A sad Ravenclaw

di marguerite_murcielago
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** (perennemente combattuti tra desiderio di pace e bisogno di guerra) ***
Capitolo 2: *** (La vita, infatti, consiste per loro in una feroce lotta individualista) ***
Capitolo 3: *** (La schiettezza con cui difendono le proprie posizioni non è da confondersi, però, con la sincerità) ***



Capitolo 1
*** (perennemente combattuti tra desiderio di pace e bisogno di guerra) ***


Desideri a disagio.
(perennemente combattuti tra desiderio di pace e bisogno di guerra)

 

Da quando era tornata a Londra, non aveva fatto altro che fare le cose sbagliate.
« Scusi, avete qualcosa che parli della Battaglia di Hogwarts?»
La commessa l’aveva fissata, a disagio, poi l’aveva cortesemente invitata ad uscire, sbattendo le lunghe ciglia.

Dire le cose sbagliate.
« E ti ricordi quando ho Schiantato quel Mangiamorte? È stato l’incantesimo migliore che abbia mai fatto!» aveva esclamato, dopo un momento di silenzio. E il sorriso di Terry si era congelato.  

 Il treno sarebbe partito entro una mezz’ora, e del resto della famiglia non c’era traccia. Sola, la schiena premuta contro la parete, Sophy guardava l’Espresso su cui aveva viaggiato da bambina e adolescente e non sentiva neppure una punta di rimpianto: solo una spina, una sensazione di disagio. Non c’era più magia – ironico, davvero – in quella stazione, come non c’era più nulla là, ad Hogwarts. La sua scuola non aveva più nulla da darle.
« Sophy? Non ci posso credere, come stai? È una vita che non ci vediamo!»
Dal muro di genitori sulla banchina una donna della sua età le era praticamente corsa incontro, e le stringeva la mano. La donna sorrise di malavoglia, ricambiando la stretta.
« Cho! Quasi non ti riconoscevo!» mentì: la Corvonero aveva ancora gli stessi capelli neri e lucenti, lo stesso viso tondo e le stesse lentiggini di quando frequentavano le lezioni assieme.
Lei rise e si tolse una ciocca di capelli dal viso.
« Ci sono anche i tuoi… figli?» chiese, dopo un attimo di esitazione, cercando con lo sguardo un tratto famigliare tra le facce che premevano contro il vetro, sull’Espresso.
In quel momento, due sagome emersero dalla penombra. La più piccola saltellò verso le due streghe, e appoggiò la testa contro il braccio di Sophy.
« Parli del diavolo… Ariella, questa è Cho, una mia compagna di scuola.» spiegò lei, con una mano sulla testa della bambina. Lei sorrise, radiosa, e cominciò a raccontarle della sua visita a Diagon Alley. Cho sembrava sorpresa: « Non ti somiglia! Deve aver preso tutto dal papà, dico bene?»
« Tranne il naso, per fortuna. Lui ha un naso stupendo, ma su una bambina, proprio no!» rise; sapeva che si era illuminata, nel sottolineare quel “lui” con una punta di malizia, perché accadeva spesso.
Se si fosse sbrigato, sarebbe anche riuscito ad aiutare Ariella con le valigie. La bambina le stava mostrando il delizioso allocco che si era comprata, poi aveva alzato lo sguardo e aveva aggrottato le sopracciglia.
« Mamma, è quello Harry Potter?»
Sophy notò con la coda dell’occhio che Cho la stava fissando a bocca aperta, ma la ignorò: effettivamente, quello che guidava un’intera comitiva di carrelli era proprio il Bambino-che-è-sopravissuto, assieme a due dei Weasley e, a quanto pareva, anche a Hermione Granger.
« Sì, ma adesso è tardi: fa’ buon viaggio, amore, e fatti aiutare da papà!» le gridò dietro.
« Cho, ti andrebbe di venire da me per un thé?»

