorridendo, si alzò anche lui e si stiracchiò, poi le mise dolcemente
una mano sulla guancia:
“Non preoccuparti …” le
sussurrò allargando il sorriso. Sana vi rispose, sfiorò con una mano quella del
ragazzo, poi si avviò verso la porta.
“Grazie di tutto,
Akito, davvero. Sei stato … be’, insomma … grazie” disse arrossendo
leggermente, ma si riprese subito. “Ora è meglio che torni a casa …”
“Non vuoi che ti
accompagni?” propose lui.
“No. Preferisco andare
da sola … ciao”
“A presto”
Sana uscì dalla camera
di Akito e scese le scale. Arrivata nell’ingresso, intravide la figura di
Natsumi nella cucina lì accanto, che si voltò verso di lei. Si guardarono per
un attimo, poi, inaspettatamente, Sana vide con sorpresa le labbra della
ragazza tendersi in un debole sorriso:
“Ciao” la salutò Natsumi. Ancora attonita, Sana le rispose con un veloce gesto
della mano e uscì dalla casa.
Si avviò verso la
propria villa con passo lento, riflettendo su ciò che sarebbe successo di lì a
poco: avrebbe affrontato Misako … e avrebbe dovuto chiarire le cose tra loro.
Non si sentiva ancora pronta …
Ma, in
fondo, mi sentirò mai veramente pronta? si
chiese. Raggiunse casa sua dopo parecchi minuti, durante i quali non aveva
fatto che pensare a cosa dire a Misako … ma senza arrivare ad una decisione! Giunta
di fronte alla porta, chiuse gli occhi, piegò leggermente la testa all’indietro
e trasse un lungo, profondo respiro prima di aprirla ed entrare furtivamente in
casa. Chiuse la porta senza preoccuparsi di accostarla lentamente, sperando che
fosse il rumore della serratura che scattava ad annunciare il suo arrivo per
non dover chiamare a voce Misako. E infatti, poco dopo, ecco la donna
affacciarsi dal salotto per vedere chi fosse entrato.
“Sana …” fu il suo solo
saluto. Sana rimase in silenzio un istante, prima di replicare:
“Mamma …”
Era stato facile. Per
la prima volta, le era venuto spontaneo, come se non avesse potuto chiamarla in
altro modo. Dopotutto, Misako era sua madre!
Nessuna delle due si
mosse, o disse altro. Semplicemente continuarono a guardarsi. La donna sembrava
trattenere il respiro per la sorpresa e la gioia: per la seconda volta Sana l’aveva
chiamata mamma, le sembrava un sogno che si avverava, e temeva che un solo suo respiro
potesse distruggere quel momento e riportarla alla realtà. Sana, da parte sua,
tratteneva il respiro temendo di aver sbagliato, non vedendo alcuna reazione
nella madre. Ma alla fine entrambe cedettero, e corsero l’una tra le braccia dell’altra,
stringendosi forte, trasmettendosi tutto l’affetto che avevano avuto paura ad
esternare in quegli anni. Si diedero il primo, vero, abbraccio come madre e
figlia, mentre i loro occhi diventavano lucidi, pericolosamente sull’orlo delle
lacrime: solo il loro carattere di donne forti impedì loro di piangere.
“Scusami, mamma, non ho
saputo dirti che ti volevo bene, e ti ho fatto soffrire ingiustamente!”
“Scusami tu, piccola,
non avevo il diritto di pubblicare quello stupido libro senza parlartene prima!
E in questi anni avrei dovuto imparare a capire i tuoi sentimenti, ad
ascoltarti davvero.”
Parlarono quasi allo
stesso momento, sovrapponendo le scuse. Si guardarono negli occhi ancora un po’
umidi e scoppiarono a ridere, abbracciandosi di nuovo.
Intanto, a casa Hayama,
Natsumi saliva le scale, diretta alla camera di suo fratello. Bussò alla porta,
e quando sentì la voce fredda di Akito permetterle di entrare, l’aprì
lentamente. Quasi timidamente si affacciò cercando suo fratello con lo sguardo:
lo trovò sdraiato sul letto, il viso rivolto alla parete affianco ad esso.
Rimase in quella posizione anche quando sentì la porta richiudersi, senza
voltarsi verso la sorella. Natsumi inspirò, esitò un attimo, poi parlò:
“Era una tua amica?” chiese riferendosi a Sana. Le rispose un mugugno quasi
impercettibile.
“Già, che domanda
sciocca …” disse lei, imbarazzata. “Senti … le cose che quella ragazza ha detto
ieri sera …”
Ecco … pensò Akito.
“Vedi … solo ora mi
rendo conto che … ha ragione …”
Akito trattenne il respiro,
mentre il cuore mancava un battito. Davvero erano le parole che aveva sentito
ad essere uscite dalla bocca di Natsumi?! No, era impossibile … tuttavia
continuò a fronteggiare il muro, senza lasciar trasparire alcuna reazione. Lei
fissò la sua schiena, avvicinandosi lentamente al letto. Il ragazzo sentì il
materasso piegarsi sotto il peso della sorella che si sedeva su di esso.
“Ha ragione …” ripeté “Non
è colpa tua se nostra madre è morta. Non è colpa tua se è successo. Non è colpa
tua se ti ha amato così tanto da volerti dare la vita.”
Akito sentì la voce di
Natsumi rompersi per il pianto, e si voltò finalmente verso di lei, vedendo con
sorpresa le lacrime bagnarle gli occhi.
“Perdonami, Akito … ho
reso la tua vita un inferno, e non ne avevo il diritto! Ti ho fatto soffrire
così tanto in questi sedici anni, senza preoccuparmene … ti prego, perdonami!”
Si gettò tra le braccia
del fratello, che senza che se lo aspettasse si ritrovò il viso di Natsumi
premuto contro il suo petto, mentre il suo corpo era scosso dai singhiozzi.
“Scusami, Akito …
perdonami …” continuava a ripetere la ragazza, stringendosi a lui piangendo.
Akito guardò la figura di sua sorella, per la prima volta
debole di fronte ai suoi occhi, le mise le mani sulle spalle e la scostò
leggermente da sé, fissando lo guardo in quello umido di lei:
“Smettila di piangere” disse solo. Tre parole. Tre sole parole, ma che insieme
al suo sguardo fecero capire a Natsumi di essere perdonata. Un perdono che non
pensava di meritarsi, ma che accoglieva con gioia, e con incredulità.
Finalmente gli sorrise, asciugandosi gli occhi con una manica e facendo di
tutto per frenare il pianto, anche se i risultati erano scarsi. E anche Akito,
se non con le labbra, sorrideva con il cuore a quella riappacificazione, e il
battito veloce del suo cuore rivelava la felicità che invece la sua
espressione, di solita, falsa, indifferenza, non voleva mostrare. Finalmente i
due ragazzi si sentivano davvero fratello e sorella.
Fine cappy. È da un po’ ke nn aggiorno, lo so, ma tra
scuola e altri impegni, nonché mille pensieri x la testa, nn ne ho avuto il
tempo. Sorry! ^_^’
È vero, qst cappy nn parla molto di Akito e Sana “insieme”,
ma volevo prima sistemare la faccenda di loro con le loro famiglie x potermi
poi occupare dei due ragazzi da soli (come nn lo so nemmeno io, a dire la verità
…!). Be’, spero vi sia piaciuto cmq! Attendo un vostro parere, vvtrb! Daisy J
Ps. x tt le autrici: anke se nn ho aggiornato la mia
storia, ho seguito tt i vostri aggiornamenti, e sn fantastici! Siete
davvero bravissime! Continuate così!!!
Pps. X i lettori: be’, un GRAZIE cm sempre xkè mi
seguite!
Tsuyoshi era all’ingresso della scuola che
aspettava l’arrivo del suo migliore amico e della sua nuova ragazza. Fu lei la
prima ad arrivare, accompagnata come sempre da Sana. Le vide in lontananza, che
camminavano verso di lui, e si staccò immediatamente dal muro per andare loro
incontro.
“Tsu!” fu l’esclamazione gioiosa di Aya,
che si precipitò tra le braccia del ragazzo. Sana li osservò scambiarsi
smancerie amorose sul marciapiede:
“Non ci andate tanto leggeri, eh?” commentò, ma i due nemmeno sembrarono più
accorgersi che ci fosse anche lei. Ciò che li distrasse fu invece l’arrivo di
un motorino che si fermò proprio di fronte a loro. Un ragazzo biondo scese dal
veicolo, lasciando il manubrio ad una ragazza che dimostrava qualche anno di più.