 

 

1998.
Non era rimasto niente: Londra e l’Inghilterra erano rinate, in tutti i sensi, e quello di tornare era stato un errore, il peggiore della sua vita, perché non c’era più niente da vedere, e niente da ricordare, gli occhi dei compagni di un tempo rifiutavano di concederle qualche antico onore, erano passati ben venti anni e non c’era più una traccia che ricordasse la Seconda Guerra Magica, e dopo vent’anni tutto si era inaridito ed era diventato niente.
« Sophy, perché sei triste?»

Lui non era perplesso, lui capiva che lei voleva tutto, ma era meglio che ci fosse il niente.
Così si strinse nelle spalle – il blocco che aveva in gola non la faceva respirare – e lasciò che la verità si svelasse da sé.
« Sei uno Scorpione, per questo sei sempre in bilico tra volere la guerra o la pace.»
« La guerra è finita – il mio tempo è finito, e non voglio più tornare a Londra.» ringhiò lei, strizzando le palpebre. Il mondo si era inaridito, da quando Voldemort era morto, lei ne era stata spaventata ed era scappata.

Quando il sole era sorto, Sophy si trovava nella Sala Grande, assieme a tutti gli altri. Aveva guardato il cadavere di Lord Voldemort sul pavimento, come molti altri, e le era parso che tutto sbiadisse e scivolasse via: era l’alba, in tutti i sensi, e il mondo era appena uscito dalle tenebre a favore della luce ignorante. Lei era una delle poche dagli occhi accecati, e l’ignoranza era il male, per una Corvonero.
Due giorni dopo la fine della guerra era partita per l’Europa.
 

Il campanello suonò, un unico, nitido trillo.
Chissà perché, quello innervosì Sophy, che tentennò prima di aprire la porta con uno svolazzo della bacchetta. Merda. Il campanello aveva voluto avvertirla, perché quella che si stagliava nell’ingresso non era Cho Chang, ma Hermione Granger.
« Buon pomeriggio, Sophy. Posso entrare?»

La guerra è finita, Hermione. E noi non siamo che un
niente più niente.

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Capitolo 2
*** (La vita, infatti, consiste per loro in una feroce lotta individualista) ***


A sad Ravenclaw.
(La vita, infatti, consiste per loro in una feroce lotta individualista)

 
« Accomodati, signorina Granger.» rispose Sophy, gelida.
« Signora Weasley, ormai.»
« Ah.» lasciò cadere il discorso e voltò le spalle a Hermione, indicando di malagrazia una poltroncina bianca. Versò il thé nelle tazzine, tanto nervosa da dimenticare la bacchetta.
Alla fine le porse la sua tazzina (stavolta nera e rossa e bianca) e sprofondò nella chaise longue con espressione annoiata. Hermione Granger si passò una mano tra i capelli arruffati, nervosa, poi sollevò lo sguardo sull’ex compagna di scuola.

Te l’ha detto Cho? O mi hai riconosciuta?
Tra loro corse un silenzio tranquillo, almeno finché le tazze non si svuotarono. Sophy stava già per impugnare la bacchetta e ordinare alla teiera di fare il suo lavoro, quando Hermione posò il cucchiaino che aveva tra le mani e la fissò, improvvisamente combattiva.
« Non ti avevo riconosciuta, a King’s Cross.» esordì. Nessuna risposta. « Tua figlia… dove è stata Smistata?» aggiunse, un po’ più impacciata. Questo riempì Sophy di considerevole esultanza, e la fece sorridere soddisfatta.
« Corvonero, come me.»
« Congratulazioni!»