“Ciao, fratellino!” lo salutò la ragazza
prima di ripartire, mentre Akito alzò semplicemente una mano in risposta. Poi,
come se tutto ciò fosse normale, si voltò con noncuranza ad osservare le facce
attonite dei suoi amici: tutte avevano un’espressione fortemente stupita …
tutte tranne quella di Sana. Come era suo solito, il ragazzo non salutò
nessuno, ma si mise alla testa del gruppo e insieme a Sana entrò nel cortile
della scuola, mentre Aya e Tsuyoshi rimanevano immobili a bocca aperta. Si
voltarono l’uno verso l’altra, incrociarono gli sguardi interrogativi, poi
tornarono a guardare le schiene dei loro due amici che si allontanavano e
insieme scattarono verso di loro. Quando li raggiunsero, parlarono, o meglio,
balbettarono, quasi nello stesso momento:
“Akito … era … era Natsumi?!”
“Tua sorella?? Ma … insomma … da quando …?”
“Cosa diavolo succede?!” dissero infine all’unisono.
Akito, seccato, decise di fermarsi e spiegare finalmente loro qualcosa, così
che la smettessero di tormentarlo:
“Io e Natsumi abbiamo fatto pace e mi ha accompagnato a scuola. Tutto chiaro,
ora?” e fece per voltarsi di nuovo.
“Ma … come è successo? Cioè, siamo
felicissimi, è una magnifica notizia, Hayama!! Cosa le ha fatto cambiare idea?”
chiesero ancora gli altri due.
“Niente. È successo.” rispose lui vago,
lanciando però un’occhiata a Sana. La ragazza guardò quegli occhi, e si stupì
nel vedere un sorriso brillare in essi, nonostante le labbra del ragazzo non si
fossero mosse. Erano i suoi occhi a sorriderle, guardandola con una luce tenera
e riconoscente. E in quell’istante, Sana rivide nel suo sguardo il bacio che si
erano scambiati, quel leggero e veloce bacio che le aveva dato al parco,
ricordandosi poi anche di quello casto e timido che gli aveva dato lei prima di
addormentarsi sul suo petto … Arrossì, e distolse subito lo sguardo da lui,
come attratta magicamente da un punto indistinto del terreno. Akito,
accorgendosi di averla messa in imbarazzo, si voltò anch’egli e invitò i
ragazzi a muoversi, dopodichè riprese la via verso l’entrata della scuola. Un
piccolo sorriso di Sana lo ringraziò silenziosamente, prima che la ragazza lo
seguisse. Aya e Tusyoshi rimasero di nuovo fermi per qualche istante a
scambiarsi occhiate: non gli erano sfuggiti gli sguardi dei due amici …
Le lezioni trascorsero come al solito. In
due banchi della terza fila Aya e Tsuyoshi si bisbigliavano chissà quali parole
sdolcinate, dimenticandosi dell’insegnante e di tutti gli altri alunni che li
circondavano, mentre nell’ultima fila Sana e Akito sedevano assorti nel loro
usuale silenzio. Fu Sana, come accadeva di solito, a romperlo con uno sbuffo:
“Aky, non c’ho capito niente!” si lamentò
lasciando cadere la matita sul banco e appoggiandosi allo schienale della
sedia. In quei tre mesi erano cambiate molte cose: Aya e Tsuyoshi stavano
insieme, Akito e Sana erano amici, i problemi con le loro famiglie si erano
risolti … ma una cosa non era affatto cambiata: Sana odiava ancora la
matematica!
“Come al solito …” commentò lui, ma all’occhiata
fulminante della ragazza si zittì e si sporse sul suo banco prendendo il suo
foglio. Diede un rapido sguardo ai calcoli svolti dall’amica, e subito disse:
“Ecco l’errore: quanto fa 1856 meno 256?” le chiese.
“1700, no?!” rispose lei seccata.
“No, baka! Fa 1600! Altrimenti come fai a
calcolare il delta? Non usiamo ancora i numeri irrazionali!”
Lo sguardo stranito di Sana gli fece
scuotere la testa scoraggiato:
“Sei un caso irrecuperabile …” disse.
“Sei tu che parli arabo!” fece lei,
irritata.
“Kurata! Hayama! Sempre voi due, eh?” li
riprese il professore. “Possibile che durante le mie lezioni non sappiate fare
altro che parlare?! Kurata, scommetto che, come al solito, non è in
grado di svolgere il problema. Mi dia il diario …”
Prima che l’insegnante potesse avvicinarsi,
o che Sana potesse protestare, però, Akito disse:
“Scusi, è colpa mia. Volevo spiegarle cosa
aveva sbagliato nell’esercizio.”
Tutta la classe si voltò a guardarlo,
compresi Sana, Tsuyoshi e Aya, con tanto d’occhi: non era mai successo che
Akito si scusasse con un professore. Anche quest’ultimo rimase sorpreso, tanto
che disse solo un flebile “Bene” e riprese la lezione, dimenticandosi di
controllare il compito di Sana. Con una delle sue occhiate gelide Akito fece
voltare tutti i compagni che ancora lo stavano guardando, poi tornò al suo
compito.
“Grazie” fu il sussurro che gli arrivò da
Sana, al quale rispose con uno sguardo rassicurante e uno dei suoi rari
sorrisi.
Quando suonò la campanella che segnava la
fine delle lezioni, tutti gli studenti si riversarono fuori dalla classe,
tranne Aya e Tsuyoshi che aspettavano Sana e Akito. Gli ultimi due erano
impegnati in una discussione matematica mentre ritiravano le loro cose:
“Quindi per calcolare l’apotema della
piramide devi …” stava chiedendo Akito.
“Usare il teorema di Pitagora con il raggio
della base e l’altezza del solido, giusto?” rispose lei dopo averci pensato un
po’ su.
“Esatto. Bene, geometria l’hai capita. Devi
solo allenarti con i calcoli.”
“Sì, capo!” lo prese in giro Sana. Lui le
scoccò un’occhiata:
“Mi stai prendendo in giro, per caso?” le chiese.
“Nooo … ma ti pare?!”
Allora Akito le si avvicinò
minacciosamente.
“Se non sbaglio, eri tu a soffrire il
solletico …” disse. Sana sbarrò gli occhi:
“No, ti sbagli eccome, invece!” disse, ma già aveva alzato le mani, pronta a
difendersi da un attacco.
“Io non sbaglio mai” fu l’unico commento
del ragazzo prima di lanciarsi su di lei e iniziare a solleticarle la pancia e
il collo. Dopo si sentirono solo più le risate di Sana, che invano cercava di ritirarsi
dalla salda presa di Akito. Aya e Tsuyoshi stavano in un angolo dell’aula a
guardare i due a bocca aperta.
“Ma che cosa gli è successo?” si chiesero.
“Non ho mai visto Sana ridere in quel modo …”
commentò Aya osservando la sua amica.
“E io non ho mai visto Akito divertirsi così
…” disse invece il ragazzo. Rimasero stupiti a guardarli per un po’, dopodichè
furono costretti ad interrompere la loro piccola lotta.
“Ehm …” iniziò Tsuyoshi. Sentendolo, e
ricordandosi solo in quel momento della presenza dei loro amici, Sana e Akito
si fermarono e si guardarono. I loro visi erano a un soffio l’uno dall’altro,
mentre Akito aveva un braccio attorno alla vita della ragazza. Imbarazzati, si
scostarono immediatamente entrambi, cercando di riprendersi e di assumere un’espressione
il più normale possibile.
“Non volevamo interrompere questa magnifica
scenetta …” si divertì a prenderli un po’ in giro Aya “Ma la campanella è
suonata già da venti minuti e sarebbe ora di andare a casa!”
“Certo, arriviamo” fu la risposta di
entrambi. Sana arrossì leggermente, mentre Akito cercava di non incrociare il
suo sguardo, poi uscirono tutti dalla scuola e si incamminarono verso casa..
Percorsero un tratto di strada assieme,
fino ad un incrocio dove ragazzi e ragazze avrebbero preso due strade
differenti. Stavano per salutarsi, quando a Tsuyoshi venne in mente una cosa:
“Ehi, ragazze!” le fermò prima che si allontanassero. “Ormai siamo a metà
dicembre, e tra poco sarà Natale. Mi sono ricordato adesso di aver visto appeso
nella bacheca della scuola l’avviso di una festa …”
“Ah, sì. L’ho visto anch’io.” replicò Aya. “È quella che ci sarà al Diamond Blu
Night la sera del 23, giusto?”
Tsuyoshi annuì.
“Sì, quella. Perché non ci andiamo?”
propose.
“Una festa in discoteca?” rifletté Sana ad
alta voce. “Uhm … ma sì, per me va bene!” acconsentì. Aya era dello steso
parere.
“Tu che ne pensi? Verrai?” chiese Sana ad Akito. Il ragazzo la guardò. Non gli erano mai piaciute le feste, né aveva mai
partecipato ad una festa della scuola in discoteca, ma non seppe perché, quella
volta sentiva la voglia di andarci … Fece un solo cenno del capo, e acconsentì
così anche lui.
“Uao! Quasi non ci speravo!” fu il commento
del suo amico. “Bene, ci vediamo, ragazze!” salutò, e insieme al biondino si
allontanò in direzione di casa.
Per buona parte del tragitto, Akito sentì
lo sguardo indagatore del suo amico scrutarlo, e dopo un po’ si fermò
scocciato:
“Beh?!” sbottò, incrociando le braccia ad aspettare una risposta.
“Niente, è che … mi chiedevo: come mai
quest’improvvisa voglia di andare in discoteca? Tu odi queste feste!” disse
Tsuyoshi con un sorrisetto che non piacque affatto al ragazzo.
“Così” disse semplicemente. Tsuyoshi fece
un balzo indietro per la sorpresa quando vide una coda e un paio di orecchie da
leopardo agitarsi sul suo amico.
“A-Akito …??”
Lui fece finta di nulla, e si allontanò
verso casa propria lasciando il suo amico attonito dietro di sé. Solo la sua
domanda successiva riuscì a bloccarlo:
“Ti piace, vero?”
Non chiese nemmeno a chi si riferiva, non
ne aveva bisogno. Stette immobile e in silenzio, gli occhi di Tsuyoshi puntati
sulla sua schiena in attesa della risposta.
Gli piaceva? Sembrava strano per lui, ma
egli stesso se l’era già chiesto. Era stata la domanda che l’aveva tormentato
dopo il bacio che aveva dato a Sana vicino al gazebo. Sana gli piaceva? E la
risposta che si era dato era la stessa che ora non voleva dare al suo amico.
Perciò riprese a camminare senza rispondergli. Ma Tsuyoshi lo conosceva
abbastanza da sapere che quello era un sì …
I giorni trascorsero rapidamente, tra
scambi di effusioni in pubblico sempre più audaci (si parla ovviamente dei due
piccioncini Aya&Tsuyoshi!), e detestabili, nonché decisamente impossibili,
problemi di matematica, almeno dal punto di vista di Sana, perché sembrava che
invece per Akito fossero un passatempo divertente … Insomma, era finalmente
giunto l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale: il 23 dicembre.
Per quel giorno tutti gli studenti si rifiutarono di studiare, e praticamente
nessun insegnante riuscì ad impedire agli alunni di “anticipare leggermente” le
vacanze … be’, in poche parole, fu una mattinata di pura festa! In tutte le
classi qualcuno aveva “casualmente” portato qualcosa da mangiare, e da qualche
parte c’era perfino uno stereo che suonava gli ultimi successi pop e dance.
Anche nella classe di Sana e Akito vigeva l’anarchia, tanto che l’insegnante,
non sopportando il baccano dello stereo, aveva preferito andarsene (non dopo,
però, aver assaggiato un po’ della pizza che aveva preparato Aya la sera
prima)! Solo due persone, in un angolo, non festeggiavano: Sana e Akito, visto
il loro solito atteggiamento freddo e distaccato, erano rimasti seduti sui loro
banchi, ad osservare in silenzio il divertimento dei compagni.
“Che noia! Non ce la faccio più!” si lamentò
Sana. “Senti, hai voglia di andare a fare due passi in cortile? Tanto i prof
se ne sono andati.” aggiunse poi rivolta ad Akito.
Il ragazzo rispose con un semplice “Umph” e
si alzò seguendo l’amica fuori dalla classe. Una volta usciti dall’edificio si
diressero entrambi, come se si fossero messi d’accordo, verso l’albero al
centro del cortile. Sana si sedette su una delle sue radici, mentre Akito si
appoggiò al tronco, con una gamba piegata a poggiare il piede sulla corteccia.
Estrasse il cellulare dai jeans e vi dedicò la sua attenzione.
“Stasera come vai al Diamond?” chiese d’un
tratto Sana.
“Natsumi mi presta il motorino” fu la breve
risposta di lui. Una folata di vento gli scompigliò il ciuffo biondo, filtrando
tra le foglie dell’albero. Sana rimase per un attimo a guardare il viso del ragazzo contornato da quei capelli ribelli …
“Ti serve un passaggio?”
Si riscosse immediatamente, prestando
attenzione alle parole di Akito.
“Eh? Ah, non lo so.” rispose confusamente,
e arrossendo un po’. Il ragazzo se ne accorse, ma decise di far finta di nulla.
Rimise in tasca il telefonino, poi disse:
“Credo che Tsuyoshi accompagnerà Sugita con il suo motorino, quindi se vuoi
puoi venire con me.” Si stupì egli stesso delle proprie parole. Sana, dopo averci pensato un po’, acconsentì.
“Passo alle otto e mezza, allora.” disse
Akito.
“Ok”
Il silenzio calò poi tra i due, quel
silenzio che era un po’ come il loro elemento, il silenzio nel quale si
trovavano a proprio agio. Fu rotto solo dopo qualche minuto da una sola parola
di Akito:
“Vuoi?”
Stava porgendo a Sana una delle cuffie del suo lettore mp3. Lei annuì e il ragazzo le si sedette accanto. Le note di una canzone
dei Green Day iniziarono a suonare, e dopo qualche istante Sana appoggiò la
testa sulla spalla di Akito. I due rimasero così per il resto della mattinata,
finché la campanella di fine lezione non li avvertì che di lì a poco sarebbero
stati raggiunti dai loro due amici. Si alzarono, separandosi, e attesero che
Aya e Tsuyoshi li notassero e si avvicinassero a loro.
“Eccovi!” esclamò Tsuyoshi. “Akito, perché
mi hai chie …?” uno sguardo gelido del ragazzo lo zittì immediatamente. Le
ragazze li scrutarono con sguardo interrogativo, finché Tsuyoshi non disse
frettolosamente:
“Allora stasera ci vediamo alla discoteca alle nove, va bene?” al consenso di Sana e Akito salutò le ragazze e si dileguò con l’amico. Quando furono abbastanza lontani
dalla scuola, Tsuyoshi chiese di nuovo ad Akito:
“Perché mi hai chiesto di accompagnare Aya, questa sera? E poi si può sapere
perché diavolo mi hai zittito in quel modo, prima?!??”
Il biondino fece un vago gesto della mano
che significava di lasciar perdere, ma questa volta il suo amico era un osso
duro.
“È per Sana, vero?”
Colpito e affondato.
“Allora, glielo hai chiesto se voleva
venire con te? Da quel che ho capito dall’sms che mi hai mandato prima mi
sembrava che questo fosse il tuo piano … ”
Da parte di Akito ci fu di nuovo solo il
silenzio, che Tsuyoshi interpretò a ragione come un sì.
“Grande! E lei cos’ha risposto?”
“Umph”
“Uao! Sono felicissimo per te!” Era
incredibile come riuscisse sempre ad interpretare i semplici mugugni di Akito. “Finalmente,
era ora che ci provassi con una ragazza! Dico, hai sedici anni, piaci
praticamente a tutte le ragazze della scuola, e ancora non ti eri deciso! E
poi, vi vedo davvero benissimo insieme, siete fatti l’uno per l’altra!”
“HAI FINITO???!” gli intimò duramente l’amico,
piazzandosi davanti a lui con uno sguardo che non prometteva nulla di buono.
“Ok, ok!” si affrettò a dire Tsuyoshi
agitando le braccia davanti al viso cercando di calmare Akito, che intanto si
era voltato e aveva ripreso da solo la strada di casa, la mente che non poteva
fare a meno di ripetersi e riflettere su quelle ultime parole … siete fatti
l’uno per l’altra …
Nello stesso momento, dall’altra parte di Tokyo, Aya saltellava felice al fianco di Sana.
“Che bello, stasera vado in discoteca con
il mio pasticcino!” continuava a ripetere. “Ha detto che mi porterà con il suo
nuovo motorino … ehi, aspetta un attimo: e TU come ci vieni?!” chiese poi. Sana, senza volerlo, arrossì un po’ mentre bofonchiava la risposta:
“Mi dà un passaggio Aky”
Aya strabuzzò gli occhi.