Niente più niente.
Lo vide arrivare, quel colpo, come Lily Potter, per fare un paragone azzeccato, aveva visto l’Avada Kedavra, sentì un colpo sulle costole, e gli occhi castani di Hermione si indurirono come schegge. « Hai raccontato a tua figlia della Seconda Guerra Magica?»
Sono passati vent’anni.
« Sono passati vent’anni.»
Vent’anni senza guerra. Vent’anni da quando era partita, quella mattina. Chissà che ci avevano fatto con il corpo di Lord Voldemort, se l’avevano sepolto da qualche parte, o se avevano preferito dargli fuoco, con i Buoni a festeggiare attorno al grazioso falò.
Sophy rimase immobile per qualche secondo, dopodichè scosse la testa e, sorridendo, riempì la sua tazzina. Hermione alzò gli occhi al cielo.
« Appunto. Capisco che tu sia stata in viaggio per tutti questi anni, ma avremmo preferito – tutti noi, intendo – che ti informassi prima di raccontare quella storia ad una bambina.»
« Non m’importa.»
Hermione Granger aggrottò le sopracciglia e si alzò in piedi, la mano leggermente tremante che scivolava inconsapevolmente verso la bacchetta nella tasca della veste. Che pallida, arida icona del presente di lillà e nebbia! Ne erano usciti tutti mutilati, dalla guerra, ma loro erano stati più bravi, forse, a fingere che non fosse successo niente, quando invece era successo tutto. Poteva Schiantarla, Cruciarla, usare la magia come violenza, su di lei.
« Ti prego, vogliamo solo dimenticare.»
« Non sarò io ad impedirvelo.» ringhiò Sophy, indicandole la porta con la bacchetta.

 

Aveva deciso: poteva riempire il niente con parole di tutto. E magari avrebbe ottenuto anche un piccolo tutto con cui giostrarsi, come un prestigiatore babbano con una bestia feroce.
Le prime righe arrivarono con facilità, ma il primo ricordo – una veste rubata – le fece riabbassare la penna, gli occhi persi nel vuoto della stanza, un formicolio sulla schiena. All’improvviso, dieci dita sul viso. Sophy sussultò, divincolandosi nella luce vermiglia che sgusciava tra le fessure.
« Oh, petite, non devi piangere.» sussurrò una voce maschile, vicina al suo orecchio. Sophy inclinò la testa verso quella voce, là dove sapeva che avrebbe trovato anche le sue labbra.
Il viso attento di Lucién prese il posto delle sue dita, e lei sorrideva, un po’ sciocca e tenera, socchiudendo gli occhi chiari, e gli appoggiava le mani sugli avambracci, timidamente.
« Non sto piangendo, mon ciel.» rispose, la fronte premuta contro la sua.
« Certo, come no.»
Sophy gonfiò le guance come una bambina arrabbiata, ma l’arrivo dell’allocco di Ariella le impedì di protestare come avrebbe voluto.

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Capitolo 3
*** (La schiettezza con cui difendono le proprie posizioni non è da confondersi, però, con la sincerità) ***


A sad Ravenclaw.
(La schiettezza con cui difendono le proprie posizioni non è da confondersi, però, con la sincerità) 


Vediamo…

Aveva una vetrinetta, tutta per sé, in camera da letto: tutti gli scaffali erano occupati da una sequenza interminabili di leziose boccette da profumo, comprate in un mercatino di Natale, e tutte le boccette erano colme fino all’orlo di vapore evanescente.
Quando usciva di casa, così come una donna Babbana sceglieva il vestito più carino, il rossetto più acceso – rigorosamente intonato alle scarpe e alla borsetta – e si spruzzava l’ultima fragranza uscita sul mercato, per essere al top, anche lei selezionava con cura infinita le boccette da cui attingere; provava il contenuto di una, la bacchetta alzata accanto alla testa, le sopracciglia corrugate per la concentrazione, aveva un moto di disgusto e lo rimetteva a posto.
Di solito sceglieva subito la base, tre boccette di un intenso rosso vermiglio, e se le versava addosso, incauta. Poi pensava a cosa andava a fare e sceglieva la testa, tre essenze selezionate accuratamente per dare agli altri la netta impressione di essere come loro; ed infine, il centro, il cuore, estraeva le essenze più particolari, così che nessuno si dimenticasse di chi era lei.
Solo a volte – e quei momenti coincidevano con la presenza di Lucién – le prendeva tutte.
« Pétite, sei pronta?»
« Pf, magari ci fosse stata la possibilità di rinunciare; comunque, ora so tutto.»
Lui le offrì un braccio per Smaterializzarsi, un gesto che lei apprezzò. Mentre stringeva a sé la borsetta, guardò la vetrinetta per assicurarsi che nulla fosse fuori posto.
Poteva partire, con i ricordi del suo Settimo Anno che la fasciavano come un’armatura.