“Vai con Hayama?! E com’è che lo chiami
Aky??? Da quando si usano questi diminutivi così intimi?! E sbaglio o sei
arrossita …?” sul suo viso si andava allargando il sorriso, mentre le guance
dell’amica si infuocavano ancora di più.
“PIANTALA!” disse solo, e affrettò il
passo, con l’intenzione di lasciare indietro Aya. Lei sospirò, poi la
raggiunse.
“Va bene, scherzavo! Comunque secondo me
stareste bene insieme, sembrate fatti l’uno per l’altra …” aggiunse con un
sorrisetto, e Sana non poté fare a meno di rimuginare su quelle parole …
Alle otto e qualche minuto, Sana era in
camera sua che fissava gli abiti sparsi sul suo letto: c’erano una minigonna di
jeans che le aveva regalato Aya mesi prima, ma che non aveva mai indossato, un
paio di jeans stretti, una camicetta bianca, una maglietta a maniche corte nera
attillata e con una scollatura a v e un top decisamente provocante. Stette in
contemplazione degli indumenti per qualche minuto, poi finalmente si decise e
iniziò ad indossare ciò che aveva scelto.
“Mamma!!” chiamò a voce alta.
“Cosa c’è, Sana?” fu la risposta che arrivò
attraverso le pareti.
“Posso … posso prendere un paio di scarpe
dal tuo guardaroba?” chiese leggermente imbarazzata. Misako rimase un attimo
interdetta, ma acconsentì. Curiosa, salì le scale e rimase a bocca aperta
quando si trovò la figlia davanti: indossava una stretta maglietta nera con le
ali di un angelo disegnate sulla schiena, una minigonna piuttosto corta di
jeans con una cintura di strass e ai piedi si stava provando un paio delle sue
scarpe con i tacchi a spillo!
“Ehm, richiudi pure la bocca, mamma” le
disse Sana un po’ imbarazzata.
“Ma … ma stai benissimo! E ti sei anche
truccata!” osservò la donna con stupore. “Finalmente ti sei decisa a fare la
ragazza …” commentò, meritandosi un’occhiataccia della figlia, ma noncurante
incalzò: “E come mai questo cambiamento? C’è di mezzo un ragazzo …? Magari …
Akito Hayama?” chiese alzando e abbassando il sopracciglio più volte con aria
ammiccante. Suo malgrado, Sana arrossì sotto il fard, dando così ragione a sua
madre, che sfoggiò un sorriso entusiasta. Per fortuna, il suono del campanello, seguito dal clacson di un motorino, salvò Sana da ulteriori spiegazioni.
“Be’, ciao, ma’! Io vado. Non aspettarmi
alzata!” disse, e sfrecciò giù per le scale dopo aver agguantato in fretta un giubbottino
di jeans.
“Sicuro, e divertiti!” La raccomandazione
la raggiunse quando ormai aveva già infilato la porta di casa.
Akito, che si stava sistemando i ciuffi
biondi guardandosi in uno degli specchietti del suo motorino, si immobilizzò
con una mano ancora in aria quando vide il riflesso della ragazza che gli stava
venendo incontro. Si voltò, ma non abbandonò la sua espressione stupita: rimase
a fissare le lunghe e perfette gambe di Sana spuntare dalla minigonna, mentre
la ragazza avanzava ancheggiando elegantemente sui tacchi. Quando raggiunse il
ragazzo, alzò gli occhi al cielo:
“Possibile che dobbiate fare tutti la stessa faccia?!” disse, mentre Akito si
sforzava di rihiudere la bocca. “Sto così male?” aggiunse.
“No! Anzi …” sfuggì a lui. Sana non poté fare a meno di sorridere al complimento prima di salire in sella dietro al
ragazzo. Quando sentì le sue braccia attorno alla vita, Akito mise la prima e
partì, diretto al Diamond Blue Night.
Arrivarono alle nove in punto, e videro Aya
e Tsuyoshi scambiarsi baci sul motorino di lui. Sospirando, con un’aria del tipo “dovevamo immaginarcelo”, Akito e Sana parcheggiarono affianco a loro. Si
salutarono, e insieme andarono all’ingresso.
“Uao! La mia gonna!” esclamò Aya dando una
lunga e intensa occhiata all’amica. “Era ora che te la mettessi, sapevo che ti
sarebbe stata d’incanto! E il trucco è leggero, ma perfetto! Cosa non si
farebbe per un ragazzo, eh?”
Sana le indirizzò una potente gomitata nel fianco che le suggerì di non
aggiungere altro, mentre Tsuyoshi aveva uno strano sorrisetto. Akito, invece,
cercava di far finta di nulla, e soprattutto di non incantarsi come la prima volta che aveva visto la sua amica. Entrarono nel locale, e dopo aver lasciato le giacche
al guardaroba e aver pagato per la consumazione e il tesserino di uscita,
andarono a cercarsi un divanetto nell’attesa che mettessero la musica.
Fortunatamente, ne trovarono uno vuoto e vi presero subito posto, mentre
Tsuyoshi proponeva:
“Io vado a prendere qualcosa da bere. Volete qualcosa?”
“Un invisibile” rispose Akito.
“Per me una caypirinha” fece Sana, mentre Aya non prendeva nulla. Il ragazzo si allontanò in direzione del bar, tornando alcuni minuti dopo con le bevande. Passò l’invisibile e la caypirinha ad
Akito e Sana, mentre si sedeva accanto ad Aya con un ‘Sex on the beach’ da
dividere con lei.
Akito prese il suo bicchiere e lo svuotò
tutto d’un fiato.
“Ehi, vacci piano! Ti ricordo che devi
riportarmi a casa!” lo ammonì Sana, scoccandogli un’occhiata preoccupata.
“Non preoccuparti, lo reggo benissimo.
Pensa per te, piuttosto.” fu la risposta di lui.
“So quel che faccio!” replicò lei, e
chiudendo la questione trasse un lungo sorso dalla sua bevanda. Venti minuti
dopo, iniziò la musica, ma la pista da ballo era ancora vuota. Sana finì la sua
caypirinha, e osservò lo spazio al centro del locale.
“Che noia! Ancora non balla nessuno. Be’,
io vado a prendermi qualcos‘altro da bere, aspettatemi qui.”
In realtà, parlò solo ad Akito, perché gli
latri due ragazzi, finita la bevanda, avevano deciso di incollare le proprie
labbra con l’intenzione di non staccarsi molto facilmente. Il ragazzo li guardò
disgustato, poi decise di seguire Sana al bancone del bar. La ragazza prese la
sua bevanda e fece per tornare al divanetto, quando si trovò Akito di fronte.
“Ehi, che ci fai qui?” chiese. Lui fece
semplicemente un cenno che indicava i loro amici e Sana scosse la testa con un
sorriso. Bevve qualche sorso della caypiroska che aveva preso, mentre Akito si
appoggiava al bancone con la schiena e i gomiti, rivolgendo lo sguardo al resto
del locale che si stava riempiendo sempre di più. Qualche piccolo gruppetto
aveva iniziato a scendere in pista, ballando con non molta convinzione. Pochi
minuti dopo, la musica finì e attaccò un brano di Rihanna. Sana, che aveva
appena finito di bere, lasciò il bicchiere vuoto sul bancone e con un sorriso
forse un po’ troppo grande esclamò con un piccolo salto:
“Ehi, adoro questa canzone! Forza, Aky, andiamo a ballare!!”
“Non mi va” fu la secca risposta di lui.
“Dai, divertiamoci!! Be’, io vado, ciao!” e
sempre sorridendo si allontanò verso la pista da ballo. Il ragazzo rimase al
bancone a guardarla ballare, ad osservare il suo corpo muoversi al ritmo della
musica, ondeggiando provocante. Aya e Tsuyoshi, che si erano accorti che non c’erano
più, lo raggiunsero.
“Ehi, dov’è Sana?” chiesero, certi di
trovarla con lui. Akito accennò in silenzio alla ragazza.
“Che dici, seguiamo il suo esempio?” disse
Aya, e Tsuyoshi assentì immediatamente, facendo strada alla sua ragazza tra la massa di gente che era già scesa in pista e che andava aumentando, mentre il biondino
rimaneva al bancone.
Sana continuò a ballare per molto tempo, spinta anche dall’effetto dell’alcol
che iniziava a farsi sentire. Si mosse sicura e divertita sulla pista, seguendo
il ritmo delle canzoni che passava il dj. Ad un certo punto un ragazzo che già
da un po’ l’aveva adocchiata le si avvicinò e le cinse la vita da dietro. Sana, infastidita, lo spinse via e si spostò di qualche metro sulla pista. Il ragazzo
accettò la sconfitta con un po’ di delusione, ma qualche minuto dopo un altro
ragazzo provò a catturarla. Anche questa volta, Sana lo mandò via, poi, stanca,
sgusciò fuori dalla pista in direzione del bar.
“Un’altra caypirinha!” chiese frizzante al
barista, poi si voltò verso Akito che era fermo al suo fianco. “Che sballo!”
esclamò alla sua faccia poco convinta. “Dai, perché non vieni a ballare anche
tu?” gli propose di nuovo mentre iniziava a bere a lunghi sorsi la bevanda.
Lui, che sorseggiava lentamente un bicchiere di bacardi, non rispose.
“Fa’ come vuoi!” gli disse lei, e si
allontanò di nuovo verso la pista da ballo. Akito rimase ad osservarla danzare,
finché non vide un gruppo di ragazzi avvicinarsi a lei. Sana sembrava non
essersi accorta di nulla, complice, forse, anche l’alcol che non le faceva
pensare ad altro che al suo ballo scatenato. I ragazzi la accerchiarono,
scambiandosi occhiate e accennando a lei, mentre le si stringevano sempre di più
attorno. Akito si scostò dal bancone e si infilò tra la folla danzante.
“Ehi, balli con me?” Sana sentì dire da
qualcuno al suo orecchio. Si voltò, e vide un ragazzo più alto di lei che le
sorrideva con un’aria strafottente. Scosse la testa e gli diede le spalle, ma
si trovò di fronte un altro ragazzo, che le mise le mani in vita e cercò di
attirarla a sé. Sana fece resistenza, riuscendo a sfuggire alla sua presa, ma
un terzo era pronto a prenderla. Poi sentì una mano calda e forte stringersi
intorno al suo polso e si sentì tirare da lato. Si voltò, e vide Akito
prenderla per mano e attirarla verso di sé, mentre lanciava sguardi di ghiaccio
agli altri ragazzi. Sana sorrise e gli si avvicinò, mettendogli le braccia al
collo e iniziando a ballare con lui. Il ritmo la trascinava, le mani di Akito
sulla sua vita le davano sicurezza, i suoi occhi la illuminavano. Chiuse i
propri, continuando a muoversi seguendo la musica. Akito guardò il suo viso
disteso, le sue palpebre truccate abbassate, le sue labbra brillanti che
sorridevano, ancora un po’ umide di vodka. Fece scivolare le sue mani sulla
schiena della ragazza, poi un po’ più giù, avvicinandola ancora a sé, e piegò
la testa, baciandola. Sana rispose al bacio, trasportata dall’euforia del momento, ma anche da un piccolo sentimento che stava divampando dentro di lei. Si
staccarono solo per riprendere fiato, senza nemmeno riaprire gli occhi, unendo
di nuovo le labbra in un bacio ancora più profondo. Per tutta la notte
ballarono insieme, mentre le note di una canzone si susseguivano a quelle di un’altra,
pareva, all’infinito, fino a lasciare spazio solo alla musica e al ritmo.
Intanto, poco più in là, una coppia li osservava felici: Aya e Tsuyoshi si
scambiarono un’occhiata che sembrava dire “l’avevo detto, io!”, sorridendo,
prima di tornare a ballare abbracciati.
All’una e mezza si ritrovarono tutti e
quattro al guardaroba, presero le loro giacche e uscirono dalla discoteca.
Salirono in sella ai motorini, misero in moto, si salutarono e partirono in
direzione delle loro case. Sana, abbracciata ad Akito, si fece cullare dal
vento che le sferzava il viso, facendola riprendere un po’ dall’ebbrezza.
Giunti sotto casa sua, scese dal motorino e fece per andarsene quando fu
bloccata dalla mano di Akito che si serrò dolcemente attorno al suo braccio e l’attirò
a sé, facendo incontrare le loro labbra in un leggero bacio di saluto. Sana gli sorrise, e con un cenno della mano il ragazzo la salutò un’ultima volta prima di ripartire. Allora la ragazza si voltò ed entrò in casa. Sua madre e la
signorina Shimura erano già a letto, così accostò lentamente la porta e
togliendosi le scarpe per non fare rumore con i tacchi raggiunse
silenziosamente la sua camera. Si spogliò dopo essersi struccata, si mise il
pigiama e si infilò sotto le coperte. Il suo ultimo pensiero corse ai baci di
Akito, che la fecero addormentare con un largo, sereno, sorriso, sulle labbra e
nel cuore.
Com’era?
Spero vi sia piaciuto. Finalmente è iniziato il “flirt”! Diventerà un cosa
seria? … nn lo so nemmeno io, sn ancora indecisa! Voi cosa preferite? Vvtrb J Daisy
Lo squillo del telefonino risuonò nella
grande villa di Sana.
DRIN DRIIIIIIIIIIIN!
La ragazza dai capelli rossicci si rigirò
infastidita nel letto, tirandosi le coperte fin sulla testa e rannicchiandosi
un po’ di più su se stessa.
DRIN DRIIIIIIIIIIIIIIIIIN!!
L’insistente suoneria la costrinse ad
aprire gli occhi assonnati e a tendere una mano verso il comodino, cercando a
tastoni il suo cellulare.
Dannazione, mi sono dimenticata di
spegnerlo! si maledisse.
Lo prese e con lo sguardo ancora un po’ appannato cercò di mettere a fuoco la
scritta sul display.
DRIIIIN DRIIIIIIIIIIIIIIIIIN!!!
Con qualche difficoltà riconobbe il nome di
Aya che lampeggiava durante l’ennesimo squillo. Premette il tasto di
accettazione della chiamata e svogliatamente si portò il telefono all’orecchio.
“Si può sapere che diavolo ti salta in mente di chiamarmi a quest’ora?? Stavo dormendo!!!” si lamentò nella cornetta.
Dall’altra parte la salutò una voce allegra, che non fece caso più di tanto al
tono alterato dell’amica … ci era abituata.
“Buongiorno anche a te, Sana!” esclamò Aya.
“E per tua informazione è già la mezza …”
“Umph” bofonchiò l’altra, alzandosi a
sedere e stiracchiandosi. Sentì Aya sorridere, e sgarbatamente le chiese cosa
ci fosse di divertente.
“Niente” sorrise lei “Solo che è
incredibile quanto somigli ad Hayama …!”
A sentire quel nome, Sana arrossì, e Aya
sembrò magicamente accorgersene …
“Scommetto che sei tutta rossa! Cosa darei
per vederti ora!” le disse, ridendo. Ma come diavolo faceva?! Sana non rispose.
“Senti, l’hai più sentito Hayama dopo l’altra
sera. Ho visto che eravate molto … ehm … affiatati …”
“Primo, non sono affari tuoi!” sbraitò Sana. “Secondo, ti ricordo che stavo dormendo fino a poco fa e mi piacerebbe tornare a farlo,
quindi se non hai nient’altro di cui discutere ti saluto!” e fece per
riattaccare, ma l’amica riuscì a fermarla in tempo.
“Va bene, tregua!” gridò nella cornetta. Un
altro umph le fece capire che l’armistizio era stato concesso e,
trattenendo a stento un risolino, disse:
“Il motivo per cui ti ho chiamata è che, essendo la Vigilia di Natale, potremmo
fare un giro insieme questo pomeriggio …”
“Non ho intenzione di fare shopping natalizio, né di qualunque altro genere!”
la interruppe Sana, ma Aya si affrettò a rassicurarla:
“Lo so che lo detesti, quindi ho pensato ad una normale uscita tra amici, tipo
andare a prendere una cioccolata calda in un bar e passeggiare nel parco …
allora?” chiese poi sentendo che l’amica non rispondeva. In realtà, stava
rimuginando sulle parole di Aya.
“Hai detto ‘amicI’? …” le chiese infatti
poco dopo. “Non ‘amichE’? Di chi parlavi?”
Bingo! Ora doveva dirglielo per forza …
“Intendevo io, te, Tsu e … Hayama!”
Se non fosse già stata seduta, Sana di sicuro sarebbe crollata a terra. Un pomeriggio fuori con Akito?? Aya e Sasaki
sarebbero di sicuro rimasti appiccicati tutto il tempo e loro due … loro due
cosa?! Perché pensava a cose simili? Era solo un’uscita tra amici, no?