 Aveva dimenticato quanto le stesse simpatica Hermione, a prescindere dalla guerra e tutto il resto, ed era felice che anche la controparte maschile delle rispettive famiglie – più il Bambino-che-è-Sopravvissuto – si stessero divertendo.
« La mia Rose è stata punita dalla nuova professoressa di Pozioni, sapete? È così iperattiva, lo sapevo che avrebbe fatto impazzire qualcuno.» ammise Hermione, con un sorriso.
Ginny Weasley scoppiò in una risata, poggiando sul tavolo il bicchiere colmo di Idromele.
Si era dimenticata di quanto fossero rossi i suoi capelli, fino a farle male agli occhi; afferrò una caraffa al centro della tavola, pensando che non era la prima cosa che dimenticava.
« E tu, Sophy, come hai passato questi ultimi anni?»
La voce di Potter la distrasse, facendole alzare lo sguardo: fissò la cicatrice quasi invisibile e batté le palpebre, prima di rispondere. Alla fine fece una smorfia ironica.
« Mi sono sposata, no?» rispose, caricando il “no” di una distinta nota di minaccia, rivolta a Lucién che, come suo solito, osservava le spalle nude e lentigginose di Ginny con un certo interesse. Dio, come ti amo. Lui si schiarì la voce e tornò a parlare con Ronald.
« Vedo, vedo. Hai continuato a studiare all’estero?» chiocciò Ginny.
« No, ma sono stata a lungo in Francia ed in Italia. Bei posti, bei posti.»
Lucién sorrideva. L’effetto della testa svaniva.
« Già che siamo in tema, che ne avete fatto del colpo di Lord Voldemort?»
Si entrava nel cuore.
Con invidiabile sangue freddo, Hermione intrecciò le dita davanti al volto e sospirò – Hermione le piaceva perché era intelligente, perché se l’aspettava, da una come lei.
« L’hanno cremato.»
« Ah.»
Tutto qui? L’avevano dissolto e basta, puff!, non esisteva più alcun Oscuro Signore, nessun nome da serrare tra i denti per la paura? Che delusione; davvero, che delusione.
Spinse via il piatto. Non aveva mai avuto meno fame.
« Pensavo – no, niente. Ci sono rimasta male, però.» azzardò, timidamente.
« Volevi un monumento in suo onore? Miseriaccia, dovremmo farne uno a Harry!»
Che c’era di male, in tutto quello?
« Facciamolo. E non facciamo finta di nulla, ho come l’impressione che nessuno di voi abbia raccontato alla vostra prole di come è andata qualche annetto fa.» ribatté, indignata, afferrando forchetta e coltello – e allo stesso modo Lucién stava, più discretamente, allungando la mano verso la bacchetta nella tasca.
« Stiamo calmi, per piacere.»

Saltiamo, dai, saltiamo tutti insieme nel niente più assoluto!
Digrignò i denti, ripiegò il tovagliolo e lo mise accanto al piatto mezzo vuoto: moriva dalla voglia di dire agli ex-compagni di scuola che lei aveva già ucciso e non ci avrebbe messo nulla a farlo di nuovo, ma si trattenne.
« Certo, signor Potter. Non sono mai stata più calma, non ti preoccupare. Non sono nemmeno offesa, se è per questo, solo che mi dispiace aver accettato questo invito. Mi dispiace mettere in imbarazzo mio marito, ma non ce la faccio, davvero.»

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