Amici … ma dopo ieri sera …? si trovò a pensare. Già, ieri sera … com’erano
rimasti? Era questo che continuava a chiedersi. Dopo quei baci, be’, insomma,
qualcosa c’era stato, no? Però non ne avevano ancora parlato, e sinceramente
lei non avrebbe saputo che cosa dire.
“Ehi, Sana, ci sei ancora?!”
Sana sobbalzò riemergendo dai suoi pensieri e ricordandosi di Aya.
“Eh? Ah, sì. Be’, o-ok …” farfugliò.
“Benissimo!” esultò l’amica dall’altra
parte del telefono. “Allora facciamo alle tre davanti alla solita fermata dell’autobus?”
“Va bene” disse, poi attese il saluto dell’amica,
ma Aya rimase in silenzio per un istante, prima di dire:
“Sana …”
“Mmh?”
“Ti piace, non è vero?”
Sana arrossì, sapendo benissimo a chi si riferiva senza bisogno di sentirne
il nome, ma nonostante ciò finse di non capire di cosa stesse parlando:
“Chi, scusa??”
“Lo sai benissimo …”
“No, che non lo so!”
“Be’, allora te lo dico chiaramente: sto
parlando di Akito!”
“Non vedo come tu possa pensare che …”
“Oh, Sana, piantala! Sai benissimo che non
puoi ingannarmi!” disse Aya esasperata. “Ti conosco bene, e ultimamente ho
visto che è cambiato qualcosa … tu sei cambiata! Da quando hai
conosciuto Hayama sei più … non so come dire … insomma, è la prima volta che ti preoccupi per qualcuno, che sei così solare, che … che indossi la minigonna
che ti ho regalato!”
“E questo cosa c’entra?!” sbraitò Sana.
“C’entra, c’entra! E comunque ti ho fatto
una semplice domanda: ti piace o no? Basta una parola!”
Sana rimase in silenzio. Solo di una cosa era certa: quella parola non era
un ‘no’ … Ma poteva rispondere ‘sì’? In fondo, si erano solo baciati … certo,
per tutta la notte! Ma nessuno dei due aveva mai confessato all’altro che gli
piacesse. Alla fine decise per l’unica risposta che le parve giusta:
“Forse … non lo so ancora.”
“Be’, cerca di scoprirlo, allora!” replicò
Aya, felice della risposta ottenuta. “Allora ci vediamo alle tre, ok? Ciao!” e
riattaccò prima che Sana potesse aggiungere altro. Si rituffò sotto le
lenzuola, ma ormai non aveva più voglia di dormire: il pensare a cosa provasse
per Akito aveva scombussolato la sua mente, che ora era più sveglia che mai,
intenta a tenere a bada la confusione che regnava in essa. Si alzò, fece alla
meno peggio il letto e andò in bagno. Si gettò sotto il getto di acqua calda
della doccia, che riuscì a rilassarla, ma la pace non durò a lungo: non appena
tornò in camera, avvolta solo in un lungo asciugamano di spugna, vide il
display del cellulare che aveva lasciato sul letto illuminarsi mentre la
suoneria che indicava un messaggio in arrivo squillava nell’aria. Aprì l’sms, e
il suo cuore ebbe un sussulto quando la ragazza scorse il nome di Akito.
Leggermente emozionata iniziò a leggere: “Ciao, cm va? Ieri sera mi sono divertito alla festa … rix”
Con il cuore che le batteva, iniziò a
digitare la risposta:
“Ciao! Tt bene, mi sn svegliata sl poco fa …
^_^’. cmq ank’io mi sn divertita moltissimo …”
Dovette attendere pochi minuti per ricevere
il messaggio seguente.
“Sn contento … be’, allora c vediamo oggi
pomeriggio. Bye!”
Sana scrisse il suo saluto, poi attese
qualche istante prima di inviare il messaggio. Trasse un profondo respiro, poi
digitò un‘altra breve parola e lo inviò in fretta:
“A dopo … tvb”
Subito dopo si gettò sul letto, affondando
il viso nel cuscino.
Ma che mi è preso? Sono impazzita??! si urlò mentalmente. Ecco, ora chissà
cosa starà pensando con quel tvb!
Ma i suoi pensieri furono interrotti da un
altro squillo del cellulare: un nuovo messaggio. Con le mani che tremavano lo
aprì …
“Ank’io … kiss” diceva semplicemente.
Sana si sentì come se quel piccolo ‘bacio’
fosse arrivato alle sue labbra. Con il cuore che inspiegabilmente sembrava
volerle scoppiare, e un ampio sorriso stampato sul suo viso, si vestì e con l’umore
migliore di sempre scese a pranzare con sua madre, chiedendosi cosa fosse quell’emozione
che la riscaldava.
Intanto, a casa Hayama, Tsuyoshi stava
parlando con il suo migliore amico.
“E se non le piacesse il regalo di Natale
che ho preso per lei?” stava dicendo, mentre Akito, sdraiato sul suo letto con
una mano dietro la nuca, armeggiava con l’altra con il cellulare.
“Voglio dire, Aya non si è mai lamentata
dei regali che le ho fatto, ma se questa volta non le andasse bene? … Akito …
AKITO, mi stai ascoltando????” gridò infine nell’orecchio dell’amico.
“Eh? Ah, sì …” rispose lui distogliendo lo
sguardo dal display del telefonino. Tsuyoshi sospirò.
“Sana ti ha proprio cambiato” sentenziò.
“Chi? … Cos … Ma … Che …? Chi diavolo ti ha
detto che sto messaggiando con lei?” esclamò il biondino.
“Nessuno, in effetti …” rispose lui. “Ma a
quanto pare l’hai appena fatto tu stesso …” Akito arrossì leggermente,
maledicendosi nella sua testa per aver parlato troppo.
“Allora, avevo ragione, eh? Ti piace!”
incalzò Tsuyoshi.
“Cosa te lo fa pensare?” chiese lui brusco.
“Be’, prima di tutto non l’hai negato, né ieri
pomeriggio, né oggi! E poi ieri notte eravate così … affiatati!”
“Non vuol dire proprio niente! Ci siamo
solo baciati” si schermì lui.
“E dici poco!! Cos’altro vuoi fare se una
ragazza ti piace? Portartela subito a letto??!!”
“Non dire cretinate!”
“Ecco, appunto! Allora vedi che ho ragione?
Ammettilo!”
Ma Akito non aveva nessuna intenzione di
parlare di questo con lui, né con nessun altro. In realtà, non ne aveva parlato
ancora nemmeno con se stesso. Ma allora perché solo pochi minuti prima gli era
venuta l’irrefrenabile voglia di sentire Sana? Perché le aveva scritto un sms,
senza nessun pretesto? I suoi pensieri furono interrotti dall’arrivo di un
altro messaggio della ragazza sul suo cellulare: “A dopo … tvb”
Sorrise, dimenticandosi della presenza di Tsuyoshi,
e dopo aver esitato un istante digitò la sua risposta, sempre senza abbandonare
il sorriso dolce che era spuntato sulle sue labbra.
“Non posso crederci!” lo riportò alla realtà
la voce del suo migliore amico, che lo osservava con aria stupita. “Akito
innamorato! O la fine del mondo è vicina, o i miracoli accadono sul serio e io
ne ho uno di fronte ai miei occhi!!”
“Se non la smetti ti sbatto fuori a calci!”
intimò il biondino con occhi di fuoco.
“Non disturbarti, me ne vado io: devo
andare a incartare il regalo per il mio confettino!” e prese la sua giacca,
avviandosi verso la porta di casa.
“Allora ci
troviamo alle tre alla fermata,eh?” gli ricordò, e lo lasciò da solo, con il
cuore che, dopo quello scambio di sms, stranamente sembrava battere ad un ritmo
più veloce del solito …
Hello, everybody! (scusate, ma è
+ forte di me, ADORO l‘inglese!!!J). Ecco
qui un altro capitolo … l’ultimo capitolo! Spero vi soddisfi come conclusione,
fatemelo sapere!
Cmq prima di lasciarvi al
capitolo volevo sl dire una cosa: so ke ad alcuni di voi nn piace vedere il
carattere dei personaggi cambiato, ma io l’ho voluto fare x una ‘sfida
personale’: volevo vedere se ero in grado di portare avanti una storia di qst
tipo, dovendo gestire un personaggio diverso dal solito, facendolo evolvere
anke dal punto di vista psicologico. Vi ringrazio cmq x i bellissimi commenti
ke mi lasciate sempre, anke se preferireste vedere la Sana solare ed estroversa
di sempre! (thanks, Miky90!!). E ora ke vi ho rotto abbastanza con le mie
riflessioni … buona lettura!
Capitolo 11.
Una ragazza dai capelli rossicci e il
fisico snello era appoggiata ad un muretto vicino alla fermata di un autobus. L’orologio
sul palo alla sua sinistra segnava le 14:53.
Uff, sono in anticipo … ora mi toccherà
aspettare un‘eternità!
pensò Sana dopo aver dato uno sguardo alle lancette. Ma si sbagliava, e se ne
accorse pochi minuti dopo quando sentì qualcuno salutarla.
“Ciao”
Era una voce atona, maschile, che riconobbe
immediatamente. Si voltò e vide al suo fianco Akito. Indossava un Frav bianco,
le mani infilate nelle tasche dei jeans scuri, e un cappellino con la visiera
in testa dal quale spuntavano alcuni dei suoi ciuffi biondi.
“Ciao” fu la risposta di lei, pronunciata
in un soffio. Il ragazzo si appoggiò al muro accanto a lei, e tra i due calò il
silenzio. Ma questa volta non era il solito silenzio confortante, quella calma
che li accomunava … questa volta c’era tensione nell’aria, imbarazzo, e Sana
avrebbe dato qualsiasi cosa per trovare un argomento di conversazione che lo
facesse cessare. Per fortuna fu lui a parlare, spezzando il ghiaccio … be’,
forse non fu proprio una fortuna …
“Allora, ci siamo divertiti insieme ieri
sera, eh?”
Ecco, proprio quell’argomento …
“Già” rispose lei. Ma proprio ora doveva
arrossire??
“Però … senti … tu …?” Akito non riuscì a
proseguire. Maledizione, non riusciva nemmeno a pronunciare una frase sensata!
Ma perché doveva essere così difficile?! Non sapeva più cosa dire, e lo stesso
valeva per Sana. L’imbarazzo cresceva sempre di più, stava diventando una
situazione insopportabile …
“Ehi, ragazzi!!”
Dovettero trattenersi dal non esultare per
quella provvidenziale interruzione. Si voltarono contemporaneamente e videro la
coppia dei loro amici avvicinarsi, abbracciata. Aya e Tsuyoshi li raggiunsero e
loro due, senza guardarsi negli occhi, dedicarono loro tutta la loro
attenzione, salutandoli forse con più entusiasmo di quanto i due si sarebbero
aspettati. Ma Aya e il suo ragazzo sembrarono non notarlo, e tutti e quattro si
avviarono verso il bar che la ragazza aveva scelto come prima meta della loro
uscita. Quando lo raggiunsero, Aya e Tsuyoshi si fermarono per un istante
davanti all’ingresso.
“Te lo ricordi, questo posto, amore?”
chiese la ragazza con voce tenera al suo fidanzato. Lui la guardò negli occhi,
sorridendole e mettendole un braccio attorno alla vita.
“Certo, come posso dimenticarlo? È qui che
ci siamo messi insieme!” rispose, poi si diedero un dolce bacio. La mente di
Sana, intanto, correva ad un ricordo di qualche tempo prima …
“Io e Akito …?! Sì, certo, come tu stai con
Sasaki!” aveva detto Sana ridendo, ma un improvviso rossore sul volto dell’amica
la fece smettere all’istante. La scrutò con occhio indagatore, che mise Aya
ancora più a disagio, dopodichè fece la domanda:
“Stavo scherzando … cioè, tu e Sasaki non …?!” ma una sola occhiata piuttosto
eloquente la bloccò. Sana sgranò gli occhi, incredula, mentre Aya pronunciava
confusamente qualche spiegazione:
“Ecco, vedi … ieri pomeriggio Tsuyoshi mi
ha invitata a fare un giro e … ed è stato tanto dolce e carino … mi ha offerto
una cioccolata in un bar, e poi … be’, a me piaceva, e lui … insomma, si è
dichiarato quando mi ha riportata a casa, così …”
Sana ascoltava a bocca aperta. Non seppe
perché, ma d’improvviso si immaginò Akito che la invitava fuori e faceva il
ragazzo dolce, offrendole una cioccolata calda in un bar …
Si riscosse quando i suoi amici iniziarono
a entrare nel bar. Li seguì, e si sedette insieme a loro ad uno dei tavolini.
Presero un fascicolo che elencava i vari tipi di cioccolata che servivano, e
iniziarono a dargli un’occhiata.
“Mmh … io prendo una cioccolata al latte
con stelline di zucchero!” decise Aya.
“Io una fondente” disse Tsuyoshi. “E voi?”
aggiunse.
“Mmmh … una classica” scelse Sana.
“Anch’io” e con Akito si conclusero le
ordinazioni. Nel frattempo, Sana si tolse la giacca e iniziò a rovistare nelle
tasche. Guardò in tutte, comprese quelle dei jeans, ma da suo viso si capì che
non aveva trovato ciò che cercava.
“Ragazzi, non posso crederci …” iniziò, la
voce bassa. Tutti si voltarono verso di lei per vedere cosa fosse accaduto.
“Ecco, io … ho dimenticato a casa i soldi!”
disse con un filo di voce.
“Non preoccuparti, te la offro io”
Tutti si voltarono verso Akito. Tsuyoshi
aveva una faccia incredula, mentre quella di Sana era leggermente imbarazzata
mentre pronunciava un flebile “Grazie”. Poi di nuovo la sua mente corse al
ricordo di quella conversazione con Aya … quel giorno si era immaginata Akito
che le offriva una cioccolata calda … e ora era successo! Ma aveva anche detto:
“Io e Akito?! Sì, certo, come tu stai con Sasaki!”. Be’, Aya stava con
Tsuyoshi, e lei e Akito si erano già baciati, e più volte!
Ma che diavolo sto pensando???? si gridò nella testa. cavolo, che
discorsi faccio?! Devo essere impazzita, non è da me pensare a queste cose!
Calmati, Sana … tra te e Akito c’è stato solo qualche bacio, e a te non
piace, non è possibile! continuò a ripetersi mentalmente. Ma chissà, a
volte ci si sbaglia anche sui propri sentimenti …
Mezz’oretta più tardi tutti avevano
consumato la loro cioccolata, che era riuscita a riscaldarli, e parlando del più
e del meno, di professori o di amici, giunsero al parco. Si incamminarono per
una delle stradine, il tappeto di foglie ricoperte di brina che scricchiolava
sotto i loro piedi . Dopo qualche minuto che camminavano si sedettero su una
panchina, e a quel punto Tsuyoshi tirò fuori un pacchetto dalla tasca della
giacca e lo porse ad Aya.
“Cos’è?” chiese lei fissando con un sorriso
il regalo.
“È il tuo regalo di Natale, no? È ancora la
vigilia, ma aprilo lo stesso!” le disse lui. Aya allargò il sorriso, poi si
dedicò all’apertura del pacchetto. Ci impiegò qualche istante, stando attenta a
non rovinare la carta, poi estrasse finalmente il regalo.
“Grazie, Tsu, è bellissimo!” disse saltando
al collo del suo ragazzo: le aveva regalato un piccolo peluche a forma di
cuore, con la scritta ‘I love you’ stampata al centro. I due si scambiarono un
bacio, poi un altro, fino ad abbandonarsi contro lo schienale della panchina,
persi in un gioco di labbra, dimentichi di tutto ciò che era loro intorno. Sana
e Akito rimasero così da soli, ad assistere controvoglia a quello spettacolo.
“Scusa …” disse Sana ad un tratto, rivolta
al ragazzo. Lui la guardò interrogativo.
“Non ho un regalo per te” mormorò
dispiaciuta.
“Neanch’io” ammise lui. Rimasero in
silenzio un altro po’, poi Akito propose:
“Senti, questi non si staccano più nemmeno se glielo diciamo … ne approfittiamo
per fare una passeggiata?”
“Ok” assentì lei dopo un attimo di
esitazione, e fianco a fianco si avviarono per un vialetto. Passeggiarono in
silenzio, mentre il gelido vento invernale sferzava i loro visi.
“Vieni” disse ad un tratto Akito, e prese
per mano Sana e la condusse lungo una stradina alla loro destra. La guidò per
diversi metri, finché non raggiunsero il gazebo.
“Perché siamo qui?” chiese Sana curiosa.
Lui la guardò negli occhi, senza lasciare la sua mano.
“Devo darti il mio regalo di Natale, e ho
pensato a questo posto per farlo.” rispose. Sana lo guardò confusa:
“Ma … non avevi detto di non avere un regalo per me?”
“Sì, ma poi mi sono accorto che in realtà
qualcosa da regalarti lo avevo …” sussurrò.
Coraggio, è il momento buono … si diceva intanto, mentre uno stupido
batticuore non accennava a dargli tregua. Alla fine si convinse ad ignorarlo e
strinse di più la presa sulla mano di Sana, poi avvicinò la ragazza a sé e la
baciò. Dapprima lei, presa alla sprovvista, non rispose al bacio, ma poi,
lentamente, chiuse gli occhi e si lasciò andare. Le labbra di Akito la
trasportavano in un turbine di emozioni incontrollato. La lingua di lui
sembrava giocare con quella di lei. Quel vortice di sentimenti che si erano
scatenati in lei la avvolse, anzi, la travolse … finché non ne ebbe paura, e
interruppe il bacio, allontanandosi dal ragazzo.
Lui riaprì gli occhi e la guardò,
chiedendole con lo sguardo cosa stesse accadendo. L’unica parola che
pronunciarono le labbra della ragazza fu un debole “Scusa”, poi Sana si voltò e
corse via, lasciando Akito da solo accanto al gazebo.
*
Ma che mi è preso??!!! si chiese Sana lanciandosi sul letto dopo
aver sbattuto la porta della sua camera alle sue spalle. Per fortuna Misako non
era in casa, così aveva evitato difficili spiegazioni per le sue lacrime. Già,
lacrime: stava piangendo. E non sapeva nemmeno lei quale fosse il motivo!
Semplicemente, correndo verso casa, qualche goccia aveva iniziato a scenderle
lentamente dagli occhi. Si girò a pancia in su e abbracciando un cuscino si asciugò
gli occhi, poi iniziò a fissare il soffitto cercando di mettere ordine nella
sua testa. Cosa era successo? Cosa diavolo era successo per farla reagire in
quel modo stupido?? Si sarebbe volentieri tirata un pugno … Akito l’aveva
baciata, e lei era scappata via?! Perché?? Non era il primo bacio che si
scambiavano! Non era successo niente di male! Eppure qualcosa dentro di lei era
scattato e le aveva fatto interrompere quel contatto magico … perché magico era
stato, indubbiamente! … e l’aveva fatta correre lontano da lui. Ma cosa? Che
cos’era quella sensazione di paura che l’aveva assalita ad un certo punto? Sì,
qualcosa l’aveva spaventata, e decise che non si sarebbe mossa da quella camera
finché non avesse capito di cosa si trattava. Era decisa a mettere ordine nella
sua mente e nel suo cuore, e così fece. Si interrogò a lungo sui suoi
sentimenti, ricordando i momenti che aveva vissuto con Akito: il giorno in cui
si era sfogata con Natsumi si erano scambiati il loro primo bacio … era stato
un bacio timido, innocente … un ringraziamento, come quello che gli aveva dato
lei a fior di labbra prima di addormentarsi con lui. Poi, ieri sera, i baci in
discoteca … quelli erano più che un timido bacio a fior di labbra! Però non
aveva avuto quella reazione … be’, dopotutto non era neanche al cento per cento
se stessa, l’alcol aveva fatto la sua parte quella sera! Oggi, invece … era da
quella mattina che si sentiva strana … appena si era svegliata, e Aya le aveva
nominato Akito, le sue guance si erano accese. Non le era mai capitato di
arrossire al solo pensiero di un ragazzo! E quel batticuore che l’aveva colta
dopo lo scambio di sms? Quel ‘tvb’ che si era lasciata sfuggire? Lei?! Un ‘ti
voglio bene’ a qualcuno??? Decisamente le stava succedendo qualcosa! E poi,
quel turbine di emozioni che l’aveva assalita quando Akito aveva catturato le
sue labbra meno di un’ora prima … ci ripensò, e finalmente capì qual era l’emozione
che aveva comandato tutte le altre, quella che aveva agito dentro di lei al
momento di scrivere un piccolo, ma significativo ‘tvb’, quella che faceva
battere il suo cuore più veloce al solo pensiero di lui … la risposta era una
sola, e non doveva fare altro che accettarla … l’ultimo bacio l’aveva
spaventata perché di era accorta che Akito le piaceva …
Guardò l’ora: erano le sette e mezza. Akito
doveva essere tornato a casa. Senza riuscire ad aspettare oltre, desiderosa di
affrontare ancora una volta quelle emozioni che aveva provato quel pomeriggio e
riuscire a vincerle, aprì la porta della sua camera, scese velocemente le
scale, uscì di casa e si mise a correre …
*
Akito era seduto sul divano della sua
camera, lo sguardo fisso al soffitto. Continuava a rivedere la scena di Sana
che fuggiva al suo bacio, e si chiedeva il perché, si chiedeva dove avesse sbagliato,
se avesse fatto qualcosa di male. Perché se n’era andata? Perché, dopo tutti i
baci che si erano già scambiati?
Diede un pugno al cuscino che aveva
accanto, scaricandosi. Si sentiva un’idiota.
Perché non le ho detto ciò che provavo,
invece che baciarla così? Perché non l’ho fermata, quando l’ho vista
allontanarsi?
Ma la domanda che più gli bruciava era: perché
non le ho detto prima che mi piacesse?
Perché questa era la verità, questo era ciò
che sentiva veramente: Sana gli piaceva. Quel bacio avrebbe dovuto farglielo
capire, ma a quanto pare o non c’era riuscito, o non era ciò che Sana voleva.
Improvvisamente sentì il campanello
suonare. Svogliatamente si alzò e iniziò a scendere le scale, mentre dei colpi
concitati alla porta gli intimavano di muoversi più in fretta.
“Arrivo! Cosa …?” disse, aprendo la porta,
e si bloccò quando si trovò di fronte Sana, ansimante per quella che sembrava
una lunga corsa.
“Sana??” chiese. “Cosa ci fai qui? Entra …”
le disse facendola passare.
“Dovevo restituirti i soldi della
cioccolata.” mentì lei riprendendo fiato, mentre Akito la guidava nella sua
camera. “Non … non c’è nessuno?” chiese poi.
“No: mio padre è fuori città e mia sorella è
a festeggiare con le sue amiche”
“Akito …” iniziò Sana dopo qualche istante
di silenzio. “Io … prima sono fuggita perché ero spaventata … spaventata da un
sentimento talmente grande che non riuscivo a controllare, che non avevo mai
provato e che avevo paura di ammettere a me stessa …”
Akito fece per interromperla, ma lei non
glielo permise.
“No, ascoltami, perché non so se riuscirò a
dirlo un’altra volta … quel sentimento, quello che mi ha fatto battere il cuore
quando mi hai baciata la prima volta , quello che mi ha fatto cercare le tue
labbra ieri sera, quello che mi ha spaventata oggi … quel sentimento era … era
amore … tu mi piaci, Aky … scusami se l’ho capito solo adesso! Sono …”
Un dito posatosi dolcemente sulla sua bocca
la zittì. Akito la guardava dolcemente.
“Anche tu mi piaci, e non ci serve sapere
altro …”
Sana gli sorrise.
“Lo vuoi ancora, il mio regalo di Natale?”
le chiese poi in un sussurro avvicinandosi di più a lei.
“No …” disse lei. “Ne ho uno io per te,
questa sera …” e lo baciò. Fu un bacio lungo, passionale, che li spinse verso
il letto del ragazzo. Lui la fece sdraiare, poi si sistemò sopra di lei,
portando le mani calde sotto la sua maglietta, alzandola, prima di impadronirsi
dei suoi jeans …
Quella notte, due anime simili, legate
indissolubilmente, vennero di nuovo in contatto, questa volta per fondersi l’una
nell’altra, unite dal sentimento più forte che avessero mai creduto di poter
provare.
THE END - Daisy
Grazie a tt coloro ke hanno
seguito qst ff, recensendola o meno. Dal momento che nn ho mai ringraziato uno
per uno tt quelli ke mi hanno supportato con le loro recensioni, ho deciso di
farlo ora, dicendo un grazie particolare a:
Lallychan,
miki18, miki90, sana97, salvia, Geo88, marochan, LizDreamer, luchia nanami,
lucychan93, Lilly90, ****, Ichigo_chan25, sailor moon, antoeandry16903, reppy e
excel sana! Grazie davvero, è anke merito vostro se ogni giorno ho voglia di
scrivere! E ora, nn vi resta ke mandarmi l’ultima recensione x qst capitolo e …
aspettare un po’ di tempo, xkè potrei tornare presto con un’altra storia! J vvtttb Daisy